Cafoscari Rivista universitaria di cultura

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Cafoscari Rivista universitaria di cultura
Università
Ca’Foscari
Venezia
Cafoscari
Rivista
universitaria
di cultura
L’anno che verrà
Giulia Baccini
Giorgio Bertinetti
Margherita
Cannavacciuolo
Maria Celotti
Federica Ferrarin
Simone Francescato
Marco Fumian
Mario Infelise
Alessandra Pelizzaro
Giovanna Puppin
Andrea Stocchetti
Alessandra Trevisan
Pierantonio Zanotti
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Anno XIII
Dicembre 2009
/
Interrogazioni
/
IL DIRETTORE
Oh, ma guardate che ci vuole una bella faccia tosta!
Uno che si spaccia per personaggio, venire a
domandare a me, chi sono!
IL PADRE
Un personaggio, signore, può sempre domandare a
un uomo chi è. Perché un personaggio ha veramente
una vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui è
sempre «qualcuno». Mentre un uomo – non dico lei,
adesso – un uomo così in genere, può essere
«nessuno».
[Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore,
edizione del 1921]
I saperi, le arti, i sistemi costituiscono la materia su cui si fonda la vocazione educativa; ma spesso
non basta tradurre il metodo in tecnica, e neppure coniugare nella giusta misura conoscenza e
retorica. Serve, piuttosto, imparare a interrogarsi, invitare chi ascolta a interrogare, fornire risposte
che hanno il sapore di nuove interrogazioni. In tal modo, forse, l’«anno che verrà» vedrà nascere
progetti e idee, animati dal desiderio e dall’utopia, come si addice ad ogni uomo che possa dirsi
«qualcuno».
***
Con questo numero si conclude, dopo quattro anni, la mia direzione della rivista «Cafoscari».
Ringrazio di cuore quanti hanno collaborato alla realizzazione dei singoli fascicoli, saluto la
redazione, gli amici e le amiche dell’Ufficio Comunicazione e relazioni con il pubblico.
Tutti insieme auguriamo al personale dell’Ateneo, agli studenti e ai lettori buone feste e un sereno
2010.
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/
La crisi
e i suoi insegnamenti
/
Giorgio Bertinetti,
Dipartimento di Economia
e Direzione Aziendale
“The crisis and its lessons” è il titolo della lezione che il
Presidente della Banca Centrale Europea, Jean Claude
Trichet, ha tenuto presso l’Auditorium Santa Margherita
della nostra Università lo scorso 9 ottobre.
La lucida e puntuale descrizione degli avvenimenti
svolta in tale occasione ha in primo luogo ripercorso le
tappe fondamentali degli eventi che hanno scosso i
mercati finanziari nell’ultimo triennio. E’ così emerso
come nell’agosto del 2007 l’improvviso calo di fiducia
nei confronti del sistema bancario abbia fatto
improvvisamente salire il costo della provvista sul
mercato interbancario di ben mezzo punto percentuale
al di sopra del tasso sulle operazioni prive di rischio. La
situazione è poi esplosa nel settembre del 2008,
quando il dichiarato stato di insolvenza di alcuni istituti
ha letteralmente fatto decollare i tassi interbancari fino
a tre punti percentuali al di sopra del tasso risk free
(figura 1).
tasso di sconto per complessivi 3,25 punti percentuali,
ma anche in buona misura di tipo “non convenzionale”.
Così, concedendo ampie opportunità di
rifinanziamento alle banche centrali locali, sia per
dimensione, sia per articolazione temporale, sia per
valuta, sia ancora per tipo di garanzie accettate, è
stato possibile sbloccare il mercato interbancario e
scongiurare la depressione che si sarebbe verificata se
fosse venuta meno la capacità di finanziare l’economia
reale. Nel contempo anche programmi di acquisto di
obbligazioni bancarie hanno permesso di ravvivare
tale mercato, di fondamentale importanza per il
finanziamento del settore.
Conforta il fatto che gli interventi effettuati abbiano
prodotto gli effetti sperati e che la strada per la ripresa
sia stata imboccata (figura 2), preoccupa tuttavia la
fragilità del sistema finanziario per il timore che nuove
condizioni di dissesto possano ripetersi.
La gravità della situazione era a quel punto tale da poter
portare al collasso del sistema, privo di liquidità e nel
contempo schiacciato tra tassi di interesse in forte
crescita, che rendevano assai oneroso tenere le
posizioni debitorie, e prezzi delle attività finanziate in
calo, che impedivano di ridurre l’indebitamento
attraverso la loro dismissione.
In siffatto contesto, al fine di far rientrare sotto
controllo la situazione gli interventi della Banca
Centrale Europea hanno dovuto essere non soltanto di
dimensione importante, come nel caso dei tagli al
L’attenzione deve pertanto dedicarsi alla ricerca di come
abbia potuto accadere tutto ciò, e, di conseguenza, degli
interventi da effettuare perché non abbia a
ripresentarsi.
Al riguardo, dalla lezione del Presidente è emerso
chiaramente come la ricerca di performance di breve
periodo abbia in passato spinto l’industria finanziaria a
sganciare progressivamente la propria attività dai
fabbisogni dell’economia reale, portando il sistema a
creare nuovi prodotti e ad accollarsi crescenti rischi
finanziari. Non solo, i titoli che incorporavano tali rischi
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erano scambiati tra operatori sul mercato, dove l’analisi
del merito di credito del debitore finale era sostituita
dalla fiducia nell’intermediario che aveva montato
l’operazione. Come sostenuto da J. E. Stiglitz, anche in
occasione della sua lectio magistralis per laurea Honoris
Causa che la nostra Università gli ha conferito il 14
maggio 2008, aumentando il numero di passaggi tra
debitore finale e creditore le asimmetrie informative
crescono e diviene pertanto possibile, per operatori
spregiudicati, trasferire rischi a terzi senza che essi
siano pienamente evidenti o, il che è la stessa cosa, a
prezzi che non ne scontano l’effettiva dimensione.
Siffatto comportamento non è solo eticamente e
deontologicamente censurabile, ma è anche fortemente
destabilizzante poiché prociclico. Infatti, fino a che
l’economia risulta in fase di crescita la probabilità che
elevati rischi più o meno consapevolmente acquisiti
manifestino il loro lato negativo (downside risk) è
contenuta, il che spesso induce gli operatori ad
accumulare sempre maggiori posizioni rischiose.
Quando però il ciclo economico si inverte, si manifesta
con prepotenza il lato negativo del rischio (downside
risk), portando perdite in conto capitale anche
considerevoli proprio nel momento in cui sarebbe
fondamentale disporre di una solida base di ricchezza
su cui costruire il rilancio dell’economia.
