Gian Berto Vanni: Itinerari Pittorici - Unisi.it
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Gian Berto Vanni: Itinerari Pittorici - Unisi.it
Università degli Studi di Siena Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di Laurea in Lettere Gian Berto Vanni Itinerari pittorici Tesi di laurea di Valentina Puccioni Relatore prof. Enrico Crispolti Correlatore prof. Luca Quattrocchi Anno accademico 2001-2002 a mio padre Sommario 7 Introduzione 13 Capitolo 1 Gli anni di formazione 47 Capitolo 2 Parigi - Le prime ricerche 65 Capitolo 3 Roma - La mobilità stilistico-formale, lo spazio ambiguo 111 Capitolo 4 New York - Eclettismo come sistema 163 Conclusione 167 Bibliografia 175 Indice dei nomi di persona 181 Catalogo ragionato dei dipinti 429 Catalogo completo dei dipinti 555 Catalogo della grafica Introduzione Vidi per la prima volta le opere di Gian Berto Vanni alcuni anni fa, quando stavo iniziando i miei studi in storia dell’arte. La mia attrazione di allora per il mondo che aveva creato nei suoi quadri era più istintiva che ragionata, mancandomi ancora le basi che mi permettessero una lettura critica e storica. Più tardi col progredire degli studi e attraverso un contatto diretto e frequente con il lavoro di Vanni è maturata la coscienza di quanto la natura di quelle forme che mi attraevano tanto fosse complessa e multiforme. Da questo è nato il bisogno di ricercarne le radici, analizzarne gli sviluppi, sondarne le influenze, contestualizzarlo storicamente e socialmente. Nel corso di questo studio ho avuto in Vanni un interlocutore sempre presente e disponibile a trattare i temi che andavo affrontando in tutti i suoi aspetti intellettuali e pratici. Ecco che il confronto diretto con l’artista, che uno studio di arte contemporanea rende, per ovvie motivazioni temporali, quasi sempre possibile, ha acquistato in questo caso uno spessore del tutto straordinario. L’ accessibilità particolare ad una quantità di informazioni mi ha reso possibile di ricostruire esperienze e ricerche passate e presenti di Vanni molto più in profondità. Periodi che per la mia generazione appartengono ad una dimensione storiografica (Vanni è nato nel 1927, cioè più di quarant’anni prima di me) hanno acquistato una immediatezza ed una attualità normalmente pertinenti ad un esercizio critico. 7 Si è inoltre venuta a creare una situazione estremamente dinamica nella quale ho avuto l’opportunità di riesaminare con lui il materiale raccolto nel momento stesso in cui stava prendendo corpo. Vanni a sua volta è stato portato a rivisitare, con l’esperienza accumulata nel tempo, le sue ricerche passate. Vicende e situazioni lontane hanno così acquistato un valore rinnovato, carico di altri significati che lui stesso aveva trascurato. Mi sono perciò trovata nella posizione di poter accedere ad esperienze più strettamente personali che se possono sembrare a prima vista marginali, si rivelano invece essere alla base di determinate scelte creative. Ne è scaturita una personalità complessa che ha seguito un percorso anomalo, tanto nella sua formazione che nello sviluppo della sua ricerca. Ma soprattutto uno spirito guidato da una curiosità sempre viva al servizio di una inventività immaginativa che non trascura di esplorare per poi trasporli in pittura i campi più disparati, che vanno dalla musica, al teatro, alla letteratura. E proprio in questo sta il fascino della ricerca di Vanni: una capacità di rinnovarsi attraverso una continua rimessa in questione delle proprie certezze ed una rielaborazione sistematica di nuove esperienze senza mai cristallizzarsi in alcuna di queste. Difatti il suo percorso artistico si caratterizza per una posizione di solitario che lo ha portato ad articolare una sua visione propria ed indipendente dai movimenti artistici che si andavano delineando. La storiografia dell’arte contemporanea è presentata nella maggior parte dei casi come un susseguirsi lineare di movimenti articolati in tendenze e correnti. Questo approccio non prende neanche in considerazione delle ricerche personali e indipendenti che non trovano posto in questi schemi, tralasciando una parte consistente della espressione artistica rappresentata da risposte alternative ai problemi sollevati dalla società contemporanea. È anche per questo che ho trovato particolarmente interessante di seguire la ricerca di un artista la cui opera si sia sviluppata al di fuori dei tracciati posti da quei movimenti che hanno caratterizzato la scena artistica degli ultimi 8 cinquant’anni. Però, pur avendo come referente costante la sua propria evoluzione creativa, il suo rapporto con altre proposte estetiche e concettuali è stato di costante attenzione. Se talvolta agisce ignorando certe manifestazioni per lui artificiose non agisce nell’ignoranza di queste. La sua espressione risente continuamente delle pulsioni esterne talvolta per repulsione, altre per attrazione. La sua reazione, dettata dalla matrice classica della sua formazione non è mai immediata ed istintiva, ma è determinata da una mediazione intellettuale che mette il nuovo apporto in relazione con il bagaglio culturale preesistente. In questa maniera Vanni metabolizza le esperienze più disparate per integrarle magari sotto forma di contraddizione eclettica nella sua complessa cosmogonia. L’osservazione di correnti e movimenti dall’esterno non ha però significato l’assenza di un incontro dialettico con altri artisti. Non è casuale che questi siano anche loro più interessati alla loro individualità che ad una identità di gruppo. La mia esperienza diretta è stata arricchita dalla frequentazione di molti amici artisti di Vanni raccogliendo le loro considerazioni e commenti. In queste occasioni ho potuto osservare quanto, fra gli artisti che hanno scelto un percorso di ricerca autonomo, esista un rispetto particolare più per la diversità che per la somiglianza delle soluzioni adottate. Mi è apparso quindi più chiaramente l’interesse di raccogliere le esperienze di artisti che hanno seguito soluzioni alternative a quella della strada maestra dell’arte contemporanea, e documentare come il loro lavoro creativo sia più vitale di come appaia oggi. Per tutti questi motivi l’evoluzione della mia ricerca non si è svolta principalmente sui libri. Questi mi sono soprattutto serviti per un confronto costante, per verificare in quale maniera il materiale che andavo raccogliendo interagisse con la realtà di quel momento. Questa indagine utilizza una forte componente biografica per illustrare vari aspetti che esulano dal contesto strettamente pittorico ma che hanno avuto una funzione determinante nella formazione del mondo figurativo di Vanni. Prima di tutto una 9 passione per la sperimentazione intesa in senso di indagine scientifica, ereditata da suo padre parassitologo, che gli ha dato il gusto per l’analisi approfondita oltre l’apparenza superficiale e, da questo, l’interesse per la varietà e la diversità. Poi un marcato interesse per la filosofia, che ha sviluppato in lui uno spiccato senso del classico; e per classico si intende sia una predilezione per il linguaggio formale rispetto al soggetto inteso in senso letterario, sia una espressione dominata dall’intelletto piuttosto che dall’istinto. Inoltre, la scelta di lunghi soggiorni in diversi paesi che ha costituito una fonte continua di stimoli visivi e culturali. Questi stessi hanno contribuito ad un avvicendarsi, fino a fine degli anni sessanta, di linguaggi pittorici distinti, talvolta apparentemente molto diversi tra loro. In realtà si tratta del percorso di avvicinamento ad una formulazione che è la chiave di volta della poetica di Vanni: una ambiguità di interpretazione che si esprime attraverso contraddizioni spaziali, temporali, formali, iconologiche. Queste rappresentano per lui il riflesso della vita reale, dove convivono “...realtà tra loro diversissime e appartenenti a logiche diverse eppure tutte altrettanto valide.” I suoi quadri esprimono tale molteplicità, nei suoi elementi macroscopici e microscopici, scandagliati, sezionati e riassemblati in strutture metamorfiche. Il punto di decantazione è la memoria, dove passato e presente coesistono e si confondono, rendendo qualsiasi formulazione possibile. Dalle lagune olandesi agli intonaci Cicladici fino alle cellule esaminate al microscopio, gli aspetti della realtà che hanno interessato ed interessano Vanni sono innumerevoli. Vedremo come in maniera progressiva la commistione sempre più serrata, all’interno dello stesso quadro, di spazialità determinate da linguaggi diversi, si evolve, a partire dalla metà degli anni settanta, in un eclettismo sistematico. Questo, per Vanni, non rappresenta il risultato di una incertezza delle proprie motivazioni, bensì l’espressione di una dialettica poetica che si rafforza nel confronto degli opposti. La mia ricerca riserva un’attenzione particolare alla tecnica pittorica. Questa rappresenta per Vanni un requisito essenziale 10 alla formulazione artistica. Condivide con Albers e Cagli l’idea che una profonda conoscenza delle tecniche sia fondamentale nel mestiere del pittore e che ne stimoli la creatività, tema base dei suoi corsi di pittura alla Cooper Union di New York. Per questo motivo vengono anche citati gli interessi di Vanni per sperimentazioni extrapittoriche come fotografia e computer o la sua collaborazione a progetti architettonici L’elaborato programma formale e la padronanza tecnica non assumono per Vanni il ruolo di protagonisti nelle sue opere. Devono piuttosto essere i mezzi per bilanciare le due componenti che stanno alla base della creatività: intelletto ed istinto. Vi sono artisti per cui la creazione dell’opera d’arte è un bisogno fisiologico, dettato dalla necessità di esteriorizzare un impulso interiore che si può definire come istintivo. Per loro lavorare è una necessità anche fisica, e questa loro espressione avviene come se fosse indipendente dal ragionamento. Altri artisti, viceversa, arrivano alla creazione dell’opera d’arte come dimostrazione tangibile di un concetto preesistente cui l’opera d’arte da’ forma. Nel processo creativo di Vanni i due aspetti coesistono. Per lui l’aspetto istintivo polarizza sulla tela esperienze assimilate che intelletto e tecnica devono mediare, trasformare, fino a produrre una o molteplici sintesi. In questo processo si avvale di tutte le conoscenze accumulate nel suo percorso creativo, esprimendo la complessità che caratterizza e che avvolge il mondo in cui viviamo. 11 AVVERTENZE Nel riferirsi ad un’opera nel testo, si è ritenuto opportuno riportare, nella colonna a fianco, il suo numero nel catalogo completo di Vanni, a cui si rimanda. Questo inizia a pagina 429 per le pitture (indicate dalla lettera “P” che precede le quattro cifre di catalogazione) e a pagina 555 per la grafica (lettera “G”). Qualora si trattasse di un’opera che è anche stata trattata nel catalogo ragionato, che inizia a pagina 181, al numero si è fatto seguire la dicitura “cat. rag.” Per facilitare la corrispondenza titolo-numero di catalogo si è cercato, dove possibile, di allinearli, altrimenti sono stati contrassegnati da un asterisco. 12 Capitolo 1 (1) Lui stesso era nato in un ambiente scientifico perchè suo padre, Giuseppe Vanni, era un fisico che contribuì alla ricerca sulla radio inventando, fra l’altro, l’antenna goniometrica. (2) Suo padre, Alberto Pericoli, aveva dei cantieri a Parigi e in Svizzera. Augusto Pericoli, suo fratello, visse la più gran parte della sua vita a Parigi. Qui diresse la compagnia dei Wagon lits, e affidò a Cassandre le campagne dei manifesti pubblicitari. Gli anni di formazione Gian Berto Vanni nasce a Roma nel 1927. Cresce in un ambiente scientifico ed intellettuale centrato intorno alla figura carismatica del padre, Vittorio Vanni, noto professore di parassitologia all’università di Roma e medico curante dell’alta società.1 La madre, Marcella Pericoli Vanni, proviene da una antica famiglia romana di stampo tradizionale, conservatrice ma antifascista, che aveva molti contatti con l’estero, principalmente con Parigi. 2 L’influenza del padre è determinante nella formazione di Vanni. Questi era un uomo dotato di un brillante spirito intellettuale che frequentava le persone più significative del mondo culturale romano tra le due guerre, coltivando, oltre alla medicina, un grande interesse per l’arte, la musica e la letteratura. Vanni è poco più che un bambino ma la sua immaginazione viene continuamente stimolata da apporti diversi. Suo padre è fermamente convinto che anche se come bambino non può afferrare il significato complesso di certe esperienze, queste gli rimarranno dentro la mente per ritornare più tardi, aiutandolo a sviluppare precocemente quella cultura umanistica che per lui rappresenta la base irrinunciabile di qualsiasi impresa intellettuale. Così nelle prime esperienze di Vanni si affiancano, oltre ai concerti, alle opere d’arte viste nei musei, nelle chiese e nelle collezioni private di clienti di suo padre, una grande quantità di ricordi più disparati. Menzionarne alcuni tra i più 13 significativi ci sarà di aiuto più tardi per capire come l’interesse di Vanni non si fisserà mai entro parametri definiti, ma spazierà sotto l’impulso della sua curiosità inquisitiva. Dalla visita alla caverna del Circeo piena di ossa di cervi e orsi dove un amico di famiglia paleontologo, il barone Blanc, aveva appena scoperto l’unico cranio di uomo del Neanderthal trovato in Italia,3 alle due grandi sfere di rame che producono fulmini serpentini di luce bluastra al laboratorio di suo nonno all’Istituto di radiotelegrafia.4 Essere calato per primo in una tomba etrusca appena scoperta, per vedere quel mondo rimasto intatto per secoli rivelarsi davanti ai suoi occhi.5 Gli arrivi di una sua prozia materna dalla Cina colma di regali che gli riportava da quel paese.6 E ancora orientalismo nella casa dei Dubinsky arredata come un tempio indonesiano. 7 O incontrare Gandhi e poco tempo dopo Churchill nel salotto della contessa Mara Carnevale. Ma forse più di tutto ricorda i fine settimana con il professor Cerletti, 8 con il quale suo padre discute di problemi di psichiatria, dando a Vanni la coscienza del mondo parallelo del subconscio. Le frequenti visite all’Istituto di parassitologia diretto da suo padre contribuiscono inequivocabilmente allo sviluppo della sua immaginazione visiva. Lì esplora la vita nascosta all’interno di quella visibile a occhio nudo. Rimane per ore intere a guardare al microscopio cellule, protozoi, batteri o qualsiasi altra cosa per studiarne la struttura. Suo padre, andando a dare le sue lezioni, gli lascia vetrini con organismi diversi, colorandoli talvolta con reagenti che ne sottolineano i contorni. Lo affascina quel mondo di forme in crescita o regressione che sembrano essere in continua metamorfosi situati in uno spazio al di fuori dello spazio, senza un alto e un basso, in continua fluttazione. Rivede queste forme fantastiche nelle grandi e dettagliatissime tavole che suo padre disegna per i suoi corsi e le sue pubblicazioni. Viene così naturale per lui il collegamento tra scoperta e disegno come maniera di studiare e capire. Infatti la passione per la botanica e la zoologia si esprime attraverso disegni di sezioni di fiori e degli animali 14 (3) Carlo Alberto Blanc rinvenne il cranio neanderthaliano nella grotta Guattari, a San Felice Circeo, nel 1938. (4) Si tratta del generatore Van der Graaf di energia elettrostatica. Suo nonno paterno fondò e diresse fino alla sua scomparsa, nel 1932, l’Istituto di radiotelegrafia. (5) Negli scavi di Ladispoli diretti dal Professor Calza-Bini. (6) La sorella di sua nonna materna, Alberta Aloisi, viveva in Cina perchè suo figlio Max era direttore del Credito Italiano, prima a Tien Tsin, poi a Shanghai. (7) Il professor Sasha Dubinsky era un rinomato ostetrico e ginecologo. Si era stabilito a Roma dopo una vita movimentata: in origine polacco, naturalizzato olandese, aveva vissuto quindici anni nelle allora Indie Olandesi, a Java, Sumatra e Borneo. Così descrive Vanni la sua casa a piazza Sallustio: “Un villino che aveva arredato e trasformato in un tempio buddista indonesiano. C’era soprattutto una cappella che mi impressionava molto, piccola, scura, in cui luccicavano cuscini dorati, e in fondo un tabernacolo illuminato di rosso dentro il quale sedeva un budda d’avorio coperto di collane.” (8) Ugo Cerletti, noto psichiatra, fu l’inventore dell’elettroshock, di cui denunciò, in seguito, l’uso sconsiderato che se ne fece. (9) Valentina Puccioni, Intervista a Gian Berto Vanni, New York, ottobre 2000. Vanni aggiunge che “Attraverso questi filtri socioculturali mi resi conto solo alla fine della guerra dell’esistenza di una Scuola romana, di Scipione, Mafai, Capogrossi, Colla e Cagli.” L’unico gruppo di vedute più larghe era quello che ruotava attorno ai compositori dove “...si vedevano opere di respiro meno provinciale, come De Chirico e Carrà metafisici, Campigli, Casorati, Carena, Morandi, Sironi.” Questo gli fa notare per inciso la sorprendente refrattarietà verso l’arte contemporanea in una società che aveva accettato le innovazioni musicali di Alfredo Casella. dei suoi terrari. Vi osserva l’attività di formiche, grilli, cavallette, mantidi, aspettando la trasformazione dei bruchi in ninfa, crisalide e insetto perfetto. Queste esperienze che si affastellano nella sua mente di bambino e poi di adolescente, si ricomporranno più tardi in immagini che, decontestualizzate, troveranno una loro collocazione nel mondo figurativo delle opere della maturità. L’interesse per l’arte e per la pittura in particolare proviene dalla passione che nutre per questa suo padre, che viene spesso consultato nelle attribuzioni di dipinti medioevali e rinascimentali di cui ha una profonda conoscenza. Seguendo la tradizione del dilettantismo colto di matrice classica, disegna lui stesso e porta con sé suo figlio, ancora adolescente, a copiare disegni dei grandi maestri del rinascimento direttamente dagli originali al Gabinetto delle stampe della Galleria Corsini. La conoscenza dell’arte rinascimentale che aveva suo padre era affiancata da una completa incomprensione per l’arte contemporanea, sentimento peraltro quasi unanimamente condiviso dall’alta società romana di quell’epoca. I ricordi di Vanni a questo proposito ci sono di grande aiuto in quanto rappresentano una testimonianza diretta della percezione diffusa in quella parte della società che avrebbe dovuto fornire il sostegno economico e intellettuale per una ricerca artistica di avanguardia. “Per il moderno ci si riferiva alla galleria La Barcaccia di Piazza di Spagna, fra Croatto e Prencipe, Donghi e Tosi per il rinnovo delle nature morte e dei paesaggi. Ogni tanto qualche post macchiaiuolo. Quelli più di punta si arrischiavano sul terreno minato di Rosai e Carrà paesaggista. In genere la tendenza al pittoresco dominava, Michetti e Mancini rappresentavano il massimo immaginabile come talento pittorico. Bargellini un mostro sacro rispettato più degli altri, ma nessuno ne avrebbe voluto un quadro in casa. Sciltian e Croatto bravissimi ma un po’ freddi, privi di sentimento. Mayer, ritrattista dell’alta borghesia era il campione della pittoricità per il piglio inglese dei suoi quadri.”9 Le prime esperienze pittoriche di Vanni maturano in questo 15 ambiente, facilitate dalla stretta amicizia di suo padre con molti degli artisti più apprezzati. Benché questi rappresentino un ritardo storico rispetto alle ricerche europee di quel momento, si situano in un contesto sottoscritto dagli insegnamenti accademici, fornendo a Vanni un prezioso tirocinio, che si manifesterà più tardi in un’abilità tecnica e figurativa che gli permetterà di intraprendere qualsiasi ricerca con una significativa padronanza e coscienza delle proprie capacità espressive. Il primo maestro sarà Bruno Croatto, grande amico di famiglia. Artista triestino trasferitosi a Roma negli anni venti, era conosciuto nell’alta borghesia e aristocrazia romana come ritrattista e pittore di nature morte, oltre che per le sue raffinate incisioni. Sarà lui a introdurre Vanni ai primi rudimenti di pittura portandolo con sé, ad appena dieci anni, a dipingere dal vero nella campagna romana e facendolo assistere alle sedute di ritratto nel suo studio di via del Babuino. La tecnica e lo stile di Croatto si erano formati all’Accademia di Monaco dove aveva studiato. I suoi quadri avevano una struttura analitica e precisa, con una pennellata quasi invisibile che negava la superficie del quadro. La pittura di Vanni si svilupperà in una direzione completamente diversa ma gli echi di questa primissima influenza si faranno sentire nei suoi quadri, soprattutto in un irrinunciabile equilibrio compositivo, sottolineato da un segno sempre molto controllato. Tra gli altri artisti amici di suo padre c’è Umberto Prencipe, acquafortista e paesaggista, che dirige la Calcografia Nazionale, dove Vanni apprende le tecniche di incisione. Giulio Bargellini, affreschista e mosaicista di grande talento, famosissimo a quell’epoca, che gli fa insegnare dal suo aiuto, Piergentili, la tecnica del mosaico. La stravaganza artistica è rappresentata da Sigismondo Meyer che gira per Roma in calesse, noto per i suoi ritratti che si rifanno, sia formalmente che tecnicamente, ai modi della pittura inglese del settecento. Dalla loro esperienza Vanni acquisisce il piacere per il mestiere della pittura tradizionale basato sull’importanza di una completa conoscenza del disegno e della tecnica come il solo strumento per dare forma ai propri concetti. 16 (10) Qui nasce l’amicizia con Luigi Boille, altro abilissimo allievo dei corsi, che si svilupperà durante gli anni di Parigi e che continua tutt’oggi. (11) Armando Verdiglione, “Il futurismo di Alberto Bragaglia”, in Alberto Bragaglia. Il futurismo europeo a cura di Fabiola Giancotti, Spirali/Vel, Milano 1997, p. 15. Si rimanda a questo stesso libro per delle notizie più approfondite su Alberto Bragaglia. In base a questi interessi, raggiunta l’adolescenza, Vanni, nell’autunno del ‘43, si iscrive ai corsi di disegno e pittura tenuti a Villa Strohl-Fern dal professor Hinna su un impianto rigorosamente accademico.10 La sua formazione tecnica non sarà però quella dominante della Accademia delle Belle Arti del tempo, improntata a una pittura di origine postimpressionista, a piani coprenti che cerca di riprodurre il tono locale senza l’uso di velature, ma deriverà dallo studio attento del primo e secondo Rinascimento cui lo aveva guidato suo padre. Questo lo porterà a sperimentare tecniche meno usuali, quali la tempera all’uovo e la pittura ad olio di tradizione veneziana, basata sull’uso della velatura e di ombre trasparenti. Con la fine della guerra nuove esperienze culturali porteranno Vanni a mettere in dubbio la maniera tradizionale fino ad allora seguita. È di questo periodo l’amicizia con Alberto Bragaglia, il cui pensiero gli fornirà un apporto determinante alla sua formazione. Fratello dei più noti Anton Giulio e Carlo Ludovico, di cui “...è stato largamente ispiratore...”,11 Alberto Bragaglia era professore di filosofia al liceo Giulio Cesare, dove Vanni aveva studiato. Negli anni della scuola, Bragaglia era stato preso da simpatia per questo suo studente appassionato di filosofia che voleva diventare pittore. Finito il liceo Vanni si vede con lui quasi tutti i giorni, spesso per andare insieme a dipingere sulle rive del Tevere. Incontri che diventano anche occasioni per discutere di pittura e di filosofia dell’arte. Si tratta di conversazioni dove Bragaglia, liberato dal suo ruolo di insegnare filosofia a un ex studente, cui peraltro aveva dato il massimo dei voti alla maturità, si lascia andare a considerazioni e confidenze sulle sue opinioni, su come non bisognasse mai guardare all’apparenza delle cose ma sempre al loro significato nascosto, su come un testo contasse molto di più per quello che era scritto tra le righe che per il suo contenuto manifesto. Gli testimonia una sfiducia nel mondo che si estende anche alle proprie capacità, controbilanciata da una grande fiducia nel pensiero e nell’arte. Queste conversazioni pressoché 17 quotidiane danno a Vanni una abitudine a pensare filosoficamente sulle cose di tutti i giorni. A staccarsi dal contingente per cercare in qualsiasi situazione sia la visione totale che il dettaglio che sfugge all’attenzione troppo focalizzata sull’attualità ma emerge soltanto quando il tempo è passato. La lezione di Bragaglia è di non credere subito per capire meglio più tardi. Allo stesso tempo parla di arte da pari a pari, per sua naturale modestia, con questo suo discepolo che sta muovendo i primi passi in quel mestiere. Così Vanni conosce episodi del futurismo come momenti di vita vissuta nella quotidianità di una avanguardia: Bragaglia gli racconta come certe idee fossero nate, liberandole così dall’inaccessibilità in cui la storia le confinava. Gli raccomanda anche una diffidenza vigile per le etichette, le mode, i partiti presi aprioristicamente in arte che fanno perdere di vista la propria genuina creatività, comunicandogli la sua resistenza ad “...essere mai assimilato e accostato in gruppo con gli altri.”12 Gli infonde il concetto che quello che importa è la costanza nell’approfondimento della ricerca, da mantenere sotto il vaglio continuo della propria analisi critica, e non condizionata da giudizi esterni qualora questi vengano dati in base all’omologazione o meno delle sue scelte alle idee correnti. Da un punto di vista strettamente formale Bragaglia espone Vanni alla ricerca astratta nell’arte, discutendo a lungo sulle due vene che considera più importanti: quella che ha le sue radici nella natura e l’altra basata sulla geometria pura. Malgrado il profondo legame di Bragaglia con l’astrattismo, Vanni può sperimentare di prima mano il valore che egli riponeva nella “disciplina delle formule acquisite nel tirocinio orientatore...”13 quando lo accompagna ai corsi di disegno del nudo, per esercitare la mano. Un atteggiamento di rispetto per la manualità che, unita ad una continua sperimentazione formale e ad un’analisi intellettuale delle proprie scelte creative, continua ancora oggi ad essere la strada seguita da Vanni nello sviluppo della sua ricerca. Questi incontri suggeriscono a Vanni anche l’esplorazione di 18 (12) Armando Verdiglione, “Il futurismo di Alberto Bragaglia”, in Alberto Bragaglia. Il futurismo europeo a cura di Fabiola Giancotti, Spirali/Vel, Milano 1997, p. 15. (13) Armando Verdiglione, “Il futurismo di Alberto Bragaglia”, in Alberto Bragaglia. Il futurismo europeo a cura di Fabiola Giancotti, Spirali/Vel, Milano 1997, p. 16. (14) Vanni parteciperà a dei lavori teatrali in altre due occasioni, durante i soggiorni a Parigi. La prima volta nel ‘50, quando farà i disegni dal vivo per le prove della messa in scena della Répétition di Anouilh e di Malborough s’en-vat-en guerre di Achard, entrambi della Compagnia di Jean-Louis Barrault et Madeleine Renaud, al Théâtre Marigny. La seconda nel ‘59 quando disegnerà la scenografia per Le Mariage de Figaro di Beaumarchais. (15) Alfredo Casella era uno dei pochi collezionisti di arte contemporanea a Roma in quel momento. Per delle notizie più approfondite su Casella e il collezionismo romano si rimanda a “Gli artisti, le gallerie, le occasioni” di M. Fagiolo dell’Arco e “Avanguardia musicale e Scuola Romana” di Alessio Vlad, in Sotto le stelle del ‘44, cat. mostra, Palazzo delle Esposizioni, Roma, 16 dic. 1994 - 28 feb. 1995, Zefiro, Follonica (GR) 1994, pp. 63-141 e 203-217. (16) Dopo i corsi seguiti a Villa Strohl-Fern Vanni vince il concorso per l’Accademia di San Luca nel ‘45 e nel ‘46. Negli stessi anni studia incisione alla Calcografia Nazionale sotto la direzione di Carlo Alberto Petrucci. Si era inoltre iscritto, nel ‘45 alla Facoltà di Architettura. altri mezzi per sviluppare la sua ricerca artistica. L’interesse che Bragaglia gli ispira per le arti plastiche nel teatro si concretizza nelle scenografie che Vanni disegna, nel ‘48, per due spettacoli teatrali: Asmodée di François Mauriac, per la regia di Distefano, al Teatro delle Arti e Il nostro bel castello scritto e diretto da Vittorio Sermonti al teatro Valle. 14 Un altro interesse, la fotografia, non prende forma allora ma crescerà con lo sviluppo artistico di Vanni contribuendo anche alla sua ricerca pittorica. Userà molto spesso la possibilità offerta dal mezzo fotografico di fissare quelle forme che nascondono nel loro movimento altre forme che vengono rivelate dallo scatto dell’otturatore. La conoscenza diretta di idee legate alla ricerca del futurismo è affiancata dal contatto con le opere che vede a casa delle figlie di Marinetti di cui è molto amico, come, ad esempio, gli Stati d’animo di Boccioni. Un quadro che lo colpisce pur senza influenzarlo direttamente, ma che comporterà molto più tardi, come del resto in tutte le influenze che lo hanno segnato, un interesse per il movimento nel suo svolgimento temporale fissato dalla contemporaneità dettata dalla rappresentazione spaziale. Un altro apporto sostanziale gli viene dall’assidua frequentazione, fin dal ‘43, della casa del compositore Alfredo Casella dove si riuniscono musicisti, pittori e letterati. Qui respira un’atmosfera culturalmente vivace, aperta alle influenze europee, alternativa al provincialismo della cultura dominante. Alle discussioni sulla letteratura e sull’arte si affiancano seminari sulla musica contemporanea, tenuti da Roman Vlad, musicologo allievo del compositore. L’approfondimento di questa formulazione espressiva e la comprensione della sua struttura è affiancata dall’esposizione alle opere di artisti moderni, di cui Casella è collezionista.15 Vanni è particolarmente attratto dai quadri di Casorati, in particolare per la semplificazione dei piani, in cui trova un grande aiuto per oltrepassare gli schemi accademici dei corsi di disegno che segue all’Accademia di San Luca,16 a cui è legato proprio per la particolare abilità che dimostra in quel tipo di disegno che gli renderà più difficile l’abbandono di quella maniera. 19 La presa di coscienza della logica delle strutture astratte in filosofia e musica, attraverso personalità che stimano l’arte contemporanea, stimola Vanni a cercare nuove vie in campo figurativo e lo aiuta a superare i limiti della rappresentazione tradizionale cui era stato educato. Il superamento avverrà con un lungo e travagliato processo intellettuale e non nella immediatezza di un rifiuto polemico di quei principi. La ricerca di un linguaggio alternativo e personale passerà per la sperimentazione di tutte le maniere e gli stili diversi che lo interesseranno. La sua esigenza di decidere i metodi e i tempi della sua ricerca farà sì che questa rimarrà sempre individuale e solitaria piuttosto che collettiva. 17 Inizia con l’avvicinarsi al lavoro dei pittori della Scuola Romana, soprattutto Mafai e Scipione, eseguendo una serie di piccoli quadri che testimoniano lo sforzo della ricerca e l’incertezza della via da seguire; si tratta soprattutto di vedute di Roma (Quirinale, Case, Gazometro). Nei ritratti (Il figlio di Bragaglia) si può vedere una semplificazione dei piani ispirata dalle opere di Casorati. Gran parte di questi sono iniziati in uno stile classico per essere 20 Paesaggio - Quirinale, emulsione su tavola, cm. 35x59, 1948, collezione dell’artista. (17) Diversamente dalla strada scelta dai suoi amici e compagni di scuola Dorazio, Manisco, Perilli e Guerrini che fin dai tempi del Liceo Giulio Cesare avevano cominciato ad organizzare mostre insieme. P4809 (cat.rag.) P4813, P4812, P4828 Il figlio di Bragaglia, olio su tela, cm. 50x30, 1948, collezione dell’artista. 21 Capri IV, olio su cartone, cm. 25x19, 1948, collezione dell’artista. successivamente alterati alla ricerca di una resa sintetica che vada oltre la semplice somiglianza con il soggetto. Queste prime opere vengono esposte in una personale alla Galleria Margherita18 di Roma nel giugno del ‘48. La mostra è presentata da Valerio Mariani che commenta così i quadri in un articolo: “I suoi studi di Capri,19 piuttosto che spingerlo verso il piacevole, o il documentario, l’hanno fatto concentrare nella ricerca di una tavolozza di pochi impasti: e nella resa pittorica a larghe stesure egli è già personale e promettente. Non è forse 22 (18) La Margherita fu fondata da Irene Brin e Gasparo del Corso nel 1944 con il sostegno di Federico Valli che se ne occuperà personalmente a partire dal 1946 quando i primi due fondano la Galleria dell’Obelisco. (19) Capri II (P4816), Capri III (P4817), Capri IV (P4818), Capri V (P4819, cat. rag.). (20) Valerio Mariani, La fiera letteraria, 13 giugno 1948. Questo stesso settimanale pubblicava frequentemente dei disegni di Vanni. (21) Di questa esposizione lo colpisce anche la modernità dell’allestimento, disegnato da Carlo Scarpa. (22) Esperienza che sarà comunque significativa per la frequentazione dei corsi di Pier Luigi Nervi. Parallelamente stava anche seguendo i corsi di Lionello Venturi all’Università di Roma. (23) A questo faranno seguito altri due periodi: il primo dopo l’Olanda, dall’estate del ‘50 alla primavera del ‘52 e il secondo dopo gli studi in America dall’autunno del ‘53 alla fine del ‘59. (24) Villon eserciterà una marcata influenza su Vanni, specie dopo i suoi studi con Albers che ne stimava le doti di colorista. sintomatico che, in quell’orgia coloristica dell’Isola incantata egli sia andato a cacciarsi nelle anfrattuosità delle rocce scegliendosi quattro arbusti quasi africani e quei grandi sassi che sembrano mostri marini, per trarne un insegnamento di severità pittorica?”20 Malgrado questa esperienza gratificante, il bisogno di Vanni di ampliare il suo orizzonte si fa sempre più marcato, la voglia di vedere dal vero i quadri dei grandi maestri contemporanei diventa impellente dopo aver visto la mostra di Klee alla biennale del ‘48.21 Nell’incontro con Cagli, da poco tornato a Roma, in occasione della mostra del Maestro all’Obelisco nell’ottobre dello stesso anno, trova conferma dell’importanza di vedere quello che succede fuori dell’Italia di prima persona. Alla fine del ‘48 decide di abbandonare gli studi alla facoltà di architettura dove era iscritto,22 partire da Roma e andare a Parigi per ripercorrere visualmente ed empiricamente, nell’ambiente dove era maturata, la storia dell’arte degli ultimi cinquant’anni. Il suo primo soggiorno francese23 è caratterizzato dallo studio dell’arte contemporanea, affiancato dalla sperimentazione sulla tela dei temi che lo interessano maggiormente. La vita stessa a Parigi è già di per sè tutta una scoperta, con i suoi musei ricchi di arte moderna, le tante gallerie d’avanguardia, o semplicemente le strade e i caffè animati da un ambiente cosmopolita di artisti ed intellettuali con cui si allacciano amicizie e si discute in un clima aperto a qualsiasi novità. L’eccezionale fermento culturale che distingue questa città negli anni del primo dopoguerra gli sarà prezioso nell’apporto di quella libertà di pensiero ed autonomia creativa che gli saranno proprie. Il mondo artistico è caratterizzato dalla forte presenza dei maestri storici, Picasso, Braque, Léger, Matisse, Chagall, che continuano ad essere un punto di riferimento per le nuove ricerche. Il movimento dei surrealisti è presente con una intensa attività pubblicistica ed espositiva. È ancora vivo il grande interesse che ha suscitato, durante l’occupazione, il mondo figurativo di Pierre Bonnard e Jacques Villon24 e sono molto attivi i pittori 23 più giovani che si sono ispirati a loro come Bazaine, Lapique, Gischia, Manessier. Gli artisti delle nuove e nuovissime generazioni provenienti da tutto il mondo, come i loro predecessori, vengono accolti da un clima artistico che non li emargina come stranieri ma li assorbe nella ricerca comune come era avvenuto negli anni venti con l’Ecole de Paris. È indubbio che “...la fecondità straordinaria di questo periodo pare essere fondata, innanzitutto, sulla comunità artistica internazionale che vive a Parigi.”25 E che gli artisti di tutti i paesi che arrivano qui “...sono attirati dall’insieme di mille e una avventure artistiche possibili che li aspettano.”26 Così è anche per Vanni, che vive ogni giorno con trasporto, annotando su un diario tutte le sue esperienze: “Svoltare a un crocevia in una direzione più che in un’altra ha tutto l’eccitante dell’avventura - che cose meravigliose si scoprono.” Visita la mostra di Gischia e Singier alla Galerie Billiet-Caputo e quella di Miró alla Galerie Maeght annotando: “Belli i Gischia, semplici forme; ricercati di materia i Singier; Mirò - quadri e ceramiche ambedue di materia particolare: macchie di colore e soluzioni grafiche, composizione frontale, bidimensionale.” Frequenta le riunioni da Nina Kandinsky il giovedì per il tè. Conosce Sartre e Camus al caffé Flore che gli chiedono della situazione in Italia, ritrova Carlo Levi che gli era stato presentato da Cagli a Roma. Fa amicizia con il gruppo degli artisti italiani: Magnelli, Bertini, Savelli, Minguzzi, Franchina e Righetti con cui spartisce lo studio. Del suo incontro con Severini scrive: “...si commosse quando alla festa della Campolonghi gli raccontai di Fulvia e della madre.27 È bello, qui, che gli arrivati siano fratelli più grandi degli artisti giovani. Non c’è parola ostile ma spirito d’aiuto per la missione comune. Missione di creare il bello ed indicarlo a epoca che ha perso la facoltà di vederlo.” 