the sign moak 4-2012

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the sign moak 4-2012
the sign moak
Gentili lettori,
in questo numero, con cui salutiamo il 2012, abbiamo,
già dalla copertina, voluto darvi un’anteprima dei progetti
Moak per il nuovo anno. Moak generaction è la campagna
di comunicazione 2013, dove il linguaggio e le illustrazioni rappresentano il nostro modo di essere, in cui emerge
l’azione di un gruppo, di gente che ama inventarsi e migliorarsi. E’ un nuovo DNA. E’ il team che vince, come quello
della generazione Moak, persone che lavorano insieme,
dinamiche, schive da convenzioni e da apatie. E’ questo il
messaggio e l’augurio che vogliamo trasmettere per il nuovo anno, che speriamo possa coinvolgere anche voi.
Leggendo The Sign Moak, scoprirete “il bar della nuova
generazione”, che ritorna ad essere luogo di aggregazione
e fervore culturale o di come il flair coffee oltre a creare
spettacolarità, rafforzi il lavoro di squadra. Vi parleremo
anche delle iniziative culturali promosse da Moak, come la
ventennale dell’illustratore Angelo Ruta o la mostra Moak
sugar[not]free ospitata a Milano. Presente ovviamente il
tema della salute, con un’altra grande scoperta che lega il
caffè alla memoria. Non mancheranno, anche in questo
numero, le interessanti interviste agli chef stellati e a Francesca Planeta, una delle più note “signore del vino”.
A tutti una buona lettura e l’augurio di uno splendido 2013!
Il Presidente
Giovanni Spadola
04/2012
in copertina:
campagna pubblicitaria 2013
Moak Generaction di for[me]moak.
www.caffemoak.com
Postatarget Magazine - Tariffa pagata - DCB Centrale/PT Magazine
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del 2000 - Notizie n. 4/2012
Direttore Responsabile: Marco Pederzoli
Direttore Editoriale: Stefano Della Casa
Redazione: Annalisa Spadola, Sara Di Pietro,
Saro Giunta, Corrado Barone, Marco Pederzoli,
Gian Paolo Galloni, Stefano Della Casa.
Foto: Caffè Moak, Paolo Pignatti.
Coordinamento grafico: RF Comunicazione (MO)
Art work: Chiara Ottolini e for[me]moak
Editore: Edizioni Della Casa srl
Via Emilia Ovest 1014 - 41123 Modena - tel.059-8396080
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Di carta e di luce.
Moak promuove la ventennale di Angelo Ruta.
Moak generaction
Antico Caffé della Pace,
un tuffo nella grande storia di Roma.
Caffè e salute.
La caffeina aumenta la memoria.
Gli chef stellati Iaccarino e Parizzi
interpretano il Caffè Moak.
Le 5 “M” del caffè.
“M” come Mano.
Il bar della nuova generazione.
Lo Stile di arredare.
Enodesign.
Le bustine da zucchero Moak
in mostra a Milano.
Dolce (in) tazzina.
Decaffeinato Moak.
Design Industriale
Etica e fenomeno culturale.
Paper Ball Day, alunni e diversamente abili
insieme per un Natale sostenibile.
Il barman.
Un vero professionista.
Francesca Planeta,
il “vino rosa” di Sicilia.
Flair Coffee.
Tra spettacoli e acrobazie è il team che vince.
Auto elettriche,
il futuro è pulito.
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Di carta e di luce.
Moak promuove la ventennale di Angelo Ruta.
Un percorso emozionale ed artistico che traccia i vent’anni di
attività dell’illustratore Angelo Ruta. L’evento, intitolato “di
carta e di luce”, promosso anche da Caffè Moak, si è tenuto
a Modica dal 20 dicembre al 6 gennaio scorso.
Gli spazi che hanno ospitato la mostra sono stati l’atrio
comunale di Palazzo San Domenico e il Palazzo della
Cultura. Un’installazione delle tavole originali, dalle riproduzione per l’editoria, l’arredamento e il design industriale,
messe a confronto con il prodotto che ne è scaturito, evidenziandone la differenza di scala e i supporti di stampa, spaziando dalla carta alla tela, alla ceramica e ai metalli.
Al centro dell’atrio comunale, invece, tre torri luminose si
trasformano da opera d’arte in arredo urbano. L’installazione,
costituita da tre strutture metalliche con teli in pvc stampati
per illuminazione backlight, raffigurava la storia del caffè
illustrata da Angelo Ruta per Moak.
Gli allestimenti dell’evento “di carta e di luce, dove nessuno
è straniero” , sono stati curati dall’Associazione Culturale
“aeiou produzioni”, mentre il progetto grafico è di for[me]
moak. “La mostra – spiega Angelo Ruta – ha voluto far
conoscere al pubblico la versatilità dell’illustrazione, la sua
integrazione col linguaggio grafico e le molteplici applicazioni di stampa. Il tutto attraverso un allestimento che azzera
la distanza tra opere e pubblico. L’obiettivo principale, però,
- conclude l’artista - è stato quello di diffondere un messaggio positivo e ricreare un’atmosfera di luce in un momento in
cui tutto sembra incupirsi”.
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Moak generaction
In tutte le campagne pubblicitarie Moak, attraverso il caffè,
ha voluto raccontare il mondo o raccontarsi, a volte con ironia, altre con poesia. Immagini, illustrazioni e scatti sono stati
espressione di pensieri, riflessioni, storie di popoli e delle loro
tradizioni.
Sono però le persone, che parlano e ascoltano, che ridono e
piangono, che preferiscono la moka o solo l’espresso.
E’ a loro, alla loro diversità, che Moak dedica la nuova campagna 2013 “moak generaction”, dove si da voce a una generazione nuova, che agisce, si muove, non solo fisicamente, che
non sta ferma a guardare, mentre il mondo rimane ancorato a
vecchi sistemi. E’ una generazione in “azione”. Proprio come
Moak, un’azienda dinamica, in continua espansione, fatta di
persone lontane da appiattimenti, che producono idee nuove e
comunicano con un linguaggio moderno e innovativo.
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Un nuovo DNA, dove gli anelli della catena sono le persone,
l’una diversa dall’altra, per l’aspetto o per l’età, ma che insieme rappresentano la vita, dove la convivialità del caffè accomuna lo spazio fisico-temporale di ciascuno.
“moak generaction” sarà anche il soggetto di project three,
la tazzina da collezione 2013, mentre i supporti pubblicitari,
che veicoleranno la nuova immagine nei locali Moak, saranno
cartelli vetrina in tre varianti di colore, con quattro soggetti per
kit.
La campagna, ideata da for[me] moak, ha un linguaggio di
immagini e parole universale, dove gli intrecci di linee e figure
catturano l’attenzione ed è forte la tentazione di riconoscere se
stessi tra la folla in movimento, o di scorgervi semplicemente
un personaggio, la piuma di un cappello, la tazzina o il manico
di una caffettiera.
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Antico Caffé della Pace,
un tuffo nella grande storia di Roma.
L’Antico Caffé della Pace, in via della Pace 3/7 a Roma, rappresenta per la Città Eterna una vera e propria istituzione. La
sua data di fondazione ufficiale è infatti il 1891, ovvero in
piena “Belle Epoque”, ma esistono testimonianze della sua
esistenza già nel Settecento, come raccontano diverse incisioni
eseguite tra gli altri da Giovan Battista Piranesi. Durante il
secolo scorso, hanno affollato le sue sale artisti, letterati, politici e uomini d’affari. Tra le tantissime celebrità di un tempo che
si sono sedute ai suoi tavoli, si possono citare tra gli altri i poeti Giuseppe Ungaretti o Giorgio Caproni, cineasti come Mario
Bolognini o Mario Monicelli, pittori della Scuola Romana
come Scipione, Mafai, Guidi, Trombadori e Francalancia.