La ricetta per una futura maggiore stabilità dei mercati
finanziari deve di conseguenza in primo luogo
provvedere a:
- contenere la prociclicità del sistema finanziario, magari
spingendo gli operatori ad accantonare riserve tecniche
nelle fasi ciclo economico positivo a copertura dalle
potenziali perdite in future fasi negative del ciclo;
- accrescere la trasparenza, minimizzando le
asimmetrie informative e riducendo le possibilità di
prendere posizioni eccessivamente rischiose, quali
quelle fondate sull’iperindebitamento e sull’abuso di
strumenti derivati;
- evitare l’attivazione di meccanismi di incentivazione
del management delle istituzioni finanziarie che
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possano indurre a privilegiare obiettivi di breve periodo.
Nel contempo Autorità e sistemi di controllo devono
attivare più stringenti meccanismi di coordinamento,
tesi al controllo dei rischi e ad una politica di
sostenibilità macroeconomica di medio e lungo
periodo. Solo in questo modo si può pensare di
pervenire ad una bilanciata crescita mondiale.
Un unico commento finale pare doveroso. Le
determinanti degli errori del passato sono state
individuate e le direttrici di intervento per evitare che
in futuro si ripetano situazioni simili sono altrettanto
chiare, ma sarà effettivamente possibile raggiungere
un simile obiettivo?
Due sono gli ostacoli che, a parere di chi scrive,
potrebbero frapporsi.
In primo luogo, l’effettivo impegno delle principali
potenze economiche a cooperare per coordinare le
politiche di medio e lungo periodo in funzione di
un’equilibrata crescita mondiale potrebbe risentire
della diversa convenienza ad assumere un simile
impegno da parte di Paesi con tassi ed opportunità di
crescita assai diversi tra loro. Si pensi ad esempio che
India e Cina sono destinate ad entrare a breve nel G8,
al cui interno l’unico Paese europeo che dovrebbe
permanere è la Germania.
In secondo luogo, le attitudini dell’essere umano,
spesso non compatibili con principi di equità e di
trasparenza, lasciano presumere che difficile sarà la
rinuncia ad opportunità di grandi profitti, ancorché
iniqui. Del resto, anche nei modelli economicofinanziari “l’ingordigia” degli individui è di norma
considerata attraverso il principio di non sazietà e la
preferenza per livelli di ricchezza maggiori; nel
contempo l’egoismo individuale, che spinge ad
anteporre l’interesse personale a quello collettivo, è
ampiamente studiato tra le altre dalla teoria
dell’agenzia.
Spetta dunque agli esseri umani, come sempre, il
compito di imparare a rispettarsi reciprocamente ed a
non danneggiarsi.
/
Lifelong Learning
Programme
a Ca’ Foscari
/
Margherita Cannavacciuolo, Simone
Francescato, assegnisti,
Dipartimento di Americanistica,
Iberistica e Slavistica
L’Università Ca’ Foscari è stata sede della prima
edizione dell’Intensive Programme europeo “Frontiers &
Cultures: New Perspectives in Euro and Pan-American
Studies”, coordinato da Susanna Regazzoni e Daniela
Ciani e svoltosi in collaborazione con sette importanti
università europee. L’evento, che ha avuto luogo tra il 26
ottobre e il 7 novembre 2009, ha contribuito, e
continuerà a contribuire significativamente, al progetto
di internazionalizzazione dell’Università Ca’ Foscari. Le
due settimane di studio intensivo ospitate dal
Dipartimento di Americanistica, Iberistica e Slavistica,
hanno coinvolto in un’esperienza unica e senza
precedenti dottorandi e docenti provenienti dal nostro
Ateneo e dalle università di Alcalá de Henares e Cordoba
(ES), Lipsia e Monaco (D), Katowice (PL), Sofia (BG) e
Istanbul (TR). Il gruppo ha lavorato sui rapporti tra
nazionalismo e multiculturalità in Europa e nell’universo
transatlantico, impegnandosi in una rielaborazione del
concetto di “frontiera”, e spaziando dalla letteratura alla
storia, dalle arti visive alla musica. Il pacchetto formativo
era notevolmente ampio e variegato. Utilizzando le due
lingue previste dal programma, inglese e spagnolo, si
sono svolte lezioni frontali, attività seminariali e visite
culturali. Un forum in rete, appositamente costruito sul
portale dell’università, ha permesso ai partecipanti di
impostare e mantenere vivo un dibattito in cui tutti si
sono confrontati con interesse ed entusiasmo.
Madrina dell’evento è stata la studiosa di fama
internazionale Linda Hutcheon dell’Università di
Toronto, che ha inaugurato i lavori con una lezione sul
complesso rapporto tra multiculturalità e
postmodernismo. Il tema è stato ripreso dagli interventi
di Klaus Benesch (LMU, Monaco) ed Ewelina Szymoniak
(Univ. della Slesia, Katowice) che hanno illustrato i più
recenti sviluppi teorici sulle problematiche
transatlantiche, introducendo un seminario in cui sono
intervenute le docenti italiane A. Scacchi, E. Vezzosi, E.
Perassi e S. Serafin. Durante altri incontri si è analizzata
l’idea di “frontiera razziale” nell’ambito letterario ispanoamericano (Angel Estévez Molinero, Univ. di Cordoba;
Valle Del Valle Ojeda, Marco Presotto e Julian Gonzalez
Barrera) e nordamericano (Simone Francescato e Pia
Masiero). Al tema delle connessioni letterarie
transatlantiche era dedicato l’intervento di Hande
Tekdemir (Univ. di Bogazici, Istanbul), mentre Wilk
Raçieska (Univ. della Slesia, Katowice) ha suggerito un
interessante approccio di tipo cognitivo al tema della
multiculturalità.
Una ridefinizione multiculturale del concetto di arte è
stata al centro di un interessante seminario a cui hanno
partecipato Rosella Mamoli Zorzi e il maestro e direttore
d’orchestra Claudio Ambrosini, che ha vivacemente
illustrato l’essenza multiculturale della musica stessa,
presentando alcune sue composizioni. Sull’interazione
tra letteratura e arti visive, sono intervenuti Antonio
Fernández Ferrer (Univ. di Alcalá de Henares), sul
rapporto tra cinema e letteratura, Elide Pittarello sulla
relazione che intercorre tra poesia e rappresentazione
pittorica, e Kornelia Slavova (Univ. di St. Kl. Ohridski,
Sofia) che ha focalizzato il suo intervento sugli aspetti
multiculturali nel teatro contemporaneo
nordamericano. Infine, Alfonso de Toro ha esplorato la
“frontiera teorica” negli studi sulla multiculturalità,
proponendo un superamento del vecchio concetto di
intertestualità attraverso la teorizzazione della
transtestualità e transmedialità.
Particolarmente stimolanti e ricche di spunti sono state
le Tavole Rotonde organizzate intorno a tre temi centrali
– “Riscritture”, “Storia e Rappresentazioni”, “Letteratura
e Arti Visive”- che hanno visto la partecipazione attiva di
tutti gli studenti presenti. Una partecipazione che ci
auguriamo continui e si sviluppi negli anni futuri, e che
vedrà l’Università Ca’ Foscari sempre più protagonista
dell’universo accademico europeo e mondiale.
