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Projects
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La rivoluzione informatica e
l’inarrestabile evoluzione
tecnologica che hanno
accompagnato le conquiste
scientifiche della nostra epoca
hanno profondamente modificato
le strategie produttive e
l’organizzazione del mondo del
lavoro. All’affermarsi di queste
trasformazioni fa riscontro
una nuova visione di spazi e di
architettura che traduce nuove
esigenze e nuove funzioni in un
registro linguistico contemporaneo
in linea con le politiche di
sostenibilità, qualità e confort dei
luoghi di lavoro.
The computer revolution and
unstoppable technological progress
that have accompanied the scientific
conquests of our age have
profoundly altered production
strategies and the organization of
labor. As these transformations
have taken hold, a new vision
of spaces and architecture has
emerged, translating new demands
and new functions into
a contemporary linguistic register
geared to a sustainable vision
for high-quality and
comfortable workplaces.
Interpretare nuovi mondi
Interpreting New Worlds
Maurizio Vogliazzo*
S
e ci si fa caso, i contributi storiografici, ormai
ampi e numerosissimi, la critica di settore, e in
generale il dibattito culturale, che nel loro insieme costituiscono lo sfondo, lo scenario di riferimento dell’architettura, sia di quella costruita sia di
quella che rimarrà per sempre allo stato di progetto,
non dedicano e non hanno mai dedicato una speciale attenzione ai luoghi del lavoro. Prevale, come
sempre, un approccio tipologico, derivato verosimilmente dalle codificazioni messe a punto dalla manualistica di derivazione razionalista della prima
metà del secolo scorso, che ha sempre prediletto le
classificazioni derivate dalle diverse destinazioni
d’uso, fra le quali è quella residenziale a far da padrona, mentre tutto il resto è ridotto in generale a
sottocapitoli. Edifici per l’istruzione, per l’industria,
per gli uffici, per la salute, per lo sport, per il divertimento, per il culto, e così via: a pensarci bene, un
modo davvero ben curioso di codificare le attività
umane, che vivaddio sono ben più ricche, complesse, contraddittorie, variegate, trasversali. Questa
sorta di imprinting per la verità insopportabilmente
riduttivo è duro a morire; non solo, ma è anche
profondamente connaturato con il pensiero e le tecniche urbanistiche e pianificatorie che in parallelo e
con l’andare del tempo si sono vieppiù consolidate,
anche per una loro naturale e sempre maggiore prossimità con le procedure e le pratiche politico-amministrative (tant’è che oggi ormai amano definirsi tout
court policies, per confessata simpatia verso un pret-àporter managerial-anglofilo considerato up-to-date
e invece in realtà purtroppo di miserevole e anche
dannoso accatto).
Se nei tanti libri capita di imbattersi ogni tanto in un
episodio architettonico inequivocabilmente destinato al lavoro, lo si deve soltanto al progettista che
ne è stato l’autore: la berlinese AEG Turbinenfabrik
perché di Peter Behrens; le industrie chimiche di
Poznan’, perché di Hans Poelzig; la FagusWerk perché di Walter Gropius; il nostrano Lingotto del meno noto Giacomo Matté Trucco (perché aveva tanto
colpito Le Corbusier); le fabbriche Olivetti a Ivrea
perché di Figini e Pollini e altre più lontane (perché di
Zanuso); e così via (anche se poi della cartiera Burgo
di Mantova di Pierluigi Nervi e Gino Covre non ne
parla mai nessuno).
Per venire a conoscenza di manufatti fondamentali,
determinanti per il modo di produrre, occorre inoltrarsi nel mondo meno facilmente accessibile degli
studi monografici, vedi il caso delle costruzioni di Albert Kahn; insomma verso ricerche già raffinate, che
poco riescono a incidere sulla conoscenza media (e
spesso mediocre) del nostro milieu.
Fin qui, come si vede, si è rimasti nel mondo di un
lavoro che esiste sempre meno (nei paesi che più
facilmente capita di frequentare): quello dei blue
collars, quello cioè popolato dagli stormi di operai
in tuta, tre turni nelle ventiquattro ore, di cui un
ipotetico visitatore extraterrestre non troverebbe
traccia nelle odierne megalopoli. Se, volendo rimanere per comodità e per il momento fedeli alla distinzione certo ormai obsoleta di Wright Mills, si
sposta l’attenzione sull’altro mondo, quello dei
white collars, degli “impiegati” (come suonano remote ormai certe definizioni), la situazione non appare per nulla diversa. Del Flatiron Building se ne
parla nei libri, un po’ perché è di Louis Sullivan, un
po’ perché getta in qualche modo le fondamenta
di quelle costruzioni che si chiameranno grattacieli
(per inciso: più di cent’anni dopo una città come
Milano si tormenta ancora quotidianamente sull’opportunità o meno di farne, dimenticandosi
purtroppo di Flaiano che diceva “New York ha
molti grattacieli Pirelli, alcuni più alti, altri meno
belli”, centrando così perfettamente il vero problema: non abbiamo, al momento, altri Gio Ponti). Il
Seagram Building viene sempre celebrato perché è
di Mies van der Rohe, anche se è molto meno bello
e interessante della Lever House di Gordon Bunshaft per SOM. Alla torre Pirelli si accenna appena
perché l’autore dalla critica paludata viene giudicato un professionista nel complesso eclettico e
low profile (che terribile sciocchezza). Per rimanere
in casa, il primo palazzo uffici Eni alle porte di Milano viene con attenzione ignorato, dimenticando le
parole di Franco Fortini, e forse anche perché di
LAVORO WORK
Nizzoli e Oliveri; mentre al successivo Quinto Palazzo, decisamente già global, si dedica invece spazio,
perché è dello studio Gabetti e Isola.
Questo torpore della storiografia e della critica nei
confronti degli spazi del lavoro, spostando la maggior parte dell’attenzione sui luoghi della residenza
da un lato e su quelli di una socialità ormai per sempre perduta e invece pervicacemente e invano riproposta dall’altro (gli spazi pubblici, le piazze, i luoghi
di incontro e di socializzazione, e così via, di nuovo
ricadendo di fatto nelle obsolete categorie tipologiche di cui si parlava all’inizio), ha contribuito dopo
tutto non così poco, e paradossalmente avendo intenzioni esattamente opposte, alla smisurata crescita di conurbazioni senza volto, perfettamente corrispondenti alla condizione desolata di quella folla solitaria descritta da David Riesman. Sotto questo profilo, le successive e innumerevoli coniugazioni di
schemi interpretativi sovente divaganti, derivati per
lo più dai ragionamenti fascinosi di Rem Koolhaas
attorno alla cosiddetta città generica, non hanno
fatto altro che appaesare senza colpo ferire il compimento di questa enorme trasformazione.
Forse non poteva essere altrimenti. Sta di fatto che
le fasi successive e inarrestabili della rivoluzione digitale, di cui è difficile oggi intravvedere la fine, hanno
completamente trasformato il lavoro, i suoi modi, le
sue forme. E di tutto ciò non si trova quasi riscontro,
una riflessione consapevole anche se non compiuta,
da parte dell’architettura. La progressiva scomparsa
del lavoro operaio tradizionalmente inteso, e la sua
frantumazione territoriale, hanno senza far tanti
complimenti, e senza che nessuno se l’aspettasse
(questa è la cosa davvero sorprendente), gettato in
prima fila sul palcoscenico enormi porzioni di città
che prima facevano soltanto parte del coro, anzi
erano soltanto un rumore di fondo. Che fare di questi luoghi del lavoro, a lungo scandagliati da varie
parti, dalla sociologia all’ergonomia, e tuttavia mai
o quasi sotto il profilo della loro consistenza fisica?
Abbattere alla disperata ricerca di realizzare rendite
di posizione sovente inaspettate? In fasi di stagnazioni demografiche e ora economiche operazioni di
questo genere presentano rischi oscuri, sui quali talvolta si aprono improvvisi e preoccupanti squarci.
Mantenere cercando nuove destinazioni? Per questo occorrono progetti intelligenti e disponibilità di
risorse raramente purtroppo messe a disposizione.
Museificare, vista l’apparente attuale popolarità di
queste operazioni? Stucchevole, spesso inutile e anche molto triste: come dire il futuro dietro le spalle.
Impiantare parchi, parchetti e vegetazione varia, viste le epidermiche ma strombazzate velleità ambientalistiche del momento? Al di fuori di un progetto complessivo, pensato, casualmente, dove capita capita? Ma via, queste cose bisogna saperle fare e, Barcellona degli anni d’oro a parte, molti esempi non vengono proprio in mente.
Simmetricamente, il lavoro non manuale, anche se
in misura non così plateale, è profondamente mutato; e si è modificato, e soprattutto ridotto, lo spazio
necessario. Al di là del fatto che l’utopia di un totale
home working non si è realizzata, né mai si realizzerà, la rete ha cambiato, e sempre più sta cambiando, l’organizzazione del lavoro, e di conseguenza i
relativi spazi fisici, e anche le scansioni temporali.
Nel frattempo invece, in almeno vent’anni di voracità immobiliare cieca, si sono costruiti milioni e milioni di metri cubi, non importa dove, ma generalmente di qualità immonda. Pavimenti flottanti di
piastrellone tristi, controsoffitti deprimenti, divisori
di cartongesso e truciolati vari, batterie di plafoniere
di tubi al neon ultrawhite, fan coil orribili, protesi di
condizionamento rumorose e sgocciolanti, eccetera. Cappotti messi su alla buona. Serramenti dozzinali. Insomma quanto di peggio, e di meno raffinato, specie se messi in relazione con gli empiti di sostenibilità continuamente sbandierati. Per di più, di
difficilissima, e costosa, eventuale riconversione per
altre destinazioni d’uso.
Urge, come si vede, una riflessione profonda, attenta, aggiornata, intelligente, sul rapporto fra lavoro e
suo spazio. Fra lavori e loro spazi. Fra spazi del lavoro e architettura. Fra tutto ciò e un mondo difficile,
in continuo cambiamento. Non dimenticando mai
che, come diceva Cesare Pavese, lavorare stanca.
33
* Maurizio Vogliazzo, architetto, è professore ordinario di Architettura del
Paesaggio e delle Infrastrutture Territoriali presso il Politecnico di Milano, dove
presiede il Corso di Laurea Magistrale in
Architettura. È titolare di “Storia e Teoria del Design Italiano” presso lo University College di Londra (UCL) e insegna
Architettura del Paesaggio presso lo
IULM di Milano. Visiting professor a Barcellona, Lisbona, Matosinhos, Parigi,
Brisbane, è direttore di ricerca per CNR,
MPI, MIUR, UE ed enti pubblici e privati.
Coordinatore ICP Erasmus dal 1987, dirige ALAD Laboratories (Architecture&
LandAmbientDesign), area di ricerca del
Politecnico di Milano che ha vinto come
migliore scuola di architettura del paesaggio la V Biennale europea di Barcellona. Premiato in concorsi nazionali e internazionali, è autore di opere realizzate
e pubblicate. Espone a New York, Berlino, Parigi, Milano, Venezia e altrove.
È membro di giurie nazionali e internazionali ed è autore di articoli, saggi e libri, apparsi in Italia e all’estero. Attualmente è vicedirettore de l’Arca.
34
U
pon closer scrutiny, it can be seen that,
despite plenty of sectarian critique and general cultural debate surrounding the world of
architecture, as regards both built works and those
destined to remain forever at the drawing board,
special attention is never (and has never been) paid
to work places. As always, a typological approach is
inevitably adopted, most likely deriving from the
codes set in place in rationalist books and manuals
dating back to the early 20th century that always
favored classifications based on purposes and
usages, pride of place going to residential buildings
and housing, while all the rest is genuinely relegated
to subchapters. Buildings for education, industry,
offices, health, sports, entertainment and worship
etc.: if you think about it more carefully, this is a truly strange way of coding human enterprises, which,
thank goodness, are always much richer, more complex, contradictory, varied and all-encompassing.
