artigianato46 - Città dei Mestieri

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artigianato46 - Città dei Mestieri
46
LUG/SET 2002
A
ARTIGIANATO
tra arte e design
NUMERO 46
Luglio/Settembre 2002
Trimestrale
Anno XII
E 6,20
ENGLISH TRANSLATION
Spedizione
in abb. post. 45%
art. 2 comma 20/b
legge 662/96
Filiale di Milano
ARTIGIANATO tra arte e design
CORRISPONDENZE
MEDITERRANEE
PEZZI UNICI
ARTI
APPLICATE
ARRESOJAS
JOSIf DROBONIKU
ARREDO URBANO
A CURsI
PROGETTARE E’ DONNA
CARLO DE CARLI
I ROSONI D’ABRUZZO
PANE DI MATERA
DANIELA
CANNELLA
NELLO FERRIGNO
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Hanno collaborato a questo numero
Testi: Eduardo Alamaro, Simona Cesana, Maria
Teresa Chirico, Gianmaria Colognese, Claudia
Ferrari, Enzo Fiammetta, Adriano Gatti, Federico
Gatti, Florinda Gaudio, Ugo La Pietra, Alfonso
Leto, Murilo Fernando Moro, Simona Pagliari,
Aurelio Porro, Enrico Salvadè, Celestino Sanna,
Manuela Scisci, Isabella Taddeo, Osvaldo Valdi.
Fotografie: Archivio della Fondazione Orestiadi,
Giuseppe Cappellani, Fabio Donato, Giovanni
Ricci, Sandro Scalia, Filippo Tagliarino, Torrini
Fotogiornalismo, Raffaele Venturini.
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C.F.C Daum Italia II cop. e pag. 1;
Florence Gift Mart pag. 2; Corrispondenze
Mediterranee - Fondazione Orestiadi pag. 3;
Abitare il Tempo pag. 4; I.S.O.L.A. pag. 5;
Mostra Mercato dell’Artigianato - Lario Fiere pag.
6;
Artisanexpo - Promos pag. 7; Taormina Gift Fair Mirco srl pag. 79; Imago Shop & Fair pag. 80;
Unicef pag. 87; Koinè III cop.; Morelato IV cop.
Traduzione testi in inglese
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solo previo consenso scritto dell’Editore.
TRANSLATION
CORRISPONDENZE
MEDITERRANEE
PEZZI UNICI
ARTI
APPLICAT E
ARRESOJAS
JOSIF DROBONIKU
ARREDO URBANO
A CURSI
P R O G E T TA R E
E’ DONNA
C A R L O D E CARLI
I ROSONI
D’ABRUZZO
PA N E DI M AT E R A
DANIELA
CANNELLA
NELLO FERRIGNO
Edizioni IMAgO INTERNATIONAL
Con il patrocinio
del Ministero dell’Industria
Commercio e Artigianato
ENGLISH
ARTIGIANATO TRA ARTE E DESIGN
Anno XII, Numero 46
luglio/settembre 2002
Registrazione al Tribunale di Milano
n. 45 del 30.1.1991
A
A
A
R T I G I A N AT O Nello Ferrigno,
tra arte e design
46
LUG/SET 2002
ARTIGIANATO
TRA ARTE E DESIGN
“Amazzone” di
ispirazione mitologica
(2000), maiolica,
smalti vetrosi
e ingobbio
(foto: Raffaele
Venturini).
S O M M A R I O
Editoriale
IL DESIGNER ARTISTA-ARTIGIANO di Ugo La Pietra
10
Storia
CARLO DE CARLI di Aurelio Porro e Enrico Salvadè
12
Didattica
ARTI APPLICATE di Manuela Scisci
18
Mostre
CORRISPONDENZE MEDITERRANEE
di Enzo Fiammetta e Alfonso Leto
PROGETTARE E’ DONNA di Maria Teresa Chirico
PEZZI UNICI di Murilo Fernando Moro
22
26
30
Concorsi
ARREDO URBANO A CURSI di Ugo La Pietra
34
Progetti e territori
ARRESOJAS - ARTE ARTIGIANATO E CULTURA
DEL COLTELLO SARDO di Simona Pagliari
IL PANE DI MATERA di Celestino Sanna
39
44 Autori
INQUIETANTI FORME DEL POETICO di Massimo Bignardi
JOSIF DROBONIKU di Adriano Gatti
Fiere e Saloni
48° FLORENCE GIFT MART di Claudia Ferrari
I ROSONI DELLE CHIESE D’ABRUZZO di Osvaldo Valdi
66A MOSTRA MERCATO INTERNAZIONALE DELL’ARTIGIANATO di Federico Gatti 48
52
58
60
62
Rubriche
MATERIALI E TECNICHE di Gianmaria Colognese
AREE REGIONALI OMOGENEE
SEGNALAZIONI
CONCORSO EUROPEO
CALENDARIO DELLE MOSTRE
64
70
72
81
84
English text
86
Indirizzi
88
9
editoriale
di Ugo La Pietra
Il designer artista-artigiano
Il forte interesse intorno alle arti
applicate che registriamo in
continua crescita, testimoniato da
una rinnovata attenzione dei
sindacati e di alcune istituzioni,
il fiorire in ogni angolo di gruppi
di lavoro, cooperative e varie
aggregazioni finalizzate a ridare
valore ed importanza alla cultura
del fare, ci riempiono
di entusiasmo e ci fanno sperare
per il futuro.
La manifestazione Artigianato
Metropolitano a Torino, il nuovo
corso di laurea “Progettazione
Artistica per l’Impresa” presso
l’Accademia di Belle Arti di Brera
e la grande presenza, durante
l’ultimo Salone del Mobile di
Milano della produzione artigiana
europea (craft) di alto livello
artistico e fattuale, ci confermano
questa tendenza. Sempre più, di
fatto, artisti/designer si
presentano sulla scena con la loro
“autoproduzione” rinnovando
quella che, per molto tempo,
è stata definita la figura
dell’artigiano/artista, da Ron Arad
al Gruppo Droog Design, dalla
“Produzione Privata” di Michele
De Lucchi alle esperienze di
moltissimi giovani che si
autopropongono al Salone del
Mobile nel padiglione a loro
riservato, ci confermano che
siamo di fronte ad un vero
fenomeno nuovo e ad una
attenzione da parte del designer
verso l’arte, verso le nuove
materie, verso le nuove tecniche
(povere o ricche) verso i sistemi di
10
autoproduzione (spesso anche
autarchici e comunque riferiti alle
proprie capacità).
È un nuovo artista/artigiano che
ha saputo introdurre nel proprio
lavoro tutte le componenti di
un’impresa moderna: la qualità
del progetto, le tecniche e i
procedimenti innovativi,
la comunicazione e la
commercializzazione. La vecchia
struttura dell’artista/artigiano
quasi sempre riusciva a sviluppare
le prime due caratteristiche, e non
sempre il progetto era aggiornato,
mentre i procedimenti tecnici e di
lavorazione si tramandavano da
generazione a generazione spesso
perdendo, nel tempo, valore.
Così oggi possiamo indicare
questi nuovi modelli come degli
“indici” importanti da suggerire a
tutte quelle scuole di carattere
artistico che sembrano avere
difficoltà di collocazione
all’interno del nostro sistema di
sviluppo e di lavoro.
Mi riferisco quindi ai vari Istituti
Statali d’Arte, agli ISIA e alle
Accademie che potrebbero
trovare una più chiara definizione
se sapessero guardare a ciò che sta
succedendo ormai da tempo al di
fuori della loro realtà.
In questa pagina: Bozzetti per “Amore Mediterraneo”
Nella pagina a fronte: La realizzazione di Alessi, Caltagirone (CT), 2001.
11
STORIA
di Aurelio Porro ed Enrico Salvadè
Carlo de Carli
Architetto sensibile e colto
attraverso informazione didattica e progettazione
è stato una delle figure più impegnate
nella valorizzazione e riqualificazione
delle strutture produttive della Lombardia
L'
architetto Carlo De Carli ha
progettato diversi mobili per
artigiani, lasciando un'indelebile
memoria di sé nei luoghi dove ha
lavorato, sia per la qualità degli
oggetti disegnati sia,
e maggiormente, per il suo
modo di operare direttamente
in laboratorio in sintonia
con l'esecutore.
I suoi mobili sono il risultato di
un’approfondita, ma soprattutto
appassionata ricerca creativa ed
espressiva, dal carattere rigoroso e
spesso intensamente poetico.
In occasione della presentazione
di alcuni suoi progetti alla
Decima Selettiva del Mobile di
Cantù del 1973, scrive:
"Ho l'amore per qualsiasi forma
di architettura purchè sia studiata,
sperimentata, sia essa essenziale,
oggi vorrei dire "niente" per
essere tutto, anche "mobili".
Infatti, sembra che rappresentino
un costume di vita.
Ne ho disegnati molti, ma
accennerò a questi ultimi che
come i primi cercano soltanto la
loro misura umana: non cercano
nessun effetto.
Ripeto, cercano la misura.
Soprattutto la misura che trova la
relazione con lo spazio della casa,
con il senso dell'albero".
Tra questi mobili sono da
ricordare il cassettone in frassino
per Porro di Montesolaro e il
letto in massello di frassino per
Frigerio di Intimiano.
Il cassettone è costituito da
un'esile ossatura strutturale a
12
telaio a vista con montanti
alleggeriti da una fresatura
verticale, elementi che
evidenziano, senza sovrastrutture
di mascheramento, tipiche
tecniche costruttive artigianali.
Ma l'intervento più pregevole
risulta la smussatura del piano
orizzontale, fatto direttamente in
laboratorio in collaborazione con
l'artigiano, teso a togliere la
spigolosità e ottenuto attraverso
lo spontaneo passaggio della
mano umana. In un’intervista De
Carli afferma: "Io ho la mania di
lavorare direttamente con le
persone che costruiscono. Allora
ti viene in mente di finire con una
sottigliezza a cui si dà una certa
“ditata” che, magari, sembra una
stupidaggine, però è bello perchè
ti è venuta spontaneamente alla
mente: è un creare le cose
partecipando con chi le
costruisce".
Ecco che il suo lavoro si anima
del segno tipico della “ditata”,
come la sedia presentata alla
mostra “La casa abitata”
a Firenze nel 1965.
Il letto, con testata e pediera in
doghe di massello a vista, alte e
curvate verso l'interno, risulta una
sorta di invaso protettivo, un
guscio modellato per il ricovero
dei corpi nell’intimità domestica.
Vengono alla mente le parole del
poeta Paul Valery:
“Un cristallo, un fiore, un guscio
si distaccano dal disordine
ordinario dell’insieme delle cose
sensibili. Essi sono per noi oggetti
privilegiati, più intelligibili alla
vista, benché misteriosi alla
riflessione, di tutti gli altri che noi
scorgiamo indistintamente”.
Un terzo oggetto, eseguito da
Serafino Arrighi nel 1957 per la
Selettiva del Mobile di Cantù,
riconducibile a questa prassi
operativa è la proposta e la
sperimentazione costruttiva di
due splendide, per eleganza e
snellezza, poltroncine dalla forma
organica con una leggera e sottile
struttura in legno di frassino
curvato, di cui una con il
bracciolo scavato per favorire il
naturale appoggio del braccio.
Sono oggetti che trascendono
ogni volontà di apparenza e
rappresentatività, per ricercare un
equilibrio misurato nel rapporto
con l'uomo e con lo spazio
dell'abitare, e che evidenziano
un’attenzione al dettaglio che
Nelle due pagine:
sedia “683” in massello di frassino,
compensato curvato e metallo, produzione
Cassina,
premio Compasso d’Oro 1974.
13
Dall’alto:
cassettone in frassino, esecuzione Porro 1973;
pediera di letto in ottone con cassettone
laccato rosso, produzione Sormani 1962/63.
invita anche alla piacevolezza del
contatto tattile con il mobile.
La luce fa vivere gli oggetti
“Perché forme di moto e forme
veloci? Perché espresse con i
minimi mezzi, per le linee più
rapide, col materiale tenuto ancor
vivo, come il legno è nella pianta,
quasi colmo di linfa novella;
…la materia non è più soltanto
lo scheletro meccanico utile
ma già una forma d’arte
che risponde rigorosamente
alle regole tecniche.”
La materia che costituisce gli
oggetti di De Carli vuole essere
viva, lavorata in forme
“organiche”, che cercano un
costante rapporto vitale con la
luce, attraverso il continuo variare
delle sezioni e la diversa
luminosità del legno, tagliato
longitudinalmente e
trasversalmente come nel caso
della sedia per Cassina del 1957.
Ma anche gli oggetti caratterizzati
da forme “analitiche” (che
riprendono il concetto delle
“unità singolari” dell’architettura)
sono sottolineati da piani di luce e
linee d’ombra, come nella serie di
elementi di arredo prodotti da
Sormani nel 1965 ed esposti alla
mostra “La casa abitata” a
Firenze, ottenuti accoppiando due
listelli di palissandro a sezione
rettangolare, con una incisione a
“V” sui piani frontali, utilizzati
per costruire una serie di nodi
spaziali (nel tavolo) o telai piani
(nei contenitori) in grado di
creare le varie tipologie di mobili.
14
Dall’ alto:
mostra “La casa abitata” Firenze 1965;
tavolo in legno massello, 1940.
La ricerca di uno stile italiano
del mobile
Carlo De Carli, in qualità, prima
di direttore della rivista "Il
Mobile Italiano", poi di Docente
del Corso di Arredamento oltre
che di Preside della Facoltà di
Architettura del Politecnico di
Milano, inizierà un intenso
rapporto con i centri di
produzione italiani
dell’arredamento.
Condurrà un lavoro sistematico di
ricerca indirizzato alla
valorizzazione, ma anche alla
riqualificazione, delle strutture
produttive locali, soprattutto
artigianali, per attivare un
rapporto organico e continuativo
fra cultura del progetto e
produzione, troppo spesso
confinato in situazioni
occasionali e casuali.
De Carli è tra i promotori e gli
organizzatori del Concorso
Internazionale e Mostra Selettiva
del Mobile di Cantù (1955); della
Biennale dello Standard
nell’Arredamento di Mariano
Comense (1958); della Settimana
Lissonese per la Casa.
Con la rivista "Il Mobile
Italiano", da lui fondata nel 1957,
intende proporre la progettazione
e la costruzione di un mobile
italiano con una precisa identità
figurativa e costruttiva, e quindi
affrontare: "I problemi attuali
della produzione del mobile in
Italia per estendere il
rinnovamento tecnico e formale
al campo dei mobili, in crisi per la
15
concorrenza scandinava e
per il persistere di antiquate
concezioni estetiche".
Le proposte attivate dalla rivista
sono finalizzate ad organizzare
"centri di produzione", legati ai
diversi contesti produttivi del
mobile (Cantù, Lissone, Lurago
d’Erba, Mariano Comense,
Trento) per configurare momenti
associativi tra produttori e
progettisti, capaci di svolgere
un'attività coordinata: dall'analisi
del mercato all'approvigionamento
delle materie prime, dal progetto
alla realizzazione del prototipo,
dalla produzione alla diffusione e
alla vendita del prodotto.
"In tal modo si tende a
riconoscere e a garantire
autonomia culturale e di mercato
ai centri mobilieri periferici
(rispetto ai centri metropolitani,
dalle cui attività espositive e
culturali internazionali, come le
Triennali, rischiavano di restare
sempre più emarginati)”.
Spazio primario
“…lo spazio è in ogni caso… un
atto di qualificazione, una
autentica attribuzione o
donazione di senso…non è
qualcosa di esterno (su cui si
ritaglia) e neppure una pura
interiorità, poiché nasce intriso di
vissuto di tutta l’esperienza
vissuta. Proprio per questo
avviene in Architettura che lo
spazio cosiddetto interno non è
mai tale per rapporto o per
semplice inversione logica dello
spazio esterno ma è la stessa
interiorità genetica dello spazio,
la genesi stessa e quindi la
qualificazione dello spazio come
tale. …Ciò fa sì che questo spazio,
con il suo qui ed il suo ora, non
solo involga nel proprio atto
costitutivo la temporalità e la
storia, ma privatizzi anche il
nostro io che lo vive: questo
spazio, infatti, non è né può
essere solo il nostro spazio, ma il
più oggettivo, storico ed etico
spazio della intersoggettività …
questo a buon diritto può anche
16
Dall’alto:
strutture per poltroncine in frassino tinto,
esecuzione Arrighi 1957;
poltrona e divano con struttura in manila,
produzione Vittorio Bonacina 1974.
essere chiamato, in sede di
architettura, spazio primario: non
già in quanto debba godere di
qualche primalità valutativa, ma
per la sua vicinanza
all’originarietà primaria che lo
costituisce nella genesi
progettuale ed operativa…”
Le ricerche di De Carli hanno
portato alla metà degli anni
sessanta all’idea di “spazio
primario”: spazio di relazione,
della genesi del progetto, o
meglio del gesto umano semplice
e autentico che si apre agli altri e
al mondo.
I mobili di De Carli nascono con
queste attenzioni e né è
testimonianza la capacità
comunicativa, sempre discreta e
rispettosa, dei mobili dei primi
anni ’60, come ad esempio il
cassettone “rosso” caratterizzato
dalla lunga dimensione del fronte,
dalla delicata sagomatura del
coperchio e dal discreto appoggio
a terra (quasi in punta di piedi), o
il letto in ottone, con ritti in
tubolare a sezione quadrata e un
semiarco rovesciato (ottenuto
dalla curvatura di una piattina a
sezione rettangolare), uniti ad un
pannello di legno impiallacciato
in palissandro, che creano un
telaio al cui centro è posto un
disco, sempre in ottone, con
superficie convessa, in grado di
creare giochi quasi “metafisici” di
riflessione, deformando le
immagini che vi si specchiano.
A ragione si può affermare che i
mobili di De Carli sono “microarchitettura”, non nel senso di
rivestire un oggetto d’uso con
forme degli stili storici
miniaturizzati, ma nel loro stesso
atto genetico, che dà vita ad
organismi animati e viventi, in
grado di resistere al tempo, al
variare del gusto e alle mode:
questo dimostra che le forme
degli oggetti progettati da Carlo
De Carli sono forme di relazione.
Creare in continuità
“Io desidero segnare la necessità
dell’immanenza del concetto di
“continuità” in ogni forma
creata in qualunque tempo,
perché sia possibile giungere
all’arte…”
La continuità per De Carli
è un concetto che attraversa
tutto il suo operare e il suo
esistere: dalla progettazione
alla didattica, dalla natura alla
città, dalla tradizione all’innovazione, dalla fede alla vita.
Il suo rapporto con l’artigianato
è attento e discreto:
studia le caratteristiche e la
storia di ogni centro produttivo
per poi proporre temi di
riflessione, idee, per proseguire
in “continuità”, stimolando la
crescita delle singole realtà.
Il concetto di “continuità”,
puntualizzato nella prima metà
degli anni ’40, è una costante
nell’opera di De Carli,
già presente nel tavolo scrittoio
del 1940 caratterizzato
dal piano con sagoma ad “ali
di farfalla” e dalla forma
curvilinea continua degli
elementi della struttura,
è ancora presente nell’ultimo
progetto di imbottiti per
Vittorio Bonacina del 1974,
dove il ritmico arretramento
delle canne di manila
che formano il bracciolo, creano
una particolare continuità con
la mano.
Da sinistra:
Sedia smontabile in pressofusione
di alluminio progettata per la mostra
“La casa abitata” Firenze 1965,
produzione Sormani;
Carlo De Carli,
ritratto da Roberto Sambonet.
Nota biografica
Nato a Milano nel 1910, si laurea in
architettura nel 1934. Pubblica brevi
saggi su "La Velocità, nuovo tempo
musicale dell'Architettura" e la
"Continuità fra architettura e natura".
Il maggior numero delle sue opere di
architettura, arredamento, allestimento
e design si concentra tra il dopoguerra
e gli anni sessanta. Dal 1940 al 1957
collabora attivamente con la Triennale
di Milano. Vince il Compasso d’Oro
alla prima edizione del 1954.
Direttore della rivista “ll Mobile
Italiano”, promuove il rinnovamento
culturale dei centri di produzione
mobiliera in rapporto con l'Università.
Nel 1962 sostituisce Gio Ponti nella
cattedra di Architettura degli Interni,
Arredamento e Decorazione alla
Facoltà di Architettura del Politecnico
Milano. Dal 1965 al 1968 è Preside
presso la stessa Facoltà, dove insegna
fino al 1986. Fra gli scritti più
importanti: gli editoriali della rivista
Interni (1967-71) di cui è stato anche
direttore; Architettura. Spazio
Primario (1982); Creatività (1989);
Corollario (1993). Dopo l’abbandono
dell’insegnamento vive a Bogliaco sul
Lago di Garda dedicandosi all’attività
pittorica; muore a Milano nel 1999.
17
didattica
di Manuela Sisci
Sotto la direzione di Fernando
De Filippi e coordinato da
Ugo La Pietra, il nuovo
dipartimento non deve essere
letto come l’ennesima scuola
di disegno industriale.
Già la definizione “Progettazione
Artistica per l’Impresa” indica che
l’iter didattico tende ad
orientare lo studente all’interno
di una progettualità aperta: dalla
bottega artigiana all’industria,
passando per committenze
istituzionali come Comuni,
Regioni, Enti privati e pubblici.
Ma la vera novità di questo
dipartimento sta nella forte
attenzione nei confronti di quelle
Arti Applicate che il Disegno
Industriale aveva da troppi anni
dimenticato. Sono ormai diversi
anni che stanno riaffiorando
tematiche legate al fare “artistico”
all’interno della progettazione,
basterebbe ricordare tutte quelle
operazioni sviluppate all’interno
del “sistema design” da
Ugo La Pietra: mostre come
“Abitare con l’Arte” (ex chiesa di
San Carpoforo a Milano),
“Progetti e Territori” e “Genius
Loci” (Abitare il Tempo a
Verona), mostre e seminari sulla
cultura del progetto in rapporto
alla cultura del fare nelle varie
aree di produzione artigiana,
oltre all’intenso dibattito
sviluppato negli ultimi vent’anni
con la direzione delle riviste:
Area (1987-1990), Abitare con
Arte (1990-1994), Artigianato tra
Arte e Design (1995-2002).