28 Dai suoi appunti si percepisce l’entusiasmo, la voglia di conoscere, imparare e sperimentare. Il risultato di questo soggiorno non risiede tanto nei molti quaderni che riempie di disegni quanto nella emancipazione da modi esclusivamente italiani. Il contatto con l’ambiente internazionale parigino, dove la convivenza di 24 (25) “Paris-chemins de l’art et de la vie -1937-1957” di Germain Viatte, in Paris-Paris 1937-1957, Centre Georges PompidouGallimard, Paris 1992, p. 48. (26) “L’ecole de Paris: éléments d’une enquête” di Laure de BuzonVallet, in Paris-Paris 1937-1957, Centre Georges PompidouGallimard, Paris 1992, p. 379 (riporta Herta Wescher, in Cimaise, gen.-feb. 1956, p. 16). (27) Fulvia Casella, figlia del Maestro e sua madre Yvonne Casella, nota pianista. (28) Diario personale di Gian Berto Vanni (1948). (29) Diario personale di Gian Berto Vanni (1948). (30) “Les jeunes peintres de tradition française” di Sarah Wilson, in ParisParis 1937-1957, Centre Georges Pompidou-Gallimard, Paris 1992, p. 172 (riporta Léon Gischia, in Les problèmes de la peinture, Paris, éd. Confluences, 1945, pp.137-147). (31) I principali erano: Bazaine, Estève, Gischia, Lapicque, Pignon e i più giovani Le Moal, Manessier, Robin, Singier. (32) Le due gallerie rappresentavano la stessa tendenza e si riuniranno in una sola nel ‘51. (33) Oltre alle mostre della Galerie de France e Billiet-Caputo, Vanni ne ricorda alcune altre viste in quel periodo: Hans Hofmann, e più tardi i Premiers Maîtres de l’art abstrait da Maeght; Hartung, Schneider, Soulages da Lidya Conti; Kandinsky, e poi Georges Mathieu, e ancora Max Ernst, alla Galerie René Drouin. differenze artistiche e culturali contribuisce ad un arricchimento continuo, sarà per lui una scoperta liberatoria. Questa esperienza, nella graduale presa di possesso delle proprie capacità, gli confermerà la necessità di seguire una ricerca non necessariamente basata su una tradizione nazionale specifica. D’ora in avanti Vanni non si sentirà più legato a una situazione culturale in particolare. Nel suo diario annota: “...la divisione delle frontiere è il maggiore ostacolo alla libertà mentale di qualsiasi artista.” 29 A Parigi si convince dell’inutilità del concetto di nazionalità e della grande importanza di un confronto e di uno scambio del proprio bagaglio culturale con altri. Trova conferma che il suo rifiuto dell’accademia non è incompatibile con il suo interesse per la tradizione in quanto sostiene Gischia, un artista di cui ammira i quadri, per il quale “...non bisogna confondere tradizione e accademismo. L’accademismo è una tradizione cristallizzata, cioè una cosa morta, mentre la vera tradizione è una cosa viva e dunque in perpetuo divenire.” Tradizione che “...non consiste nella sottomissione a delle forme che hanno avuto un giorno la loro ragione di essere ma nella volontà di ritrovare e di perpetuare lo spirito che le ha ispirate.”30 Il gruppo di artisti di cui faceva parte Gischia, i Jeunes peintres de tradition française,31 interessano Vanni in maniera particolare. Questi avevano poco tempo prima conosciuto un successo notevole. Erano allora ben più importanti di quanto ci possa sembrare oggi e parevano offrire alternative altrettanto vivaci e possibili di sviluppo di quelle che si sono poi affermate. Vanni frequenta assiduamente la Galerie Billiet-Caputo e la Galerie de France32 che espone i principali artisti del movimento i quali, malgrado la sua dissoluzione nel ‘47, portano avanti la ricerca individualmente. In una esplosione di possibilità figurative che si apre davanti a lui,33 in una Parigi dove convivono le mostre dei surrealisti, astratti geometrici rigorosi, i primi espressionisti astratti, Vanni si riconosce nell’intenzione dei Jeunes peintres di mantenere il contatto con la tradizione e la natura pur indirizzandosi decisamente verso la non-rappresentatività. È interessato a questa strada che lui vorrà però ripercorrere 25 autonomamente, senza appropriarsi di soluzioni sviluppate da altri ed arrivarci con suoi tempi e modi. Per questo lo interessa poco il Salon des Réalitès Nouvelles34 dove è stato compiuto un salto categorico dogmatico che per Vanni manca d’interesse tanto quanto il dogmatismo figurativo in chiave antiastratta. E alla stessa maniera, malgrado ne segua gli sviluppi, non sposa la corrente informale che sta sviluppandosi a Parigi e non cerca contatti col CoBrA quando va ad Amsterdam. Si tratta di scoperte che, se devono avvenire, avverranno quando lui sarà pronto a farle sue. Fin dall’inizio non è interessato ad inseguire l’attualità, infatti, nel suo diario, scrive “...Uscito dalla corrente. La corrente aiuta, ma non è per me. Loro navigano già lontano. Ma chi sa se la corrente li porterà dove avrebbero preferito andare?” 35 Questo atteggiamento spiega perchè certe sue esperienze arriveranno in differita rispetto alla ricerca sviluppata intorno a lui, ma anche perchè, lavorando a stretto contatto con grandi maestri come Albers o Picasso, non si sposti significativamente dalla strada che sta seguendo. Per lui l’influenza avviene attraverso un metodo creativo, una tecnica di ricerca, un’etica dell’arte da emulare, non in delle regole cui sottoscrivere. Le affinità di pensiero con Gischia, Bazaine, Manessier, Lapique, sono molto più importanti che le occasionali similitudini stilistiche che si possono riscontrare nelle opere che Vanni dipinge in quel periodo. È interessante riportare alcuni concetti che questi artisti propugnavano allora e che troveranno riscontro anche nei periodi successivi dell’opera di Vanni. Il critico Bernard Dorival, in un libro di pochi anni dopo, cita Bazaine che, mobilitato, passa la drole de guerre36 a studiare e disegnare la natura e ritiene che spetti “...al pittore di captare e di tradurvi i ritmi segreti e fondamentali: a lui d’imparare la geometria interiore delle forme dalla quale confessa essere stimolato più che dalla loro apparenza.” 37 E ancora Bazaine: “L’oggetto deve scomparire come oggetto per giustificarsi come forma.” 38 “La vera sensibilità comincia quando il pittore scopre che il movimento dell’albero e la scorza dell’acqua sono parenti.”39 E 26 (34) Il Salon des Réalitès Nouvelles era nato nel 1946 come associazione che si proponeva “l’organizzazione in Francia ed all’estero di mostre di opere d’arte comunemente chiamate: arte concreta, arte non figurativa od arte astratta, ovvero di un arte completamente slegata dalla visione diretta e dall’interpretazione della natura.” (“Vous avez dit géometrique? Le Salon des Réalités nouvelles 1946-1957” di Dominique Viéville, in Paris-Paris 1937-1957, Centre Georges PompidouGallimard, Paris 1992, p. 407, riporta il primo articolo dello statuto deposto nel 1946). (35) Diario personale di Gian Berto Vanni (1950-1952). (36) Il periodo della seconda guerra mondiale che va dalla dichiarazione di guerra della Francia alla Germania nel settembre del ‘39 all’invasione tedesca nel maggio del ‘40, in cui le due armate si sono fronteggiate sul confine senza entrare in conflitto. Questa situazione anomala ha valso a questa fase della guerra in Francia il termine di drole de guerre. (37) Bernard Dorival, Les peintres du XXe siecle, Vol. II, Editions Pierre Tisné, Paris 1957, p. 84. (38) Marcel Brion, Art abstrait, Editions Albin Michel, Paris 1956, p. 253 (riporta Jean Bazaine in Notes sur la peinture d’aujourd’hui, Parigi 1948). (39) Marcel Brion, Art abstrait, Editions Albin Michel, Paris 1956, p. 254 (riporta Jean Bazaine in Notes sur la peinture d’aujourd’hui, Parigi 1948). Testa, olio su tavola, cm. 49x45, 1949, collezione dell’artista (P4916 cat. rag.). (40) Bernard Dorival, Les peintres du XXe siecle, Vol. II, Editions Pierre Tisné, Paris 1957, p. 95. (41) Gaston Diehl, La peinture francaise dans les années noires 19351945, Z’editions, Paris 1999, p. 97 (riporta una lettera di Manessier del 17 giugno 1946). che “...tutta l’arte è astrazione...” e che anche nell’arte astratta “...le forme del quadro, per poco figurative che siano, bisogna che per forza, passando attraverso di noi, uscendo da noi, vengano da qualche parte.”40 E Manessier: “Si tratta di mettere a nudo, attraverso mezzi autenticamente plastici, le equivalenze spirituali del mondo esterno e di un mondo più interno, e rendere queste corrispondenze intelligibili per trasposizioni e trasmutazioni.”41 L’impostazione della ricerca in questi termini libera Vanni dalla problematica scelta di campo astratto-figurativo. Pur essendo fermamente orientato verso la non-rappresentatività non si pone come fine ultimo l’eliminazione di qualsiasi schema di derivazione figurativa. Infatti anche nel periodo dove le sue opere si separeranno maggiormente da una evocazione della natura, nella seconda metà degli anni cinquanta, non 27 Chitarra, tempera all’uovo su tela, cm. 60x45, 1949, collezione dell’artista (P4922 cat. rag.). l’abbandoneranno mai come riferimento strutturale. Come molti artisti a quell’epoca Vanni è soggetto alla difficoltà provocata dalla soggezione per il mondo creativo di Picasso che “...pareva avere detto tutto quello che c’era da dire.” 42 I Jeunes peintres lo interessano per la capacità che avevano dimostrato di integrare cubismo e postimpressionismo. Quello che “...sembrava una impossibile opposizione, Bonnard, Picasso, per esempio, si è ritrovato complementare.”43 La scoperta di Bonnard attraverso cui il colore si fa movimento per 28 (42) Valentina Puccioni, Intervista a Gian Berto Vanni, New York, ottobre 2000. (43) Bernard Dorival, Les peintres du XXe siecle, Vol. II, Editions Pierre Tisné, Paris 1957, p. 81. Composizione, olio su tela, cm. 70x50, 1949, disperso (P4925). (44) Bernard Dorival, Les peintres du XXe siecle, Vol. II, Editions Pierre Tisné, Paris 1957, p. 87. “...quell’audacia con la quale, senza aver l’aria di toccarla, drenava, per così dire, in ciascuna delle sue tele, il flusso stesso della vita”44 si rivelerà importante per Vanni e ritornerà più tardi. Picasso, Braques, Cézanne, Bonnard, Matisse, erano stati assimilati con il rispetto per l’intelligenza dei maestri con i quali vogliono conciliare le loro scoperte per farne la base di partenza verso una sensibilità ulteriore. 29 La scelta dei Jeunes peintres di imparare da tutti senza effettuare rotture clamorose con il passato si addice bene alla scelta evolutiva di Vanni che sta sviluppandosi nella stessa maniera. La sua sperimentazione pittorica si estenderà nelle direzioni più disparate, a provare in accelerato su di sé quello che era successo storicamente nelle ricerche dei maestri citati ma anche di altri come Rouault, Modigliani, senza cercare di orientarsi prematuramente, considerando questo tirocinio come il suo vero lavoro scolastico.45 Con questo spirito studia le opere su cartone di Toulouse-Lautrec46 esposte allora al Museé du Jeu de Paumes. Qui, dal vero, apprezza come l’artista si fosse servito del colore del cartone su cui dipingeva le sue tempere o i suoi pastelli per indicare il valore medio fra i chiari e gli scuri, fornendo il tessuto connettivo a creare la forma. Paragona l’uso di questa tecnica, che il Maestro riduceva all’essenziale con due toni espressi da una pennellata chiara e una scura, con quelle delle tempere all’uovo gotiche, studiate in Italia, ove il verde forniva il colore base del corpo, che poi terra di siena e bianchetto modificavano. Esegue una serie di studi dove il valore relativo del fondo determina il grado di luminosità, o il tono-colore, dell’insieme.47 La sperimentazione a tutto campo produce esperienze per il momento didattiche e transitorie ma che poi riaffioreranno alla superficie nell’eclettismo del suo lavoro della maturità. Durante i quattro anni successivi, che costituiscono il periodo fondamentale della sua formazione, Vanni continuerà ad alternare lo studio teorico con la sperimentazione pratica. Infatti quanto aveva acquisito nel dibattito con altri artisti e nella frequentazione delle mostre parigine, verrà elaborato durante lunghi periodi trascorsi a disegnare e dipingere dal vero. Questo avviene soprattutto in Olanda dove vive dal novembre del ‘49 al luglio del ‘50 con una borsa di studio offerta dal governo olandese 48 e dove ritornerà spesso più tardi per rimettere alla prova le ricerche che andava facendo nel suo studio a Parigi. In Olanda acquisisce molti dei temi e modi che saranno i cardini della sua pittura dal punto di vista concettuale e da quello tecnico e iconologico. 30 (45) D’altronde la sua idea della scuola era, allora come ora, che “il suo vero scopo è di insegnare non quale pagina girare ma come girarla, non quale libro leggere, ma come leggerlo.” (Valentina Puccioni, Intervista a Gian Berto Vanni, New York, ottobre 2000.) (46) Uno dei motivi che lo aveva portato a studiarle con attenzione era l’influenza che Toulouse-Lautrec aveva avuto su alcune opere del giovane Picasso. (47) Questo modo, utilizzato ancora oggi da Vanni, riappare periodicamente nel suo lavoro, alternandosi al modo fiammingo di un progressivo scurimento partendo dal bianco. (48) La stessa borsa di studio era stata assegnata l’anno prima a Lucio Manisco. Maria Stella, tempera all’uovo su tavola, cm. 50x50, 1949, collezione dell’artista (P4926 cat. rag.). 31 Durante il suo soggiorno ad Amsterdam si lega di grande amicizia con Corinna Van Schendel, figlia del famoso scrittore olandese Arthur Van Schendel, e sorella del direttore del Rijksmuseum. Questi l’anno prima era stato impegnato nel restauro della Ronda di notte di Rembrandt e lo invita a vedere come il risultato era stato ottenuto. Lì Vanni ha la possibilità di perfezionare le sue conoscenze pittoriche imparando dai restauratori del museo le tecniche dei maestri olandesi, specie nel campo delle vernici e delle velature. L’occasione per un altro incontro importante gli viene fornita da una lettera di presentazione di Benedetta Marinetti 49 per Vordemberge-Gildewart, di cui comincia a frequentare assiduamente lo studio portandogli quadri e disegni su cui sta lavorando. Il Maestro insiste sull’importanza di usare solamente una semplice, unica linea, scontornante a descrivere il soggetto. È una indicazione che porta Vanni ad una consequenza inaspettata: esegue una serie di opere in cui utilizza quattro linee di colore diverso per disegnare la stessa forma in una serie di disegni di cavalli. Malgrado l’apparente contraddizione con l’insegnamento di Vordemberge-Gildewart si tratta di uno sviluppo di quel concetto, perchè queste linee non esprimono l’incertezza del disegno, ma variazioni in cui ognuna rappresenta un aspetto della realtà ritratta.50 La collezione dello Stedelijk Museum, diretto da Peter Sandberg, amico degli Schendel, gli permette di confrontare le sue ricerche pittoriche con quelle di maestri che avevano già affrontato quei temi. Studia in particolare la direzione delle pennellate nei paesaggi di Van Gogh nella loro relazione con l’orientamento del vento sulle erbe alte e l’intensità di colore dei quadri di Odilon Redon. Attraverso lo studio dell’arte della Melanesia, custodita al Tropische Museum, riscopre l’opera di Klee, artista per cui proverà sempre una grande affinità. È particolarmente interessato di come nelle sue composizioni l’attenzione si alterni dall’insieme al dettaglio. All’esperienza diretta delle opere fa seguire la sperimentazione nel lavoro che sta facendo. Nei suoi studi dal vero eseguiti nella campagna olandese, specie a 32 (49) Quando partì per Amsterdam Benedetta Marinetti gli diede varie lettere di presentazione per i loro amici nel mondo dell’arte. (50) Nel corso della sua opera Vanni svilupperà il tema di rappresentare la stessa forma in molteplici variazioni. Vinkeveense Plassen, olio su tela, cm. 35x100, 1950, disperso. P5024 (cat. rag.), P5025 (cat. rag.) (51) Soprattutto Lanfranco Virgili, che parteciperà più tardi al progetto per l’Ospedale di Venezia. (52) César e Virgili avevano anche organizzato l’occupazione delle case di tolleranza da parte degli studenti dei Beaux Arts subito dopo l’emanazione della legge che ne sanciva la chiusura, per impedire la speculazione edilizia. Lì Vanni spartì la camera con César per un mese. (53) Diario personale di Gian Berto Vanni (1950-1952). Vinkeveense Plassen, Vanni raggiunge quelli che considera i primi veri risultati di una formulazione personale. In Vinkeveense Plassen e Vinkeveen notte, infatti, riesce a fondere le sue esperienze precedenti con le influenze degli studi effettuati in Olanda, raggiungendo una sua propria sintesi. Risulta evidente come uno degli aspetti fondamentali dell’approccio di Vanni allo studio dell’opera di altri artisti, passi attraverso l’esperienza personale del processo che li ha portati a farlo. Per gli stessi motivi il trascorrere lunghi periodi di lavoro in questo o quel paese non nasce dal bisogno di sposare movimenti lì attivi, ma di rivivere personalmente gli stimoli che gli hanno preparato la strada. Dopo l’esperienza olandese Vanni fa ritorno a Parigi, che durante quell’anno non era molto cambiata, e stringe amicizia con un gruppo di giovani architetti legati a Le Corbusier.51 A loro si unisce Luigi Boille, che ha raggiunto Vanni a Parigi dopo essersi laureato in architettura a Roma. Instancabile animatore del gruppo era César, più anziano e conosciuto allora più per gli scherzi che organizzava mettendo a soqquadro il quartiere dove tutti loro abitavano, Saint-Germain-des-Prés, che come lo scultore che si sarebbe rivelato più tardi.52 Vanni partecipa a questa atmosfera ludica, la vie de bohème, e dipinge freneticamente. Sono anni entusiasmanti ma difficili economicamente. Infatti nel suo diario53 si trovano frequentemente passaggi del tipo: “26 dicembre ‘50 - Non ho mangiato e pure stasera salterò. Non 33 Studio per “Eclisse” I, inchiostri su cartone, mm. 270x370, 1951, collezione dell’artista. Studio per “Eclisse” II, matita su carta, mm. 150x250, 1951, collezione dell’artista. ho più tele e non so come procurarmene.” Dopo un altro giorno di completo digiuno, risolve il problema della tela: “28 dicembre ‘50 - Distrutto il quadro dell’uomo olandese e preparato per ridipingerci su.” Ma due giorni dopo: “Avendo comprato il petrolio per il fornello, sono rimasto con duecento franchi. 54 Temo che fra poco dovrò comprare il bianco, oppure radiarlo dalla mia tavolozza. Ma allora dovrò lavorare a velatura, e non ho l’olio di lino. Il fornello funziona! Da oggi cucina in casa.” Che poi era una stanza d’albergo con una carta da parati 34 (54) Si tratta di Ancient Francs che dopo il cambio della moneta diverranno due Nouveaux Francs. Eclisse III, olio su tela, cm. 89x116, 1951, disperso. P5105 (cat. rag.), D5104 D5105 marrone che lo infastidisce perchè interferisce con il colore dei quadri. Questi eventi, a parte il problema di procurarsi tele e colori, non influiscono sulla sua pittura. In tutta la sua opera non troviamo mai niente di autobiografico, che riveli difficoltà pratiche o momenti difficili. Le sue esperienze gli servono alla crescita personale e a sviluppare una filosofia della vita che poi si manifesterà nei quadri, ma non incidono mai direttamente negli stati d’animo espressi dalle opere. I quadri di questo periodo cominciano a testimoniare una ricerca più personale con dei tentativi di rappresentare lo spazio attraverso una griglia prismatica che lo strutturi. Se ne possono vedere le tracce in Eclisse III, nei suoi studi preparatori (Studio per “Eclisse” I, Studio per “Eclisse” II) e in numerosi disegni di quel momento. L’influenza picassiana è ancora presente come si nota nelle 35 figure sedute. Vanni ne sente il pericolo e vuole superarlo. Contemporaneamente si fa strada un altro tema, del quadro a riquadri, dove ogni elemento ha una sua propria struttura. Nasce dall’osservazione di Vanni della vita nell’albergo di fronte di cui vede le finestre che illustrano la vita nelle varie stanze: “Tutto l’albergo è un palcoscenico verticale a riquadri, e la visione totale di cui i personaggi sono inconsapevoli, si organizza in un quadro maggiore le cui parti esercitano funzioni discordanti ma armoniche di una vita comune.”55 Aveva già utilizzato più volte il soggetto della finestra per portare nel quadro elementi esterni, ma qui il tema è un altro. Si tratta della contemporaneità di molti quadri diversi che per quanto discordanti possono essere accomunati da una logica esterna ad essi. Curiosamente non lo svilupperà allora, ma diventerà, a partire dalla metà degli anni sessanta, uno dei temi fondamentali della sua figurazione. La vita continua così per un anno, tra nottate passate a dipingere, incontri con gli amici, nuove scoperte e progetti di quadri. I problemi finanziari si alleviano periodicamente, quando Vanni vende dei disegni o fa delle illustrazioni per delle riviste. Di tanto in tanto il suo amico Giulio Gianini,56 che gira documentari sull’arte, lo chiama in Italia per collaborare come assistente alla fotografia e consulente sul colore. Si tratta di produzioni che approfondiscono temi molto specifici.57 La ripresa sulle miniature gotiche francesi gli rimarrà particolarmente impressa. Gianini aveva modificato la macchina da ripresa per poter ingrandire le miniature eseguendo delle microcarrellate che ne esplorassero i più minuti dettagli. Questo riporta Vanni al mondo, già osservato al microscopio, dell’infinitamente piccolo che qui ritorna in un contesto artistico, e che avrà una così grande importanza negli sviluppi della sua pittura. Un’altra scoperta legata alla realizzazione di quel documentario sarà significativa. Infatti attraverso le miniature del gotico francese si rende conto delle possibilità espressive di forme considerate riduttivamente decorative. Ne studia la tessitura del fondo, in rapporto di complementarietà con il personaggio, che viene elaborata in 36 (55) Diario personale di Gian Berto Vanni (1950-1952). (56) Giulio Gianini, amico di Vanni fin dalla prima infanzia, ha cominciato la carriera cinematografica come operatore, specializzandosi presto nel documentario d’arte. È conosciuto per i disegni animati creati con Emanuele Luzzati che gli hanno valso due volte la nomination per l’Oscar e importanti riconoscimenti internazionali fra cui il gran premio della giuria al Festival di animazione di Annecy. (57) Quelli sulla Bibbia di Borso d’Este di Valerio Zurlini e sulla Storia del teatro di Michele Gandin sono i più importanti. Lacustre II, olio su tela, cm. 72x72, 1951, collezione dell’artista. forme geometriche, la cui espressività è assicurata dalla fattura non meccanica. A partire da questo momento il suo interesse si estende a tutte le forme di arte preclassica dove le geometrie ornamentali sono eseguite a mano libera, come nelle ceramiche cretesi, e si ricollega all’interesse per le pitture su scorze d’albero della Melanesia. (58) I polder sono terreni, alluvionali e lacustri, situati sotto il livello del mare e sottratti ad esso con dighe e argini, poi bonificati e coltivati. Questo fa sì che siano inframmezzati da canali e laghetti artificiali, creando un paesaggio dove l’elemento acquatico è sempre presente. Nel maggio del ‘51 Vanni ritorna a Vinkeveense Plassen, dove affitta una capanna su un piccolo lago tra i polder 58 della campagna olandese, per passarvi un mese a lavorare dal vero. Attraverso la serie di paesaggi che dipinge qui raggiunge delle sintesi che forniscono i primi schemi compositivi alle sue astrazioni. Fra questi, in particolare, l’uso dell’infinitamente piccolo e il susseguirsi dei riflessi come ripetizione traslata dell’immagine precedente. In lui era ancora vivo il ricordo di una descrizione che, di quella 37 campagna, aveva fatto il professor Cerletti, il migliore amico di suo padre. “Per vedere il cielo”, aveva detto, “bisogna andare in Olanda, dove il paesaggio è fatto per un decimo di terra e nove decimi di acqua e di aria. E dove i colori mutano continuamente nei riflessi dell’acqua tra i polder.” E ancora aveva parlato della precisione della linea d’orizzonte, e di come i colori, dove il sole è velato, si vedessero meglio. Questo paesaggio, proprio perchè composto per metà di cielo e per metà di lago, lo costringe a concentrare l’attenzione su quella linea d’orizzonte, che coincide con il villaggio, al centro del quale svetta la guglia del campanile59 che arresta la scansione orizzontale dell’occhio. Partendo da questa osservazione elabora dei quadri nei quali, contrariamente alla tradizione, il centro di interesse non è il primo piano o una forma che assume uno spazio preponderante nella composizione, ma tutto quello che è al limite 38 Erba sul canale, olio su tela, cm. 50x70, 1951, collezione dell’artista. (59) Il tema del campanile ritorna poi, astratto, nelle città galleggianti dei quadri del ‘57-’59. P5119 (cat. rag.) (60) All’interno di questa forma se ne svilupperanno altre tanto più cariche di informazione quanto più sono minute, come nel villaggio all’orizzonte, riportando gli studi sulle composizioni di Klee, le miniature gotiche e il microscopio. P5118 del visibile (Lacustre II). Inoltre, il riflesso perfetto del villaggio nell’acqua crea una forma speculare che permette di astrarre l’oggetto-villaggio da qualsiasi riferimento realistico, spostando l’interesse a questa nuova entità simmetrica, che funge da confine tra cielo e terra. Vanni individua in questa una forma indipendente,60 che mantiene il suo vigore espressivo anche se viene cambiata di orientazione eliminando così molti dei riferimenti al paesaggio che la determina. Compare qui il tema del confine, a cui Vanni ha continuato ad attribuire la massima importanza espressiva, sviluppandolo fino ai quadri più recenti. Confine che viene inteso come limite, punto di incontro, dove gli spazi circostanti servono a sottolinearne l’importanza (Orizzonti multipli). Negli studi dal vero eseguiti a Vinkeveense Plassen Vanni analizza un altro fenomeno che gli suggerisce soluzioni per la scansione prismatica che sta sviluppando nella concezione spaziale dei quadri. Le isole che costellavano il lago erano fatte di torba che veniva tagliata via a grandi fette da macchine specializzate nell’estrazione del combustibile. A poco a poco la terra si segmentava, lasciando spazio all’acqua in una serie di canali. Studio per “Trasformazioni prismatiche” II, inchiostro su carta, mm. 330x460, 1952, collezione dell’artista. 39 Il paesaggio si andava così trasformando: si veniva a creare una stratificazione tra l’acqua del lago, le strisce di terra e il loro riflesso nell’acqua. Tutti questi elementi si alternavano in bande parallele con ritmi scanditi ma continui (Erba sul canale, Riflessi II). Le scoperte compositive raggiunte attraverso le osservazioni nella campagna olandese si erano esclusivamente applicate ad una elaborazione di elementi del paesaggio, trasposti in uno spazio mentale diverso. A Parigi studia le stesse trasposizioni in rapporto alla figura umana, il che comporterà alcuni passi indietro rispetto ai risultati ottenuti in Olanda, dove un gruppo di opere aveva trovato una coerenza rigorosa. Vanni applica a corpi e visi una progressione di trasformazioni prismatiche attraverso griglie di linee verticali parallele che sotto l’influenza di una forza esterna si vanno via via deformando condizionando l’immagine di partenza (Studio per “Trasformazioni prismatiche” I, Studio per “Trasformazioni prismatiche” II, Trasformazioni prismatiche II).61 È questo gruppo di opere che interessa principalmente Josef Albers e che fa sì che questi lo inviti a frequentare i suoi corsi all’Università di Yale nel ‘52, 62 assegnandogli la borsa Smithmundt, che si aggiunge alla borsa Fullbright che aveva vinto per andare a studiare in America. Qui Vanni trova il vero Maestro, i cui insegnamenti segnano in modo definitivo l’orientamento che il suo lavoro prenderà da allora in poi. Vanni non ha scelto subito l’astrazione come la soluzione visiva di certe esigenze intellettuali, ma ci è arrivato alla fine di un lungo periodo di analisi, dove ogni tappa è stata vissuta intensamente. Gli insegnamenti di Albers arrivano al momento giusto, quando Vanni è pronto a slegare le sue composizioni da vincoli rappresentativi. Il Maestro, che ritiene che un’opera d’arte deve essere concepita come formulazione piuttosto che espressione di un sentimento, capisce e condivide l’esigenza che ha Vanni di fare scaturire la sua ricerca da un processo intellettuale volto a determinarne la logica. Albers non era infatti solamente il grande teorico della pittura e del colore che si ritrova nei suoi scritti, ma aveva anche una eccezionale capacità di scandagliare a fondo le potenzialità di un quadro e suggerire la strada adatta per esprimerle 40 P5116 (cat. rag.), P5121 G5205, G5206 P5206 (cat. rag.) (61) Restano di quel periodo soltanto dei disegni, perché l’insieme degli olii, una ventina, venne rubato mentre erano depositati a Roma. (62) Josef Albers, dopo l’esperienza del Black Mountain College, era stato invitato a dirigere il dipartimento di arte della Università di Yale, a New Haven, nel Connecticut. Deciso a controllarne fermamente l’orientamento, sceglieva personalmente i dieci studenti ammessi al corso ogni anno. (63) Corsi che Vanni insegnerà a sua volta alla Cooper Union di New York trent’anni dopo. Malgrado alcune variazioni personali, ritiene che ancora oggi il sistema ideato da Albers per dare allo studente il senso del colore rimanga il migliore. (64) Tutti gli studenti partecipavano alla costruzione di cupole geodesiche di cartone, sulle quali venivano posti oggetti pesantissimi per comprovarne la forza. Fra questi una cadillac di uno studente che durante un violento acquazzone rovinò a terra perche la colla che teneva insieme la struttura si era sciolta. pienamente. Con le sue analisi lo aiuta sia ad affinare questa logica che a distillare il mondo che essa crea. I suoi corsi sull’interazione del colore63 e di disegno, sviluppati durante il suo insegnamento al Bauhaus, forniranno a Vanni ulteriori mezzi espressivi. Una delle idee espresse da Albers gli rimarrà particolarmente impressa. Criticando il quadro di uno studente che trovava fosse incoerente aveva detto: ”Un quadro è come una danza, se cominci con un passo di valzer devi continuare così attraverso tutto il quadro.” Questa frase aveva dato molto da pensare a Vanni, stimolandolo però in senso opposto. È infatti allora che inizia ad interessarsi ad un cambiamento di ritmo nel quadro, pur capendo il bisogno di coerenza espresso dal Maestro. Ma Vanni si rende conto che una contraddizione ed una interruzione, se inserite in un sistema cosciente della contraddizione e della interruzione, producono esse stesse quella continuità coerente cui Albers faceva allusione. Quel periodo è anche ricco di momenti indimenticabili, come le serate passate col Maestro che invitava Vanni a cena, per la simpatia che provava per questo giovane pittore, europeo come lui, in mezzo ad un mondo americano. Gli parlava di ricordi ancora recenti, come di quando, a cena con Kandinsky e Klee, discutevano dell’impossibilità di immaginare una astrazione di spazio-colore eliminando dall’occhio della mente qualsiasi altro colore o tono di riferimento. O dell’ammirazione che aveva per le opere di Hans Hofmann, del quale rilevava, malgrado fosse all’opposto della sua visione pittorica, la profonda comprensione del colore e il ruolo fondamentale che aveva svolto nello sviluppo dell’arte americana. Albers invita alle sue lezioni, a controbilanciare le sue idee, pittori di tendenze opposte come Motherwell o Rothko. Stimola gli studenti a seguire corsi nelle altre facoltà essendo convinto della importanza dell’integrazione delle varie discipline. Si tratta anche di un periodo particolarmente fortunato perchè Louis Kahn dirige il dipartimento di architettura dove Vanni segue con grande interesse i corsi tenuti da Frederick Kiesler e Richard Buckminster Fuller. Scopre, con la messa in opera delle strutture geodesiche64 41 di quest’ultimo, che per ottenere degli elementi portanti non c’è bisogno della massa, ma che la forza può risiedere in triangolazioni dove ogni vettore è relativamente sottile.65 La scuola di architettura era frequentata dal suo amico Walfredo Toscanini, nipote del Maestro, e Vanni viene invitato ogni fine settimana nella casa di famiglia a Riverdale.66 Qui incontra alcune delle più importanti figure della musica di quei tempi come Dallapiccola, Horowitz, Horszowski, Cantelli, assistendo alle conversazioni fra tutti questi musicisti che entravano in dettagli che Vanni, evidentemente, non poteva seguire, ma qualche elemento parallelo ai suoi interessi lo riteneva. Il fascino maggiore era rappresentato dalla situazione in cui 42 Tramonto, olio su tela, cm. 71x91, 1953, disperso. (65) Negli anni successivi utilizzò questo concetto come soggetto iconologico per esprimere la forza del sottile contro la forza della massa. (66) La conoscenza dei Toscanini risale al gruppo di amici musicisti di Roma e in particolare a Ippolito Pizzetti, figlio del compositore Ildebrando. veniva coinvolto, quando i punti della discussione si risolvevano al pianoforte, di cui spesso i musicisti si servivano per spiegare meglio la loro idea esecutiva. Toscanini lo fece anche assistere alla sue prove d’orchestra, spiegandogli le motivazioni di certe sue scelte e l’importanza di evidenziare uno strumento o un altro nell’interpretazione della partitura. È una lezione che gli rimarrà sempre impressa e ritornerà pittoricamente quando darà ad una forma originale molteplici interpretazioni nello stesso quadro. Le opere dipinte durante gli studi con Albers non sono molte, ma ognuna testimonia o una messa a punto di ricerche Inverno, olio su tela, cm. 81x124, 1953, collezione dell’artista. precedenti, o una nuova scoperta. Ciascuno di questi quadri sarà poi a sua volta il capostipite di una serie di opere che verranno sviluppate negli anni successivi. 