Malattie infiammatorie extrarticolari
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Malattie infiammatorie extrarticolari
CAPITOLO 103 Malattie infiammatorie extrarticolari M. CORRADI, L. ROCCHI, D.S. POGGI, E. MARGARITONDO Tenosinoviti M. CORRADI Le tenosinoviti o tenovaginaliti vanno definite come un’infiammazione del rivestimento sinoviale della guaina tendinea1. Questo processo infiammatorio è scatenato da un sovraccarico funzionale o da traumi ripetuti a carico dei tendini flessori ed estensori. Superata la capacità di adattamento a queste situazioni di stress, col tempo si instaura una reazione di riparazione ed un ispessimento della guaina tendinea che può essere fino a tre volte il diametro normale. L’infiammazione produce il rilasciamento di fattori vasoattivi e chemiotattici che a loro volta determinano vasodilatazione. Quest’ultima porta alla proliferazione di fibroblasti che producono collageno. Il collageno giunto a maturazione aumenta di dimensioni e si dispone longitudinale lungo la guaina tendinea che risponde con un aumento di spessore di circa 3 volte il diametro normale2 e con una metaplasia fibrocartilaginea da attrito3. Il quadro clinico comune nella fase acuta è caratterizzato da dolore locale, edema ed occasionalmente da crepitio. Le tenosinoviti si distinguono in proliferative e reattive (o stenosanti). Le caratteristiche delle tenosinoviti proliferative sono la possibilità di diffusione e di invasione al di fuori della guaina tendinea con rotture tendinee ed erosioni ossee. Tipica è l’artrite reumatoide che ha una localizzazione alla mano e al polso e che coinvolge dal 64 al 95% dei pazienti4 (Fig. 103-1). Altre patologie ad eziologia infiammatoria sono l’amiloidosi, la gotta (o tenosinovite cristallina) e la tenosinovite settica. L’amiloidosi si può considerare una malattia da deposito di una proteina serica a basso peso molecolare (la β2microglobulina) nelle ossa e nei tessuti molli (tendini). Questa patologia è comune nei pazienti emodializzati cronici con minimo di 5 anni di trattamento dialitico5. L’emodialisi con filtri a membrana non biocompatibile (Cuprophane) ha un effetto immunostimolante sul sangue filtrato producendo l’attivazione del complemento C5a che a sua volta con un meccanismo a cascata libera Interleuchina-1 (Tab. 103-1). Quest’ultima ha due effetti: un effetto acuto che si manifesta con febbricola durante la dialisi e catabolismo muscolare e un effetto TAB. 103-1. PATOGENESI DELL’AMILOIDOSI DA DIALISI. Emodialisi con filtri Cuprophane Attivazione del complemento C 5a Liberazione di interleuchina-1 (IL-1) Aumentata produzione di PgE2 e Pgl2 Fig. 103-1. Tenosinovite proliferativa degli estensori del polso e dei flessori delle dita in artrite reumatoide. Effetti acuti Febbricola in dialisi Aumento del catabolismo muscolare Effetti cronici β2M amiloidosi 1109 1110 A SEZIONE VII - Patologie acquisite Fig. 103-2. A, Tenosinovite dei flessori al polso da deposito di sostanza amiloide. B, Istologia della sostanza amiloide: caratteristica è la positività alla birifrangenza. B cronico con l’aumento in circolo di β2-microglobulina. La tenosinovite che si forma può creare nel polso una sindrome del tunnel carpale (Fig. 103-2) e nelle dita scatto, contrattura o rottura tendinea. Nella gotta, la precipitazione di cristalli di urato monosodico scarsamente solubili in spazi chiusi come le articolazioni e le guaine tendinee provoca una reazione infiammatoria acuta e fulminante a causa del rilascio di enzimi lisosomiali, caratterizzata da edema intenso, eritema e dolore. Questa situazione locale può addirittura mascherare una tenosinovite acuta suppurativa tanto che la diagnosi viene spesso ritardata. Quando la tenosinovite è a carico dei tendini flessori nel canale carpale, realizza una sindrome del tunnel carpale di particolare gravità per il dolore e per la compromissione del nervo mediano5-7. La presenza di tofi nella mano avviene tardivamente ed è rara nei pazienti in trattamento medico specifico7 (Fig. 103-3). Le tenosinoviti reattive si caratterizzano per la localizzazione in canali osteofibrosi stretti dove il movimento co- Fig. 103-3. Voluminoso tofo gottoso del dorso della mano. stante dei tendini può causare edema ed ispessimento della guaina tendinea. Le tenosinoviti più frequenti sono il morbo di De Quervain e il dito a scatto: altre forme meno frequenti sono la sindrome da intersezione8,9, le tenosinoviti dell’estensore lungo del pollice (ELP)10,11, dell’estensore ulnare del carpo (EUC)12 e del flessore radiale del carpo (FRC)13,14. Bibliografia 1. Wolfe S. In: Green, Hotchkiss, Pederson, Wolfe Eds. Green's Operative Hand Surgery. 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Viene distinta una forma idiopatica o primaria tipica del sesso femminile in età post-menopausa da una forma secondaria prevalente nelle patologie che colpiscono il tessuto connettivo (diabete, artrite reumatoide, gotta, amiloidosi)1,2. Descritta per primo da Notta nel 1850, fu Schonborn nel 1889 che mise a punto il trattamento chirurgico mediante l’apertura della guaina tendinea. In seguito, Fahey definì per primo il tipo e la sede dell’incisione alla piega palmare distale3. Il dito a scatto si può presentare da un punto di vista clinico in modo differente secondo lo stadio evolutivo. La classificazione in diversi stadi risulta utile sia da un punto clinico ma soprattutto terapeutico per la scelta del trattamento (Tab. 103-2). All’esordio (stadio I) è presente dolore, edema e una certa diffficoltà nell’esecuzione dei movimenti attivi di flesso-estensione, senza un vero e proprio scatto. In seguito, nelle fasi subacute, compare il blocco in flessione, visibile soprattutto alla mattina, correggibile attivamente (stadio II) o passivamente (stadio III) dal paziente stesso. È solo nelle fasi croniche della patologia che il blocco non è più riducibile e si struttura in flessione (stadio IV). Sebbene la patogenesi in passato sia stata oggetto di qualche controversia4, recentemente, secondo l’ipotesi più accreditata, sembra che la causa sia da ricondurre a forze A C TAB. 103-2. CLASSIFICAZIONE SECONDO GREEN. Grado I II III IV Dolore, edema, movimenti irregolari Blocco in flessione correggibile attivamente Blocco in flessione correggibile passivamente Blocco in flessione non correggibile di compressione e frizione della guaina dei flessori che agiscono sulla puleggia A1. Si crea, così, un ispessimento di tipo fibrocartilagineo della superficie interna della puleggia A1 a contatto con il tendine flessore da sovraccarico5. L’aumento di numero dei condrociti (Fig. 103-4 A e B) e della matrice di glicosoaminoglicani (GAG) porta ad una metaplasia di tipo fibrocartilagineo della superficie di frizione della puleggia A1 ed alla formazione di collageno tipo III, tipico di strutture come i menischi o i dischi intervertebrali (Fig. 103-4 C). TRATTAMENTO Conservativo L’indicazione principale è il grado I-II. Il trattamento consiste nell’astensione da attività manuali ripetitive in cui è richiesta una presa di forza e nel trattamento con infiltrazione B Fig. 103-4. A, Aspetto istologico di puleggia normale. B, Aspetto istologico di puleggia in corso di tenosinovite. C, Nel particolare sono evidenti i condrociti da metaplasia fibrocartilaginea. 