18
Arti Applicate
All’Accademia di Belle Arti di Brera
da alcuni anni il nuovo dipartimento
“Progettazione Artistica per l’Impresa”
riapre il rapporto cultura progettuale-cultura artistica
La maggior attenzione nei
confronti dell’arte che sembra
quindi essere sempre più
presente all’interno della
produzione degli oggetti trova la
sua naturale definizione in questo
nuovo corso sperimentale
fondamentalmente caretterizzato:
dal recupero delle Arti Applicate
all’interno del sistema del design,
Laboratorio progettuale II
Prof. Ugo La Pietra
Nella pagina a fronte dall’alto:
progetto per souvenir di Lodi Vecchio;
progetto per souvenir di Lecco
(Manuela Vertenati).
In questa pagina dall’alto:
souvenir della città di Roma
(Valentina Guerrini);
“La modifica dell’ambiente”
lo studente (Andrea Chessa) progetta
un intervento di decodificazione
o trasformazione rispetto a ciò
che gli appare inadeguato nella città.
dalla forte presenza di laboratori e
dall’esaltazione dell’autogestione
e autoproduzione.
Per realizzare tutto questo i corsi
si stanno sviluppando in tre
grandi aree:
1) teoria e storia con materie
come la storia dell’arte, la storia
del disegno industriale e delle Arti
Applicate (Prof. Gualdoni, Di
Pietrantoni, Vitta, Pansera);
2) laboratori progettuali e
tecnologici (Prof. La Pietra,
Grassi, Santachiara), logica
d’impresa (Prof. Bucci, Messina),
risorse del territorio, ambito
disciplinare (Prof. Ferreri,
Mantica);
3) e infine, nella profonda
convinzione che all’interno della
cultura del fare si muovono due
grandi filoni espressivi (il reale ed
il virtuale), laboratori che
privilegiano il rapporto
individuo-strumento (disegno,
modellistica, computer) e il
rapporto individuo-materia
(gesso, bronzo, ceramica tra le
prime materie introdotte “con
convenzioni” nei confronti di
reali laboratori esterni).
Come è possibile notare le grandi
novità di questo corso sono
l’interesse verso un percorso
storico riferito all’arte e all’arte
applicata per approdare al
disegno industriale da una parte
e all’autogestione e produzione
del prodotto artistico dall’altra.
L’introduzione di una materia
come “risorse del territorio”
che consente di dare allo studente
19
In questa pagina, sopra e a lato:
Laboratorio progettuale II
Prof. Ugo La Pietra
recupero e reinvenzione di Andrea Chessa
per la mostra “L’oggetto travestito”
(Firenze).
Sotto:
Laboratorio fusione bronzo
Prof. Simoncini
diverse fasi di lavorazione.
Nella pagina a fronte, dall’alto:
laboratorio gesso
Prof. Jonny Dell’Orto
“Il labirinto” (I anno);
“L’architettura negli Euro” (II anno).
20
la possibilità di vedere da vicino
le realtà che lo circonda:
dalle esplorazioni nella bottega
artigiana all’industria,
dal negozio alla mostra,
attraverso i seminari e i dibattiti,
una sorta di laboratorio attivo
che il professore con gli studenti
sviluppa all’esterno della sede
didattica; l’avvicinamento
dello studente nei confronti
della logica del sistema,
per aiutarlo a capire quali sono i
grandi temi della disciplina legata
all’economia e allo sfruttamento
delle risorse, alla comunicazione,
commercializzazione di un
prodotto; i laboratori del fare,
utilizzando convenzioni esterne
(tutti sanno che nelle scuole
superiori non ci sono veri e
propri laboratori!); i laboratori
di progetto in cui si affrontano
temi che vanno dal “souvenir”
per una manifestazione, un
Comune o una Regione, ai
sistemi di intervento urbano per
“abitare meglio la città”.
Tutto questo nei primi tre anni
propedeutici a cui seguiranno
alcune specializzazioni nei due
anni successivi: Progettazione
artistica dell’oggetto,
Progettazione artistica
dell’abbigliamento, Progettazione
artistica dell’ambiente urbano,
Progettazione artistica dei
sistemi allestitivi.
L’Accademia di Brera diventa
quindi, con questo corso
sperimentale, un luogo in cui
sviluppare, a livello universitario,
un percorso didattico che porti lo
studente verso ambiti progettuali
e professionali che le Accademie
europee da tempo stanno
sviluppando, recuperando inoltre
la sua antica predisposizione
al “progetto artistico”.
Basterebbe ricordare che, ancora
negli anni venti, esistevano in
tutte le Accademie italiane, oltre
a pittura, scultura e scenografia,
anche materie progettuali
come architettura e ornato.
21
MOSTRE
di Enzo Fiammetta e Alfonso Leto
Corrispondenze mediterranee
Vasta rassegna di opere all’Akhenaton Gallery del Cairo
accompagnata dal progetto espositivo itinerante
“L’Islam in Sicilia, un giardino tra due civiltà”
promossa dal Ministero degli Affari Esteri Italiano
la Regione Sicilia e la Fondazione Orestiadi di Gibellina
L
a mostra “ Corrispondenze”
vuole rappresentare il contributo
della Fondazione Orestiadi di
Gibellina per la costruzione
comune di una sensibilità
mediterranea, attraverso le forme
della creatività e dell’intelligenza
estetica di cui questa Istituzione è,
da oltre vent’anni, testimone
e depositaria. Già dal 1996,
l’insieme delle opere presenti nel
complesso delle Case Di Stefano,
sotto il nome di Museo-Officina
”Trame Mediterranee”,
esplicitava i dati caratteriali che la
Fondazione Orestiadi intendeva
tracciare per comporre la propria
fisionomia: ricostituire la
centralità della nostra Isola nel
contesto dell’Europa e dell’Africa
mediterranee, dove per
“centralità” si intenda il recupero
di uno “sguardo mediterraneo”
nel vivere e vedere la cultura del
nostro tempo. È così che è nato,
ancora dall’impulso di Ludovico
Corrao, l’insieme delle attività
che nel teatro, nella musica e
nelle arti visive hanno coinvolto
maestri di tutte le arti e di tutto il
mondo: personalità che hanno
contribuito a dar vita a qualcosa
di più di un “progetto organico”,
qualcosa che per la sua storia,
per il contesto geopolitico,
antropologico, per l’elemento
utopistico che ne è alla radice e
persino per la sua complessità
poetica, presenta naturalmente,
senza forzare i propri tratti, una
fisionomia leggendaria.
Inserita nel più ampio contesto
22
Sopra:
“Palmizio”, portaombrelli
di Viviana Trapani per Maestri Evola.
Sotto:
“Tegola poetica”
di Enzo Rullo per Caleca-Italia.
del settore arti visive della
Fondazione, da molti anni
affidato alla direzione di Achille
Bonito Oliva, questa collezione si
propone, di fatto, come il più
concreto spazio museale pubblico,
in Sicilia, nel settore della
creatività contemporanea,
prospettando al pubblico dei
visitatori, degli studiosi e delle
scuole la stabilità dell’offerta
culturale, che viene così ad
integrarsi con l’altro settore delle
arti applicate. Le opere oggi
presentate, sotto il titolo di
Corrispondenze, provengono dalla
vasta collezione del Museo delle
Trame mediterranee di Gibellina.
Riproducendo un analogo
criterio selettivo visibile nella
sezione “arte contemporanea” del
Museo: l’idea è ancora quella
di una intenzionale e proficua
promiscuità creativa
tra generazioni, sensibilità
e discipline dell’arte
contemporanea, attraverso le
opere dei maestri italiani già
presenti nel Museo delle
Trame Mediterranee.
Tra queste, ne sono state
selezionate alcune che
maggiormente presentano le
tracce di una concezione che
rimanda alle comuni e intrecciate
radici di una mediterraneità che,
dalle idee primigenie di Caos e di
Logos riesce a trarre le molteplici
categorie dell’invenzione artistica
contemporanea, rappresentate
con estrema sintesi nelle sezioni
di questa mostra.
Dall’alto in basso e da sinistra:
“Lampada” di Paolo Di Vita
per Centro del Papiro;
“Vaso antropomorfo” di Ugo La Pietra
per Alessi Ceramiche;
“Ziggurat” lampada da soffitto
di Alex Titone per Baroni;
“Medioevo fantastico”
tenda in lino di Mariella La Guidara
per Arte del Ricamo.
23
In questa pagina, dall’alto:
“Pouf” in midollino
di Michele Argentino
e Giuseppe Di Nicola per Giano;
“Chiarenza”, candeliere
di Angelo Pantina per Antonino Amato.
Nella pagina a fronte, dall’alto:
“Etnalemmo”
di Enzo Fiammetta per Alessi Ceramiche;
“Gasena”, contenitore
di Alfonso Leto per Caleca Italia;
“’ssetto”, scatola
di Enzo Castellana per Franzone.
A queste opere del più libero
pensiero artistico si affiancano,
cercando corrispondenze talvolta
palesi e altre volte più misteriose,
le creazioni venute fuori
dall’incontro tra i migliori
designers ed aziende della Sicilia,
alla ricerca di una lingua comune
che trovi nella ricerca formale,
la sua fonte concettuale primaria
che riconduca il gesto artistico al
suo dialogo primigenio (e sempre
insoluto) con le forme cangianti
della Natura, dentro e fuori di noi.
I prototipi realizzati provengono
dalla recente e felice esperienza
espositiva, coordinata e curata
dall’Istituto del Disegno Ind.le
della Facoltà di Architettura
di Palermo, che ha già avuto
nei padiglioni del MACEF,
a Milano (febbraio 2002), la sua
prima entusiastica accoglienza.
Leggendo queste Corrispondenze,
da un cuore all’altro del
Mediterraneo, si possono anche
cogliere gli “ultrasuoni”
di un dialogo non soltanto basato
sui segni, sui materiali,
sull’iconografia, sull’identità, sulle
diverse generazioni di artisti, -una
corrispondenza interna all’arte- ma
anche un dialogo che scavalca le
categorie merceologiche dell’arte
stessa legate al consumo culturale
occidentale, per considerare le
funzioni primitive dell’arte come
merce simbolica e virtuosa di uno
scambio di pace e di amicizia,
qualcosa che si mostra e si dona
allo sguardo altrui come ad offrire
un lampo di gioia e di energia
24
positiva. L’arte è l’espressione più
elaborata del concetto di umanità
dialogante, è essa stessa
paradigma visivo di un dialogo
universale, di cui oggi si fa
interprete la città del Cairo
nell’ accogliere con esemplare
fraternità la Fondazione Orestiadi
di Gibellina nella sua opera di
civiltà, resa ancor più esaltante
dall’evento della riapertura della
biblioteca di Alessandria d’Egitto.
Le opere scelte per comporre
questo bottino di pace e di
cooperazione tra le culture del
Mediterraneo, ribadiscono per se
stesse e per la Fondazione
Orestiadi, l’offerta di un segno di
resistenza dell’arte in un contesto
mondiale che sembra scoraggiare
e inibire questa attitudine
profonda e inarrestabile
dell’uomo, riducendola ad
impulso marginale e voluttuario,
a fronte di ben altre più
drammatiche urgenze.
Voluttuarie e sopprimibili,
in tempi critici, saranno semmai
quelle forme d’arte
contemporanea occidentale che
sono state create per il grande
indotto del consumismo globale
delle idee e dell’estetica, incapaci
strutturalmente di sopravvivere in
regimi di crisi. Gli artisti che,
invece, hanno fondato il loro
linguaggio su una comunicazione
dalle radici primarie e autonome
rispetto ad un’idea consumistica,
asservita e globalizzante dell’arte
e dell’economia, non temono
nulla, come i puri di cuore: per
eccesso analogico mi risuonano,
come estremo ed ammirevole
attaccamento alla vita, le stoiche
parole pronunciate da Allah Dad
Noori, giovane capitano della
Nazionale di cricket afgana,
al quale è stato chiesto come si
sentisse a giocare la partita in un
clima come quello attuale:
Il mio paese è in guerra da
vent’anni -ha risposto- se dovessi
aspettare la fine della guerra
quando potrò giocare?
25
MOSTRE
di Maria Teresa Chirico
L
a progettazione dalla parte
delle donne -senza nessuna
valenza polemicamente
femminista, ma consapevole
dell’impegno e delle energie che
le donne sanno (e devono)
profondere per riuscire ad
affermarsi- è l’oggetto
dell’indagine condotta da Anty
Pansera e Tiziana Occleppo per
la X Biennale Donna “Dal
Merletto alla Motocicletta. Un
percorso fra le Artigiane/artiste e
designer dell’Italia del
Novecento”.
26
Progettare è donna
X Biennale Donna - Dal Merletto alla Motocicletta
un percorso fra le Artigiane/artiste e designer
nell’Italia del Novecento
La Biennale nasce a Ferrara nel
1984 da un’idea dell’UDI
(Unione Donne Italiane) allo
scopo di promuovere un
momento espositivo riservato alle
donne, che abbracci varie
espressioni dell’arte.
La ricorrenza della decima
edizione, prima del nuovo secolo
e del nuovo millennio, è stata
l’occasione per sondare con
un taglio decisamente innovativo
il mondo del design, da sempre
oggetto di studio e di ricerca
delle curatrici.
Un mondo tradizionalmente
riservato agli uomini,
fortemente legato alle realtà
aziendali e produttive.
In verità, invece, la presenza
femminile si è rivelata
qualitativamente, ma anche
quantitativamente, assai
significativa -sono più di cento
le figure presentate in mostrafin dai primi anni del XX secolo:
spesso nascosta, poco
appariscente, ha mostrato
contorni ben definiti e
caratteristiche molto interessanti.
Nella pagina a fronte:
motocicletta Naked V-Per di
Anna Visconti, anni 2000.
In questa pagina, dall’alto e da sinistra:
merletto di Aemilia Ars (primi ’900);
tappeto di Luce Balla;
“Camicetta” di Irene Kowaliska
(primi ’900);
“Natura vivissima” di Gigia Corona, 1931;
“Credere, Obbedire, Combattere”
arazzo di Gegia Bronzini.
Una progettazione non
raramente realizzata in sordina,
rivelatrice però di una sensibilità
acuta, sempre più attenta negli
anni alle esigenze del vivere
quotidiano, preparata ad
affrontare la diffusione di nuovi
materiali e tecnologie avanzate.
La rassegna -allestita nel
Padiglione di Arte
Contemporanea su progetto
naturalmente di una donna,
Dida Spano- si apre con una
parte storica cui molto si deve
all’instancabile ricerca di
Paola Franceschini: i reperti
documentano l’attività delle
donne artigiane-artiste dagli
inizi del secolo alla fine
della seconda guerra mondiale.
Apre il secolo la produzione
di pizzi e merletti “di gusto
moderno” della Aemilia Ars,
realizzati anche su disegni
di anonime creatrici.
Legate alle esperienze futuriste,
puntualmente indagate in
catalogo –Silvana Editorialeda Anna Maria Ruta, le opere di
Benedetta Cappa Martinetti e
delle sorelle Elica e Luce Balla.
Attiva negli anni Venti è Rosa
Giolli Menni, creatrice di tessuti
e abiti realizzati all’insegna de
“Le stoffe della Rosa”; sempre
a Milano si afferma l’attività di
Fede Cheti, attenta a coinvolgere
per le sue realizzazioni firme
prestigiose, da Gio Ponti a
Gruau. Anche il campo delle
ceramiche vede una qualificata
progettazione femminile tra cui le
27
Dall’alto e da sinistra:
“Foglia”, tessuto di Fede Cheti;
statuetta di Antonia Campi;
“Manhattan”
servizio da the in argento
di Olga Finzi Baldi.
Nella pagina a fronte, dall’alto e da sinistra:
“Tundra”, arazzo
di Renata Bonfanti, 1992;
“Discobolo”, oggetto pluriuso
di Anna De Plano;
“Draped”, specchi di Nanda Vigo.
sculture di Clelia Berretti,
le originali, giocose proposte di
Emma Bonazzi, le raffinate,
eleganti figurine di Elena Koenig
Scavini per la Lenci di Torino.
Un video, curato da Lola
Bonora e Anna Quarzi,
introduce la rassegna, la
commenta e ne fa da guida.
La seconda metà del secolo, dal
1945 al 1999, è presentata nella
sezione successiva della mostra.
Sempre più numerose sono le
donne che si affermano nel
mondo del disegno industriale,
che firmano i propri progetti,
che ottengono posizioni anche di
rilievo all’interno delle aziende,
come Antonia Campi, direttore
artistico negli anni Settanta
della Richard-Ginori. Non c’è
nessun settore che non veda
l’intervento nel progetto
di una donna: dai tessuti
all’arredo, dai complementi
al packaging, dai gioielli al
computer, dagli elettrodomestici
al car design con la moto
V-Per di Anna Visconti.
Sono donne che hanno lasciato
un segno indelebile nel mondo
degli oggetti, da Anna Castelli
Ferrieri autrice di una ricca serie
di oggetti in plastica prodotti
dalla Kartell, a Cini Boeri -sua
con il giapponese Tomu
Katayanagi la famosa poltrona
Ghost in cristallo float del 1987-,
da Gae Aulenti, che ha sempre
affiancato la progettazione
architettonica a quella del disegno
industriale, a Ornella Noorda,
28
a Federica Marangoni, sensibile
artista del vetro che disegna per
Christofle, fino alle più giovani
Marina Paul, Sonia Pedrazzini,
Giovanna Talocci, Bruna
Rapisarda e Alessandra Sciurba,
impossibile nominare
tutte le figure presentate.
Lica Covo Steiner, da sempre
affiancata al marito Albe, ma che
si è saputa riservare un ambito
progettuale personale (ancora
attiva oggi) è, infine, curatrice con
la figlia Anna Steiner Origoni
dell’immagine coordinata della
rassegna.La terza sezione, a cura
di Giovanna Bergamaschi, è un
omaggio a quelle donne che
hanno contribuito alla diffusione
e alla conoscenza del design e
dell’architettura d’interni
attraverso riviste e giornali:
sono giornaliste, direttori
o addirittura fondatrici di testate
che hanno creduto
nella cultura del progetto.
A integrare l’esposizione,
oltre al già citato video,
è disponibile in mostra anche
un Cd-rom, cui ha collaborato
Antonia Mealli, che permette
di “navigare” lungo 100 anni
di disegno industriale italiano
dalla parte delle donne.
29
MOSTRE
di Murilo Fernando Moro
Pezzi Unici
Alla sua prima edizione dal 6 al 16 settembre 2002
l’evento ripropone il valore dell'artigianato artistico
in un territorio di antiche tradizioni
con il patrocinio ed il sostegno del
Comune di Lanciano - Assessorato Attività Produttive
V
oluta fortemente da Roberto
Pepe (artista-artigiano orafo in
Lanciano dal 1980, delegato poi
dal Comune alla realizzazione
della mostra), la manifestazione
“Pezzi Unici”, che si terrà a
Lanciano (CH), presso le sale dei
sotterranei della Chiesa della
Madonna del Ponte, dal 6 al 16
settembre 2002, tende a svolgere
due ruoli. Il primo é quello di dare
agli interessati un’opportunità in
più per visitare un insediamento
d'Abruzzo ricco di capolavori
d’architettura gotica e romanica
come Santa Maria Maggiore e
Sant’Agostino, con i meravigliosi
portali dell’architetto lancianese
Francesco Pertini, ma soprattutto
il complesso monumentale del
Ponte dedicato all'imperatore
Diocleziano nel III secolo, la cui
storia é intimamente connessa alla
costruzione di Santa Maria
del Ponte. Un complesso
monumentale unico nella sua
affascinante storia civile e religiosa:
una struttura realizzata con alterne
vicende nell'arco di ben 15 secoli.
Il secondo obiettivo é quello di
riuscire ad esprimere il profondo
disagio di molti artigiani, che
operano con un alto quoziente di
artisticità, nell'essere considerati
(dalle strutture istituzionali e dai
sindacati) "artigiani" al pari di altre
categorie (idraulici,muratori,
carrozzieri ecc...). In questo senso
la mostra raccoglie opere di una
serie di artigiani che con molto
orgoglio e determinazione
rivendicano la loro artisticità
30
definendosi "artisti-artigiani".
Un orgoglio espresso anche
attraverso una sorta d’autogestione
e che, pur con l'aiuto del Comune,
é leggibile nell'organizzazione
dell’evento e quindi in alcune
caratteristiche della mostra.
Dal titolo stesso "Pezzi unici"
si capisce che la mostra non vuole
essere solamente occasione di tipo
commerciale, ma più chiaramente
espressione di ricerca. Così
l'evento non solo individua una
categoria di operatori (artistiartigiani regolarmente iscritti alla
camera di commercio) escludendo
i generici artigiani e gli hobbisti,
ma mette in evidenza la necessità
di fare ricerca e sperimentazione
introducendo componenti che
vanno dall'arte al design. "Pezzo
unico" vuol dire opera che ancora
non é in produzione, opera firmata
dall'autore e quindi con evidente
definizione del valore aggiunto,
ottenuto attraverso il personale
"segno" dell'artista ed espressione
dell'unicità dell'opera. La mostra
raccoglie quindi una selezione
degli artisti di tutti i settori (orafi,
ceramisti, ebanisti mosaicisti, ecc.)
che si sono iscritti; così 20 artisti
su 200 saranno presenti con
le loro opere a questa prima
edizione. La manifestazione di
settembre rappresenta per gli
organizzatori una prima occasione
a cui dovrebbero seguire (ogni 6
mesi) una serie di mostre dedicate
di volta in volta a settori specifici:
orafi, scalpellini, vetrai, corniciai,
mosaicisti, fotografi, stilisti, ecc...
"Pezzi unici”, tra arte e design:
un messaggio dall'Abruzzo perché
tutti gli artisti-artigiani riprendano
la strada della sperimentazione
e della ricerca, dell'orgoglio della
propria professione, facendo
sentire la propria voce affinché le
Istituzioni comincino seriamente
a dare valore e significato a questo
settore, con interventi finalizzati
a promuoverlo e non limitati
a generiche forme di assistenza.
Nella pagina a fronte:
Lanciano (CH), il Ponte di Diocleziano
(305 d.C.) con Torre Campanaria
e Basilica di Maria Santissima del Ponte.
In questa pagina e nelle successive:
opere di una parte degli artigiani-artisti
presenti alla manifestazione.
Un elogio speciale è dovuto all’Assessore alle Attività
Produttive Felice Paolucci e a tutta l’Amministrazione
Comunale di Lanciano ma, in particolare, al Sindaco
Filippo Paolini che, fin dal primo incontro con Roberto
Pepe, si è dimostrato aperto e disponibile all’iniziativa,
diventando poi paladino e spronatore dell’iniziativa.
NICOLA STEFANO D’ALTOCOLLE
ALDO ANGELUCCI - Arte e Design
LUCIANO DI CORINTO - Ars Antiqua
GABRIELE AMOROSO
Via Cesare Battisti 2 - 66034 Lanciano CH
Tel. 0872.46207 - 0872.717828
Artista-doratore, ha iniziato l’attività nel ’47. Le sue opere
d’arte tipica religiosa: altari, colonne, volte ecc.., sono di
ideazione propria, decorate con oro foglia a 23 carati.