Insomma, l’elenco può essere lunghissimo e sicuramente mai
del tutto completo. Perché la storia dell’Antico Caffé della
Pace continua ancora oggi, grazie allo spirito d’iniziativa della
famiglia Serafini, che da quasi mezzo secolo è proprietaria del
locale. In particolare la titolare Daniela, coadiuvata dai figli
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Alessandro, Ilaria e Alessio, prosegue la sua attività con la
medesima passione di sempre, affiancando al caffé anche un
ristorante, dove sono serviti piatti della cucina tipica romana
(da non perdere ad esempio la carbonara, la gricia, cacio e
pepe, la matricina, le fregnacce, i pennoni con fave, pecorino
e guanciale o, naturalmente, l’abbacchio alla scottadito) e altre
specialità tradizionali.
Tornando all’Antico Caffé della Pace, il luogo è davvero ideale per godersi un buon caffé in completa serenità e, soprattutto,
per respirare il più autentico spirito di Roma. Tanto che, all’interno della sala principale, fa bella mostra di sé un’autentica
colonna di epoca romana. E, a parte questo, ogni elemento
d’arredo è curato nel minimo dettaglio: a dominare è lo stile
Liberty, associato a enormi vasi di fiori freschi e luci da set
cinematografico. In estate, si aggiungono ulteriori coperti sotto
il pergolato esterno, che offrono un’incantevole visuale del
centro di Roma.
Vicinissima è infatti piazza Navona, che si può visitare dopo
avere preso un caffé, un cappuccino, un aperitivo o un cocktail
in questo storico locale, che merita senz’altro una visita.
Da provare pure è l’ampia offerta dei piatti sia caldi sia freddi
e, ultimo ma non per importanza, i dolci e gli spiedini di frutta.
In serata l’Antico Caffé della Pace diventa uno dei locali più
glamour della capitale, tanto che è molto frequente incontrare
personalità della cultura, della musica e dello spettacolo, con il
sottofondo musicale curato dal resident dj.
Oltre alla già citata piazza Navona, nei dintorni dell’Antico
Caffé della Pace si possono visitare la Chiesa di Sant’Agnese
in Agone, capolavoro del Borromini, Palazzo Braschi (riaperto nel 2002 dopo un lungo restauro), Palazzo Nardini
o del “Governo Vecchio”, nonché ammirare le opere del
Caravaggio, di Raffaello e del Sansovino nella Chiesa di
Sant’Agostino.
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Caffè e salute.
La caffeina aumenta la memoria.
Chissà quante volte al giorno vi capita di dimenticare un
appuntamento o il nome di qualcuno che vi hanno presentato
pochi minuti prima. Per molti, forse, non è così importante
ricordarsi la data di un anniversario, ma pensate a come potrà
sentirsi gratificato un vostro cliente se ricorderete che ama
bere il caffè amaro o zuccherato o se preferisce il cornetto alla
ciambella.
La memoria, in questi casi, è un ottimo alleato, così come il
caffè. E’ stato infatti dimostrato che la caffeina accelera parti del cervello legato alla memoria breve. Lo studio è stato
condotto da Florian Koppelstaetter, ricercatore di radiologia
all’Università Medica austriaca di Innsbruck. La dose di caffeina utilizzata nella ricerca era di 100 milligrammi, circa una
tazza di caffè. Ai partecipanti, una dozzina di adulti sani, è stato chiesto di non assumere caffeina dodici ore prima dell’esperimento. Subito dopo sono stati sottoposti a scientigrafie cerebrali durante i test di memoria. Le Tac del cervello mostravano
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una maggiore attività in aree dell’encefalo legate all’attenzione
e alla memoria breve.
Un risultato sorprendente, che dimostra come possano essere
molteplici gli effetti benefici della caffeina e di come può tenere la mente sveglia.
Se poi aggiungete piccoli esercizi per allenare la vostra memoria, vi accorgerete che i risultati vi garantiranno maggior successo con i vostri clienti, che apprezzeranno le attenzioni che
gli avrete riservato, per esservi ricordati anche semplicemente
qual’è il loro dolce preferito. E’ bene sapere che allenare la
propria concentrazione e stimolare la memoria può essere
molto utile anche nella gestione organizzativa quotidiana del
vostro lavoro.
Tra una pausa e l’altra noi ve ne suggeriamo uno, semplice
e veloce, da fare da soli o in compagnia. Oltre a divertirvi,
l’esercizio vi aiuterà a sviluppare meglio la vostra memoria.
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Solo 10 parole
Prendete carta e penna e provate a scrivere 10 parole. Per 10
secondi guardatele e memorizzatele. Adesso girate il foglio e
prendetene un altro bianco.
Provate, quindi, in soli 20 secondi a ricordare quante più parole e a trascriverle. All’inizio non sarà semplice e vi sembrerà,
dal risultato ottenuto, di essere degli smemorati. Ma esistono alcuni metodi efficaci che aiutano a sviluppare meglio la
vostra memoria.
Quello più infallibile è di costruire sulle parole un racconto,
una storia che abbia senso compiuto.
Ecco un esempio. Noi ovviamente abbiamo preso spunto dal
tema del caffè.
Le dieci parole da scrivere potrebbero essere:
1. mattina
2. colazione
3. cappuccini
4. bar
5. gente
6. caffè
7. sottofondo
8. tintinnio
9. cucchiaini
10. tazzine
questa, invece, potrebbe essere la storia da costruire:
“Ogni mattina adoro fare colazione al bar sotto casa, dove servono degli ottimi cappuccini.
Tutti i giorni, alla stessa ora, rimango lì, dieci minuti in più,
per osservare gente che entra ed esce, chi va di fretta bevendo
al volo un caffè, mentre in sottofondo le voci e il tintinnio di
cucchiaini e tazzine scuotono chi ancora non si è svegliato del
tutto”.
Noterete che in questo modo riuscirete più facilmente a ricordare più parole. Ciascuno può sfruttare anche altre capacità,
come la memoria visiva o l’acronimo formato dalle iniziali
delle parole. Se poi, eseguite l’esercizio dopo un caffè, tutto
sarà più semplice.
Ovviamente, ciò non significa che chi beve tanti caffè ricorderà improvvisamente episodi passati che erano stati rimossi o le
date di eventi storici.
La caffeina, nelle giuste dosi, darà un maggiore impulso alla
parte del cervello dedicata alla memoria breve, stimolando
l’attività di concentrazione.
Allenate, quindi, non solo i muscoli, ma anche la vostra mente.
Come ogni compito o esercizio, se preso come un gioco, sarà
più stimolante e facile da eseguire.
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Gli chef stellati Iaccarino e Parizzi
interpretano il Caffè Moak.
di Gian Paolo Galloni
L’Hotel Ristorante Don Alfonso 1890 sorge al centro del grazioso e tranquillo villaggio di Sant’Agata sui Due Golfi, nel suggestivo scenario della Penisola Sorrentina dove intatti sono i profumi, i
colori e i paesaggi di un luogo incantevole. Amore per il territorio,
rispetto per l’identità mediterranea e slancio verso l’innovazione, sono gli elementi che rendono unica la storia della famiglia
Iaccarino: Alfonso, Livia, Ernesto e Mario. Conserve, miele,
olio extravergine di oliva, liquore al limone, preparati con i frutti
dell’Azienda Agricola del Don Alfonso; pasta di piccoli produttori
di fiducia e prodotti tipici mediterranei, sono la loro offerta perché
gli ospiti conservino un ricordo pieno di vita dell’incontro con
la straordinaria cucina della famiglia Iaccarino, che la Michelin
premia con due stelle.
Impressionismo di crema e zabaione al caffè Moak
Ingredienti per 4 persone: 180 gr zucchero a velo, 10 gr zucchero,
6 uova intere, 200 gr farina americana, 100 gr crema pasticcera
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base, 100 gr pan di spagna, 5 cl caffè espresso e 12 chicchi di
caffè.
