32_89_Project_26:28-91 Project 12 IT/ING ++
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Projects 32 La rivoluzione informatica e l’inarrestabile evoluzione tecnologica che hanno accompagnato le conquiste scientifiche della nostra epoca hanno profondamente modificato le strategie produttive e l’organizzazione del mondo del lavoro. All’affermarsi di queste trasformazioni fa riscontro una nuova visione di spazi e di architettura che traduce nuove esigenze e nuove funzioni in un registro linguistico contemporaneo in linea con le politiche di sostenibilità, qualità e confort dei luoghi di lavoro. The computer revolution and unstoppable technological progress that have accompanied the scientific conquests of our age have profoundly altered production strategies and the organization of labor. As these transformations have taken hold, a new vision of spaces and architecture has emerged, translating new demands and new functions into a contemporary linguistic register geared to a sustainable vision for high-quality and comfortable workplaces. Interpretare nuovi mondi Interpreting New Worlds Maurizio Vogliazzo* S e ci si fa caso, i contributi storiografici, ormai ampi e numerosissimi, la critica di settore, e in generale il dibattito culturale, che nel loro insieme costituiscono lo sfondo, lo scenario di riferimento dell’architettura, sia di quella costruita sia di quella che rimarrà per sempre allo stato di progetto, non dedicano e non hanno mai dedicato una speciale attenzione ai luoghi del lavoro. Prevale, come sempre, un approccio tipologico, derivato verosimilmente dalle codificazioni messe a punto dalla manualistica di derivazione razionalista della prima metà del secolo scorso, che ha sempre prediletto le classificazioni derivate dalle diverse destinazioni d’uso, fra le quali è quella residenziale a far da padrona, mentre tutto il resto è ridotto in generale a sottocapitoli. Edifici per l’istruzione, per l’industria, per gli uffici, per la salute, per lo sport, per il divertimento, per il culto, e così via: a pensarci bene, un modo davvero ben curioso di codificare le attività umane, che vivaddio sono ben più ricche, complesse, contraddittorie, variegate, trasversali. Questa sorta di imprinting per la verità insopportabilmente riduttivo è duro a morire; non solo, ma è anche profondamente connaturato con il pensiero e le tecniche urbanistiche e pianificatorie che in parallelo e con l’andare del tempo si sono vieppiù consolidate, anche per una loro naturale e sempre maggiore prossimità con le procedure e le pratiche politico-amministrative (tant’è che oggi ormai amano definirsi tout court policies, per confessata simpatia verso un pret-àporter managerial-anglofilo considerato up-to-date e invece in realtà purtroppo di miserevole e anche dannoso accatto). Se nei tanti libri capita di imbattersi ogni tanto in un episodio architettonico inequivocabilmente destinato al lavoro, lo si deve soltanto al progettista che ne è stato l’autore: la berlinese AEG Turbinenfabrik perché di Peter Behrens; le industrie chimiche di Poznan’, perché di Hans Poelzig; la FagusWerk perché di Walter Gropius; il nostrano Lingotto del meno noto Giacomo Matté Trucco (perché aveva tanto colpito Le Corbusier); le fabbriche Olivetti a Ivrea perché di Figini e Pollini e altre più lontane (perché di Zanuso); e così via (anche se poi della cartiera Burgo di Mantova di Pierluigi Nervi e Gino Covre non ne parla mai nessuno). Per venire a conoscenza di manufatti fondamentali, determinanti per il modo di produrre, occorre inoltrarsi nel mondo meno facilmente accessibile degli studi monografici, vedi il caso delle costruzioni di Albert Kahn; insomma verso ricerche già raffinate, che poco riescono a incidere sulla conoscenza media (e spesso mediocre) del nostro milieu. Fin qui, come si vede, si è rimasti nel mondo di un lavoro che esiste sempre meno (nei paesi che più facilmente capita di frequentare): quello dei blue collars, quello cioè popolato dagli stormi di operai in tuta, tre turni nelle ventiquattro ore, di cui un ipotetico visitatore extraterrestre non troverebbe traccia nelle odierne megalopoli. Se, volendo rimanere per comodità e per il momento fedeli alla distinzione certo ormai obsoleta di Wright Mills, si sposta l’attenzione sull’altro mondo, quello dei white collars, degli “impiegati” (come suonano remote ormai certe definizioni), la situazione non appare per nulla diversa. Del Flatiron Building se ne parla nei libri, un po’ perché è di Louis Sullivan, un po’ perché getta in qualche modo le fondamenta di quelle costruzioni che si chiameranno grattacieli (per inciso: più di cent’anni dopo una città come Milano si tormenta ancora quotidianamente sull’opportunità o meno di farne, dimenticandosi purtroppo di Flaiano che diceva “New York ha molti grattacieli Pirelli, alcuni più alti, altri meno belli”, centrando così perfettamente il vero problema: non abbiamo, al momento, altri Gio Ponti). Il Seagram Building viene sempre celebrato perché è di Mies van der Rohe, anche se è molto meno bello e interessante della Lever House di Gordon Bunshaft per SOM. Alla torre Pirelli si accenna appena perché l’autore dalla critica paludata viene giudicato un professionista nel complesso eclettico e low profile (che terribile sciocchezza). Per rimanere in casa, il primo palazzo uffici Eni alle porte di Milano viene con attenzione ignorato, dimenticando le parole di Franco Fortini, e forse anche perché di LAVORO WORK Nizzoli e Oliveri; mentre al successivo Quinto Palazzo, decisamente già global, si dedica invece spazio, perché è dello studio Gabetti e Isola. Questo torpore della storiografia e della critica nei confronti degli spazi del lavoro, spostando la maggior parte dell’attenzione sui luoghi della residenza da un lato e su quelli di una socialità ormai per sempre perduta e invece pervicacemente e invano riproposta dall’altro (gli spazi pubblici, le piazze, i luoghi di incontro e di socializzazione, e così via, di nuovo ricadendo di fatto nelle obsolete categorie tipologiche di cui si parlava all’inizio), ha contribuito dopo tutto non così poco, e paradossalmente avendo intenzioni esattamente opposte, alla smisurata crescita di conurbazioni senza volto, perfettamente corrispondenti alla condizione desolata di quella folla solitaria descritta da David Riesman. Sotto questo profilo, le successive e innumerevoli coniugazioni di schemi interpretativi sovente divaganti, derivati per lo più dai ragionamenti fascinosi di Rem Koolhaas attorno alla cosiddetta città generica, non hanno fatto altro che appaesare senza colpo ferire il compimento di questa enorme trasformazione. Forse non poteva essere altrimenti. Sta di fatto che le fasi successive e inarrestabili della rivoluzione digitale, di cui è difficile oggi intravvedere la fine, hanno completamente trasformato il lavoro, i suoi modi, le sue forme. E di tutto ciò non si trova quasi riscontro, una riflessione consapevole anche se non compiuta, da parte dell’architettura. La progressiva scomparsa del lavoro operaio tradizionalmente inteso, e la sua frantumazione territoriale, hanno senza far tanti complimenti, e senza che nessuno se l’aspettasse (questa è la cosa davvero sorprendente), gettato in prima fila sul palcoscenico enormi porzioni di città che prima facevano soltanto parte del coro, anzi erano soltanto un rumore di fondo. Che fare di questi luoghi del lavoro, a lungo scandagliati da varie parti, dalla sociologia all’ergonomia, e tuttavia mai o quasi sotto il profilo della loro consistenza fisica? Abbattere alla disperata ricerca di realizzare rendite di posizione sovente inaspettate? In fasi di stagnazioni demografiche e ora economiche operazioni di questo genere presentano rischi oscuri, sui quali talvolta si aprono improvvisi e preoccupanti squarci. Mantenere cercando nuove destinazioni? Per questo occorrono progetti intelligenti e disponibilità di risorse raramente purtroppo messe a disposizione. Museificare, vista l’apparente attuale popolarità di queste operazioni? Stucchevole, spesso inutile e anche molto triste: come dire il futuro dietro le spalle. Impiantare parchi, parchetti e vegetazione varia, viste le epidermiche ma strombazzate velleità ambientalistiche del momento? Al di fuori di un progetto complessivo, pensato, casualmente, dove capita capita? Ma via, queste cose bisogna saperle fare e, Barcellona degli anni d’oro a parte, molti esempi non vengono proprio in mente. Simmetricamente, il lavoro non manuale, anche se in misura non così plateale, è profondamente mutato; e si è modificato, e soprattutto ridotto, lo spazio necessario. Al di là del fatto che l’utopia di un totale home working non si è realizzata, né mai si realizzerà, la rete ha cambiato, e sempre più sta cambiando, l’organizzazione del lavoro, e di conseguenza i relativi spazi fisici, e anche le scansioni temporali. Nel frattempo invece, in almeno vent’anni di voracità immobiliare cieca, si sono costruiti milioni e milioni di metri cubi, non importa dove, ma generalmente di qualità immonda. Pavimenti flottanti di piastrellone tristi, controsoffitti deprimenti, divisori di cartongesso e truciolati vari, batterie di plafoniere di tubi al neon ultrawhite, fan coil orribili, protesi di condizionamento rumorose e sgocciolanti, eccetera. Cappotti messi su alla buona. Serramenti dozzinali. Insomma quanto di peggio, e di meno raffinato, specie se messi in relazione con gli empiti di sostenibilità continuamente sbandierati. Per di più, di difficilissima, e costosa, eventuale riconversione per altre destinazioni d’uso. Urge, come si vede, una riflessione profonda, attenta, aggiornata, intelligente, sul rapporto fra lavoro e suo spazio. Fra lavori e loro spazi. Fra spazi del lavoro e architettura. Fra tutto ciò e un mondo difficile, in continuo cambiamento. Non dimenticando mai che, come diceva Cesare Pavese, lavorare stanca. 33 * Maurizio Vogliazzo, architetto, è professore ordinario di Architettura del Paesaggio e delle Infrastrutture Territoriali presso il Politecnico di Milano, dove presiede il Corso di Laurea Magistrale in Architettura. È titolare di “Storia e Teoria del Design Italiano” presso lo University College di Londra (UCL) e insegna Architettura del Paesaggio presso lo IULM di Milano. Visiting professor a Barcellona, Lisbona, Matosinhos, Parigi, Brisbane, è direttore di ricerca per CNR, MPI, MIUR, UE ed enti pubblici e privati. Coordinatore ICP Erasmus dal 1987, dirige ALAD Laboratories (Architecture& LandAmbientDesign), area di ricerca del Politecnico di Milano che ha vinto come migliore scuola di architettura del paesaggio la V Biennale europea di Barcellona. Premiato in concorsi nazionali e internazionali, è autore di opere realizzate e pubblicate. Espone a New York, Berlino, Parigi, Milano, Venezia e altrove. È membro di giurie nazionali e internazionali ed è autore di articoli, saggi e libri, apparsi in Italia e all’estero. Attualmente è vicedirettore de l’Arca. 34 U pon closer scrutiny, it can be seen that, despite plenty of sectarian critique and general cultural debate surrounding the world of architecture, as regards both built works and those destined to remain forever at the drawing board, special attention is never (and has never been) paid to work places. As always, a typological approach is inevitably adopted, most likely deriving from the codes set in place in rationalist books and manuals dating back to the early 20th century that always favored classifications based on purposes and usages, pride of place going to residential buildings and housing, while all the rest is genuinely relegated to subchapters. Buildings for education, industry, offices, health, sports, entertainment and worship etc.: if you think about it more carefully, this is a truly strange way of coding human enterprises, which, thank goodness, are always much richer, more complex, contradictory, varied and all-encompassing. This kind of imprinting, to tell the truth quite unbearably reductive, refuses to fade away; moreover, it is also profoundly integrated with urbanistic/ town-planning methods and lines of thinking that have gradually taken hold down the years, partly due to their natural and increasing similarity to political-administrative procedures and practices (so much so that they are generally referred to simply as policies nowadays, owing to their openly-avowed fondness of a sort of ready-made Anglophile managerial approach, considered to be highly up-to-date but actually rather second-hand and potentially harmful). If you happen to occasionally come across something unmistakably devoted to the working world in all the various books on architecture, then it is probably only there because of the person who designed it: the AEG Turbinenfabrik because it is the work of Peter Behrens; the Poznan’ chemical plants, because they were designed by Hans Poelzig; the FagusWerk because it bears Walter Gropius’s signature; the Lingotto plant here in Italy designed by the less famous