Foto: volta eseguita con argento e mecca a bolo lucido.
Laghetto dei Gradoni 7 - 66034 Lanciano CH
tel./fax 0872.44574 - 0872.711206 - www.ars-antiqua.it
Artista-musivo, inizia l’attività con tessere in cemento
colorato assemblate a tarsia ma, da oltre 10 anni, utilizza
tessere di vetro colorato. Talento naturale, “cattura la luce
e ne diviene padrone trasferendola nelle sue opere”.
Viale Cappuccini 136 - 66032 Castel Frentano CH
Tel. 0872.715122
Artista-ebanista, in molti casi disegna personalmente le
sue opere. Ha tenuto una personale nel 1986, alla quale
sono seguite varie partecipazioni a mostre in tutta l’Italia.
Nella foto: scrittoio in faggio massello (pezzo unico).
Contrada Iconicella 224/a - 66034 Lanciano CH
tel. 0872.45098
Artista-ebanista, da sempre nel settore, è particolarmente
esperto nella creazione di mobili in stile. Nel tempo, si è
distinto nella zona “frentana” per i suoi pezzi unici.
Nella foto: un tipico esempio del suo stile.
31
IVANA PEPE
Via Corradino Marciani 61
66034 Lanciano CH
tel./fax 0872.41856
Diplomata operatore commerciale,
da commessa responsabile approda
nel settore creativo distinguendosi
nella creazione di borse e accessori.
Nella foto: un esempio del suo stile.
Antea Spose
Angela Civitarese
CaterinaVentimiglia
Via Duca degli Abruzzi 15
66034 Lanciano - Tel. 0872.716334
Dopo l’Accademia d’Alta Moda e
Arte del Costume “Koefia”, insieme
si dedicano alla creazione di abiti da
sposa dalle linee essenziali e raffinate.
PATRIZIA PESOLILLA
LUCA MADONNA
DAVIDE DI STEFANO
LINO DI CIANO
Via Iconicella 179 - 66034 Lanciano
tel. 348.8287091
All’età di 15 anni costruisce il suo
primo strumento. Dopo importanti
collaborazioni crea i primi prototipi
e, nel 2000, nasce Lace Works, ditta di
chitarre e bassi elettrici interamente
costruiti a mano.
32
Via Bergamo 2
66034 Lanciano CH
tel. 0872.45444 - Fax 0872.702892
Artista vetraio è da anni impegnato
nella progettazione e realizzazione di
vetrate artistiche con nuove soluzioni.
Nella foto: “Pavone”, tecnica Tiffany
e pittura a gran fuoco.
Contrada Colle Capuano 12
66038 San Vito Chietino CH
Tel. 338.9044124
Recuperando la tradizione musiva
italiana, attualizza temi e suggestioni
del passato in una sintesi originale e
personale. Nella foto: “Crocefisso” in
pietre varie, marmo e corteccia.
Contrada Nasuti 45
66034 Lanciano CH
tel. 0872.44818
Artista diplomato all’Istituto d’arte
(sez. legno) e all’Accademia di Belle
Arti (scuola di scultura), ha partecipato a svariate collettive in tutta l’Italia.
Nella foto: “Natività” in pietra.
ROBERTO e
STEFANIA PEPE
DARIO TADDEO
Rione Gaeta - 66034 Lanciano CH
Tel./Fax 0872.712282
Artista-ceramista, ha costituito a
Lanciano il laboratorio “La Tana
dell’Arte” specializzato in ceramiche
artistiche e terracotte: pezzi unici
nella forma e realizzazione eseguiti
interamente a mano, decorati con
preziosi smalti e ricottura a fuoco.
Nella foto: vaso di forma particolare
decorato con colori tipici “frentani”.
IDEAL FOTO CINE s.n.c.
Via Ferro di Cavallo 42
66034 Lanciano CH
tel./fax 0872.709767
I coniugi Pepe, dopo aver conseguito
la maturità artistica, sono artisti-orafi
in Lanciano dal 1980.
Nella foto: “Io presentosa”, gioiello
in filigrana e diamanti taglio brillante
in oro bianco. Questa collezione di
straordinaria bellezza, che prevede
spille, orecchini, anelli, contribuisce
all’arricchimento dell’oreficeria abruzzese. Lo slogan della collezione:
abbiamo guardato al passato per
rifare il nuovo.
Viale Cappuccini 102 - 66034 Lanciano CH
Tel./Fax 0872.712282 - www.idealfotovideo.it
Fotografia di Roberto Colacioppo, unica foto italiana delle
100 selezionate per la pubblicazione del libro “Family”
edito da Edicart, vincitrice del concorso M.I.L.K. (17.000
fotografi partecipanti di 164 Paesi del Mondo per totali
40.000 immagini, presidente della giuria Elliot Erwitt,
membro della Magnum), esposizioni New York (luglio/
agosto 2001), Londra (ottobre 2001), mostra itinerante
nelle maggiori capitali del mondo.
STEFANIA BATTISTELLA
Corso Roma 104 a/b
66034 Lanciano CH
Tel. 0872.717692
Artista-orafa, dopo avere conseguito
la maturità artistica e dopo alcuni
anni di “gavetta”, trascorsi nel settore
orafo, si è specializzata in particolare
nella creazione di pezzi unici eseguiti
rigorosamente a mano.
Nella foto: ciondolo in oro 18 carati
facente parte della “Linea armonia”.
MICHELE CIANFRONE
Arte del ferro e vetro
Contrada San Iorio 16/a - 66034 Lanciano CH
tel. 0872.710880
Artista del ferro e del vetro, iniziata l’attività seguendo gli
schemi classici del settore, si è man mano indirizzato verso
opere di completamento ed abbellimento dell’architettura
esterna di edifici pubblici e privati. Progetta direttamente
le proprie opere ed ultimamente si dedica allo studio ed
ideazione di innovativi sistemi per esterni in stile liberty.
Nella foto: tenda-tettoia in ferro e vetro legato a piombo.
33
CONCORSI
di Ugo La Pietra
V
erso la fine degli anni settanta
si incominciò a parlare di “arredo
urbano” nelle università, negli
studi professionali, nelle
amministrazioni pubbliche.
Nasceva la figura dell’Assessore
dell’arredo urbano e i
professionisti guardavano con
rinnovata speranza alla
committenza pubblica. La città, in
quegli anni di crisi, sembrava
Arredo urbano a Cursi
Un esemplare progetto per la Piazza di Cursi (LE)
ripropone all’attenzione
il problema del rapporto individuo-ambiente
ambiente-risorse del territorio
ormai immobile, nessuna
espansione edilizia! Si stavano
perdendo anche le speranze per
interventi nei centri storici; l’arredo
urbano sembrò l’ultima spiaggia.
Molti professionisti si
improvvisarono esperti dello
argomento ed incominciarono ad
esplorare e a rispondere alle prime
commesse da veri pionieri! Pionieri
che esploravano senza sapere cosa
era stato fatto e detto in 30 anni
di esperienze, ricerche, teorie e
progetti nell’area urbana (dai
Situazionisti a Constant, dagli
Archigram a Hollein, dalla Coop.
Himmelblau a Hans Hake, fino
alle mie teorie “tra il concettuale
e lo spettacolare”); così, i nuovi
esperti si buttarono a capofitto a
riprogettare tutte le attrezzature
(forniture di oggetti per l’uso
Comune di Cursi / Arredo urbano di Piazza Pio XII
Planimetria generale
Diagramma solare polare - latitudine 44° N
Collocazione degli elementi in funzione del soleggiamento
COMUNE DI CURSI (LE) / Arredo Urbano di Piazza Pîo XII, Capogruppo: Arch. Casali Loris; Collaboratori: Arch. Cipriani Marialuisa, Arch. Neulichedl Bernhard, Arch. Serafini Roberto.
34
Progetto vincitore
Gruppo Loris Casali
Nella pagina a fronte:
distribuzione planimetrica degli arredi
nella Piazza Pio XII a Cursi.
In questa pagina, dall’alto:
“Porta biciclette”;
“Panchina” composta da due semplici
monoliti.
della strada) che hanno sempre
caratterizzato i vincoli stradali
delle nostre città. Oggi l’arredo
urbano, per molti progettisti,
appare come una nuova area
disciplinare che si aggiunge
all’urbanistica e all’architettura,
per altri viene considerato un
falso problema. Il problema esiste:
troppa città è stata progettata
dimenticando tutti quegli spazi
tra edificio ed edificio che
rappresentano i nostri luoghi
collettivi. Così gli spazi urbani
attendono la loro riqualificazione!
Ma attenzione, non possono
essere solo una serie di attrezzi
ridisegnati secondo il “buon
gusto” del designer, o qualche
monumento, a connotare di
“abitabilità” gli spazi della città.
Io mi sono sempre interessato
35
Dall’alto:
“Cestino” composto da monolite
che sostiene simbolicamente
un contenitore per rifiuti standard;
“Vaso per alberi”
costituito da monoliti di diverse
dimensioni accostati e sovrapposti.
dell’ “ambiente urbano” e della
sua abitabilità, qualcuno
ricorderà le mie ricerche sul
trasferimento delle qualità
dell’arredo interno verso l’esterno
(tra spazio privato e spazio
pubblico), così posso dire che fin
dagli anni sessanta mi sono
interessato a recuperare, studiare,
progettare elementi ad una
microsala, e da questi definirne
“effetti ambientali” o da questi
ultimi procedere fino alla
definizione di fenomeni spesso
considerati secondari o,
comunque, ad una scala che non è
quasi mai praticata dall’architetto.
Naturalmente, i particolari di cui
parlo sono anche spesso i gesti di
una persona, i rituali di gruppo,
un insieme di suoni, una frase
36
scritta, il contatto con una certa
materia, ecc.: un insieme di
dettagli la cui suggestione o
aggregazione riesca a dare un
effetto ambientale ed
architettonico, cercando sempre
di introdurre due componenti che
ritengo capaci di caricare di
significati le situazioni
progettuali: la spettacolarità e la
concettualità. Due componenti
progettuali filtrate da una
particolare ottica, che è quella
dell’attenzione e dell’intenzione.
Dall’alto:
“Pali d’illuminazione” realizzati con
monolite la cui parte terminale inclinata
assorbe e rilascia energia sotto forma di
luce (pannelli fotovoltaici);
“Dissuasore” movibile (scorre su un
doppio binario); “Bacheche”.
37
A lato:
lavorazione della pietra leccese, Cursi (LE).
In questo senso gli spazi urbani
dovrebbero essere progettati come
luoghi da fruire nel senso più
completo della parola: spazi per
sostare, per educare, per
incuriosire, per sorprendere, ecc...
Così una particolare panchina non
è più concepita solo come un
oggetto d’arredo per sostare, ma
un luogo da cui guardare... “un
osservatorio”; da questo modo di
concepire la panchina possono
nascere stimoli progettuali per la
costruzione di particolari
prospettive (vere o false), in quanto
dalla panchina il progetto si sposta
al suo intorno e a ciò che si vuol
fare vedere, intravedere o celare!
In sintesi vorrei consigliare la
regola fondamentale a cui
attenersi per progettare uno
spazio urbano: fare qualcosa per
rendere lo spazio abitabile, nella
consapevolezza della profonda
differenza che esiste tra usare uno
spazio e abitarlo, “si usa una
camera d’albergo, si abita la stanza
della propria casa”, ricordando
sempre, a me e agli altri, lo slogan
che mi ha accompagnato in tutti
questi anni, “Abitare è essere
ovunque a casa propria”. Sulla base
di queste mie convinzioni sono
molto felice che il Comune di
Cursi, attraverso il concorso per
l’arredo di Piazza Pio XII, potrà
arricchirsi di un insieme di
elementi arredativi progettati
proprio per dare valore e
significato al luogo. Come
membro della giuria ho valutato
positivamente (con tutti i membri
38
della commissione) il progetto di
Loris Casali e Serafini Roberto che
supera di fatto le singole “tipologie
di fornitura stradale” per entrare
più nella dimensione arredativa:
citando la pietra leccese, la sua
lavorazione e collocandola con
estremo rispetto nel contesto
urbano. Un bell’esempio di
“arredo urbano”: per l’uso
essenziale del materiale, la
coerenza formale (blocchi tagliati
e accostati) delle varie tipologie,
il rapporto armonico delle varie
installazioni nello spazio urbano.
Loris Casali, Marialuisa
Cipriani, Bernhard Neulichedl,
Roberto Serafini
“Il progetto proposto per l’arredo
urbano di Piazza Pio XII di Cursi ha
come finalità quella di esaltare il genius
loci locale e perseguire obiettivi di
sostenibilità in senso lato. Cursi, come è
noto, è il centro dell’antico bacino di
estrazione della pietra leccese, è “la
cittadina della pietra leccese”, per cui la
Piazza Pio XII -sulla quale si
affacciano la chiesa Madre, il
Municipio, il palazzo De Donno
”Museo della Pietra”- deve evocare
fortemente il genius loci. Gli elementi
di arredo sono stati quindi pensati per
la loro forte carica emotiva e simbolica
che possono comunicare singolarmente
ed articolati fra loro nella piazza. I
monoliti in pietra in forma diversa e in
alcuni casi di grandi dimensioni sono in
grado di creare un paesaggio suggestivo,
capace di evocare questa peculiarità di
Cursi. Elementi semplici, anche scarti,
presi direttamente in cava come si
trovano o con basilari “coltivazioni”,
integrati da finiture tipiche delle cave
di estrazione come le fasciature in
metallo (che si usano ancora oggi per
impacchettare le lastre), binari (che
rimandano agli antichi e ancora
attuali metodi di trasporto della
pietra) o elementi semplici -come il
cestino standard- che non vanno ad
intaccare il messaggio forte e simbolico
della pietra come monolite.
Evidenziamo alcuni principi di
sostenibilità che hanno indirizzato
l’ideazione e la progettazione
dell’arredo:
- efficienza energetica: utilizzo di
materiali come si trovano in cava,
anche di scarto, senza ulteriori
lavorazioni (se non per alcuni
elementi);
- riciclaggio: riduzione della
quantità di rifiuti non solo per
l’utilizzo di eventuali elementi
monolitici, scarti di tagli e
lavorazioni, ma anche utilizzo di
finiture (sostegni mediante
cerchiature, cestini standard, ecc...)
recuperabili e riutilizzabili che
permettono il “disassemblaggio”
delle parti che compongono l’arredo,
eventualmente per un loro futuro
riutilizzo;
- sfruttamento dell’energia solare: i
pali d’illuminazione sono pensati per
utilizzare l’energia solare mediante
pellicole fotovoltaiche (si ricorda che
l’utilizzo di fonti energetiche
alternative può consentire
all’Amministrazione di chiedere
eventuali finanziamenti pubblici per
la realizzazione: cfr. Ministero
dell’Ambiente-ENEA)”.
PROGETTI E TERRITORI
di Simona Pagliari
Arte artigianato e cultura
del coltello sardo
Arresojas - Biennale del coltello sardo
mostra mercato giunta alla sua VI° edizione
si terrà a Montevecchio (CA) dal 27 luglio al 4 agosto
confermandosi appuntamento atteso e importante
per la cultura e l’economia dell’isola
Forgiare lame è arte antica, colma
di fascino, ammantata dal mistero
dell’origine del fuoco, carica della
fatica di cavare metalli dal cuore
della terra. E’ espressione di una
cultura che in tutta la Sardegna, e
soprattutto a Pattada, Guspini,
Gonnosfanadiga, Santulussurgiu,
Arbus e Dorgali, è rimasta viva
nelle mani di abili coltellinai che
nella forza della tradizione trovano
motivo per continuare a creare
pezzi unici di grande valore e
oggetti d’uso quotidiano, ma anche
innovare tecniche, proporre nuovi
disegni e materiali, aprire nuovi
orizzonti commerciali. Sono questi
artigiani che ogni due anni,
animano “arresojas” mettendo in
mostra una produzione variegata e
ricca, preziosa rappresentazione
della complessità di un’isola che
non si chiude nel proprio passato
ma cerca momenti di incontro e di
scambio ospitando maestri
coltellinai e collezionisti di altre
regioni del mondo. Mostra d’arte,
“arresojas”, ma anche una porta
aperta su Guspini, la sua storia, la
sua cultura e il suo territorio con le
incontaminate bellezze ambientali
e l’antica presenza dell’uomo. La
chiesa di San Nicolò, con facciata
in stile gotico-aragonese su cui
spicca il bellissimo rosone
traforato, la chiesa di Santa Maria
di Malta, antica sede dll’omonimo
ordine cavalleresco, le colonne
basaltiche a prismi esagonali, raro e
spettacolare monumento naturale
popolarmente noto col nome di
Canne d’Organo, il nuraghe
Melas, la fortezza S’Arrueci, il
pentabolato Brunku ’e S’Orku.
I monumenti dell’ archeologia
industriale, patrimonio diffuso in
tutto il territorio a testimoniare il
lavoro in miniera, lotte e coscienza
di classe con Montevecchio,
piccolo borgo di struggente
bellezza e Ingurtosu, vecchio
e pressoché disabitato villaggio
minerario che si attraversa per
giungere alle splendide dune di
Piscinas, ove le grandi montagne
di sabbia si spingono fino al mare
contendendo il territorio al bosco
abitato dal cervo e cinghiale sardo. 39
Nella pagina precedente, dall’alto e da sinistra:
immagine del pieghevole e della locandina
della mostra;
cantiere di Piccalinna; dune di Piscinas.
In questa pagina, dall’alto e da sinistra
in senso orario:
punta di freccia di ossidiana;
ricostruzione ideale della fortezza nuragica
di Su Nuraghe Arrubio a Orroli;
pugnaletto nuragico in bronzo
ad elsa gammata;
lama di pugnale in bronzo;
matrice di fusione bivalve fabbricata
in steatite con impronta di un pugnale;
bronzetto raffigurante un capo tribù.
Arma di offesa e di difesa, ma
anche strumento di lavoro e, nel
corso dei secoli oggetto simbolo
sempre più raffinato della cultura
materiale di contadini e pastori,
il coltello fa la sua comparsa in
Sardegna fin dal paleolitico.
Da quelle prime lame in osso
e selce sbozzati, attraverso
la lavorazione successiva della
più dura ossidiana locale,
fino alle raffinate “opere uniche”
dei moderni artigiani, la storia
del coltello è storia d’arte,
di cultura, di lavoro.
E’ con l’attività estrattiva iniziata
in periodo nuragico che la
produzione raggiunge alti livelli
di ricercatezza realizzando oggetti
di sicuro valore rituale, come
documentano i bronzetti di capi e
guerrieri rappresentati spesso
con il pugnale ad elsa gammata
atracolla sul petto.
Fenici, Punici, Romani e Pisani,
intensificando l’attività estrattiva
danno ulteriore impulso alla
produzione e al commercio di
questi manufatti, ma è con l’arrivo
dei Templari, tra il 1130 e il 1138,
che in Sardegna si approfondisce e si
diffonde la conoscenza dell’arte di
forgiare le lame che questi
Cavalieri avevano avuto modo
di acquisire in Medio Oriente
durante le Crociate. Un’arte che in alcuni paesi
dell’isola, come Guspini, si è
tramandata fino ad oggi.
Il passaggio dalla produzione di coltelli
a lama fissa a quella di coltelli a serramanico,
le cui tecniche di lavorazione erano già note
presumibilmente nell’isola dalla metà del
XVII secolo, può trovare una valida motivazione
40
Dall’alto e da destra in senso antiorario:
il Castello di Cagliari secondo un disegno
contenuto in un registro del XIV secolo
(dell’Arxiu della Corona d’Aragò di
Barcellona);
Daga e Stillu sardi della prima metà del
secolo scorso;
combattimento tra bizantini e arabi
davanti alle mura di Euripos (manoscritto
greco della “Cronaca di Scilitze” XIII
secolo); cavalieri Templari in una
illustrazione ottocentesca;
cacciatori, probabilmente in costume di
Sinnai (dal cartiglio della “Carta
dimostrativa dè contorni di Caliari”,
manoscritto acquerellato, XVIII secolo).
nel susseguirsi di leggi che Spagnoli
e Piemontesi promulgarono per
arginare problemi d’ordine pubblico
legati all’uso delle armi bianche.
Il coltello a serramanico poteva
essere facilmente nascosto e
quindi estratto solo all’occasione.
Ma il suo impiego era, assai più
concretamente, legato alla
quotidiana attività lavorativa di chi,
come il contadino e il pastore, si
trovava solo e lontano da casa in
ambienti spesso ostili.
Fu nel 1908 che una legge regia
fissò un nuovo limite per la libera
detenzione dei coltelli: la lama
appuntita non doveva superare i 4
centimetri di lunghezza, mentre
quella senza punta poteva
misurarne fino a 10.
Il coltello senza punta, poi detto “Sa
Guspinesa”, trovò largo consenso
tra i minatori che, sottoposti a ferrei controlli per via del nascente
movimento operaio, si limitavano a
portare il coltello in miniera per
provvedere al proprio pasto. La stagione di forte crisi
attraversata dai coltellai isolani in
conseguenza della dura repressione
41
Dall’alto, in senso orario:
coltello con manico in corno di montone
proveniente da Gonnosfanadiga;
vecchia leppa sarda (o “spadinu”) con
impugnatura in legno;
due esemplari di “Sa corrina” (il nome
deriva dal corno di cui era fatto il manico);
coltello con manico in corno di montone,
con lama a foglia;
coltelli sardi di recente fabbricazione
(dall’alto: Guspinese senza punta,
Guspinese, Pattadese, Foggia Antica o
Gonnese-Arburese);
tre vecchi coltelli di Pattada sequestrati dai
carabinieri nel 1920 durante la
repressione del banditismo sardo;
Guspinese (il coltello degli intrepidi della
Brigata Sassari) con schema della struttura;
coltelli “tipo sardo” prodotti a Scarperia
all’inizio del secolo.
42
che accompagnò la legge e della
contemporanea concorrenza dei
grandi centri italiani che, con
grande fortuna, immisero sul
mercato coltelli ad imitazione di
quelli sardi, viene superata
soltanto in quest’ultimo decennio
grazie soprattutto all’affermarsi in
tutto il mondo della “pattadesa”,
divenuta il coltello sardo per
antonomasia. Sull’onda di questo
successo e con la conseguente
netta ripresa di tutto il comparto
produttivo, l’artigianato del
coltello segna un momento di
espansione; tradizioni dimenticate
e che in alcuni casi sembravano
ormai perdute si rivitalizzano,
nuovi e valenti artigiani si
affacciano in un mercato sempre
più apprezzato da estimatori e
collezionisti concorrendo a
trasformare l’arte del coltello in
una manifestazione della cultura
di tutta la Sardegna.
