88. Matassino Podolica 29 ottobre Zungoli Atti De FEO loghi agg
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88. Matassino Podolica 29 ottobre Zungoli Atti De FEO loghi agg
CONVEGNO “DAL PASCOLO ALLA TAVOLA: SICUREZZA E QUALITA’ DEI PRODOTTI PODOLICI” Filosofia strategica gestionale di un bioterritorio allevante il “Bovino Grigio Autoctono Italiano (BovGRAI)” (già “Podolica”) Donato Matassino (*), (**) Zungoli (AV), 29 ottobre 2011(***) (*) Professor Emeritus - Genetic improvement in Animal production. (**) ConSDABI – National Focal Point italiano della FAO per la tutela del germoplasma animale in via di estinzione nell’ambito della Strategia Globale FAO per la gestione della risorsa genetica animale (GSAnGR, Global Strategy for the Management of Farm Animal Genetic Resources) – Centro di Scienza Omica per la Qualità e per l’Eccellenza nutrizionali - Centro di Ricerca sulle Risorse Genetiche Animali di Interesse Zootecnico in ambito mediterraneo- Centro Produzione Sperma ed Embrioni – Archivio storico dell’Associazione per la Scienza e le Produzioni animali (ASPA) - Contrada Piano Cappelle, 123 - 82100 Benevento – Italia - Tel.: +39 0824 334300; tf.: +39 0824 334046; email: consdabi@consdabi.org; Internet: http://www.consdabi.org/. (***) Con qualche aggiornamento al 30.IX.2013. 1 1. Introduzione Il tema propostomi è ampio, interessante, interdisciplinare, multidisciplinare e pieno di tentazioni scientifiche. Il titolo della relazione richiama la necessità di una precisazione semantica sull’origine della cosiddetta razza ‘bovina Podolica’. Il termine ‘Podolica’ viene recepito da F. Faelli (1903) ed enfatizzato da E. Marchi (1927) sulla base dell’ipotesi che tutte le popolazioni bovine Grigie taurine eurasiatiche derivino dalla regione della Podolia in Ucraina; ipotesi quest’ultima scaturita da studi archeo-zoologici, osteologici e biometrici, condotti nella seconda metà del 1800 e agli inizi del 1900 principalmente da ricercatori tedeschi, inglesi e francesi quali: G. Cuvier, L. Rütimeyer, O. Wilckens, A. Sanson, F. Keller, J.U. Durst, ecc.. In particolare, si ritiene che la prima descrizione tassonomica del bovino grigio quale “Bos taurus podolicus” possa essere fatta risalire all’esploratore e geografo tedesco M. Wagner (1836). Recenti ricerche genetiche, paleozoologiche e archeozoologiche, invece, testimoniano una condivisa autoctonicità mediterranea Centro-Orientale di questo tipo genetico bovino (F. Ciani e D. Matassino, 2001, 2007, 2008; F. Ciani e A. Giorgetti, 2009; D. Matassino e F. Ciani, 2009; A. Giorgetti et al., 2009; D. Matassino 2011a). Anche I. Bodò (1990), sulla base di indagini storiche condotte sull’origine del bovino Podolico magiaro, esclude la possibilità di una introduzione di bovini macroceri dalla Pannonia o dalla Podolia durante le invasioni di popolazioni barbariche, a partire dal V secolo d.C.. Alla luce di tali constatazioni, la denominazione ‘Podolica’ è attualmente da ritenere inesatta, restrittiva e inadeguata; pertanto, si preferisce designare tale bovino con una espressione dalla notevole semanticità per la ricchezza della struttura sintattica del messaggio che trasmette al lettore: ‘Bovino Grigio Autoctono Italiano’ (‘BovGrAI’). Si ricorda che la non appropriatezza del termine ‘Podolica’ viene evidenziata anche da T.M. Bettini (1986) il quale, riferendosi a tale tipo genetico, sottolinea due espressioni: (a) “cosiddetta Podolica meridionale”; (b) “bovini macroceri meridionali, comunemente ma impropriamente, a mio avviso, detti ‘podolici’”. Il ‘BovGrAI’ (già Podolica), come tutte le popolazioni bovine domestiche della sottospecie Bos primigenius taurus discende dall’ Uro (Bos primigenius primigenius) o Aurochs, nella definizione Anglosassone, che si evolve da bovidi primitivi in Asia circa 2 milioni di anni fa; l’Uro raggiunge l’Europa nel Pleistocene Medio (320.000 ÷ 200.000 anni fa) e arriva in Italia durante l’Ultima Glaciazione di Würm (80.000 ÷ 40.000 anni fa); da questo periodo e fino alla metà del Neolitico (4.000 anni a.C.), la presenza di questo bovino selvatico interessa tutto il bioterritorio italiano comprese le attuali isole (F. Ciani e D. Matassino, 2008). Sono numerose le raffigurazioni di Uri lasciate sulle pareti di caverne dagli artisti di quel lungo periodo. Un esempio è mostrato nella figura 1. 2 Figura 1 - Raffigurazione di Uro maschio del Paleolitico, Italia meridionale, Grotta del Romito, Papasidero (CS) (Fonte: M. Masseti e M. Rustioni, 1990). In epoca Romana, Giulio Cesare (De Bello Gallico, VI, 28) cosί descrive l’Uro: “Il terzo è il genere dei cosiddetti Uri. Questi sono leggermente piú piccoli degli elefanti, assomigliano ai tori per aspetto, colore e forma. Sono molto forti, estremamente veloci e non hanno riguardo né per l’uomo né per gli altri animali selvatici, quando li incontrano. I Germani li uccidono dopo averli catturati per mezzo di fosse che scavano a tale scopo; gli adolescenti si forgiano con questo lavoro e si esercitano a questo genere di caccia, e quelli che riescono a ucciderne molti, portandone in pubblico le corna, ricevono grandi lodi. Non si riesce ad abituare gli Uri alla presenza degli uomini, né ad addomesticarli, neppure se catturati da piccoli. L’ampiezza , la forma e l’aspetto delle corna differiscono molto da quelle dei nostri bovini e sono molto ricercate; le corna vengono rifinite d’argento lungo gli orli per essere usate come coppe nei banchetti piú lussuosi”. Anche Publio Cornelio Tacito (55 - 120 d.C.) negli Annales (IV, 72) e Plinio il Vecchio (23 - 79 d.C.) nel De Rerum natura (VII, 126) riferiscono sull’Uro. In particolare, Plinio il Vecchio, anche se in modo fantasioso, cosí si esprime: “Il ferocissimo toro dei boschi, piú grande di quello dei campi, è il piú veloce di tutti gli animali, dal colore fulvo, dall’occhio celeste, con il pelo rivolto al contrario, le fauci spalancate fino alle orecchie, vicino alle corna mobili, con la pelle della durezza della selce, che respinge ogni ferita”.1 La prima comparsa in Italia di bovini, di incipiente domesticazione, che conservano ancora le grandi dimensioni e le corna dell’Uro progenitore, sarebbe accertata nei siti di Rendina (Potenza) e di Scamuso (Bari) in Italia meridionale, risalenti al Neolitico antico (6.000 anni a.C.) (A. Tagliacozzo, 2002). Nei millenni successivi alla diffusione della civiltà Neolitica in tutto il vasto areale italiano ed europeo, le abbondanti incisioni e sculture in pietra, unitamente a statuette, a sigilli di vari materiali e ad affreschi, confermerebbero che i bovini da lavoro allevati dalle civiltà preceltiche , camune, villanoviano-etrusche, iberiche, nuragiche, italiche e minoico-micenee sono principalmente animali macroceri e somaticamente molto somiglianti fra loro (F. Ciani e D. Matassino, 2001). Una immagine rappresentativa e qualificante di questo bovino è riportata su di un vaso per libagioni in pietra scura, rinvenuto negli scavi del palazzo di Cnosso a Creta, risalente a 2.000 anni a.C., raffigurante la testa di un toro con corna grandi e con la presenza del tipico alone chiaro intorno al musello, che ripropone l’ identica immagine di un moderno e attuale toro Grigio autoctono (figure 2 e 3) (F. Ciani e D. Matassino, 2001). 1 Si ricordano alcuni dati sulla conoscenza del racconto storico, il quale narra l’esistenza di un bovino domestico inselvatichito (Deuteronomio, VI-V secolo a.C., 33, 17; Salmi, 22, 22); tale bovino sarebbe descritto anche da Aristotele e poi da Erodoto (484-425 a.C.); questi ultimo fornirebbe la seguente descrizione: “…….. E da qui la via piú breve per il paese dei Lotofagi (popolazione Nordafricana vissuta nell’area della Cirenaica, regione corrispondente all’attuale Libia orientale) , dal quale ci sono trenta giorni di marcia per arrivare a questo popolo, ove si trovano buoi che pascolano arretrando. Hanno le corna ricurve in avanti sicché pascolano camminando all’indietro; né potrebbero farlo avanzando, perché le corna urterebbero col suolo. E solo per questo, oltre che per lo spessore e la morbidezza della pelle, differiscono dagli altri buoi”. 3 Figura 2 - Testa di toro-civiltà Minoico cretese, 1.700-1.450 a.C. (Fonte: H. Epstein, 1971). Figura 3 - Toro di ‘Bovino Grigio Autoctono Italiano’ (già Podolica) (Fonte: ANABIC). In epoca Romana nel I secolo d.C., Columella, coevo di Plinio il Vecchio, nella sua opera classica “De re rustica” descrive il bovino Grigio da lavoro che allora era diffuso nelle varie regioni centro-meridionali italiane a seconda dell’ecotipo: “La Campania produce buoi bianchi di piccola statura e di estrema resistenza. L’Umbria ha buoi di grande corporatura, anch’essi bianchi, in più ha un’altra razza di colore fromentino, non meno pregiata per indole e forza fisica; in Toscana e nel Lazio ci sono buoi compatti e robusti nel lavoro; l’Appennino fornisce buoi resistentissimi che possono sopportare qualsiasi avversità. In ogni caso l’aratore deve ricercare animali giovani, quadrati, dalle grandi membra, con corna grandi, scure e robuste, dalla fronte larga e rugosa, con occhi e labbra neri, con narici larghe, giogaia ampia che arriva quasi alle ginocchia, con petto grande, spalle possenti, dorso diritto e pianeggiante o anche leggermente calante, natiche rotonde, arti corti e diritti, zoccoli grandi, coda lunghissima e pelosa, pelo fitto e breve su tutto il corpo, mantello scuro o fromentino”. Prima di entrare nel merito delle successive riflessioni ritengo, altresí, utile integrare i predetti cenni ‘storici’ con alcune tappe del recente passato sulle iniziative attuate per una maggiore conoscenza del ‘BovGrAI’ (già Podolica) (D. Matassino, 1986, 2000, 2001b, 2009a, b, c, d, e, 2011a; D. Matassino et al., 1990). 4 1. Anno 1975 (se non erro). Viene emanata una 'circolare' dell’allora ministro Marcora sulla possibilità dell’uso del toro podolico (oggi ‘BovGrAI’) in monta naturale in deroga alle normative della legge 126/63. 2. Anno 1976. Su iniziativa dell’ Associazione Italiana Allevatori viene posta all’attenzione dell’allora Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste la necessità di istituire il Libro genealogico della Podolica (oggi ‘BovGrAI’). 3. Anno 1984. Viene istituito il ‘Libro genealogico del bovino podolico’ che rappresenta il momento fondamentale per iniziare, nella pienezza della legalità, un'attività di razionalizzazione dell’allevamento e di utilizzazione delle potenzialità genetiche di questa ‘fantastica’ razza; la definizione dello standard di razza è il frutto di lunghe e animate discussioni fra una Commissione ministeriale, istituita ad hoc nelle persone dei proff. Mario Lucifero, Orlando Montemurro e di chi vi parla, e gli allevatori sulla base dei rilievi somatici ‘classici’ eseguiti su circa 15.000 soggetti di età variabile fra 6 mesi e 10 anni e oltre. 4. Anni 1983÷1987. Viene attuato il Progetto finalizzato IPRA (Incremento Produttivo Risorse Agricole), finanziato dal CNR. Tale progetto, partendo dal presupposto che la ‘marginalità’ può essere considerata una ‘risorsa’ piuttosto che un ‘vincolo’, identifica nove aree campione rappresentative di diverse zone territoriali italiane cosiddette ‘marginali’ quali potenziali fonti di sviluppo orientato verso livelli qualitativi di benessere. Per la Calabria viene individuata l’area corrispondente alla Comunità Montana ‘Sila Greca’; per la Basilicata viene presa in esame l’area corrispondente alle Comunità montane ‘Alto Sauro-Camastra’ e ‘Melandro’, ove, nell’ambito della tematica ‘prospettive di valorizzazione delle risorse foraggere e zootecniche’ viene evidenziata la possibilità di incremento produttivo attraverso una opportuna razionalizzazione dell’allevamento di tipi genetici locali o ‘endemismici’2, secondo la terminologia di A.P. De Candolle (1820), tra i quali il bovino podolico (oggi ‘BovGrAI’). 5. Anno 1986. Viene tenuto il 1. Convegno su 'L’allevamento del bovino podolico nel Mezzogiorno d’Italia', svoltosi in Acerno (SA) e organizzato dall’ allora Istituto di ricerche sull’adattamento dei bovini e dei bufali all’ambiente del Mezzogiorno del Consiglio Nazionale delle Ricerche nella persona del dott. L. Ferrara allo scopo di definire uno stato dell’arte e di rafforzare il coordinamento nell’attività di ricerca condotta sul bovino podolico (oggi ‘BovGrAI’) da vari Istituti di Ricerca, dal CNR, dall’allora MAF e dalle Università. Gli atti del Convegno, dedicati al mio Maestro prof. T.M. Bettini (1908-1986), riportano la relazione di apertura del compianto Maestro; relazione che ha coinciso con il suo ultimo lavoro scritto in condizioni fisiche di grave sofferenza; questa memoria Bettiniana rappresenta, pertanto, 'la gemma piú bella' per i suoi contenuti sulla 'problematica della ricerca nell’allevamento animale con riferimento alle zone interne'. T.M. Bettini inizia il suo dire sottolineando come “gli animali nel loro habitat naturale (in un secondo tempo anche domestici) costituiscono una fonte di osservazione che l’uomo svolge da qualche milione di anni (altrettanto vale per l’animale nei confronti dell’ ‘animale uomo’ e di altri). Essa ha posto e continua a porre una serie di interrogativi inopinabili al di fuori della stessa attività di osservazione. Sotto il profilo metodologico, secondo K.Z. Lorenz (1983), l’aspetto ‘ideografico’3 deve precedere quello ‘ordinativo’ o ‘sistematico’, ed entrambi debbono precedere il momento in cui qualsiasi legge relativa al fenomeno osservato viene formulata”…… . “L’esperienza legata all’osservazione diretta è ‘individuale’ e può essere trasmessa ad altri soltanto parzialmente”…… “Nel campo dell’allevamento animale la ‘regola aurea’ esposta da K.Z. Lorenz non è affatto seguita, se si 2 Il termine ‘endemismo’ (dal greco ἔνδηµος = indigeno) viene ripreso dalla terminologia medica e utilizzato per la prima volta in botanica dal naturalista A.P. De Candolle (1820) per indicare organismi esclusivi di una determinata area geografica. 3 Ideografia: rappresentazione grafica di idee, cioè scrittura basata non su fonemi, vale a dire sui suoni articolati del linguaggio, ma su simboli significanti un qualche contenuto mentale, com’è in scritture antiche (sumera, egiziana) e moderne (cinese, giapponese) e, in campo scientifico, nelle matematiche. L’ ‘ideografia logica’ include l’insieme dei simboli con cui si rappresentano le operazioni logiche (a esempio, la rappresentazione ideografica del sillogismo {[(A B) & (B C)] (A C)} (Dizionario delle Scienze fisiche Treccani, 2012). 5 prescinde dai pastori, illetterati e non. A parte gli etologi (fauna molto recente, salvo qualche rara eccezione come l’iracheno Giahiz4 vissuto nel 7.-8. secolo), studiosi e ricercatori limitano il campo di osservazione alle ristrette condizioni sperimentali, e tuttavia, dai risultati, traggono, spesso arbitrariamente, leggi postulate di valore universale, con la conseguenza che il tecnologo, la cui cultura è essenzialmente libresca, trasferisce sul piano operativo criteri e metodi estrapolati da poche osservazioni eseguite in condizioni del tutto particolari, mentre manca, e/o è viziata da idee preconcette, l’osservazione diretta”…… “L’uomo cosiddetto civilizzato non dovrebbe essere capace di fare qualcosa di piú e di meglio di quello primitivo? Di fatto potrebbe se fino dall’infanzia, accanto alla memorizzazione di carta stampata e alla comoda pratica di applicare ricette, gli fosse insegnato ad osservare. Nel 1917 N.P. Armsby, un grande fisiologo della nutrizione, ammoniva: ‘La mente umana domanda ricette, e di fatto vi è una persistente tendenza a sostituire allo studio della nutrizione una serie di esercizi di aritmetica’ (N.d.A.: oggi di vivissima attualità). In un mondo in cui domina la cultura libresca la capacità di osservazione si affievolisce, e la pigrizia mentale di docenti e discenti contribuisce a peggiorare la situazione. Dice J.W. Atkinson (1977), con riferimento all’Occidente: ‘Molti giovani sono senza confronto meno osservatori di quei fanciulli le cui cognizioni dipendono necessariamente dalle facoltà percettive. Un bimbo arabo o indiano osserva in un’ora in piú di quanto non riesca a fare un bimbo occidentale in un giorno’”. …. “ I criteri di valutazione delle formazioni botaniche naturali come supposte utilizzate dai domestici erbivori pascolanti sono fondamentalmente: (a) la produttività, espressa in q di vegetazione pabulare essiccata per unità di superficie per unità di tempo (generalmente ha/anno) o in altra unità di misura (Mcal/ha/anno), che stabilisce una ipotetica ‘capacità di carico’ espressa in una non meno ipotetica ‘unità animale’ (specie referenziale: il bovino); (b) la ‘equivalenza’ fra le categorie entro la specie e fra le specie. L’interazione con la fauna selvatica è completamente ignorata. E’ anche troppo facile dimostrare che entrambi i criteri, riportati nelle opere speciali di ‘range management’, sono totalmente privi di consistenza, e che la loro applicazione può portare a errori colossali. Nel primo sono implicite una serie di approssimazioni tali da renderlo il piú spesso privo di senso. Il secondo si basa su un presupposto assolutamente falso, ossia quello per cui le diverse specie animali utilizzino le stesse specie botaniche nella stessa misura. In realtà le diverse specie pascolanti utilizzano la vegetazione selettivamente, per cui la competitività fra di esse può variare da vicini a 0 a valori vicini all’unità (i valori vicini a uno non si realizzano neppure fra i diversi tipi genetici entro la specie) e variano fra le stagioni. Numerosi sono gli studi, soprattutto in relazione alla problematica della gestione zootecnicofaunistica di animali domestici e/o selvatici in aree protette, supportanti l’esistenza di un rapporto di ‘compatibilità’ tra le varie specie di fauna domestica e selvatica che ‘interagiscono’ nell’utilizzazione di una fitocenosi nella sua distribuzione spaziale. Si riporta l’esempio dell’‘alpeggio’, in cui le risorse pabulari vengono utilizzate in maniera completa da camosci, stambecchi e bovini; infatti, nella distribuzione altitudinale delle specie pascolative durante la stagione estiva (da maggio – giugno a settembre), il camoscio tende a utilizzare le risorse arbustive in crescita (germogli), lo stambecco le risorse erbacee e il bovino, a causa della massa corporea, tende a utilizzare il pascolo erbaceo delle zone pianeggianti. Il bovino, specialmente autoctono, grazie al pascolamento stagionale permette, in ottobre, il lussureggiamento vegetazionale, garantendo una disponibilità di risorse alimentari per la successiva stagione autunnale per tutti gli ungulati selvatici. In mancanza di bovini la fitocenosi andrebbe incontro ad appassimento senza fornire alcun apporto ad altre specie (D. Matassino 1978; R.R. Hofmann, 1985; R.J. Putman, 1986; U. Zimmermann e B. Niegevelt, 1986; Y. Gordon, 1988; F. Ciani, 1997). ….. “T.M. Bettini et al. (1980), A. Simonetta et al. (1984) mettono in evidenza la fallacia di considerare le esigenze degli animali pascolanti rispetto a una sola componente (a esempio, foraggio), ciò che può portare alla illazione errata che due specie sono equivalenti, mentre il 4 Secondo Bel-Hai Mahmud (1977), il suo nome completo è Abu ‘Uthman ‘Amr b. Bahr al Kinani al Fukayami al Basri al – Giahiz; secondo l’Encyclopaedia Britannica (1980) è Abu ‘Uthman ‘Amr ibn Bahr ibn Mahbud al- Giahiz. La prima forma porrebbe l’accento sul/i gruppo/i tribale/i di appartenenza (Al) e sulla città di nascita (al Basri = di Basra); la seconda sulla sua ascendenza pura e semplice (ibn = figlio di) (T.M. Bettini, 1982). 6 considerarle rispetto a due (a esempio, foraggio e acqua) può portare a conclusioni diametralmente opposte”…… “Le differenze di comportamento possono essere enormi anche fra i diversi tipi genetici di una stessa specie (a esempio, resistenza o suscettibilità a una parassitosi). Per ciò che concerne il ‘pabulum’, le relazioni fra le specie dovrebbero essere definite in termini di ‘competitività’, espressa come indice di ‘dissimilarità’, risultato di molte variabili, entro la località entro l’anno entro la stagione (T.M. Bettini et al., 1980)”…… “Per mia esperienza e per quanto concerne il nostro paese è certo che, fra i domestici, non esiste equivalenza né fra le diverse specie erbivore né fra i tipi genetici della stessa specie e neppure entro lo stesso tipo adattato ad habitat diversi: a esempio, fra la cosiddetta Podolica meridionale e la Maremmana né infine, entro lo stesso tipo, fra le categorie”……. “La ‘equivalenza è competitiva’, la ‘dissimilarità è associativa’. In natura piú specie selvatiche erbivore possono convivere sullo stesso territorio, mentre una singola specie non lo può piú di tanto: di qui la ‘territorialità ecologica’ in quanto partecipa a salvaguardare l’ambiente”….. “L’esperienza che deriva dall’osservazione diretta è indispensabile a chiunque lavori con gli animali nel loro ambiente, qualunque esso sia. Quindi, non schemi da manuale, ma etologia ed ecologia applicate”. A tal proposito, A. M. Simonetta (1986), in occasione del Convegno di Acerno sottolinea “la necessità di sviluppare un insieme coerente di ricerche sulle dinamiche dei pascoli e sulle interazioni tra animali e vegetazione”. Egli riporta alcune interessanti sequenze di pascolamento che è possibile osservare in Africa orientale: subito dopo le piogge i pascoli di pianura vengono attraversati dagli gnu (Connochaetes taurinus) che rimuovono circa l’85% della biomassa erbacea ; non appena gli gnu abbandonano il pascolo, questo viene occupato dalla gazzella di Thompson (Gazzella thompsoni), che utilizza solo i ricacci delle piante pascolate dagli gnu. Inoltre, A. M. Simonetta (1986) evidenzia l’importanza delle piante ‘pascolo-dipendenti’: “alcune piante risultano piú abbondanti nelle zone pascolate che in quelle protette”. Inoltre, T.M. Bettini (1986) suggerisce alcune linee da perseguire per una ricerca meno errata: “La ricerca dovrebbe battere contemporaneamente e, per economia di tempo, in una prima fase indipendentemente, vie diverse. Esse sono: (a) l’osservazione del comportamento dell’animale al pascolo entro il tipo genetico entro la categoria entro la comunità dei conviventi, in relazione anche alla loro numerosità; essa può essere piú o meno sofisticata (telemetria, fistola permanente esofagea o ruminale, ecc.) e, se gli animali vivono in gruppo, è necessaria una certa conoscenza individuale di ciascuno; (b) il rilievo dei dati individuali necessari alla stima dei parametri con i quali si vuole caratterizzare l’unità produttiva, anch’essa da delimitare nelle sue dimensioni spazio-temporali, e la stima di queste ultime (se gli animali vivono liberamente al pascolo, il lavoro inerente alle operazioni periodiche – marcatura, pesa, trattamenti, ecc. – è enormemente facilitato da apposite strutture permanenti, le quali devono essere ‘etologiche’): i parametri servono alla messa a punto di un modello di sistema, essenziale ai fini gestionali non meno che al miglioramento produttivo; (c) la ripartizione delle differenze osservate fra i tipi rispetto alle maggiori fonti di variazione ambientale (alimentazione e nutrizione, ambiente termico, suscettibilità agli ecto- ed endo-parassiti e qualsiasi altro fattore ritenuto degno di interesse); (d) altri elementi che possono contribuire al miglioramento genetico (polimorfismo proteico, profili metabolici individuali e aziendali, immunogenetica, citogenetica, ecc.); (e) l’adattamento (i) fenetico e (ii) genetico, compresa la genetica del tempo biologico o ‘cronogenetica5’”……. “Nei territori6 di cui si parla l’allevamento animale è legato a vincoli di base geopedoclimatici, socioculturali e infrastrutturali”. 