Cafoscari Rivista universitaria di cultura
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Cafoscari Rivista universitaria di cultura
Università Ca’Foscari Venezia Cafoscari Rivista universitaria di cultura L’anno che verrà Giulia Baccini Giorgio Bertinetti Margherita Cannavacciuolo Maria Celotti Federica Ferrarin Simone Francescato Marco Fumian Mario Infelise Alessandra Pelizzaro Giovanna Puppin Andrea Stocchetti Alessandra Trevisan Pierantonio Zanotti 3 Anno XIII Dicembre 2009 / Interrogazioni / IL DIRETTORE Oh, ma guardate che ci vuole una bella faccia tosta! Uno che si spaccia per personaggio, venire a domandare a me, chi sono! IL PADRE Un personaggio, signore, può sempre domandare a un uomo chi è. Perché un personaggio ha veramente una vita sua, segnata di caratteri suoi, per cui è sempre «qualcuno». Mentre un uomo – non dico lei, adesso – un uomo così in genere, può essere «nessuno». [Luigi Pirandello, Sei personaggi in cerca d’autore, edizione del 1921] I saperi, le arti, i sistemi costituiscono la materia su cui si fonda la vocazione educativa; ma spesso non basta tradurre il metodo in tecnica, e neppure coniugare nella giusta misura conoscenza e retorica. Serve, piuttosto, imparare a interrogarsi, invitare chi ascolta a interrogare, fornire risposte che hanno il sapore di nuove interrogazioni. In tal modo, forse, l’«anno che verrà» vedrà nascere progetti e idee, animati dal desiderio e dall’utopia, come si addice ad ogni uomo che possa dirsi «qualcuno». *** Con questo numero si conclude, dopo quattro anni, la mia direzione della rivista «Cafoscari». Ringrazio di cuore quanti hanno collaborato alla realizzazione dei singoli fascicoli, saluto la redazione, gli amici e le amiche dell’Ufficio Comunicazione e relazioni con il pubblico. Tutti insieme auguriamo al personale dell’Ateneo, agli studenti e ai lettori buone feste e un sereno 2010. 2 / La crisi e i suoi insegnamenti / Giorgio Bertinetti, Dipartimento di Economia e Direzione Aziendale “The crisis and its lessons” è il titolo della lezione che il Presidente della Banca Centrale Europea, Jean Claude Trichet, ha tenuto presso l’Auditorium Santa Margherita della nostra Università lo scorso 9 ottobre. La lucida e puntuale descrizione degli avvenimenti svolta in tale occasione ha in primo luogo ripercorso le tappe fondamentali degli eventi che hanno scosso i mercati finanziari nell’ultimo triennio. E’ così emerso come nell’agosto del 2007 l’improvviso calo di fiducia nei confronti del sistema bancario abbia fatto improvvisamente salire il costo della provvista sul mercato interbancario di ben mezzo punto percentuale al di sopra del tasso sulle operazioni prive di rischio. La situazione è poi esplosa nel settembre del 2008, quando il dichiarato stato di insolvenza di alcuni istituti ha letteralmente fatto decollare i tassi interbancari fino a tre punti percentuali al di sopra del tasso risk free (figura 1). tasso di sconto per complessivi 3,25 punti percentuali, ma anche in buona misura di tipo “non convenzionale”. Così, concedendo ampie opportunità di rifinanziamento alle banche centrali locali, sia per dimensione, sia per articolazione temporale, sia per valuta, sia ancora per tipo di garanzie accettate, è stato possibile sbloccare il mercato interbancario e scongiurare la depressione che si sarebbe verificata se fosse venuta meno la capacità di finanziare l’economia reale. Nel contempo anche programmi di acquisto di obbligazioni bancarie hanno permesso di ravvivare tale mercato, di fondamentale importanza per il finanziamento del settore. Conforta il fatto che gli interventi effettuati abbiano prodotto gli effetti sperati e che la strada per la ripresa sia stata imboccata (figura 2), preoccupa tuttavia la fragilità del sistema finanziario per il timore che nuove condizioni di dissesto possano ripetersi. La gravità della situazione era a quel punto tale da poter portare al collasso del sistema, privo di liquidità e nel contempo schiacciato tra tassi di interesse in forte crescita, che rendevano assai oneroso tenere le posizioni debitorie, e prezzi delle attività finanziate in calo, che impedivano di ridurre l’indebitamento attraverso la loro dismissione. In siffatto contesto, al fine di far rientrare sotto controllo la situazione gli interventi della Banca Centrale Europea hanno dovuto essere non soltanto di dimensione importante, come nel caso dei tagli al L’attenzione deve pertanto dedicarsi alla ricerca di come abbia potuto accadere tutto ciò, e, di conseguenza, degli interventi da effettuare perché non abbia a ripresentarsi. Al riguardo, dalla lezione del Presidente è emerso chiaramente come la ricerca di performance di breve periodo abbia in passato spinto l’industria finanziaria a sganciare progressivamente la propria attività dai fabbisogni dell’economia reale, portando il sistema a creare nuovi prodotti e ad accollarsi crescenti rischi finanziari. Non solo, i titoli che incorporavano tali rischi 3 erano scambiati tra operatori sul mercato, dove l’analisi del merito di credito del debitore finale era sostituita dalla fiducia nell’intermediario che aveva montato l’operazione. Come sostenuto da J. E. Stiglitz, anche in occasione della sua lectio magistralis per laurea Honoris Causa che la nostra Università gli ha conferito il 14 maggio 2008, aumentando il numero di passaggi tra debitore finale e creditore le asimmetrie informative crescono e diviene pertanto possibile, per operatori spregiudicati, trasferire rischi a terzi senza che essi siano pienamente evidenti o, il che è la stessa cosa, a prezzi che non ne scontano l’effettiva dimensione. Siffatto comportamento non è solo eticamente e deontologicamente censurabile, ma è anche fortemente destabilizzante poiché prociclico. Infatti, fino a che l’economia risulta in fase di crescita la probabilità che elevati rischi più o meno consapevolmente acquisiti manifestino il loro lato negativo (downside risk) è contenuta, il che spesso induce gli operatori ad accumulare sempre maggiori posizioni rischiose. Quando però il ciclo economico si inverte, si manifesta con prepotenza il lato negativo del rischio (downside risk), portando perdite in conto capitale anche considerevoli proprio nel momento in cui sarebbe fondamentale disporre di una solida base di ricchezza su cui costruire il rilancio dell’economia. La ricetta per una futura maggiore stabilità dei mercati finanziari deve di conseguenza in primo luogo provvedere a: - contenere la prociclicità del sistema finanziario, magari spingendo gli operatori ad accantonare