43 44 Finestra, olio su cartone, cm. 72x57, 1953, collezione dell’artista. P5211 (cat. rag.) ( 67) Questo quadro sarà all’origine della serie dei confini che Vanni realizzerà al suo ritorno in Europa. P5301* (cat. rag.), P5308** (cat. rag.) (68) La forma era stata suggerita dalle quinte successive degli edifici contro il cielo di New York . Muraglia cinese, olio su masonite, cm. 60x39, 1953, collezione dell’artista. Nel primo quadro dipinto a Yale, Tramonto,67 sono ripresi i temi dei paesaggi olandesi in chiave più astratta ma vi si trovano ancora degli elementi rappresentativi. Nel secondo, Inverno*, malgrado sia anche questo un paesaggio, si ritrovano invece le sfaccettature prismatiche operate sulla figura umana nel secondo periodo di Parigi e il legame con il soggetto originario è molto remoto. In Muraglia cinese** viene utilizzata una struttura a linee successive, a greca, in cui l’una è l’immagine in negativo dell’altra,68 che riprende l’idea di una geometria non meccanica. È la prima volta che un’opera di Vanni nasce 45 indipendentemente dalla rappresentazione diretta e non dalla distorsione di elementi rappresentativi. Finestra fa uso di strutture simili introducendo anche l’idea della interruzione del ritmo. In tutti questi quadri si sente progressivamente il risultato degli studi sulla scansione dello spazio e della nuova sensibilità cromatica che Vanni sta sviluppando. Questa prima esperienza americana è anche marcata dalla traversata di tutto il paese in macchina per raggiungere e sposare sua moglie Frani Gay nello stato di Washington. Malgrado la felicità legata a quell’evento, questo viaggio lascerà per sempre in Vanni una impressione allucinante della vita nella provincia americana. Alla conclusione di un anno intensissimo di esperienze fondamentali Vanni ha acquisito completamente gli strumenti per continuare la sua ricerca che si è oramai definita nei suoi elementi di base. Decide così, malgrado l’offerta molto tentante di Albers di diventare suo assistente per i corsi estivi che insegnava a Skohegan, di ritornare nella sua Parigi, per cominciare la sua ricerca pittorica. 46 P5304 Capitolo 2 Parigi - Le prime ricerche Conclusa l’esperienza di Yale, dove era stato un anno, nell’autunno del ‘53 Vanni torna a Parigi. Questa scelta è significativa perchè dimostra quanto quella città fosse per lui la base naturale per riuscire a sviluppare quel lavoro che sapeva avere di fronte. A Parigi, più che a Roma o ad Amsterdam, Vanni aveva trovato l’ambiente ideale in cui lavorare. L’incontro con Albers aveva lasciato un segno fondamentale per il suo sviluppo successivo. L’elaborazione dei temi precedenti attraverso il suo contributo critico aveva aperto la strada a nuove ricerche. Lo studio dei rapporti di colore fa sí che da allora in poi sia che usi toni cromaticamente intensi o desaturati la loro interazione sarà un elemento essenziale della sua formulazione pittorica. Vanni torna a Parigi per ragionare, mettere a confronto quello che aveva dipinto prima di aver incontrato Albers e quello che aveva prodotto mentre studiava con lui. (1) Giulio Gianini era l’operatore e a Vanni era stata affidata la consulenza per il colore. Il rientro in Europa era iniziato con la collaborazione al film su Picasso, 1 girato a Vallauris, dove a quell’epoca il Maestro lavorava soprattutto sulle ceramiche prodotte nell’Atelier Madoura. La regia di Luciano Emmer intendeva collegare le riprese delle opere dei diversi periodi con lunghi pezzi girati nello studio mentre Picasso era intento al lavoro. Vanni ebbe l’occasione di poter passare lunghe ore a osservare l’approccio del Maestro alla creazione di un’opera. 47 Di tutta quell’esperienza quello che colpì di più Vanni fu il processo di metamorfosi che Picasso orchestrava nel corso della creazione. Partendo da un disegno lineare, graficamente puro, graffiando il fondo dipinto di nero lo trasformava in chiaroscuro; le forme originali suggerivano altre interpretazioni di soggetto o di piani e venivano sviluppate e trasformate: una curva suggeriva un punto di scontro, o un occhio, o una nuova mano. Questa, a sua volta, diveniva la base per generare altri elementi che da tonali ridiventavano grafici, fintanto che “..quello che sulla superficie del piatto era cominciato col ritratto linearmente classicheggiante di una bella donna finiva in una specie di insetto piramidale.”2 Questa è la lezione principale ritenuta da Vanni nel suo contatto con Picasso, che si svilupperà nella sua stessa pittura, in seguito, proprio nella ricerca dell’ambiguità: "...ogni realtà ne nasconde un’altra, anch’essa ugualmente plausibile, e questa un’altra, e quest’altra un’altra ancora e mostrarle tutte come coesistenti, (2) Valentina Puccioni, Intervista a Gian Berto Vanni, New York, ottobre 2000. Spazi II, olio su tela, cm. 100x100, 1954, Genova, collezione privata. 48 (3) Valentina Puccioni, Intervista a Gian Berto Vanni, New York, ottobre 2000. P5405, P5406 (4) Erba sul canale (P5116, cat. rag.), Lacustre I (P5115), Riflessi II (P5121), Riflessi III (P5122), Riflessi IV (P5123). P5408 P5409 (cat. rag.), P5410, P5411 P5403 nell’una inserendo dubbi sulla veridicità dell’altra e pertanto tutte vere perché esistenti."3 Nelle prime opere eseguite dopo il ritorno a Parigi è preponderante l’influenza della ricerca sviluppata con Albers. Sono quadri che evocano geometrie di piani galleggianti, appartenuti a cubi e poliedri, che fluttuano nello spazio producendo nelle loro intersezioni trasparenze ma non articolazioni volumetriche. Si intuisce uno spazio euclideo che si espande di fronte al quale gli elementi in primo piano accennano di già ad una ambiguità della situazione dei piani nello spazio (Spazi I, Spazi II). Nelle opere che seguono le figure geometriche non galleggiano più liberamente ma condividono sempre tutti i lati del loro perimetro con quelle confinanti. Sono quadri che derivano direttamente, sviluppandola, dalla concezione dello spazio prismatico di Inverno recuperando alcuni elementi dei quadri olandesi4 depurati dagli aspetti simbolico-figurativi di influenza kleiana e melanesiana e integrando la nuova percezione del colore acquisita a Yale. Conservano, dell’Olanda, una griglia di orizzontali e verticali in cui si inseriscono elementi rettangolari o triangolari retti dallo stesso modulo che si modificano sotto la tensione delle griglie in forme prismatiche. Si hanno così delle scacchiere distorte che sembrano essere nate da pulsazioni successive di un piano originario che si è contratto per correnti sue proprie, creando zone di struttura più serrata controbilanciate da altre la cui distensione è direttamente proporzionale alla forza esercitata dallo spazio condizionante, fissandosi in strutture prismatico-cristalline (Giardino Barocco, Giuochi d’acqua, Nascita di una roccia, Danza dei cristalli). I colori sono basicamente quattro che subiscono cambiamenti tonali verso il chiaro e verso lo scuro man mano che si allontanano dall’epicentro. La forza interna che condiziona queste deformazioni è rivelata in Descrizione di una corrente, quadro che rimane unico nel suo genere, dove alla struttura prismatica è sovrimpressa una tessitura di puntini che evidenziano la direzione delle pulsazioni sotterranee. L’introduzione di una componente puramente grafica avviene 49 Descrizione di una corrente, olio su tela, cm. 45x65, 1954, Mondragone, collezione privata. con Spiraglio sulla città, quadro che rimane a sé stante, dove ritorna il tema della greca di Muraglia cinese per modulare la superficie rendendo i pieni e i vuoti intercambiabili. Il nuovo elemento di un tratto crudo ottenuto graffiando delle linee bianche sulle campiture nere viene usato in una nuova serie, che è conseguenza di quella precedente, per evidenziare le linee P5416 Giuochi d’acqua, olio su tela, cm. 70x90, 1954, collezione dell’artista. 50 Scalinata nella prateria, olio su tela, cm. 70x90, 1954, Legnano, collezione privata. (5) Come nelle strutture geodesiche di Buckminster Fuller e nei quadri di Klee. P5413 (cat. rag.) di demarcazione fra i piani. In questa maniera i pieni dei prismi perdono corporeità a vantaggio dei loro contorni che diventano pure linee di tensione.5 I graffiti, che creano delle costruzioni geometriche simili a quelle delle campiture di colore, prima coesistono con esse come in Scalinata nella prateria, poi le soppiantano completamente. Il piano modulato non interessa più il quadro nella sua interezza ma fluttua sul fondo nero, che a sua volta è separato dalla Paesaggio graffito, olio su tela, cm. 18x31, 1954, collezione dell’artista. 51 cornice con una smarginatura grigia (Paesaggio graffito, Cattedrale sommersa, Fuga verso due punti). I colori rimangono indicati nella zona centrale delle singole sfaccettature prismatiche a contrappunto delle strutture grafiche. Questa ricerca prepara quella immediatamente successiva in cui i colori tornano a campire completamente i piani proposti dai segni graffiti e questi ultimi si trasformano in esili strutture geometriche. Nel marzo del ‘55 Vanni espone in una personale, alla galleria Schneider6 di Roma, le opere dipinte a Yale e quelle fatte dopo il suo ritorno a Parigi, fra cui alcune che anticipano il suo sviluppo successivo, come Nebulosa* e Confini.** Queste ultime riprendono la disposizione degli spazi dei quadri prismatico-cristallini, ma le zone transitorie della scacchiera sono eliminate lasciando solo due elementi: vaste campiture di colore che rappresentano le zone di distensione separate da argini formati da un brulichio di minute geometrie, il confine.7 La mostra da Schneider, malgrado rifletta una certa discontinuità stilistica dovuta alla rapida evoluzione della sua ricerca, viene accolta molto favorevolmente e crea i presupposti per lo sviluppo di un rapporto continuativo con la galleria, che si realizzerà cinque anni più tardi. Malgrado il buon esito della mostra, la vita a Parigi rimane molto difficile da un punto di vista economico ma non per questo meno felice e spensierata. Vanni vive con sua moglie in una chambre de bonne minuscola (tre metri per quattro) a Boulevard Henri IV, sull’Ile Saint Louis, da cui si vede tutta Parigi. L’immaginazione sostituisce lo spazio che manca trasformando il letto in cavalletto da lavoro e questo in piano da cucina e tavolo da pranzo, per poi ricominciare daccapo alla fine della giornata. Ogni quadro finito viene attaccato al soffitto mansardato per non rubare lo spazio già esiguo al suolo. Ma malgrado le ristrettezze economiche, alleviate di tanto in tanto dalla vendita di un’opera o dalle illustrazioni di libri per bambini, l’entusiasmo domina la vita quotidiana. Vanni avrà un successo importante con queste illustrazioni vincendo per due anni di fila il premio del Club des Editeurs: nel 1957 con i Contes de cristal e nel 1958 con la Craie magique.8 Si tratta di 52 P5417, P5414 P5418 (6) Vanni era stato presentato a Robert Schneider da Corrado Cagli nel 1954. Virgilio Guzzi, in un suo articolo sulla mostra, accosterà il lavoro di Vanni a quello di Cagli. “Egli è un astratto, e mostra d’avere bene inteso l’insegnamento di Klee e di Kandinsky. Primordialismo e geometrismo giuocano nel suo gusto; ch’è assai raffinato, e tende alla rappresentazione di una realtà di corpuscoli e frammenti. (...) L’artista è sottile, forbito. Eppure qualcosa di trepido è nel suo segno: e perciò di animato, musicale. (...) Il pittore è di quegli astratti che tengono in sommo conto la tecnica. Lo accosteremo perciò a Corrado Cagli.” (Virgilio Guzzi, “G.B. Vanni alla Schneider”, Il Tempo, 5 aprile 1955). P5507*, P5508** (cat. rag.) (7) Se la struttura compositiva deriva in origine dalle segmentazioni dei polder, mediate da Inverno, il limite riprende il tema delle linee d’orizzonte olandesi, dove cielo e lago sono separati dalla linea, esigua ma geometricamente frastagliata, di un villaggio. (8) In seguito a questi successi le edizioni Hachette gli offriranno un contratto per produrre cinque libri l’anno, che lui non accetterà essendo cosciente che questa scelta non gli avrebbe lasciato più tempo per la pittura. Confini, olio su tela, cm. 60x95, 1955, Londra, collezione privata. (9) Il progetto originale riguardava un film astratto il cui contenuto era centrato sul ritmo e sul colore piuttosto che sulla forma. disegni di indirizzo surrealista in un contesto coloristico derivante dall’esperienza degli studi con Albers. Proprio a partire da un progetto che aveva esposto al Maestro a Yale nel ‘52,9 due anni dopo Vanni crea Love, un libro che presenta, per quell’epoca, una notevole innovazione compositiva ed estetica. La storia, di per sé abbastanza semplice e riducibile a poche righe di testo, viene articolata su pagine a tinta unita di colore sempre diverso su cui sviluppa la narrazione con disegno grafico a china. Il racconto è ritmato dal rapporto che intercorre fra i colori che si succedono di pagina in pagina, talvolta in contrasto, altre in delicate tinteggiature, segnando in empatia o contrappunto lo sviluppo emotivo della narrazione. La transizione da una pagina all’altra non avviene nell’atto di girare la pagina ma attraverso dei buchi-finestra aperti nei fogli che con la loro ampiezza e collocazione regolano la quantità di soggetto-colore che viene introdotta in quella composizione dal foglio successivo. Nell’itinerario di finestra in finestra quello che prima era un personaggio secondario annidato in una smarginatura diventa il soggetto principale che occupa tutto il 53 campo. Vanni crea così un racconto spazio-temporale che è più direttamente associabile ad una animazione filmica che ad un libro stampato. La novità rappresentata allora da questo tipo di impostazione fa sí che quando Vanni lo propone a quegli stessi editori che avevano vinto già due premi con le sue illustrazioni, nonostante l’apprezzamento personale, non lo pubblicheranno trovandolo troppo audace per proporlo al pubblico. Verrà pubblicato undici anni dopo, conseguendo premi della critica e l’esaurimento della tiratura in pochi mesi. 10 Love rappresenta un esempio dell’interesse di Vanni alla sperimentazione in qualsiasi campo creativo e del ruolo centrale assunto dal colore nelle sue soluzioni. Si situano in questo ambito i progetti sviluppati in collaborazione con lo studio di architettura del suo amico Lanfranco Virgili. 11 Vanni che è fermamente convinto della validità dalla ricerca congiunta di pittori e architetti è molto interessato alle problematiche che deve affrontare. Sviluppa per una serie di palazzi di abitazioni a Villejuif, una città satellite nella periferia parigina, degli schemi di colore che associa ai diversi prospetti della facciata. Su ogni volume aggettante, come ad esempio i molteplici balconi, i tre lati hanno un colore diverso che li stacca dal muro della facciata di un colore simile al lato frontale dell’elemento in questione. Muovendosi di fronte ai palazzi e variando la posizione relativa i rapporti di colore cambiano movimentando gli spazi. L’idea di condizionare la percezione volumetrica attraverso il colore viene sviluppata negli studi per la città satellite de La Dame Blanche (mai realizzata) dove le facciate principali avrebbero dovuto essere dipinte in varie tonalità di blu per interagire cromaticamente con il cielo e staccarvisi per chiaro, scuro, saturazione, a seconda delle ore del giorno e delle condizioni atmosferiche. Un altro progetto, per l’ospedale psichiatrico di Sainte Anne a Parigi, viene studiato anche insieme al primario per contribuire con l’atmosfera di colore delle stanze alla terapia dei pazienti. E’ anche un momento ricco di stimoli per l’attenzione a quanto si svolge allora sulla scena artistica parigina e di arricchimento 54 Sopra la pagina 29 di Love in cui appaiono parti della pagina 33, riprodotta a destra. (10) Nel ‘65 da due editori d’arte, Laurent Tisnè di Parigi e George Braziller di New York. Braziller lo ripubblicherà nel ‘98. (11) Lo studio Prieur-Virgili-Sonolet. (12) In quegli anni legge due libri strettamente legati alle sue ricerche future: la Recherche du temps perdu di Proust e l’ Orlando furioso di Ariosto. (13) Non si percepiva ancora la perdita della posizione di capitale dell’arte, che stava avvenendo a vantaggio di New York. intellettuale nella sua ricerca personale al di fuori dei temi strettamente pittorici.12 Malgrado Parigi non fosse più carica di quel fermento culturale che l’aveva caratterizzata nell’immediato dopoguerra, rimaneva pur sempre un centro importante di vita artistica.13 Durante il periodo passato da Vanni a Yale gli equilibri tra le varie tendenze erano mutati. Il lessico informale si era decisamente affermato con la mostra nel dicembre del ‘52 allo Studio Facchetti intitolata Un Art autre dal libro omonimo di Michel Tapié, che esponeva una selezione internazionale dei principali artisti di questa tendenza. I surrealisti avevano perso la forza propulsiva di gruppo e il loro apporto era soprattutto legato alla ricerca individuale dei maggiori artisti che avevano fatto parte del movimento. Gli esponenti principali del gruppo oramai dissolto dei Jeunes peintres de tradition française, che aveva occupato un posto importante nella vita artistica parigina degli anni quaranta, erano stati glorificati da mercato e istituzioni, che li opponeva, con una punta di sciovinismo, alle nuove tendenze, volendo riconoscere in loro la vera tradizione francese, legittima continuatrice dell’Ecole de Paris. Questa istituzionalizzazione li aveva fatti identificare con delle posizioni che probabilmente non corrispondevano alla loro propria, ma che di fatto li avrebbe poi penalizzati nelle considerazioni successive sul loro apporto creativo all’evoluzione della ricerca pittorica. Rimane invece molto vitale il gruppo degli astratti geometrici che ruotano principalmente attorno alla Galerie Denise René. Oltre a queste divisioni categoriche esistono situazioni più fluide di artisti che perseguono indirizzi interessanti che testimoniano influenze incrociate, come Zao Wou-ki, Tal-Coat e Vieira da Silva che si distinguono per un approccio non figurativo senza per questo essere pienamente astratto. Vanni segue il loro lavoro con interesse analizzandone le soluzioni spaziali con cui sente delle marcate affinità. È anche molto attento al gruppo degli astratti geometrici che sviluppano soluzioni cinetiche o di op-art come Vasarely, Soto, Agam, Tinguely, trovandovi delle conseguenze estreme della sua ricerca 55 56 presente. Osserva anche da vicino la poetica informale, di cui apprezza la sensibilità, ma non ne viene influenzato immediatamente, essendo impegnato in spazi diversi che lo assorbono completamente. Sarà sempre refrattario ad un cambiamento subitaneo e repentino della sua maniera pittorica, ma assimilerà gli elementi che lo interessano attraverso un lungo processo metabolizzante che li rende compatibili con la sua logica. Infatti, nei quadri di alcuni anni dopo, l’eterogeneità di stili presenti in quel periodo contribuirà a sviluppare le basi di quell’eclettismo che lo caratterizzerà. G5504, G5505, G5506, G5601, G5602 P5605 (cat. rag.) A mezz’aria, olio su tela, cm. 64x51, 1957, Legnano, collezione privata. In una serie di disegni (Studi per forme galleggianti) che possiamo considerare molto vicini alle opere di Vieira da Silva, Vanni esamina la linea sviluppata nel tema del confine, come struttura a sé, che si articola nello spazio in una serie di elementi quadrangolari e prospettici. L’iniziale motivo riflesso del villaggio olandese diviene una città galleggiante nello spazio dove, da un corpo centrale più fitto, partono vettori con agganciati piccoli quadrilateri. Il trasferimento alla tela dello sviluppo grafico dei disegni comporta alcuni importanti cambiamenti visivi al concetto di spazio proposto dal quadro stesso. I vettori che si sprigionano dagli elementi centrali come raggi di energia, agganciano in un certo qual modo il fondo e lo attraggono pizzicandone qua e là la materia come se fosse una membrana messa sotto tensione da cavi che la sollevano o abbassano, modificandone colore e tessitura in alcuni punti, come nell’angolo in alto a sinistra di A mezz’aria, rivelandone un altro, che denuncia quindi quanto accade davanti ad esso come illusione, sebbene sia anche reale in quanto esiste dipinto sulla tela. Questa figurazione si rivela presto per Vanni troppo legata ad una tridimensionalità naturalistica, e la abbandona nella ricerca di una dialettica puramente formale tra l’elemento grafico ed il campo circostante. Dipinge opere in cui un campo dello stesso colore copre l’interezza del quadro con, all’interno, esili figure geometriche in equilibrio simili a mobiles sospesi nello spazio. 57 Frammenti II, olio su tela, cm. 35x35, 1957, New York, collezione privata (P5702, cat. rag.). L’idea di sospensione è accentuata dall’uso di colori timbrici in rapporto di vibrazione con la cromaticità del campo circostante. Quest’ultimo è sensibilizzato da due campiture sovrapposte di colori simili, dove la seconda viene raschiata via con la spatola rivelando il colore sottostante, aumentando così la tensione vibrante del campo cromatico. Malgrado si sia perso qualsiasi riferimento diretto al paesaggio, si tratta comunque di opere che usano una struttura euclidea dello spazio, dove il campo cromatico serve di fondo davanti al quale si stagliano delle forme.14 Vanni rimane però interessato ad una ricerca che porti i due elementi ad un confronto dialettico per ottenere una ambivalenza dei relativi valori spaziali. Per questo riprende il tema originario dei confini che aveva continuato ad esplorare nei disegni, accantonandolo però per oltre un anno nelle opere su tela. Ritorna così ad una ricerca più personale che, riallacciandosi direttamente a quelle precedenti, sviluppa subito 58 (14) Nei quadri di tre anni dopo le piccole forme, questa volta organiche, che si sviluppano fra due campi attigui sembrano generate dal contatto fra questi, e ne diventano attributi, negando al campo circostante la profondità infinita. P5705, P5706 P5708 P5713, P5715 P5716 P5801 (cat. rag.) una serie di quadri molto interessanti. I primi conservano ancora, accanto a campiture uniformi di colore, segmentazioni prismatico-cristalline (Prateria e Discendendo verso il fiume) che presto scompariraranno del tutto, rimanendo però alla base delle nuove strutturazioni spaziali (Giuochi di spazio). Questa ricerca si svilupperà per tutto il ‘57 conseguendo i risultati che Vanni era andato cercando: un rapporto interlocutorio fra le piccole geometrie del confine e le vaste campiture circostanti. Queste ultime avevano perso un attributo subalterno di fondo per divenire piani astratti da qualsiasi riferimento tridimensionale (Frammenti in grigio, Spazio a frammenti, Coste). Una figurazione che trova la sua opera più significativa in Strappo che riassume tutte le esperienze di questi due anni e apre la strada a quelle successive. Giuochi di spazio, olio su tela, cm. 70x65, 1957, Castellanza, collezione privata. 59 Vanni dipinge Strappo durante il soggiorno di un anno a New York nel ‘58. Malgrado la sua pittura debba ancora attraversare una moltitudine di ricerche prima di approdare al suo stile definitivo, in quest’opera si possono ritrovare in nuce i temi essenziali che caratterizzeranno la sua formulazione: l’ambiguità dei piani, la lettura molteplice degli spazi che nell’accettazione dell’uno mettono in dubbio la lettura dell’altro, e l’inserimento, nel margine basso del quadro, di un elemento che suggerisce l’esistenza di un’opera diversa sottostante. Nelle forme turchesi della parte inferiore si riconosce la propensione a far passare il massimo della tensione in dei punti sottili al limite della rottura. L’origine iconologica è rintracciabile nell’interesse per le strutture tensili15 studiate con Nervi e Buckminster Fuller e osservate in natura nelle zampe delle cavallette. Il secondo viaggio in America è motivato dall’offerta di un contratto da parte del proprietario di una galleria che deve aprire nell’autunno del ‘58 a New York, per esporre soprattutto pittura e scultura italiana. Il periodo si rivela presto più difficile del previsto, perchè il progetto va a monte in una complicazione giudiziaria che sfocia nel sequestro di tutte le opere depositate presso la galleria e la loro perdita da parte di vari artisti, fra cui Vanni.16 Fortunatamente il rovescio è in parte controbilanciato dall’incontro con Otto Seligman,17 gallerista di origine tedesca, proprietario di una galleria a Seattle e agente esclusivo di Mark Tobey. Interessato ai quadri di Vanni inizierà una intensa collaborazione che risulterà in una serie di personali e collettive nella sua galleria.18 L’esperienza newyorkese espone Vanni a quanto prodotto dall’Action Painting, nelle opere di Pollock, Rothko, De Kooning, Kline. Come era avvenuto a Parigi, queste non lo influenzano immediatamente nel lavoro che sta producendo, ma contribuiscono all’evoluzione della sua pittura negli anni seguenti. Anche qui, però, segue con maggiore attenzione il lavoro di alcuni artisti la cui ricerca lo riguarda più da vicino, fra cui Clyfford Still per le sue partiture di spazi complementari, Gorky e Gottlieb per il contrasto fra linea grafica e massa. 60 (15) In particolare i ponti sospesi di New York. (16) Sarà questa una delle cause che determinerà il ritorno in Europa. (17) Seligman era stato presentato a Vanni da Meta Cordy, sua collezionista, che faceva parte del gruppo di intellettuali emigrati dalla Germania negli anni ’30. (18) Questa collaborazione continuerà con reciproca soddisfazione fino alla scomparsa di Seligman nel ‘67. Strappo, olio su tela, cm. 124x91, 1958, disperso. 61 Nelle opere dipinte durante il soggiorno a New York si ha una serie di studi diversi e paralleli sul rapporto fra i tre elementi che le compongono: i raggi-vettori, le piccole forme geometriche e la superficie del quadro identificabile con il fondo. Si tratta di una ventina di quadri che esplorano le possibilità di queste forme e delle immagini che risultano dalle loro mutazioni. Le variazioni più importanti riguardano i raggi che erano nati dalle linee d’orizzonte con il villaggio e si erano trasformati in linee di tensione generanti a loro volta microscopici satelliti, come avviene in certe strutture cristalline o nei protozoi radiolari.19 Con l’apparizione di forme come quelle turchesi nella parte inferiore di Strappo in cui le piccole geometrie, stavolta triangolari, si assottigliano fino a formare una linea, nasce un nuovo tipo di raggi, non più in controllo delle piccole entità geometriche ma generati da queste. La nuova forma originaria triangolare li proietta sul quadro per triangolazioni, eliminando la struttura a griglia che aveva regolato lo spazio negli ultimi anni. L’impianto compositivo che ne risulta starà alla base dei quadri sviluppati dopo il ritorno a Parigi, che saranno anche gli ultimi del periodo geometrico. 62 (19) Protozoi marini con scheletri silicei formati da un nucleo da cui si diramano lunghi e sottili pseudopodi di solito in forma di raggi rigidi che catturano altri microorganismi che vi aderiscono. Haeckel, il grande biologo tedesco studioso dei radiolari li definiva, per la loro perfezione, i gioielli in miniatura dell’abisso. Frammenti orientali, olio su tela, cm. 90x100, 1959, Castellanza, collezione privata. Danza delle efemeridi, olio su tela, cm. 30x61, 1958, Seattle, collezione privata (P5820). Al ritorno dall’America, alla fine del ‘58, Vanni, la cui famiglia era aumentata di numero con la nascita del figlio Ruggero, affitta per quasi un anno un ex albergo a Vélizy, alla periferia di Parigi. Questo era situato ai bordi di uno stagno, l’Etang des Ecrevisses nel Bois de Chaville, che ospitava però ranocchie piuttosto che gamberi. A primavera il bosco era pieno di mughetti che i parigini venivano a cercare soprattutto per i bouquets del primo maggio. Qui Vanni ha, per la prima volta, un grande studio per dipingere e in un periodo molto intenso di lavoro produce una serie di quadri che verranno esposti nella personale alla galleria Schneider che terrà l’anno dopo. La maggior parte di queste opere è contraddistinta dalla presenza di piccole forme triangolari giallo-turchesi fluttuanti in un campo rosso, colore a cui, contrastandone il significato gestaltico, viene attribuito un senso aereo, spaziale. È interessante notare come le piccole forme galleggianti, e le linee che ne irradiano, siano dipinte in riserva, cioè dopo il 63 fondo, sui frammenti di tela lasciata bianca, in riserva appunto. Ciò contribuisce alla integrazione delle forme, ad evitare un senso di messo sopra, e a creare sfumature di passaggio fra l’uno e l’altro elemento. Il rosso, a sua volta, è composto di tre successive stesure e si riferisce, più o meno coscientemente, per la sua intensità, al drappo rosso dei Sindaci dei drappieri di Rembrandt. La prima stesura, sottile, di carminio lascia trasparire la trama della tela, volutamente marcata. Su questo viene dipinto, con una stesura frammentaria, un rosso medio che intorno alle forme stellari viene accentato con la strofinatura di impasti di scarlatto. La stratificazione dei colori contribuisce a creare l’impressione che le forme stellari sviluppino dei campi magnetici che aggregano le particelle più luminose dello spazio circostante. Le forme stellari stesse sono come cristalli che irradiano linee di forza dai loro nuclei controllando lo spazio nelle loro scansioni. Avvicinandosi ed entrando ad osservarne le strutture, troviamo un altro elemento fondamentale dell’opera di Vanni: una piccola forma, preziosa e complessa, che con l’intensità dei suoi dettagli regge il confronto con il vasto campo circostante (Frammenti orientali). A ricordare la conquista di Strappo, dell’ambiguità di spazio, quasi tutte le composizioni sono concluse, in basso, da una striscia in cui ritornano, alla verticale, tutte le fibre e gli elementi che compongono la struttura fluttuante, come fili che, completata in alto la ragnatela del disegno, si ricompongono in ordine al di fuori della scena. Sono quadri che, raggiungendo l’apice dello sviluppo delle tematiche intraprese con Albers, concludono per Vanni le loro possibilità evolutive. È giunto il momento di esplorare nuove figurazioni che, pur essendo a tutta prima apparentemente molto diverse da queste, porteranno dentro di loro strutture spaziali che non rinnegheranno le conquiste di questo periodo. 64 P5902 (cat. rag.) Capitolo 3 (1) Per delle notizie più approfondite si rimanda a “L’immediato dopoguerra e l’uscita dall’autarchia” di Claudio Spadoni, in AA. VV., L’arte in Italia nel secondo dopoguerra, Il Mulino, Bologna, 1979. (2) L’informale si presenta ufficialmente in Italia con la presenza, nel padiglione americano alla Biennale di Venezia del giugno 1950, della pittura di Gorky, di de Kooning e di Pollock. (3) “L’ambiente romano” di Manuela Crescentini, in AA. VV., La pittura in Italia - Il Novecento/2, Electa, Milano, 1993, p. 511. Roma - La mobilità stilistico-formale, lo spazio ambiguo Nel maggio del 1960 la galleria Schneider espone le opere di Vanni, per la seconda volta, in una personale. L’accoglienza favorevole del pubblico e la vendita della maggior parte dei quadri della mostra determinano Robert Schneider a offrirgli un contratto. È sulla spinta di questa iniziativa che Vanni decide di tornare a vivere a Roma. Con l’esperienza che ha accumulato negli anni vissuti in Francia e in America, Roma non è un posto dove torna ma un posto dove va. Nel frattempo, il panorama artistico che ha lasciato dieci anni prima si è evoluto. La polemica, iniziata subito dopo la fine della guerra, tra arte astratta e arte figurativa,1 è andata smorzandosi durante la seconda metà degli anni cinquanta. La ricerca Informale, sviluppatasi in questi anni sulle tracce delle nuove ricerche americane ed europee2 ha portato una ventata rivoluzionaria che supera il dibattito astrazionerealismo. L’orientamento della scena artistica romana si contraddistingue per una apertura internazionale. Roma diviene “...negli anni Cinquanta e Sessanta, la città italiana maggiormente in rapporto di lavoro con il Nordamerica grazie sia alla significativa funzione mediatrice assolta dagli studi cinematografici di Cinecittà, sia alla consistente presenza degli artisti americani a Roma...”. 3 Ai nomi più conosciuti, Johns, Rauschenberg, Marcarelli, Twombly, se ne possono aggiungere decine di altri che vanno e vengono tra gli Stati Uniti e Roma. 65 Inoltre artisti italiani che lavorano a Roma come Afro, Burri, Capogrossi, Mirko, vengono invitati in importanti mostre collettive al Guggenheim Museum e al Museum of Modern Art di New York.4 A Roma si svolge una intensa attività espositiva, grazie anche alle numerose gallerie private aperte in quegli anni. “Tra le gallerie d’arte più attive e diversamente schierate figurano L’Obelisco di Brin e Dal Corso, La Medusa di Bruni, l’Odyssia di Quadrani e Skouras, la Schneider, l’Appia Antica, (...) e, successivamente, soprattutto La Tartaruga, di Ninì Pirandello e De Martiis, e La Salita, di Liverani.”5 La galleria Schneider si distingue per avere un contatto privilegiato con i collezionisti statunitensi, derivante in parte dal fatto che Robert Schneider è americano. Questo, ed il suo passato di professore alla New York University, gli forniscono una posizione di vantaggio per trattare con collezionisti e curators americani di passaggio a Roma, diventando un punto di riferimento per chi si interessa agli sviluppi dell'arte contemporanea in Italia. Questo è particolarmente importante per Vanni per mantenere i contatti sviluppati negli Stati Uniti. 