1112 SEZIONE VII - Patologie acquisite A B Fig. 103-5. A, Tecnica di infiltrazione con corticosteroidi nella guaina tendinea a livello della puleggia A1. B, Tutore statico impiegato nel trattamento conservativo del dito a scatto. di corticosteroidi e/o tutore di blocco della MCF per 2-3 settimane (Fig. 103-5 A e B). Generalmente, se due iniezioni non sono sufficienti a risolvere i sintomi associati al dito a scatto, viene raccomandato l’intervento chirurgico. Dalla letteratura, l’incidenza di buoni risultati varia dal 47% al 97% e in generale la quantità e il tipo di corticosteroide non sembrano influenzare gli esiti6-11. Da notare che Taras11 ha ottenuto risultati migliori (70%) con iniezioni nel sottocutaneo rispetto a iniezioni nella guaina tendinea (47%). Chirurgico Nel grado III-IV, l’indicazione è il trattamento chirurgico, che può essere eseguito per via percutanea o a cielo aperto. Generalmente, l’intervento a cielo aperto è indicato nelle forme molto avanzate (grado IV) o in presenza di una tenosinovite importante. Non è una tecnica nuova12-15 e, sebbene sia una metodica che appare semplice, è presente una certa riluttanza da parte del chirurgo alla puleggiotomia percutanea per il timore di ledere i peduncoli v-n o il tendine16. La tecnica consiste nel sezionare le fibre trasverse della puleggia anulare A1 con la punta dell’ago da 18-20 G per via transcutanea (Fig. 103-6 A). I punti di repere sono importanti per l’identificazione della puleggia A1. La puleggia misura da 1,2 a 1,5 cm e, per il 3°, 4° e 5° dito, il bordo prossimale corrisponde alla piega palmare distale, mentre il bordo distale alla metà tra piega palmare distale e piega prossimale delle dita. Per il 2° dito, il bordo prossimale corrisponde alla piega palmare prossimale (Fig. 103-6 B). Nel pollice, il primo repere è costituito dalla piega prossimale della MCF e il punto di entrata corrisponde al punto dove la linea tracciata dal centro interseca la piega prossimale (Fig. 103-6 C e D). Va ricordato che la direzione dei tendini flessori nel palmo per il 2° e il 5° dito è obliqua con direzione verso il centro del palmo (Fig. 103-6 E). Puleggiotomia percutanea A1 Tecnica. Si inserisce l’ago perpendicolare al tendine e con la parte tagliente della punta parallela all’asse tendineo, viene retratto tanto da far scomparire i movimenti sinergici dell’ago con il dito (Fig. 103-6 F). La punta dell’ago va mossa in senso prossimo-distale e il taglio della puleggia produrrà un rumore di raspa (Fig. 103-6 G). Infine, l’intervento termina con la scomparsa dello scatto. Il vantaggio di questa tecnica è l’atraumaticità e l’alta percentuale di buoni risultati, mentre le possibili complicanze sono rappresentate da una puleggiotomia incompleta o dalla lesione dei flessori. Evenienza, quest’ultima, piuttosto rara se si rimane con l’ago superficialmente17. Controindicazioni. Tenosinovite senza scatto. Paziente che ha avuto un precedente intervento a livello della puleggia A1. Paziente in trattamento con anticoagulanti orali. Una variante è la puleggiotomia percutanea con lama a semiluna attraverso un’incisione cutanea di soli 2-3 mm1. È una tecnica moderatamente più traumatica rispetto alla precedente; presenta il rischio di lesione della puleggia A2 se si forza nella direzione prossimo-distale18. L’indicazione principale è la tenosinovte con scatto irriducibile sia attivamente che passivamente. In anestesia di plesso o locale, si applica il tourniquet a livello dell’avambraccio. L’incisione è alla piega palmare distale per il 3°, 4° e 5° dito e prossimale per il 2° a livello della MCF. La direzione dell’incisione cutanea più comunemente usata è trasversale, ma può essere anche a “chevron”2 o longitudinale19. Di preferenza, si impiega l’incisione trasversale, ma se si vuole un campo operatorio più esteso per poter procedere ad un’ampia tenosinoviectomia, è consigliabile utilizzare l’incisione a “chevron”; con l’incisione longitudinale può residuare una cicatrice retraente (Fig. 103-7 A). La sezione della puleggia A1 può essere fatta con il bisturi o con la forbice (Fig. 103-7 B e C). I tendini flessori vengono lussati e, se necessario, si procede a tenolisi o tenosinoviectomia in caso di aderenze o di tenosinovite florida (Fig. 103-7 D). Puleggiotomia A1 a cielo aperto 103 – Malattie infiammatorie extrarticolari dalla contemporanea apertura delle pulegge A1 e A2. In questa situazione, ai tendini flessori viene a mancare una delle pulegge più importanti, l’A2, con conseguente riduzione della flessione (Fig. 103-8 A e B). Inoltre, la sezione della puleggia A2 nel 2° dito può portare ad una deviazione ulnare20. In questo caso, è necessario ricostruire la puleggia A2 con il palmare gracile o con un lembo di retinacolo (Fig. 103-8 C-E). Nelle forme croniche, la contrattura in flessione (da 10° a 40°) della interfalangea prossimale (IFP) può per- Esiste anche la possibilità della puleggiotomia per via artroscopica: la tecnica, messa a punto da Brown, consiste in una doppia via con uno strumentario simile a quello per il tunnel carpale. Non sembra però apportare un reale vantaggio dal momento che l’incisione è doppia ed i costi sono elevati. Puleggiotomia endoscopica Complicazioni. Tra le complicanze, la più frequente, vi è il cosiddetto “bowstring” o effetto a “corda d’arco” causato A C B F E D Fig. 103-6. A, Tecnica della puleggiotomia percutanea con ago. B, Rappresentazione schematica dei punti di repere anatomici della puleggia A1 delle dita lunghe. C e D, Rappresentazione schematica e reperto anatomico del repere della puleggia A1 del pollice. E, La direzione dei tendini del 2° e 5° dito è obliqua rispetto alle dita centrali. F, Nella puleggiotomia percutanea, l’ago va inserito perpendicolarmente all’asse del tendine. G, Il taglio della puleggia avviene mediante movimenti in senso prossimo-distale. 1113 G 1114 SEZIONE VII - Patologie acquisite A B D C Fig. 103-7. A, I vari tipi di incisione cutanea. B e C, Sezione della puleggia con forbice o bisturi. D, Puleggiotomia e tenosinoviectomia. sistere a lungo, anche dopo l’intervento di puleggiotomia dell’A1. I più interessati sono i pazienti diabetici per la tendenza spontanea alla fibrosi. La contrattura della IFP è causata da aderenze intratendinee, generalmente del flessore superficiale, ma occasionalmente anche dal nodulo del flessore profondo al passaggio del chiasma di Camper. Il trattamento incruento può richiedere fino a 46 mesi di splint dinamico in estensione; nel caso di insuccesso con la terapia conservativa, si ricorre al tratta- A B C mento cruento mediante plastica di riduzione del flessore profondo a livello del nodulo. Tecniche alternative consistono nella rimozione delle aderenze intratendinee o nella resezione parziale o totale del flessore superficiale a livello del chiasma di Camper, mantenendo intatta la puleggia A221. Infine, un’altra complicanza è la sezione del nervo digitale radiale del pollice, che può avvenire durante l’incisione cutanea se si penetra troppo in profondità con la lama del bisturi22. D E Fig. 103-8. A, Effetto a corda d’arco in esiti di puleggiotomia A1 con deficit residuo della flessione. B, Il campo operatorio mostra l’assenza della puleggia A1 e della puleggia obliqua. C, Ricostruzione della puleggia A1 con tendine palmare gracile. D e E, Controllo postoperatorio: scomparsa dell’effetto a corda d’arco e ripristino della flessione. 103 – Malattie infiammatorie extrarticolari Bibliografia 1. Froimson A. Trigger thumb and finger. In: Green D (ed): Operative hand surgery. vol 2, 3rd ed. New York, Churchill-Livingstone 1993, pp 1995-1998. 2. Greider J. Trigger thumb and finger release. In: Blair W (ed): Techniques in hand surgery Baltimore, Williams & Wilkins, 1996, pp 567-573. 