LA STORIA DI Arresojas
Promossa per la prima volta nel 1994 dal Comune e dalla Pro
Loco di Guspini, allo scopo di riscoprire e promuovere un
patrimonio che rischiava di scomparire, quello legato alla cultura e alla storia delle lame sarde, la mostra Arresojas è diventata
oggi un appuntamento atteso e importante per la cultura e
l’economia dell’isola. Suo obiettivo culturale è quello di raccontare l’antichissimo percorso storico delle lame sarde, dal neolitico antico alla dominazione punica e romana, dal medioevo alla
rivoluzione industriale, proponendo interessanti parallelismi
con culture vicine (Francia, Germania, Inghilterra e alcune
regioni italiane) o lontane (Giappone, Africa). Ovunque, ai primordi della storia, quando l’uomo preistorico si trasforma in
Homo Sapiens e comincia a inventare e a produrre oggetti utili
alla sua sopravvivenza, compaiono i primi utensili. La storia dei
popoli è anche la storia dei suoi utensili, oggetti elementari ma
carichi di certezze la cui evoluzione svela il progredire della
civiltà. Uno dei primi utensili dell’uomo fu certamente il coltello. Serviva per cacciare, per scuoiare animali, per costruire
oggetti per la casa e per difendersi. La mostra Arresojas si terrà
nell’antico palazzo direzionale delle Miniere di Montevecchio e
la scelta non è casuale. A Montevecchio c’era un ricchissimo
giacimento minerario, conosciuto sin dai tempi della civiltà
nuragica, a cui attinsero tutti i popoli che via via occuparono
l’isola. La miniera conobbe la sua stagione d’oro nel XX sec. sia
per la quantità di minerale estratto che per la bellezza del suo
ambiente naturale, per l’eleganza delle sue strutture architettoniche, tanto da essere promossa dall’UNESCO a “Patrimonio
culturale dell’umanità”, insieme ad altri sette siti che tutti insieme costituiscono il Parco geominerario della Sardegna.
5. IL COLTELLO NELLA LETTERATURA SARDA
Verranno riproposti brani significativi delle opere letterarie di
scrittori sardi: Grazia Deledda, Giuseppe Dessì, Sergio Atzeni e
altri, che parlano del coltello sardo. I testi sono inseriti in un
contesto iconografico con immagini di importanti fotografi.
LE DATE E GLI ORARI
La mostra verrà inaugurata il 27 luglio 2002 e durerà fino al 4
agosto, con i seguenti orari di apertura:
- da lunedì a venerdì solo pomeriggio, dalle 16.00 alle 21.00;
- sabato/domenica dalle 09.00 alle 13.00, dalle 16.00 alle 21.00.
La penultima edizione (2000), ha visto la presenza di: 70 espositori, 4.000 prodotti, 10.000 visitatori.
Insieme alla mostra sarà possibile visitare i centri minerari, l’antico villaggio, musei e splendide vestigia lungo una strada che
dalla montagna digrada fino al mare, alle dune di Piscinas dove
il paesaggio è ancora magico come lo era secoli fa.
11. I GRANDI MAESTRI DEL COLTELLO
Dodici tra i più grandi maestri mondiali del coltello. Nella
mostra si potranno ammirare oggetti di grande livello qualitativo, accompagnati da una scheda personale: Francesco Pachi,
Antonio Fogarizzu, Ron Lake, Des Horn, James A. Schimidt,
Steve R. Johnson, Ditmar F. Kressler, Warrer Osborne, Steve
Schwarzer, Charles Bennica, Bob Loveless, Michael Walker.
I TELEFONI - 070 97 25 37 = Informacittà Guspini
- 070 97 03 84 = Associazione Pro Loco Guspini
- 3355797943 = Francesco Marras, Assessore al Turismo
- 3383316533=Rossella Dessì, Presidente della Pro Loco
IL PERCORSO DELLA MOSTRA
1. MOSTRA MERCATO DEL COLTELLO SARDO
Oltre 70 coltellinai provenienti dalla Sardegna esporranno i
manufatti, rigorosamente artigianali e realizzati in Sardegna.
2. LE COLLEZIONI PRIVATE
Verranno esposte alcune tra le più importanti collezioni private
di coltelli di origine sarda o tematici.
3. MONTEVECCHIO MINIERE E METALLI
Montevecchio è stata fin dalla notte dei tempi un’importante
miniera, che ha attirato potenze straniere e avventurieri, per lo
sfruttamento. Nel territorio segreti e tecniche sulla lavorazione
dei metalli si sono sedimentate, di generazione in generazione,
e ancora oggi persistono attraverso la lavorazione dei coltelli.
4. IL COLTELLO IN SARDEGNA
Partendo dal Paleolitico, si ripercorrerà la storia del coltello in
Sardegna, dall’ossidiana fini ai nostri giorni. Frutto di un’accurata ricerca, la mostra spiega il perché questo utensile è diventato in Sardegna un oggetto identitario.
6. L’ITALIA DEI COLTELLI
L’Italia è una nazione ricca di produzioni e tipologie di coltelli.
Non vi è regione che non abbia coltelli tipici. La mostra propone una rappresentativa approfondita di coltelli regionali, soffermandosi nelle realtà produttive di Maniago/Friuli, Premana/
Lombardia, Scarperia/Toscana, Frosolone/Molise, Sardegna.
7. GLI STILISTI DEL COLTELLO
Una mostra particolare verrà dedicata a 10 coltellinai tra i più
bravi e famosi d’Italia. Una rappresentativa significativa dell’elevata qualità e creatività del coltello made in Italy.
8. IL COLTELLO IN EUROPA
Uno sguardo all’Europa: storia, tipologie e centri produttivi più
importanti di Spagna, Francia, Germania e Inghilterra.
9. IL GIAPPONE, LA VIA DELLA SPADA
Una mostra verrà dedicata all’antichissima tradizione di lame e
spade giapponesi. Cultura e tecniche costruttive di questa lontana realtà, con l’esposizione di manufatti e suggestivi pannelli.
10. L’AFRICA TRA LAME E CULTURA
Il continente africano offre un panorama vastissimo di lame,
utensili e armi, mantenute intatte fino a oggi nelle tecniche e
nei significati rituali e antropologici. Sezione allestita in collaborazione con l’Associazione cagliaritana “Amici del Sahara”.
12. LE SPADE DEI SANTI NELLA PITTURA DELLA
SARDEGNA
Un’interessante mostra e conferenza verrà dedicata al significato della spada nella simbologia religiosa. In particolare verranno
presi in considerazione i Santi guerrieri o armati: San Paolo,
Michele, Martino, Caterina d’Alessandria e Barbara, rappresentati in splendidi retabli del 1500-1700, realizzati da artisti sardi.
13. SUL FILO DEL RASOIO
Una particolare mostra illustrerà la storia di quest’oggetto che
nel corso del tempo ha subito profonde trasformazioni.
14. METALLA - IL DAMASCO E IL FERRO BATTUTO
Verrà allestito un work shop sulla forgiatura dell’acciaio damasco. Una particolare lavorazione attraverso la speciale tecnica
della battitura e assemblaggio, di più strati d’acciaio, a diverso
tenore di carbonio. Alla forgia due maestri di livello internazionale: il corso Alexandre Musso e il francese Charles Bennica.
Altra sezione vedrà artigiani sardi del ferro battuto che, oltre a
esibirsi nelle lavorazioni, esporranno i loro manufatti artistici.
15. BIBLIOTECA INTERNAZIONALE DEL COLTELLO
I visitatori avranno a disposizione una biblioteca con centinaia
di volumi e riviste di tutto il mondo.
16. IL COLTELLO SU INTERNET
Verrà allestita una postazione dove si potrà navigare tra centinaia di siti sul coltello di tutto il mondo.
17. LE MATERIE PRIME E LE ATTREZZATURE
Le più importanti ditte per coltellerie allestiranno stand per la
vendita di prodotti e attrezzature per la produzione del coltello.
43
GENIUS LOCI
di Celestino Sanna
Nell'ambito della cultura
mediterranea della panificazione,
il territorio materano presenta
aspetti molto interessanti che
meritano un approfondimento e
non solo riguardo l'aspetto
puramente alimentare.
Il pane di Matera è sicuramente
uno dei più integri e gustosi nel
panorama italiano ed ancora oggi
permangono tracce della
"sacralità" attribuitagli dalla
sensibilità popolare.
E’ un prodotto della cultura
locale da preservare nelle sue
caratteristiche di gusto e qualità,
ma soprattutto per il retroscena
culturale e simbolico in cui si è
sviluppato e che ne ha
conservato l'integrità fino ai
44
Il pane di Matera
Alla scoperta di una delle risorse più importanti
e caratteristiche del territorio materano portatrice
di significativi valori storici culturali ed artistici
giorni nostri.
Sono infatti molti gli elementi
culturali ed artistici che rendono
unico il pane di Matera, prima fra
tutte la sua forma caratteristica a
cornetto, sintesi di simbolo ed
esaltazione del gusto.
La forma del cornetto è frutto di
una grande abilità manuale
tramandata da generazioni di
panificatori e che esclude la
riproducibilità meccanica,
garantendone la lavorazione
artigianale.
La forma del cornetto rimanda
simbolicamente ad archetipi di
culture ormai scomparse, legate
ad antichi riti lunari e solari,
aspetti leggibili più chiaramente
nei comignoli dei forni comuni,
alcuni dei quali ancora visibili
negli antichi rioni dei Sassi e
scolpiti nel materiale fondante
della città vecchia, il tufo, da abili
artigiani che hanno saputo
interpretare, esaltandole,
le simbologie proprie della
panificazione: la fecondazione e la
lievitazione.
Il gioiello di questa cultura è il
timbro del pane, che meriterebbe
una posizione di rilievo nella
storia dell'artigianato italiano.
Legato al mondo pastorale, dai
pastori creato e scolpito nel
legno, era utilizzato per
imprimere un segno di
riconoscimento del proprio pane
al ritiro dalla cottura nei forni
comuni.
Il gesto di "marchiare" acquistava
un significato rituale e allusivo,
legato agli antichi riti di
fecondazione.
Questa forte valenza simbolica si
evince ancor più se si pensa che il
timbro del pane, in alcuni casi,
veniva portato in dote dall'uomo,
con la duplice funzione simbolica
di recare cibo e nutrimento (il
pane) ma anche virilità nella
procreazione (la fecondazione).
Formalmente, il timbro del pane
è costituito da un blocco unico
scolpito nel legno, di dimensioni
variabili dai dieci ai trenta
centimetri, a sviluppo verticale;
è articolato in due sezioni,
l'inferiore e la superiore.
La prima, parte marcante, porta
inciso un segno distintivo forte, in
origine derivato dalla
stilizzazione del simbolo solare
fecondante ed in seguito
sintetizzato nelle iniziali del capo
famiglia; la seconda, superiore, da
intendere come manico, in cui si
ravvisano decorazioni
simboliche a sviluppo fallico e
antropomorfo, ma anche
45
zoomorfo, architettonico o sacro.
La persistenza simbolica si è
mantenuta nel corso dei secoli
finché è sopravvissuta la cultura
pastorale e contadina; con la sua
scomparsa, il timbro si è svuotato
di ogni significato rituale per
divenire un puro contrassegno di
proprietà.
La scomparsa dei forni comuni,
sostituiti da panettieri
commercianti, ha reso poi inutile
l'utilizzo del timbro, che è stato
pian piano dimenticato come
oggetto e come simbolo.
Perché questo mondo ricco e
affascinante non vada perso del
tutto, è fondamentale oggi
impegnarsi per creare operazioni
culturali e, perché no, anche
commerciali, che attraverso nuove
chiavi di lettura operino una
reinterpretazione del vasto tesoro
culturale posseduto dal territorio
materano.
46
47
autori
di Massimo Bignardi
Inquietanti forme del poetico
Le opere di Daniela Cannella e Nello Ferrigno
si segnalano sulla scena
della nuova ceramica d’arte mediterranea
Il tema del confronto e del
rapporto con la tradizione è
tornato, in particolare
quando si parla di
ceramica, uno dei punti
dolenti. Lo è stato e lo è
ancora, avvolto da un alone di
incertezza e di preoccupata
adesione, spesso forzata, alla
contemporaneità, divenuta
quest'ultima, cifra di spinte verso
un’omologazione, disposta ad
accogliere sia una disinformata
conoscenza della realtà, sia
l'inconsistenza di prospettive
gonfie di una genericità
raccapricciante, così come
segnalano alcune recenti
iniziative, tenutesi in area
salernitana, promosse dalla
Fondazione Carisal.
A sentire le relazioni del
convegno "Ceramicarte", svoltosi
dal 31 maggio al 1° giugno dello
scoso anno, la linea che unisce la
tradizione all'attualità, almeno
per il caso della ceramica vietrese,
è tutta ancora da costruire,
dondolando fra l'ambiguità e
l'uso strumentale del termine
tradizione o, peggio, senza
definirne una possibile anima
(che non è solo lo sterile e
"nominale" elenco dei decori e
delle forme, tracciato su affrettate
geografie), bensì quell'humus del
luogo, con le sue atmosfere, le
sue "leggende", i suoi aneddoti e
le "vicende" della comunità che
sono, ricordava anni addietro
Paolo Apolito (al quale si deve
una delle letture più interessanti,
48
in chiave antropologica, della
ceramica vietrese), la vera linfa
della tradizione.
A questa linfa si rapportano i
lavori di due giovani artisti,
Daniela Cannella e Nello
Ferrigno, le cui sperimentazioni
annodano i fili con un ambito
creativo, ove lo studio e l'analisi
della tradizione diviene motivo di
sondaggi sia nella sfera di un
nuovo naturalismo, sia
riprendendo la vivacità di
un'ironia narrativa, propria delle
manualità povere
dell'immaginario mediterraneo.
Daniela Cannella è un giovane
architetto salernitano, da anni
attento design con lo sguardo
rivolto all'elaborazione di una
possibile strada da aprire alla
ceramica d'arte, senza, però,
volgere le spalle alla tradizione
per inseguire tracciati distanti
dalla sua origine.
La tradizione, soprattutto quella
vietrese, è assunta come matrice
mentale, vale a dire quale terreno
poetico, una sorta di atmosfera
"primigenia" da respirare; tutto
ciò con una ben decisa identità
critica che spinge la giovane
artista a sondare terreni posti fra
la scultura e l'oggetto funzionale.
In tale ambito si collocano i vasi
realizzati in questi ultimi mesi,
connotati da una forte "azione"
poetica, di valenza narrativa, ove
le forme, costruzioni arbitrarie di
quel fantasma che abita la mente
dell'artista, assumono i contorni
di un velato discorso amoroso,
Nella pagina a fronte:
Daniela Cannella, “Coppia”
terracotta, 2000
(foto: R. Venturini).
In questa pagina, da sinistra:
Daniela Cannella, “I due fratelli”
terracotta e maiolica, 2000;
“Insieme” terracotta, argilla nera,
argilla bianca, argilla rossa, 2000.
49
sospeso fra l' occhio "interiore"
del progetto (con l'implicito
desiderio di creare nuove forme,
quindi, ulteriori presenze)
e la natura.
Sono, per lo più, oggetti poetici
che evocano le forme di elementi
naturale, tronchi d'albero
recuperati, nella loro torsione di
corpi, dalla fragile consistenza
dell'argilla ed animati dalla
porosità di una superficie che
assorbe ogni scarto di luce,
accentuandone le nervature, le
pieghe, insomma attivando
immaginativamente la materia.
Diversamente a quanto facevano
registrare i suoi primi lavori,
penso a quel "servizio da caffè"
esposto anni fa in occasione del
Premio Nazionale di Ceramica di
Vietri sul Mare o, anche, a
"Punto e virgola" una
composizione da tavolo in verde
ramina, nei quali l'interesse
era maggiormente rivolto
al design, dunque a risolvere
in chiave funzionale il dettato
delle forme, nelle opere
esposte in mostra l'attenzione
si sposta sulla capacità
evocativa che esse hanno.
In pratica se nei primi lavori era
il progetto -affidato ad una sorta
di leggerezza immaginativa
sottesa, però, da un rigoroso
dettato compositivoa sollecitare l'artista, in questi
ultimi "vasi", invece, è una
componente "animistica" a farsi
largo, a schiarire le linee di
quell'orizzonte al quale guarda
50
Daniela Cannella.
Scelta resa ben evidente sia
dalla composizione strutturale,
che rinunzia tanto al lucignolo
tanto alla rigida architettura
del tornio, sia dall'azzeramento
del dettato cromatico,
insomma del decoro orchestrato
dagli ossidi sugli smalti.
Infatti questi vasi a mo' di tronchi
sono sottili sfoglie di argilla, stese
come carte increspate e colorate
ora dal rosso naturale della terra
cotta, ora dagli impasti di argille
nere. Ad una linfa, intesa nel suo
radicato valore di origine
dell'immaginario collettivo,
guarda Nello Ferrigno, attento
dai primi anni Ottanta, dopo una,
se pur appartata e defilata,
esperienza di "operatore
culturale" - a declinare, in
ceramica, un repertorio di forme
della mitologia mediterranea,
sollecitato dal desiderio di
ripercorrere tracciati in parte
noti, senza farsi rapire dalla
nostalgia, anzi mantenendo la
curiosità rivolta verso il futuro,
verso i nuovi linguaggi.
Una scelta che Ferrigno fa
affidando la capacità narrativa,
propria della figura, ad un
inquietante dettato ironico,
ad una compiacente
ma graffiante silhouette,
pronta a sedurre lo spazio,
con il nascosto fascino
di quel mondo classico
dal quale essa è attinta.
Ferrigno riprende il suo
confronto con l'immaginario
collettivo, quello dell'habitat
originario, a distanza di quasi
venticinque anni, da quando con
altri artisti salernitani -penso ad
Ignazio Collina (passato oggi
nelle file dei ceramisti), Davide,
Rescigno, Marano, Vecchio,
Nobile e Salvatore Autuoriaveva aderito a quel progetto di
"partecipazione sociale" lanciato
a Marigliano nel 1975 in
occasione della mostra "Napoli
Situazione '75".
Ambito di ricerca meglio
documentato nella specifica
sezione allestita alla Biennale di
Venezia del 1976: è questo un
momento per l'arte a Salerno,
ancora oggi tutto da studiare, le
cui tracce restano nel volume di
Enrico Crispolti “Arti visive e
partecipazione sociale”,
apparso nel 1977.
Già nelle opere e negli interventi
di quegli anni la cifra ironica,
propria di un'azione corrosiva
diretta contro le apparenze di
"estetiche" mondanità, era stata
assunta da Ferrigno quale misura
del desiderio di ritrovare un
dialogo creativo con la tradizione,
guardata da una postazione
critica, intenta a capire i rivoli
vivi, i flussi legati
al battito del tempo.
È questa la radice dalla quale
prendono l'avvio le sue figure,
i suoi cavalieri, le sue donne
sottratte ad un repertorio di
scene circensi, i cavalli
sintetizzati, quasi, come forme
monolitiche, rassicurate da una
Nella pagina a fronte:
Nello Ferrigno, “Cavallo Alato” maiolica
e smalti vetrosi, 2001.
In questa pagina, dall’alto:
“Cavaliere” terracotta e ingobbio, 2000;
“Amazzone” maiolica, smalti vetrosi e
ingobbio, 2000 (foto: R. Venturini).
geometria compositiva,
repentinamente, però, messa in
discussione dalle sensuali sagome
di bianche amazzoni.
Le opere recenti, esposte in
occasione della mostra "Nuove
Terre", organizzata al Museo
Città Creativa di Salerno,
testimoniano di un'ulteriore
sintesi formale, già ampiamente
avviata nei piatti, nei vasi e negli
oggetti esposti nella personale
allestita la scorsa estate a Palazzo
Genovesi a Salerno.
Una sintesi che non è solo
compositiva o, meglio, della
forma oggetto -registrata dalla
rinuncia dei movimenti dettati
dai rilievi- bensì cromatica
evidenziata dal ricorso
all'ingobbio, alle sue possibilità
di graduare la luminosità
delle superfici.
51
AUTORI
di Adriano Gatti
Josif Droboniku
Pittore ritrattista e mosaicista
ispirato da un grande retaggio spirituale e culturale
inizia la sua attività artistica nel 1977
interpretando con professionalità e maestria
la secolare tradizione dell’icona e del mosaico bizantino
Il fare mosaico è ancora
considerata una delle specialità
più nobili dell’artigianato
artistico: dalla grande tradizione
friulana (mosaici di fattura
aquileiese, forse i mosaici più
numerosi nell’area padana
orientale) a quella di Monreale
(il celebre Duomo) e di Ravenna
(Basilica di S. Vitale, Basilica di
S. Apolinnare, Mausoleo di Galla
Placidia), il nostro territorio è
ricco di testimonianze di
quest’antica arte. Testimonianze
legate alla storia e ai modelli
figurativi spesso eredi di antiche
scuole di mosaico paleocristiane,
teodoriciane e bizantine.
Oggi il mosaico trova sempre più
occasioni di rinnovamento
figurativo e tipologico e quindi
è con notevole interesse che
ci avviciniamo al lavoro di
Josif Droboniku in quanto
le sue opere evocano tutta la
storia della grande tradizione del
mosaico e della pittura
monumentale quale è l’affresco.
Nato a Fieri (Albania) Droboniku
si è presto trasferito a Tirana
dove ha frequentato, con ottimi
risultati, il Liceo Artistico e poi
l’Accademia di Belle Arti
specializzandosi in pittura
monumentale, affresco e mosaico.
Ha iniziato quindi la sua attività
nel 1977 e la sua abilità in questa
arte gli ha procurato subito
riconoscimenti: è stato invitato a
partecipare alle più importanti
mostre nazionali in Albania, a cui
sono seguite committenze,
52
Nella pagina a fronte:
“Madonna Odigitria”,
icona su tavola Monastero di San Basile (CS).
soprattutto per la realizzazione di
grandi mosaici eseguiti in molti
edifici statali e pubblici di Tirana,
ai quali si sono spesso aggiunti
ritratti, paesaggi e tele
di carattere storico e sociale.