5 La ‘cronogenetica’ o ‘tempo ereditario originale’ si riferisce al tempo trasmesso ereditariamente e soggetto alla variabilità genetica; quindi, trattasi di un tempo primitivamente ‘biologico’, ossia ‘endogeno’, scandito dall’organismo vivente come effetto del fenomeno vita. La ‘cronogenetica’, dunque, interessando grandezze temporali endogene, si esprime come ‘tempo-durata’ e va distinta dalla ‘cronobiologia’ la quale, invece, coinvolgendo relazioni fra ‘tempo fisico’ e ‘tempo biologico’, si esprime come ‘tempo reattivo’ (L. Gedda e G. Brenci, 1973; T.M. Bettini, 1988; D. Matassino, 1988). 6 Si precisa che questi territori sono identificabili con quelli dell’ ‘Appennino collinare e montano dell’Italia meridionale’, espressione ritenuta piú consona rispetto a quella di ‘area interna’ (D. Matassino, 1976a). 7 Sulla scia di L. Gedda e G. Brenci (1973), T.M. Bettini (1986) sottolinea che, nel settore animale, le ricerche inerenti alle relazioni tra ‘stabilità del gene’ e ‘adattamento’ (oggi ‘capacità al costruttivismo’) 7 sono quasi totalmente ignorate. “E’ un dato acquisito che le popolazioni animali primitive – come i bovini macroceri meridionali, comunemente ma impropriamente, a mio avviso, detti ‘podolici’ – hanno una capacità di adattamento ad ambienti sfavorevoli notevolmente superiori a quelli ‘di cultura’, che si esprime in sostanza in un maggior controllo omeostatico in condizioni ambientali di grande e talora di estrema variabilità (flessibilità nell’accrescimento e sviluppo e nel peso maturo, che in condizioni sfavorevoli raggiungono l’asintoto a un livello inferiore all’ottimo in grado di modificare anche il formato, mentre il biochimismo e le funzioni fisiologiche ‘apparentemente’ non sono alterate), una lunghezza della vita media maggiore, maggiore capacità di utilizzazione di foraggi poveri, di sopravvivere a periodi anche lunghi di carenze nutrizionali specifiche, ecc.. Ciò potrebbe essere, e a mio avviso in parte è dovuto, a una forte stabilità del/i gene/i interessato/i. Ricordo che la stabilità del gene dipende (a) da ‘sinonimia’8 o ‘stabilità molecolare, (b) da ‘ridondanza’ o stabilità di ripetizione dell’informazione9, e (c) dal ‘repair’ o stabilità di riparazione. Istoni e protamine, pur non 7 Si preferisce sostituire il termine ‘adattamento’ con l’espressione ‘capacità al costruttivismo’ o ‘costruzione della propria nicchia ecologica’ di un ‘fenotipo’; tale espressione indica che le ‘novità evolutive’, per quanto imprevedibili, non sono una produzione ‘dal nulla’, ma una trasformazione di ‘precedenti potenzialità’ grazie alle quali gli organismi partecipano attivamente alla ‘costruzione’ del microambiente in cui vivono. Il concetto di ‘capacità al costruttivismo’ del ‘fenotipo’ è connesso a quello di ‘ereditarietà ecologica’ (ecological inheritance); concetto, quest’ultimo, che considera la selezione naturale dipendente anche dal contributo, in termini di variazioni, di un qualsiasi organismo che vive in un peculiare microambiente. Infatti: “mentre la trasmissione dei ‘geni’ (segmenti di DNA codificanti polipeptide/i) è una partita che si gioca tra le mura di casa, la trasformazione dell’ambiente ecologico è un fenomeno che coinvolge non soltanto i propri simili, ma anche le specie che vivono nella medesima regione e che in qualche modo ne condividono il destino”. Ciò implica che le “sorti evolutive delle varie specie sono indissolubilmente intrecciate tra loro in fitte trame ‘coevolutive’”. Pertanto, in chiave ecologica, sarebbe preferibile passare dal concetto di “evoluzione della specie” a quello di “evoluzione delle interazioni tra specie” o, meglio, a quello di “mosaico geografico di coevoluzione” (D. Matassino, 1975, 1989, 1992; R.C. Lewontin, 1980, 1993, 2004; F.J. Odling-Smee et al., 2003; F. Morganti, 2009; T. Pievani, 2013; J.N. Thompson, 2013). 8 La ‘sinonimia’ discende dalla mancanza di univocità fra codone e amminoacido. Quest’ultimo è codificabile da piú di una tripletta o codone (‘degenerazione’ del codice genetico); i codoni sinonimi differiscono tra loro per il numero di legami idrogeno tra le basi azotate complementari: due legami tra le basi citosina e timina; tre legami fra le basi citosina e guanina. Maggiore è il numero di legami idrogeno, piú elevata è la stabilità di un codone. Pertanto, la stabilità complessiva di una molecola di DNA, quindi delle informazioni che essa contiene, incrementa all’aumentare dei ‘codoni’ caratterizzati da un numero piú elevato delle due basi azotate guanina e citosina (G. Bernardi e G. Bernardi, 1986; S. Saccone et al., 2002). 9 Secondo L. Gedda e G. Brenci (1973), l’informazione dovuta alla ‘ripetizione di sequenze’ aumenterebbe l’attività del ‘gene’; questo incremento di attività si verificherebbe nel caso in cui fattori esogeni ed endogeni (‘aggressori di ogni tipo’) si comportino come ‘disturbatori’ permettendo – cosí – all’individuo un normale sviluppo ontogenetico. Negli ovini, nell’ambito del cluster genico ‘alfa globinico’, i segmenti di DNA duplicati, triplicati o quadruplicati sono responsabili di un polimorfismo quantitativo concretizzantesi in: (a) una ‘variazione clinale’ dell’ intensità di espressione della ‘globina’; tale intensità diminuisce procedendo dall’estremità 5’ a quella 3’ del cluster ‘genico’; (b) sintesi di catena alfa-globiniche soprannumerarie che si traduce in uno sbilanciamento del rapporto alfa/beta globinico. La presenza di segmenti di DNA alfa globinici in soprannumero è responsabile di un quadro ematologico caratterizzato da un più elevato ‘turnover eritrocitario’ il quale sembrerebbe conferire all’animale resistenza a parassitosi endemiche TBD (tick borne diseases = malattie trasmesse da zecche) (E. Pieragostini et al., 2003). La ridondanza legata alla ripetizione di sequenze, da un lato favorirebbe la stabilità dell’informazione nel caso in cui le sequenze ripetute non subiscano mutazioni, e da un altro lato può favorire l’evoluzione di nuovi segmenti di DNA qualora la sequenza ripetuta sia sede di mutazione. A esempio, la ‘duplicazione di segmenti di DNA’ rappresenterebbe uno dei meccanismi piú importanti per l’evoluzione delle cosiddette ‘famiglie geniche’, le quali possono essere considerate il risultato dinamico di un vero e proprio processo di ‘conversione democratica di segmenti di DNA codificanti ‘polipeptide/i’’, con funzione principe di ‘rete di mutazione’; ‘rete’ che consente la propagazione di mutazioni ‘favorevoli’ (D. Matassino, 1989, 1992). 8 costituendo materiale ereditario, influenzano la stabilità del gene con funzioni troficoprotettive.”…… “ E’ ragionevole postulare che l’adattamento ambientale ha qualche presupposto nella stabilità del gene? Se la risposta al quesito è affermativa, diviene ipotizzabile il trasferimento di stabilità da un tipo genetico a un altro (ciò che in forma empirica si fa da millenni con l’incrocio fra i tipi adattati di bassa produttività e tipi ‘evoluti’ di basso adattamento all’ambiente)”. T. M. Bettini evidenzia con enfasi l’importanza che “la ‘dimensione temporale del gene’ stabilisce la lunghezza dell’intervallo della sua attività, ossia della sua informazione, capace di produrre la sua azione primaria (polipeptide)10. La vita media dell’informazione è una probabilità statistica: pure avendo una base ereditaria, è influenzata dall’ambiente di sviluppo, interno ed esterno. L’informazione genetica comprende (a) una quantità misurabile a evento avvenuto (‘H di Shannon’11) a diversi livelli (singola lettera, messaggio, frase), e (b) la quantità di informazione come grandezza matematica, indipendente dal contenuto di informazione. L.L. Gatlin (1968) definisce l’ ‘informazione registrata’ la differenza fra la quantità di informazione contenuta nel messaggio se tutti i simboli che la contengono fossero equiprobabili. Essa è una misura di ridondanza, una ‘misura d’ordine’, la ‘quantità di organizzazione’ di Rothestein (1962) (Citato da T.M. Bettini, 1986). L. L. Gatlin ha suddiviso l’informazione registrata in due quantità, l’una legata alla composizione del messaggio, l’altra misurata dal contesto nucleotidico. La misura della quantità di informazione è stata correlata alla complessività dell’organismo nel phylum evolutivo. Sperimentalmente si può dimostrare che la quota registrata, oltre che una misura di ridondanza, è una misura di quantità di organizzazione. La ‘ridondanza’ non impedisce il variare nel tempo dell’accumulo degli errori genetici – causa principale – secondo alcuni autori – dell’invecchiamento”. ….. “L. Gedda e G. Brenci (1973), in base a ricerche su ceppi di Drosophila puri e ibridi, hanno dimostrato che la loro vita media è una funzione della specifica competenza dei singoli geni mutanti, e che nel genotipo omozigote essa diminuisce con l’aumentare del loro numero. Nella F1 è intermedia. In conclusione, l’informazione genica può essere vista sotto tre aspetti: (a) ‘quali-quantitativo’, (b) di ‘stabilità’, e (c) di ‘durata’. Tutti interessano l’adattamento ambientale e la resistenza alle prestazioni, per cui il loro studio dovrebbe essere ritenuto prioritario”. La dimensione temporale in termini di ergon (intensità di espressione) e di chronon (sequenza temporale) dell’informazione genetica è rilevabile, oggi, mediante varie tecniche tra cui si ricordano: ‘DNA microarray’12(M. Schena et al., 1995), SAGE13 (V.E. Velculescu et al., 1995); 10 T.M. Bettini (1972) considera una genetica: (a) informatica propria degli acidi nucleici, del codice genetico e della sua trascrizione; (b) cibernetica rispetto al canale interno o genetica dello sviluppo o fisiologia del segmento di DNA; (c) cibernetica di campo nel senso di dinamica della variazione come risultato delle interazioni ‘entro’ e ‘fra gli individui’. 11 ‘H’ di Shannon: esprime la probabilità di presenza di un simbolo del linguaggio usato in un dato luogo del messaggio a prescindere dal suo significato. Quanto piú la sua presenza nel messaggio, a priori, è improbabile , tanto più il suo verificarsi è, a posteriori, informativo. Se, per esempio, si vuole descrivere un sistema a partire dai suoi atomi, la funzione ‘h di Shannon’ misurerà l’informazione supplementare necessaria a ricostruire il sistema partendo soltanto dalla conoscenza del tipo di atomi incontrati in un sistema statisticamente omogeneo di sistemi identici a quello considerato e dalla loro frequenza in questo insieme; questa informazione necessaria è evidentemente maggiore di quella che occorrerebbe se si descrivesse il sistema a partire dalle sue molecole. Pertanto, a un aumento della conoscenza dei vincoli organizzativi di un sistema, corrisponde una riduzione di H (Wikipedia). 12 DNA microarray o ‘micromatrice’ di segmenti di DNA: metodo basato sull’ibridazione di segmenti di DNA ‘noti’ [oligonucleotidi o cDNA distribuiti secondo uno schema ordinato (array) su una piccola superficie solida] con segmenti di cDNA ottenuti dalla retrotrascrizione dell’RNA presente nel tessuto analizzato, marcati con fluorocromi; la fluorescenza emessa dall’ibrido è indicatrice della presenza di segmenti di DNA funzionalmente espressi (‘accesi’) o ‘attivi’ dal punto di vista trascrizionale; l’entità di questa fluorescenza è direttamente proporzionale alla quantità di mRNA trascritto (D. Matassino et al., 2007a). 13 SAGE (serial analysis of gene expression = analisi seriale dell’espressione genica): metodo basato sul sequenziamento‘in serie’ di EST (expressed sequence tag= etichette o segnali di sequenze espresse), ciascuna delle quali identificativa di un ‘messaggero’ ‘unico’; esso non richiede la conoscenza ‘a priori’ dei segmenti di DNA da 9 RNA-seq14 (Y. Chu et al., 2012). Per ulteriori approfondimenti sulla ‘cronogenetica’ e sulla ‘cronobiologia’ si rimanda a: T.M. Bettini (1986) e D. Matassino et al. (2007a). I contenuti e i suggerimenti riportati nelle memorie degli Atti del Convegno di Acerno (SA) sono ancora totalmente validi; in particolare, il Convegno, articolato in 5 sessioni, fornisce un contributo pregevole alla conoscenza di numerosi aspetti. A. Ambiente di allevamento del ‘BovGrAI’ includente anche gli aspetti culturali e socioeconomici. D. Matassino evidenzia come “le aree collinari e montane dell’Appennino meridionale siano caratterizzate da una marcata eterogeneità degli scenari produttivi, conseguenza di multiformi e complessi microambienti che caratterizzano il bioterritorio meridionale”; infatti, come sottolineato da D. Matassino (1985), “è possibile riscontrare, a esempio, che: (i) la zootecnica è praticamente diffusa in tutto il bioterritorio, dal livello del mare ai limiti dei pascoli montani; (ii) una struttura etnica animale molto complessa (presenza contemporanea in azienda di piú specie) è fortemente dominante e convive con quella ‘specializzata’; (iii) estensione aziendale e consistenza degli animali allevati per unità produttiva zootecnica modeste sono presenti insieme a strutture di ampiezza anche notevole; (iv) ad aziende d’avanguardia si contrappongono realtà arcaiche a matrice fortemente pastorale; (v) a tipi genetici con una bassa efficienza produttiva, ma particolarmente adattati all’ambiente, fanno riscontro soggetti con produzioni da ‘record’; (vi) a prodotti caseari di notevole pregio e con corrispondenti capacità di penetrazione nel mercato si affiancano situazioni di caseifici in difficoltà per non aver risolto alcuni problemi della produzione: qualità e standardizzazione del prodotto”. Egli suggerisce che “l’approccio sistemico consente: (i) a livello ‘bioterritoriale’, di cogliere gli elementi di differenziazione fra i sistemi produttivi e, quindi, di capire i motivi dell’attuale condizione e i limiti e le possibilità di sviluppo di ciascun sistema; (ii) a livello ‘aziendale’, di studiare gli effetti di ogni variabile in termini di interazione, cioè tenendo presente tutti gli altri fattori, ma anche di individuare quali fattori della produzione sono piú determinanti o strategici per un effettivo sviluppo”. In piú, l’Autore evidenzia l’importanza della ricerca ‘in loco’ e delle prospettive di sviluppo con particolare sottolineatura di seguire percorsi basati su una ‘impostazione sistemica’ ai fini della caratterizzazione dell’individualità aziendale e del suo grado di efficienza con l’obiettivo finale di individuare interventi teleologici15 finalizzati al raggiungimento degli scopi prefissati in quella determinata struttura produttiva e, pertanto, interventi personalizzati. Quanto ora esplicitato deve condurre anche a un miglioramento delle strutture e dei servizi in modo da rendere sempre meno disagevoli le condizioni di vivibilità degli imprenditori agricoli, qualunque sia l’attività produttiva perseguita. B. Caratteristiche pedo-climatiche delle aree meridionali in cui viene allevato il ‘BovGrAI’ (già Podolica) con un’ampia trattazione e con riferimenti dei valori metereologici rilevati da stazioni ad hoc come quelle presenti nei comuni di Casalbore (AV), Conza della Campania (AV), Lacedonia (AV) (G. Zehender). C. Utilizzazione dei pascoli nella tutela e nella valorizzazione del territorio con vasta e profonda disamina dell’importanza e del ruolo che: (i) specie, erbacee, arbustive e arboree, sia coltivate che spontanee, svolgono nell’alimentazione degli animali autoctoni, specialmente ‘endemismici’; (ii) l’integrazione ‘pianura-montagna’ per il raggiungimento di dinamici equilibri produttivi e di tutela del ‘bioterritorio’; (iii) modelli di sviluppo, specialmente zootecnico, di aziende pubbliche, come l’azienda “Casaldianni” di Circello (BN) (P. Iannelli). L’azienda analizzare e consente di individuare nuovi segmenti di DNA codificanti ‘polipeptide/i’ nonché di quantificare l’mRNA originatosi da tali ‘segmenti’ (D. Matassino et al., 2007a). 14 RNA-seq (RNA Sequencing): approccio basato sulle piú avanzate metodiche di sequenziamento degli acidi nucleici in grado di fornire informazioni sulla sequenza, nonché sulla quantità di RNA trascritto dal genoma in una cellula o in un tessuto in un determinato istante. 15 Termine riferito a teorie che considerano il mondo organizzato secondo fini determinati o che ritengano di riscontrare finalità in alcuni ambiti della natura (Vocabolario Treccani online). 10 6. 7. 8. 9. “Casaldianni”, attualmente, è in parte sede del National Focal Point italiano dal 1990 al settembre 2009 e del Sub National Focal Point Biodiversità mediterranea italiano da marzo 2010. D. Ambienti culturali e socio-economici delle aree collinari e montane del Mezzogiorno d’Italia con estesa illustrazione dei servizi alla persona e agli imprenditori operanti nelle aree collinari e montane del Mezzogiorno d’Italia (L. Cuoco). E. Importanza della cooperazione quale strumento per lo sviluppo economico e sociale degli allevatori del bovino podolico (oggi ‘BovGrAI’) nelle aree collinari e montane del Meridione d’Italia (G. Migliaccio). F. Ampia è la trattazione inerente all’alimentazione e ai suoi effetti sull’accrescimento con l’uso di funzioni logistiche, alla etologia, agli aspetti sanitari, agli aspetti produttivi [latte, carne e loro derivati (caratteristiche colorimetriche, reologiche, istochimiche delle fibre muscolari)], alla fisiologia (profilo metabolico, enzimatico, ecc.), alle caratteristiche biometriche con l’uso delle logistiche (distintamente per Basilicata, Calabria, Campania e Puglia) (Autori vari). G. Alcuni aspetti del polimorfismo genetico e biochimico, con particolare riferimento al polimorfismo lattoproteico, al polimorfismo di alcune proteine enzimatiche (glucosio 6-fosfato deidrogenasi, lattico deidrogenasi, amilasi e anidrasi carbonica), al polimorfismo delle globine (Autori vari). H. Problematiche e tutela della risorsa genetica degli animali in produzione zootecnica a livello planetario e, segnatamente, italiano (I. Bodó; J. Hodges; G. Rognoni). I. Maîtrase du matérial génétique bovin á viandre en vu edu développment de l’élevage en zone montagneuse méditérranéenne (Controllo della risorsa genetica bovina con attitudine alla produzione di carne per lo sviluppo dell’allevamento in zone montane del Mediterraneo). J. Valorizzazione delle aree collinari e montane dell’Appennino Meridionale attraverso l’allevamento del bovino Podolico (oggi ‘BovGrAI’). K. Il Convegno si conclude con l’auspicio di poter rappresentare un primo passo verso una migliore conoscenza del ‘BovGrAI’ (già Podolica) per una piú razionale utilizzazione delle aree collinari e montane dell’Appennino Meridionale. Anno 1988. Viene realizzata la 1. Mostra nazionale del bovino iscritto al Libro genealogico del bovino podolico (oggi ‘BovGrAI’) presso il Centro sperimentale dimostrativo di Molarotta in Camigliatello Silano (CS); mostra da considerare quale prima 'uscita pubblica' in 'appositi recinti' affinché questo bovino potesse mostrare tutta la sua 'bellezza'; in quella occasione si svolge il Convegno 'Il bovino podolico nell’Italia Meridionale: stato attuale e prospettive'; nell’anno successivo, sempre in Camigliatello Silano, viene organizzata una ‘Tavola rotonda’ su: 'Il bovino podolico come strumento di conservazione e salvaguardia del territorio e quale fattore produttivo in determinate aree'. Anni 1994-1999. Viene attuato il Programma Operativo Multiregionale (POM) A06 “Ecosostenibilità dell'allevamento dei tipi genetici bovini Marchigiana e Podolica in aree della Campania , del Molise e della Basilicata”, avente lo scopo di contribuire alla individuazione di parametri per la tutela e la valorizzazione economica di aree collinari e submontane di parte dell'Appennino meridionale mediante l'allevamento 'ecosostenibile' dei tipi genetici bovini Marchigiana e Podolica (oggi ‘BovGrAI’); obiettivo principale del progetto è la individuazione di standard qualitativi indispensabili per una rivalutazione economica dei prodotti vendibili (carne, latte e loro derivati) nell’ottica di raggiungere un livello di ottimizzazione proprio di un prodotto 'locale tipizzato'. Anno 1996. Si svolge l’inaugurazione (finalmente!) del Centro genetico della Podolica in Laurenzana (PZ). Triennio 2005÷2008. Viene realizzato il progetto interregionale “MASO – GIS. Sviluppo di modelli aziendali sostenibili e multifunzionali per la valorizzazione dei pascoli in aree marginali mediante GIS”, coinvolgente gran parte del territorio nazionale (60 aziende pastorali distribuite in 16 regioni italiane, raggruppate in 4 macroaree e in 16 aree-studio); esso porta alla realizzazione di un database nazionale utile per la definizione di modelli aziendali sostenibili, sia dal punto di vista economico sia da quello ambientale, in grado di utilizzare in modo ottimale le risorse pascolive delle aree collinari e montane italiane; relativamente alla macroarea ‘Appennino 11 meridionale’, il monitoraggio aziendale consente di individuare i principali punti di ‘forza’ o di ‘debolezza’ (SWOT, Strenghts Weaknesses opportunities threats), nonché le potenzialità dell’area interessata per una ottimizzazione dell’allevamento del ‘BovGrAI’ (già Podolica) e dello sviluppo dei bioterritori interessati. 