Numero 16 - Dicembre 2008

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Numero 16 - Dicembre 2008
redazione@sconfinare.net
Numero 16 - Dicembre 2008
Cari instancabili lettori,
Continua a pagina 5
Internazionale
Davide Ambrosio dalla Thailandia
Intervista al prof. Abenante
sugli attentati in India.
In attesa di Pinna
Lezioni di diplomazia da Collot
La Macelleria Messicana di Quercioli
Italia
Lucatello sulla crisi del nord-est
Carzedda e l’Indipendentismo Sardo
Faleschini sul decreto anticrisi
La Carlot e i governi rosa del mondo
Cultura Glocale
Marchesano e i casinò
Viaggio in Italia
Scarciglia in Lombardia
Università
Assid vista da Di Battista
Plazzotta e il Workshop a Gorizia
Yata e Politica estera americana della Pajer
L’università e i computer della Vismara
Cinema
Birra e cinema con Gallio
Toè in Fuga da Twilight
Nessuna Verità di Gallio
Musica
Jazz sounds a Gorizia
I polli degli anni ‘80 della De Domenico
Toè ci scrive di Musica
Scripta Manent
Battiston Uomo al Buio
La Cuccato sull’eleganza del Riccio
Il primo racconto breve di Ripani
Da Ros con Il Bottone di Puškin
La Favaretto in un Norvegian Wood
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I due re
L’editoriale
più passa il tempo per me in questo Polo, più mi sembra di capirlo:
una bottiglia di vetro con dentro
una nave, bambini adulti che da
questi ultimi vogliono prendere da
subito la strafottenza, il prestigio,
la meschinità, ma molte volte la
maturità, la voglia di fare, il ragionamento etico e responsabile. Mi
sembra di capire un po’ il mondo,
se proporzionato ad una scala più
vasta. Allora questo giornale diventa sempre più quello che nel
mondo è la cultura: è uno spazio
libero, innanzitutto. Ciò che il comunismo ancora cerca attraverso
l’abolizione della proprietà privata, probabilmente le parole ed il
pensiero l’hanno già ottenuto. Eppure mi compiaccio di come la comunità studentesca del nostro Polo
sia interessante ed interessata, nonostante il virus molto presente di
quello che io chiamo “attendismo”
(tutto mi deve essere servito davanti, altrimenti mi lamento: “perché a
Gorizia non c’è proprio nulla…”).
Mi stupisco sempre di più che tutta
la barca in fin dei conti naviga, e
naviga più che bene, grazie a noi
studenti, naviga grazie al giornale,
grazie alle Associazioni; naviga
Direttrice: Annalisa Turel
In attesa
I motivi della crisi politica thailandese
La
degenerazione dello scenario politico thailandese, portato ai
massimi termini con l’occupazione, durata una settimana, dei due
aeroporti principali di Bangkok
non rappresenta altro che uno dei
simboli di una lunghissima lotta
per il potere.
La “crisi” thailandese ha un
background lungo, lunghissimo, in
verità, che poggia sulla decisione
anglo-francese di lasciare il Paese
come zona cuscinetto tra l’India
Britannica e l’Indocina francese.
Allo stesso modo, la sopravvivenza
della dinastia Chakri si legò all’appoggio statunitense, che la considerava baluardo contro l’avanzata
del comunismo nel sud-est asiatico. Il fatto di non aver provato il
trauma rappresentato dallo “sminuimento” dell’imperatore Hirohito, in fine della seconda guerra
mondiale (nonostante l’esplicito
appoggio siamese ai giapponesi)
o dall’abbattimento della dinastia
Konbaung nella confinante Birmania, hanno prodotto una situazione
di mantenimento di strutture tradizionali buddhiste e di una mentalità sostanzialmente conservatrice in
un paese fortemente caratterizzato
dallo sviluppo economico e dalla
globalizzazione. Le contraddizioni
che si possono notare in Thailan- landia con meno voti di scambio
dia sono gravi e il “Paese del sor- e corruzione della storia del Paeriso” (termine sicuramente conia- se (rivincerà in maniera eclatante
to da persone che si fermano alle nel 2005). La piattaforma politica
apparenze) potrebbe vivere nei è populista, incentrata su fondi di
prossimi anni situazioni molto più sviluppo sostenibile per i più pospiacevoli della crisi aeroportuale. veri, assistenza sanitaria gratuita
Dopo un flashback, mi permetto di alle classi disagiate, moratoria sui
dare una occhiata al futuro. Cosa debiti dei contadini. Thaksin non
succederà quando il Re Bhumibol agisce male, in realtà. Le promesse sono mantenute in
Adulyadej, 81 enne il
Le
contraddizioni
un quadro economico
5 dicembre e con qualche
si
possono
notare
dilaniato dalla crisi
che acciacco, dovrà
in
Thailandia
sono
asiatica. Gli investiabbandonare il trono,
gravi
menti e il turismo
dopo oltre 60 anni
vengono attratti, il dedi regno? Previsioni
bito
esterno
ridotto, le riserve di
sono ben accette. La mia è quella
valuta
ricostituite.
Se si potessero
che le cose potranno solo peggiotralasciare
le
fondate
accuse di
rare. Torniamo al presente. Thakcorruzione
(ma
corruzione
è vita
sin Shinawatra. Di origine cinese,
quotidiana,
qui
anche
più
che
da
ricco imprenditore nel campo della
noi),
la
guerra
alla
droga,
che
ha
telefonia e delle televisioni, entra
in politica nel 1994 (analogie…). causato abusi, torture e 2500 morti
Nel 1998 fonda il partito Thai Rak e la recrudescenza della ribellioThai ( i thailandesi amano i thai- ne di tre provincie a prevalenza
landesi… vabbè… da italiano non musulmana al confine malese, si
ha senso fare ironia sui nomi dei potrebbe persino dire che Thaksin
partiti politici altrui…) e nel 2001 abbia fatto bene. Forse troppo. Il
vince in maniera nettissima quella Re è uno. Due sono troppi. Colpo
che osservatori stranieri dichiara- di Stato del settembre 2006. Shirono l’elezione politica in Thai- nawatra è interdetto dalla politica.
Il TRT si ricostituisce mutatis mutandis come People’s Power Party, guidato dalla longa manus di
Shinawatra. E vince nuovamente
nel dicembre 2007. troppo inetto
il governo instaurato sotto l’egida
dei militari. Per spiegare, in due
parole, senza indugiare sulla struttura sociale thailandese, bisogna
considerare che la stratificazione
sociale è fissa e immutabile, non a
livello di casta, ma non troppo diverso. Le classi povere sono state
con Shinawatra, quelle di ceto medio ed agiate contro di lui. Il che si
traduce, peraltro, in una distinzione geografica, con Bangkok contro
di lui e il resto del Paese a lui favorevole. Il nuovo Primo Ministro
è Samak Sundaravej. La piattaforma politica è identica a quella di
Shinawatra. Di nuovo il responso
democratico non è accettato e le
forze che prima si erano mobilite
contro Thaksin si ribellano contro
quello che si reputa il suo portavoce. Primo blocco degli aeroporti.
Gli scali di Phuket, Krabi e Hat
Yai sono bloccati per 2 giorni, ad
agosto. E primi scontri.
Continua a pagina 2
Cosa vi aspettate per il prossimo
anno? Non pensate in piccolo, non
pensate alle prime settimane, non
disperatevi già ora per i prossimi
esami. Pensate alle notizie che leggerete, che ascolterete. Cosa realmente vorreste vedere nel mondo?
E invece cosa è più probabile che
accada?
Non temete, non rivelerò qui tutte
le trame del 2009, quelli sono articoli ancora da scrivere. Piuttosto
tenterei di vedere cosa potrebbe
accadere il prossimo anno, visti i
principali eventi degli ultimi mesi
del 2008.
L’Europa, lo scenario internazionale a noi più vicino, è stata scossa
pesantemente dagli scandali, ricorderete Société Générale, e dall’ultima crisi finanziaria. Questa non
è piombata dal cielo improvvisamente, ma mostra le prime e più
superficiali radici nell’estate 2007
con la crisi dei mutui subprime.
Risultato: crescita economica vicina allo zero per la maggior parte dei paesi europei, o comunque
previsioni di crescita aggiornate
in negativo. Nel processo integrativo europeo invece pesa il parere
negativo del referendum irlandese
sul Trattato di Lisbona, e nel Consiglio Europeo dell’11 dicembre
“sarebbe utile che il consiglio di
giovedì stabilisse una road map –
per il 2009 – per l’approvazione
del Trattato da parte dell’Irlanda”
scrive La Stampa citando il ministro Frattini, “dicembre sarà, sotto
certi aspetti, un punto di non ritorno per il futuro dell’Unione europea”.
Dall’altra parte dell’oceano invece gli Stati Uniti piangono e
festeggiano allo stesso tempo. La
crisi che è arrivata poi anche nei
nostri mercati azionari è scoppiata
proprio qui. Allo stesso tempo il
Presidente Eletto, Mr. Obama, è
il motivo di tanta speranza per il
2009. Oltre ad essere un simbolo
vivente, in quanto primo presidente afro-americano, la sua amministrazione è chiamata a risolvere
i numerosi problemi che gli Stati
Uniti stanno affrontando. La crisi
finanziaria ha trascinato nell’area
negativa tutta l’economia e Washington è costretta a rispondere
con aiuti di stato da miliardi di
dollari, per sostenere, contrariamente a ogni principio economico,
imprese e aziende imprudenti o
semplicemente sorprese dalla crisi
dei consumi.
Anche questo continua a pagina 2
2
Mondo
Sconfinare
I due Re
I motivi della crisi politica thailandese
La soluzione la risolve la Corte CostituCONTINUA DALLA PRIMA
zionale, il 9 settembre, affermando che Samak non è più
l’occupazione del Parlamento 26 novembre migliaia di manifestanti occucompatibile con la carica di
da parte del PAD, protrattasi pano gli aeroporti di Suwarnabhumi e Don
Primo Ministro in quanto ha
sino a pochi giorni or sono. La Muang. Gli aeroporti resteranno bloccati
accettato un compenso per
piattaforma politica del PAD sino al 3 dicembre. Un suicidio. Distrutta
una apparizione in una trarimane però confusa. Segna- la maggiore industria del Paese, il turismo.
smissione culinaria in teleta dall’essere fortemente filo Fuga degli investitori. Riduzione stimata
visione. Faccio i miei commonarchico e nazionalista, il della crescita del PIL del 2% in maniera otplimenti alla solerzia della
PAD ha richiesto le dimis- timistica. Perdita di 500.000 posti di lavoro
Corte Suprema, evitando
sioni di Samak, prima, e di nel settore turistico come minimo. Credibiaccuratamente di dire che la
Somchai, poi, mentre il pia- lità internazionale distrutta. Il PAD ha vinto
parte verso cui pendono è
no propositivo è stato senza una partita non ancora finita. Somchai, in
piuttosto evidente. Il PPP ha
dubbio carente. Certamente un’altra pronuncia della Corte CostituzionaSamak Sundaravej
ancora la maggioranza, e sale
preoccupante è invece lo sta- le è stato costretto alle dimissioni per brogli
al governo Somchai Wongsawat.
tement di Somchai secondo cui “la elettorali presunti. Il partito sciolto. Si è già
Lo si presenta come uomo di dialogo. E si- democrazia rappresentativa non è adatta alla ricostituito con un altro nome. La partita
curamente si presenta più pacato nei toni del Thailandia”. Le tensioni si sono rafforzate continua. Thaksin potrebbe tornare nel Pasuo predecessore. Ma è il genero di Thaksin. a seguito della creazione di milizie pro- e ese a Natale. Il re ha ottantun anni e la sua
Forse non proprio la scelta migliore in una anti- governative. Gli scontri più gravi ri- salute è discussa. Il monsone durerà lunghi
situazione di crisi. Il gruppo attorno a cui salgono al 7 ottobre, quando la polizia ha anni in questo Paese.
si raggruppano le istanze dei gruppi conser- tentato di evacuare il Parlamento causando
Davide Ambrosio
vatori e anti-thaksiniani si chiama People’s due morti e 300 feriti.Ai funerali di una deldavideambrosio@yahoo.it
Alliance for Democracy, guidato da un altro le vittime degli scontri è presente la regina,
magnate delle telecomunicazioni (tanto per Sirikit, per molti un avvallo tacito alle po- Davide Ambrosio è studente SID in stage
cambiare), Sondhi Limthongkul. La situa- litiche del PAD. PAD che decide di alzare i presso l’Ambasciata Italiana a Bangkok.
zione era divenuta grave già in agosto, con toni. E l’azione è spettacolare: tra il 25 e il
Piccole lezioni di diplomazia nell’era berlusconiana
Si sa, il mondo cambia velocemente. Così
velocemente che spesso si fa fatica a rimanere al passo con le novità. Novità che
troviamo in tutti i campi, dalla tecnologia
all’economia, per non parlare della medicina. Fino ad oggi, però, la diplomazia si è
mostrata un lido felice, al riparo da questo
vortice. Certo, le situazioni cambiano, si
passa da una guerra ad una cooperazione, e
così via; ma le regole scritte e, soprattutto,
non scritte, sono rimaste sempre quelle, rassicuranti e nobili. Ma tutto è cambiato con
l’avvento di quel Genio politico assoluto che
è Silvio Berlusconi. Egli ha portato qualcosa di assimilabile ad uno tsunami non solo
in Italia, ma anche nel mondo delle relazioni
internazionali. Dato che però il genio è per
sua natura ineffabile e incomprensibile, non
riusciamo ancora a capire con precisione le
nuove regole di comportamento introdotte
dal nostro Primo Ministro. Consapevole di
questo problema, che attanaglia soprattutto
noi, studenti di Scienze Internazionali e Diplomatiche, ho deciso di raccogliere alcune
regole che potessero dare vita ad un piccolo
Vademecum. Esso è necessario per rimanere
al passo coi tempi, per permetterci di capire
come comportarci nelle sedi più prestigiose in cui, forse, ci potremo trovare a tenere
alto il nome della Nazione. E’ chiaramente
un elenco riduttivo; forse è un po’ eccessivo
definire ‘lezioni’, ma speriamo che vi possa
comunque essere di aiuto.
1- Ricordati sempre che la gente ama essere rassicurata in quello in cui crede e che
si aspetta di vedere. Per questa ragione,
quando riceverai visite di capi di Stato o
importanti personalità estere, fai di tutto per
mostrare loro che tutti i luoghi comuni triti
e ritriti sul tuo Paese sono veri. Ad esempio,
canta TU STESSO vecchie e romantiche
canzoni napoletane, presenta loro i giocatori della TUA squadra di calcio originari
del loro stesso Paese, e portali nella TUA
villa in Sardegna (sole, mare e fantasia).
Potresti inoltre organizzare una cena a base
di spaghetti e mozzarella di bufala, magari
invitando anche i più prestigiosi capimafia,
pregandoli, naturalmente, di parlare esclusivamente in siciliano durante tutta la cena.
2- L’italiano ha la fama del ‘latin lover’.
Tieni fede a questa tradizione. Questo punto può essere considerato un corollario di
quello precedente, ma vista la sua importanza, è meglio esplicitarlo. Qualora ti trovassi
ad avere a che fare, ad un vertice, con controparti di sesso femminile, comportati in
modo quanto più ‘galante’ possibile, facendo alla lei di turno dei complimenti. Continua ad insistere se i tuoi apprezzamenti non
smuovono la controparte, che non si corra
il rischio che qualche giornalista estero dica
che gli Italiani non sanno apprezzare il fascino femminile. L’ideale sarebbe, poi, che
ti vantassi con la stampa delle tue innegabili
doti da seduttore.
3- Non c’è niente di meglio che creare un
po’ di sano cameratismo per sviluppare un
clima di lavoro sereno e proficuo. Basta che
tu abbia alcune semplici attenzioni, che usi
un po’ del tuo ingegno per capire quando è
necessario intervenire. Ad esempio, se durante una discussione importante, su una
guerra, una crisi finanziaria o altri argomenti, si crea una situazione di particolare
tensione e nervosismo, puoi rasserenare gli
animi dei tuoi colleghi raccontando una divertentissima barzelletta. Oppure, e sarebbe
ancora meglio, durante una foto con tutti i
leader partecipanti ad un vertice potresti
fare il simpatico gesto delle corna a chi si
trova davanti a te. Ma basta anche che tu, alzandoti, batta con i polpastrelli sulla testa di
chi ti è seduto a fianco per avere un effetto
soddisfacente.
4- L’opinione pubblica è, per sua natura,
diffidente nei confronti dei leader senza
senso dell’umorismo. Consapevole di ciò,
dimostra in ogni occasione possibile la tua
verve e la tua simpatia, farcendo di battute
acute ed intelligentissime ogni tuo discorso
o commento. In particolare, sottolinea i difetti o le particolarità fisiche dei tuoi colleghi ai vertici; questo adempie ad una duplice
funzione: da un lato, dimostra la tua grande
capacità di caricaturista, molto apprezzata
dall’opinione pubblica; dall’altro, crea quel
senso di familiarità molto importante per la
buona riuscita del vertice (come già detto al
punto 3). Un altro modo per mostrare il tuo
umorismo può consistere nel fare simpatici
scherzi ai tuoi colleghi stranieri; ad esempio, nascondersi dietro un palo della luce
e sbucare improvvisamente al loro passaggio, meglio se accompagnando il tutto con
un significativo e ben modulato ‘cucù!’. In
ogni caso, naturalmente, prima di fare tutto
ciò assicurati che ci siano delle telecamere presenti: sarebbe un vero peccato che si
perdessero le tue perle. Se per un caso malaugurato qualcuno non dovesse capire una
tua battuta, mostrati deciso: accusalo di non
avere il minimo senso dell’umorismo. Scusarsi significherebbe cedere alla stupidità
imperante oggigiorno.
Questo è quanto. Sono poche regole, ma
molto impegnative; in ogni caso, sono un
insostituibile guida da seguire passo passo
verso una soddisfacente carriera diplomatica all’ultima moda. Buona fortuna!
Giovanni Collot
giovanni.collot@sconfinare.net
Dicembre 2008
In attesa
ANCHE QUESTO CONTINUA DALLA PRIMA
Nello scenario più instabile di sempre, il
Medio Oriente, sono ancora molti i contenziosi e le crisi in corso. La guerra in Afghanistan è ancora lontana da una conclusione e nonostante gli sforzi della Coalizione
Internazionale le milizie talebane hanno
conquistato il controllo di numerose aree.
Nell’altra guerra ancora in corso, in Iraq,
il governo inglese ha annunciato il ritiro
delle sue truppe dall’area nel marzo 2009,
mentre le truppe americane dovranno attendere almeno il 2010. Tra i due paesi, l’Iran
è tornato al centro dell’attenzione mondiale con il suo programma nucleare civile e
nel 2008 l’amministrazione Bush sembrava
veramente vicina a dichiarare guerra anche alla Repubblica Islamica. Nonostante i
tentativi di discredito degli Stati Uniti e di
Israele, Teheran continua ad operare sotto il
controllo dell’AIEA, rimanendo dichiaratamente in ambito civile. Più a est, i recenti attacchi terroristici in India hanno trascinato il
Pakistan in una nuova profonda crisi. Si sta
diffondendo l’idea che la guerra al terrorismo in Afghanistan e gli sforzi americani in
Iraq richiedano la caccia alle organizzazioni
terroristiche presenti e operative nel territorio pakistano. Ritornando ad affacciarci
nel Mediterraneo, rimane ancora molto tesa
la situazione in Palestina e nella Striscia di
Gaza, e la questione dei Curdi in Turchia,
mentre appare probabile che nel 2009 si
concluderà il contenzioso tra Atene e Ankara per Cipro.
“But 2009 will bring disappointment. It will
become evident that it will take more than a
new American president to breathe new life
into multilateral diplomacy and international institutions.” Gideon Rachman: chief
foreign-affairs columnist, Financial Times.