Preparazione: impastare tre uova con 180gr di zucchero a velo
e 200gr di farina americana. Far colare l’impasto ottenuto su un
foglio di carta da forno formando rettangoli di cm 4 e formando
20 cucchiaini da tè. Informare per 1 minuto a 180° e arrotolare
i rettangoli in modo cilindrico per formare delle tazze. Questo
procedimento va fatto quanto il tutto è ancora caldo e facilmente
plasmabile. Lasciare raffreddare. Per lo zabaione montare 3 tuorli
con 3 cl di caffè espresso e 10 gr di zucchero. Mettere il preparato
su un bagnomaria calco e farlo addensare sbattendo continuamente. Toglierlo dal bagnomaria e lasciarlo raffreddare. Amalgamare
la crema pasticcera con il rimanente caffè.
Composizione: disporre nei piatti i cilindri di biscotto e un fondo
di pan di Spagna, riempire di crema pasticcera, aggiungere un po’
di zabaione e appoggiare i delicatamente i cucchiaini, cospargere
il piatto con il rimanente zabaione, i chicchi di caffè ed il caffè
macinato.
the sign moak
Il Ristorante Parizzi è gestito da tre generazioni dalla famiglia
Parizzi, una storia cominciata nel 1956 con una piccola osteria
fondata da Pietro. A quell’epoca il locale è un lungo corridoio
ricavato dalle stalle di un palazzo del ‘500 nel centro di Parma.
Oggi il Ristorante è un ambiente elegante ed esclusivo, cui
nel 2008 si è affiancato Suite&Studio, un residence di alloggi
attraenti a disposizione di tutti quelli che vogliono vivere a pieno
la cultura parmigiana e gustare la creativa e sorprendente cucina
di Marco, premiata dalla Michelin con la stella. Sommelier è
Cristina, moglie di Marco, che ha messo a punto una carta vini in
grado di reggere qualsiasi confronto.
la zucca tagliata a fettine sottilissime. Tagliare la verza, l’indivia
e il cavolfiore. Portare l’olio di semi a 80 gradi e versarlo sopra
il caffè.
Composizione: Tagliare il fegato in sottili fettine sottili e disporle
sul piatto con tutte le verdure. Condire con l’olio al caffè.
Fegato grasso d’oca marinato al sugo d’uva di lambrusco con
verdure invernali e olio al caffè Moak.
Ingredienti: Sugo d’uva: uva di lambrusco 1000 gr, zucchero 150
gr; fegato grasso di oca 1: sale 8gr, zucchero 4 gr, pepe macinato 1gr, latte 500 gr, cognac 50 gr; 1 cespo d’invidia, zucca 100
gr, zucchero100 g, acqua 200 g, aceto di mele 200 g, verza ¼,
cavolfiore ¼, caffe 8 gr, olio semi arachidi 50 gr.
Preparazione: Fare bollire l’uva con lo zucchero per 15 minuti,
passare al colino fine e raffreddare. Pulire il fegato grasso e
lasciarlo depurare nel latte e cognac per una 12 ore. Mescolare il
sale con lo zucchero e il pepe, e condire il fegato. Lasciarlo marinare per 24 ore. Pulire il fegato dal sale in eccesso e immergerlo
nel sugo di uva per almeno 5 giorni. Portare a ebollizione l’aceto
di mele con lo zucchero e 200 grammi di acqua e versare sopra
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04/2012
Le 5 “M” del caffè.
“M” come Mano.
di Saro Giunta
Continua il nostro viaggio alla scoperta delle regole da seguire
per preparare un ottimo espresso. La quarta “M” è la Mano,
ovvero l’abilità del barista addetto alla preparazione del caffè.
L’esperienza e la professionalità, infatti, permettono di gestire nel migliore dei modi le varie fasi che portano al caffè in
tazzina. La prima è la scelta della miscela, che deve essere
ovviamente di qualità. E’ importante che il barista controlli e
segua lo stoccaggio per evitare invecchiamenti rapidi. Il prodotto deve essere, inoltre, immagazzinato in ambienti secchi, a
temperatura tra i 10 e i 20 C°.
La fase successiva è la macinatura: a lui il compito di registrare
quella giusta, agendo sull’apposita ghiera. Il caffè nel portafiltro va pressato a mano, impiegando una forza di circa 20 kg.
Infine è importante rimuovere l’eccesso di caffè depositato
sui bordi del portafiltro con un apposito pennellino. Un bravo
e attento barista, inoltre, non versa il macinato nella campana
contenente il caffè in grani, per tre motivi fondamentali. Il primo è che, per garantirne la qualità, il caffè deve essere sempre
macinato fresco e non rimacinato; dal punto di vista tecnico,
così facendo, si impastano le macine, facendo inceppare il
macinadosatore e infine, altrettanto importante, è l’aspetto igienico: il caffè macinato, infatti, sporca la campana attaccando
l’olio sulle pareti e causandone l’irrancidimento.
Ma parliamo più dettagliatamente delle corrette operazioni che
un buon barista deve eseguire durante il servizio. Innanzitutto
deve utilizzare sempre tazzine calde, ad una temperatura di
circa 40 C°, sistemate in fila sullo scaldatazze. E’ importante
che le tazzine siano posizionate con il bordo verso l’alto, coperte da un tovagliolo in tessuto, per due motivi: il primo perchè
in questo modo si riscalda più facilmente il fondo della tazzina,
che mantiene caldo il caffè. In secondo luogo si garantisce una
maggiore igiene ai bordi delle tazzine.
Altra operazione da eseguire è quella di tenere sempre i portafiltri agganciati ai gruppi, dopo ogni erogazione, evitando così
che si raffreddino. Di tanto in tanto, però, bisogna flussare i
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the sign moak
gruppi di erogazione senza portafiltro agganciato, in modo da
far fuoriuscire eventuali residui.
Quando svuotate i fondi del portafiltro, bisogna battere su barre
di legno o di plastica, per evitare ammaccature o deformazioni
dei portafiltri stessi.
Infine è fondamentale tenere sempre puliti il ripiano portatazze
e le lance vapore e acqua, usando panni umidi per evitare che si
accumulino batteri o si formino incrostazioni.
Siamo quindi arrivati alla fase finale, ovvero a fine servizio. Le
operazioni da eseguire sono semplici e veloci. Innanzitutto non
bisogna mai lasciare caffè nel dosatore, in quanto comporterebbe un precoce invecchiamento o ossidazione del caffè macinato. Svuotare periodicamente la caldaia, per evitare depositi
o stagnazioni. A tal proposito è importante non utilizzarla per
infusioni o tisane.
La quarta “M”, però, non è legata solo alle procedure tecniche
e alla capacità di saperle eseguire.
La professionalità del barista va oltre: il sorriso, l’accoglienza,
la cortesia o la bravura nel saper proporre novità, sono altri
requisiti che, insieme alla corretta abilità tecnica, faranno il
successo del vostro locale.
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Il bar della nuova generazione.
Nasce un nuovo concept.
L’idea arriva dai progettisti Giampiccolo e Minaldi.
di Sara Di Pietro
Il bar diventa luogo versatile e si trasforma ora in giardino, in fiera di paese o spazio pubblico dove incontrarsi e relazionarsi. La
piazza, quindi, storicamente riconosciuta come luogo di incontro
che ospita bar e caffetterie, ne diventa ora la cornice. Il bar non
più luogo statico, ma in continua evoluzione, in cui le sue sembianze seguono quelle dei suoi visitatori: gente che ama scoprire,
esplorare e dialogare. L’idea è di due giovani architetti Valentina Giampiccolo e Giuseppe Minaldi. Entrambi siciliani hanno
creato studio Gum e sono stati selezionati dal Premio Nazionale
Selinunte 2012, tra i trenta migliori architetti siciliani under 40.
Noi li abbiamo scelti per il loro modo di progettare e di pensare,
giovani e dinamici e in grado di trasferire l’entusiasmo e l’innovazione in tutto ciò che realizzano. Proprio come la nuova
generazione Moak.