6 Fin dalla sua apertura nel ‘53, con il sostegno e la consulenza artistica di Cagli e Mirko, la politica espositiva della galleria consiste nell’alternare mostre di artisti già affermati (Afro, Cagli, Capogrossi, Corpora, Matta, Sanfilippo, ecc.) con altre di artisti più giovani (Buggiani, Cristiano, Vanni, ecc.) e una consistente presenza di stranieri, principalmente americani (D’Almeida, Hadzi, Zajac). Ciò che accomuna gli artisti esposti non è uno stile portante, una scelta di tendenza, ma una attenzione particolare alla qualità dell'opera in quanto manufatto artistico. Una predisposizione a concepire l'arte come mestiere anche dal punto di vista artigianale, dove le qualità intrinseche dell'opera ne avvalorano le scelte formali.7 La ricerca pittorica di Vanni trovava dunque, in questo ambito, una corrispondenza di intenti, di modi creativi. Non da un punto di vista strettamente stilistico-formale, ma intellettuale. Durante questo periodo stringe legami personali con alcuni 66 (4) Burri e Capogrossi figurano alla mostra Younger European Painters, che si tiene dal 2 dicembre ‘53 al 21 febbraio ‘54 al Guggenheim Museum; parteciperanno anche, con Afro, Minguzzi e Mirko, alla mostra The New Decade: 22 European Painters and Sculptors, dal 10 maggio al 7 agosto del ‘55 al Museum of Modern Art, e successivamente al Minneapolis Institute of Art, al Los Angeles County Museum e al San Francisco Museum of Art. (5) “L’ambiente romano” di Manuela Crescentini, in AA. VV., La pittura in Italia - Il Novecento/2, Electa, Milano, 1993, p. 514. (6) Schneider contribuirà a far conoscere Vanni negli Stati Uniti con mostre collettive degli artisti della galleria che organizza in diversi musei americani. (7) Buggiani ricorda che sentiva di avere con gli altri artisti “una affinità di pensiero, di atteggiamento. Se si vuole trovare una qualche affinità di stile va ricercata nella provenienza naturalistica del loro astrattismo.” Intervista a Paolo Buggiani (novembre 2001) (8) “Corsivo n. 12” di Corrado Cagli, in Quadrante, n. 2, Milano, giugno 1933, p. 30 (citato da E. Crispolti, in I percorsi di Cagli, cat. mostra, Castel dell’Ovo, Napoli, 23 set. - 31 ott. 1982, p. 35) degli artisti che, in maniera più o meno continuativa, gravitano intorno alla galleria, in particolare con Paolo Buggiani. Con lui sviluppa un’amicizia duratura, cementata dalla stima reciproca per il rispettivo lavoro, che li porta ad essere in quel periodo quasi inseparabili. Con Corrado Cagli Vanni è legato da una lunga amicizia che è affiancata dall’ammirazione per la sua opera. Lo interessa la sua inesauribile capacità immaginativa, la vivacità intellettuale, la costante inclinazione alla sperimentazione, la ricerca astratta che contemporaneamente non rinnega quella figurativa. In un suo scritto Cagli asserisce che “...come l’arte poetica ha i suoi generi (lirica, èpica, idillica) così la pittorica ha i suoi che non sono paesaggio, figura e natura morta, ma l'astratto e il formale. Superato il dissidio fra i due generi (si può fare èpica e lirica senza mutare anima) si riscatta l'astrattismo dalla polemica per trasportarlo nell'arte.”8 Concetti su cui Vanni non poteva che essere d’accordo. È proprio dal punto di vista intellettuale che risiede l’influenza di Cagli sulla pittura di Vanni. Rappresenta un sostegno importante per delle convinzioni che altrimenti avrebbe dovuto affrontare solitariamente. Prima fra tutte l’idea che non intende impostare il suo discorso su base monologica, ma che qualsiasi scelta stilistica sia legittima se si situa all’interno di una propria coerenza poetica. Ci saranno, alla metà degli anni sessanta, momenti in cui certe iconologie si avvicineranno a quelle del Maestro, ma questo rappresenterà un aspetto secondario rispetto all’apporto sostanziale di poter avere in lui un interlocutore attento alle problematiche che sta affrontando. Questo si rivelerà tanto più importante quanto più lo sviluppo delle tendenze contemporanee si allontanerà dal tipo di ricerca che Vanni sta seguendo. Da parte sua Cagli apprezza molto la pittura di Vanni e visita il suo studio frequentemente. Come vedremo più avanti, appoggerà il suo lavoro in più di una occasione. La disponibilità di Cagli verso gli artisti più giovani crea intorno a lui un cenacolo dove ritrovarsi e discutere di arte. Il suo particolare eclettismo situandolo al di fuori di schemi precostituiti 67 Vestigia di una impronta, olio su tela, cm. 70x90, 1960, collezione dell’artista. lo pone come riferimento ideale per tutti quegli artisti situati al di fuori di gruppi e movimenti. In questa cerchia ristretta si incontravano oltre a Vanni e Buggiani, anche Canevari, Cervelli, i due Moriconi, Nuvolo, Samonà, Sordini. La mostra di Vanni da Schneider nel maggio del ‘60 avviene durante un periodo di transizione dai quadri a struttura geometrica sviluppati durante tutti gli anni cinquanta, a opere a struttura organica.9 Rispetto a quei quadri Vanni voleva ottenere una integrazione di tutti gli elementi costituenti che evitasse di leggere lo sfondo come un fondale teatrale di fronte al quale si muovono i personaggi. Nelle prime opere le forme geometrizzanti in primo piano restano essenzialmente le stesse, ma le zone di colore su cui campeggiano perdono la loro uniformità, assumono una matericità più spiccata nel tentativo di eliminare l’idea di fondo inerte facendolo partecipare attivamente a quanto avviene in primo piano, essendone modulato, attratto o respinto (Tempesta d’estate). Questa variazione non è sufficiente per destabilizzare il ruolo polarizzante degli agglomerati stellari, la loro 68 (9) Questa sperimentazione, che era cominciata nel ‘59 lo porterà, verso la fine del ‘66, attraverso una serie di trasformazioni successive, ad acquisire tutti gli elementi propri alla sua figurazione. P5920 Discesa all’Averno, olio su tela, cm. 80x100, 1960, Los Angeles, collezione privata. P6008 (cat. rag.), P6015, P6016 P6017 (cat. rag.) caratterizzazione rimane troppo definita. La ricerca si concentra sempre di più su uno sfaldamento delle forme e la loro integrazione col mondo circostante. I micropaesaggi geometrici dei quadri di Vélizy si sfrangiano, perdono in definizione, quasi la materia del fondo avesse un effetto corrosivo. Da elementi indipendenti diventano tessuto cicatrizzato di una ferita nello spazio, appartenente e prodotta da questo, trasformando le geometrie precedenti in agglomerati organico-materici (Vestigia di una impronta, Ricordo del nord, Sedimentazione). Allo stesso modo anche i colori timbrici del fondo perdono mano a mano di intensità, fino a divenire toni di terre quasi monocromatici. Le forme incluse, condividendo lo stesso criterio di esecuzione, paiono nascere dallo spazio circostante, essere una conseguenza del suo espandersi, quasi ne fossero delle fratture (Discesa all’Averno). Acquistano una visibilità positiva-negativa, potendo essere interpretate come primo piano o fessura, a seconda di come l’osservatore associa il significato dell’insieme. Ne scaturisce una ambiguità di piani, una possibilità di lettura a più livelli. 69 Per la trasformazione definitiva sarà determinante l’esperienza visiva accumulata durante i primi viaggi nelle isole greche.10 La sua attenzione si concentra sul bianco abbagliante dell’intonaco delle case cicladiche, scandito dal ritmo dell'impronta della cazzuola. “I muri immacolati delle Cicladi” dice Vanni “assorbono e riflettono una luminosità accecante più forte del cielo, si smaterializzano in spazio infinito - e al tempo stesso trattengono la luce, la superficie asserisce la propria materialità luminosa, sono lì, plastiche, tangibili in ogni asperità, ogni riga. E le crepe oscure, dove un seme di cappero provoca una effusione fuoriuscente di foglie, sottolineano la presenza della superficie, fra astrazione e realtà.”11 Così la superficie materica fa la sua prima apparizione nella pittura di Vanni. Nasce una lunga serie di quadri, dai titoli mitologici a sottolineare la grecità dell’ispirazione, caratterizzati da uno spazio materico bianco a tratti interrotto da fessure nelle cui oscurità appaiono forme organiche di terre naturali con accenti di nero. La componente materica viene fortemente arricchita di polvere di pietra pomice o di marmo per inaridirne vieppiù la stesura. Una stesura ritmica, ma non meccanica. In una prima fase verrà applicata con il pennello. Più tardi invece Vanni la stenderà sulla tela con una spatola, simile a quelle adoperate per stendere gli intonaci bianchi cui fa riferimento, creando degli spessori che emulano il muro (Verso la terra dei Feaci). Ma il campo bianco, che nasce da una trasposizione quasi letterale di quelle mura, assume presto anche le qualità di un elemento liquido. È l'altra novità importante di questi quadri, che consiste nel passaggio da un mondo aereo ad uno liquido. È lo stesso Vanni a notare che “allo stesso tempo questo pullulare di segni scuri mi ricordava i riflessi sulla superficie del mare quando è calmo, le cui forme originali appaiono e scompaiono come Proteo in variazioni infinite.”12 Se i quadri degli anni cinquanta obbedivano ad uno spazio gravitazionale fisico assimilabile ad un ambiente aereo, rarefatto, in questi l’interazione delle forme appartiene ad una logica riconducibile alle leggi fisiche che regolano le proprietà dei liquidi. 70 Mare Ionio al mattino. Intonaco cicladico. (10) A partire dal ‘59 Vanni ha scelto di vivere, da maggio a settembre, in Grecia. Nel ‘75 si è costruito una casa-studio nell’isola di Citera. (11) Elisabeth Reed, Intervista a Gian Berto Vanni, New York, 1983. P6023 (cat. rag.) (12) Elisabeth Reed, Intervista a Gian Berto Vanni, New York, 1983. Verso la terra dei feaci, olio su tela, cm. 100x80, 1960, Mondragone, collezione privata. 71 Non è un caso che l’elemento liquido entri nella figurazione di Vanni, infatti il mare è una parte determinante del suo mondo.13 In quel periodo fa dettagliati studi fotografici sul movimento delle onde. Si serve della fotografia per fissare il divenire di queste forme nella loro costante mutazione. Analizza il cambiamento formale nel ritmo dei flussi a seconda degli ostacoli che incontrano: se la forza dell'onda esaurisce se stessa su una spiaggia di sabbia o nella violenza della risacca su una costa rocciosa. Questo si ritrova sui quadri nel ritmo delle pennellate che formano il campo bianco e come questo viene condizionato dall'avvicinarsi alla cornice o in prossimità delle forme interne. I campi magnetici che si intuivano nelle polverizzazioni della materia-colore in prossimità delle città galleggianti dei quadri parigini, qui diventano espressioni di correnti sotterranee nel loro manifestarsi sulla superficie del mare. Le forme interne prendono allora delle configurazioni e direzioni continuamente diverse: centrifughe, centripete, verticali, orizzontali. Tutto questo contribuisce a creare delle immagini evocative che forniscono la possibilità di associazioni multiple. Così, in quadri come Verso la terra dei Feaci o Ritmi del mare Egeo, lo spazio bianco assume contemporaneamente il valore di astrazione luminosa, di presenza materica di intonaco e di onde intrappolate in un golfo. Ugualmente le forme interne possono essere interpretate in più modi: fratture-ferite aperte nei campi bianchi, riflessi sull'acqua o anche elementi che emergono dall'acqua stessa. In ambedue i casi ci possiamo immaginare facilmente un'evoluzione temporale di quelle forme: o il bianco-acqua risommerge tutto oppure, ritraendosi, scompare lui stesso. Il riflesso-ferita può benissimo moltiplicarsi, invadendo tutto, o frammentarsi in più parti e scomparire. Queste letture multiple ci forniscono dei concetti fondamentali per leggere l’opera di Vanni: la possibilità che una parte del quadro, in un mutuato equilibrio, prenda il totale sopravvento sull'altra; le forme scure sono al tempo stesso soggetto condizionante e oggetto condizionato rispetto al campo circostante. Guardando il dettaglio è difficile stabilire quale dei due sia la forma antistante, infatti in quadri come L’antro della Sibilla* dove la 72 (13) Vanni, infatti, durante i suoi soggiorni in Grecia, non solo passa molto tempo sul mare ma anche sotto il mare, poichè è stato tra i primi in Italia a praticare la pesca subacquea in apnea. P6023 (cat. rag.), P6024, P6022* L’antro della Sibilla, olio su tela, cm. 100x65, 1960, collezione dell’artista. Red dot, olio su tela, cm. 114x146, 1961, Los Angeles, collezione privata. (14) Riprendendo in un altro contesto i temi legati al concetto di figure-ground sviluppati nelle opere dipinte durante gli studi con Josef Albers (Muraglia Cinese). P6109* (cat. rag.) (15) Il termine Informale venne usato per la prima volta dal critico francese Michel Tapié, nel 1952, in Un Art Autre. Da allora con esso si è fatto riferimento a tutte quelle ricerche che hanno riproposto in pittura e scultura un primato dell’atto espressivo facendolo coincidere con l’agire, con l’essere. Da qui l’esplorazione delle possibilità espressive della materia, intesa come oggetto d’arte, in opposizione alla linea ed alla figura. frattura occupa la metà della superficie del quadro, l’ambivalenza è forte. Anche se nella visione d’insieme vengono percepite come il soggetto, è sempre presente la possibilità di una loro lettura al negativo per cui il campo circostante bianco assuma questo ruolo relegando le zone scure al ruolo di sfondo.14 All’esaurirsi di questo periodo Vanni fa un passo ulteriore verso la soppressione del dualismo contraddittorio: il bianco assoluto viene velato, ravvicinando la sua superficie, per tono e situazione spaziale, alle forme più scure. Anche queste subiscono un processo di ravvicinamento, e l’azione che domina i movimenti di superficie coinvolge ambedue le forme, finchè la distinzione fra i due piani scompare del tutto (Red Dot*). È a questo momento che Vanni comincia ad adottare a fondo la velatura, e a capire appieno la diversità fra colore trasparente e colore opaco, adottando ora l’uno ora l’altro, anzi usando questo modo di costruire l’immagine fino ad oggi. L’abbandono del dualismo a favore di una materia pulsante lo porterà a intraprendere degli esperimenti pittorici ispirati dalla poetica dell’Informale.15 Può apparire paradossale che Vanni non si sia accostato a questo tipo di ricerca in Francia e in 73 America, per poi interessarsene, più tardi, in Italia. Questo trova la sua spiegazione nei presupposti fondamentalmente classici del suo lavoro, in una visione della pittura secondo una concezione radicata in equilibrio e misura. È dunque naturale che i richiami di Vanni a questa poetica avvengano proprio al suo rientro in Italia, dove potranno essere mediati da quelle accezioni rispecchianti un “...atteggiamento frequente nell'arte Italiana, profondamente legata al suo passato, a certi irrinunciabili valori formali, e poco propensa, quindi, ad operazioni di rottura, ai colpi di mano dell’avanguardia.”16 Attraverso questa esperienza acquisisce certe metodologie e alcune costanti estetiche, quali il gusto del segno, l'ambiguità morfologica, l'importanza della materia pittorica come ragione d'arte. Si interessa soprattutto a certe morfologie. Utilizza la macchina fotografica come un blocco di schizzi, scattando delle 74 Al centro della tempesta, olio su tela, cm. 114x163, 1961, collezione dell’artista. (16) “L’Informale” di Claudio Spadoni, in AA. VV., L’arte in Italia nel secondo dopoguerra, Il Mulino, Bologna, 1979, p. 45. (17) Vanni aveva già iniziato questo archivio fin dagli anni di Parigi. Qui, nel ‘57, aveva tenuto una conferenza, centrata sulle sue fotografie, intitolata Carnet de voyage d’un peintre abstrait con la presentazione dello scrittore André Bay. Ancora oggi, in ogni suo viaggio, registra tutte le immagini di materie che attirano la sua attenzione. (18) Molto più tardi troverà la conferma di quanto era andato cercando nella geometria dei frattali di Mandelbrot. P6132 (cat. rag.) P6122 (cat. rag.) P6116 (cat. rag.) (19) Denis Schneider, figlio di Robert Schneider aveva studiato storia dell’arte a Roma e aveva sempre dimostrato un grande interesse per l’opera di Vanni. (20) “In una accezione ristretta, segno... ...è un tracciato grafico che può o non può essere in relazione con ciò che indica; ...Il gesto è invece la concretizzazione plastica di un movimento fisico immediato e spesso incontrollato.” (Italo Tomassoni, Arte dopo il 1945 - Italia, Cappelli Editore, Bologna, 1971.) serie di immagini che studiano la struttura e la caratterizzazione materica delle forme naturali come la sezione di un tronco o la conformazione di una roccia. Prende corpo un archivio delle materie, da cui Vanni attinge per poi tradurle, a livelli incrociati, nelle sue astrazioni pittoriche.17 Il suo interesse non è volto alla loro rappresentazione naturalistica, ma a comprenderne la struttura intrinseca, intuendo l’esistenza di una geometria che sta alla base di tutte queste forme.18 Ne ricerca la logica per ottenere delle strutture morfologiche sempre più organiche, arrivando a creare una superficie sulla quale ogni elemento, di forma e di materia, abbia la stessa importanza gerarchica, di cui sia possibile dare una molteciplità di interpretazioni strutturali e figurative. Nella mostra da Schneider dell'ottobre del ‘61 e in quella alla galleria Seligman di Seattle del ‘62 vengono presentate delle opere dove si assiste alla perdita di un'immagine definita a favore di una predominanza della materia, sottolineata da un gestualismo più accentuato. In alcune rimangono predominanti i riferimenti formali alle strutture geomorfiche (La terra e il fuoco: Prometeo) e fitomorfiche (l’allusione al nodo di un tronco di ulivo di Al centro della tempesta) osservate in Grecia, in altre questi elementi sono fusi nel nuovo dinamismo gestuale presente in Genesis. L'impressione è quella di una forza centrifuga (o centripeta) per la quale le forme dei quadri bianchi si fondono in un nodo inestricabile con la materia circostante che viene spesso evidenziata dall'uso di velature che ne sottolineano la corposità. Così scrive Denis Schneider19 nella presentazione del catalogo del ‘61: “Nelle sue composizioni più drammatiche, come Genesis, appaiono dei vortici e le forme solide sembrano fondersi nell’impeto della corrente.” Ma anche nei quadri dove l’esplosione della forma è più accentuata e l'identità tra immagine e materia più evidente il segno non è motivato da una immediatezza gestuale. 20 Per Vanni non sarà mai la materia che detta la forma, ma sarà la materia che suggerisce una forma che lui vorrà capire, intellettualizzare e ultimamente distinguere. A questo proposito, sono chiarissimi 75 Genesis, olio su tela, cm. 146x116, 1961, Roma, collezione privata. i suoi appunti dell’epoca: “L’inizio del quadro consiste in una azione di aggressione; la tela è messa lì, l’istinto è lasciato libero, si segue un’idea vaga, tumultuosa, e si agisce istintivamente. Dopo si cerca di capire questo fatto, e capendo si sviluppa quello che l'istinto e l'emozione hanno dettato. Capirla, estrarla; la tela prima è aggredita, poi carezzata, aiutata, fatta partorire di tutte quelle idee da cui è stata fecondata all'inizio.” Si tratta di opere in cui è quasi sempre presente un richiamo costante, anche se impercettibile, al dato naturale. Un rapporto materia-natura, che potrebbe far pensare alle ricerche sviluppate 76 (21) Questa definizione di Arcangeli risale ad un saggio scritto sul n. 59 di Paragone nel novembre del 1954. (22) Giorgio di Genova, Storia dell’arte italiana del ‘900 - Generazione anni dieci, Edizioni Bora, Bologna, 1990, p. 221. (23) Italo Tomassoni, Arte dopo il 1945 - Italia, Cappelli Editore, Bologna, 1971, p. 93. (24) “L’Informale” di Claudio Spadoni, in AA. VV., L’arte in Italia nel secondo dopoguerra, Il Mulino, Bologna, 1979, p. 35. (25) Questo esperimento ebbe luogo in Francia ed in Italia coinvolgendo cinquanta pittori, nel loro studio, sotto la supervisione di una equipe di medici e biochimici. L’artista non veniva informato di quale droga gli sarebbe stata somministrata, né di quale effetto avrebbe potuto avere. Naturalmente nelle droghe erano incluse dei placebo ma a Vanni toccò della psilocibina, che intensifica la visione cromatica, all’85% del massimo della dose. Oltre al breve episodio allucinatorio, l’altro effetto fu il raddoppiamento della pressione arteriosa per una durata di dieci minuti. Vanni venne a sapere più tardi che la maggior parte degli artisti a cui era stata somministrata la stessa sostanza, aveva avuto una impossibilità a fare toccare due superfici di colore, con una tendenza a dipingere a chiazze isolate. In comune con la sua esperienza c’era stata la sensazione allucinatoria dello scorrimento della materia verso l’angolo inferiore destro, che aveva portato alcuni di loro a dipingere delle forme discendenti in quella direzione. all'inizio degli anni cinquanta, da quei pittori individuati da Francesco Arcangeli come ultimi naturalisti, 21 come in certi dipinti di Mandelli eseguiti dopo il '54, dove "comincia a dare spessore materico alle sue pennellate squilibrate, ma frenate dal rapporto con la natura”.22 Ma, a differenza di Mandelli e degli ultimi naturalisti, per Vanni dipingere non è mai “un modo per partecipare direttamente al divenire delle cose, ...un trasferimento in arte di un processo esistenziale, ...”.23 Il suo è, al contrario, sempre un processo estremamente razionale, controllato, analitico. Se dunque, “adottando un criterio estensivo al massimo, ma carico di ambiguità ed approssimazione, si sono considerate informali tutte le esperienze artistiche che hanno rifiutato un'idea di forma precostituita, programmata, teoricamente precisata...”,24 si può dire che Vanni non sia mai stato appieno un pittore “dell'Informale.” Sono forse questi i quadri meno personali di Vanni, anche se questa esperienza ha avuto un'influenza stimolante e, come per tanti artisti della sua generazione, è stata fondamentale e lo accompagna tuttora. Dopo la breve escursione sperimentale nel lirismo di una materia pura, sviluppata in un campo continuo i cui limiti spaziali non coincidono necessariamente con quelli della cornice del quadro, Vanni reimposta la propria ricerca. Ancora una volta mette in discussione il proprio repertorio figurativo, per individuare le componenti che saranno la chiave di lettura per tutti gli sviluppi successivi elaborati fino ad oggi. È di questo periodo un interessante esperimento in cui Vanni dipinge sotto l’effetto di una droga. Era un’esperienza che non lo aveva mai attratto, si ricordava di quello che Picasso gli aveva detto: “Io le ho provate tutte ma preferisco di molto le forme della mia immaginazione, perchè quelle procurate dalla droga sono banali e simili tra loro.” Quando però un gruppo di ricerca scientifica diretto dal professor Emilio Servadio, della Società Psicoanalitica Italiana, gli chiede di partecipare ad un esperimento per studiare l’effetto di droghe diverse sulla pittura, accetta con grande interesse.25 Nelle le sei ore di influenza dello stupefacente Vanni ha soltanto un breve fenomeno allucinatorio in cui gli 77 Pietra dedicata al mare, olio su tela, cm. 80x100, 1963, collezione dell’artista. sembra che la materia del quadro fluisca verso l’angolo destro inferiore, ma per il resto continua a dipingere un quadro che non presenta alcun elemento che lo possa differenziare dagli altri su cui sta lavorando in quel periodo. 26 Tra la fine del ‘62 e gli inizi del ‘63 si intrecciano, alternativamente, due ricerche. Nella prima la materia subisce evoluzioni diverse sottolineate da una rarefazione o ispessimento della tessitura evidenziate dal cromatismo delle velature; recupera una sua strutturazione ben definita dando vita a delle composizioni spaziali scandite da un ritmo sicuro, che suddividono il quadro in scomparti (Pietra dedicata al mare, Casa del Minotauro). Nella seconda riemerge, più impellente, l'esigenza di un controllo formale sulla materia (del resto mai completamente trascurato) che sia più esplicito. La pennellata come segno materico viene intellettualizzata con dei grafismi che ne sottolineano le caratteristiche (Primavera per Radha*). Anche in questo caso le velature intervengono a dare enfasi emotiva alla materia stessa.27 A fare da contrappunto a forme che sviluppano sempre di più un loro carattere individuale, intervengono presto delle macchie di colore a impasto. Si tratta di impronte, di frammenti cromatici 78 (26) Dopo alcuni anni, ricordando questa esperienza, darà ad un quadro il titolo di LSD 25 (P6504, cat. rag.), alludendo alla fissità stupefatta della figura antropomorfica. P6305 (cat. rag.), P6307 P6333* (27) È interessante confrontare queste opere con i monotipi che Vanni ha fatto in quegli anni (Movimento I-XI [G6205-15], Azione I-XI [G6216-34], Studio I-XII [G6301-12]) dove questa ricerca è sviluppata senza l'intervento cromatico della velatura P6328 (cat. rag.) P6330 (cat. rag.) dai colori timbrici, che fanno da contrappunto alle pennellate che li circondano puntualizzando le correnti di energia della superficie (Quando Teti sull'acque). Pochi rispetto all'economia compositiva del quadro, eppure estremamente significativi, fino ad esercitare un potere di centro (A las cinco de la tarde). È la prima manifestazione di un elemento alieno all'interno del quadro, di qualcosa che appartiene ad un altro mondo, un'altra realtà, la cui logica formale è contraddittoria rispetto a quella del resto del quadro. Con questi quadri Vanni introduce, a un livello embrionale, un aspetto fondamentale della sua ricerca figurativa, che costituirà la chiave di lettura per quelle che Quando Teti sull’acque, olio su tela, cm. 100x80, 1963, Roma, collezione privata. 79 L’abitudine dell’equilibrio, olio su tela, cm. 80x50, 1963, collezione dell’artista. seguiranno: la coesistenza, all'interno dello stesso spazio pittorico, di mondi diversi rispondenti a logiche opposte. A queste opere, esposte nella personale del ‘63 alla Schneider, fa seguito una serie di quadri che sviluppa un'altra componente 80 P6338 (cat. rag.), P6403 P6406 radicata nel mondo figurativo di Vanni: forme dai riferimenti antropomorfici come fossero maschere totemiche, ridotte a valori essenziali di natura ancestrale e preistorica. Qui il valore di elemento estraneo viene assunto dalla possibilità di rilettura di una parte della materia del quadro come un ritratto della maschera. Si ha così un campionario di fisionomie sviluppato su quadri che visti nel loro insieme forniscono un panorama completo di variazioni sul tema (L’abitudine dell’equilibrio, Altare propiziatorio, Idolo numero due). La rappresentazione molteplice, a volte contradittoria, dello stesso soggetto diverrà un altro tema ricorrente nell'opera di Vanni. Egli giunge così ad una acquisizione di elementi formali e di criteri compositivi che, congiuntamente al passaggio ad un mondo non più unitario ma centrato su un polimorfismo dialettico e formale, pongono le basi per i quadri apparentemente molto diversi del periodo successivo. (28) cfr. Claudia Salaris, La Roma delle avanguardie, Editori Riuniti, Roma 1999, pp. 205-209. (29) Boza Kosak creava vestiti come opere d'arte e quando ne vendeva uno faceva delle feste in maschera in cui si ritrovavano tutti gli artisti. (30) Berenice, Settevolante, Paese Sera, 8 novembre 1961. Gli anni sessanta hanno rappresentato un periodo essenziale di crescita e di ricerca per Vanni. Il suo interesse nella sperimentazione si combina con l’attenzione al panorama artistico del momento che è particolarmente dinamico e stimolante. Roma in quegli anni era anche e soprattutto quello spazio culturale così ben descritto da Ennio Flaiano. Sono gli anni, dopo l'emergenza postbellica, del miracolo economico e della Dolce Vita. Pittori e letterati si ritrovano da Rosati28 a piazza del Popolo, da Cesaretto a via della Croce, a via Flaminia alla trattoria Menghi. Si organizzano feste mascherate, memorabili quelle da Boza Kosak, grande amica di Vanni, che trasforma il suo atelier ora in una caverna ora in circo per dare delle feste a tema a cui partecipano tutti gli amici artisti.29 Lo spirito di quella atmosfera ci viene dato in un articolo dell’epoca: "A studio di Boza Kosak (via Margutta di gomito): cena a base di caccia con 8 fagiani, 15 beccaccini, 20 tordi, e 30 amici fra pittori, scultori e liberi professionisti (le bottiglie non si contano). Il pittore Vanni ha cucinato i fagiani - tirati a cottura al marsala - mentre Alberto Sartoris e Paolino Buggiani hanno fatto i giochi di forza" 30 81 Insomma, la voglia di sperimentare in arte di quegli anni e di ritrovarsi con gli amici artisti per discutere e confrontare le proprie idee va di pari passo con una grande voglia di divertirsi e fare cultura senza prendersi troppo sul serio. Per Vanni il raffronto con altri artisti è importante e pensa che questo comporti un arricchimento dell’immaginazione. Condivide con Cagli l'idea che "la pittura non è un fatto privato e difficilmente un pittore può maturare da solo...”31 eppure questo rapporto dialettico non è mai sfociato nella partecipazione a gruppi o movimenti. Il centro della sua attività è il suo studio a via del Lavatore, vicino alla Fontana di Trevi. Lì, in completa autonomia, elabora nei quadri le sue esperienze. La vita professionale che Vanni conduce durante questi anni romani è coerente con una presa di posizione nei confronti del mondo dell'arte, che aveva mantenuto fin dagli inizi: di non rifiutare, ma neanche ricercare, un inserimento ufficiale nel mondo dell'arte.32 Se invitato, parteciperà a mostre ed eventi ufficiali senza però ricercare in maniera sistematica una approvazione esterna del proprio lavoro. Il suo metro di paragone, allora come ora, risiede in un controllo personale e costante della serietà della sua ricerca, cui corrisponde l' "amore della pittura come mestiere."33 In questi anni e in quelli che seguono Vanni continuerà ad alternare i periodi di attività romana con lunghi soggiorni in Grecia a Corfù. Qui, nel ‘61, aveva incontrato Didi Blitz, 34 che dirigeva un villaggio di vacanze del Club Mediterranée allora molto diverso da quell’immagine che ne abbiamo oggi di industria del turismo. Per lei era molto importante che eventi culturali integrassero le attività ricreative che il villaggio offriva. Con Vanni era presto nata una profonda amicizia cementata dall’ammirazione che Didi Blitz aveva per la sua pittura. Fu lei a offrirgli per due anni, come studio dove continuare a lavorare durante l’estate, una villa a Paleokastriza, costruita negli anni venti, con una terrazza che si affacciava sui quei tre golfi, che Omero descrisse nell’Odissea come il porto dei Feaci. 82 (31) Corrado Cagli, Sartoris e Vanni, cat. mostra, galleria l’88, Roma, 1229 maggio 1965. (32) A questo proposito è indicativo che, tornato a Roma dopo gli anni passati all'estero, non cerchi l'appoggio di amici di famiglia che avrebbero potuto aiutarlo in un suo riconoscimento ufficiale. (33) Corrado Cagli, Sartoris e Vanni, cat. mostra, galleria l’88, Roma, 1229 maggio 1965. (34) Judith Blitz (detta Didi), sorella del fondatore del Club Mediterranée, contribuì in maniera determinante a inventare lo stile che ne farà il successo. (35) Da Roma verranno Paolo Buggiani, Alberto Sartoris e Nino Franchina. (36) Come Louis Pauwels, fondatore della rivista Planete e cultore dell’esoterismo; Jean-Jacques Servan Schreiber, fondatore e direttore del settimanale Express; il professor Grassi, filosofo della scuola di Adorno; Ledig Rowholt, proprietario della omonima casa editrice tedesca; Julian Beck, fondatore del Living Theater; il sociologo francese Edgard Morin. Sotto e a sinistra disegni di Vanni per i pareo del Club Mediterrannée. (37) Prima di allora i pareo del Club Mediterrannée provenivano dalle stesse stamperie industriali di Lione e Manchester che rifornivano le isole della Polinesia. Vanni creò per l’occasione una serie di botteghe artigianali, dove il fatto a mano era di rigore, nel paese dove il villaggio di vacanze si trovava (Grecia, Spagna, Tunisia, Turchia, Israele). Questa attività lo occuperà per un mese l’anno fino al ‘73 quando decadrà il suo contratto di esclusiva. Vanni vi passerà sei mesi l'anno facendo della pesca subacquea, dipingendo e organizzando delle grandi cene che, nonostante il tono giocoso e festivo di fondo, spesso si trasformano in dei veri e propri eventi culturali. Vi si trovano fianco a fianco artisti e scrittori suoi ospiti 35 con amici di Blitz, personaggi caratterizzati da una specie di protoecologismo e gusto dell’avventura, dell’esotico e dell’esoterico, 36 con ballerini tahitiani, guru indiani, musicisti o navigatori appena tornati dei mari del sud. Ma la villa rappresenta per Vanni soprattutto il suo studio estivo, dove il suo confronto fra nord e Mediterraneo può svilupparsi in un ambiente diverso e portarlo a nuove formulazioni espressive. Uno stimolo particolare nasce dall’incontro, che presto sfocia in una grande amicizia, con lo scrittore inglese Lawrence Durrell. Vanni era rimasto affascinato dalla struttura narrativa del Quartetto di Alessandria dove la stessa storia viene raccontata da quattro punti di vista diversi, in funzione del narratore, cambiando anche ogni volta lo stile del racconto. Una logica paragonabile a quella che Vanni va sviluppando nella sua pittura. La stima che Didi Blitz ha per il lavoro di Vanni le suggerisce di affidargli l’esclusiva dei disegni delle stoffe dei pareo usati al Club Mediterranée. Il suo mecenatismo le fa organizzare questo lavoro in modo che diventi quasi un appannaggio che permetta a Vanni di continuare la sua ricerca pittorica, indipendentemente da problemi finanziari.37 Nei primi disegni dei pareo sviluppa uno stile che, pur avendo un carattere decorativo, fornisce elementi interessanti per ritrovare le origini iconologiche delle forme che dipinge nei quadri dello stesso periodo. Forme che si riallacciano all’interesse che Vanni ha già dimostrato anni prima quando aveva studiato le pitture su scorza d’albero della Melanesia e che si possono direttamente ricollegare ai quadri ispirati da simbologie totemiche che si ritrovano nei ritratti delle maschere. La tecnica stessa di creare le matrici dei disegni intagliando il linoleum fissato su un supporto di legno è rivelatrice di un interesse di Vanni per tecniche primitive che per la loro natura lo costringono a trovare 83 Gli sposi promessi, olio su tela, cm. 80x80, 1965, collezione dell’artista. forme semplici, primordiali, che portano nuovi elementi alla individualità dello stile che si va formando. 