Diego Pinna
diego.pinna@sconfinare.net
Sconfinare
periodico regolarmente registrato presso il Tribunale di Gorizia in data 20 maggio 2006, n° di
registrazione 4/06.
Editore e Propietario
Assid
“Associazione studenti di scienze
internazionali e diplomatiche”.
Redazione
Andrea Bonetti, Marco Brandolin, Attilio Di
Battista, Fabio Raffin, Edoardo Buonerba,
Elisa Calliari, Davide Caregari, Giovanni Collot, Giulia Cragnolini, Lisa Cuccato,
Valeria Carlot, Francesco Scatigna, Margherita Gianessi, Emmanuel Dalle Mulle,
Edoardo Da Ros, Nicola Comelli, Gabriella
De Domenico, Nicoletta Favaretto, Samuele
Zeriali, Guglielmo Federico Nastasi, Antonino Ferrara, Athena Tomasini, Diego Pinna,
Michela Francescutto, Francesco Gallio,
Alessandro Battiston, Massimiliano Andreetta, Nicola Battistella, Dimitri Brandolin,
Isabella Ius, Davide Lessi, Andrea Lucchetta, Margherita Vismara, Francesco Marchesano, Mattia Mazza, Luca Nicolai, Agnese
Ortolani, Leonetta Pajer, Federico Permutti,
Giacomo Antonio Pides, Federica Salvo,
Bojan Starec, Rodolfo Toè, Francesco Plazzotta, Giovanni Armenio, Giulia Riedo.
Si ringraziano per la collaborazione:
Davide Ambrosio, Emiliano Quercioli, Matteo Carzedda, prof. Vittorio Porcasi, prof.
Diego Abenante
www.sconfinare.net
Dicembre 2008
Sconfinare
Mumbai: il nuovo terrorismo globale
Intervista al professor Diego Abenante, docente di storia e istituzioni dei Paesi Afroasiatici.
E’ possibile scaricare l’audio completo
dell’intervista sul sito www.sconfinare.net.
1-
Professor Abenante, quale pensa
saranno le modifiche agli assetti politici
indiani in seguito a questi attentati? Pensa che ne risulterà avvantaggiato il partito nazionalista indù, il Bjp? E quali sono
le basi del fondamentalismo indù?
E’ difficile fare previsioni, di ogni tipo; bisogna essere cauti. Dobbiamo vedere cosa
succederà nei prossimi giorni. Però è vero
che gli attentati hanno già messo in difficoltà la coalizione guidata dal partito del
Congresso; infatti si è già visto che il Bjp,
il principale partito di opposizione, prima
ancora che fosse appurata l’identità degli
attentatori, ha criticato aspramente l’inefficienza delle politiche di sicurezza del Congresso. E’ possibile che questo possa avere delle ripercussioni sul piano elettorale.
Però, bisogna considerare una cosa: è vero
che la coalizione nazionale è l’obiettivo del-
le critiche, ma non dobbiamo dimenticare
che l’India è una federazione, quindi spesso
la responsabilità cade in egual misura anche
sui governi locali. Ovviamente, adesso il
governo del Maharashtra è nel mezzo di una
bufera… In secondo luogo, da un certo punto di vista la coalizione è ‘fortunata’, perché
le elezioni nazionali saranno nel 2009; quindi, da qui ad allora c’è tempo per recuperare
un po’ di consenso. Già ora ci sono segnali
da questo punto di vista: il governo ha gestito abbastanza bene le fasi dell’emergenza,
ed ha anche arrestato un attentatore, da cui
pare stia ricevendo molte informazioni. Per
quanto riguarda la seconda domanda, essa
ci porta lontano; il Bjp non è che l’ultima
forma che ha assunto la corrente politicoreligiosa del nazionalismo indù. Essa prende le sue mosse già nel XIX secolo, da certi
movimenti di riforma dell’induismo che si
rifanno ad una base cristiana, razionalista
e critica delle superstizioni. L’interpretazione politica di queste teorie si avrà nel
‘900, quando i nascenti movimenti politici
collegheranno questo induismo riformato
alla nazione: essere indiani vorrà dire essere
indù. Avremo quindi vari partiti nazionalisti, dei quali il Bjp è l’ultimo. Questo nazionalismo si distingue dagli altri nazionalismi
“classici”, perché è una qualità che si può
acquisire: tutti possono diventare indiani,
se accettano la religione e la cultura indù.
Il concetto principale, insomma, è quello di
‘indianità’. Infatti, il Bjp ha una politica fortemente antimusulmana, e non riconosce i
musulmani – e nemmeno le altre comunità
religiose - come veri indiani.
2-
Quanto è fondato il timore di
una seria battuta d’arresto nel processo
di pace India- Pakistan?
Anche qui è difficile fare precisioni. Si vedrà
abbastanza presto se la situazione è seria oppure no, perché la politica nel subcontinente
segue schemi piuttosto consueti. Secondo
me, in ogni caso, nessuno dei due governi ha
interesse ad interrompere il dialogo. Il governo indiano ha anzi un interesse opposto,
sostenere il governo civile pakistano, che è
ancora debole, essendosi insediato da pochi
mesi; un conflitto ora lo destabilizzerebbe,
e lo porterebbe a delle derive preoccupanti,
con un nuovo governo militare o, nel peggiore scenario, anche se piuttosto improbabile, uno sviluppo islamista. Da un confronto militare India- Pakistan prendono sempre
forza i gruppi nazionalisti. E’ vero però
che il governo deve
rassicurare l’opinione
pubblica; queste tracce che riconducono al
Pakistan devono essere analizzate, anche
assicurandosi un forte
appoggio da parte del
Pakistan nella lotta al
terrorismo, altrimenti
si rischia di favorire
il Bjp. Da parte pakistana, il governo ha
ben altri problemi:
è un governo civile
giovane, che sta cercando di agganciare
rapporti con l’esercito
e le altre forze al potere precedentemente.
Per questo io tendo ad
escludere un coinvolgimento diretto del Pakistan.
3-
Cosa significava la presenza dei
tecnici israeliani, al servizio del governo
indiano, colpiti dai terroristi?
Francamente, credo che questo punto debba
essere verificato. Può essere benissimo che
si trattasse di tecnici israeliani. La vicinanza
tra India ed Israele non è una novità; quello che mi colpisce non è tanto la presenza
di quei tecnici, quanto la volontà dei terroristi di colpire principalmente gli israeliani.
Questo mi rafforza nella convinzione che
questi attentati avessero una matrice esterna al subcontinente, perchè in India non c’è
una tradizione di violenza politica diretta
specificatamente verso gli ebrei. La matrice degli attentati è sicuramente situata al di
fuori, almeno nella regia; gli esecutori sono
sicuramente locali, anche perché degli Arabi
avrebbero destato attenzione. Il tipo di violenza si ricollega anch’esso ad una matrice
esterna all’India, di tipo islamista; è probabile che ci sia un coinvolgimento di Al Qaeda.
Per la storia del subcontinente sono nuovi
questi attacchi indiscriminati ad alberghi e
luoghi civili; normalmente la violenza religiosa e politica nel subcontinente colpiva
leader politici, non nel mucchio, oppure, più
recentemente, soprattutto in Pakistan, luoghi
di culto, lì in maniera indiscriminata, ma era
sempre una violenza tradizionale.
4-
Considera quest’attacco come
l’ultimo e il più eclatante di una lunga
serie, con gli stessi obiettivi di sempre, o
come il primo di una nuova generazione
con nuove finalità e nuove modalità?
Purtroppo, adesso propendo più per la seconda ipotesi: questo attentato dimostra che
il terrorismo si è insediato nel subcontinente; la zona tra Afghanistan e Bangladesh è
diventata una zona critica per il terrorismo,
soprattutto islamista. Sarebbe interessante
approfondire i motivi per cui questo è avvenuto, e ci sono sicuramente delle responsabilità del’Occidente, ma anche ragioni
legate alla storia dell’area. Si sta imponendo questo modello globalizzato di violenza
terroristica, che è diversa da quella tradizionale. Non voglio parlar bene della violenza
tradizionale, nel senso che colpire luoghi di
culto in maniera indiscriminata è bestiale,
ma era un tipo di violenza più legato alla religione. Poi si è passati gradualmente ad una
violenza più allargata, ma sempre artigianale; ora, totalmente nuovi al subcontinente
sono questi attentati, come quello del Marriott ad Islamabad, che secondo me è dovuto
alla stessa mano di quello di Mumbai. Secondo me, purtroppo, dobbiamo aspettarci
un nuovo stile della violenza nell’Asia meridionale.
Per certi aspetti, si potrebbe dire, con
Ahmed Rashid, che con questi attentati
l’India sia entrata, simbolicamente, nella
modernità?
E’ brutto a dirsi; si può anche non essere
del tutto d’accordo, nel senso che l’India è
entrata da un pezzo nella modernità; però,
dal punto di vista della violenza, forse sì, nel
senso che da una violenza ‘tradizionale’ che
3
Mondo
si nutre di obiettivi specifici e di un linguaggio simbolico con valenza locale si è passati
ad una violenza globalizzata. Non va dimenticata poi un’altra dimensione: questo attentato mette in forse i rapporti tra la comunità
musulmana indiana e le istituzioni. La comunità musulmana in India è solitamente
molto svantaggiata, soffre di condizioni di
vita di notevole difficoltà; il fatto che in più
venga vista dal resto della popolazione come
filo-terrorista mette in difficoltà la coesione
della democrazia indiana. Bisogna trovare
dei modi per rassicurare la stessa comunità
musulmana indiana, non dimenticando che
molte vittime sono musulmane.
5-
Mumbai è la Porta e la capitale
finanziaria dell’India. Quanto ha contato
questa simbologia nella scelta degli attentatori?
Questo è un aspetto molto interessante, che è
stato colpevolmente trascurato nelle analisi
dei media. Bombay ha un significato simbolico molto forte, perché è aperto storicamente a molte influenze; anche prima dell’arrivo
dei britannici era un luogo di scambi e di
interazioni culturali; era uno dei luoghi della tolleranza. Da questo punto di vista, non
mi stupirei se il luogo fosse stato scelto dai
terroristi anche per colpire il simbolo della
tolleranza. Inoltre, c’è un’altra cosa da dire,
a cui forse nessuno ha fatto caso: pare che la
nave che portava i terroristi abbia fatto scalo a Port Bandar, nel Gujarat. Port Bandar è
la città natale di Ghandi. Che essi abbiano
fatto scalo proprio lì può avere una valenza
casuale, ma si tratta comunque di una triste
coincidenza.
Giovanni Collot e Francesco Scatigna
giovanni.collot@sconfinare.net
francesco.scatigna@sconfinare.net
Macelleria messicana
Messico, sull’orlo della guerra civile
Ogni giorno giungono notizie di sparatorie
ed efferati fatti di sangue, la cifra degli omicidi ha raggiunto la spaventosa cifra di 4000
nell’ultimo anno. Queste sono le spaventose
cifre dell’ondata di violenza scatenata dai
narcotrafficanti in Messico. Il ritrovamento
di nove teste mozzate alla periferia di Tijuana, regno incontrastato dei criminali, e solo
uno degli ultimi efferati atti delle sempre
più sanguinarie bande criminali. Lo scontro ormai non guarda in faccia più nessuno,
coinvolgendo oltre ai membri delle forze
dell’ordine anche civili, donne e bambini,
che sempre più spesso vengono trovati morti dopo aver subito torture e mutilazioni. Ed
è proprio questa la piega più spaventosa che
sta prendendo la guerra tra narcos e governo,
sempre più spesso i corpi vengono ritrovati
con sopra i segni di brutali torture, pestaggi
ed orrende mutilazioni come la decapitazione, praticata sempre più spesso per uccidere
gli agenti di polizia. L’ultimo gradino percorso in questa discesa all’inferno è la diffusione su internet dei filmati delle uccisioni,
con sottofondo musicale inneggiante ai vari
“cartelli” della droga prendendo a modello i video del conflitto iracheno. Il sempre
maggior grado di instabilità in Messico sta
costringendo ad intervenire anche i paesi
che sono il terminale del traffico di cocaina,
gli Usa in primis, ma anche l’Italia. Un’operazione condotta dai Carabinieri del Ros ha
portato all’arresto di 200 persone lo scorso
17 settembre ed ha svelato la sempre maggior connessione tra ‘Ndrangheta calabrese,
cartelli messicani e produttori di cocaina
colombiani. L’indagine, che ha coinvolto
anche FBI e DEA, ha svelato proprio i traffici che intercorrono lungo l’asse ColombiaMessico-Usa-Italia, con il coinvolgimento di Farc e paramilitari colombiani nella
produzione di droga, i famigerati Los Zetas
messicani incaricati dello stoccaggio della
cocaina ed infine l’invio dagli Usa verso i
mercati italiani ed europei. L’operazione
ha portato all’arresto di numerosi latitanti,
sia italiani che messicani, ed ha consentito
il sequestro di 16 tonnellate di cocaina e di
57 milioni di dollari oltre ad evidenziare la
sempre maggior importanza del Messico nel
traffico di droga. Anche gli Stati Uniti hanno deciso di intervenire sempre più massicciamente nella lotta alle bande messicane,
che hanno iniziato a compiere regolamenti
di conti anche al di là del confine ed in cui
esportano quantità enormi di cocaina e riciclano il denaro. L’avvio dell’operazione
“Merida”, uno stanziamento di 400 milioni
di dollari di aiuti, iniziata con una cerimonia a Città del Messico è un segnale della
volontà americana di intervenire sempre più
massicciamente nella lotta ai narcotrafficanti messicani.
Emiliano Quercioli
e.quercioli@yahoo.it
Sconfinare
4
Politica Nazionale
Dicembre 2008
Happ’olatu kin sos astores
Spunti di indipendentismo sardo e l’Italia
È necessario danneggiare l’ambiente
per ristabilire la fiducia?
Luci e ombre del decreto anticrisi
Il 28 Novembre è stato varato il decreto legge n. 185/2008, meglio noto come “decreto
anticrisi”, che ha acceso una vivace discussione all'interno del Parlamento. Le misure
adottate muovono circa 80 miliardi di € nel
corso dei prossimi 2-3 anni, con l'obiettivo
immediato di ristabilire la fiducia, come ha
detto il ministro Tremonti.
Il ddl è composto di 36 articoli, divisi in 5
titoli, e le misure più importanti sono quelle a sostegno delle famiglie più bisognose
– bonus da 200€ a 1000€, compensazione
per l'acquisto di gas naturale – e in generale a tutti i cittadini (ammortizzatori sociali dotati di 1,2 mld circa di € in più per il
triennio 2009-2011), oltre ad altre misure di
varia natura (tra cui sostegno alle Ferrovie,
misura per contrastare la fuga di cervelli e di
sostegno ai precari).
Il punto su cui però il dibattito è stato più
intenso è la pesante riduzione delle risorse
disponibili per gli sgravi fiscali a sostegno
dell'efficienza energetica, che in pratica permettono a chi vuole migliorare l'efficienza
energetica della propria abitazione di pagare
solamente il 45% del costo degli interventi
necessari. Con la modifica introdotta all'articolo 29, infatti, il limite di spesa per questi
interventi è “pari a 82,7 milioni di euro per
l'anno 2009, a 185,9 milioni di euro per l'anno 2010, e 314,8 milioni di euro per l'anno
2011” (art. 29 comma 7). Per rendere l'idea
di quanto sia ridicolmente bassa questa cifra, basti sapere che nel solo 2007 ci sono
state richieste di sgravi fiscali per 825 milioni di €.
Inoltre, il procedimento per accedere a questi
già scarsi fondi si è complicato, prevedendo
l'invio di una “apposita istanza per consentire il monitoraggio della spesa e la verifica
del rispetto dei limiti di spesa complessivi”
di cui sopra: vale la regola del “silenzio dissenso”, cioè, se non si riceve entro 30 giorni
la risposta dall'Agenzia delle Entrate, il contributo si intende non concesso.
Inizialmente il ddl rendeva questa norma
addirittura retroattiva a partire dal 31 dicembre 2007 (riferito alle opere in corso a quella data): in pratica tutti coloro che avevano
ottenuto degli sgravi fiscali da quella data
in poi non ne avrebbero più beneficiato. Tuttavia, il 3 Dicembre '08 il governo ha fatto
marcia indietro eliminando la retroattività,
quindi chi ha già ottenuto gli sgravi fiscali
nel corso del 2008 dovrebbe stare tranquillo
(il condizionale è d'obbligo!).
Evidentemente il disaccordo è forte anche
all'interno della maggioranza, se Tremonti
ha subito ventilato l'ipotesi di porre la fiducia sul decreto. E per restare nell'ambito
regionale, la Lega Nord del Friuli VeneziaGiulia ha duramente condannato questi tagli.
La motivazione ufficiale di questi tagli sa-
rebbe evitare che i crediti d'imposta vengano “usati come dei bancomat”, cioè per
finanziare spese per le quali non c'è la copertura necessaria da parte dei privati. Proposito ovviamente condivisibile, che però
non può certo giustificare le dimensioni di
questo taglio che di fatto blocca la diffusione degli interventi di risparmio energetico
e dà anche un durissimo colpo alla giovane
e attiva industria delle energie rinnovabili,
una delle poche in buona salute anche in
questo periodo di crisi.
Nel frattempo, in Europa e negli USA, si è
ormai affermata una strategia di uscita dalla
crisi economica che non solo non danneggi
l'ambiente, ma anzi faccia dell'industria delle energie rinnovabili e del risparmio energetico due pilastri fondamentali per rilanciare
l'economia. Su questo tema, che giustamente ha inserito fra le priorità del suo mandato,
Obama è atteso al varco (il primo è la firma
all'accordo di Kyoto). In Europa, invece, già
da tempo ci sono paesi che investono nelle
energie rinnovabili e che ne stanno traendo i
benefici. Tanto per evitare di essere accusato
di faziosità politica, faccio notare che è stato
proprio il conservatore Sarkozy a difendere
a spada tratta il pacchetto europeo contro il
cambiamento climatico.
Ma si deve andare al di là dei benefici puramente economici ricavabili sul medio e
lungo periodo dallo sviluppo delle energie
rinnovabili. Non si tratta solamente di freddi
calcoli economici, non è una questione né
di destra né di sinistra: la difesa dell'ambiente è una questione che tocca tutti, indistintamente, non perché tutti debbano amarla,
ma semplicemente perché le conseguenze
peseranno sulle spalle di tutti noi. Anzi, non
peseranno sulle spalle di chi ora ha 60 o 70
anni e sta al governo o all'opposizione, ma
soprattutto su quelle di noi giovani.
Vorrei abbandonarmi a un elogio lirico
sull'amore per la Natura, ma so che non
avrebbe molta presa (e non ne sarei capace!). Quindi preferisco tenere una linea
“leggermente” più brusca: non possiamo
permetterci di attendere troppo, è già tardi
per evitare danni ma non è troppo tardi per
evitare il peggio. Questa crisi è l'occasione
di staccarci da un modello di sviluppo distorto che considera i danni ambientali una
variabile quasi irrilevante: spero che si comprenda la mostruosità di questo errore senza
doverlo provarlo sulla nostra pelle e senza
che il nostro futuro venga compromesso.
Abbiamo il diritto di non pagare le colpe altrui: rendiamocene conto e cominciamo noi
stessi a cambiare le cose.
Federico Faleschini
federico.faleschini@sconfinare.net
In mezzo al Mediterraneo sorge, fiero ed orgoglioso, quello scoglio chiamato Sardegna.
È evidente la somiglianza tra questa terra e
i suoi colori, i suoi sapori, i suoi profumi, i
suoi abitanti e la loro lingua. La storia della
Sardegna,purtroppo poco nota, è complessa
ed affascinante, si mischia con la cultura pagana, quella cattolica, le tradizioni della vita
agropastorale. In tanti, forse troppi, sono
passati per questa terra, con gli abiti dei
conquistatori. Dalla dominazione romana
alla monarchia sabauda, senza dimenticare
la Corona spagnola, eserciti potenti, organizzati ed armati si sono alternati nei secoli,
contribuendo senza dubbio a creare l’unicità della cultura sarda ma reprimendo con la
forza ogni tentativo dissenziente. Nel corso
dei secoli, l’orgoglio dei sardi si è espresso
con l’indipendentismo, forme di lotta più o
meno violente contro l’oppressore straniero.