10. Anno 2006: viene istituito il Centro sperimentale di Molarotta (CS) a seguito di Convenzione tra: ANABIC (Associazione Nazionale Allevatori Italiani Bovini da Carne), Associazione Allevatori di Cosenza e Agenzia Regionale per lo sviluppo e l’innovazione in Agricoltura (ARSIA) della regione Calabria; in tale Centro, gestito dall’ARSIA, viene attuata l’attività di miglioramento della linea femminile secondo direttive dell’ANABIC. 11. Triennio 2009 –2011. Viene attuato il progetto “Characterization of both local and improved Podolian bovine and identification of the threats of extinction in the global changes”, finanziato dall’European Regional Focal Point (ERFP) mirante a rafforzare la collaborazione tra alcuni Paesi europei allevanti il ‘Bovino Grigio Autoctono’ (Austria, Italia, Serbia, Ungheria) allo scopo di meglio definire: (a) la tassonomia e le relazioni filogenetiche tra popolazioni bovine autoctone ‘Grigie’ europee (b) la conoscenza in merito alla caratterizzazione genetica delle predette popolazioni (c) le potenzialità produttive delle predette popolazioni (d) uno stato dell’arte relativo alle iniziative locali in termini di sussidi economici (e) potenzialità economiche dell’allevamento del ‘Bovino Grigio Autoctono’ (già Podolica). 12. Anno 2009. Si svolge in Matera il I International Congress “On the tracks of Grey Podolic cattle” (“Sulle tracce del bovino Grigio Podolico”), ove vengono presentati contributi di elevato valore scientifico riguardanti l’origine storica e la caratterizzazione del ‘BovGrAI’ (già Podolica) sotto vari aspetti. 13. Anno 2010. Presso l’allevamento ‘Masseria Colombo’ (Mottola, TA) viene avviata una sperimentazione, a oggi in corso, su vacche ‘BovGrAI’ (già ‘Podolica’) munte meccanicamente; in particolare, i rilievi riguardano: (a) produzione lattea (b) analisi chimica centesimale (c) conta delle cellule somatiche (d) profilo acidico del latte (e) determinazione del genotipo ai loci lattoproteici, al locus GH (growth hormon=ormone della crescita) e al locus ‘PRL’ (sede del segmento di DNA coinvolto nella sintesi della prolattina). I suddetti cenni storici richiamano l’attenzione su di un animale 'antico' ma, come già facevo rilevare alcuni anni orsono, guarda caso, 'moderno' in una visione di forte revisione degli attuali assetti dei sistemi produttivi e segnatamente di quelli caratterizzanti le aree collinari e montane dell’Appennino centromeridionale con effetto positivo su (D. Matassino, 1981, 1992, 2000): (a) rivitalizzazione delle economie ‘locali’ in chiave di ‘bioeconomia’ (b) modificazione dei modelli attuali di produzione e di consumo allo scopo di ridurre il loro contributo al deterioramento dell’ambiente e di raggiungere nuovi equilibri fra ambiente e sviluppo ‘multifunzionale sostenibile’ (c) cambiamento di quegli stili di vita che costituiscono ‘fattori di rischio’ per la sicurezza di un agroecosistema ‘culturale’ (d) inversione delle uscite di risorse (e) blocco della distruzione delle risorse genetiche animali e vegetali autoctone o locali o endemismiche, allo scopo di mantenere elevato il 'carico genetico' (f) assunzione di responsabilità per un cambiamento ‘culturale’ nella valutazione dei valori della vita da parte della scuola, degli organi di comunicazione, dei politici e di quanti hanno funzione di motori di cambiamento. Queste brevi indicazioni devono indurre a un profondo ripensamento del ruolo che i valori e le fonti di conoscenza delle culture ‘locali’ possono svolgere nella salvaguardia dell'ambiente. Infatti, si può ritenere che l'abbandono di questi valori sia controproducente e spesso socialmente nefasto per la comunità interessata. 12 In tale contesto si inserisce questa relazione introduttiva, la quale mira a evidenziare il ruolo principe che il ‘BovGrAI’ (già Podolica) può assumere al fine di realizzare “modelli di gestione sostenibile di un ‘bioterritorio’16 da parte delle comunità locali” in linea con la definizione di ‘bioregione’ o ‘bioterritorio’ proposta dalle Comunità internazionali (World Resources Institute, World Conservation Union, FAO, UNESCO, United Nations, 1992). L’allevamento del ‘BovGrAI’ (già Podolica) consente di individuare percorsi ‘virtuosi’ sfocianti in una vera e propria filosofia strategica gestionale di un ‘bioterritorio’ (D. Matassino, 2011b, 2012a; D. Matassino e M. Occidente, 2011). Una efficiente e dinamica ‘filosofia strategica gestionale intelligente’ di un ‘bioterritorio’ basata sull’utilizzazione del suo patrimonio zootecnico armonicamente inserito nel proprio microambiente di allevamento dovrebbe prendere in considerazione, tra l’altro, i seguenti aspetti principali (D. Matassino, 1976b, 1977): (a) conoscenza del microambiente bioterritoriale; (b) conoscenza del patrimonio genetico ‘ecologico’ locale, oggi definito ‘risorsa zoogenetica autoctona’; (c) attuazione di infrastrutture; (d) presenza di una efficiente assistenza tecnica. Pertanto, una conoscenza profonda delle peculiarità genetiche, metaboliche, produttive ed eco-etologiche del ‘BovGrAI’ (già Podolica) risulta fondamentale per lo sviluppo di tale strategia gestionale. Nella presente relazione saranno descritte in modo piú ampio alcune peculiarità metaboliche ed ecoetologiche del ‘BovGrAI’ (già Podolica) mentre saranno soltanto brevemente trattati alcuni aspetti genetici e produttivi, i quali vengono approfonditi in modo peculiare dai vari relatori invitati a partecipare a questa innovativa Giornata di studio. 2. Capacità al costruttivismo Una efficiente strategia gestionale di un ‘bioterritorio’ mirante a un potenziamento e a una ottimizzazione della qualità delle produzioni zootecniche deve prevedere l’utilità, se non la necessità, di impiegare il ‘patrimonio animale locale’ ancora esistente, da considerare un vero e proprio ‘patrimonio genetico ecologico’ in quanto esso è il risultato di modificazioni stabilizzatesi in relazione al bioterritorio di allevamento nel corso di centinaia, se non di migliaia di anni; modificazioni responsabili di una elevata ‘capacità al costruttivismo’ o ‘costruzione della propria nicchia ecologica’ di un ‘fenotipo’ (D. Matassino, 1975, 1976a e 1977; 1989, 1992; R.C. Lewontin, 1980, 1993, 2004; F.J. Odling-Smee et al., 2003; F. Morganti, 2009; T. Pievani, 2013; J.N. Thompson, 2013). Caratteristica peculiare del ‘BovGrAI’ (già Podolica) è la sua eccezionale ed elevata 'capacità al costruttivismo' specialmente in ambienti particolarmente difficili, senz'altro superiore a quella dei bovini di 'cultura' (o di coltura o cosmopolite); capacità che si esprime sostanzialmente in (D. Matassino, 1986; 1995): (a) un maggiore controllo omeostatico in condizioni ambientali di grande e talora di estrema variabilità (b) una maggiore lunghezza fisiologica della vita media (c) una piú elevata attitudine all'utilizzazione dei foraggi 'poveri' (ad alta percentuale di fibra) (d) una notevole sopravvivenza anche a lunghe carenze nutrizionali specifiche. E' opportuno evidenziare che il ridotto metabolismo di base di questo bovino comporta un aumento del tempo di ritenzione degli alimenti nel tubo gastroenterico e, pertanto, migliora l'utilizzazione digestiva degli alimenti anche nelle razioni altamente concentrate (D. Cianci, 1986). La notevole 'capacità al costruttivismo' del ‘BovGrAI’ viene ampiamente messa in luce da D. Matassino, il quale, già nel 1981, esalta tale TG quale testimone di un rapporto armonico tra animale e ambiente, con particolare riferimento a quello collinare e montano dell’Appennino meridionale. Sempre D. Matassino (1981), in Palena (CH), riferisce sull’elevata longevità (15÷16 anni), nonché sulla propensione di tale TG all’allevamento brado; in tali condizioni la salute dell’animale è ottimale e la fertilità della vacca si mantiene elevata. Un contributo alla conoscenza di alcuni aspetti comportamentali del ‘BovGrAI’ (già Podolica) nel suo ambiente di allevamento è fornito dai risultati di uno studio, condotto nell’anno 1982 (agosto – settembre) da D. Matassino in collaborazione con E. Cosentino, P. Freschi, E. Gambacorta e A. Girolami, su un 16 Un bioterritorio, al di là dell’aspetto economico-gestionale, può essere inteso come ‘microbiosfera’ di una determinata ‘area geografica’. 13 allevamento, in condizioni di sistema ‘semibrado’ su pascoli dell’Appennino Irpino (Montella, AV) localizzati a una altitudine di 1.200 ÷ 1.500 m sul livello del mare. Lo studio, oltre a monitorare la catena operativa del lavoro umano (ergonomia) degli addetti all’allevamento fornisce informazioni, raccolte nell’arco delle 24 ore e per 3 giorni consecutivi, in merito a: (a) trasferimento dal recinto base all’area pascolativa e viceversa; (b) pascolamento; (c) ruminazione; (d) decubito; (e) pausa; (f) abbeverata; (g) allattamento della prole; (h) attività di relazione con il proprio redo e con altri membri del gruppo; (i) ritmo di defecazione e di minzione; (l) temperatura e umidità relativa dell’area di pascolamento; (m) temperatura dell’intorno dell’animale; (n) distanza percorsa da ciascun animale con l’uso del pedometro; (o) quantità di feci emesse; (p) orario per l’individuazione di effemeridi; (q) quantità di feci emesse; (r) campionamento delle specie vegetali pabulari più rappresentative. Nei limiti del campo di osservazione, i risultati principali di questo studio, riportati in E. Gambacorta (1992), evidenziano quanto segue: (a) effemeridi: la fase che incide maggiormente è quella di ‘giorno’; quella più breve è il ‘crepuscolo mattutino’; la fase ‘notte’ è caratterizzata per circa l’88 % dalla presenza della luna (b) temperatura e umidità relativa : la temperatura media oscilla da un minimo di 7,4 °C (ore 5) a un massimo di 32,9 °C (ore 14) con una variabilità massima tra i giorni in corrispondenza delle ore 2 ; l’umidità relativa risulta essere particolarmente elevata (valore prossimo al 100 %) dalle ore 22 alle ore 7 e molto bassa dalle ore 9 alle ore 17 (c) temperatura dell’intorno dell’animale: il valore medio oscilla dai 32 °C delle ore 15 ai 13,7 °C delle ore 6 (d) chilometri percorsi dall’animale: i valori rilevati in funzione del tipo di pascolo risultano pari a: (ii) 10,2 nel caso di un pascolo costituito da radura e bosco di alto fusto (iii) 9 nel caso di un pascolo composto da radura e bosco ceduo in tale contesto, a supporto dell’elevata ‘capacità al costruttivismo’ del ‘BovGrAI’ (già Podolica), si sottolinea che, in condizioni di siccità e in ambienti sconfinati, la distanza giornaliera percorsa può raggiungere anche valori estremi di 26 km (C.W. Arnold e M.L. Dudzinski, 1978); (e) velocità di avanzamento degli animali: il valore medio per il trasferimento dal recinto base all’area di pascolamento risulta pari a 39 m/minuto (f) durata del pascolamento: risulta mediamente maggiore quando il pascolo avviene in bosco ‘ceduo’ e minore quando in bosco di ‘alto fusto’ anche se con una distanza percorsa minore (8,2 m/min vs 9,54 m/min, rispettivamente); l’attività motoria fa registrare un valore più elevato quando il pascolo avviene in ‘fustaia’ rispetto al pascolamento in bosco ‘ceduo’ (15 h 56’ 30’’ vs 15h 30”, rispettivamente); tali differenze tra i due tipi di pascolo sono probabilmente da attribuire alla maggiore disponibilità di alimento se l’area pascolata è un bosco ‘ceduo’. Da uno studio (A. Braghieri et al., 2011) avente lo scopo di valutare l’etogramma in 3 tipi genetici (TG) bovini (‘BovGrAI’, Chianina e Romagnola) durante il pascolamento diurno nel periodo estivo– autunnale (agosto-ottobre) scaturisce quanto segue: (a) il ‘BovGrAI’ (già Podolica) sceglie una maggiore percentuale di felci (P<0,05), rispetto agli altri 2 TG (b) la Chianina mostra una preferenza verso le leguminose (P<0,01) (c) gli animali, indipendentemente dal TG, sono piú attivi durante la mattinata e il pomeriggio in termini di pascolamento e di deambulazione (P<0,05) (d) l’attività di ruminazione in piedi e in decubito si concentra durante le ore centrali della giornata (e) i bassi livelli di interazioni agonistiche tra gli animali lasciano supporre che l’utilizzo del pascolo permette la stabilità sociale fra gli animali, confermando la validità del sistema di allevamento estensivo soprattutto con l’impiego di tipi genetici autoctoni. Riprendendo quanto già riportato in D. Matassino (2011c), si ricorda che l’importanza dell’interazione ‘genotipo-ambiente’ viene già teorizzata da H. Walter nel 1919 (figura 4) con la messa a punto del cosiddetto ‘triangolo della vita’ e, successivamente, enfatizzata da R. Giuliani (1928-1931) nel trinomio “eredità-ambiente-ginnastica funzionale”. La ginnastica funzionale assurge a grande importanza. 14 Figura 4 - ‘Triangolo della vita’ di H. Walter nel 1919 rappresentativo dell’effetto dell’interazione “eredità – ambiente ginnastica funzionale” sulla produzione lattea (Fonte: R. Giuliani 1928-1931). A supporto dell’effetto positivo di una perfetta integrazione tra animale e ambiente sull’efficienza produttiva si ricorda quanto asserito da P. Dechambre (1910÷1924), riportato da A.E. Filesi (1928): “La migliore razza non è forzatamente quella nella quale una funzione è accentrata a detrimento delle altre, ma ‘quella che è meglio appropriata alle condizioni particolari dell’azienda, della quale fa parte’. Il miglioramento non ha altro scopo che la perfezione zootecnica degli individui; questa non può raggiungersi, che in condizioni di ‘ambiente ben precisato’. Ciò che è perfetto qui, non può esserlo altrove, se le condizioni dell’allevamento o il genere di vita sono cambiate”. Oggi, alla luce dei risultati di recenti ricerche (C. Werner et al., 2009) sull’uomo e sul topo, mutatis mutandis, i sistemi di allevamento ‘brado’ e/o ‘semibrado’ e/o ‘confinato’ sarebbero in grado di conferire al singolo soggetto allevato una maggiore protezione dalla senescenza cellulare, con particolare riferimento al sistema vascolare, quindi una maggiore longevità dovuta probabilmente- a una più elevata efficienza del sistema immunitario imputabile all’attività enzimatica della telomerasi operante a livello cromosomico. Il tutto si concretizzerebbe in un miglioramento sia della durata sia della qualità della vita. La relazione tra lunghezza dei telomeri e durata della vita trova conferma in uccelli particolarmente longevi, come a esempio l’oca facciabianca (Branta leucopsis), nella quale l’integrità dei telomeri è ben mantenuta con un tasso di accorciamento di 4-5 nucleotidi all’anno (A. Pauliny et al., 2012). La modulazione delle funzioni dell’organismo da parte dell’ambiente viene oggi spiegata in chiave di epigenetica17, la quale attribuisce sempre più importanza alla dinamica della ‘cromatina’18, la quale, grazie alla sua struttura sia stabile sia dinamica (‘quasi stabile’), funziona da interfaccia tra segmenti di DNA codificanti polipeptide/i (‘geni’) e ambiente (D. Matassino, 2011c). Ricerche genetiche sono in corso al fine di individuare alleli, genotipi o aplotipi che contribuiscono alla elevata ‘capacità al costruttivismo’ del bovino Grigio in ambienti cosiddetti ‘difficili’. A esempio, viene 17 Epigenetica: disciplina basata sull’ipotesi dell’epigenesi (risalente a C.F. Wolff, 1759) secondo la quale la cellula sessuale non conterrebbe assolutamente alcunché che assomigli all'organismo che da essa si svilupperà; la generazione dipenderebbe dall’azione di un principio sottile o immateriale. C.H. Waddington (1953) ha identificato l’ ‘epigenesi’ nella ‘biologia dello sviluppo’ e il ‘preformismo’ nel ‘programma genetico’; dall’integrazione tra questi due concetti è nato, nel 1953, il termine ‘epigenetica’ per indicare “Tutti i processi di cambiamento durante il ciclo vitale di un organismo le cui istruzioni non sono contenute nella sequenza del DNA”. L’’epigenetica’ può essere ulteriormente definita come “lo studio dei cambiamenti ereditabili nell’espressione del DNA dovuti a modificazioni chimiche del DNA senza il verificarsi di variazioni nella sequenza dello stesso”; definizione ottenuta integrando quella di A.P. Wolffe (1759) e M.A. Matzke (1999) con quella di K.Singh et al. (2010). 18 La ‘cromatina’, grazie alla sua architettura gerarchica che segue il modello ‘frattale’, è in grado di assumere variazioni del grado di compattazione in funzione delle condizioni microambientali; variazioni che consentono una maggiore o minore interazione tra il DNA e i fattori di trascrizione. Nel caso dell’uomo, grazie al ripiegamento della cromatina i due metri di DNA vengono compattati fino a essere contenuti nel nucleo cellulare, il cui diametro è pari a circa 5 micron. La cromatina regola l’attività trascrizionale del DNA attraverso modificazioni chimiche (metilazione, acetilazione, fosforilazione, ubiquitinazione) degli istoni e/o del DNA (D. Matassino, 2012b). 15 evidenziato che, nell’ambito dell’aplotipo ‘HSP-70’19, l’allele ‘selvatico’ (al locus ‘AP2 box’), associato a piú elevati livelli di espressione di proteina HSP-70, è piú frequente nel bovino Grigio ungherese e nella Maremmana, rispetto al bovino di razza Rossa Norvegese (0,86 vs 0,83 vs 0,5; P=0,0000) (A. Maróti –Agóts et al., 2009). Pertanto, l’esposizione al clima caldo e secco per millenni potrebbe essere stato un fattore in grado di contribuire alla selezione (probabilmente naturale) per la resistenza al caldo. E. Pieragostini et al. (2010) individuano alcuni marcatori zebuina nel genoma di popolazioni taurine, con particolare riferimento al ‘BovGrAI’ (già Podolica): (a) presenza del retrotrasposone LINE1 a livello della regione promotrice del segmento di DNA ‘GHR’20; (b) allele Azebù al locus della beta-globina; (c) variante alfa-globinica ‘Y’. La presenza di alleli zebuini in popolazioni taurine europee assume un notevole significato ai fini del conferimento della ‘capacità al costruttivismo’ in condizioni di stress ambientale. A esempio, la variante alfaglobinica ‘Y’ è associata a bassi valori di ematocrito (P<0,001) e a un ridotto contenuto emoglobinico; bassi valori di ematocrito comportano una minore viscosità del sangue, quindi una maggiore disponibilità di acqua; condizione quest’ultima, di particolare vantaggio in ambienti aridi. Tale ricerca conferma i risultati di un precedente studio (G. Rubino et al., 2007) evidenzianti che il ‘BovGrAI’ si differenzia da alcune razze cosmopolite (Bruna e Frisona) per il profilo ematologico e per quello proteico indicanti manifestazioni di tolleranza nei confronti di parassiti enzootici trasmessi dalle zecche; in particolare, il ‘BovGrAI’ (già Podolica) presenta le medie più elevate per quanto riguarda i seguenti parametri: % di proteine alfa (17,22), di proteine beta (21,50) e di proteine gamma (29,73). L’importanza di una base molecolare di natura genetica nel contribuire alla ‘capacità al costruttivismo’ viene ampiamente sottolineata da T.M. Bettini (1986), come riportato nel precedente paragrafo 1. M. Iorio e M. Annunziata (1986) mettono in luce, nel ‘BovGrAI’, la presenza di una variante rara (AmA) dell’enzima amilasi assente in altre razze bovine italiane ed europee e, probabilmente, associata anch’essa alla elevata ‘capacità al costruttivismo’ di tale TGLA. La ‘capacità al costruttivismo’ del ‘BovGrAI’ va messa in relazione alla peculiarità strutturale del genoma bovino; quest’ultimo, come riportato da D. Matassino e F. Ciani (2009), presenterebbe, rispetto ad altri mammiferi (a oggi, uomo e cane), una maggiore frequenza di: traslocazione, inversione, duplicazione, riarrangiamento e riorganizzazione; tale notevole capacità di ‘riorganizzazione’ sarebbe legata a una maggiore presenza di ‘elementi ripetitivi’ (circa 51 % cosí ripartito: ~ 2% microsatelliti, ~ 46 % trasposoni21, 19 A oggi, l’aplotipo ‘HSP-70’ include 8 loci (ciascuno biallelico) localizzati entro un segmento di DNA di circa 300 paia di basi codificante polipeptide e 1 locus (anch’esso biallelico) localizzato a livello della regione promotrice posta a monte di quella codificante (detta ‘AP2 box’); la biallelia, a livello del singolo locus, è dovuta: (a) nel caso della regione codificante a una sostituzione nucleotidica (T con C, C con T, T con G, G con C, C con G, G con C, A con T in posizione 1851, 1899, 1902, 1917, 1926, 2033, 2087 e 2098, rispettivamente); (b) nel caso della regione promotrice, a una delezione del nucleotide ‘C’. La vicinanza fisica di questi 9 loci (loci associati) fa sí che essi si comportino come un’ ‘unità mendeliana’ con una scarsissima probabilità che si verifichi il crossing-over. Le proteine HSP (Heat Shock Protein) vengono classificate, in base al loro peso molecolare, in varie famiglie. Trattasi di proteine essenziali per la sopravvivenza della cellula in quanto esse esplicano un ruolo di difesa quando la cellula è esposta a eventi in grado di perturbarne l’omeostasi; tra i fattori in grado di indurre un aumento delle HSP si ricordano quelli: (a) ambientali (variazioni della temperatura, presenza di metalli pesanti, ecc.); (b) legati a malattia (infezioni virali, febbre, infiammazioni, ischemia, lesioni da ossidanti, neoplasie, ecc.). Oltre alle HSP ‘indotte’ dai suddetti fattori di stress, esistono HSP cosiddette ‘costitutive’, cioè presenti normalmente nella cellula e associate, a esempio, a: divisione, crescita e differenziamento cellulare. Sono fondamentali specialmente le cosiddette chaperonine ai fini del folding (ripiegamento) delle proteine (D. Matassino et al., 2007a). 