Ma è nell’affresco e nel mosaico
che Droboniku si afferma
raggiungendo risultati di altissimo
livello: i lavori eseguiti per il
Museo Civico e il Polifunzionale
di Lushnje e Peshkopia; i mosaici
del Palazzo della Cultura, quello
Sotto:
“Cristo Pantocratore”,
mosaico diametro mt. 11, superficie mq. 115
cupola centrale della Cattedrale di
San Nicola di Mira in Lungro (CS).
della Facoltà di Agraria della
Università di Tirana di cui è
coautore e, soprattutto, il grande
mosaico (500 mq) della facciata
del Museo Nazionale di Tirana.
Ciò che appare estremamente
affascinante nel lavoro di questo
artista è la capacità di rifarsi ai
modelli “bizantini” riferiti alle
immagini sacre della chiesa.
Il grande Cristo su fondo oro con
le braccia aperte, le complesse
“pale” d’altare, i polittici: queste
e altre opere sono spesso
realizzate come antica
aspirazione di “decorare”
in armonia con l’architettura.
Di fatto il mosaico e la pitturaaffresco hanno proprio la
caratteristica di modellarsi su
piani, cupole, volte, absidi, archi,
adattandosi al corpo costruito
come una pelle, come un vestito
che ridisegna gli elementi
di un nuovo spazio.
Così il decoro musivo di
53
Sotto, dall’alto e da sinistra:
“Trittico la vita del Signore”,
icona su tavola, collezione privata, Civita (CS);
“La Cappella di battesimo”,
mosaico mq. 32, Cattedrale di Lungro (CS);
“Scena dell’Ascensione”,
icona su tavola, mt. 4x8, San Costantino Albanese (PZ).
Nella pagina a fronte:
“Madonna Odigitria” e “Gesù con Vangelo”
mosaici su tavola, cm. 60x100
collezione privata, Lamezia Terme (CZ).
Droboniku, che si sviluppa
attraverso le immagini della
grande tradizione orientale, fa
cambiare le regole dello spazio
architettonico attraverso
il sapiente gioco di luci
e di ombre di ori splendenti.
Dal 1990 Droboniku è in Italia
(da otto anni vive a Lungro) e si
può dire che in questa comunità
italo-albanese ha ritrovato un
lembo della sua patria, stimoli e
motivazioni nuove per il suo
impegno artistico, forme antiche,
ma intimamente connesse ad un
grande retaggio spirituale
e culturale, in cui cercare ed
interpretare l’arte sacra dell’icona
e del mosaico bizantino.
Così in questi ultimi anni ha
eseguito grandi pitture murali in
molte chiese della Diocesi di
Lungro, rifacendosi ai modelli
tradizionali dell’arte sacra
bizantina, arricchiti dalla lezione
che proviene da un grande
maestro iconografo,
suo conterraneo, di fama
universale come Onufrio.
Ha realizzato le icone per molte
iconostasi di Chiese della Diocesi
di Lungro, Fascineto, Plataci,
S. Benedetto Ullano,
Marri di S. Benedetto Ullano,
Falconara Albanese, Sofferetti,
ma soprattutto ha realizzato il
grande mosaico della cupola
centrale della Cattedrale di
Lungro che presenta la maestosa
figura del Cristo Pantocratore.
E sempre nella stessa cattedrale,
il mosaico dell’abside della
54
Cappella del Battistero, altro
splendido e maturo esempio di
realizzazione di mosaico
bizantino, oltre ai mosaici di
S. Andrea, dei 4 Evangelisti,
del Credo, degli Angeli
e 5 mosaici all’interno del Vima
realizzando complessivamente
circa 300 mq di nuovi mosaici.
Altre importanti opere musive
sono state eseguite per
le Chiese parrocchiali di Civita
e S. Sofia d’Epiro.
In fase di ultimazione sono il
mosaico centrale della chiesa
Mater Domini di Catanzaro
(50 mq), il Cristo Pantocratore
della Chiesa di S. Benedetto
Ullano e la pregevole e unica
opera musiva di 85 mq
del “Giudizio Universale”
(tempio della Cattedrale di
San Nicola di Mira di Lungro).
Retaggio delle varie dominazioni
bizantine o tentativo di ricreare lo
sforzo e le meraviglie artistiche
della corte di Costantinopoli?
In ogni caso la presenza storica in
Italia del mosaico ritrova oggi,
con Droboniku, una continuità
secondo quei modelli consolidati
che gli “Ortodossi” hanno sempre
voluto mantenere intatti
al di sopra dell’evoluzione
della storia dell’arte.
Così, malgrado ci sia ancora, nel
nostro territorio, un’avversione
iconoclasta (espressa da certa
cultura ufficiale) nei confronti
della decorazione e delle arti
applicate in genere, che ha spesso
limitato lo sviluppo e la diffusione
dell’arte musiva sul nostro
territorio, il lavoro di Droboniku,
per la sua qualità, sta
sempre più convincendo e
conquistando estimatori.
Sue opere, soprattutto icone,
sono presenti in diverse chiese o
collezioni private, congregazioni
per le chiese orientali, seminario
regionale di Catanzaro,
parrocchia di Genzano, a cui si
aggiungono numerose mostre in
diversi centri (anche piccoli) come
Firmo, Frascineto, Lungro,
Altomonte, Acquaformosa,
Roseto Capo Spulico, ma anche
Lucca, Roseto degli Abruzzi, per
far conoscere e propagandare
55
Dall’alto e da sinistra:
iconostasi e affresco catino dell’abside in pittura,
San Costantino Albanese (PZ);
iconostasi e mosaico sull’abside, mq. 50,
San Benedetto Ullano (CS);
iconostasi, Chiesa di Santa Lucia Frascineto (CS).
56
Nella pagina a fronte, dall’alto:
Josif Droboniku e la moglie Liliana all’opera
nel laboratorio di via San Leonardo a Lungro (CS);
Beato Daniele Comboni
icona su tavola, cm. 50x70, Brescia.
l’arte sacra dell’icona, cui dedica
ormai il meglio di sé
e del suo impegno artistico.
Una grande lezione per
salvaguardare e conservare,
rinnovandolo, il patrimonio
artistico del mosaico della
tradizione orientale bizantina.
Nella primavera del 2000 la
trasmissione “Bell’Italia” di RAI 3
gli ha dedicato un esaustivo ed
interessante servizio e, sempre
nello stesso anno, l’artista ha
partecipato, nel padiglione
dedicato all’artigianato artistico
italiano, alla manifestazione
“Ambiente” tenutasi presso
la Fiera di Francoforte.
Oggi Josif Droboniku si avvale
della preziosa collaborazione
della moglie Liliana, scrupolosa
ideatrice ed esecutrice di ieratiche
figure e solenni soggetti della
tradizione religiosa orientale.
“Arberart” è il laboratorio nel
quale il nostro maestro, affiancato
dalle due giovani figlie, progetta e
realizza le opere più nobili
dell’artigianato artistico e
conferisce la solennità
che soloil mosaico riesce
a dare alle immagini sacre.
Il mosaico e l’icona sono le forme
artistiche che Droboniku
predilige ed è proprio al mosaico
e all’icona che Josif vuole dedicare
particolare attenzione. Sulla
scorta delle innovative prospettive
demandate dalla nuova legge della
Regione Calabria (15 marzo
2002) sulla tutela dell’artigianato
artistico, ha voluto istituire una
bottega-scuola per educare e
formare i giovani all’arte musiva e
all’iconografia. Ad Altomonte,
città d’arte conosciuta a livello
nazionale,
il maestro Droboniku ha voluto
inaugurare un laboratorio,
punto di esposizione permanente,
per gettare le basi della
sua nuova idea imprenditoriale
di bottega-scuola, in un luogo
che ha scoperto da poco tempo
i tesori del mondo bizantino.
57
FIERE E SALONI
di Claudia Ferrari
Dopo il grande successo della
47° edizione del Gift di febbraio
che, con oltre 18.000 presenze,
ha saldamente mantenuto le
posizioni acquisite nel settembre
2001, si avvicina ora la prossima
edizione, rivolta in particolare al
Natale, che può essere presentata
in 3 parole: Firenze, regalo, mercato
e altrettante buone ragioni per
decidere di incontrarsi alla
Fortezza da Basso dal
13 al 16 settembre prossimo,
58
48° Florence Gift Mart
Alla Fortezza da Basso di Firenze
dal 13 al 16 settembre si ripresenta l’evento
dedicato al regalo, oggettistica e artigianato artistico
che per proposte e servizi personalizzati
non ha paragoni nel settore
complice l’aspettativa creata
dalla ricorrenza del Natale, a cui
nessuno vuole mancare.
Perchè Firenze?
Perchè città ideale per quella
sintesi di natura e arte, cultura e
vocazione imprenditoriale, che
nel tempo le ha tributato una
centralità non soltanto geografica
e che oggi ne fa il luogo deputato,
spontaneamente incline
all’ospitalità e per di più
facilmente raggiungibile per un
appuntamento fieristico
a carattere internazionale.
Cosa presenta il Gift?
Il settore regalo: un settore
multiforme, evocativo di quell’antico rito del dare e del ricevere
che è comunicazione, vivere insieme, rappresentato
al Gift nelle sue molteplici
declinazioni, dalla tavola alla
bigiotteria, dalla decorazione al
complemento d’arredo, dall’oggettistica più
sfiziosa e segnatamente
contemporanea all’artigianato
artistico, che proprio a Firenze
ha profonde radici, punto di forza
e motivo trainante del made in
Italy; ma anche tante gustose
incursioni nell’esotico,
nell’etnico, suggestioni da terre
lontane che accendono di
sfumature inedite la tradizionale
atmosfera natalizia.
C’è aria di festa?
Natale: lo scambio dei doni, il
piacere di una casa accogliente,
vestita di nuovo, clima festoso a
cui neanche un mercato, tuttora
per molti versi titubante, può
sottrarsi. E’ il momento clou, una
scadenza immancabile. Per chi
produce, grande azienda o piccola
impresa, è settembre il mese più
azzeccato per presentare in
anteprima le ultime creazioni,
proposte che buyers e dettaglianti
potranno agevolmente
apprezzzare alla Fortezza da
Basso, entro una cornice
espositiva elegante e funzionale,
come poche al mondo.
Nella pagina a fronte:
una visuale dello stand
“Ceramiche di Miss Dora”.
In questa pagina, dall’alto:
interno di un padiglione
da una precedente edizione;
ciotole di “Le Sibille”;
immagine di un allestimento
della “Industria Vetraria Valdarnese”
dalla precedente edizione.
Quali servizi?
Servizi funzionali ed efficienti.
Una ragione in più per esserci,
comunque protagonisti: il
Florence Gift Mart garantisce ai
suoi espositori e visitatori servizi
personalizzati, un’assistenza
efficiente, curata nei dettagli,
disponibilità al dialogo, presenze
qualificate di operatori. Garanzie
che si traducono per i compratori
in altrettanti vantaggi, primo fra
tutti la facile e rapida visibilità,
che solo una mostra di dimensioni
contenute e spazi razionalmente
organizzati può assicurare.
Ente Mostre Monza e Brianza
Via G.B. Stucchi 64 - 20052
Monza Tel. 039.2842310 fax
039.2842312
59
Fiere e saloni
di Osvaldo Valdi
Dal 1971 ad oggi, la Mostra
dell’Artigianato della Majella
è giunta alla XXXII
edizione, che si svolgerà
dal 1° al 20 agosto 2002. La sede è, come sempre,
Guardiagrele, cittadina alle falde
del maestoso anfiteatro della
Majella, il centro dell’artigianato
abruzzese che diede i natali a
Nicola da Guardiagrele,
Maestro Orafo del XV secolo.
L’anno 1981 ha segnato una
tappa importante per
l’affermazione dei valori
rappresentati dall’Ente,
a seguito del riconoscimento
legale offerto dalla Regione
Abruzzo, premessa di ulteriori
traguardi: quali la legge che
conferirà piena autonomia
all’Ente Mostra, l’istituzione
delle “Botteghe-scuola”, con la
prospettiva di uno status per
l’artigianato artistico e per gli
allievi, necessari per la continuità
del processo generazionale,
ed infine la Mostra permanente
che possa riunire i reperti degli
oltre trent’anni di attività finora
laboriosamente trascorsi. Particolare importanza riveste il
concorso biennale a tema,
organizzato dall’Ente, dedicato ai
settori dell’artigianato artistico,
della ceramica, del ferro battuto,
della pietra lavorata, del legno,
del tombolo e dell’oreficeria.
“Rosoni e simboli solari
60
I rosoni delle chiese d’Abruzzo
Rievocazione storica a confronto
con la creatività degli artigiani d’oggi
nel tema stimolante del concorso bandito
per la XXXII Mostra dell’Artigianato della Majella
Nella pagina a fronte:
sedia in ferro battuto di Filippo Scioli,
I° premio settore ferro battuto, 1998.
In questa pagina, dall’alto, in senso orario:
scorcio della Mostra;
brocca in ceramica di Paola Iannucci,
I° premio settore ceramica, 1998;
piatto in ceramica di Juvanum Ceramiche
e vaso in rame di Nicola Vitullo;
foglie ornamentali in ferro battuto di
Luciano Prinzio con brocca e anfora in
ceramica di Andrea Bontempo;
orecchini in filigrana d’oro tradizionale di
Gianluca Macino (Pescocostanzo).
d’Abruzzo”: è questo
l’affascinante soggetto del
concorso di quest’anno, in cui si
porranno a confronto nuove
opere create sull’esempio degli
antichi artigiani, che hanno
interpretato per secoli la bellezza
ed il profondo significato
simbolico del tema. Tutte le opere presentate
verranno esposte dal 1° al 20
agosto, nel corso dell’annuale
Mostra dell’Artigianato.
L’architettura romanica abruzzese
offre ancora oggi esempi di
splendidi rosoni; ma il tema è
ricco di implicazioni ed
evocazioni culturali, e non è
sfuggito ai critici più attenti lo
stretto rapporto fra la simbologia
solare del disco radiante,
tipica dei rosoni, con quella
analoga, ma miniaturizzata nelle
opere d’oreficeria, rappresentata
dalle celebri “presentose”
abruzzesi, gioielli celebrativi
femminili che ci riportano al
singolare patrimonio culturale
regionale, con radici comuni alla
tradizione del filo d’oro,
del ricamo e dei merletti.
Un’occasione rara, dunque, per i
turisti che potranno coniugare
l’ammirazione per i tesori d’arte
proposti ai visitatori della Mostra,
con i panorami incontaminati
offerti dalla natura nel vasto
territorio riservato e curato dal
Parco Nazionale della Majella.
61
FIERE E SALONI
di Federico Gatti
66a Mostra Mercato
Internazionale dell’Artigianato
La qualità dei prodotti presenti in mostra
l’ottima accoglienza delle 9 mostre collaterali
e l’innovativa ripartizione degli spazi
hanno reso più attraente e godibile l’ultima edizione
organizzata da Firenze Expo & Congress
dal 20/4 all’1/5 alla Fortezza da Basso di Firenze
Nella splendida cornice della
Fortezza da Basso di Firenze, oltre
25.000 visitatori, nell’ultimo
giorno di apertura della
66a Mostra Internazionale
dell’Artigianato, hanno suggellato
il successo della manifestazione
che si è chiusa il 1° maggio
battendo ogni record. E’ stato
superato per la prima volta il tetto
delle 200.000 presenze, con
207.000 visitatori italiani e
stranieri. Anche i visitatori
professionali hanno segnato un
forte aumento, con 11.000 unità
che svilupperanno acquisti anche
nei prossimi mesi, sulla base dei
contatti stabiliti in fiera con i 750
espositori, di cui ben 250 stranieri
provenienti da 62 paesi. Fra i
principali motivi del successo della
mostra, oltre alla qualità dei prodotti presenti, frutto della selezione, l’ottima accoglienza avuta
dalle nove mostre collaterali e
dall’ innovativa ripartizione degli
spazi che -grazie al layout curato
dall’architetto Allori- ha saputo
rendere la mostra più attraente e
godibile. Un successo particolare
ha saputo raccogliere la Piazza del
Gusto che ha
concentrato una offerta di
specialità gastronomiche da tutto
il mondo, a partire dalla cucina
toscana a quella brasiliana.
La prima edizione del Premio
dell’Artigianato ha riscosso grande
interesse fra espositori e visitatori,
mettendo in luce opere di grande
pregio come, nella sezione
tradizionale, quella del maestro
62
Nella pagina a fronte:
un’ambientazione dalla mostra
“Frammenti d’oro, schegge d’argento”.
In questa pagina, dall’alto e da sinistra:
vasi antropomorfi di Ugo la Pietra
dalla mostra “L’oggetto travestito”;
vasi-scultura di Bruno Gambone
e vasi di originalissima fattura
dall’evento espositivo “Visioni”.
artigiano Franco Barucchieri di
Castiglion Fiorentino. Molta
soddisfazione è stata espressa
dall’Assessore al Turismo del Rio
Grande do Sul che rappresentava
il Brasile, paese ospite d’onore,
portatore a Firenze del fascino dei
gauches, del churrasco e del samba.
Ricordiamo gli eventi organizzati:
- Visioni: quando l’artigianato
è d’autore (Va edizione);
- Artigiani brasiliani “in diretta”;
- Sculture d’aria (Ballon Art);
- L’oggetto travestito, a cura dall’ar-
chitetto Ugo La Pietra;
- Naturalmente!, in collaborazione
fra Firenze Expo & Congress e la
GHM di Monaco di Baviera;
- Frammenti d’oro, schegge d’argento;
- Tipico, La piazza del gusto;
- Artigiani all’opera;
- Progetto giardino;
- Green Home, in partnership fra
Regione Toscana, Consorzio Casa
Toscana e Università di Firenze;
- Artigiani in diretta;
- Il Treno dell’Artigianato da Siena
a Santa Maria Novella.
“Con questo successo” - dichiara
Federico Galdi, amministratore
delegato di Firenze Expo &
Congress- “la nostra società ha
dimostrato una forte vitalità, al di
là delle polemiche strumentali di
questi ultimi giorni e in un
momento in cui tante fiere, anche
internazionali, segnano il passo.
Ai nuovi amministratori, che si
insedieranno prossimamente,
consegnamo una Mostra dell’Artigianato e una Fortezza in buona
salute ed in decisa crescita".
63
M
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le tecniche dei maestri
FUSIONE ARTISTICA DEL BRONZO
di Gianmaria Colognese
Definizione e componenti
Il bronzo è una lega metallica composta da rame (Cu: 87,94%), stagno (Sn:
7,22%), zinco (Zn: 4,73%), antimonio
Sb: 0,06%). Per rendere il bronzo più
fluido, era consuetudine fino a pochi
anni fa, fondere nella lega piccole
quantità di piombo, il cui uso fu proibito a causa dell’alta tossicità dei suoi
fumi e polveri. Il grado di fusione è di
1200°C e, in fase di raffreddamento, si
ha un ritiro del 2% circa al mq; prima
della colata si aggiunge rame fosforoso
allo scopo di disossidare il metallo.
Il termine “bronzo” sembra derivare
dalla denominazione che i romani
davano al rame “aes brunum”, poi trasformato nel medio evo in “aes brundium”. Le percentuali dei componenti
della lega possono variare a seconda
delle necessità cui deve far fronte il
fonditore per ottenere particolari tipi
di fusione e di colorazioni.
Queste dipendono dall’utilizzo finale,
che nell’arco dei secoli è passato
dall’utensileria alle fusioni artistiche e
statuarie, dalle campane alle armi da
fuoco, da accessori decorativi a parti
meccaniche di motori. Infatti le colorazioni classiche, di base, sulle quali si
stenderanno le patinature finali, sono
ottenute con meno del 5% di stagno
per il “rosso-rame”; con stagno variabile tra 5 e 10% per il colore “giallooro” e con oltre il 22% di stagno per il
“bronzo-bianco”. Così, nel bronzo da
campane, l’alta percentuale di stagno e
zinco provoca la massima resa nella
sonorità da battuta.
Cenni storici
Gli storici dell’antropologia hanno fissato l’età del bronzo all’incirca tra il
2200 e il 700 a.C., individuando nelle
regioni mediorientali (Mesopotamia,
Egitto) le sedi originarie dalle quali il
metallo si è diffuso in Occidente e nel
bacino mediterraneo. Nel periodo più
antico, le fusioni venivano fatte in
stampi aperti di pietra o argilla cotta,
risultando così un lato modellato e l’altro piatto. In un periodo successivo si
utilizzarono degli stampi chiusi su una
forma positiva (generalmente in argil-
64
la) per ottenere delle fusioni modellate
tridimensionalmente.
È dell’inizio del III° millennio l’invenzione della tecnica di fusione a cera
persa. All’inizio questa tecnica si usava
plasmando una forma di argilla su una
forma di cera: mediante cottura si eliminava la cera che lasciava un vuoto
che veniva riempito dalla colata della
lega fusa. In questo modo però, essendo il modello pieno, l’opera in bronzo
risultava essere molto pesante e non
consentiva di realizzare oggetti o sculture di grandi dimensioni, e la quantità
eccessiva di metallo provocava ritiri
incontrollabili con conseguenti deformazioni e crepe del pezzo.
Attraverso ulteriori perfezionamenti,
nel VI secolo a.C. si elaborò un sistema di fusione a cera persa in cui la
scultura in cera è modellata su un
corpo di terra (anima). Su questo
modello si collocano i canali per la
colata del getto e per la fuoriuscita dei
gas, quindi si copre tutto con argilla.
Con la cottura si fa sciogliere la cera
che viene scaricata fuori attraverso dei
fori e il bronzo fuso riempie il vuoto
lasciato dalla cera. Con questa tecnica
il modello originale viene distrutto,
consentendo la realizzazione di un
pezzo unico. Va fatto notare che lo
spessore del bronzo non risultava essere ancora abbastanza sottile (da 1 a 2,5
cm circa). Un notevole perfezionamento si raggiunse nel III° sec. a. C.
con la formatura tassellata del negativo, che consente di conservare il
modello che può essere così riprodotto
più volte. Questo metodo, chiamato
anche indiretto, procede dalla forma
verso il nucleo, con successivi riempimenti, mentre l’altro metodo di cui si
è parlato precedentemente, detto
diretto, parte dal nucleo per arrivare
alla forma con varie stratificazioni.
Con questo sistema, si giunse nella
Roma imperiale ad ottenere fusioni
che raggiungevano i 2 mm di spessore.
La tecnica sopra descritta, nel Medio
Evo viene dimenticata, e si ritorna alla
modellazione diretta, per una produzione scarsa e grossolana, limitata
soprattutto alla realizzazione di campane e di porte per le chiese.