This kind of imprinting, to tell the truth quite
unbearably reductive, refuses to fade away; moreover, it is also profoundly integrated with urbanistic/
town-planning methods and lines of thinking that
have gradually taken hold down the years, partly
due to their natural and increasing similarity to
political-administrative procedures and practices (so
much so that they are generally referred to simply as
policies nowadays, owing to their openly-avowed
fondness of a sort of ready-made Anglophile managerial approach, considered to be highly up-to-date
but actually rather second-hand and potentially
harmful).
If you happen to occasionally come across something unmistakably devoted to the working world
in all the various books on architecture, then it is
probably only there because of the person who
designed it: the AEG Turbinenfabrik because it is
the work of Peter Behrens; the Poznan’ chemical
plants, because they were designed by Hans
Poelzig; the FagusWerk because it bears Walter
Gropius’s signature; the Lingotto plant here in Italy
designed by the less famous Giacomo Matté Trucco
(because Le Corbusier was so taken with it); the
Olivetti factories in Ivrea because they were the
work of Figini and Pollini and a few more (because
they were by Zanuso); and so forth (although there
is never any mention of the Burgo paper mill in
Mantova designed by Pierluigi Nervi and Gino
Covre). You need to venture into the less easily
accessible world of monographic studies to find out
about key constructions in the manufacturing
industry, such as Albert Kahn’s works; in other
words, more refined studies that make very little
impact on the (often mediocre) general understanding of these issues in our milieu.
So far, as you can see, we have confined ourselves
to the realms of a kind of labor that is increasingly
hard to find (in those countries we are most likely to
visit): blue-collar work or, in other words, all those
laborers dressed in overalls working on those eighthour shifts into which the working day used to be
divided (three shifts in total), something of which a
visitor from outer space would find no trace in
today’s big cities. If, momentarily keeping for convenience’s sake to the now obsolete distinction made
by Wright Mills, we were to shift our attention to
that of the world of white-collar workers or
“employees” (how strange and distant certain definitions now sound), the situation does not seem to
be any different at all.
Books talk about the Flatiron Building, partly
because it was designed by Louis Sullivan, partly
because, in some sense, it lays the foundations for
those constructions destined to be called skyscrapers
(note well: over one hundred years later, a city like
Milan still anguishes every day over whether it might
be a good idea to build them, unfortunately forgetting what Flaiano once said: “New York has lots of
Pirelli skyscrapers, some taller, others less beautiful”,
really hitting the nail on the head: the problem is
that, at the moment at least, there are no Pontis
around). The Seagram Building is always celebrated
because it was designed by Mies van der Rohe, even
though it is a lot less beautiful and interesting than
Lever House designed by Gordon Bunshaft for SOM.
The Pirelli Tower is just briefly mentioned because its
architect is judged, overall, to be an eclectic, lowprofile professional (how ridiculous) by the most
acclaimed critics. Keeping to Italy, the first Eni Office
Building just outside Milan has been studiously
ignored, forgetting what Franco Fortini once said,
and perhaps also because it is the work of Nizzoli
and Oliveri; on the other hand the subsequent Fifth
Building, decidedly already a global one is given
plenty of space, because it was designed by the
Gabetti and Isola firm.
The rather lackadaisical approach of historiography and criticism to work spaces, shifting greater
attention to housing on one hand and to certain
aspects of social life which have been lost forever
despite desperate attempts to revive them,
inevitably in vain, on the other (public spaces,
squares, places for congregating and socializing
etc., once again lapsing back into those obsolete
typological categories referred to earlier), has contributed in a notable way (even though, ironically,
its intentions were quite the opposite) to the
boom in faceless conurbations, corresponding
perfectly to the desolation afflicting those solitary
crowds described by David Riesman.
In this perspective, all the numerous subsequent
conjugations of deviant interpretive schemes, mainly deriving from Rem Koolhaas’s intriguing thoughts
on the so-called generic city, have merely enabled
this great transformation to take place without
coming up against the slightest resistance.
Perhaps it could not be otherwise. The fact is that
the various subsequent and unstoppable phases in
the digital revolution, of which no end currently
appears to be in sight, have completely changed
the working world, its procedures and forms. And
there is almost no mention (conscientious if incomplete studies and analyses) of all this in the realm
of architecture. The gradual disappearance of labor
as it is traditionally understood, and also its territorial fragmentation, have, without so much as an
ado and without anybody realizing it (this is the
most surprising thing of all) brought huge portions
of cityscape to the fore, which, until now, were
just languishing in the background as little more
than white noise. So what can be done with these
work places, studied and probed for so long by
various fronts (from sociology to ergonomics) and
yet never, or almost never, in terms of their physical consistency?
Knock them down in a desperate quest to gain
some kind of unexpected upper hand? During
periods of demographic and now economic stagnation, operations like this can be extremely risky,
often bringing about unexpected and worrying
scenarios. Keep them and try and adapt them to
new purposes? This would call for intelligent projects and the kind of resources that usually are not
available. Turn them into museums, seeing as this
kind of enterprise is currently very popular?
Intriguing, often useless and also extremely sad:
putting the future behind us, it might be said.
Create parks, gardens and all different kinds of
landscaping, bearing in mind the pompous and
highly widespread environmentalist tendency currently in vogue? Without devising any overall project, randomly set up anywhere available? Oh
come on, you need to know how to do these
things and, leaving aside Barcelona’s halcyon days,
not many examples come to mind.
Likewise, non-manual labor has profoundly
changed too, although not quite so blatantly; the
space it requires has also changed and, above all,
been reduced. Apart from the fact that the utopian
dream of everybody working from home has never
come about and never will, the Web has changed
(and will continue to do so more and more) how
work is organized and, consequently, the physical
spaces and amount of time it involves. Meanwhile,
on the other hand, millions and millions of cubic
meters of real estate has been constructed over at
least twenty years of voracious property development, building anywhere and, generally speaking,
constructing works of the very scantiest quality.
Floating floors covered with big sad tiles, depressing double-ceilings, partitions made of plaster and
other kinds of chipboard, rows of tubes of ultrawhite neon lighting, horrible fan coils, noisy and
constantly dripping air-conditioning prostheses etc.
Covers thrown on willy-nilly. Shoddy fittings and
fixtures. In a nutshell, the worst and least refined
of everything, particularly if compared to all the
talk of sustainability and everything it is supposed
to entail. Moreover, all this is extremely hard and
expensive to reconvert to other usages if required.
As we can see, we need to think very carefully,
thoroughly and intelligently about the way work is
related to space. The relations between types of
work and spaces. Between work spaces and architecture. Between all that and this problematic and
constantly changing world in which we live.
Without ever forgetting that, as Cesare Pavese
used to say, work is tiring.
35
* The architect Maurizio Vogliazzo is a
Full Professor of Landscape Architecture
and Territorial Infrastructures at Milan
Polytechnic, where he is also Head of
the Postgraduate Course in Architecture. He teaches “History and Theory of
Italian Design” at University College in
London (UCL) and Landscape Architecture at the IULM in Milan. He is a Visiting Professor in Barcelona, Lisbon, Matosinhos, Paris and Brisbane, and Head
of Research for the CNR, MPI, MIUR, EU
and other public and private associations. He has been the ICP Erasmus
Coordinator since 1987 and runs the
ALAD Laboratories (Architecture&Land
AmbientDesign), a research department
at Milan Polytechnic, which won the 5th
European Biennial in Barcelona as the
best school of Landscape Architecture.
He has won both national and international competitions and has built and
written numerous works. His work has
been exhibited in New York, Berlin, Paris, Milan, Venice and elsewhere. He is a
member of national and international
panels of judges and the author of articles, essays and books published in Italy
and abroad. He is currently the Assistant
Editor of l’Arca.
Ortogonalità metalliche
Metal Orthogonalities
Le Cellier-sur-Loire, fabbrica Aplix
Le Cellier-sur-Loire, Aplix factory
Progetto di Dominique Perrault
Project by Dominique Perrault
36
LAVORO WORK
La facciata della
fabbrica Aplix,
produttrice di sistemi
autoadesivi in
materiale plastico e
tessuto, si apre lungo
la strada RN23 a
Le Cellier-sur-Loire e,
grazie ai pannelli di
acciaio corrugato
riflettente che la
rivestono, amplifica la
luce e il paesaggio,
mettendo l’impianto
industriale in stretto
rapporto con la
natura circostante.
The facade of the
Aplix factory, which
manufactures
self-adhesive systems
made of plastic and
fabric, stands along
RN23 Highway
in Le Cellier-sur-Loire
and, thanks to the
reflective corrugated
steel panels covering
it, amplifies the light
and landscape,
bringing the
industrial plant into
close contact with
nature.
37
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Lungo la facciata
nord, opposta a
quella principale,
si trovano tutti gli
accessi principali,
sia per il personale
e i visitatori sia per
il carico/scarico dei
materiali, i parcheggi
e le aree di manovra
per gli automezzi
pesanti.
38
All the main
entrances, both for
staff and visitors
and also
loading/unloading
materials, and the
car parks and
maneuvering areas
for heavy goods
vehicles are located
along the north
facade opposite the
main facade.
M
inimalismo, monumentalismo, astrazione geometrica, linearità, rigore, queste sono le caratteristiche
delle architetture concettuali di Dominique Perrault, vincitore del Gran Premio Nazionale di Architettura del
1993, noto anche per la realizzazione della Très Grande Bibliothèque di Parigi. L’architetto “essenzialista” non concepisce l’architettura solo come un elemento formale, che si
inserisce in uno spazio, ma plasma le attitudini, le funzioni, i
contenuti delle strutture che devono dialogare con l’ambiente circostante.
La fabbrica Aplix a Le Cellier-sur-Loire (Francia) realizzata tra
il 1997 e il 2000 si presenta come un monolite ortogonale
paragonabile alle opere concettuali di Sol LeWitt, completamente rivestito di scaglie metalliche lucide e costruito ai bordi della strada RN23, in un territorio pianeggiante.
La facciata principale della fabbrica è lunga 300 metri, confina con la strada nazionale e grazie alla superficie specchiante, modifica la percezione del luogo con l’obiettivo di riflettere la natura, gli alberi, il paesaggio naturale circostante.
Questa fabbrica sembra concepita come una quinta scenografica che fa da sfondo alla strada, sulla quale si affaccia
l’imponente edificio che occupa una superficie di 29.900
metri quadrati. Dominique Perrault si distingue per edifici
ortogonali, rettilinei, lineari, rielaborando in chiave personale lo stile razionalista-umanistico di Le Corbusier; entrambi condividono l’astrazione totale e la purezza dei volumi e delle forme. Secondo Perrault, la specificità dell’edificio è lo strumento con il quale in determinati contesti si
possono costruire non architetture, ma “luoghi” che si relazionano con l’ambiente. La fabbrica Aplix a Le Cellier è un
sistema flessibile ed è soggetto a modifiche in base alle necessità della produzione e i suoi volumi potranno essere
ampliati senza ricorrere nuovamente all’architetto. Tutte le
innumerevoli possibilità di espansione e riconfigurazione
sul lotto sono già previste dal sistema cellulare di base.
L’intera superficie è stata centuriata in settori quadrati di
20x20 metri, in modo da costituire una griglia di motivi incrociati che giocano con il vuoto e con il pieno. La composizione della fabbrica è determinata dalla giustapposizione di
questi moduli con 7 metri di altezza. Le funzioni produttive,
direzionali e di stoccaggio sono organizzate sulla griglia intorno a pochi elementi fissi e corti alberate. Questo stratagemma ingloba alberi ad alto fusto e prati, che diventano
elementi strutturanti della fabbrica stessa. La serialità del
modulo 20x20 applicata sull’intera superficie del lotto richiama gli schemi suprematisti di Ivan Leonidov.
Perrault in una intervista ha dichiarato: “L’architettura è interruzione perché crea sempre una scissione con lo spazio
circostante. La sfida è mantenere un dialogo aperto con
l’ambiente”, e tale premessa è stata rispettata nella fabbrica
orizzontale di Aplix, essenziale, concepita senza finestre e interamente ricoperta di scaglie metalliche, che hanno la funzione di catalizzare la luce e riflettere il paesaggio rurale.