Giacomo Matté Trucco (because Le Corbusier was so taken with it); the Olivetti factories in Ivrea because they were the work of Figini and Pollini and a few more (because they were by Zanuso); and so forth (although there is never any mention of the Burgo paper mill in Mantova designed by Pierluigi Nervi and Gino Covre). You need to venture into the less easily accessible world of monographic studies to find out about key constructions in the manufacturing industry, such as Albert Kahn’s works; in other words, more refined studies that make very little impact on the (often mediocre) general understanding of these issues in our milieu. So far, as you can see, we have confined ourselves to the realms of a kind of labor that is increasingly hard to find (in those countries we are most likely to visit): blue-collar work or, in other words, all those laborers dressed in overalls working on those eighthour shifts into which the working day used to be divided (three shifts in total), something of which a visitor from outer space would find no trace in today’s big cities. If, momentarily keeping for convenience’s sake to the now obsolete distinction made by Wright Mills, we were to shift our attention to that of the world of white-collar workers or “employees” (how strange and distant certain definitions now sound), the situation does not seem to be any different at all. Books talk about the Flatiron Building, partly because it was designed by Louis Sullivan, partly because, in some sense, it lays the foundations for those constructions destined to be called skyscrapers (note well: over one hundred years later, a city like Milan still anguishes every day over whether it might be a good idea to build them, unfortunately forgetting what Flaiano once said: “New York has lots of Pirelli skyscrapers, some taller, others less beautiful”, really hitting the nail on the head: the problem is that, at the moment at least, there are no Pontis around). The Seagram Building is always celebrated because it was designed by Mies van der Rohe, even though it is a lot less beautiful and interesting than Lever House designed by Gordon Bunshaft for SOM. The Pirelli Tower is just briefly mentioned because its architect is judged, overall, to be an eclectic, lowprofile professional (how ridiculous) by the most acclaimed critics. Keeping to Italy, the first Eni Office Building just outside Milan has been studiously ignored, forgetting what Franco Fortini once said, and perhaps also because it is the work of Nizzoli and Oliveri; on the other hand the subsequent Fifth Building, decidedly already a global one is given plenty of space, because it was designed by the Gabetti and Isola firm. The rather lackadaisical approach of historiography and criticism to work spaces, shifting greater attention to housing on one hand and to certain aspects of social life which have been lost forever despite desperate attempts to revive them, inevitably in vain, on the other (public spaces, squares, places for congregating and socializing etc., once again lapsing back into those obsolete typological categories referred to earlier), has contributed in a notable way (even though, ironically, its intentions were quite the opposite) to the boom in faceless conurbations, corresponding perfectly to the desolation afflicting those solitary crowds described by David Riesman. In this perspective, all the numerous subsequent conjugations of deviant interpretive schemes, mainly deriving from Rem Koolhaas’s intriguing thoughts on the so-called generic city, have merely enabled this great transformation to take place without coming up against the slightest resistance. Perhaps it could not be otherwise. The fact is that the various subsequent and unstoppable phases in the digital revolution, of which no end currently appears to be in sight, have completely changed the working world, its procedures and forms. And there is almost no mention (conscientious if incomplete studies and analyses) of all this in the realm of architecture. The gradual disappearance of labor as it is traditionally understood, and also its territorial fragmentation, have, without so much as an ado and without anybody realizing it (this is the most surprising thing of all) brought huge portions of cityscape to the fore, which, until now, were just languishing in the background as little more than white noise. So what can be done with these work places, studied and probed for so long by various fronts (from sociology to ergonomics) and yet never, or almost never, in terms of their physical consistency? Knock them down in a desperate quest to gain some kind of unexpected upper hand? During periods of demographic and now economic stagnation, operations like this can be extremely risky, often bringing about unexpected and worrying scenarios. Keep them and try and adapt them to new purposes? This would call for intelligent projects and the kind of resources that usually are not available. Turn them into museums, seeing as this kind of enterprise is currently very popular? Intriguing, often useless and also extremely sad: putting the future behind us, it might be said. Create parks, gardens and all different kinds of landscaping, bearing in mind the pompous and highly widespread environmentalist tendency currently in vogue? Without devising any overall project, randomly set up anywhere available? Oh come on, you need to know how to do these things and, leaving aside Barcelona’s halcyon days, not many examples come to mind. Likewise, non-manual labor has profoundly changed too, although not quite so blatantly; the space it requires has also changed and, above all, been reduced. Apart from the fact that the utopian dream of everybody working from home has never come about and never will, the Web has changed (and will continue to do so more and more) how work is organized and, consequently, the physical spaces and amount of time it involves. Meanwhile, on the other hand, millions and millions of cubic meters of real estate has been constructed over at least twenty years of voracious property development, building anywhere and, generally speaking, constructing works of the very scantiest quality. Floating floors covered with big sad tiles, depressing double-ceilings, partitions made of plaster and other kinds of chipboard, rows of tubes of ultrawhite neon lighting, horrible fan coils, noisy and constantly dripping air-conditioning prostheses etc. Covers thrown on willy-nilly. Shoddy fittings and fixtures. In a nutshell, the worst and least refined of everything, particularly if compared to all the talk of sustainability and everything it is supposed to entail. Moreover, all this is extremely hard and expensive to reconvert to other usages if required. As we can see, we need to think very carefully, thoroughly and intelligently about the way work is related to space. The relations between types of work and spaces. Between work spaces and architecture. Between all that and this problematic and constantly changing world in which we live. Without ever forgetting that, as Cesare Pavese used to say, work is tiring. 35 * The architect Maurizio Vogliazzo is a Full Professor of Landscape Architecture and Territorial Infrastructures at Milan Polytechnic, where he is also Head of the Postgraduate Course in Architecture. He teaches “History and Theory of Italian Design” at University College in London (UCL) and Landscape Architecture at the IULM in Milan. He is a Visiting Professor in Barcelona, Lisbon, Matosinhos, Paris and Brisbane, and Head of Research for the CNR, MPI, MIUR, EU and other public and private associations. He has been the ICP Erasmus Coordinator since 1987 and runs the ALAD Laboratories (Architecture&Land AmbientDesign), a research department at Milan Polytechnic, which won the 5th European Biennial in Barcelona as the best school of Landscape Architecture. He has won both national and international competitions and has built and written numerous works. His work has been exhibited in New York, Berlin, Paris, Milan, Venice and elsewhere. He is a member of national and international panels of judges and the author of articles, essays and books published in Italy and abroad. He is currently the Assistant Editor of l’Arca. Ortogonalità metalliche Metal Orthogonalities Le Cellier-sur-Loire, fabbrica Aplix Le Cellier-sur-Loire, Aplix factory Progetto di Dominique Perrault Project by Dominique Perrault 36 LAVORO WORK La facciata della fabbrica Aplix, produttrice di sistemi autoadesivi in materiale plastico e tessuto, si apre lungo la strada RN23 a Le Cellier-sur-Loire e, grazie ai pannelli di acciaio corrugato riflettente che la rivestono, amplifica la luce e il paesaggio, mettendo l’impianto industriale in stretto rapporto con la natura circostante. The facade of the Aplix factory, which manufactures self-adhesive systems made of plastic and fabric, stands along RN23 Highway in Le Cellier-sur-Loire and, thanks to the reflective corrugated steel panels covering it, amplifies the light and landscape, bringing the industrial plant into close contact with nature. 37 32_89_Project_26:28-91 Project 12 IT/ING ++ 20/12/11 21:59 Pagina 38 Lungo la facciata nord, opposta a quella principale, si trovano tutti gli accessi principali, sia per il personale e i visitatori sia per il carico/scarico dei materiali, i parcheggi e le aree di manovra per gli automezzi pesanti. 38 All the main entrances, both for staff and visitors and also loading/unloading materials, and the car parks and maneuvering areas for heavy goods vehicles are located along the north facade opposite the main facade. M inimalismo, monumentalismo, astrazione geometrica, linearità, rigore, queste sono le caratteristiche delle architetture concettuali di Dominique Perrault, vincitore del Gran Premio Nazionale di Architettura del 1993, noto anche per la realizzazione della Très Grande Bibliothèque di Parigi. L’architetto “essenzialista” non concepisce l’architettura solo come un elemento formale, che si inserisce in uno spazio, ma plasma le attitudini, le funzioni, i contenuti delle strutture che devono dialogare con l’ambiente circostante. La fabbrica Aplix a Le Cellier-sur-Loire (Francia) realizzata tra il 1997 e il 2000 si presenta come un monolite ortogonale paragonabile alle opere concettuali di Sol LeWitt, completamente rivestito di scaglie metalliche lucide e costruito ai bordi della strada RN23, in un territorio pianeggiante. La facciata principale della fabbrica è lunga 300 metri, confina con la strada nazionale e grazie alla superficie specchiante, modifica la percezione del luogo con l’obiettivo di riflettere la natura, gli alberi, il paesaggio naturale circostante. Questa fabbrica sembra concepita come una quinta scenografica che fa da sfondo alla strada, sulla quale si affaccia l’imponente edificio che occupa una superficie di 29.900 metri quadrati. Dominique Perrault si distingue per edifici ortogonali, rettilinei, lineari, rielaborando in chiave personale lo stile razionalista-umanistico di Le Corbusier; entrambi condividono l’astrazione totale e la purezza dei volumi e delle forme. Secondo Perrault, la specificità dell’edificio è lo strumento con il quale in determinati contesti si possono costruire non architetture, ma “luoghi” che si relazionano con l’ambiente. La fabbrica Aplix a Le Cellier è un sistema flessibile ed è soggetto a modifiche in base alle necessità della produzione e i suoi volumi potranno essere ampliati senza ricorrere nuovamente all’architetto. Tutte le innumerevoli possibilità di espansione e riconfigurazione sul lotto sono già previste dal sistema cellulare di base. L’intera superficie è stata centuriata in settori quadrati di 20x20 metri, in modo da costituire una griglia di motivi incrociati che giocano con il vuoto e con il pieno. La composizione della fabbrica è determinata dalla giustapposizione di questi moduli con 7 metri di altezza. Le funzioni produttive, direzionali e di stoccaggio sono organizzate sulla griglia intorno a pochi elementi fissi e corti alberate. Questo stratagemma ingloba alberi ad alto fusto e prati, che diventano elementi strutturanti della fabbrica stessa. La serialità del modulo 20x20 applicata sull’intera superficie del lotto richiama gli schemi suprematisti di Ivan Leonidov. Perrault in una intervista ha dichiarato: “L’architettura è interruzione perché crea sempre una scissione con lo spazio circostante. La sfida è mantenere un dialogo aperto con l’ambiente”, e tale premessa è stata rispettata nella fabbrica orizzontale di Aplix, essenziale, concepita senza finestre e interamente ricoperta di scaglie metalliche, che hanno la funzione di catalizzare la luce e riflettere il paesaggio rurale. Questa fabbrica s’impone come una barriera-schermo, in cui si riflette la natura, amplificando la bellezza paesaggistica del luogo. È un’architettura posta come segno di riflessione sulla necessità di armonia tra l’uomo e l’industria. Infatti, questo monolite