3. Fahey JJ, Bollinger JA. Trigger finger in adults and children. J Bone Joint Surg 36:1200-1218, 1954. 4. Hueston JT, Wilson WF. The etiology of trigger finger. Explained on the basis of intratendinous architecture. Hand 4:257-60, 1972. 5. Sampson SP, Badalamente MA, Hurst LC, Seidmean J. Pathobiology of the human A1 pulley in trigger finger. J Hand Surg 16A:714-20, 1991. 6. Taras JS, Miskovsky C. Nonoperative management of trigger digits. In: Tendinitis and tenosynovitis. 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Nella pubblicazione originale, recentemente tradotta e ripubblicata negli Stati Uniti2, l’autore riportava numerose osservazioni personali nonché alcuni casi riportati da Sandoz e da Kocher, al quale attribuiva la prima descrizione clinica. Il trattamento chirurgico della patologia, da lui praticato, permetteva di eseguire alcuni prelievi di sinoviale che facevano escludere la patogenesi tubercolare o sifilitica della malattia. La “malattia di De Quervain” è costituita da un processo infiammatorio a carico della guaina sinoviale dei tendini abductor pollicis longus (APL) ed extensor pollicis brevis (EPB) all’interno del I compartimento del retinacolo degli estensori al polso. I due tendini, originati da muscoli distinti al terzo medio dell’avambraccio, si dirigono lateralmente per entrare in una doccia scheletrica sul versante dorso-radiale dell’epifisi del radio, delimitata da due creste ossee e con una certa frequenza da una sottile cresta intermedia. Questa doccia si prolunga sull’apofisi stiloidea costituendo il pavimento del I compartimento dei tendini estensori il cui tetto è formato da un ispessimento del legamento dorsale del carpo chiamato retinacolo degli estensori. Queste strutture formano un canale osteo-fibroso inestensibile nel quale i due tendini scorrono avvolti da una guaina sinoviale comune. Al di sopra del compartimento, nel tessuto sottocutaneo, giacciono due rami sensitivi del nervo radiale, diretti alla regione dorsale del pollice ed alla prima commissura (Fig. 103-9). Il I compartimento può presentare numerose variazioni anatomiche3,4, tra le quali sono frequenti: (1) la divisione in due compartimenti mediante una cresta intermedia (Fig. 103-10); (2) la presenza di guaine sinoviali separate per i due tendini APL ed EPB; (3) la suddivisione dell’APL in due o più fascicoli che possono avere distalmente inserzioni diverse; (4) la disposizione secondo un piano verticale dei due tendini con l’APL che ricopre l’EPB; (5) l’agenesia dell’EPB; (6) la giunzione miotendinea particolarmente distale che si impegna nel canale. 1116 SEZIONE VII - Patologie acquisite Fig. 103-9. Anatomia locale. La freccia lunga indica l’APL e l’EPB alla fuoriuscita dal I compartimento degli estensori. L’APL appare composto da due fascicoli. Le freccie brevi indicano l’area del canale. I rami sensitivi del nervo radiale decorrono superficialmente (stelle bianche). (Preparazione anatomica di A. Pagliei). PATOGENESI ED ASPETTI CLINICI La tenosinovite di De Quervain insorge prevalentemente in donne in età medio-giovanile, con un rapporto femmine/maschi di circa 5/1 secondo la letteratura5. Sulla patogenesi di questa malattia sono state formulate molteplici ipotesi che prendono in considerazione fattori anatomo-funzionali, malformativi, traumatici e microtraumatici legati alle attività lavorative, fattori ormonali, diabete ed endocrinopatie6. Più in generale si può affermare che la patologia è determinata da un fattore predisponente, costituito dall’incongruenza fra le dimensioni del canale ed il calibro tendineo con conseguente frizione continua dei tendini contro le pareti del compartimento, ed un fattore scatenante (meccanico, ormonale o altro), che agisce direttamente sulla guaina sinoviale determinandone l’infiammazione con aumento di volume. Come per le tenosinoviti stenosanti dei flessori delle dita, si instaura un circolo vizioso per cui il mo- Fig. 103-10. Anatomia locale. Visualizzazione del pavimento del canale dell’APL-EPB. Si osserva la doccia di scorrimento divisa in due compartimenti (stelle nere), separati da una cresta intermedia. (Preparazione anatomica di A. Pagliei). Fig. 103-11. Si osserva una tumefazione cutanea di forma allungata sul versante stiloideo del polso. vimento aggrava la flogosi delle strutture coinvolte, permettendo difficilmente una guarigione spontanea. Dal punto di vista anatomopatologico è presente inizialmente uno stato flogistico acuto aspecifico della guaina sinoviale tendinea a cui segue un ispessimento con aderenze tendinee e parietali della guaina stessa con evoluzione cronica. Clinicamente il dolore è acuto e si localizza a livello della stiloide radiale, irradiandosi talvolta al polso o prossimalmente al lato dorso-radiale dell’avambraccio. In alcuni casi, il dolore scompare dopo un periodo di riposo e terapia per poi ripresentarsi dopo una modesta attività manuale. All’ispezione si rivela spesso una tumefazione cutanea allungata, localizzata in corrispondenza del I compartimento, teso-elastica alla palpazione, che può assumere talvolta l’aspetto di una cisti (Fig. 103-11). Un test semeiologico caratteristico è costituito dal segno di Finkelstein7: dopo aver fatto chiudere il pugno al paziente con il pollice nel palmo, la deviazione ulnare della mano eseguita bruscamente dall’esaminatore provoca dolore acutissimo (Fig. 103-12). Gli esami diagnostici strumentali sono poco indicativi ed è essenzialmente l’esame clinico che permette di formulare la diagnosi. Fig. 103-12. S. di Finkelstein: la flessione ulnare passiva della mano con pollice addotto nel palmo provoca acuto dolore. 103 – Malattie infiammatorie extrarticolari A 1117 B Fig. 103-13. A e B, Incisione cutanea longitudinale in corrispondenza del I compartimento degli estensori ed isolamento dei rami nervosi sottocutanei (stelle bianche). TRATTAMENTO Il primo provvedimento da adottare all’insorgenza della malattia dovrebbe essere l’immobilizzazione temporanea del polso in associazione a terapia antinfiammatoria ed eventuale ciclo di laser-terapia, nel tentativo di una risoluzione incruenta dell’infiammazione, sebbene le possibilità di guarigione siano piuttosto basse8. Meno utilizzata è l’infiltrazione locale con cortisonici a causa dell’esiguità del tessuto sottocutaneo locale e della possibilità di lesioni distrofiche che ne consegue9. Il trattamento chirurgico si pone a risoluzione definitiva della malattia; può esser eseguito in anestesia di plesso brachiale o in anestesia locale. Classicamente l’incisione cutanea si effettua a livello dell’apofisi stiloidea del radio in corrispondenza del I compartimento, longitudinalmente, con lunghezza di circa due centimetri (Fig. 103-13 A e B). Dopo aver individuato ed isolato dorsalmente e volarmente i due o più rami sensitivi del nervo radiale e le vene che decorrono nel tessuto sottocutaneo, si procede all’incisione longitudinale della porzione ligamentosa del I compartimento al fine di aumentarne il diametro interno. Particolare attenzione deve esser posta nell’incidere il retinacolo sul versante più dorsale, laddove esso si reinserisce sul periostio, al confine con il II compartimento (Fig. 103-14 A-C). Tale accortezza permette di aprire il canale tendineo senza eliminare la funzione di “mensola” del retinacolo, che fisiologicamente impedisce ai tendini APL ed EPB di lussarsi volarmente alla flessione del polso (Fig. 103-15). Attraverso questa incisione retinacolare, che non deve eccedere in media la lunghezza di un centimetro, si visualizzano i tendini e si