1-2011 - Fogolâr Furlan Milano
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1-2011 - Fogolâr Furlan Milano
ˆ IL FOGOLAR FURLAN DI MILANO NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE DEI FRIULANI RESIDENTI A MILANO E IN LOMBARDIA Sede Amministrativa: Via A. M. Ampère, 35 20131 Milano tel. e fax 02 26680379 www.fogolarmilano.it «LA SCUELE Una «Happy Hour» friulana a Milano La «Ore di gjonde» del Fogolâr DI Anno XLII n. 1 1° trimestre 2011 Distribuzione gratuita ai soci del Fogolâr Furlan di Milano FURLAN» di Alessandro Secco di Marco Rossi giovani» si sono presentati in grande stile all’inizio, gli «autenticamente giovani» non sono mancati e si sono trattenuti fino al termine dell’incontro. Grande allegria, convivialità e animato scambio di opinioni. Finalmente il Fogolâr Furlan di Milano, al di là delle infinite discussioni sulla necessità e sul modo di attirare i giovani, è riuscito a proporre un evento che avvicini questa fascia di età al grande mondo della tradizione. I giovani sono attratti dalla lingua friulana, la capiscono e la parlano, mantenendo uno stretto legame con le loro specifiche varietà dialettali. Sono legati ai prodotti, alla cultura del Friuli. Non disdegnano l’incontro tra loro, sono pienamente disponibili ad incontrarsi, sentendosi riuniti anche se non necessariamente vincolati ad una forma di associazionismo. Ed è per questo che il Fogolâr Furlan di Milano, con saggia discrezione, non ha voluto sfruttare l’occasione per sollecitare nuove quote associative né per coinvolgere forzatamente le new entry nelle nostre manifestazioni. L’idea del Fogolâr è stata quella di inventare un momento di incontro, viamo sempre presenti ad ogni evento dell’associazione e che possiamo considerare pilastri del Fogolâr. Poi hanno fatto capolino i più giovani: Pierpaolo (un giovane magistrato milanese recentemente trasferito da Roma a Milano) con la moglie ed un’amica, l’avvocato Guglielmo con un amico e poi Laura, sottotenente dell’Aeronautica militare, un recente acquisto che non perde una lezione del Corso di friulano e partecipa attivamente alle manifestazioni. Ed ancora Natascia, una simpatica vecchia conoscenza, arrivata con un gruppo di amici. E poi Alessandra, Ida ed altri ancora. Insomma se i «diversamente diciamo il primo della serie. Una possibilità in più per questi giovani che, presi dalle fatiche lavorative in un’epoca che nulla regala loro, tra tanti impegni e orari spesso scomodi, non riescono a trovare un momento per uno scambio di opinioni fra coetanei, e tanto meno tra i loro conterranei friulani. Dai giovani, semmai, il Fogolâr Furlan di Milano si aspetta qualche opinione in più, magari un articolo per il giornale e chissà, qualche altra proposta di incontro. Sicuramente l’appuntamento con la «Ore di gjonde» si ripeterà prossimamente ma, questa volta, aperto soltanto ai giovani. foto C. Mezzolo foto C. Mezzolo foto C. Mezzolo foto C. Mezzolo M Alcuni immagini del festoso momento conviviale che ha visto una grande partecipazione di soci e amici giovani e meno giovani in occasione della prima «Happy Hour» organizzata dal Fogolâr Furlan di Milano L a dizione esatta - e più pretenziosa - sarebbe «Scuola di Lingua, Letteratura e Cultura Friulane», ma gli allievi - i arlêfs - più modestamente e realisticamente amano chiamarla «La Scuele di Furlan»: peraltro sempre con le iniziali maiuscole, ad attestare rispetto e amore per la nostra marilenghe. Anche quest’anno la sede del Fogolâr (parva, sed apta nobis) si è aperta ad accogliere una ventina di allievi, tre dei quali sono nuovi e introducono inaspettatamente una nota di ringiovanimento, che fa bene sperare per il futuro. E il passato? Il passato, siamo tentati di dire con una trita espressione, si perde nella notte dei tempi. Sembra un secolo, infatti: anche se poi, guardandosi indietro, incoerentemente si ha l’impressione che tutto sia cominciato ieri. Allora siamo andati a sfogliare i vecchi numeri di questo nostro Notiziario. E poiché “carta canta”, ecco che ora abbiamo la verità vera, la certezza storica: tutto è cominciato giovedì 14 gennaio 1999. Lo proclama un entusiastico e orgoglioso articolo di Rosangela, dal titolo «A Scuola di Friulano - A Milano il primo Corso di Lingua Friulana fuori dal Friuli». Così, finalmente, sappiamo che questo è il tredicesimo Corso, anche se recentemente si è detto e scritto quindicesimo: un errore di due anni che misteriosamente ci trascinavamo dietro da qualche tempo. I lettori, con i quali ci scusiamo, sono pregati di prendere atto di questa doverosa rettifica. E’ vero, però: sembra un secolo. In questi anni vi è stato un notevole avvicendamento degli allievi: purtroppo, alcuni di loro, che commemoriamo qui con affetto e rimpianto, sono mancati: Paolo Proserpio, Franco Segala, Luciano Biondani, Graziella Englaro. Altri, e qui abbiamo soprattutto gentili e amabili signore, hanno dovuto abbandonare il corso per impegni di lavoro o per motivi famigliari: Rosangela, Patrizia, Anna, Semira, Margherita, Donata... Altri ancora hanno lasciato, per supposto raggiungimento dei propri obiettivi o per foto M. Rossi ilano, venerdì 18 febbraio 2011. Dopo un’intensa e positiva mattinata di contatti e incontri in fiera alla BIT - ne parliamo a p. 2 - la giornata si è conclusa con un felice momento di relax in un locale milanese: quasi fosse uno dei tanti eventi che da quest’anno sono complementari ai grandi appuntamenti fieristici, è arrivata anche la «Happy Hour» organizzata dal Fogolâr Furlan di Milano. E’ la nostra «Ore di gjonde», un ennesimo momento “fuori sede” per l’attività della nostra associazione. Ideato per i soci e gli amici e dedicato soprattutto ai giovani, questo incontro ha gratificato gli organizzatori con una folta e vivace partecipazione. L’evento si è avviato in sordina alle ore 18.00, secondo la tipica ritualità del più classico aperitivo all’italiana, corredato da un ghiotto parterre di stuzzichini di ogni genere, complice l’amico Claudio Fornari del «Bistrò» di via Freguglia a Milano, di fianco al Palazzo di Giustizia. Per primi sono arrivati alcuni soci meno giovani, in perfetta puntualità: si tratta dei più affezionati, quelli che non citiamo per nome, ma che tro- rientro al paese natio. Ma a garantire la continuità ci sono tuttora gli allievi della prima ora: Pietro, Spartaco, Sergio senior, Fulvia, Wally... e i fedelissimi della nouvelle vague: Roberto, Gianni, Corradino, Ezia, Miriam, Vanna... più i neofiti dell’ultima ora: Sergio il bergamasco, Sergio della Richinvelda, Loretta e Rita; per arrivare ai tre novissimi: Daniele, Antonella e Laura. Anche la didattica è cambiata, adattandosi all’avvicendamento degli allievi e alle loro aspettative: meno grammatica, più letteratura, specialmente moderna e contemporanea, più cultura nel campo dell’arte, della storia e geografia, delle tradizioni del Friuli; e più conversazione, specialmente alla fine delle lezioni... durante l’imprescindibile “happy hour” friulana, alias “ore di gjonde”, o più comunemente “ghiringhel”. Il mestri Sandri, però, non demorde: la grammatica, e specialmente l’ortografia - chissà mai perché così indigesta: ma il mestri qualche idea forse ce l’ha - si riaffacciano ogni volta che se ne presenta la necessità, durante la correzione alla lavagna dei compiti per casa, una innovazione di quest’anno, introdotta a grande richiesta degli allievi. Il mestri Sandri è anche molto scrupoloso: pertanto insegna doverosamente tutte le regole grammaticali stabilite dai normatori per la lingua comune, anche le più illogiche, assurde e immotivate; magari accompagnandole con obiezioni rigorosamente linguistiche e con commenti non propriamente benevoli, talvolta forse poco eleganti. Un’altra innovazione, introdotta abbastanza recentemente, è il tentativo di accostare gli allievi alla dizione e recitazione per presentare testi teatrali, di prosa e di poesia ad un pubblico di soci e amici del Fogolâr. Tentativo che ha avuto un lusinghiero e promettente successo alle Settimane della Cultura Friulana del novembre 2009. Speriamo che questa iniziativa possa proseguire con i prossimi eventi del 2011. Uno dei risultati più belli e più gratificanti per il mestri Sandri è il costituirsi e consolidarsi di un gruppo di amici affiatati e cordiali, senza rivalità e senza inopportuni giudizi di merito, in un’atmosfera sempre serena e distensiva. Non dubitiamo che ciò sia dovuto anche alle conversazioni e agli scambi interpersonali promossi e animati dalla “ore di gjonde” di fine lezione. Anticipazioni di Primavera Ritorna la Primavera friulana a Milano. Si tratta di due appuntamenti di pregio che precedono una ricca estate nella Piccola Patria con musica, cultura, sport ed enogastronomia. Prossimamente segnaleremo anche gli incontri che il Fogolâr Furlan di Milano dedicherà ai soci e amici che si troveranno in Friuli tra luglio e agosto. Sabato 7 maggio ore 16.30 Bar Enoteca «Al Bistro’» Via Freguglia 4 Milano Sabato 14 maggio ore 16.00 Biblioteca della Fondazione «Cesare Pozzo» Via San Gregorio 48 Milano opo alcuni a «Questione D anni ritorna a Lferroviaria in Milano un vecchio Friuli a metà delamico del Fogolâr Furlan. Si tratta di Aldo Giavitto, un cantautore che abbiamo già avuto il piacere di ascoltare in alcuni appuntamenti musicali. Nato a Udine, ha una laurea in lettere classiche, insegna lettere in un liceo e collabora con l’Università di Trieste. Compone in lingua italiana e friulana, autore esclusivo dei brani che interpreta. Aldo, dopo il successo dell’edizione 2010 del «Festival della Canzone Friulana» sarà il protagonista della nostra serata musicale milanese. Al termine del concerto sarà possibile partecipare alla «Happy Hour» organizzata dall’amico Claudio Fornari del «Bistro’» (costo 5 euro). l’Ottocento» sarà l’argomento dell’ interessante conferenza a cura di Romano Vecchiet, direttore della Biblioteca Civica «V. Joppi» di Udine e direttore dell’Istituto Gramsci del Friuli Venezia Giulia. Romano Vecchiet esperto del mondo ferroviario friulano è autore di numerosi testi dedicati alla tematica del trasporto su ferro con particolare attenzione alla nostra regione. L’evento è organizzato con il patrocinio e la collaborazione della Associazione Rotabili Storici Milano Smistamento e della Fondazione e Biblioteca «Cesare Pozzo»specializzata in politica, storia, tecnica ed economia dei trasporti. Il Fogolâr Furlan di Milano I trimestre 2011 2 Notiziario dalla Borsa Internazionale del Turismo FEBBRAIO 2011 Milano: Borsa Internazionale del Turismo IL FRIULI VENEZIA GIULIA ALLA BIT 2011 BIT 2011: i progetti per vivere un turismo di qualità in Friuli Venezia Giulia di Marco Rossi D foto M. Rossi ella Borsa Internazionale del Turismo abbiamo già avuto modo di parlare in diverse occasioni. I nostri articoli hanno descritto ampiamente il grande stand della Regione Friuli Venezia Giulia: un profluvio di sensazioni, di immagini, di riproduzioni in piccolo dei numerosi aspetti che attirano il turismo nella Piccola Patria. I prodotti tipici in degustazione durante la presentazione di Magraid 2011: radicchio, formaggi, sottoli, salumi e vini dei Magredi Il 2011 è un anno di svolta: stand nuovo e nuova linea promozionale. Abituati come eravamo a incontrare la montagna, il mare, le pinete del Friuli, a toccare con mano queste realtà e a sentirne aromi e profumi, ecco che la BIT 2011 ci propone un’ immagine decisamente più minimalista e tecnologica. Lo stand del Friuli ci accoglie con un nuovo format: circa 1500 mq di spazio, declinato a livello cromatico sui colori del logo: il