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L'impresa verso l'immateriale:
la ricerca di nuovi paradigmi
per il management
/
Andrea Stocchetti,
Dipartimento di Economia e Direzione Aziendale
Tra le dinamiche più rilevanti messe in luce dalla
letteratura manageriale nel corso dell’ultimo decennio,
due appaiono di portata epocale: lo spostamento della
creazione di valore verso risorse immateriali e
l’importanza della sostenibilità nell’azione d’impresa.
La smaterializzazione del valore cambia il peso relativo
dei fattori produttivi: assegna importanza alle risorse di
conoscenza e alle doti di coordinamento mentre
ridimensiona il ruolo delle risorse fisiche e del presidio
della tecnologia. La tensione verso la sostenibilità assegna
all’impresa responsabilità di cui non era consapevole e
crea i presupposti per una contabilizzazione di costi e
valore molto differente da quella degli schemi tradizionali,
ma più aderente alle conseguenze dell’agire
imprenditoriale sul sistema socio-economico.
Questi due fenomeni, apparentemente slegati tra loro,
hanno in comune il fatto di costringere l’impresa a
ripensare il proprio rapporto con l’ambiente in senso lato,
comportando un ordine di complessità rispetto al quale
le imprese (in particolar modo quelle medie e piccole)
sono in genere poco attrezzate. Si tratta, infatti, di un
cambiamento complesso e difficile da gestire, più di
quanto non lo siano ad esempio i cambiamenti nella
tecnologia, nella domanda, nei mercati di sbocco e delle
risorse, e così via. Le imprese, infatti (si dovrebbe dire una
parte delle imprese, ma stiamo ragionando su un
idealtipo) sono molto brave nel governare il cambiamento
tecnologico, la riprogettazione funzionale, il ridisegno dei
processi e altre forme di innovazione che investono ciò
che in qualche modo ha un diretto rapporto con le varie
competenze organizzative sviluppate internamente. Di
rado, invece, sono altrettanto efficaci nel gestire le macrotendenze ambientali, quei cambiamenti che investono
simultaneamente e in modo radicale diverse aree di
conoscenza e che rimettono in discussione la formula
imprenditoriale nel suo complesso.
Testimonianze di questa sorta di inerzia sistemica si
possono trovare anche in tempi relativamente recenti. Ad
esempio, in occasione della diffusione di internet, in molti
settori le imprese hanno letto il fenomeno in termini quasi
esclusivamente tecnologici e commerciali,
sottovalutando i rischi e/o perdendo di vista le
opportunità di quello che poi si è rivelato essere un
fattore capace di mutare radicalmente le strutture di
domanda e offerta, di creare nuove forme di business e di
sancire la sostanziale scomparsa di interi comparti. In
altro contesto, il simultaneo evolvere della
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globalizzazione e dei sistemi di produzione “snelli”
raramente è stato affrontato dalle imprese in termini di
ripensamento della business idea, quanto piuttosto come
un problema di delocalizzazione ed esternalizzazione. In
entrambi i casi non sono mancate le spinte innovative,
sono però state quasi sempre circoscritte ad aspetti
parziali, tranne ovviamente in quei “casi aziendali” che
proprio in quanto atipici sono proposti come esempi.
Con tutti i limiti delle generalizzazioni (e qui si tratta
dopotutto di una generalizzazione estrema)
sembrerebbe di poter dire che, sebbene le imprese siano
in continua tensione verso il perfezionamento dei
processi, esista una sostanziale inerzia nei confronti del
ripensamento d’insieme. Le ragioni di ciò sono ancora
oggi difficili da comprendere, nonostante il cambiamento
e l’innovazione siano concetti forte della cultura
imprenditoriale, i convitati più o meno visibili o espliciti di
una vasta letteratura e di un gran numero di concetti
chiave delle discipline manageriali. L’imprenditorialità
stessa esprime, direi quasi per antonomasia, la costante
tensione al mutamento dei fenomeni economici e come
questi siano avidi di innovazione. Ma è anche vero che
l’impresa nasce spesso come un atto creativo che, per
quanto accompagnato da robusti supporti “tecnici”, fatti
di stime, piani, tecnologie, analisi e quant’altro, appare
pur sempre legato ad una sorta di alchimia non
propriamente formalizzabile e comunque unica o quasi;
a ben vedere, perfino il fatto che si usi il termine “casi
aziendali“ molto più spesso che “tipi aziendali” sembra
esprimere il sottostante di fortuito che, più o meno
inconsapevolmente, si assegna alle sorti dell’impresa.
Nella contrapposizione che ne deriva circa la reale natura
della gestione del cambiamento, se richieda creatività o
scienza, se sia governata dal caso o dalla pianificazione,
la scelta delle masse ricade sistematicamente sulle
prime ipotesi, se non altro perché quegli argomenti
rifuggono la formalizzazione e non richiedono la mole di
conoscenza ed esperienza richiesti invece da una
descrizione scientifica. In questo quadro è fuorviante e
dannosa la banalizzazione della conoscenza manageriale
ad opera dei tanti “intermediari” e “operatori” economici
che tendono a ridurre ogni questione a categorie
semplici, così come a circoscrivere problemi di vasta
portata a soluzioni di ordinaria amministrazione.
Smaterializzazione delle fonti di valore non vuol dire solo
importanza del marchio o del design, e la sostenibilità
non è solo inquinare e consumare meno, tanto per citare
© Foto Stefania Massenz
i più comuni tra gli esempi di banalizzazione estrema.
Di certo vi è che alla fine di tutto ciò la gestione del
cambiamento e dell’innovazione è percepita più spesso
come arte che come scienza, quando in realtà è un
problema che va affrontato in modo sistematico e,
soprattutto, integrando il cambiamento dei processi e
delle tecnologie all’interno di un processo di innovazione
strategica che coinvolga la stessa visione dell’impresa.
L’innovazione incrementale, infatti, è necessaria ma non
sufficiente a garantire quella continua ridefinizione
dell’equilibrio tra impresa e ambiente richiesta dai
mutamenti di cui si parla. Se mi è concessa una
metafora, si immagini un viaggiatore che ha una o più
mete di riferimento, per raggiungere le quali deve
affrontare ostacoli e insidie le più varie. Queste
condizionano la sua direzione non solo per i problemi che
comportano, quanto per il fatto che ad ogni cambio di
direzione cambiano le mete raggiungibili e le priorità. Nel
management questo fenomeno è chiamato path
dependence e in concreto comporta, tra le altre cose, che
la strategia non è autonoma rispetto alle decisioni che si
potrebbero definire “operative”; ma le scelte operative
che risultano utili per superare le contingenze possono
essere disfunzionali rispetto al disegno strategico
complessivo. In qualunque organizzazione, una volta
acquisite specifiche risorse di conoscenza, queste
reclamano una propria autonomia e valorizzazione, ed è
impensabile che non facciano del loro meglio per
riorientare la direzione dell’organizzazione stessa. Lo si
vede anche nelle Università, dove i rapporti di forza tra i
raggruppamenti disciplinari e i docenti che vi fanno capo
condizionano le scelte nella didattica e nella ricerca
molto più di quanto non faccia la dialettica con la società
civile, alla quale l’Università deve render conto delle
proprie strategie.