Questa fabbrica s’impone come una barriera-schermo, in cui
si riflette la natura, amplificando la bellezza paesaggistica del
luogo. È un’architettura posta come segno di riflessione sulla
necessità di armonia tra l’uomo e l’industria. Infatti, questo
monolite ortogonale autoreferenziale è un rivelatore delle
potenzialità di risorse energetiche prodotte dall’uomo nel rispetto dell’ambiente, all’interno della fabbrica. La struttura
protegge un sistema di produzione che corre lungo una strada interna che consente la circolazione di carrelli elevatori e
l’intersezione di materie prime e prodotti finiti ed è progettata per adattarsi rapidamente a un processo di trasformazione
e di estensione. I settori riservati alla produzione formano
due zone contigue: due atelier sono pensati per i prodotti destinati all’industria, tre aree progettate per i prodotti di grande consumo.
M
inimalism, monumentalism, geometric abstraction, linearity and precision are the distinctive
traits of Dominique Perrault’s architectural works.
Winner of the 1993 National Architecture Grand Prix and
famous for designing the Très Grande Bibliothèque in Paris,
this “essentialist” architect does not just consider a work of
architecture as a stylistic feature incorporated in space but
also attempts to shape the properties, functions and content of structures that are designed to interact with the surrounding environment.
Aplix factory in Le Cellier-sur-Loire (France) built between
1997-2000 looks like an orthogonal monolith comparable
to Sol LeWitt’s conceptual works. It is totally clad with shiny
metal scales and constructed along the edge of RN23 Highway on flat land.
The factory’s main facade is 300 meters long, borders on
the highway and, thanks to its reflective surface, alters how
the location is perceived, as it sets out to reflect nature, trees
and the surrounding landscape. This factory appears to be
designed like a stage curtain providing a backdrop to the
road along which this imposing building stands, covering a
total area of 29,900 square meters. Dominique Perrault is
renowned for his orthogonal, rectilinear and linear buildings, reworking Le Corbusier’s rationalist-humanistic style in
his own personal key; both share the idea of total abstraction and purity of structures and forms. According to Perrault, the specific traits and features of a building provide
the means for constructing “places” interacting with the environment (and not just architecture) in certain locations.
Aplix factory in Le Cellier is a flexible system and can be
modified according to production needs. Its structures can
also be extended without having to consult the architect
again. The basic cellular system employed can cater for all
the numerous possibilities in terms of expanding and re-
shaping the building lot. The entire surface area has been
cordoned into 20x20 meters sections, in order to construct
a grid of criss-crossing patterns playing on solid structures
and empty spaces. The factory is constructed around a juxtaposition of these units measuring 7 meters in height. The
manufacturing, management and storage functions are set
on the grid around a few fixed elements and tree-lined
courtyards. This strategy encompasses tall trees and lawns,
which all help structure the factory itself. The reiterated nature of the 20x20 base unit applied right across the entire
surface of the building lot calls to mind Ivan Leonidov’s
suprematist schemes. Perrault once stated in an interview
that: “Architecture is interruption because it always creates
a rupture with the surrounding space. The challenge is to
maintain open interaction with the environment”, and this
premise has been respected in the case of Aplix horizontal
factory, which features a simple design with no windows
that is entirely clad with a metal scales designed to attract
light and reflect the setting. This factory looks like a barrierscreen, reflecting nature and enhancing the beauty of the
local landscape.
It is a work of architecture that actually reflects on the need
to create harmony between man and industry. This selfreferential orthogonal monolith really reveals the true potential of energy resources generated by people working inside the factory with due respect for the environment. The
structure protects a production system running along an internal road allowing the circulation of forklift trucks and
handling of both raw materials and finished products. It is
designed to rapidly adapt to a process of transformation
and extension of the areas allocated for production forming
two neighboring zones: two workshops designed to churn
out products destined for industry, three areas designed to
manufacture consumer products.
Sezioni e pianta del
piano terra.
Sections and plan of
the ground floor.
39
Particolare della
facciata nord del
volume che contiene
gli uffici,
caratterizzata da
ampie porzioni
vetrate che
garantiscono
condizioni ottimali di
luminosità
all’interno.
40
Detail of the
north facade of the
structure holding
the offices, featuring
wide sections of
glass providing
optimum lighting
conditions inside.
41
Viste e particolari
delle facciate in
acciaio inossidabile
corrugato e rifinito a
specchio. Questo
particolare
rivestimento e il
sistema di
42
pieghettatura delle
lastre metalliche è
stato progettato dallo
stesso Dominique
Perrault in
collaborazione con la
PMA, la ditta che lo
ha prodotto.
Views and details of
the corrugated
stainless steel facades
with mirror finishes.
This particular kind of
covering and the
system of folds in the
metal sheets was
designed by
Dominique Perrault
himself in partnership
with PMA, the
company that
manufactured it.
43
Sperimentazioni razionaliste
Rationalist Experimentations
Francia, centro R&S Valéo e impianto Dito Sama
France, Valéo R&D Center and Dito Sama industrial plant
Progetti di Jean-Paul Hamonic
Projects by Jean-Paul Hamonic
44
Viste del centro di
Ricerca e Sviluppo
Valéo ad Amiens.
Il nuovo centro è
stato realizzato
utilizzando la
struttura scatolare di
un edificio industriale
preesistente, che è
stata svuotata e poi
rivestita con una
nuova pelle di acciaio
e vetro.
J
ean-Paul Hamonic è un architetto francese high-tech
ed “essenzialista”, famoso per il progetto del centro
di realizzazione prototipi Renault, Le Proto, a Guyancourt, a circa 30 km da Parigi. In questa occasione ha
dimostrato la sua capacità di applicare nuove e tecnologiche soluzioni a complessi impianti industriali, comprensive di diversi servizi e funzioni, senza tradire un
certo impatto scenografico di rappresentanza e quella
inclinazione al monumentalismo, sempre senza eccessi,
insita nell’esprit degli architetti francesi da Jean Nouvel
in poi. Entrambi gli architetti, cultori dell’acciaio e del
vetro, condividono rigore, sobrietà, innovazione tecnologica e funzionalismo. Hamonic conferma il suo stile
techno-minimal anche con il centro Ricerca & Sviluppo
del gruppo Valéo ad Amiens e l’impianto industriale
Dito Sama ad Aubusson.
Il centro ricerca Valéo (gruppo industriale specializzato in
innesti meccanici e trasmissioni per auto) si presenta co-
me una struttura d’acciaio con volumetrie basse, che si
sviluppa orizzontalmente e rompe il paesaggio mediante
una costruzione impattante carica di energia. Questo parallelepipedo d’acciaio rispetta la tipologia della fabbrica
tradizionale, ridisegnando lo skyline industriale dell’area
boschiva occupata da altre unità di produzione.
Il progetto ha previsto la conservazione di un ex edificio
industriale che si ripresenta con un nuovo e più accattivante look, totalmente attualizzato nella forma e nei materiali per contenere un centro destinato alla ricerca avanzata e all’innovazione. Acciaio e vetro sono i materiali
protagonisti dell’edificio sviluppato al piano terreno, che
occupa 8.000 metri quadrati di terreno e ospita gli uffici e
i laboratori di montaggio dei prototipi con annessa area e
circuito di prova: il tutto distribuito lungo un asse centrale
che attraversa l’impianto da est a ovest. Dell’ex edificio
esistente è stata conservata la struttura principale, accorpata in una scatola rivestita con pannelli (5 metri di altez-
LAVORO WORK
za per 4 o 6 metri di lunghezza) in metallo liscio, tinta grigio chiaro, colore emblematico che rappresenta la funzione del centro ricerca di Amiens. La scelta del colore grigio
non è casuale, oltre a essere più resistente alle intemperie,
grazie al suo effetto specchiante facilita una migliore integrazione dell’edificio con l’ambiente circostante. L’angolo nord-ovest del complesso è attraversato da ampie finestre che incamerano luce naturale utile per illuminare le
aree di lavoro.
L’impianto industriale Dito-Sama (azienda del gruppo
Electrolux che produce robot da cucina), a sud di Aubusson, presenta dimensioni più piccole, e occupa una superficie di 17.200 metri quadrati. La fabbrica, rivestita con
una pelle metallica e caratterizzata da volumetrie lineari,
s’ispira alla tipologia classica e funzionale con un impianto scalare animato dalla copertura a shed, che assicura la
penetrazione della luce naturale in tutto l’edificio. Entrambi gli impianti, seppure progettati all’insegna del ri-
gore e della sobrietà, mai banali nelle soluzioni d’innesto
tra forme e materiali, tradiscono la nostalgia dell’archetipo insita nell’architettura razionalista, qui rinnovata dalla
sperimentazione di nuovi materiali e incastri volumetrici,
d’impatto scenografico. A distanza di anni, osservandole
nel dettaglio queste fabbriche ci appaiono “datate” poiché lo spazio della modernità, meccanico e seriale nell’architettura contemporanea, ha ceduto il passo a un nuovo
paradigma, contestualizzato, informatico, flessibile e
sempre più in armonia con l’ambiente naturale. Tecnica e
ingegneria sono concept modernisti, che per loro natura
si esprimono in forme lineari e si presentano oggi con
strutture funzionaliste e dinamiche, in cui i materiali di rivestimento evidenziano l’identità dell’edificio. Nel caso
delle strutture di Amiens e di Aubusson, la pelle di metallo non soltanto richiama il loro contenuto di ricerca tecnologicamente avanzata, ma rappresenta un tentativo di fusione con il paesaggio circostante.
Views of Valéo
Research &
Development Center
in Amiens.
The new center was
built using the
box-shaped structure
of an old industrial
building, which
was hollowed out
and then covered
with a new skin of
steel and glass.
45
46
L’ingresso al centro
è costituito da una
galleria cilindrica
rivestita all’esterno
con una lamiera di
acciaio centinata e
all’interno da
pannelli di acciaio
laccato ritmati dagli
archi di sostegno di
acciaio.
Nella pagina a
fianco, dall’alto,
planimetria generale
con la pianta del
piano terra, pianta
parziale dell’area
centrale dell’edificio
con le zone di
controllo e le unità di
prova e rispettiva
sezione.
The entrance to the
center takes the
form of a cylindricalshaped arcade
covered on the
outside with bent
steel sheet and on
the inside by
lacquered steel
panels combining
with steel support
arches.
Opposite page, from
top, site plan
showing the ground
floor plan, partial
plan of the central
area of the building
holding the control
areas and testing
units and its section.
J
ean-Paul Hamonic is a French high-tech, “essentialist”
architect famous for designing the Le Proto Center in
Guyancourt, about 30 km from Paris, where Renault
prototypes are made. In this project he showed his expertise
at applying new technological solutions to industrial plants,
encompassing various different utilities and functions, while
still creating a certain representational visual impact and
tendency towards monumentalism but never lapsing into
excesses, a distinctive characteristic of French architects
from Jean Nouvel onwards. Both these architects, who love
to work with steel and glass, share the same sense of precision, sobriety, technological innovation and functionalism.
Hamonic once again confirmed his techno-minimal style in
the Valéo Group’s Research & Development Center in
Amiens and the Dito Sama industrial plant in Aubusson.
The Valéo Research Center (an industrial group specializing
in mechanical parts and transmissions for cars) looks like a
steel structure with a low-lying volumetric design that extends horizontally and breaks down the landscape through
a high-impact construction bursting with energy. This steel
parallelepiped conforms with traditional factory designs, reshaping the industrial skyline of a wooded area taken up by
other manufacturing units. The project involved conserving
an old industrial building, which was given a new and more
captivating appearance, completely updated in terms of its
form and materials ready to house a center for advanced research and innovation. Steel and glass are the main materials used for the building on the ground floor, which takes
up 8,000 square meters of land and holds the offices and
assembly workshops for the prototypes with an adjoining
area and test circuit: all set along a central axis that crosses
the plant from east to west. The main structure of the old
building was carefully preserved by being incorporated in a
box covered with smooth metal panels (5 meters high and 4
or 6 meters wide) in an emblematic clear gray color representing the Amiens Research Center’s functional purpose.