ortogonale autoreferenziale è un rivelatore delle potenzialità di risorse energetiche prodotte dall’uomo nel rispetto dell’ambiente, all’interno della fabbrica. La struttura protegge un sistema di produzione che corre lungo una strada interna che consente la circolazione di carrelli elevatori e l’intersezione di materie prime e prodotti finiti ed è progettata per adattarsi rapidamente a un processo di trasformazione e di estensione. I settori riservati alla produzione formano due zone contigue: due atelier sono pensati per i prodotti destinati all’industria, tre aree progettate per i prodotti di grande consumo. M inimalism, monumentalism, geometric abstraction, linearity and precision are the distinctive traits of Dominique Perrault’s architectural works. Winner of the 1993 National Architecture Grand Prix and famous for designing the Très Grande Bibliothèque in Paris, this “essentialist” architect does not just consider a work of architecture as a stylistic feature incorporated in space but also attempts to shape the properties, functions and content of structures that are designed to interact with the surrounding environment. Aplix factory in Le Cellier-sur-Loire (France) built between 1997-2000 looks like an orthogonal monolith comparable to Sol LeWitt’s conceptual works. It is totally clad with shiny metal scales and constructed along the edge of RN23 Highway on flat land. The factory’s main facade is 300 meters long, borders on the highway and, thanks to its reflective surface, alters how the location is perceived, as it sets out to reflect nature, trees and the surrounding landscape. This factory appears to be designed like a stage curtain providing a backdrop to the road along which this imposing building stands, covering a total area of 29,900 square meters. Dominique Perrault is renowned for his orthogonal, rectilinear and linear buildings, reworking Le Corbusier’s rationalist-humanistic style in his own personal key; both share the idea of total abstraction and purity of structures and forms. According to Perrault, the specific traits and features of a building provide the means for constructing “places” interacting with the environment (and not just architecture) in certain locations. Aplix factory in Le Cellier is a flexible system and can be modified according to production needs. Its structures can also be extended without having to consult the architect again. The basic cellular system employed can cater for all the numerous possibilities in terms of expanding and re- shaping the building lot. The entire surface area has been cordoned into 20x20 meters sections, in order to construct a grid of criss-crossing patterns playing on solid structures and empty spaces. The factory is constructed around a juxtaposition of these units measuring 7 meters in height. The manufacturing, management and storage functions are set on the grid around a few fixed elements and tree-lined courtyards. This strategy encompasses tall trees and lawns, which all help structure the factory itself. The reiterated nature of the 20x20 base unit applied right across the entire surface of the building lot calls to mind Ivan Leonidov’s suprematist schemes. Perrault once stated in an interview that: “Architecture is interruption because it always creates a rupture with the surrounding space. The challenge is to maintain open interaction with the environment”, and this premise has been respected in the case of Aplix horizontal factory, which features a simple design with no windows that is entirely clad with a metal scales designed to attract light and reflect the setting. This factory looks like a barrierscreen, reflecting nature and enhancing the beauty of the local landscape. It is a work of architecture that actually reflects on the need to create harmony between man and industry. This selfreferential orthogonal monolith really reveals the true potential of energy resources generated by people working inside the factory with due respect for the environment. The structure protects a production system running along an internal road allowing the circulation of forklift trucks and handling of both raw materials and finished products. It is designed to rapidly adapt to a process of transformation and extension of the areas allocated for production forming two neighboring zones: two workshops designed to churn out products destined for industry, three areas designed to manufacture consumer products. Sezioni e pianta del piano terra. Sections and plan of the ground floor. 39 Particolare della facciata nord del volume che contiene gli uffici, caratterizzata da ampie porzioni vetrate che garantiscono condizioni ottimali di luminosità all’interno. 40 Detail of the north facade of the structure holding the offices, featuring wide sections of glass providing optimum lighting conditions inside. 41 Viste e particolari delle facciate in acciaio inossidabile corrugato e rifinito a specchio. Questo particolare rivestimento e il sistema di 42 pieghettatura delle lastre metalliche è stato progettato dallo stesso Dominique Perrault in collaborazione con la PMA, la ditta che lo ha prodotto. Views and details of the corrugated stainless steel facades with mirror finishes. This particular kind of covering and the system of folds in the metal sheets was designed by Dominique Perrault himself in partnership with PMA, the company that manufactured it. 43 Sperimentazioni razionaliste Rationalist Experimentations Francia, centro R&S Valéo e impianto Dito Sama France, Valéo R&D Center and Dito Sama industrial plant Progetti di Jean-Paul Hamonic Projects by Jean-Paul Hamonic 44 Viste del centro di Ricerca e Sviluppo Valéo ad Amiens. Il nuovo centro è stato realizzato utilizzando la struttura scatolare di un edificio industriale preesistente, che è stata svuotata e poi rivestita con una nuova pelle di acciaio e vetro. J ean-Paul Hamonic è un architetto francese high-tech ed “essenzialista”, famoso per il progetto del centro di realizzazione prototipi Renault, Le Proto, a Guyancourt, a circa 30 km da Parigi. In questa occasione ha dimostrato la sua capacità di applicare nuove e tecnologiche soluzioni a complessi impianti industriali, comprensive di diversi servizi e funzioni, senza tradire un certo impatto scenografico di rappresentanza e quella inclinazione al monumentalismo, sempre senza eccessi, insita nell’esprit degli architetti francesi da Jean Nouvel in poi. Entrambi gli architetti, cultori dell’acciaio e del vetro, condividono rigore, sobrietà, innovazione tecnologica e funzionalismo. Hamonic conferma il suo stile techno-minimal anche con il centro Ricerca & Sviluppo del gruppo Valéo ad Amiens e l’impianto industriale Dito Sama ad Aubusson. Il centro ricerca Valéo (gruppo industriale specializzato in innesti meccanici e trasmissioni per auto) si presenta co- me una struttura d’acciaio con volumetrie basse, che si sviluppa orizzontalmente e rompe il paesaggio mediante una costruzione impattante carica di energia. Questo parallelepipedo d’acciaio rispetta la tipologia della fabbrica tradizionale, ridisegnando lo skyline industriale dell’area boschiva occupata da altre unità di produzione. Il progetto ha previsto la conservazione di un ex edificio industriale che si ripresenta con un nuovo e più accattivante look, totalmente attualizzato nella forma e nei materiali per contenere un centro destinato alla ricerca avanzata e all’innovazione. Acciaio e vetro sono i materiali protagonisti dell’edificio sviluppato al piano terreno, che occupa 8.000 metri quadrati di terreno e ospita gli uffici e i laboratori di montaggio dei prototipi con annessa area e circuito di prova: il tutto distribuito lungo un asse centrale che attraversa l’impianto da est a ovest. Dell’ex edificio esistente è stata conservata la struttura principale, accorpata in una scatola rivestita con pannelli (5 metri di altez- LAVORO WORK za per 4 o 6 metri di lunghezza) in metallo liscio, tinta grigio chiaro, colore emblematico che rappresenta la funzione del centro ricerca di Amiens. La scelta del colore grigio non è casuale, oltre a essere più resistente alle intemperie, grazie al suo effetto specchiante facilita una migliore integrazione dell’edificio con l’ambiente circostante. L’angolo nord-ovest del complesso è attraversato da ampie finestre che incamerano luce naturale utile per illuminare le aree di lavoro. L’impianto industriale Dito-Sama (azienda del gruppo Electrolux che produce robot da cucina), a sud di Aubusson, presenta dimensioni più piccole, e occupa una superficie di 17.200 metri quadrati. La fabbrica, rivestita con una pelle metallica e caratterizzata da volumetrie lineari, s’ispira alla tipologia classica e funzionale con un impianto scalare animato dalla copertura a shed, che assicura la penetrazione della luce naturale in tutto l’edificio. Entrambi gli impianti, seppure progettati all’insegna del ri- gore e della sobrietà, mai banali nelle soluzioni d’innesto tra forme e materiali, tradiscono la nostalgia dell’archetipo insita nell’architettura razionalista, qui rinnovata dalla sperimentazione di nuovi materiali e incastri volumetrici, d’impatto scenografico. A distanza di anni, osservandole nel dettaglio queste fabbriche ci appaiono “datate” poiché lo spazio della modernità, meccanico e seriale nell’architettura contemporanea, ha ceduto il passo a un nuovo paradigma, contestualizzato, informatico, flessibile e sempre più in armonia con l’ambiente naturale. Tecnica e ingegneria sono concept modernisti, che per loro natura si esprimono in forme lineari e si presentano oggi con strutture funzionaliste e dinamiche, in cui i materiali di rivestimento evidenziano l’identità dell’edificio. Nel caso delle strutture di Amiens e di Aubusson, la pelle di metallo non soltanto richiama il loro contenuto di ricerca tecnologicamente avanzata, ma rappresenta un tentativo di fusione con il paesaggio circostante. Views of Valéo Research & Development Center in Amiens. The new center was built using the box-shaped structure of an old industrial building, which was hollowed out and then covered with a new skin of steel and glass. 45 46 L’ingresso al centro è costituito da una galleria cilindrica rivestita all’esterno con una lamiera di acciaio centinata e all’interno da pannelli di acciaio laccato ritmati dagli archi di sostegno di acciaio. Nella pagina a fianco, dall’alto, planimetria generale con la pianta del piano terra, pianta parziale dell’area centrale dell’edificio con le zone di controllo e le unità di prova e rispettiva sezione. The entrance to the center takes the form of a cylindricalshaped arcade covered on the outside with bent steel sheet and on the inside by lacquered steel panels combining with steel support arches. Opposite page, from top, site plan showing the ground floor plan, partial plan of the central area of the building holding the control areas and testing units and its section. J ean-Paul Hamonic is a French high-tech, “essentialist” architect famous for designing the Le Proto Center in Guyancourt, about 30 km from Paris, where Renault prototypes are made. In this project he showed his expertise at applying new technological solutions to industrial plants, encompassing various different utilities and functions, while still creating a certain representational visual impact and tendency towards monumentalism but never lapsing into excesses, a distinctive characteristic of French architects from Jean Nouvel onwards. Both these architects, who love to work with steel and glass, share the same sense of precision, sobriety, technological innovation and functionalism. Hamonic once again confirmed his techno-minimal style in the Valéo Group’s Research & Development Center in Amiens and the Dito Sama industrial plant in Aubusson. The Valéo Research Center (an industrial group specializing in mechanical parts and transmissions for cars) looks like a steel structure with a low-lying volumetric design that extends horizontally and breaks down the landscape through a high-impact construction bursting with energy. This steel parallelepiped conforms with traditional factory designs, reshaping the industrial skyline of a wooded area taken up by other manufacturing units. The project involved conserving an old industrial building, which was given a new and more captivating appearance, completely updated in terms of its form and materials ready to house a center for advanced research and innovation. Steel and glass are the main materials used for the building on the ground floor, which takes up 8,000 square meters of land and holds the offices and assembly workshops for the prototypes with an adjoining area and test circuit: all set along a central axis that crosses the plant from east to west. The main structure of the old building was carefully preserved by being incorporated in a box covered with smooth metal panels (5 meters high and 4 or 6 meters wide) in an emblematic clear gray color representing the Amiens Research Center’s functional purpose. The choice of the color gray is not random; as well as withstanding bad weather more effectively, the way gray reflects helps knit the building into the surrounding environment more easily. The north-west corner of the complex is fitted with wide windows that draw in natural light that can be used to illuminate the work areas. The Dito-Sama industrial plant (a company belonging to the Electrolux group that manufactures kitchen machines), located to the south of Aubusson, is smaller and only takes up 17,200 square meters of land. The factory, clad with a metal skin and featuring linear structures, has a classic functional design with a shed-style roof that guarantees natural light can flow into the entire building. Although they are designed in the name of precision and sobriety and are in no sense bland in the way forms and materials have been combined, both factories betray a certain nostalgia for an archetype coming from rationalist architecture, here updated through experimentation with new materials and structural joints to make a greater impact. Studying these factories in greater detail (now that some time has passed since they were first constructed) they seem to be rather “dated” because mechanical, mass-produced modernity has given way in modern-day architecture to a new contextualized, computer-based, flexible paradigm more in tune with the natural environment. Technology and engineering are modernist concepts, which by their very nature are embodied in linear forms but are now given dynamic functional structures, using coating materials to focus on building identity. In the case of the structures in Amiens and Aubusson, the metal skin does not just invoke their content in terms of technologically cutting-edge research, it also represents an attempt to blend in with the surrounding landscape. 