riserve tecniche nelle fasi ciclo economico positivo a copertura dalle potenziali perdite in future fasi negative del ciclo; - accrescere la trasparenza, minimizzando le asimmetrie informative e riducendo le possibilità di prendere posizioni eccessivamente rischiose, quali quelle fondate sull’iperindebitamento e sull’abuso di strumenti derivati; - evitare l’attivazione di meccanismi di incentivazione del management delle istituzioni finanziarie che 4 possano indurre a privilegiare obiettivi di breve periodo. Nel contempo Autorità e sistemi di controllo devono attivare più stringenti meccanismi di coordinamento, tesi al controllo dei rischi e ad una politica di sostenibilità macroeconomica di medio e lungo periodo. Solo in questo modo si può pensare di pervenire ad una bilanciata crescita mondiale. Un unico commento finale pare doveroso. Le determinanti degli errori del passato sono state individuate e le direttrici di intervento per evitare che in futuro si ripetano situazioni simili sono altrettanto chiare, ma sarà effettivamente possibile raggiungere un simile obiettivo? Due sono gli ostacoli che, a parere di chi scrive, potrebbero frapporsi. In primo luogo, l’effettivo impegno delle principali potenze economiche a cooperare per coordinare le politiche di medio e lungo periodo in funzione di un’equilibrata crescita mondiale potrebbe risentire della diversa convenienza ad assumere un simile impegno da parte di Paesi con tassi ed opportunità di crescita assai diversi tra loro. Si pensi ad esempio che India e Cina sono destinate ad entrare a breve nel G8, al cui interno l’unico Paese europeo che dovrebbe permanere è la Germania. In secondo luogo, le attitudini dell’essere umano, spesso non compatibili con principi di equità e di trasparenza, lasciano presumere che difficile sarà la rinuncia ad opportunità di grandi profitti, ancorché iniqui. Del resto, anche nei modelli economicofinanziari “l’ingordigia” degli individui è di norma considerata attraverso il principio di non sazietà e la preferenza per livelli di ricchezza maggiori; nel contempo l’egoismo individuale, che spinge ad anteporre l’interesse personale a quello collettivo, è ampiamente studiato tra le altre dalla teoria dell’agenzia. Spetta dunque agli esseri umani, come sempre, il compito di imparare a rispettarsi reciprocamente ed a non danneggiarsi. / Lifelong Learning Programme a Ca’ Foscari / Margherita Cannavacciuolo, Simone Francescato, assegnisti, Dipartimento di Americanistica, Iberistica e Slavistica L’Università Ca’ Foscari è stata sede della prima edizione dell’Intensive Programme europeo “Frontiers & Cultures: New Perspectives in Euro and Pan-American Studies”, coordinato da Susanna Regazzoni e Daniela Ciani e svoltosi in collaborazione con sette importanti università europee. L’evento, che ha avuto luogo tra il 26 ottobre e il 7 novembre 2009, ha contribuito, e continuerà a contribuire significativamente, al progetto di internazionalizzazione dell’Università Ca’ Foscari. Le due settimane di studio intensivo ospitate dal Dipartimento di Americanistica, Iberistica e Slavistica, hanno coinvolto in un’esperienza unica e senza precedenti dottorandi e docenti provenienti dal nostro Ateneo e dalle università di Alcalá de Henares e Cordoba (ES), Lipsia e Monaco (D), Katowice (PL), Sofia (BG) e Istanbul (TR). Il gruppo ha lavorato sui rapporti tra nazionalismo e multiculturalità in Europa e nell’universo transatlantico, impegnandosi in una rielaborazione del concetto di “frontiera”, e spaziando dalla letteratura alla storia, dalle arti visive alla musica. Il pacchetto formativo era notevolmente ampio e variegato. Utilizzando le due lingue previste dal programma, inglese e spagnolo, si sono svolte lezioni frontali, attività seminariali e visite culturali. Un forum in rete, appositamente costruito sul portale dell’università, ha permesso ai partecipanti di impostare e mantenere vivo un dibattito in cui tutti si sono confrontati con interesse ed entusiasmo. Madrina dell’evento è stata la studiosa di fama internazionale Linda Hutcheon dell’Università di Toronto, che ha inaugurato i lavori con una lezione sul complesso rapporto tra multiculturalità e postmodernismo. Il tema è stato ripreso dagli interventi di Klaus Benesch (LMU, Monaco) ed Ewelina Szymoniak (Univ. della Slesia, Katowice) che hanno illustrato i più recenti sviluppi teorici sulle problematiche transatlantiche, introducendo un seminario in cui sono intervenute le docenti italiane A. Scacchi, E. Vezzosi, E. Perassi e S. Serafin. Durante altri incontri si è analizzata l’idea di “frontiera razziale” nell’ambito letterario ispanoamericano (Angel Estévez Molinero, Univ. di Cordoba; Valle Del Valle Ojeda, Marco Presotto e Julian Gonzalez Barrera) e nordamericano (Simone Francescato e Pia Masiero). Al tema delle connessioni letterarie transatlantiche era dedicato l’intervento di Hande Tekdemir (Univ. di Bogazici, Istanbul), mentre Wilk Raçieska (Univ. della Slesia, Katowice) ha suggerito un interessante approccio di tipo cognitivo al tema della multiculturalità. Una ridefinizione multiculturale del concetto di arte è stata al centro di un interessante seminario a cui hanno partecipato Rosella Mamoli Zorzi e il maestro e direttore d’orchestra Claudio Ambrosini, che ha vivacemente illustrato l’essenza multiculturale della musica stessa, presentando alcune sue composizioni. Sull’interazione tra letteratura e arti visive, sono intervenuti Antonio Fernández Ferrer (Univ. di Alcalá de Henares), sul rapporto tra cinema e letteratura, Elide Pittarello sulla relazione che intercorre tra poesia e rappresentazione pittorica, e Kornelia Slavova (Univ. di St. Kl. Ohridski, Sofia) che ha focalizzato il suo intervento sugli aspetti multiculturali nel teatro contemporaneo nordamericano. Infine, Alfonso de Toro ha esplorato la “frontiera teorica” negli studi sulla multiculturalità, proponendo un superamento del vecchio concetto di intertestualità attraverso la teorizzazione della transtestualità e transmedialità. Particolarmente stimolanti e ricche di spunti sono state le Tavole Rotonde organizzate intorno a tre temi centrali – “Riscritture”, “Storia e Rappresentazioni”, “Letteratura e Arti Visive”- che hanno visto la partecipazione attiva di tutti gli studenti presenti. Una partecipazione che ci auguriamo continui e si sviluppi negli anni futuri, e che vedrà l’Università Ca’ Foscari sempre più protagonista dell’universo accademico europeo e mondiale. 