The choice of the color gray is not random; as well as withstanding bad weather more effectively, the way gray reflects helps knit the building into the surrounding environment more easily. The north-west corner of the complex is
fitted with wide windows that draw in natural light that can
be used to illuminate the work areas.
The Dito-Sama industrial plant (a company belonging to the
Electrolux group that manufactures kitchen machines), located to the south of Aubusson, is smaller and only takes up
17,200 square meters of land. The factory, clad with a metal
skin and featuring linear structures, has a classic functional
design with a shed-style roof that guarantees natural light
can flow into the entire building. Although they are designed in the name of precision and sobriety and are in no
sense bland in the way forms and materials have been combined, both factories betray a certain nostalgia for an archetype coming from rationalist architecture, here updated
through experimentation with new materials and structural
joints to make a greater impact. Studying these factories in
greater detail (now that some time has passed since they
were first constructed) they seem to be rather “dated” because mechanical, mass-produced modernity has given way
in modern-day architecture to a new contextualized, computer-based, flexible paradigm more in tune with the natural environment. Technology and engineering are modernist
concepts, which by their very nature are embodied in linear
forms but are now given dynamic functional structures, using coating materials to focus on building identity. In the
case of the structures in Amiens and Aubusson, the metal
skin does not just invoke their content in terms of technologically cutting-edge research, it also represents an attempt to
blend in with the surrounding landscape.
47
48
La nuova sede
Dito-Sama (una
divisione di
Electrolux) si inserisce
in un paesaggio
naturale
caratterizzato da
boschi e praterie.
Nei suoi 17.000 mq
l’edificio raggruppa
le unità produttive,
i laboratori di ricerca
e gli uffici
amministrativi e
commerciali.
The new
headquarters of
Dito-Sama (belonging
to Electrolux) is set
in a natural
landscape of woods
and fields.
The 17,000 sq.m
building
holds the
manufacturing
units, research
laboratories and
administration/
business offices.
49
Logica della semplicità
The Logic Of Simpleness
Brentford, sede JCDecaux
Brentford, headquarters of JCDecaux
Progetto di Foster + Partners
Project by Foster + Partners
50
L’ampliamento
della sede della
JCDecaux, azienda
produttrice di
elementi di arredo,
a Brentford è
caratterizzato da una
nuova galleria vetrata
in cui vengono
esposti i prodotti
e che serve da
collegamento con
l’edificio esistente,
risalente agli anni
Trenta del secolo
scorso.
S
ir Norman Foster, Lord Foster of Thames Bank, insignito di numerosi premi, tra i più prestigiosi nel
campo della progettazione, ha ricevuto nel 1999 il
Premio Pritzker, il nobel dell’architettura. Per Londra ha ridisegnato, grazie ai suoi edifici funzionalisti e high-tech
dalle facciate trasparenti, leggere e prive di concessioni
ornamentali, lo skyline della City, che in occasione delle
celebrazioni del Giubileo 2002 si è rifatta il look, investendo in nuove architetture lungo il Tamigi e nella riqualificazione di vaste aree periferiche fino ai Docklands. Foster, autore del celebre Millennium Bridge
(2003), si distingue per le sue ardite soluzioni ingegneristiche, evidenti anche nei suoi ultimi progetti realizzati
in Asia e in Arabia Saudita.
Foster incarna il mito dell’archistar ed è diventato un
brand di qualità, eleganza e solidità. Suoi il restauro del
Parlamento tedesco a Berlino, la metropolitana di Bilbao
e, tra le opere più eclatanti, il grattacielo realizzato per la
Banking Corporation a Hong Kong, d’impatto scenografico e monumentale. Armi vincenti: funzionalità, tecnolo-
gia innovativa, leggerezza, trasparenza; elementi adottati
anche per edifici industriali o uffici. Nei progetti più recenti è più sensibile all’ambiente e opera all’insegna di un
nuovo umanesimo post-tecnologico. Già nel 1975, Foster
con l’edificio a tre piani progettato per la società di assicurazioni Willis Faber & Dumas a Ipswich, stupisce per l’arditezza del progetto considerato un esemplare innovativo,
con una struttura a cassettoni in cemento armato rivestita
da una sfaccettata pellicola di vetro piano colorato. Nell’atrio, le scale mobili disegnano lo spazio; un ristorante
sul tetto e una piscina al piano d’ingresso e altri dettagli
costruttivi rinnovano la tipologia dell’edificio industriale o
di rappresentanza. Non c’è un solo edificio di Foster, per
quanto semplice e d’uso utilitaristico, che non sia riconoscibile per uno stile sofisticato ed elegante.
La stessa logica costruttiva ingegneristica è stata applicata alla sede JCDecaux, azienda leader mondiale nel
campo della produzione di arredi urbani, che include il
recupero di una ex-fabbrica, stile Art Déco (1936), situata a Brentford, a ovest di Londra, ampliata con due nuo-
LAVORO WORK
vi spazi da Foster and Partners (1997-2000). Il progetto
consiste in tre operazioni specifiche: restauro dell’edificio storico da destinare a uffici di rappresentanza, realizzazione di una galleria coperta, trasformata in una “vetrina” ideale dove esporre gli oggetti prodotti dalla JCDecaux e costruzione ex novo di un capannone industriale, destinato alla produzione. La soluzione adottata
è razionale: sul fronte primeggia l’architettura anni
Trenta restaurata, al centro la galleria, e dietro fa capolino il prefabbricato industriale. La galleria centrale è il
“trait d’union” tra il vecchio e il nuovo edificio, realizzata con una struttura in ferro e vetro, molto leggera, piacevolmente asimmetrica, che media le differenti altezze
del vecchio edificio e del nuovo prefabbricato. Questa
galleria vibra di luce, grazie alla trama dei sottili brise soleil, adottata nella tettoia. Il nuovo spazio espositivo è lo
scenario più adatto per mostrare fermate d’autobus, cabine telefoniche, spazi pubblicitari e altri prodotti destinati all’arredo urbano, qui contestualizzati da un grande
murale disposto su una parete laterale a copertura di un
muro cieco del capannone. La struttura è stata realizzata con un sistema di pilastri prefabbricati messi in opera
in poco più di una settimana e si caratterizza per un rivestimento integrale a pannelli “sandwich”. Si tratta del
primo edificio britannico che adotta un sistema di prefabbricati con pannelli in calcestruzzo, noto come “costruzione Hardwall”, con elementi montati a secco di
3x9 metri, composti da due strati di pietra ricostruita
(cemento armato miscelato con calce) e tra i quali è stato inserito uno strato isolante di un materiale a base di
polistirolo chiamato Thermomass. I pannelli sono disposti uno sopra l’altro, con spine d’acciaio per garantire la
sicurezza. Il sistema adottato garantisce non solo la velocità esecutiva dell’edificio, ma anche un considerevole
risparmio energetico, grazie allo strato di isolante impiegato. Il soffitto, modulato da lucernari, prevede un sistema di illuminazione artificiale che si attiva automaticamente quando la luce naturale è insufficiente. La luce
diffusa dall’alto, che si riflette sul pavimento giallo in resina epossidica, crea un effetto cromatico accattivante.
The extension of the
headquarters of
JCDecaux, a furniture
manufacturer in
Brentford, features a
new glass gallery
displaying the
products and also
acting as a link with
the old building
dating back to the
1930s.
51
52
Planimetria generale.
Nella pagina a fianco,
in alto, particolare del
nuovo edificio che
contiene gli uffici
e i magazzini.
In basso, l’interno
della galleria
espositiva che collega
la nuova costruzione
all’edificio storico.
Questo percorso
coperto gode di una
grande luminosità
assicurata dalla
copertura di vetro
schermato da sottili
frangisole di acciaio.
Nelle pagine
successive, il nuovo
atrio di ingresso a
tutta altezza e
particolare del piano
mezzanino.
Site plan.
Opposite page, top,
detail of the new
building holding the
offices and
warehouses.
Bottom, the inside of
the exhibition gallery
connecting the new
construction to the
old building. This
covered pathway is
brightly lit through
the glass roof
sheltered behind thin
steel sunscreens
shutters.
Following pages, the
new full-height
entrance lobby and
detail of the
mezzanine level.
S
ir Norman Foster, Lord Foster of Thames Bank, who
has won numerous prizes including some of the
most prestigious in the field of design, was awarded the Pritzker Prize in 1999, the equivalent to the Nobel
Prize for architecture. His functionalist high-tech buildings with lightweight transparent facades completely
bereft of ornamentation helped redesign the skyline of
the City, London, when it was given a facelift in conjunction with the Jubilee celebrations in 2002, investing in
new works of architecture along the River Thames and redeveloping extensive suburban areas right through to the
Docklands. Foster, who also designed the famous Millennium Bridge (2003), stands out for his bold engineering
designs as can be seen from some of his latest projects in
Asia and Saudi Arabia.
Foster embodies the myth of the archistar and has become a brand in himself, standing for quality, elegance
and solidity. He was also responsible for renovation work
of the German Parliament building in Berlin, the Bilbao
underground railway line and, among his most striking
works, the skyscraper designed for the Banking Corporation in Hong Kong, a truly striking monumental construction. His trump cards are: functionality, innovative technology, lightness and transparency; features he even
manages to incorporate in industrial buildings or offices.
His most recent projects have shown more environmental
awareness and operate along the lines of a new kind of
post-technological humanism. Even back in 1975, Foster’s three-story building designed for Willis Faber & Dumas Insurance Company in Ipswich featured a truly daring design considered to be an innovative example of a
coffer-based structure made of reinforced concrete covered by a multifaceted film of colored flat glass. Escalators
in the lobby shape the space; a roof restaurant and swimming pool built on the entrance level and other distinctive
construction features give a fresh twist to the style of industrial or representational buildings. There is not one
single building designed by Foster that is not recognizable
for its sophisticated and elegant style, however simple
and utilitarian it may be.
The same engineering-based construction method was also used for the headquarters of JCDecaux, the world’s
leading company in the field of urban furnishing. This project included the renovation of an old art deco-style factory (1936) located in Brentford to the west of London,
which was extended through two new spaces designed
by Foster and Partners (1997-2000). The project involved
three specific operations: the renovation of the old building into reception offices, the construction of a covered arcade transformed into an ideal “showcase“ for displaying
objects manufactured by JCDecaux, and the construction
of a brand-new industrial warehouse serving production
purposes. The solution adopted is rational: restored
1930s-style architecture takes precedence along the main
front, the arcade is set in the middle and the industrial prefabricated construction stands at the rear. The central arcade is the “unifying thread” between the old and new
building and has an iron and glass structure that is extremely light and pleasantly asymmetrical, so as to bridge
the height differences between the old building and new
construction. This arcade vibrates with light thanks to the
pattern of sunscreens set on the canopy. The new exhibition space is the ideal setting for displaying bus stops, telephone cabins, advertising spaces and other urban furnishing features, here set against a large mural on a side wall
covering a blank warehouse wall.
The building was constructed out of a system of prefabricated columns installed in just over a week and features
“sandwich”-style all-over paneling. This was actually the
first building in Great Britain to adopt the so-called
“Hardwall” system of prefabricated concrete panels with
dry-assembled 3x9-meter elements composed of two
layers of reconditioned stone (reinforced concrete mixed
with lime) with an insulating layer of polystyrene-based
insulated material (Thermomass) placed between them.
The panels are placed on top of each other with a steel
backbone to guarantee safety. The adopted system not
only ensures the building is constructed quickly, it also allows notable energy savings thanks to the insulating material used. The ceiling fitted with skylights also incorporated artificial lighting that comes on automatically
when there is not enough natural light. Light shining out
from above, reflected on the yellow epoxy resin flooring,
creates a dazzling lighting effect.