20 GHR: growth hormon receptor (‘gene’ codificante il recettore dell’ormone della crescita). In biologia gli elementi trasponibili rivestono grande importanza per i loro possibili effetti sull’espressione del genoma. Essi appartengono, sostanzialmente, a due categorie: (a) retrotrasposoni, che traspongono tramite retrotrascrizione del loro mRNA; (b) DNA trasposoni, che trasferiscono direttamente una copia di DNA genomico da un sito all’altro del genoma dell’ospite. I DNA trasposoni, individuati a oggi negli Eucarioti, appartengono a 3 classi: (a) la prima è caratterizzata dai cosiddetti meccanismi ‘taglia – e - incolla’ (N.L. Craig, 1995); (b) la seconda è caratterizzata da meccanismi di trasposizione del tipo ‘rolling circle’ (replicazione a ‘circolo rotante’) (V. V. Kapitonov 21 16 ~ 3 % duplicazioni segmentali) rispetto a quella di altre specie. I ‘trasposoni’ o ‘geni’ ‘saltatori‘ o ‘geni’ ‘ballerini’ (‘jumping’ gene), cambiando posizione nel genoma, possono essere responsabili del sorgere di nuove e dinamiche reti ‘cibernetiche’ a livello molecolare e di nuovi ‘modelli di sviluppo’ a livello di ‘manifestazione fenotipica’. I TGA, presenti solo in determinate aree geografiche isolate, possono subire effetti che, intensificando la dinamica dei trasposoni, potrebbero aumentare la propria ‘capacità al costruttivismo’ (D. Matassino, 1989, 1992). Le ‘duplicazioni segmentali’22 avrebbero contribuito al potenziamento della risposta immunitaria, la quale - a sua volta - sarebbe legato alla presenza del ‘microbismo ruminale’ (The Bovine Genome Sequencing and Analysis Consortium, 2009). Indagini citogenetiche effettuate su alcuni tipi genetici bovini italiani (G. Succi et al., 1980; D. Matassino et al., 1985) evidenziano una frequenza della traslocazione robertsoniana 1;29 in condizione ‘eterozigote’ mediamente pari al 20,5 % nella Romagnola, al 18,7% nella Marchigiana, al 18,1% nel ‘BovGRAI’, al 9,5 % nella Chianina, al 6,4% nella Modicana, al 3,6% nell’Ottonese. 3. Alcuni aspetti della caratterizzazione genetica Dall’analisi della sequenza del ‘DNA mitocondriale’ (D. Caramelli, 2006; A. Beja-Pereira et al., 2006) emerge che tutte le razze bovine Grigie autoctone italiane risultano caratterizzate dall’ ‘aplogruppo T3’, identico a quello degli Uri indigeni (Bos primigenius primigenius) dell’Italia Centro-Meridionale e del Vicino Oriente; tale identità interessa circa il 60% degli individui esaminati; frequenza che si riduce al 44,3% nei soggetti delle altre attuali razze bovine europee. La presenza di tale ‘aplogruppo’ induce a ritenere che il ‘bovino Grigio autoctono italiano’ trae la sua origine dal Bos primigenius primigenius (Uro) del vicino Oriente. L’analisi del ‘DNA mitocondriale’ effettuata sia su popolazioni bovine che su quelle umane toscane evidenzia una somiglianza con l’assetto genetico individuato nelle popolazioni umane e bovine del Vicino Oriente; tale affinità, suggerisce l’ipotesi di una origine non locale della cultura etrusca, la quale si sarebbe sviluppata dal contatto con le popolazioni del Vicino Oriente immigrate in Toscana ivi trasferendo, oltre al loro sofisticato retaggio culturale, anche le relative popolazioni bovine (Achilli et al., 2007; Pellecchia et al., 2007). Studi basati sull’uso di marcatori AFLP (Negrini et al., 2007) avvalorerebbero la chiave di lettura protostorica secondo cui la prima migrazione accertata in Italia di genti di cultura anatolica insediatesi lungo le coste pugliesi con il relativo bestiame macrocero sarebbe avvenuta circa nel VI millennio a.C.; dalle coste pugliesi le popolazioni si sarebbero diffuse verso le regioni limitrofe e nel resto della penisola; circa 15 tipi di civiltà diverse si sarebbero sviluppate e succedute in Italia dal 5.000 al 2.000 a.C.. Uno studio recente (S. Ghirotto et al., 2013) che prende in esame, oltre al ‘DNA mitocondriale’ di attuali popolazioni toscane, anche quello appartenente a resti rinvenuti in necropoli etrusche (Casenovole e Tarquinia), confrontati con resti di individui medioevali e anatolici, stima che le relazioni genetiche tra popolazioni anatoliche e toscane siano databili ad almeno 5.000 anni fa; pertanto, la cultura etrusca, risalente a circa il 700 a.C., si sarebbe sviluppata localmente e indipendentemente dalla quella anatolica; infatti, solo un tasso di mutazione molto elevato incompatibile con le simulazioni statistiche effettuate, potrebbe spiegare le notevoli differenze genetiche accumulatesi tra etruschi e popolazioni anatoliche. Inoltre, tale ricerca mette in luce una continuità genetica degli etruschi ancora evidente solo con le attuali popolazioni toscane viventi nel Casentino e in Volterra. Questi risultati avvalorerebbero la tesi di Dionigi di Alicarnasso (60 a.C. – 7 a.C.), il quale, in antitesi rispetto a Erodoto23 (484-425 a.C.), propone un’autoctonicità del popolo etrusco. L’ ‘aplogruppo’ ‘P’ invece, caratteristico delle popolazioni di Bos primigenius primigenius diffuse nell’Europa Centro-Settentrionale non si riscontra, a oggi, in alcuna attuale razza o popolazione bovina domestica della sottospecie Bos primigenius taurus (taurina), caratterizzata principalmente dall’ ‘aplogruppo’ ‘T3’; questo è altresí assente nella sottospecie Bos primigenius indicus (zebuini); quest’ultima è caratterizzata dagli ‘aplogruppi’ ‘Z1’ e ‘Z2’ (o ‘I1’ e ‘I2’). La presenza di altri aplogruppi lascia presupporre qualche e J. Jurka, 2001); tale meccanismo è tipico della famiglia degli ‘elitroni’ ; (c) la terza comprende i cosiddetti trasposoni ‘polintoni’, considerati i piú complessi per l’attività che esplicano. 22 Duplicazione segmentale: segmento di DNA di lunghezza > 1 kb che in un assemblaggio genomico di riferimento presenta più del 90 % di omologia rispetto a un’altra sequenza avente una localizzazione differente nel genoma (J.R. Bailey et al., 2002); la duplicazione è detta: (a) inter-cromosomica se il segmento duplicato si localizza su cromosomi non omologhi; (b) intracromosomica se il segmento duplicato si localizza all’interno dello stesso cromosoma (diverso o stesso braccio se esistente) (D. Matassino et al., 2007a). 23 Erodoto sostiene la tesi di una provenienza degli Etruschi dall’Anatolia. 17 evento di domesticazione locale. La ricerca di Mona et al. (2010) e di M. Lari et al. (2011) su resti di Uro supporterebbe tale ipotesi; infatti, il modello di variazione genetica emerso confermerebbe che l’Uro italiano è geneticamente simile alle moderne razze bovine ma molto diverso dall'Uro dell’Europa nord\centrale. L’assenza dell’aplogruppo P nelle attuali popolazioni domestiche mediterranee lascia presupporre una certa stabilità (assenza di espansione demografica) delle popolazioni orientali caratterizzate dall’ aplogruppo ‘T3’ immigrate nelle aree dell’Europa centrale e settentrionale dopo l’ultima glaciazione (80.000 ÷ 40.000 anni fa); esse, infatti, avrebbero costituito un gruppo autonomo rispetto alle popolazioni locali di Uro caratterizzate dall’ aplogruppo ‘P’; queste ultime si sarebbero estinte senza fornire alcun contributo genetico alle attuali razze taurine bovine (F. Ciani e D. Matassino, 2008). Nell’Europa Centro-Settentrionale, i bovini domestici brachiceri e acorni si sovrappongono ai macroceri domestici, ivi presenti, con i quali si incrociano dando origine a ceppi di bovini medioceri (corna di media lunghezza) con ampie e migliori attitudini produttive e gestionali. E. Ozkan et al. (2008) utilizzano marcatori microsatellite per stimare il grado di variabilità genetica del bovino Grigio turco e di altri tipi genetici locali antichi (TGLA) bovini turchi (Nero dell’Anatolia, Rosso dell’ Anatolia orientale, Rosso dell’Anatolia meridionale) confrontati con alcune razze cosmopolite (Jersey, Bruna Svizzera e Frisona); da tale ricerca emerge quanto segue: (a) un numero medio di alleli piú elevato nei TGLA rispetto alle razze cosmopolite; (b) una ‘variazione clinale’ del valore della frequenza allelica per alcuni loci microsatellite procedendo dai TGLA Orientali verso quelli allevati nell’area Occidentale; tale variazione rifletterebbe la vicinanza geografica della Turchia al centro di domesticazione dei bovini con i concomitanti flussi migratori; (c) una componente genetica zebuina variabile tra un valore minimo di 8,11% nel bovino Grigio Turco e un valore massimo pari a 12,58% nel Bovino Rosso dell’ Anatolia orientale; (d) un contributo genetico da parte della razza Bruna Svizzera piú elevato nel bovino Grigio Turco (24,82 %) rispetto agli altri 3 TGLA. Al fine di verificare l’esistenza di una possibile corrispondenza tra assetto genetico ed evoluzione storica recente di alcune razze bovine ‘Grigie’ (Maremmana, Bovino Grigio turco e Bovino Grigio ungherese), caratterizzate da una contrazione demografica recente similare, L. Pariset et al. (2010) utilizzano un panel di 100 SNP (single nucleotide polimorphism = polimorfismi del singolo nucleotide) per un confronto di tali popolazioni con due tipi genetici (Marchigiana e Piemontese) accomunati da una selezione antropica differente da quella a cui sono sottoposte le predette razze Grigie. I risultati di tale ricerca evidenziano che la similarità tra le razze ‘Grigie’, in particolare tra Maremmana e Grigia ungherese, è principalmente somatica; infatti, il valore di Fst (indice di differenziazione genetica) risulta massimo tra Maremmana e Grigia ungherese (0,124) e minimo tra Marchigiana e Piemontese (0,081). E’ interessante sottolineare che entro il Bovino Grigio Turco è possibile evidenziare differenze genetiche tra due sottopopolazioni provenienti da aree geografiche diverse (distretti ‘Enez’ e ‘Balikesir’) sottoposte a differente tipo di conservazione: ‘in situ’ ed ‘ex situ’, rispettivamente. Ulteriori aspetti relativi alla tipizzazione genetica con marcatori molecolari del ‘DNA nucleare’ sono trattati da Fabio Pilla, il quale in questo Convegno illustra una sintesi dei risultati di una ricerca effettuata su 134 capi di BovGrAI provenienti da 14 allevamenti dislocati nelle regioni Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria, tipizzati a un panel di 30 loci microsatellite; tale ricerca, avviata nell’ambito del progetto POM (Programma Operativo Multiregionale - A06 “Ecosostenibilità dell’allevamento dei tipi genetici bovini Marchigiana e Podolica in aree della Campania, del Molise e della Basilicata”), viene ampliata a livello internazionale; infatti, i dati genetici relativi al BovGrAI sono confrontati con quelli analoghi ottenuti su altre razze includenti alcuni TGLA italiani ed Europei (Romagnola, Chianina, Piemontese, ‘BovGrAI’, Podolica Istriana) e cosmopoliti (Swiss Brown, Simmenthal, Holstein Friesian, Limousine, Jersey), nonché africani (N’Dama) anche al fine di ottenere informazioni in merito alle relazioni filogenetiche del ‘BovGrAI’ (già Podolica) con altre razze italiane ed europee (A. Bruzzone et al., 2001; M. D’Andrea et al., 2011). 4. Profilo Metabolico I fattori che influenzano l’efficienza produttiva del ‘BovGrAI’ (già Podolica) inserito nel suo contesto ‘bioterritoriale’ sono numerosi e fra questi, come ampiamente dimostrato, svolgono un ruolo fondamentale le risorse alimentari pabulari offerte dagli agro-silvo-ecosistemi delle aree demaniali. E’ noto che il problema fondamentale dell’area mediterranea è la più o meno forte siccità nel periodo estivo, per cui la produzione di alimento pabulare è piuttosto scarsa e concentrata prevalentemente in primavera. L’elevata fluttuazione della disponibilità quanti-qualitativa degli alimenti, legata all’alternarsi 18 delle stagioni, induce questo bovino a perfezionare particolari sistemi di controllo del metabolismo per ridurre gli effetti negativi determinati dai momenti di particolare carenza di risorse pabulari. D. Matassino et al. (1986) evidenziano un’ampia variabilità di alcuni parametri ematochimici in funzione di alcuni fattori fisici del ‘bioterritorio’ di allevamento, della stagione e del tipo di stabulazione. N. Montemurro e C. Pacelli (1996) confermano la variazione di alcuni metaboliti (proteine totali, albumina, globulina, colesterolo, urea, glucosio, calcio e fosforo) in relazione alla stagione. In sintesi, nel ‘BovGrAI’ si specializza la capacità di uniformare il livello di ingestione, e quindi di utilizzazione, ai volumi di biomassa foraggera disponibili: elevati nel periodo primavera-estate, molto contenuti in autunno- inverno. In tal modo l’animale, in primavera, oltre a soddisfare le consistenti esigenze legate alla prima fase di lattazione [i parti sono concentrati per oltre il 60% nel periodo marzo-maggio (E. Gambacorta e E. Cosentino, 1991)], riesce a costituire scorte organiche sotto forma di lipidi di deposito da utilizzare nei periodi di carenza alimentare. I risultati emersi da altre indagini finalizzate a valutare l’andamento del profilo metabolico nel corso delle stagioni (P. Freschi et al., 1994), mettono in luce che nel ‘BovGrAI’ (già Podolica), nonostante l’aspetto esteriore non mostri segni di carenza nutrizionale, il ‘metabolismo energetico’ (glicemia) è caratterizzato da elevata oscillazione, con valori minimi in estate (0,89 mmol/l in estate contro 2,5 mmol/l in inverno). Andamento contrario si rileva per il ‘metabolismo proteico’ che evidenzia una maggiore concentrazione in estate (87,7 g\l di proteine totali) e una minore in inverno (76,6 g\l). Questi risultati confermano quanto emerso da un’altra prova eseguita nel 1981 (D. Matassino et al., dati non pubblicati), mirante a valutare, tra l’altro, la composizione botanica del “pabulum” e il relativo effetto sul bilancio in nutrienti: mediamente i bovini, durante il periodo estivo, assumono una quantità di proteine superiore alle proprio esigenze, anche se nel complesso la razione risulta carente in energia. 5. Alcuni aspetti produttivi del ‘BovGrAI’ Un programma di intervento, che miri al recupero e all’ottimizzazione della risorsa animale locale, deve tenere nel giusto conto tutti quegli interventi riguardanti la commercializzazione dei prodotti ottenuti dagli animali allevati, valutando sia le esigenze di mercato esistenti che quelle inducibili. E’ ferma convinzione, infatti, che il futuro del ‘BovGrAI’ (già Podolica) è legato alla commercializzazione di produzioni (latte, carne e loro derivati) di qualità intesa, specialmente, come contenuto quali-quantitativo di biomolecole ‘nutraceutiche’24. Numerose sono le ricerche eseguite e in corso di seguito riportate allo scopo di sviluppare e di approfondire la caratterizzazione delle produzioni ottenute da questo TGLA che, nei secoli passati, aveva dimostrato la sua principale attitudine produttiva per eccellenza nella potente forza dinamica che poteva sviluppare nei lavori agricoli. Tali ricerche confermano l’attuale duplice attitudine (latte e carne) di questo TGLA. In particolare, gli aspetti ‘nutraceutici’ degli alimenti vengono trattati nella presente Giornata di studio dal dr. A. Febbraro. 5.1. Latte 24 Il neologismo ‘nutraceutica’, termine sincretico derivato da ‘nutrizione’ e ‘farmaceutica’, viene coniato nel 1989 da S. De Felice, fondatore della Fondazione per l’Innovazione in Medicina (FIM) nel 1976, in riferimento allo studio di alimenti con funzione benefica sulla salute umana. Il termine ‘nutraceutica’ è una estensione del concetto di ‘alimento funzionale’ risalente ai primi anni ’80 quando, in Giappone, viene indicata con il termine FOSHU (Food for Specific Health Use = alimento per impiego salutistico specifico) una categoria di alimenti aventi un ‘effetto sulla salute dell’uomo come risultato della loro composizione specifica o in quanto privati degli allergeni’. Successivamente viene proposta una grande varietà di termini, piú o meno correlati al significato dato dai giapponesi, come pharmafoods, vitafoods, dietary supplements, fortified foods, functional foods (D. Matassino e M. Occidente, 2003) . 19 Premessa. Oltre alla carne di ottima qualità, il prodotto per eccellenza fornito da questo tipo genetico è il suo ‘latte’, che per la qualità delle sue componenti risulta eminentemente vocato alla trasformazione casearia qualificata dalla preparazione di un antico formaggio a pasta filata, denominato ‘Caciocavallo’, tipico per la media o lunga stagionatura e maturazione (G. Salerno, 1892); questo prodotto caseario è stato da sempre apprezzato non solo dal mercato locale e nazionale ma anche da quello internazionale, che offre per questo prodotto compensi molto remunerativi. A testimonianza della eccellente qualità del latte di ‘BovGrAI’ (già Podolica) ai fini della trasformazione in ‘caciocavallo’, si sottolinea che già agli inizi degli anni ’50, nell’ambito della Riforma Agraria, il maggiore Oddo Bernardini, sovrintendente veterinario alla produzione di latte presso la ‘vaccheria’ di Persano (SA), propone alle autorità competenti di Roma di “produrre su scala industriale, con l’etichettatura e marchio, il caciocavallo di qualità, con l’intento di aumentare la produzione che era perfettamente inserita nel contesto della stabulazione dei pascoli” (A. Gallotta, 2005)25. L’eccellenza del sistema di allevamento raggiunta in quegli anni presso la ‘vaccheria’ di Persano è evidente dalla figura 5 ove viene riportato un esemplare di toro nato e allevato in tale sede. Figura 5. Soggetto da esposizione con il n. 74 sulla groppa. Toro nato e allevato presso la vaccheria di Persano, presentato da Matteo Carrozza. Anno 1937. (Fonte: A. Gallotta, 2005). Produzione. La vacca pluripara di ‘BovGrAI’ (già Podolica) produce, a oggi, individualmente, durante una lattazione di circa 6 ÷ 9 mesi, mediamente, kg 2.280 (valore minimo 1.100 kg; valore massimo 3.300 kg) di latte, incluso quello utilizzato dal vitello (O. Parisi, 1950; D. Matassino, 1995, 1996, 2001b; G.P. Sportelli, 2004a e b; A. Perna et al., 2005). Si sottolinea che già R. Giuliani (1928-1931) evidenzia come nelle razze cosiddette “primitive” - bovini Podolici e Maremmani – fossero frequenti vacche con produzione lattea massima giornaliera di oltre 15 ÷ 18 litri, malgrado le sfavorevoli condizioni di vita. Da una ricerca di G. Marsico et al. (2002) emerge che la produzione lattea trae i migliori vantaggi da un allevamento ‘semistallino’ rispetto a quello ‘stallino’ (10,22 litri di latte /die vs 6,68 l/die, rispettivamente; P< 0,05); il regime ‘stallino’ sembrerebbe essere quello meno adatto al ‘BovGrAI’ (già Podolica) in quanto incide negativamente sulla produzione e su alcuni parametri quanti-qualitativi del latte prodotto. 25 La perfetta integrazione dell’allevamento del ‘BovGrAI’ nel contesto ‘bioterritoriale’ di Persano è attestata dalla seguente descrizione: “ Nei prati, ricchi di erbe saporite, pascolavano oltre ai cavalli della Real Razza, anche i bovini dalle corna lunghe e robuste. Questi servivano per i lavori dei campi e per la fornitura di latte e carne. La struttura operativa era organizzata come un allevamento a ciclo integrale, supportando egregiamente l’allevamento del cavallo che, a quei tempi, catalizzava l’attenzione della dirigenza superiore” (A. Gallotta, 2005). 20 La composizione chimica è caratterizzata da un rapporto grasso/proteina pari circa a 1 (D. Matassino, 2001b). L’attitudine alla caseificazione del latte, stimata sulla base dei tre parametri ‘classici’ secondo la metodica ufficiale [durata della fase enzimatica (‘T’), velocità della coagulazione (‘K’), consistenza del coagulo a un tempo definito dall’inizio della coagulazione (‘a’)], varia significativamente in relazione a (D. Matassino et al., 1995): (a) anno, ordine di parto, distanza dal parto e turno di mungitura (b) % di lipidi, % di protidi e % di lattosio (c) pH. Tabella 1. Distribuzione numerica e percentuale della classe di valutazione dell’ attitudine alla caseificazione del latte (D. Matassino, 2001b). CLASSE DI VALUTAZIONE DISTRIBUZIONE DISCRETA N 452 % 46,69 OTTIMALE 316 32,64 RAPIDA 129 14,36 LENTA 48 4,96 NON IDONEA 13 1,35 Tutte 958 100 Dalla tabella 1 si rileva che solo circa l’l % delle quasi 1.000 determinazioni risulta non idoneo, mentre il 94 % è compreso nelle tre classi: ‘discreta’, ‘ottimale’ e ‘rapida’. La dr.ssa Nadia Castellano illustra, in questa Giornata di studio, alcuni aspetti della ‘galattopoiesi’ esponendo i risultati di una recente e pioneristica ricerca (D. Matassino et al., 2011) avente come scopo la conoscenza di alcuni parametri quanti-qualitativi (produzione lattea, composizione chimica centesimale e numero di cellule somatiche) del latte ottenuto dal ‘BovGrAI’ (già Podolica) in mungitura meccanica. I risultati di tale studio confermano l’ottima attitudine del ‘BovGrAI’ (già Podolica) alla produzione lattea. Polimorfismo lattoproteico. E’ noto che il polimorfismo lattoproteico può influenzare in modo molto variabile le caratteristiche ‘chimico-fisiche’, nonché alcune proprietà ‘nutrizionali’, ‘extranutrizionali’ quindi ‘salutistiche’ o ‘nutraceutiche’ del latte. L’importanza della conoscenza di tale polimorfismo e, in generale, della possibilità, nonché degli sviluppi notevoli derivanti da una selezione assistita dal molecolare finalizzata al miglioramento del latte e dei suoi derivati viene preconizzata da: T.M. Bettini (1972); D. Matassino (1983b, 1987b). Inoltre, non meno importante è la necessità di esaminare il ‘genotipo globale’ (Global-gen) ai loci lattoproteici, piuttosto che il genotipo al singolo locus, già in passato evidenziata da D. Matassino et al. (1993, 1996) e da A. Zullo et al. (1993, 1994) per quanto concerne le relazioni tra polimorfismo lattoproteico, caratteristiche quali-quantitative e caratteristiche ‘lattodinamometriche’ del latte. Il latte del ‘BovGrAI’ (già Podolica) è caratterizzato dalla presenza di alcuni alleli favorenti la trasformazione casearia (allele B al locus k-CN); questo allele evidenzia una frequenza maggiore rispetto a quella riscontrata in altri tipi genetici (TM. Bettini e P. Masina 1972; L. Chianese et al., 1988; D. Matassino, 1996b, 2001b). L. Ferrara et al. (1986a) in una indagine sul polimorfismo lattoproteico in bovini di ‘BovGrAI’ (già Podolica) allevati in vari bioterritori dell’Italia Meridionale, oltre a confermare che il latte del ‘BovGrAI’ (già Podolica) risulterebbe particolarmente idoneo alla caseificazione, mettono in luce una certa eterogeneità tra le popolazioni di ‘BovGrAI’ (già Podolica) delle diverse aree geografiche di allevamento per quanto attiene alla frequenza allelica e genotipica ai loci lattoproteici; a esempio, al locus alfa s1-caseina: l’allele B risulta essere quello piú frequente nel ‘BovGrAI’ (già Podolica) allevato nelle province di Avellino, Foggia, Potenza e Salerno; l’allele C è il piú frequente nella provincia di Cosenza; l’allele D si riscontra solo nei