esegue una sinovialectomia locale quando necessario. Non di rado è presente il doppio canale diviso da una cresta fibrosa intermedia che deve esser incisa per completare la tenolisi. Una sutura cutanea intradermica o a punti staccati completa l’intervento, mentre il retinacolo viene lasciato aperto. Il polso viene quindi fa- sciato ed eventualmente tutorizzato in estensione per una o due settimane al fine di favorire la cicatrizzazione10,11. Fra le poche varianti di tecnica descritte in letteratura, è interessante citare quella eseguita da LeViet12 che prende spunto da alcune modifiche già apportate all’intervento classico da Foucher13. La tecnica messa a punto dall’autore prevede un’incisione cutanea trasversale anziché longitudinale, seguita da una resezione completa della porzione dorsale del retinacolo del I compartimento e dell’eventuale cresta intermedia con tenolisi. Si procede quindi ad una sutura intradermica continua condotta dall’operatore in direzione volo-dorsale, che include, tramite un punto di sutura intermedio, la porzione volare del retinacolo che viene così fissata al piano dermico venendo a formare una retinacolo-dermo-desi che impedisce il rischio di insufficienza funzionale del retinacolo e l’eventuale lussazione volare dell’APL-EPB. L’incisione trasversale, pur rendendo più delicata l’identificazione e l’isolamento dei rami nervosi, si rende necessaria per l’esecuzione della particolare sutura dermo-retinacolare ed inoltre, secondo l’autore, è sede di cicatrice esteticamente migliore e sempre indolore non entrando in tensione alla flessione ulnare della mano in virtù del suo decorso. La sutura viene rimossa dopo tre settimane, o in alternativa viene utilizzato del materiale riassorbibile. In generale, le possibili complicanze degli interventi di tenolisi condotti per il trattamento della tenosinovite di De Quervain sono: (1) la lesione dei rami nervosi sottocutanei, particolarmente insidiosa nel caso si esegua l’intervento in anestesia locale, con esiti di tipo disestesico sul territorio d’innervazione e lo sviluppo di neuromi dolorosi sottocutanei; (2) la possibile lussazione volare dell’EPL-APB alla flessione del polso nel caso l’incisione del retinacolo sia stata eseguita troppo volarmente oppure sia troppo estesa determinandone l’insufficienza funzionale; (3) la non identificazione del doppio canale e quindi l’incompleta tenolisi con mancata regressione della sintomatologia algica. Una complicanza minore, legata alla se- 1118 SEZIONE VII - Patologie acquisite A C B Fig. 103-14. A-C, Identificazione ed incisione del retinacolo sul versante dorsale, con visualizzazione dei tendini APL ed EPB. de periarticolare dell’incisione nonché alla giovane età e al sesso che spesso caratterizza le pazienti, è la possibile formazione di cicatrici cheloidee e/o iperalgiche14. Qualunque sia la tecnica adottata dal chirurgo, resta fondamentale nel trattamento di questa particolare tenosinovite la perfetta conoscenza della regione stiloidea del polso e delle sue numerose varianti anatomiche. Bibliografia 1. Quervain F (De). Uber eine form von chronischen tendovaginitis. Konesp-Bl Schweiz Arz 1895;25:389-394. 2. On a form of chronic tendovaginitis by dr. Fritz De Quervain in La Chaux-de-Fonds. 1895. Am J Orthop 1997;26(9):641-644. 3. Leao L. De Quervain’s disease: clinical and anatomical study. J Bone Joint Surg (Am) 1958;40:1963-1970. 4. Strandel G. Variation of the anatomy in stenosing tenosynovitis of the radial styloid process. Acta Chir Scand 1957;113:234-240. 5. 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In seguito sono state moltissime le pubblicazioni inerenti l’argomento dalle quali si evince come multiforme sia la sua patogenesi e nel contempo l’approccio clinico al trattamento della stessa. Se il termine epicondilite è eponimico del quadro sintomatico, altri termini sono stati coniati per indicare la stessa malattia. “Gomito del tennista” è un termine che è stato coniato per descrivere lo stesso quadro patologico in una certa classe di pazienti e quindi a stigmatizzare una certa patologia attinente la pratica sportiva. Nel contempo, “epicondilite laterale” differenzia la localizzazione della entesopatia in corrispondenza dell’epicondilo laterale del gomito, differenziandola dalla epicondilite mediale o epitrocleite a localizzazione meno frequente ma spiccatamente mediale. INCIDENZA L’epicondilite colpisce in maggioranza individui di età media, interessando maggiormente la quarta e la quinta decade della vita. Il soggetto maschile è maggiormente rappresentato rispetto a quello femminile nel rapporto di tre a uno e ciò è spiegabile con il fatto che al primo sono ascrivibili le pratiche occupazionali più pesanti. Inoltre, tale gruppo di individui rappresenta il 95% della patologia rispetto ai soggetti affetti dalla malattia e praticanti attività sportiva. Più spesso monolaterale, non disdegna la bilateralità specie in quei soggetti dediti ad attività lavorativa pesante e ripetitiva che impegna entrambi gli arti superiori. PATOGENESI La patogenesi dell’epicondilite presenta tre aspetti: osteotendineo, articolare e nervoso. Tre diverse motivazioni patogenetiche, che si presentano con tre aspetti anatomopatologici diversi, determinando i caratteri sintomatici comuni della malattia. L’aspetto miotendineo individua come causa dominante della malattia la degenerazione della lamina tendinea degli estensori. Alcune considerazioni anatomiche sono necessarie: gli epicondiloidei laterali si inseriscono a livello dell’epicondilo mediante un tendine comune che con difficoltà lascia distinguere ogni componente singolo2. Le inserzioni si ripartiscono al davanti e dietro una piccola cresta laterale che rappresenta la continuità anatomica della cresta laterale della paletta omerale (Fig. 103-16). Le superfici di inserzione maggiore sono a carico dell’anconeo e del l’EUC (posteriori), mentre le meno estese e più anteriori sono quelle del ERBC e dell’ECD (anteriori). Le singole unità tendinee sono individuabili subito in prossimità della giunzione miotendinea, mentre più prossimalmente sono difficilmente distinguibili. Comunque è importante osservare come il tendine più spesso sia quello dell’ERBC, mentre il più largo è quello dell’ECD. È proprio il tendine dell’ERBC ad essere più sollecitato con il movimento attivo di estensione del polso e ad essere maggiormente stirato passivamente nel movimento di flessione del polso. Infatti, gli studi effettuati da Brand nel 19813 hanno portato all’osservazione di come l’inserzione tendinea dell’ERBC sia meno eccentrica rispetto al centro di rotazione articolare del gomito, al contrario di altri muscoli ad inserzione più prossimale (ERLC). Per questo motivo, la variazione di lunghezza dell’ERBC durante l’escursione articolare del gomito è piccola, mentre in esso la tensione si mantiene pressoché costante durante tutta l’escursione articolare stessa (Fig. 103-17). Secondo le più accreditate teorie4, è soprattutto in questo tendine che si localizza il processo di degenerazione tendinea che inizia come area di degenerazione susseguente ad una zona di minore vascolarizzazione sotto azione dello stress continuativo e ripetitivo.Tale area di degenerazione si forma per la comparsa iniziale di microlesioni a carico delle fibre tendinee che innescano un processo riparativo atipico caratterizzato da proliferazione vascolare e fibrosa, cui si associano fenomeni di atrofia cellulare con scarsa presenza di macrofagi, linfociti e neutrofili e diminuzione locale