38 Gli intagli di carattere grafico di Matrice I* verranno tradotti, in quadri come Scrittura ignota** o Tirinto***, in pennellate pastose ricche di sfumature tonali. La ricerca pittorica svolta nel ‘64 si sviluppa tenendo conto di queste esperienze, e contribuirà alla sintesi formale raggiunta poco più tardi. I quadri del '65, esposti alla Galleria 88 nel maggio di quell'anno in una mostra organizzata da Corrado Cagli, rappresentano il primo esempio di un universo immaginativo dove suggerimenti di realtà diverse, contraddizioni linguistiche e discontinuità grammaticali contribuiscono alla formulazione di ambiguità spaziali (Semisecolare, Ladybug, L’estate degli specchi).39 Campi materici coesistono con altri dove l’accento è affidato al valore cromatico (Due momenti della rosa azzurra). Forme geometriche affiancano elementi organici: settori che alludono ad una visione 84 (38) Vanni trasformerà in seguito alcune di queste matrici in progetti per monumenti (G6201, G6202, G6203, G6204). G6201*, P6342**, P6401*** (39) Con questo spirito esegue tre piccole opere, Cronistampa # 1: la Congiuntura (P6524), Cronistampa # 2: il Realismo Reale (P6525), Cronistampa # 3: Cinema et Publicitè (P6526, cat. rag.) con collage di immagini di rotocalchi come dei divertimenti in cui inserisce elementi del pop-art. È la sola volta che Vanni fa riferimento a quel tipo di grammatica. P6503, P6508 (cat. rag.), P6510 (cat. rag.) P6520 (cat. rag.) L’estate degli specchi, olio su tela, cm. 100x80, 1965, collezione dell’artista. P6513 P6516 (cat. rag.) zenitale, delimitati da margini che evocano silhouettes di coste viste nella bruma all’orizzonte (Gli sposi promessi). Delimitazioni di spazi illusori (quadro nel quadro, tela che ne rivela un'altra) che si negano l'un l'altro in un avvicendarsi di certezze disilluse (Pour madame de...). Vanni lo descrive quando dice: “...deve essere stato all’inizio del ‘64. Stavo nel mio studio quando la mia visione periferica mi fece notare un quadro che non ricordavo. Mi voltai per rendermi conto che si trattava di un gruppo di tre quadri di dimensioni diverse appoggiati insieme. Ognuno nascondeva una parte dell’altro; ma la piccola porzione che era visibile chiedeva di essere inclusa nel quadro, quasi a confrontare la sua credibilità 85 rispetto all’altro e sbilanciare l’equilibrio esistente introducendo il proprio ritmo e la propria definizione di spazio. È da allora che ho cominciato ad interessarmi in maniera cosciente alle discontinuità, alle contraddizioni di stile, alle citazioni dal mio personale museo della memoria, agli accenni alle sedimentazioni di culture diverse che si nascondono e coesistono nel nostro subconscio. A volte l’elemento intruso è piccolo; in altri casi i due elementi condividono una porzione uguale di spazio oppure si moltiplicano diventando allusioni a mondi diversi che si intrecciano occupando ogni porzione di spazio a disposizione, per lasciare intatto solo un centimetro di quiete nel mezzo di un conflitto inestricabile. Ho anche provato a dipingere una metà della tela per poi ricoprirla fino a che avessi dimenticato quello che vi avevo fatto. Solo allora ho dipinto l’altra metà per ottenere un dialogo tra le due parti che esistesse senza un mio intervento cosciente."40 Alcuni di questi quadri vengono mandati a Colonia per l'esposizione Tevere-Reno,41 dove Vanni vince il primo premio. La città acquista un’opera per il suo museo di arte contemporanea. Nel 1966 viene invitato per un anno in Marocco da Didi Blitz, che gli mette a disposizione uno studio per dipingere nel villaggio che lei dirige ad Agadir.42 Si tratta di un'occasione ideale per ripercorrere le esperienze culturali di artisti, come Delacroix e Klee, sui quali il mondo arabo affacciato sul Mediterraneo aveva esercitato una marcata influenza. Certo la sponda sud del Mediterraneo non era più allora una terra lontana, inesplorata, ma la carica di mistero che ancora la caratterizzava negli anni sessanta, era molto più intensa di quanto lo siano oggi Bali o Katmandu. A contatto con questa cultura Vanni arricchisce il suo universo figurativo, il suo museo della memoria, 43 assimilandone elementi che riappariranno, frammentati e rielaborati nei quadri. In Marocco va alla scoperta di una civiltà che vive in simbiosi con la realtà circostante. Nei suoi frequenti viaggi all’interno del paese ricerca il contatto diretto con la vita locale per assimilare 86 (40) Elisabeth Reed, Intervista a Gian Berto Vanni, New York, 1983. Sullo stesso tema Dino Buzzati scriverà in occasione della mostra alla Galleria Rizzoli di Milano nel 1968: ‘Come su una stessa parete quadri di diversi artisti possono, magari attraverso violenti contrasti e contraddizioni, fondersi in una fortunata armonia, così Vanni in ogni tela accosta due, tre, quattro sezioni le quali, considerate a sè, potrebbero sembrare di differenti autori.” ( Dino Buzzati, in Il Corriere della Sera, Milano, 1 maggio 1968) (41) I quadri presentati furonoTilt (P6512), Terzina per Frani (P6514), Questo è il punto (P6521), Hotel du Lyon d’Or (P6515). È interessante anche notare che fu Cagli a segnalare il lavoro di Vanni alla commissione incaricata di selezionare gli artisti italiani da includere nella mostra. (42) Il pretesto per l’invito era quello di organizzare la stampa dei pareo. (43) Vanni dà questa definizione ai ricordi visivi che ritornano nei suoi quadri. (44) Il suo interesse per l’architettura organica contrapposta alla razionale risaliva alla lettura di Zevi quando frequentava la facoltà di architettura. P6606 (cat. rag.), P6604 (cat. rag.) la cultura del posto. Nel deserto vive nelle tende dei beduini, per capire come la loro struttura, partendo da elementi che sono sempre gli stessi, sia in costante mutazione a seconda delle conformazioni del terreno, adattandosi alle più svariate esigenze. L’architettura spontanea lo interessa in quanto alternativa alla rigidità delle simmetrie prodotte dalla logica del nostro mondo occidentale.44 Nelle medine studia l’aggregazione delle botteghe lungo dei percorsi che sommandosi gli uni agli altri determinano la crescita organica dei suk. Queste esperienze verranno espresse in una nuova grammatica, ad arricchire il mondo di contraddizioni che sta affermandosi nella sua opera. Inoltre, sono da prendere in considerazione alcune immagini il cui impatto visivo avrà un’eco a livello formale e con suggerimenti iconologici nei quadri posteriori. Fra queste, ad esempio, le infinite differenze di colori e tessiture dei paesaggi del deserto; la coesistenza di preziosità e ruvidezza nell’arte popolare berbera come nei gioielli finemente cesellati intorno a pietre amorfe, o nei vestiti di cotone ruvido con inserti broccati e ricamati con sete di colori vivissimi. Altri stimoli determinanti sono rappresentati dalla continua presenza di chiazze di colore timbrico nel paesaggio urbano: le lane appena tinte stese ad asciugare, le pile gialle e rosse di spezie sulla piazza del mercato o quelle blu e verdi dei minerali estratti dalle miniere di rame, che si ritagliano sulle diverse sfumature dei toni terrosi che li circondano. Tornato a Roma nell’autunno del ‘66 elabora una serie di quadri dove una lavorazione frenetica, quasi ossessiva, lo fa arrivare a una felicissima sintesi dell’esperienza recente con le opere che l’hanno preceduta, come testimoniano Marocco sera, Alla soglia del deserto. Realtà diverse, di esperienze lontane e vicine, visive e culturali, si confrontano in un contrappunto instabile dove ognuna può rappresentare l'elemento dominante. Vanni descrive questo modo come il "...discorso sulla impossibilità del discorso, i temi che cominciano a svilupparsi e sono interrotti da altri che cercano spazio per il loro proprio sviluppo. Anche quando uno degli elementi si organizza in una sua specifica razionalità il 87 discontinuo sussiste, anche se ridotto a poco, almeno come superficie occupata."45 Queste opere saranno esposte nelle personali alla galleria Rizzoli46 di Roma nell’aprile del ‘68 e in quella di Milano un mese più tardi, con la presentazione di Giorgio di Genova. Paragonandole a quelle esposte alla Galleria 88 tre anni prima si nota immediatamente un infittimento degli elementi compositivi ed una marcata saturazione del colore.47 Le contraddizioni che prima erano soltanto enunciate ora vengono sottolineate ripetutamente. Nel raffronto tra due quadri, Gli sposi promessi* del ‘65 e Percussione** del ‘67 è evidente come quello che prima veniva proposto in sordina ora viene sottolineato. Mentre ne Gli Sposi promessi il salto fra la superficie disegnata e il resto è appena accentuato da un leggero cambiamento della materia di fondo, in Percussione il settore che contiene la forma disegnata ha compiuto un salto di qualità strutturandosi in una materia diversa che raccoglie una nebulosa di colori timbrici. Nel primo le silhouettes di coste all’orizzonte sono semplicemente delle separazioni fra campi simili, nel secondo diventano il pretesto (45) Elisabeth Reed, Intervista a Gian Berto Vanni, New York, 1983. (46) Malgrado la Rizzoli avesse iniziato da poco la sua attività espositiva, il suo calendario di mostre era denso. Poco dopo la mostra di Vanni vi sarà sia a Roma che a Milano la personale di Mirko. (47) Alla reintroduzione dei colori timbrici, assenti dagli anni cinquanta, ha contribuito l’intenso cromatismo osservato in Marocco. P6513*, P6716** Percussione, olio su tela, cm. 80x100, 1967, ubicazione ignota. 88 Marocco, sera, olio su tela, cm. 100x160, 1966, Roma, collezione privata. per creare una serie di strati colorati che interagiscono in una vibrazione timbrica. Se nel primo il disco nero rappresenta un elemento che sta ad arbitro di un equilibrio instabile, nel secondo questo assume una qualità dinamica che provoca il movimento di tutto il quadro, con una percussione, appunto. Ne Gli sposi promessi tutta la superficie è sensibilizzata da una tessitura materica, mentre in Percussione questa diventa una delle tante componenti del quadro. L’opera che però riassume meglio la struttura complessa e contraddittoria che Vanni sviluppa in questo periodo è Marocco, sera. Il quadro può essere riassunto in due quadranti rossi con situazioni spaziali diverse; una fascia centrale di materia apparente, due quadranti di piccole forme minuziose di tessitura contrastante ed infine a destra una banda laterale che ricapitola la scala cromatica dell’intera opera. In un’analisi dettagliata emergono le origini iconologiche delle varie componenti. Molte ripropongono, ridotte all’essenziale e in una 89 nuova chiave, delle formulazioni di suoi quadri degli anni cinquanta, che stanno rientrando nel suo mondo. Il campo timbrico di rosso vermiglione riporta alla fibrillazione dei rossi di allora, che qui si manifesta attraverso la presenza di una materia sottostante che sensibilizza la superficie della campitura modulandone l’uniformità. Le linee che attraversano questo campo diversificandone il significato richiamano il tema del confine ridotto ad un grafismo essenziale. Il disco di ocra fredda48 in accordo di vibrazione evoca una versione al negativo, per l’inversione di colori fra il rosso del disco solare e il giallo della sabbia, di un tramonto sul deserto. La lettura in chiave paesaggistica è però contraddetta dalla presenza, nel settore inferiore rosso, di un grafismo verticale nero e da tutti gli altri elementi del quadro. Infatti lo squarcio materico nella fascia centrale riporta immediatamente ad una lettura in scala reale. A fianco di questo una zona ingrandita piena di minuziosi dettagli fatti di grafismi colorati49 propone un ulteriore cambiamento di scala. In contrasto con queste forme di matrice geometrica una vasta zona sottostante è occupata da una fitta tessitura di forme di origine biologico-organica. Nella parte perimetrale di questo quadrilatero le forme sono più grandi, con una struttura che si rifà ad organismi cellulari. All’interno continua la stessa morfologia con una stesura più serrata su una superficie che è modellata in bassorilievo. Verso il centro il ritmo si infittisce e il tratto si fa più frenetico fino ad alludere ad un tessuto in decomposizione, il che è ulteriormente sottolineato dalla tridimensionalità della esecuzione attraverso l’alterazione fisica della superficie del quadro. Vanni si serve dei due quadranti fitti di forme minuziose per esprimere lo stesso ritmo spaziale con modelli esecutivi completamente diversi. Ognuna di queste componenti manda un messaggio specifico che mette in dubbio gli spazi dell’altro, fornendo una lettura plausibile di un elemento per poi negarla. L’immagine che emerge dalla Babele di linguaggi e significati delle opere di questo periodo è una visione del mondo espressa dalla contemporaneità di tutti i modi possibili evidenziati in tutte le 90 (48) Richiamando il disco solare di Tramonto (P5211, cat. rag.), privato, in questo nuovo contesto, degli elementi simbolici di influenza kleiana del quadro originale. (49) Riconducibili nella lorofattura ai geometrismi non meccanici che lo hanno sempre interessato e che ha ritrovato in Marocco nei tessuti ricamati e gioielli popolari berberi che ha collezionato. Compositivamente richiama Villaggio primitivo (P5306), quadro strutturato da rettangoli neri sovrapposti che Vanni aveva dipinto a Yale, dove la distinzione fra i vari elementi era marcata dalla direzione diversa della pennellata. Alle tre di notte, olio su tela, cm. 80x100, 1968, Milano, collezione privata. (50) Il palinsesto è un manoscritto, dove la scrittura è stata sovrapposta ad un’altra che era stata raschiata, o cancellata, per poter riutilizzare il foglio di pergamena. Vanni usa questo concetto riferendolo soprattutto al significato esteso alla pittura come, ad esempio nel termine “palimpsest wall” usato da Richard Krautheimer per descrivere la sovrapposizione di affreschi a Santa Maria Antiqua a Roma. (Richard Krautheimer, Rome. Profile of a City, 312-1308, Princeton University Press, Princeton, New Jersey, 1980, pp. 98-99.) loro contraddizioni. Qui si trova la motivazione per cui Vanni riprende più volte quadri che aveva considerato già finiti, aggiungendo nuove tessiture e temi, sviluppando il concetto, che lo continuerà ad interessare anche più tardi, del palinsesto,50 che darà anche il nome a due quadri. Questo periodo sarà il momento in cui il lavoro di Vanni si avvicinerà di più a certe strutture formali sviluppate da Cagli. Vi sono infatti profonde affinità tra gli sviluppi degli elementi segnici che coprono intere porzioni di questi quadri con la vibrante vitalità delle forme e dei colori delle Siciliane del Maestro. La ricerca di Vanni si incrocia qui ad uno dei motivi ricorrenti dell’opera di Cagli nel gusto per il labirinto, sia 91 tematicamente che formalmente. Il riempire sistematicamente di segni ogni spazio vuoto segue come guida una sorta di percorso-scrittura che ritorna sui propri passi creando un sistematico disorientamento direzionale. Altre volte i segni si organizzano in anelli concentrici dentro i quali le tonalità si schiariscono o si oscurano a creare rilievi simili a quelli delle carte topografiche. Anche se queste rappresentazioni di Vanni sono indubbiamente legate ai ricordi di microbiologia della sua infanzia, quel ciclo di opere di Cagli gli ha fornito dei paralleli interpretativi che saranno importanti in questo sviluppo e rimarranno nella sua pittura. 51 Queste influenze formali diventano però meno evidenti quando, nell’alternarsi di flusso e riflusso tra forme condensate e superfici vuote, così tipico del processo costruttivo di Vanni, gli spazi estesi prendono il sopravvento e le forme formicolanti di attività sono costrette ai margini. Sembra quindi che gli apporti formali di Cagli siano equiparabili a quelle altre allusioni visive di artisti, come Klee o Klimt, cui Vanni si riferisce volentieri, mentre invece la convalida intellettuale che il Maestro diede al suo eclettismo sia molto più fondamentale. Si potrebbe ritrovare in queste composizioni anche allusioni al mondo psichedelico. Sebbene questo genere di espressività porterebbe ad associarla alla pop art americana, Vanni non intende avvicinarsi a quei presupposti creativi. Lascia però permeare nella sua opera degli elementi visivi della cultura pop, che ha osservato l’anno prima durante una permanenza a Londra, nelle forme vibranti e coloratissime presenti soprattutto nella grafica (sono di quegli anni le copertine allucinate dei dischi dei gruppi di musica rock). In quadri come Jamaa el Fna e Alle tre di notte il brulichio di forme cellulari ha completamente invaso lo spazio pittorico invertendo il rapporto con la parte materica che sussiste qua e là sulla tela, assumendo il ruolo di inserto.52 Nelle successive opere va ancora oltre: ne Il piano è ondulato la forza espansiva di queste forme provoca lo scollamento di una parte del quadro che si stacca dalla tela, in Quattro per quattro gli scomparti che prima coesistevano 92 (51) Infatti Giorgio Di Genova a proposito di certi quadri degli anni ottanta scriverà: "Il suo fantasticare metamorfico è fatto di momenti cosmici, di riferimenti organici, dal fitomorfo all'istologico, di bagliori improvvisi, di ombre fluide e misteriose, di sensualità del colore, di forte istinto grafico e di brandelli del Cagli delle Siciliane” (Giorgio di Genova, Storia dell’arte italiana del ‘900 - Generazione anni venti, Edizioni Bora, Bologna, 1991, p. 590.) (52) “La pittura di Vanni è stata un’anabasi per giungere al mare figurale delle opere più recenti ed ultime, in cui lirismo segnico, fantasia, eccitazione decorativa (momenti sempre collegati alla realtà dal cordone ombelicale d’una libera visione, e quindi interpretazione, della natura) sono confluiti ad una osmosi che mai annulla i momenti diversi che fanno parte del discorso pittorico di Vanni. (...) Nelle ultime opere giustamente l’horror vacui s’è fatto insistente, giustamente perchè un discorso come quello di Vanni ha nell’ horror vacui la dimensione più congeniale. Ma quel che conta è come Vanni riesce a controllare con lucidità questo magma segnicocromatico che a volte ricopre quasi interamente le superfici da lui dipinte.” (Giorgio di Genova, cat. mostra, galleria Rizzoli, Roma e Milano, marzo-aprile 1968.) P6809 (cat. rag.), P6810 (cat. rag.) P6811 (cat. rag.) P6808 Quattro per quattro, acrilico su tavola, cm. 100x100, 1968, collezione dell’artista. 93 94 sulla stessa superficie si sfalsano su un piano elicoidale rivelando altre superfici dipinte nei triangoli che li congiungono. Con queste opere il suo lavoro, sviluppando la superficie del quadro nella terza dimensione, abbandona temporaneamente la rappresentazione bidimensionale. Continuando in questa direzione Vanni tralascerà per alcuni anni la pittura per trovare in altre forme artistiche i mezzi per spingere oltre le sue teorie. Nel contempo a Roma stanno maturando svariate ipotesi di ricerca che si erano manifestate fin dall’inizio degli anni sessanta. In un clima di sperimentazione molto vivace a cui corrisponde (53) “L’ambiente romano” di Manuela Crescentini, in AA. VV., La pittura in Italia - Il Novecento/2, Electa, Milano, 1993, p. 522. (54) È da notare che Vanni non viene mai tentato dal concettuale. P6903* (cat. rag.) Frattura, tecnica mista su fibra di vetro, cm. 107x79x30, 1969, collezione dell’artista. un “...desiderio di cambiamento del vecchio sistema dell’arte ...“.53 Si affermano il nuovo-realismo oggettuale di matrice new-dada, la pop-art romana, le sperimentazioni gestaltiche, fino alle ipotesi più eterodosse come le attività espositive promosse dall’Attico di Fabio Sargentini o l’arte povera teorizzata da Celant. Indubbiamente anche Vanni si pone il problema della validità dei mezzi artistici tradizionali. Questo lo porta a rivalutare quanto aveva fatto fino ad allora e i modi che aveva seguito per raggiungere i risultati a cui era arrivato. La sua reazione tende ad un arricchimento ulteriore del contenuto formale piuttosto che alla dissacrazione e alla negazione della validità di questo.54 Intraprende degli esperimenti che tentano di operare una sintesi fra categorie diverse di espressione nel tempo e nello spazio. Si concentra sulla creazione di bassorilievi in vetroresina che rappresentano quasi una proiezione tridimensionale delle ultime opere pittoriche. Questi sono modellati su dei calchi formati da assemblaggi apparentemente casuali degli oggetti più disparati, barattoli, secchi, piatti, che formano degli agglomerati convulsi, come nodi gordiani di rifiuti del mondo moderno. La scorza traslucida che ne registra la forma (e che ne è l’unica testimonianza: dopo essere stati utilizzati per il calco gli oggetti sono eliminati) diventa il supporto per ulteriori interventi. Nei primi bassorilievi la superficie viene semplicemente dipinta, creando in certi casi delle aperture che ne rivelano l’interno (Frattura*). In seguito verranno animati 95 dalla proiezione di interventi pittorici filmati appositamente (20 minuti di variazioni in poliestere,* Progetto di variazione nel tempo**). Questi rappresentano la trasformazione continua di forme e composizioni, che traducono in chiave temporale il conflitto spaziale degli elementi contraddittori e discontinui sperimentato negli ultimi quadri. Così il quadro diventa un oggetto in perenne trasformazione nel tempo, intensificato dall’interazione del film con una superficie estremamente irregolare che interferisce con la percezione unitaria dell’immagine; inoltre lo spettatore, muovendosi rispetto alla scultura, potenzia la possibilità di una lettura multipla. 55 Secondo questa stessa dinamica creativa, Vanni aveva progettato di proiettare sequenze di immagini pittoriche su superfici ancora più mutevoli, quali delle membrane di gomma in continua pulsazione. I movimenti provocati da una pompa, variando la pressione dell’aria nel volume che racchiude la 96 20 minuti di variazioni in poliestere, poliestere su fibra di vetro, cm. 122x193, 1970, collezione dell’artista. P7003* (cat. rag.), P7004** (55) Non è un caso che questo genere di coinvolgimento dello spettatore che viene chiamato, col suo intervento visivo, a contribuire al completamento dell’opera d’arte, abbia delle affinità con la op-art, alle cui creazioni Vanni si è spesso interessato. membrana che è essa stessa elaborata in bassorilievo, l’avrebbero deformata irregolarmente in funzione del suo spessore locale, distorcendo a sua volta l’immagine che vi veniva proiettata. Il tema dell’espressione del messaggio attraverso l’accostamento temporale di immagini contraddittorie viene anche sviluppato solo nella sua componente cinematografica. Infatti Vanni gira due lungometraggi in super 8, Due risvegli in tre tempi del ‘69 e Uno due tre via del ‘70. Si tratta di pellicole caratterizzate da un montaggio frenetico, sincopato, di immagini ad associazione libera fra di loro, scelte nella più gran (56) Guglielmo Mileto era appena tornato in Italia dopo una lunga permanenza in America, dove aveva insegnato al Pratt Institute e sviluppato una serie di progetti sperimentali. Fra questi un progetto di città lineare reticolare (1967) come proposta di risanamento delle zone urbane alla periferia di New York. Di ritorno a Roma si era unito a Herbert Rader, Riccardo Bonicatti, Barrie Dewhurst, creando una studio per sviluppare progetti internazionali chiamato Interplan. (cfr. “Dall’America a Roma. Esperienze di un architetto italiano: Guglielmo Mileto” di Guglielmo Mileto, in Domus, n. 473, aprile 1969). (57) Nel palazzo andranno anche alcuni quadri di Vanni del ‘68. Gruppo di quattro teli per il palazzo di Kish Island in Iran. parte con apparente casualità nella vita quotidiana e nella natura, interrotte da riprese di soggetti più pittorici come corpi dipinti e campi di colore vibrante. Un insieme di immagini accompagnato da una musica che a volte ne sottolinea il ritmo ed altre ne fa il contrappunto. Anche la componente tridimensionale viene sviluppata al di fuori dei bassorilievi, specialmente in collaborazione con l’architetto Guglielmo Mileto. 56 Assieme progettano delle sculture temporali, ovvero delle sculture che, sotto l’azione di fattori diversi, si trasformino continuamente nel tempo. L’idea che sviluppano più dettagliatamente è quella di una fontana costruita con molte varietà di pietre calcaree e altri materiali diversamente corrosibili, che si consumi sotto l’azione dell’acqua, prendendo di volta in volta una nuova forma, allo stesso tempo derivazione e negazione della forma iniziale. Le forme rivelate dall’erosione dovrebbero essere molto diverse da quelle precedenti, in parte progettate attraverso la composizione degli strati interni e in parte causate da variabili naturali imprevedibili. Dei vari progetti sviluppati verrà realizzato quello per il Palazzo d’inverno dello Shah di Persia, a Kish Island in Iran, che Mileto stava progettando.57 Si tratta di cinquantasei monotipi su tela di tre metri per un metro ciascuno che verranno appesi nel palazzo, davanti alle vetrate, creando la transizione tra l’interno e l’esterno. Vanni disegna forme che fanno riferimento a geometrie essenziali, sottolineate 97 Da cercare fuori dei limiti, acrilico su tela, cm. 100x80, 1973, collezione dell’artista. da colori vibranti.58 Lo scopo è di creare, con il vento proveniente dal deserto e i forti bagliori di luce riflessi dalla sabbia, delle vele luminose, come un bassorilievo in continuo movimento.59 Al termine di questo periodo di sperimentazioni extrapittoriche Vanni matura la decisione di rimettersi a dipingere. Infatti, senza negare la validità di altre ipotesi creative, si rende conto di trovare più interessante la creazione di mondi immaginari con modi esclusivamente pittorici. Come Vanni dirà più tardi: “malgrado la libertà, pressoché illimitata, che mi dava di poter spaziare da un mezzo all’altro e mescolarli tutti insieme, mi sono reso conto che per me rimaneva più affascinante e misterioso quello che potevo inventare nell’ambito di una tela.”60 Si chiude nel suo studio 61 per concentrarsi sul recupero degli elementi costitutivi del suo linguaggio e riprende la ricerca in chiave pittorica. Nei quadri che dipinge opera una riduzione del suo mondo figurativo a elementi essenziali. Come reazione alle esperienze appena concluse si serve di tecniche più semplici, come l’uso di colori acrilici che generalmente detesta, 98 (58) In alcune di queste ha creato delle illusioni ottiche utilizzando gli studi sugli interrupted patterns sperimentati a Yale con Albers. (59) Questa stessa combinazione di colore e luce su dei supporti rigonfi come delle vele nel vento, è ben esemplificata da due modellini, di cui restano le fotografie, per due progetti di scultura sempre ideati in collaborazione con Mileto (P6904, P6905). (60) Elisabeth Reed, Intervista a Gian Berto Vanni, New York, 1983. (61) Solitamente il suo studio è sempre aperto ed è il centro della vita quotidiana. salvo in applicazioni speciali. Il piano di fondo è modulato da una lunga sfumatura fra due o al massimo tre colori, stesi con una pennellata omogenea che evita variazioni materiche. Un lato del quadro è sempre segnato da una fascia monocroma caratterizzata da un’onda centrale che introduce un elemento di ambiguità nello spazio del campo sfumato. Davanti a questo fluttuano forme amebiche, ripetitive ma individualizzate, in processo di dividersi e moltiplicarsi. Formano dei gruppi serrati in sciami migratori legati da una tensione comune. Si concentrano, per poi diradarsi per l’influenza di campi magnetici sottolineati da linee geometriche delimitanti piani ottici che ne P7312 (cat. rag.) modificano la densità, la formazione o il colore. Sono quadri in cui domina una pacatezza distributiva, in una atmosfera di spazio sospeso nel tempo (Da cercare fuori dei limiti). Il discontinuo e la contraddizione sono lasciati in sordina. Il confronto con quelli carichi e vibranti delle mostre alla Rizzoli è sostanziale. Queste opere che vengono presentate alla mostra di Schneider del ‘73 si rivelano presto riduttive per Vanni, chiuse come sono in schemi prestabiliti. Rappresentano il solo momento nell’insieme del suo lavoro in cui la teoria precorre l’opera e la condiziona. Mancano di quella componente sperimentale che è presente nelle opere degli altri periodi, dove le scoperte di ogni quadro si evolvono nel prossimo, producendo un continuo arricchimento dei suoi temi. Ma questa riduzione ai minimi termini degli elementi del suo mondo è, per Vanni, un momento di decantazione, dopo le esperienze extrapittoriche appena fatte, che lo porta ad una coscienza chiara della strada da seguire. Dopo poco tempo comincia a recuperare frammenti di quelle opere che aveva fatto e distrutto per creare le immagini e i passaggi per i filmati delle forme semoventi degli anni precedenti, ricostruendo altri quadri dove gli elementi di discontinuità sono giustapposti. Riprende così la trama del discorso pittorico interrotto e ritorna sul cammino dei quadri multipli, sviluppandone le possibilità di lettura multilinguistica ed eclettica. 99 In questo periodo Cagli lo invita a partecipare ad un progetto che gli sta particolarmente a cuore: formare un sodalizio di artisti, da lui scelti, accomunati non da una specifica tendenza stilistica ma da un rispetto dell’arte in quanto mestiere, da una vivacità inventiva libera dalle costrizioni di tendenza imposte dal mercato dell’arte.62 La galleria del Nuovo Carpine, di Giorgio Braghiroli, si impegna a portare avanti il progetto di una serie di mostre monografiche di ogni artista del sodalizio. 63 Per Vanni sia l’invito che l’apprezzamento dimostrato da Cagli per le sue opere recenti è di grande stimolo. 64 Per lui è anche significativo che gli artisti scelti condividano la stessa idea sulla validità di sviluppare una ricerca su una impostazione classica in un periodo in cui l’espressione artistica dominante sembra negarne la ragione. Vanni crea una serie di quadri di fattura raffinata e meditata composizione che si possono ritenere già opere della maturità. Sono quadri molto elaborati, definiti da una architettura complessa, frutto di una intuizione che, dietro le apparenti involuzioni temporali e spaziali, rivela uno sviluppo senza esitazioni. Le idee, gli esperimenti, le scoperte formali e materiche che si sono succedute dall’inizio degli anni sessanta, condividono qui lo stesso spazio, in equilibrio paritetico. Cromatismi accesi o delicati, stesure levigate o altamente materiche, forme vaghe o nettissime, cellulari o cristalline, partecipano, conservando le loro contraddizioni, alla formazione di un’opera unica. Gli interessi musicali, filosofici, letterari che ha sempre continuato a sviluppare lo aiutano, attraverso paralleli strutturali, a costruire architetture immaginarie a più livelli di lettura. A partire da questo momento il lavoro di Vanni si distinguerà per una poliedricità sempre più marcata. Sviluppa temi in parallelo lavorando su molti quadri contemporaneamente. Ognuno insiste su un aspetto specifico ed allo stesso tempo ha qualcosa dell’altro in una mutua contaminazione di elementi vecchi e nuovi. La matrice comune è però nascosta da un metamorfismo che ne modifica l’aspetto inserendoli in un 100 (62) Questa impostazione era molto importante per Cagli come si può capire da quanto aveva scritto nel catalogo della mostra di Vanni e Sartoris alla Galleria 88 del ‘65: “...un Sodalizio sarà sempre un atto di fede, raro e necessario in tempi di mercatomalafedeconsumobidets.” (63) Di questo gruppo facevano parte, fra gli altri, Canevari, Montanarini, Provino, Tommasi Ferroni. (64) Come ha scritto Giorgio Di Genova “...Cagli apprezzava molto il lavoro di Vanni. Ed è chiaro che ciò che lo interessava era la mobilità stilistico-formale di Vanni, nonchè la sua ricchezza immaginativa.” (Giorgio di Genova, Storia dell’arte italiana del ‘900 - Generazione anni venti, Edizioni Bora, Bologna, 1991, p. 590.) Il museo della memoria, olio su tela, cm. 193x130, 1977, collezione dell’artista. 101 contesto diverso. È la ragione per cui d’ora in avanti non potremo più suddividere il lavoro di Vanni in fasi distinte, secondo una progressione temporale precisa. Ci sarà certo ancora la possibilità di raggruppare delle opere all’insegna di un tema più specifico, ma sempre in contemporanea con molte altre che invece seguono un altro percorso. Pertanto l’esame di questo itinerario deve articolarsi attraverso l’analisi di svariate opere collegate tra di loro e spesso contemporanee, malgrado risultino apparentemente contraddittorie, per capire l’evoluzione del suo mondo formale in tutta la sua complessità. Il Museo della memoria, malgrado non sia la prima dal punto di vista strettamente cronologico, rappresenta il punto di partenza e di arrivo ideale. Oltre all’elaborazione pittorica di questo concetto come recupero di varie fasi del suo percorso, Vanni compie anche, con la scelta di questo titolo, un pronunciamento programmatico della sistematica di riferimenti che utilizzerà d’ora in poi. La memoria diventa come un suo “...museo personale (che scorda, e ricorda, e sfa, e associa - a suo piacere)”65 dove stimoli, forme, spazi, esperienze recenti e passate si incontrano, come in una specie di archivio da cui attingere ogni volta che comincia una nuova opera. Una volta recuperate, immagini acquisite in tempi e luoghi diversi esistono sulla tela in un medesimo spazio temporale. Attraverso la memoria dunque diventa possibile nel quadro la coesistenza di elementi molteplici e contrari, appartenenti a tempi e spazi diversi. Questa concezione della memoria ha la sua origine in quella, a lungo studiata, di Proust, la cui opera ha rappresentato per Vanni uno dei tre punti di raffronto in ambito letterario della strutturazione concettuale delle sue opere.66 Infatti siamo di fronte ad una trasposizione pittorica del concetto di Proust che solo nella memoria si possano percepire contemporaneamente le continue trasformazioni a cui il tempo sottopone fatti, persone e sentimenti. Il flusso e riflusso di frammenti di memoria, allo stesso tempo gli stessi ma anche diversi perchè ogni volta rivisitati da un’angolazione diversa, determina nei quadri una crescita dove ognuno rappresenta uno sviluppo di quello precedente. 102 P7703 (cat. rag.) (65) Gian Berto Vanni, cat. mostra, Centre Culturel Français, Roma 16 mag. - 25 giu. 1979. (66) Gli altri due autori sono Ariosto e Pirandello. Il grande muro dei ricordi, olio su tela, cm. 130x195, 1974, collezione dell’artista. P7404* (cat. rag.) (67) L’antropomorfismo presente in certe opere di questo periodo non intende diventare esplicitamente rappresentativo. L’unica eccezione si trova in Dal Cile alla Cina (P7501 cat. rag.) con l’inserto di un gatto. È importante sottolineare come tali inserti hanno valore non tanto per degli eventuali significati simbolici, quanto per la loro efficacia, attraverso un impatto visivo dissonante, a interrompere il discorso per accentuarne la contraddizione. In un interessante capovolgimento della gerarchia dei significati, diventano una delle possibili interpretazioni della realtà. Il grande muro dei ricordi* affronta lo stesso concetto. La tela è riempita da grovigli antropomorfici67 dipinti come fossero una sinopia in scansioni spaziali che ricordano i grandi cicli di affreschi medioevali. Questa allusione ad una fase costitutiva dell’opera viene sottolineata dalla presenza in alto a sinistra, sulla tela lasciata grezza, dell’abbozzo di una delle forme dei settori inferiori in versione chiaroscurata. Sulla destra, invece, questa stessa forma viene dipinta in tutt’altro modo, con dei grafismi policromi che riprendono gli aspetti ludici dei suoi quadri del ‘68. Dunque, come nel caso del Museo della memoria, qui abbiamo Il grande muro dei suoi ricordi della pittura. La tela parte dal suo elemento costituente per farsi preparazione, sinopia, rappresentazione tridimensionale fino a raggiungere una figurazione sua propria. La ripetizione della stessa forma in variazioni stilistiche progressive costringe a delle successioni temporali nella stessa entità spaziale, portandole ad una 103 contemporaneità che diventa storia e commento al tempo stesso. Con Discorso a quattro voci* Vanni elabora il concetto della forma dipinta come asserzione di un processo intellettuale, secondo il quale non esiste una verità assoluta. La stessa forma può manifestarsi in molti modi diversi, a seconda del ragionamento che la determina combinato con l’immaginazione di chi la osserva. In questo dualismo di ciò che è e quello che appare risiede una grande ricchezza di possibilità immaginative. In Discorso a quattro voci, la stessa forma viene proposta in stili diversi ogni volta confermandola e contraddicendola al tempo stesso. È significativo che in questo periodo ascolti molto frequentemente le Variazioni su un tema di Diabelli di Beethoven e le Variazioni Goldberg di Bach.68 Il soggetto del quadro risiede nella conflittualità delle variazioni formali, ponendo le basi per lo sviluppo della tematica dell’eclettismo nelle sue prossime opere. 