Oggi la progettazione di un bar viene sempre più affidata alla
creatività di architetti/ designer. Da dove nasce questa tendenza?
Più che di tendenza, parlerei di una nuova consapevolezza, sia
da parte dei clienti che dei titolari: gli spazi in cui trascorrere il
tempo libero e tessere rapporti sociali, necessitano di suggestioni e contenuti; progettare questi spazi, significa tenere conto di
molteplici aspetti che talvolta prescindono dalle caratteristiche
estetiche per porre più attenzione, ad esempio, alle dinamiche
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relazionali.
In che modo si riesce a conciliare il gusto personale con le
reali esigenze del locale?
Partendo dalle esigenze del cliente e instaurando sin da subito
un rispettoso rapporto di fiducia tra progettista e committente.
Il progetto prende forma a seguito di un continuo scambio di
informazioni utili da entrambe le parti, che talvolta prescindono
dai dettami da manuale per rispondere alle specificità del cliente,
dove la progettazione è frutto di uno scambio continuo e costruttivo.
Il ruolo di chi progetta e arreda non si limita quindi solo
all’espressione di uno stile, ma anche alla capacità di migliorare uno spazio sia dal punto di vista organizzativo che commerciale.
Molto prima di riflettere sull’aspetto meramente estetico del
progetto è fondamentale intervenire sul profilo distributivo e
funzionale degli spazi, elemento a nostro avviso fondamentale
della progettazione, insieme a un altro concetto a noi caro: la
flessibilità. Lo spazio deve potersi adattare alle diverse esigenze della clientela e quindi del titolare, senza mai perdere il
proprio carattere, semmai migliorandolo. Ci piace molto l’idea
che il cliente si senta a proprio agio all’interno di uno spazio
di pubblica fruizione, libero d’interagire con esso fino al punto
di poterne cambiare le sembianze. Vorremmo che l’attenzione
verso l’importanza del ruolo dell’Architetto, soprattutto nella
progettazione di spazi pubblici, si spostasse in questa direzione.
the sign moak
Non associare più il progettista a eccentrico suggeritore di atti
puramente estetici, ma ad attento osservatore delle dinamiche
sociali e relazionali.
In un momento di pessimismo e staticismo storico, c’è chi invece si muove, si evolve, cerca il dialogo o il confronto. E’ una
nuova generazione che frequenta luoghi nuovi da scoprire, che
sceglie ambienti dinamici e di fervore culturale. Un clima che è
stato ricreato nel progettare il ‘prima classe’. In che modo?
Con un rapido sguardo alla storia si scorgono numerosi esempi di
fermenti artistici e culturali nati in periodi bui. Inevitabilmente si
generano reazioni a catena e il prodotto culturale è spesso destinato a lasciare un segno. Il clima che si respira al ‘prima classe’ è
frutto di due intenti: il nostro, quello di concepire lo spazio come
un unico grande luogo di aggregazione dove, attorno ad una
grande piazza, si articolano altrettanto importanti luoghi assimilabili ora al teatro, ora al giardino, ora alla fiera di paese; l’intento
più importante, che assicura il mantenimento di un buon livello
qualitativo, è quello del suo gestore, vero motore del successo
del locale. Negli anni non si è mai adagiato sugli allori ma ha
sempre incanalato le proprie forze nel garantire validi e molteplici contenuti all’interno del proprio spazio. Il risultato è sotto i
nostri occhi: il locale trasversale.
A pag. 16 foto in b/n: Valentina Giampiccolo e Giuseppe Minaldi,
foto accanto: bar “prima classe” - Ragusa.
Pag. 17: in alto bar “prima classe” Ragusa,
sotto: particolare interni
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04/2012
Lo Stile di arredare.
Enodesign.
di Sara Di Pietro
Il vino, come il caffè, è simbolo di convivialità. Come un
libro, che merita di essere conservato in scaffali o librerie che
ne esaltino il suo contenuto, allo stesso modo un buon vino
merita di essere accolto in spazi che sempre più diventano veri
e propri oggetti d’arredo. In acciaio, in cartone o in polistirolo,
ecco alcune idee di cantinette e portabottiglie della linea
Esigo, dove ricerca e design d’avanguardia si uniscono alla
funzionalità e ottimizzano gli spazi, grazie alla loro modularità.
ESIGO 9
Un mobile bar portabottiglie
dal design contemporaneo e
dalle linee pulite. Contiene
con eleganza fino a 44
bottiglie, alloggiate negli
appositi tondini in acciaio
inox. Disponibile anche in
rovere naturale, laccato
bianco lucido o nero lucido.
ESIGO 4
Linee pulite e struttura essenziale in
tech. Dotata di 4 ruote per una facile
movimentazione, può contenere 36
bottiglie. Soluzione funzionale per
piccoli spazi e perfetto stoccaggio delle
singole bottiglie.
ESIGO 6
Portabottiglie in
alluminio dal design
contemporaneo. Un
espositore per il vino da
parete da appendere da
solo o composto da più
moduli.
ESIGO 10
Cantinetta portabottiglie in
polistirolo. Capiente e innovativa
è formata da tanti singoli esagoni
riuniti.
ESIGO 12
Una greca in legno lineare ed essenziale.
Esigo 12 è il portabottiglie espositore da
tavolo che accoglie 4 bottiglie. Ideale per
l’arredamento di wine bar ed enoteche.
Disponibile in bianco o nero lucido laccato
o nella versione opaca in wengè, nero e noce
canaletto.
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ESIGO 5
Versatile, può contenere, oltre
alle bottiglie, anche bicchieri,
decanter e libri. Realizzato
con grande cura nei dettagli,
viene proposto con il pannello
posteriore con finiture in legno
e il grigio delle cornici dei box
dove incastonare le bottiglie.
the sign moak
Le bustine da zucchero Moak
in mostra a Milano.
L’Aiap espone i progetti del concorso Sugar (not) Free
Dopo il successo alla Settimana Internazionale della Grafica
di Treviso, l’Aiap (associazione italiana design della comunicazione visiva) ha inaugurato lo scorso dicembre una mostra
interamente dedicata ai dieci progetti selezionati al concorso
Moak sugar[not]free. All’interno della Galleria Aiap, di via
Amilcare Ponchielli 3 a Milano, sono stati allestiti spazi dove
le bustine da zucchero diventano opere di arte visiva. Al centro
un ampio tappeto realizzato dall’unione delle tavole illustrative
del progetto vincitore di Dario Quatrini.
Il concorso, aperto ai soci Aiap, richiedeva la progettazione di
un sistema di segni o di un “alfabeto visivo” da riportare su una
piccola serie di 6+1 bustine da zucchero Moak. Un sistema di
elementi grafici-tipografici-iconici (segni, lettere, parole-chiave, immagini, illustrazioni, pittogrammi) che potessero evocare
il mondo Moak e l’eccellenza dei suoi prodotti.
Le bustine sugar[not]free sono anche i soggetti del nuovo calendario Moak 2013 e raccontano, attraverso una serie di segni
sintetici ed espressivi, una piccola e breve storia delle principali fasi del caffè, dalla lavorazione alla degustazione, rispettando
l’identità Moak.
A Marzo si attende l’uscita sul mercato della seconda serie di
bustine da zucchero. Dopo la torrefazione, l’illustrazione sarà
dedicata alla fase della pressione. In serie limitata, accompagneranno e addolciranno il vostro caffè per tutto il 2013.
Dario Quatrini, nato a Pavia, dopo gli studi alla NABA di
Milano si trasferisce a Torino. È anche autore grafico della
Medaglia dei Giochi olimpici “Torino 2006”.
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04/2012
Dolce (in) tazzina.