Ogni secolo ha avuto i suoi “eroi indipendentisti”: Amsicora che combatté contro i
romani nella prima guerra punica, Bernardino Puliga, il punitore dei mori nel 1581, o il
giudice Angioy capo del movimento antifeudale sono solo tre esempi. Il movimento non
si è mai fermato, anzi, nell’ultimo mezzo secolo è sembrato rifiorire più che mai, eccitato da simili esperienze in giro per il mondo
nonché dalle possibilità attuali di diffondere
idee e notizie ampiamente e con facilità. Le
principali motivazioni della lotta indipendentista attuale si rifanno al retaggio storico
e culturale sardo, notevolmente diverso da
quello del resto d’Italia, ma mai valorizzato
o almeno protetto adeguatamente da autorità centrali (“La caratteristica specifica della
oppressione vissuta dal nostro popolo sta
nella negazione della esistenza del diritto
alla “diversità” che presuppone l’essere
Sardi nello stato italiano” – Statuto del partito indipendentista Sardigna Natzione Indipendentzia), come al tempo della Riforma
Manzoni, con l’imposizione di una lingua e
di una cultura estranee all’isola. Al giorno
d’oggi, inoltre, per taluni la cultura locale è
diventata un fenomeno di colore folkloristico, per divertire i turisti piuttosto che per ripetere rituali ancestrali che si perdono nella
notte della civiltà: ad esempio, le maschere
tradizionali del carnevale della Barbagia, i
Mamuthones, vestiti con un abito di pelle di
pecora e lana grezza e un’armatura di circa 20 kg di campanacci, è “costretta” dalle
Pro Loco a sfilare per la gioia dei turisti a
ferragosto, snaturandosi dal suo significato
reale (il carnevale sardo, che va dalla festa
di sant’Antonio al mercoledì
delle ceneri, coincideva con
l’unico periodo dell’anno in
cui i pastori stavano in paese, e le maschere grottesche
e bestiali servivano ad esorcizzare una trasformazione
dell’uomo in bestia durante
i lunghi periodi d’isolamento
in alpeggio). Ma il peggior
affronto per gli indipendentisti sardi si chiama “servitù
militare”. Ampi terreni strappati ai contadini per creare
poligoni di tiro in cui testare
proiettili convenzionali e non
(cercate l’episodio di Pratobello), esercitazioni militari
internazionali, basi americane (fino al 2006 il 60% delle servitù americane in Italia si trovavano
nell’isola, con missili, basi e sottomarini
nucleari, tratti di mare enormi chiusi al transito). I principali partiti indipendentisti al
giorno d’oggi sono il Partito Sardo d’Azione (PSd’Az), fondato da Emilio Lussu, progressista e federalista, Sardigna Natzione
Indipendentzia (SNI), da inquadrare nella
grande sinistra europea, e Indipendentzia
Repubrica de Sardigna (IRS), nato di recente da una costola di SNI e su posizioni più
aperte e meno radicali; accanto vi troviamo
numerosi movimenti ideologici, tra cui il
più famoso è a Manca pro s’Indipendentzia
(aMpI – a Sinistra per l’Indipendenza), movimento indipendentista comunista; i gruppi
più violenti (Organizzazione Indipendentista Rivoluzionaria e Nuclei Proletari per
il Comunismo) agiscono ormai raramente e
nell’ombra, e spesso la legge colpisce persone ad essi estranee solo perché professano
con coraggio idee che potrebbero risultare
scomode (nel 2006, 44 indagati, 54 perquisizioni e 11 arrestati, rilasciati dopo 6 mesi
perché le prove non si sono rivelate sufficienti), e accusando l’aMpI di fare loro da
scudo. Il sentimento di dominazione esterna
è vivo anche nel settore turistico: le enormi
cifre di denaro che circolano in Sardegna
sono divise tra vari imprenditori (Moratti,
Rovelli, l’Aga Khan, Briatore, Berlusconi…) che concedono ai locali di fare da lavapiatti. In conclusione ricordo la sentenza
della Corte Costituzionale 365/2007, che ha
dichiarato l’incostituzionalità del termine
“sovranità” nello Statuto regionale (“Statuto
di autonomia e sovranità del popolo sardo”),
senza censurare “popolo sardo”, espressione usata già dal 1948 e unica negli statuti
regionali italiani; in merito alla sentenza,
l’aMpI ha ribadito che “La Sardigna è una
Nazione senza Stato in quanto ha un territorio ben determinato, definito e riconoscibile
dal fatto di essere un’isola; in quanto ha storicamente sviluppato una sua propria economia autoctona fondata su una struttura di
tipo agro-pastorale; in quanto abitata da un
popolo inteso come comunità etnica stabile
che ha avuto la capacità storica di elaborare
una propria lingua, una propria cultura, codici di auto-regolamentazione della propria
società”.
Matteo Carzedda
mattegolino@yahoo.it
Sconfinare
2008 Dicembre
Far East
Come il casinò finanziario
blocca la locomotiva del nord est
5
Politica Nazionale
La monotonia
delle gravidanze istituzionali
Mamma Patria non ce la fa più,
9 volte su 10 nascono maschi
Il denaro non produce denaro. Questa la prima lezione da trarre. E tra le ricette di eterna
rifondazione di questo capitalismo malato,
proposte proprio dai vecchi campioni del liberismo più sfrenato, che ora si esibiscono
in piroette no global; e questa crisi che sembra caduta sulle nostre teste come una disgrazia, un imprevedibile disastro naturale,
senza colpevoli o cause nominabili, come
sta l’economia reale? I governi di mezza
Europa adottano pacchetti anti crisi, e in
Italia a versare le lacrime più amare è proprio l’orizzonte produttivo di questo paese,
la locomotiva del nord est, l’invincibile modello delle piccole – medie imprese, il tessuto di un’economia vincente. La locomotiva
sferraglia oramai verso un binario morto,
e il “popolo delle partite IVA” alza inesorabilmente bandiera bianca. Nessun settore merceologico può dirsi al riparo. Dalla
recessione economica alla depressione il
passo è breve, e i dati snocciolati da sindacati e gruppi confindustriali veneti sono da
brivido: non siamo ancora alla depressione
economica, ma poco ci manca: una ricerca
prodotta da Veneto Lavoro analizza l’allarmante situazione della regione, sicuramente
faro del “modello nord – est”, e snocciola
dati da brivido: la crescita dell’economia
regionale porta due segni negativi, le previsioni sono pessime con una dinamica del
pil veneto pari a - 0,1 % nel 2008 ( - 0.2 %
per l’Italia) e pari a - 0,2 % nel 2009 (- 0,4
% per l’Italia). Se queste previsioni venissero confermate, sarebbe la prima volta che
il Veneto conosce un biennio di contrazione
del prodotto. Forte riduzione delle assun-
zioni con una caduta ben superiore al 10 %,
e ringraziamo gli immigrati: senza questi
avremmo un welfare in crisi, un decrescita
demografica inarrestabile, interi settori produttivi (turismo, edilizia, meccanico) che
non resisterebbero un minuto di più. Ma ben
più allarmanti sono le scelte delle aziende in
tema di disoccupazione e il crescente ricorso agli ammortizzatori sociali: nei primi 8
mesi del 2008 l’incremento, sul corrispondente periodo dell’anno precedente, è stato
del 50 % per quanto riguarda le ore di cassa integrazione ordinaria (che solitamente
scatta per crisi temporanee) e del 42 % per
quanto riguarda le ore di cassa integrazione
straordinaria (prevista per ristrutturazioni
strutturali e gravi crisi aziendali). E se i numeri percentuali non convincono, le cronache dai luoghi di lavoro fanno rabbrividire:
Aprilia, Osram, Electrolux, le chimiche di
Porto Marghera… le aziende annunciano
piani – shock di taglio netto (in alcuni casi
dimezzamento) dei posti di lavoro, veri e
propri bollettini di guerra. È una “tigre di
carta” che non sa più a che aggrapparsi, che
tra proclami per un non meglio precisato
federalismo chiede a gran voce l’innegabile
aiuto dopo aver sgobbato e tirato avanti la
carretta italiana. L’aiuto di stato, sepolto dai
guru del mercato negli anni ’80 – ’90, e che
ora diventa un dovere, l’unica strada percorribile e dovuta per restare a galla. Sperem
ben.
Matteo Lucatello
www.matteolucatello.it
matteo.lucatello@sconfinare.net
L’editoriale
CONTINUA DALLA PRIMA
anche senza il prestigioso riconoscimento che ci installeremo nella nuova Aula Asdi chi questa barca la manovra, mangiando sociazioni, dove tutti finalmente potranno
caviale e dimenticandosi di pagare i mozzi. con-vivere. Se l’esperienza universitaria
Non i capitani, o gli ammiragli. I mozzi.
tralascia la mutuale conoscenza, se tralascia
Tra pochi mesi scenderò giù dalla nave con- lo scambio di idee, se tralascia l’esistenza
tento, e non mi dispiacerò di aver perso que- di uno spazio comune in cui condividere,
sta Università. Mi dispiacerò di aver perso beh… avremo perso un po’ dei nostri venti
questo quadro variopinto di persone.
anni. E il giornale non ci sta.
Allora brindiamo, che il tintinnio dei bic- Felice Natale a tutti e buone vacanze,
chieri si senta forte, su fino al quinto piano
Edoardo Buonerba
e in torretta. Brindiamo alle conquiste che
edoardo.buonerba@sconfinare.net
abbiamo ottenuto e che otterremo il giorno
Qualcuno mi spieghi perché, secondo la legge dei grandi numeri, le potenzialità umane
dovrebbero essere equamente ripartite tra
donne e uomini mentre il riscontro pratico
di questa affascinante teoria è un mondo che
premia l’attributo come potenza.
Il vertice istituzionale di un paese, che potremmo (e dovremmo) usare come esempio
di impiego meritocratico, non rispecchia
minimamente le previsioni della scienza:
dei 199 paesi di cui si compone la pangea
politica delle Nazioni Unite, solo 15 hanno
allungato le redini del potere a candidate
donna. Possibile che l’universo femminile
sprofondi in lacune tanto scabrose di inettitudine governativa? (Attenzione, chiunque
abbia sentito la sonora eco di un “si” nella
testa è pregato di non sottoporre il proprio
muscolo cerebrale ad ulteriori sforzi ginnici, l’effetto potrebbe essere letale). Attualmente, i suddetti incarichi istituzionali si
dividono in 8 Presidenze (Argentina, Cile,
Finlandia, India, Irlanda, Liberia, Filippine
e San Marino) e 7 Primi Ministri (Germania, Haiti, Moldavia, Mozambico, Antille
olandesi, Ucraina e Isole Aland). Gli unici
due paesi che non hanno mai ceduto alla
tentazione di concedere una partecipazione
governativa alla propria fetta di popolazione femminile sono il Principato di Monaco
e l’Arabia Saudita. Ha corso il medesimo
rischio (ma si è salvato in extremis) il Vaticano, che annovera tra i propri collaboratori
di governo un’Assistente Vice-Ministro in
gonnella. Dal canto suo, l’attuale governo
italiano ha posizionato sulla scacchiera ministeriale quattro regine: Meloni alle politi-
che giovanili, Prestigiacomo all’ambiente,
Gelmini all’istruzione e Carfagna alle pari
opportunità (il climax è volutamente discendente). Quello che resta da chiarire è se e,
di conseguenza, chi prepara loro gli itinerari
tra le altre pedine ed, eventualmente, cosa
succederà a queste fragili figure regali nel
momento in cui, per inevitabile decorso
naturale, il re andrà in scacco. Nella classifica delle World’s powerful women, redatta annualmente dalla testata Forbes per
individuare le 100 donne più influenti del
globo, l’unica italiana ad essere citata è Marina Berlusconi con un 34° posto. Ancora
più degradante, però, è il 52° posto (a pari
merito con la Cina) nella classifica mondiale per la rappresentanza femminile in Parlamento, che vede primeggiare il Rwanda con
una percentuale del 56,30% di donne alla
Camera e del 34,60% al Senato. Le percentuali dell’Italia, che tra le due nazioni molti
presumono essere la più progredita democratica e civilizzata, sono del 21,30% per la
Camera e del 18,00% per il Senato (per chi
volesse approfondire, segnalo il sito www.
ipu.org/wmn-e/arc/classif311008.htm).
Dunque, riassumendo: noi ci consideriamo
la linea d’assalto nella lotta per il raggiungimento delle pari opportunità (e la Carfagna è la nostra bandiera), loro sono quelli
che eleggono anche le donne. Non fa una
piega. Soprattutto se pensiamo che l’arma
più concreta che il genio italiano ha impugnato ultimamente per risolvere il problema
della scarsa partecipazione femminile ai
giochi istituzionali è la proposta di renderne la rappresentanza obbligatoria per legge.
L’idea non è neppure innovativa, ci aveva
già pensato il fascismo, che nel 1938 voleva
riservare ai suoi “angeli del focolare” il 10%
degli impieghi nella pubblica amministrazione. C’è forse altra proposta che, più delle
quote rosa, chiarifica il ruolo marginale e
sottomesso riservato alle embrionali velleità
elettorali della donna italiana? La scelta stessa del colore attribuito a queste fantomatiche quote è emblematico: nella proposta del
2006 si chiede che almeno un terzo dei deputati sia di sesso differente rispetto a quello
dei rimanenti due terzi ma non si fa alcun
riferimento al sesso che si vuole tutelare,
perché allora il
rosa?
Con
buona
pace delle giovani e non che
nutrono
ancora qualche
speranza, sarà
il caso di dire
che, per l’Italia, la teoria del
tetto di cristallo
è ancora legge;
la grande casa
del lavoro apre
ogni sua stanza all’operosità
femminile ma gli oneri e gli onori, assiepati dietro la brillante trasparenza di un tetto
di invalicabile cristallo, rimangono ancora
inaccessibili. In altri paesi la teoria miete
ugualmente le sue vittime ma, come il più
sano dei bacilli influenzali, è riuscita a plasmarsi per evitare gli attacchi delle nuove e
più agguerrite generazioni: il tetto diventa
impalpabile aria tersa ma, superandolo, le
donne potranno occuparsi soltanto di problemi particolarmente pruriginosi; questa
volta puliranno le grondaie, insomma.
Valeria Carlot
valeria.carlot@sconfinare.net
6
Glocale
L’attuale fase di recessione coinvolge anche
il mediterraneo nel suo complesso e in questo senso occorre dare atto che il presidente
francese Sarkozy ha saputo cogliere lo spirito delle reciproche debolezze a fronte della
concorrenza internazionale proponendo la
costituzione dell’Unione Per il Mediterraneo, facendo giustizia del fallimento tutto
europeo del Processo di Barcellona. Probabilmente l’intuizione del Presidente francese scaturisce anche dalla considerazione
fatta nel 2006 dal Presidente della Tunisia
Zine El Abidine Ben Alì - è nota la reciproca stima - che il 30% della Sua popolazione
per ragioni anche
finanziarie non
rinuncerebbe a
comprare cinese
anche se l’offerta di prodotti
europei o tunisini dovesse a parità di standard e
qualità scendere
di prezzo ( cosa
peraltro impossibile stante l’esistenza del delta
sui costi rappresentato
dalla
previdenza
e
assistenza dovuta ai lavoratori,
dalla necessità
di
provvedere
al rispetto della qualità e
dell’ambiente e
dei relativi standards, dalla urgenza dei prov- Il Fragolino
vedimenti a favore dei ceti più deboli della
popolazione che impongono di destinare
una parte importante del gettito fiscale-finanziario alla solidarietà ). Ampio coraggio
ha poi dimostrato il Capo del Governo spagnolo ospitando a Barcellona la sede della
nuova UPM, assumendosi così il compito
di garantire la sicurezza della delegazione
israeliana che peraltro per la prima volta
lavorerà di concerto con i rappresentanti
della Palestina nella nuova segreteria permanente e con la Lega Araba che unitariamente siederà al tavolo della concertazione.
L’insistenza tedesca a prendere parte alla
costruzione di un percorso mediterraneo
ci dice molto, poi, della lungimiranza di
quella cancelleria: Infatti la cura riposta nel
reindirizzare la iniziale proposta francese
, concentrata solo sui paesi rivieraschi del
mediterraneo riporta indietro l’orologio della storia in maniera finalmente non violenta.
Il tema non è come sembra fermo alla possibilità di accedere a forme energetiche tradizionali (gas e petrolio), sappiamo che gli
eredi della lega anseatica , oggi tutti membri del così detto “Northern Arch”, sono tra
i soggetti che più stanno investendo nelle
energie alternative (dalle eoliche alle solari,
alle bioenergie) e che sono gli autori del c.d.
motore all’idrogeno, anche al fine di dare
piena attuazione al protocollo di Kyoto. Il
tema è ancora quello dei grandi imperatori
e dei grandi califfi, quello che aveva spinto
Caligola (tutt’altro che pazzo!) a chiedere la
Sconfinare
La diplomazia del vino
mano della figlia dell’imperatore persiano,
riproposto poi da Carlo Magno negli stessi
termini ma verso Irene di Costantinopoli, e,
quindi vissuto nelle varie crociate tutte tese
non alla liberazione dei luoghi santi, piuttosto alla formazione di quel mercato unico
dove i prodotti del settore primario - freschi,
freddi, secchi e trasformati - del secondario,
del terziario e del quaternario potessero liberamente circolare, sia pure in dimensione
eurocentrica, come parzialmente avvenuto
durante l’impero romano di Adriano degno
antenato - via Aristotele e
Platone - dell’umanesimo
panarabo del nono, decimo e undicesimo secolo di
cui alle opere dei sommi
Omar Kayyam, Al-Tawhidi e Abu Nawas, fra gli
altri. Ben sapeva Adriano,
rifondatore di Cartagine,
che la forza di Roma era
il diritto che rendeva tutti
i cittadini uguali dinnanzi
alla legge e che la romanizzazione della provincia
dell’Africa era principiata
subito dopo la conquista e
portata avanti con forza da
Caio Mario al fine di assicurare gli approvvigionamenti alimentari e non di
Roma. L’arte musiva con
materiale lapideo, scomparsa a Roma è certo ancora florida e ben coltivata
in Tunisia. Ma assicurare
la fedeltà a Roma era funzione dell’attrazione verso una comune civiltà della “dignitas” che
la stessa esercitava sulle varie genti, divenute latine e poi cittadine e tali rimaste per
almeno sette secoli. La proposta Sarkozy di
(ri)creare l’arco latino non contrapposto ma
complementare a quello nordico, ripercorre
con l’intervento tedesco quel ventennio di
pace e libero mercato che ebbe luogo fra il
1230 e il 1250 epoca nella quale il mediterraneo visse di libero commercio e di libero
accesso ai luoghi santi in “enjoyment and
conviviality” (Ali ibn Muhammad Abu Hyyan Al Tawhidi). Ben sapendo i Governanti
dell’area quanta ricchezza gli scambi reciproci possano portare anche in termini di
gettito fiscal-finanziario, anche attraverso la
pratica del turismo religioso. Il punto di vista
dei regnanti dell’epoca era fondato sull’osservazione della realtà: i prodotti e i beni
realizzati nelle singole regioni spesso non
avevano le quantità necessarie a soddisfare
il mercato domestico e il costo unitario di
produzione era troppo elevato; fare sistema
produttivo nell’arco di una filiera mediterranea invece consentiva di realizzare quelle
economie scala e di settore che rendevano le
varie parti interdipendenti e autosufficienti
rispetto alle potenze orientali, mentre i Cavalieri del Tempio e quelli Teutonici, svolgevano una funzione di finanziamento anche
della ricerca scientifica e tecnologica, oltre
quella ospedaliera e se del caso militare:
Cina e Asia Centrale prime fra tutte, come
la paura di Tamerlano/Timur e dei magiari
qualche secolo dopo avrebbe dimostrato.