nero, il bianco, il rosso. Lo stand mostra un’immagine fresca e rinnovata e comunica in maniera incisiva il nuovo posizionamento della regione, più moderno e internazionale. Abbandonati i riferimenti descrittivi, il palco dei grandi eventi è lineare, sembra richiamare uno studio televisivo: il fondale è un megaschermo e a fianco delle postazioni troneggia uno splendido pianoforte Fazioli “gran coda”, gioiello della produzione friulana nel settore. Fondamentale l’uso di sistemi multimediali: maxi-schermi e monitor dislocati in diverse aree, cartina interattiva del Friuli Venezia Giulia, sulla quale far giocare il pubblico e far conoscere le diverse destinazioni regionali. Un collegamento televisivo con il sito ufficiale del Turismo del Friuli Venezia Giulia permette di seguire in diretta quanto accade in fiera: interviste, cronache, concerti. Come ogni anno, particolarmente ricco il panorama delle proposte e degli eventi dedicati alla promozione del Friuli Venezia Giulia: conferenze, degustazioni di prodotti, presentazione di eventi culturali e sportivi, di aree tematiche della Regione, di città e così via. Mentre Bruno Pizzul passeggiava tra le postazioni turistiche, abbiamo rivisto con piacere l’amica Sabrina Peressini della Associazione fra le Pro loco del Friuli Venezia Giulia a fianco del presidente Flavio Barbina. Al termine della conferenza stampa ufficiale della Regione, un rapido scambio di parole con il generale Enrico Camerotto, nostro socio, che è stato figura chiave nell’organizzazione dello splendido concerto del «Coro della Brigata Alpina Julia Congedati» presso la sede milanese dell’Aeronautica Militare. Ed ancora Paolo Fazioli, il grande costruttore di pianoforti italiani di cui abbiamo già avuto occasione di parlare in occasione dell’apertura della showroom di Milano. Insomma come ogni anno la BIT è un’ottima occasione per fare incontri di ogni tipo! L’INTERVISTA: Federica Seganti, assessore regionale alle Attività Produttive A.D.: Ascoltando la presentazione dei nuovi progetti per il 2011, si rileva la combinazione fra valore di “terra” e “tradizioni”. Può sintetizzare la sua opinione per ciò che riguarda gli eventi che avranno luogo? Assessore Federica Seganti: Il Friuli Venezia Giulia punta ovviamente sul turismo che è uno di quei settori produttivi non delocalizzabili, bisogna produrlo sulla nostra terra. Abbiamo dei dati buoni per il 2010, un po’ in controtendenza rispetto ai dati nazionali e ci aspettiamo ovviamente un 2011 in crescita. Offriamo, accanto agli imprenditori privati, gli operatori economici del settore turistico, alcuni grandi eventi culturali, sportivi, musicali. Penso alla data unica in Italia di Jon Bon Jovi il 17 luglio 2011 a Udine, agli European Masters Games a Lignano, alla Barcolana a Trieste, alla Coppa del Mondo di Sci di Tarvisio, ai Mondiali di ski Mountaineering di Claut, quindi da abbinare come attrattiva sul nostro territorio. Ovviamente per migliorare quello che è la qualità-prezzo, già ottima della nostra Regione, ci sono anche importanti investimenti sul fronte turistico, dal Polo Termale di Grado ai nuovi “Marina”, per ospitare anche quel turismo marinaio che è comunque un turismo importante, soprattutto per una Regione con tante coste. Poi gli investimenti sui poli sciistici termali in completamento e altri investimenti per quanto riguarda il rilancio del terminale crocieristico e congressuale a Trieste: la “Stazione Marittima” nuovamente meta di Costa Crociere e che dal 2012 diventerà Hub europeo per il Centro Est Europa di tutte le crociere sul Mediterraneo di Costa Crociere. Stiamo creando opportunità, ci sarà un nuovo volo da Mosca su Ronchi dei Legionari per 130 turisti alla settimana che avranno acquistato, insieme al volo, una settimana a Grado o a Lignano; questo serve per creare non solo economia e ricchezza ma anche occupazione in un momento in cui serve. A.D.: Sono proposte di benessere che ritengo interesseranno gli emigranti friulani e le loro famiglie che ritornano soprattutto d’estate in Friuli. Assessore Seganti: Assolutamente, noi invitiamo tutti i nostri concittadini che vivono in Friuli Venezia Giulia a rimanere e altrettanto invitiamo di cuore tutti i friulani, giuliani nel mondo a venire in vacanza da noi. Milano, 9 marzo 2011 foto A. Damiani E Le interviste proseguiranno sul prossimo numero del nostro giornale foto A. Damiani foto M. Rossi dalla nostra inviata Antonella Damiani venti e natura da vivere, importanti appuntamenti per la cultura e lo sport, proposte pregevoli per la valorizzazione della Regione Friuli Venezia Giulia, all’insegna dell’eccellenza. L’attenzione alla qualità traspare nei progetti presentati alla 31a edizione della BIT - Borsa Internazionale del Turismo - che si è svolta dal 17 al 20 febbraio a Milano. E’ facile lasciarsi convincere, lasciarsi trasportare dal desiderio di conoscere il Friuli, ascoltando e visionando le proposte di itinerari affascinanti, di luoghi e sapori, di bellezza e arte. Il nuovo logo turistico del Friuli Venezia Giulia - LIVE - racchiude appropriatamente l’invito a vivere le emozioni dell’esperienza diretta, a provare quanto offre la nostra Regione. Alla conferenza stampa ufficiale della Regione Friuli Venezia Giulia sono state illustrate le molteplici iniziative che saranno realizzate nel 2011 e che promuoveranno l’immagine dell’offerta turistica del territorio a livello nazionale e internazionale. Personaggi di fama hanno evidenziato con entusiasmo i pregi del Friuli, testimonial e ospiti illustri fra i quali: Maria Giovanna Elmi, Cristina Nonino, Matteo Marzotto, Bruno Pizzul, gen. Nello Barale e le Frecce Tricolori. Il calendario diversificato dei progetti è stato presentato in conferenze stampa specifiche e utilizzando materiali promozionali di gusto. Citiamo alcuni eventi: Antica Contea - Gorizia, Cormòns e Gradisca nel cuore dell’Europa, Archeologia in Carnia, Progetto Carnia ’700, Slow Collio 2011: un paesaggio da bere, Magraid: la sua terra e i suoi sapori, Trieste e il suo territorio tra storia, cultura e natura, Turismo storico della Grande Guerra sul Carso, Mittelfest (luglio 2011 a Cividale del Friuli), Vicino/Lontano - Premio Terzani (12-15 maggio 2011 a Udine), Pordenonelegge.it (14-18 settembre 2011 a Pordenone). In ambito sportivo da segnalare: Mondiali di ski Mountaineering (18-24 febbraio 2011 a Claut), Coppa del mondo di sci alpino femminile (5-6 marzo a Tarvisio), le tre tappe in Friuli Venezia Giulia del Giro d’Italia 2011 (20-22 maggio 2011), Barcolana (1-9 ottobre 2011 a Trieste). L’edizione 2011 di BIT si è conclusa con un bilancio positivo per la Regione Friuli Venezia Giulia, registrando una crescita nel numero dei visitatori, dei giornalisti accreditati e dei professionisti del settore turistico. Risultanti incoraggianti che denotano quanto sia speciale e da preservare il patrimonio del nostro Friuli. Per continuare ad emozionarsi respirandone l’atmosfera unica. Foto in alto: L’Assessore Seganti alla conferenza stampa ufficiale della regione Friuli Venezia Giulia Qui sopra: il gen. Nello Barale con il comandante Marco Lant e alcuni piloti della Pattuglia Acrobatica Nazionale Magraid 2011, vetrina alla BIT di Milano foto M. Rossi nuove esperienze e scoprire i progetti futuri o le novità in corso in tema di eventi. Tra gli appuntamenti degni di nota citiamo una presentazione alla quale siamo stati invitati: «Magraid: la sua terra e i suoi sapori». Magraid - ossia: raid nei Magredi - è una sorta di incontro tra sport e tradizione locale. La piccola sala conferenze della BIT, attrezzata per una degustazione in grande stile, ha proposto anzitutto la presentazione di un evento sportivo. Non si può dire la nostra gioia di partecipare alla descrizione di un tema sportivo che, finalmente, non vede un pallone al centro dell’attenzione, ma piuttosto la libertà di muoversi in mezzo alla natura selvaggia dei Magredi pordenonesi. Dal 17 al 19 giugno prossimo si correrà per la quarta volta «Magraid»: una corsa nella steppa dei Magredi, un’area ambientale desertica compresa tra i fiumi Cellina e Meduna poco a nord di Pordenone, solcata da occasionali rivoli d’acqua e caratterizzata da flora e fauna protette. Anche se il nome fascinoso ricorda scenari che appartengono ai deserti nel cuore dell’Africa o dell’Asia, in realtà l’ultramaratona friulana si articola su 100 chilometri da compiere in tre giorni su un fondo impegnativo inserito in uno scenario che sa regalare emozioni uniche. La gara è organizzata dal Triathlon Team Cordenons con il supporto della Regione Friuli Venezia Giulia e dei Comuni di Cordenons, San Giorgio della Richinvelda, Zoppola e Pordenone, con la collaborazione dei Comuni di Arba, San Quirino, Spilimbergo e Vivaro, oltre ad altri enti quali la Provincia di Pordenone, Turismo Fvg, Pordenone with love e Consorzio Pordenone turismo. Un video coinvolgente ha illustrato gli aspetti della gara dello scorso anno prima del saluto di autorità e tecnici sportivi. In particolare ricordiamo l’intervento del presidente dell’Ascom di Pordenone e del Consorzio Pordenone turismo, Alberto Marchiori, che ha citato il risveglio tardivo di Pordenone nell’inserirsi in questi ambiti: sport e cultura, prodotti enogastronomici e natura sono gli argomenti fondamentali per logiche di ampio respiro nella promozione turistica della zona. Tra i principali sponsor l’azienda «I Magredi», che ha dedicato a Magraid un vino tutto da scoprire. A fianco, i piatti tradizionali di questo angolo di Friuli, preparati dal rinomato ristorante Gelindo dei Magredi, e i prodotti tipici proposti da altri produttori locali. Michelangelo Tombacco dell’azienda «I Magredi» e Gelindo dei Magredi hanno presentato rispettivamente i prodotti oggetto degli assaggi. Ha aperto la degustazione il citato «Magraid» dedicato alla gara. Si tratta di un ottimo vino prodotto con uve glera (il nome ufficiale della vite che, con un decreto del 2009, è sinonimo di Prosecco), per poi proseguire con un intenso Sauvignon, un vino fruttato e complesso per i suoi aromi e profumi che derivano da una terra aspra e ghiaiosa. Ha chiuso l’incontro un Cabernet Sauvignon: una ricca tavolozza di colore carico, profumi decisi e aromi incisivi. In parallelo si sono alternati salumi locali di Gelindo e del Salumificio Fantuzzi di Sacile, una pancetta, una soppressa, fino al fiore all’occhiello della produzione: una splendida «pitina» creata con carni bovine e di ungulato aromatizzata con aglio di Resia. Ed ancora dei dolcissimi pomodorini calabresi sommersi dall’olio di Gelindo, asparagi e zucchine sott’olio, uniche: il tutto accompagnato da croccanti “bibanesi”, i famosi grissini di Bibano, loclaità alle porte di Sacile. Insomma, un trionfo di sapori e di sport, che tutti possono incontrare nel prossimo giugno con una puntata nel Friuli pordenonese. (M.R.) A sinistra: - Paolo Massarenti, vincitore di «Magraid 2010» A fianco: (da sin.) Gelindo Trevisanutto, Michelangelo Tombacco, e Paolo Tedeschi (vicepresidente del Triathlon Team Cordenons e Event manager di Magraid) foto M. Rossi na passeggiata alla BIT permette di fare mille incontri con vecchi amici e nuoU ve conoscenze. E’ anche occasione per fare Il Fogolâr Furlan di Milano I trimestre 2011 Notiziario dal Fogolâr Sabato 5 marzo 2011 20 GENNAIO 2011 DI BENO FIGNON RICORDO E’ ritornato il «Carnavâl Furlan di Milan» 1 foto M. Rossi foto C. Mezzolo 2 D foto C. Mezzolo foto C. Mezzolo opo un anno di sospensione - dovuta a motivi indipendenti dal- 3 la nostra volontà, certo: ma forse inconsciamente nessuno aveva voglia di