Il design incontra l’arte dolciaria: la tazzina Moak diventa
dessert al cioccolato e caffè. L’originale ricetta è di Florian
Deville, giovane maestro pasticciere di origine francese. Nato a Bordeaux, nelle Lande, inizia la sua carriera a soli quattordici anni. Giovane e avventuroso, Florian andò via dalla
sua città natale subito dopo aver finito gli studi. Ha lavorato
a Parigi, Marsiglia e Londra. Attualmente è maestro pasticciere per Dolce Vita, un ristorante esclusivo nella pittoresca
Baia di St. Julians, a Malta.
Ispirato dalla tazzina di for[me]Moak, Florian ha realizzato un dessert, dove cioccolato, caffè e zucchero uniti in un
unico composto diventano materia da plasmare.
Una vera e propria forma d’arte, che insieme a quella
dell’alta pasticceria, rendono il piatto ancor più appetibile e
bello da vedere. Dopo aver deliziato il palato con la crema bavarese al caffè, sarà forte la tentazione di assaporare
la tazzina in pasta friabile, con note di caffè e cioccolato
bianco.
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La tazzina Moak:
ingredienti per 10 dessert
• Per la pasta genoise:
4 uova, 125gr di zucchero, 125 gr di farina semplice
Montare zucchero e uova in un frullatore, fino ad ottenere
dei leggeri e soffici picchi. Aggiungere lentamente la farina
(è importante che il composto rimanga soffice e leggero).
Versare quindi il composto in una teglia di 20x20 cm e cuocere in forno per 20 minuti a una temperatura di 180°C. Far
raffreddare completamente e tagliare in quadrati di 2x2 cm.
• Per il caramello al cioccolato
100 gr di zucchero, 20 gr di burro, 150 gr di panna
15 gr di cioccolato fondente
Sciogliere lo zucchero in un pentolino, fino ad ottenere un
composto caramellato. Aggiungere il burro e mescolare
finché non sarà sciolto del tutto. Continuare a mescolare e
the sign moak
aggiungere lentamente la panna. Portare a ebollizione per 3
minuti. Togliere dal fuoco e aggiungere il cioccolato fondente, continuando a mescolare finché non sarà sciolto del
tutto. Lasciare a raffreddare.
• Per la crema bavarese al caffè
250 ml di latte scremato, 4 tuorli d’uovo, 65 gr di zucchero
20 gr di chicchi di caffè MOAK schiacciati,
4 fogli di gelatine, 3 cucchiai (25 gr) di Tia Maria,
250 gr di panna montata
Mettere le foglie di gelatine in acqua fredda, fino a quando
si saranno ammorbidite. Mescolare i tuorli con lo zucchero e mettere da parte. Versare il latte con i chicchi di
caffè schiacciati in un pentolino e portare ad ebollizione.
Aggiungere il composto di tuorlo e zucchero appena prima
dell’ebollizione. Togliere dal fuoco e aggiungere la gelatina.
Lasciare raffreddare. Montare infine la panna e versare nel
composto.
• Per il nougat al caffè
60 gr di zucchero, 1 cucchiaio (20 gr) di miele
50 gr di burro, 65 gr di mandorle
10 gr di chicchi di caffè Moak schiacciati
Sciogliere in un pentolino burro, zucchero e miele, senza
portarlo a ebollizione. Aggiungere le mandorle e i chicchi di
caffè Moak schiacciati. Spianare il composto su un vassoio
piatto e far cuocere in forno per 10 minuti ad una temperatura di 180°C.
• Per la tazzina di cioccolato
200 gr di cioccolato bianco.
1 cucchiaio (20 gr) di olio di girasoli,
2/3 tazzine di caffè Moak
Sciogliere il cioccolato bianco a bagno maria e aggiungere
l’olio di girasole. Spalmare il cioccolato all’interno di stampini in silicone rotondi di 4cm x 5 cm, e mettere in frigo.
Inzuppare i quadratini di biscotto genoise nel caffè. Mettere
in frigo per 5 minuti. Prendere gli stampini di tazzina di
caffè e iniziare a disporre a strati con il seguente procedimento: un po’ di crema bavarese in fondo a ogni tazzina, un
quadratino di biscotto genoise e un cucchiaino di caramello
al cioccolato.
Riempire fino al bordo con la crema bavarese e ricoprire con
un disco di nougat al caffè.
Decorare infine con crema Chantilly e polvere di cacao,
utilizzando il decorspargi.
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04/2012
Decaffeinato Moak.
di Corrado Barone
Quando si parla di decaffeinato, generalmente si pensa ad
un caffè non buono o comunque non paragonabile ad un
caffè normale. Una teoria da sfatare, partendo comunque
dal presupposto che un caffè cattivo una volta decaffeinato
resta cattivo, così come uno buono resta buono. Ecco perchè
è importante sapere che per avere un buon decaffeinato si
deve partire da una buona qualità di caffè verde, utilizzando
quelli più fini e più selezionati, in quanto durante il processo
di decaffeinizzazione si possono disperdere gran parte delle
sostanze aromatiche.
Ma prima di parlarvi delle proprietà e delle qualità del decaffeinato, scopriamo la sua storia e alcune curiosità ad esso
legate. Il primo processo di decaffeinizzazione risale ai primi
del ‘900 nel Nord Europa ad opera di Handel Aktien Gesellshaft. Successivamente avvennero numerosi perfezionamenti nel sistema e nella tecnologia. Oggi i metodi utilizzati
prevedono diversi stadi, partendo dalla pulitura e vagliatura
meccanica del crudo. La tecnica successiva è quella della
22
vaporizzazione: i chicchi, trattati con il vapore, si dilatano
e, distanziando le loro molecole, permettono una più facile
estrazione della caffeina. Tra i vari metodi di estrazione, per
il quale il caffè viene sottoposto all’azione di un solvente
specifico, quello più efficace - lo stesso fatto adoperare per il
decaffeinato Moak - è risultato l’utilizzo dell’acetato di etile.
Una sostanza che si trova anche in natura, essendo presente in
molte specie di frutta. Anche se presenta notevoli difficoltà di
esercizio è certamente il metodo più considerato, perché non
altera la genuinità del prodotto e non lo impoverisce delle sostanza aromatiche; inoltre ha la capacità di sciogliere le cere,
che sono eccitanti e antidigestive.
Lo stadio successivo, una volta eliminato il solvente attraverso la vaporizzazione, è l’essiccazione del crudo decaffeinato,
che viene privato dell’umidità. Infine il caffè viene reinsaccato nelle tele e sottoposto ad un controllo analitico, per verificarne i residui di caffeina, che per legge non devono superare
lo 0,1%. A questo punto il decaffeinato crudo è pronto per
essere inviato al cliente.
L’intero processo di decaffeinizzazione, quindi, comporta
non poche difficoltà, sia dal punto di vista tecnico che economico. Qualcuno, però, ha pensato di mettere in campo
la genetica con prodotti alimentari realizzati con O.G.M.
(Organismi Geneticamente Modificati), applicandola proprio
al caffè. Autore è Shinjro Ogita, scienziato giapponese, che
pare abbia prodotto il decaffeinato direttamente sulle piante,
riducendo del 70% la quantità di caffeina nella specie Coffea
Robusta. La tecnica usata è stata definita “interferenza del
RNA”, attraverso la quale viene intercettato e reso silente il
the sign moak
gene che produce caffeina nella pianta. Una tecnica che evita
il processo di decaffeinizzazione e l’utilizzo di solventi, ma
che va contro la morale comune, trattandosi comunque di
chicchi transgenici OMG. E’ vero anche che questa innovazione potrebbe aiutare i paesi più poveri della foresta pluviale, che producendo maggiormente la specie robusta, più ricca
di caffeina, potrebbero conquistare nuove quote di mercato.
Se in passato, quindi, questa miscela non veniva tenuta in
considerazione, oggi, sempre più, si sta cercando di dare al
consumatore una nuova immagine del prodotto, puntando
sempre più sulla qualità e sui suoi effetti benefici. Ed è quello
che ha fatto Moak con il decaffeinato. Difficilmente un esperto sa dire se quello che beve è effettivamente senza caffeina.