47 48 La nuova sede Dito-Sama (una divisione di Electrolux) si inserisce in un paesaggio naturale caratterizzato da boschi e praterie. Nei suoi 17.000 mq l’edificio raggruppa le unità produttive, i laboratori di ricerca e gli uffici amministrativi e commerciali. The new headquarters of Dito-Sama (belonging to Electrolux) is set in a natural landscape of woods and fields. The 17,000 sq.m building holds the manufacturing units, research laboratories and administration/ business offices. 49 Logica della semplicità The Logic Of Simpleness Brentford, sede JCDecaux Brentford, headquarters of JCDecaux Progetto di Foster + Partners Project by Foster + Partners 50 L’ampliamento della sede della JCDecaux, azienda produttrice di elementi di arredo, a Brentford è caratterizzato da una nuova galleria vetrata in cui vengono esposti i prodotti e che serve da collegamento con l’edificio esistente, risalente agli anni Trenta del secolo scorso. S ir Norman Foster, Lord Foster of Thames Bank, insignito di numerosi premi, tra i più prestigiosi nel campo della progettazione, ha ricevuto nel 1999 il Premio Pritzker, il nobel dell’architettura. Per Londra ha ridisegnato, grazie ai suoi edifici funzionalisti e high-tech dalle facciate trasparenti, leggere e prive di concessioni ornamentali, lo skyline della City, che in occasione delle celebrazioni del Giubileo 2002 si è rifatta il look, investendo in nuove architetture lungo il Tamigi e nella riqualificazione di vaste aree periferiche fino ai Docklands. Foster, autore del celebre Millennium Bridge (2003), si distingue per le sue ardite soluzioni ingegneristiche, evidenti anche nei suoi ultimi progetti realizzati in Asia e in Arabia Saudita. Foster incarna il mito dell’archistar ed è diventato un brand di qualità, eleganza e solidità. Suoi il restauro del Parlamento tedesco a Berlino, la metropolitana di Bilbao e, tra le opere più eclatanti, il grattacielo realizzato per la Banking Corporation a Hong Kong, d’impatto scenografico e monumentale. Armi vincenti: funzionalità, tecnolo- gia innovativa, leggerezza, trasparenza; elementi adottati anche per edifici industriali o uffici. Nei progetti più recenti è più sensibile all’ambiente e opera all’insegna di un nuovo umanesimo post-tecnologico. Già nel 1975, Foster con l’edificio a tre piani progettato per la società di assicurazioni Willis Faber & Dumas a Ipswich, stupisce per l’arditezza del progetto considerato un esemplare innovativo, con una struttura a cassettoni in cemento armato rivestita da una sfaccettata pellicola di vetro piano colorato. Nell’atrio, le scale mobili disegnano lo spazio; un ristorante sul tetto e una piscina al piano d’ingresso e altri dettagli costruttivi rinnovano la tipologia dell’edificio industriale o di rappresentanza. Non c’è un solo edificio di Foster, per quanto semplice e d’uso utilitaristico, che non sia riconoscibile per uno stile sofisticato ed elegante. La stessa logica costruttiva ingegneristica è stata applicata alla sede JCDecaux, azienda leader mondiale nel campo della produzione di arredi urbani, che include il recupero di una ex-fabbrica, stile Art Déco (1936), situata a Brentford, a ovest di Londra, ampliata con due nuo- LAVORO WORK vi spazi da Foster and Partners (1997-2000). Il progetto consiste in tre operazioni specifiche: restauro dell’edificio storico da destinare a uffici di rappresentanza, realizzazione di una galleria coperta, trasformata in una “vetrina” ideale dove esporre gli oggetti prodotti dalla JCDecaux e costruzione ex novo di un capannone industriale, destinato alla produzione. La soluzione adottata è razionale: sul fronte primeggia l’architettura anni Trenta restaurata, al centro la galleria, e dietro fa capolino il prefabbricato industriale. La galleria centrale è il “trait d’union” tra il vecchio e il nuovo edificio, realizzata con una struttura in ferro e vetro, molto leggera, piacevolmente asimmetrica, che media le differenti altezze del vecchio edificio e del nuovo prefabbricato. Questa galleria vibra di luce, grazie alla trama dei sottili brise soleil, adottata nella tettoia. Il nuovo spazio espositivo è lo scenario più adatto per mostrare fermate d’autobus, cabine telefoniche, spazi pubblicitari e altri prodotti destinati all’arredo urbano, qui contestualizzati da un grande murale disposto su una parete laterale a copertura di un muro cieco del capannone. La struttura è stata realizzata con un sistema di pilastri prefabbricati messi in opera in poco più di una settimana e si caratterizza per un rivestimento integrale a pannelli “sandwich”. Si tratta del primo edificio britannico che adotta un sistema di prefabbricati con pannelli in calcestruzzo, noto come “costruzione Hardwall”, con elementi montati a secco di 3x9 metri, composti da due strati di pietra ricostruita (cemento armato miscelato con calce) e tra i quali è stato inserito uno strato isolante di un materiale a base di polistirolo chiamato Thermomass. I pannelli sono disposti uno sopra l’altro, con spine d’acciaio per garantire la sicurezza. Il sistema adottato garantisce non solo la velocità esecutiva dell’edificio, ma anche un considerevole risparmio energetico, grazie allo strato di isolante impiegato. Il soffitto, modulato da lucernari, prevede un sistema di illuminazione artificiale che si attiva automaticamente quando la luce naturale è insufficiente. La luce diffusa dall’alto, che si riflette sul pavimento giallo in resina epossidica, crea un effetto cromatico accattivante. The extension of the headquarters of JCDecaux, a furniture manufacturer in Brentford, features a new glass gallery displaying the products and also acting as a link with the old building dating back to the 1930s. 51 52 Planimetria generale. Nella pagina a fianco, in alto, particolare del nuovo edificio che contiene gli uffici e i magazzini. In basso, l’interno della galleria espositiva che collega la nuova costruzione all’edificio storico. Questo percorso coperto gode di una grande luminosità assicurata dalla copertura di vetro schermato da sottili frangisole di acciaio. Nelle pagine successive, il nuovo atrio di ingresso a tutta altezza e particolare del piano mezzanino. Site plan. Opposite page, top, detail of the new building holding the offices and warehouses. Bottom, the inside of the exhibition gallery connecting the new construction to the old building. This covered pathway is brightly lit through the glass roof sheltered behind thin steel sunscreens shutters. Following pages, the new full-height entrance lobby and detail of the mezzanine level. S ir Norman Foster, Lord Foster of Thames Bank, who has won numerous prizes including some of the most prestigious in the field of design, was awarded the Pritzker Prize in 1999, the equivalent to the Nobel Prize for architecture. His functionalist high-tech buildings with lightweight transparent facades completely bereft of ornamentation helped redesign the skyline of the City, London, when it was given a facelift in conjunction with the Jubilee celebrations in 2002, investing in new works of architecture along the River Thames and redeveloping extensive suburban areas right through to the Docklands. Foster, who also designed the famous Millennium Bridge (2003), stands out for his bold engineering designs as can be seen from some of his latest projects in Asia and Saudi Arabia. Foster embodies the myth of the archistar and has become a brand in himself, standing for quality, elegance and solidity. He was also responsible for renovation work of the German Parliament building in Berlin, the Bilbao underground railway line and, among his most striking works, the skyscraper designed for the Banking Corporation in Hong Kong, a truly striking monumental construction. His trump cards are: functionality, innovative technology, lightness and transparency; features he even manages to incorporate in industrial buildings or offices. His most recent projects have shown more environmental awareness and operate along the lines of a new kind of post-technological humanism. Even back in 1975, Foster’s three-story building designed for Willis Faber & Dumas Insurance Company in Ipswich featured a truly daring design considered to be an innovative example of a coffer-based structure made of reinforced concrete covered by a multifaceted film of colored flat glass. Escalators in the lobby shape the space; a roof restaurant and swimming pool built on the entrance level and other distinctive construction features give a fresh twist to the style of industrial or representational buildings. There is not one single building designed by Foster that is not recognizable for its sophisticated and elegant style, however simple and utilitarian it may be. The same engineering-based construction method was also used for the headquarters of JCDecaux, the world’s leading company in the field of urban furnishing. This project included the renovation of an old art deco-style factory (1936) located in Brentford to the west of London, which was extended through two new spaces designed by Foster and Partners (1997-2000). The project involved three specific operations: the renovation of the old building into reception offices, the construction of a covered arcade transformed into an ideal “showcase“ for displaying objects manufactured by JCDecaux, and the construction of a brand-new industrial warehouse serving production purposes. The solution adopted is rational: restored 1930s-style architecture takes precedence along the main front, the arcade is set in the middle and the industrial prefabricated construction stands at the rear. The central arcade is the “unifying thread” between the old and new building and has an iron and glass structure that is extremely light and pleasantly asymmetrical, so as to bridge the height differences between the old building and new construction. This arcade vibrates with light thanks to the pattern of sunscreens set on the canopy. The new exhibition space is the ideal setting for displaying bus stops, telephone cabins, advertising spaces and other urban furnishing features, here set against a large mural on a side wall covering a blank warehouse wall. The building was constructed out of a system of prefabricated columns installed in just over a week and features “sandwich”-style all-over paneling. This was actually the first building in Great Britain to adopt the so-called “Hardwall” system of prefabricated concrete panels with dry-assembled 3x9-meter elements composed of two layers of reconditioned stone (reinforced concrete mixed with lime) with an insulating layer of polystyrene-based insulated material (Thermomass) placed between them. The panels are placed on top of each other with a steel backbone to guarantee safety. The adopted system not only ensures the building is constructed quickly, it also allows notable energy savings thanks to the insulating material used. The ceiling fitted with skylights also incorporated artificial lighting that comes on automatically when there is not enough natural light. Light shining out from above, reflected on the yellow epoxy resin flooring, creates a dazzling lighting effect. 