In tutto questo, i temi della smaterializzazione del valore
e della sostenibilità non sono semplicemente due tra le
tante mode manageriali di stagione, ma passaggi
obbligati per ripensare il sistema economico in modo
compatibile con lo sviluppo di lungo termine della
società e, secondo alcuni, perfino del genere umano,
dove il riferimento va chiaramente alle conseguenze più
estreme, ma purtroppo del tutto plausibili e concrete,
della non-sostenibilità. Tornando alla metafora, le
imprese e la società stessa si trovano sopra un ghiaccio
sottile (risorse in rapido esaurimento) e avvolti dalla
nebbia (incertezza sulle strategie più opportune);
occorre che i movimenti siano agili e leggeri (cogliere il
valore derivante dalle risorse immateriali e dalle doti di
coordinamento) così come occorre dotarsi di strumenti
capaci di guardare al di là delle strette vicinanze (creare
le condizioni per uno sviluppo durevolmente sostenibile).
Fuor di metafora, la prossima frontiera degli studi di
management deve essere rivolta a strumenti per la
gestione dell’innovazione e di analisi strategica più
evoluti rispetto a quelli tradizionali; occorre superare
l’approccio all’adattamento puntuale e la visione
riduttiva dell’innovazione come innovazione tecnologica
e ridisegno dei processi. Occorre che le innovazioni
operative siano parte di un disegno strategico sviluppato
in modo coerente con l’ambiente e in modo da essere
motore dello sviluppo sostenibile di lungo termine.
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Pop in corso/a:
cantiere di studi sulle culture pop
della Cina contemporanea
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Giulia Baccini, gruppo D.A.O.- Dottorandi Asia Orientale;
Marco Fumian, Giovanna Puppin, Comitato scientifico;
Pierantonio Zanotti, di Studi sull’Asia Orientale
Lei Feng prima serviva le masse, ora studia da colletto
bianco, accende la TV, perde la testa per una supergirl.
Il popolo è out, il pop è in.
La nostra idea di un ciclo di seminari sulla cultura pop
cinese è nata in continuità con la serie di incontri sul pop
giapponese organizzati dal gruppo studentesco Poppu
–!!! che si sono svolti con ottimo riscontro nel
Pawa
secondo semestre dell’a.a. 2008/2009. Come gruppo
D.A.O. (Dottorandi Asia Orientale), incoraggiati dal
successo della giornata sulla traduzione “Translating
Worlds”(28/05/2009), abbiamo raccolto simbolicamente
il testimone dei compagni di giapponese per lanciare
una nuova sfida epistemologica: esiste il “pop cinese”?
E se sì, dove va cercato?
Il nostro “cantiere” intende avvicinare gli studenti alla
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poco esplorata cultura pop della Cina contemporanea,
mostrando loro un mix di istantanee scattate nei più
svariati ambiti culturali; gli incontri prevedono un’ampia
rosa di relatori – accademici, dottorandi e professionisti
– che vengono a raccontare il loro punto di vista su
alcune fra le più interessanti manifestazioni pop cinesi
attuali, cercando di dare rilievo anche alle dinamiche che
ne regolano la produzione e il consumo, e lo spazio che
esse occupano nell’esperienza degli individui.
Le culture pop dell’Asia Orientale reclamano spazio a
livello accademico, e noi glielo diamo.
L’iniziativa si svolge grazie ai fondi di Ateneo per le
attività studentesche autogestite e il patrocinio del
Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale.
Il calendario degli incontri e i materiali relativi sono
disponibili sul sito: www.culturapop09.wordpress.com
/
Sinizzazione di un manga:
adolescenti e letteratura pop
nella Cina contemporanea
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Marco Fumian, Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale
Il primo incontro del nostro cantiere di studi sul “pop”
cinese ha avuto per oggetto l’interpretazione di un
“popolare” testo di letteratura, il romanzo scritto dal
giovanissimo autore Guo Jingming Città incantata
(Huancheng, 2003).
L’opera merita attenzione per due ordini di motivi: in
primo luogo costituisce uno dei primi e più clamorosi
successi dell’industria culturale cinese (la
commercializzazione della cultura, nella Repubblica
Popolare Cinese, è cominciata alla fine degli anni Ottanta,
per affermarsi pienamente solo nel decennio successivo);
in secondo luogo ha suscitato una vasta e profonda
risonanza fra i suoi lettori (per lo più adolescenti urbani
del ceto medio), di cui esprime significativamente
l’immaginario e le “strutture di sentimento”.
Chiave di lettura per l’interpretazione del romanzo è la
nozione di “mito”. Da un lato perché sul piano formale la
narrazione si presenta effettivamente come mitica (il
romanzo è una storia fantasy ispirata al manga
giapponese RG Veda, il cui titolo è un rimando
all’omonimo libro sacro indiano), dall’altro perché essa
ha prodotto nel suo pubblico profondi effetti di
proiezione e identificazione, in gran misura inconsci.
In sintesi, il mito narra la storia di un malinconico
sovrano adolescente, che parte per un’avventurosa
ricerca al fine di resuscitare l’amato fratello minore (da
lui stesso ucciso poiché quegli gli contendeva il trono),
il quale, una volta tornato in vita, lo costringe al suicidio:
ciò che viene rispecchiato, attraverso il filtro simbolico
del mito, è l’anelito diffuso, da parte della comunità dei
lettori, a ricostituire sul piano immaginario una sfera
affettiva integra e soddisfacente che nella vita reale è
invece percepita largamente come frustrata e
menomata.
Una simile lettura allegorica ha consentito di inserire la
narrazione mitica nella dimensione sociale in cui si
sono prodotti sia l’immaginario di Città incantata sia le
“strutture di sentimento” dei suoi lettori. Da un lato,
infatti, ha imposto di indagare gli aspetti fondamentali
alla base dell’esperienza comune all’autore e ai lettori
(l’appartenenza alla prima generazione dei cosiddetti
“figli unici” e la vita nel mondo scolastico); dall’altro,
invece, ha richiesto di considerare gli effetti
dell’ideologia dominante, il cui slogan più significativo è
“lo sviluppo è l’unica ragione dura”, sulla strutturazione
della soggettività degli adolescenti urbani.
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CHINA POP RECYCLES:
il riciclaggio di icone rivoluzionarie
cinesi in pubblicità
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Giovanna Puppin, Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale
Una cinquantina di anni fa, slogan come “La luce del pensiero
di Mao Zedong illumina la via della Grande rivoluzione
culturale proletaria!” accompagnavano i visual dei poster di
propaganda, che immortalavano quasi sempre il Grande
Timoniere mentre sorrideva rassicurante (Fig. 1).