Intanto, le scuole di pensiero arabo-islamiche si sviluppavano e non vi era ramo della
scienza che non convivesse nell’anima dei
vari pensatori e poeti. E’ con l’avvento dei
turchi (bestie selvatiche, secondo Al Tawhidi) che l’umanesimo della Umma araba entra in crisi e alla convivialità subentra la tolleranza e non sempre e “l’uomo diventa un
problema per l’uomo” (leggi le proiezioni di
Al Tawhidi), mentre in Europa si accendono
le guerre contadine e i roghi degli eretici.
La francese e aristotelica “gioia di vivere”
permea di sé l’umanesimo pan arabo e getta le basi del libero commercio che porterà
poi anche al rinascimento europeo. Oggi
che la Tunisia riceve ogni anno almeno 10
milioni di turisti anche religiosi, pensiamo
agli ebrei che salgono a Djerba per visita-
2008 Dicembre
re la Sinagoga più antica del mondo dopo
il Tempio distrutto da Tito e ai cristiani che
cercano le radici di Cipriano e di Tertulliano, ha ripreso a impiantare viti e a produrre quei vini di antica suprema qualità. In
questi termini, il viaggiatore cerca e trova
amore nei giardini profumati di fragranza
di gelsomino e di pepe rosa in un angolo di
deserto, mentre si contano i denari tratti per
la cammella venduta. Le antiche fragranze
del vino incottato con foglie di amarena che
fanno da controcanto al fragolino vietato e
al piccolit scomparso. Un pò di magia capace di fare sistema e di competere con gli acidi vini che vengono da lontano. (Oggi Cina,
ieri Cile, California, Sud Africa, Australia).
Come Abu Nawas evitò la perdita della testa
d’ordine del Califfo Harun al Rashid, dopo
essere stato esposto ai giochi delle ragazze
dell’Harem, con i vestiti imposti dal Califfo,
che non aveva bevuto e non aveva passato
una notte in gioia con amore etero o omo che
fosse. Quando il Visir gli chiede quale reato
avesse commesso Abu Nawas risponde di
avere indossato le vesti donate dal Califfo e
di avere clauneggiato per l’harem tornando
carico di gioielli, [...] il Califfo, ridendo, lo
libera riempendolo vieppiù d’oro. La diplomazia non è solo conferenze, ma quella fine
attività informale che consente, anche col
vino di cogliere la giusta mediazione atta a
risolvere i conflitti, come peraltro chichibio
nella grande questione della gru conferma,
un paio di secoli dopo. E dopo le fatiche il
“diwan” (luogo delle udienze califfali) può
diventare lo spazio per un concerto d’amore. Certo se la secchia rapita fosse stata
piena di vino si sarebbe donato un pieno
sorriso alle belle Signore emiliane che ben
felici avevano tenuto prigioniero un bel fine
poeta e trovatore come Re Enzo di Sardegna
a Bologna.
I vini tunisini oggi sono il frutto di comuni
investimenti francesi e siciliani, che sposando l’ubertoso territorio tunisino e le sue
maestranze hanno dato vita a quei vini fra
cui il Sirah che potrebbe essere stato servito
al tavolo del G20, se gli americani disponessero almeno un pò del mestiere di vivere
mediterraneo.
Vincenzo Porcasi
Auguri a tutti voi dalla Redazione di Sconfinare!
Sconfinare
2008 Dicembre
PREMESSA - Non sono mai entrato in un
casinò. Leggete dunque questo articolo
come il delirio di un moralista supponente e
pieno di pregiudizi.
ANTEFATTO – non sono mai entrato, dicevo, ma qualche piccolo episodio mi ha fatto
vivere un poco quell’atmosfera.
Per esempio, del sabato sera passato nel
noiosissimo Bingo di Ferrara, ricordo la
puzza di fumo, i volti sudaticci, il silenzio
opprimente, la voce metallica che sciorina i
numeri estratti, le mani nere di denaro degli
addetti alla riscossione delle giocate.
Un mesetto fa, invece, in macchina lungo
la statale tra Rovigo e Ferrara ho trovato un cartello pubblicitario dei casinò di
Nova Gorica; prima ho pensato di essere
allucinato&perseguitato dalla cara Gorizia
anche se mi trovavo duecento chilometri più
a sud; poi ho sorriso, pensando a un ferrarese che attraversa Po, Piave, e Tagliamento
per fare una puntata sull’Isonzo.
Dopo un anno al confine ne ho sentite molte
di descrizioni (tavoli pieni di cibo, carte verdi rosse blu, buoni omaggio, tecniche di gioco); le immagini prese da qualche film qua e
là penso che completino bene il quadro. Nel
Paese dei Balocchi, insomma, ci sono entrato anch’io. E non mi è piaciuto molto.
DOSTOEVSKIJ E PIRANDELLO – Non è
comunque facile criticare chi lo frequenta,
dopo aver letto le parole pensate dal giocatore di Dostoevskij in un momento di crisi:
«È proprio inutile farsi la morale. Niente ci
può essere di più assurdo della morale! Oh,
gli uomini soddisfatti di se stessi, con quale
orgoglioso compiacimento sono pronti, quei
chiacchieroni, a pronunciare la loro sentenza! Se sapessero fino a che punto io stesso
capisco tutto quanto c’è di ripugnante nella
mia attuale situazione, non muoverebbero
certo la lingua per darmi insegnamenti. E
poi, che cosa possono dirmi di nuovo, che
io già non sappia?». Sia chiaro, quindi: non
voglio biasimare nessuno.
Del resto anche il Mattia Pascal pirandel-
Io non so esattamente quanto spazio occupi
la provincia di Varese, o come la chiamano
in quelle zone, il Varesotto. Non so nemmeno se i luoghi che frequento da vent’anni
siano o meno lì, piuttosto che sotto Monza o
Milano o Como o che altro. Il fatto è questo:
troppi paesi, lì. Ma andiamo con ordine. E’
un posto strano, dove tutto, o quasi, è uguale. Dove tutto, o quasi, è iper-concentrato.
Credo sia l’ideale, per un vignettista. Campi
e campi e campi, intervallati da rotonde e
paesi con le stesse case, rotonde e paesi con
le stesse case. Io mi perderei, sempre. E poi,
i centri commerciali. Tanti centri commerciali. L’ideale, disegnare tutto questo dal
sedile posteriore di un auto. E sullo sfondo,
le montagne. Sì, perché la provincia di Varese, il Varesotto, o i dintorni di Saronno, o
qualunque sia la definizione per quella terra
tra Varese, Como e Monza – con Milano a
venti minuti di treno – segna anche la fine
della Pianura Padana. E dove la Pianura Padana finisce, inizia la Lega. Varese, la patria
della Lega Nord! Sì, questo posto è proprio
strano. E anche quello che sto dicendo, in
fondo, pare mancare di un filo logico; ma
tranquilli, è tutto voluto: una narrazione che
si rispetti si adegua a ciò che racconta. E
questo posto, sì, è proprio strano. I treni,
per esempio. I treni! Qui non c’è Trenitalia,
nossignori. Qui ci sono le ferrovie Nord –
Il casinò mi ripugna
(ma non ci sono mai entrato)*
liano, poco prima di rimanere ipnotizzato
dalla roulette, commiserava i «disgraziati
che stanno lì a studiare il cosiddetto equilibrio delle probabilità per estrarre la logica
dal caso». E anche io resterei forse vittima
del fascino di un albero di monete così attraente. Prima, rimarrei colpito dal rito dei
fedeli che seminano mucchietti di talenti sul
tappeto verde; ascoltano in silenzio le invocazioni melodiche dei croupier fino al “rien
ne va plus”; sospirano e pregano la ruota che
gira di fare giustizia; bestemmiano con un
filo di voce o salgono al cielo con la loro
accresciuta ricchezza. Poi, dopo le mie prime due o tre puntate vincenti, mi sentirei
Tappa nella
provincia
di Varese
baciato dalla fortuna e sicuramente capace
di architettare la strategia vincente, capace
di «estrarre la logica dal caso» per battere
il banco. Qualunque sia il numerino scelto
dal caso, insomma, quel moltiplicatore di
banconote è capace di sorprendere e di emozionare: e proprio quel che voglio evitare è
emozionarmi per delle palline che girano e
macinano denaro, o rimanere colpito dagli
occhi sbarrati che roteano con loro.
QUELLO CHE MI DISTURBA – è che il
casinò gioca con un desiderio assolutamente legittimo e naturale: migliorare la propria
posizione. E come se non bastasse si propone come un mezzo di guadagno riservato a gente-con-le-palle. I
codardi se ne stiano alla
larga. Ancora “Il giocatore”: «E’ possibile che io
non capisca che sono un
uomo perduto? Ma perché non potrei risorgere?
Sì! Basta essere almeno
una volta nella vita cauto
e paziente! Basta, almeno una volta nella vita,
dimostrare carattere e, in
un’ora, posso cambiare il
mio destino! L’essenziale
è il carattere». Carattere
o delega al fato? All’ambizione si sostituisce il
più disarmante fatalismo.
Anche se sicuramente voi
non ci siete entrati con
questo spirito, ma solo
per passarci una sera,
alla sua idea di fondo, il
Dominio del Caso, avete
creduto appieno almeno
per un attimo. E perso-
LOMBARDIA
il loro colore è il verde, già. Poi, non so se
questa sia una fortuna, eh. Che non ci sia
Trenitalia, intendo. Non so nemmeno come
sia potuto accadere, fatto sta che ci sono stazioni solo per la Nord, la gente dice prendiamo le Nord – e cos’altro potrebbe fare, dato
che è l’unico modo per spostarsi col treno?
– e per andare a Como, in riva al lago, si
deve prendere la Nord. E scusatemi se non
vi sembra strano. Qui è tutto diverso. Ma a
parte le ferrovie. E’ diversa anche la messa – ricordi di quando ancora ci andavo, a
messa. E’ il rito ambrosiano, perciò anche di
Milano, ma qui, chissà perché, fa più effetto,
perché la campagna cittadina dei dintorni fa
tanto Don Abbondio, e pazienza se, alla fine,
non era proprio qui il paesello di Renzo e
Lucia, ma era più verso Lecco. Vabbè, non
credo cambi di molto l’ambiente. La messa,
per quel che ricordo, è strana perché è tutto
uguale, o quasi; ma lo scambio della pace
avviene all’inizio della cerimonia, invece
che verso la fine. Un po’ come il luogo in
generale, dove sembra tutto uguale, e anche
un po’ noiosetto, ma in realtà poi quei duetre elementi fuori posto scombinano le abitudini dei forestieri. La gente, poi. Un po’
di signori milanesi vecchio stampo, che tra-
scorrono la pensione in quella che fu campagna, chissà quanto tempo fa, ed ora è tutto
un susseguirsi di paesi –intervallati, ripeto,
da rotonde. Quante rotonde! Ma non solo
vecchi milanesi. Tanti ragazzi, con l’accento
un po’ cerchiato, se così si può dire –è molto
difficile descrivere un dialetto, non ci avete
mai provato? E a casa, quando tornano, hanno le nonne che parlano in un altro modo.
Sì, in un altro modo, che spesso è il calabrese. Ho visto meno calabresi in Calabria, in
effetti. Qui ci sono interi paesi composti da
calabresi e limitrofi. Eppure, è la patria della Lega Nord. Bah, misteri d’Italia. Eppure vorrei capirlo. Qui le strisce sono verdi.
Davvero, sono verdi. Un verde sgargiante
tra l’altro, quando non è consunto, che colpisce l’occhio e accende il paesaggio. Non
potrei mai guidare qui, andrei fuori strada
ad ogni striscia pedonale. E i cartelli. I cartelli con i nomi dei luoghi, sono spettacolari.
E’ vero, non è una prerogativa lùmbard, ma
qui l’arte della ricerca delle radici popolardialettali raggiunge livelli inavvicinabili
da alcun altro luogo. C’è un paese…Dico
sul serio, eh. C’è un paese che, fondato da
poco, non ha un nome in dialetto. E ce lo
hanno messo lo stesso. ‘A metà tra berghèm
7
Glocale
nalmente credo che in tempo di crisi il “lasciar fare” sia la peggior soluzione. Questo
discorso è puro moralismo. Ma il parcheggio sempre pieno delle case da gioco e la
febbre con cui l’Italia intera ha aspettato
l’uscita del 6 al lotto mi fanno pensare che
la misura sia stata un pochino superata. (Sul
fatto che l’industria del gioco sia la terza in
Italia per fatturato, dopo Eni e Fiat, parleremo magari più avanti. Intanto lasciamoci
martellare dalla pubblicità di Lottomatica
sugli schermi di Trenitalia). LA MIA UTOPIA - Nella mia Città di Utopia i casinò dovrebbero comunque restare. È un piacere
sentirmi raccontare da chi c’è stato di pseudo milionari che puntano pezzi da mille e li
vedono sparire sotto il loro naso: la roulette
diventa in questo caso un ottimo mezzo di
redistribuzione della ricchezza. Trasferisce
i soldi dalle tasche di Briatore a quelle del
Capo Casinò, che a sua volta premia con
uno stipendio i fedelissimi croupiers e le
loro famiglie. Crea indotto per il territorio.
Chi invece fa fatica ad arrivare a fine mese,
potrebbe giocare la sua Social Card solo in
un antichissimo giuoco che toglie il rischio
e assicura il divertimento. È un sistema che
non consente grandi vincite, dove i sorrisi
non sono d’avorio, dove birra omaggio e
abbuffate a nove euro potete scordarvele.
La povera semplicità dei premi non vi farà
sognare d’essere geni della statistica. Il banco non è vellutato di verde, è la tavola della
vostra cucina o della sagra di paese.
Il Tombolone non ha mai rovinato nessuno,
la vigilia di Natale e l’ultimo dell’anno saranno ottime occasioni per provarlo. Non
scordate i fagioli per coprire i numeri, rideteci su; ma non lasciatevi prendere la mano.
Francesco Marchesano
francesco.marchesano@sconfinare.net
*Dieci buoni da 4€ spendibili in tutti i casinò della zona valgono un articolo riparatore.
Viaggio
in Italia
e milèn’, hanno scritto. Davvero. Ci sono
stato, lì –sono andato in pizzeria, una sera.
E quindi. La Lega ormai è parte della storia
del luogo, e in effetti non saprei immaginarmi Lazzate (provincia brianzola, eh) senza il
suo bel cartello ‘Lazzàa’, né Cogliate senza
il suo ‘San Dalmazi’, e nessuno che sappia
spiegarmene il perché. Ma la vita scorre placida, placida davvero, e allora perché andare
a disturbare gli abitanti? La mattina prendono l’auto e vanno in tante diverse direzioni
quanti sono gli innumerevoli paesini dove
la sorte li ha spediti a lavorare, e superano,
senza farci quasi caso, quei cartelli in marroncino, che per alcuni rappresentano, caspita, l’orgoglio della tradizione. Ma questi
alcuni, perlomeno, una cosa l’hanno azzeccata: a parte il grigio delle strade e il rosso
dei tetti delle case tutte uguali, qui è davvero
tutto un po’ verde, sotto sotto.
Francesco Scatigna
francesco.scatigna@sconfinare.net
Sconfinare
8
Università
Dicembre 2008
Pericolo: studente informato!
A Gorizia qualcosa si muove…
Sull’onda, o forse al di fuori dell’Onda della protesta, a prescindere dal personale credo politico, dal colore delle
bandiere e dalle più o meno intense abbronzature di chi la politica la fa o la dovrebbe fare, insomma nel contesto più o
meno tormentato ed acceso di queste ultime settimane, anche a Gorizia, si respira
aria di “yes, we can!”. Aria di incontro,
aria di “pericolo: studente informato!”
Lunedì, 26 novembre, presso il bar Aenigma, luogo ormai votato a questo genere di iniziative, si è tenuto un workshop,
completamente organizzato e gestito da
nostri compagni e colleghi universitari,
con varie collaborazioni di docenti di entrambi i Poli Goriziani di Trieste e Udine.
Tra i temi trattati: confronto Italia-Estero
sul sistema universitario e le prospettive
post-laurea, storia delle riforme dell’istruzione e dell’università in Italia dall’Unità ad
oggi, infine, come la stampa ha reagito alla
protesta, un’analisi di testate
e di articoli giornalistici di tre
quotidiani a tiratura nazionale:
l’Unità, Libero e Il Corriere.
Non vogliamo soffermarci sulla trattazione degli argomenti, per quello sarà
disponibile tra breve un
resoconto redatto dalle organizzatrici, ma piuttosto presentiamo qualche considerazione
e piccole ed umili critiche.
Data la numerosa partecipazione, circa
una cinquantina di persone, forse il già
citato bar non è il luogo più opportuno e
appropriato per questo genere di incontri,
dati gli spazi purtroppo modesti. Bisognerebbe entrare in un’ottica di idee che preveda lo sfruttamento di ambienti come il
Punto Giovani, che benché sia più lontano
dal centro e meno frequentato, possiede
più ampi spazi ed è più adatto a tale scopo.
Secondo, le tre tematiche affrontate, pur
nel loro carattere assai coinvolgente ed
interessante, è sembrato che non avessero
un forte e chiaro filo logico che le tenessero assieme. Più nello specifico, i primi
due gruppi, storia e confronto Italia-Estero,
erano perfettamente inerenti ed in sintonia all’interno dei lavori, mentre il gruppo
mass media, nonostante il suo carattere
attrattivo, si slegava e in un certo senso,
faceva più che altro da cornice ai lavori.
Un’ultima nota, invece, deve essere fatta
sul confronto finale e conclusivo dell’intera serata, dove, tra gli stessi partecipanti
e senza bisogno di mediazione si poteva
scorgere il desiderio e l’emergere di un acceso e vivo dibattito, anche molto sentito,
da chi, soprattutto, come studente Erasmus,
le diversità istituzionali e metodologiche
di insegnamento le ha vissute sulla propria
pelle, andando quindi a dare un contributo assai più palpabile e vero dei numerosi grafici, numeri e cifre che ci sono stati
forniti, molto interessanti, ma purtroppo
freddi e lontani, almeno a noi, nella forma e nello stile. Quindi era necessario un
incontro tra i singoli gruppi di lavoro e in
una seconda serata uno spazio completamente dedicato al confronto e al dibattito,
così da non essere soffocato sul nascere.
La nostra semplice critica deve, però, tenere conto anche del lavoro, della passione e dell’impegno di chi il workshop l’ha
pensato, proposto e vissuto più degli altri.
Un grazie e una sincera lode, quindi, a chi,
in vari modi, ci fa capire che Gorizia non
è così lontana da Roma come sembra, che
questo confine è un’occasione e non un
muro, che la piazza da sola non serve, ma
va coadiuvata da un lavoro che prevede
informazione e formazione, dentro e fuori
gli ambienti istituzionalmente finalizzati
all’apprendimento, per sfatare vecchi e ormai anacronistici miti, credenze e supposi-
zioni. Che gli studenti non sono delle mere
forme kantiane da riempire di nozioni preconfezionate, non sono dei vasi vuoti in cui
far confluire un sapere sterile, ma essi stessi
sono i primi ad insegnare e a dare qualcosa,
prima ai professori, poi a colleghi e a individui in genere, perché il sapere e la crescita personale non sono mai a senso unico,
ma si articolano e sviluppano in multiformi e differenti forme. Una società che si
confronta, che considera importante ed
essenziale il proprio patrimonio di giovani
e anziani può progredire e migliorare, una
società che si preoccupa solo di benessere
e di crescita economica, di debito pubblico
e di imprese, che attua politiche finalizzate
solo a individui nella fascia dei 30-50 anni,
è una società già morta, che non ha compreso, apprezzato e capito gli sforzi, i sacrifici e le conquiste di più di due millenni di
storia Italiana o meglio italica ed Europea.