soggetti allevati nelle province di Foggia e di Potenza. Inoltre, dalla stessa ricerca emerge che, limitatamente all’assetto genetico ai loci caseinici, il ‘BovGrAI’ allevato in Calabria risulterebbe il piú distante 21 rispetto a quello allevato nelle altre province considerate; la maggiore vicinanza genetica si osserva nei confronti: ‘Foggia-Salerno’ e ‘Avellino –Salerno’. Si potrebbe ipotizzare che le distanze genetiche osservate rispecchino i flussi di transumanza seguiti dal ‘BovGrAI’ (già Podolica); pertanto, la maggiore distanza osservata per il ‘BovGRAI’ (già Podolica) allevato in Calabria rispetto a quello allevato nelle altre province esaminate, sarebbe riconducibile all’esclusione della regione Calabria dal flusso migratorio e quindi alla possibilità di scambio, invece molto attivo, esistente tra Campania e Basilicata. L’esistenza di variabilità entro il tipo genetico sarebbe confermata anche a livello di ‘genotipo globale’ ai loci lattoproteici ('GlobalGen') (D. Matassino, 2001b). Infatti, su 213 genotipi globali rilevati, ben 84 sono differenti tra loro (39%); il 'GlobalGen' piú frequente è BCA2A2BBAAABBB (5,16%), a cui seguono: BBA2A1ABAABBAB e BBA2A1ABAABBBB (3,76%), BBA1A1BBAAABBB, BBA2A1BBAAABBB, BBA2A1BBAABBBB, BBA1A1BBAAABAB e BCA2A1ABAABBBB (3,29%). L’associazione tra polimorfismo lattoproteico e alcune caratteristiche quanti-qualitative del latte del BovGrAI (già Podolica) in mungitura meccanica sono evidenziate in D. Matassino et al. (2012b). I risultati in questo Convegno vengono esposti da A. Zullo e, sinteticamente, mettono in luce che, limitatamente ai loci ‘alfa-lattoalbumina’, ‘beta-lattoglobulina’, ‘k-caseina’ e ‘beta caseina’, la vacca con ‘genotipo globale’ ‘BBABBBBB’ esibisce una maggiore produzione lattea (P< 0,05) mentre quella portatrice del ‘genotipo globale’ ‘BBAABBBB’ produce un latte con una maggiore percentuale di grasso, di proteina e di caseina (P< 0,05). Proteomica. Tale aspetto, in questo Convegno, viene approfondito dal dr. Francesco Romagnuolo, il quale presenta i risultati di uno studio (D. Matassino et al., 2010b) relativo alla caratterizzazione del ‘profilo proteico’ del ‘caciocavallo’ di ‘BovGrAI’ in funzione del tempo di stagionatura; tali risultati evidenziano, tra l’altro, importanti aspetti nutraceutici; infatti, dall’analisi del profilo proteico risulta che il latte di ‘BovGrAI’ è particolarmente ricco del Κ-CN F(106-111). Questo peptide bioattivo (casopiastrina) esplica un’interessante funzione antitrombotica Pertanto, come già auspicato da D. Matassino (1995), il latte di questo tipo genetico bovino e i suoi derivati potrebbero trovare impiego come veri e propri “cibi fisiologicamente funzionali” per l’uomo o ‘nutraceutici’. La caratterizzazione proteomica del caciocavallo di Podolica indica che il tempo di maturazione del formaggio influenza la dinamica delle proteine e, quindi, la presenza di amminoacidi liberi e piccoli peptidi che conferiscono al prodotto: (a) un flavour “particolare”; (b) miglioramento della digeribilità; (c) proprietà ‘nutrizionali’ ed ‘extranutrizionali’ con conseguente effetto ‘nutraceutico’ (pro-immunitario; favorente l’assorbimento del calcio; ipotensivo; antimicrobico; analgesico, ecc.) (D. Matassino et al., 2007b). Lipidomica. La caratterizzazione del ‘profilo acidico’ del latte e dei suoi derivati riveste una importanza fondamentale per la presenza in essi di acidi grassi con particolare funzione ‘nutraceutica’ quali a esempio i CLA (conjugated linoleic acid = acido linoleico coniugato), dotati di documentate proprietà: (a) antitumorale; (b) antiaterogenica; (c) batteriostatica; (d) antiadipogenica; (e) antidiabetogena; (f) promotrice dei fattori di crescita; (g) immunomodulante. Alcuni aspetti della caratterizzazione del ‘profilo acidico’ del caciocavallo di ‘BovGrAI’ in funzione del tempo di maturazione sono evidenziati da D. Matassino et al. (2009). I risultati vengono esposti in questo contesto congressuale dalla dr.ssa Luigina Rillo e, sinteticamente, essi mettono in luce un andamento del ‘profilo acidico’ variabile in funzione del mese di caseificazione e del tempo di stagionatura che lascia presupporre un ruolo fondamentale, durante la maturazione, di: (a) fattori microambientali del ‘bioterritorio’ di allevamento (b) possibili variazioni temporali dell’equilibrio della microflora presente nel prodotto. Caratteristiche reologiche del caciocavallo. Interessante è l’effetto dei fattori tipo genetico e tempo di stagionatura sulle caratteristiche reologiche del caciocavallo. I risultati evidenziano che a 3 mesi di stagionatura il caciocavallo ottenuto dal ‘BovGrAI’ (già Podolica) presenta un valore piú elevato (P<0,01) di durezza e di masticabilità rispetto a quello ottenuto da altri tipi genetici (Bianca val Padana, Burlina e Modicana) e un valore piú basso di coesione rispetto a quello ottenuto dalla Bianca val Padana (P<0,01) e dalla Burlina (P<0,05). Con il procedere della stagionatura da 3 a 6 e a 12 mesi, le caratteristiche reologiche del caciocavallo ‘Podolico’ sembrerebbero non subire cambiamenti (Matassino et al., 2008). 5.2. Carne Vari studi sull’utilizzazione del ‘BovGrAI’ per la sua attitudine alla produzione di carne in aree marginali (D. Matassino et al., 1985, 1986; L. Ferrara et al., 1986 a e b) evidenziano che: 22 (a) l’incremento giornaliero ponderale medio di circa 0,670 kg (valore minimo =0,640 kg; valore massimo= 0,720 kg) e l’indice di conversione alimentare (valore minimo = 3,6; valore massimo= 14,3) sono più vicini a quelli dei bovini ‘precoci’ (b) a conferma del punto precedente, il ‘BovGrAI’ (già Podolica) presenta uno sviluppo speciale dei diametri trasversi e di profondità non accompagnato da un accrescimento delle masse muscolari posteriori caratteristico degli animali ‘tardivi’ (c) il periodo di finissaggio sarebbe consigliato a un’età di circa 13 ÷ 15 mesi (360 ÷ 380 kg di peso vivo) in modo da raggiungere un peso di macellazione di 460 ÷ 510 kg a un età compresa tra i 17 e i 19 mesi (d) l’alimentazione (livello alimentare alto, medio e medio con aggiunta di amminoacidi) influenza i tagli più significativi sia nel quarto anteriore (locena) che in quello posteriore (vacante di natica e colarda) (e) il vitellone sottoposto a un livello alimentare medio arricchito con amminoacidi essenziali presenta l’area, il perimetro, il diametro (massimo e minimo) della fibra muscolare significativamente maggiori (P<0,001) rispetto al soggetto sottoposto a un livello alimentare alto e medio (f) i gruppi tenuti in stalla evidenziano una incidenza del quarto anteriore superiore a quella del quarto posteriore. L’alimentazione al ‘pascolo’ rispetto al ‘pascolo + integrazione di alimento’ sarebbe responsabile di (A. Girolami et al., 1986; A. Zullo et al., 1986; E. Cosentino et al., 2005a; G. Maiorano et al., 2005; R. Marino et al., 2009): (a) carne con migliori caratteristiche reologiche [piú tenera (P<0,05), con un valore minore di resistenza al taglio (P<0,001) e di adesione (P<0,01)] e colorimetriche (carne piú chiara) (P<0,001) (b) profilo acidico della carne o di prodotti derivati (omogeneizzato, hamburger, salame) caratterizzato da un contenuto significativamente più elevato di PUFA (acidi grassi polinsaturi) (soprattutto omega 3 a lunga catena) (P<0,001) (c) una bresaola con un buon grado di accettabilità (50 % della giuria a favore) (d) carne con un maggior contenuto di potassio (P<0,05) e di vitamina E (P<0,01) e un minor contenuto di sodio (P<0,01) Il sistema ‘transumante’, rispetto a quello ‘stanziale’, influenza positivamente i seguenti parametri (E. Cosentino et al., 2005b; E. Gambacorta et al., 2005): (i) peso vivo (PV) (P<0,05) (ii) incremento giornaliero poderale medio (IPMG) (P<0,01) (iii) efficienza biologica (IPG/PV) corrispondente all’incremento ponderale giornaliero su peso vivo che lo ha prodotto (P<0,01) (iv) efficienza zootecnica (IMG/PV0,75), la quale esprime l’incremento giornaliero ponderale su peso metabolico che lo ha prodotto (P<0,01) (v) percentuale di tagli di I categoria (comunemente detti di ‘I scelta’) (P<0,01). Ulteriori risultati relativi alle caratteristiche quali-quantitative della carne di ‘BovGrAI’ (già Podolica) in relazione al sistema di allevamento (brado o semibrado) vengono illustrati, in questa Giornata di studio, dal prof. E. Gambacorta. 5. Gestione storica del ‘BovGrAI’ 5.1. Gestione Storicamente la “mandria” è composta mediamente da 70 capi (50 vacche adulte, 17 soggetti di ambo i sessi sotto i tre anni e 3 tori); i vitelloni destinati a diventare buoi da lavoro vengono castrati a 18 mesi, domati all’età di 28 mesi e utilizzati per lavori agricoli fino a circa 9 anni, età in cui vengono opportunamente sottoposti a finissaggio e macellati (O. Parisi, 1950). I risultati relativi ai rilievi ergonomici eseguiti nell’ambito dello studio condotto nell’anno 1982 (agosto – settembre) da D. Matassino et al. su pascoli dell’Appennino Irpino (Montella, AV), descritto in precedenza, evidenziano che l’attività fisica giornaliera svolta da un singolo addetto, escludendo il tempo occorrente per i trattamenti di profilassi, si articola nelle seguenti fasi: 23 (a) apertura dei cancelli del recinto e convogliamento delle vacche in apposita sezione per l’allattamento o la mungitura (10 minuti) (b) mungitura e controllo dell’allattamento (7 minuti in media per vacca) (c) trasporto latte e caseificazione dello stesso (3 ore, complessivamente) (d) raggruppamento vacche e separazione dei vitelli dalle nutrici (40 minuti) (e) apertura dei cancelli e spostamento della mandria nell’area a pascolo (2ore e 30 minuti) (f) controllo saltuario della mandria durante il pascolamento (2 ore). L’allevamento brado o semibrado del ‘BovGrAI’ richiede il lavoro permanente di 5 addetti, ai quali sono affidate la custodia e la gestione dell’attività produttiva; quest’ultima includente la trasformazione giornaliera del latte e il trasporto al mercato dei relativi prodotti caseari. L’ allevamento del ‘BovGrAI’ (già Podolica) (Matassino e Ciani, 2009) si sviluppa in forme gestionali diverse, nella maggioranza dei bioterritori dell’Italia meridionale. Le multiformi caratteristiche orografiche e climatiche del vasto areale di diffusione, la strutturazione fondiaria, l’integrazione colturale e culturale fra i diversi bioterritori, danno origine a sottosistemi di allevamento orientati dalle modalità di utilizzazione delle risorse foraggere naturali e/o spontanee dei molteplici agro-silvo-ecosistemi meridionali. I principali sottosistemi sono (D. Matassino, 1983a, 1985, 1987a; D. Matassino e R. Rubino, 1984): (a) il “pastorale puro”, che utilizza, in successione altimetrica temporale, aree pascolive fra di loro più o meno distanti, effettuando la transumanza stagionale, che è definita “normale” quando le aziende di origine delle mandrie sono insediate in pianura e “ inversa” quando sono ubicate in montagna (b) il “semipastorale”, caratterizzato dalla monticazione locale su terreni demaniali e/o privati (c) lo “stanziale brado”, basato prevalentemente o completamente sulle risorse foraggere naturali e/o spontanee di estese aree di proprietà pubblica, con eventuale integrazione alimentare in situazioni di scarsità di risorse trofiche vegetali; le strutture aziendali di dotazione si limitano a recinti e ricoveri per le situazioni di emergenza o di gestione temporanea del bestiame, stagionale e/o giornaliera (d) lo “stanziale non brado”, caratterizzato prevalentemente dalla utilizzazione delle risorse pabulari aziendali integrate con alimentazione in stalla. La consistenza dei capi allevati, nei tre sottosistemi (“pastorale puro”, “stanziale brado” e “stanziale brado”) varia da 26 a 150; la composizione delle varie classi di età o categorie di suddivisione del bestiame è ripartita in: 23% ÷ 39% di vitelli (soggetti maschi e femmine inferiori all’anno); 2,3% ÷ 4% di tori adulti (oltre 3 anni) e torelli; 5% ÷ 12% di manzette (fra 1 e 2 anni); 5% ÷ 10% di manze (da 2 a 3 anni); 48% ÷ 54% di vacche adulte (primipare e pluripare); il quoziente di avvicendamento (rimonta) è di circa il 10%; il rapporto fra riproduttori maschi e femmine è rispettivamente di circa 1 a 30 - 36, incluse le manze; infine su 100 vacche la presenza di vitelli è circa di 43 ÷ 70 soggetti. I parti si verificano per l’83% nei mesi di febbraio, marzo, aprile e maggio, con un incidenza massima del 33% nel mese di aprile (E. Cosentino, 1989). Per aggiornamenti in merito ad alcuni aspetti gestionali del ‘BovGrAI’ (già Podolica), si rimanda a D. Matassino (2009 a, b, c) e a D. Matassino et al. (2011). Da ricerche effettuate da Matassino (1986, 1996b), rivalutate in euro correnti, per un’azienda di 100 capi che abbia la seguente composizione categoriale annuale media: (a) femmine = 64 %, di cui: (i) 19 % in età anteparto (ii) 45 % in età postparto (b) maschi = 7,5 %, cosí distinti: (i) 2 % torelli (ii) 2% tori (iii) 3,5 % vitelloni scaturirebbe quanto riportato nella tabella 2. 24 Tabella 2. Reddito netto (RN) (Euro correnti) dell’ ‘imprenditore-allevatore’ del bovino Podolico (Matassino, 1986; 1996b). CONDUZIONE DIRETTA CON SALARIATI SUPERFICIE A PASCOLO IN AFFITTO PROPRIETA' FIDA RN (I + ST + T) RN (I + ST + BF + T) RN (I + ST + T) PROPRIETA' RN (I + ST + BF + T) * FIDA RN (I + ST + T) 53.862 49.987 1. Senza integrazione UE 40.898 7.141 3.245 -5.842 57.637 2. Con integrazione UE 48.548 14.791 10.895 1.808 61.512 AFFITTO RN (I + ST + T) * RN: Reddito netto I: interessi sul reddito ST: stipendio (compenso per lavoro intellettuale,di direzione, amministrazione e sorveglianza tecnica) BF: beneficio fondiario T: tornaconto (compenso per l'opera di organizzazione e di coordinamento dei diversi fattori produttivi). La conduzione di tale allevamento richiede, mediamente, 1,47 unità lavorative uomo (ULU) giornaliere per effettuare le seguenti operazioni: custodia (controllo degli animali al pascolo, all’entrata e all’uscita dei recinti), mungitura, trasformazione casearia, allattamento vitelli, trattamenti profilattici e terapeutici, ecc.. Tenendo conto dell’incidenza delle festività, delle ferie e delle assenze per malattia, il compenso relativo a ciascun addetto si aggira intorno ai 900 euro netti al mese. 5.2. Transumanza Con l’incipiente domesticazione delle varie specie di ungulati in tutto l’areale della loro diffusione mediterranea, già in epoca Neolitica (VII millennio a.C.) gli allevatori privilegiano lo spostamento dei loro animali alla continua ricerca di foraggio fresco e lussureggiante legato alla crescita e/o stasi vegetativa stagionale, piuttosto che coltivare e/o immagazzinare le produzioni foraggere. Tale sistema di pascolo continuo cosiddetto ‘vagante’, supportato da ampie ed estese superfici incolte, è legato fondamentalmente alla stagionalità e alla disponibilità di foraggio in relazione ai vari agroecosistemi interessati. In questo sistema agro-silvo-pastorale sopravvive per millenni l’allevamento del ‘BovGRAI’, che ha sempre instaurato uno stato di omeostasi26 con la risorsa pabulare naturale, riuscendo a produrre comunque un discreto reddito in rapporto ai loro ridottissimi costi di mantenimento e di gestione. La transumanza e la monticazione del Bovino Grigio hanno modalità e tipi di spostamento molto variegate e variabili da regione a regione e da zona a zona; in tempi storici la transumanza è sempre collegata principalmente all’utilizzazione di terreni demaniali gravati di uso civico (F. Ciani e D. Matassino, in press). 26 Omeostasi: capacità dei viventi di governare le variabili dell’ambiente interno al variare di quello esterno, al fine di mantenerle entro valori tali che non causino danni irreversibili al loro ‘status’ identificabile con quello fisiologico ‘normale’ (D. Matassino, 1975). 25 Due esempi di transumanza relativi al ‘BovGrAI’ (già Podolica) allevato in Campania e in Calabria sono riportati nelle figure 6 e 7, rispettivamente. CALITRI 1 1b TRANSUMANZA CON L’AUTO PALENA 1a MONTEVERGINE 1c MELFI Figura 6. Flussi di transumanza del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) relativo all’area studio ‘Campania (Alta Irpinia)’ (Fonte: D. Matassino, 2009c; dati relativi al Progetto ‘Maso-GIS’). Figura 7. Flussi di transumanza del “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica) relativo alla regione ‘Calabria’ (Fonte: B. Capogreco, 1986). 26 Si ricorda anche la transumanza di soggetti di ‘BovGrAI’ (già Podolica) allevati nel bioterritorio di Persano (SA), i quali, in concomitanza con la transumanza del cavallo Persano, nel periodo estivo, da Persano, venivano condotti verso i Monti di Mandranello, percorrendo una distanza di circa 110 km (A. Gallotta, 2005). 6. Cultura e ‘Tradizioni’ legate al ‘BovGrAI’ Si riportano, sinteticamente, alcune ‘tradizioni’ ispirate al ‘BovGrAI’ (già ‘Podolica’) (G.P. Sportelli, 2005; D. Matassino et al., 2010; F. Ciani e D. Matassino, in press). L’attitudine al lavoro del ‘BovGrAI’ (già ‘Podolica’) è stata e tuttora è utilizzata in particolari eventi che evocano antiche tradizioni, usi e costumi della civiltà rurale dell’ Italia meridionale. In Abruzzo si conserva la tradizione di organizzare corse di carri trainati da Bovini Grigi Autoctoni; la preparazione di queste corse coinvolge e mobilita le comunità, i cui rappresentanti partecipano alle gare, costituendo un settore microeconomico produttivo, che stimola gli investimenti economici, l’attività zootecnica e l’impegno costante dei partecipanti che devono selezionare, curare, preparare e allenare i migliori buoi da corsa, poiché questi spettacoli attirano numerosi turisti e spettatori, con notevoli vantaggi economici per l’economia locale. Questi animali vengono utilizzati anche per trainare lunghissimi tronchi scelti per addobbare le piazze dei vari paesi durante le principali feste tradizionali; infine, solo i predetti buoi possono trainare i carri appositamente addobbati e predisposti per trasportare, durante le feste patronali, le statue dei Santi protettori (figura 4). Una festa patronale particolarmente suggestiva, coinvolgente il ‘BovGrAI’ per il trasporto di tronchi d’alberi è la Sagra del Maggio celebrata ad Accettura (MT) dedicata al patrono San Giuliano. Tale festa, culminante con il matrimonio simbolico tra un “maggio” (tronco d’albero) e un ‘agrifoglio’, ricorda un antico rito propiziatorio di fertilità e di auspicio per un buon raccolto e consta di varie fasi che si susseguono dalla domenica dopo Pasqua a quella del Corpus Domini: (a) scelta del “maggio”, simboleggiante il maschio, nel bosco di Montepiano (MT); (b) scelta dell’ “agrifoglio”, simboleggiante la femmina, nella foresta di Gallipoli Cognato (MT), trasportato a spalla, da ragazzi per 15 chilometri; (c) taglio del “maggio”, il quale nella domenica di Pentecoste viene trasportato in paese con l’ausilio di 50 coppie di buoi. Altri siti noti per feste tradizionali legate al ‘BovGrAI’ sono: Tricarico (MT) e Pietra Pertosa (PZ). Le tradizioni patronali legate all’uso del ‘BovGrAI’ consentono di attribuire a tale bovino la cosiddetta ‘quarta virtù’, quella religiosa. Figura 8. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica): coppia di buoi utilizzata per il trasporto di un tronco. Una particolare tradizione che distingue l’allevamento brado del ‘BovGrAI’ è rappresentata dalla utilizzazione di pesanti collari di circa kg 4 di peso, costruiti con cuoio grezzo o con legno appositamente 27 lavorato e stagionato, ai quali è appeso un campanaccio metallico; questi strumenti tradizionali vengono applicati al collo delle femmine più anziane, “leader” dei vari gruppi in cui si suddivide la mandria durante il pascolo. Questo strumento arcaico, serve ai mandriani per tenere sotto controllo visivo e acustico tutti gli animali affidati alla loro custodia, in modo particolare durante la transumanza (figura 8). Figura 9. Campanaccio da transumanza (Fonte: Informatore Zootecnico, 17, 2005, 66). Altri strumenti tradizionali utilizzati nell’allevamento del ‘BovGrAI’ sono raffigurati nelle figure 10 e 11. Figura 10. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica). Ferro per zoccolo di bue (Fonte: ‘Cultura contadina in Toscana’, Ed. Bonechi, 1970). . 28 Figura 11. “Bovino Grigio Autoctono Italiano” (già Podolica). Nasiera di contenimento:corta per toro e lunga per buoi (Fonte: ‘Cultura contadina in Toscana’, Ed. Bonechi, 1970). 7. Il ‘BovGrAI’ quale elemento di tutela dell'ambiente Premessa. La problematica ambientale riflette fortemente il dibattito sulla filosofia ambientale, specialmente di tradizione anglo-sassone. Data l'importanza che stanno assumendo questa branca della bioetica e la sua forte interdisciplinarietà, sempre piú nutrito è il numero di studiosi delle diverse discipline interessati all'argomento. Pertanto, non si può pensare che la soluzione della 'complessità ambientale' possa essere affidata a una scienza: 'ecologia', in quanto la gestione dell'ambiente è talmente 'complessa' che trascende notevolmente dalle competenze degli scienziati dell'ambiente. La ‘diversità ecologica’ sta assumendo sempre più importanza per la sopravvivenza sia dell’uomo che degli altri esseri viventi. La mera tutela di un gruppo tassonomico sta evidenziando tutta la sua labilità: è la vita di un ‘ecosistema’ funzionante e funzionale che, utilizzando la sua mirabile dote autorganizzativa basata su una ‘irriducibile complessità’27 biologica, permette di tutelare la ‘biodiversità’. Quest’ultima, a sua volta, offre al ‘bioterritorio’ servizi insostituibili. E. Haeckel (1866) definisce l’ ‘ecologia’: “lo studio dei rapporti complessivi tra organismi o gruppi di organismi e il loro ambiente naturale, organico, fisico e inorganico, specialmente per quanto concerne i rapporti ‘affabili’ o ‘avversi’” (D. Matassino, 2001a). D. Matassino e M. Occidente (2011) evidenziano come la crisi ecologica, indubbiamente, stia interrogando anche la teologia cristiana. S.S. Benedetto XVI, nel capitolo IV della sua Enciclica ‘Caritas in veritate’ (2009) al paragrafo 48 collega il tema dello sviluppo dei popoli anche ai ‘doveri che nascono dal rapporto dell’uomo con l’ambiente naturale’. Quest’ultimo è da considerare come “dono di Dio a tutti, e il suo uso rappresenta per noi una responsabilità verso i poveri, le generazioni future e l’umanità intera. ….. La natura è espressione di un disegno di amore e di verità’. Essa ci precede e ci è donata da Dio come ambiente di vita…. Anche la natura è una ‘vocazione’. ‘La natura è a nostra disposizione come un dono del 27 Irriducibile complessità: viene definita da M.J. Behe (1996) “un singolo sistema costituito da diverse parti che, interagendo tra loro, contribuiscono a una funzione fondamentale; la rimozione di una qualsiasi delle suddette parti compromette il funzionamento del sistema stesso”. 