104 Discorso a quattro voci, olio su tela, cm. 130x195, 1974, Krefeld, collezione privata. P7602* (cat. rag.) (68) Nella comprensione delle recondite geometrie di questi pezzi gli sono state di prezioso aiuto le conversazioni con il suo amico Paolo Paolini, musicista e musicologo. Di Paolini, allievo di Segovia e grande interprete di chitarra barocca, sono note svariate trascrizioni musicali. Palizzata # I , tecnica mista su tavola, cm. 145x205, 1978, collezione dell’artista. P7801* (cat. rag.) (69) Enrico Crispolti, Corrado Cagli, Edizioni d’arte Fratelli Pozzo, Torino, 1964, p. 73. In Palizzata numero I* Vanni recupera la polimatericità delle sue ricerche extrapittoriche per ricondurla a un contesto dove acquista un valore prevalentemente pittorico. Riprendendo il tema de Il grande muro dei ricordi crea un palinsesto dove la storia e il tempo hanno lasciato il loro segno. Lo straccio, il poliestere, l’intonaco graffiato, le tavole di legno, sono scelti in funzione delle loro qualità pittoriche di colore, superficie e materia. È un’utilizzazione della materia che ha alla base delle motivazioni di ordine linguistico e che ricorda, in questo, l’uso che ne faceva Cagli, il quale "non vuole ridurre il proprio intervento espressivo al livello della materia (emblema esistenziale primario appunto nella poetica informale), bensì tenta una dilatazione in immagine di tale materia, e dunque vi introduce diaframmi e spessori non soltanto di natura strettamente fisica, direi tattile".69 105 Questo presupposto creativo, per cui il dato materico è concepito in funzione di un progetto figurativo più ampio, lo porterà spesso a contraddire, con degli artifizi, la tattilità, quasi la realtà dell’elemento materico utilizzato. Ne sono un esempio tipico Storie in bianco e rosso e Finestre, strappi, segni. Il primo lavoro è costituito da due pannelli. In quello superiore strati successivi di disegni strappati70 sono incollati gli uni sugli altri fino ad ottenere una scorza densa con qualità più affini alla cartapesta che al collage. La massa convulsa di questo groviglio è stata poi scontornata a silhouette in bianco per mettere in evidenza questa o quella forma che ne emerge. Nel pannello sottostante, più grande, un telo incollato imbevuto di pittura rossa reinterpreta con le forme create dalle pieghe della tela la composizione superiore. A sottolineare il ritmo delle pieghe le creste sono state inchiostrate a rullo. Negli spazi liberi inserti di forme riproducono in chiave cromatica più alta le grafie del pannello superiore, prefigurando il tema dello strappo. In Finestre, strappi, segni, la stoffa imbevuta di colore agisce come una pellicola che si sia raggrinzita e nel suo ritrarsi sveli il piano sottostante. Una sorta di sipario scomposto che rivela, nelle parti scoperte, forme e materie pronte a venire alla ribalta, stabilendo un rapporto dialettico tra una realtà fisica e una pittorica. Ugualmente le ampie velature che sommergono fondo e stoffe applicate creano spazi illusori dove quello che sta sopra fisicamente sembra trovarsi sotto e viceversa, e mettono in dubbio il valore della presenza reale dello straccio 71 in una perfetta logica pirandelliana. La tecnica della velatura che favorisce gli addensamenti di colore nelle zone piatte del quadro lasciando fuori le creste degli stracci riprende il trattamento materico dei quadri del ‘63 -’64 dove consistenti pennellate venivano poi enfatizzate da velature che ne evidenziavano il carattere. In molti casi, come ad esempio in Pietra-Acqua, gli stracci vengono disposti come pennellate perdendo la loro identità materica per acquistare un valore prettamente pittorico. Sviluppando il parallelo con quelle opere risulta evidente che la funzione di rottura del 106 P7707 (cat. rag.), P7701 (cat. rag.) (70) Si tratta di pezzi di disegni che erano stati usati nella fattura dei filmati da proiettare nei plastici. (71) Vanni chiama così queste stoffe incollate, anche per sottolineare l’idea di qualcosa di bagnato e spiegazzato. P7917 (cat. rag.) Finestre, strappi, segni, tecnica mista, cm. 155x155, 1977, Roma, collezione privata. (72) Si può infatti far risalire la sua origine ai quadri dei primi anni sessanta. Si capisce anche da questo l’interesse che Vanni ha sempre avuto per il lavoro di Burri e di Fontana. P7909 (cat. rag.) P7812 (cat. rag.) (73) Gian Berto Vanni, cat. mostra, Centre Culturel Français, Roma 16 mag. - 25 giu. 1979. ritmo attraverso un elemento estraneo assunta allora da vigorose impronte cromatiche qui è ottenuta con elementi grafici che sembrano affacciarsi tra le pieghe della stoffa. La serie degli stracci ripropone con decisione il tema di una lacerazione brutale rivelatrice di una realtà sottostante, 72 centrale in tutta l’opera della maturità di Vanni. Sia che avvenga in maniera più evidente attraverso una entità fisica come appunto la tela, come in Lacerazione e intarsio, sia che venga simulata attraverso una illusione puramente pittorica, come in Trachila, per Vanni diventa l’occasione per fare coesistere delle realtà diverse, dinamicamente contrapposte ma legate da una logica interna che ne giustifichi la vicinanza. A questo proposito così scrive: ”Lacerazione brutale che scopre (o riscopre? o inizia?) altre forme, che la trasformano in intarsio appunto; o in brulicare di cellule il cui moto, compresso, si ripiega su se stesso e si immobilizza.”73 I riferimenti morfologici di queste 107 108 P7606 Storie in bianco e rosso, tecnica mista su tavola, cm. 250x205, 1977, collezione dell’artista. composizioni sono molteplici, a volte più evidenti altre meno: la frattura in una roccia da cui nascono dei licheni, una ferita profonda sulla pelle che rivela gli organi interni, e spesso in maniera evidente anche il sesso femminile (Finestra). Ognuno ha una sua coerenza intrinseca pur ammettendo mondi diversi (cosa vi è di più contrastante della tessitura liscia della pelle con la vibrazione degli organi interni?). In nessun caso però si tratta di una figurazione realistica, anzi la loro morfologia rimane sempre ambigua per lasciare spazio all’interpretazione. Similarmente da un punto di vista spaziale le lacerazioni non intendono essere un trompe l’oeil e stabilire una successione di piani, ma intendono lasciare sempre aperta la loro reversibilità. Questa serie di opere che si articola su un periodo di quattro anni, dal ‘75 al ‘79, ha permesso una riappropriazione di tutti gli elementi formali e delle tematiche precedenti in una progressione sperimentale nel corso della quale ha acquisito altre componenti che aiuteranno Vanni negli sviluppi futuri. Un triste evento, la scomparsa improvvisa e prematura di Cagli, subito dopo la sua mostra al Carpine che aveva aperto la serie di personali degli artisti del sodalizio, crea una situazione di profondo smarrimento. Malgrado questa grave perdita, Braghiroli è determinato a portare avanti il programma di mostre stabilito. Fra queste la mostra di Vanni si apre nel maggio del ‘77. Si tratta di un’esauriente antologica di settantanove opere dal ‘50 al ‘77, con una trentina di quadri recenti, che ottiene un’accoglienza molto favorevole. Tuttavia l’idea originale di Cagli della crescita del sodalizio, mancando la sua personalità carismatica, non si realizza. Nonostante l’impegno di Braghiroli le personali dei vari artisti rimangono degli episodi a sé stanti. È a questo punto che in Vanni comincia a maturare il progetto di ripartire dall’Italia. Così, dopo aver esposto le opere più recenti in una mostra offertagli dal Centre Culturel Français di Roma nel maggio del ‘79, come artista italiano formatosi in Francia, decide di accettare un’offerta di insegnamento a New York e di partire per l’America nell’autunno dello stesso anno. 109 110 Capitolo 4 New York - Eclettismo come sistema Quando Vanni va in America nel ‘79 ha cinquantadue anni. La permanenza a Roma che aveva interrotto le sue peregrinazioni degli anni cinquanta era durata venti anni. Col passare del tempo gli era venuto però a mancare lo stimolo derivato dal rimettere in questione il suo mondo creativo attraverso il confronto diretto con realtà diverse. Negli anni cinquanta aveva trasferito il suo studio in vari paesi per elaborare la ricerca pittorica in contesti sempre diversi. A Roma aveva adottato un altro approccio per mantenere viva la sua ricerca: i lunghi soggiorni in Grecia e i viaggi da cui riportare elementi di culture eterogenee da analizzare e confrontare con l’attualità romana, che era a sua volta portatrice di fermenti intellettuali che gli erano affini. Ma Vanni non aveva scelto di vivere a Roma per il conforto di operare in un contesto dove la sua identità culturale corrispondesse a quella che lo circondava. Anzi, la sua creatività viene stimolata proprio dal confronto dialettico con identità culturali diverse. Le situazioni di non appartenenza all’ambiente provocano in lui l’emergenza della sua matrice originale (paradossalmente si può dire che operando lontano dall’Italia la sua arte ci si avvicinerà di più). Per queste ragioni Vanni vede nella sua routine romana il rischio di intorpidirsi e di esaurire la ricerca che aveva ripreso negli ultimi anni. Mentre altri avrebbero temuto lo sradicamento da una realtà conosciuta, l’abbandono della certezza per l’ignoto e il dover rimettere tutto 111 in questione, per lui rappresenta invece una scelta di libertà. La vitalità del suo atteggiamento trova a New York un ambiente ricettivo e disponibile, così che uno spostamento esplorativo per alimentare intelletto ed immaginazione, senza piani a lunga durata, diventa permanente. Vanni lo compie ad una età che è spesso caratterizzata dal bisogno di stabilizzare la propria situazione, per lui invece ricominciare da capo in un ambiente nuovo e stimolante dà una carica particolare che moltiplica le sue energie e la sua espressività pittorica. A New York questa creatività si può sviluppare liberamente per due ragioni fondamentali: la tabula rasa storica e il meltingpot culturale come punti di partenza per qualsiasi ricerca. Tabula rasa in quanto a qualsiasi scelta operata in quel contesto non viene richiesto di giustificarsi rispetto a precedenti esperienze. Melting-pot in quanto qualsiasi apporto di realtà e di culture diverse può essere cooptato senza che questo venga analizzato in base a codici di una cultura nazionale egemone. Vanni infatti dipingendo a New York trova la situazione ideale per importare e assemblare qualsiasi elemento diverso, storico o culturale, senza che questo venga letto in funzione del suo rapporto ad una sola cultura predominante. Non c’è cioè una chiave unilaterale di accesso alle sue opere ma tante possibili letture dove ognuna ha lo stesso valore e la stessa legittimità. Questa situazione gli fornisce i presupposti per sviluppare le contraddizioni in termini formali ed iconologici che elabora nei suoi quadri, e che si manifesteranno in un eclettismo che trova qui nuove basi concettuali. Se l’evoluzione della sua opera, stimolata dalle molteplici sollecitazioni intellettuali, prende una forte accelerazione, da un punto di vista pratico Vanni deve ricrearsi un mercato, una sua clientela che lo sostenga e gli permetta di continuare a lavorare. La politica economica delle gallerie newyorkesi, cristallizzatasi in schemi che ne caratterizzano le scelte espositive, gli preclude qualsiasi possibilità concreta. Le gallerie che si erano affermate negli anni cinquanta e sessanta1 sono impegnate principalmente con artisti americani di quel periodo, di cui difendono una 112 (1) Situate principalmente nella Upper East Side, intorno alla 57 a strada. (2) Che si trovano a Soho, il quartiere dove, negli anni sessanta, sono andati a vivere gli artisti. (3) Soprattutto nell’East Village, affermatosi come nuovo quartiere degli artisti negli anni ottanta, quando i prezzi degli studi a Soho si erano fatti proibitivi. supremazia culturale ed un alto valore di mercato. A fianco di queste, vi sono gallerie2 più recenti che selezionano e gestiscono le correnti del momento fornendo, con il loro interessamentoinvestimento la garanzia del loro successo e la conseguente lievitazione rapida dei prezzi delle opere. Una terza fascia è composta di gallerie recentissime con spazi espositivi molto piccoli situati ai margini dei quartieri affermati nel mercato dell’arte,3 e dunque con costi di gestione molto ridotti. Queste ultime propongono artisti per lo più giovanissimi che perseguono principalmente una ricerca non pittorica che intende riscoprire ed aggiornare la poetica duchampiana ed i metodi seriali di Andy Warhol. Sono gli anni in cui si concretizza il successo degli artisti della Transavanguardia. Vanni, che ha sempre ricercato l’espressione attraverso il contenuto formale e non nel valore rappresentativo del soggetto, non può che avere per questo tipo di ricerca un atteggiamento decisamente polemico, che viene accentuato dal fastidio per la palese organizzazione promozionale di questo movimento. Artisti indipendenti che sviluppano un lavoro di impostazione classica, autonomo dalle ricerche più affermate e che viene condotto al di fuori di un gruppo programmato strategicamente, interessano un numero molto ristretto di mercanti, che hanno generalmente a disposizione una loro fortuna personale con cui si concedono il lusso di fare delle scelte controcorrente. In queste gallerie espongono i suoi amici e compagni di corso dei tempi di Yale che hanno però da sempre affiancato alla loro attività pittorica una carriera accademica che li mette al riparo da difficoltà materiali. Infatti le gallerie che li espongono, pur richiedendo un’esclusiva quantomeno locale, facendo delle scelte indipendenti rispetto al mercato non riescono a raggiungere un volume tale da garantire la sopravvivenza di un artista. La situazione del mercato newyorkese all’inizio degli anni ottanta gli fa provare una marcata antipatia per un sistema che, rifacendosi ai modelli speculativi della finanza, ha portato alla 113 trasformazione dell’arte in prodotto, ponendola agli antipodi di tutto quello che per lui ha sempre significato. Si rende conto che anche nel caso sviluppasse dei rapporti continuativi con le gallerie indipendenti con cui i suoi amici lo hanno messo in contatto si troverebbe nella difficoltà di un rapporto esclusivo che non gli garantirebbe la continuità materiale necessaria per continuare a lavorare. Si convince così della necessità di crearsi un rapporto con il pubblico che sia alternativo ai canali tradizionali. Organizza in questo senso degli Open Studios nel loft4 di oltre duecento metri quadri dove dipinge. Qui, nel cuore di Soho che negli anni ottanta è ancora il quartiere degli artisti e delle gallerie, espone i suoi lavori direttamente senza valersi della mediazione di un mercante. Queste mostre vengono allestite assieme ad un suo amico pittore, Bernard Aptekar, che ha lo studio accanto al suo e che fin dagli anni sessanta era stato uno dei pionieri di questo tipo di esposizione alternativa organizzando le mostre dei 10 Downtown.5 È una iniziativa che gli permette di riallacciare il rapporto con i suoi collezionisti americani e di entrare in contatto con un pubblico sempre più ampio che vede negli Open Studios la possibilità di conoscere l’attività di artisti che sviluppano la loro ricerca indipendentemente dal circuito espositivo commerciale. Vanni ha così continuato ad esporre due volte l’anno, stabilendo un rapporto continuativo con un centinaio di collezionisti che gli hanno consentito, attraverso un interesse sempre rinnovato, di continuare la sua attività artistica. Con alcuni ha stabilito un rapporto di committenza, coinvolgendoli nella fase creativa con l’intento di allontanarsi ancora di più dai meccanismi commerciali per riportare il processo costitutivo dell’opera d’arte alla tradizione delle botteghe rinascimentali. 6 Stabilire un canale di comunicazione con il pubblico, riprendere i rapporti con amici artisti e il contatto con gli studenti d’arte insegnando alla Cooper Union, 7 sono fattori importanti per continuare lo sviluppo della sua ricerca nel confronto con la realtà circostante. Il suo nuovo studio, il più grande che abbia avuto, ridiventa il laboratorio dove elaborare sul campo le nuove scoperte e confrontarle con il suo mondo. 114 (4) I lofts sono dei vasti locali senza divisioni interne, che occupano interi piani in edifici originariamente costruiti per la piccola industria manifatturiera fiorente a New York a cavallo del secolo. A partire dagli anni sessanta sono stati trasformati da artisti in studi e spazi abitabili, specie nel quartiere di Soho, e più in generale in tutta la parte bassa di Manhattan. (5) “L’aprile del 1968 ha visto la prima mostra dei nuovi 10 Downtown, una cooperativa organizzata da Leon Golub e Bernard Aptekar, due ferventi attivisti della protesta contro la guerra che, rivolgendosi ora ai problemi degli artisti, hanno voluto creare una libera associazione di artisti indipendenti nella quale possano mostrare direttamente il lavoro al pubblico.” (Therese Schwartz, The Politicalization of the Avant-Garde, in Art in America, novembre-dicembre 1971, p. 104.) Gli altri artisti originari del gruppo erano: Steve Montgomery, Charles Ginnever, Julius Tobias, Robert Weisand, Richard Baringer, Hans van de Boven Kamp, Roger Jorgesen e William Creston. L’attività espositiva durò in maniera continuativa per dieci anni. (6) Idea di cui aveva parlato a lungo anni prima con Cagli come situazione ideale per dipingere. (7) La Cooper Union for the Advancement of Science and Art è stata fondata nel 1859 da Peter Cooper, magnate del metallo e inventore della gomma da masticare. Essendosi lui stesso fatto dal nulla, ha voluto dedicare la sua fortuna a creare una università completamente gratuita per l’insegnamento della scienza e dell’arte che ancora oggi rimane un esempio unico negli Stati Uniti. (8) "...una specie de schiena, in d'una specie de giacca de zappatore: con quattro gamme e quattro piedi, però: di cui due a rovescio. E quella schiena così rubesta appariva in preda a un'esagitazione infrenabile di natura alternativa, ritmata al metronomo. Il canocchialante foca s'era creduto in dovere di riferire all'amministrazione - "Verwaltung, Verwaltung!... Wo ist denn die Verwaltung? Drüben links? Ach so!..." - che aveva cercata a lungo, in sudore, e finalmente scoperta: e dove non c'era anima viva, perch'ereno a casa loro a magnà: e a fasse una dormita doppo pranzo..." (Carlo Emilio Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, Garzanti, Milano, 1970, p. 119.) Il suo lavoro a New York inizia con una serie di opere che, pur mantenendo una continuità con i temi della metà degli anni settanta, mostrano presto la presenza di nuovi elementi e di un mutato atteggiamento. È il periodo dove l’influenza della multiculturalità newyorkese risulta più evidente. Intraprende una ricerca che mira ad esasperare i contrasti, a sottolineare le discontinuità, evidenziando le molteplicità culturali con un eclettismo formale che viene esplorato fino alle situazioni più estreme e che continuerà a svilupparsi su questa falsariga fino alla fine degli anni ottanta. Un approccio che gli farà spesso alternare quadri appartenenti a tematiche diverse che poi si incontrano in quadri successivi per poi risvilupparsi indipendentemente in una nuova serie di opere. L’elemento costante rimarrà un affastellamento di linguaggi e iconologie disparate che si rifanno a sue ricerche precedenti, all’esperienza empirica del mondo esterno, e a quella intellettuale della storia dell’arte. A questo proposito prende ad esempio Gadda, autore in cui trova grandi affinità culturali, che in Quer pasticciaccio brutto de via Merulana tralascia lo svolgimento della trama per descrivere la quotidianità della piccola borghesia romana fra le due guerre. In questo intento disdegna la narrazione fino al punto di interrompere il racconto a metà, ma intanto il lettore ha già capito che il vero soggetto è un altro: la struttura stessa del romanzo che si serve, nello stesso periodo, del dialetto, di una forbita lingua letteraria di sapore ottocentesco, di una lingua straniera, il tutto inserito in un linguaggio di tipo burocraticoamministrativo di stampo ministeriale,8 che esprime stratificazioni sociali, residui culturali, periodi storici diversi. A Vanni interessa come Gadda, attraverso l’espressività dell’eclettismo linguistico, fornisca un dettagliato affresco della realtà socioculturale di quella società. L’irruenza della ricerca che Vanni va sviluppando porta anche alla luce paralleli che rimangono generalmente occultati nei suoi quadri. Il linguaggio dei media che sembra, a parte poche eccezioni, essere del tutto estraneo ai suoi interessi può essere 115 evocato nelle molteplici inquadrature presentate sulla stessa opera, come uno zapping televisivo che trovi una rappresentazione spaziale del suo itinerario temporale. Così come situazioni che non hanno nulla a che fare una con l’altra, forzate in una giustapposizione, prendono un significato diverso da quello originario ma indicativo del messaggio globale, in queste opere frammenti di diversi mondi iconologici producono un sincretismo visivo che riflette la realtà circostante. Comunque la sua matrice classica non gli permetterebbe mai una giustapposizione acritica di messaggi che non fosse mediata da suggerimenti interpretativi e chiavi di lettura che forniscano delle tracce per andare alla ricerca di un legame logico che vada oltre la successione casuale. Nel raffinamento di questa strutturazione compositiva gli è di prezioso ausilio l’Ariosto in cui Vanni ha sempre trovato importanti stimoli per la sua ricerca. Ha una ammirazione straordinaria per la costruzione dell’Orlando furioso in un tempo che tessendo le fila dei tanti episodi crea uno spazio parallelo come nei labirinti dei suoi castelli incantati, dove i cavalieri vagano seguendo i loro itinerari senza riconoscersi o incontrarsi, ognuno seguendo la sua realtà.9 Lo affascina come i ritmi varino sviluppando un tema per un’ottava per essere interrotto da un altro che invece prosegue per pagine e pagine per essere interrotto dal primo, o dal settimo, o dal decimo finché tutto converge sull’assedio di Parigi per poi ripartire in vie separate. Come in musica, nella parte centrale di una fuga, quando lo sfalsamento dei temi viene a reincontrarsi in un punto per poi ripartire con tempi diversi, in contrappunto o in cadenza con le storie che vengono raccontate. Nella stessa maniera Vanni predispone degli itinerari visivi che guidano “...lo spettatore a muoversi all’interno del quadro stesso, dove il pittore ha elaborato i dettagli del viaggio, le velocità di spostamento, gli ostacoli, i ritmi, le penetrazioni illusorie in profondità trasparenti come cristalli o dense come nuvole; tutto orchestrato meticolosamente, ma lasciando all’osservatore la libertà d’interpretare secondo le associazioni d’idee dettategli dalla sua 116 (9) "E se ben quivi Orlando ebbe vicino, né però Ferraú pose in lui mano; Avenne che conoscersi tra loro Non si potèr mentre là dentro foro. Era così incantato quello albergo Ch'insieme riconoscer non poteansi;” (Ludovico Ariosto, Orlando Furioso, a cura di Nicola Zingarelli, Hoepli, Milano, 1954, Canto XII, stanze 31, 32, p. 106). (10) Vanni ha illustrato il suo concetto di lettura temporale delle sue opere in un filmato che ha realizzato nel 1983, nel quale esegue lunghe carrellate all’interno di singoli quadri, mostrandoli per intero solo alla fine. (11) Gian Berto Vanni, Quadri d’America, cat. mostra, Galleria Schneider, Roma 16 mar. - 10 apr. 1989. (12) In America Vanni utilizzerà principalmente titoli in inglese, che gli permettono di scrivere con la maiuscola tutti i sostantivi. Le varie parole messe così in evidenza diventano altrettanti soggetti a cui il titolo conferisce uguale importanza, sottolineando le molteplici interpretazioni a cui Vanni fa allusione nella composizione. P8005 (cat. rag.) (13) Altri quadri significativi di questa ricerca sono i contemporanei Stories of a golden Afternoon (P8117) e A Voyage - a Thought - Fragments of an afternoon (P8104, cat. rag.). esperienza, cultura, e familiarità col linguaggio. E il pittore fa da guida nei sentieri visivi che ha predisposto: scorciatoie, deviazioni, labirinti, scivoli, radure dove riposarsi.10 Così il quadro manipola il tempo oltrechè lo spazio.” 11 Con la dimensione temporale la percezione è condizionata da un altro fattore di tipo musicale, cioè di come un elemento viene influenzato da quello precedente e come a sua volta influenza quello successivo. In musica un forte che segue un piano è percepito diversamente che se seguisse un fortissimo, un andante assume un significato diverso se si trova fra un grave e un largo che se si trovasse fra due allegri. Cioè uno stimolo percettivo e la sua durata relativa condizionano la percezione di quello seguente. Vanni ricrea una situazione simile pittoricamente sia contrapponendo campi materici di ritmo costante a zone modulate da intricati grafismi che con illusioni ottiche determinate dai contrasti simultanei di colore. Se la retina indugia su un campo rosso per abbastanza tempo si sensibilizza a questo, e spostandosi su un campo grigio lo percepirà come un verde, mentre se il primo colore fosse stato un verde, il colore percepito tenderà al rosso. Però, a differenza della musica, dove esiste una successione temporale sancita dalla partitura, per cui un dato pezzo sarà sempre un grave-andante-largo e non sarà mai eseguito come un largo-andante-grave, in pittura nulla ci impedisce di seguire un itinerario inverso di esplorazione: se abbiamo un campo grigio con ai suoi due lati, rispettivamente, un verde e un rosso, avremo una esperienza diversa se leggiamo il quadro da destra verso sinistra o da sinistra a destra. Così avvicinando il quadro da punti di accesso diversi l’esperienza cambia rinnovandone continuamente la percezione. Il quadro più rappresentativo di tutti questi concetti e forse anche il più importante dei primi anni newyorkesi è From Night into Day,12 un’opera di notevoli dimensioni dove si incrociano itinerari di lettura attraverso quella ambiguità pittorica, materica e figurativa, spaziale e concettuale, che dalla metà degli anni settanta rappresenta l’elemento portante della sua espressività e che trova in questo contesto la sua formulazione più compiuta. 13 117 From Night into Day riprende un metodo di lavoro che da qui in avanti sarà una costante del processo creativo di Vanni: il rapporto fra una forma spontanea e un intervento razionalizzatore. La tela è invasa da una energica colata di colore molto liquido che scorre attraverso il quadro invadendolo con una libertà di movimento che evoca una natura sfrenata, primordiale come un’eruzione lavica o un’onda oceanica. La tecnica utilizzata rivela con chiarezza la logica costruttiva che presiede a questa e a molte creazioni successive, seguendo una dinamica che era già affiorata nei quadri di carattere più materico degli anni sessanta. La colata iniziale rappresenta l’elemento irrazionale, caotico, forma informe che dilaga mentre Vanni la lascia sviluppare in modo naturale, intervenendo solo marginalmente, inclinando il telaio o aggiungendo colate secondarie, sempre con l’intento di creare come la natura.14 A questo fa seguito una lunga fase in cui questo tumulto iniziale è sottomesso da una razionalizzazione dettata da una analisi attenta e meditata, per rintracciare in esso quei suggerimenti che possono “dare forma a quelle idee di cui appare l’embrione.” 15 Fra materia ed 118 From Night into Day, olio su tela, cm. 147x259, 1980, collezione dell’artista. (14) Riprendendo con questo l’idea di Klee di immedesimarsi nell’atto creativo con la forza generatrice della natura per poterla rappresentare più compiutamente. (Cfr. Richard Verdi, Klee and nature, Rizzoli, New York, 1985). (15) Gian Berto Vanni, Quadri d’America, cat. mostra, Galleria Schneider, Roma 16 mar. - 10 apr. 1989. (16) Enrico Crispolti, I percorsi di Cagli, cat. mostra, Castel dell’Ovo, Napoli, 1982, p. 40. intelletto si crea un dialogo serrato. In alcuni casi la materia suggerisce, accenna a delle possibilità che vanno in cerca, come i Personaggi in cerca d’autore di Pirandello, di una sintesi e di un fare cosciente che le guidi, interrogandosi continuamente sulle alternative di sviluppo e che scelga attivamente questa o quella direzione. Il dialogo materia-intelletto caratterizzerà, d’ora in poi, in maniera costante i quadri nel loro farsi, potenziando le possibilità di letture multiple, e il carattere metamorfico e ambiguo cercato da Vanni. Ancora una volta è un sistema creativo che ricorda da vicino il metodo di Cagli, il quale sembrava “...non credere né alla pura sfera ideale, né alla pura sfera materiale: insiste invece sulla realtà del tramite dialettico...”.16 Ed ecco allora comparire margini, scontornature, limitazioni, deviazioni che intessono dei percorsi che guidano l’osservatore attraverso l’opera estendendo temporalmente l’esperienza visiva. All’interno delle scansioni principali si creano dei quadri nel quadro, in cui ognuno, apparentemente indipendente dall’altro, ha una propria figurazione che entra in conflitto con quella vicina. Mentre in certi si articolano forme che suggeriscono uno spazio tridimensionale, in altri stesure di colori timbrici negano qualsiasi profondità. Alcuni ricordano certi paesaggi mitologici di Moreau dove il soggetto è appena accennato graficamente attraverso il dilagare libero dei colori acquarellati, altri la grafia e le campiture del Kandinsky geometrico, e altri ancora la profondità delle ombre di Rembrandt. Ma se ognuno di questi elementi figurativi ha una sua identità e coerenza, questa è costantemente rimessa in questione dal dilagare dell’una nell’altra in una mutua contaminazione di forme che contraddice la differenza sottolineata finora. E difatti Vanni aveva inteso questa composizione come lo scorrere di un fiume che durante il suo percorso attraversa luoghi diversi, paesaggi con una identità diversa ma allo stesso tempo legati dall’inevitabile influenza che, nel tempo, l’uno esercita sull’altro trasformandosi così in nuove sintesi altrettanto coerenti. I luoghi attraversati sono quelli del mondo tangibile, ma anche quelli della memoria, quelli che Vanni chiama i paesaggi della mente composti di 119 “...elementi diversi che riaffiorano alla superficie da esperienze lontane...”17 e che il tempo condiziona e trasforma attraverso la sedimentazione di nuove esperienze. Le differenze formali che coesistono nei quadri di Vanni alludono sempre a realtà diverse, possibili, interiori o esteriori o piuttosto una combinazione delle due poiché la realtà esterna è sempre il risultato, conscio o inconscio, di quella interna. Ognuna è altrettanto vera, credibile e per questo intrinsecamente contraddittoria, suscettibile a letture diverse, come in Pirandello, appunto, dove non si sa se sia più reale l’uomo o la maschera, la persona vista da dentro o quella vista da fuori. Nei quadri immediatamente successivi Vanni esplora gli elementi compositivi e formali sviluppati in From Night into Day evidenziando ora gli uni, ora gli altri. Ne vengono fuori tre direzioni di ricerca che manterranno una importanza paritaria nei tre anni successivi, contaminandosi e fondendosi spesso fra di loro. La prima pone l’accento sulle scansioni spaziali e stilistiche, nel dialogo-confronto fra i vari quadri nel quadro e l’attenzione si concentra nei punti di passaggio o confine fra una realtà e l’altra. In questo riprende un soggetto già presente nei ritratti delle maschere del ‘63-’64 e che si riproporrà spesso negli anni a venire: la specularità con variazione. Esegue una serie di opere verticali di piccola dimensione dove lo spazio è suddiviso in due riquadri. In quello superiore vi è incollata una stoffa pesantemente spiegazzata che trova nel quadrante inferiore la sua immagine speculare sviluppata graficamente, e reinterpreta in un altro linguaggio i ritmi e i percorsi di quanto sta nella parte in alto. Una leggera velatura colorata stesa su tutto il quadro crea un sottile legame di transizione fra l’una e l’altra interpretazione. Ma non appena l’occhio pensa di avere trovato una logica unificatrice dell’insieme, ecco che dalle pieghe più interne del tessuto emergono forme diverse da tutte le altre, ad alta intensità cromatica che suggeriscono un’altra lettura, un’altra realtà, un altro quadro pronto a manifestarsi. Si tratta di forme che potremmo definire biogeomorfiche per la loro parentela con il mondo cellulare e le conchiglie, ma anche 120 Sunstone and its Image, olio su tela, cm. 94x38, 1981, New York, collezione privata (P8113 cat.rag.). (17) Gian Berto Vanni, Quadri d’America, cat. mostra, Galleria Schneider, Roma 16 mar. - 10 apr. 1989. (18) Infatti i disegni del famoso biologo tedesco che Vanni aveva ammirato da ragazzo nell’edizione originale del 1904, erano stati ripubblicati pochi anni prima da Dover. (Ernst Haeckel, Art forms in nature, Dover Publications inc., New York, 1974). (19) Oscar Forel, noto psichiatra e naturalista svizzero ha pubblicato uno studio sulle corteccie degli alberi, da lui fotografate in tutto il mondo. Nella prefazione le descrive così: “Tra il campo visuale del microscopio e quello dell’occhio nudo esiste un mondo ancora a misura d’uomo. Sufficientmente ingrandito, rivela le sue strutture, di una ricchezza insospettata, talvolta insolita, ma non abbastanza strana perché potessimo dubitare della sua appartenenza alla natura.” (Oscar Forel, Secrets des ecorces - Synchromies, Edita-Denoel, Losanna 1972.) Sun dial, olio su tela, cm. 152x196, 1982, New York, collezione privata. le agate e le pietre dure sono direttamente imparentate con quelle delle opere esposte alla mostra alla Rizzoli nel ‘68. Si tratta di una rivisitazione critica in cui Vanni rielabora ricordi di microbiologia e parassitologia della sua adolescenza, riscopre Haeckel18 e gli studi sulle cortecce degli alberi di Oscar Forel.19 Queste forme non intendono suggerire letture surrealiste, ma piuttosto interferenze spaziali, temporali, culturali. Il biogeomorfismo è importante nella seconda tendenza di quegli anni dove è protagonista di un confronto dualistico con la materia primaria. Vi sono in questa vena poche opere ma tutte significative anche per gli sviluppi futuri. Se in questi lavori potrebbe sembrare che Vanni dia libero sfogo alla pura espressione materica, sarà poi chiaro di quanto qualsiasi 121 manifestazione di esuberanza materica serva semmai a rendere ancor più manifesto l’intervento analitico che le contrappone. In Sun dial la colata lavica si fa scoppio che irradia trasparenze cangianti. Ma sebbene un’esplosione sia normalmente sinonimo di immediatezza e perdita di controllo, qui è scientemente invocata in tutta la sua potenza per sottolineare la forza del corollario di forme biogeomorfiche inserite o estrapolate dalla deflagrazione determinando il suo contenimento. Per causa loro l’impeto iniziale si trasforma in materia stagnante. Il forte espressionismo del centro esplosivo rende ancora più evidente la freddezza raziocinante delle incrostazioni cristalline in contrappunto con esso; tanto quanto l’uno è frutto di un istante, tanto più l’altro è il risultato di un lavoro analitico e paziente. Pare un gioco di forza tra istinto e raziocinio nel quale l’uno vuole controllare il diritto di esistere dell’altro. Lo stesso processo si ripete in quadri come Moments of a Transformation o Beginning, di alcuni anni dopo. Con Hommage to Andrea, quadro concepito prendendo spunto dal doppio punto focale del grande affresco di Andrea Pozzo sulla volta della chiesa di Sant’Ignazio a Roma, vengono introdotte importanti novità. 