53 54 55 Codici minimali Minimal Codes Dunkerque, nuova sede servizi informatici Usinor Dunkirk, new computer services center for Usinor Progetto di Christian Hauvette Project by Christian Hauvette C hristian Hauvette, architetto e urbanista marsigliese, appassionato di letteratura e di cinema, allievo di Jean Prouvé al Conservatoire des Arts et Métiers, tra il 1972 e il 1974 partecipa al 3° ciclo dell’Ecole Pratique des Hautes Etudes in un seminario di Roland Barthes. Nel 1974 entra a far parte del Groupe de Recherches et d’Essais Cinématographiques e dagli anni Ottanta si dedica alla professione di architetto, mantenendo quel rigore e sensibilità per i volumi e lo spazio che lo distingue. Hauvette è stato tra i più influenti architetti francesi nel settore degli interventi pubblici, di cui le sue opere, come la Scuola Nazionale degli Ingegneri e la Facoltà di Ingegneria a Le Mans, sono diventati vero e proprio modello tipologico. La sua grammatica progettuale si riconosce nella declinazione di volumi cubici, forme euclidee e soluzioni rigorose, scevre da elementi ornamentali o slittamenti nostalgici. A Dunkerque, Hauvette ha realizzato la nuova sede delle unità informatiche dell’Usinor, gruppo siderurgico di fama internazionale costituito nel 1948. Per questo sito industriale non si poteva adottare altro che un purismo formale suprematista, in cui l’articolazione e gli incastri di volumi geometrici di forme lineari in metallo comunicano stabilità, durata, resistenza e tecnologia. Hauvette, promotore di un’estetica razionalista tecnologica, ispirata ai codici minimali di De Stijl, nelle sue costruzioni essenziali evoca “l’elementarismo statico” di Mondrian. Per la nuova sede Usinor ha puntato sulla forza unitaria e comunicativa di un paesaggio ridefinito da quattro cubi più un rettangolo. Questi volumi, di una semplicità non scontata, si basano sull’equilibrio estetico dato dalle forme. Il complesso si svi- 56 La facciata principale della nuova sede per i servizi informatici della Usinor, realizzata nell’area di Grande Synthe a Dunkerque, si caratterizza per lo sviluppo orizzontale e simmetrico e per il taglio triangolare a tutta altezza che segna l’ingresso dell’edificio. luppa orizzontalmente e in modo simmetrico rispetto allo spazio di ingresso, ritagliato a tutt’altezza nella barra longitudinale degli edifici. La nuova struttura è composta da una lunga stecca di tre piani, davanti alla quale sono disposti quattro volumi cubici, mentre alle spalle spicca il quinto volume, piatto e allungato. La caratteristica sta nel fatto che ogni volume corrisponde a una funzione: uffici individuali modulari nella stecca, uffici open space destinati a lavori di gruppo nei quattro cubi, sale riunioni concentrate nel volume retrostante. I cinque elementi primari del complesso sono disposti in perfetta simmetria rispetto all’atrio centrale. La funzione determina la forma, i volumi sono posizionati logicamente, le “scatole” metalliche disposte lungo un asse ortogonale assorbono la luce e fanno vibrare l’intero complesso in relazione con il luogo. Attraverso la ripetizione del modulo base in acciaio inossidabile piegato longitudinalmente ogni 40 centimetri, con lunghezza fino a 10 metri, e la sperimentazione di sistemi costruttivi e di materiali innovativi, l’architetto ha trasformato il procedimento Cibbap (basato sulla serializzazione di moduli) in una estetica essenziale, giocata sull’abilità di assemblaggio di pareti forate o opache. Simile a un nastro metallico che si dispiega ortogonalmente nel paesaggio e vibra di luce nelle diverse ore della giornata, il complesso muta con il variare delle condizioni climatiche: d’estate si presenta come un solido uniforme e compatto, un catalizzatore di raggi del sole; d’inverno nei giorni più grigi e cupi, grazie alle forature delle pareti, acquista contorni più sfumati. Di notte, questo monumentale assemblaggio metallico brilla e fende il buio come una lama d’acciaio. LAVORO WORK C hristian Hauvette, an architect and town-planner from Marseille, who is passionate about literature and film and studied under Jean Prouvé at the Conservatoire des Arts et Métiers, took part in a Roland Barthes seminar at the 3rd cycle of the Ecole Pratique des Hautes Etudes in 1972-1974. In 1974 he joined the Groupe de Recherches et d’Essais Cinématographiques and then devoted himself to becoming an architect in the 1980s, maintaining his distinctive precision and awareness when handling structures set in space. Hauvette was one of the most influential French architects in the realm of public works and some of his designs, such as the National School of Engineers and Faculty of Engineering in Le Mans still set the benchmark in their own particular stylistic domain. His design syntax is characterized by cube-shaped structures, Euclidean forms and very precisely designed elements bereft of ornamentation or nostalgic leanings. In Dunkirk, Hauvette designed the new home of the computing units of the internationally renowned steelmanufacturing company Usinor, founded in 1948. Suprematist formal purism was the only possible approach for this industrial site, conveying a sense of stability, durability, resistance and technology through the layout and interplay of linear-shaped metal geometric structures. Hauvette, whose technological rationalist aesthetics are inspired by the minimal codes of De Stijl, actually evokes Mondrian’s “static simplicity” in his very concise constructions. He decided to focus on the unifying communicative force of a landscape redefined by four cubes plus a rectangle in his design for the new headquarters of Usinor. These structures, whose simplicity is anything but obvious, are based on an aesthetic balance deriving from their forms. The complex develops horizontally and symmetrically in relation to the entrance space, a full-height structure cut into the longitudinal bar formed by the buildings. The new construction is composed of a long three-story block with four cubeshaped structures set in front of it and a fifth, flat and elongated structure at the rear. Its distinctive trait lies in the fact that every structure serves a purpose: the main block contains modular individual offices, the four cubes hold openspace offices designed for team projects, and the rear structure holds all the meeting rooms. The center’s five primary elements are set out in perfect symmetry in relation to the central lobby. Function determines form, the structures are set out logically, and the metal “boxes” set along the orthogonal axis absorb light and make the entire complex vibrate in relation to its setting. By reiterating the stainless steel base modulus that is folded longitudinally every 40 centimeters up to a length of 10 meters and by experimenting with innovative materials and construction systems, the architect has transformed the Cibbap procedure (based on the mass repetition of modules) into a very essential kind of aesthetics playing on the ease-ofassembly of perforated or opaque walls. Rather like a metal strip stretching out orthogonally across the landscape and vibrating in the light at different times of day, the center changes as the climatic conditions vary: in summer it looks like a uniform and compact solid structure attracting sun rays, while during grayer and darker days in winter it takes on more blurred outlines due to the perforations in the walls. At night-time this monumental metal assemblage shines and perforates the dark like a steel blade. 57 The main facade of Usinor’s new computer services offices in the Grande Synthe area of Dunkirk stands out for its symmetrical horizontal layout and the full-height triangular cut marking the building entrance. 58 59 Nella pagina a fianco, particolare del taglio triangolare che segna l’ingresso e, in basso, viste dei volumi scatolari metallici che si innestano nella stecca principale dell’edificio e contengono gli uffici open space destinati ai lavori di gruppo. In alto, scorcio dell’interno della stecca principale che contiene gli uffici individuali distribuiti su tre piani. A sinistra, sezione parziale sugli uffici. Sopra, assonometria dell’edificio. Opposite page, detail of the triangular cut marking the entrance and, bottom, views of the box-shaped metal structures connected to the main building block and holding open-space offices specially designed for team work. Top, partial view of the inside of the main block holding the individual offices spread across three floors. Left, partial section of the offices. Above, axonometry of the building. Fucina di eccellenza Forging Excellence Cambiano, centro Ricerca e Sviluppo Pininfarina Cambiano, Pininfarina Research & Development Center Progetto di Stefano Longhi e Giancarlo Massetani Project by Stefano Longhi and Giancarlo Massetani 60 Il centro Ricerca e Sviluppo Pininfarina, realizzato a Cambiano (Torino), è caratterizzato da una facciata di lastre di travertino su cui si innesta una grande facciata vetrata costituita da lastre di vetro stratificato, antisfondamento e antiriflesso, unite con silicone strutturale e fissate alla struttura con un sistema di fissaggio Spider-Glass a “H”. The Pininfarina Research & Development Center in Cambiano (Turin) has a distinctive facade made of sheets of travertine and by a large glass facade made of glint-proof, burgle-proof, layered glass sheets, joined together using structural silicone and attached to the structure through a Spider-Glass “H”-shaped connection system. P rogettare la nuova sede della Pininfarina Ricerca e Sviluppo di Cambiano (Torino) fondata nel 1982 è stata un’operazione di estrema complessità poiché nel nome stesso dell’azienda è già racchiusa tutta la sua filosofia. Pininfarina è una Design House che risale al 1930, simbolo internazionale della cultura progettuale “Made in Italy” a 360° che si iconizza nella Ferrari e altre automobili, prototipi di lusso e d’innovazione tecnologica che hanno fatto la storia del design italiano. Un’azienda entrata nella leggenda con la Cisitalia 202 (1947), scultura in movimento e prima vettura al mondo adottata nella collezione permanente del MoMA di New York, e la Ferrari Testarossa (1986), diventata oggetto del desiderio in tutto il mondo. Pininfarina è un marchio di garanzia dello stile italiano e il suo nuovo centro di progettazione di prototipi di automobili innovative, dal design inconfondibile, amplifica la filosofia dell’azienda che basa la sua ricerca sulla bellezza, l’armonia e la sperimentazione di materiali tecnologicamente avanzati. Nel 2000, nell’ambito del programma di potenziamento delle infrastrutture del Gruppo Pininfarina, è stato affidato a Stefano Longhi e Giancarlo Massetani il progetto di ampliamento del centro di Cambiano, inaugurato l’anno successivo, con l’obiettivo di comunicare l’auto come simbolo della tradizione di un’azienda attiva da 70 anni nel settore delle automobili e la potenzialità creativa del design italiano. Il requisito principale del progetto era quello di proporre un layout distributivo degli spazi interni dedicati alla progettazione (uffici open space), dove potessero avere accesso esclusivo solo i tecnici delle diverse case automobilistiche per lavorare all’ideazione di nuovi design nella più totale privacy. Si è reso quindi necessario creare delle “piattaforme di progettazione” autonome e funzionali, costantemente vigilate, e laboratori destinati alla realizzazione di prototipi, ai quali accedere solo mediante specifici lasciapassare di riconoscimento degli addetti ai lavori. Oltre al vincolo imposto dall’azienda per proteggere la segretezza dei progetti, l’altro requisito era quello di concentrare nella hall d’ingresso l’espressione del concept di riservatezza tecnica e il suo valore di rappresentanza e d’immagine. Il nuovo impianto, realizzato in 70 giorni, comprende tre piani di uffici di cui uno parzialmente interrato e un capannone industriale prefabbricato: culla di prototipi-gioielli, esportati in tutto il mondo, che contribuiscono alla crescita economica dell’Italia. Gli uffici sono destinati alla progettazione, al design e all’ingegnerizzazione delle automobili, che vengono poi prodotte nel capannone adiacente. Separare l’area di progettazione da quella di realizzazione, e nel contempo comunicare la filosofia dell’azienda, evitando eccessi, soluzioni magniloquenti o celebrative: sobrietà, professionalità, discrezione e privacy innanzitutto. Questi sono stati i codici declinati da Longhi e Massetani che hanno puntato sull’appeal simbolico e comunicativo del nuovo centro di ricerca. La stessa grande vetrata-parabrezza, semisferica, dell’ingresso rispetta appieno le indicazioni specifiche della committenza: mostrare il prodotto come simbolo della potenzialità creativa di Pininfarina. Costituita da porzioni di lastre di vetro stratificato antisfondamento e antiriflesso, questa “escrescenza” trasparente è sostenuta da montanti in acciaio zincato che ricordano le “zampe di ragno”, d’impatto