29 Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, affinché l’uomo ne tragga gli orientamenti doverosi per “coltivarla e custodirla”. Il “coltivare e il custodire il creato”, espressioni risalenti alla genesi (2, 15), nella loro semanticità, costituiscono il ‘prodromo’ di uno ‘status’ di continua ‘diversificazione’ nel tempo e nello spazio, cui l’uomo con la sua ‘intelligenza’ e con il suo ‘libero arbitrio’ contribuisce in modo determinante nei limiti della infinita ‘capacità al costruttivismo’28. Alla luce di ciò l‘ecologia dell’uomo’29 deve sempre più guidare uno sviluppo sostenibile in quanto – come è noto – è la ‘cultura’ (in senso lato) che modella la ‘convivenza umana’. Come sottolinea S.S. Benedetto XVI “quando l’‘ecologia umana’ è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio”. Secondo F. D’Agostino (2011), il riconoscimento da parte dell’uomo della propria naturalità (‘diritto naturale’) permetterebbe di cogliere la complessità dei fenomeni, evitando banalizzazioni. J. Moltmann (2011) si fa portavoce di una “spiritualità cosmica” tendente a considerare la creazione come una “comunità di co-creature” appartenenti a uno scenario comune in cui tutte le creature agiscono contemporaneamente e armonicamente nello spazio e nel tempo; pertanto, in tale scenario, l’uomo non sarebbe un attore esterno, ma parte integrante di esso e pienamente integrato con il sistema “antropo-biogeo-pedo-climatico”, con le piante, con gli animali e con se stesso; in tale sistema non va trascurato il metagenoma del suolo30, il quale, contribuendo alla genesi e alla strutturazione del suolo, svolge un ruolo principe nel regolare la produttività vegetale e, conseguentemente la produttività animale della ‘microbiosfera’ di una determinata ‘area geografica’. Si stima che il genoma microbico per grammo di suolo sia pari a ~1012 (1.000 miliardi) paia di basi (T.M. Vogel et al., 2009). In tale contesto, l’uomo deve individuare le strategie piú opportune per un sano evoluzionismo cosmico, quindi antropico, in accordo con una nuova visione secondo la quale l’evoluzionismo cosmico viaggerebbe in parallelo a quello antropico: l'uomo è una componente fondamentale del sistema e, pertanto, egli è l'artefice principe del cambiamento e partecipa attivamente alla realizzazione del progetto allestito dal 'coevolutore trascendente'; pertanto, la capacità al costruttivismo sia dell'uomo che degli altri esseri viventi è la 'chiave di volta' per un armonico e sano evoluzionismo cosmico, quindi antropico (D. Matassino, 1997). La quotidianità della vita relazionale dell’uomo con l’animale è una delle piú interessanti connessioni fra l’uomo e la natura. L’assenza dell’animale nell’ambito di un bioterritorio non è condivisibile, in quanto esso può svolgere numerose funzioni per il miglioramento dello stile di vita dell’uomo. È da rilevare, infatti, che gli attuali equilibri presenti in determinati ambienti sono frutto della secolare interazione dell’‘uomo-agricoltore’ e dell’‘uomo-pastore’ con l’ambiente naturale (D. Matassino, 2009f). La conservazione del 'presente' culturale, nell'accezione piú ampia, dovrà assurgere a elemento primario di questa comunità, considerata la notevole entità di valori etici ancora presenti e di risorse incontaminate che potranno svolgere un ruolo insostituibile per un nuovo assetto dell'agroecosistema. Il ‘BovGAI’ (già Podolica) può essere considerato un vero e proprio elemento di tutela di un determinato agroecosistema, con particolare riferimento a quello dell’ ‘Appennino collinare e montano dell’Italia Meridionale’. Quest’ultimo, attraverso opportuni interventi basati sull’impiego di TGLA potrà diventare il prototipo di un nuovo modo di gestire le caleidoscopiche risorse oggi presenti e non ancora soggette a contaminazioni di tipo industriale (D. Matassino, 1976a 1977, 1983a). In questa giornata di studio, il dr. M. Botta si sofferma sull’importanza del ‘BovGrAI’ (già Podolica) nell’ambito di una nuova politica agro-alimentare tendente a ottimizzare l’equilibrio tra ‘sanità ambientale’ e ‘produzione di cibo’. 28 Vedasi nota 7. Ecologia umana: studio dei rapporti che i gruppi umani intrattengono con i diversi ecosistemi naturali e umani in modo da soddisfare i loro bisogni nella prospettiva di raggiungere la maggiore autonomia possibile tenuto conto delle risorse disponibili negli ecosistemi (C. Raffestin, Centro di Ecologia Umana di Ginevra, 2000). 29 30 30 Di seguito sarà riportata una breve sintesi ripresa da: D. Matassino (2000); D. Matassino et al., (2010); F. Ciani e D. Matassino (in press). Pascolo brado. Gli agro-silvo-ecosistemi ‘naturali’ o ‘spontanei’ mediterranei offrono al primitivo Bovino Grigio una composita vegetazione formata da numerosissime specie e varietà di piante, che differiscono ampiamente fra loro in rapporto alle differenze climatiche, geografiche, alle caratteristiche del suolo e alle diversità colturali attuate nel corso dei secoli. Le condizioni climatiche dell’area centrale del Mediterraneo hanno profondamente caratterizzato la produzione foraggera nella variabilità stagionale e interannuale; questi aspetti meteo-climatici, che nelle ‘aree collinari e montane dell’Appennino meridionale’ si manifestano, sostanzialmente, con due stasi vegetazionali e produttive in inverno e in estate, hanno favorito lo sviluppo di innumerevoli specie di piante erbacee, arbustive e arboree, che sono largamente utilizzate dal ‘BovGrAI’ (già Podolica) durante il pascolo. Molte di queste specie sono ancora sconosciute per quanto attiene alla loro qualità in termini di ‘nutraceutica’. La scelta alimentare del ‘BovGrAI’ (già Podolica) è guidata da una successione temporale dei seguenti fattori in ordine di priorità: (a) grado di reperibilità (b) presenza di sostanze sgradevoli o repellenti (c) prensibilità (d) diversi livelli di indispensabilità a soddisfare i principali fabbisogni fisiologico-metabolici (e) capacità di soddisfare la palatabilità. La vegetazione del pascolo naturale cambia profondamente nel corso delle stagioni, in qualità e quantità. E’ noto che fra tutte le specie ungulate poligastriche, quelle dei Bovini (Uro, Gaur, Banteng, Yak, Bisonte e Bufalo) per la molteplicità e per la differenziazione dei bioterritori presenti nei loro estesi areali di rispettiva diffusione sono il risultato di un’elevata ‘capacità al costruttivismo’, che ha permesso a queste specie di sviluppare la maggiore capacità di metabolizzare la notevole quantità di fibra vegetale grezza o grossolana presente nelle pareti cellulari delle piante (cellulosa). All’interno della stessa specie bovina (Bos primigenius taurus) sono emerse differenze comportamentali fra i vari TG, nella utilizzazione della risorsa pabulare, anche quando la fitocenosi è solo di natura erbacea; infatti, la maggior parte di questi TGA tende a una scelta trofica indifferenziata utilizzando contemporaneamente e completamente le diversificate risorse pabulari, radendo cosí tutto il cotico erboso. Diversamente, il ‘BovGrAI’ (già Podolica), come il suo diretto progenitore selvatico l’Uro che ha abitudini alimentari opportunistiche e preferisce un regime alimentare misto, manifesta una successione temporale stagionale delle preferenze trofiche legate a deficit di disponibilità foraggera; questa temporalizzazione è il risultato di un’interazione dinamica fra disponibilità di alimenti ed esigenze nutrizionali dell’animale, infatti: (a) in primavera-inizio estate sono ricercate principalmente le specie leguminose erbacee, arbustive e arboree (per la maggiore concentrazione proteica necessaria per un rapido recupero ponderale e quindi riproduttivo e produttivo) e anche le graminacee (b) in piena estate l’utilizzazione del pascolo degli ambienti boscati e cespugliati diventa spesso una esigenza indispensabile per la sopravvivenza del bestiame, quando i pascoli sono disseccati dalla siccità e solo la macchia fornisce ancora risorse verdi, erbacee o fogliame di arbusti e di alberi (c) in autunno sono disponibili principalmente le graminacee, che con il loro equilibrato apporto nutrizionale di proteine e fibre completano e preparano fisiologicamente il ‘BovGrAI’ (già Podolica) ad affrontare le carenze energetiche dell’inverno (d) in inverno sono disponibili principalmente le specie arboreo-arbustive del pascolo della macchia, della gariga e dei cespuglietti che costituiscono la risorsa primaria di sostentamento per i bovini Grigi. Quindi la stagione di pascolamento è un elemento differenziale di importanza non trascurabile, anche nella scelta degli orizzonti trofici potenzialmente in grado di influenzare le caratteristiche qualitative delle produzioni. 8. Ruolo del BovGrAI nella filosofia strategica gestionale di un bioterritorio Premessa. Un ‘bioterritorio’, identificabile con un agroecosistema, è una comunità ove l’uomo è in stretta relazione con la componente fisica e con gli altri esseri viventi, ma diventa sempre più impellente individuare percorsi innovativi e coraggiosi al fine di instaurare un novello rapporto tra questi ‘attori’. Sia sul 31 piano politico-istituzionale che su quello dell’innovazione tecnica e biotecnica ‘l’uomo allevatore’ costituisce un tassello fondamentale insostituibile e unico per raggiungere pleromici equilibri di un agroecosistema con cui è possibile realizzare civiltà tecnico-scientifiche a misura proprio della natura in cui l’uomo deve costituire la parte fondante; pertanto, il ‘bioterritorio’ può essere paragonato a un ‘teatro’ nel quale gli ‘attori’ debbono recitare la propria parte affinché si raggiunga una rappresentazione ottimale dell’ ‘opera’ (D. Matassino e M. Occidente, 2011). Una ‘filosofia strategica gestionale intelligente’ di un ‘bioterritorio’ si fonda, prima di tutto, sulla ‘conoscenza’ della ‘qualità’ e della ‘quantità’ di qualsiasi risorsa ‘immateriale’ e ‘materiale’ peculiare e propria dell’area geografica interessata, quindi tiene conto del ruolo ‘relazionale’; ruolo unico in grado di conferire ‘dignità’ e ‘valore etico’ alle iniziative da intraprendere e da attuare secondo una strategia in grado di individuare percorsi ‘virtuosi’ basati su una ‘offerta dinamica’ di proposte e di realizzazioni ‘originali’ (D. Matassino, 2005). La complessità di un ‘bioterritorio’ nella sua pluralità di risorse è raffigurabile da un mandala (figura 12), rappresentazione propria della simbologia del ‘tantrismo buddismo induismo’ (∼ 600 a.C.). ISTITUZIONE POLITICA BIOETICA POLITICA E LEGISLAZIONE GLOBALIZZAZIONE DEL MERCATO CULTURA (siti archeologici, musei, ecc.) PRODOTTO LOCALE TIPIZZATO ETICHETTATO ENTI DI RICERCA (caratteristiche nutrizionali, extranutrizionali e gustative anche per meta nutrizionale) SERVIZI (scuola di ogni ordine e gradosanità, telefono, energia, strada ferrovia, aeroporto, consulenza informatizzazione, ecc.) OROGRAFIA ‘BIOTERRITORIO O BIOREGIONE’ CLIMA IMPRESE (artigianato, industria agricoltura, commercio ) RISORSA‘SUOLO’ ANTROPIZZAZIONE (urbana, rurale, struttura demografica umana RISORSA ‘ACQUA’ RISORSA ‘ENERGIA’ STORIA E TRADIZIONE RISORSA ’GENETICA’ TERRITORIO RURALE (animale, fungina, microbica, vegetale) (antropizzazione, conservazione, tutela) Figura 12. Esemplificazione di un ‘mandala’ rappresentativo del ‘bioterritorio’ o ‘bioregione’ (D. Matassino, 1992, 2005). Ruolo del ‘BovGrAI’ (già Podolica). Come evidenziato da D. Matassino (2008, 2011b), è ormai acclarato che la sopravvivenza dell’uomo dipende dalla risorsa naturale; tale dipendenza viene condensata nel concetto di ‘servizi dell’ecosistema’31, ideato da P.R. Ehrlich e A. Ehrlich (1970) e ripreso dagli stessi Autori nel 1981 in relazione alla problematica della riduzione della biodiversità sul pianeta Terra (P.R. Ehrlich e A. Ehrlich 31 Le relazioni tra ‘servizi dell’ecosistema’ e ‘benessere umano’ sono approfonditi nel contesto del Millennium Ecosystem Assessment (MEA, 2005). 32 1981), poi largamente divulgato da G.C. Daily (1997). R. Costanza et al. (1997) stimano in ben 50 trilioni (50 × 1018) di dollari i benefici forniti all’uomo dall’insieme dei vari ecosistemi terrestri. Nell’attribuire un valore economico al ‘capitale naturale’, la stima considera numerose variabili interessanti: (a) servizi di ‘fornitura’ (alimenti di origine animale e vegetale, precursori della farmaceutica, ecc.); (b) servizi di ‘regolazione’ (clima e sue variazioni, ecc.); (c) servizi di ‘supporto’ (impollinazione, diffusione di semi, gestione delle acque, controllo di malattie, difesa del suolo, ecc.); (d) servizi ‘psico-culturali’ (sensazione del benessere spirituale degli esseri umani interessati a un determinato ‘bioterritorio’, scoperte scientifiche, uso del tempo libero, ecc.); (e) servizi di ‘conservazione’ (tutela e gestione della risorsa genetica endogena mirata specialmente a mantenere elevato il livello di ‘biodiversità’). In tale contesto, concordando con D. Matassino (2005) e con J. Boyazoglu e R. Cardellino (2008), la conservazione della risorsa zoogenetica, in termini economici, si può identificare sempre più nel mantenimento del ‘valore d’uso’ e di ‘non uso’ per l’umanità. I valori d’uso possono essere: (a) diretti: i derivati dalla produzione di cibo, di fibre, nonché da altri prodotti e servizi; (b) indiretti: fornenti un supporto alla tutela del paesaggio [luogo di accumulo stratificato di beni materiali e immateriali capace di generare vere e proprie opere d’arte (A. Agnati, 2011)] e all’agroecosistema; (c) valore di ‘opzione’: fornente flessibilità per far fronte a eventi futuri inattesi. I valori di ‘non uso’ sono quelli connessi alla soddisfazione del singolo individuo o delle società di uomini. Il ‘BovGrAI’ (già Podolica) si potrebbe definire un vero e proprio ‘animale polisemico’32 per le importanti funzioni che può svolgere nello sviluppo economico (nell’accezione di bioeconomia) di una Comunità identificabile con un ‘bioterritorio’: (a) ottenimento di prodotti locali dotati di ormai acclarate apprezzabili e peculiari caratteristiche organolettiche, nutrizionali ed extranutrizionali (quindi salutistiche o nutraceutiche), utili per (D. Matassino et al., 1991): (i) l’attuazione di una politica agroalimentare basata sulla definizione di ‘mete nutrizionali’33 in linea con l’attuale concezione di ‘geografia della salute’ (D. Matassino, 2011b); (ii) soddisfare la crescente richiesta da parte del consumatore di prodotti ottenuti con sistemi di allevamento ‘tradizionali’ (b) tutela del paesaggio e dell’agroecosistema; (c) valorizzazione di: storia, cultura e ‘tradizione’; (d) sviluppo di forme di turismo basate sull’interesse verso la natura e la cultura ‘tradizionale’ (turismo verde e agriturismo); (e) tutela e sviluppo di una zootecnia estensiva favorente un riequilibrio tra specie allevata e vegetazione, soprattutto se l’allevamento del BovGrAI viene abbinato a quello di altri TG locali altrettanto poco esigenti e più efficienti nell’utilizzazione dei foraggi. Inoltre, il ‘BovGrAI’ (già Podolica), al pari di altre razze ‘Grigie’ italiane si sta rivelando particolarmente idoneo alla ricostituzione dell’Uro (Bos primigenius primigenius) mediante “backbreeding” (incroci a ritroso verso l’ancestrale) tra specie o razze simili. Grazie alla sua elevata ‘capacità al costruttivismo’ e alla sua capacità di fornire prodotti di ‘pregio’, il ‘BovGrAI’ (già Podolica) può essere considerato un componente ‘fondante’ il complesso delle risorse endogene del ‘bioterritorio’ “Sistema collinare e montano dell’Appennino Meridionale”. Questo TGLA costituisce un vero e proprio elemento di ‘eccellenza’, quindi di profonda distinzione per intraprendere iniziative volte a determinare e, quindi, a favorire uno sviluppo ‘locale’ ecosostenibile in grado di contribuire, 32 Polisemico: in linguistica, vocabolo (o espressione, o in genere segno linguistico) che presenta polisemia ; termine, quest’ultimo, di derivazione greca (composto da πολυ = poli e σηµα = segno), nel senso di ‘portatore di significati diversi’ ; il termine è anche riferito a ideogrammi e segni di altre scritture non alfabetiche, che può essere letto in piú modi (Dizionario enciclopedico Treccani, 1970). 33 Trattasi di ‘regimi nutrizionali’ differenziati in relazione alla categoria demografica umana (bambino, adolescente, adulto, ultrasessantenne, ultraottantenne, ultracentenario), allo status fisiologico (gravidanza, allattamento, attività agonistica, ecc.) e al sesso, utili per contribuire a una ‘personalizzazione’ della nutrizione in termini di ‘nutrigenetica’ e di ‘nutriepigenetica’ (D. Matassino et al., 1991; D. Matassino, 1991 e 2006). 33 in modo peculiare, a produrre ‘cibo’ per l’uomo di particolare valore ‘nutrizionale’ ed ‘extranutrizionale’, quindi ‘salutistico’ o ‘nutraceutico’. Qualsiasi risorsa endogena, come il ‘BovGrAI’, è una componente fondamentale del ‘benessere’ di un ‘bioterritorio’ in cui è compreso anche l’Uomo, quale artefice del raggiungimento di dinamici traguardi interessanti “Comunità locali economicamente sostenibili……. le quali “rendono possibile un benessere materiale assai più equo….” e, pertanto, una “….politica di riglobalizzazione dal basso” (J. Rifkin, 2001). In questo contesto, d’accordo con C. Nardone (2005), sempre più enfasi bisogna dare al tema dei ‘sistemi bioterritoriali’ e del loro sviluppo sostenibile su base ‘innovativa’ e non ‘imitativa’. La continua conoscenza dei meravigliosi meccanismi genetici ed epigenetici (interazione ‘genomaambiente’) che sottendono la ‘complessita’ irriducibile’ della cellula deve costituire la ‘linea-guida’ e il fondamento della ‘filosofia strategica gestionale di un bioterritorio’ allevante il ‘BovGRAI’ (già Podolica). Questo percorso sarà l’unico in grado di valorizzare questo TGLA che per secoli, se non per millenni, ha rappresentato un significativo strumento di sviluppo, specialmente delle “aree collinari e montane dell’Appennino Meridionale” (D. Matassino, 1977, 1983a). Pertanto, l’allevamento del “BovGAI” (già Podolica) è destinato a svolgere un ruolo non secondario grazie anche a strategie innovative in grado di far emergere le potenzialità di tale TGLA o di individuare nuove possibilità di sviluppo (a esempio, mungitura meccanica) pur nel rispetto della ‘tradizione’. Lo sviluppo piú 'sostenibile' è quello in cui le innovazioni tecniche e biotecniche siano inglobate e incorporate nei sistemi produttivi, sociali e culturali esistenti, senza determinare la sostituzione di questi. Lo stesso ‘prodotto locale tipizzato etichettato’ (PLTE), considerato come frutto di un determinato ‘terroir’34, “non significa staticità, ma dinamicità” e può costituire l’espressione tangibile di integrazione sociale e tecnica. Un PLTE, infatti, in una visione dinamica, può contribuire a esaltare il ‘valore salutistico’ del prodotto stesso in linea con quanto previsto dalla normativa inerente ai ‘claims’ (‘health claims’ – informazioni salutistiche e ‘nutritional claims’ – informazioni nutrizionali). In tale chiave la ‘filosofia strategica gestionale intelligente’ di un ‘bioterritorio’ racchiuderebbe quindi in sé un’antinomia tra ‘innovazione’ e ‘tradizione’, meglio condensata nell’espressione “innovazione nella tradizione” (D. Matassino, 1996a; 2012a; F. Casabianca e D. Matassino, 2006; D. Matassino e M. Occidente, 2011). Nella logica di sviluppo sostenibile, rappresentabile da un triangolo equilatero (figura 9), la dimensione economica descrive una delle 3 dimensioni (le altre 2 sono quella sociale e quella ecologica) fondamentali che devono interagire fra di loro per realizzare soluzioni variabili, temporalmente e spazialmente, in una visione di ottimizzazione dinamica sistemica (M. Giaoutzi e P. Nijkamp, 1993; M. Prestamburgo, 1998; D. Matassino e A. Cappuccio, 1998). 34 ‘Terroir’ o ‘terrain’: è il complesso delle interazioni tra caratteristiche climatiche, geologiche, topografiche e pedologiche che, nel loro insieme, concorrono alla realizzazione di un prodotto specifico identificativo della propria territorialità (D. Matassino e M. Occidente 2011). 34 Figura 13. Rappresentazione grafica del concetto di ‘sviluppo sostenibile’ (M. Giaoutzi e P. Nijkamp, 1993). Sorge spontanea una domanda: quale potrebbe essere il contributo fattivo determinante e insostituibile di questo ‘bovino autoctono antico’ alla valorizzazione sostenibile del ‘Sistema collinare e montano dell’Appennino Meridionale’? Come evidenziato in precedenza, trattasi di un TGLA di grande valenza nel poter contribuire a uno ‘sviluppo sostenibile multifunzionale’35, concetto che si afferma a partire dal 1992 quando la Comunità Europea riconosce ufficialmente la funzione fondamentale che l’agricoltura può svolgere per lo sviluppo locale. Parafrasando F. Luchetti (2009), è possibile affermare che “la modernità e l’immenso valore ‘sociale’ del bovino podolico sono legati a una serie di aspetti di cui le produzioni (carne, latte e loro derivati) rappresentano una parte importante ma non certo l’unica”. E’ possibile considerare il BovGrAI (già Podolica) non solo per la sua ormai acclarata funzione produttiva ma è possibile anche attribuire a tale TGLA un ruolo fondamentale ai fini della tutela dell'agroecosistema 'globale' che può essere identificata con la 'tutela' di 'Gaia'; pertanto, dal mero concetto di ‘oggettività produttiva’ si passa a quello di 'ruralità'; questo passaggio comporta una eleggibilità di tale sistema produttivo legato ai seguenti aspetti: (a) unicità genetica (b) sistemi produttivi specifici sostenibili per l'ottenimento di un PLTE (c) sicurezza e qualità degli alimenti prodotti (d) valori socio-economici immateriali (e) valenza culturale del territorio rurale (turismo, reperti antichi, risorse antropiche e idriche, edafiche, ecc.); questa eleggibilità deve avere come scopo finale un raggiungimento dinamico del benessere dell'uomo (Human Welfare State e Wellbeing) inserito in quello di Gaia nello spirito del pleròma, quindi dell'alterità. In questo contesto, le attività zootecniche andrebbero a integrare quelle piú specificamente agronomiche in un unico sistema, con il risultato finale che l’agricoltura dovrà svolgere una funzione di promozione e di ‘servizio sociale’ (D. Matassino, 1976a). Si ricorda che A. Genovesi (1713-1769) considera l’ ‘agricoltura’ “non solo una risorsa economica per una nazione, ma anche un elementare strumento per l’elevazione culturale” e quindi sociale (D. Matassino et al., 2012; D. Matassino, 2012b). L’agricoltura è per A. Genovesi “….Il modello culturale non solo della vita sociale rinnovata dalla conoscenza e dall’istruzione diffusa, ma della stessa economia nuova che Egli 35 Per alcuni aspetti sulla ‘ruralità multifunzionale sostenibile’, si rimanda a P. Depauw (2001) e a D. Matassino (2002). 