far baldoria dopo la perdita del nostro amico Beno - torna al Polo Ferrara il «Carnavâl Furlan » di Milano. Torna un po’ più in sordina, con meno partecipanti: ma sempre animato, vivace, divertente, con gli amici del Fogolâr, cui si aggiungono quelli del Polo Ferrara, instancabili ballerini e attivi collaboratori per i preparativi, gli addobbi e il servizio ai tavoli. Come sempre, dobbiamo un grande ringraziamento ai nostri organizzatori: Fulvia, Marco, Dante e Roberto, che quest’anno hanno lavorato più del solito, data l’assenza (purtroppo per motivi di salute) di Nerina e Margherita. E poi a Renzo, impareggiabile “maître” e agli straordinari cuochi Giorgina e Agostino. Alla tastiera, il bravissimo Giancarlo ha fatto danzare tutti quanti con il suo vasto repertorio di motivi e di ritmi “per tutte le stagioni”. Quest’anno non ci sono state esibizioni a sorpresa con arie d’operetta (Teo), canzoni russe (Sandro), motivi degli anni Trenta (Davide), ever- 4 greens di Mina (Miranda); ma uno degli amici del Polo Ferrara ha coadiuvato Giancarlo con alcune belle canzoni. E la pista è stata sempre affollata di coppie e di gruppi danzanti. Insieme a qualche bella signora con un “segno” carnevalesco (mascherine, piume, corpetti luccicanti di strass) si è notato qualche simpatico travestimento: fra tutti primeggiava quello di una coppia “asburgica” (forse un giovane Franz Joseph con la Sissi), particolarmente elegante. Le danze sono state interrotte dalla cena, semplice e ottima, adeguata alla situazione: una deliziosa pastasciutta con il celebre ragout di Giorgina, l’arrosto con uno squisito contorno di piselli, il fresco formaggio di Massimo di San Giovanni di Casarsa, la frutta, le chiacchiere, o meglio i crostui; più i tanti dolci preparati da alcune signore e condivisi con i commensali: il tutto doverosamente annaffiato dai vini friulani dei Pitars, come da programma. Un’altra simpatica interruzione ha permesso l’annunciata “estrazione a premi” condotta da Marco e sorteggiata dai bambini presenti: che ha 5 favorito i soliti baciati dalla fortuna. Una serata, dunque, di puro divertimento, in un’atmosfera di schietta amicizia e cordialità. Elena 6 foto C. Mezzolo L a sera del 6 settembre 2009 l’amico Beno ci lasciava per sempre. Era appena rientrato a Milano dalla sua amata Montereale, l’indomani di un memorabile concerto notturno di fisarmoniche, a Maniago, una defatigante ‘gimcana’ musicale, quasi una gara a ostacoli tra la sua prodigiosa fisarmonica e quelle del trio degli amici musicanti Riccardo, Adolfo e Gianni: tre virtuosi dello strumento, cui tener testa senza tregua e senza respiro, lui già così provato, così sofferente, e certamente conscio dell’imminente incontro con il grande mistero metafisico, che da sempre lo affascinava. Tanto da portarlo, negli ultimi anni, allo studio della teologia. Perchè Beno era un uomo dalla personalità eccezionale, come ben sanno i suoi vecchi amici del Fogolâr e quanti hanno avuto modo di conoscerlo e di frequentarlo. Giornalista, scrittore e poeta in lingua italiana e nelle parlate friulane di Montereale e di Andreis; brillante fisarmonicista e fotografo d’arte estroso e creativo: tutte qualità sostanziali che, assieme a una visione della vita improntata di alta moralità e spiritualità, arricchivano la sua missione di sindacalista fortemente impegnato nella tutela dei diritti dei lavoratori. Negli ultimi anni, dunque, Beno si era dato alla teologia: ma era già filosofo in proprio, come dimostrano i suoi folgoranti aforismi, impastati di saggezza e buon senso, di terrestre e di sublime; e condite con il sale dell’umorismo, del paradosso, del gioco di parole, dell’acrobazia linguistica. Chi scrive conserva un file con migliaia degli aforismi che Beno inviava agli amici ad ogni mutar di stagione, a centinaia per volta. Allora, Facoltà di Teologia di Milano, accanto alla basilica di San Simpliciano; docente monsignor Pierangelo Sequeri: questa la frequentazione prediletta di Beno negli ultimi anni, non come studente e laureando, ma come attento uditore e acuto interlocutore. La sera di giovedì 20 gennaio, nella Basilica di San Simpliciano è stata celebrata una messa per ricordare Beno. Nessuna ricorrenza particolare: non un anniversario, non una data precisa; semplicemente un’iniziativa di monsignor Sequeri, il maestro, per ricordare l’allievo che non frequenterà il nuovo anno accademico e di cui sentirà la mancanza. Cerimonia semplice e commovente, in un’atmosfera spirituale resa più intensa dagli echi delle musiche restituiti dalle austere architetture dell’antica basilica: un coro sommesso, accompagnato dalla voce mistica dell’organo e due stupendi brani di Bach tratti dalle sonate per violino solo, a commentare i momenti della liturgia. E monsignor Sequeri, in una affettuosa omelia, ha parlato appunto di questa “mancanza” di Beno, per lui e per tutti quelli che lo hanno conosciuto. “Mancherà - ha detto - la sua irruzione nella nostra vita. Perché Beno non arrivava, ma irrompeva: con il suo entusiasmo, le sue proposte, le sue idee, che confezionava come pacchetti regalo decorati con i nastrini, le candeline, le lucine colorate. Perché lui viveva in un luogo dove molti di noi ci ritroviamo qualche volta, ma lui ci abitava proprio: il luogo dove nascono tante idee, dove si fanno cose belle, cose per gli altri, progetti fantastici ma sicuramente realizzabili. Alcuni di noi conoscono questo luogo, ci sono passati una, due, tre volte nella vita, ma lui ci abitava proprio. E mi mancheranno per sempre i pacchetti con i nastrini e le candeline e le lucine che Beno mi regalava”. Ecco, Beno carissimo: monsignor Sequeri ha interpretato perfettamente i pensieri dei tuoi amici. Sentiamo la tua presenza viva nel ricordo. Sentiamo e sentiremo la tua mancanza. 3 Alessandro Secco Due immagini di Beno Fignon: - in Valcellina (2005) - durante i concerti del Complesso «Aurora» (1952) 7 CARNEVÂL: CROSTUI A SLAS di Pieri Grassi foto M. Rossi Festosi momenti del Carnavâl Furlan di Milan: 1. Un momento della festa con le coppie danzanti nel salone riccamente addobbato 2. Renzo, Sandro e Fulvia a fine festa - 3. due mascherine in posa 4. Angela e Renzo impegnati con la pastasciutta 5. Presidente e first siore durante le danze - 6. Foto di gruppo delle maschere 7. Corradino, il fotografo, insieme alle mascherine RINASCE IL FOGOLÂR FURLAN DI TRIESTE T foto M. Rossi E je usance di chestis zornadis di fâ fieste cul metisi in mascare; e no dome cun alc che al scuindi la muse, ma propit mudant monture di cjâf a pîts par someâ pardabon dute une altre persone. Ma alore, rumiant cualchi bon crostul, o si domandìn: in cheste dade che o stin vivint, cence moralitât, cence legalitât e cence justizie, podino dî che il furlan, “salt, onest, lavoradôr” come che si sa, al vîf in mascare, cence dibisugne di mudâ monture, par dut il timp dal an? Simpri rumiant crostui e magari judantsi cun cualchi taiut di ribuele, provìn a cambiâ discors e a cjacarâ di... sperance. Par antîc a jerin putrops “bacaros”, che si reclamizavin come “Osteria alla Speranza” o “Vini alla Speranza”. Poben, al sarà ancje vêr che “in vino veritas”, ma pensâ “in vino spes” mi pâr propit la detule de disperazion: ven a stâi, si pense che nus resti dome une tace di vin par inneâi dentri ogni sperance. Ma ce aviliment pensâ che cumò no esisti plui nancje cheste virtût! Inneant un altri crostul inte ribuele, cirìn di tirâsi sù, pensant che, forsit, chê Sperance e podeve jessi il non de femine dal ustîr; cussì che lâ a bevi un tai là de siore Sperance, il plasê magari al deventave ancje un program! Cun chest o sin rivâts al ultin crostul, dulà che o tirìn fûr parfin Dante, che al à dit: “Lasciate ogni speranza voi che entrate!”. Ustu viodi che cuant che al jere in Friûl, dulà che al à dit avonde mâl de nestre lenghe, al frecuentave cualchi “Bacaro alla Speranza”! foto C. Mezzolo i sa che “a Carnevâl ogni scherç al vâl”; e ricuardant ancje ce che si dîs di chei “massepassûts di glemonàs - come me? - che a son fats a pueste par fâ burleS tis”, provìn a mateâ un pôc cu lis peraulis o, plui di precîs, cul lôr significât. empo fa avevamo letto un articolo sul Piccolo di Trieste. Poi, con una telefonata abbiamo confermato che sta rinascendo l’associazione dei friulani del capoluogo giuliano. Anticipiamo ai lettori foto della nostra Fulvia che ha incontrato Mara in occasione dell’ultima passeggiata triestina. Friulana di San Giovanni al Natisone e titolare dell’omonima «Trattoria», Mara, sta lavorando intensamente per radunare i friulani residenti a Trieste e rifondare l’associazione. Prossimamente pubblicheremo un articolo dedicato al Fogolâr Furlan di Trieste. (M.R.) Il Fogolâr Furlan di Milano I trimestre 2011 Notiziario da Milano e dal Friuli 4 VESPERALE: UN PERCORSO MUSICALE DEDICATO A DAVID MARIA TUROLDO DI Il Friuli dei miei ricordi MARCO ROSSI di Giorgio Aleardo Zentilomo Chei stupits di nevôts foto M. Rossi foto M. Rossi H Q uando si parla di salmi e inni, spesso la mente corre a padre Turoldo e, subito dopo, a due figure storiche del mondo musicale a lui correlate: Ismaele Passoni e Bepi De Marzi. Domenica 6 febbraio 2011 la comunità dei Servi di Maria ha ricordato David Maria Turoldo nel XIX anniversario della sua morte nella basilica di San Carlo al Corso. Alle ore 12.00 la consueta liturgia eucaristica che, quest’anno, ha avuto una raffinata animazione musicale con composizioni di Michele Varriale su testi di Turoldo, eseguite da alcuni solisti vocali accompagnati da un complesso di archi. Al pomeriggio il «Vesperale». Non si è trattato di un concerto, e neppure di una sorta di ricostruzione liturgica. Un nutrito gruppo di cantori provenienti da diverse località lombarde (Castanese, Magentino e Villoresi), unito ai Cantori di Calastoria, sotto la guida di Luigi Zuccotti, ha proposto una serie di salmi e inni di David Maria Turoldo (vedi foto in alto a sinistra). All’organo la sapiente mano di Bepi De Marzi che, tra gli accompagnamenti improvvisati, le citazioni, le introdu- zioni recitate, ci ha offerto un intenso momento musicale. Ho vissuto in prima persona questo evento musicale dalla balconata del- l’organo della basilica (vedi foto sopra). Stare a fianco dell’amico Bepi De Marzi è sempre un’esperienza unica. Prima dell’esecuzione ci siamo permessi alcuni scambi di pensieri e di appunti di vita musicale. Abbiamo ricordato momenti corali vissuti assieme, esperienze musicali parallele. Abbiamo parlato dell’ultima versione musicale dei salmi di Turoldo (edita dalla Casa Carrara di Bergamo nel 2006) da me recensita e presentata anche sul giornale del Fogolâr di Milano qualche tempo fa. Bepi è da poco un docente in pensione del Conservatorio di Padova, ma è soprattutto il grande compositore di canti di montagna che tutti conoscono. E’ anche giornalista e abile narratore ed ha introdotto le esecuzioni di salmi e inni con piccoli pensieri e con citazioni di Turoldo, spesso dedicate alla sua idea di musica sacra per tutti. Il pubblico che affollava la basilica ha ascoltato in religioso silenzio le proposte musicali fino all’applauso finale, dedicato a Turoldo e ai suoi interpreti: Bepi De Marzi e Ismaele Passoni, che si sono presentati davanti all’altare al termine del pomeriggio musicale. Due nuovi pastori per il Friuli Diocesi di Concordia-Pordenone: il nuovo vescovo mons. Giuseppe Pellegrini nimo missionario a cui si è ispirato per il motto, volontà giovane. Così è il nuovo vescovo della a Diocesi di Concordia-Pordenone dal 25 febbraio scorso. A Mons. Giuseppe Pellegrini nasce a Monteforte