La miscela della Linea Superior è cremosa e dal gusto delicato, con note di datteri e cacao. Questo caffè, sebbene più
leggero, per aroma e per la delicatezza, non farà rimpiangere
l’espresso tradizionale. Inoltre, per il suo basso contenuto di
sostanze grasse, è molto più leggero e digeribile e, per chi
consuma più caffè al giorno, può alternare i caffè normali con
quelli decaffeinati.
Il decaffeinato Moak è disponibile, per la linea horeca, nella
confezione da 1 kg o in monodose con il “decafè”, mentre
per la linea casa Moak propone il decaffeinato in cialda e la
confezione da 250 grammi di macinato, in busta o in latta.
Il colore verde, che distingue il packaging del decaffeinato
Moak, lo ritroviamo anche nel manico della tazzina.
Molti bar e caffetterie hanno voluto integrare alla propria
miscela di punta quella del decaffeinato, proponendo così alla
propria clientela una scelta più ampia e rispondendo anche a
chi è intollerante alla caffeina e non vuole comunque rinunciare a un ottimo espresso.
Info su www.caffemoak.com
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04/2012
Design Industriale
Etica e fenomeno culturale.
Intervista al Presidente Regionale ADI Vincenzo Castellana.
di Sara Di Pietro
Nel 1957 ha acquisito il Premio “Compasso d’Oro”, il più
autorevole premio mondiale di design. Il suo obiettivo è promuovere una progettazione culturalmente consapevole e porsi
come interfaccia tra la domanda della collettività e l’offerta di
chi produce.
E’ l’ADI, l’associazione del design industriale, che da oltre
cinquant’anni riunisce progettisti, imprese, ricercatori, insegnanti e giornalisti intorno ai temi del design.
Noi abbiamo intervistato il presidente di ADI Sicilia Vincenzo
Castellana, milanese di nascita, ma visceralmente legato alla
Sicilia, dove attualmente vive e svolge la sua attività di architetto, design e docente.
In Sicilia il design industriale è in continuo fervore e sempre più imprese guardano non solo alla produzione e alla
commercializzazione del prodotto, ma all’innovazione nel
progettarlo. Qual’è in tal senso il ruolo del designer?
Fino a qualche tempo fa il ruolo del designer veniva inteso
non come progettista ma come colui che curava esclusivamente la parte ornamentale grafica. Una visione che negli ultimi
anni è cambiata, grazie anche alle iniziative promosse da Adi
(associazione per il disegno industriale), che hanno portato
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ad avere una nuova percezione nell’interpretare il ruolo del
designer: ovvero colui che segue un percorso non legato solo
al prodotto in se, ma il risultato di un processo di innovazione
in cui l’oggetto diventa l’interfaccia di una strategia aziendale.
Oggi anche le aziende siciliane si accorgono del valore del
designer. Le prime sono quelle del settore food, che dovendosi
confrontare con l’internazionalizzazione del prodotto, hanno
compreso che non è importante solo la qualità del prodotto
commercializzato, ma dare il giusto appeal nella forma e nella
comunicazione.
Molte realtà in Sicilia, come Moak, hanno ultimato questo
percorso, in cui il design diventa non solo progetto strategico,
ma viscerale a un percorso aziendale.
Cosa vuol dire progettare consapevolmente ed eticamente?
Anche in questo caso il ruolo del designer è di grande responsabilità; innanzitutto deve avere la consapevolezza delle
strategie aziendali che puntano sempre più all’innovazione e
mirano al raggiungimento di nuovi spazi nei mercati, ma deve
anche misurarsi con una realtà dove il concetto di eco sostenibilità diviene sempre più forte. Da quì la attenta e continua
ricerca dei materiali, i processi nella progettazione e realizzazione, per finire con il reale utilizzo del prodotto destinato
alla vendita. In ognuno di queste fasi il designer è obbligato a
misurarsi con un concetto etico nei confronti dell’azienda, nei
confronti del consumatore e quindi della società.
the sign moak
Quali sono gli obiettivi principali dell’Associazione e in che
modo tutela le imprese?
L’associazione non è solo legata ad una categoria, ma ad un
ambito che raggruppa quattro dipartimenti. Inizialmente l’Adi
era costituita da imprese e progettisti, una doppia anima che si
è poi avvalsa di altri due dipartimenti: distribuzione e giornalisti e critici d’arte e design. La più importante attività che l’Adi
svolge per le imprese è rappresentata dal Compasso d’oro, uno
dei premi internazionali più autorevoli che mette in evidenza il
valore e la qualità dei prodotti del design italiano e incorona le
imprese che ricevono il prestigioso riconoscimento.
La nostra attività ovviamente include anche l’assistenza legale
per la tutela dei progetti o per problemi legati a plagi nella
riproduzione di oggetti non autorizzati. Oggi l’Adi, con l’introduzione delle lauree brevi in designer industriale, costituisce
un riferimento per appartenenza, diventando anche l’unico strumento a tutela della categoria.
Essere innovativi e affidarsi alla ricerca e al design è una
carta vincente per il successo di qualsiasi azienda?
In questo momento storico, il designer ha l’obbligo di comprendere il mondo globale rispetto a quello locale. Deve
fondersi ad un “glocal”, ovvero utilizzare l’immediatezza della
tecnologia come strumento di comunicazione e valorizzare le
eccellenze che esistono nei nostro territorio. Il designer deve
far sì che vengano condotte più produzioni locali di piccole
serie, a controllo numerico, evitando eccessivi costi e sprechi.
Quali progetti hai in cantiere per il 2013?
Stiamo lavorando come Adi e PADjournal all’organizzazione
de III Concorso Internazionale del Mediterraneo, che lanceremo in aprile in occasione del Salone del Mobile 2013.
L’evento la Sicilia come hub produttivo e ospiterà una mostra
internazionale, oltre ad implementare un processo di sperimentazione, attraverso un workshop finale che vedrà protagonisti progettisti e aziende siciliane. Altro grande progetto, che
mi vede in prima linea, è quello che riguarda Abadir, l’accademia di Belle Arti di Catania, che da novembre scorso ha
attivato il primo corso di disegno industriale e comunicazione
visiva, riconosciuto dal Miur.
Quali consigli daresti ai giovani designers?
Quello di tenere una finestra sempre aperta che si affaccia al
mondo. Viaggiare e conoscere nuove realtà significa anche imparare a comunicare e a confrontarsi. Il mio consiglio è anche
quello di partecipare con perseveranza a concorsi, anche internazionali, di ogni natura nell’ambito del design e di cominciare
a misurarsi col territorio, scoprendo magari che la bottega
accanto può produrre un suppellettile antico, che affidato ad un
bravo designer può assumere nuove forme e conquistare nuovi
mercati. E’ questa la nuova figura, quella de “Il futuro artigiano”, libro di Stefano Micelli, in cui si indaga l’importanza del
saper fare e creare della tradizione manifatturiera, per sopravvivere nell’era della globalizzazione. Una lettura che consiglio ai
giovani designer che vogliono affacciarsi al mondo del lavoro.
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04/2012
Paper Ball Day,
alunni e diversamente abili
insieme per un Natale sostenibile.
Grande entusiasmo e tanta voglia di esprimere la propria creatività. Sentimenti che hanno caratterizzato la giornata dedicata al “Paper Ball Day”, l’evento promosso e organizzato da
Caffè Moak per diffondere la cultura dell’eco-sostenibilità tra
i giovani . Quaranta protagonisti, tra gli alunni della 5 “B”
dell’istituto statale “Piano Gesù” e i ragazzi diversamente
abili dell’Associazione Onlus “Piccoli Fratelli di Modica”,
hanno animato il laboratorio creativo, allestito per l’occasione nel centro direzionale Moak, per dar vita agli scarti delle
scatole per contenere le cialde di caffè.