5 / L'impresa verso l'immateriale: la ricerca di nuovi paradigmi per il management / Andrea Stocchetti, Dipartimento di Economia e Direzione Aziendale Tra le dinamiche più rilevanti messe in luce dalla letteratura manageriale nel corso dell’ultimo decennio, due appaiono di portata epocale: lo spostamento della creazione di valore verso risorse immateriali e l’importanza della sostenibilità nell’azione d’impresa. La smaterializzazione del valore cambia il peso relativo dei fattori produttivi: assegna importanza alle risorse di conoscenza e alle doti di coordinamento mentre ridimensiona il ruolo delle risorse fisiche e del presidio della tecnologia. La tensione verso la sostenibilità assegna all’impresa responsabilità di cui non era consapevole e crea i presupposti per una contabilizzazione di costi e valore molto differente da quella degli schemi tradizionali, ma più aderente alle conseguenze dell’agire imprenditoriale sul sistema socio-economico. Questi due fenomeni, apparentemente slegati tra loro, hanno in comune il fatto di costringere l’impresa a ripensare il proprio rapporto con l’ambiente in senso lato, comportando un ordine di complessità rispetto al quale le imprese (in particolar modo quelle medie e piccole) sono in genere poco attrezzate. Si tratta, infatti, di un cambiamento complesso e difficile da gestire, più di quanto non lo siano ad esempio i cambiamenti nella tecnologia, nella domanda, nei mercati di sbocco e delle risorse, e così via. Le imprese, infatti (si dovrebbe dire una parte delle imprese, ma stiamo ragionando su un idealtipo) sono molto brave nel governare il cambiamento tecnologico, la riprogettazione funzionale, il ridisegno dei processi e altre forme di innovazione che investono ciò che in qualche modo ha un diretto rapporto con le varie competenze organizzative sviluppate internamente. Di rado, invece, sono altrettanto efficaci nel gestire le macrotendenze ambientali, quei cambiamenti che investono simultaneamente e in modo radicale diverse aree di conoscenza e che rimettono in discussione la formula imprenditoriale nel suo complesso. Testimonianze di questa sorta di inerzia sistemica si possono trovare anche in tempi relativamente recenti. Ad esempio, in occasione della diffusione di internet, in molti settori le imprese hanno letto il fenomeno in termini quasi esclusivamente tecnologici e commerciali, sottovalutando i rischi e/o perdendo di vista le opportunità di quello che poi si è rivelato essere un fattore capace di mutare radicalmente le strutture di domanda e offerta, di creare nuove forme di business e di sancire la sostanziale scomparsa di interi comparti. In altro contesto, il simultaneo evolvere della 6 globalizzazione e dei sistemi di produzione “snelli” raramente è stato affrontato dalle imprese in termini di ripensamento della business idea, quanto piuttosto come un problema di delocalizzazione ed esternalizzazione. In entrambi i casi non sono mancate le spinte innovative, sono però state quasi sempre circoscritte ad aspetti parziali, tranne ovviamente in quei “casi aziendali” che proprio in quanto atipici sono proposti come esempi. Con tutti i limiti delle generalizzazioni (e qui si tratta dopotutto di una generalizzazione estrema) sembrerebbe di poter dire che, sebbene le imprese siano in continua tensione verso il perfezionamento dei processi, esista una sostanziale inerzia nei confronti del ripensamento d’insieme. Le ragioni di ciò sono ancora oggi difficili da comprendere, nonostante il cambiamento e l’innovazione siano concetti forte della cultura imprenditoriale, i convitati più o meno visibili o espliciti di una vasta letteratura e di un gran numero di concetti chiave delle discipline manageriali. L’imprenditorialità stessa esprime, direi quasi per antonomasia, la costante tensione al mutamento dei fenomeni economici e come questi siano avidi di innovazione. Ma è anche vero che l’impresa nasce spesso come un atto creativo che, per quanto accompagnato da robusti supporti “tecnici”, fatti di stime, piani, tecnologie, analisi e quant’altro, appare pur sempre legato ad una sorta di alchimia non propriamente formalizzabile e comunque unica o quasi; a ben vedere, perfino il fatto che si usi il termine “casi aziendali“ molto più spesso che “tipi aziendali” sembra esprimere il sottostante di fortuito che, più o meno inconsapevolmente, si assegna alle sorti dell’impresa. Nella contrapposizione che ne deriva circa la reale natura della gestione del cambiamento, se richieda creatività o scienza, se sia governata dal caso o dalla pianificazione, la scelta delle masse ricade sistematicamente sulle prime ipotesi, se non altro perché quegli argomenti rifuggono la formalizzazione e non richiedono la mole di conoscenza ed esperienza richiesti invece da una descrizione scientifica. In questo quadro è fuorviante e dannosa la banalizzazione della conoscenza manageriale ad opera dei tanti “intermediari” e “operatori” economici che tendono a ridurre ogni questione a categorie semplici, così come a circoscrivere problemi di vasta portata a soluzioni di ordinaria amministrazione. Smaterializzazione delle fonti di valore non vuol dire solo importanza del marchio o del design, e la sostenibilità non è solo inquinare e consumare meno, tanto per citare © Foto Stefania Massenz i più comuni tra gli esempi di banalizzazione estrema. Di certo vi è che alla fine di tutto ciò la gestione del cambiamento e dell’innovazione è percepita più spesso come arte che come scienza, quando in realtà è un problema che va affrontato in modo sistematico e, soprattutto, integrando il cambiamento dei processi e delle tecnologie all’interno di un processo di innovazione strategica che coinvolga la stessa visione dell’impresa. L’innovazione incrementale, infatti, è necessaria ma non sufficiente a garantire quella continua ridefinizione dell’equilibrio tra impresa e ambiente richiesta dai mutamenti di cui si parla. Se mi è concessa una metafora, si immagini un viaggiatore che ha una o più mete di riferimento, per raggiungere le quali deve affrontare ostacoli e insidie le più varie. Queste condizionano la sua direzione non solo per i problemi che comportano, quanto per il fatto che ad ogni cambio di direzione cambiano le mete raggiungibili e le priorità. Nel management questo fenomeno è chiamato path dependence e in concreto comporta, tra le altre cose, che la strategia non è autonoma rispetto alle decisioni che si potrebbero definire “operative”; ma le scelte operative che risultano utili per superare le contingenze possono essere disfunzionali rispetto al disegno strategico complessivo. In qualunque