d’Alpone (Verona) il 10 novembre 1953. Figlio di contadini, ha vissuto la sua infanzia tra famiglia e parrocchia, come chierichetto, catechista e animatore. Entrato in Seminario minore in terza media, ha percorso il cammino normale di tanti adolescenti e giovani che si interrogavano sul come vivere una vita in pienezza. E’ poi entrato nel Seminario maggiore, sempre legato alla sua parrocchia di origine, Monteforte, dove animava gruppi, campiscuola estivi. Segue da vicino le missioni, anche alla Cei come direttore dell’Ufficio nazionale Cooperazione missionaria tra le chiese e Pontificie opere missionarie e come assistente del movimento giovanile missionario, direttore generale Missio, presidente Fondazione Cum. Nel suo stemma ha due fiumi: l’Alpone di casa e il Tagliamento (ma potrebbero essere anche Livenza e Tagliamento, confini della Diocesi di Pordenone). Poi è raffigurata la montagna ed uno scorcio di mare. Il nome del presule - Pellegrini - nello stemma è rappresentato dal bastone del pellegrino. Il suo motto: «Euntes Evangelium praedicate» (Marco 16, 15). Mons. Andrea Bruno Mazzocato al secondo anno nella Arcidiocesi di Udine ’ a Udine dall’agosto 2009. Mons. Andrea Bruno Mazzocato è nato a San Trovaso di Preganziol il 1° settembre 1948. Ha frequentato gli studi presso il Seminario vescovile di TreE viso ed è stato ordinato sacerdote il 3 settembre 1972. Dal 1972 al 1977 ha svolto il ministero sacerdotale a S. Martino di Lupari (Pd). Contemporaneamente ha conseguito la Licenza in Liturgia Pastorale presso l’Istituto di Liturgia Pastorale di Santa Giustina (Pd). Successivamente ha conseguito la Licenza in Teologia Dogmatica presso la Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale (Milano). Nel 1990 venne nominato Pro-Rettore del Seminario minore di Treviso e poi, nel 1994, Rettore del Seminario vescovile. Mons. Mazzocato è stato eletto alla Chiesa di Adria-Rovigo l’11 ottobre 2000 e consacrato vescovo nella Cattedrale di Treviso il 9 dicembre 2000. Ha guidato la Chiesa rodigina per tre anni. Ingresso nella Diocesi di Treviso il 18 gennaio 2004. Il 20 agosto 2009 nominato arcivescovo di Udine, l’ingresso il 18 ottobre 2009. Lo stemma scelto da mons. Mazzocato nella parte superiore indica la realtà divina espressa dalle tre stelle, la Trinità; la parte inferiore rappresenta la realtà umana dove, da un lato, sullo sfondo rosso, le quattro sfere simboleggiano i punti cardinali (la Terra) e dall’altro, sullo sfondo argento, il pastorale e la lampada stanno a significare i compiti fondamentali del pastore: la guida del gregge all’ovile di Cristo e l’annuncio della Parola di Dio, luce che illumina la via che porta all’incontro con il Risorto. Il motto «Pro vobis, in Christo, ministri» dice la volontà del nuovo pastore di essere ministro di Cristo, annunciatore del Suo Vangelo di salvezza, custode e dispensatore fedele dei misteri di Dio. o già raccontato su queste pagine i brevi periodi di spensierato soggiorno estivo in Friuli presso i nonni, a Molinis di Tarcento, ricordando i gioiosi momenti dell’infanzia in quel piccolo mondo amico, rispetto alla grande città di Milano dove abitualmente vivevo. Tante le felici opportunità di contatto con la natura e la serenità dei rapporti, che apparivano semplici e normali per la nostra ingenuità. Ho potuto verificare più in là negli anni, che non era proprio così, ma allora non me ne rendevo conto. Senza tanti riguardi le “vecchie zie” chiamavano Franco, il mio fratello maggiore, “pandolo”, (sinonimo di stupidotto) mentre in generale noi tutti venivamo zittiti con un: “Ce volêso savê voaltris”; ed eravamo identificati come “chei stupits di nevôts”. E forse avevano anche le loro buone ragioni. Più che stupidi, credo fossimo inconsciamente invadenti e quindi fastidiosi per lo stravolgimento delle loro abitudini. Arrivavamo in due, tre o quattro da Milano e da Roma; e, rivoluzionando la logistica della casa, che pur era grande, prendevamo possesso di almeno due camere dove dormire “intai jets cui paons di scus di panole”: non il massimo della comodità. Scricchiolavano terribilmente quei “paons”; e dove ci si appoggiava, si formava una buca che sembrava la cuccia del cane. Dismessa la “farie” di mio Nonno, lo spazio fungeva da deposito di attrezzi vari e ferri vecchi dove mi incuriosiva trafficare. Ma la zia Elodia, come un solerte gendarme investigatore, mi redarguiva: “Ce sestu lât a tocjâ?”. Soffrivamo in silenzio e perplessità l’adattamento in una casa che era priva di acqua corrente e gas; e soprattutto la mancanza di gabinetti (normali), che ci obbligava all’inconsueto uso del “vaso da notte”. “Vait a cjoli l’aghe, che no ’nd è plui”. Era l’invito a collaborare, e “cui selots su li spalis picjâts al buinç si leve inte fontane”: quasi un’umiliante berlina, quel “buinç”, simile ad un basto per muli. Non che fossimo mal sopportati, ma la nostra presenza creava certamente disturbo in chi viveva il normale tran-tran con i ritmi della vita di campagna negli spazi personali ben definiti. Da qui l’appellativo poco grazioso che ci siamo portati appresso tutta la vita come un’etichetta, da parte delle zie, che noi, del resto, appellavamo: “lis vedranis”. Ancor meno gratificante la tagliente frase pronunciata a mezza bocca con sarcasmo: “Sêso vignûts a roseâ i vues?”, rivoltaci all’indomani del terremoto del 1976, quando qualcuno di noi è accorso per portare aiuto e conforto. Ma tutto si supera; e rimangono i ricordi positivi, che hanno il sopravvento sulle avversità. Che bello tornare bambini sul “tram bianco” a Tarcento, a Molinis, alla “roe”, alle acque limpide e vorticose del Torre, “tal salet, a cjapâ sù i cudumars tal mieç dal sorc”. Piccolo mondo preso momentaneamente in prestito da “chei stupits di nevôts di Milan e di Rome”. Fieste a Dartigne state 1948. Grande festa ad Artegna, paese d’origine di mia E Nonna Margherita Jacuzzi. Dopo vent’anni di Missione in Brasile tra gli indigeni del Mato Groso, il cugino Salesiano pre Nardin don Leonardo - torna in Friuli per una breve visita all’anziana Mamma Liduine, sorella di mia Nonna. Tutto il parentado si mobilita per organizzare la festosa riunione di famiglia, che avrà il suo culmine nella Messa solenne celebrata da pre Nardin la domenica mattina nella parrocchiale di Artegna. A seguire, un ricco banchetto di piatti e vini esclusivamente locali: mi è rimasto il ricordo di un plat di polente cun luianie e formadi. Barbe Gjovanin di Loneriacco ha trasformato un carro agricolo, trainato dalla cavalla Nina, con vivaci festoni, e attrezzato con sedie e panche per trasportare i parenti che verranno raccolti per via. Prima tappa a Molinis, dove salgono il Nonno Tonai e la Nonna Margherita, che si sistemano davanti nel posto di maggior riguardo su due sedie fissate al piano del carro, ed alcune delle tante Zie, tutti eleganti. Sosta a Volpins per consentire alla cavalla di abbeverarsi, poi a Tarcento per caricare altri parenti. Comincia il “viaggio” e ne ricordo in particolare la gioiosa festosità, lo scricchiolio delle ruote del carro cerchiate di ferro sulla ghiaia della via sterrata e la grande calura d’agosto. Lasciata sulla destra la visione dominante di Villa Moretti e i ruderi del Cjiscjelat, eccoci ad Aprato. Il carro abbandona la strada principale e si avventura ai piedi dei colli sulla carreggiata meno trafficata ma più stretta: particolare questo che consente a noi bambini, dalla posizione rialzata del carro, di poter cogliere al volo lis cespis, i fîcs e la uve za madure che sporgono dai filari degli orti e dei campi, attraversando Billerio. Sul carro, spazio per ballare non ce n’è, ma i partecipanti si impegnano nell’intonare i canti popolari che hanno accompagnato la mia infanzia friulana. Il mio Babbo, appassionato dell’opera, svetta con smaglianti acuti da tenore che si diffondono per la vallata attirando l’attenzione di tutti. Qualche scossone per le buche presenti sulla strada, con la raccomandazione dei più grandi ai bambini per i rischi di cadute: “Tenti dûr che la cjase e cole!”. Si percorre la strada di Sotto Riviera, e superato il Castello di Prampero che si staglia alto sul colle di Billerio, si giunge a Magnano. Ed eccoci infine all’ingresso di Artegna. Bandiere multicolori, verdi frasche e ghirlande di fiori allestite dalla locale comunità, ci guidano fino alla casa dei parenti Jacuzzi. Sorrisi, abbracci e baci tra i convenuti con particolare deferenza nei confronti del festeggiato; che, abbracciato alla cara Mamma, domina comunque tutti. A messa finita, tutti a casa a mangiare e bere; e nel tardo pomeriggio partenza per il ritorno, ancora a bordo del carro di Barbe Gjovanin. Ma l’indomani grande ambascia e costernazione generale, quando improvvisa si diffonde la notizia che il cuore della Gnagne Liduine non ha retto all’emozione dell’incontro con l’amato figlio. O forse, oramai appagata per la visita tanto attesa, è deceduta durante la notte. I “grandi” tornano mestamente ad Artegna; e al martedì partecipano al funerale, officiato dal figlio pre Nardin, in lacrime... Il Fogolâr Furlan di Milano I trimestre 2011 Conoscere il Friuli ECCELLENZE Il Ramandolo di Piero Pittaro R amandolo. Questo nome, per chi legge o ascolta, evoca subito un vino, e non una località. Succede quando la fama di un prodotto supera quella del luogo d’origine e ne congloba storia e immagine. Chi pronuncia Bordeaux evoca più il vino che non la città. Marsala rimanda al prelibato nettare siciliano ancor prima che al suo pittoresco porto. Direi di più, la sovrapposizione dei nomi crea un effetto sinergico. Si pensa al vino e le sue caratteristiche si associano spontaneamente alle particolarità del luogo dove si produce. Nel panorama enologico mondiale, sia tra i cultori della materia che tra i meno esperti, identificare un vino con la zona d’origine è la massima valorizzazione per il vino stesso; e il Ramandolo è l’unico vino friulano che, fin dall’antichità, porta il nome del toponimo e non quello del vitigno, il Verduzzo giallo, la cui uva ha in queste terre il gusto di miele di castagno, di tiglio, di sottobosco. La zona di produzione si estende sulle colline ai piedi del Monte Bernadia. Piccoli terrazzamenti costruiti col badile al prezzo di fatica immane. Tutt’intorno bosco, con essenze spontanee: querce, faggi, olmi, lecci e un ricchissimo sottobosco, ambiente ideale per una fauna e una flora d’incanto. Il Ramandolo è diventato via via famoso nei secoli per alcune sue caratteristiche peculiari: l’equilibrio del vino, la sua morbidezza, l’alto residuo zuccherino, la rotondità, la piacevole astringenza, il color buccia di cipolla, un amalgama perfetto di aromi e profumi. La vinificazione di un tempo era quanto di più autentico e naturale si possa immaginare e la vendemmia avveniva dalla seconda metà di ottobre ai primi di novembre. Il mosto raggiungeva una concentrazione zuccherina naturale di 25-30 gradi Babo. Se la stagione non era stata particolarmente favorevole, si ricorreva a un leggero appassimento. Il pigiato veniva collocato nei tini con le bucce; e un tempo, quando non esistevano le pigiadiraspatrici, anche con i raspi. Appena il cappello usciva dal mosto, veniva appesantito con argilla, la stessa ponka del terreno, al fine di trattenerla a contatto con il mosto. Non ci è stato possibile calcolare esattamente i tempi di contatto bucciamosto, ma certamente erano più lunghi. Infatti la fermentazione era particolarmente lenta, sia per il freddo del mese di novemrbe che per la tipologia dei fermenti. Nessuna aggiunta di anidride solforosa veniva