Ampliamo gli orizzonti, non preoccupiamoci solo della nostra piccola Italia, guardiamo
all’Europa, all’Europa politicamente unita,
il futuro è lì, nel campanilismo c’è la morte.
Ben vengano quindi questi incontri, queste proposte e questa vitalità! Sono il primo passo per un cambiamento ed una
prospettiva, forse non più facile e felice,
ma sicuramente più cosciente e vissuta.
Francesco Plazzotta
francesco.plazzotta@sconfinare.net
Il SID come Eton? Ci pensa l’ASSID!
In cantiere l’Alumni Day 2009…
diti, imitati e meno “economically-correct”, ma anche
perché proprio inglese era
quel John Maynard Keynes
che elaborò la Teoria generale che dovrà tirarci dai guai.
Ed ecco allora che la rivista si lancia in un elogio di
Eton: la public school che
formò il grande economista.
E proprio nel titolo leggo
che il vero segreto del modello Eton è il mantenimento
dei contatti tra gli studenti
ed i laureati, non solo nella
convizione che interagendo
tra loro i migliori cervelli
si accrescano a vicenda, ma
anche affinchè ogni laureato,
conoscendo il talento dei suoi
colleghi più giovani, li chiami al suo fianco nei posti che
contano. Questa, sottolinea il
giornalista, è la versione british della raccomandazione.
Apprendo da Intelligence in Lifestyle che
dalla crisi economico-finanziaria internazionale uscirà ancora vittorioso il british:
se british è infatti la radice del moderno
capitalismo, british è anche la soluzione ai
suoi problemi…e non solo perché il piano
Brown di risposta alla crisi è tra i più ar-
Sta rinascendo in questi giorni tra le mura di via Alviano il progetto
dell’ASSID (l’Associazione degli Studenti
di Scienze Internazionali e Diplomatiche).
Nata nel 1993 l’associazione si era un po’
persa nel corso degli anni. Il suo obiettivo
primario era quello di unire tutti gli studen-
ti del SID (senza alcuna distinzione ideologica o di alcun tipo) e di creare per loro
nuove e maggiori opportunità didattiche e
professionali anche attraverso la pubblicizzazione del corso di laurea. Ecco dunque
che quest’anno, tra le altre attività, l’ASSID si farà promotrice delle “task forces
per il SID”: ogni studente potrà scegliere
di tornare nella propria città di origine e
pubblicizzare presso la propria scuola superiore il nostro corso di laurea, ottenendo per questo un parziale rimborso spese.
Ma l’ASSID vuole innanzitutto tornare
ad essere il network tra studenti e laureati che era nei suoi anni migliori, per questo si sta muovendo già da ora in vista
dell’Alumni Day 2009: la giornata di festeggiamento dei venti anni del SID in occasione della quale gli ex-studenti tornano
ad incontrare i loro colleghi più giovani.
Come molti sapranno il nostro corso di laurea fu fondato all’alba della caduta del muro
di Berlino, nell’ormai lontano 1989. Tradizionalmente l’ASSID ha preso parte all’organizzazione dei passati Alumni Day, per
quest’anno si parla di un’intera giornata in
giugno: in mattinata presentazione del corso e della sua storia, nel corso della giornata divisione in gruppi e presentazione delle
opportunità di lavoro e serata di gala finale.
Tutto però è ancora in fieri…ogni aiuto è ben
accetto: la riuscita di un tale evento è legata
soprattutto alla nostra capacità organizza-
tiva (oltre che ai fondi a disposizione…).
A vent’anni dalla caduta del muro i Balcani bussano alla porta dell’Unione Europea.
Mentre Gorizia ha la possibilità di tornare
ad essere al centro della Mittleuropa, l’Italia non può essere spettatrice di un processo che si svolge alle sue porte. Questa sfida
passa tutta per la Diplomazia e dunque anche per il SID: da qui dovranno uscire i laureati che dovranno negoziare ad ogni livello,
dal comunale all’europeo fino al mondiale.
È accaduto nel passato, ma deve accadere
ancor più nel futuro anche attraverso una
sinergia tra studenti, Polo ed una comunità locale che raramente ha collaborato con
lungimiranza con il corso di laurea e spesso
si è fermata a interessi di breve periodo.
Se è vero come apprendo che la qualità
di un’università come Eton dipende dalla
cooperazione e collaborazione dei cervelli che hanno frequentato e frequentano
questa università, e se è vero come penso che ciò vale per qualunque istituzione
accademica, allora il ruolo che l’ASSID,
ed in essa tutti gli studenti del SID, vuole svolgere è certamente di vitale importanza. L’Alumni Day 2009 può essere
solo l’inizio…le iscrizioni sono aperte…
Attilio Di Battista
attilio.dibattista@sconfinare.net
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Università
Sconfinare
Dicembre 2008
Il 26 novembre si è svolta presso la sede
dell'Università di Trieste in Via Alviano
la conferenza dal titolo “Gli impatti delle
elezioni presidenziali sulla politica estera
americana: premesse, sviluppi, prospettive”, durante la quale sono intervenuti il
giornalista Demetrio Volcic, il professore
AntonGiulio De' Robertis e il responsabile
per i Public Affairs del Consolato Generale
degli Stati Uniti a Milano John Hillmeyer.
L'incontro è stato organizzato dall'associazione YATA (Youth Atlantic Treaty Association) Gorizia in collaborazione con
il Consolato Generale degli Stati Uniti a
Milano e il Corso di Laurea in Scienze Int.
li e Diplomatiche e ha visto una partecipazione molto attiva degli studenti del polo
goriziano, che hanno riempito l'aula magna come pochi eventi sono riusciti a fare.
La scelta di tre personaggi di calibro alquanto elevato, ma esperti di ambiti differenti, ha fatto sì che la tavola rotonda
sia riuscita a toccare molte delle sfaccettature delle relazioni esterne degli States,
dalla composizione del nuovo esecutivo,
alle relazioni tra Stati Uniti e Russia, dalle
aspettative sulla risoluzione dell'intervento in Iraq, al possibile ritorno della politica
estera americana verso il multilateralismo.
E' stato infatti su questa falsariga che il
Hillmeyer ha svolto il suo intervento: un
perfetto esempio di diplomazia, in cui ha
esposto le linee principali del nuovo esecutivo, le aspettative degli americani stessi e del resto del mondo. Premettendo che
le aspettative che si sono create attorno a
questo nuovo presidente sono fin troppo
alte, Hillmeyer ha affermato che, almeno
nel primo periodo, l'interesse del nuovo
esecutivo sarà focalizzato sulla politica interna, in particolare sulle misure da attuare
per contrastare la crisi economica che solo
nel novembre scorso ha portato al licenzia-
Politica estera americana
Quali prospettive per l'era post-Bush?
mento di più di mezzo milione di persone.
La priorità di Obama è quindi giustamente
quella di salvaguardare il proprio Paese, cercando di consolidare gli Stati Uniti, che ora
come mai hanno bisogno di un capo che sia
in grado di guidarli verso un nuovo inizio.
Il responsabile per i Public Affairs ha comunque rincuorato la platea, assicurando
che nel medio periodo Obama si dedicherà con profondo coinvolgimento
alla politica estera,
assicurando maggior impegno in
Afghanistan e e un
lento ma costante
ritiro delle truppe e
delle strutture statunitensi dall'Iraq.
Analizzando
le
possibili
candidature dei diversi
membri dell'esecutivo, tra cui Hillary Clinton come
Segretario di Stato,
successivamente
confermata dal neoeletto presidente,
Hillmeyer si è mostrato fiducioso verso
un maggiore interesse del suo paese verso
la questione mediorientale anche se i risultati si vedranno solo nel lungo periodo.
Nota dolente è stata purtroppo quella riguardante l'impegno americano in Africa: pare
infatti che nell'agenda di Obama il continente da cui la sua stessa famiglia proviene non
trovi grande spazio, e sia subordinato ad altri
temi che per il neo presidente sono prioritari.
Dei rapporti tra Stati Uniti e Federazione
Russa si è occupato il giornalista emerito
Demetrio Volcic, goriziano e storico inviato
a Mosca del TG1, il quale con una lezione
magistrale è riuscito sia a spiegare le relazioni tra le due grandi potenze, sia a fare un
quadro della Russia
contemporanea e passata che solo un esperto del suo calibro era
in grado di fare. Nel
suo intervento Volcic
ha innanzitutto toccato il delicato tema
della crisi finanziaria,
che ha investito anche
la Federazione Russa,
la quale in pochissimi
mesi si è vista costretta a ridimensionare
le proprie azioni e le
proprie aspettative. Si
è quindi parlato di una
diplomazia più morbida da parte di Medvedev e Putin, volta a
mantenere un profilo
basso in seno alle organizzazioni internazionali. Questo avrà
forse risvolti importanti sia verso i propri vicini, che molto spesso sono considerati dalla
Russia come questioni quasi domestiche, sia
verso l'Unione Europea e gli Stati Uniti. E
proprio verso questi ultimi l'atteggiamento
molto probabilmente cambierà, visto che con
l'elezione di Obama sarà sempre più difficile
sfruttare il comune denominatore dell'antiamericanismo, carta che molto spesso la Federazione ha usato negli ultimi tempi contro le azioni della amministrazione Bush jr.
Infine il professor De' Robertis, docente emerito di Storia dei Trattati presso l'Università
di Bari, ha analizzato lo spinoso argomento
del multilateralismo nelle relazioni tra Stati
Uniti e resto del mondo. Egli ha infatti notato un cambiamento epocale nella linea delle
relazioni esterne degli Stati Uniti proposta
da Obama durante la sua campagna elettorale: dopo 8 anni di amministrazione Bush
jr. estremamente neoconservatrice e tendenzialmente unilaterale, si evince dai discorsi
elettorali del neo presidente un impegno a
considerare maggiormente i propri alleati e
il valore dei fora internazionali. Ciò pare si
espleterà attraverso il rifiuto dell'uso unilaterale della forza, tranne in caso di attacco sul
suolo statunitense; la fine dell'occupazione
dell'Iraq, per estendere il proprio impegno
a tutta l'area; l'impegno a considerare maggiormente le proposte provenienti dagli altri
Paesi riguardo alla riforma, ormai ritenuta
unanimemente necessaria, della struttura
e del funzionamento delle Nazioni Unite.
Questo incontro, si spera il primo di una
lunga serie, ha visto come veri protagonisti
gli studenti del Cdl in Scienze Int.li e Diplomatiche, che oltre a partecipare numerosissimi all'evento, si sono distinti per la quantità e soprattutto per la qualità delle domande
poste ai relatori, le quali hanno permesso un
dibattito molto vivo e certamente di alto valore culturale.
Leonetta Pajer
leonetta.pajer@sconfinare.net
Vivere l’università (senza computer)
L’università è pubblica, offerta ad un prezzo stracciato. Tutti possono permettersela
con qualche piccolo accorgimento: ridurre
le statistiche di lettura (gentilmente fornite dalle case editrici) grazie all’usato o a
tonnellate di fotocopie, sessioni di caccia
all’offerta nei supermercati, una dieta equilibratamente priva di carne, pesce e vegetali
e, infine, l’abile “riciclaggio” di qualche tesina o lavoro già fatto – dove sia possibile,
naturalmente.
Ma avete mai provato a fare a meno del
computer? Del comodo portatile che svolge
il suo degno lavoro di radio, TV, quaderno e
telefono, comodamente assiso sulla vostra
scrivania?
Innanzitutto, vi toccherebbe affrontare lo
sguardo contrariato dei prof al ricevere da
una manina incerta due fogli a quadretti –
miserelli – scritti a mano. Il prestigio di un
font impersonale (anche se leggibile) e di
un’impaginazione a cui il vostro intelligente marchingegno ha pensato per voi, non ha
pari.
Per non parlare poi delle presentazioni: quei
dieci minuti da elettricista tra cavi, prese,
proiettori, pulsanti e rotelline sono uno dei
momenti d’orgoglio della vita universitaria! Che fareste, impacciati, sempre con le
medesime pagine manuscritte tra le mani,
cercando di leggervi di straforo qualche pa-
rola illuminante, con gli occhi e le orecchie
di tutti puntati su di voi (almeno nei primi
imbarazzanti minuti) e non sullo schermo
colorato, senza la possibilità di scappare a
premere il magico bottone-cambia-slide?
Davvero un bell’esercizio di self control!
In verità, l’università italiana incoraggia
ancora la cultura del papiro, tant’è vero che
molti professori non v’è maniera di contattarli se non di persona, essendo la posta
elettronica un mero suppellettile. Il materiale dei corsi fornito agli studenti via internet,
poi, è quasi un mito a cui non siamo abituati a far fronte. A volte ci perdiamo dietro a
tanta innovazione e non riusciamo a tenere
il passo. Insomma, per la scuola, questioni
di forma a parte, se ne potrebbe far anche
a meno.
È però nella vita privata che lo straordinario armenicolo imperversa e regna sovrano.
Alla mattina l’oroscopo per i più superstiziosi, l’orario delle lezioni per gli scrupolosi; impostato sulla funzione “scarica di
tutto” lo si può poi abbandonare per qualche ora, per approfittare, al ritorno, del ricco
bottino nel frattempo conquistato. Musica,
film sono una banale ovvietà. Viene poi il
momento della lettura dei giornali, della
mail e dei siti di rito. Ma il vero pericolo risiede nella libera divagazione per l’universo
di YouTube, di Messenger, Facebook e chat
varie. I contatti coi vecchi amici vanno ben
salvaguardati, no?! E fu sera e fu mattina...
secondo giorno!
Driiiin! Sveglia...è tardi...ach! Devo correre
in università o non farò mai in tempo a copiare e stampare il lavoro di inglese. Pedala,
suda, conquista la postazione, batti a ritmo
folle sulla tastiera, vinci sul tempo i concorrenti nella corsa alla stampante e...tuuuu...
stampante rotta! Sconsolata riprendo i miei
fogli, controllo la posta e consegno le solite
pagine sparse alla prof. È bene farsi un’elenco delle cose da fare a computer o potrebbe
risultare fastidioso dover tornare apposta in
facoltà per una piccola
dimenticanza. Non è
così facile, purtroppo
mantenere i contatti con tutti vivendo
in un’altra città e
potendo consultare
solo sporadicamente il web. Si evitano
le comode relazioni
basate su qualche
parola via chat e ci si
costringe a scrivere
lunghe mail o addirittura lettere, anche se
più raramente. Non
vi preoccupate, dopo
qualche anno vi capiranno!
Una volta conclusa la routine informatica,
grazie ad una connessione dai ritmi preistorici (che di certo scoraggia le piacevoli scampagnate a tempo perso sul web), il
pomeriggio è libero. Libero? Terribilmente
vuoto! Mi toccherà farmi un giro, magari
andare di persona a salutare Tizio o Caio
e addentrarmi nel profondo della città, dei
suoi dintorni e tra i suoi abitanti, giusto per
perder un po’ di tempo fino a sera. Forse ci
scappa addirittura un’oretta di sport...vero.
Margherita Vismara
itisteatime@tiscali.it
10
Sconfinare
Cinema
Regia: Ridley Scott.
Cast: Leonardo di Caprio, Russell Crowe,
Mark Strong, Golshiften Faranani, Oscar
Isaac.
Drammatico, durata 128 min.
Dopo “I diamante di Sangue” Leonardo di
Caprio torna alla ribalta, questa volta non
in Africa ma nel Medio Oriente, vestendo i panni di Roger Ferris, agente CIA in-
Nessuna verità - Body of Lies
caricato di raccogliere informazioni per
l’agenzia. Capo generale dei servizi segreti è Hoffman – un convincente Russell
Crowe – che interpreta la parte del padre
di famiglia americano tutto casa e lavoro.
In maniera forse un po’ caricaturale, Hoffman passa la giornata al telefonino e svolge
tutte le attività del buon padre di famiglia
– come accompagnare i bambini a scuola –
mentre pacatamente ordina ai suoi uomini
di sacrificare vittime in nome della libertà
e della sicurezza del mondo. Terzo, geniale,
personaggio centrale nella storia è il capo
dei servizi segreti girordani, Hani Salama,
elegantissimo, sicuro di sé, signorile e sempre impeccabilmente vestito. Tratto dal romanzo del columnist del Washington Post
David Ignatius e sceneggiato da William
Monahan, “Nessuna verità” nelle mani di
Ridley Scott diviene un gioco di prospettive e punti di vista. Sullo sfondo degli attentati terroristici in Europa, e della guerra di
intelligence nel Medio Oriente, Ferris (Di
Caprio) è il punto di vista interno, Hoffman
è quello esterno e globale e Hani è li sguardo sia esterno che interno ma concentrato
sul locale. Ferris, che parla correntemente
l’arabo, ha una capacità innata di districarsi
sul territorio e raccogliere informazioni e
Fuga da Twilight
Il racconto che segue è reale. Riguarda mia sorella, che ha contratto come tante (tanti? Non
so, forse le preferenze di genere non esistono;
occhio, si potrebbe esser tacciati di sessismo)
il virus di Twilight. Preciso: sto parlando del
libro della Mayer (non l’ho letto e non intendo
farlo, quindi m’astengo da giudizi di valore.
Non lo conosco, punto. Però so ch’è piaciuto a parecchia gente, tant’è che insegnanti di
licei classici – che teoricamente di letteratura
ne sanno a pacchi – l’hanno consigliato ai loro
alunni).Il libro è piaciuto tanto (leggasi: ha
venduto tanto) che se n’è fatto un film, come
tragicamente capita in questi casi. E dico
“tragicamente” perché a me, nel mio piccolo, è accaduto lo stesso anni fa, quando lessi
“Il Signore Degli Anelli” molto prima che ne
facessero una versione cinematografica. E sapete qual è il trauma? Che se t’innamori d’un
libro, immaginandolo per bene come vuoi tu,
e poi ne guardi la “versione Hollywood”, se si
è sfortunati come il sottoscritto (e la di lui sorella) dopo, quando ti capita di rileggerlo, non
sei più capace di ricreare il mondo che avevi
incontrato la prima volta. E’ finita, Frodo è
Elijah Wood. Argh. La mente è pigra. E’ più
facile vedere che immaginare. Consapevole
dei suoi limiti, mia sorella ha deciso che per
non guastare l’immagine dell’aitante, affascinante, romantico, […] impossibile protagonista che s’era creata avrebbe scrupolosamente
evitato le occasioni di vedere le immagini del
film. La capisco. Non che m’interessi particolarmente questo Edward (si chiama così)
però l’amore per un libro che sentiamo nostro
e che vogliamo proteggere, questo sì che lo
condivido. E mia sorella non ha chiesto tanto
al mondo. Solo ha domandato per una volta,
per favore, di essere lasciata in pace. E qui entro nel cuore della vicenda, il fatto che mi ha
portato a scrivere un articolo che può sembrare ridicolo ma in fondo non lo è. Perché è un
esempio, nel suo piccolo, di come la società
alla fine riesca ad imporsi. Volente o nolente, non cambia nulla: alla fine vedrai quello
che vogliono farti vedere. Mia sorella, per un
mese, ha vissuto da funambola riuscendo per
Dicembre 2008
un po’ in un’impresa che ha dell’incredibile.
Tanto per non sbagliare, ha preso tutta una
serie d’accorgimenti: 1. Niente trailer al cinema (logicamente) 2. Niente giornali (hanno la
pubblicità) 3. Schivare i muri dove di solito
s’appendono le locandine 4. Evitare i luoghi
pubblici, le stazioni ferroviarie (le maggiori
hanno gli schermi televisivi, come a Mestre),
le librerie, le fiancate degli autobus … già che
c’era, passeggiando si levava gli occhiali 5.