scenografico contenuto, ma efficace. Questa vetrina leggermente bombata è l’unico varco che permette al visitatore di avere una vista sugli interni e di percepire che qui la tecnologia coincide con l’estetica e la qualità del prodotto. Solo l’eccellenza vi è esposta: due o tre automobili al massimo, perfette, lussuose, bellissime, che materializzano la simbiosi tra la creatività, il design futuristico e la tecnologia. TITOLO TITOLO 61 D esigning the new Pininfarina Research & Development headquarters in Cambiano (Turin), first established in 1982, was an extremely complex undertaking, because the very name of the company embodies its entire corporate philosophy. Pininfarina is a design house dating back to 1930, an international symbol of everything that is good about Italian design, given iconic status by the Ferrari and other motorcars, prototypes of luxury and technological innovation that are real landmarks in the history of Italian design. A company that took on legendary status through the Cisitalia 202 (1947), a sculpture in motion and the world’s first motorcar to be incorporated in MoMA’s permanent collection in New York, and the Ferrari Testarossa (1986) that is now an object of desire the world over. The Pininfarina trademark is a hallmark of Italian style, and its new center for designing prototypes for innovative motorcars with unmistakable designs further enhances the company’s corporate policy based on the quest for beauty, harmony and experimentation with technologically cutting-edge materials. As part of a program to strengthen the Pininfarina Group’s infrastructures, in 2002 Stefano Longhi and Giancarlo Massetani were commissioned to design an extension to the center in Cambiano, that opened the following year, with a view to using cars to symbolize a corporate tradition stretching back 70 years in the car manufacturing industry and embodying the creative potential of Italian design. The project’s main requisite was to create a layout of interior spaces devoted to design (open-plan offices), which would only be accessible to technicians from the various car manufacturing companies so that they could work on new designs in complete privacy. This called for the creation of independent and highly functional “design platforms” that can be constantly monitored and surveyed, as well as work- 62 Piante del piano terra e del primo piano. Nella pagina a fianco, scorci degli esterni e degli interni dell’edificio. Gli interni della hall vetrata sono rivestiti con pannelli di alluminio naturale lucido in modo da rimanere neutri e far risaltare i prototipi di auto esposti. Plans of the ground and first floors. Opposite page, partial views of the outside and inside of the building. The interiors of the glass hall are covered with shiny natural aluminum panels, so as to remain neutral and draw attention to the car prototypes on display. shops designed to create prototypes that may only be accessed by means of special identification passes handed out to authorized staff. In addition to constraints imposed by the company to keep the project secret, the other requirement was to embody the concept of technical confidentiality (and its representational/image-oriented value) right in the heart of the entrance hall. The new plant, constructed in just 70 days, includes three floors of offices, including one partially underground, and a prefabricated industrial plant: the cradle for these precious prototypes that are then exported all around the world to help boost Italy’s economy. The offices are where the cars’ design and engineering are developed ready to be manufactured in the neighboring production plant. The idea is to separate design from manufacture and, at the same time, convey the firm’s corporate philosophy while avoiding excesses and bombastic or celebratory features: sobriety, professionalism, discretion and privacy above all else. These are the codes Longhi and Massetani drew on to give symbolic and communicative appeal to the new research center. The large semi-spherical glass window-windscreen in the entrance fully conforms to the client’s precise specifications: to show off the product as a symbol of Pininfarina’s creative potential. Constructed out of sections of burglar-proof non-glistening stratified glass panels, this transparent “excrescence” is held up by galvanized steel stanchions reminiscent of “spider’s legs” that are extremely low-key but highly effective. This slightly rounded window is the only way visitors can catch a glimpse of the interiors and see that technology coincides with aesthetics and quality production. Nothing but excellence is on display: at most two or three perfect, luxurious and truly beautiful motorcars embodying a symbiosis of creativity, futuristic design and technology. 63 Trama e ordito The Warp And The Weft Santo Stefano Ticino, sede delle Tessiture di Nosate e San Giorgio Santo Stefano Ticino, headquarters of Nosate and San Giorgio Textiles Progetto di Frigerio Design Group Project by Frigerio Design Group N el mezzo di una zona verde, in aperta campagna a Santo Stefano Ticino in provincia di Milano si trova la nuova sede delle Tessiture di Nosate e San Giorgio, azienda nota per la produzione di tessuti greggi per l’abbigliamento e l’arredo; unica nel suo genere perché realizza tessuti su commissione, controllando “just in time” la qualità del prodotto tessile, conformandosi di volta in volta alle esigenze del cliente. La sede, situata in un luogo bucolico, rispecchia la richiesta del committente di avere a disposizione spazi adeguati alla ideazione e produzione di un prodotto di qualità in linea con la filosofia di “slow architecture”, adottata nella realizzazione di questo edificio da Frigerio Design Group. Si tratta di un’architettura progressiva, ecosostenibile che interagisce con l’ambiente, si modifica e trae dal contesto le risorse per la sua definizione. Qui, il lavoro curato nei minimi dettagli è realizzato al meglio, in linea con processi di produzione personalizzati e all’opposto della globalizzazione. L’impianto industriale, caratterizzato da uno sviluppo orizzontale, occupa una superficie complessiva di 2.000 metri quadrati e la facciata dell’edificio principale è esposta a sud verso un panorama agreste, con il retro chiuso dai capannoni destinati alla produzione e allo sviluppo, distribuiti su due piani. Del progetto seduce la facciata-tessitura concepita come un telaio rivestito di fili di tessuto, che trae ispirazione dalle tessiture prodotte all’interno della fabbrica. Questa facciata-tessuto dall’intreccio serrato tra trama e ordito, in cui la trama sono i tamponamenti in cotto, alluminio e vetro, mentre l’ordito è la struttura verticale portante, ha una doppia funzione di comunicazione e di schermatura solare. Gli elementi che compongono la facciata s’intrecciano tra loro, diventano uno schermo di protezione solare e grazie a un sapiente gioco di contrapposizione tra superfici trasparenti e opache, mettono in relazione gli spazi interni 64 I tessuti e i filati della fabbrica di Santo Stefano Ticino (Milano) da cui ha tratto spunto il concept di progetto. con l’esterno e viceversa. La luce naturale che muta con il passare delle ore del giorno, mediante un gioco di trasparenze e di vibrazioni, alternando spazi pieni e vuoti, conferisce alla struttura rettangolare, semplice e razionale, un effetto scenografico, amplificato dalla luce artificiale notturna. Il progetto si sintetizza in tre parti significative: facciata-ordito, tamburo-lanterna e giardino pensile. L’appeal scenografico della struttura è amplificato da diverse partizioni verticali parallele alla facciata realizzate al piano terra e al primo piano in maggior parte in vetro (tamponamenti esterni, partizioni interne). All’interno, da qualsiasi ufficio si è a contatto con la natura, ovunque filtra la luce e si percepisce l’armonia, la calma e la serenità che il verde circostante comunica. Gli spazi interni ruotano e si distribuiscono intorno al tamburo della scala principale che sfonda il primo piano e si completa con una grande “lanterna” coperta, per l’illuminazione e la ventilazione naturale. Sul lato nord del primo piano si trova il giardino pensile, creato con lo scopo di costruire uno spazio esterno con un microclima gradevole, dove affacciano gli uffici. Tutto il progetto ruota intorno a un concept di comunicazione visiva e coordinata della fabbrica, in cui gli elementi impiegati per realizzare spazi, controsoffitti, pavimento, pareti mobili e impianti vari (corpi illuminanti, ventilconvettori, griglie e rivelatori) hanno forme geometriche e sono progettati come soluzioni aperte, dinamiche che dialogano con la facciata e il contesto. Gli interni si preannunciano dall’esterno e fondono sobrietà tecnica e funzionalismo con un’estetica discreta, elegante, che rappresenta la ricerca di confort psicofisico degli ambienti di lavoro, attraverso la luce naturale e artificiale. Anche l’acustica e il clima sono ottimizzati a seconda delle necessità. Per schermare alcune parti delle vetrate interne si è utilizzato il disegno del subbio che corrisponde a una parte del telaio per la tessitura. LAVORO WORK T he new headquarters of Nosate and San Giorgio Textiles, a company famous for manufacturing rough fabrics for clothing and furnishing, is located right in the middle of a green area in the open countryside around Santo Stefano Ticino in the province of Milan. The factory is unique of its kind because it manufactures customdesigned fabrics, carefully controlling the quality of its products “just-in-time” and bending to its customers needs as required. The offices, situated in a mouth-watering location, mirror the client’s request to have spaces that are suitable for designing and manufacturing a quality product in line with the philosophy of “slow architecture” that the Frigerio Design Group employed in constructing this building. It is actually a progressive work of eco-sustainable architecture interacting with the environment, altering itself and drawing the resources for redefining itself from its surroundings. Here work is carried out with great attention to detail in the best way possible, in accordance with customized production processes and in stark contrast to the idea of globalization. The industrial plant, with its distinctive horizontal layout, takes up an overall area of 2,000 square meters, and the building’s main facade faces south towards farmlands, with the rear section closed off by production and development warehouses set over two levels. The textiles-facade, designed like a weaving frame covered with yarns of fabric, is one of the most seductive features of the project and draws inspiration from the textiles actually manufactured inside the factory. This facade—constructed around a tightly knit combination of warp and weft, with the warp being the brick, aluminum and glass curtain structures and the weft the vertical bearing structure—serves the dual purpose of communication and solar shielding. The elements forming the facade weave together to form a protective sunscreen and, thanks to a clever interplay of contrasts between transparent and opaque surfaces, bring the inside spaces into interaction with the exterior and viceversa. Natural light, which alters at different times of day due to an interplay of transparency and vibrations through a combination of solids and empty spaces, gives the simple and rational rectangular structure a very striking look, amplified by artificial lighting at night. The project may be broken down into three key parts: the facade-weft, tambourlantern and hanging garden. The structure’s visual appeal is enhanced by the various vertical partitions, running parallel to the facade, that have been created on the ground floor and first floor and that are mainly made of glass (outside curtain walls, internal partitions). On the inside, all the offices are in contact with nature, light flows in everywhere and you can feel the sense of harmony, peacefulness and serenity conveyed by the surrounding greenery. The interior spaces revolve and are set around the main stairwell that cuts through the first floor and is completed by a large covered “lantern” serving lighting and natural ventilation purposes. The hanging garden is located over on the north side of the first floor and is designed to provide an outside space with a pleasant microclimate surrounded by offices. The entire project revolves around a concept of coordinated visual communication for the factory. The elements used to create spaces, double ceilings, flooring, mobile walls and utilities (lighting appliances, ventilation fans, grilles and detectors) have geometric forms making them open, dynamic features interacting with the facade and setting. The interiors make themselves felt on the outside and combine technical sobriety and functionalism with a discreet and elegant kind of aesthetics representing the quest for psychophysical comfort in the work premises through a combination of natural and artificial lighting. The acoustics and climate are also optimized to cater for requirements. A beam (part of a weaving frame) design was used to shield certain parts of the internal glass windows. 