53
54
55
Codici minimali
Minimal Codes
Dunkerque, nuova sede servizi informatici Usinor
Dunkirk, new computer services center for Usinor
Progetto di Christian Hauvette
Project by Christian Hauvette
C
hristian Hauvette, architetto e urbanista marsigliese, appassionato di letteratura e di cinema, allievo
di Jean Prouvé al Conservatoire des Arts et Métiers, tra il 1972 e il 1974 partecipa al 3° ciclo dell’Ecole
Pratique des Hautes Etudes in un seminario di Roland
Barthes. Nel 1974 entra a far parte del Groupe de Recherches et d’Essais Cinématographiques e dagli anni
Ottanta si dedica alla professione di architetto, mantenendo quel rigore e sensibilità per i volumi e lo spazio che
lo distingue. Hauvette è stato tra i più influenti architetti
francesi nel settore degli interventi pubblici, di cui le sue
opere, come la Scuola Nazionale degli Ingegneri e la Facoltà di Ingegneria a Le Mans, sono diventati vero e proprio modello tipologico. La sua grammatica progettuale
si riconosce nella declinazione di volumi cubici, forme
euclidee e soluzioni rigorose, scevre da elementi ornamentali o slittamenti nostalgici. A Dunkerque, Hauvette
ha realizzato la nuova sede delle unità informatiche dell’Usinor, gruppo siderurgico di fama internazionale costituito nel 1948. Per questo sito industriale non si poteva
adottare altro che un purismo formale suprematista, in
cui l’articolazione e gli incastri di volumi geometrici di
forme lineari in metallo comunicano stabilità, durata, resistenza e tecnologia. Hauvette, promotore di un’estetica razionalista tecnologica, ispirata ai codici minimali di
De Stijl, nelle sue costruzioni essenziali evoca “l’elementarismo statico” di Mondrian. Per la nuova sede Usinor
ha puntato sulla forza unitaria e comunicativa di un paesaggio ridefinito da quattro cubi più un rettangolo. Questi volumi, di una semplicità non scontata, si basano sull’equilibrio estetico dato dalle forme. Il complesso si svi-
56
La facciata principale
della nuova sede per
i servizi informatici
della Usinor,
realizzata nell’area di
Grande Synthe a
Dunkerque, si
caratterizza per lo
sviluppo orizzontale
e simmetrico e per il
taglio triangolare a
tutta altezza che
segna l’ingresso
dell’edificio.
luppa orizzontalmente e in modo simmetrico rispetto allo spazio di ingresso, ritagliato a tutt’altezza nella barra
longitudinale degli edifici. La nuova struttura è composta
da una lunga stecca di tre piani, davanti alla quale sono
disposti quattro volumi cubici, mentre alle spalle spicca il
quinto volume, piatto e allungato. La caratteristica sta
nel fatto che ogni volume corrisponde a una funzione:
uffici individuali modulari nella stecca, uffici open space
destinati a lavori di gruppo nei quattro cubi, sale riunioni
concentrate nel volume retrostante. I cinque elementi
primari del complesso sono disposti in perfetta simmetria rispetto all’atrio centrale. La funzione determina la
forma, i volumi sono posizionati logicamente, le “scatole” metalliche disposte lungo un asse ortogonale assorbono la luce e fanno vibrare l’intero complesso in relazione con il luogo. Attraverso la ripetizione del modulo base
in acciaio inossidabile piegato longitudinalmente ogni
40 centimetri, con lunghezza fino a 10 metri, e la sperimentazione di sistemi costruttivi e di materiali innovativi,
l’architetto ha trasformato il procedimento Cibbap (basato sulla serializzazione di moduli) in una estetica essenziale, giocata sull’abilità di assemblaggio di pareti forate
o opache. Simile a un nastro metallico che si dispiega ortogonalmente nel paesaggio e vibra di luce nelle diverse
ore della giornata, il complesso muta con il variare delle
condizioni climatiche: d’estate si presenta come un solido uniforme e compatto, un catalizzatore di raggi del sole; d’inverno nei giorni più grigi e cupi, grazie alle forature delle pareti, acquista contorni più sfumati. Di notte,
questo monumentale assemblaggio metallico brilla e
fende il buio come una lama d’acciaio.
LAVORO WORK
C
hristian Hauvette, an architect and town-planner
from Marseille, who is passionate about literature
and film and studied under Jean Prouvé at the Conservatoire des Arts et Métiers, took part in a Roland Barthes
seminar at the 3rd cycle of the Ecole Pratique des Hautes
Etudes in 1972-1974. In 1974 he joined the Groupe de
Recherches et d’Essais Cinématographiques and then devoted himself to becoming an architect in the 1980s,
maintaining his distinctive precision and awareness when
handling structures set in space. Hauvette was one of the
most influential French architects in the realm of public
works and some of his designs, such as the National School
of Engineers and Faculty of Engineering in Le Mans still set
the benchmark in their own particular stylistic domain. His
design syntax is characterized by cube-shaped structures,
Euclidean forms and very precisely designed elements
bereft of ornamentation or nostalgic leanings.
In Dunkirk, Hauvette designed the new home of the
computing units of the internationally renowned steelmanufacturing company Usinor, founded in 1948. Suprematist formal purism was the only possible approach for this
industrial site, conveying a sense of stability, durability, resistance and technology through the layout and interplay of
linear-shaped metal geometric structures. Hauvette, whose
technological rationalist aesthetics are inspired by the minimal codes of De Stijl, actually evokes Mondrian’s “static simplicity” in his very concise constructions.
He decided to focus on the unifying communicative force of
a landscape redefined by four cubes plus a rectangle in his
design for the new headquarters of Usinor. These structures, whose simplicity is anything but obvious, are based
on an aesthetic balance deriving from their forms. The complex develops horizontally and symmetrically in relation to
the entrance space, a full-height structure cut into the longitudinal bar formed by the buildings. The new construction is
composed of a long three-story block with four cubeshaped structures set in front of it and a fifth, flat and elongated structure at the rear. Its distinctive trait lies in the fact
that every structure serves a purpose: the main block contains modular individual offices, the four cubes hold openspace offices designed for team projects, and the rear
structure holds all the meeting rooms. The center’s five
primary elements are set out in perfect symmetry in relation to the central lobby. Function determines form, the
structures are set out logically, and the metal “boxes” set
along the orthogonal axis absorb light and make the entire complex vibrate in relation to its setting. By reiterating
the stainless steel base modulus that is folded longitudinally every 40 centimeters up to a length of 10 meters and
by experimenting with innovative materials and construction systems, the architect has transformed the Cibbap
procedure (based on the mass repetition of modules) into
a very essential kind of aesthetics playing on the ease-ofassembly of perforated or opaque walls. Rather like a metal strip stretching out orthogonally across the landscape
and vibrating in the light at different times of day, the center changes as the climatic conditions vary: in summer it
looks like a uniform and compact solid structure attracting
sun rays, while during grayer and darker days in winter it
takes on more blurred outlines due to the perforations in
the walls. At night-time this monumental metal assemblage shines and perforates the dark like a steel blade.
57
The main facade of
Usinor’s new
computer services
offices in the Grande
Synthe area of
Dunkirk stands out
for its symmetrical
horizontal layout and
the full-height
triangular cut
marking the building
entrance.
58
59
Nella pagina a fianco,
particolare del taglio
triangolare che segna
l’ingresso e, in basso,
viste dei volumi
scatolari metallici che
si innestano nella
stecca principale
dell’edificio e
contengono gli uffici
open space destinati
ai lavori di gruppo.
In alto, scorcio
dell’interno della
stecca principale che
contiene gli uffici
individuali distribuiti
su tre piani.
A sinistra, sezione
parziale sugli uffici.
Sopra, assonometria
dell’edificio.
Opposite page,
detail of the
triangular cut
marking the entrance
and, bottom, views of
the box-shaped metal
structures connected
to the main building
block and holding
open-space offices
specially designed for
team work.
Top, partial
view of the inside
of the main block
holding the individual
offices spread across
three floors.
Left, partial section
of the offices.
Above, axonometry
of the building.
Fucina di eccellenza
Forging Excellence
Cambiano, centro Ricerca e Sviluppo Pininfarina
Cambiano, Pininfarina Research & Development Center
Progetto di Stefano Longhi e Giancarlo Massetani
Project by Stefano Longhi and Giancarlo Massetani
60
Il centro Ricerca e
Sviluppo Pininfarina,
realizzato a
Cambiano (Torino),
è caratterizzato da
una facciata di lastre
di travertino su cui
si innesta una grande
facciata vetrata
costituita da lastre
di vetro stratificato,
antisfondamento e
antiriflesso, unite con
silicone strutturale
e fissate alla struttura
con un sistema
di fissaggio
Spider-Glass a “H”.
The Pininfarina
Research &
Development Center
in Cambiano (Turin)
has a distinctive
facade made of
sheets of travertine
and by a large glass
facade made of
glint-proof,
burgle-proof,
layered glass sheets,
joined together using
structural silicone
and attached to the
structure through a
Spider-Glass
“H”-shaped
connection system.
P
rogettare la nuova sede della Pininfarina Ricerca e Sviluppo di Cambiano (Torino) fondata nel 1982 è stata
un’operazione di estrema complessità poiché nel nome stesso dell’azienda è già racchiusa tutta la sua filosofia.
Pininfarina è una Design House che risale al 1930, simbolo
internazionale della cultura progettuale “Made in Italy” a
360° che si iconizza nella Ferrari e altre automobili, prototipi
di lusso e d’innovazione tecnologica che hanno fatto la storia del design italiano. Un’azienda entrata nella leggenda
con la Cisitalia 202 (1947), scultura in movimento e prima
vettura al mondo adottata nella collezione permanente del
MoMA di New York, e la Ferrari Testarossa (1986), diventata oggetto del desiderio in tutto il mondo. Pininfarina è un
marchio di garanzia dello stile italiano e il suo nuovo centro
di progettazione di prototipi di automobili innovative, dal
design inconfondibile, amplifica la filosofia dell’azienda che
basa la sua ricerca sulla bellezza, l’armonia e la sperimentazione di materiali tecnologicamente avanzati. Nel 2000, nell’ambito del programma di potenziamento delle infrastrutture del Gruppo Pininfarina, è stato affidato a Stefano Longhi e Giancarlo Massetani il progetto di ampliamento del
centro di Cambiano, inaugurato l’anno successivo, con l’obiettivo di comunicare l’auto come simbolo della tradizione
di un’azienda attiva da 70 anni nel settore delle automobili e
la potenzialità creativa del design italiano.
Il requisito principale del progetto era quello di proporre un
layout distributivo degli spazi interni dedicati alla progettazione (uffici open space), dove potessero avere accesso
esclusivo solo i tecnici delle diverse case automobilistiche
per lavorare all’ideazione di nuovi design nella più totale privacy. Si è reso quindi necessario creare delle “piattaforme di
progettazione” autonome e funzionali, costantemente vigilate, e laboratori destinati alla realizzazione di prototipi, ai
quali accedere solo mediante specifici lasciapassare di riconoscimento degli addetti ai lavori. Oltre al vincolo imposto
dall’azienda per proteggere la segretezza dei progetti, l’altro requisito era quello di concentrare nella hall d’ingresso
l’espressione del concept di riservatezza tecnica e il suo valore di rappresentanza e d’immagine.