20 La doppia deflagrazione, di cui non vediamo le ripercussioni esterne ma solo il travaglio interiore, provoca la distribuzione rettangolare delle forme permettendo di superare l’impostazione a raggiera di Sun dial e le vincola alla forma perimetrale piuttosto che al fulcro centrale. Questo spostamento richiama strutturalmente le architetture dell’Apoteosi di Sant’Ignazio anche nell’interruzione della continuità delle forme perimetrali, preannunciando l’idea di cornice frantumata che Vanni svilupperà più tardi. Fin dagli inizi è stato tentato dal comporre le sue opere evitando l’uso della forza di gravità. Molte delle forme dei suoi quadri sembrano levitare nello spazio. Spesso la tela viene lavorata a piatto sui quattro lati, e alla fine un piccolo dettaglio ne determina l’orientamento. Probabilmente questa preferenza ha origini lontane nelle continuate osservazioni al microscopio dell’adolescenza, dove non c’è un alto ed un basso. Alcuni dei suoi quadri sono firmati su due lati e a seconda che si pongano 122 P8207 (cat.rag.) P8508, P8509 P8601 (cat. rag.) (20) Il riferimento all’affresco di Andrea Pozzo è soltanto compositivo e non intende avere significati simbolici. È un esempio della teoria di Vanni per cui si possa ottenere uno stesso tipo di impatto visivo con dei modi totalmente differenti. Hommage to Andrea, olio su tela, cm. 191x127, 1986, Roma, collezione privata. (21) Il titolo del quadro sottolinea i riferimenti incrociati a Citera (Kythira in greco e inglese), l’isola greca in cui Vanni ha la sua casastudio dove lo ha dipinto, e Oruro, città delle Ande boliviane, dove era andato poco prima a fotografare il carnevale locale (a sua volta prodotto di contaminazione spagnola di un rito Inca). P8120 (cat. rag.), P8201 nell’una o l’altra posizione si determina un modo differente di lettura, con significati diversi. Con Hommage to Andrea Vanni va oltre collocandolo sul soffitto, cosicchè l’orientamento è determinato, come in Sant’Ignazio, dalla posizione dell’osservatore, cambiando così la percezione gravitazionale degli elementi rappresentati e anticipando le opere cosmiche degli anni novanta e la serie dei quadri da soffitto. La terza direzione di ricerca, più vicina di tutte alla sintassi di From Night into Day, si sviluppa in una serie di opere che ne esplorano tutte le possibilità evolutive, spingendo la sperimentazione in territori che aveva finora escluso dal suo vocabolario eclettico. Nelle opere più simili al quadro originario come A Stream of Thoughts o From Kythira to Oruro21 si trova una attenuazione, nell’opera finita, dell’evidenza degli aspetti dinamici della materia iniziale. Non significa che questi quadri siano statici ma che la materia ci viene proposta nel suo processo 123 From Kythira to Oruro, olio su tela, cm. 81x99, 1982, Roma, collezione privata. evolutivo, eliminando riferimenti alla sua origine e, anche, alla sua destinazione. Intento in cui si ritrova quanto è stato osservato per Kandinsky22 di dipingere le forme nel loro divenire piuttosto (22) Cfr. Richard Verdi, Klee and nature, Rizzoli, New York, 1985, p. 216. Stone Cocoons and Windy Shores, olio su tela, cm. 81x99, 1982, collezione dell’artista. 124 End of Day, olio su tela, cm. 81x99, 1983, New York, collezione privata. (23) Infatti, pur vivendo a New York, passa ogni anno quattro mesi sul Mediterraneo in barca o nella sua casa in Grecia. (24) Che richiama il tema del confine degli anni cinquanta. P8202 (cat. rag.) P8308, P8203 (25) Questo soggetto aveva interessato Vanni fin da ragazzo e lo aveva approfondito attraverso gli studi di Roger Caillois. P8204,* P8206** (cat. rag.) (26) Gli olandesi hanno cominciato ad usare questo termine verso il 1650 (da questo deriva l’inglese still life). Non è un caso che le nature morte preferite da Vanni siano quelle del seicento olandese di Pieter Claesz e Willem Claesz Heda. che nel loro essere. Trova larghi spunti per questa ricerca nella osservazione della natura, principalmente in relazione con il mare,23 come spesso accade nel lavoro di Vanni. Un esempio si può vedere nel trattamento dei margini24 dipinti nelle opere di questo periodo che evocano l’effetto del mare sulla costa rocciosa: margini frastagliati della roccia e delle alghe giustapposti a quelli fluidi del mare e della risacca. In svariate opere, però, gli elementi naturalistici vanno oltre il suggerimento formale per entrare più evidentemente nella figurazione. Talvolta alludendo al paesaggio come in Life growing through Water and Earth o End of Day; altre, come in Stone Cocoons and Windy Shores, al mimetismo animale 25 in cui Vanni ricerca gli elementi metamorfici che permettono al soggetto di eludere la riconoscibilità; altre ancora alla natura morta o meglio alla sua definizione olandese di stilleren,26 natura immobile, parola che sottintende la possibilità di una evoluzione oltre il momento rappresentato come in Fossils grow under the Moon and the Sea*. In tutti questi quadri il naturalismo non intende travalicare nel figurativo. Fa parte di quest’ultimo gruppo un’opera, Remembering Venice,** 125 dove Vanni ricerca il paradosso, negando la regola appena enunciata, con l’inserimento nel quadro di un elemento figurativo. Questa nuova contraddizione intende introdurre una ulteriore variabile formale che moltiplichi le possibilità interpretative del suo linguaggio, sottolineandone il carattere eclettico. Si tratta di un nudo femminile, soggetto che Vanni non aveva dipinto da più di trent’anni, inserito qui in una struttura compositiva, simile a quella degli altri quadri contemporanei, che ne rende l’individuazione più difficile. In una prima visione d’insieme l’occhio non riconosce immediatamente la presenza di un corpo, e lo interpreta come una collina (questo avviene osservando l’opera dal vero mentre nelle riproduzioni, con la riduzione di scala, non risulta evidente). Vanni ha anche ricercato questo doppio significato per alludere all’idea classica della terra come entità femminile. La forma del corpo nel suo insieme, in un tipico modo compositivo di Vanni, si ribalta in una immagine speculare rossa nella parte superiore che richiama l’associazione tra rosso e cielo dei suoi quadri del ‘58. Il vuoto creato dalla specchiatura è occupato da forme cellulari, strutturate come agate, i cui anelli concentrici esprimono diverse possibilità di transizione cromatica fra i colori del settore inferiore e quello superiore. La loro tessitura serratissima richiama la tematica dell’Art Nouveau della decorazione come contenuto27 dimostrata in tutte le sue potenzialità espressive nell’opera di Klimt, artista con cui Vanni ha sentito sempre grandi affinità. L’obiettivo della struttura compositiva è di dimostrare quanto il soggetto rappresentato sia secondario rispetto alla maniera rappresentante, in aperta polemica con la tendenza di quei tempi. Per sottolineare la sua distanza da un altro atteggiamento diffuso allora, di saccheggiare passati repertori per farne soggetti iconologici di largo consumo, inserisce omaggi ad artisti del passato attraverso citazioni sibilline, simili nelle intenzioni a quelle dei maestri rinascimentali verso l’arte antica, suggerendo con questo artificio l’idea che in un quadro debba sempre rimanere qualcosa da scoprire. Il titolo scelto 126 (27) Alessandra Comini, Gustav Klimt, Seuil, Paris 1975, p. 18. Remembering Venice, olio su tela, cm. 86x109, 1982, Colorado, collezione privata. (28) Erwin Panofsky, Studies in Iconology, Harper & Row, New York, 1972, p. 160. riferendosi al concetto di Ruskin del valore culturale aggiunto del reperto in funzione della stratificazione del tempo che testimonia, ci da un’indicazione della motivazione delle citazioni formali usate da Vanni in questo quadro. La posa scelta è quella rinascimentale classica della Venere distesa e allude con la torsione accentuata del bacino alla interpretazione di Tiziano che “...esalta la dea come divinità della bellezza animale e dell’amore sensuale.”28 Si tratta di una delle poche eccezioni in cui Vanni lascia trasparire nella sua opera pittorica un riferimento così evidente alla sua passione per il corpo femminile, che non ha mai smesso di studiare fotograficamente in tutti questi anni. Anche il trattamento dell’incarnato deriva dalla maniera del cinquecento veneziano, con l’alternanza di pittura a corpo nei chiari e a velatura negli scuri per ottenere 127 l’effetto dell’emersione della materia dalla profondità delle ombre. Queste sono a loro volta commentate da una fitta grafia che ricorda le ultime tele di Moreau, dove sottili disegni cesellano le trasparenze della materia sottostante, ricavandone preziose infiorescenze. Questa grafia si addensa poi nella zona pubica con un altro riferimento a Klimt, che in una delle sue ultime opere,29 incompiuta, ci ha lasciato una donna con il pube “...di cui aveva riprodotto i dettagli con minuzia e sul quale aveva cominciato a dipingere una gonna fatta di motivi ornamentali.”30 Quest’opera così ricca di riferimenti incrociati messi programmaticamente a dimostrare come nel suo mondo eclettico qualsiasi forma e qualsiasi stile possano essere utilizzati ad arricchirlo rimarrà l’eccezione piuttosto che la regola. L’impostazione di base rimane comunque inserita in tutto un gruppo di quadri in cui fa convivere sulla stessa tela la più grande quantità di maniere diverse anche come provocazione intellettuale, continuando a slegare la coerenza formale da una coerenza stilistica. Alcune opere dei primi anni newyorkesi vengono esposte nella serie di sei mostre personali che Vanni tiene in Giappone nella primavera dell‘83.31 L’elemento centrale della rassegna è una edizione di incisioni che esegue per quella occasione. Vi si trovano componenti simili a quelle che hanno caratterizzato la figurazione pittorica di quegli anni, con caratterizzazioni materiche, segni grafici e cromaticità. La tecnica che sviluppa riproduce il processo creativo dei quadri. Stampa una sua immagine fotografica di materia su una pellicola ad alto contrasto per poi grattare via tutti gli elementi che non lo interessano e disegnarne altri trasformando l’immagine originale. Trasferisce questa matrice sulla lastra attraverso un processo di fotoincisione. Si serve delle zone scure che aveva lasciato per ottenere ampi spazi che vengono scavati dall’acido creando dei bordi fisici che tratterranno l’inchiostro nella stampa. Nel secondo stadio interviene in questi spazi vuoti ad acquaforte con 128 (29) La sposa 1917-18. (30) Alessandra Comini, Gustav Klimt, Seuil, Paris 1975, p. 5. (31) Le gallerie Hosun e Juda a Tokyo, Nishida a Nara, M a Obama, Seijo a Sendai, Chikugo a Kurume. Images of Earth IV, 1983, acquaforte e tecniche varie, mm. 200x250 (G8308). (32) Pietro Porcinai - Attilio Mordini, Giardini d’occidente e d’oriente, Fratelli Fabbri Editori, Milano, 1966, p. 134. Elaborazione di una foto di cristalli di ghiaccio utilizzata in Images of Earth IV. segni grafici che entrano in conflitto con la materia circostante. La lastra finita viene inchiostrata con vari colori che si soffondono gli uni negli altri ottenendo nella stampa gli stessi effetti di velatura delle opere su tela. Vanni trascorre pi ù di un mese in Giappone attraversando una esperienza che si rivelerà altrettanto significativa di quella costituita dal suo primo viaggio a Parigi nel ‘48. Rimane affascinato dalle affinità che prova per questa cultura che ha linguaggi formali tanto diversi dai suoi. Lo colpisce in maniera particolare il rapporto della civiltà giapponese con la natura espresso dal disegno dei giardini che obbedisce ad “... una artificiosità che non deve togliere nulla e nulla aggiungere alla ricchezza ed alla espressività della natura, ma deve riproporcela, questa natura stessa, dopo averne interpretati e messi in evidenza gli aspetti più significativi come se il macrocosmo dovesse ritrovarsi e riconoscersi nel microcosmo.”32 In quest’arte ogni forma di pietra ha un nome e una sua simbologia che gli conferiscono un significato superiore sconosciuto, in questi termini, nella civiltà occidentale. L’interesse particolare che Vanni ha nella trasposizione di proprietà plastiche e visive in 129 contesti linguistici che a tali proprietà sarebbero naturalmente estranei è fortemente stimolato dall’esperienza diretta dei Kare san-sui,33 dove la ghiaia viene pettinata in modo da ottenere un effetto di acqua che scorre come in un torrente. La pietra subisce una trasformazione visiva che ne traspone il naturale messaggio di solidità in quello di liquidità fissata nell’eternità. L’espressività di questi giardini di piante o di pietre viene ulteriormente evidenziata dal rapporto con una architettura di un geometrismo essenziale, in un sincretismo costruito sulla differenza di due grammatiche che si completano a vicenda. Le aperture degli spazi interni sul giardino sono regolate dai shoji,34 rigorosamente bianchi e neri, che vi portano immagini di delicati giochi di colore e chiaroscuri. Nulla è affidato al fortuito, ogni apertura e ogni sentiero sono stati disegnati per guidare l’osservatore attraverso determinate esperienze, per creare quella “potente impressione sensoriale che il giardino evoca, ma che è però elusiva, come quella dell’unica pietra di Ryoan-ji che da nessun punto della veranda panoramica è dato di vedere.”35 Vanni trova profonde affinità in un’arte che studia la natura nei suoi più intimi particolari per ricreare come questa e andare oltre. Lo affascina una intellettualizzazione che permetta queste trasposizioni e lo sviluppo di significati paralleli, più che il contenuto letterale di questi: gli interessa come una pietra possa assumere il significato di isola, più che di quale isola si tratti. Qui ritrova tematiche che aveva raggiunto attraverso sentieri completamente diversi 36 ma che nell’incontro con questa civiltà vengono arricchite dai valori di cui è portatrice fornendogli nuovi suggerimenti per il suo lavoro successivo. Si manifesterà come influenza intellettuale portandolo verso una progressiva rarefazione dello spazio e alla espressione della forza attraverso suggerimenti piuttosto che nella sua esposizione manifesta. Tornerà da questo viaggio anche con stimoli formali ed elementi iconologici che arricchiscono il suo bagaglio figurativo, ispirati dall’esperienza empirica di spazi e trattazioni che conosceva già dai libri ma che nel contatto diretto si rivelano nella pienezza dei loro contenuti. 130 (33) I Kare san-sui sono giardini dove sabbia e ghiaia sostituiscono simbolicamente il piano d’acqua. (34) Pannelli scorrevoli di separazione tra vari ambienti formati da strutture di legno ricoperte di carta traslucida bianca. (35) William Alex, Japanese Architecture, George Braziller, Inc., New York, 1963, p. 44. (36) Le stesse tematiche di analisi della natura che lo avevano interessato fin dal periodo olandese, e che aveva ripreso dall’inizio degli anni sessanta quando, fotografando particolari del mare, degli alberi, delle rocce, cercava le forme fondamentali che stanno alla base di ogni sviluppo naturale. Veins of the Earth, olio su tela, cm. 198x264, 1982, New York, collezione privata. P8215 (cat. rag.) Di ritorno a New York sviluppa una vena di ricerca che era iniziata con un grande quadro dipinto prima del viaggio in Giappone,Veins of the Earth, e che lo occuperà prevalentemente fino alla fine degli anni ottanta. Sono opere in cui la struttura geomorfica perde la sua origine cristallina in favore di una sedimentaria in un contesto dove l’acqua si fa pietra o la pietra diventa liquida. La colata evidente, provocatrice, sparisce a favore di una nuova tecnica dove Vanni riprende una delle costanti del suo lavoro: di tenere nascosto, o semmai vagamente intuibile, il processo costitutivo dell’opera. Il quadro viene iniziato con la creazione di molteplici rivoli di colore che scorrono sulla tela segmentandolo in bande e triangoli irregolari creando una scansione che ricorda lontanamente le partizioni prismatiche di Inverno o Scalinata nella prateria, senza però il 131 Japan I, olio su tela, cm. 86x117, 1984, New York, collezione privata. meccanicismo di quelli che viene ora sostituito da una sorta di geometrismo organico. Le zone della tela rimaste in riserva tra i segni disegnati dai rivoli vengono riempite con campiture di colore unitario che si ispessiscono sui margini assumendo la morfologia di blocchi di arenaria consumati dalle intemperie. In questa fase Vanni ricopre tutti quei rivoli che non lo interessano nell’economia del quadro, sancendo la struttura compositiva. Poi un’ampia velatura viene stesa su tutta l’opera sottolineando le potenzialità espressive della materia sottostante, arricchendo l’intensità cromatica dei rivoli o creando schiarimenti in corrispondenza degli ispessimenti, in un processo per cui la materia si fa segno e il segno si fa materia. Si viene così a determinare un contesto formale coerente che viene però confutato dalla presenza di alcuni elementi, di dimensioni piuttosto ridotte rispetto all’economia dell’opera, che sono portatori di altre logiche. Nel caso di Veins of the Earth si tratta di una lunga forma scura che suggerisce uno squarcio, una ferita che mette in dubbio la massa geomorfica trasformandola in pellicola che, lacerandosi, rivelerebbe una realtà sottostante. Ad ampliare le possibilità interpretative si aggiunge una scorniciatura diafana che passando davanti a certi piani e dietro 132 Formazioni calcaree a Pamukkale, Turchia. Japan II, olio su tela, cm. 86x109, 1984, collezione dell’artista. (37) Langdon Warner, The enduring art of Japan, Grove Press, Inc., New York, 1978, p. 100. P8404 (cat. rag.), P8405 (cat. rag.) (38) In Japan I risulta evidente il legame iconologico di queste colate con un fenomeno naturale osservato a Pamukkale, in Turchia, di vasche i cui lati sono completamente ricoperti dalla sedimentazione del calcare presente nell’acqua della sorgente che le alimenta. P8406* (cat. rag.) ad altri, implica una collocazione aerea di queste forme che nega ulteriormente la sostanza geomorfica dell’opera riproponendo il tema delle ambiguità spaziali. Con questo sviluppo si apre, come diretta conseguenza del viaggio in Giappone, un periodo dove gli eclettismi stilistici si fanno meno provocatori, ma non meno significativi, in perfetta assonanza con la cultura giapponese che privilegia “quello che viene suggerito rispetto a quello che viene enunciato.”37 Il pieno sviluppo di questa figurazione si ha nell’anno successivo quando Vanni produce due opere che indicano le due direzioni principali in cui evolverà questa nuova logica pittorica: Japan I e Japan II. Nel primo apre la strada al tema della colata verticale, 38 protagonista, che preannuncia una fluidità diffusa che si esprimerà quello stesso anno nell’opera più significativa di questa evoluzione, Metamorphosis.* Nel secondo riprende, nel nuovo contesto, il tema dei riflessi sul mare sviluppato nelle opere dei primi anni sessanta. Le leggi fisiche che determinano queste strutture compositive sono ispirate alle proprietà dei fluidi riproponendo sotto un altro aspetto l’interesse di Vanni per il mondo acqueo. 133 In Metamorphosis una materia rarefatta cola fondendosi con il campo sottostante in presenza di piccole forme biologiche che esulano dall’atmosfera etereo-acquatica del resto dell’opera. La loro fattura più netta potrebbe suggerire cellule primarie parassitarie del flusso, ma anche, al contrario, si potrebbe trattare degli ultimi reperti di un mondo preesistente scampati al decadimento comportato dalla colata invasiva. La coesistenza di queste due componenti legate da un rapporto evolutivo ambiguo crea un ambiente metamorfico dove agate diventano amebe che si fondono in un velo acquatico destinato a screpolarsi come un terreno disseccato o, in un processo generatore opposto, cellule nate, come nodi nel legno, da incidenti della colata, e destinate a fagocitare, moltiplicandosi, la materia circostante. La cascata-colata stessa viene confutata dalla presenza di una cornice densa di grafismi che alludono a screpolature pietrose negando la sua origine acquatica. Questo elemento intende rappresentare l’idea di cornice (già espressa in opere precedenti, ma che a partire da ora sarà costantemente presente) che separa lo spazio interno al quadro dallo spazio esterno. Vanni dopo averne stabilito il limite con una linea di confine la fa oltrepassare da alcuni elementi pertinenti allo spazio interno del quadro negando la sua stessa funzione e ribaltandone il significato trasformandola in un mezzo per esprimere l’ambiguità dei limiti fisici del quadro. Un intervento che riassume le precedenti contraddizioni attraverso un espediente logico-visivo che, sfalsando piani che avevano stabilito una logica reciproca nella situazione interna, rimettono in questione gli assetti compositivi dell’opera creando una situazione di incertezza per una coerenza spaziale che viene ad un tratto a mancare. Attraverso questo si apre il quesito pirandelliano della fine dell’opera immaginata e dell’inizio della realtà tangibile, con tutti i risvolti interpretativi che questo comporta. Si percepisce l’intenzione di Vanni di spostare il problema da un campo formale a un campo filosofico. Dall’analisi di Metamorphosis si capisce che si tratta di un’opera in cui le varie componenti sono intimamente legate l’una 134 Metamorphosis, olio su tela, cm. 122x122, 1984, collezione dell’artista. all’altra e che rappresenta un ulteriore allontanamento da un eclettismo manifesto a favore di sfasamenti stilistici e compositivi che provocano incongruenze nei sillogismi interpretativi. In questa maniera Vanni crea l’impossibilità del completamento di un qualsiasi percorso logico con la conseguente emergenza del vero soggetto intrinseco: il dubbio. Dubbio inteso come forza esistenziale rigeneratrice di qualsiasi 135 processo intellettuale. Questo soggetto, che fino ad ora era rimasto latente, si impone da protagonista in questo quadro dove fin dal titolo di Metamorphosis è espressa l’indicazione di non accettare la realtà come si presenta.39 Va osservato come i titoli che Vanni dà alle sue opere non siano quasi mai legati a degli aspetti interni al quadro ma rappresentino un’osservazione dall’esterno, fatta generalmente a posteriori, che fornisca un suggerimento di lettura. Sono espressioni allegoriche con legami apparentemente lontani per mettere l’osservatore sulla strada di associazioni di idee che provochino l’interesse per diverse interpretazioni dell’opera. Vanno letti in questo senso i riferimenti alla mitologia greca che aveva già utilizzato in forma di contrappunto all’accentuata matericità dei primi anni sessanta, ma che qui ritornano come suggerimento di parentela metamorfica che diventa per Vanni una forma di riattualizzazione del mito. Mito inteso come espressione allegorico-filosofica delle nostre radici culturali. Per Vanni riattualizzare il mito non significa condurre un’operazione folclorica di stampo nostalgico, ma caricare gli impianti formali dei suoi quadri di un potenziale evocativo ricchissimo di legami radicati in un immaginario comune dove si fonde in concetti filosofici. Infatti la sua lettura preferita della mitologia sta nelle Metamorfosi di Ovidio, dove il limite fra realtà, mito e concetto non sembra esistere. Queste evocazioni sono per Vanni un riferimento sempre attuale per delle considerazioni sulla nostra esistenza in rapporto alle forze che ci agitano internamente o che ci condizionano nel mondo tangibile. L’immagine della colata dall’alto in basso della materia pittorica, centrale nella figurazione di Metamorphosis, è presente nel lavoro di alcuni pittori suoi contemporanei come ad esempio Larry Poons o Gerard Richter. Nelle opere di questi artisti l’espressione della materia è il soggetto, rappresentando se stessa come evento pertinente in scala reale alla tela che lo contiene, il che viene sottolineato dal trattamento plastico della massa di colore e della superficie pittorica. Nei lavori di Vanni 136 (39) In questo si ritrova l’influenza dello scetticismo positivo acquisito nelle lezioni di filosofia di Bragaglia. Variations on the Past Tense, olio su tela, cm. 198x348, 1985, Morristown, ITT Corporate Collection. P8505 (cat. rag.) P8808 di questo periodo, invece, l’aspetto fisico, tangibile, della materia rimane secondario. L’accento è posto sulle trasmutazioni evocate da una iconologia che, alludendo a vari aspetti costitutivi delle forme naturali, suggerisce la trasformazione di una materia in un’altra. Ad ulteriore distinzione con i lavori degli artisti sopra citati, si deve osservare che per Vanni è sempre importante presentare qualsiasi materia sia come massa (non soltanto solida, ma anche liquida o aerea) che come pellicola. In quest’ultima situazione interpretativa può essere lacerata o comportarsi come un velo trasparente. I quadri dove le colate di colore si stemperano in trasparenze quasi acquarellate farebbero pensare alle ricerche di Olitski o al periodo dei veli di Morris Louis. Ma mentre nel lavoro di questi artisti l’espressione risiede nella trasparenza stessa, per Vanni diventa un mezzo per stabilire un velo diafano nello spazio che lasci intuire qualcosa che sta oltre quel piano. Sono interessanti a questo proposito due quadri di quegli anni, Variations on the past tense e Sky in the shape of a wall, dove colate di bianco reso semitrasparente dalla trementina ricoprono opere lavorate in 137 precedenza. Attraverso questa velatura opaca si intuisce il quadro sottostante che ci è rivelato nella sua forza cromatica da alcune forme scampate alla colata cancellatrice. Ecco che il bianco si comporta sia come massa nebbiosa densa che trasporta sul piano proiettivo della tela particelle di luce colorata presenti nella sua massa, che come velo che rivela e nasconde nella sua trasparenza o si squarcia rivelandoci un’altra realtà. Si va formando un’attenzione particolare alla penetrazione della visione nello spazio pittorico. Vanni si serve di diversi livelli di opacità per fermare la leggibilità a diverse profondità creando una successione di piani, per poi magari negarla compositivamente.40 Piani che si sviluppano in uno spazio abbastanza ristretto, che non suggerisce l’infinito. Non si tratta di uno spazio prospettico, piuttosto di uno spazio tridimensionale compresso sul piano di proiezione della tela come se si trattasse di un prospetto. Vi sono così forme che appartengono al piano della tela e altri elementi che rappresentano corpi più lontani, pronti a presentarsi in primo piano quando una variante della lettura lo suggerisce. Questo gioco di rapporti fra piani con le loro relative distanze si può osservare in tre opere, Silent Greek Landscape, Gate to the Orient e Cassure Orange, dove spazi apparentemente complanari si aprono, come in un sipario, per rivelare una nuova realtà pronta a presentarsi alla ribalta. Tutte le tematiche affrontate daVeins of the Earth in poi si ritrovano nel quadro più ambizioso di quel periodo, Embrace, che si sviluppa per più di sette metri di lunghezza per due di altezza. In quest’opera i due fasci di rivoli orizzontali dei pannelli laterali confluiscono nel pannello centrale in una grande colata verticale. L’insieme evoca il passaggio davanti ad una costa all’alba dove il cielo velato crea un’atmosfera di madreperla e arbusti esili ne scandiscono lo spazio,41 stringendo l’osservatore in un abbraccio che lo proietta verso l’apertura centrale, porta di energia vitale e sensuale, fino all’ultimo spasmo rosso che ne costituisce il cuore. In una lettura diversa, le tessiture orizzontali hanno una diretta associazione con la struttura delle ali di cavallette che sembrano provenire da un 138 P8607 (cat. rag.), P8608, P8713 (40) Vedere per questo la serie di Search of the Golden Fleece I (P8705), II (P8706), III (P8707) e IV (P8708). P8506 (cat. rag.) (41) Nella costruzione dell’opera Vanni aveva in mente le traversate mattutine in auto della pineta di Ravenna lungo il mare, e La pioggia nel pineto di D’Annunzio. Era più o meno lo stesso periodo di quando, ancora adolescente, faceva i disegni anatomici di insetti e di terrari. Embrace, olio su tela, cm. 198x739, 1985, collezione dell’artista (a sinistra il dettaglio della parte centrale). (42) È interessante paragonare la trasposizione formale dell’interesse di Vanni per le articolazioni degli insetti in quest’opera con quelle della fine degli anni cinquanta. (43) Vedere a questo proposito anche Woman of Time (P8612), Ouranos-Gea (P8810 cat. rag.), Phoenix (P9036) e Ventiseiesimo canto (P8927). P8613 (cat. rag.) (44) Parallelamente a queste tematiche il quadro ripropone un discorso simile a Remembering Venice. Infatti oltre all’uso provocatorio del ritratto contiene un preciso riferimento alla Allegoria del trionfo di Venere del Bronzino di cui è facilmente riconoscibile Venere nella sagoma ribaltata delle figura rappresentata. (45) Enrico Crispolti, I percorsi di Cagli, cat. mostra, Castel dell’Ovo, Napoli, 1982, p. 40. (46) Sfortunatamente i quadri più significativi non furono esposti, essendo bloccati a Fiumicino per ragioni burocratiche. mondo preistorico, calcificato nella sua imponenza. Le trasparenze delle parti più chiare mantengono viva la tensione fra una proprietà di massa e di velo, e la delicatezza delle articolazioni suggerisce la permanenza di una possibilità di volare.42 La colata centrale, molto vicina a Metamorphosis, in questo contesto può essere associata alla testa dell’insetto. Contiene lungo il suo asse centrale una colonia di piccole forme che suggeriscono una labirintica anatomia interna, rivelata attraverso degli squarci del corpo che la contiene. 43 Questa immagine di un corpo al contempo calcificato e pulsante crea un monumento ambiguo che suggerisce una visione terrificante della realtà malgrado la sua bellezza estetica. L’idea del corpo fossile viene ulteriormente espressa in un quadro ancora più esplicito di un anno dopo, Divertissement sur le thème de Daphne, con la presenza di una figura umana.44 È una delle opere dove il dialogo tra materia ed intelletto si fa più serrato. Difatti, non a caso, si creerà, come in Cagli, quello stesso strano rapporto tra materia ed immagine per cui “...per artificio, la materia ha consistenza d’immagine, e, correlativamente, l’immagine ha consistenza di materia.”45 Questa lunga e complessa ricerca sviluppata negli anni ottanta assorbendo la multiculturalità newyorkese e l’esperienza giapponese, mediate dalla rivisitazione, attraverso l’insegnamento, di tutta la storia dell’arte verrà esposta, oltre che nei successivi open studios, nell’ultima mostra che Vanni terrà alla galleria Schneider di Roma nella primavera dell’8946 e alla Galerie 88 in Lussemburgo nell’autunno dello stesso anno. In questa 139 occasione sarà pubblicato Quadri d’America che riproduce le principali opere di questo decennio e in cui Vanni espone le idee che impostano il suo lavoro. L’apporto stimolante della ricerca legata allo sviluppo di materiali didattici, che ha portato Vanni a riprendere lo studio di esperienze artistiche sia dal punto di vista teorico che tecnico, è stato menzionato più volte nell’esame della pittura di questi anni. L’insegnamento rappresenta una parte importante della sua vita in America ed è interessante esaminarlo per capire l’influenza che ha avuto sulla sua ricerca pittorica, trovando nel primo un complemento intellettuale ed empirico di grande valore alla seconda. Dopo alcune esperienze in altri college newyorkesi, 47 nell’84 vengono offerti a Vanni due corsi permanenti alla Cooper Union, il più prestigioso college di arte di New York, e a partire da questo momento affiancherà in maniera continuativa l’attività di docente a quella di pittore. Si tratta di una università dove accedono, dopo una severa selezione, studenti provenienti da tutti gli Stati Uniti. Qui Vanni ritrova un ambiente che gli è intellettualmente familiare perchè dei compagni degli studi con Albers vi insegnano seguendo la tradizione di integrare esperienza empirica e conoscenza teorica ereditata dal Bauhaus. Uno dei due corsi insegnati da Vanni, Color perception,48 fa parte del programma che tutti gli studenti devono seguire per avere accesso ai corsi di pittura. Equivale, con alcune variazioni, a quello creato da Albers al Bauhaus ed elaborato negli anni del Black Mountain College, ed in seguito a Yale. Il corso dà allo studente, attraverso esperimenti empirici, il senso della relatività del colore, che interagendo con i campi cromatici circostanti cambia di valore, intensità, croma, modificando la percezione di spazio, fingendo trasparenze illusorie, ed acquistando intensità inusuali quanto più spinto al di fuori della sua area di riposo. Si esplorano, senza suggerire regole, accordi che preparano ad un uso del colore sentito interamente in funzione della sua posizione ed area relativa a quelli contigui, in una 140 (47) Vanni aveva anche insegnato alla City University of New York, al York College e all’Hunter College. (48) Anche gli altri due professori che lo insegnavano, Irwin Rubin e Robert Slutsky, erano stati studenti di Albers a Yale. (49) I corsi di colore impostati da Albers a Yale hanno avuto una tale influenza nelle scuole d’arte americane che due ditte, la ColorAid e la Color-View, che più tardi si sono riunite, hanno sviluppato un prodotto apposito. Si tratta di un campionario di oltre duecento colori stampati in serigrafia in scale appositamente scelte per mettere in grado lo studente di imparare l’uso del colore secondo il metodo di Albers. (50) Reuben Kadish aveva partecipato attivamente a momenti importanti dell’arte americana a partire dagli anni trenta. Dopo aver lavorato come assistente di Siqueiros, esegue una serie di affreschi in collaborazione con Philip Guston e, a volte, il fratello maggiore di Jackson Pollock, Sandy. Dopo la guerra si stabilisce a New York frequentando assiduamente Jackson Pollock, a cui lo lega una profonda amicizia. Nel suo lavoro di scultore sviluppa una figurazione che pur tenendo conto delle esperienze astratte è legata alla tradizione di Rodin ed alla espressività dell’arte africana. A Cooper Union insegna disegno, scultura e il corso di Art Survey che gli era stato affidato per la ricchezza delle sue esperienze artistiche. ricerca separata dal suo significato gestaltico e simbolico. Il contributo di Vanni a questa didattica è di far seguire ad una prima fase in cui lo studente esegue i progetti con collages di carte colorate,49 una seconda in cui rielabora il progetto iniziale a partire da colori mischiati sulla tavolozza. Questo agevola il passaggio dalla parte teorica alla parte pratica, avendo notato la difficoltà degli studenti ad integrare quanto acquisito nella formulazione di un quadro personale. Seguendo il loro lavoro da vicino e osservandone le reazioni alla scoperta del colore Vanni viene stimolato a sperimentare nuovi accordi nei suoi quadri. L’altro corso che gli compete, Art survey, viene da una tradizione delle scuole d’arte in America di affiancare ai corsi di storia dell’arte tradizionali svolti nella facoltà di humanities un corso impartito dal punto di vista soggettivo di un artista. Questa cattedra venne affidata a Vanni da Reuben Kadish50 che l’aveva tenuta per quasi venti anni. Vanni imposta il corso tematicamente e prepara una serie di dispense che ci aiutano a capire dove risieda per lui l’interesse nell’arte del passato. Svariate lezioni sono dedicate ad esaminare opere create da culture diverse paragonandole per mettere in risalto le differenze o affinità stilistiche nell’affrontare i grandi temi esistenziali. Vengono raffrontate figurazioni Azteche e Romaniche in rappresentazioni che si impongono all’immaginazione attraverso la paura. Oppure, esaminando l’immagine di Venere attraverso i tempi, come altre culture abbiano cercato nell’armonia la rappresentazione del divino. Altre lezioni si concentrano su come civiltà diverse, attraverso circostanze storiche, economiche, sociali, esprimano