organizzazione, una volta acquisite specifiche risorse di conoscenza, queste reclamano una propria autonomia e valorizzazione, ed è impensabile che non facciano del loro meglio per riorientare la direzione dell’organizzazione stessa. Lo si vede anche nelle Università, dove i rapporti di forza tra i raggruppamenti disciplinari e i docenti che vi fanno capo condizionano le scelte nella didattica e nella ricerca molto più di quanto non faccia la dialettica con la società civile, alla quale l’Università deve render conto delle proprie strategie. In tutto questo, i temi della smaterializzazione del valore e della sostenibilità non sono semplicemente due tra le tante mode manageriali di stagione, ma passaggi obbligati per ripensare il sistema economico in modo compatibile con lo sviluppo di lungo termine della società e, secondo alcuni, perfino del genere umano, dove il riferimento va chiaramente alle conseguenze più estreme, ma purtroppo del tutto plausibili e concrete, della non-sostenibilità. Tornando alla metafora, le imprese e la società stessa si trovano sopra un ghiaccio sottile (risorse in rapido esaurimento) e avvolti dalla nebbia (incertezza sulle strategie più opportune); occorre che i movimenti siano agili e leggeri (cogliere il valore derivante dalle risorse immateriali e dalle doti di coordinamento) così come occorre dotarsi di strumenti capaci di guardare al di là delle strette vicinanze (creare le condizioni per uno sviluppo durevolmente sostenibile). Fuor di metafora, la prossima frontiera degli studi di management deve essere rivolta a strumenti per la gestione dell’innovazione e di analisi strategica più evoluti rispetto a quelli tradizionali; occorre superare l’approccio all’adattamento puntuale e la visione riduttiva dell’innovazione come innovazione tecnologica e ridisegno dei processi. Occorre che le innovazioni operative siano parte di un disegno strategico sviluppato in modo coerente con l’ambiente e in modo da essere motore dello sviluppo sostenibile di lungo termine. 7 / Pop in corso/a: cantiere di studi sulle culture pop della Cina contemporanea / Giulia Baccini, gruppo D.A.O.- Dottorandi Asia Orientale; Marco Fumian, Giovanna Puppin, Comitato scientifico; Pierantonio Zanotti, di Studi sull’Asia Orientale Lei Feng prima serviva le masse, ora studia da colletto bianco, accende la TV, perde la testa per una supergirl. Il popolo è out, il pop è in. La nostra idea di un ciclo di seminari sulla cultura pop cinese è nata in continuità con la serie di incontri sul pop giapponese organizzati dal gruppo studentesco Poppu –!!! che si sono svolti con ottimo riscontro nel Pawa secondo semestre dell’a.a. 2008/2009. Come gruppo D.A.O. (Dottorandi Asia Orientale), incoraggiati dal successo della giornata sulla traduzione “Translating Worlds”(28/05/2009), abbiamo raccolto simbolicamente il testimone dei compagni di giapponese per lanciare una nuova sfida epistemologica: esiste il “pop cinese”? E se sì, dove va cercato? Il nostro “cantiere” intende avvicinare gli studenti alla 8 poco esplorata cultura pop della Cina contemporanea, mostrando loro un mix di istantanee scattate nei più svariati ambiti culturali; gli incontri prevedono un’ampia rosa di relatori – accademici, dottorandi e professionisti – che vengono a raccontare il loro punto di vista su alcune fra le più interessanti manifestazioni pop cinesi attuali, cercando di dare rilievo anche alle dinamiche che ne regolano la produzione e il consumo, e lo spazio che esse occupano nell’esperienza degli individui. Le culture pop dell’Asia Orientale reclamano spazio a livello accademico, e noi glielo diamo. L’iniziativa si svolge grazie ai fondi di Ateneo per le attività studentesche autogestite e il patrocinio del Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale. Il calendario degli incontri e i materiali relativi sono disponibili sul sito: www.culturapop09.wordpress.com / Sinizzazione di un manga: adolescenti e letteratura pop nella Cina contemporanea / Marco Fumian, Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale Il primo incontro del nostro cantiere di studi sul “pop” cinese ha avuto per oggetto l’interpretazione di un “popolare” testo di letteratura, il romanzo scritto dal giovanissimo autore Guo Jingming Città incantata (Huancheng, 2003). L’opera merita attenzione per due ordini di motivi: in primo luogo costituisce uno dei primi e più clamorosi successi dell’industria culturale cinese (la commercializzazione della cultura, nella Repubblica Popolare Cinese, è cominciata alla fine degli anni Ottanta, per affermarsi pienamente solo nel decennio successivo); in secondo luogo ha suscitato una vasta e profonda risonanza fra i suoi lettori (per lo più adolescenti urbani del ceto medio), di cui esprime significativamente l’immaginario e le “strutture di sentimento”. Chiave di lettura per l’interpretazione del romanzo è la nozione di “mito”. Da un lato perché sul piano formale la narrazione si presenta effettivamente come mitica (il romanzo è una storia fantasy ispirata al manga giapponese RG Veda, il cui titolo è un rimando all’omonimo libro sacro indiano), dall’altro perché essa ha prodotto nel suo pubblico profondi effetti di proiezione e identificazione, in gran misura inconsci. In sintesi, il mito narra la storia di un malinconico sovrano adolescente, che parte per un’avventurosa ricerca al fine di resuscitare l’amato fratello minore (da lui stesso ucciso poiché quegli gli contendeva il trono), il quale, una volta tornato in vita, lo costringe al suicidio: ciò che viene rispecchiato, attraverso il filtro simbolico del mito, è l’anelito diffuso, da parte della comunità dei lettori, a ricostituire sul piano immaginario una sfera affettiva integra e soddisfacente che nella vita reale è invece percepita largamente come frustrata e menomata. Una simile lettura allegorica ha consentito di inserire la narrazione mitica nella dimensione sociale in cui si sono prodotti sia l’immaginario di Città incantata sia le “strutture di sentimento” dei suoi lettori. Da un lato, infatti, ha imposto di indagare gli aspetti fondamentali alla base dell’esperienza comune all’autore e ai lettori (l’appartenenza alla prima generazione dei cosiddetti “figli unici” e la vita nel mondo scolastico); dall’altro, invece, ha richiesto di considerare gli effetti dell’ideologia dominante, il cui slogan più significativo è “lo sviluppo è l’unica ragione dura”, sulla strutturazione della soggettività degli adolescenti urbani. 