Spegnere la tivù durante la pubblicità 6. Ridurre al minimo indispensabile internet. Una
fuga dal mondo. Ci vuole una disciplina ferrea anche in un piccolo paesino (ad un certo
punto se n’è andata a Londra, lì sì che è stato
un trauma). E già così le cose parrebbero difficili. Pensate un po’ come deve essere se tutti
quelli che ti circondano diventano nemici. Se
sanno che qualcosa ti dà fastidio, non faranno
che parlartene (e nel caso concreto ti diranno
il nome dell’attore). Le sue coinquiline hanno
persino appeso un volantino in appartamento, che stronze. E qualcosa in questa piccola
vicenda è mostruoso, se ci riflettete. Quello
che fa pensare, a me che sono un tizio pieno di paranoie, è il perverso meccanismo che
porta la società intera (e qui, in particolare, le
compagne di corso, le amiche, le conoscenti)
ad accanirsi verso gli atteggiamenti difformi,
a schernirli, a non comprenderli o a minimizzarli; e – infine – ad essere degli iniettori dello
standard, di ciò a cui ci si deve conformare.
So che rischio la retorica, ma è sorprendente quanto bene funzioni. Ed è solo un film,
messa così fa ridere. Ah. Comunque c’è un
lieto fine, se volete. L’ho visto io per primo,
l’Edward “vero”. Le ho detto che non aveva
niente da temere e l’ho portata davanti alla vetrina d’una libreria, mosso a pietà dal suo titanico sforzo. Era un po’ titubante, ma alla fine
s’è voltata. Per fortuna, ha detto ridendo, è un
bambinetto, praticamente un Emo, questo qui
è talmente deludente da essere innocuo. Però
non andrà a vedere il film. Penso che – almeno in questo – nessuno potrà costringerla.
Rodolfo Toè
rodolfo.toè@sconfinare.net
rischia la vita in ogni volta che è impegnato
in un’operazione. Perennemente escoriato,
rincorso da cani e proiettili, Ferris vive sulla
sua pelle gli sforzi per portare allo scoperto il pericoloso terrorista Al-SAleem, e tra
i vari personaggi sembra essere l’unico a
possedere scrupoli morali e capacità affettive. Hoffman è invece l’opulento e tracotante
capo dell’agenzia americana e gestisce tutta
la guerra in mediaticamente tramite cellulare
e satellite. L’occhio vigile del “grande fratello” è sempre presente e gli schermi della
sala di controllo trasformano in spettacolo
la tragicità umana delle vicende di Ferris,
che ad un certo punto del film si trova addirittura cosparso di pezzi di ossa di un suo
amico dilaniato da una esplosione. Hoffman,
forte della distanza e della sua missione di
paladino della giustizia non possiede la stessa rotondità emotiva di Ferris e gestisce le
operazioni come una grande partita in cui
è necessario sacrificare le pedine per dare
scacco all’avversario. Hani, il capo dell’intelligence Giordana è invece un boss completamente diverso, molto più preoccupato a
mantenere il potere nel proprio feudo che a
salvaguardare un qualche ordine o controllo
globale. Pur essendo il vertice di un corpo
di spionaggio – e disponendo quindi di una
visione d’“insieme” o dall’alto – Hani è pur
sempre un giordano e la sua prospettiva si
colloca a metà tra l’uomo della ribalta – Ferris – e il grande burattinaio – Hoffman. Anche le procedure operative dei servizi segreti rispecchiano questa diversa impostazione
prospettica: mentre gli americani gestiscono
tutto via telematica tramite cellulare e schermo, i giordani si affidano agli informatori e
agli infiltrati e alla fine la loro strategia di
dimostrerà vincente. La pellicola non perde
quindi l’occasione di sottolineare che la tecnologia, per quanto innovativa ed avanzata
dà solo l’illusione del controllo e non può
che soccombere alla conoscenza del territorio al vecchio passaparola. Nessuna verità è quindi una spy-story di menzogne e
tradimenti incrociati, sapientemente costruita tramite il contrasto di prospettive, e intrecciata a una pallida vicenda di amore tra
Ferris e una dottoressa giordana. Un saggio
di relativismo etico e morale, che non cede
alle facili tentazioni di buonismo americano
o alla retorica semplificata del bene contro
il male. Un cast di buon livello, una fotografia piacevole senza abuso di effetti speciali e una trama coinvolgente ne fanno una
pellicola decisamente gradevole. Voto della
redazione: otto e mezzo.
Francesco Gallio
francesco.gallio@sconfinare.net
Birra e Cinema
Ecco la storia di come la redazione Sconfinare il film era meritevole, di giallo se valeva appeè arrivata a rappresentare la regione Friuli Ve- na il prezzo del biglietto, di rosso se mette vonezia Giulia nel Becks prize, e andrà - per otto glia di prendere il bigliettaio per il cravattino
mesi - al cinema a spese della notoria marca di chiedendo indietro i soldi. Ovviamente la fase
birra. Avete presente quei fastidiosissimi link successiva è il tele voto: accedendo alla pagipubblicitari che compaiono quando inviate le na internet si può votare la foto che più piace
mail, quando fate una ricerca biografica sulla facendo vincere al primo classificato per ogni
vita di Sarah Palin, quando cercate disperata- film biglietti gratuiti per il cinema (quelli che
mente l'ultima edizione on line di Studio Aper- il bigliettaio si è rifiutato di rimborsare...). E
to, quando volete vendere la vostra bici da uni- la becks troupe che a fine concorso avrà più
versitario su e bay o quando
successo potrà passare cincadete nel vortice dei quiz
que giorni a Roma al fedi facebook? Avete sempre
stival del cinema, tutto riignorato tali link, cliccando
gorosamente a spese della
il pulsante "chiudi"? Ebbemultinazionale dell'alcol.
ne la redazione sconfinare
Ovviamente la redazione
questa volta non ha saputo
di sconfinare non si poteva
resistere alla tentazione di
lasciar perdere un'occabruciare neuroni di fronte
sione tanto demenziale e
allo schermo e si è lasciata
allettante: "Mariute" e "Il
sedurre dalle invitanti curve
Franz" sono la coppia che
di ... una bottiglia di birra.
rappresenta il Friuli VeneL'avventura è cominciata
zia Giulia (perché quando
così, un po' per gioco e un
si va al cinema a Trieste è
po' per noia, compilando
sempre bene specificare anformulari, inviando foto tesche "Venezia Giulia") e per
sere veramente inguardabiotto mesi saranno al servili, inventato qualche piccolo Pubblichiamo quest’immagine per zio della rubrica cinema di
par condicio...
dettaglio che rende più attraSconfinare per deliziare i letente l'application e... inaspettatamente è arriva- tori del nostro giornale con recensioni... tutt'alta una telefonata da Milano. Ci avevano scelti. tro che senza parole! Questo mese cominciaMa cosa è il Becks prize? Come ogni gran- mo con Nessuna Verità, l'ultimo film di Ridley
de marca che si rispetti anche la Becks, pos- Scott con Russel Crowe e Leonardo di Caprio
seduta dal colosso IMBEV, investe ingenti - che da quando si è dedicato a questi generi
risorse in grandi operazioni di marketing. un po' impegnati ha cominciato a piacerci.
Quest'anno il connubio è malto e cinema. Quindi ricordate di guardarvi attorno quanIl concorso prevede venti coppie - le becks do andate al cinema, in cerca di due reportroupe - (una per ciascuna regione italiana) ter con maglietta e berrettino nero che foche andranno due volte al mese al cinema tografano e distribuiscono volantini. E se
e,
armati
macchina
fotografica, volete sapere di più sulla troupe del Friuli
faranno una recensione senza parole della pel- (Venezia Giulia!) e sperate di sapere i relicole. L'idea è catturare le espressioni degli troscena del festival del cinema di Roma
spettatori all'uscita dalla sala e di esprimere non dimenticate di visitare il sito e di votatramite i loro volti un gradimento del film ap- re, ovviamente per "Mariute" e "Il Franz"!
pena visto. Tra i vari scatti, ogni troupe sceglie
Francesco Gallio
i cinque migliori e li carica sul sito www.beckfrancesco.gallio@sconfinare.net
sprize.becks.it incorniciando le foto di verde se
2008 Dicembre
Un’artista jazz di calibro internazionale è approdata a Gorizia, e voglio segnalarvi l’evento. Anche se addentrarmi nel mondo del jazz,
devo ammetterlo, mi costa un po’ di fatica.
La cantante afro americana Dee Dee Bridgewater si è esibita al Teatro Verdi di Gorizia
lo scorso 19 novembre accompagnata da un
trio di musicisti internazionale: al pianoforte il portoricano Edsel Gomez, al contrabbasso l’americano Ira Coleman, alla batteria e percussioni l’argentino Minino Garay.
Era previsto un programma di jazz classico,
ma l’entrée impone subito una rettifica delle
aspettative: Dee Dee esordisce con un tributo alla musica brasiliana cantando “Deixa”.
Sin da subito fa capire che ha tutta l’intenzione di provocare il pubblico goriziano:
con voce ricercatamente sensuale, tra luci
soffuse e tende rosse, ripropone un’atmosfera molto intima e luccicante, quasi da jazz
club, lasciandoci dimenticare per un attimo
che siamo pur sempre a Gorizia. Dee Dee
propone quindi due classici della musica latina, Obsesión, del portoricano Pedro Flores,
e Besame Mucho, quest’ultima in una versione molto ammaliante e molto lenta, forse
anche un po’ troppo lenta nell’arrangiamento musicale di Gomez. Dopo aver lasciato a
bocca asciutta gli uomini in sala, Dee Dee
rompe l’incantesimo che lei stessa ha creato
lamentandosi della scelta del reggiseno, e,
tra le risa del pubblico, passa ad altro repertorio. È la volta delle canzoni del suo penultimo album, J’ai deux amours, dedicato alla
canzone d’autore francese. Quasi irriconoscibile ma bellissima la versione di La mer
Sconfinare
Jazz sounds a Gorizia
La musica di Dee Dee Bridgewater e del suo quartetto
di Charles Trénet, arricchita da una lunga
parentesi strumentale con ritmi africani: un
omaggio a Miriam Makeba, cantante jazz di
colore, come Dee Dee, e da poco venuta a
mancare. Conclude infine con tre canzoni
dal suo ultimo album, Red Earth, che è il risultato musicale di un lungo periodo passato in Mali con artisti locali alla ricerca delle
origini africane. Perché il sangue di Dee Dee
è un bel miscuglio: contiene origini indiane
Chickasaw e Cherokee, poi irlandesi, tedesche e persino cinesi, tra quelle rintracciabili.
L’ultima canzone, Compared to what, è una
denuncia delle tragiche somiglianze tra la
guerra in Iraq e quella in Vietnam. Con questo pezzo
il pianista
può finalmente dar
prova del
suo
virtuosismo,
e Dee Dee
Bridgewater approfitta
per
rallegrarsi
della vittoria di Barack Obama urlando
al pubblico “Yes, we can!”. Si fa poi richiamare dagli applausi per concedere come bis,
finalmente, un classico del jazz, My favorite
things, reinterpretato con sapiente ironia.
Dee Dee Bridgewater inizia la sua carriera
debuttando nel 1970 a New York con l’orchestra jazz di Thad Jones e Mel Lewis e
collaborando con artisti quali Sonny Rollins,
Dizzy Gillespie, Dexter Gordon, Max Roach e Roland Kirk. Nel 1975 riceve il Tony
Award come miglior attrice protagonista
cantando nel musical The Wiz. Negli anni
’80 si trasferisce in Francia dove si afferma
per le sue reinterpretazioni del repertorio di
Billy Holiday. Qui matura il suo amore per la
Francia e per Parigi che darà luce, parecchi
anni dopo, all’album Mes deux amours. Le
sue versioni dei classici della musica d’autore francese le valgono anche lo status di
membro del “Haut Conseil de la Francophonie”. Dee Dee è inoltre ambasciatrice onoraria della FAO (Food and Agriculture Organization) e durante il suo soggiorno in Mali ha
lavorato con le musiciste meno privilegiate.
Dee Dee Bridgewater dimostra così di essere
un’artista a tutto campo e di essere capace, soprattutto, di sapersi rinnovare, cosa non sempre facile da trovare nel mondo della musica.
Margherita Gianessi
margherita.gianessi@sconfinare.net
Gallina vecchia fa ancora buon brodo?
Storia di polli nati negli ’80 oggi rigettati fuori dallo scaffale musicale
Piacere, mi presento: sono una ventenne che
una volta, ahimè, rientrava nel target di Mtv
Italia ma oggi forse si sente un po’ troppo
vecchia per Amici e TRL; sono un perfetto
prodotto di Tmc2 Videomusic e Viva ReteA, sono stata nutrita ed allevata per essere il succulento bocconcino di musica pop
inscatolata a breve scadenza. Ignoro cosa
sia una chiave di do e raramente mi accorgo
delle stonature (ancora oggi porto i segni del
trauma di quando “l’amico esperto” disse
che Jovanotti aveva una pessima voce a detta
di chiunque). Conclusa la doverosa presentazione possiamo finirla di parlare di me e
passiamo per lo meno ad una prima persona
plurale: Noi, i polletti 10+ della macelleria
musicale, Noi con le ali tarpate per vivere
nelle gabbiette delle rotazioni musicali, Noi
siamo molti, almeno metà degli anni ‘80 ci
hanno visti nascere, ma siamo ancora stuzzichevoli come una volta? Voi, membri del
pollame come me, vi sentite ancora un piatto
pieno di attenzioni pubblicitarie o siamo finiti nella merce al 50% ormai vicini alla scadenza? So che Noi siamo numerosi, lo vedo
al Karaoke del giovedì sera quando qualche
buon vecchio pezzo anni ’90 fa sempre capolino, e so che siamo stati fedeli quando nel
post-infanzia Loro ci hanno covati -anche se
non siamo stati appassionati sicuramente
tolleravamo senza allergie le loro banalità
cantate su ritmi noiosamente uguali- e so
che siamo stati ubbidienti quando iniezioni
di vitamine Britney e 883 scorrevano lungo
le nostre vene, e ora? E ora, almeno da un
paio d’anni, sentiamo per la prima volta musica che persino il nostro senso critico assuefatto ad ormoni pop percepisce come “brut-
ta”, c’è qualcosa che non va… Quale strana
nuova sensazione risale le nostre piumette
invecchiate, siamo costretti a rigettare fuori
ritornelli talmente scemi persino per polletti
imboccati come Noi con ciò che era considerato “il peggio”, cosa sta succedendo?
Ci stanno forse punendo? Forse le
fantomatiche major, Loro, hanno scoperto
che più o meno tutti nell’età della quasimaturità siamo stati infettati dal fratello
grande o dal papà da quell’ aviaria “musica
impegnata” covandone ancora oggi il
virus? Ma infondo non era un così grosso
tradimento da meritare tale condanna,
perché producono note per Noi inascoltabili?
Cosa veramente ci ha escluso da una bella
fetta del ricco mercato commerciale?
Allora
nella
piccola
gabbietta
d’allevamento cerco di risalire nei ricordi
del mio imbarazzante passato musicale
per capire cosa è successo, che male
ho fatto, e sovviene l’illuminazione…
Forse Loro ci vogliono castigare perchè
l’unico disco che possediamo è il nostro
disco rigido con Gb di musica più o meno
legalmente scaricata? L’ultimo disco originale che ricordo, in effetti, risale ai tempi
di quand’ero appena uscita dall’ovetto, e
ora che sono un pollo grande e grasso cosa
posso offrire a Loro? Facendomi due conti
in tasca, oltre a qualche concerto, non credo
di aver dato grosse soddisfazioni finanziarie
ai miei educatori poppettari, mi giungono
voci statistiche di come lo stipendio medio
di un laureato si aggiri sui mille euro, insomma una cifra del genere non se la fila
nessuno, Loro non cercano neanche più
di attaccarla, di persuadermi a comprare,
sono una pietanza ormai fredda, povera me!
Noi, brandelli di pollo rimasti orfani non
possiamo competere con i nuovi arrivati:
i tredicenni, carne fresca e redditizia che
stuzzica molto di più l’appetito e i portafogli. La nostra bistecchina ammollita dal
tempo sarà forse buona per quelle collane di
Mediashopping (in 96 dischi tutta la musica
anni 60-70-80-90) niente a che vedere con
dischi originali, cartelle, diari, spille, borsette, e gadget-vari-che-paga-papà che fanno tanto rizzare le piume ai novellini polli…
Allora sconsolata cerco qualche conferma della mia teoria nel web: Marco Carta
vincitore di Amici ha vinto un disco d’oro
e un disco di platino, un suo singolo ha venduto più di 70.000 copie; i Sonohra hanno
vinto un disco d’oro e un disco di platino
e l’album d’esordio ha contato 75.000 copie vendute; i Finley hanno ricevuto ben
tre dischi di platino, e poi i Dari, i Lost,
per non toccare poi il capitolo TokioHotel
- una chilometrica pagina di Wikipedia è
dedicata esclusivamente ai loro dischi vinti di varie leghe metalliche- così provo un
senso di stordimento e mi ritrovo a tirarmi
il collo da sola in un vano tentativo di pollomicidio, “tanto chi mi si compra più…”.
Quindi è ufficiale, se la tv ancora ci stordisce
di mangime a basso prezzo la musica ci sta
trascurando, siamo in fase di disintossicazione pollame over 20 escluso dalla fetta di torta
che guadagna, non resta che goderci gli effetti benefici sul nostro organismo ammuffendo sullo scaffale dei fuori target in scadenza.
Gabriella De Domenico
gabriella.dedomenico@sconfinare.net
11
Musica
Scrivere di
musica
Perché forse non è stato abbastanza e ti ritrovi alle tre del mattino per cosa, per della
stupida musica, scrivi per lo stesso motivo
per cui suoneresti ed in fondo è sempre il
tentativo di riempire quel vuoto con un po’
di calore nel silenzio che poi tornerà; e ti
piace la musica, la musica è tutta la tua vita
e per questo scrivi di lei, come quando da
bambino non avevo un lettore di dischi ed in
casa lei era straniera; l’unica melodia veniva
da cartoni animati, non Mozart non De André non i Beatles o chissà che altro messaggero, ma i Puffi e Lady Oscar, ecco cos’era
per me la musica, e le ninnananne di mia
madre, non sapevo ancora fosse De Gregori; ed è per questo, è per quel momento giusto appena prima dell’assolo di Stairway to
Heaven in cui sfiori Dio perché Dio è un re
maggiore, come hai fatto a non accorgertene prima?, e tutto per un istante è perfetto;
è perché lei la musica ti ha toccato ed una
stessa canzone può riempire la tua stanza
per giorni; è perché sono anni che piangi
ma lei per molto è stata l’amore; è perché
la musica è una scienza meravigliosamente
inesatta e forse non avrà molti pregi ma
almeno non ha mai fatto male a nessuno;
è per tutte quelle serate finite male, per
gli amplificatori da smontare alle due, tre
del mattino, col freddo e morti di sonno
ma felici, e tutto per cosa, solo per la
musica, senza il becco d’un quattrino; e
magari non c’era molta gente ma tante
volte anche se non c’è nessuno si suona
solo per un paio di tacchi rossi appena
intravisti; per il sorso di Jäger che ti aspetta
a casa prima di dormire e già è tanto;
è perché la musica è d’assenza o per essere
un po’ più vicini, solo un po’ più vicini;
la musica è stata quella notte d’estate
in una spiaggia del sud della Francia, io
e un olandese di trent’anni più vecchio
almeno, con due chitarre e non riuscivamo
a parlarci per nulla, ma suonavamo le stesse
canzoni di Hendrix; ecco cos’è la musica
ed è per questo che se ne scrive; è per chi
è disposto a fare una nottata di macchina
per otto minuti d’un brano soltanto e chi ti
finisce a suon di gin tonic; è per tutto ciò
che ricorda e promette; per ciò che riporta;
e l’amicizia; è stata una canzone che ti ha fatto
prendere la decisione giusta, che ti ha fatto
dimenticare quelle sbagliate; era sempre una
canzone quella che qualcuno ti ha insegnato
e che tu hai cantato sapendo di doverglielo
perché era il tuo posto, il posto che a te dalla
nascita spettava tra tutti, ed allora la musica
è stata la giustizia ed il vero saluto, l’ultimo;
perché la musica è tutta una strada un popolo
una storia e tu con essi; ed in fondo ogni
musica esiste già, da qualche parte è già
scritta ed il musicista non fa che coglierla;
è per questo che scrivi di musica, per
dare la tua buonanotte a qualcuno o
qualcosa, per mantenerlo in vita, per
dare un senso al tempo costringendolo
in battute e così, alla fine, essere libero
– e lei non ha nient’altro da offrire;
perché cosa ti piace di più nella
musica? Tanto per cominciare, tutto.