Il nuovo impianto, realizzato in 70 giorni, comprende tre
piani di uffici di cui uno parzialmente interrato e un capannone industriale prefabbricato: culla di prototipi-gioielli,
esportati in tutto il mondo, che contribuiscono alla crescita
economica dell’Italia. Gli uffici sono destinati alla progettazione, al design e all’ingegnerizzazione delle automobili,
che vengono poi prodotte nel capannone adiacente. Separare l’area di progettazione da quella di realizzazione, e nel
contempo comunicare la filosofia dell’azienda, evitando eccessi, soluzioni magniloquenti o celebrative: sobrietà, professionalità, discrezione e privacy innanzitutto. Questi sono
stati i codici declinati da Longhi e Massetani che hanno puntato sull’appeal simbolico e comunicativo del nuovo centro
di ricerca. La stessa grande vetrata-parabrezza, semisferica,
dell’ingresso rispetta appieno le indicazioni specifiche della
committenza: mostrare il prodotto come simbolo della potenzialità creativa di Pininfarina. Costituita da porzioni di lastre di vetro stratificato antisfondamento e antiriflesso, questa “escrescenza” trasparente è sostenuta da montanti in
acciaio zincato che ricordano le “zampe di ragno”, d’impatto scenografico contenuto, ma efficace. Questa vetrina leggermente bombata è l’unico varco che permette al visitatore di avere una vista sugli interni e di percepire che qui la tecnologia coincide con l’estetica e la qualità del prodotto. Solo
l’eccellenza vi è esposta: due o tre automobili al massimo,
perfette, lussuose, bellissime, che materializzano la simbiosi
tra la creatività, il design futuristico e la tecnologia.
TITOLO TITOLO
61
D
esigning the new Pininfarina Research & Development headquarters in Cambiano (Turin), first established in 1982, was an extremely complex undertaking, because the very name of the company embodies its
entire corporate philosophy. Pininfarina is a design house
dating back to 1930, an international symbol of everything
that is good about Italian design, given iconic status by the
Ferrari and other motorcars, prototypes of luxury and technological innovation that are real landmarks in the history of
Italian design. A company that took on legendary status
through the Cisitalia 202 (1947), a sculpture in motion and
the world’s first motorcar to be incorporated in MoMA’s
permanent collection in New York, and the Ferrari Testarossa (1986) that is now an object of desire the world
over. The Pininfarina trademark is a hallmark of Italian
style, and its new center for designing prototypes for innovative motorcars with unmistakable designs further enhances the company’s corporate policy based on the
quest for beauty, harmony and experimentation with
technologically cutting-edge materials. As part of a program to strengthen the Pininfarina Group’s infrastructures, in 2002 Stefano Longhi and Giancarlo Massetani
were commissioned to design an extension to the center
in Cambiano, that opened the following year, with a view
to using cars to symbolize a corporate tradition stretching
back 70 years in the car manufacturing industry and embodying the creative potential of Italian design.
The project’s main requisite was to create a layout of interior
spaces devoted to design (open-plan offices), which would
only be accessible to technicians from the various car manufacturing companies so that they could work on new designs in complete privacy. This called for the creation of independent and highly functional “design platforms” that
can be constantly monitored and surveyed, as well as work-
62
Piante del piano terra
e del primo piano.
Nella pagina a
fianco, scorci degli
esterni e degli interni
dell’edificio. Gli
interni della hall
vetrata sono rivestiti
con pannelli di
alluminio naturale
lucido in modo da
rimanere neutri e far
risaltare i prototipi di
auto esposti.
Plans of the ground
and first floors.
Opposite page,
partial views of the
outside and inside of
the building. The
interiors of the glass
hall are covered with
shiny natural
aluminum panels, so
as to remain neutral
and draw attention
to the car prototypes
on display.
shops designed to create prototypes that may only be accessed by means of special identification passes handed out
to authorized staff. In addition to constraints imposed by
the company to keep the project secret, the other requirement was to embody the concept of technical confidentiality (and its representational/image-oriented value) right in
the heart of the entrance hall.
The new plant, constructed in just 70 days, includes three
floors of offices, including one partially underground, and a
prefabricated industrial plant: the cradle for these precious
prototypes that are then exported all around the world to
help boost Italy’s economy. The offices are where the cars’
design and engineering are developed ready to be manufactured in the neighboring production plant.
The idea is to separate design from manufacture and, at
the same time, convey the firm’s corporate philosophy
while avoiding excesses and bombastic or celebratory
features: sobriety, professionalism, discretion and privacy
above all else. These are the codes Longhi and Massetani
drew on to give symbolic and communicative appeal to
the new research center. The large semi-spherical glass
window-windscreen in the entrance fully conforms to the
client’s precise specifications: to show off the product as
a symbol of Pininfarina’s creative potential. Constructed
out of sections of burglar-proof non-glistening stratified
glass panels, this transparent “excrescence” is held up by
galvanized steel stanchions reminiscent of “spider’s legs”
that are extremely low-key but highly effective. This
slightly rounded window is the only way visitors can catch
a glimpse of the interiors and see that technology coincides with aesthetics and quality production. Nothing but
excellence is on display: at most two or three perfect, luxurious and truly beautiful motorcars embodying a symbiosis of creativity, futuristic design and technology.
63
Trama e ordito
The Warp And The Weft
Santo Stefano Ticino, sede delle Tessiture di Nosate e San Giorgio
Santo Stefano Ticino, headquarters of Nosate and San Giorgio Textiles
Progetto di Frigerio Design Group
Project by Frigerio Design Group
N
el mezzo di una zona verde, in aperta campagna a
Santo Stefano Ticino in provincia di Milano si trova
la nuova sede delle Tessiture di Nosate e San Giorgio, azienda nota per la produzione di tessuti greggi per
l’abbigliamento e l’arredo; unica nel suo genere perché
realizza tessuti su commissione, controllando “just in time” la qualità del prodotto tessile, conformandosi di volta in volta alle esigenze del cliente. La sede, situata in un
luogo bucolico, rispecchia la richiesta del committente di
avere a disposizione spazi adeguati alla ideazione e produzione di un prodotto di qualità in linea con la filosofia
di “slow architecture”, adottata nella realizzazione di
questo edificio da Frigerio Design Group. Si tratta di
un’architettura progressiva, ecosostenibile che interagisce con l’ambiente, si modifica e trae dal contesto le risorse per la sua definizione. Qui, il lavoro curato nei minimi dettagli è realizzato al meglio, in linea con processi di
produzione personalizzati e all’opposto della globalizzazione. L’impianto industriale, caratterizzato da uno sviluppo orizzontale, occupa una superficie complessiva di
2.000 metri quadrati e la facciata dell’edificio principale
è esposta a sud verso un panorama agreste, con il retro
chiuso dai capannoni destinati alla produzione e allo sviluppo, distribuiti su due piani. Del progetto seduce la facciata-tessitura concepita come un telaio rivestito di fili di
tessuto, che trae ispirazione dalle tessiture prodotte all’interno della fabbrica. Questa facciata-tessuto dall’intreccio serrato tra trama e ordito, in cui la trama sono i
tamponamenti in cotto, alluminio e vetro, mentre l’ordito è la struttura verticale portante, ha una doppia funzione di comunicazione e di schermatura solare. Gli elementi che compongono la facciata s’intrecciano tra loro,
diventano uno schermo di protezione solare e grazie a
un sapiente gioco di contrapposizione tra superfici trasparenti e opache, mettono in relazione gli spazi interni
64
I tessuti e i filati della
fabbrica di Santo
Stefano Ticino
(Milano) da cui ha
tratto spunto il
concept di progetto.
con l’esterno e viceversa. La luce naturale che muta con il
passare delle ore del giorno, mediante un gioco di trasparenze e di vibrazioni, alternando spazi pieni e vuoti,
conferisce alla struttura rettangolare, semplice e razionale, un effetto scenografico, amplificato dalla luce artificiale notturna. Il progetto si sintetizza in tre parti significative: facciata-ordito, tamburo-lanterna e giardino pensile. L’appeal scenografico della struttura è amplificato
da diverse partizioni verticali parallele alla facciata realizzate al piano terra e al primo piano in maggior parte in
vetro (tamponamenti esterni, partizioni interne). All’interno, da qualsiasi ufficio si è a contatto con la natura,
ovunque filtra la luce e si percepisce l’armonia, la calma e
la serenità che il verde circostante comunica. Gli spazi interni ruotano e si distribuiscono intorno al tamburo della
scala principale che sfonda il primo piano e si completa
con una grande “lanterna” coperta, per l’illuminazione e
la ventilazione naturale. Sul lato nord del primo piano si
trova il giardino pensile, creato con lo scopo di costruire
uno spazio esterno con un microclima gradevole, dove
affacciano gli uffici. Tutto il progetto ruota intorno a un
concept di comunicazione visiva e coordinata della fabbrica, in cui gli elementi impiegati per realizzare spazi,
controsoffitti, pavimento, pareti mobili e impianti vari
(corpi illuminanti, ventilconvettori, griglie e rivelatori)
hanno forme geometriche e sono progettati come soluzioni aperte, dinamiche che dialogano con la facciata e il
contesto. Gli interni si preannunciano dall’esterno e fondono sobrietà tecnica e funzionalismo con un’estetica
discreta, elegante, che rappresenta la ricerca di confort
psicofisico degli ambienti di lavoro, attraverso la luce naturale e artificiale. Anche l’acustica e il clima sono ottimizzati a seconda delle necessità. Per schermare alcune
parti delle vetrate interne si è utilizzato il disegno del subbio che corrisponde a una parte del telaio per la tessitura.
LAVORO WORK
T
he new headquarters of Nosate and San Giorgio Textiles, a company famous for manufacturing rough
fabrics for clothing and furnishing, is located right in
the middle of a green area in the open countryside around
Santo Stefano Ticino in the province of Milan. The factory is
unique of its kind because it manufactures customdesigned fabrics, carefully controlling the quality of its products “just-in-time” and bending to its customers needs as
required. The offices, situated in a mouth-watering location, mirror the client’s request to have spaces that are suitable for designing and manufacturing a quality product in
line with the philosophy of “slow architecture” that the
Frigerio Design Group employed in constructing this building. It is actually a progressive work of eco-sustainable architecture interacting with the environment, altering itself
and drawing the resources for redefining itself from its surroundings. Here work is carried out with great attention to
detail in the best way possible, in accordance with customized production processes and in stark contrast to the
idea of globalization. The industrial plant, with its distinctive
horizontal layout, takes up an overall area of 2,000 square
meters, and the building’s main facade faces south towards
farmlands, with the rear section closed off by production
and development warehouses set over two levels. The
textiles-facade, designed like a weaving frame covered with
yarns of fabric, is one of the most seductive features of the
project and draws inspiration from the textiles actually
manufactured inside the factory. This facade—constructed
around a tightly knit combination of warp and weft, with
the warp being the brick, aluminum and glass curtain structures and the weft the vertical bearing structure—serves
the dual purpose of communication and solar shielding. The
elements forming the facade weave together to form a protective sunscreen and, thanks to a clever interplay of contrasts between transparent and opaque surfaces, bring the
inside spaces into interaction with the exterior and viceversa. Natural light, which alters at different times of day
due to an interplay of transparency and vibrations through a
combination of solids and empty spaces, gives the simple
and rational rectangular structure a very striking look, amplified by artificial lighting at night. The project may be broken down into three key parts: the facade-weft, tambourlantern and hanging garden. The structure’s visual appeal is
enhanced by the various vertical partitions, running parallel
to the facade, that have been created on the ground floor
and first floor and that are mainly made of glass (outside
curtain walls, internal partitions). On the inside, all the offices are in contact with nature, light flows in everywhere
and you can feel the sense of harmony, peacefulness and
serenity conveyed by the surrounding greenery. The interior
spaces revolve and are set around the main stairwell that
cuts through the first floor and is completed by a large covered “lantern” serving lighting and natural ventilation purposes. The hanging garden is located over on the north side
of the first floor and is designed to provide an outside space
with a pleasant microclimate surrounded by offices. The entire project revolves around a concept of coordinated visual
communication for the factory. The elements used to create
spaces, double ceilings, flooring, mobile walls and utilities
(lighting appliances, ventilation fans, grilles and detectors)
have geometric forms making them open, dynamic features interacting with the facade and setting. The interiors
make themselves felt on the outside and combine technical
sobriety and functionalism with a discreet and elegant kind
of aesthetics representing the quest for psychophysical
comfort in the work premises through a combination of
natural and artificial lighting. The acoustics and climate are
also optimized to cater for requirements. A beam (part of a
weaving frame) design was used to shield certain parts of
the internal glass windows.