Dal tardo Rinascimento in poi, con il
Cellini, la tecnica di fusione riprese ad
espandersi anche se con molte difficoltà tecniche (vedi la descrizione della
fusione del “Perseo” in un solo getto,
fatta da Benvenuto Cellini nella sua
autobiografia). Ne segue la riscoperta
del calco a tasselli, il migliorarsi delle
leghe, l’ottenimento di spessori molto
sottili e fedeli al modello con l’eliminazione di faticosi interventi di finitura
a freddo. Nel XVI° sec., con il
Giambologna, il procedimento a tasselli viene adottato sistematicamente,
cominciando a scindere il lavoro
dell’artista da quello del fonditore.
La tecnica a cera persa rimasta invariata fino ai giorni nostri, viene eseguita
in fonderie artistiche, dove mano
d’opera specializzata esegue tutte le
varie fasi di lavorazione che possono
essere così riassunte: formatura (preparazione di fonderia), fucinatura e finitura a freddo. All’artista ormai rimane
l’intervento del ritocco delle cere.
Alla tecnica tradizionale si è aggiunta
la scoperta delle gomme siliconiche,
che consente la facile riproduzione di
numerose copie e una più rapida e precisa operazione di calco, e quella delle
conchiglie ceramiche che permette
una maggiore maneggevolezza delle
forme e velocità di esecuzione.
A quanto detto, si aggiunge anche
un’altra tecnica, più simile ai sistemi
della fusione industriale, quella detta
“a staffa”.
Fusione a cera persa
Ad ognuna delle sezioni già citate precedentemente corrispondono altrettante fasi di lavorazione.
Formatura
Il calco del modello (fatto in gesso,
legno o altro materiale consistente)
viene realizzato dopo aver valutato la
sua complessità. Se semplice, si può
fare in due valve, se complicato si può
sezionare l’opera in più parti.
In passato i calchi venivano realizzati
in gelatina animale, materiale elastico
e riciclabile, che veniva colata negli
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stampi e che per la sua elasticità poteva
sfilarsi facilmente dai sottosquadri dei
modelli e riprendere la propria forma
originaria, una volta riposta nella
madreforma. A causa della sua facile
deteriorabilità, dovuta all’origine organica, la gelatina è stata sostituita da
gomme siliconiche, nate negli anni ’40,
e che hanno il vantaggio di essere
molto elastiche, precise nell’impronta
e di facile applicazione sia per colaggio
che a spatola o a pennello.
Si ottiene così uno stampo di pochi
millimetri, leggero, che consente di
ottenere numerosi modelli mediante il
colaggio anche di materiali diversi
(gesso, cera, cemento, ecc.) e di durare
a lungo conservato nella madreforma.
Nuove ricerche hanno portato alla
scoperta di un particolare distaccante
(MACRO 2000), che non viene assorbito dalla superficie del modello, e
facendo corpo unico con i vari siliconi,
consente di attuare stampi anche su
preziose opere d’arte in marmo, terracotta e bronzo, senza provocare danni.
La sequenza delle operazioni per la
formatura di un modello a tutto tondo
di gesso sono descritte in seguito.
Calchi
I calchi si possono realizzare in gomma
siliconica liquida, in gomma siliconica
pastosa, in solo gesso nel caso in cui
l’opera sia priva di sottosquadri, calco
misto in gesso da un lato e dall’altro in
gomma siliconica e controstampo in
gesso. Qui si descriverà quello in
gomma siliconica liquida che è uno dei
più usati. Il modello pulito, viene posato fino a circa metà su una base di
argilla o plastilina, e si costruisce una
parata di 3 o 4 cm lungo il suo contorno. Si copre il modello emergente con
un piano di argilla di 7-8 mm, lasciando libera la parte esterna del bordo che
viene arginato per delimitare la colata
di gesso. Questo piano sarà successivamente rimosso, lasciando un’intercapedine tra il modello e il controstampo in gesso che si va a realizzare.
Quest’ultimo si rinforza con pezze di
juta e una volta gettato si rifinisce. Si
capovolge il lavoro e si livella l’argilla
con il bordo del controstampo ottenuto, sul quale si realizzano delle chiamate con una spatola di acciaio e si collocano i cunei che serviranno per aprire
lo stampo. Sul bordo in gesso del controstampo si spalma il distaccante, si
copre con un piano di argilla l’altra
metà del modello e sulle zone più
sporgenti si applicano ad una distanza
di circa 15 cm dei cilindretti di argilla
di 2-3 cm di diametro che serviranno
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Fase della formatura: da un modello in gesso
alla cera con calchi in gomma siliconica e controforme a due valve.
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da imbuti di colaggio e da sfiatatoi
della gomma liquida; si ricopre tutto
con gesso rinforzato lasciando in evidenza la bocca di colaggio e i fori di
sfiato e si rifinisce il gesso prima
dell’indurimento. A questo punto si
stacca il controstampo con il piano di
creta che viene asportato dal modello,
si applica il distaccante sui bordi e
all’interno del controstampo, che viene
riposto sul modello e fissato con graffe
o filo di ferro. I bordi vengono sigillati
con gesso e sui fori di immissione e
sfiato, si pongono degli imbuti. Si
compongono in precise quantità catalizzatore e gomma, che viene versata
nella bocca di colaggio per riempire
l’intercapedine tra modello e controstampo. Dagli sfiatatoi fuoriesce l’aria,
impedendo così la formazione di bolle.
A questa operazione segue l’apertura e
la rimozione dell’argilla dal secondo
controstampo.
Vengono eseguiti i fori di sfiato e
colaggio direttamente sul gesso, si
spalma il distaccante e un sottile strato
d’olio sul bordo della gomma versata
precedentemente, per evitare di farla
aderire con quella del secondo guscio.
Alla base dello stampo di gomma e del
controstampo si ricava un’apertura per
il colaggio della cera, per uno spessore
di 5 mm circa. Riproduzione in cera e
ritocco. La cera (composta da pece
greca, paraffina e cera d’api) è formata
da due strati. Il primo esterno è più
plastico perché più facilmente ritoccabile, il secondo è di cera dura per rendere il modello più solido. Estratto il
modello in cera dallo stampo di
gomma, si eliminano le colate e le bave
e si procede a ritoccare il modello. A
questo punto vengono inseriti a caldo
chiodi d’acciaio o spilli di ottone che
serviranno da supporto dell’anima
interna, una volta volatilizzata la cera. I
sistemi di colata più usati sono quello
“diretto” e quello “a risalire”.
Applicazione di sfiati e colate
Nel metodo diretto l’imbuto di immissione è direttamente collegato alla
cavità da riempire, e per questo la
penetrazione violenta del metallo
liquido può causare a volte delle lesioni. Nel metodo “a risalire”, si provvede
alla cannulazione, cioè al fissaggio sulla
cera del modello di tante cannule di
bambù (canali di drenaggio), quante il
fonditore ritiene necessarie; questo al
fine di ottenere i giusti “sfiati”, soprattutto nelle parti “sottosquadra”, raccordati tra loro con un sistema che
prevede la canna principale di carico
(materozza) e quella generale di sfiato.
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Preparazione della forma
Si pone l’insieme del modello in cera
con le canne su un piano sopra un
foglio di carta che impedisce al luto di
attaccarsi al piano. Si predispone un
rinforzo di rete metallica attorno al
complesso. Si forma il luto miscelando
in un recipiente con acqua, due parti di
polvere di mattone o terra refrattaria e
una parte di gesso alabastrino.
Si getta dell’impasto per formare la
base intorno all’opera, poi si cola all’interno del modello in cera del luto più
liquido, per formare l’anima. Quindi si
completa tutto il rivestimento della
cera e si applica un ulteriore rivestimento di rinforzo con un impasto, in
parti uguali, di gesso, terra e materiali
refrattari, finendo il mantello esterno.
Fucinatura
Cottura nella muffola: la forma, insieme
ad altre preparate, viene sollevata, trasportata all’interno della muffola e collocata su file di mattoni distanziate per
formare dei tunnel. Al di sopra dei
blocchi, le canne sporgenti degli sfiatatoi vengono tagliate a livello delle
forme e i fori coperti da lamierini per
impedire l’intrusione di corpi estranei.
Chiuso il forno, lo si collega col camino di scarico attraverso il quale si liberano “i fumi delle cere”. Infatti il calore del forno, portato a 400° C per 48
ore, in modo da disidratare uniformemente i refrattari dei blocchi, e successivamente aumentato a circa 800° C,
brucia le cere liberando tra anima e
mantello l’interstizio entro il quale sarà
colato il bronzo fuso. Durante la cottura, naturalmente, bruciano anche i
canali di drenaggio. Quando il camino
non fuma più è segno che le cere sono
completamente volatilizzate; a questo
punto si spegne il forno e lo si lascia
raffreddare per più di due giorni.
Fusione e colata: la forma cotta viene
depositata in una grande buca assieme
ad altre forme, e lo spazio tra di esse
viene riempito con una terra speciale,
composta di un impasto di sabbia e di
un 10% di bentonite inumidita.
Questo procedimento serve a rinforzare le forme aumentandone la resistenza alla pressione esercitata dal metallo
fuso. Nel frattempo nel forno a crogiolo, acceso, si pongono i pani di
bronzo, in una quantità pari a 10 volte
il peso della cera usata per il modello,
con un incremento per gli sfiatatoi e le
colate. Il forno funzionante a gas, viene
portato gradualmente ad una temperatura di 1200° C. Bisogna tenere presente che l’umidità presente nell’aria, a
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Fase della formatura: ritocco delle cere,
fissaggio delle cannule, realizzazione dell’anima e del mantello esterno della forma.
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contatto con le alte temperature si
divide in idrogeno e ossigeno.
L’idrogeno sciolto nel bronzo fuso,
espulso nel raffreddamento provocherà delle porosità sulla superficie delle
opere, mentre l’ossigeno forma degli
ossidi sul metallo che si possono eliminare con l’aggiunta di disossidanti
nell’ultima parte della fusione.
Sempre mentre il bronzo è fuso, si
aggiunge una polvere depurante che
ha la caratteristica di raccogliere in
superficie le scorie e le impurità presenti che possono essere tolte con lo
schiumatoio. Il metallo liquido viene
travasato in un crogiolo semovente dal
quale si versa nelle materozze delle
varie forme affioranti dalla buca.
Durante la colata, il personale addetto
deve indossare accessori di protezione.
Finita l’operazione di colata, i blocchi
vengono lasciati raffreddare e successivamente si procede a smantellare lo
stampo liberando i tracciati di drenaggio che risultano pure fusi, si libera
l’interno del modello dall’anima terrosa e si elimina lo strato di luto residuo
dalla superficie con un getto d’acqua
ad alta pressione (50-100 atm).
Finitura a feddo
Per finire l’opera si tagliano le colate e
gli sfiatatoi con una mola con un disco
per il ferro; con una mola più piccola si
pareggiano le superfici di attacco e con
una tenaglia si tolgono i chiodi che
reggevano l’anima. Con una saldatrice
elettrica, a filo continuo di bronzo, è
possibile otturare eventuali fori, ricostituire pezzi mancanti e assemblare i
vari elementi di una stessa opera fusi
separatamente.
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Molte volte per pulire la superficie di
una scultura si utilizza una sabbiatrice
a microsfere. Con frese meccaniche
con punte d’acciaio e al corindone, e
con paste abrasive si tolgono le sbavature fino a levigare la superficie.
Con punte di feltro o dischetti di
gomma siliconica speciale si possono
lucidare le parti in rilievo. Finite le
operazioni di pulizia e lucidatura, si
completa l’opera con le patine.
Patinatura
Le patine che vengono applicate sono
di tre specie: naturali, false e chimiche.
Le patine naturali si formano lasciando
il bronzo all’aperto esposto all’aria e
all’umidità. Le patine false risultano
dall’applicazione di smalti e vernici che
non provocano alcuna reazione chimica con il bronzo. Le patine chimiche
invece si ottengono attraverso reazioni
tra il bronzo e solfuri, ossidi e cloruri
che provocano un invecchiamento
artificiale. Le patine chimiche si possono ottenere anche per seppellimento,
per esalazione di fumi da soluzioni
chimiche e per immersione. Inoltre le
varie combinazioni, tutte in soluzioni
acquose, possono essere applicate a
freddo o a caldo e, a seconda dei loro
componenti, possono dare delle colorazioni varie. Col solfuro di potassio
(“fegato di zolfo”) si hanno varie tonalità marroncine, col solfuro di ammonio un colore nero-blu, con nitrato di
ferro e nitrato di rame toni che vanno
dal marrone chiaro all’arancione-verde, con cloruro di ammonio e cloruro
di rame un verde-blu, ecc. Protezione
delle patine: per proteggere le patine
ottenute è importante eliminare ogni
residuo di umidità, e applicare, dopo
aver riscaldato la superficie, cera d’api
pastosa. La cera, una volta asciutta, si
può spazzolare ottenendo così una
superficie luminosa.
Fusione in conchiglia ceramica
Questa tecnica utilizza materiali e
attrezzature innovativi rispetto a quelli
usati nella abituale fusione già descritta. Tali materiali formano una miscela
semiliquida di silice colloidale (legante)
e farine e sabbie refrattarie (zirconio,
silice fusa, molochite, argilla calcinata).
I modelli in cera, ottenuti con le lavorazioni già descritte, vengono immersi
in questa composizione e poi ricoperti
da un sottile strato di sabbia refrattaria
sia esternamente che internamente. In
questo modo gli spessori delle forme
risultano essere molto sottili, leggeri,
resistenti e a bassa deformabilità. Si
elimina rapidamente la cera in muffole
ad alta temperatura senza problemi di
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Fase della fucinatura: forme depositate nelle
buche, fusione e colata
shock termico.
Si hanno meno difficoltà anche nella
colata del metallo, in quanto le parti
interne hanno la proprietà di espellere
i gas, per cui servono poche cannule e
sfiati. Dopo la fusione, l’involucro
ceramico si toglie facilmente; con la
sabbiatura si eliminano le parti residue
e le opere di finitura sono più veloci, in
quanto le colate e gli sfiati da eliminare
sono pochi e la superficie del bronzo
risulta liscia e compatta.
Realizzazione della conchiglia ceramica: in
una prima fase, si effettua una pulizia
accurata della cera, degli sfiati e colate.
La tazza di colata ha inserito al centro
un tondino metallico per rendere
maneggevole il complesso durante la
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preparazione della conchiglia.
Nella seconda fase, dopo aver preparato due impasti refrattari, si immerge il
modello in cera in quello a base di silice colloidale e farina di zirconio.
Su questo poi, si applica un primo tipo
di sabbia fine che formerà i primi due
o tre strati della conchiglia.
Applicati i primi strati, si immerge la
conchiglia così formata nel secondo
impasto, composto da silice colloidale
e da farina costituita da materiali meno
costosi. A questo punto si applica sulla
conchiglia la sabbia del secondo tipo,
più grossolana. Il complesso del
modello in cera, con sfiati e colate,
viene immerso nei due impasti refrattari per 15-20 secondi.
Estratto, si fa ruotare per migliorare la
distribuzione del legante e si eliminano
le bolle d’aria soffiando la superficie
con aria compressa. I successivi strati si
ottengono con lo stesso procedimento
del primo. Il terzo strato si immerge
nella silice colloidale sino a completo
assorbimento, poi si applica il quarto e
quinto strato.
L’essicazione completa di tutto varia
da un’ora a un giorno a seconda della
temperatura, umidità e complessità del
modello. Su modelli di grandi dimensioni meglio inserire un rinforzo di
rete metallica e impasto refrattario
dopo il sesto e settimo strato.
Anima per conchiglia ceramica: è molto
importante eliminare dalle cavità interne della cera l’umidità.
I materiali che vengono usati per
costruire l’anima sono già confezionati
dalle ditte distributrici della silice colloidale. L’impasto finale viene versato
nel modello in cera attraverso il foro
per l’anima; si inseriscono i chiodi o gli
spilli per reggere l’anima che in tre o
quattro ore dovrebbe essiccare completamente.
Evacuazione della cera e colata: il sistema
usato in genere per evacuare la cera è
l’utilizzo di un forno ad alta temperatura (900–980° C) e di uno a bassa
temperatura (150–250° C) con il fondo
aperto per la fuoriuscita della cera.
La conchiglia, assicurata con dei fili
d’acciaio inossidabile ad un’asta metallica da impugnare, viene esposta per
20-30 secondi nel 1° forno; quando la
cera comincia a fuoriuscire, si trasferisce la conchiglia nel 2° forno per
30–45 minuti e a completamento
dell’operazione si rimette la conchiglia
nel 1° forno per 20 minuti.
Avvenuta la fusione e raffreddato il
metallo, la conchiglia ceramica, in
parte già lesionata dalla contrazione
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del bronzo, viene completamente frantumata con uno scalpello e con un
martello. Le parti residue si eliminano
con la sabbiatrice.
Fusione a staffa
Come già accennato all’inizio, un’altra
tecnica di fusione è quella detta “a staffa”. Normalmente si utilizza per fondere parecchi pezzi o molti piccoli
oggetti contemporaneamente.
Il modello può essere a due facce ma
non deve avere sottosquadri.
Dal momento che molte volte non vi è
l’anima interna, lo spessore non deve
essere eccessivo in quanto la fusione
sarà piena. In questa tecnica si usano
principalmente delle forme a perdere
che si fanno volta per volta con sabbie
e terre che devono avere le seguenti
caratteristiche: refrattarietà, plasticità e
coesione, consistenza, permeabilità
(per trattenere il metallo fuso e lasciar
sfuggire l’aria e i gas).
La sabbia e la terra però, non hanno
corpo sufficiente per sostenersi da sole;
per questo vanno sostenute con staffe.
Le staffe sono telai di ghisa, di forma
generalmente rettangolare o quadrata,
aperte sopra e sotto; provviste di maniglie e di orecchiette, nei fori delle quali
si inseriscono gli spinotti.
Gli spinotti servono a collegare le due
staffe, ad assicurare l’esatta posizione
e, tramite una chiavetta, a tenere saldamente chiuse le due staffe.
Inoltre, affinchè la sabbia sia meglio
trattenuta dalle staffe, queste sono
dotate internamente di due bordini e
sul fondo di griglie amovibili.
Le dimensioni delle staffe sono assai
variabili, da pochi decimetri a vari
metri di lato. Forma chiusa di un modello
a due facce: il modello è una piastra
lavorata su due facce e dovrà essere
leggermente più grande del pezzo finito a causa del ritiro nella fase di raffreddamento. Formatura della prima
staffa: le operazioni da compiere sono
le seguenti: si predispone su un piano
la prima staffa riempita con sabbia ben
pigiata col rincalzatoio e si completa il
riempimento con uno strato di sabbia
fresca e fina setacciata, che andrà a
diretto contatto con una faccia del
modello; si raschia con una riga di
ferro la sabbia eccedente e si spiana
lungo tutto il perimetro della staffa; si
imprime con precisione e fermezza il
modello da una parte in modo da far
aderire perfettamente i rilievi sulla sabbia. Formatura della seconda staffa: si
copre con sabbia asciutta finissima
tutta la superficie della prima forma
per impedire che la sabbia della secon-
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In questa pagina:
fusione in conchiglia ceramica; realizzazione
della conchiglia ceramica.
Nella pagina a fronte, dall’alto:
finitura a freddo; patinatura.
da staffa si attacchi alla prima..
Sovrapposta la seconda staffa, si procede alla sua formatura, calcando l’altra
faccia del modello. Inoltre si dispone
in posizione opportuna il cono per la
colata e quello per lo sfiato.
Dare aria alla forma: si eseguono due
serie di uscite, una all’esterno e una
all’interno delle forme. Per quelle
esterne, si pratica nel corpo della sabbia delle due staffe, una serie di tirate
di aria con un ago specifico, cercando
di non andare a toccare il modello.
Per le tirate d’aria interne, si aprono le
staffe, con una spatola si scava un piccolo solco intorno alla forma che si fa
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comunicare in alcuni punti con i bordi
della staffa. In fondo al solco si praticano altri fori con l’ago.
Sformatura o scassettatura: questa è
un’operazione assai delicata e consiste
nel togliere il modello dalla forma.
Questo si fa dopo averlo scosso orizzontalmente con leggeri colpi di martelletto per distaccarne la terra che vi
fosse rimasta aderente.
Nel farlo, molte volte si rompe qualche parte della forma che va riparata a
mano con spatole, con molta abilità e
pazienza. Per ultimo si finisce e si liscia
la forma. Colata: ultimata la forma, si
sovrappongono nuovamente le due
staffe, si caricano di pesi per vincere la
pressione idrostatica, e col crogiolo si
versa il metallo nella forma dal canale
di colata fino a che non si vede risalire
il bronzo per il montante.
Appena il bronzo è raffreddato si libera
dalle staffe e dalla terra che lo circonda, si tagliano colata e montante e si
procede alla pulitura e finitura.
Glossario
Anima: materiale refrattario inserito
all’interno dei modelli in cera.
Argilla calcinata: argilla che trattata termicamente ad alta temperatura acquista doti di refrattarietà.
Bocca per la colata della cera: punto di
ingresso del calco in cui si versa la cera
fusa. Bocca di fusione: imbuto attraverso
il quale viene colato il metallo fuso.
Canale di scarico: condotto di evacuazione della cera nella fase di cottura
delle forme nel procedimento tradizionale. Catalizzatore: sostanza in grado di
accelerare le reazioni chimiche, come
l’indurimento delle resine e delle
gomme siliconiche. Cera d’api: prodotta dalle api per costruire i favi, rappresenta uno dei componenti della cera
morbida utilizzata in fonderia.
Chiavi di incastro: sistema di incastri
semisferici per far ricombaciare perfettamente le valve delle controforme in
gesso. Cilindri di ancoraggio: prolungamenti dello stampo in gomma siliconica che servono ad ancorarlo al guscio
di gesso. Colate: condotti necessari alla
distribuzione del metallo fuso.
Colla di coniglio: colla animale ottenuta
dalla bollitura di pelli e ossa (è commercializzata in scaglie da sciogliere in
acqua a bagnomaria). Corindone: ossido
di alluminio, durissimo, usato per
costruire strumenti abrasivi.
Depurante: sostanza in grado di amalgamare le scorie del metallo fuso.
Disossidante: sostanza, generalmente
rame fosforoso, usata per eliminare gli
ossidi dal bronzo fuso. Distaccante: ele-
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mento separatore usato per impedire
l’adesione di un materiale alla forma
(olio di vaselina, shampoo, sapone,
cera, ecc.). Fegato di zolfo: solfuro di
potassio usato nella fase della patinatura per formare colori neri o marroni.
Formatura: esecuzione di un’impronta.