Rodolfo Toè
rodolfo.toè@sconfinare.net
Sconfinare
12
Scripta Manent
Il racconto breve di Tommaso
Uomo nel buio - Paul Auster
Titolo originale:Man in the dark
Romanzo, Stati Uniti, 2008,
152 pp., Einaudi
August Brill, noto critico letterario, è costretto a letto a seguito di un incidente stradale. Non riesce ad addormentarsi e allora
lui, che per tutta la sua vita ha letto storie
di altri, decide di passare il tempo creandosele. Dal 21/03 al 04/04 Auster sarà il
protagonista della XV edizione di Dedica
festival, a Pordenone.
Il nuovo romanzo di Paul Auster, Uomo
nel buio, è così convincente nell' evocare
lo stato di insonnia che, almeno che non
siate asausti, partecipereste molto volentieri alla colazione della penultima pagina:
"uova strapazzate, bacon, pane fritto, frittelle, non ci si fa mancare niente"!
Arrivato a questo punto, il lettore è sopravvissuto non solo ad una normale notte di
insonnia, ma anche ad una notte dell' anima, nera come la pece.
Nel 2007, il settantaduenne August Brill
giace sul suo letto nel Vermont, a casa di
sua figlia. La loro è una casa di anime profondamente ferite: Brill ha perso la moglie
e si è frantumato una gamba in un incidente stradale; sua figlia Miriam è sui 50 ed
è divorziata; sua nipote Katya ha 23 anni
ed ha da poco subito una perdita. Tutti loro
cercano di dormire da soli.
Per non pensare al suo dolore personale
o a quello della sua famiglia, Brill si racconta la storia di un mondo parallelo nel
quale l' America non è in guerra contro il
terrorismo, ma contro se stessa. In questa
America parallela, in cui le Twin Towers
sono ancora al loro posto e non esiste alcuna guerra in Iraq, c'è stata una secessione
dalla federazione da parte di 16 stati democratici a seguito della illegittima elezione
di Bush nel 2000. New York è stata bombardata, 80 mila individui sono morti, e nel
Paese infuria la guerra civile.
In questo mondo parallelo il protagonista è
Owen Brick, un giovane prestigiatore che
si trova per caso nella condizione di essere
stato trasportato contro la sua volontà da
un' America all' altra. Si sveglia all' interno di una fossa nel terreno e tutto intorno
a lui sente spari e urla di gente terrificata.
Per la prima volta ha veramente paura di
morire. Auster utilizza tecniche post-moderne per riflettere sulla pazza logica degli
incubi. A Brick viene ordinato di trovare e
uccidere Brill per far finire la guerra che è
cominciata e sta continuando solo perchè
un vecchio, scontento della sua vita, la sta
immaginando.Ma è Auster, ora sessantunenne, non Brill, il bastardo che fa esistere
gli orrori della guerra. I tentativi di Brill
di distrarsi hanno poco successo. Continua
a pensare a sua moglie deceduta, ai dolori
della figlia e della nipote. Guarda film con
Katya che, prima della morte del suo ragazzo, studiava cinematografia.
Poco prima dell' alba Katya, che non riesce a prendere sonno, entra nella stanza
del nonno. Comunemente insonni, parlano
francamente delle rispettive vite. Possono
parlare di tutto, aprirsi completamente a vicenda. Ma ciò di cui non parlano - non possono parlarne!- è il video della decapitazione di Titus, il ragazzo di Katya, assassinato
in Iraq per mano di un manipolo di "terroristi". I tre inquilini l' hanno guardato quel
video e lo continueranno a vedere, perchè
lo devono alla vittima di quell' insensata
violenza, per accompagnarlo in quel buio
spietato che l'ha inghiottita.
Sarebbe un romanzo molto più irritante se,
leggendolo, non si continuasse a sentire
il dolore che male si nasconde dietro alla
scherzosità dei toni. I personaggi di Auster
sanno che la solidarietà e la compagnia
sono ciò che più desideriamo in momenti
di dolore e di insonnia. Un romanzo da leggere e meditare.
Alessandro Battiston
alessandro.battiston@sconfinare.net
L’eleganza de l r i c c i o
M u r i e l Barbery
"Madame Michel ha l'eleganza del riccio:
fuori è protetta da aculei, una vera e propria
fortezza, ma ho il sospetto che dentro sia
semplice e raffinata come i ricci, animaletti
fintamente indolenti, risolutamente solitari
e terribilmente eleganti". Ecco come Renée
Michel viene descritta da Palma Josse. Sono
queste le due protagoniste del romanzo
“L’eleganza del Riccio”, seconda opera (la
prima è “Estasi culinarie”) di Barbery Muriel: Renée è la portinaia del palazzo al numero 7 di Rue de Grenelle, Pamela invece è
la figlia dodicenne di una ricca famiglia che
vi abita. Due mondi apparentemente diversi e distanti, senza punti di incontro. Ma in
realtà entrambe, anche se in modo diverso,
nascondono la propria natura per sottrarsi a
una realtà che ritengono vacua, è come se
non volessero essere contaminate da ciò
che le circonda. Renèè ricalca esteriormente
e volutamente lo stereotipo della portinaia
sciatta e ignorante, mentre internamente è
un’entusiasta studiosa, amante dell’arte e
della cultura giapponese. Paloma limita le
proprie capacità sia a scuola che in famiglia,
disprezza il mondo intorno a sè, e non aven-
Dicembre 2008
do ancora trovato una cosa per cui valga la
pena vivere, ha programmato il suicidio per
il giorno del suo compleanno. Queste due
anime sole vengono smascherate e poi fatte
incontrare da un terzo personaggio, Monsieur Kakiro Ozu (omonimo del regista
giapponese), che entrerà nelle loro vite nonostante un tentativo di resistenza iniziale.
Fino ad un finale improvviso e, almeno per
me, non scontato. Il libro non risulta quasi
mai banale ed è di per sé molto scorrevole,
grazie al racconto in prima persona che si
alterna tra i punti di vista delle due protagoniste Oltre a quello (già però strausato) che
essere e apparire non sono la stessa cosa,
molti sono inoltre gli spunti di riflessione
che spesso emergono anche grazie a frasi
lunghe e ad effetto. Una delle mie preferite
la seguente, pronunciata da Renée: “Dove
si trova la bellezza? Nelle grandi cose che,
come le altre, sono destinate a morire oppure nelle piccole che, senza nessuna pretesa,
sanno incastonare nell'attimo una gemma di
infinito?”. Buona lettura!
Lisa Cuccato
lisa.cuccato@sconfinare.net
Se una notte d’inverno un viaggiatore...
Cari lettori, quanto segue non è un articolo, ma il primo episodio di una storia a
puntate che - se, con il vostro gradimento,
sosterrete - avrei intenzione di pubblicare
d’ora in avanti in questa rubrica. Essendo
questo una progetto in itinere, attendo con
trepidazione vostri commenti, suggerimenti
e spunti per proseguire il mio lavoro. Buona
lettura!
Episodio 1 – Il risveglio
Paolo non sapeva bene come avesse fatto
a trovarsi lì. La sua mente era annebbiata.
Non vedeva bene. Sebbene i suoi occhi fossero aperti, era come se ci fosse un muro
di nebbia. Tentò di alzarsi, ma non ci riuscì. Dov’era? Perché non riusciva a vedere? Pian piano, la nebbia nei suoi occhi si
diradò. Era pieno giorno. Una luce intensa
per un attimo gli ferì gli occhi. Proveniva da
un’ampia vetrata, inondando la stanza. Era
una luce dorata, ma tenue, non sicuramente
potente come quella di una calda giornata
estiva. Si accorse di essere seduto per terra,
con la schiena appoggiata verso il muro.
Cercò di alzarsi, ma solo con fatica vi riuscì,
sostenendosi alla parete bianca. Sentiva in
sé un dolore soffuso... Accennò un passo,
ma delle fitte laceranti lo bloccarono a metà,
facendolo ritornare malamente appoggiato.
Tutti i muscoli gli facevano un gran male:
come se lo avessero bastonato. Per il momento, camminare sarebbe stato troppo faticoso. Iniziò ad osservare intorno a sé. C’era
da un lato, sulla sinistra, una lunga vetrata,
oltre la quale si vedeva un ampio terrazzo,
raggiungibile tramite una porta-finestra sul
fondo della stanza. Varie piante lo decoravano con i colori delle loro foglie, anche se
molte di queste erano ormai a terra. Dall’altro lato, dietro un angolo, poteva intravvedere un elegante tavolo da pranzo in vetro
con delle sedie di metallo e un sofà bianco,
una lampada su un tavolino. Che strano...
quel luogo gli era familiare... perché? Provava un’inquietante sensazione: anche se
non aveva piena visuale su quel lato della
stanza, sentiva, però, che qualcosa non era
come doveva essere.
Una brezza fredda lo fece rabbrividire: la
porta finestra era aperta. Il dolore lo aveva
abbandonato un poco... forse sarebbe riuscito a camminare. Lentamente, si avviò
verso l’ingresso della terrazza.
Concentrò le sue energie nel muoversi, fino
a raggiungere l’altro lato della stanza. Affaticato, si appoggiò al vetro, con il viso
rivolto verso il centro della stanza.
Quello era il soggiorno di casa sua!
Ma, cosa era successo? I cuscini del divano
erano in completo disordine: uno da un lato,
strappato e svuotato del suo contenuto – che
si trovava tutt’intorno – mentre l’altro era
dall’altro lato della stanza. La lampada, invece, si trovava ancora dove doveva essere,
ma era tutta incrinata:che fosse stata raccolta da terra? Si mise una mano alla tempia.
Gli stava venendo un terribile mal di testa;
un’incessante serie di pulsazioni alla tempia
che non gli permettevano di riflettere. Forse, se avesse chiuso la finestra, sarebbe stato
meglio. Chiuse la porta finestra. Quando,
però, tolse la mano dalla maniglia, scoprì
con orribile sorpresa che era macchiata di
sangue. La vista del sangue peggiorò immediatamente il suo mal di testa: la stanza iniziò ad oscillare. Si ritrovò di nuovo
per terra, colto dal panico: che diavolo era
successo in casa sua?! Chiuse gli occhi per
cercare di riprendersi, respirando a fondo
mentre provava a fare quiete nella sua mente sconvolta. Continuò così finché il mal di
testa non gli diede tregua. Quando aprì nuovamente gli occhi non avrebbe mai saputo
dire quanto tempo fosse passato all’incirca se non fosse stato per il fatto che la luce era
cambiata molto rispetto a quando li aveva
chiusi. Doveva essere l’ora del tramonto.
Sentiva in bocca il sapore del sangue. Si
portò una mano al volto e ben presto capì
che era perché la sua tempia sanguinava.
Aveva ricevuto forse un colpo in testa? Si
accorse di una porta leggermente socchiusa,
che prima non aveva notato. Questa volta
si rialzò con più facilità e, ansioso per ciò
che avrebbe potuto trovarvi al di là, pose la
mano tremante sulla maniglia...la scena che
vide spazzò via in una sola folata di vento
tutta la nebbia che aveva gravato sulla sua
mente: Bianca distesa sul letto, morta.
Tommaso Ripani
tommaso.ripani@sconfinare.net
2008 Dicembre
Sconfinare
Il Bottone di Puškin – Serena Vitale
Il bottone di Puškin è una moderna versione de “I dolori del giovane Werther”. Di
inventato però non c’è niente.
Aleksandr Sergeevic Puškin perse la vita in
duello e non suicidandosi, è vero. Ma il suo
duello era catartico: vincerlo avrebbe significato per lui rinascere, mettere fine agli
odiosi pettegolezzi che giravano sul conto
della bellissima moglie, Natal’ja, e sul suo
presunto amante, Georges D’Anthes. Perderlo avrebbe significato morire, lasciarsi
alle spalle i debiti contratti con gli strozzini, l’aristocrazia russa che non riusciva
proprio a comprenderlo, l’impossibilità di
andarsene da quella Russia che riusciva ad
amare tanto e ad odiare altrettanto, la censura che lo Zar apponeva personalmente
sulle sue opere e, appunto, sui suoi movimenti.
Morì il 29/01/1837, lasciando anche quattro figli, oltre alla moglie (ai quali però lo
Zar garantirà dei cospicui vitalizi), i pochi
veri amici e migliaia di ammiratori che il
giorno del suo funerale si riversarono per
strada manifestando il loro disprezzo per
il francese che si era sporcato le mani col
sangue del “sole di Russia” e addirittura
per i medici che non erano stati in grado di
curare “l’uomo più intelligente di Russia”,
come lo definì lo Zar Nicola I dopo un colloquio privato col poeta stesso.
Un uomo la cui intelligenza fu plagiata da
un odio viscerale per D’Anthes e per ciò
che ai suoi occhi rappresentava: ignoranza,
grettezza, spacconeria, frivolezza, i tratti
caratteristici degli esponenti dei salotti e
delle sale da ballo di San Pietroburgo. La
sua sfida a duello era rivolta a D’Anthes,
ma era rivolta anche e soprattutto a ciò che
D’Anthes rappresentava: l’establishment
nobiliare russo. La testimonianza indiretta
ci arriva dal fatto che la maggior parte di
questo establishment tifava per D’Anthes,
ma la prova più inconfutabile consiste
nell’amore del poeta per la moglie: Puškin
infatti non smise un attimo di amare profondamente e intensamente sua moglie,
della cui fedeltà non dubitò mai, nemmeno
per un istante, a riprova del fatto che classificò come semplici calunnie le accuse
di infedeltà a lei
rivolte. Quando un
suo amico che lo
assisteva al capezzale gli consigliò di
urlare per placare il
dolore, lui rispose
che urlando avrebbe turbato Natal’ja.
Puškin la sapeva
innocente; l’unica
colpa che sentiva di
attribuirle era quella
di aver ceduto alla
sua frivolezza, assecondando
gli
sguardi e le parole
di D’Anthes. Se
fosse vissuto abbastanza per leggere il libro che Vitale ha scritto sulla sua morte (divertente
paradosso), avrebbe trovato conferma della
fedeltà della sua Taša nelle parole del suo
assassino, il quale, interrogato in proposito
molti anni dopo da un amico, rispose che
Natal’ja fu l’unica donna che amò, ma anche l’unica che non gli si concedette mai
(e noi ce ne rallegriamo, scellerato francesucolo).
Rimane incredibile il personaggio Puškin:
un uomo che della sua vita fece, come By-
ron, un’opera d’arte. La sua morte ricorda
molto quella del Lenskij da lui inventato
anni prima e inserito nell’Evgenij Onieghin: poeta che sfida il donnaiolo Evgenij
per l’amore e l’onore di Olga. Gli esempi
della sua artistica premonizione riguardo
la sua morte si sprecherebbero, ma mi è
sempre piaciuto molto il duello tra Silvio
e il Conte ne “Il colpo
di pistola”: Silvio
vuole intensamente
uccidere il Conte,
ma questi lo osserva mangiando
ciliegie mentre si
trova sotto tiro:
esattamente come
fece Puškin anni
prima con un suo
caro amico (poi
morto Decabrista
dopo la rivoluzione
del 12/1825) che lo
sfidò a duello.
L’autrice di questo
giallo storico epistolare è Serena Vitale, insegnante di
lingua e letteratura
russa all’Università
Cattolica di Milano, già curatrice e traduttrice di molte opere di Puškin. Vitale, per
riuscire a fornirci una così dettagliata ed
esaustiva analisi di fatti e leggende che precedettero e seguirono la morte di Puškin,
ha compiuto anni di ricerche tra archivi
privati di famiglie aristocratiche, negli
archivi dei ministeri degli esteri di molti
paesi europei, nelle biblioteche, spulciando
migliaia di pagine in lettere, dispacci diplomatici, carte giudiziarie, studi di storici e
13
Scripta Manent
annalisti, racconti e confessioni postume in
francese, russo, tedesco e italiano. Non si
può non rimanere ammirati di fronte a tanta caparbietà, tanta solerzia nello svolgere
una ricerca su una vicenda che in Russia è
considerata tutt’altro che chiusa.
La prosa di Vitale è complessa, paratattica fino all’eccesso, ma adeguata all’arduo
scopo che si prefigge: mettere cioè ordine
alla documentazione che riguarda il duello
Puškin-D’Anthes. La difficoltà nella comprensione della vicenda è legata infatti anche
all’estrema disomogeneità dei contenuti
delle fonti a cui l’autrice fa riferimento, ma
è una difficoltà molto limitata dalla chiarezza con cui Vitale pone domande e offre
risposte, il tutto seguendo criteri storiografici ineccepibili: le fonti sono documentate,
le conclusioni a cui giunge l’autrice sono
precedute da un “ipotizziamo” e comunque
mai prese come dogmi e per definitivamente vere, tutti i ragionamenti condotti
sono motivati e risultano quindi più che
plausibili in termini logici: ciò che rende
il libro una vera e propria indagine scientifica.
Per chi ama la letteratura russa: Tolstoj,
Gogol’, Lermontov, Turgenev... questo libro è per voi. i personaggi evocati direttamente dalle lettere impolverate consultate
dalla Vitale sono quelli in mezzo a cui quegli stessi artisti sono vissuti, gli stessi che
hanno odiato, amato, deriso, a causa dei
quali si sono sentiti frustrati. Così come
Aleksandr Sergeevic Puškin, primo tra i
poeti di Russia.
Edoardo Da Ros
edoardo.daros@sconfinare.net
Norwegian Wood. Tokyo Blues
Murakami Haruki
“I once had a girl or should I say she once per scappare anch’essa da una realtà avhad me…” No, non cantare quella canzo- versa. Watanabe la segue, le sta vicino.
ne lei ne potrebbe soffrire. Cantala solo Watanabe al centro, come il giovane
Holden dickensiano. Attratto dalla pecuse ti donerà uno yen.
Come anime sole passeggiano Watanabe liarietà di entrambe. Diviso tra le due rae Naoko. Conoscono assieme una capi- gazze. Nella costante paura di commettetale disincantata. Non parlano del loro re errori, analizza criticamente sé stesso
rimanendo ligio alla
Kizuki. Non parlano.
propria etica. Recide
Camminano. Vagano.
La morte volontaria di
ogni rapporto con la
Lei ad un tratto spaKizuki. Il difficile passagrealtà rifiutando l’iporisce. Ancora il suo
gio
all’età
adulta.
Capire
crisia del quotidiano.
fermaglio a forma di
Tokyo.
In una Tokyo di fine
farfalla continua a
anni Sessanta, maniferaccoglierle i capelli,
stazioni studentesche
scoprendo il suo viso
fanno
da
sfondo
come
eventi ammutoliti
così puro. Ma lontano dalla città. Naoko
alla
storia
del
giovane
Watanabe Toru.
ora tenta di fare i conti con la propria folUna
capitale
sorda
al
grido
dell’intima
lia mentre la natura fiorisce il suo corpo
di una bellezza ineguagliabile. Watanabe sofferenza in cui il dolore si presenta nelle fa visita. Le sta vicino. Sicuro di poter- le sue forme più varie. Nel suo romanzo
la guarire. Ascolta ancora a Kind of Blue. più introspettivo Murakami Haruki stende silenziosamente il velo della malincoForte, vicino alla sua fragilità.