della sintesi proteica. L’area degenerativa viene invasa da tessuto di granulazione atipico che presenta fenomeni di proliferazione capillare ed invasione di fibroblasti. Nel suo contesto sono presenti microrotture e formazione di cavità pseudocistiche. L’iperplasia angiofibroblastica come viene definita da Nirschl5 porta alla formazione di un’area degenerativa ben circoscritta con i caratteri nelle ultime fasi del granuloma reattivo e maturo nel contesto del quale non è infrequente la precipitazione di sali di calcio. L’aspetto osteoarticolare riconosce come causa dominante della malattia una patologia ossea o articolare della omero-radiale. Se l’osteocondrite dissecante del capitello non è infrequente in soggetti adulti dediti ad attività sportiva competitiva (ginnasti), forse la patologia della frangia sinoviale interposta tra il capitulum humeri e la fovea radiale è abbastanza frequente. La stessa è responsabile, secondo diversi autori, di una sindrome dolorosa della faccia 1120 SEZIONE VII - Patologie acquisite Frangia sinoviale BR EUC ERLC A ERBC ECD EPM Lig. anulare Capsula Ulna S Fig. 103-16. Punto di inserzione e aree di sviluppo inserzionale degli epicondiloidei. (Modificato da: Spalteholz e Spanner–Manuale Atlante di Anatomia–SEL, Milano). laterale del gomito6,7. Anche se la stessa è incostante (86%), viene comunque descritta in numerosi trattati di anatomia. Poirier8 descrive tale struttura come un menisco definendola “cercine falciforme” data appunto dallo sviluppo falciforme e dai margini frastagliati ed increspati. Studi più recenti9,10 hanno dimostrato numerose variazioni di localizzazione, di estensione e di forma di tale struttura. Essa si presenta come una duplicazione fibrosa, di forma Fig. 103-18. Frangia sinoviale: duplicazione fibrosa, di forma cuneiforme subito al di sopra del margine prossimale del ligamento anulare del radio, là dove questo sconfina nella capsula articolare. (Modificato da: Spalteholz e Spanner–Manuale Atlante di Anatomia–SEL, Milano). cuneiforme subito al di sopra del margine prossimale del ligamento anulare del radio, là dove questo sconfina nella capsula articolare (Fig. 103-18). La posizione può essere variabile, occupando completamente lo spazio articolare (totalmente circolare) o essere localizzata in settori che rispettivamente sono: dorso-laterale, dorsale, ventrale e laterale (Fig. 103-19). Dal punto di vista strutturale, si riconoscono due forme: una forma rigida, costituita da un asse fibroso spesso rivestito da tessuto sinoviale che nel suo contesto non presenta tessuto cartilagineo o fibrocondroide di tipo meniscale mentre, in corrispondenza della sua base, presenta numerose arteriole capillari e numerose fibre nervose, ed una forma semplice, costituita da una semplice duplicazione sinoviale con sottile asse fibroso nel suo contesto. Questa seconda forma, definita patologica, Ligamento anulare * ** *** Capsula **** Centro di rotazione ERBC ERLC Fig. 103-17. L’inserzione tendinea dell’ERBC è meno eccentrica rispetto al centro di rotazione articolare del gomito, al contrario di altri muscoli ad inserzione più prossimale (ERLC). (Modificato da Lanz e Wachsmuth - Anatomia Pratica - Piccin Editore). Frangia sinoviale (completa) Ulna Fig. 103-19. Diverso sviluppo della frangia sinoviale Da completa a: *dorso-laterale, **dorsale ,****ventrale e*** laterale. (Modificato da Spalteholz e Spanner – Manuale Atlante di Anatomia – SEL, Milano). 103 – Malattie infiammatorie extrarticolari Fig. 103-20. Il ramo profondo del nervo radiale non emette rami perforanti che affiorino verso la regione epicondilare. (Da Bassett- A Stereoscopic Atlas of Human AnatomY –Sawyer’s Inc). presenta una maggiore concentrazione di vasi neoformati e di terminazioni nervose. Vengono inoltre riportate in letteratura forme di degenerazione sinoviale villonodulare che assumono caratteri francamente patologici11. D’altro canto, gli studi riportati non assegnano alla frangia sinoviale il ruolo di vero spaziatore interarticolare così come un vero menisco, ma piuttosto il ricordo ancestrale di un setto interarticolare iniziale presente allo stato embrionale7,12 e in seguito parzialmente obliterato. Pertanto, la patologia della frangia sinoviale va presa in considerazione e deve essere sempre tenuta presente nelle sindromi dolorose laterali del gomito quando questa è particolarmente evidente ed ipertrofica, poiché nel suo interno è alta la concentrazione di fibre nervose. Questo è un dato altamente significativo nel giustificare una patologia da attrito che determina come riflesso una patologia epicondilare. L’aspetto nervoso riconosce come causa dominante della malattia la compressione del ramo profondo del nervo radiale al gomito. Se Frhose ha tipizzato nel 1908 i canoni clinici ed anatomopatologici della compressione del ramo profondo del nervo radiale al gomito, successivamente altri autori13-15 hanno voluto riconoscere una certa attinenza tra epicondilite laterale e sindrome compressiva radiale. Ciò è effettivamente vero? Dal punto di vista strettamente anatomico, la regione epicondiloidea è innervata dal punto di vista sensitivo dal cutaneo posteriore e cuta- N. rad. M. sup. Supinazione Pronazione Fig. 103-22. (Da: Les épicondylalgies du coude – Sauramps Médical). neo laterale dell’avambraccio, rami sensitivi del radiale. La componente motoria, si distribuisce agli epicondiloidei mediante il ramo profondo. Questo veicola delle fibre sensitive, tanto che alcune di esse decorrono lungo la loggia posteriore dell’avambraccio e innervano dal punto di vista sensitivo la regione dorsale della radiocarpica. Sono noti i benefici della sezione dell’interosseo posteriore al polso in alcune malattie degenerative estremamente dolorose e destruenti. Ma a livello del gomito il ramo profondo del nervo radiale non emette rami perforanti che affiorino verso la regione epicondilare (Figg. 103-20 e 103-21). Il solo dato certo dal punto di vista anatomico è che delle espansioni fibrose possono essere sottese tra estensori del polso e flessori delle dita; queste potrebbero essere responsabili della compressione nervosa durante l’attività motoria intensa e ripetitiva. Inoltre, il ramo profondo del nervo radiale entra in stretto rapporto con il margine muscolare dell’ERBC in un piano più superficiale, mentre nel piano più profondo entra in diretto contatto con il margine tendineo del muscolo supinatore. Lo stesso viene compresso tra i due piani muscolari del supinatore durante il movimento di pronazione (Fig. 103-22). Queste sole cause anatomofunzionali renderebbero giustificata una sindrome dolorosa in regione dorso-laterale dell’avambraccio16. DIAGNOSI Fig. 103-21. Dettaglio a minore ingrandimento. 