Dalla fine degli anni ’70, sono stati ben altri gli slogan e i visual
trasmessi dai mass media: quelli della pubblicità
commerciale. È nel rinnovato contesto di riforme e apertura
che la pubblicità inizia a godere di una reputazione migliore:
etichettata in passato come “frutto del capitalismo”, è stata
reintrodotta nel paese attraverso un processo di
legittimazione, dal quale è uscita insignita di titoli prestigiosi
come quello di “acceleratore dello sviluppo economico”. In
tempi recenti, a questo fenomeno se n’è aggiunto un altro: il
riciclaggio di icone rivoluzionarie cinesi in pubblicità.
Nel 2007, all’esterno di un ristorante di Nanchino, è stato
affisso un cartellone che vedeva come testimonial proprio
Mao. Il volto del leader, che corrisponde al famoso ritratto di
Piazza Tian’anmen, compariva dentro a un ovale posto alla
destra del bodycopy: “Giuriamo al Presidente Mao che tutte le
nostre pietanze hanno uno sconto del 50 %” (Fig. 2).
L’icona di Mao è stata “riciclata” dal proprietario del ristorante
come garanzia di onestà, ma il contesto è completamente
opposto rispetto a quello in cui veniva utilizzata in passato: non si
tratta più di propaganda politica (comunista), bensì di libero
mercato (capitalista).
Nelle pubblicità occidentali, l’icona di Mao è stata “ritoccata”
in maniera hard: qui ritroviamo il leader cinese in una versione
decisamente meno classica, ovvero truccato come il cantante
del gruppo The Kiss. Lo slogan, che assolve alla funzione
definita da Roland Barthes ancrage, recita: “Hard Rock is the
real Cultural Revolution” (Fig. 3).
Realizzata nel 2007, questa pubblicità era parte di una
campagna per una radio greca, che ha utilizzato anche le
icone di Hitler e Stalin, facendo sempre ricorso alla metalepsi
visiva.
Dalle pubblicità made in China esaminate nel corso di questo
incontro, è emerso che gli ibridi che nascono dall’unione di
cultura rivoluzionaria e cultura commerciale rispecchiano
appieno le contraddizioni del socialismo di libero mercato
cinese. E sono proprio le stesse contraddizioni che vengono
additate e criticate, in maniera più esplicita e ironica, anche
dai pubblicitari occidentali.
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Il corpo delle donne
/
Alessandra Trevisan, Dipartimento
di Americanistica, Iberistica e Slavistica
A conclusione della seconda edizione del corso
“Donne, Politica ed Istituzioni”, organizzato dal
Comitato Pari Opportunità del nostro Ateneo, il 13
novembre scorso all’auditorium Santa Margherita è
stato proiettato il documentario Il corpo delle donne di
Lorella Zanardo, Marco Malfi Chindemi e Cesare
Cantù. Al tavolo di discussione, coordinato da Romana
Frattini, docente di Fisica, responsabile del corso,
hanno partecipato oltre a Lorella Zanardo, Silvia
Burini, docente di Storia dell’arte russa, Susanna
Ragazzoni, docente di Lingua e letterature ispanoamericane, Nicoletta Benatelli, giornalista e Maria
Elena Petrilli, psicoterapeuta.
Si tratta di un video sul degrado della televisione
italiana da cui sono scomparse le donne vere,
sostituite da una loro rappresentazione volgare e
distorta. Scorrono immagini di donne con il labbro
superiore irrigidito senza sorriso, maschere con le
labbra gonfie e il corpo rifatto dalla chirurgia plastica,
che non esprimono più né età né sentimenti. I
programmi stessi, i giochi e gli spettacoli che vedono
partecipare giovani aspiranti veline, del resto,
appaiono irreali e sconcertanti. Gli uomini sono vestiti
e le donne svestite, gli uomini parlano e le donne
tacciono e applaudono servili. Alcune scene sono
impressionanti. Una ragazza, per esempio, è appesa a
un gancio e come a un prosciutto le vengono
stampigliate le natiche. “Perché le donne non si
ribellano?” chiede più volte Zanardo agli spettatori.
Erica Jong avrebbe risposto così, commenta
Regazzoni: “La schiava migliore / non avrà bisogno di
essere colpita. / Si colpirà da sola / … con la tagliente
frusta / della sua lingua / e il ticchettìo sottile / della
sua intelligenza / contro la sua intelligenza.”
Il documentario che ha conosciuto un’ampia
diffusione tramite internet (www.ilcorpodelledonne.it)
ed è stato doppiato in numerose lingue, ha avuto
risonanza nella stampa internazionale e ha suscitato
diverse riflessioni e discussioni. Che cosa è accaduto?
In questi ultimi sei mesi è emerso, osserva Zanardo,
che le donne non erano zitte bensì zittite. La
disuguaglianza invisibile si trasmette soprattutto
attraverso la cultura e i mezzi di comunicazione,
ovvero, attraverso testi scritti e visivi che costituiscono
e configurano il nostro modo di pensare e
condizionano i nostri modelli di identità. Se è vero che
le donne sognano attraverso i sogni degli uomini, è
necessario un cambiamento di valori, un
cambiamento nella condotta etica che generi nuovi
valori estetici che ci permettano di sognare i nostri
sogni. Le battaglie vinte finora per ottenere uno status
di dignità e libertà ci hanno portato all’uguaglianza
giuridica, ma resta ancora molto da fare nel campo del
linguaggio, della cultura e dell’immaginario sociale. A
questo punto la questione non riguarda più soltanto le
donne, ma anche gli uomini tutti, perché della violenza
e dell’umiliazione che queste immagini trasmettono è
responsabile tutta la società.
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Career Day 2009
a Ca’ Foscari
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intervista a cura di Federica Ferrarin
Ha appena tre anni, ma può già vantare grandi numeri.
Dall’avvio con la prima edizione nel 2007 che portava
a Ca’ Foscari 700 studenti, il Career Day è salito nelle
due edizioni successive a 1800 studenti partecipanti.
La formula dell’open day in cui studenti e laureati
potevano avere un contatto diretto con le aziende,
portare agli stand i loro curriculum, fare colloqui con i
responsabili delle risorse umane di imprese anche
molto conosciute, si è rivelata vincente e di grande
appeal per studenti e neolaureati.
La sede storica di Ca’ Foscari ha sospeso le normali
attività per far posto agli stand di 28 aziende nazionali
e internazionali tra cui banche, aziende, agenzie di
consulenza, gruppi internazionali, agenzie interinali.
Ragazzi speranzosi con fogli e fogli di curriculum in
mano si aggiravano per i piani di palazzo facendo la fila
davanti ai banchi dell’azienda più vicina al loro settore
di studi.
Ma uno su mille ce la fa....