A dare il benvenuto ai giovani creativi è stato Giovanni
Spadola, Presidente di Caffè Moak, che ha sottolineato l’importanza dell’iniziativa, dando risalto all’eco-sostenibilità e
all’integrazione sociale, valori a cui l’azienda è molto attenta. Nino Saglimbeni, componente del direttivo dell’Associazione Piccoli Fratelli, ha invece spiegato ai giovani studenti
gli obiettivi dell’Associazione : “I ragazzi diversamente abili
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– ha detto nel suo intervento – amano essere coinvolti in attività sociali e ricreative che valorizzino anche le loro capacità
artistiche”.
Durante la giornata i giovani artisti hanno decorato, colorato
e ravvivato le dodici fustelle ricavate dagli scarti delle scatole delle cialde, esprimendo liberamente la loro fantasia e
creatività. La loro abilità è stata anche mostrata nel gioco di
incastro delle paper ball. Le sfere sono così rinate a nuova
vita, in un’atmosfera di condivisione e di entusiasmo. Le
paper ball, insieme alle foto istantanee scattate durante la
giornata, si sono trasformate in elementi decorativi dell’albero di Natale 2012 che Caffè Moak ha voluto donare rispettivamente all’Istituto scolastico e all’Associazione “Piccoli
Fratelli di Modica”, augurando a tutti un Natale all’insegna
della solidarietà e dell’eco-sostenibilità.
the sign moak
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04/2012
Il barman.
Un vero professionista.
Intervista al Presidente Regionale A.I.B.E.S. Salvatore Arcidiacono
Fondata nel 1949 su iniziativa del conte Antonio Spalletti
Trivelli, oggi rappresenta uno degli organismi di riferimento
per baristi e albergatori. E’ l’A.I.B.E.S., Associazione Italiana
Barmen e Sostenitori. Per conoscerla meglio abbiamo
intervistato il vicepresidente nazionale e presidente per la Sicilia,
Salvatore Arcidiacono.
Oggi l’Associazione A.I.B.E.S. non è soltanto un organismo che
qualifica la figura del barman, ma affronta anche importanti
temi sociali come il tempo libero e il turismo. In che modo?
Oggi forse viene minimizzata la figura del barman, riducendola
alla bravura nel preparare un cocktail. Chi sta dietro ad un
bancone deve avere anche la capacità di saper intrattenere
il cliente. In passato, soprattutto nelle strutture alberghiere,
il barman aveva un ruolo di maggiore visibilità, poiché,
non essendovi servizi in camera, come tv e wi-fi, gli ospiti
trascorrevano il loro tempo libero in luoghi di aggregazione e
spesso il barista era anche colui che intratteneva. Inoltre, è a lui
che spesso il turista chiede informazioni su dove e cosa mangiare
o quali luoghi visitare. Anche questi sono requisiti che rientrano
nelle competenze di un buon barista, che sarà così in grado di
conquistare i clienti e la loro fiducia.
Oggi si parla molto del “bere consapevole”. Avete promosso
iniziative in merito?
Sul tema del “bere consapevole” il barman ha una grande
responsabilità e deve rispondere ad un preciso codice
deontologico. La nostra associazione, in tal senso, cerca di
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the sign moak
fornire al barista un adeguata formazione. Il barman ha il dovere
di monitorare i propri locali e di somministrare prodotti alcolici
di qualità e nelle giuste dosi. A tal proposito abbiamo promosso,
in collaborazione con il Ministero delle politiche giovanili, una
campagna sociale volta a far conoscere meglio l’alcol proprio
per evitare che soprattutto i giovani ne abusino. Uno dei nostri
motti è “A.I.B.E.S e sai cosa bevi”, un messaggio che invita, nella
preparazione di cocktail, all’utilizzo di un solo distillato e tanta frutta.
Quali sono oggi i dati sul consumo di alcol da parte dei giovani ?
Oggi, purtroppo, si registra un forte aumento nel consumo di
alcol tra i giovani. Spesso con soli due euro possono avere un
bicchiere di rum e pera. Tutto ciò è dovuto al fatto che c’è un
minore controllo da parte delle famiglie e delle istituzioni. Ecco
perchè, il barista deve avere un forte senso di responsabilità e
una buona capacità nel saper gestire determinate situazioni. Ad
esempio, nel caso specifico del consumo di “rum e pera”, un
buon barista deve prima offrire un bicchiere d’acqua, che serve
a preparare il palato e a diluire l’alcol. Inoltre il consumatore va
invitato a non bere il cocktail in un unico sorso, come spesso
accade, per evitare che l’alcol abbia effetti dannosi per la salute.
Quali consigli darebbe ai giovani barman?
Il mio consiglio è lo stesso che trasferiamo sempre duranti
i corsi di formazione promossi da A.I.B.E.S. Essere un
barman professionista è una scelta di vita, che prevede grande
motivazione, dedizione e sacrificio. E’ fondamentale studiare
sempre, aggiornarsi, conoscere bene i prodotti somministrati. Ma
ciò che è determinante è il corretto comportamento con i clienti
e con il proprio team. Il cliente ci tratta per come ci vede. E’
importante, inoltre, essere ambiziosi, ma leali. Quello del barman
è un lavoro bellissimo, che può dare grandi soddisfazioni. Non
importa dove si lavora, ma la personalità che si acquisisce,
quella di essere professionali, onesti e motivati, la stessa che
trasferiamo poi ai clienti.
maggiori informazioni su: www.aibes.it
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04/2012
Francesca Planeta,
il “vino rosa” di Sicilia.
di Marco Pederzoli
E’ una delle “signore del vino” più note ed apprezzate in Italia e
nel mondo. Del resto, lei il mondo lo conosce bene, perché lo ha
girato e lo gira tuttora moltissimo, sia per lavoro sia per piacere.
Tuttavia, fin dal 1995, quando aveva appena 25 anni, ha deciso che
il suo futuro sarebbe stato in Sicilia, la terra in cui è nata e che ama
profondamente. Una decisione molto coraggiosa, messa in piedi
assieme agli inseparabili compagni di giochi di un tempo (i cugini
Santi e Alessio), per un risultato che oggi è sotto gli occhi di tutti:
Planeta (www.planeta.it), una delle più prestigiose realtà italiane
di produzione di vini, con una tradizione agricola alle spalle lunga
ben 17 generazioni. Lei è Francesca Planeta, da sempre responsabile marketing dell’azienda.
Francesca, parliamo innanzitutto dell’azienda di famiglia e di
come ti sei avvicinata al mondo del vino.
Il vino è sempre stato parte della mia vita. Mi sono quindi avvicinata a questo mondo in modo del tutto naturale. Abbiamo fondato
la nostra azienda nel 1995, insieme ai miei cugini Santi e Alessio.
In seguito si sono aggiunti altri cugini: Chiara, Francesco e Marcello. Il mio ruolo all’interno dell’azienda è quello di responsabile
marketing, anche per gli studi nel settore che ho compiuto in Italia
e all’estero. Santi si occupa del reparto commerciale, Alessio della
produzione insieme a Marcello, Francesco dell’export e Chiara
dell’ospitalità.
Attualmente come è considerato il vino italiano in Italia e
all’estero?
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the sign moak
All’estero il vino italiano sta andando molto bene. Chiaramente
possono esserci casi di offuscamento in qualche mercato, ma generalmente è molto apprezzato. In Germania, ad esempio, siamo in
crescita, in Giappone e in Russia c’è il boom, in Inghilterra e negli
Stati Uniti c’è una buona situazione. In Italia, anche per la crisi
economica, le cose sono diverse e si assiste in generale a una flessione nelle vendite. In ogni caso, come azienda, abbiamo chiuso il
2012 con un margine positivo. Del resto, il lavoro sui brand delle
aziende vinicole siciliane sta funzionando, grazie anche a una forte
crescita dell’enoturismo in Sicilia.
Per quanto riguarda l’azienda Planeta, quanto vino producete in
un anno e quante sono le etichette?