effettuata sul pigiato. Solo dopo la fermentazione, alcuni agricoltori usavano aggiungere una piccola dose di metabisolfito al fine di evitare ossidazioni e favorire l’illimpidimento. Il vino veniva quindi travasato in fusti, conservato e venduto in bottiglie. Per uno strano, incredibile equilibrio di natura, il vino seppur dolce, non rifermentava nonostane il basso tenore alcolico, nemmeno in estate. Oggi c’è un recupero razionale delle tradizioni del passato, una lettura ragionata dei fenomeni, un adattamento delle pratiche di ieri alle esigenze attuali e il vino viene saggiamente adeguato alle nuove esigenze di gusto, di alimenazione e perché no, di cultura. Deve viaggiare nel mondo, sopportare temperature avverse, raggiungere enoteche, ristoranti, gastronomie, soddisfare palati sempre più esigenti. Anche nei nuovi impianti dei vigneti il clone messo a dimora è quello tipico locale, il Verduzzo giallo, detto di Ramandolo, e viene posta la massima attenzione sia all’esposizione che alla densità per ettaro. La vendemmia continua ad essere effettuata al momento più adatto, con uva ben matura. L’appassimento è una pratica necessaria per ottenere una concentrazione naturale degli zuccheri, dell’acidità, degli estratti, degli aromi, per dar corpo e gusto al Ramandolo [...] Se dovessi descrivere un Ramandolo ideale, lo farei così: colore giallo dorato, quasi oro antico o buccia di cipolla; odore di miele di castagno, con sfumature di miele di tiglio e, invecchiando, di frutti di bosco, muschio, fieno; gusto pieno, di gran corpo, morbido, deliziosamente dolce, che richiama nettamente il gradevole amarognolo del miele di castagno; lunghissimo in bocca, poiché la sensazione piacevole rimane per gran tempo dopo la deglutizione. E’ un vino amabile, dolce-non dolce, ideale con il fois gras, il paté di fegato, il Gorgonzola, il Parmigiano a scaglie, il Montasio stagionato... A fine pranzo, il matrimonio ideale è riservato alla frutta secca, oppure a biscotti secchi, poco dolci. Da evitare con torte e creme. Ottimo anche come vino fuori pasto, specialmente all’ora del tè. Va servito a 10-12°. dal libro: «Il Ramandolo sui Colli Orientali del Friuli» Edizioni Archivio Tommasoli FRIULI MEDITAZIONI ENOLOGICHE E RICORDI AFFETTIVI A ccanto alle simpatiche considerazioni e memorie personali del nostro socio e assiduo collaboratore Giorgio Aleardo Zentilomo, ci è parso appropriato offrire ai lettori un interessante articolo sul Ramandolo scritto da un grande esperto, Piero Pittaro, nuovo presidente dell’Ente Friuli nel Mondo. Viticultore e produttore di chiara fama, già presidente effettivo ed ora presidente onorario dell’Unione Internazionale Enologia e dell’Istituto Sperimentale per l’Enologia di Asti, Pittaro è particolarmente qualificato a parlare di questo celebre vino, in quanto possiede un moderno vigneto proprio nella frazione di Ramandolo. VINICOLE IN 5 RAMANDOLO E DINTORNI di Giorgio Aleardo Zentilomo M i complimentavo, qualche tempo fa, con l’amica Giannola Nonino per la prestigiosa onorificenza di “Cavaliere del Lavoro” di cui è stata insignita; e nei discorsi si spaziava tra i vari vitigni nobili di particolare originalità e di modestissima quanto preziosissima produzione, rispetto al più celebrato “Picolit”: dalle cui vinacce la mitica distilleria di Percoto trae la portentosa grappa che, presentata nelle delicate ed eleganti ampolle di Murano, è divenuta un prodotto elitario, e non solo per il prezzo. Sulle colline che dall’Oltretorre tarcentino guardano giù verso la casa di Molinis del mio Nonno materno, si coltiva il Verduzzo giallo, dal quale da tempo immemorabile si produce una particolare qualità di vino: il “Ramandolo”. Si tratta di un vino dorato, morbido, dai caratteristici ricchi sapori di frutti maturi, zuccherino al punto giusto e insieme leggermente tannico: a mio giudizio, servito fresco, il vino ideale per accompagnare un dessert di dolcetti, o come piacevole intermezzo pomeridiano con il prosciutto di San Daniele (ma in Friuli è particolarmente apprezzato anche a metà mattina). Se il Picolit è considerato il “vino dei re, ovvero il re dei vini”, che non sfigura a paragone del più noto Sauterne francese, possiamo forse sbilanciarci definendo il Ramandolo come “primo cadetto” nell’ordine gerarchico dei grandi vini, pur se ancora poco diffuso e conosciuto a livello nazionale. Questo particolarissimo vino - ed è un caso unico in Friuli, raro in Italia prende il nome non dal vitigno, ma dal territorio di produzione, che dalla piccola frazione di Ramandolo, adagiata sulle pendici del Monte Bernadia in comune di Nimis, raggiunge la località Cloz sul versante est e si spinge verso Sedilis e Moric’ sul versante ovest, fino a raggiungere Coia sulla Riviera di Tarcento. Il Verduzzo giallo, qui ben esposto al sole, gode di una maturazione ottimale delle uve; situato in un terreno idrogeologicamente ideale, riceve i refoli delle correnti d’aria che portano lo iodio del mare Adriatico e alternativamente la frescura delle nevi dai monti retrostanti. Da qui le peculiari qualità che distinguono e nobilitano il Ramandolo tra tutti i tipi di Verduzzo prodotti nei Colli Orientali del Friuli. Risale solo al 1992 il riconoscimento ufficiale del “cru” Ramandolo, con la specifica tutela del marchio DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita), rispetto alla secolare conoscenza del prodotto che tra gli “indigeni“ già godeva della massima considerazione. Mi piace rievocare qui un ricordo personale che risale alla mia infanzia, quando, tenuto per mano dal mio Babbo, soprannominato “Doge” per la sua venezianità, e dal Nonno materno “Tonai”, che nel circondario godeva di indiscussa notorietà, salivo per l’amena stradicciola che da Molinis, oltre il ponte sul Torre, porta alle case di Moric’. Qui gli amici vignaioli del Nonno, onorati della visita, offrivano il “loro” vino in piccoli bicchieri di vetro. Era il Ramandolo, appunto: quei piccoli sorsi d’assaggio mi risvegliano ancora la più struggente memoria affettiva e olfattiva. Ogni estate, da allora, è un rito salire da Nimis sopra Torlano fino all’antica osteria di Ramandolo, attigua alla chiesetta del XVI secolo dedicata a San Giovanni Battista. Da qui si può abbracciare con lo sguardo i dolci declivi sottostanti coltivati a vigneto e dominare tutta la pianura, oltre Udine e Aquileia, giù fino al mare di Grado, sorseggiando in rilassata meditazione questi liquidi raggi di caldo sole. Agli “assaggi” in loco dei diversi produttori (assaggi oramai contenuti, a causa del “rischio palloncino”), fa seguito il privilegio dell’acquisto di alcune bottiglie, tra le sole 150.000 prodotte annualmente; da stappare poi nelle migliori occasioni, a vincere le invernali nebbie milanesi; o da regalare agli amici più cari, certi di non sfigurare. nelle foto: (al centro) Un grappolo di Verduzzo di Ramandolo (in alto a sinistra) Ramandolo, chiesa di San Giovanni Battista (fine XVI secolo) (al fianco) Primavera a Ramandolo Il Cabernet Sauvignon di Castelvecchio fra i Top 100 in Cina nche i cinesi bevono friulano. Il Cabernet Sauvignon dell’azienda agricola Castelvecchio di Sagrado (GO) A entra infatti nella prestigiosa classifica dei «Top 100 China Wines 2010», stilata dalla rivista «Wine in China». «Un risultato importante - commentano Benedetta e Isabella Terraneo (nella foto in basso) della tenuta Castelvecchio a conferma del successo che già da tempo stiamo ottenendo in Asia, soprattutto con i nostri rossi». Selezionati da una giuria di esperti, i 100 migliori vini sul mercato cinese provengono da undici paesi diversi: Italia, Francia, Spagna, Cile, Sudafrica, Australia, ma anche Stati Uniti, Nuova Zelanda, Argentina e Cina. Il Cabernet Sauvignon è il vino più strutturato ed importante della produzione dell’Azienda Agricola Castelvecchio e proviene dall’uva dell’ultima vendemmia, effettuata alla fine di ottobre. Caratterizzato da un colore rosso rubino molto carico, ha un profumo intenso ed armonico, ricco di mille sfumature, che si evolve nell’invecchiamento. Al palato il sapore è pieno, elegante e di ampio corpo. Da servire a temperatura ambiente, questo straordinario Cabernet Sauvignon è un complemento d’elezione per le carni, siano esse arrosti o selvaggina, e si abbina perfettamente anche con i formaggi ben invecchiati. Il Fogolâr Furlan di Milano I trimestre 2011 Cultura «TIERE 27 FEBBRAIO 1511 FURLANE» LA «CRUDEL RIVISTA DI CULTURA DEL TERRITORIO DI MARCO ROSSI DI tante sodisfazion parcè che o ai la furtune di vê colaboradôrs une vore preparâts, in particolâr Enos Costantini che al à une culture infinide e une grande competence suntune vore di argoments”. In effetti, quello che si coglie scorrendo l’indice è la proposta monografica che distingue ogni numero, ma nel contempo la ricca panoramica culturale che al tema fondamentale si affianca con cura e grande intelligenza redazionale. Il tema del quinto numero è il frumento, la «Spiga di paniç», che si vede in apertura con una bellissima immagine; ma partendo da questo cereale, tra gli articoli si viaggia tra birra friulana e mulini. Da qui si vola a Illegio per poi continuare con articoli sulla flora del Friuli e sulla tipicità dei prodotti. Il sesto numero presenta in copertina una sequenza di varietà di mele: tra le pagine troviamo «Fana, Manià e Cjavàs: i paîs des pomis» ma, a parte il saggio sul sidro moderno, si parla poi di aceto e di «arte in latteria». Non mancano articoli sulle fonti energetiche, sui mestieri nella laguna del Friuli e così via. Il numero sette offre una copertina tipicamente epifanica, con un brioso Pignarûl nella foto di Ulderica Da Pozzo. E poi una sequenza di interessanti contenuti: ampi saggi sul maiale nelle sue varietà friulane anche storiche, da Fagagna a San Daniele alla Val Pesarina, ma anche nella pittura dal Trecento ad oggi; e poi l’approfondito saggio sul Picolìt, sul caffè triestino, senza dimenticare testi dedicati al territorio, alle architetture rurali e così via. La rivista è senza dubbio un unicum nel suo genere, affascinante per tutto, possiamo dire «da collezione». Anche le poche citazioni pubblicitarie si allineano alla grande eleganza e sembrano parte integrante dei testi. In apertura del primo numero, nel 2009, così scriveva Claudio Violino, assessore regionale alle Risorse agricole, naturali e forestali: “Terra friulana, periodico bimestrale, rivista di economia e tecnica agraria uscì negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso. Era fatta bene … Possediamo una collezione, ohimè incompleta, di Terra friulana ed e proprio guardando quelle gloriose pagine che ci è venuta l’idea di ridare vita alla testata, deitalianizzandone il nome e affidandola a sicure mani di esperti…». Siamo convinti che mai le dichiarazioni programmatiche abbiano trovato migliore realizzazione. 3 APRILE 2011 PER LA «FESTA DELLA PATRIA DEL FRIULI» A COMO L’INAUGURAZIONE DEL GRANDE ORGANO ZANIN DEL CONSERVATORIO e ne parla dal 1999. I S lavori sono cominciati nel 2000 e finalmente foto M. Rossi La violenza scoppiò il 30 luglio 1809, quando una banda di villani saccheggiò e bruciò il castello di Sterpo. Nei mesi seguenti altri castelli furono saccheggiati e bruciati. il luogotenente veneto era riuscito a presidiare efficacemente la città, il furore dei villici si riversò sui castelli dei dintorni: furono assaltati e dati alle fiamme i castelli di Villalta, Moruzzo, Arcano, Brazzacco, Zoppola, Spilimbergo, Valvasone, Colloredo, Susans, Madrisio, San Daniele, Fagagna, Caporiacco, Tarcento. Mentre i castelli ardevano sulle colline, scoppiò una terribile epidemia; e il 26 marzo un terremoto di insolita violenza seminò distruzione a Udine e in tutto il Friuli. Un terremoto, racconta l’Amaseo, “... circa le ore 20, che mai fosse sentito da huomo vivente et forsi dalla passion di Cristo in qua... et durò per uno ottavo d’hora con terribile reboar in aere et horrendo ondezar dell’acque... et vacillar della terra... confessando la potentia di Dio et stupor della natura...”