Anche Elena De Lazzari l’anno scorso era tra loro, ma
quest’anno si trova dall’altra parte della barricata, a
raccogliere i curriculum dei suoi ex colleghi di studio e
a dispensare consigli e incoraggiamenti. E’ stata infatti
assunta a tempo indeterminato come assistente di
Direzione alla Moncler del Gruppo Industries.
Qual è stato il tuo percorso per arrivare a essere
inserita in Industries Spa?
Maturità scientifica, una laurea triennale in Marketing
e Gestione delle imprese, conseguita a Ca’ Foscari
rispettando i tempi, poi la laurea specialistica in
Marketing e Comunicazione con indirizzo quantitativo.
Fin dalle scuole superiori ho svolto una serie di lavori
estivi in negozi ed agenzie turistiche del centro storico
di Venezia; esperienze che mi hanno indubbiamente
aiutato ad implementare la mia conoscenza delle
lingue estere nonché hanno consentito lo sviluppo
delle mie attitudini relazionali e delle capacità
personali che ritengo siano delle variabili
estremamente importanti per attività lavorative
inerenti all’ambito commerciale.
Mi sono presentata lo scorso anno alla seconda
edizione del Career Day ed ho avuto l’opportunità di
lasciare il mio curriculum e di fare un primo colloquio
conoscitivo, cui ne sono seguiti altri 3 con i
responsabili HR ed il mio attuale dirigente.
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L’inserimento in Industries è stato molto positivo, ho
avuto attorno a me persone molto capaci e disponibili
sin dal primo giorno e mi è stato possibille instaurare
dei rapporti lavorativi molto proficui e stimolanti.
Quali sono stati secondo te i motivi per cui sei
stata scelta in mezzo a tanti altri candidati e cosa
puoi consigliare a chi si accinge, come te l’anno
scorso, a cercare un lavoro attinente al suo
percorso di studi?
Personalmente ritengo che la voglia di fare, di mettersi
realmente in gioco e di dimostrare, credendoci nel
profondo, di essere “la persona giusta” siano le
variabili chiave per avere successo in un colloquio
conoscitivo.
Un ottimo punto di partenza è il presentarsi “in linea”
con quelle che secondo noi possono essere le
aspettative del responsabile aziendale per il ruolo
proposto, mantenendo allo stesso tempo franchezza e
trasparenza.
Tuttavia ho avuto modo di sostenere svariati colloqui,
più o meno di successo, e devo ammettere hanno tutti
avuto un’importante valenza formativa.
Mi sento quindi di consigliare a tutti di non rifiutare
mai in primis un colloquio in quanto si è sempre in
tempo per rifiutare un’offerta decidendo di non
intraprendere quel percorso lavorativo, è invece
importante capitalizzare quella singola esperienza ai
fini di conseguire una certa abilità nel sostenere e
gestire i primi contatti con un responsabile della
selezione risorse umane.
Quanto contano le caratteristiche personali e
quanto le competenze specifiche e gli studi fatti?
Sono due fattori estremamente importanti.. seguendo
la mia natura economista azzarderei un 50 e 50..
Devo dire che sono entusiasta del mio percorso di
studi e credo che la facoltà di economia, qualsiasi sia
l’indirizzo di specializzazione, garantisca buone
prospettive di impiego nel breve o medio termine.
Ad ogni modo per quanto riguarda la mia esperienza
personale durante le selezioni iniziali i test svolti erano
di tipo psico-attitudinale più che nozionistici, in tal
senso il percorso universitario consente di avere una
certa flessibilità mentale ed una predisposizione al
ragionamento.
Il livello di preparazione ed i concetti interiorizzati in
questi lunghi anni di studio avranno modo di affiorare
in seguito, nelle singole attività quotidiane; all’inizio le
variabili chiave sono secondo me l’attitudine a portare
a termine un progetto in tempi brevi/brevissimi e ad
immagazzinare informazioni molto velocemente, a tal
riguardo mi sento di affermare che Ca’ Foscari è
davvero una buona palestra!
Che impressione hai avuto degli studenti che ti sei
trovata davanti? Fiduciosi o pessimisti?
Pensi che questo tipo di manifestazioni possano
servire a facilitare il contatto dei giovani con il
mondo del lavoro o che siano solo un’utile vetrina
per le aziende?
Chiaramente scontrarsi con una realtà fatta di centinaia
di ragazzi in coda davanti agli stand aziendali non è
semplice, l’idea di essere “in lizza” con i tuoi compagni
di corso e con persone molto qualificate provenienti da
esperienze di master all’estero o percorsi di ricerca
universitaria può essere disincentivante. Tuttavia in quel
contesto mi sembravano tutti molto fiduciosi e “carichi”.
Personalmente credo non ci debba essere spazio per il
pessimismo in occasioni come queste, si può entrare in
contatto con aziende di ottimo livello e le opportunità di
inserimento esistono realmente, la mia esperienza ne è
una prova.
Il mio bilancio sul Carreer Day? Una fantastica
occasione! Ho partecipato a tutte e tre le edizioni ed ho
notato che avvicinandomi alla data della laurea
l’interesse delle aziende per il mio profilo aumentava,
l’ho interpretato come un segnale della loro intenzione
veritiera di introdurre delle nuove risorse nell’organico,
passando comunque per il tramite di un “primo
contatto” di stage.
Dovrebbero essere molto più frequenti eventi di
questo tipo!
Hai qualche suggerimento da dare in proposito?
Insistere! La voglia di fare e di impegnarsi dando
sempre il 100% sono convinta venga ricompensata, è
solo una questione di tempo. Non siamo manovalanza
intellettuale a costo zero, ma delle risorse importanti
ed il nostro valore dipende da quanto sappiamo far
risaltare le nostre attitudini, capacità e conoscenze. Il
primo passo per affrontare l’oceano del mondo del
lavoro? Avere un “atteggiamento vincente”!
Nonostante la congiuntura attuale e la difficoltà nella
ricerca del posto di lavoro sicuramente storie come
questa aiutano ad avere fiducia nel futuro.
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Un affresco nel cortile.
La Madonna con il Bambino
di Giovanni Schiavoni
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Maria Celotti, docente
Giovanni Schiavoni, Madonna con il Bambino
Se nel cortile di un nobile palazzo veneziano vediamo
un affresco che attira la nostra attenzione e ci
chiediamo chi ne sia l’autore, difficilmente pensiamo di
attribuirlo a uno dei proprietari della dimora,
considerato che la tecnica richiesta da questo genere di
pittura prevede l’uso di malta, intonaco e pigmenti, da
usare con competenza di professionisti; ancor più se il
dipinto, collocato in un’edicola sopra una porta, ha
richiesto di staccare i piedi da terra per eseguirlo.
Ma il motivo principale della mancata identificazione
dell’autore sta nel fatto che si è oscurato il ricordo di
Giovanni Schiavoni (1804-48), che abitò nel palazzo, pur
con lunghe assenze, dal 1824 fino alla morte. L’affresco
in questione rappresenta una Madonna con il Bambino e
si trova in uno dei cortili della sede centrale di Ca’ Foscari
e precisamente nella corte di Ca’ Giustinian dei Vescovi,
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di fronte alla bella scala scoperta che porta al Rettorato.