Complessivamente, nelle nostre 5 cantine ubicate in 5 luoghi
diversi della Sicilia, Menfi, Sambuca, Vittoria, Noto e Etna,
produciamo 2.300.000 bottiglie di vino all’anno per 17 differenti etichette e 3 oli diversi dal nostro oliveto e frantoio di Menfi.
Tengo molto a evidenziare l’aspetto della diversità perché stiamo
continuando a investire non solo in territori diversi ma valorizzando anche i molti vitigni autoctoni esistenti. A tale scopo collaboriamo attivamente con il prof. Attilio Scienza dell’Università di
Milano. Recentemente a Capo Milazzo, l’ultima nata delle nostre
tenute, abbiamo piantato a scopo sperimentale 3 varietà antiche
per scoprire se ne possono emergere alcune interessanti dal punto
di vista vinicolo. Già in passato, belle sorprese non sono mancate:
ad esempio, l’acquisto di una tenuta a Noto ci ha fatto scoprire un
Nero d’Avola diverso, dalla qualità molto elevata, oggi DOC Noto.
Del resto, la Sicilia è una terra davvero speciale per il vino: da noi
la vendemmia dura infatti 3 mesi, dai primi di agosto con le varietà
internazionali fino ai primi di novembre, sulle pendici dell’Etna.
C’è un vino Planeta che ti piace più di altri?
Ogni momento ha il suo vino. E ogni vino, di volta in volta, può
comunicare sensazioni differenti.
Francesca Planeta al di fuori del lavoro cosa fa?
Premesso che non considero la mia attività soltanto un lavoro, ma
una vera e propria passione, ho comunque la mia famiglia, con
mio marito e i miei due bambini Pietro e Angelo. Mi piace inoltre
viaggiare molto e amo moltissimo la cucina e il giardinaggio, tanto
che coltivo anche un piccolo giardino nella mia casa di Milano.
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04/2012
Flair Coffee.
Tra spettacoli e acrobazie è il team che vince.
Se finora vi abbiamo proposto ricette e consigli sul caffè,
in questo numero vogliamo che ad essere protagonista sia il
“team”. E’ il gruppo, il lavoro di squadra che può avere successo. Si può essere bravi a preparare un cocktail o un buon
espresso. Si può essere tra i primi per la cordialità mostrata
ai clienti. Spesso, però, ci si dimentica degli altri, dei colleghi, spinti solo da ambizioni personali. La nuova generazione
Moak (Moak generaction) porta avanti le idee del gruppo,
di persone che insieme, in team, agiscono con dinamismo e
voglia di migliorarsi. Non bisogna necessariamente essere
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uguali o pensarla allo stesso modo. E’ importante agire con
lealtà ed entusiasmo per ottenere gli stessi obiettivi.
Uno dei momenti dove traspare la sintonia e l’intesa fra barman è il flair coffee, l’arte del bartending applicato alla caffetteria. Una tecnica arrivata dall’America, che grazie anche
al successo del film “Cocktails” con Tom Cruise, ha conquistato tutto il mondo. Cocktail e drink vengono preparati in
maniera divertente, lanciando qualsiasi oggetto con acrobazie, in un’atmosfera di spettacolarità e divertimento. Senza
dimenticare, ovviamente la professionalità nel preparare un
the sign moak
ottimo espresso o un drink al caffè.
Ovviamente le tecniche del Flair Coffee si apprendono da
corsi specializzati per barman. Noi, che crediamo nel team,
vi proponiamo la performance in coppia, dove Marco e
Graziana si esibiranno in una breve ma emozionante dimostrazione di flair coffe.
Scarica il video
e divertiti con Flair Coffee.
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04/2012
Auto elettriche,
il futuro è pulito.
di Stefano Della Casa
Negli ultimi tutte le case automobilistiche, chi con maggiore
convinzione, chi meno, hanno presentato al pubblico una propria concezione di vetture elettriche. Concept-car o modelli
destinati alla produzione di serie, tutte unite da un comune
denominatore, ridurre a zero le emissioni di gas nocivi per
l’ambiente e abbattere i costi di gestione. Con l’aumento
del costo della benzina, fenomeno diffuso in tutti i paesi del
mondo, lo sviluppo tecnologico ha subito un’accelerazione e oggi, sul mercato, troviamo modelli di auto elettriche
che soddisfano quasi tutti i portafogli, partendo da vetture
altamente performanti e con una linea decisamente sportiva, come la Tesla Roadster per la quale bisogna sborsare la
bellezza di più di 100.000 euro e vanta prestazioni da vera
sportiva (da 0-100 km/h in 3,7 secondi e velocità massima di
200 km/h) fino all’ultima nata di casa Renault, la Twizy, più
simile ad uno scooterone che ad una vettura vera e propria
34
ma dal costo decisamente più abbordabile, 7.000 euro oltre a
50 euro al mese di noleggio batteria. Altre aziende automobilistiche, come Citroen, Mitsubishi e Peugeot hanno invece
adottato la strada di realizzare un veicolo comune, che viene
commercializzato con i nomi rispettivamente di C-Zero,
i-Miev e iOn, in modo da poter ridurre i costi di produzione
e proporre sul mercato una vera e propria vettura ad un costo
di circa 30.000 euro, non pochi ma comunque accettabile
per la tecnologia che questo tipo di vetture racchiude. Oggi
le vetture elettriche pagano ancora, in termini di prezzo, un
basso volume di vendite, basti pensare che in Italia sono state
vendute, nel 2012, circa 500 auto elettriche su un mercato
complessivo di 1.500.000 auto. Ma cosa frena, ancora, lo
sviluppo di questi veicoli che, sulla carta, offrono solo dei
vantaggi? Sicuramente il prezzo, come dicevamo prima per
acquistare oggi una berlina media elettrica, come ad esempio
la Nissan Laf, sono necessari quasi 40.000 euro, come una
buona vettura di fascia alta, poi l’autonomia che si attesta, per
the sign moak
quasi tutti i modelli, fra i 100 ed i 160 km con una ricarica di
batterie. Proprio la ricarica è un’altra delle dolenti note delle
auto elettriche, occorrono infatti circa 6-7 ore per raggiungere
il 100% della carica utilizzando la corrente della rete domestica, un tempo che si abbatte drasticamente (circa 30 minuti
per la ricarica totale) utilizzando un impianto ad alto voltaggio
che purtroppo, attualmente, non esiste quasi da nessuna parte.
Inoltre, esiste una corrente di detrattori delle auto elettriche
che basa le proprie ragioni sulle batterie, altamente inquinanti e sul loro smaltimento, problema ad oggi irrisolto. Se nei
prossimi anni ci sarà un impegno importante, da parte dei
governi dei paesi, nella realizzazione di impianti di ricarica,
ad esempio nelle reti autostradali, unita ad una riduzione dei
prezzi di acquisto dati da un aumento dei volumi di vendita e
ad un programma di smaltimento delle batterie esauste, allora
si potrà arrivare a dei traguardi importanti per i motori elettrici, a totale beneficio dell’ambiente e delle persone.
La nuova frontiera dell’energia pulita, il motore ad aria compressa.
I prototipi sono già in circolazione e la MDI, azienda
produttrice e proprietaria del brevetto, ha dichiarato che la
commercializzazione della prima auto mossa da un motore ad
aria inizierà a metà del 2013.
Il progetto dell’ azienda, che ha trovato in Tata un partner
pronto a scommettere ed investire su questa tecnologia, è
sicuramente ambizioso, partendo da un modello di citycar che
si chiamerà AirPod e sarà destinato ad un pubblico giovane, il
programma prevede la realizzazione e commercializzazione
di una vera e propria gamma, dalla citycar alla berlina per
tutta la famiglia. Le bombole per l’aria sono quelle già
utilizzate negli impianti a metano, all’interno dei quali l’aria
viene compressa a 248 bar. La AirPod avrà un costo di circa
7.000 euro (come la Renault Twizy), una potenza di 7 kw ed
una velocità massima di 80 km/h.
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