65
The fabrics and yarns
of Santo Stefano
Ticino factory
(Milan), which
inspired the project
concept.
66
67
La facciata-tessuto
della palazzina per
uffici delle Tessiture
di Nosate e San
Giorgio, oltre a
sottolineare con un
gesto fortemente
iconico l’immagine
dell’azienda, ha la
funzione di schermo
per l’irraggiamento
solare.
The fabric-facade of
the office building
of Nosate and San
Giorgio Textiles plant
not only underlines
the firm’s corporate
image through a
powerful iconic
gesture, it also
acts as a sunscreen.
68
69
Nella pagina a
fianco: in alto piante
del piano terra e del
primo piano, schemi
dell’irraggiamento
solare in estate e in
inverno e schema
della ventilazione;
al centro, sezione
trasversale; in basso,
sezioni e prospetto
della facciata-tessuto
con lo schema
dell’incidenza dei
raggi del sole nelle
varie stagioni.
Sopra, pianta e,
sotto, sezione di un
dettaglio della
facciata continua.
In basso,
studi per i prospetti
con frangisole,
tamponamento cieco
e facciata-tessuto,
e sezione costruttiva
della zona di
ingresso.
Opposite page: top,
ground and first
floor plans, solar
radiation diagrams
for summer and
winter, and
ventilation diagram;
center page, crosssection; bottom,
sections and
elevation of the
fabric-facade
showing a diagram
of the various angles
of the sun’s rays at
different times of
year.
Above, plan and,
below, section of the
detail of the curtain
facade.
Bottom, studies for
the elevations
showing the
sunscreens, blank
curtain wall
and fabric-facade
and construction
section of the
entrance area.
Tecnologia e natura
Technology And Nature
Berlino, quartier generale Solon SE
Berlin, headquarters of Solon SE
Progetto di Schulte-Frohlinde Architekten
Project by Schulte-Frohlinde Architekten
70
LAVORO WORK
La nuova sede
berlinese della Solon,
azienda innovativa
che opera nel settore
delle energie
rinnovabili, dispone
di una copertura
verde in leggera
discesa contornata
da un impianto di
pannelli fotovoltaici
da 210 kWp.
The new Berlin
headquarters of
Solon, an innovative
company in the
renewable energy
sector, has a
downwardly
sweeping green roof
surrounded by a
210 kWp
photovoltaic
installation.
71
D
agli anni Novanta, dopo il crollo del muro, Berlino è
la capitale della cultura e dell’innovazione architettonica, urbanistica e sociale che investe nel nuovo,
attirando giovani da ogni parte del mondo, offrendo soluzioni vantaggiose di affitti, possibilità di lavoro retribuito e
assistenza sociale, e dando spazio a nuovi professionisti di
talento di qualsiasi settore per definire la sua nuova identità cosmopolita.
Una testimonianza del vitalismo berlinese e dell’ambizione
progettuale ad alta tecnologia è di sicuro la Solon SE, nota
azienda operante nel settore delle energie rinnovabili, impegnata in una politica di produzione sostenibile, risparmio
energetico e uso di risorse alternative. Situata a sud-est del
centro di Berlino nelle vicinanze dell’Adlershof Science
Park, la sede della Solon è un impianto luminoso come il sole, facile da usare ed “ecologicamente operativo” a partire
da ciò che produce: moduli e sistemi fotovoltaici, realizzati
nel rispetto dell’ambiente naturale. La costruzione si compone di tre edifici: il primo, destinato agli uffici, comunica la
filosofia dell’azienda e favorisce la socializzazione tra lo
staff, il secondo ospita l’amministrazione (8.000 metri quadrati), mentre il terzo è riservato alla produzione (21.000
metri quadrati). Tutti si presentano come contenitori dell’efficienza tedesca “energicamente corretta” e sono firmati da Schulte-Frohlinde Architekten, un gruppo di giovani architetti fondato negli anni Novanta.
L’intero complesso industriale è flessibile e concepito come
una soluzione dinamica, aperto a eventuali mutazioni organizzative dell’azienda. Per distinguersi in un panorama
internazionale come modello di costruzione a bassa energia, ha puntato su un mix di materiali tradizionali, come legno, vetro e acciaio e su una innovativa silhouette della copertura verde in leggera discesa, contornata da un impianto di pannelli fotovoltaici da 210 kWp. L’intera struttura
emana una sensazione di armonia ed è un esempio eccellente di integrazione tra tecnologia e natura. Il tetto vegetalizzato, che copre l’area dell’amministrazione con terrazze
accessibili, è inframmezzato da cinque cortili che catturano
la luce naturale e rendono vibrante il volume. Anche l’interno non tradisce le premesse di “efficienza sostenibile” dell’azienda, ed è organizzato come un grande spazio continuo con cinque porte, che si chiudono solo in caso d’incendio, oculatamente celate dietro il perimetro del vano scale
che facilita il lavoro di squadra e le relazioni umane. Invitan-
72
Il tetto vegetalizzato
è dotato di terrazze
accessibili ed è
“bucato” da cinque
volumi che
permettono alla luce
di penetrare
profondamente
all’interno
dell’edificio.
ti i tre piani superiori, terrazzati con aree concepite come
open space divise da volumi centrali a tutta altezza, che
contengono cucine high-tech, spogliatoi, centraline elettriche e sale d’attesa. L’edificio amministrativo contiene 360
postazioni di lavoro, numerose aree per incontri formali e
informali e celle che permettono un lavoro più concentrato, discussioni e telefonate private. Il complesso si basa sul
concetto di struttura a guscio ed è centrato sulle persone in
relazione allo spazio per creare condizioni di lavoro ottimali
e contenere i costi del consumo energetico. Per l’involucro
esterno sono stati adottati materiali resistenti e di qualità,
mentre all’interno, per mantenere lo spazio più flessibile e
funzionale, sono stati evitati gli accessori superflui. Tra gli
obiettivi raggiunti dalla Solon c’è la riduzione di consumo
energetico e delle emissioni di CO2 a circa un quarto di
quanto necessitano gli edifici per uffici tradizionali. La facciata è composta da un telaio prefabbricato ed è integrata
con un sistema esterno di frangisole costituito da finestre a
triplo vetro isolante, con collettori di calore ed elementi fonoassorbenti. Le tubature per l’acqua sono incassate nei
soffitti di cemento e forniscono riscaldamento e raffreddamento a basso consumo. L’acqua piovana viene raccolta in
serbatoi sotterranei e viene utilizzata per le opere di pulizia
e per irrigare i giardini. I cortili, sistemati come spazi verdi,
sono l’anima dell’azienda: un’autentica miniera di luce naturale che bilancia l’assorbimento di calore in estate. Un sistema fotovoltaico integrato alla copertura fornisce l’elettricità necessaria, tenuta costantemente sotto controllo da
macchinari computerizzati che rilevano i consumi. I dipendenti, responsabili nella condivisione dell’impegno di contenere al massimo il consumo energetico, possono controllare in ogni istante la ventilazione, il riscaldamento e l’illuminazione tramite pannelli computerizzati. Evidenzia il
concept di flessibilità dinamica e progressiva dell’azienda
anche l’impiego delle vetrate interne utilizzate per la divisione degli ambienti. Il vetro, come indice di trasparenza e
leggerezza, e gli arredi degli uffici, per la maggior parte
bianchi, con alcuni inserti di colore nelle aree di relax, trasformano l’ambiente di lavoro in un piacevole luogo dove
progettare il futuro dal cuore verde. Tale sensibilità verde è
il mood vincente dei paesi nordici, precursori di questa nuova alfabetizzazione ecologista che sta caratterizzando l’architettura contemporanea non per moda, ma per risolvere
un’emergenza planetaria.
E
ver since the 1990s, after the wall was knocked
down, Berlin has been the capital of culture and architectural, town-planning and social innovation,
constantly investing in everything new. It attracts young
people from all over the world, thanks to its cheap rents
for housing, well-paid jobs and social security system. It also provides great opportunities for talented new professionals in any sector, as it sets about defining its new cosmopolitan identity.
Solon SE, a well-known company operating in the renewable energy sources sector, whose corporate policy is based
around sustainable production, energy-saving and the use
of alternative resources, pays ample testimony to the liveliness and high-tech design ambitions of the city of Berlin.
Situated south-east of downtown Berlin, close to Adlershof
Science Park, Solon’s head offices are as brightly lit as the
sun, easy-to-use and “ecological operational”, starting with
what it actually produces: environmentally-friendly photovoltaic systems and units. The construction is composed of
three buildings: the first building, designed for offices, conveys the company’s corporate policy and encourages interaction between staff; the second serves administration purposes (8,000 square meters), while the third is used for production (21,000 square meters). They all look like “energetically correct” containers embodying German efficiency and
bearing the signature of Schulte-Frohlinde Architekten, a
team of young architects set up in the 1990s.
The entire industrial complex is flexible, highly dynamic and
open to any eventual organizational changes within the
company. To stand out on the international scene as a model of low-energy construction, the team focused on a mix of
traditional materials, like wood, glass and steel, and the innovative outline of its slightly downward-sloping green roof
surrounded by a system of 210 kWp photovoltaic panels.
The entire structure conveys a sense of harmony and is an
excellent example of how to combine technology and nature. The landscaped roof that covers the administration
area with accessible terraces, incorporates five courtyards
capturing natural light and making the entire structure vibrate. The interior also meets the company’s expectations in
terms of “sustainable efficiency” and is set out like one large
seamless space with five doors, which only close in case of
fire, cleverly concealed behind the perimeter of the stairwell
to encourage teamwork and human relations. The three
other levels, terraced with areas designed as open spaces divided up by full-height central structures, are extremely enticing and fitted with high-tech kitchens, locker rooms, electrical units and waiting rooms. The administration building
holds 360 workstations, lots of areas for holding both formal and informal meetings, and cells specially designed for
work requiring greater concentration, conversations and
private telephone calls. The complex is based on the concept of a shell-covered structure and focuses on people in
relation to space, so as to create optimum working conditions and keep down energy costs. Hardwearing, highquality materials have been used for the shell, while avoiding the temptation to introduce superfluous accessories on
the inside means the space is as flexible and functional as
possible. Among the targets that Solon has achieved it is
worth noting that energy consumption and CO2 emissions
have been reduced to about a quarter of that required by
conventional office buildings. The facade is composed of a
prefabricated frame and is integrated by an external system
of shutters composed of triple-glazing made up insulating
glass with heat collectors and sound-absorbing features.
The water pipes are fitted in the concrete ceilings and provide low-consumption heating and cooling. Rain water is
collected in underground tanks and used for cleaning operations and for watering the gardens. The courtyards, which
are set out like landscaped spaces, are the real core of the
company: an authentic goldmine of natural light balancing
out the heat absorbed in summer. A photovoltaic system incorporated in the roof supplies the electricity required, constantly monitored by computerized machines keeping track
of consumption. The staff, all responsible for keeping down
energy consumption, can control the ventilation, heating
and lighting at all times by means of computerized panels.
The company’s dynamic and progressive flexibility is also
highlighted by the use of internal glass panels for dividing
up the premises. The glass, as a sign of transparency and
lightness, and the office furnishing, mainly white with some
colored inserts in the relaxation areas, transform the working environment into a pleasant place with a heart of
“green” for planning the future. Ecological awareness has
always been the trump card in Nordic countries, the real
frontrunners in this new kind of eco-literacy currently characterizing modern-day architecture, not as a fleeting trend
but to help solve the current planetary emergency.
73
The landscaped roof
is provided with
accessible terraces
and it is “pierced”
by five volumes that
allow daylight to
penetrate deeply
inside the building.
Planimetria generale
e, in basso,
sezione con schema
del clima interno.
General layout and,
bottom, section
showing diagram of
the interior climate.