La prima attribuzione dell’opera a Giovanni Schiavoni
fu avanzata da Luigi Sernagiotto nella biografia da
questi dedicata ai pittori Natale (1776-1858) e Felice
(1803-81) Schiavoni, rispettivamente padre e fratello
dell’artista sopra citato. Erede delle memorie della
famiglia e del palazzo, nel 1881 Sernagiotto scriveva:
«Esiste […], fatto da lui nel 1830 in casa Schiavoni, a
cielo aperto, sulla porta, che dal cortile mette in un
magazzino terreno, un affresco, rappresentante la
Madonna col Putto sul ginocchio, che è molto bello e
ben conservato e che fa conoscere la grande attitudine
che avea Giovanni Schiavoni per dipingere a fresco».
Questa attribuzione e questa datazione testimoniano
anche il recupero, in atto in quegli anni, della «tecnica
‘nazionale’ dell’affresco», una «tradizione
squisitamente italiana», che Fernando Mazzocca
presenta come elemento degno di nota nella difficile
stagione primo-ottocentesca dell’arte veneziana.
Nel 1936 Lodovico Foscari propose invece una
differente interpretazione che ha avuto un certo
seguito: che si tratti di un’opera «di buona epoca», vale
a dire più o meno coeva ad altre tracce di antichi
affreschi presenti sui muri esterni del palazzo, costruito
verso la metà del XV secolo.
A provocare un tale disorientamento nella datazione è
l’evidente maestria di cui ha dato prova il giovane
Giovanni Schiavoni nel rappresentare il soggetto
religioso alla maniera dei grandi maestri del
Cinquecento, com’era in voga nella pittura accademica
della prima metà del XIX secolo.
Giovanni, più che Natale e Felice Schiavoni, è un artista
quasi del tutto dimenticato, e la Madonna con il
Bambino del cortile di Ca’ Giustinian dei Vescovi risulta
essere il suo unico dipinto noto in città.
Per ritrovare una consistente quantità delle sue opere,
dobbiamo seguirlo a Iaşi, che era allora la capitale del
principato di Moldavia, dove eseguì ritratti, tavole di
soggetto religioso, litografie e disegni, conservati
presso le istituzioni pubbliche. L’artista arrivò nella città
moldava nel 1834, dopo aver lasciato Vienna su un
battello a vapore che scendeva il Danubio, nel pieno
della tendenza romantica dei pittori-viaggiatori, e lì
visse per lunghi periodi fino al 1843. Gli studi sull’arte e
sulla cultura moldava dell’Ottocento mettono in luce il
ruolo fondamentale di innovatore svolto da Giovanni
Schiavoni come ‘pittore di ritratti e di storia’ e come
professore nella Accademia Mihǎileanǎ. Alexandrina
Mititelu nel suo saggio sui rapporti culturali tra Venezia
e la Romania, pubblicato nel 1964, individuò in Ca’
Giustinian dei Vescovi il palazzo dov’era vissuto
Giovanni Schiavoni e riferì a proposito dell’artista e del
suo dipinto nel cortile veneziano:
«C’è da rimpiangere che il suo insegnamento non si sia
svolto anche nella direzione dell’affresco, il cui segreto
egli conosceva bene […]. L’affresco, bello per le linee
nobili e pure del disegno, va deperendo, esposto com’è
all’aria e alle intemperie».
Osserviamo più da vicino la composizione dell’affresco:
a sinistra della Madonna che sorregge il Gesù bambino,
si distinguono le esili tracce della figura di un altro
bimbo – che secondo l’iconologia di questo genere di
dipinto religioso dovrebbe rappresentare San
Giovannino – e, dietro i personaggi, di un paesaggio,
elemento altrettanto consueto nella pittura veneziana.
Il colore è sparito quasi del tutto e della scena rimane
visibile essenzialmente il disegno. Per questo lo studio
in corso sull’affresco da parte dell’Ateneo è un’attesa
iniziativa per la conservazione di un prezioso bene che
porterà al ripristino dei suoi valori pittorici e al recupero
della figura di un artista di cui si è perduto il ricordo.
FRANCESCA BISUTTI e MARIA CELOTTI, «Illazioni su una scala:
Lady Helen D’Abernon a Ca’ Giustinian dei Vescovi», in
Oriente e Occidente sul Canal Grande, a cura di Rosella
Mamoli Zorzi, Annali di Ca’ Foscari, XLVI, 2, 2007.
LODOVICO FOSCARI, Affreschi esterni a Venezia, Milano, Ulrico
Hoepli, 1936.
FERNANDO MAZZOCCA, Immagini di arte italiana: Francesco
Hayez, Milano, Ricordi, 1999.
UGO GALETTI e ETTORE CAMESASCA, Enciclopedia della Pittura
Italiana, Milano, Garzanti, 1950.
ALEXANDRINA MITITELU, «Rapporti culturali romenoveneziani», Acta Philologica, tomus III, Romae, Societatea
Academicǎ Românǎ, 1964.
LUIGI SERNAGIOTTO, Natale e Felice Schiavoni. Vita, opere e
tempi, Venezia, Tipografia Municipale G. Longo, 1881.
Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di
Venezia e Laguna, Archivio fotografico.
FRANCESCO VALCANOVER, MARIA AGNESE CHIARI MORETTO WIEL,
ANTONELLA DALLA POZZA, BRUNO NOGARA, Pittura murale
esterna nel Veneto. Venezia e provincia, Giunta Regionale
del Veneto, Ghedina & Tassotti Editori, 1991.
Natale Schiavoni,
Ritratto del figlio Giovanni
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Il riflesso di un fiore.
Memorie fotografiche
di Giuseppe Mazzariol
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Il Dipartimento di Storia delle arti e conservazione dei
beni artistici “Giuseppe Mazzariol” e la rivista «Venezia
Arti», hanno promosso il 2 ottobre 2009, presso l’Aula
“Mario Baratto” dell’Ateneo di Ca’ Foscari, una giornata
di riflessione sul tema Il sistema delle arti. Didattica, fruizione, politiche culturali, dedicato allo stato delle arti
nella contemporaneità in relazione al rinnovamento delle
didattiche, ai problemi inerenti la diffusione e il consumo
dei beni artistici e alla necessità di definire ulteriori politiche culturali interessate a progettare il futuro.
All’inizio della giornata è stato ricordato il professore
Mazzariol, a vent’anni dalla scomparsa, con la presentazione, affidata a Bruno Barilli, del volume Colore segno
Giuseppe Mazzariol, nel suo studio a Ca’ Bernardo, 1988
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progetto spazio. Giuseppe Mazzariol e gli “Incontri con gli
artisti”, a cura di Franca Bizzotto e Michela Agazzi, pubblicato nella collana «Miscellanea» della Facoltà di
Lettere e Filosofia con il contributo del Dipartimento di
Storia delle arti e conservazione dei beni artistici.