65 The fabrics and yarns of Santo Stefano Ticino factory (Milan), which inspired the project concept. 66 67 La facciata-tessuto della palazzina per uffici delle Tessiture di Nosate e San Giorgio, oltre a sottolineare con un gesto fortemente iconico l’immagine dell’azienda, ha la funzione di schermo per l’irraggiamento solare. The fabric-facade of the office building of Nosate and San Giorgio Textiles plant not only underlines the firm’s corporate image through a powerful iconic gesture, it also acts as a sunscreen. 68 69 Nella pagina a fianco: in alto piante del piano terra e del primo piano, schemi dell’irraggiamento solare in estate e in inverno e schema della ventilazione; al centro, sezione trasversale; in basso, sezioni e prospetto della facciata-tessuto con lo schema dell’incidenza dei raggi del sole nelle varie stagioni. Sopra, pianta e, sotto, sezione di un dettaglio della facciata continua. In basso, studi per i prospetti con frangisole, tamponamento cieco e facciata-tessuto, e sezione costruttiva della zona di ingresso. Opposite page: top, ground and first floor plans, solar radiation diagrams for summer and winter, and ventilation diagram; center page, crosssection; bottom, sections and elevation of the fabric-facade showing a diagram of the various angles of the sun’s rays at different times of year. Above, plan and, below, section of the detail of the curtain facade. Bottom, studies for the elevations showing the sunscreens, blank curtain wall and fabric-facade and construction section of the entrance area. Tecnologia e natura Technology And Nature Berlino, quartier generale Solon SE Berlin, headquarters of Solon SE Progetto di Schulte-Frohlinde Architekten Project by Schulte-Frohlinde Architekten 70 LAVORO WORK La nuova sede berlinese della Solon, azienda innovativa che opera nel settore delle energie rinnovabili, dispone di una copertura verde in leggera discesa contornata da un impianto di pannelli fotovoltaici da 210 kWp. The new Berlin headquarters of Solon, an innovative company in the renewable energy sector, has a downwardly sweeping green roof surrounded by a 210 kWp photovoltaic installation. 71 D agli anni Novanta, dopo il crollo del muro, Berlino è la capitale della cultura e dell’innovazione architettonica, urbanistica e sociale che investe nel nuovo, attirando giovani da ogni parte del mondo, offrendo soluzioni vantaggiose di affitti, possibilità di lavoro retribuito e assistenza sociale, e dando spazio a nuovi professionisti di talento di qualsiasi settore per definire la sua nuova identità cosmopolita. Una testimonianza del vitalismo berlinese e dell’ambizione progettuale ad alta tecnologia è di sicuro la Solon SE, nota azienda operante nel settore delle energie rinnovabili, impegnata in una politica di produzione sostenibile, risparmio energetico e uso di risorse alternative. Situata a sud-est del centro di Berlino nelle vicinanze dell’Adlershof Science Park, la sede della Solon è un impianto luminoso come il sole, facile da usare ed “ecologicamente operativo” a partire da ciò che produce: moduli e sistemi fotovoltaici, realizzati nel rispetto dell’ambiente naturale. La costruzione si compone di tre edifici: il primo, destinato agli uffici, comunica la filosofia dell’azienda e favorisce la socializzazione tra lo staff, il secondo ospita l’amministrazione (8.000 metri quadrati), mentre il terzo è riservato alla produzione (21.000 metri quadrati). Tutti si presentano come contenitori dell’efficienza tedesca “energicamente corretta” e sono firmati da Schulte-Frohlinde Architekten, un gruppo di giovani architetti fondato negli anni Novanta. L’intero complesso industriale è flessibile e concepito come una soluzione dinamica, aperto a eventuali mutazioni organizzative dell’azienda. Per distinguersi in un panorama internazionale come modello di costruzione a bassa energia, ha puntato su un mix di materiali tradizionali, come legno, vetro e acciaio e su una innovativa silhouette della copertura verde in leggera discesa, contornata da un impianto di pannelli fotovoltaici da 210 kWp. L’intera struttura emana una sensazione di armonia ed è un esempio eccellente di integrazione tra tecnologia e natura. Il tetto vegetalizzato, che copre l’area dell’amministrazione con terrazze accessibili, è inframmezzato da cinque cortili che catturano la luce naturale e rendono vibrante il volume. Anche l’interno non tradisce le premesse di “efficienza sostenibile” dell’azienda, ed è organizzato come un grande spazio continuo con cinque porte, che si chiudono solo in caso d’incendio, oculatamente celate dietro il perimetro del vano scale che facilita il lavoro di squadra e le relazioni umane. Invitan- 72 Il tetto vegetalizzato è dotato di terrazze accessibili ed è “bucato” da cinque volumi che permettono alla luce di penetrare profondamente all’interno dell’edificio. ti i tre piani superiori, terrazzati con aree concepite come open space divise da volumi centrali a tutta altezza, che contengono cucine high-tech, spogliatoi, centraline elettriche e sale d’attesa. L’edificio amministrativo contiene 360 postazioni di lavoro, numerose aree per incontri formali e informali e celle che permettono un lavoro più concentrato, discussioni e telefonate private. Il complesso si basa sul concetto di struttura a guscio ed è centrato sulle persone in relazione allo spazio per creare condizioni di lavoro ottimali e contenere i costi del consumo energetico. Per l’involucro esterno sono stati adottati materiali resistenti e di qualità, mentre all’interno, per mantenere lo spazio più flessibile e funzionale, sono stati evitati gli accessori superflui. Tra gli obiettivi raggiunti dalla Solon c’è la riduzione di consumo energetico e delle emissioni di CO2 a circa un quarto di quanto necessitano gli edifici per uffici tradizionali. La facciata è composta da un telaio prefabbricato ed è integrata con un sistema esterno di frangisole costituito da finestre a triplo vetro isolante, con collettori di calore ed elementi fonoassorbenti. Le tubature per l’acqua sono incassate nei soffitti di cemento e forniscono riscaldamento e raffreddamento a basso consumo. L’acqua piovana viene raccolta in serbatoi sotterranei e viene utilizzata per le opere di pulizia e per irrigare i giardini. I cortili, sistemati come spazi verdi, sono l’anima dell’azienda: un’autentica miniera di luce naturale che bilancia l’assorbimento di calore in estate. Un sistema fotovoltaico integrato alla copertura fornisce l’elettricità necessaria, tenuta costantemente sotto controllo da macchinari computerizzati che rilevano i consumi. I dipendenti, responsabili nella condivisione dell’impegno di contenere al massimo il consumo energetico, possono controllare in ogni istante la ventilazione, il riscaldamento e l’illuminazione tramite pannelli computerizzati. Evidenzia il concept di flessibilità dinamica e progressiva dell’azienda anche l’impiego delle vetrate interne utilizzate per la divisione degli ambienti. Il vetro, come indice di trasparenza e leggerezza, e gli arredi degli uffici, per la maggior parte bianchi, con alcuni inserti di colore nelle aree di relax, trasformano l’ambiente di lavoro in un piacevole luogo dove progettare il futuro dal cuore verde. Tale sensibilità verde è il mood vincente dei paesi nordici, precursori di questa nuova alfabetizzazione ecologista che sta caratterizzando l’architettura contemporanea non per moda, ma per risolvere un’emergenza planetaria. E ver since the 1990s, after the wall was knocked down, Berlin has been the capital of culture and architectural, town-planning and social innovation, constantly investing in everything new. It attracts young people from all over the world, thanks to its cheap rents for housing, well-paid jobs and social security system. It also provides great opportunities for talented new professionals in any sector, as it sets about defining its new cosmopolitan identity. Solon SE, a well-known company operating in the renewable energy sources sector, whose corporate policy is based around sustainable production, energy-saving and the use of alternative resources, pays ample testimony to the liveliness and high-tech design ambitions of the city of Berlin. Situated south-east of downtown Berlin, close to Adlershof Science Park, Solon’s head offices are as brightly lit as the sun, easy-to-use and “ecological operational”, starting with what it actually produces: environmentally-friendly photovoltaic systems and units. The construction is composed of three buildings: the first building, designed for offices, conveys the company’s corporate policy and encourages interaction between staff; the second serves administration purposes (8,000 square meters), while the third is used for production (21,000 square meters). They all look like “energetically correct” containers embodying German efficiency and bearing the signature of Schulte-Frohlinde Architekten, a team of young architects set up in the 1990s. The entire industrial complex is flexible, highly dynamic and open to any eventual organizational changes within the company. To stand out on the international scene as a model of low-energy construction, the team focused on a mix of traditional materials, like wood, glass and steel, and the innovative outline of its slightly downward-sloping green roof surrounded by a system of 210 kWp photovoltaic panels. The entire structure conveys a sense of harmony and is an excellent example of how to combine technology and nature. The landscaped roof that covers the administration area with accessible terraces, incorporates five courtyards capturing natural light and making the entire structure vibrate. The interior also meets the company’s expectations in terms of “sustainable efficiency” and is set out like one large seamless space with five doors, which only close in case of fire, cleverly concealed behind the perimeter of the stairwell to encourage teamwork and human relations. The three other levels, terraced with areas designed as open spaces divided up by full-height central structures, are extremely enticing and fitted with high-tech kitchens, locker rooms, electrical units and waiting rooms. The administration building holds 360 workstations, lots of areas for holding both formal and informal meetings, and cells specially designed for work requiring greater concentration, conversations and private telephone calls. The complex is based on the concept of a shell-covered structure and focuses on people in relation to space, so as to create optimum working conditions and keep down energy costs. Hardwearing, highquality materials have been used for the shell, while avoiding the temptation to introduce superfluous accessories on the inside means the space is as flexible and functional as possible. Among the targets that Solon has achieved it is worth noting that energy consumption and CO2 emissions have been reduced to about a quarter of that required by conventional office buildings. The facade is composed of a prefabricated frame and is integrated by an external system of shutters composed of triple-glazing made up insulating glass with heat collectors and sound-absorbing features. The water pipes are fitted in the concrete ceilings and provide low-consumption heating and cooling. Rain water is collected in underground tanks and used for cleaning operations and for watering the gardens. The courtyards, which are set out like landscaped spaces, are the real core of the company: an authentic goldmine of natural light balancing out the heat absorbed in summer. A photovoltaic system incorporated in the roof supplies the electricity required, constantly monitored by computerized machines keeping track of consumption. The staff, all responsible for keeping down energy consumption, can control the ventilation, heating and lighting at all times by means of computerized panels. The company’s dynamic and progressive flexibility is also highlighted by the use of internal glass panels for dividing up the premises. The glass, as a sign of transparency and lightness, and the office furnishing, mainly white with some colored inserts in the relaxation areas, transform the working environment into a pleasant place with a heart of “green” for planning the future. Ecological awareness has always been the trump card in Nordic countries, the real frontrunners in this new kind of eco-literacy currently characterizing modern-day architecture, not as a fleeting trend but to help solve the current planetary emergency. 73 The landscaped roof is provided with accessible terraces and it is “pierced” by five volumes that allow daylight to penetrate deeply inside the building. Planimetria generale e, in basso, sezione con schema del clima interno. General layout and, bottom, section showing diagram of the interior climate. 