9 / CHINA POP RECYCLES: il riciclaggio di icone rivoluzionarie cinesi in pubblicità / Giovanna Puppin, Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale Una cinquantina di anni fa, slogan come “La luce del pensiero di Mao Zedong illumina la via della Grande rivoluzione culturale proletaria!” accompagnavano i visual dei poster di propaganda, che immortalavano quasi sempre il Grande Timoniere mentre sorrideva rassicurante (Fig. 1). Dalla fine degli anni ’70, sono stati ben altri gli slogan e i visual trasmessi dai mass media: quelli della pubblicità commerciale. È nel rinnovato contesto di riforme e apertura che la pubblicità inizia a godere di una reputazione migliore: etichettata in passato come “frutto del capitalismo”, è stata reintrodotta nel paese attraverso un processo di legittimazione, dal quale è uscita insignita di titoli prestigiosi come quello di “acceleratore dello sviluppo economico”. In tempi recenti, a questo fenomeno se n’è aggiunto un altro: il riciclaggio di icone rivoluzionarie cinesi in pubblicità. Nel 2007, all’esterno di un ristorante di Nanchino, è stato affisso un cartellone che vedeva come testimonial proprio Mao. Il volto del leader, che corrisponde al famoso ritratto di Piazza Tian’anmen, compariva dentro a un ovale posto alla destra del bodycopy: “Giuriamo al Presidente Mao che tutte le nostre pietanze hanno uno sconto del 50 %” (Fig. 2). L’icona di Mao è stata “riciclata” dal proprietario del ristorante come garanzia di onestà, ma il contesto è completamente opposto rispetto a quello in cui veniva utilizzata in passato: non si tratta più di propaganda politica (comunista), bensì di libero mercato (capitalista). Nelle pubblicità occidentali, l’icona di Mao è stata “ritoccata” in maniera hard: qui ritroviamo il leader cinese in una versione decisamente meno classica, ovvero truccato come il cantante del gruppo The Kiss. Lo slogan, che assolve alla funzione definita da Roland Barthes ancrage, recita: “Hard Rock is the real Cultural Revolution” (Fig. 3). Realizzata nel 2007, questa pubblicità era parte di una campagna per una radio greca, che ha utilizzato anche le icone di Hitler e Stalin, facendo sempre ricorso alla metalepsi visiva. Dalle pubblicità made in China esaminate nel corso di questo incontro, è emerso che gli ibridi che nascono dall’unione di cultura rivoluzionaria e cultura commerciale rispecchiano appieno le contraddizioni del socialismo di libero mercato cinese. E sono proprio le stesse contraddizioni che vengono additate e criticate, in maniera più esplicita e ironica, anche dai pubblicitari occidentali. 10 / Il corpo delle donne / Alessandra Trevisan, Dipartimento di Americanistica, Iberistica e Slavistica A conclusione della seconda edizione del corso “Donne, Politica ed Istituzioni”, organizzato dal Comitato Pari Opportunità del nostro Ateneo, il 13 novembre scorso all’auditorium Santa Margherita è stato proiettato il documentario Il corpo delle donne di Lorella Zanardo, Marco Malfi Chindemi e Cesare Cantù. Al tavolo di discussione, coordinato da Romana Frattini, docente di Fisica, responsabile del corso, hanno partecipato oltre a Lorella Zanardo, Silvia Burini, docente di Storia dell’arte russa, Susanna Ragazzoni, docente di Lingua e letterature ispanoamericane, Nicoletta Benatelli, giornalista e Maria Elena Petrilli, psicoterapeuta. Si tratta di un video sul degrado della televisione italiana da cui sono scomparse le donne vere, sostituite da una loro rappresentazione volgare e distorta. Scorrono immagini di donne con il labbro superiore irrigidito senza sorriso, maschere con le labbra gonfie e il corpo rifatto dalla chirurgia plastica, che non esprimono più né età né sentimenti. I programmi stessi, i giochi e gli spettacoli che vedono partecipare giovani aspiranti veline, del resto, appaiono irreali e sconcertanti. Gli uomini sono vestiti e le donne svestite, gli uomini parlano e le donne tacciono e applaudono servili. Alcune scene sono impressionanti. Una ragazza, per esempio, è appesa a un gancio e come a un prosciutto le vengono stampigliate le natiche. “Perché le donne non si ribellano?” chiede più volte Zanardo agli spettatori. Erica Jong avrebbe risposto così, commenta Regazzoni: “La schiava migliore / non avrà bisogno di essere colpita. / Si colpirà da sola / … con la tagliente frusta / della sua lingua / e il ticchettìo sottile / della sua intelligenza / contro la sua intelligenza.” Il documentario che ha conosciuto un’ampia diffusione tramite internet (www.ilcorpodelledonne.it) ed è stato doppiato in numerose lingue, ha avuto risonanza nella stampa internazionale e ha suscitato diverse riflessioni e discussioni. Che cosa è accaduto? In questi ultimi sei mesi è emerso, osserva Zanardo, che le donne non erano zitte bensì zittite. La disuguaglianza invisibile si trasmette soprattutto attraverso la cultura e i mezzi di comunicazione, ovvero, attraverso testi scritti e visivi che costituiscono e configurano il nostro modo di pensare e condizionano i nostri modelli di identità. Se è vero che le donne sognano attraverso i sogni degli uomini, è necessario un cambiamento di valori, un cambiamento nella condotta etica che generi nuovi valori estetici che ci permettano di sognare i nostri sogni. Le battaglie vinte finora per ottenere uno status di dignità e libertà ci hanno portato all’uguaglianza giuridica, ma resta ancora molto da fare nel campo del linguaggio, della cultura e dell’immaginario sociale. A questo punto la questione non riguarda più soltanto le donne, ma anche gli uomini tutti, perché della violenza e dell’umiliazione che queste immagini trasmettono è responsabile tutta la società. 