1121 Dal punto di vista diagnostico il sintomo cardinale è rappresentato dal dolore. Esso è localizzato in corrispondenza dell’epicondilo. Secondo la scala di Nirschl, esistono sette fasi diversificate per comparsa, intensità e durata del dolore che corrispondono ad altrettanti stadi anatomo-patologici, che vanno dal grado più lieve in cui il dolore si manifesta come senso di tensione dopo l’attività fisica, sia essa sportiva o lavorativa, e che si risolve spontaneamente nell’arco di 24 ore, al grado più elevato in cui il dolore è intenso e costante anche nelle ore notturne. Al primo stadio corrisponde la tendinite iniziale, mentre all’ultimo fa ri- 1122 SEZIONE VII - Patologie acquisite A Fig. 103-23. A, Il reperto iniziale della tendinosi evidenzia una ipoecogenicità diffusa ed una tumefazione della regione perinserzionale epicondiloidea con più o meno evidenti disomogeneità strutturali con aspetto ipoecogeno-disomogeneo e ipervascolarizzazione. B, Reperto ecografico di granuloma stabilizzato: una piccola alterazione nodulare, solida, ovalare, ben circoscritta ipoecogena del diametro di 2-10 mm, avascolarizzata circondata spesso da tessuto ipervascolarizzato. C, Nelle forme croniche o calcifiche si apprezzano aree iperecogene lamellari o spot ecogeni brillanti talvolta associati ad irregolarità della superficie ossea e a raro versamento articolare. Coesiste ispessimento dell’inserzione tendinea con aspetto ipoecogeno-disomogeneo, calcificazioni e irregolarità della superficie ossea. B C scontro la degenerazione totale della lamina tendinea. Negli stadi più avanzati il dolore si accompagna a limitazione funzionale articolare del gomito, che si presenta limitato nell’estensione ai massimi gradi. Il test di Cozen (il dolore in sede epicondiloidea viene riacutizzato con l’estensione del polso contro resistenza a gomito flesso) ed il test di Mills (riacutizzazione della sintomatologia dolorosa evocata dalla pronazione passiva forzata a gomito esteso e polso flesso) sono francamente positivi. Un dato di rilievo importante è caratterizzato dalla bilateralità, dalla presenza di rigidità articolare e asimmetria della forza muscolare più frequente nei soggetti affetti da malattia professionale rispetto ai soggetti affetti da etiologia sportiva. Dal punto di vista diagnostico differenziale, la palpazione è importante poiché induce riacutizzazione del dolore nel punto in cui viene esercitata, indirizzando verso una forma pura di epicondilalgia su base miotendinea. Quando, al contrario, il dolore viene evocato in corrispondenza del capitello ra- 103 – Malattie infiammatorie extrarticolari diale o dell’interlinea articolare, è intuitivo il sospetto che la sindrome dolorosa possa avere una genesi di tipo osteoarticolare. Al contrario, se il dolore si localizza tre o quattro centimetri distalmente all’epicondilo, in corrispondenza dei ventri muscolari degli estensori, accompagnato da segni di deficit parziale contro resistenza degli estensori del medio a gomito esteso ed avambraccio pronato (test di Maudsley), in presenza o meno di turbe sensitive, deve evocare la possibile iniziale esistenza di una compressione neurogena a carico del radiale. Nella corretta formulazione della diagnosi è comunque di grande aiuto l’approccio diagnostico strumentale. Al di là dell’esame radiografico standard del gomito che può mostrare segni indiretti della patologia, caratterizzati da calcificazioni minute e piccole irregolarità corticali in corrispondenza dell’epicondilo, noi riteniamo che l’indagine strumentale più significativa nella patologia epicondiloidea sia rappresentata dall’indagine ecografia. Se condotta da mani esperte che hanno dimestichezza con la patologia, l’esame ecografico può manifestare la comparsa delle alterazioni strutturali fin dalle prime battute. Dal punto di vista ecografico si possono individuare tre fasi. Il reperto iniziale della tendinosi evidenzia una ipoecogenicità diffusa ed una tumefazione della regione perinserzionale epicondiloidea con più o meno evidenti disomogeneità strutturali con aspetto ipoecogeno-disomogeneo e ipervascolarizzazione (Fig. 103-23 A). Il reperto ecografico del granuloma stabilizzato è quello di una piccola alterazione nodulare, solida, ovalare, ben circoscritta, ipoecogena, del diametro di 2-10 mm, avascolarizzata circondata spesso da tessuto ipervascolarizzato (Fig. 103-23 B) ed è in questa fase che l’intervento trova giustificata indicazione. Nelle forme croniche o calcifiche si apprezzano aree iperecogene lamellari o spot ecogeni brillanti, talvolta associati ad irregolarità della superficie ossea e a raro versamento articolare. Coesiste ispessimento dell’inserzione tendinea con aspetto ipoecogeno-disomogeneo, calcificazioni e irregolarità della superficie ossea (Fig. 103-23 C). L’indagine RM ha indubbia importanza nei casi non perfettamente chiari. Essa rivela la presenza o meno di una patologia articolare di tipo condritico o dovuta alla presenza di una frangia sinoviale. Essa mostra comunque un segnale iperintenso nelle scansioni assiali pesate in T2 con saturazione del segnale per il grasso in corrispondenza dell’epicondilo nei casi di epicondilite pura. Utile è poi l’esecuzione di un esame EMG in caso di sospetto circa la coesistenza o meno di una compressione del nervo radiale, anche se spesso la sua negatività non ha valore assolutamente predittivo. TRATTAMENTO Da quanto su esposto, risulta chiaro che il dolore caratteristico in sede epicondiloidea può avere genesi diversa e pertanto la terapia deve essere commisurata alla patologia causale. Pertanto, prima di affrontare qualsiasi tipo di trattamento, bisogna porsi l’interrogativo: l’epicondilalgia è 1123 dovuta a una malattia tendinea? O piuttosto ad una malattia articolare? O infine ad una malattia nervosa? La risposta ad ogni interrogativo specifico conduce alla corretta individuazione della causa ed all’approntamento del corretto approccio terapeutico. Nello specifico, se ricorre la motivazione articolare o neurogena è chiaro che la condotta chirurgica sarà orientata verso la lisi mirata della patologia osteoarticolare per via artrotomica o artroscopica nel primo caso, e verso la decompressione del ramo profondo del nervo radiale nel secondo caso. Se ricorre invece la motivazione tendinea pura, deve essere approntato un protocollo terapeutico mirato a seconda dello stato più o meno grave della patologia tendinea. Esiste in letteratura un’ampia varietà di protocolli terapeutici senza una particolare evidenza scientifica a favore di una condotta terapeutica piuttosto che di un’altra. Pertanto, spesso, lo specialista si affida alle caratteristiche cliniche della malattia, alle esigenze funzionali del paziente ed al bagaglio scientifico culturale personale. Nella fase acuta iniziale, il riposo e la riduzione dell’attività costituiscono il cardine del trattamento. Viene riportata in letteratura un’alta percentuale di guarigione con il solo trattamento conservativo se la malattia viene trattata in fase iniziale con il riposo supportato eventualmente dall’applicazione di un tutore reggibraccio, contemporaneamente all’uso di antinfiammatori. Fra questi gli inibitori selettivi delle COX-2 consentono di ridurre il dolore in assenza di effetti collaterali indesiderati. Nei casi più refrattari, sempre in fase acuta ed in seconda battuta, deve essere presa in considerazione la terapia infiltrativa mediante cortisonici associata ad anestetici locali. Sarebbe buona norma effettuare la terapia infiltrativa coprendo tutte le zone circostanti l’epicondilo, in modo che il farmaco possa diffondere in senso centripeto verso la zona affetta dal processo infiammatorio. L’infiltrazione localizzata in corrispondenza dell’epicondilo può produrre spesso un effetto a cascata aggravando il quadro clinico. Ciò si spiega attraverso un effetto meccanico e attraverso un effetto chimico diretto poiché i cortisonici sono lesivi per il tessuto tendineo17; pertanto, al fine di ridurre spiacevoli inconvenienti legati a tale pratica, alcuni autori caldeggiano la diffusione indiretta del cortisone mediante la iontoforesi18. Nella fase subacuta, allorché la sintomatologia dolorosa mostra segni di remissione, è di estrema importanza la terapia riabilitativa. Se condotta da personale qualificato può portare a remissione del quadro patologico. Nella