Gelatina animale: sostanza gommosa
(in genere colla di coniglio) utilizzata
in fonderia per prendere l’impronta sul
modello. Getto di fusione: canale che
permette al metallo fuso di raggiungere la forma della scultura. Gomma siliconica: composto sintetico (elastomeri)
di notevole elasticità, utilizzato per
prendere l’impronta sul modello con
precisione e facilmente estraibile dai
sottosquadri. Legante: termine usato
per indicare la silice colloidale o il silicato di etile. Luto: sostanza refrattaria
usata per costruire le forme nelle fusioni a cera persa. Madreforma: supporto
rigido in gesso o resina, utilizzato per
le forme a tasselli, in gelatina e in
gomma siliconica. Materozza: serbatoio atto a garantire l’afflusso del materiale fuso e la fuoriuscita di eventuali
scorie durante la colata in una forma.
Modello: scultura realizzata in creta,
plastilina, legno, gesso o marmo.
Microsfiati: fori microscopici praticati
in particolari zone della conchiglia
ceramica. Muffola: speciale forno in cui
si mettono a cuocere le forme o altri
oggetti che non debbano stare a diretto contatto con la combustione.
Paraffina: derivata dalla distillazione
del petrolio è uno dei componenti
della cera usati in fonderia. Pece greca o
colofonia: resina vegetale che si ricava
dalla trementina, rappresenta uno dei
componenti della cera usata in fonderia. Portantina: attrezzo utilizzato per
trasportare il crogiolo. Refrattario:
detto di materiale che può resistere a
elevate temperature senza fondere o
disgregarsi e con variazioni minime di
volume. Risucchio: fenomeno fisico che
avviene in fase di solidificazione del
metallo, consistente in una diminuzione del volume e quindi in un riassorbimento del metallo liquido sovrastante. Schiumatoio: attrezzo necessario per
eliminare le scorie dalla superficie del
metallo fuso. Sfiati o sfiatatoi: condotti
applicati nei punti più alti dell’opera
che permettono la fuoriuscita di aria o
gas durante il colaggio. Siviera: strumento che serve a trasportare il crogiolo pieno di metallo fuso e facilitarne
il colaggio nello stampo in polvere.
Sottosquadro: punto di un’opera nascosto all’osservazione da un punto di
vista perpendicolare e pertanto difficile
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da calcare. Stampo in gomma: parte del
calco, in gomma siliconica, che riproduce fedelmente in negativo i particolari del modello. Tassellatura: operazione di divisione in più parti del calco
(generalmente in gesso) di un’opera
che presenta dei sottosquadri.
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Indirizzi delle più importanti
fonderie artistiche
di Verona e Provincia
Baroni Fonderia Artistica
Via Galilei 8 - 37133 Verona
tel. 045 521087
Briman Arte
Vicolo Cicale 6 - 37123 Verona
tel. 045 8034585
Fonderia Brustolin
Via Barsanti 4 - 37139 Verona
tel. 045 8510147
e.mail: info@brustolin.it
Fabris E F.lli Folla
Via Staffali 15, Dossobuono
37062 Villafranca di Verona
tel. 045 8600080
In Bronzo F.lli Bonvicini
Via Artigianato 41 37066
Caselle di Sommacampagna (VR)
tel. 045 8581274
Arte Bronzo
Via l maggio 55
37069 Villafranca di Verona
tel. 045 6303747
Bampa Gianpietro
Via Apollo 11- 37059 Zevio (VR)
tel. 045 7850936
Bibliografia
- “Fonderia artistica a cera persa”
di F. Lucidi, Ed. Hoepli 1943.
- “Fonderia”
di A. Galassini, Ed. Hoepli 1943.
- “I modi della scultura”
di P. di Gennaro, Ed. Hoepli 1997.
69
LA NUOVA TERRITORIALITÀ
“Opus incertum”
L’Italia frantumata in tanti territori, luoghi
omogenei di attività legate alla cultura materiale.
È sempre più chiara la
frantumazione per ragioni
etniche, culturali, economiche,
filosofiche...; siamo tanti e
sempre più diversi, e la diversità
non è più privilegio, non è più
emarginazione, ma è diritto.
Diritto a sviluppare ed esaltare
le proprie convinzioni e le
proprie appartenenze senza
prevaricazioni.
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E
R
E
Ceramica CAMPANA
CAPODIMONTE
(A DISPENSE)
GLOBALIZZATO
Ho qualche competenza nel settore
dell’arte/industria e nelle produzioni
artigianali, tipiche e di tradizione,
della ceramica italiana: indi, sono
esperto dell’attuale prodotto “Capodimonte”, confezionato a Napoli e
fuori-Napoli.
In questa veste ho recentemente presentato in catalogo l’iniziativa di solidarietà antiterrorismo della Regione
Campania-C.N.A./Asnaart “Artigiani
per New York”, che tanto successo
ha riscosso in America, anche per la
presenza popolare di Renzo Arbore;
in particolare ho coordinato la sezione del “Capodimonte”, ove ho tentato di dare qualche input ad un settore
connotato da troppo tempo da scarse
novità, che vive sulle forme (alla lettera) del passato ed ha raschiato il
fondo del barile (della porcellana,
s’intende).
Ma la vera bomba per il “Capodimonte” è scoppiata a marzo, in Italia,
quando l’Editore De Agostini di
Novara, ha lanciato in edicola, a tre
euro, il primo numero -promozionale- della sua “Collezione Capodimonte, la storia, i soggetti, la collezione”, con annesso gadget siglato
dal produttore Carlo Savastano,
membro del “Consorzio Capodimonte”.
Il Savastano ha fornito il prototipo di
una ventina di piccoli fiori
“Capodimonte” singoli, raccolti a
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La ricerca della differenza ci porta
a leggere un’Italia frantumata in
tanti territori, luoghi omogenei di
attività legate alla cultura
materiale.
Vengono qui presentate le aree
che, in questi ultimi anni, hanno
dimostrato una volontà di
affermazione della propria
identità e, contemporaneamente,
il bisogno di rinnovamento.
G
I
O
N
A
L
I
O
mazzetti o in cestino, e li ha fatto
replicare dagli operosi cinesini della
Repubblica Popolare Cinese, riservandosi il controllo della qualità finale del prodotto in “Stile Capodimonte” (e non “Capodimonte”).
In proposito registro un autorevole
intervento pubblico dell’economista
Mariano D’Antonio, (“Se la porcellana di Capodimonte è Made in Cina”,
in “Il Mattino”, Napoli, quotidiano,
17 marzo); da tale articolo apprendo
che i produttori del “Consorzio
Capodimonte”, per tutelarsi verso
questo prodotto d’artigianato globalizzato, avvieranno “ricorsi legali nei
confronti dell’Editore De Agostini di
Novara”.
Ricorreranno -cioè- all’avvocato,
com’è nella tradizione più antica e
verace del nostro paese.
Sbagliano.
Sono sulla difensiva, mi sembrano
perdenti, almeno nell’immagine, che
è quello che più conta oggi.
Dovrebbero invece inaugurare una
inedita (per Napoli e l’Italia) strategia
d’attacco, se hanno la stoffa -come
credo- degli imprenditori odierni.
Dovrebbero, cioè, investire in qualità, in progetto.
Invece che dall’avvocato dovrebbero
chiedere lumi ad artisti e designer, a
storici e critici del settore “Capodimonte”, a gente dell’arte-industria
e della comunicazione, cosa che non
hanno mai fatto, al tempo delle vacche grasse.
Dovrebbero “picchettare” il Museo
di Capodimonte e quello della
Floridiana, oltre che il “civico”
Filangieri, tutti di Napoli, per chie-
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dere conto a quei dirigenti perché
sono stati abbandonati a se stessi,
senza il conforto dell’immagine (e
sostanza) museale, tanto utile oggi a
garanzia delle degne produzioni
“Capodimonte”, in divenire.
Dovrebbero andare al “Caselli” ed al
“Palizzi”, istituti specifici dell’arte
ceramica in Napoli, e domandare
perché da lì dentro non esce nulla di
buono -come affermano- per le loro
fabbriche.
E, dato che stanno all’ISA “Palizzi”,
dovrebbero domandare al “Reggente” di quell’antico Istituto artistico
perché la collazione dell’inventario
del Museo dell’Istituto, prezioso nel
settore specifico dell’arte-impresa, va
avanti tristemente da ben 12 anni,
senza che nessuno obietti niente.
Insomma i produttori dovrebbero
creare nuove vie infrastrutturali, progettuali, al “Capodimonte” d’oggi, da
sempre fatto internazionale, mai locale (o peggio “localistico”).
Ma -evidentemente- è più comodo e
consolatorio stare nel piccolo, ricorrere all’avvocato, il quale sarà l’unico
che ci guadagnerà in questa emblematica vicenda dell’artigianato a scala
globale.
Scommettiamo?
Inserita in questa logica “difensivistica” mi pare la successiva richiesta dei
produttori del “Consorzio Capodimonte”, che emerge dal detto articolo: quella di essere “tutelati” dalla
Regione Campania rispetto agli esiti
dell’iniziativa editoriale della “De
Agostini” e dalla “Carlo Savastano
Porcellane Capodimonte”; ciò perché
il “Capodimonte” rientra nei prodotti
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tipici “locali” europei, da difendere
attraverso un marchio doc ed un
apposito disciplinare.
Ma la questione è complessa e si sa
che il disciplinare specifico del settore “Capodimonte”, approvato a
Ro-ma, è stato impugnato proprio
dal Consorzio perché ritenuto inadeguato alla realtà dei fatti e dei profili
professionali attuali della produzione
“Capodimonte”.
E poi, in questo mercato avvelenato,
Bozzetto per la sagoma/statua “Il signor
Capodimonte” di Eduatdo Alamaro.
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non ci son più marchi che tengano,
questo è già ampiamente dimostrato.
Francamente, questa vicenda della
De Agostini e della Carlo Savastano,
la considero qual è: un’operazione
industriale dei giorni d’oggi a scala
globale; parte del “Capodimonte a
dispense”, e del “Capodimonte senza
Capo né Monte” che con quello aulico di Carlo III e di Ferdinando ha
poco o nulla a che fare.
Questi fiorellini sono solo canzonette, gadget promozionali che non
fanno fesso nessuno, mi pare.
Il fiore Capodimonte attuale non ha
nulla a che fare col Capodimonte
antico, è un’altra cosa, i fiori sono
un’invenzione del ’900, del nostro
secolo, il “Capodimonte per campare”, il “Capodimonte delle bomboniere”, democratico, prima locale, poi
nazional-popular ed infine internazional-popular.
Insomma, oggi bisognerebbe avere il
coraggio di girare pagina, lasciare
stare gli avvocati ed i sindacati (che
hanno già tanto da fare), smettere di
difendere il vecchio (che mi pare
indifendibile): quelli in edicola della
“De Agostini” mi paiono saldi di fine
stagione, e il settore “Capodimonte”
a Napoli deve ampiamente rifondarsi,
pena la scomparsa: la Cina non è più
vicina (come trent’anni fa), è arrivata
(nel mercato globale!).
E chi è stato recentemente al
“Ma-cef” di Milano lo sa bene!
Quei fiori “Capodimonte” sono il
passato, son seccati, cari produttori.
Datevi una mossa, non fate barricate
di porcellana!
Iniziate a fare qualità!
Mi pare l’unica via “europea” praticabile.
Eduardo Alamaro
CERAMICA DI VIETRI
Viaggio attraverso
la Ceramica 2002
La manifestazione Viaggio attraverso
la Ceramica ha dato vita a una serie
di obiettivi e azioni di sviluppo di una
delle aree artigiane più significative
del territorio italiano.
Innanzitutto la riscoperta di alcune
eccellenze della “scuola vietrese” e
salernitana nella storia della ceramica
del Novecento attraverso una serie di
mostre: la prima, intitolata “La ricerca della forma”, dedicata a Carmine
Carrera, si è svolta presso il salone
espositivo della Ceramica Vietri Mare
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Opera di Manuel Cargaleiro
il più grande progettista vivente di azulejos
e primo vincitore nel 1999
del Premio “Vietri attraverso la Ceramica” .
dal 25 marzo al 28 aprile 2002. In
secondo luogo la consegna del IV
Premio Internazionale Vietri sul
Mare 2002.
Quest’anno gli enti organizzatori del
Premio hanno chiesto al Direttore
artistico, Enzo Biffi Gentili, di segnalare per l’attribuzione del riconoscimento, un grande ceramista attivo
sull’altra sponda del Mediterraneo.
E’infatti nelle intenzioni della Pubblica Amministrazione manifestare
considerazione per espressioni artistiche dei paesi musulmani per stimolare, proprio in una fase storica di
drammatica tensione, un dialogo culturale contro ogni conflitto o pregiudizio razziale o religioso.
Il premio di quest’anno è stato assegnato a Khaled Ben Slimane, nato nel
1951 a Nabeul, il più grande centro
storico della Tunisia. Ceramista e pittore si è diplomato presso l’Istituto
Tecnologico di Architettu-ra, Arte e
Urbanistica di Tunisi. La caratteristica più profonda della sua opera consiste nella manifestazione di una profonda religiosità attraverso la decorazione calligrafica, innestandosi così
agli inizi della tradizione islamica.
Infine la manifestazione ha dato un
segnale forte di storicizzazione attraverso la pubblicazione di una monografia dedicata al lavoro di Manuel
Cargaleiro a Vietri sul mare, primo
vincitore del Premio nel 1999.
Un’opera dedicata non solo al più
grande progettista vivente di azulejos
destinati a interventi di “ceramica
architettonica” ma anche l’artista che
più ha lavorato e donato a Vietri, tra
la fine del secolo scorso e gli inizi del
nostro, opere di significativa importanza e bellezza.
Simona Cesana
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bando di concorso per il nuovo logo
dell’Associazione Internazionale
per la Biennale dei Giovani Artisti
dell’Europa e del Mediterraneo
Il Comitato Internazionale della Biennale dei Giovani
Artisti dell’Europa e del Mediterraneo (costituito in associazione nel luglio 2001) raggruppa la maggior parte delle
città, istituzioni culturali e associazioni che hanno partecipato alla manifestazione in questi anni. L’associa-zione
rafforzerà la rete di contatti e lavoro comune tra i soci,
seguirà la preparazione delle edizioni della Biennale e
permetterà di sviluppare le attività tra le manifestazioni
(scambi, residenze d’artista, atelier, esposizioni). Si tratta
di preparare un logo per l’associazione, di cui una presentazione è unita a questo bando. La Biennale riunisce, in
una città del Mediterraneo, tra 600 e 1000 artisti inferiori
ai trent’anni, che per 10 giorni presentano le loro produzioni. Atene 2003 sarà l’XI edizione di questa manifestazione. Le discipline rappresentate nella Biennale sono:
Architettura, Arti Visive, Arti Applicate (Grafica, Moda ,
Design), Cinema-Video, Gastronomia, Lettera-tura e
Poesia, Musica, Spettacolo dal vivo.
Condizioni di partecipazione al concorso
- Essere giovane artista con meno di 30 anni, il 15/11/02
- Vivere o lavorare in un paese del Mediterraneo
- Inviare il dossier di candidatura entro il 15/11/2002
- Accettare la cessione dei diritti per l’utilizzo del logo
Premio
Il vincitore sarà invitato alla prossima Biennale che si terrà
ad Atene nel 2003 e riceverà un premio di 2000 euro.
Obblighi del partecipante
Il logo: dovrà essere semplice, dinamico, evocare l’energia
propria della giovane arte, il Mediterraneo, i legami nordsud, i raggruppamenti di città e associazioni, l’Europa; va
proposto in 3 versioni: quadricromia, 2 colori, B/N.
Titolo
Associazione Internazionale per la Biennale dei Giovani
Artisti dell’Europa e del Mediterraneo.
Declinazioni
Carta intestata, buste, adesivi, inserito nei materiali di
comunicazione (locandine, cataloghi), biglietti da visita,
home-page di sito internet.
Presentazione del lavoro
Cartoncini max A4, declinazione e simulazioni (su cataloghi, cartoncini d’invito, carta intestata, etc..).a intestata,
buste, adesivi, inserito nei materiali di comunicazione
(locandine, cataloghi), biglietti da visita
Utilizzo del logo
Utilizzo internazionale per una durata indeterminata su
tutti i tipi di supporti: cataloghi, manifesti, depliant, internet, TV, oggettistica, stampa scritta, etc.
Selezioni
Un comitato di esperti si riunirà a Roma per una prima
selezione e poi il Consiglio di Direzione dell’Associazione
si riunirà con il Presidente, al più tardi il 31/12/2002, per
scegliere il logo definitivo. Il progetto può essere inviato
ad una entità aderente alla Biennale oppure a Zone Attive,
P.zza Vittorio Emanuele II 47 00185 Roma, con la scritta
“Logo Competition”, o via mail a Associazione Biennale
Giovani Creatori dell’Europa e del Mediterraneo.
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Presentazione
L’Associazione si è costituita nel luglio 2001 a Sarajevo,
durante la X Edizione della Biennale, per rafforzare il
lavoro comune tra Ministeri, Enti Locali Istituzioni e
Associazioni Culturali del Mediterraneo: comprende sinora 45 aderenti di 15 paesi, che rappresentano realtà locali e
nazionali dei paesi mediterranei. L’Associazione BJCEM
vuole promuovere gli scambi internazionali, lo sviluppo
di relazioni pacifiche e di euro mediterranee. In particolare: “…L’obiettivo specifico della BJCEM è la promozione
dei giovani creatori: essa cerca di dinamizzare il loro prodotto culturale e espressivo e di facilitarne l’accesso ai circuiti del mercato internazionale attraverso la creazione di
spazi di incontro, scambio, riflessione e formazione sulla
realtà artistica contemporanea...”. E’ una rete ampia e
articolata che realizza relazioni culturali al di là dei confini
politici e geografici: la Biennale propone un'idea di
Europa e di Mediterraneo molto stretti, che vuole unire i
paesi che si affacciano su questo mare in un continuo lavoro comune sui temi della cultura e giovane arte. La
Biennale nasce nel 1984 da un'idea dell'Arci Kids, (settore
giovanile dell'Arci), che vuole radunare i giovani creativi
europei e mediterranei per un meeting itinerante nelle
principali città del Mare Nostrum. DopoTendencias
(Barcellona 1984), prologo alla manifestazione, la città
catalana ospita la I Edizione della Biennale (1985), cui
partecipano già artisti di sei paesi (Italia, Francia, Spagna,
Portogallo, Grecia e dell’allora Jugoslavia) insieme a invitati dell’area balcanica e araba: già durante la prima edizione si riunisce il Comitato Internazionale della Biennale
dove sono presenti ministeri, città e associazioni. Le edizioni seguenti si sviluppano a Salonicco (1986), a
Barcellona nuovamente (1987), a Bologna (1988), a
Marsiglia (1990), a Valencia (1992), a Lisbona (1994), a
Torino (1997), a Roma (1999) e a Sarajevo (2001). Inoltre
sono state realizzate varie manifestazioni collaterali, tra
cui ricordiamo Anteprima Rock a Torino (1990), Rotte
Mediterranee in Algeria (1990), Six Workshop a Sarajevo
(1998). La XI Edizione della Biennale si svolgerà dal 6 al
15/6/2003 ad Atene, realizzata dal Segretariato Gioventù
Greco, all’interno delle Olimpiadi Culturali, che annunciano i Giochi Olimpici di Atene 2004.
Fanno parte della Associazione Biennale dei Giovani
Artisti dell'Europa e del Mediterraneo:
ABIT (Association Amis de la Biennal de Tipasa)/Algeria;
IPC (International Peace Center), Sarajevo/Bosnia
Erzegovina; Moderna Galeria, Rijeka/Croazia; Ministero
Educazione e Cultura, Nicosia/Cipro; Città di Helsinki/
Finlandia; Città di Montpellier, Espace Culture Marsiglia/
Francia; Ministero Educazione, Segretariato Gioventù
Greco, Atene/Grecia; Città di Salonicco/ Grecia; Città di
Ancona, Bologna, Campobasso, Catania, Ferrara, Firenze,
Genova, Messina, Milano, Modena, Roma, Padova,
Parma, Pisa, Torino,Arci Nazionale, Arci di Bari, Milano,
Napoli, Pescara, Salerno, Sicilia, Torino/ Italia; Iniziamed/
Malta; ARTES et IDEIAS/Portogallo; Ministero Cultura/
San Marino; SKUC, Lubiana/ Slovenia; Città di
Barcellona, Madrid, Malaga, Murcia, Siviglia, Valencia,
RAI (Recursos Animaciò Cultural) Barcellona/Spagna;
Sabanci Universitate, Istanbul/ Turchia; Center Youth
Creativity, Belgrado/Yugoslavia.
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The Artist-Artisan
Designer
(page 10)
The strong attention paid to the applied
arts, demonstrated by renewed interest in
guilds and other institutions, and the
flourishing of work groups, cooperatives
and various aggregations all over the
place, fill us with enthusiasm and give us
hope for the future. The Artigianato
Me-tropolitano (Metropolitan Crafts)
event in Turin, the new degree in
“Artistic Bu-siness Design” at the Brera
Academy and the considerable presence
of European craft production of a high
artistic and production standard during
the last Furniture Exhibition in Milan,
confirm this trend. More and more artists/designers are coming into the picture
with their “auto-production”, renewing
that which, for a long time, was defined
as the figure of the craftsman/artist.
Names such as Ron Arad, the Droog
Design Group, Mi-chele De Lucchi’s
“Produzione Privata” and the experience
of many young people who put themselves forward at the Furniture
Exhibition, confirm that we are facing a
new phenomenon and that desi-gners are
demonstrating a renewed interest in art,
new subjects, new techniques and new
production systems. Only a new artist/
craftsman would know how to introduce
all the components of a modern business
into his work: quality of the project, techniques and innovative procedures, communication and marketing.
Carlo de Carli
(page 12)
The architect, Carlo de Carli, designed
various pieces of furniture for artisans,
leaving an indelible memory of himself in
the places where he worked, both because
of the quality of the objects that he
designed and, to a greater extent, his way
of working directly in the workshop
together with the manufacturer. His
pieces of furniture are the result of indepth, but above all passionate, creative
and expressive research, of a vital and
often intensely poetic nature. Amongst
these pieces of furniture, we should
remember the chest of drawers in ash
wood for Porro di Montesolaro and the
bed in solid ash for Frigerio di Intimiano.
His work is animated by the typical “finger mark”, such as the chair presented at
the “Casa Abitata” exhibition in Florence
in 1965. The bed, with head and footboard in visible tall solid wood staves,
curved towards the inside, is a sort of
invaded protection, a shell shaped for
sheltering bodies in domestic intimacy.