11 / Career Day 2009 a Ca’ Foscari / intervista a cura di Federica Ferrarin Ha appena tre anni, ma può già vantare grandi numeri. Dall’avvio con la prima edizione nel 2007 che portava a Ca’ Foscari 700 studenti, il Career Day è salito nelle due edizioni successive a 1800 studenti partecipanti. La formula dell’open day in cui studenti e laureati potevano avere un contatto diretto con le aziende, portare agli stand i loro curriculum, fare colloqui con i responsabili delle risorse umane di imprese anche molto conosciute, si è rivelata vincente e di grande appeal per studenti e neolaureati. La sede storica di Ca’ Foscari ha sospeso le normali attività per far posto agli stand di 28 aziende nazionali e internazionali tra cui banche, aziende, agenzie di consulenza, gruppi internazionali, agenzie interinali. Ragazzi speranzosi con fogli e fogli di curriculum in mano si aggiravano per i piani di palazzo facendo la fila davanti ai banchi dell’azienda più vicina al loro settore di studi. Ma uno su mille ce la fa.... Anche Elena De Lazzari l’anno scorso era tra loro, ma quest’anno si trova dall’altra parte della barricata, a raccogliere i curriculum dei suoi ex colleghi di studio e a dispensare consigli e incoraggiamenti. E’ stata infatti assunta a tempo indeterminato come assistente di Direzione alla Moncler del Gruppo Industries. Qual è stato il tuo percorso per arrivare a essere inserita in Industries Spa? Maturità scientifica, una laurea triennale in Marketing e Gestione delle imprese, conseguita a Ca’ Foscari rispettando i tempi, poi la laurea specialistica in Marketing e Comunicazione con indirizzo quantitativo. Fin dalle scuole superiori ho svolto una serie di lavori estivi in negozi ed agenzie turistiche del centro storico di Venezia; esperienze che mi hanno indubbiamente aiutato ad implementare la mia conoscenza delle lingue estere nonché hanno consentito lo sviluppo delle mie attitudini relazionali e delle capacità personali che ritengo siano delle variabili estremamente importanti per attività lavorative inerenti all’ambito commerciale. Mi sono presentata lo scorso anno alla seconda edizione del Career Day ed ho avuto l’opportunità di lasciare il mio curriculum e di fare un primo colloquio conoscitivo, cui ne sono seguiti altri 3 con i responsabili HR ed il mio attuale dirigente. 12 L’inserimento in Industries è stato molto positivo, ho avuto attorno a me persone molto capaci e disponibili sin dal primo giorno e mi è stato possibille instaurare dei rapporti lavorativi molto proficui e stimolanti. Quali sono stati secondo te i motivi per cui sei stata scelta in mezzo a tanti altri candidati e cosa puoi consigliare a chi si accinge, come te l’anno scorso, a cercare un lavoro attinente al suo percorso di studi? Personalmente ritengo che la voglia di fare, di mettersi realmente in gioco e di dimostrare, credendoci nel profondo, di essere “la persona giusta” siano le variabili chiave per avere successo in un colloquio conoscitivo. Un ottimo punto di partenza è il presentarsi “in linea” con quelle che secondo noi possono essere le aspettative del responsabile aziendale per il ruolo proposto, mantenendo allo stesso tempo franchezza e trasparenza. Tuttavia ho avuto modo di sostenere svariati colloqui, più o meno di successo, e devo ammettere hanno tutti avuto un’importante valenza formativa. Mi sento quindi di consigliare a tutti di non rifiutare mai in primis un colloquio in quanto si è sempre in tempo per rifiutare un’offerta decidendo di non intraprendere quel percorso lavorativo, è invece importante capitalizzare quella singola esperienza ai fini di conseguire una certa abilità nel sostenere e gestire i primi contatti con un responsabile della selezione risorse umane. Quanto contano le caratteristiche personali e quanto le competenze specifiche e gli studi fatti? Sono due fattori estremamente importanti.. seguendo la mia natura economista azzarderei un 50 e 50.. Devo dire che sono entusiasta del mio percorso di studi e credo che la facoltà di economia, qualsiasi sia l’indirizzo di specializzazione, garantisca buone prospettive di impiego nel breve o medio termine. Ad ogni modo per quanto riguarda la mia esperienza personale durante le selezioni iniziali i test svolti erano di tipo psico-attitudinale più che nozionistici, in tal senso il percorso universitario consente di avere una certa flessibilità mentale ed una predisposizione al ragionamento. Il livello di preparazione ed i concetti interiorizzati in questi lunghi anni di studio avranno modo di affiorare in seguito, nelle singole attività quotidiane; all’inizio le variabili chiave sono secondo me l’attitudine a portare a termine un progetto in tempi brevi/brevissimi e ad immagazzinare informazioni molto velocemente, a tal riguardo mi sento di affermare che Ca’ Foscari è davvero una buona palestra! Che impressione hai avuto degli studenti che ti sei trovata davanti? Fiduciosi o pessimisti? Pensi che questo tipo di manifestazioni possano servire a facilitare il contatto dei giovani con il mondo del lavoro o che siano solo un’utile vetrina per le aziende? Chiaramente scontrarsi con una realtà fatta di centinaia di ragazzi in coda davanti agli stand aziendali non è semplice, l’idea di essere “in lizza” con i tuoi compagni di corso e con persone molto qualificate provenienti da esperienze di master all’estero o percorsi di ricerca universitaria può essere disincentivante. Tuttavia in quel contesto mi sembravano tutti molto fiduciosi e “carichi”. Personalmente credo non ci debba essere spazio per il pessimismo in occasioni come queste, si può entrare in contatto con aziende di ottimo livello e le opportunità di inserimento esistono realmente, la mia esperienza ne è una prova. Il mio bilancio sul Carreer Day? Una fantastica occasione! Ho partecipato a tutte e tre le edizioni ed ho notato che avvicinandomi alla data della laurea l’interesse delle aziende per il mio profilo aumentava, l’ho interpretato come un segnale della loro intenzione veritiera di introdurre delle nuove risorse nell’organico, passando comunque per il tramite di un “primo contatto” di stage. Dovrebbero essere molto più frequenti eventi di questo tipo! Hai qualche suggerimento da dare in proposito? Insistere! La voglia di fare e di impegnarsi dando sempre il 100% sono convinta venga ricompensata, è solo una questione di tempo. Non siamo manovalanza intellettuale a costo zero, ma delle risorse importanti ed il nostro valore dipende da quanto sappiamo far risaltare le nostre attitudini, capacità e conoscenze. Il primo passo per affrontare l’oceano del mondo del lavoro? Avere un “atteggiamento vincente”! Nonostante la congiuntura attuale e la difficoltà nella ricerca del posto di lavoro sicuramente storie come questa aiutano ad avere fiducia nel futuro. 