35 promuove”. E’ possibile affermare che proprio l’ analisi dell’Agricoltura praticata nel regno di Napoli diventa per A. Genovesi l’ispiratrice del suo programma di mutamento socio-economico: riforma del feudo, aumento degli scambi commerciali, istruzione pubblica (educazione dei ‘giovinetti’), migliore produttività e diffusione sociale del benessere (G. Acocella, 2013). Il ‘BovGrAI’ (già Podolica) presenta tutte le doti ottimali per una armonizzazione completa con le caratteristiche geo-antropo-pedoclimatiche al fine di contribuire allo sviluppo di un ‘bioterritorio’ secondo i canoni della eco-sostenibilità. A esempio, il ‘BovGrAI’ potrebbe contribuire a un razionale utilizzo della risorsa ‘acqua’, essendo dotato di una straordinaria capacità di mantenimento del bilancio idrico, manifestantesi fenotipicamente con: (a) estesa superficie del derma con presenza di numerose pliche (b) spessore del tessuto cutaneo e subcutaneo (c) sviluppo del plesso venoso (venae comites) (d) minore superficie cutanea esposta al sole in rapporto al peso corporeo (e) pigmentazione della cute e colore del pelo (f) lunghezza, diametro e densità del pelo; densità e attività delle ghiandole sudoripare (D. Cianci, 1986). Ulteriori strategie fisiologiche per il risparmio idrico si concretizzano in (D. Cianci, 1986; D. Western e V. Finch, 1986; F. Ciani e D. Matassino, in press): (a) concentrazione delle urine; produzione di feci molto asciutte (b) pascolamento durante la notte quando aumenta l’ umidità sui vegetali e la temperatura esterna si abbassa (c) riduzione del tasso metabolico; (d) processi di termolisi attraverso l’evaporazione dalla pelle o dalle vie respiratorie (perspiratio insensibilis) meno attivi . Inoltre, non è da trascurare il ruolo che il ‘BovGrAI’ (già Podolica) può svolgere ai fini della prevenzione degli incendi estivi; esso, infatti, alimentandosi di flora del sottobosco riduce significativamente la potenziale massa combustibile (D. Rosa, 1992). Anche un razionale pascolamento, poco conosciuto nei suoi risvolti agronomici e zootecnici, è ‘conditio sine qua non’ per una efficiente utilizzazione delle aree a esso destinate. Il ruolo più importante potrebbe essere quello di dare un contributo peculiare alla ‘geografia della salute’ (M. Hanson, 2011) la quale considera ciascun individuo nell’ambiente in cui vive e in cui si sviluppa, a partire dal grembo materno, specialmente nelle specie ‘vivipare’, come l’uomo36. Come sottolineato altrove (D. Matassino, 2011), questo apporto alla ‘geografia della salute’ si concretizza grazie ai meravigliosi e ai sofisticati meccanismi biofisici che sono presenti e che operano all’interno di una ‘cellula’ da considerare sempre nella sua ‘complessità irriducibile’, concretizzantesi tra l’altro, nella presenza dei vari ‘interactomi’. A oggi, gli interactomi proteici individuati nell’uomo, grazie alla ‘bioinformatica’, assommerebbero a circa 650.000 (M.P.H. Stumpf et al., 2008)37(figura 14). 36 L’essenza della ‘geografia della salute’ è sintetizzata nelle seguente affermazione (M. Hanson, 2011): “L’atto di fecondazione dà il via ad una serie di accadimenti che porteranno alla ‘costruzione’ di un soggetto vivente. questa costruzione, modulata dall’ambiente uterino con il quale la madre ‘allena’ il figlio alla vita, è concepita in modo tale da costituire l’ ottimizzatore delle forme, delle strutture e degli schemi di funzionamento (imprinting) che fanno di una cellula uovo e di un feto con il loro codice genetico il ‘miglior figlio possibile’ per le condizioni ambientali che dovrà affrontare”. 37 Il termine ‘interactoma’ viene coniato nel 1999 a opera di ricercatori francesi (C. Sanchez et al.); i primi dati relativi a tale aspetto appaiono nel 2000. 36 Figura 14. Interactoma della proteina actina (Fonte: http://apollo11.isto.unibo.it/Medicina/Biologia/2.%20Storia%20biologia%20moderna.pdf). Nell’ambito della ‘geografia della salute’ un ‘bioterritorio’, specialmente basato sull’allevamento di TGA, può essere considerato un vero e proprio ‘mosaico’ di cibo dalle caratteristiche ‘nutrizionali’ ‘extranutrizionali’ ‘salutistiche’ o ‘nutraceutiche’ sicuramente consono a soddisfare le esigenze del ‘metaboloma’ di un individuo. Sarebbe possibile affermare che ciascun soggetto, durante lo sviluppo embrionale, acquisisce in condizioni fisiologiche un ‘metabolismo ottimale e unico’ al quale deve poi corrispondere una ‘nutrizione personalizzata’ in termini di ‘nutrigenomica’ e di ‘nutriepigenomica’38. Si può ritenere che qualsiasi organismo vivente è portatore per default (in assenza di interventi esterni) di imperfezioni che possono degenerare in vere e proprie ‘dissonanze’ (mismatch) o ‘disfunzioni’ in seguito al cambiamento del contesto ambientale rispetto a quello in cui l’organismo è ‘naturalmente’ predisposto a vivere (D. Matassino, 2011b). In tale ambito, come riportato da D. Matassino (2011b), la prevenzione di malattie non può prescindere dalla conoscenza dei processi epigenetici che avvengono nelle prime fasi di sviluppo: regime alimentare, età, ordine di gravidanza della madre, stress, attività fisica praticata dalla madre, ecc.. A esempio, i fattori genetici, quali le ‘mutazioni puntiformi’39, spiegano solo una piccola parte del rischio di obesità e di malattie metaboliche; in modelli animali e nell’uomo viene evidenziato che il regime alimentare della madre durante la gravidanza influenza la massa adiposa della prole; le modifiche sono accompagnate da cambiamenti epigenetici a carico di segmenti di DNA codificanti polipeptide/i (‘geni’) specifici che controllano il metabolismo. Pertanto, l’analisi epigenetica perinatale può essere utile per identificare la vulnerabilità individuale all’obesità, nonché a malattie metaboliche in età successive (K.A. Lillycrop et al., 2005, 2007; T.A. Manolio et al., 2009; N. Craddock et al., 2010; K.M. Godfrey et al., 2011; M. Hanson et al., 2011). Pertanto, il concetto di ‘geografia della salute’ implica la necessità di implementare ‘regimi nutrizionali’ differenziati (‘mete nutrizionali’) i quali, prendano in considerazione anche il ‘bioterritorio’ di provenienza oltre che a tener conto della categoria demografica umana , dello status fisiologico e del sesso, al fine di contribuire a una ‘personalizzazione’ della nutrizione in termini di ‘nutrigenetica’ e di ‘nutriepigenomica’ (D. Matassino, 1992a, 2007; D. Matassino et al., 1991). 38 Nutriepigenomica: conoscenza degli effetti delle biomolecole ‘nutrizionali’ ‘extranutrizionali’ ‘salutistiche’ o ‘nutraceutiche’ presenti in un alimento sull’espressione della struttura genetica di un individuo. 39 Mutazione puntiforme: modificazione (sostituzione o inserimento o delezione) di una singola base in una sequenza nucleotidica. 37 Come evidenziato da Matassino et al. (2010), il ‘localismo alimentare’ è in effetti un progetto di difficile realizzazione, ma quanto mai urgente, visti: (a) le condizioni e gli squilibri ecologici del pianeta Terra, (b) le incongruenze nonché le problematiche che affliggono i nostri sistemi agroalimentari. Il regime alimentare cui siamo meglio predisposti, fisiologicamente, per semplici motivi evolutivi, è quello che ha profonde radici nei prodotti provenienti dal nostro ‘bioterritorio’ o, meglio ancora, dal ‘bioterritorio’ da cui provengono i ‘nostri avi’. E’ auspicabile il conseguimento di un sistema integrato ‘alimento di qualità – salute’ ottenuto da produttori che operano con un forte legame bioterritoriale al fine di “ritrovare un’alimentazione antica e sana che conservi i principi nutritivi che hanno accompagnato con successo l’evoluzione dell’uomo’ (Fondazione Via dei Locavori, 2011). La ‘geografia della salute’ può costituire l’elemento fondante (pietra d’angolo) per giungere a una innovativa visione della salute in chiave globale, ove per globalizzazione della salute si può intendere la possibilità di assicurare uno stato di salute ‘ottimale’ agli abitanti della Terra considerando le peculiarità degli alimenti propri del ‘bioterritorio’ in cui ciascun individuo vive (D. Matassino et al., 2012a). La valorizzazione di un ‘bioterritorio’ si fonda sulle sue potenzialità specifiche con particolare riguardo al momento socio-economico che si concretizza nell’attuazione anche di strategie commerciali nell’innovazione del concetto di qualità; quest’ultima intesa, come già detto, in termini di ‘nutraceutica’. L’esigenza di esplicitare la qualità ‘nutrizionale’ ‘extranutrizionale’ ‘nutraceutica’ o ‘salutistica’ intrinseca degli alimenti e il livello di sicurezza alimentare degli stessi, attraverso l’identificazione e la caratterizzazione di biomarcatori molecolari di ‘unicità’ genetica (a livello di singolo individuo) e di ‘specificità’ (a livello di prodotto), richiede l’integrazione, secondo la filosofia strategica del ConSDABI, tra le varie branche della scienza ‘omica’: genomica, epigenomica, proteomica, metabolomica (lipidomica, glicomica, ecc.); scienza ‘omica’, la quale, ormai, può essere considerata il ‘pilastro’ delle nuove strategie di valorizzazione,tendenti a studiare le ‘biomolecole’ non più singolarmente, ma in modo ‘olistico’, quali componenti di una vera e propria rete di informazione (D. Matassino et al., 2006a; 2007a). Alcune considerazioni etiche, economiche e giuridiche. Quanto finora evidenziato risponde pienamente al concetto del ‘principio di responsabilità’ personale e collettiva del filosofo tedesco H. Jonas (1979). L’ecosolidarietà di Jonas può trovare una pienezza di applicazione con i ‘servizi dell’ecosistema’ (D. Matassino, 2008). Il ‘principio di solidarietà’ è in grado di poter influire positivamente modificando, sin dalla radice, l’attuale ‘edonismo’ della cultura, oggi imperante, il quale considera l’ ‘uomo tecnologico’ quale vera e propria ‘macchina desiderante’. Come riportato da D. Matassino (2011b), tale ‘desiderio’ incolmabile e sfociante nell’aumento dei ‘consumi’, secondo il teologo e psicoterapeuta E. Drewermann (1982-1984), sarebbe da considerare una vera e propria ‘esperienza’ per ridurre l’ ‘angoscia’ dell’individuo. Infatti, quest’Autore ritiene che l’‘angoscia’ sia l’elemento caratterizzante la vita moderna nell’indurre “l’uomo a ricorrere a vari stratagemmi che assolvono al compito fondamentale di restituirgli un’immagine di sicurezza e di autostima”. Si ribadisce (D. Matassino, 2011), con enfasi che le ‘élite politiche’ e ‘istituzionali’, la ‘ricerca scientifica’ e la ‘cultura’ devono essere sempre più coinvolte nell’affrontare con ‘spirito ottimistico’ basato su un percorso di vita ben lontano dalla impostazione del ‘non-tuismo’, neologismo coniato da P.H. Wicksteed (1844-1927). Il ‘non - tuismo’ si concretizza e si sviluppa, come si esprime L. Bruni (2006) in rapporti permanenti anonimi spersonalizzati e quindi ‘strumentali’. Questa realtà dell’attuale svolgimento di vita della moderna società è ben lontana dalla visione e dai percorsi suggeriti dall’Abate Genovesi (1713-1769), nato a Castiglione (SA), Cattedratico dell’ Università di Napoli (oggi Università di Napoli “Federico II”) dal 1754. Infatti, Genovesi (1767), al fine di individuare soluzioni per uno sviluppo economico sempre più a misura d’uomo, sottolinea con ampie argomentazioni nel suo dottrinale insegnamento, l’ ‘Economia civile’, come le relazioni di ‘reciprocità’ e di ‘gratuità’ contribuiscono a migliorare il benessere del ‘singolo’ e della ‘collettività’, in quanto facilitano il raggiungimento della ‘felicità’, quindi della ‘personalità’ ‘civile’; inoltre, Egli evidenzia con forte impeto che, privilegiando il ‘senso civico tra gli uomini’, anche lo Stato non reagisce come un ‘leviatano’. A. Genovesi considera lo studio della ‘agricoltura’ “non solo una risorsa economica per una nazione, ma anche un elementare strumento per l’elevazione culturale”. A. Genovesi (~1750) propone l’istituzione: (a) di una cattedra di ‘Agricoltura’ nell’ambito della riforma universitaria; (b) di scuole di ‘Agricoltura’; (c) di cattedre ambulanti di ‘Agricoltura’; 38 (d) di un’Accademia dei Georgofili al fine di richiamare i giovani studiosi “verso le scienze agrarie tanto neglette” (nel 1754 A. Genovesi è Socio Corrispondente di tale accademia); (e) dell’insegnamento dell’ ‘Agricoltura’ nell’ambito dell’attività didattica dei ‘seminari arcivescovili-diocesani’. L‘economia civile’ chiamata anche ‘economia altruistica’, si contraddistingue dall’ ‘economia classica’ per il ‘principio di reciprocità’; essa include altri due principi che sono propri dell’ economia politica di A. Smith (1723-1790): quello dello scambio di equivalenti (efficienza) e quello della ‘redistribuzione’ (equità); pertanto, l’ ‘economia civile’ include l’ ‘economia politica’ e non viceversa (D. Matassino, 2007, 2011b). NIl concetto di ‘reciprocità’ e quello di ‘gratuità’ caratterizzanti la visione di Genovesi vengono riaffermati nella cosiddetta ‘Economia del dono’, una forma di economia proposta da M. Mauss (1872 – 1950); essa trae le sue origini dal principio che tutta la società è legata da vincoli di ‘dono’. Trattasi di un’economia basata sul ‘valore d’uso’; quest’ultimo inteso come ‘capacità di un bene o di un servizio di soddisfare un dato fabbisogno’. Pertanto, l’‘Economia del dono’ si differenzia dall’ ‘Economia di mercato’, basata, invece, sul valore di ‘scambio o commerciale’ di un bene. L’Economia del dono richiama l’attenzione verso la necessità di rivalutare comunità ‘economicamente autosufficienti’ in sostanziale equilibrio con l’ambiente esterno. La ‘comunità locale’ può essere considerata emblematica di tale visione e la tutela della biodiversità rappresenta una conseguenza imprescindibile in quanto in grado di generare una nuova ‘cultura del bene comune’, quale fonte di nuove opportunità per tutti. Tipici esempi della ‘Economia del dono’ sono la pratica del Potlatch40 e quella del Kula41. Nella lettera Enciclica ‘Caritas in Veritate’ (capitolo III paragrafi 40 e 41), S.S. Benedetto XVI vede nella riduzione della valenza ‘sociale’ dell’impresa e nella ‘delocalizzazione dell'attività produttiva’ rischi notevoli per un progresso della società a lungo termine; la ‘delocalizzazione’, infatti, “può attenuare nell'imprenditore il senso di responsabilità nei confronti di portatori di interessi, quali i lavoratori, i fornitori, i consumatori, l'ambiente naturale e la più ampia società circostante, a vantaggio degli azionisti, che non sono legati a uno spazio specifico e godono quindi di una straordinaria mobilità”. Egli, tuttavia, sottolinea la “diffusione di una consapevolezza circa la necessità di una più ampia ‘responsabilità sociale’ dell'impresa”, nonché l’esistenza di “molti manager che con analisi lungimirante si rendono sempre più conto dei profondi legami che la loro impresa ha con il territorio, o con i territori, in cui opera”. Egli, prosegue affermando che la delocalizzazione, “quando comporta investimenti e formazione, possa fare del bene alle popolazioni del Paese che la ospita. Il lavoro e la conoscenza tecnica sono un bisogno universale”. Secondo D. Matassino (2011b), questa nuova visione economica strettamente ancorata al bioterritorio in cui si opera richiama l’attenzione sul concetto di bioeconomia, termine suggerito a N. Georgescu-Roegen dal cecoslovacco J. Zeman; la ‘bioeconomia’ o ‘economia ecologica’ attinge le sue origini dalla seguente concezione di A. Marshall (1890): “L’azione della natura è complessa, e nulla si guadagna a lungo andare pretendendo che sia semplice e cercando di descriverla in una serie di proposizioni elementari”. Infatti, Marshall suggerisce che l’economia “è un ramo della biologia inteso in senso ampio”. Sempre in D. Matassino (2011b) vengono approfonditi ulteriori aspetti inerenti alla ‘filosofia economica’ del Genovesi e della ‘bioeconomia’ di A. Marshall (1890, 1898), di J.A. Schumpeter (1912, 1942), di N. Georgescu-Roegen (2003), con una serie di considerazioni sulla loro connessione con il ‘bioterritorio’, con l’isomorfismo dell’evoluzione biologica, con la fisica quantistica e la termodinamica. Ulteriori argomentazioni etiche, le quali possono essere inserite in un contesto proprio dell’importanza dell’ ‘Economia civile’ o dell’ ‘Economia altruistica’ sono riportate in D. Nava (2008) ove si evidenzia con profonde riflessioni la necessità di 40 Potlatch: cerimonia che si svolge tra alcune tribù di Nativi Americani (Haida, Tlingit, Tsimshian, Salish, Nuu-chahnulth, Kwakiutl) della costa nord del Pacifico degli Stati Uniti e del Canada; trattasi di un rito durante il quale vengono attuate pratiche distruttive di beni considerati "di prestigio" e vengono stipulate e rafforzate relazioni gerarchiche tra i vari gruppi attraverso lo scambio di doni (F. Boas, 1897; L. Merignati, 2010). 41 Kula: cerimonia tradizionale delle isole Trobriand (Papua Nuova Guinea); i partecipanti alla cerimonia compiono viaggi anche di centinaia di chilometri in canoa (il viaggio è in cerchio e segue il movimento orario) per scambiarsi doni consistenti in collane di conchiglie rosse (soulava) scambiate in direzione Nord e bracciali di conchiglie bianche (mwali), scambiati in direzione Sud. Gli oggetti circolano in continuazione, restando nelle mani del possessore solo per un periodo limitato di tempo e vengono poi barattati nel corso di visite che gli abitanti delle isole si scambiano periodicamente. 39 “ricondurre la ‘globalizzazione’ alla pratica politica del bene comune, alla finalità della destinazione universale del bene, al principio della dignità umana”. In questa sede mi piace ribadire che la bioeconomia scardina alcuni principi dell’ ‘economia classica’ sintetizzabili nel concetto di ‘homo oeconomicus’42, il quale persegue la massimizzazione del proprio benessere definita dalla cosiddetta ‘funzione di utilità’ (separata dal ‘valore d’uso’, ma legata soprattutto alla differenziazione sociale a essa associata). La visione bioeconomica riconosce nel ‘bioterritorio’ la dimensione biofisica di partenza per una sana crescita economica. L’applicazione dei principi bioeconomici porta a un ripensamento dei cicli produttivi verso la costruzione di beni di qualità che siano ‘durevoli’ e ‘riciclabili’ nell’ottica di un futuro ‘meno insostenibile’, nonché a una nuova concezione: l’ ‘homo oeconomicus’ deve trasformarsi nell’‘homo bioeconomicus’. Un contributo al conseguimento di tale sostenibilità in linea con i cardini della bioeconomia può essere fornito attraverso (D. Matassino, 2011b): (a) la riduzione dell’inquinamento; (b) la chiusura dei cicli locali dell’alimentazione; (c) dell’energia e dei rifiuti; (d) la promozione della qualità e della unicità dei prodotti; (e) l’ottimizzazione della mobilizzazione delle persone; (f) la riqualificazione delle strutture agricole e forestali; (g) il recupero del rapporto ‘campagna-città’; (h) ecc.. Il ruolo ‘sociale’ svolto dalla biodiversità autoctona antica, nella fattispecie animale, specialmente inserita in un bioterritorio, rende improcrastinabile che il diritto, espressione della società civile, della storia e della cultura di ogni tempo, recepisca oggi la presenza di questo importantissimo soggetto “sociale” che è la biodiversità quale soggetto giuridico. Da ciò l’esigenza di una normativa articolata, attenta e rispettosa del carattere generale dell’interesse sociale da una parte e del carattere specifico dell’interesse privato dall’altra, volta a garantire e a regolamentare in regime di compatibilità la tutela giuridica di un bene di interesse pubblico e pure rientrante nella sfera giuridica dell’autonomia dei privati, in tutti gli aspetti che la fattispecie presenta e che appaiono essere molteplici e complessi. E infatti, mentre il bene mobile è regolato dal regime ordinario del diritto privato, il patrimonio genetico di cui la biodiversità è portatrice dovrebbe soggiacere a regole di diritto pubblico; e, pure nel rispetto della natura “privatistica” del bene, la sua “patrimonialità” deve tuttavia essere governata da criteri atti a scongiurare il rischio di una discrezionalità capricciosa o arrogante del suo utilizzo (Mazziotta A. e Matassino D., 2008) . 9. Linee guida per la razionalizzazione dell’allevamento del BovGrAI Una razionale utilizzazione del ‘bioterritorio’ non può prescindere dalla conoscenza di numerosi parametri, definibili solo dopo una seria e attenta ricerca interdisciplinare, nella cui programmazione è necessario avere ben presente la finalità da raggiungere rappresentata dalla produzione animale nel complesso contesto ‘biofisico-culturale-socio-economico’ del ‘bioterritorio’ interessato; tale definizione è possibile a condizione che l’animale venga considerato il vero protagonista (D. Matassino, 1976b). In tale contesto, affinché il BovGrAI possa esplicare appieno le proprie potenzialità, sarebbero auspicabili i seguenti interventi (D. Matassino, 1976b, 1977, 1981, 1983a, 2009a): (a) attuazione di piani operativi non uniformi, ma fortemente peculiari, localizzati e consoni al bioterritorio in cui si opera, i quali tengano conto dell’eterogeneità, caratteristica delle ‘aree collinari e montane dell’Appennino meridionale’; (b) incentivazione dell’allevamento del ‘BovGrAI’ soprattutto in quei bioterritori ove tale TGLA ha una sua naturale collocazione, intervenendo, però, con iniziative atte a razionalizzare il sistema allevamento, a istituire attività di consulenza agli allevatori al fine di renderli recettivi verso l’introduzione di nuove tecniche in grado di contribuire a una innovazione dinamica dell’allevamento del ‘BovGrAI’ prevedere una serie di interventi mirati in funzione della specie allevata e delle specifiche; 42 L’origine storica di questa impostazione sarebbe da attribuire a L. Walras (1834 - 1910). 