fase iniziale, essa si basa su esercizi di stretching da cominciare non prima di due settimane dall’inizio della terapia antinfiammatoria e da sostituire progressivamente con esercizi contro resistenza, a seconda del decorso del quadro clinico. In questa fase sono utili la laser-terapia, la ultrasuonoterapia, l’agopuntura. Menzione a parte merita la terapia con onde d’urto. Anche se è un’applicazione abbastanza giovane, esiste una letteratura che riporta risultati incoraggianti in merito, specie per quanto concerne l’ablazione di calcificazioni in sede epicondiloidea19,20. Nei casi in cui il trattamento conservativo non riesca a risolvere il quadro patologico, è consigliabile passare al trat- 1124 SEZIONE VII - Patologie acquisite A B Fig. 103-24. A, Accesso secondo Froimson alla regione epicondilare. In dettaglio la lamina tendinea degli epicondiloidei. B, Ingrandimento operatorio: zona circoscritta in cui le fibre tendinee perdono la normale lucentezza e si presentano di aspetto vitreo e edematoso. tamento chirurgico. Numerose metodiche sono state proposte per affrontare il problema. Facendo una revisione critica delle stesse, ci siamo convinti attraverso la nostra esperienza che la tecnica chirurgica migliore debba essere selettiva per la causa determinante il quadro sintomatico della sindrome dolorosa laterale di gomito. Pertanto, il corretto approccio terapeutico impone di: – ricercare la causa della patologia; – approntare un corretto accertamento diagnostico strumentale; – condurre un approccio chirurgico mirato; – effettuare una conferma anatomopatologica. Orbene, scorrendo la letteratura, nei casi in cui l’aspetto miotendineo costituisce il movente fondamentale del quadro patologico, la metodica di Kaplan21 è a nostro avviso inattuabile. La tecnica di Hohmann22 sembra avere solo basi empi- riche, mentre quella di Bosworth23 è di entità sproporzionata rispetto alla patologia da trattare. Pertanto, in presenza di patologia tendinea, preferiamo asportare l’area degenerata a livello dell’ERBC mediante tecnica microchirurgica24 secondo gli schemi proposti da Froimson25 sulla base dell’esperienza di Nirschl, utilizzando sempre mezzi ottici, dal momento che è spesso impossibile riconoscere ad occhio nudo i caratteri del granuloma reattivo. Questo si rivela per la presenza di una zona circoscritta in cui le fibre tendinee perdono la normale lucentezza e si presentano di aspetto vitreo ed edematoso (Fig. 103-24, A e B). In una zona circoscritta è presente tessuto di granulazione abbondante, facilmente enucleabile dal tessuto circostante sano (Fig. 103-25). Frequente è la presenza di materiale di cristallizzazione da pregressa terapia infiltrativa. In alcuni casi, secondo le direttive proposte da Froimson, enucleiamo una piccola bratta ossea a livello dell’epicondilo al fine di richiudere la breccia senza tensione (Fig. 103-26). Segue immobilizzazione in sling morbido con gomito flesso a 90° per due settimane. Lo studio anatomopatologico della lesione in una fase successiva conferma la presenza della lesione elementare giustificando l’approccio chirurgico mirato. Nell’ambito del tessuto tendineo sono presenti elementi mixoidi dovuti ad imbibizione iniziale, tali da condurre alla trasformazione mucosa del tessuto tendineo normale (Fig. 103-27). Costante la presenza di elementi flogistici di tipo linfomonocitario ed elementi nervosi in discreto numero in prossimità del granuloma (Fig. 103-28). Esiste in ogni caso un netto vallo di separazione tra tessuto tendineo normale e l’infiltrato linfomonocitario con presenza di agglomerati di istiociti e microdepositi calcarei (Fig. 103-29). Non abbiamo esperienza diretta del release laterale di gomito per via artroscopica, ma la letteratura26 in merito riporta buoni risultati. COMPLICANZE Fig. 103-25. Ingrandimento operatorio: tessuto di granulazione abbondante facilmente enucleabile dal tessuto circostante sano. L’approccio chirurgico mirato costituisce a nostro avviso la chiave del trattamento, sia esso conservativo o invasivo. 103 – Malattie infiammatorie extrarticolari 1125 Fig. 103-28. Presenza di elementi flogistici di tipo linfomonocitario ed elementi nervosi in discreto numero in prossimità del granuloma. Fig. 103-26. Enucleazione di una piccola bratta ossea a livello dell’epicondilo al fine di richiudere la breccia senza tensione. Su questo dato di fondo si inserisce la scelta del paziente da trattare chirurgicamente. Le epicondiliti di origine professionale, legate ad attività lavorative manuali e ripetitive sono più spesso candidate ad un trattamento chirurgico, al contrario di quelle legate all’attività sportiva. Spesso l’insuccesso è legato proprio a tale scelta e nel contempo alla condotta chirurgica più appropriata. Nello specifico, alcune tecniche chirurgiche sono a nostro avviso non idonee, per cui la lesione del legamento anulare con instabilità del capitello costituisce una complicanza legata ad una metodica chirurgica obsoleta e non adeguata, così come la tenotomia degli estensori effettuata in modo sconsiderato può portare ad un deficit di forza significativo tale da comportare nello sportivo professionista competitivo un danno considerevole. Non infrequenti sono poi le lesioni del ramo profondo del nervo radiale in corso di esplorazione siste- Fig. 103-29. Netto vallo di separazione tra il tessuto tendineo normale e l’infiltrato linfomonocitario con presenza di agglomerati di istiociti e microdepositi calcarei. matica del tronco nervoso nella chirurgia della epicondilite. La incompleta o eccessiva asportazione di tessuto tendineo della lamina degli estensori costituisce fonte di insuccesso e di recidiva del quadro patologico. Pertanto si raccomanda l’uso costante di mezzi ottici al fine di individuare con precisione l’area tendinea degenerata da asportare. Bibliografia Fig. 103-27. Presenza di elementi mixoidi dovuti ad imbibizione iniziale, tali da condurre alla trasformazione mucosa del tessuto tendineo normale. 1. Runge F. Zur genese und behandlung des schreibekrampfes. Berl Klin Wochenschr 1873:10, 245-248. 2. Duparc F, Adam J-M. Les épicondylalgies du coude. Sauramps médical, pp 11-13, 2002. 3. Kannus P, Jozsa L. Histopathological changes preceding spontaneous rupture of a tendon: a controlled study of 891 patients. J Bone Joint Surg 73-A:1507, 1991. 1126 SEZIONE VII - Patologie acquisite 4. Kannus P, Jozsa L. Histopathological changes preceding spontaneous rupture of a tendon: a controlled study of 891 patients. J Bone Joint Surg 1991;73-A:1507. 5. Nirschl RP. Elbow tendinosis/tennis elbow. Clin Sports Med 1992;11:851-70. 6. Akagi M, Nakamurat. 