E poi c’è lei, Midori. Un pò eccentrica, nia. Nessuna piega. L’autore dona voce
un pò infantile. Vitale. Disinibita. Trasci- ad una sensibilità inespressa.
natrice. Vive in un mondo immaginario Una colonna sonora che accompagna lo
scorrere seducente delle pagine. I Beatles a cantare per i protagonisti. Questo è
il blues di Tokyo, note di nostalgia e tristezza. L’esperienza della morte permea
la lettura. “La morte non era più qualcosa di opposto alla vita. La morte era
già compresa intrinsecamente nel mio
essere”. Il legame indissolubile tra vita e
morte deciderà per il giovane protagonista mentre quello che rimane al lettore è
la compresione del tutto e del nulla. E i
ricordi di un passato irrecuperabile.
“..and when I awoke I was alone this bird
had flown/ so I lit a fire isn’t it good, Norwegian wood”.
Murakami Haruki
Norwegian Wood. Tokyo Blues
Einaudi Tascabili
pp 379
Nicoletta Favaretto
nicoletta.favaretto@sconfinare.net
14
Sconfinare
Stile Libero Biennale di Venezia
Fa freddo a Venezia a novembre. Se in più ci metti
il vento si gela. Se poi ci
aggiungi i padiglioni, delle
varie nazioni espositive, con le porte aperte
l’ esperienza è da polo nord. Eravamo anche
vestiti poco il giorno della chiusura della
Biennale architettura 2008. Ma, nonostante
i piedi congelati e il naso rosso, abbiamo comunque apprezzato le esposizioni. Sembra
non sia piaciuta a molti del mestiere questa
Architecture Beyond Building; noi invece
ci siamo divertiti! Secondo Aaron Betsky,
il curatore di quest’ edizione, l’ architettura
non va identificata nell’ atto del costruire ma
“l’architettura è un modo di rappresentare,
dare forma e forse anche offrire alternative
critiche all’ambiente umano”.E la Biennale di Venezia si offre come palcoscenico di
una disciplina che non si vuole più presentare nei suoi tradizionali termini di scienza,
ma si è auto-eletta arte: oltrepassata la sua
dimensione funzionale, adesso comprende
in sé una valenza espressiva ed eloquente.
L’edificio è ora un medium il cui monito
manifesta concezioni e bisogni della società
che lo genera. L’architettura deve imparare
ad utilizzare il territorio con saggezza. Deve
dare al cittadino i mezzi per poter relazionarsi con il mondo in cui vive, deve farlo
sentire a proprio agio e connetterlo in un
tessuto economico, sociale e fisico. E’ forse necessario costruire tutto il costruibile o
possiamo fare a meno di qualcosa? Sarebbe
forse meglio vivere in uno spazio decelerato, dove gli orpelli e l’ architettura utopica
sono eliminati, dove ci si possa sentire più
a casa. Il continuo movimento di beni, persone e informazioni probabilmente ci toglie
il terreno da sotto i piedi: c’è bisogno di un
ritorno alla stabilità. E la stabilità si ha in
scenari di vita in comune, dove gruppi di
persone partecipano collettivamente alla soluzione dei problemi non solo globali, ma
anche dei nostri piccoli microcosmi. Dopo
molti anni, in cui l’architettura ha proposto idee utopiche, finalmente gli addetti ai
lavori cercano di proporre soluzioni ai problemi contingenti, e sperimentando nella
realtà trovano soluzioni concrete. I padiglioni danese e americano, che più abbiamo
apprezzato, rientrano in questa categoria.
Danimarca. Ecotopedia - walk the talk affrontava il tema della sostenibilità e del ruolo centrale rivestito dalle città in materia di
sfida al mutamento climatico globale. Se la
maggiorparte dell’ inquinamento da CO2
proviene dalle città, è da queste che occorre
partire per la creazione di soluzioni sostenibili. Erano presenti progetti partecipanti
al progetto UN Global Compact, Patto di
responsabilità sociale globale, istituito dall’
ONU per formare una comunità umana globale. Era presente anche Sustainable Cities,
un progetto del Danish Architecture Centre:
un database globale attraverso il quale visionare tutti i migliori progetti ecosostenibili realizzati in tutto il mondo. L’iniziativa
Better Place è invece finalizzata all’ individuazione di nuovi sistemi di trasporto che
riducano drasticamente le emissioni di CO2.
cop15.dk - sustainablecities.dk - unglobalcompact.com
USA. Into the Open: Positioning Practice
racconta di come gli architetti rivendicano
un proprio ruolo nel plasmare la comunità
e l’ ambiente costruito, mettendo in primo
piano la loro relazione con la comparteci-
Architettura 2008
pazione dei cittadini. Come rispondono le
opere architettoniche alle condizioni sociali? Occorre mettere in discussione “i modi
tradizionali di concepire l’architettura, dai
mutamenti nei dati demografici socio-culturali ai cambiamenti dei confini geopolitici, dal divario nello sviluppo economico
all’esplosione della migrazione e dell’urbanizzazione, per sostenere allo stesso tempo
una concezione allargata della pratica e della responsabilità architettonica”.
theparcfoundation.org - slought.org
Per il padiglione polacco invece l’approccio
al tema è differente: la concezione di architettura legata all’ edificazione è sorpassata
con slancio sicuro, eccentrico e assolutamente innovativo. Tanto da valergli il Leone d’Oro per la migliore Partecipazione
nazionale.
POLONIA. Hotel Polonia. The Afterlife of
Buildings ospita una sequenza di fotografie digitali ritoccate dall’immaginazione di
Nicolas Grospierre e Kobas Laksa , che accompagnano lo spettatore in città apparentemente comuni in cui si scorgono elementi
estranei, siano essi possibili o fantastici. La
nuova idea che sottende al costruire implica anche un impegno intellettuale , perché
ora nulla è scontato. Questo sforzo razionale corrisponde poi ad un compito concreto, che gli architetti polacchi suggeriscono
inscenando immagini shockanti, percepite
come una minaccia. Così se non poniamo la
dovuta attenzione allo stile di vita che conduciamo, e che pretendiamo di adottare ad
oltranza, assume tratti sempre più realistici
la prospettiva di abitare in aree urbane rigurgitanti avanzi; allo stesso modo possiamo prevedere di condividere le nostre strade
con i draghi – la coincidenza tra i mammiferi
del Medioevo e la sovrabbondanza di rifiuti è intuibile. No? Certo saltellando da una
nazione all’altra è legittimo fare un’umile
auto-valutazione e chiedersi se noi, comuni
cittadini assolutamente non esperti di architettura, possiamo aver realmente fruito della
mostra. La risposta è affermativa: il nostro
entusiasmo non pareggiava quello dei colleghi aspiranti architetti, chiaramente distinguibili tra i molti visitatori, ma parecchie
delle opere presentate si sono rivelate comprensibili, interessanti e pure utili, anche
agli occhi dei “non addetti ai lavori”. Voto
positivo quindi all’ Undicesima Mostra Internazionale di Architettura.
Alessandro Battiston,
Cinzia Della Giacoma
schlagstein@gmail.com
Dicembre 2008
Bambini di Satana e
il suo creatore, Marco Dimitri
Una forma alternativa di satanismo
Lui si definisce
“cittadino di serie
zeta, un diverso che crede alla
diversità
come
l’accesso al genio”.
Dall’opinione pubblica è
definito satanista,
ribelle, folle, assassino anche se
la giustizia non è
riuscito finora ad
incastrarlo.
Sto
parlando di Marco
Dimitri, colui che
nel 1982 ha fondato l’associazione
culturale “Bambini di Satana” e
che ha la sua base
principale a Bologna. Non si tratta
di una setta… è
semplicemente un
gruppo che il diavolo stesso ha generato: ciascuno
infatti, a detta di
Dimitri, è il male
quando
prende
consapevolezza di
sé stesso. L’essere
umano è al centro
di tutto: delle arti,
della musica e della scienza, è fondamentalmente l’antagonista illuminista della chiusura medievale. Difatti, all’interno dell’associazione, si cerca sempre di evitare ogni
superstizione e rituali “tipici” del Satanismo
classico, considerato alla stregua di qualsiasi altra religione. E’ la Chiesa, in particolare
quella cattolica, che fa terrorismo psicologico tra le genti, prefigurando un’eventuale
possessione in caso di “mancato adempimento” dei precetti direttamente impartiti
da Gesù Cristo; potenzialmente ogni uomo
conterrebbe in sé Satana, che non è necessariamente male. Il male, come afferma Dimitri in un’intervista, infatti, è commesso dalle
istituzioni e lo si riscontra nella negazione
dei diritti, nella discriminazione ideologica:
è “negare l’accesso alla partecipazione”. Da
certe sue affermazioni in effetti “l’angelo
ribelle” sembra peccare di “eccesso di de-
mocrazia”, sostenendo la libertà di stampa,
di pensiero e in particolare di espressione:
nessun gruppo dovrebbe esser messo a tacere, tantomeno i “Bambini di Satana”, che,
a giudicare dal loro blog, sembrano essere
molto… normali. C’è anche della cronaca
al suo interno, dalla cui lettura non trapela
alcunché: né l’orientamento politico, tantomeno quello “religioso”. Cronaca, punto.
Quasi ad affermare a tutti i costi l’assoluta
normalità del gruppo. Anche l’iniziazione
avviene “legalmente” e “semplicemente”: si
tratta di un’iscrizione, che può essere fatta
anche online, e che non è vincolante a vita.
Si può uscire dal gruppo in qualsiasi momento e senza conseguenze “fatali”… quello che invece accade nelle più diffuse sette
sataniche. Tuttavia, come ho detto poc’anzi,
i problemi con la legge ci sono stati: accusati di pedofilia, possesso di hashish, messe
nere e via discorrendo… Marco Dimitri è
stato persino in carcere, anche se per poco
tempo e, a detta sua, ingiustamente. Si è
sentito perseguitato dalla società e dalla politica solo perché ha sempre fatto dell’informazione “corretta”. Talvolta si reputa anche
un paladino della legge, denunciando mali e
fratture italiane, e autoproclamandosi “pazzo di sé stesso” e “vincente” nella sua poesia “Impeto”. Un po’ megalomane, un po’
“superuomo”, Dimitri spesso è ospite nei
più importati salotti televisivi e non, e su di
lui ci sono fior fior di articoli ed interviste. Il
gruppo fondamentalmente ha conosciuto un
notevole successo grazie alla sua personalità, carismatica e ammaliante.
Federica Salvo
federica.salvo@sconfinare.net
II
Sconfinare
December 2008
BOHINJSKA ŽELEZNICA
Dograditev železnice leta 1906 je
bil zaključek dolgoletnega procesa, ki je obnovil prometno mrežo,
ki je povezovala Gorico z ostalimi
deli cesarstva. Proces se je začel
nekaj let prej, ko so prišli v Gorico C.V.Czoering, funkcionar, ki je
imel nalogo preveriti vse možnosti,
ki bi omogočale razvoj tega dela
»Kustenlanda« in družina nemškega
izvora Ritter. Slednja je izbrala Gorico za sedež svojih dejavnosti. Izbira je imela izredni pomen za Gorico,
saj so Ritterjevi pritiskali na cesarsko oblast, da bi Južna železnica, ki
bi povezovala Dunaj s Trstom in ki
jo je finansirala družina Rothscild,
pelja- la mimo Gorice. Razlog
za to zahtevo je bila potreba povezav za dostavo izdelkov in trgovanje s Trstom ter drugimi centri
Avstro-Ogrskege. Do tega je prišlo
leta 1860. Zgraditev železnice pa
je povzročila določene urbanistične
spremembe. Železnico je bilo treba povezati z estnim središčem in
tako je nastala cesta, ki danes ni nič
drugega kot znameniti »Corso Italia« oz. Najpomembnejša ulica, ki
pelje skozi mesto. Južna železnica
ni zadostvovala novim potrebam po
sodobnejših povezavah za trgovanje.
Železnica sama je pospešila trgovanje ne samo družine Ritter, temveč
cele vrste manjših in večjih trgovcev in družb (obrtniki in proizvajalci
vina) ki so se tako preselili v Gorico in tu uspešno obratovali. Lokalne oblasti so razumele, da le nova
železnica, ki bi peljala do Koroške,
to je najvažnejšega trgovskega centra za goriške trgovce in obrtnike, bi
lahko bila kos povečanemu prometu.
Ta železnica je današnja tako zvana
»Bohinjska železnica«, ki je prišla v
Gorico šele leta 1906. Razlogi, da je
bila zgrajena komaj na začetku 20.
stoletja so bili tehnični problemi
vezani na nedostopnost ozemlja, ki
pa obenem nudi potniku lep razgled
celotnega ozemlja. Železnica je bila
pomemba avstrijskim oblastem ne
samo zaradi ekonomskih razlogov
temveč tudi vojaških,saj je dovoljevala hiter
premik vojaških enot do meje z Italijo. Ta poteza pa se je pozneja pokazala za strateško zelo šibko točko,
saj je postala med prvo svetovno
vojno lahko dosegljiva tarča za obstreljevanje. Leta 1906 pa je prihod
železnice predstavljal za Gorico donos novih
moči in dohodkov z dograditvijo novih ulic in zgradb v neposredni bližini
železniške postaje. Trgovci so tako
bili čim bližji postaji, kar je pozitivno vplivalo na trgovanje s Koroško.
V čudni igri vsode je Gorica dosegla
svoj višek le osem let pred vojno, po
kateri so tu nastale nove meje, ki so
odrezale Gorico od njenega zaledja
in nenadoma vse te železniške povezave so bile neuporabne in zamanj.
Vseeno do druge svetovne vojne
so lokalni trgovci uporabljali del
železnice za trgovanje z ozemljem
ob Soči. Tudi to ni trajalo dolgo. Po
drugi svetovni vojni pa je prišlo do
novih sprememb, ki so onemogočile
še to poslednje
trgovanje in celo odrezale železnico
od mesta za katerega je bila le-ta
zgrajena.
Giangiacomo Della Chiesa
Prevedel Samuele Zeriali
December 2008
Direttrice: Annalisa Turel
BREZPLNCA ŠTEVILKA
www.sconfinare.net
Fojbe: nova imena, nove resnice
1048 imen sestavlja seznam goriških
deportirancev, ki ga je novogoriški
župan Mirko Brulc izročil 12. decembra 2005 goriškemu županu Vittoriju Brancatiju v imenu ministra
za zunanje zadeve Dimitrija Rupla.
Tri mesece pozneje, na začetku marca, je te podatke dobila tudi goriška
prefektura in so sedaj vsem dostopni. Seznam vsebuje imena vojakov,
k a r a b i n j e r j e v, f i n a n č n i
kov,bančnihfunkciona
r j e v, p r o f e s o r j e v , učiteljev
in mnogih drugih, ki so jih maja
1945 aretirale partizanske čete IX.
korpusa, pod vodstvom poveljnika Bora, in odpeljale v Jugoslavijo
od koder se niso več vrnili domov.
Ni lahko izračunati točnega števila
oseb,ki so bile deportirane, prav
tako ni znano število tistih , ki jih
je OZNA, varnostnoobveščevalna
služba, usmrtila v taboriščih oz.
fojbah. Povod tega, poleg želje po
maščevanju zaradi hudega trpljenja, ki so ga povrzočili fašisti, je bil
načrt komunističnih enot po nekaki
nacrtovani poboji sovražnika. Partizani niso aretirali in deportirali samo
fašistov, vojakov in tistih, ki so bili
fašizmu naklonjeni, temveč tudi vse
tiste Italijane in Slovence, ki bi lahko
predstavljali zapreko pri ustanovitvi
močne jugoslovanske države in pri
aneksiji Furlanije-Julijske krajine.
Seznam naj bi torej pripomogel, da
bi tisti, dalj časa ignorirani in skriti
tragični dogodki, bili razčiščeni in
pravično obravnavani. Dokumenta-
strativne. Novogoriški župan meni,
da bo to lahko oddalilo tisti del volilcev, ki so še vezani na mit partizanstva in zato podčrtuje, da je pobudnik
izročitve seznama sam minister
Dimitrij Rupel. Po drugi strani je
mnenja, da izraža objava seznama
v tem obdobju, voljo do strumentalizacije le-tega «v olitične namene».
Župan Vittorio Brancati pa zatrjuje,
da je izrecno prosil goriškega neoustaljenega prefekta Roberta Di Lorenza (ki je dobil seznam po uradni
izročitvi županu), naj se ž njim posvetuje predno bi poslal seznam v
objavo. To tega pa ni prišlo in Brancati se je tako obrnil do Brulca s
prošnjo naj se začeti stiki in dialog
vljeni že leta 1944.» Primankuje pa
najvažnejši podatek za potomce umrlih, to je kraj smrti. Kraj, ki bi nudil
možnost za zadnji pozdrav p r e m i
n u l e m u očetu, bratu, možu, prijatelju. Seznam v glavnem ne prinaša
novih i n f o r m a c i j : sorodniki in
razni italijanski ter slovenski z g o d
o v i n a r j i zatrjujejo, da je večina
teh imen že znanih, medtem ko so
nekatera napačno napisana ali nepopolna. Zgodovinarka Nemec pravi,
da je seznam, ki ga je sestavila še
nepopoln; dodati bo treba še mnogo
novih podatkov, saj so nekateri arhivi še nedostopni in najpomembnejši
dokumenti bi lahko še bili v Beogradu.Nekateri so kritični tudi do
načina posredovanja podatkov, ki je
vnel polemike. Polemike, ki so seveda bile tudi predvidevane glede
na obdobje v katerem je bil seznam
objavljen, to je predvolilno obdobje.
V Italiji bodo 9. in 10. aprila potekale politične volitve, medtem ko bodo
proti koncu leta v Sloveniji admini-
cija, ki jo je zbrala in sestavila slovenska zgodovinarka Nataša Nemec, vsebuje različne informacije o
deportirancih: kraj in datum rojstva,
poklic ali vojaški čin oz .datum in
kraj aretacije;poleg tega dokazuje
tudi, «da so bile aretacije opravljene
glede na sezname, ki so bili pripra-
ne prekinejo. Dejstvo, da je seznam
v rokah refekta,
ki predstavlja vlado na lokalni ravni, ima tudi pozitivno plat: to, da je
dokument prešel v roke slovenske
in italijanske vlade bi lahko pomenilo prvi korak k gradnji skupne
obojestransko priznane zgodovnine.
Glede tega, pa so se vnele še nove
polemike in kritike. Zgodovinar
Branko Marušič, svetovalec SAZUja, podčrtuje, da bi moral seznam
biti izročen italijanskemu ministru
za zunanje zadeve po običajnih diplomatskih poteh. Način pa, ki je
bil izbran za izročitev dokumenta, je
delno izbrisal simbolični pomen, ki
bi ga to dejanje lahko imelo. Istega
mnenja je tudi italijanski zgodovinar Roberto Spazzali, avtor različnih
del o fojbah, ki se sprašuje «kakšen
je pomen obdržati to dokumentacijo
samo v ožjem lokalnem krogu» in
zatrjuje, da bi lahko azčistili zadevo
le skupni
pregledi in študije dokumentacije s
strani profesionalnih zgodovinarjev.
Zadeva je potekala tako(glede na
natančnost zgodovinskih raziskav
in na način predaje dokumenta), da
je bil njen glavni povod le «zadovoljitev Italijanov». Ne glede na
neizogibnost polemik v zvezi s tako
občutljivim vprašanjem, vse to lahko
predstavlja korak naprej pri grajenju
dobrih odnosov, dialoga in sprave.
Seznam ne more izbrisati gorja, ki so
ga potrpele družine deportirancev, a
nedvomno predstavla pomemben korak Republike
Slovenije ob vstopu v Evropo. «To
je pomemben dogodek» je razložil
goriški župan «to je znak, da se v tem
malem mestu rušijo zidovi in pregrade. Ne da se odstraniti nobene evropske meje, predno se odstranijo meje,
ki še živijo v spominih ljudi.»
Athena Tomasini, Antonino Ferrara
Prevedel Samuele Zeriali