. La descrizione è emozionante, lunga e dettagliata; ed è un peccato non poterla riportare qui integralmente. In quel terribile anno 1511 - così commenta Di Lenardo nel suo articolo su «Il Pignarûl» - il Friuli fu contemporaneamente segnato dalla guerra, dalla peste, dalla fame e dal terremoto: l’abbinamento di due Litanie dei Santi - “A peste, fame et bello... a flagello terremotus , libera nos Domine” - sono una eco appropriata della tragedia. Che naturalmente fu percepita come “castigo di Dio” per tutte le malefatte compiute dai rivoltosi. Rimane da dire qualcosa sulla fine del dramma. Naturalmente gli strumieri pretesero una dura punizione degli zamberlani. E Antonio Savorgnan, il mestatore, stretto fra l’odio degli strumieri e la diffidenza dei Veneziani, quando si trovò a dover affrontare con le sue milizie l’esercito tedesco, passò disinvoltamente dalla loro parte; ma i suoi exnemici friulani lo pugnalarono a Villaco il 27 marzo 1512. E anche questo sarà stato considerato un “castigo di Dio”. Ma la vera tragedia scoppiò il 27 febbraio 1511, giorno di giovedì grasso, quando Antonio Savorgnan fece correre la voce che i tedeschi stavano saccheggiando Pradamano; quindi, facendo suonare la campana del Castello, radunò una torma di villici inferociti e li aizzò contro le dimore dei nobili strumieri, che vennero saccheggiate e incendiate. Il giorno seguente, poichè Abbiamo illustrato l’articolo con due incisioni di Tonino Cragnolini, tratte dal ciclo «Zobia Grassa 1511, una storia friulana», attualmente in mostra al Castello di Colloredo di Montalbano, dal 27 febbraio al 27 marzo. Nel prossimo numero del notiziario dedicheremo un articolo alla produzione di questo singolarissimo e affascinante artista tarcentino. I N el giugno 2009 vedeva la luce il primo numero di una nuova rivista. In occasione della Convention dell’Ente Friuli nel Mondo a Majano ai primi di agosto 2010, il n° 5 di questa pubblicazione era stato omaggato ai partecipanti. Ora, con l’arrivo dei numeri 6 e 7, cogliamo l’occasione per segnalare quest’interessante iniziativa editoriale, che si presenta con un’ottima veste grafica, un corredo fotografico e iconografico di grande pregio, ma soprattutto con autori di tutto rispetto e contenuti decisamente di alto livello. Per la presentazione della quarta uscita, Christian Romanini, direttore responsabile di «Tiere furlane», dicharava: “Di cualchi mês o ai il grant plasê di jessi il diretôr di Tiere furlane, une riviste publicade de regjon: o scuen ringraziâ sedi il President sedi l’Assessôr Violino par cheste oportunitât. Cheste esperience mi sta dant ZOBIA GRASSA» ALESSANDRO SECCO siamo arrivati all’inaugurazione. Si tratta del nuovo grande organo meccanico del Conservatorio di Como che porta l’autorevole firma friulana «Zanin». Infatti la celebrata casa organaria di Codroipo ha realizzato questo splendido strumento con le sue 3 tastiere e i suoi 33 registri che verrà inaugurato ufficialmente con un concerto la domenica 3 aprile. Per una scelta del tutto casuale la data inaugurale coincide con l’anniversario della Patria del Friuli, una coincidenza che sembra solo essere di buon auspicio per questo strumento della Premiata Fabbrica Organi «Cav. Francesco Zanin di Gustavo Zanin» di Codroipo. l 27 febbraio scorso ricorreva il cinquecentesimo anniversario di quell’orrendo giovedì grasso del 1511, che vide Udine e il Friuli messi a ferro e fuoco da una folla scatenata di contadini: una pagina di storia della nostra terra ancora poco conosciuta. Hanno fatto opera di divulgazione altamente meritoria «La Patrie dal Friûl» di gennaio con tre articoli, di Donato Toffoli, Walter Tomada e Antonella Lanfrit; ed «Il Pignarûl» di Tarcento di quest’anno con due articoli, di Luigi Di Lenardo e Gianfranco Ellero. La vicenda è stata raccontata “in diretta” da due eruditi contemporanei: lo storico Giovanni Candido nei suoi «Commentarii de’ fatti d’Aquileia»; e del cronista Gregorio Amaseo, in un’operetta con un titolo che la riassume: «Historia della crudel zobia grassa, et altri nefarij excessi, et horrende calamità intervenute in la città di Udine, et Patria del Friuli del 1511». Ed ecco una rapida sintesi dei fatti, per la quale ci siamo basati sull’opera di Gianfranco Ellero «Storia dei friulani», Udine, 1987, opera di agevole e piacevole lettura, probabilmente esaurita nelle librerie, che per il lettore interessato è disponibile nella nostra biblioteca. Dopo che la Repubblica di Venezia si era impadronita del Friuli nel 1420, sommosse e ribellioni locali scuotevano frequentemente la Piccola Patria, a causa del rivolgimento sociale operato dai dominatori, che aveva avvantaggiato i cittadini udinesi e gravemente oppresso la contadinanza. Già all’epoca delle invasioni turche, negli anni 1472, 1477 e 1499, il malcontento era generalizzato e si erano formate due fazioni contrapposte, dai nomi curiosi, di cui non conosciamo tuttora l’origine e il significato: gli “strumieri”, castellani del partito filo-imperiale e gli “zamberlani”, capeggiati dalla famiglia dei Savorgnan, vecchi amici di Venezia. Costoro predicavano ai contadini esasperati che i veri responsabili delle loro disgrazie erano i nobili. E si sa, fra i due litiganti il terzo gode: Venezia beneficia del dissidio che divide la società friulana, evitando pericolosi risvegli autonomistici. Un’occasione propizia per gli zamberlani di eliminare gli avversari con il terrore fu la guerra del 1508 -14 fra Venezia e l’Austria per il feudo goriziano. COCETTA: 50 ANNI DI CULTURA DEL PANE A VALVASONE ane del Priore P (ovvero di Voleson), tartarughe, biova, rosetta, fagioli, ciabatte, filoni, mantovane, pizze focacce sfilatini al rosmarino, salatini … Questo il goloso panorama che si presenta a quanti, una volta arrivati a Valvasone, prima di addentrarsi nel borgo antico, si fermano presso il forno Cocetta. Ne abbiamo parlato in occasione della degustazione che si è tenuta a Milano nel novembre 2010 durante le «Settimane della Cultura Friulana». Ora ritorniamo sull’argomento, anzi proponiamo un po’ di storia perché il 2011 per la famiglia Cocetta è un anniversario importante: 50 anni di panificazione! Nonno Cocetta arriva da Martignacco a Valvasone nel secondo dopoguerra. E’ un mugnaio e si trasferisce nel celebre mulino che si trova ancora oggi al centro del borgo medioevale. Mentre prosegue la sua attività originaria, nel 1961, con il figlio Claudio inizia l’attività di panificazione, disegna la costruzione, il negozio, il laboratorio e accende un forno che a tutt’oggi non si è mai spento (vedi foto in alto). Il negozio è sempre quello, un po’ rinnovato, così come sempre gli stessi fornitori portano a Valvasone la farina, da un mulino di Pordenone, e la legna per il forno. Ah sì, perché il panificio Cocetta cuoce ancora oggi tutti prodotti con il forno a legna! La tradizione prosegue con Claudio e la moglie Luciana, che con precisione e maestria si sposta dal banco del negozio al laboratorio, ove l’abbiamo vista sfornare filoni fumanti, profumati, croccanti (vedi foto in basso). E poi ci sono i due figli, Bruno e Sara, che completano questo quadro di una perfetta azienda famigliare del Friuli. A dicembre i festeggiamenti per il cinquantenario: non in negozio, ma presso diversi locali ove i clienti e i frequentatori amanti del pane e non solo, potranno degustare questi prodotti semplici, ma unici nelle loro sfumature. Appuntamento, dunque, alla Torre di Valvasone, al Favri di Rauscedo e così via. (M.R.) foto M. Rossi 6 Il Fogolâr Furlan di Milano I trimestre 2011 La pagjine furlane IL 7 CJANTON DAI ARLÊFS E DAI LETÔRS Ciâr letôr, par cheste volte tu scugnarâs fâ di mancul de rubriche «Flôrs dal nestri zardin»: o vin vût miôr fâ sît ai compits di cjase dai arlêfs dal Cors di Furlan, che di doi mês in ca a son tornâts sui bancs di scuele. Intal prin puest, i compits di chei che pe prime volte in vite lôr a àn metût jù magari dome cualchi rie par furlan; daspò chei che si son za sfrancjâts; e vie vie fin a rivâ a chei che simpri di plui a si son fats cognossi. Par finî in ligrie cu la ridade, paraltri, o vin mantignût il «Cjantonut des sflocjis». FRUÇONS di Laura Zelin TAL CORS UN GNÛF INSÊT di Spartaco Iacobuzio Al è di pôc che o soi al Cors di Furlan dal Fogolâr di Milan. Al è biel, parcè che, ancje se o soi lontane dal Friûl, o puès cjacarâ la lenghe e vivi la culture furlane. In pocjis peraulis, sintîmi a cjase: o ai il Friûl intal cûr. E cumò o pues imparâ a scrivi robis cussì: ce sflandorosis che a son lis stelis dal cîl dal Friûl! O vîf a Milan di une vore di agns, ma un tocut dal Friûl al è restât, dulà che o soi nassude e dulà che o ai passât la mê zoventût. Ce biei ricuarts! Cuant che mi domandin: “Di dulà sêstu?”, o rispuint braurose: “O soi furlane”, nancje che o fos il President de Republiche! L’an passât o ai començât a frecuentâ il Fogolâr Furlan, chi a Milan, ancje cu la sperance di imparâ alc di plui su la lenghe e la culture. Mi plasarès fevelâ ben il furlan! A disin che a fuarce di falâ si impare. O starin a viodi... sperìn! Vuê, bedalore, si torne a scuele di furlan. Si torne seneôs di viodi i “vecjos” amîs e curiôs di scuviarzi lis nuvitâts di chest an. Si scomence cuntun gnûf insêt: trê zovins cun voe di fâ ben, Antonella, Laura e Daniele. Antonella, oriunde di Tumieç, e à chê di tornâ a cjapâ il fîl dal lengaç dal so paîs. Laura e ven di Purjessin, un paisut dongje Cividât. E à braure di sei furlane e de sô cariere militâr: par cumò e je sototenente inte aeronautiche. Daniele, fì di furlans di Fossalte di Puart, al è nassut a Milan. I ten a imparâ la marilenghe. Mi conte che so missêr al discor simpri par milanês: il biel al è che ducj lu capissin e a cirin di lâi daûr. Al è biel scomençâ cun musis gnovis e ferbintis. O vevin propit bisugne di une sburtade. Cun lôr e cui “vecjos” o fasìn un mac incolorît di feveladis furlanis, ognidune cu la sô sfumadure. Chest an o varessin di impegnâsi a fâ alc di plui. Il mestri Sandri al a zâ segnât il troi che o vin bati. Nô o vin di studiâ di plui. Tignî a mens lis pocjis regulis gramaticâls. O vin di scrivi di plui, ancje sot detature. O vin di olsâ a meti jù peraulis e pinsîrs, cirint di pensâju prime par furlan. Ducj i arlêfs e àn di usâsi a scrivi alc, ancje chei che no pitochin nancje une peraule par furlan: mi riferìs a lis dôs arlevis triestinis che, par altri, a son mestris in dut. Se al ven iniment un pinsîr, si à di metilu jù subit prime che si smamissi. Al è miôr fâ e falâ pluitost che no fâ. Il mestri e i scuelârs a pensaran a justâ dut e meti ogni peraule al so puest. O vin di fâ come il missêr di Daniele cul so milanês. O vin di fâ dut, o scuasit, tal nestri furlan: fevelâlu, leilu, pensâlu, scrivilu e, salacor, cjantâlu. SCUELE E... DOPOSCUELE di Gianni Colussi SI TORNE A SCUELE di Pietro Grassi O SOI FURLANE! di Rita Rossi Come ogni an, a Zenâr si sin tornâts a cjatâ par començâ il cors di furlan. Chest an, in plui dai solits partecipants, si son presentârs trê gnûfs arlêfs: a son zovins, cun grande sodisfazion di ducj, parcè che a fasin ben sperâ pal avignî. Mi ricuardi che cuant che o ai començât a