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MARGARITONDO INTRODUZIONE L’epicondilite mediale od epitrocleite è comunemente chiamata “gomito del golfista”, mentre l’epicondilite laterale od epicondilite è chiamata “gomito del tennista”. Sono classificate tra le entesopatie come entesiti. L’entesi è la zona d’inserzione ossea dei tendini, dei legamenti e della giunzione capsulare. L’entesi può essere distinta in fibrosa o fibrocartilaginea a seconda che l’unione con il segmento scheletrico sia costituita da solo tessuto connettivo fibroso denso oppure se sia presente un’ulteriore zona di transizione con la superficie ossea. Le entesi devono essere considerate strutture attive, con una notevole capacità di risposta e di adattamento alle sollecitazioni meccaniche. Per questo, in particolare le entesi fibrocartilaginee, sono presenti nei punti delle articolazioni sottoposti a maggior mobilità e sono in grado di adattare la loro struttura in risposta allo stress meccanico dei movimenti. ANATOMIA, BIOMECCANICA ED EZIOPATOGENESI L’epitrocleite rappresenta una patologia inserzionale a livello dell’epitroclea (epicondilo mediale) dell’omero nell’ambito dell’articolazione del gomito (Fig. 103-30). I muscoli interessati sono i flessori del polso e cioè: il pronatore rotondo, il flessore radiale del carpo, il palmare lungo, il flessore superficiale delle dita e il flessore ulnare del carpo. La patologia è statisticamente più frequente dopo la terza decade d’età e negli sportivi occasionali o poco allenati piuttosto che nei professionisti. Questo può essere facilmente spiegato tenendo presente che il meccanismo d’innesco è dato da movimenti ripetuti o forzati di flessione del polso con l’avambraccio in pronazione, come per esempio accade in alcuni colpi del golf o del tennis. Ma questa entesite non è una patologia esclusivamente sportiva; essa può comparire anche al di fuori di questo ambito, per esempio nei musicisti o in chiunque sottoponga i gruppi muscolari prima citati a stress da utilizzo continuo ed eccessivo. Il carico sulle inserzioni muscolari e tendinee, se non assistito da un corretto allenamento e dall’elasticità dei tessuti, che diminuisce con l’età, può quindi dare luogo a fenomeni infiammatori e degenerativi. Oltre che dal sovraccarico funzionale, l’epitrocleite può essere innescata anche da traumi diretti e da patologie reumatiche o metaboliche. 103 – Malattie infiammatorie extrarticolari 1127 Fase cronica Fig. 103-30. Entesi dei muscoli flessori sull’epitroclea. Profondamente a questi decorre il nervo ulnare. SINTOMATOLOGIA E DIAGNOSI Possiamo distinguere due fasi: una acuta ed una cronica. Nella fase acuta sono presenti il dolore vivo, spontaneo ed ai movimenti sia attivi che passivi, con tumefazione più o meno evidente dei tessuti molli e spesso contrattura muscolare antalgica con impotenza funzionale elevata. Nella fase cronica il dolore è minore, mancano la tumefazione tessutale e la contrattura antalgica ma permane l’impotenza funzionale sia pure di grado minore. Nella fase acuta non sono presenti degenerazioni tessutali, mentre nella fase cronica esistono fenomeni degenerativi come fibrotizzazioni, lesioni tendinee, formazione di tessuto cicatriziale a livello delle zone di inserzione. La diagnosi corretta, essenziale ai fini della terapia, è posta in base ad un’accurata anamnesi ed all’esame clinico. Utile, nella diagnosi dell’epicondilite, il test di Mills, che consiste nell’evocare dolore all’epicondilo muovendo l’articolazione del gomito dalla flessione all’estensione completa con polso flesso ed avambraccio pronato. Possono inoltre essere d’aiuto, in particolare nelle forme cronicizzate, l’esame radiografico standard, un’indagine ecografia e la RM per poter mettere in evidenza lo stato e le eventuali lesioni dei tessuti molli, della superficie scheletrica e del periostio. In questo caso possono essere utilizzati vari tipi di terapie fisiche antalgiche, alle quali la risposta è individuale. Si sono rivelati utili la laserterapia, le onde d’urto, gli ultrasuoni, l’ipertermia, la crioultrasuonoterapia, la mesoterapia, l’ossigeno-ozonoterapia. In caso di persistenza della sintomatologia, si possono praticare non più di una o due infiltrazioni locali con corticosteroidi. Le pomate per applicazione locale e l’assunzione di antinfiammatori per via generale producono scarsi risultati. È utile in questa fase la terapia fisica con esercizi di stretching e di defaticamento dei gruppi muscolari interessati. Data la difficoltà nella terapia, la prevenzione nell’epitrocleite riveste un’importanza fondamentale. Sia nell’attività sportiva (amatoriale e professionistica) che in quella lavorativa vanno corretti i movimenti e i difetti posturali dei gesti, ma è fondamentale anche il corretto riscaldamento preventivo ed il potenziamento muscolare prima dell’attività. Un altro fattore da considerare è l’uso di attrezzi sportivi o lavorativi idonei, sia come peso che come conformazione ergonomica. Trattamento chirurgico Se le terapie mediche non riescono a produrre risultati soddisfacenti può essere preso in considerazione il trattamento chirurgico. Questo è simile a quello utilizzato per le epicondiliti. L’anestesia plessica è preferibile; si pratica un’incisione di circa 3-5 cm a livello dell’epitroclea, espo- A TRATTAMENTO Fase acuta Nelle prime fasi acute della patologia è importante la sospensione dell’attività che ha presumibilmente portato alla situazione di infiammazione, per esempio l’attività sportiva (golf, ecc.) o lavorativa, per un periodo non inferiore alle 3-4 settimane. È utile la crioterapia con borsa di ghiaccio che va applicata più volte al giorno per 10-15 minuti e l’uso di tutori a fascia che hanno lo scopo di ridurre il carico sui gruppi muscolari interessati. Molto spesso però l’epitrocleite viene diagnosticata solo dopo molto tempo dall’insorgenza dei sintomi e quindi in fase cronica. B C Fig. 103-31. A, Incisione della cute e dell’entesi dei flessori. Resezione dei tessuti rigenerati. B, Rimozione del tassello osseo. C, Sutura per piani. 1128 SEZIONE VII - Patologie acquisite nendo l’inserzione dei gruppi muscolari flessori interessati, si incide la fascia antibrachiale e si giunge a livello delle fibre che possono apparire alterate; l’uso di un mezzo di ingrandimento è sicuramente auspicabile in questa fase perché consente una corretta identificazione delle strutture normali e di quelle patologiche. Si procede alla resezione delle fibre interessate dai processi degenerativi alla loro origine; a volte può essere utile la rimozione di un piccolo tassello osseo di basso spessore (0,3-0,5 mm) per facilitare al chiusura dei piani (Fig. 103-31 A-C). Va posta particolare attenzione a non ledere il nervo ulnare (di cui non è necessario procedere né alla neurolisi né alla trasposizione a meno che non sia stata precedentemente diagnosticata una sua specifica patologia da compressione) nel suo decorso nella doccia epitrocleo-olecranica. Si procede alla chiusura per piani, avendo particolare cura nel coprire completamente la breccia ossea eventualmente praticata. Nel postoperatorio viene applicato un tutore per mantenere il gomito immobilizzato a 90° e viene mantenuto per 12-15 giorni. Dopo la rimozione del tutore, si inizia la fisioterapia per il recupero della mobilità articolare e dell’attività muscolare, per almeno un mese. Oltre questo termine, il paziente continuerà con esercizi volti al recupero completo della forza ed alla prevenzione delle recidive. Bibliografia 1. Green DP, et al. Operative Hand Surgery (second edition). Churchill Livingstone, 1988. 2. Kijowski R, et al. Magnetic resonance imaging findings in patients with medial epicondylitis. Skeletal Radiol 2005;34 (4):196-202. 3. Ciccotti MC, et al. Diagnosis and treatment of medial epicondylitis of the elbow. Clin Sports Med 2004;23(4):693-705. 4. Descatha A, et al. Medial epicondylitis in occupational settings: prevalence, incidence and associated risk factors. J Occup Environ Med 2003;45(9):993-1001. 5. Nirschl RP, et al. Iontophoretic administration of dexamethasone sodium phosphate for acute epicondylitis. A randomized, double-blinded, placebo-controlled study. Am J Sports Med 2003;31(2):189-195. 6. Cardone DA, et al. Diagnostic and therapeutic injection of the elbow region. Am Fam Physician 2002;66(11):2097-2100. 7. Pienimaki TT, et al. 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