74 1. Tetto fotovoltaico perimetrale che funge anche come frangisole Perimeter photovoltaic roof acting as sunscreen 2. Volumi per la luce e la ventilazione naturale Natural light and ventilation structures 3. Giardino di lavanda Lavender Garden 4. Impianto sviluppo moduli FV FV units system 5. Area consegne Delivery area 6. Parcheggi/Parkings 7. Atrio vetrato/Glass lobby 8. Cortili/Courtyards 9. Terrazze/Terraces 10. Tetto vegetalizzato Landscaped roof 11. Doppio ponte pedonale Double footbridge 12. Bacino d’acqua perimetrale con raccolta acque piovane per raffreddamento Perimeter water basin for collecting rainwater for cooling purposes 13. Strada pedonale aperta per i visitatori con collegamento alla stazione Adlershof Pedestrian road open to visitors with a link to Adlershof Station 14. Accumulatore di energia a moduli solari e batterie con prese di carica per 10 scooter elettrici Energy collectors with solar units and batteries with charger plugs for 10 scooters 15. Raccoglitori acqua piovana Rain water collectors 32_89_Project_26OK:28-91 Project 12 IT/ING ++ 04/01/12 14:40 Pagina 75 Sopra, piante del primo e del secondo piano; a sinistra, particolare del tamponamento esterno e pianta del piano terra. Sotto, schizzo e sezioni sull’edificio amministrativo. Above, plans of the first and second floors; left, details of the external curtain wall and plan of the ground floor. Below, sketch and sections of the administration building. 75 A destra, vista della facciata esterna protetta dalla copertura a pannelli solari. Sotto e in basso, viste della terrazza e dei cortili che contribuiscono alla regolazione del clima e dell’illuminazione interni. Nella pagina a fianco, particolare della facciata e della copertura ondulata che perimetra il tetto vegetalizzato. 76 Right, view of the outside facade protected by a roof fitted with solar panels. Below and bottom, views of the terrace and courtyards for controlling the interior lighting and climate. Opposite page, detail of the facade and undulating covering running around the edge of the landscaped roof. 77 78 79 Nella pagina a fianco, l’atrio a tutta altezza e uno dei cortili interni. Sopra, viste degli spazi comuni interni caratterizzati da una struttura aperta che favorisce la comunicazione tra gli impiegati e facilita il lavoro di squadra. Le partizioni vetrate interne consentono una considerevole flessibilità nella divisione degli ambienti. Dei volumi-isola centrali dividono gli spazi e contengono i servizi. La grande trasparenza dell’edificio è enfatizzata dall’uso di arredi e finiture prevalentemente bianchi che convogliano l’impressione di un’atmosfera favorevole al lavoro creativo ed efficiente. Opposite page, full-height lobby and one of the internal courtyards. Above, views of the interiors featuring an open layout encouraging interaction between staff and facilitating team work. The internal glass partitions allow the work premises to be divided up with considerable flexibility. Central islandstructures divide up the spaces and hold the restrooms. The building’s great transparency is emphasized by the use of mainly white furniture and finishing, which create an atmosphere conducive to creativity and efficiency. Macchina biotecnologica A Biotechnological Machine Pioltello, nuova sede 3M Pioltello, new 3M headquarters Progetto di MCA-Mario Cucinella Architects Project by MCA-Mario Cucinella Architects 80 LAVORO WORK Vista prospettica della facciata di ingresso della nuova sede 3M a Pioltello (MI). La facciata del nuovo edificio è lunga 105 metri e si sviluppa in altezze variabili dai due ai cinque piani. Perspective view of the entrance facade of the new 3M headquarters in Pioltello (Milan). The facade of the new building is 105-meter long and it varies in height between two and five stories. 81 A 82 l confine tra Milano e Pioltello, fende lo spazio un edificio che materializza il concept di qualità e innovazione e marca il territorio con una superficie di 10.300 metri quadrati: è la nuova sede per uffici della società 3M, inaugurata nel maggio 2010. La 3M è un’azienda americana che commercializza una vasta gamma di prodotti innovativi e tecnologici, tra i molti immessi sul mercato europeo. Chi non ha mai usato una volta nella vita i noti nastri Scotch VHB (Very High Bond) che sostituiscono viti, rivetti, saldature, colle liquide e altri metodi tradizionali di fissaggi permanenti? La nuova sede si inserisce nel programma di Ecobuilding avviato nel 2008 da Pirelli RE, con l’obiettivo di costruire nel rispetto dell’ambiente ed è considerato un modello di architettura sostenibile. Organizzato in spazi chiusi e open space che prevedono tutte le possibilità di utilizzo in relazione alle reali necessità dei dipendenti, il complesso è dotato di due corti interne che catturano la luce naturale. L’edificio rientra nel masterplan dell’area Malaspina Business Park (ex Bica), accanto al Bosco della Besozza, progetto riconosciuto dal Kyoto Club come modello di eccellenza per la riduzione del consumo e dell’impatto ambientale. La 3M è attiva in Italia da oltre 50 anni e ha realizzato prodotti diversificati, caratterizzati da un mood tecnologico e di sperimentazione del nuovo, con una capillare distribuzione di attività commerciali e due unità produttive. Ha firmato il progetto lo studio bolognese MCA-Mario Cucinella Architects che, nel rispetto delle esigenze della committenza e della salvaguardia delle aree verdi circostanti, in collaborazione con il Comune di Pioltello, ha fortemente caratterizzato la nuova struttura, impiegando soluzioni ad alto tasso di sostenibilità ambientale. La struttura lineare, geometrica, si snoda lungo un asse ortogonale, con una lunghezza di 105 metri per 21 di larghezza, e un’altezza variabile tra i due e i cinque piani, più uno interrato destinato a parcheggi e magazzini. Le facciate nord, est e ovest sono alleggerite da vetri e altri espedienti tecnico-costruttivi, come l’impianto di condizionamento a travi fredde unito al flusso di aria primaria nel controsoffitto, capace di fornire un microclima interno vigilato e silenzioso. Tutto in questo edificio è improntato a trasparenza, luminosità, efficace controllo ambientale, attenzione alla disposizione dello spazio interno per favorire lavoro e relazioni tra dipendenti e clienti, confort psicofisico e acustico, garantito dall’utilizzo di moquette e materiali fonoassorbenti, gestione computerizzata (BMS) degli impianti di condizionamento e di illuminazione. Se si aggiungono i sistemi di ombreggiatura, i percorsi pedonali, gli specchi d’acqua e i viali alberati, e l’applicazione intelligente di prodotti innovativi che la 3M propone sul mercato, non ci vuol molto a capire che ci troviamo di fronte a una struttura pensata come una “macchina biotecnologica”, in quanto dotata di dispositivi che alimentano la sostenibilità e recuperano il calore con lo scopo di contenere il consumo di energia. L’interno e l’esterno si presentano con un design essenziale e ammiccante, il fronte sud è disegnato con una serie di terrazze che offrono spazi ombreggiati concepiti come tamponi ambientali e di protezione dagli sbalzi climatici in estate e in inverno. Pannelli fotovoltaici sono stati integrati al tetto e alle facciate con il duplice scopo di produrre energia e conferire alla struttura sostenibile un appeal di comunicazione della filosofia aziendale. Ambienti accoglienti, vetrati, dinamici, l’arredo funzionale, ma soprattutto la luce come protagonista, creano un habitat ideale dove pianificare il futuro. A building embodying the concept of quality and innovation cuts through the space on the boundary between Milan and Pioltello, spreading its 10,300 m² of surface area across the land: this is the new head offices of 3M that opened in May 2010. 3M is an American company marketing a wide range of innovative technological products in competition with so many others on the European market. Who has not used (at least once in their life) the well-known Scotch VHB (Very High Bond) tape used to replace screws, rivets, welds, liquid glues and other traditional means of attaching things permanently? The new headquarters is part of an Ecobuilding program set under way by Pirelli RE in 2008 for the purpose of building in an environmentally friendly manner. It is now considered to be a model of sustainable architecture organized around closed and open spaces catering for every possible means of using space in accordance with the real needs of staff, including two internal courtyards designed to capture natural light. The building is part of a master plan for the Malaspina Business Park (formerly Bica) area alongside Besozza Wood, a project which the Kyoto Club has recognized as a model of excellence for reducing consumption and environmental impact. 3M has been operating in Italy for over 50 years, manufacturing a wide range of products of a technological nature based on experimentation into everything new and drawing on a widespread network of commercial operations and two manufacturing units. The project was actually designed by Mario Cucinella Architects (MCA) based in Bologna, which, working with Pioltello Town Council to meet the clients’ needs and safeguard surrounding areas of greenery, has created a highly distinctive new construction using features with a notable degree of environmental sustainability. This linear, geometric structure winds along an orthogonal axis over a length of 105 meters and a width of 21 meters. The height varies between two and five floors, plus an underground level serving parking and storage purposes. The north, east and west facades are lightened up by glass windows and other technical-construction expedients, such as the air-conditioning system constructed out of cold beams combined with the primary airflow incorporated in a double ceiling to create a carefully monitored and silent internal microclimate. Everything in this building is geared to transparency, luminosity, efficient environmental control, careful attention to the layout of interior space to facilitate work and relations between staff and customers, psychophysical and acoustic well-being thanks to the use of sound-absorbing materials and carpets, and the computerized management (BMS) of the air-conditioning and lighting systems. Add to this the shading systems, pedestrian paths, pools of water and tree-lined avenues, as well as the intelligent use of innovative products marketed by 3M, and it is easy to see that we are dealing with a construction designed to be a “biotechnological machine” equipped with mechanisms that enhance sustainability and recover heat in order to keep down energy consumption. The interior and exterior are designed along simple but clever lines. The south front is furbished with a set of balconies providing sheltered spaces designed like environmental blocks for handling sudden changes in climatic conditions in summer and winter. Photovoltaic panels are incorporated in the roof and facades for the twin purpose of generating electricity and enabling this sustainable structure to convey the firm’s corporate policy. The dynamic, glass premises are warm and welcoming and the furniture is highly functional, but most significantly of all light plays a key part in creating an ideal habitat for planning the future. 83 32_89_Project_26OK:28-91 Project 12 IT/ING ++ 04/01/12 14:40 Pagina 84 Particolare della sezione sulla facciata nord. Detail of the section of the north facade. 84 32_89_Project_26OK:28-91 Project 12 IT/ING ++ 04/01/12 14:40 Pagina 85 85 Particolare della sezione sulla facciata est. Detail of the section of the east facade. 86 87 Nella pagina a fianco, dal basso, planimetria generale, pianta del piano terra, sezione longitudinale e schema delle strategie climatiche in inverno. In questa pagina, particolari dell’edificio. Per la sua realizzazione sono stati utilizzati molti prodotti 3M del settore Construction: dal settore civile (isolamento acustico, rivestimenti, pavimenti, finiture, rendimento energetico), agli impianti (antincendio, domotica, distribuzione elettrica, dati, telefonia, condizionamento, sicurezza) alle aree esterne (segnaletica, illuminazione ecc.). Nelle pagine successive, l’edificio completato e viste delle diverse tipologie degli spazi destinati agli uffici. Opposite page, from the bottom up, site plan, ground floor plan, longitudinal section, and diagram of winter climatic strategies. In this page, details of the building which has been realized using several 3M’s products of the Construction department: from the civil sector (sound insulation, cladding, floors, finishes, energy efficiency) to the systems (fire-fighting, domotics, electrical supply, data processing, telephone system, air-conditioning, safety) and outside areas (signposting, lighting etc.). Following pages, the completed building and views of the various typologies of office spaces. 88 89