frecuentâ la scuele, no disevi nancje une peraule di furlan, ancje se lu capivi. Cumò no soi ancjemò rivât a vê la paronance complete de lenghe: tant che, pal moment, o stoi fevelant un “global friulan”, come che si disarès par inglês, che al baste par fâsi intindi de int. Di fat, cumò ogni dì o rivi a cjacarâ cun mê mari, cun grande sodisfazion par ducj i doi. O soi ancje stât bon di scrivi alc pal gjornâl, in grazie di chel che o ai imparât a scuele, cul incoragjament e lis corezions dal mestri. Par altri, nol è che a scuele si studie dome la gramatiche e la leterature furlane, ma si fâs ancje tante culture e scambi fra i arlêfs des diferentis tradizions de nestre int. Dispès si partìs di un detai, come la etimologjie di une peraule e si passe a fâ confronts cun altris lenghis: di chi il pas al è curt par lâ dentri in altris storiis e inte storie plui in gjenerâl. Une volte o vin ancje rivât a preparâsi par une recite par furlan intune rapresentazion publiche. E dopo la scuele? Ben, al podarà parê di strani, ma ancje intal famôs “ghiringhel” che si ten di rigôr a la fin des lezions tor vot di sere, intant che si cerce e si cepele e si bêf intor di une taule plene di buinis robis, e no dome furlanis, si fevele di culture. No crodêso? O sês invidâts a notâsi e a partecipâ! IL CORS DI FURLAN 2011 di Corradino Mezzolo Ancje chest an e je scomençade la scuele di lenghe furlane. E varès vût di scomençâ il vincj di Zenâr, ma chel dì li o sin lâts a rindi il meretât onôr al nestri cjâr Beno Fignon, che za un an e mieç nus à lassâts. Nestri, parcè che inte clape dal Fogolâr al à dât un grant contribût di culture, cui siei libris, cu lis sôs fotografiis e soredut di ricrei, cu la so armoniche che nus pâr di sintîle ancjemò a sunâ. O sin lâts inte glesie di San Simplician, propit li in bande di dulà che Beno al lave a studiâ nuie di mancul che teologjie. Fate cheste doverose jentrade par ricuardâ un amì, la joibe dopo, ven a stâi il vincjesiet di Zenâr, e je scomençade la scuele, e subìt il mestri nus à dit che chest an si cambie regjistro: a son di fâ i compits a cjase e ducj a varan di scrivi alc pal nestri gjornâl e no lassà simpri i solits a strussiâsi par dâ dongje i articui di meti tal “Cjanton dai arlêfs”. La novitât le à conseâde un arlêf; e le à motivade cul fat che tal nestri cors a son diviers nivei di preparazion e ognidun al à di esprimisi al miôr des sôs cognossincis. E par finì, la nestre maravee a viodi la stance plene di int. Une sdrume di arlêfs che a fâs ben sperâ pe nestre lenghe, ancje parcè che no si pues tasê che e je rivade une fantate, e ce fantate, a puartâ un aiar gnûf tal nestri Fogolâr. Un ajar di zoventût, la proverbiâl zoventût di Udin: anzit, miôr ancjemò, di Cividât. IL GNÛF CORS DI FURLAN di Sergio Jacuzzi O vin di fâ un compit scrit: il principi dal gnûf cors di lenghe furlane. O ai di confessâ che lu spietavi: il cors, no il compit, par vie che o soi simpri stât un patît di cheste iniziative dal Fogolâr e o ai une vore di braure di fâi part. Chest an, ae prime lezion, o vin vût il plasê di cjatâ trê gnovis personis. Nuie ce dî su lis musis dai solits arlêfs ma, cjatâ trê gnûfs components al fâs un grant plasê. La contentece e je stade ancjemò plui grande considerant che i trê ultins rivâts a son zovins. E ce varessio vût di dî intal scuviarzi che fra i gnûfs e je une fantate di Purjessin, ven a stâi un paîs dongje di Cjararie, lì che di frut o soi stât vot agns in coleç. Sul prin moment mi soi sintût come se ancje jê e fos stade tal stes coleç e che o varessin vût une infinitât di robis di contâsi. Par ordin che a rivavin i arlêfs o scomençavi a bacilâ se il spazi de stanzie al fos stât avonde par ducj: o vin cetantis cjadreis, ma al è bielzà il puar Roberto che al scuen sentâsi fûr de puarte par mancjance di sît. Chest nol è un vêr probleme, magari cussì no, par vie che da râr o sarìn simpri presints ducj i vincj arlêfs che si son notâts: lavôr, altris ativitâts, trasferiments e vie discorint, a lassaran simpri cualchi sit a disposizion. L’impuartant par chei che no puedin vignî, al è che ur resti un bon ricuart dal timp passât insieme, e cu la voie e la pussibilitât di doprâ chel che a varan imparât, pôc o tant, sul scrivi, sul lei e sul fevelâ par furlan. Alcuni allievi intorno al Mestri Sandri in una immagine scattata durante una lezione della «Scuele di Furlan» del nostro Fogolâr nel 2004. (foto di Marco Rossi) Si sa di simpri che “Pifanie dutis lis fiestis e scove vie”, ma par nô furlans di Milan chest al è il timp di tornâ a fâ fiestis frecuentant il cors di lenghe, leterature e culture furlanis, che il Fogolâr al à inmaneât ancje chest an, di tredis agns in ca. Difat, plui che di lezions stufadicis, e chest di sigûr par merit dal nestri president e mestri, si trate di vê part, ogni joibe di sere, a une fieste sclete di chê furlanarie che, voe o no voe, o vin tal sanc. Ancje se, magari cussì no, cualchi niule e ven simpri a scuindi un pôc di chest soreli. Par esempli, o pensi che al sarès une vore biel che la lenghe furlane e podès svantâsi di vê un premi Nobel come che e à la lenghe provençâl cul so poete Frederì Mistral, autôr, fra l’altri, dal poeme “Mireio” (Mirella) e di une racuelte di poesiis intitulade “Lis iscio d’or” (Lis isulis d’aur). Cheste invidie e salte fûr ancje dal fat che une lenghe cun peraulis che a finissin par “o” e somee une vore al furlan che si fevelave par antîc par esempli a Cividât (ricuardìn “Biello dumlo di valor”) e che si fevele ore presint in cierts paîs de nestre Cjargne (e ducj a cognossin “Oh ce buino l’ago frescjo / di Ludario e Rigulât”). Ma miôr meti in bande ogni motîf di maluserie e scomençâ a frecuentâ chestis nestris fiestis culturâls come un vêr at di amôr pal Friûl, par podê mantignî e svilupâ un afiet simpri plui grant pe nestre Piçule Patrie e pe sô int. IL BALONUT BLU di Elena Colonna Cuant che si dîs che i timps a son cambiâts, che al jere cetant miôr prime, che lis robis no son plui chês di une volte, che i zovins no àn sintiment... al vûl dî che si è propit deventâts viei. Jo no mi sint viele; e di fat, par solit, no fâs di chescj discors. Par altri no crôt che la int e vebi nostalgjie di lavâsi a buinore cu l’aghe glaçade dal seglâr di cusine, di resentâ zeis di lavâ di linçui intun riul, di lâ ator di unviar cu lis çuculis par fâsi vignî i poleçs tai dêts dai pîts... E pûr, a son lis piçulis robis che cualchi volte ti dismovin dentri un ricuart, un malincûr, une strane voe di semplicitât. A Tarcint, tor fiestis di Nadâl, in place a son barachis di zugatui e golosets pe canae, une gjostre, un vapôr cui vagons, robis cussì. E mi è tocjât di viodi un frutin che si strissinave daûr un balon plui grant di lui, a forme di motociclete, slusint di colôrs sfaçâts. Plui in là al jere l’omenut dai “balons”: a ’ndi veve a forme di aeroplano, di dolfin, di elefant, di “Uomo Ragno”, di “Barbapapà”, di “Hello Kitty”. Ducj grandonons, ducj colorâts: di ros, di blu, di vert, d’aur e d’arint. E alore mi è vignût sù un ricuart cetant dolç di cuant che o jeri frute, che o podevi vê salacor siet agns. La mê famee e steve vonde ben: no mi mancjave nuie, nancje i zugatui e i golosets. Ma e jere apene finide la vuere e no jerin timps di grasse, par nissun. O stevin a Milan; e une dì mi àn menade al Parco Sempione e mi àn comprât un balonut: piçul, sempliç, colôr blu. Salacor e jere la prime volte che o viodevi un balon: in timp di vuere no’ndi jerin ator. Cetant che o ai zuiât parie! Lu ai puartât a cjase e mi incjantavi a lassâlu lâ sù fin sot il sofit e po dopo tornâlu a tirà jù tirant il so spali a pendolon. E cuant che si è disglonfât, gno fradi grant i à soflât dentri e lu à tornât a sglonfâ; e ben che nol leve plui sù sul sofit, o ai zuiât ancjemò par cualchi dì come cuntune bale lizere e saltarine. Plui indenant, salacor, o ai vût altris balons e di altris colôrs: ma il balonut blu mi è restât tal cûr come une grande maravee. I timps a son cambiâts - par fuarce! - ma i fruts, o riten, a son simpri chei: a son i grancj che ti àn lis maniis di grandece. E o scometarès che, pluitost di chei balons strambats e grandonons cui colôrs sfaçâts, ai fruts ur plasarès di plui il miò cjâr, piçul e sempliç balonut blu. foto M. Rossi ***** Al è Carnavâl. O mi visi di cuant che o jeri piçule e o levi in mascare ator pal paîs. Nô fruts o tornavin di scuele e di corse si gambiavin par no piardi timp. O levin ator par lis cjasis e nus devin cualchi becin o bombons. Cuant che al vignive scûr o levin a cjase di un di nô a spartî ce che o vevin vançât, parcè che il dopomisdì al è lunc, e dispès si sintive dibisugne di gramolâ alc. Cumò, ancje se no soi plui frute, mi plâs istès fâ fieste; e ancjemò tal gno paîs o organizìn alc di biel par passâ il timp in ligrie. IL CJANTONUT DES SFLOCJIS IL PAMPAGAL MALEDUCÂT di Sergjo Jacuzzi Un frutat al veve comprât un pampagal che al fevelave, sì, ma al diseve dome peraulatis e porcariis. Il frutat si met tal cjâf di fâlu dismeti e di usâlu a fevelâ come che si devi. Al prove a cridâi cuant che al dîs paraulatis: nuie. Al prove a no dâi di mangjâ: piês, cu la fam al deventave ancjemò plui sbocjassât. Al prove a siarâlu tal scûr di un armâr: cuant che lu tire fûr, piês ancjemò. Une dì, no savint plui ce metisi a fâ cun cheste bestie, il frutat, invelegnât, lu cjape pal cuel, i berghele: Vonde peraulatis cumò! E lu sbat dentri tal frigo. Passât un pôc di timp, al vierç il frigo e al tire fûr il pampagal. Chel i svole su la spale e i dîs: Paron, o soi veramentri pintît dal miò comportament di prime! Il frutat al reste di clap; ma dopo un pôc il pampagal al ripie flât e con dute calme i domande: Ma par plasê, saressial pussibil savê ce che al veve cumbinât il poleç? LAVORÂ A MILAN di Sergjo Jacuzzi Suntun treno che al menave a Milan al jere sentât un omp di campagne. Al jere il sô prin viaç, che lu puartave une vôre lontan di cjase. Cheste facende lu scjassave no pôc, e si viodeve: al jere sbatût, al tremave, si remenave. Dute cheste pôre i vignive de idee che si jere fate di Milan: la confusion, la droghe, la delincuence, i maçalizis e vie discorint. Un frutat sentât di face, si vise di dute che agjitazion e i domande il parcè. - Eh, mi tocje di lâ a vore a Milan e o ai une pôre di chês. Robariis, sassins, droghis... robis dal gjenar. - Dutis stroriis! - i rispuint il frutat - Io o stoi a Milan di cuant che o soi nassût, a Milan o lavori di simpri e no ai mai vût fastilis. E il nestri campagnûl: - Ce bielis gnovis confuartantis! mi tirin sù di morâl. Ma lui ce lavôr fasial a MiIan? - O soi l’adet ae metrae di code sul furgon blindât di un fornâr… IL MÛR DAL VAÎ DI JERUSALEM di Elena Colonna Un gjornalist al va in Israel cun chê di fâ un grant “reportage”, fevelant cun int di ogni ete, classe e culture. Rivât a Jerusalem, si ferme denant dal “Muro del pianto”, dulà che cuatri o cinc ebreos di chei une vore religjôs a prein niçulantsi cun devozion secont la usance. Il giornalist al spiete che un di lôr al vedi finît lis sôs preieris , po i va dongje e i domande se al podarès fâi une piçule interviste. “Parcè no!” - i rispuint l’om cun biel mût. “Lui vignial dispès a preâ in chest lûc?” “O ven ogni dì, trê voltis in dì. A buinore o prei pe mê famee, che a sedin ducj simpri cuiets, serens e in buine salût; tal dopomisdì o prei par Israel e par dut il mont, che e regni la pâs e la concordie; e la sere o prei dome par me”. “La sô e je une devozion veramentri grande! - al dîs il giornalist, plen di amirazion - E che mi disi: aial mai vût un segnâl, une rispueste aes sôs