13 / Un affresco nel cortile. La Madonna con il Bambino di Giovanni Schiavoni / Maria Celotti, docente Giovanni Schiavoni, Madonna con il Bambino Se nel cortile di un nobile palazzo veneziano vediamo un affresco che attira la nostra attenzione e ci chiediamo chi ne sia l’autore, difficilmente pensiamo di attribuirlo a uno dei proprietari della dimora, considerato che la tecnica richiesta da questo genere di pittura prevede l’uso di malta, intonaco e pigmenti, da usare con competenza di professionisti; ancor più se il dipinto, collocato in un’edicola sopra una porta, ha richiesto di staccare i piedi da terra per eseguirlo. Ma il motivo principale della mancata identificazione dell’autore sta nel fatto che si è oscurato il ricordo di Giovanni Schiavoni (1804-48), che abitò nel palazzo, pur con lunghe assenze, dal 1824 fino alla morte. L’affresco in questione rappresenta una Madonna con il Bambino e si trova in uno dei cortili della sede centrale di Ca’ Foscari e precisamente nella corte di Ca’ Giustinian dei Vescovi, 14 di fronte alla bella scala scoperta che porta al Rettorato. La prima attribuzione dell’opera a Giovanni Schiavoni fu avanzata da Luigi Sernagiotto nella biografia da questi dedicata ai pittori Natale (1776-1858) e Felice (1803-81) Schiavoni, rispettivamente padre e fratello dell’artista sopra citato. Erede delle memorie della famiglia e del palazzo, nel 1881 Sernagiotto scriveva: «Esiste […], fatto da lui nel 1830 in casa Schiavoni, a cielo aperto, sulla porta, che dal cortile mette in un magazzino terreno, un affresco, rappresentante la Madonna col Putto sul ginocchio, che è molto bello e ben conservato e che fa conoscere la grande attitudine che avea Giovanni Schiavoni per dipingere a fresco». Questa attribuzione e questa datazione testimoniano anche il recupero, in atto in quegli anni, della «tecnica ‘nazionale’ dell’affresco», una «tradizione squisitamente italiana», che Fernando Mazzocca presenta come elemento degno di nota nella difficile stagione primo-ottocentesca dell’arte veneziana. Nel 1936 Lodovico Foscari propose invece una differente interpretazione che ha avuto un certo seguito: che si tratti di un’opera «di buona epoca», vale a dire più o meno coeva ad altre tracce di antichi affreschi presenti sui muri esterni del palazzo, costruito verso la metà del XV secolo. A provocare un tale disorientamento nella datazione è l’evidente maestria di cui ha dato prova il giovane Giovanni Schiavoni nel rappresentare il soggetto religioso alla maniera dei grandi maestri del Cinquecento, com’era in voga nella pittura accademica della prima metà del XIX secolo. Giovanni, più che Natale e Felice Schiavoni, è un artista quasi del tutto dimenticato, e la Madonna con il Bambino del cortile di Ca’ Giustinian dei Vescovi risulta essere il suo unico dipinto noto in città. Per ritrovare una consistente quantità delle sue opere, dobbiamo seguirlo a Iaşi, che era allora la capitale del principato di Moldavia, dove eseguì ritratti, tavole di soggetto religioso, litografie e disegni, conservati presso le istituzioni pubbliche. L’artista arrivò nella città moldava nel 1834, dopo aver lasciato Vienna su un battello a vapore che scendeva il Danubio, nel pieno della tendenza romantica dei pittori-viaggiatori, e lì visse per lunghi periodi fino al 1843. Gli studi sull’arte e sulla cultura moldava dell’Ottocento mettono in luce il ruolo fondamentale di innovatore svolto da Giovanni Schiavoni come ‘pittore di ritratti e di storia’ e come professore nella Accademia Mihǎileanǎ. Alexandrina Mititelu nel suo saggio sui rapporti culturali tra Venezia e la Romania, pubblicato nel 1964, individuò in Ca’ Giustinian dei Vescovi il palazzo dov’era vissuto Giovanni Schiavoni e riferì a proposito dell’artista e del suo dipinto nel cortile veneziano: «C’è da rimpiangere che il suo insegnamento non si sia svolto anche nella direzione dell’affresco, il cui segreto egli conosceva bene […]. L’affresco, bello per le linee nobili e pure del disegno, va deperendo, esposto com’è all’aria e alle intemperie». Osserviamo più da vicino la composizione dell’affresco: a sinistra della Madonna che sorregge il Gesù bambino, si distinguono le esili tracce della figura di un altro bimbo – che secondo l’iconologia di questo genere di dipinto religioso dovrebbe rappresentare San Giovannino – e, dietro i personaggi, di un paesaggio, elemento altrettanto consueto nella pittura veneziana. Il colore è sparito quasi del tutto e della scena rimane visibile essenzialmente il disegno. Per questo lo studio in corso sull’affresco da parte dell’Ateneo è un’attesa iniziativa per la conservazione di un prezioso bene che porterà al ripristino dei suoi valori pittorici e al recupero della figura di un artista di cui si è perduto il ricordo. FRANCESCA BISUTTI e MARIA CELOTTI, «Illazioni su una scala: Lady Helen D’Abernon a Ca’ Giustinian dei Vescovi», in Oriente e Occidente sul Canal Grande, a cura di Rosella Mamoli Zorzi, Annali di Ca’ Foscari, XLVI, 2, 2007. LODOVICO FOSCARI, Affreschi esterni a Venezia, Milano, Ulrico Hoepli, 1936. FERNANDO MAZZOCCA, Immagini di arte italiana: Francesco Hayez, Milano, Ricordi, 1999. UGO GALETTI e ETTORE CAMESASCA, Enciclopedia della Pittura Italiana, Milano, Garzanti, 1950. ALEXANDRINA MITITELU, «Rapporti culturali romenoveneziani», Acta Philologica, tomus III, Romae, Societatea Academicǎ Românǎ, 1964. LUIGI SERNAGIOTTO, Natale e Felice Schiavoni. Vita, opere e tempi, Venezia, Tipografia Municipale G. Longo, 1881. Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e Laguna, Archivio fotografico. FRANCESCO VALCANOVER, MARIA AGNESE CHIARI MORETTO WIEL, ANTONELLA DALLA POZZA, BRUNO NOGARA, Pittura murale esterna nel Veneto. Venezia e provincia, Giunta Regionale del Veneto, Ghedina & Tassotti Editori, 1991. Natale Schiavoni, Ritratto del figlio Giovanni 15 / Il riflesso di un fiore. Memorie fotografiche di Giuseppe Mazzariol / Il Dipartimento di Storia delle arti e conservazione dei beni artistici “Giuseppe Mazzariol” e la rivista «Venezia Arti», hanno promosso il 2 ottobre 2009, presso l’Aula “Mario Baratto” dell’Ateneo di Ca’ Foscari, una giornata di riflessione sul tema Il sistema delle arti. Didattica, fruizione, politiche culturali, dedicato allo stato delle arti nella contemporaneità in relazione al rinnovamento delle didattiche, ai problemi inerenti la diffusione e il consumo dei beni artistici e alla necessità di definire ulteriori politiche culturali interessate a progettare il futuro. All’inizio della giornata è stato ricordato il professore Mazzariol, a vent’anni dalla scomparsa, con la presentazione, affidata a Bruno Barilli, del volume Colore segno Giuseppe Mazzariol, nel suo studio a Ca’ Bernardo, 1988 16 progetto spazio. Giuseppe Mazzariol e gli “Incontri con gli artisti”, a cura di Franca Bizzotto e Michela Agazzi, pubblicato nella collana «Miscellanea» della Facoltà di Lettere e Filosofia con il contributo del Dipartimento di Storia delle arti e conservazione dei beni artistici. Come è stato ricordato, sulla scrivania di Giuseppe Mazzariol non mancava mai un fiore, un singolo fiore, che spesso dava in dono ai suoi interlocutori. La rivista «Cafoscari» intende rendere omaggio alla sua figura di intellettuale, studioso e docente attraverso una galleria