74
1. Tetto fotovoltaico perimetrale
che funge anche come frangisole
Perimeter photovoltaic roof
acting as sunscreen
2. Volumi per la luce e la
ventilazione naturale
Natural light and ventilation
structures
3. Giardino di lavanda
Lavender Garden
4. Impianto sviluppo moduli FV
FV units system
5. Area consegne
Delivery area
6. Parcheggi/Parkings
7. Atrio vetrato/Glass lobby
8. Cortili/Courtyards
9. Terrazze/Terraces
10. Tetto vegetalizzato
Landscaped roof
11. Doppio ponte pedonale
Double footbridge
12. Bacino d’acqua perimetrale con
raccolta acque piovane per
raffreddamento
Perimeter water basin
for collecting rainwater for
cooling purposes
13. Strada pedonale aperta per
i visitatori con collegamento
alla stazione Adlershof
Pedestrian road open to
visitors with a link to Adlershof
Station
14. Accumulatore di energia a
moduli solari e batterie con
prese di carica per 10 scooter
elettrici
Energy collectors with
solar units and batteries with
charger plugs for 10 scooters
15. Raccoglitori acqua piovana
Rain water collectors
32_89_Project_26OK:28-91 Project 12 IT/ING ++ 04/01/12 14:40 Pagina 75
Sopra, piante
del primo e del
secondo piano;
a sinistra, particolare
del tamponamento
esterno e pianta del
piano terra.
Sotto, schizzo e
sezioni sull’edificio
amministrativo.
Above, plans of the
first and second
floors; left, details
of the external
curtain wall and plan
of the ground floor.
Below, sketch and
sections of the
administration
building.
75
A destra, vista della
facciata esterna
protetta dalla
copertura a pannelli
solari.
Sotto e in basso,
viste della terrazza e
dei cortili che
contribuiscono alla
regolazione del clima
e dell’illuminazione
interni.
Nella pagina a
fianco, particolare
della facciata e della
copertura ondulata
che perimetra il tetto
vegetalizzato.
76
Right, view of the
outside facade
protected by a roof
fitted with solar
panels.
Below and bottom,
views of the terrace
and courtyards for
controlling the
interior lighting and
climate.
Opposite page,
detail of the facade
and undulating
covering running
around the
edge of the
landscaped roof.
77
78
79
Nella pagina a
fianco, l’atrio a tutta
altezza e uno dei
cortili interni.
Sopra, viste degli
spazi comuni interni
caratterizzati da una
struttura aperta che
favorisce la
comunicazione tra gli
impiegati e facilita il
lavoro di squadra.
Le partizioni vetrate
interne consentono
una considerevole
flessibilità nella
divisione degli
ambienti.
Dei volumi-isola
centrali dividono
gli spazi e
contengono i servizi.
La grande
trasparenza
dell’edificio è
enfatizzata dall’uso
di arredi e finiture
prevalentemente
bianchi che
convogliano
l’impressione di
un’atmosfera
favorevole al lavoro
creativo ed efficiente.
Opposite page,
full-height lobby and
one of the internal
courtyards.
Above, views of the
interiors featuring an
open layout
encouraging
interaction between
staff and facilitating
team work.
The internal glass
partitions allow
the work premises
to be divided up
with considerable
flexibility.
Central islandstructures divide up
the spaces and hold
the restrooms.
The building’s
great transparency
is emphasized
by the use
of mainly white
furniture and
finishing, which
create an
atmosphere
conducive to
creativity and
efficiency.
Macchina biotecnologica
A Biotechnological Machine
Pioltello, nuova sede 3M
Pioltello, new 3M headquarters
Progetto di MCA-Mario Cucinella Architects
Project by MCA-Mario Cucinella Architects
80
LAVORO WORK
Vista prospettica
della facciata di
ingresso della nuova
sede 3M a Pioltello
(MI). La facciata del
nuovo edificio è
lunga 105 metri e si
sviluppa in altezze
variabili dai due ai
cinque piani.
Perspective view of
the entrance facade
of the new 3M
headquarters in
Pioltello (Milan). The
facade of the new
building is 105-meter
long and it varies in
height between two
and five stories.
81
A
82
l confine tra Milano e Pioltello, fende lo spazio un
edificio che materializza il concept di qualità e innovazione e marca il territorio con una superficie
di 10.300 metri quadrati: è la nuova sede per uffici della
società 3M, inaugurata nel maggio 2010.
La 3M è un’azienda americana che commercializza una
vasta gamma di prodotti innovativi e tecnologici, tra i
molti immessi sul mercato europeo. Chi non ha mai usato una volta nella vita i noti nastri Scotch VHB (Very High
Bond) che sostituiscono viti, rivetti, saldature, colle liquide e altri metodi tradizionali di fissaggi permanenti? La
nuova sede si inserisce nel programma di Ecobuilding avviato nel 2008 da Pirelli RE, con l’obiettivo di costruire nel
rispetto dell’ambiente ed è considerato un modello di architettura sostenibile. Organizzato in spazi chiusi e open
space che prevedono tutte le possibilità di utilizzo in relazione alle reali necessità dei dipendenti, il complesso è
dotato di due corti interne che catturano la luce naturale.
L’edificio rientra nel masterplan dell’area Malaspina Business Park (ex Bica), accanto al Bosco della Besozza,
progetto riconosciuto dal Kyoto Club come modello di
eccellenza per la riduzione del consumo e dell’impatto
ambientale.
La 3M è attiva in Italia da oltre 50 anni e ha realizzato
prodotti diversificati, caratterizzati da un mood tecnologico e di sperimentazione del nuovo, con una capillare
distribuzione di attività commerciali e due unità produttive. Ha firmato il progetto lo studio bolognese MCA-Mario Cucinella Architects che, nel rispetto delle esigenze
della committenza e della salvaguardia delle aree verdi
circostanti, in collaborazione con il Comune di Pioltello,
ha fortemente caratterizzato la nuova struttura, impiegando soluzioni ad alto tasso di sostenibilità ambientale.
La struttura lineare, geometrica, si snoda lungo un asse
ortogonale, con una lunghezza di 105 metri per 21 di
larghezza, e un’altezza variabile tra i due e i cinque piani,
più uno interrato destinato a parcheggi e magazzini. Le
facciate nord, est e ovest sono alleggerite da vetri e altri
espedienti tecnico-costruttivi, come l’impianto di condizionamento a travi fredde unito al flusso di aria primaria
nel controsoffitto, capace di fornire un microclima interno vigilato e silenzioso. Tutto in questo edificio è improntato a trasparenza, luminosità, efficace controllo ambientale, attenzione alla disposizione dello spazio interno per favorire lavoro e relazioni tra dipendenti e clienti,
confort psicofisico e acustico, garantito dall’utilizzo di
moquette e materiali fonoassorbenti, gestione computerizzata (BMS) degli impianti di condizionamento e di illuminazione. Se si aggiungono i sistemi di ombreggiatura,
i percorsi pedonali, gli specchi d’acqua e i viali alberati, e
l’applicazione intelligente di prodotti innovativi che la
3M propone sul mercato, non ci vuol molto a capire che
ci troviamo di fronte a una struttura pensata come una
“macchina biotecnologica”, in quanto dotata di dispositivi che alimentano la sostenibilità e recuperano il calore
con lo scopo di contenere il consumo di energia.
L’interno e l’esterno si presentano con un design essenziale e ammiccante, il fronte sud è disegnato con una serie di terrazze che offrono spazi ombreggiati concepiti
come tamponi ambientali e di protezione dagli sbalzi climatici in estate e in inverno. Pannelli fotovoltaici sono
stati integrati al tetto e alle facciate con il duplice scopo
di produrre energia e conferire alla struttura sostenibile
un appeal di comunicazione della filosofia aziendale.
Ambienti accoglienti, vetrati, dinamici, l’arredo funzionale, ma soprattutto la luce come protagonista, creano
un habitat ideale dove pianificare il futuro.
A
building embodying the concept of quality and innovation cuts through the space on the boundary
between Milan and Pioltello, spreading its 10,300 m²
of surface area across the land: this is the new head offices
of 3M that opened in May 2010.
3M is an American company marketing a wide range of innovative technological products in competition with so
many others on the European market. Who has not used (at
least once in their life) the well-known Scotch VHB (Very
High Bond) tape used to replace screws, rivets, welds, liquid
glues and other traditional means of attaching things permanently? The new headquarters is part of an Ecobuilding
program set under way by Pirelli RE in 2008 for the purpose
of building in an environmentally friendly manner. It is now
considered to be a model of sustainable architecture organized around closed and open spaces catering for every
possible means of using space in accordance with the real
needs of staff, including two internal courtyards designed
to capture natural light. The building is part of a master plan
for the Malaspina Business Park (formerly Bica) area alongside Besozza Wood, a project which the Kyoto Club has
recognized as a model of excellence for reducing consumption and environmental impact.
3M has been operating in Italy for over 50 years, manufacturing a wide range of products of a technological nature
based on experimentation into everything new and drawing on a widespread network of commercial operations and
two manufacturing units. The project was actually designed
by Mario Cucinella Architects (MCA) based in Bologna,
which, working with Pioltello Town Council to meet the
clients’ needs and safeguard surrounding areas of greenery,
has created a highly distinctive new construction using features with a notable degree of environmental sustainability.
This linear, geometric structure winds along an orthogonal
axis over a length of 105 meters and a width of 21 meters.
The height varies between two and five floors, plus an underground level serving parking and storage purposes. The
north, east and west facades are lightened up by glass windows and other technical-construction expedients, such as
the air-conditioning system constructed out of cold beams
combined with the primary airflow incorporated in a double
ceiling to create a carefully monitored and silent internal microclimate. Everything in this building is geared to transparency, luminosity, efficient environmental control, careful attention to the layout of interior space to facilitate
work and relations between staff and customers, psychophysical and acoustic well-being thanks to the use of
sound-absorbing materials and carpets, and the computerized management (BMS) of the air-conditioning and lighting systems. Add to this the shading systems, pedestrian
paths, pools of water and tree-lined avenues, as well as the
intelligent use of innovative products marketed by 3M, and
it is easy to see that we are dealing with a construction designed to be a “biotechnological machine” equipped with
mechanisms that enhance sustainability and recover heat in
order to keep down energy consumption.
The interior and exterior are designed along simple but
clever lines. The south front is furbished with a set of balconies providing sheltered spaces designed like environmental blocks for handling sudden changes in climatic conditions in summer and winter. Photovoltaic panels are incorporated in the roof and facades for the twin purpose of generating electricity and enabling this sustainable structure to
convey the firm’s corporate policy. The dynamic, glass
premises are warm and welcoming and the furniture is
highly functional, but most significantly of all light plays a
key part in creating an ideal habitat for planning the future.
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32_89_Project_26OK:28-91 Project 12 IT/ING ++ 04/01/12 14:40 Pagina 84
Particolare
della sezione
sulla facciata nord.
Detail of the section
of the north facade.
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Particolare
della sezione
sulla facciata est.
Detail of the section
of the east facade.
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Nella pagina a fianco,
dal basso, planimetria
generale, pianta del
piano terra, sezione
longitudinale e
schema delle
strategie climatiche in
inverno.
In questa pagina,
particolari dell’edificio.
Per la sua realizzazione
sono stati utilizzati
molti prodotti 3M del
settore Construction:
dal settore civile
(isolamento acustico,
rivestimenti, pavimenti,
finiture, rendimento
energetico), agli
impianti (antincendio,
domotica,
distribuzione elettrica,
dati, telefonia,
condizionamento,
sicurezza) alle aree
esterne (segnaletica,
illuminazione ecc.).
Nelle pagine
successive, l’edificio
completato e viste
delle diverse tipologie
degli spazi destinati
agli uffici.
Opposite page, from
the bottom up, site
plan, ground floor
plan, longitudinal
section, and diagram
of winter climatic
strategies.
In this page, details of
the building which has
been realized using
several 3M’s products
of the Construction
department: from the
civil sector (sound
insulation, cladding,
floors, finishes, energy
efficiency) to the
systems (fire-fighting,
domotics,
electrical supply, data
processing,
telephone system,
air-conditioning,
safety) and outside
areas (signposting,
lighting etc.).
Following pages, the
completed building
and views of the
various typologies of
office spaces.
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