preieris?” “Po no no! Al è come fevelâ cul mûr”. Il Fogolâr Furlan di Milano I trimestre 2011 8 Varie VETRINETTA n paio di anni fa avevamo recensito uno splendido lavoro legato ad un proU getto didattico friulano. L’attiva realtà scolastica della «Scuola Primaria a tempo pieno» di Prato Carnico ci porta ora a parlare di un particolarissimo Lunario: si tratta di una delle tappe che, a suo tempo, avevano segnato il percorso formativo che ha portato alla pubblicazione del libro «Ierbas di Cjanâl - Il prato carnico in tavola» e che ora proseguono con nuove iniziative. Il «Lunari dal 2011» porta il titolo «Àrbai», cioè Alberi; e come il libro è scritto in italiano e in friulano. Molte parti del testo sono redatte nella tipica varietà di carnico della Val Pesarina, con la revisione della grafia a cura della dott.ssa Cinzia Petris. Ad ogni mese corrisponde la descrizione di una essenza arborea, con le sue caratteristiche - foglie, fiori, frutti - il suo uso e alcune curiosità. Un piccolo vocabolario illustra numerosi termini friulani poco conosciuti. Scorrendo i mesi, ritroviamo dettagli relativi alle festività locali: 20 gennaio San Bastian cu la viola in man, Protetôr da Prât, e così via. Insomma, ancora una volta un lavoro didattico che dovrebbe essere la regola nel settore istruzione: conoscenza del territorio, usi, costumi, approfondimento e conservazione linguistica attiva. Abete bianco, abete rosso, tasso … anzi Dana, Peç, Tac ed ancora, Frassent, Larç, Poval, Roval … diventano così i protagonisti di una ricerca ove trenta alunni, sapientemente guidati dai loro insegnanti e con l’aiuto della famiglie, diventano protagonisti di un bellissimo lavoro, utile e, cosa non indifferente, molto gradevole per la ricca e coloratissima tavolozza dei disegni che illustrano i mesi dell’anno. (M.R.) Gabriele Pressacco «UN ASSAGGIO DI STORIA» Editrice Leonardo, Udine 2010 abriele Pressacco, friulano di Palmanova, divide la sua vita G tra Turrida di Sedegliano e Lignano Sabbiadoro. Cuoco, ma anche laureato in Lingue e Letterature Straniere a Udine, si alterna tra cultura e divulgazione del friulano, senza mai abbandonare la passione per la cucina. L’abbiamo incontrato a Milano durante le «Settimane della Cultura Friulana» del novembre 2010. Oltre a deliziarci con alcune sue prelibatezze gastronomiche, Gabriele ha presentato la sua novità libraria «Un assaggio di storia», che nel sottotitolo precisa: L’alimentazione in Friuli: nella storia, nella società e nei documenti letterari. Infatti, non ci troviamo di fronte a un cuoco che propone l’ennesimo libro di ricette, ma piuttosto a un lavoro scientifico di ricerca storica nel settore gastronomico ed alimentare: un lungo percorso che ha origine nel mondo antico. Il volume infatti parla dell’alimentazione in Friuli: caratteristiche, tradizione, storia del sistema alimentare friulano, attraverso una rilettura dal punto di vista gastronomico. Epoche storiche, dall’antichità al «Leone alato» della Serenissima, all’Ottocento, passando attraverso i grandi capitoli del mais, della patata, di formaggi, erbe e uova per concludere con i dolci. (M.R.) Coro Brigata Alpina Julia Congedati «INCANTO IL CANADA 2009» Graphistudio 2010 EZIO ROJATTI IN CONCERTO SALA VERDI DEL CONSERVATORIO DI MILANO foto C. Mezzolo NELLA Istituto Comprensivo di Comeglians Scuola Primaria di Prato Carnico ÀRBAI - LUNARI DAL 2011 Grande successo di pubblico, sabato 19 febbraio 2011 a Milano, per l’iniziativa di promozione del territorio bresciano organizzata dall’Amministrazione Provinciale in concomitanza con la Borsa Internazionale del Turismo. L'atteso concerto della Brescia Orchestra diretta dal Maestro Rojatti, infatti - sottolinea una nota del Broletto - si è rivelato essere uno dei più raffinati appuntamenti del fuori BIT, richiamando nella prestigiosa Sala Verdi del Conservatorio meneghino oltre 800 spettatori. Un ampio consenso sicuramente dettato non solo dalla possibilità di ascoltare le prime due sinfonie di Ludwig van Beethoven ma anche dalla ghiotta opportunità di assaporare una selezione di prodotti tipici bresciani offerti per l’occasione dai Consorzi partner dell’iniziativa (Consorzio Franciacorta, Consorzio Garda Classico, Consorzio Lugana Doc, Consorzio Grana Padano, A.I.P.O.L. - Ass. Interprovinciale Produttori Olivicoli Lombardi). da BSNEWS.IT, 24 febbraio 2011 Fra Giovanni M. Pressacco (24 settembre 1921- 9 ottobre 2010) Riceviamo da padre Ermes Ronchi della Comunità dei Frati Servi di Santa Maria di San Carlo al Corso questo breve pensiero per la scomparsa del confratello Giovanni. Uno dei tanti friulani che ha trascorso la sua vita all’ombra della nostra Madonnina. Fra Giovanni ci ha lasciato durante la cena con noi, la sua famiglia: è come scivolato via dalle nostre braccia a quelle di Dio. Quasi con dolcezza, senza sforzo, come una barca leggera che ha trovato il filo della corrente tanto cercata. La sua memoria tra noi è in benedizione: era bello vivere insieme con lui, sempre il primo a salutare, a sorridere, a ringraziare. Si pregava bene vicino a lui, alla sua compostezza serena. Ha amato la nostra chiesa di San Carlo come una sposa: le sue mani laboriose e sapienti su ogni angolo, ogni fiore, ogni candela, l’altare preparato, le porte aperte e chiuse, le campane su Milano. Una autenticità, una profondità, una autorevolezza c’erano in fra Giovanni, una consistenza e solidità d’altri tempi, che ci hanno consegnato il testimone di un modo autentico e benedetto di essere Servo di santa Maria: preghiera e lavoro, fedeltà di gesti semplici che resistono intatti nel tempo, spiccioli di una vita, ma gettati tutti nel tesoro, come la vedova del vangelo: «ha dato più di tutti, gli altri hanno dato del loro superfluo, lui ha dato tutta la sua vita» (Lc 21,3). E’ mancato il socio Enrico Accardi, fondatore delle ACLI milanesi urerà a lungo l’eco di questo splendido coro che ha portato dal Friuli e da D altre parti d’Italia il suo messaggio musicale in occasione della giornata natalizia del Fogolâr domenica 19 dicembre 2010. Fresco di stampa, con l’esibizione del coro, è arrivato il volume che ricorda la tournée dei cantori in terra canadese. E’ una sorta di reportage fotografico del viaggio che il «Coro Brigata Alpina Julia Congedati» ha fatto nel 2009 in occasione del XV congresso ANA intersezionale del Nord America. Le 130 pagine di questo colorato e vivace racconto per immagini ci fanno rivedere gli amici alpini della Julia e ci sembra di partecipare alla loro vivacità conviviale e musicale come se, in un viaggio virtuale, vivessimo la loro esperienza, gli incontri con gli italiani ed i friulani in Canada e durante i numerosi concerti. (M.R.) «NATURA, AMBIENTE, CLIMA NELLA BASSA FRIULANA. I PRINCIPALI CATACLISMI NATURALI AVVENUTI NELLA BASSA E IN FRIULI ATTRAVERSO LE FONTI ARCHIVISTICHE ANTICHE E MODERNE» A cura di Enrico Fantin Edizioni la bassa, 2010 l presidente dell’Associazione culturale per lo studio della friulanità del Latisanese e Portogruarese “la bassa”, geom. Enrico Fantin, ha fatta pervenire al FoIgolâr Furlan di Milano una copia dell’interessante volume: “N , ATURA AMBIEN TE, CLIMA NELLA BASSA FRIULANA. I PRINCIPALI CATACLISMI NATURALI AVVENUTI NELLA BASSA E IN FRIULI ATTRAVERSO LE FONTI ARCHIVISTICHE ANTICHE E MODERNE”. Il libro, riccamente illustrato, formato da otto capitoli scrit- ti dai membri del Consiglio direttivo dell’Associazione: Giuliano Bini, Benvenuto Castellarin, Enrico Fantin e Roberto Tirelli, è stato presentato al pubblico la sera del 2 settembre 2010, nella gremita Sala consiliare del Municipio di Latisana, alla presenza dell’Assessore regionale all’Ambiente dott. Elio De Anna, del Sindaco dott.ssa Micaela Sette e di altre autorità civili, militari e religiose. ’ottuagenario Edilio Urizzi ha fatto pubblicare nel giugno dello scorso anno presso la Tipografia Romanin s.n.c. di San Michele al Tagliamento, un memoriale L autobiografico, corredato da parecchie fotografie a colori, intitolandolo: “I L SEN TIERO DI UNA VITA”, edizioni “la bassa”. Il libro, frutto delle testimonianze raccolte e coordinate dal giornalista sanmichelino cav. Franco Romanin, ricorda l’infanzia e la giovinezza dell’autore trascorsa nella natìa Visco, la sua proficua attività lavorativa (in prevalenza nell’officina dei fratelli Vida di Latisana, quale carrozziere) e la serena quiescenza che si sta godendo, attorniato dai familiari, nella sua accogliente dimora di San Michele al Tagliamento. Le variegate vicende personali sono concatenate ai contemporanei e ben descritti avvenimenti di portata storica locale e nazionale. ‘Edi’ Urizzi ha voluto donare un suo libro (con dedica) al Fogolâr di Milano per ‘sdebitarsi’ col sottoscritto, amico dell’estensore Franco Romanin, in quanto si era offerto a leggere e, all’occorrenza, correggere le bozze prima della stampa. Anche il settimanale cattolico dell’arcidiocesi di Gorizia “Voce isontina”, il 17 luglio, ha evidenziato l’uscita del libro nelle librerie della zona, con una favorevole recensione. Entrambi i volumi rimangono a disposizione, se richiesti, dei soci particolarmente interessati ai predetti argomenti. Roberto Scloza veva 94 anni: classe 1916, sottufA ficiale di cavalleria nel Regio Esercito, combattente nella seconda guerra mondiale in Francia, in Grecia e nella tragica campagna di Russia: uno dei tre soli sopravissuti della battaglia di Isbushenskij (1942), dopo la leggendaria carica alla sciabola - l’ultima nella storia del nostro esercito - che mise in fuga un reparto corazzato dell’Armata Rossa. Tornato in Italia col grado di maresciallo maggiore, Enrico si unì ai partigiani della “Osoppo” operanti in Friuli: qui conobbe Elisa, la sua futura moglie, mancata qualche anno prima di lui. Dopo la Liberazione, a Milano entrò nel nascente movimento delle ACLI, di cui fu uno dei fondatori, prima nel Servizio Emigrazione e poi nel Patronato, nel cui ambito svolse l’attività altamente benemerita di tutta la sua vita. Fu socio attivo e revisore dei conti del nostro Fogolâr: assiduo partecipante a tutte le manifestazioni, fu anche apprezzato interlocutore nella discussione del bilancio nelle assemblee annuali, che continuò a frequentare fino ai suoi ultimi non facili anni di vita. Addio, carissimo maresciallo Accardi: i vecchi soci del Fogolâr non ti dimenticheranno. (nella foto: Enrico Accardi - a destra - con il cardinale di Milano Dionigi Tettamanzi) DI MILANO QUOTE SOCIALI PER IL 2011 Soci ordinari euro 35.00 - Soci sostenitori euro 60.00 Soci benemeriti euro 200.00 - Soci minori di anni 12 euro 15.00 Soci neonati (per il primo anno di associazione) omaggio «Sostenete il Fogolâr Furlan di Milano, ambasciatore delle tradizioni, dei costumi, della lingua e della cultura del Friuli» Il versamento della quota sociale, che oltre al giornale permette di ricevere le comunicazioni per tutte le manifestazioni friulane che vengono organizzate o patrocinate dal Fogolâr Furlan di Milano, va effettuato sul c/c postale n. 55960207 intestato a: Il Fogolâr Furlan di Milano - Via A. M. Ampère, 35 - 20131 Milano Sede Sociale: Via A. M. Ampère, 35 - 20131 Milano - tel. e fax 02 26680379 e-mail segreteria AT fogolarmilano.it (AT = @) www.fogolarmilano.it La segreteria è aperta il martedì dalle 15.00 alle 18.00 Redazione: Alessandro Secco (caporedattore), Marco Rossi (coordinamento e editing), Rosangela Boscariol, Elena Colonna, Roberto Scloza Autorizzazione Tribunale di Milano del 13.3.1970, n. 108 del Reg. Direttore responsabile Marco Rossi la redazione di questo giornale è stata chiusa il 21 marzo 2011