fotografica, nella quale è ritratto sia con personalità della cultura e dell’arte, sia in momenti istituzionali presso le Università di IUAV e di Ca’ Foscari. Mazzariol tiene la prolusione per l’inaugurazione dell’anno accademico 1964-1965, IUAV, Venezia, aprile 1965 Mazzariol con Giulio Alessandri, Rosella Mamoli Zorzi, William Congdon, Vincenzo Fontana, Istituto di Discipline Artistiche, Ca’ Foscari, seminario su Congdon, 1980 17 Mazzariol con Rober Bresson, Leone d’oro alla XXVIII Mostra del cinema, nel giardino della Fondazione Querini Stampalia, settembre 1967 18 Mazzariol con Louis Kahn, 1968 19 Mazzariol e Carlo Scarpa relatori della tesi di laurea di Mario Botta, IUAV di Venezia, 1969 Mazzariol e Giulio Carlo Argan, Ferrara, giugno 1981 20 Mazzariol con il Rettore Feliciano Benvenuti e Anco Marzio Mutterle in occasione del conferimento della laurea honoris causa a Biagio Marin, Neri Pozza, Andrea Zanzotto, Ca’ Dolfin, Ca’ Foscari, Venezia, 9 marzo 1982 Mazzariol e Alberto Viani all’Accademia di Venezia, 1988 21 Mazzariol, Cleto Munari, Luciano Gemin, Dipartimento di Storia e critica delle arti, Ca’ Foscari, 1984 22 / Per ricordare Giuseppe Del Torre / Mario Infelise, Dipartimento di Studi Storici Giuseppe Del Torre è mancato lo scorso 26 ottobre. Aveva da poco compiuto 50 anni. Come capita a chi scompare nella piena maturità ha lasciato molti lavori incompiuti: un libro sui rapporti tra patriziato veneziano e istituzioni ecclesiastiche tra ‘400 e ‘500, a cui aveva lavorato per molti anni e ormai quasi ultimato, e poi tanti altri progetti avviati e portati avanti, dai diari ancora inediti di Girolamo Priuli, alla cultura veneziana del primo Ottocento e altro ancora. Senza dubbio non mancheranno le occasioni per ricordare questo suo impegno scientifico e per cercare di portarlo avanti. Ma non è solo nella ricerca che si misura la serietà e l’impegno di un docente. Giuseppe si era molto impegnato a partire dal 1999 nei progetti di riforma della didattica. So bene che questo è un argomento delicato e che sia diffusa la convinzione che i mali dell’università italiana siano iniziati con l’avvio della riforma degli ordinamenti didattici del 1999. Ma l’università non andava bene neppure prima e le ragioni per provare ad adeguarla alle trasformazioni della società c’erano tutte già allora. Giuseppe, del resto, non credeva che quella riforma, con tutti gli adattamenti successivi, fosse la migliore delle leggi possibile. Era però fermamente convinto che occorresse darsi da fare e che la riuscita della riforma dipendesse in primo luogo dall’impegno delle istituzioni universitarie e dalla buona volontà dei docenti di superare interessi corporativi e personali. Ha quindi lavorato senza sosta per alcuni anni per infrangere tutte quelle resistenze determinate in realtà dall’incapacità di vedere che i tempi sono cambiati e che non è solo anacronistico, ma anche dannoso entrare nel XXI secolo con la mentalità e lo spirito degli anni ’50 del ‘900. Così aveva inteso per molto tempo il suo generosissimo impegno come presidente del corso di laurea in Storia, rammaricandosi peraltro di non riuscire sempre a superare la diffidenza di molti colleghi. L’impegno in questo campo era d’altra parte strettamente connesso con una dedizione tutta particolare nei riguardi delle necessità degli studenti. In tanti anni di amicizia avevo constatato che in questo credeva più di ogni altra cosa. Lo studente in primo luogo, nella convinzione che deludere uno studente o ignorare una richiesta, per quanto bizzarra, fosse un tradimento del proprio mestiere. Sapevo quanto a questo tenesse, ma non l’avevo verificato a pieno come nelle ultime settimane. Sinché ha potuto, sino al definitivo aggravarsi delle condizioni di salute, Giuseppe ha tenuto i contatti con gli studenti, leggendo tesi, fornendo indicazioni e suggerimenti, raccomandando a me e ad altri amici di rispondere alle questioni a cui non era più in grado. Si spiega così il dolore sincero e diffuso che è immediatamente seguito all’arrivo della notizia della morte. Diversi sono stati gli studenti che sono venuti a trovarmi nei giorni successivi. Solo per parteciparmi il dolore o per testimoniare la particolarità di una relazione. Tra questi anche Ruy Yugami, studente giapponese della laurea magistrale in Storia che stava lavorando alla sua tesi. Aveva avuto istruzioni da Giuseppe sino alla metà di settembre quando era ritornato per qualche settimana in patria con l’accordo che si sarebbero rivisti al rientro. Una volta ritornato a Venezia Yugami, che non aveva avuto nessuna notizia di quanto era avvenuto, gli ha scritto, come era solito fare, per concordare un incontro. Ma con una solerzia insolita, l’indirizzo deltorre@unive.it era già stato cancellato dalla posta di Ca’ Foscari. Yugami si è rivolto allora a me e qualche giorno dopo è venuto a trovarmi. Con quel pudore e quell’eleganza che sono tutti giapponesi, mi ha mostrato un video realizzato due anni prima in occasione della laurea triennale e del suo matrimonio, con lo scopo di spiegare alla famiglia e agli amici giapponesi il senso della vita universitaria a Venezia. Un’intervista a Giuseppe – il maestro, come lo chiama Yugami – era il centro della narrazione. L’ho rivisto, come l’avevo visto tante volte, seduto nel suo studio mentre spiega ad un misterioso pubblico giapponese in cosa era consistito il lavoro di ricerca dello studente. In poche parole era riuscito a trasmettere l’idea di un lavoro forse non facile da comprendere in un paese così distante. Ma col suo tono pacato e discreto anche una ricerca sul dazio del vino a Treviso nel ‘600 riusciva a diventare occasione d’incontro tra mondi lontani. 23 Cafoscari Rivista universitaria di cultura Notiziario dell’Università Ca’ Foscari Venezia Pubblicazione trimestrale Reg. del Trib. di Venezia n. 994 del 19.10.1989 Direttore Responsabile Carmelo Alberti Responsabile di redazione Federica Ferrarin Comitato di redazione Riccardo Drusi (rdrdrd@unive.it) Federica Ferrarin (ferrarin@unive.it) Debora Ferro (deboraf@unive.it) Giovanni Possamai (grafica@unive.it) Michela Rusi (rusi@unive.it) Andrea Stocchetti (stocket@unive.it) Segreteria di redazione Servizio Comunicazione e Relazioni con il Pubblico Tel. 041 234 8118/8358 Fax 041 234 8367 E-mail comunica@unive.it Realizzazione Giovanni Possamai Servizio Comunicazione e Relazioni con il Pubblico Stampa Cartotecnica Veneziana s.r.l. Venezia In copertina: Mazzariol con Le Corbusier in gondola, 1965
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