40 (c) razionalizzazione del pascolo al fine di assicurare un equilibrio ottimale tra pascolo e carico animale; questa razionalizzazione non può prescindere da una corretta conoscenza della produttività agronomica e delle caratteristiche eto-ecologiche di tale TGLA; tra gli aspetti del pascolamento da prendere in considerazione si annoverano: (i) periodo (ii) intensità e turni di utilizzazione (iii) carico di animali (iv) disponibilità e distribuzione dell’acqua di abbeverata (v) ricoveri (vi) rapporti che vengono a instaurarsi fra i membri del gruppo e che influenzano, fra l’altro: • l’assunzione del cibo • l’organizzazione sociale (agonismo, ordine di dominanza, distanza di ‘rispetto’ o di ‘sicurezza’, ‘tolleranza reciproca’, aggressività, relazioni di preferenza, ecc.) (vii) tecniche colturali; (viii) fertilità e struttura del suolo; (ix) caratteristiche pedoclimatiche (piovosità, temperatura, ecc.); (x) caratteristiche della flora pabulare e sue caratteristiche nutrizionali; (d) razionalizzazione dell’autosufficienza foraggera aziendale; (e) valutazione di un’economicità dell’allevamento coerente con la sua sostenibilità ambientale e sociale; (f) valutazione delle dotazioni strutturali e infra-strutturali e adeguamento delle stesse al fine di: (i) rendere accessibili le aziende al consumatore finale (ii) razionalizzare il lavoro (iii) ridurre i tempi di percorrenza (iv) razionalizzare l’alimentazione e le strutture (v) contribuire a un efficace risanamento sanitario in linea con l’esigenza di ‘biosicurezza’; in particolare, M. Badan et al. (2011) individuano i seguenti otto punti critici da prendere in considerazione in un piano di ‘biosicurezza’ nell’allevamento bovino tra i quali: • movimentazione degli animali • accessibilità all’allevamento (persone e mezzi) • gestione della mandria • pulizia e disinfezione degli ambienti • gestione e smaltimento deiezioni • corretta conservazione dei mangimi; tali interventi ridurrebbero la profonda submarginalità in cui talora operano le ‘imprese’ zootecniche allevanti il ‘BovGRAI’ con carenza o addirittura assenza di adeguate strutture e di indispensabili infrastrutture (acqua, energia elettrica, viabilità); talvolta, l’allevamento viene condotto adottando tecniche quali, a esempio, la mungitura manuale a mezzadria (in presenza del vitello), le quali si ripercuotono negativamente sulle caratteristiche qualitative del prodotto; (g) identificazione del ruolo svolto dall’azienda nella gestione del ‘bioterritorio’, con particolare riferimento alla incentivazione dell’imprenditoria zootecnica e dell’associazionismo al fine di costituire sistemi produttivi bioterritoriali altamente competitivi, anche in aree ove la funzione principe degli allevatori è quella di presidio del bioterritorio; (h) valorizzazione del latte con la sua trasformazione in caciocavallo e della carne con promozione di ‘filiere corte’ attraverso la realizzazione di ‘minicaseifici’ aziendali e ‘minimacelli’, ecc.; (i) destinazione delle vacche di BovGRAI non utilizzabili per la produzione del ‘quoziente di avvicendamento’ o agli incroci con bovini a prevalente attitudine alla produzione di carne e/o a svolgere la funzione di riceventi di embrioni di tipi genetici con prevalente attitudine alla produzione di carne e/o per altri scopi; (j) realizzazione di macelli mobili; (k) maggiore sensibilizzazione degli enti istituzionali, inclusi quelli preposti all’educazione delle giovani generazioni, affinché queste siano pervase da inquietudine e da dubbi ‘sani’ sullo stato di 41 salute del pianeta e, segnatamente, di quello di bioterritori (microagroecosistemi) interessati alla presenza del BovGrAI; (l) impiego di modellistica di previsione a breve e a lungo termine di ‘scenari’ di sostenibilità per aree omogenee in linea con la definizione di ‘bioterritorio’; (m) applicazione di strategie innovative ‘intelligenti’ basate sull’impiego di: (i) satelliti informativi per la gestione del bestiame e delle coltivazioni (ii) telerilevamento con i droni (iii) agricoltura di precisione, la quale tiene conto delle effettive esigenze colturali e delle caratteristiche biochimiche e fisiche del suolo (iv) foraggicoltura guidata dal computer (v) prefabbricati mobili per la trasformazione e per gli addetti all’allevamento (vi) ricoveri zootecnici, annessi agricoli, ecc. realizzati mediante l’impiego della cosiddetta ‘architettura verde’ basata sull’utilizzo, come materiale di costruzione, di fibra vegetale (canapa, cocco, cotone, legno, paglia, sughero, ecc.); tale materiale, anche denominato ‘matrice rinnovabile’, spesso proviene da fonti in loco; pertanto, esso contribuisce a uno sviluppo integrale e integrato di un dato ‘bioterritorio’ (Progetto ‘Ru.De’, Paglia Rural Design) (n) adozione di misure comportanti anche un’integrazione del reddito quali: (i) impiego del fotovoltaico; nel settore agro-zootecnico il tema dell’energia e del suo consumo, nonché approvvigionamento sta assumendo un’importanza sempre maggiore; (ii) energia eolica (iii) impiego di ‘biomasse’ (iv) integrazione con ‘laghetti collinari’; questi ultimi, specialmente nelle aree collinari e montane dell’Appennino Meridionale, ove la scarsezza delle precipitazioni atmosferiche costituisce un fattore fortemente limitante della produttività del suolo, potrebbero fornire un contributo alla ottimizzazione dell’uso dell’acqua; il primo esperimento di laghetto viene realizzato in una fattoria toscana nel 1951 con un invaso di 20.000 metri cubi in grado di irrigare 10-12 ettari di “autentica collina”; un lago collinare nel contesto di un ‘bioterritorio’ allevante il BovGrAI potrebbe fungere da supporto sia del sistema paesaggistico, sia di una minore vulnerabilità del sistema bioterritoriale a causa di una maggiore complessità delle interazioni agroecosistemiche; le potenzialità dei laghi rispetto a questa funzione potrebbero essere favorite e garantite da una loro continuità con altre strutture naturali (o) consulenza tecnica ‘disinteressata’ all’allevatore da affidare a personale qualificato (o da qualificare). Secondo D. Matassino (1981), sotto l’aspetto agronomico operativo, la suddivisione delle superfici meriterebbe una revisione nel senso che essa dovrebbe essere basata sulla classificazione del suolo in termini di produttività agronomica; tali modelli possono essere considerati il risultato di un’armonica integrazione tra variabili climatiche, pedoclimatiche e agronomiche di tanti microsistemi bioterritoriali, i quali, in ultima analisi, possono identificarsi con l’azienda. Questi strumenti previsionali sono di grande utilità per redigere una vera e propria carta dell’uso di un suolo. Trattasi di un supporto tecnico non ancora sufficientemente preso in considerazione nell’ambito di qualsiasi intervento programmatorio, ma in via di sviluppo grazie alla diffusione di reti di rilevamento di elementi climatici e pedologici. La sua utilizzazione permetterebbe di disporre di elementi necessari ai fini dell’uso di un suolo e, pertanto, di una oggettiva finalizzazione dell’impiego di un suolo. Ciò riveste importanza fondamentale nell’attuazione di qualsiasi intervento tendente a razionalizzare specialmente quelle imprese zootecniche utilizzanti le risorse alimentari prodotte in loco. In tale contesto è auspicabile un ripristino del rapporto tra condizioni ambientali e utilizzo del suolo. Come osserva S. Malcevschi (2011), con la meccanizzazione dell’agricoltura e l’impiego massivo di fertilizzanti ci si è illusi, nella seconda metà del secolo scorso, di poter dimenticare le regole di funzionamento della ‘biosfera’ e di poter adattare qualsiasi tipo di suolo alle esigenze dell’uomo. Pertanto, gli interventi di recupero bioterritoriale dovrebbero mirare a un recupero, nello spirito di ‘Gaia’, dei cicli biogeochimici naturali minati nei presupposti funzionali fondamentali da un utilizzo indiscriminato delle risorse naturali. 42 La interconnessione tra il sistema collinare e quello montano dell’Appennino deve essere sempre un elemento fondante dell’attività produttiva e della realizzazione di un sistema ‘integrato’, ove, indubbiamente l’agriturismo dovrà svolgere un ruolo importante per incrementare il valore aggiunto. L’allevamento del BovGrAI potrebbe svolgere un ruolo chiave nel favorire il cambio di destinazione dei terreni demaniali, tenendo conto del seguente concetto di C. Cattaneo (1801-1869): “L’agricoltura è un vero e proprio atto di civiltà”. Come proposto da Matassino D. (1981), le aree demaniali potrebbero diventare l’elemento aggregante dell’attuale zootecnia, specialmente di montagna e, quindi, rappresentare in futuro il centro vitale di ciascuna area e l’elemento propulsore di azioni di sviluppo. La disponibilità di superfici demaniali potrebbe essere destinata alla costituzione di ‘nuclei demaniali di sviluppo integrato polifunzionali (NDSIP)’, con opportuna integrazione di aree private limitrofe, allo scopo di uno sviluppo sostenibile integrale e integrato specialmente nel ‘bioterritorio montano e collinare’. Tale nucleo dovrebbe poter usufruire di una specifica consulenza tecnica computerizzata, a garanzia di elementi oggettivi di valutazione dei diversi momenti dell’allevamento (riproduzione, produzione, alimentazione, sanità, ecc.) al fine di intervenire tempestivamente per elevare il reddito aziendale. La consulenza dovrebbe contribuire a risolvere anche i problemi connessi alla trasformazione della materia prima (latte e carne). Sarebbe auspicabile che il confine geografico del NDSIP non fosse influenzato da quello amministrativo. Tenendo conto dell'attuale realtà, un NDSIP potrebbe contribuire a: (a) stanzializzazione e recupero dell'efficienza degli allevamenti, nonché miglioramento dell’utilizzo dei pascoli; (b) una forte integrazione delle superfici interessate (private e pubbliche) grazie al co-interessamento non solo degli allevatori, ma anche degli addetti ad altri settori produttivi ricadenti nell'area del NDSIP. Quanto finora evidenziato, unitamente all’applicazione di moderne tecniche, dovrebbe facilmente indurre a rivedere un forte pregiudizio: la immodificabilità della destinazione di ampie superfici bioterritoriali del nostro Meridione (D. Matassino, 1984). Infatti, queste aree potrebbero proficuamente essere valorizzate con un duplice vantaggio: (a) la tutela del ‘bioterritorio’; (b) il rilancio dell’economia, oggi si potrebbe dire in termini di ‘bioeconomia’. Tali interventi fonirebbero un contributo al conseguimento di tale sostenibilità in linea con i cardini della bioeconomia basati su: riduzione dell’inquinamento; chiusura dei cicli locali dell’alimentazione, dell’energia e dei rifiuti; promozione della qualità e della unicità dei prodotti, ottimizzazione della mobilizzazione delle persone; riqualificazione delle strutture agricole e forestali; recupero del rapporto ‘campagna-città’, ecc.. A conferma di questi interventi, S. Bocchi (2011), il ripristino dei processi di reciprocità e di integrazione tra il mondo rurale e quello cittadino può essere considerato un fattore di garanzia per la ‘sicurezza alimentare’ e ‘ambientale’ (food/environmental security); trattasi di una nuova visione basata sul ruolo multifunzionale dell’agricoltura, in cui il rapporto con il mondo rurale viene inserito in un sistema più ampio di scale di valori, alcuni dei quali sono monetizzabili, altri riguardano tutto ciò che l’economia neoclassica concepisce come esternalità, talora completamente ignorati, quali: le peculiarità irriproducibili dei luoghi, l’ambiente, il capitale sociale, i saperi, il paesaggio, i beni comuni e le economie derivate. Secondo D. Matassino e A. Cappuccio (1998) e M. Ferretto (2011), questi valori diventano strumenti da integrare nei piani urbani e bioterritoriali in una sorta di ‘territorializzazione della multifunzionalità’ al fine di contribuire a un progetto unitario di agricoltura urbana e periurbana nel quale le attività delle aziende agricole e di tutti gli ‘attori’ che ruotano intorno vengano identificate, finalizzate e integrate nel contesto urbano. La diffusione di mercati locali gestiti direttamente dai produttori è emblematica di questa nuova esigenza di integrazione tra il mondo rurale e quello urbano, nell’ottica di favorire nel consumatore ‘co-produttore’ lo sviluppo della consapevolezza delle ‘qualità territoriali’ dei prodotti, nonché un dialogo con il produttore che coinvolga anche gli aspetti sociali e ambientali legati al prodotto stesso. Altrettanto sintomatiche di questa esigenza sono: (a) la diffusione di nuove forme di turismo, quali il ‘turismo verde’ o l’agriturismo, in costante crescita a partire dagli anni ’90; la recente espansione degli agriturismi anche in aree periurbane testimonia la rinnovata esigenza di uno scambio tra città e campagna (b) la diffusione, in contrasto con la globalizzazione dei consumi e con l'impiego di biotecniche innovative nella preparazione di nuovi alimenti, nella società ‘opulenta’ di tradizioni culinarie fortemente legate all'identità del bioterritorio, nonché una richiesta di prodotti che, aldilà delle 43 qualità merceologiche siano in grado di rappresentare un sistema più ampio includente: l’artigianato, il paesaggio, la storia, lo stile di vita. Si ricorda che, storicamente, la ricerca di un contatto tra ‘ruralità’ e ‘città’ è spesso parte integrante di un riassetto degli insediamenti o di strategie politiche su larga scala, come evidenziato da alcune opere d’arte del Medio–Evo e del Rinascimento; opere che esprimono, storicamente, il progetto della ‘forma urbis et agri’. Un esempio è “l’allegoria del Buono e Cattivo governo e dei loro effetti in Città e campagna” di A. Lorenzetti (1338, Siena), un affresco emblematico di un disegno geopolitico tendente a individuare un equilibrio tra la città e il contado, in cui gli artigiani e i commercianti delle città traggono la loro ricchezza da un rapporto con i produttori del contado. Altrettanto emblematiche sono le ‘ville suburbane’ o ‘ville fattoria’ di ‘palladiana memoria’ inserite in un piano strategico di ‘riterritorializzazione’ della ricchezza dopo l’indebolimento del predominio navale subito da Venezia nel 1509; tale ‘riterritorializzazione’ viene tradotta dal Palladio in una vera e propria ‘poetica’ del territorio (A. Calori, 2011). In tale contesto, mi piace ribadire quanto affermavo nel 1997 in merito alla contestabilità della tendenza che vi è stata a realizzare vere e proprie città 'clonate' ('Cyber Urbes') nella quale viene a mancare qualsiasi legame di tipo 'geo-psichico' e 'culturale' con il bioterritorio, quindi con la storia di ciascuno di noi inserito in un contesto sociale dinamico, ma fortemente ancorato alle tradizioni peculiari di un dato bioterritorio. Si auspica, pertanto, un’inversione di tale tendenza in modo da sviluppare un ritorno alla visione umanistica di ‘agorà’ che dovrà sostituire quella di 'Cyber urbes'. Pertanto, come affermavo nel 1990, l’informazione dovrebbe rendere più convinta la partecipazione del cittadino alla conoscenza della complessa attività zootecnica nei suoi risvolti di tutela dell’agroecosistema naturale. E’ proprio l’operatore zootecnico, particolarmente, che fino a oggi ha provveduto alla conservazione dell’agroecosistema, con particolare riferimento a quello collinare e montano; tali agroecosistemi sono spesso abbandonati per il prevalere di una politica fortemente urbanizzante. Credo di incontrare il consenso del lettore nel ritenere inaccettabile il trend d'isolamento della singola persona in quanto al centro degli interessi cosmici di qualsiasi società di esseri 'pensanti' debba restare l'uomo quale 'persona'. Pertanto, tutti coloro che svolgono un certo ruolo nella società debbono assumere la responsabilità di contribuire a individuare percorsi 'meditati' in grado di pilotare lo sviluppo futuro verso il raggiungimento di traguardi sempre piú a misura dell'uomo 'persona'. In fondo, è il modello 'personalista' che deve guidare qualsiasi azione dell'uomo. Solo una visione 'personalista', ben lontana da quella 'monodiana' o da quella 'pragmatista-utilitarista' o da quella 'socio-biologica', sarà in grado di guidare le azioni umane in modo tale che queste abbiano sempre come fine l'uomo (D. Matassino, 1989). 10. Conclusioni Da quanto detto si possono trarre alcune conclusioni di seguito riportate. 1. La tutela del ‘BovGrAI’ (già Podolica) assume il significato di salvaguardia di irripetibile materiale biologico, di valore ‘storico-culturale’ inestimabile e originale e di notevole significato socioeconomico per la valorizzazione di bioterritori, specialmente dell’area mediterranea. 2. La necessità di un intervento mirato alla esaltazione delle capacità produttive del ‘BovGrAI’ (già Podolica) risponde sia a un’esigenza e una sfida ‘culturale’, sia alla convinzione che esistono i margini per un inserimento di questo tipo genetico in un sistema efficiente e competitivo. 3. Il ‘bovino Grigio autoctono italiano’ (gia’ Podolica), ‘naturalmente’ integrato nel ‘bioterritorio’ in cui vive, può essere considerato un’espressione massima della ‘biofilia’ quindi di ‘connessionismo’ con il bioterritorio in cui vive. 4. Il ‘BovGrAI’ (gia’ Podolica) deve essere considerato un vero e proprio elemento di tutela di un determinato ‘agroecosistema’, in particolare, una opportunità per lo sviluppo delle “aree collinari e montane dell’Appennino Meridionale e di numerose altre zone del bacino del Mediterraneo anche alla luce della nuova politica dell’Ue, orientata a rivalutare lo sviluppo rurale ecosostenibile di un ‘bioterritorio’ grazie a sistemi di allevamento meno intensivo. Pertanto, diventa sempre più impellente individuare percorsi innovativi e coraggiosi al fine di instaurare un novello rapporto tra uomo, terra e altri esseri viventi. 5. E’ indispensabile un accordo profondo e armonico tra istituzioni locali e ricerca per l’attuazione di progetti strategici e sinergici sfocianti in una diffusa domanda di innovazione del sistema totale e capaci di far emergere sintonicamente l’idea forza della ‘originalità’. 44 6. Un alimento ‘nutraceutico’, specialmente fornito da un tipo genetico locale antico (TGLA), può rappresentare la base per prevedere la costituzione di vere e proprie “fattorie nutraceutiche” nelle quali è possibile evidenziare alcune virtù ‘nutraceutiche’ di un alimento validando il tutto con ‘etichette’ cosiddette ‘intelligenti’ [QR CODE (quick response code = risposta rapida) – RFID (radio frequency identification system = sistema di identificazione basato su radiofrequenza)]; la realizzazione di queste “fattorie nutraceutiche” può essere foriera di illimitata rilevanza scientifica, economica e sociale. 7. Il valore ‘nutraceutico’ di un alimento è sostanzialmente il risultato di complessi, raffinati e sofisticati fenomeni biologici influenzati dall’ambiente ‘antropo-bio-geo-pedo-climatico’ variabile in relazione al ‘bioterritorio’. 8. E’ fondamentale evidenziare che l’impegno in atto da parte degli allevatori richiede una non piu’ indilazionabile disinteressata consulenza tecnica affinché i ‘punti di debolezza’ o ‘punti critici’ (irrazionale utilizzazione dei pascoli, strutture varie e infrastrutture) vengano eliminati e/o ridotti per uno sviluppo dinamico e innovativo dell’allevamento (a esempio, ‘mungitura meccanica’). 9. Il ‘BovGrAI’ (già Podolica) può essere considerato un animale dalle funzioni non sostituibili ed è un vero protagonista di uno sviluppo sostenibile di un ‘bioterritorio’ o ‘microbiosfera’ di una determinata ‘area geografica’ come quella del Mezzogiorno d’Italia (D. Matassino, 2000; D. Matassino et al., 2012a). 10. Imparando dalla natura 'in senso lato' e opportunamente imitandola, è possibile risolvere i tanti problemi che ci assillano, specialmente quelli della gestione del ‘bioterritorio’ e dell'ambiente in senso generale. 11. La figura 15 è emblematica delle interconnessioni utili e ‘insostituibili’ per favorire lo sviluppo di un ‘bioterritorio’. 1. Figura 15 - Trinomio rappresentativo delle interconnessioni tra ricerca avanzata, politiche agro-alimentari e sviluppo di un ‘bioterritorio’ (D. Matassino, 2009). 12. Il ‘BovGRAI’ rappresenta una risorsa ideale al fine di consentire una saldatura tra passato e futuro alla luce del presente senza incorrere nel pericolo di cancellare la storia o di rimanere prigionieri di essa. 11. Ringraziamento “Un dovuto e sentito ringraziamento alla dr.ssa Mariaconsiglia Occidente per il Suo prezioso e insostituibile ausilio nella ricerca bibliografica e nella riorganizzazione dei vari capitoli”. 45 12. Opere citate ACHILLI A., OLIVIERI A., PALA M., METSPALU E., FORNARINO S., BATTAGLIA V., ACCETTURO M., KUTUEV I., KHUSNUTDINOVA E., PENNARUM E., CERUTTI N., DI GAETANO G., CROBU F., PALLI D., MATULLO G., SANTACHIARA –BENERECETTI A.S., CAVALLI SFORZA L.L., SEMINO O., VILLEMS R., BANDELT H-J., PIAZZA A. E TORRONI A.. (1997). Mitochondrial DNA variation of modern Tuscans supports the Near Eastern origin of Etruscans. The American Journal of Human Genetics, 80, 759-768. AGNATI A.. (2011). In: ‘Campagna e città’, Touring Club Italiano. ARNOLD L. e DUDZINSKI M.L.. (1978). Ethology of free ranging domestic animals. Elsevier Scientific Publishing Company, Amsterdam, 1-198. BAILEY J.A., GU Z., CLARK R. A., REINERT K., SAMONTE R. V., SCHWARTZ S., ADAMS M.D., MYERS E. W., LI P.W., EICHLER E.E.. (2002). Recent Segmental Duplications in the Human Genome. Science, 297, 1003-1007. BEHE M.J. (1996). Intervista rilasciata al ‘The New York Times’, 29 ottobre. 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