Come è stato ricordato, sulla scrivania di Giuseppe
Mazzariol non mancava mai un fiore, un singolo fiore,
che spesso dava in dono ai suoi interlocutori.
La rivista «Cafoscari» intende rendere omaggio alla sua
figura di intellettuale, studioso e docente attraverso una
galleria fotografica, nella quale è ritratto sia con personalità della cultura e dell’arte, sia in momenti istituzionali
presso le Università di IUAV e di Ca’ Foscari.
Mazzariol tiene la prolusione per l’inaugurazione dell’anno accademico 1964-1965, IUAV, Venezia, aprile 1965
Mazzariol con Giulio Alessandri, Rosella Mamoli Zorzi, William Congdon, Vincenzo Fontana,
Istituto di Discipline Artistiche, Ca’ Foscari, seminario su Congdon, 1980
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Mazzariol con Rober Bresson, Leone d’oro alla XXVIII Mostra del cinema, nel giardino della Fondazione Querini Stampalia, settembre 1967
18
Mazzariol con Louis Kahn, 1968
19
Mazzariol e Carlo Scarpa relatori della tesi di laurea di Mario Botta, IUAV di Venezia, 1969
Mazzariol e Giulio Carlo Argan, Ferrara, giugno 1981
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Mazzariol con il Rettore Feliciano Benvenuti e Anco Marzio Mutterle in occasione del conferimento della laurea honoris causa a Biagio Marin,
Neri Pozza, Andrea Zanzotto, Ca’ Dolfin, Ca’ Foscari, Venezia, 9 marzo 1982
Mazzariol e Alberto Viani all’Accademia di Venezia, 1988
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Mazzariol, Cleto Munari, Luciano Gemin, Dipartimento di Storia e critica delle arti, Ca’ Foscari, 1984
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Per ricordare
Giuseppe Del Torre
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Mario Infelise, Dipartimento di Studi Storici
Giuseppe Del Torre è mancato lo scorso 26 ottobre.
Aveva da poco compiuto 50 anni. Come capita a chi
scompare nella piena maturità ha lasciato molti lavori
incompiuti: un libro sui rapporti tra patriziato
veneziano e istituzioni ecclesiastiche tra ‘400 e ‘500, a
cui aveva lavorato per molti anni e ormai quasi
ultimato, e poi tanti altri progetti avviati e portati
avanti, dai diari ancora inediti di Girolamo Priuli, alla
cultura veneziana del primo Ottocento e altro ancora.
Senza dubbio non mancheranno le occasioni per
ricordare questo suo impegno scientifico e per cercare
di portarlo avanti. Ma non è solo nella ricerca che si
misura la serietà e l’impegno di un docente. Giuseppe
si era molto impegnato a partire dal 1999 nei progetti di
riforma della didattica. So bene che questo è un
argomento delicato e che sia diffusa la convinzione che
i mali dell’università italiana siano iniziati con l’avvio
della riforma degli ordinamenti didattici del 1999.
Ma l’università non andava bene neppure prima e le
ragioni per provare ad adeguarla alle trasformazioni
della società c’erano tutte già allora. Giuseppe, del
resto, non credeva che quella riforma, con tutti gli
adattamenti successivi, fosse la migliore delle leggi
possibile. Era però fermamente convinto che
occorresse darsi da fare e che la riuscita della riforma
dipendesse in primo luogo dall’impegno delle
istituzioni universitarie e dalla buona volontà dei
docenti di superare interessi corporativi e personali.
Ha quindi lavorato senza sosta per alcuni anni per
infrangere tutte quelle resistenze determinate in realtà
dall’incapacità di vedere che i tempi sono cambiati e
che non è solo anacronistico, ma anche dannoso
entrare nel XXI secolo con la mentalità e lo spirito degli
anni ’50 del ‘900. Così aveva inteso per molto tempo il
suo generosissimo impegno come presidente del
corso di laurea in Storia, rammaricandosi peraltro di
non riuscire sempre a superare la diffidenza di molti
colleghi.
L’impegno in questo campo era d’altra parte
strettamente connesso con una dedizione tutta
particolare nei riguardi delle necessità degli studenti.
In tanti anni di amicizia avevo constatato che in questo
credeva più di ogni altra cosa. Lo studente in primo
luogo, nella convinzione che deludere uno studente o
ignorare una richiesta, per quanto bizzarra, fosse un
tradimento del proprio mestiere. Sapevo quanto a
questo tenesse, ma non l’avevo verificato a pieno
come nelle ultime settimane. Sinché ha potuto, sino al
definitivo aggravarsi delle condizioni di salute,
Giuseppe ha tenuto i contatti con gli studenti,
leggendo tesi, fornendo indicazioni e suggerimenti,
raccomandando a me e ad altri amici di rispondere alle
questioni a cui non era più in grado. Si spiega così il
dolore sincero e diffuso che è immediatamente
seguito all’arrivo della notizia della morte.
Diversi sono stati gli studenti che sono venuti a
trovarmi nei giorni successivi. Solo per parteciparmi il
dolore o per testimoniare la particolarità di una
relazione. Tra questi anche Ruy Yugami, studente
giapponese della laurea magistrale in Storia che stava
lavorando alla sua tesi. Aveva avuto istruzioni da
Giuseppe sino alla metà di settembre quando era
ritornato per qualche settimana in patria con l’accordo
che si sarebbero rivisti al rientro. Una volta ritornato a
Venezia Yugami, che non aveva avuto nessuna notizia
di quanto era avvenuto, gli ha scritto, come era solito
fare, per concordare un incontro. Ma con una solerzia
insolita, l’indirizzo deltorre@unive.it era già stato
cancellato dalla posta di Ca’ Foscari. Yugami si è rivolto
allora a me e qualche giorno dopo è venuto a trovarmi.
Con quel pudore e quell’eleganza che sono tutti
giapponesi, mi ha mostrato un video realizzato due
anni prima in occasione della laurea triennale e del suo
matrimonio, con lo scopo di spiegare alla famiglia e
agli amici giapponesi il senso della vita universitaria a
Venezia. Un’intervista a Giuseppe – il maestro, come
lo chiama Yugami – era il centro della narrazione. L’ho
rivisto, come l’avevo visto tante volte, seduto nel suo
studio mentre spiega ad un misterioso pubblico
giapponese in cosa era consistito il lavoro di ricerca
dello studente. In poche parole era riuscito a
trasmettere l’idea di un lavoro forse non facile da
comprendere in un paese così distante. Ma col suo
tono pacato e discreto anche una ricerca sul dazio del
vino a Treviso nel ‘600 riusciva a diventare occasione
d’incontro tra mondi lontani.
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Cafoscari
Rivista
universitaria
di cultura
Notiziario dell’Università Ca’ Foscari Venezia
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Mazzariol con Le Corbusier in gondola, 1965