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They are objects that transcend all desires
for appearance and representativeness, in
order to seek a measured balance in the
relationship with man and with living
space. They demonstrate an attention to
detail that simply invites you to experience the pleasure of touching the piece of
furniture. The material that makes up De
Carli’s objects wants to be alive. It is
worked in “organic” forms, which seek a
constant vital relationship with light,
through the constant variation of the sections and the different luminosity of the
wood, cut lengthways and transversally,
as in the case of the chair for Cassina of
1957. But even the objects characterized
by “analytical” forms are highlighted by
illuminated surfaces and shady lines, as in
the series of furnishing elements produced by Sormani in 1965 and exhibited
in the “Casa Abitata” exhibition in
Florence. Carlo De Carli, in the function, initially as director of the magazine
“Il Mobile Italiano”, then Teacher of the
Furniture Course as well as Head of the
Faculty of Architecture at the Milan
Polytechnic, began an intense relationship with the Italian furniture production
centres. De Carli was amongst the promoters and organizers of the
International Competition and Selective
Furniture Exhibition of Cantù (1955),
the Furniture Standards Biennial in
Mariano Comense (1958) and the
Lissonese Home Week. With the magazine “Il Mobile Italiano”, founded by him
in 1957, he intended to propose the
design and construction of Italian furniture with a precise figurative and constructive identity. The proposals activated
by the magazine were aimed at organizing “production centres”, linked to the
different furniture production contexts
(Cantù, Lissone, Lurago d’Erba, Mariano
Comense, Trento) in order to set up
associative moments between producers
and designers, able to carry out coordinated activity. De Carli’s research led to
the idea of “primary space” in the mid1960s: relationship space, of the genesis
of a project, or better still, of the simple
authentic human gesture that reaches out
to others and the world. De Carli’s furniture was created with these attentions as
is testified by the discreet and respectful
communicative ability of the furniture of
the early 1960’s, such as the “red” chest
for example. One can confirm that De
Carli’s furniture are pieces of “microarchitecture” with good reason, not in
the sense of covering a useful object with
miniaturized historical forms, but in their
very genetic make-up, which gives life to
animated and living organisms, able to
resist time, the variation of tastes and
fashion. For De Carli, continuity was a
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concept that crossed through all of his
work and existence: from design to didactics, from nature to the city, from tradition to innovation, from faith to life. His
relationship with crafts was attentive and
discreet: he studied the characteristics
and the history of every productive centre in order to then propose subjects for
reflection and ideas, in order to advance
in “continuity”, stimulating the growth
of the individual realities. The concept of
“continuity”, made clear in the first half
of the 1940s, is a constant factor in De
Carli’s work, already present in the writing table of 1940 and in the last upholstery project Vittorio Bonacina in 1974.
Applied Arts
(page 18)
The new “Artistic Business Design”
department at the Brera Academy of Fine
Arts has been rediscovering the relationship between the design culture and the
artistic relationship for some years now,
under the direction of Fernando De
Filippi and coordinated by Ugo La
Pietra. The didactic process tends to orientate the student within an open design
procedure: from the artisanal workshop
to industry, passing through institutional
commissions such as Municipalities,
Regions and private and public Corporations. But the real innovation is in the
strong attention paid to Applied Arts,
which Industrial Design had forgotten
for too many years. The increased interest in the art that seems to be more and
more present within the production of
objects, finds its natural definition in this
new experimental process, fundamentally
characterized by the recuperation of
Applied Arts within the design system,
through the considerable presence of
workshops and the promotion of selfmanagement and self-production. In
order to achieve all this, the courses are
being developed in three main areas: 1)
theory and history with subjects such as
history of art, history of industrial design
and Applied Arts (Profs. Gualdoni, Di
Pietrantoni, Vitta, Pansera); 2) design
and technological workshops (Profs. La
Pietra, Grassi, Santachiara), business
logic (Profs. Bucci, Messina), territorial
resources, disciplinary field (Profs.
Ferreri, Mantica); 3) and finally, in the
deep conviction that two great expressive
veins are at work (the real and the virtual)
within the culture of doing, workshops
that promote the individual-tool relationship (design, modelling, computer) and
the individual-material relationship (plaster, bronze, ceramics). The introduction
of a subject such as “territorial resources”
that makes it possible to give the student
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the chance to see the reality that surrounds him from close up: from exploring the artisanal workshop to industry,
from the shop to the exhibition, through
seminars and debates; the approach of
the student as far as regards the logic of
the system, in order to help him understand the major themes of the discipline
linked to the economy and the use of
resources, to communication and product
marketing; the practical workshops, using
external conventions; the project workshops in which they deal with themes
that range from the “souvenir” for an
event, a Municipality or a Region, to urban intervention systems for a better
quality of “city living”. All this in the first
3 introductory years, which will be followed by specialization in the 2 successive
years: artistic object design, artistic clothing design, artistic urban environment
design, artistic set-up systems design.
Mediterranean
Connections
(page 22)
“Connections” is a vast exhibition of
works displayed at the Akhenaton Gallery
in Cairo in the travelling exhibition
“Islam in Sicily, a garden between two civilizations”, promoted by the Italian
Fo-reign Office, the Region of Sicily and
the Fondazione Orestiadi di Gibellina.
The “Connections” exhibition aims to
represent the Fondazione Orestiadi’s
contribution in the communal construction of a Mediterranean sensibility,
through the forms of the creativity and
the aesthetic intelligence of which this
Institution has been the witness and custodian for more than twenty years. The
works presented today come from the
enormous collection belonging to the
Museo delle Trame Mediterranee of
Gibellina. By reproducing an analogous
selective criterion visible in the “contemporary art” section of the Museum, the
idea is still that of an intentional and
profitable creative promiscuity found in
the generations, the sensitivity and the
disciplines of contemporary art, through
the works of the Italian masters present.
A selection was made of some artists
among these, who best demonstrate the
traces of a conception that refers to the
communal and interwoven roots of a
Mediterranean nature that is able to draw
on the multiple categories of contemporary artistic invention. These works of
the freest artistic thought are flanked by
creations by the best designers and companies of Sicily, with sometimes evident
and other times more mysterious connections. The prototypes come from the
successful recent exhibition experience,
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coordinated and organized by the
Institute of Industrial Design at the
Faculty of Architecture in Palermo,
which has already had its first enthusiastic reception, in the halls of MACEF in
Milan in February. By reading these
Connections, from one side to the other
of the Mediterranean, one can also grasp
the “ultrasounds” of a dialogue not only
based on signs, on materials, on iconography, on identity, on the different generations of artists, but also a dialogue that
surpasses the product categories of the
art itself linked to western cultural consumption, in order to consider the primitive functions of art as a symbolic and
virtuous product of an exchange of peace
and friendship, something that shows
itself and offers itself to others like offering a flash of joy and positive energy. Art
is the most elaborate expression of the
concept of interactive humanity, it is itself
the visible paradigm of a universal dialogue, of which the city of Cairo is acting
as interpreter today in welcoming the
Fondazione Orestiadi in its work of civilization with exemplary brotherhood,
made even more exciting by the reopening of the Alexandria library.
Female Design
(page 26)
Female design is the subject of the
research carried out by Anty Pansera and
Tiziana Occleppo for the X Biennale
Donna, “Dal Merletto alla Motocicletta
Un percorso fra le Artigiane/artiste e
designer dell’Italia del Novecento”
(“From Lace to the Motorbikes. A journey amongst the Craftswomen/artists and
designers of Twentieth Century Italy”).
The Biennial was started in Ferrara in
1984 following an idea of the UDI
(Unione Donne Italiane) for the purpose
of promoting an exhibition reserved for
women, embracing various forms of artistic expression. The tenth edition provided the opportunity for surveying the
world of design, which has always been a
subject for study and research by the
organizers, in a decidedly innovative
fashion. The female presence has shown
itself to be qualitatively, but also quantitatively, highly significant from the earliest years of the twentieth century: often
hidden, not very showy, it has demonstrated well-defined edges and very interesting characteristics. The event, housed
in the Contemporary Art Hall designed
by a woman, opens with a historical part,
much of which is due to painstaking
research: the exhibits document the activity of craftswomen-artists from the beginning of the century to the end of the
Second World War. The century opens
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with the production of “modern style”
lace by Aemilia Ars. The works of
Benedetta Cappa Martinetti and the Elica
sisters and Luce Balla are linked to the
futurist experience. Rosa Giolli Menni,
creator of fabrics and clothing marked by
“The fabrics of Rosa”, was active in the
Twenties; Fede Cheti’s activities were
also affirmed in Milan, where she was
careful to involve prestigious labels in her
creations, from Giò Ponti to Grauau.
The field of ceramics also involves quality female design, including the sculptures
by Clelia Berretti, the original, playful
proposals by Emma Bonazzi, and the
refined, elegant figurines by Elena
Koenig Scavini for Lenci of Turin. The
second half of the century, from 1945 to
1999, is presented in the successive section of the show. There are more and
more women who affirming themselves
in the world of industrial design, signing
their own designs, and even obtaining
important positions inside companies,
such as Antonia Campi, artistic director
of Richard-Ginori in the Seventies.
Women have left an indelible mark in
the world of objects, from Anna Castelli
Ferrieri, author of Kartell plastic objects,
to Cini Boeri, from Gae Aulenti, to
Ornella Noorda, from Federica Marangoni, the sensitive glass artist who designed for Christofle, up to the younger
Marina Paul, Sonia Pedrazzini, Giovanna
Talocci, Bruna Rapisarda and Alessandra
Sciuroa, etc. The third section is a tribute
to the women who contributed to the
diffusion and the awareness of interior
design and architecture through magazines and journals: journalists, directors
or even founders of papers that believed
in the design culture. In addition to the
video, a CD-Rom is also available to
complete the exhibition, which enables
you to “navigate” through 100 years of
female Italian industrial design.
Unique Pieces
(page 30)
The “Unique Pieces” event, which will
take place in Landano (CH) at the Chiesa
della Madonna del Ponte from the 6th to
16th September 2002, intends to carry
out two roles. The first is that of giving
interested people an additional opportunity for visiting a settlement in Abruzzo
rich in masterpieces of Gothic and
Romanesque architecture. The second,
to be able to express the deep discomfort
of many craftsmen, who work at high
artistic levels, at being considered “artisans” at the same level as other categories
(plumbers, builders, mechanics, etc...)
The very title, “Unique Pieces”, tells us
that the exhibition does not only wish to
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be a commercial event. Therefore the
event does not only identify a category of
workers (artists-craftsmen duly registered
at the chamber of commerce), excluding
generic artisans and weekenders, but
highlights the need to carry out research
and experimentation, introducing components that range from art to design.
“Unique piece” means a work that is not
yet in production, a work signed by the
creator and therefore with evident definition of the added value, obtained through
the artist’s personal “mark”. The exhibition collects together a selection of artists
from all sectors (goldsmiths, ceramicists,
cabinet-makers, mosaicists, etc.) who are
registered: therefore 20 artists out of 200
will be present at this first edition, which
should be followed by a series of exhibitions dedicated to specific sectors from
time to time (every six months). “Unique
Pieces” in art and design: a message from
Abruzzo telling artists-artisans to make
their voices heard so that the Institutions begin to seriously value this sector,
with operations aimed at promoting it.
Street Furniture
in Cursi
(page 34)
At around the end of the Seventies, people began to speak about “street furniture” in universities, in professional studios, and in public administration. The
figure of the Councillor for street furniture was born and professionals looked at
public purchasing with renewed hope.
The city, in those years of crisis, seemed
by now immobile, no building expansion!
Hope was also being lost for operations
in the old towns: street furniture seemed
very far off. Many professionals acted as
experts on the subject and began to
explore and meet the first commissions of
the true pioneers! Pioneers who explored
without knowing what would be done
and said in 30 years of experience,
research, theories and projects in the
urban area. In this way the new experts
rushed headlong into redesigning all the
things that have always characterized the
streets of our cities. Today street furniture, for many designers, appears as a
new disciplinary area that is added to
town planning and architecture, for others it is considered as a false problem.
The problem exists: too much city has
been designed, forgetting all those spaces
between buildings that represent our collective places. Therefore urban spaces are
waiting to be redesigned! But attention
should be paid, as they cannot only
involve a series of equipment redesigned
according to the “good taste” of the
designer, or some monument, to connote
the “inhabitability” of the city. Urban
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spaces should be designed as places to be
used in the most complete sense of the
word: spaces for stopping, for educating,
for arousing interest, for surprising, etc.
Therefore a particular bench is no longer
only conceived as a piece of furniture to
sit on, but a place from which to watch...
“an observatory”; this way of conceiving
the bench project can produce stimuli for
the construction of particular prospectives (true or false), in as much as the
project moves from the bench inside
itself and towards that which one wants
to display, make out or conceal! In brief,
I would like to advise the fundamental
rule to keep to when designing street furniture: do something to make the space
inhabitable, in the awareness of the profound difference that exists between
using a space and inhabiting it, always
reminding myself and others of the slogan that has accompanied me through all
these years, “Inhabiting is being at home
anywhere”.. On the basis of my convictions I am very happy that the
Municipality of Cursi, through the competition for the furnishing of Piazza Pio
XII, will be able to enrich itself with an
ensemble of furnishing elements designed
to increase the worth and importance of
the place. As a member of the jury I have
positively judged (together with all the
members of the commission) the project
by Loris Casali and Serafini Roberto that
surpasses the individual “types of street
supply” in order to enter further into the
furnishing dimension: citing the Lecce
stone, its working and positioning with
extreme respect in the urban context. It is
a wonderful example of “street furniture”
because of the essential use of the material, the formal coherence (cut blocks
drawn together) of various types and the
harmonious relationship between the
various installations in the urban space.
Arressojas
Sardinian Knife Biennial
(page 39)
This trade fair, which has reached its 5th
edition, will take place in Montevecchio
(CA) from the 27th July to 4th August,
confirming itself as a much awaited and
important event for the island’s culture
and economy. Forging blades is an
ancient art, full of charm, cloaked by the
mystery of the origin of fire, full of the
ancient tradition of extracting metals
from the heart of the earth. It is the
expression of a culture that has remained
alive in the hands of talented knife makers throughout Sardinia, and above all in
Pattada, Guspini, Gonnosfanadiga,
Santulussurgia, Arbus and Dorgali. In the
strength of tradition, these knife makers
find a reason for continuing to create
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unique pieces of great value and objects
of daily use, but also innovative techniques, propose new designs and materials, and open new commercial horizons.
Every two years, these artisans enliven
“arressojas”, displaying varied and rich
production, a valuable representation of
the complexity of an island that does not
close itself to its past, but seeks moments
of meeting and exchange by hosting master knife makers and collectors from
other areas of the world. “Arressojas” is
an art exhibition, but also an open door
on Guspini, its history, its culture and its
territory with its uncontaminated environmental beauty and the ancient presence of man.
The Bread of Matera
(page 44)
The bread of Matera is surely one of the
most whole and tasty in the Italian scene,
and even today, it retains traces of the
“sacredness” attributed to it by the popular thinking. It is a product of the local
culture that should be preserved with its
characteristics of taste and quality, but
above all for the culture and symbolic
behind-the-scenes activity in which it was
developed and has conserved its integrity
up to our times. In fact there are many
cultural and artistic elements that make
Matera’s bread unique, including, in first
place, its characteristic horn shape, a synthesis of symbol and exaltation of taste.
The horn shape, the result of great manual skill handed down by generations of
bread makers, symbolically refers to
archetypes of cultures that have now disappeared, linked to ancient moon and
sun rites, aspects that can be more clearly
read in the chimneys of the communal
ovens, some of which can still be seen in
the ancient districts of Sassi and sculpted
in the foundation material of the old
town, the tufa, by skilled artisans who
were able to interpret and exalt the symbols of bread making: fertilization and
rising. The jewel of this culture is the
bread stamp, which deserves an important position in the history of Italian
crafts. Linked to the pastoral world, created and sculpted by the shepherds in
wood, it was used to impress a sign in
order to be able to identify one’ own
bread when collecting it from cooking in
the communal ovens. The disappearance
of communal ovens, replaced by commercial bakers, then made the use of the
stamp redundant, and it was slowly forgotten as an object and symbol. The act
of “marking” acquired a ritual and allusive meaning, linked to ancient fertility
rites. This strong symbolic value can be
seen even further if one thinks that the
bread stamp, in some cases, was brought
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as a dowry by the man, with the double
symbolic function of bearing food and
nutrition (the bread) but also virility in
procreation (the fertilization).
Disturbing
Poetic Forms
(page 48)
The theme of the comparison and relationship with tradition has returned, in
particular when speaking of ceramics,
one of the sore points. To hear the
reports of the “Ceramicarte” convention,
the line that unites tradition to the current times, at least in the case of Vietri
ceramics, is still to be built, swaying
between ambiguity and the instrumental
use of the term tradition or, worse, without defining a possible soul, but rather
that humus of the place, with its atmospheres, its “legends”, its anecdotes and
the “doings” of the community that make
up the true lifeblood of the condition.
The works of two young artists, Daniela
Cannella and Nello Ferrigno, are connected to this lifeblood and their experimentations tie together the threads with
a creative field. Daniela Cannella is a
young architect from Salerno, producing
careful design for years while looking
towards the development of a possible
route to be opened towards artistic
ceramics, without, however, turning her
back on tradition in order to follow trails
distant from her origin. Tradition, especially that from Vietri, is taken on as a
mental matrix, with a well-decided critical identity that pushes the young artist
to probe grounds between sculpture and
the functional object. The vases created
over the last few months can be placed in
this field. They are connoted by a strong
poetic “action” and by a narrative value,
where forms assume the outlines of a
veiled love discourse, suspended between
the “interior” eye of the project and
nature. They are, moreover, poetic
objects that evoke the forms of natural
elements, recuperated tree trunks, in
their torsion of bodies, from the fragile
consistency of clay and animated by the
porous nature of a surface that absorbs
every bit of light, accentuating the veins,
the folds, and in short, imaginatively activating the material. Unlike her first
works, in which the interest lay mainly in
the design, the works on display attract
attention for their evocative capacity.
This decision is made very clear by the
structural composition and the complete
reduction of the chromatic dictation. In
fact, these vases in the form of trunks are
thin leaves of clay, spread out like rippled
pieces of paper coloured at times by a
natural earthen red, then by mixtures of
black clay. Nello Ferrigno looks towards
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a lifeblood, understood in its well rooted
value of origin of collective imagination,
and provides, in ceramics, a repertory of
forms of Mediterranean mythology, without letting himself be taken over by nostalgia, keeping his curiosity directed
towards the future, towards new languages. Ferrigno takes up his confrontation
once again at a distance of almost twentyfive years from when, together with other
artists from Salerno, he joined that
“social participation” project launched in
Marigliano in 1975 upon the occasion of
the “Napoli Situazione ’75” exhibition. A
field of research better documented in
the specific section set up at the Venice
Biennial in 1976. Already in his works
and operations of those years, Ferrigno
took on the ironic figure as a measure of
his desire to find a creative dialogue with
tradition. This is the route from which
his figures start, his cavaliers, his women
removed from a repertory of scenes, the
synthesized horses, almost, like monolithic forms, reassured by a compositional
geometry, suddenly, however, put into
discussion by the sensual forms of white
Amazons. His recent works testify to a
further, not only compositional, but also
chromatic development, highlighted by
the use of glaze and his possibilities of
graduating the luminosity of the surfaces.
Josif Droboniku
(page 52)
Making mosaics is still considered one of
the noblest specialities of artistic crafts.
We draw near to the work of Josif
Droboniku with considerable interest, in
as much as his works evoke all the history
of the great tradition of mosaics and
monumental painting such as frescoes.
Born in Fieri (Albania), he soon moved
to Tirana where he went to the Art
School and then the Fine Arts Academy,
specializing in monumental painting,
frescoes and mosaics. His ability in this
art awarded him with instant recognition:
he therefore began his activity, invited to
participate in the most important national exhibitions in Albania, which was followed by commissions, primarily for the
creation of large mosaics to be carried
out in many state and public buildings of
Tirana, to which were often added portraits, landscapes and paintings of a historical and social nature. But it was in
frescoes that Droboniku affirmed himself, achieving results of a very high level,
such as the works carried out for the
Civic Museum and Polifunctional of
Lushnje and Peshkopia, in the mosaics of
the Culture Building or in that of the
Faculty of Agriculture at the University
of Tirana of which he is the co-author
and, above all, in the great mosaic on the
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facade of the Tirana National Museum.
Since 1990, Droboniku has been in Italy
and over the last few years he has carried
out great mural paintings in many
churches in the Diocese of Lungro,
following traditional model of sacred
Byzantine art, enriched by the lesson that
comes from a great iconographical
master, his compatriot of universal fame
such as Onufrio. He has made the icons
for many iconostases of the Churches in
the Dioceses of Lungro, Fascineto, S.
Benedetto Ullano, Marri di S. Benedetto
Ullano, Plataci, Falconara Albanese,
Sofferetti, but above all, the great mosaic
in the central dome of the Lungro
Cathedral, which presents the majestic
figure of Christ Omnipotent. And in the
same cathedral, he made the mosaic in
the apse of the Baptistery Chapel, as well
as the mosaics of Saint Andrew, of the 4
Evangelists, of the Creed, Angelus and 5
mosaics inside the Vima, making an
overall total of around 300 m_ of new
mosaics. Other mosaic works were
carried out for the parochial churches of
Civita and S. Sofia d’Epiro. Currently in
the phase of completion are the central
mosaic in the Church of Mater Domini
di Catanzaro (50 m_), the Christ
Omnipotent in the Church of
S. Benedetto Ullano and the unique
praiseworthy mosaic work of 80 m_ of
the “Last Judgement” (temple of the
Cathedral S. Nicola di Mira di Lungro).
The historical presence of the mosaic in
Italy is currently rediscovering, with
Droboniku, a continuity following those
consolidated models that the “Orthodox”
have always wanted to maintain intact,
over and above the development of the
history of art. The quality of his work is
constantly convincing and winning over
more and more admirers. A great lesson
for safeguarding and conserving the
artistic heritage of the mosaic of the
Byzantine eastern tradition while
renewing it. Today Josif Droboniku
avails himself of the valuable
collaboration of his wife Liliana, scrupulous creator and executor of hieratic figures and solemn subjects of the eastern
religious tradition. “Arberart” is the
workshop in which our master, flanked
by his two young daughters, designs and
creates his best works of artisan art. The
mosaic and icon are the artistic forms
that Droboniku favours and to which
Josif wants to dedicate particular attention, and it is for this reason that he
wanted to institute a workshop-school (in
order to train and educate young people
in the art of mosaic and iconography),
laboratory, and permanent exhibition
point in Altomonte, in a place that discovered the treasures of the Byzantine
world a short time ago.
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