una loro particolare visione dell’arte. Vanni confuta la tendenza dominante fra gli studenti americani di identificare l’efficacia del linguaggio dell’arte con la violenza dell’espressione, con una grande ammirazione per un quadro forte e di denuncia, tanto più grande quanto più prenda lo spettatore allo stomaco. “Li invito quindi a pensare come, per denunciare la violenza stupida della guerra, sia più impressionante un agonizzante ferito e inchiodato a un muro che Guernica, o un Goya, appesi sul muro opposto; e quindi il 141 valore dell’opera sia da cercarsi altrove. Risposte non ne do, né saprei darne; preferisco però aprire dei dubbi a scuotere le loro certezze, che fornire regolette senza peso di fronte a quanto resta un affascinante mistero.”51 Altre lezioni ancora trattano della maniera in cui i materiali condizionano la rappresentazione, con lezioni dedicate ad esaminare l’uso della pennellata attraverso i tempi. Molto tempo viene dedicato all’architettura che è per Vanni una referenza essenziale per la comprensione dello spazio. I temi di queste lezioni-conferenza sono anche il pretesto per mostrare una grande quantità di immagini che stimolino la percezione visiva dello studente, e ne provochino l’immaginazione creativa, attraverso la comprensione del linguaggio delle forme delle opere d’arte del passato. L’esigenza di avere le immagini giuste per dimostrare le sue idee visivamente gli farà sviluppare un particolareggiato archivio fotografico di scultura, pittura ed architettura costruito scattando immagini durante i lunghi viaggi che compie appositamente. Questi si orientano in base a filoni specifici su temi classici come l’arte egiziana, greca, bizantina, romanica, gotica, orientale, comportando una rivisitazione sintetica della sua cultura. Le conferenze sviluppate attorno alle immagini create a supporto delle sue idee cominciano a loro volta ad influenzare le sue scelte iconologiche, portandolo a ripensare a momenti passati dell’arte in rapporto con la sua pittura. Alla fine degli anni ottanta un cambiamento di orientamento didattico nella scuola d’arte ha ridimensionato l’insegnamento della storia dell’arte considerata secondaria, se non addirittura negativa, nello sviluppo di un artista. Vanni che dissente profondamente con questa idea ha dovuto però trasformare il suo corso di Art Survey in una classe-laboratorio di tecnica pittorica. Questo gli ha dato occasione di riprendere la sperimentazione delle tecniche classiche su tavola e muro, approfondendo metodi di pittura come la tempera all’uovo e l’affresco. Nella pittura ad olio pone particolare riguardo ai fondi a mezza tinta, colori opachi, translucidi o trasparenti, velature e spessori di materia. In questo corso contestualizza storicamente quello che 142 (51) Valentina Puccioni, Intervista a Gian Berto Vanni, New York, ottobre 2000. gli studenti stanno sperimentando, di come e perché un effetto tecnico sia essenziale ad uno stile specifico ad un periodo, facendoli riflettere sul rapporto fra tecnica e immaginazione, di come l’una può stimolare l’altra e viceversa. Per lui lavorare assieme agli studenti è molto importante per stabilire un contatto con le nuove generazioni studiando la loro reazione agli argomenti che solleva per capire come sta cambiando la percezione dei temi che sono per lui più significativi. Aiutarli ad attraversare le diverse combinazioni fra idea e realizzazione lo aiuta spesso nel suo proprio lavoro di elaborazione di modi diversi. Con questo corso, infatti, riprende lui stesso a servirsi della tempera all’uovo in piccole opere su tavola dove affronta la sperimentazione di qualsiasi soluzione stilistica con maggiore libertà, non sentendosi vincolato dalla presa di posizione che un’opera più grande comporterebbe, producendo, nel corso di dieci anni, oltre duecentocinquanta pezzi. Vanni aveva sempre avuto prima di allora una grande difficoltà a dipingere opere di piccole dimensioni perchè non le aveva trovate adatte ad integrare il rapporto fra infinitamente piccolo e infinitamente grande, tipico dei contrasti che lo interessano maggiormente. Nelle sue tele il dialogo particolarissimo fra materia e forme cellulari viene quasi sempre costruito sull’estensione della prima messa a confronto con l’intensità delle forme minute. Nel trasporre questo in opere molto più piccole gli si erano proposte due soluzioni ugualmente insoddisfacenti: o mostrare una parte del quadro grande, o riprodurre la stessa formula compositiva in più piccolo. La prima soluzione avrebbe comportato tutti i problemi che insorgono quando si mostra un dettaglio di un’opera che, trattandosi appunto di una sola componente, cambia di significato nell’assenza delle altre. Nel secondo caso, operando una riduzione di scala la materia perderebbe di efficacia, non essendo più la diretta espressione di un processo costitutivo. Le forme cellulari di per sè già piccole si ridurrebbero a meri segni perdendo la vitalità derivante dall’associazione alla materia biologica. Ma oltre a questi problemi compositivi ve ne 143 è un altro fondamentale. Vanni è interessato alla esplorazione temporale dell’opera fornendo degli itinerari interni che distribuiscano nel tempo l’esperienza visiva. Un’opera piccola simile in tutto e per tutto tecnicamente a quella grande diventa percepibile soprattutto nella sua unitarietà. Appesa al muro non è più quell’apertura panoramica su un mondo esterno che ci propone itinerari da esplorare, ma è una piccola finestra con una vista su un solo soggetto vincolata ad un solo punto di vista. Vanni capisce che per esprimere i significati a cui è interessato deve far sì che il quadro stesso diventi qualcosa di diverso, che entri in un altro rapporto con l’osservatore. Nella maniera con cui raggiunge la soluzione di questo problema troviamo una dimostrazione quasi letteraria dell’idea del Bauhaus, sulla quale aveva marcatamente insistito Josef Albers, dello sviluppo del linguaggio artistico attraverso una continua sperimentazione tecnica. Durante le lezioni in cui inizia gli studenti alla tempera all’uovo, Vanni prepara insieme a loro le tavolette sulle quali dipinge chinato sul piano di lavoro come ad uno scrittoio. Sostituisce le grandi stesure con campiture di pennellate minutissime, caratteristiche di questa tecnica, in una sorta di scrittura della superficie dipinta. Si ritrova dunque nella stessa posizione del pittore di miniature, malgrado le forme non siano particolarmente minute, per quel rapporto intimista con l’opera dipinta che fa perdere coscienza del mondo esterno che la circonda. Per questo ritiene che le sue tempere siano da leggere in astrazione dallo spazio circostante in cui non deve sussistere un rapporto di scala fra il proprio corpo di lettore e la dimensione dell’opera. Nel recupero della tecnica tradizionale riesce ad eliminare, nell’opera finita, qualsiasi traccia della scala reale della materia. Sulle sue piccole tavole esegue una preparazione, secondo la ricetta di Cennino Cennini, in successive stesure di gesso intercalate da carteggiature che produce una superficie levigata e vellutata che trascende la sua dimensione tangibile. I soggetti affrontati riflettono la parcellizzazione delle tematiche delle opere su tela: le contraddizioni insite nei molteplici significati 144 Byzantine Memory, tempera all’uovo e oro su tavola, cm. 25x20, 1989, New York, collezione privata. 145 delle composizioni più grandi vengono esplorate nelle tempere per episodi di coppie contrastanti. Diventano anche un terreno dove portare la sperimentazione oltre i temi sviluppati nella figurazione maggiore, come fossero delle note in margine a questa ritornandovi, talvolta, modificate. Le opere a tempera riflettono anche un recupero meno mediato di elementi stilistici e culturali che Vanni incontra o porta in sé come residui di esperienze passate. I diversi temi vengono affrontati in una sequenza dove la soluzione espressa dalla prima tempera provoca nuove problematiche esplorate nella seconda, nella terza e così via, formando gruppi di opere sviluppati in parallelo gli uni agli altri. Le prime sono nate da osservazioni fatte sui fondi oro del trecento senese, dove l’oro consumato qua e là rivela il bolo rosso sottostante.52 Questa serie (Herculanum, Ravenna - the Barbarians - the Gold, Secondo Palinsesto) evoca l’idea del reperto, dove convive il decadimento con la preziosità. Il rosso di base diventato un vermiglione acceso, grattato e rovinato, entra in competizione con l’oro per la sua intensità cromatica. Accordo che crea una interessante interazione di colore sfruttando le caratteristiche di riflettenza del metallo a seconda dell’incidenza della luce. Questo effetto è largamente usato nelle icone bizantine dove la parte ricoperta di oro è la prima forma che si vede nella penombra di una chiesa, per poi scartare in secondo piano rispetto alle figure dipinte quando l’angolo d’incidenza della luce cambia. Nelle tempere Vanni rende manifesto il fascino che l’impostazione anticlassica della pittura bizantina aveva sempre esercitato su di lui. Quest’arte gli ha suggerito preziose indicazioni per la sua ricerca di formulazioni situate al di fuori di una situazione spazio-temporale che si manifestano all’occhio dell’osservatore come attimo sospeso nel tempo, che ne percepisce il significato riportandolo alla sua propria realtà spaziale, temporale e psicologica. Nelle tempere questo si ritrova in particolare laddove fondi di tinte consumate da abrasioni sospendono nello spazio forme trattate come panneggi che esprimono una commistione di leggiadria e ieraticità. In Byzantine Memory 146 P8901, P8902 P8907 (52) Il bolo è una terra rossa che veniva, e viene ancora, usata come base per l’applicazione della foglia d’oro. P8904 (cat. rag.) The Oracle I, tempera all’uovo su tavola, cm. 25x20, 1990, collezione dell’artista. P9007 (cat. rag.) elementi sospesi sono incastonati nello spazio-colore circostante che non allude, come nelle tele, ad altri elementi aerei od acquatici ma solo alla sua propria atmosfera. In The Oracle I il soggetto, rappresentato da cinque pennellate libere collegate da due elementi di piccole forme policrome, viene posto al centro della composizione solennizzando queste impronte del pennello in uno spazio fisso, atemporale che fa perdere loro qualsiasi aspetto ludico. L’uso dell’oro nelle opere a tempera continua con la serie micenea suggerita a Vanni dal ricordo dei bagliori dell’oro della maschera di Agamennone esposta al museo archeologico di Atene. Dunque un oro che esula dal suo significato contemporaneo di gioiello 147 Mycenean Suite II, tempera all’uovo e oro su tavola, cm. 20x25, 1990, Roma, collezione privata (P9019). e decorazione per caricarsi di associazioni con una funzione primordiale di corazza o di scudo. Ed ad uno scudo potrebbe infatti far pensare la scorniciatura quadrata dell’oro di queste tempere, o forse ancora di più ad uno stemma di una corazza, arcaico nella sua semplicità ornata solo da graffiti di geometrismi elementari. Allo stesso tempo gli accordi di colore sviluppati incastonando la foglia d’oro in una pennellata che la circoscrive in una lunga serie di variazioni cromatiche rappresenta anche un omaggio scherzoso ad Albers, come se il suo quadrato avesse subito gli abusi del tempo. Ma oltre questo, anche un riconoscimento di quanto sia ancora interessante continuare ad esplorare lo spazio come interazione cromatica. Fra i temi principali sviluppati nelle tempere abbiamo una serie di piccoli e raffinati paesaggi, come in Affabulazione o in Les Adieux, con in primo piano degli agglomerati di forme rettangolari che si avvicinano molto alle figurazioni con cui Klee ha rappresentato gli abitati tunisini. Nelle tempere in genere l’opera di Vanni si avvicina particolarmente al processo creativo di Klee, che ha sempre posto fra i suoi principali referenti nell’arte contemporanea. Si ritrova il rapporto intimista con l’opera, le tante opere lavorate 148 P8932, P8933 Struggle of Land and Sea, tempera all’uovo su tavola, cm. 18x25, 1994, New York, collezione privata. P9102, P9420 P9429 P9405 P9720, P9731 P9146, P9147 P9148 P9815, P9816, P9814, P9817 P9819, P9820, P9823 contemporaneamente, spesso derivate l’una dell’altra, che suggeriscono ognuna un particolare sguardo su un aspetto recondito del mondo interiore dell’artista. Ma Klee ed Albers non sono i soli artisti amati da tempo a cui Vanni fa riferimenti espliciti e voluti nelle tempere. Troviamo anche Cranach in Hommage to the Met o Bosch in From the Paste Tense. Burri nel cretto d’oro di Village of the Golden Desert. O anche più genericamente delle incursioni negli arabeschi del barocco come Struggle of Land and Sea o dei geometrismi non meccanici della miniatura gotica come in Byzantine Frontispice o Byzantine variation #12 . Oppure semplicemente cita se stesso come traspare dalla lunga serie di opere come Etruscan Places o Blois dove riprende il suo tema dei personaggi affiancati o Birth of a Stone dove si possono vedere le screpolature che Vanni ama utilizzare per caratterizzare le materie geomorfiche. In breve tempo sperimentazioni che si erano sviluppate in gruppi separati si contaminano a vicenda. Nella serie delle Byzantine Variations Vanni inserisce varie influenze arbitrarie creando le Byzantine Variations on an Indian Theme, Byzantine Variations on a Gothic Theme, Byzantine Variations on a Japanese Theme. 149 Unstable Stability, tempera all’uovo e oro su tavola, cm. 81x99, 1995, New York, collezione privata. Le esegue seguendo il concetto del divertimento o della variazione intesi in senso musicale. In alcune circostanze le sequenze formano dei polittici in cui i singoli pannelli sono stati assemblati su una tavola più grande alterando di poco l’allineamento dell’uno rispetto all’altro creando la Unstable Stability che dà il nome alla prima di queste opere. Interviene il tema della discontinuità intesa in senso fisico, come interruzione di una struttura di cui l’osservatore intuisce l’ordine costitutivo che tende a ricostituire.53 L’idea è nata da osservazioni fatte in una città licia in Turchia, Termessos, su di una facciata ellenistica squassata dal terremoto, dove l’occhio legge la continuità del disegno nonostante il dislocamento delle pietre che la rappresentano. L’attenzione di Vanni per una tecnica così antica come la tempera all’uovo è anche una indicazione di come lui si diverta polemicamente a percorrere il cammino inverso alla multimedialità dei prodotti artistici. È un aspetto del suo agire che però non costituisce un rifiuto reazionario e conservatore della modernità, andando di pari passo con una sperimentazione grafica e coloristica che opera sul computer. 150 P9535 (cat. rag.) (53) Come ha osservato Arnheim: “La condizione di equilibrio è l’unica nella quale il sistema rimane in quiete, e l’equilibrio tende all’ordine perchè rappresenta la configurazione più semplice possibile delle componenti del sistema. Tuttavia una opportuna modalità dell’ordine costituisce pure il presupposto del funzionamento efficiente, e per questa ragione vi aspirano tanto la natura organica che l’uomo.” (Rudolf Arnheim, Entropia ed Arte, Einaudi, Milano, 1978. p. 11.) Come si è già sottolineato, una caratteristica importante dell’atteggiamento di Vanni nella vita oltre che nella pittura sta in una sua marcata curiosità e passione per tutto quello che può rappresentare una scoperta, essere qualcosa di nuovo. Questa è la disposizione intellettuale con cui, nel momento in cui altri artisti lo guardavano con diffidenza, all’inizio degli anni ottanta acquista un computer, vedendo già nelle capacità rudimentali di allora un affascinante mezzo per esplorare la realtà. Da quel momento in poi ha continuato a usarlo sperimentando le possibilità creative delle elaborazioni digitali, soprattutto nelle figurazioni che ottiene sullo schermo, nella (54) Valentina Puccioni, Intervista a Gian Berto Vanni, New York, ottobre 2000. Ginnasio ellenistico, Termessos, Turchia. ricchezza della riverberazione luminosa dei fosfori. La sua ricerca lo conduce spesso a esplorare la progressiva perdita di riconoscibilità di immagini fotografiche nelle successive trasformazioni, rimanendo più interessato a registrare il processo evolutivo piuttosto che la stampa del risultato definitivo, che non riporta la parte affascinante delle trasmutazioni sullo schermo. Talvolta, in un contesto strettamente sperimentale, ha provato a digitalizzare delle sue opere per portarle ben oltre gli estremi a cui la sua razionalità creativa le avrebbe condotte, per vedere se avrebbero potuto trarre un qualsiasi beneficio nell’essere sottoposte a quelle che per lui erano in quel momento delle aberrazioni. Oggi per lui il computer continua ad essere un mezzo per sperimentare, per esplorare la realtà e riuscire a scoprirne aspetti che gli erano sfuggiti, in una ricerca tesa ad “estrarre il significato dalle immagini e non solo informazione.”54 Contemporaneamente alle tempere Vanni ha continuato a dipingere opere più grandi sulle quali vediamo altri frutti della sua attività didattica. L’insegnamento lo ha portato a mettere per iscritto delle sue riflessioni sull’arte nelle sue dispense e poi, come si è visto in Quadri d’America, sul suo proprio lavoro. I quadri dei primi anni novanta testimoniano l’intenzione di rendere manifeste le sue scelte artistiche anche in quanto prese di posizione ideologiche. Non è che fino ad allora Vanni avesse mancato nell’approccio alla sua pittura di motivazioni 151 intellettuali, ma si tratta della prima volta in cui non le cela ma le espone apertamente, come è palese in due opere dipinte a breve distanza l’una dall’altra, Power of the Center e Spirits of War. Le esplorazioni ulteriori rimarranno segnate da questi due quadri che ci obbligheranno a ricordare come qualsiasi sua opera sia, oltre le soluzioni formali, fermamente ancorata in un impianto concettuale e filosofico. Power of the Center esprime questo atteggiamento fin dal titolo che sottolinea, oltre ad una effettiva indicazione contenutisticocompositiva, un omaggio ad Arnheim di cui Vanni ha sempre apprezzato la visione analitica dell’arte. Si tratta di una delle rarissime eccezioni in cui Vanni conferisce al titolo una funzione programmatica ed esplicativa, abbandonando la vena evocativa che adotta solitamente. Power of the Center è impostato strutturalmente sulle scoperte spaziali maturate nella lavorazione di Hommage to Andrea. Il tema dell’esplosione è superato sia come propellente creativo che come referente iconologico. Viene sostituito da un disordine microscopico fatto di materia che non crea forme, ma esprime uno spazio rarefatto, che secondo il principio dell’entropia potrebbe essere uno stato che succede all’ordine distruttore delle forze radiali dell’esplosione.55 Questo spazio che occupa la parte centrale del dipinto è attorniato da forme ancorate alla cornice che si articolano simmetricamente in base ai due assi cartesiani. L’ordine espresso dalla geometria di queste simmetrie entra in conflitto con il disordine dello spazio centrale creando una tensione e, attraverso questa, l’aspettativa che lì dovrà succedere qualcosa. Le forme laterali hanno perso una loro definibilità biogeomorfica per strutturarsi in arabeschi barocchi, con una struttura elicoidale ripresa dalle conchiglie, che dà loro una presa particolare nella progressione in uno spazio denso di energia. Vanni pone quest’opera sul soffitto, come aveva fatto per Hommage to Andrea, per slegare i rapporti interni da vincoli gravitazionali e creare un rapporto paritario di tutti i lati nel contrastare l’impeto centrale. I rapporti cosmici di Power of the Center espressi in una atmosfera 152 P9038 (cat. rag), P9103 (cat. rag) (55) Cfr. Rudolf Arnheim, Entropia ed Arte, Einaudi, Milano, 1978. Power of the Center, olio su tela, cm. 191x290, 1990, collezione dell’artista. (56) Gli ulivi sono, ancora una volta, quelli del paesaggio delle isole greche dove molto spesso soffia un forte vento che ne agita violentemente le fronde. (57) Vanni era rimasto colpito da questa immagine durante il viaggio in Bolivia nella primavera dell’82. ordinata ed armonica, in Spirits of War danno invece vita ad una lacerazione violenta. In quest’opera le forme perimetrali hanno perso le loro volute tondeggianti, aperte ma immobili, per acquisire un aspetto spigoloso con radici contorte tese per aggredire lo spazio che circondano, raggrumandosi verso il centro ed espandendosi verso la periferia. Lo spazio centrale è pervaso di una luminescenza di un verde chiarissimo, quasi metallizzato, inteso come una dematerializzazione delle fronde degli ulivi quando, agitate dal vento, mostrano il lato inferiore delle foglie.56 La leggerezza centrale viene contrapposta alla tragicità delle forme perimetrali, reminescenti di radici di ulivo in metamorfismo con i pipistrelli disseccati, visti da Vanni al mercato di La Paz in Bolivia, appesi a festoni ai carretti delle fattucchiere che li usano per preparare pozioni a cui attribuiscono poteri soprannaturali.57 Il loro aspetto fa pensare anche a roditori tesi, in una voracità distruttrice, ad appropriarsi 153 della forma aerea centrale e ridurla a brandelli.58 La differenza fondamentale di queste forme perimetrali con quelle delle opere precedenti è che non rappresentano aperture su uno spazio sottostante nè resti frantumati di una struttura in superficie, ma vanno invece interpretati come una serie di personaggi individuali. L’idea originaria di questi personaggi deriva dai Coribanti che avevano occultato le grida di Zeus bambino battendo con le spade sui loro scudi di bronzo in una danza di guerra, per proteggerlo da Cronos.59 La disposizione richiama i balli popolari greci dove tutti si tengono per mano ballando in cerchio, riunendosi periodicamente verso il centro tendendo le braccia in avanti, per poi riallargarsi. Malgrado questa composizione renda l’opera adatta ad essere posta sul soffitto, Vanni ha scelto di appenderla alla parete, per alludere, attraverso l’impianto simmetrico, ad una prospettiva centrale che risucchi l’osservatore verso l’interno del quadro impigliandolo nelle protuberanze delle forme perimetrali pronte a dilaniarlo. La sensazione di profondo disagio che l’intera opera emana esprime la totale opposizione di Vanni alla violenza. Così, in completa coerenza con il suo linguaggio visivo, tratta un tema molto preciso esprimendolo con mezzi formali, occultando i riferimenti che abbiamo appena ricostruito, che potrebbero altrimenti dare al quadro un che di anedottico e di illustrativo. Per Vanni il percorso intellettuale dal quale nascono le sue soluzioni figurative deve integrarsi nell’opera terminata. A prescindere dallo studio del suo processo creativo egli non ha intenzione che gli elementi che lo hanno aiutato nella sua formulazione vengano espressi in una maniera non mediata nell’opera finita. Se ci sono riferimenti, devono essere allusioni che possano provocare per associazione d’idee reazioni personali dell’osservatore integrate da elementi provenienti dalla sua propria esperienza e da un suo particolare stato d’animo. Il rapporto conflittuale fra centro rarefatto e struttura periferica estremamente attiva ed elaborata viene esplorato in una serie di grandi tele dipinte negli anni successivi. Nella trattazione 154 (58) L’associazione dei ratti con la guerra gli viene da La peste di Albert Camus, un libro che ha sempre ammirato e che lo scrittore aveva appena terminato quando Vanni lo ha conosciuto a Parigi nel 1948. (59) “Rea attendeva l’ora del parto. Quando venne il momento previsto e incominciarono le doglie, essa, nella sua sofferenza,si puntellò con ambo le mani al suolo. Immediatamente dal monte, sul quale si era appoggiata in tal modo,sorsero tanti spiriti o dei, quante erano le dita delle mani della dea. Questi esseri circondarono la dea, assistendola nel parto. Essi si chiamarono Dattili Idei, dita dell’Ida, con riferimento al monte Ida e alle dita di Rea, ma venivano anche detti Cureti o Coribanti. Si è già detto che Coribanti era il nome del seguito della dea nell’Asia Minore. Il nome Cureti significava giovani, di solito tre di numero, che avevano eseguito intorno al neonato di Rea una danza di guerra armati di spade e di scudi. Con le loro armi di bronzo essi avevano fatto un gran rumore per coprire gli strilli del bambino, affinchè Crono non li sentisse.” (Károly Kerényi, Gli Dei della Grecia, Il Saggiatore, Milano, 1994.) Spirits of War, olio su tela, cm. 127x157, 1991, collezione dell’artista. P9104 (cat. rag.) P9228 (cat. rag.) delle forme perimetrali Vanni utilizza varie tipologie che esplorano come variazioni stilistiche di queste condizionino il completamento ideale dello spazio centrale. Rebirth espone una possibile evoluzione di questo spazio in una convulsione barocca che anticipa la resurrezione in questa chiave delle forme disseccate di Spirits of War in un quadro dell’anno dopo, Apocalypse. L’esuberanza vitale delle forme perimetrali in Apocalypse si esprime anche nel centro, nella vitalità di un corpo organico che nasce dalla materia e la articola in forme muscolari. L’elemento conflittuale si manifesta in una serie di bande colorate che occupano il lato superiore dell’opera in un spettro cromatico che sembra essere l’espressione di una forza rivelatrice. 155 156 Nella classica ambiguità evolutiva di un conflitto proposto da Vanni, il campo di bande colorate può aver eroso un lato del perimetro per invadere dall’alto il quadro di luce, oppure essere sul punto di soccombere al caotico mondo biologico e magmatico che lo sta inghiottendo dal basso. Si tratta di due potenze assolute invischiate in una lotta totale fra bene e male, rivelazione e involuzione. Vanni affronta il tema ponendosi all’esterno di esso, senza esprimere giudizi assoluti. Non sta dipingendo il trionfo della ragione sull’irrazionale, sta descrivendone il conflitto e la coesistenza. Da questo si può evincere una morale insita nelle architetture figurative di Vanni: non fornire soluzioni, ma P9436 (cat. rag.) P9437 P9505* (cat. rag.) Apocalypse, olio su tela, cm. 173x142, 1992, collezione dell’artista. aprire quesiti. Apocalypse è un’opera al contempo conclusiva e di transizione che prepara il riaffermarsi di composizioni solidamente ancorate ad una base gravitazionale. Ció si esprime in due opere estremamente simili dipinte due anni dopo: Spirits of the Air - Yellow e Spirits of the Air - Blue. L’impianto compositivo su cui si sviluppano è strettamente collegato al paesaggio, con una base terrena sovrastata da uno spazio aereo. La parte inferiore si rifà alla strutturazione geomorfica di Veins of the Earth di elementi stratificati con aperture che rivelano intarsi biomorfici. La depressione centrale allude ad una vallata, colmata dal profilo di uno specchio d’acqua che stabilisce la linea d’orizzonte. Lo spazio aereo superiore è dipinto con la tessitura rarefatta e carica di energia potenziale che abbiamo incontrato a partire da Power of the Center. Questo viene modellato da una triade di forme di uno zoomorfismo soprannaturale che si appropria dell’energia latente e la coagula in muscolature che tendono e distorcono lo spazio in una convulsione primordiale. In questi quadri Vanni esprime, attraverso una pittura retta da un formalismo raffinato che coniuga vari aspetti della sua opera, una rappresentazione inquietante della situazione contemporanea. La stessa struttura compositiva ci viene proposta nella sua espressione più essenziale in una grande opera dell’anno dopo, Earth made of Air.* Il campo materico che invade tutta la tela non esprime una forma identificabile ma si caratterizza per una 157 luminescenza calda centrale. Su questo si staglia il profilo di una vallata espressa da una sottile linea grafica, interrotta da tre forme verticali biogeomorfiche che si trasformano in linee fluide formando una colata che, come in Metamorphosis, attraversa la cornice. Malgrado sia un’opera di notevoli dimensioni, non si tratta di un quadro-racconto in cui il percorso di lettura si sviluppa come in From Night into Day. Prendendo a prestito termini cinematografici, la lettura delle opere di quel periodo si svolge per panoramiche e carrellate parallele all’opera; qui invece ci troviamo in una percezione che alterna viste d’insieme di campi lunghi con zoommate su particolari. Nel montaggio di immagini che si forma nella mente dell’osservatore i due elementi acquistano uguale importanza eliminando la loro relativa differenza dimensionale. Questo utilizza, invertendola, la regola della pittura prerinascimentale di ingrandire il soggetto principale a scapito degli altri. L’attenzione è attratta proprio dalla minuzia delle forme che reggono il contrappunto dialettico con la massa materica. Questa scala di valori ci è confermata da un lettura in chiave figurativa dell’opera, interpretando la parte inferiore come un bacino femminile e le tre forme centrali come il suo sesso creatore di vita.60 La citazione del concetto della dea-madre-terra non rappresenta uno slittamento verso una rappresentazione figurativa ma l’appropriazione di un ulteriore significato interpretativo dell’opera. Per le stesse ragioni si serve della aberrazione dello spazio prospettico sfalsando la scorniciatura inferiore da quella superiore per suggerire due inquadrature, mettendo in forse l’unità del campo materico. Questa ambiguità viene ulteriormente complicata dalla linea d’orizzonte creata da una fascia di piccole forme nella parte superiore del quadro che si staglia in negativo sulla materia galleggiandovi sopra come l’olio sull’acqua. Pare alludere ad un’opera possibile sottostante la prima, se questa venisse sollevata come un velo o come lo strappo di un affresco, a rivelare, negando la sua propria spazialità, quella della nuova superficie. Questo quadro nel suo complesso rappresenta l’espressione più stringata di tutte le ambiguità spaziali, 158 (60) Questa interpretazione risulta ancora più evidente in Primal Strenght (P9628 cat. rag.) dipinto l’anno seguente. Earth made of Air, olio su tela, cm. 196x244, 1995, New York, collezione dell’artista. interpretative, stilistiche, che hanno caratterizzato la pittura di Vanni della maturità e che qui rimangono in distillato facendovi aleggiare una pervasiva sensazione di instabilità. Vanni continuerà per alcuni anni ad esplorare gli spazi cosmici in figurazioni imparentate con le opere appena discusse. Più recentemente ha ripreso la ricerca sperimentale del linguaggio pittorico, integrando nelle opere di grande formato la poetica elaborata nelle tempere. A questo proposito si sono rivelate molto importanti delle considerazioni sull’estetica delle rovine nate dal suo interesse per i siti archeologici. Sviluppando l’approccio romantico espresso da Ruskin in Le pietre di Venezia, è stato portato a chiedersi se il suo apprezzamento delle rovine 159 Akhenaton, Bacchus and the Bacchantes, olio su tela, cm. 173x183, 1997, Roma, collezione privata. nascesse dalla sussistenza della formulazione originaria dell’opera o dall’effetto del tempo su questa o, piuttosto, della sintesi dei due. Se cioè nella colonna superstite dell’Artemission di Efeso ricercasse un’ideale ricostruzione del tempio di Artemide o lo colpisse l’intensità del vuoto e la cornice della palude da dove emergono frammenti marmorei fra le piante acquatiche. O se davanti ad un affresco del sedicesimo secolo che si è sgretolato, scoprendo parzialmente quello soggiacente, del tredicesimo, sigodesse realmente della combinazione dei due e delle muffe che li coprono. Questo lo ha portato a considerare l’effetto, compositivo, emozionale, che potrebbe avere inserire questi elementi in un contesto totalmente diverso, portandolo a riprodurre coscientemente quello che il tempo o il caso creano. Ma in queste contaminazioni fra opera dell’uomo e quella del tempo c’è dell’altro, la cui funzione è stata esaminata da Vanni stesso in ciò che ha scritto recentemente, dopo un viaggio ai grandi altari e alle gigantesche statue61 del Nemrut dag in Turchia: 160 (61) Si tratta del mausoleo ellenistico di Antioco I di Commagene, costruito alla metà del I sec. a.C.. “fortunatamente non c’era nessuno, nè guide nè turisti. Solo il vento. Sono stato preso da un gran senso di tristezza. Mi trovavo in un grandioso campo barocco di morte. Qui un re, di neanche grande importanza, credeva di trovare l’immortalità del ricordo nella grandiosità dell’opera. Le teste enormi cadute al suolo ti guardano con occhi disperati sempre più spenti. L’essenza della pietra prende il sopravvento, sempre più importante sull’opera dell’uomo. Ne riconosco - ancora - la mano; ma per quanto tempo? Tra quanto l’erosione, i licheni, le fratture renderanno quel volto più intenso - finchè la forma roccia dominerà tutto? Ed ho pensato ad un altro processo della natura, P9743 (cat. rag) P9919 (cat. rag.), P0004 P0033 (cat. rag.), P0003 P0028 P0102 (cat. rag.) inverso a questo; quando una macchia, una nuvola, un gorgo della corrente o la frattura di una pietra ti suggeriscono un volto, un corpo che per istanti è più intenso, più realizzato, più costruito nel suo farsi, che queste sculture nel loro disfarsi dovuto alle stesse forze; e sicuramente c’è un punto d’incontro...” In queste considerazioni si trovano le spiegazioni a certe immagini antropomorfiche di Vanni. È senz’altro questo il motivo dietro il volto di Akhenaton, in Akhenaton, Bacchus and the Bacchantes e degli spazi bianchi che ricreano l’illusione, nella parte inferiore, di gambe di persone e cavalli delle battaglie di Paolo Uccello. Così avviene in vari altri quadri recenti di ispirazione mitologica, dove i corpi sembrano essere creati da forze in movimento dove per un istante, come le nuvole, come l’acqua, creano, quasi per caso, l’illusione di una forma nuova. Nelle opere più recenti Vanni continua a sviluppare questa dialettica fra preziosità e decadenza, che diventa preziosità anch’essa, come in Layers of Memories, Love Song of the Multiple Reds o Labyrinth in a Microcosm. In alcune, come They don’t know what is Happening Behind the stage,Voyage through Lacquers and Jades o Across Mountains and Valleys, esplora nuove strutture compositive. Si intuisce l’esplorazione di nuovi elementi da sviluppare in un ciclo ulteriore dove moltiplicare i significati incrociati dei suoi labirinti espressivi. 161 162 Conclusione Complessivamente l’opera pittorica di Vanni è contraddistinta da una visione molto personale, distante dalle correnti e dai movimenti che hanno caratterizzato la seconda metà del secolo appena concluso. Ciononostante, la sua ricerca non si situa al di fuori di quella dei suoi contemporanei e non rifugge dal commentare la realtà storica e artistica che lo circonda. La problematica che affronta è profondamente contemporanea, ed è interessante osservare qui, sinteticamente, come si sia evoluta parallelamente alle fasi storiche che ha attraversato. Si può affermare che, dopo una fase iniziale che si interessa principalmente all’arte europea e alla ricerca intrapresa dalle avanguardie storiche, Vanni abbia integrato realtà sempre più diverse e lontane. Queste si sono evolute nel corso degli anni in una cosmogonia parallela, dove strutture metamorfiche assumono significati multipli legati da rapporti contraddittori. Con queste strutture complesse giunge alla espressione della sua esperienza di un mondo contemporaneo che trova nella globalizzazione dei linguaggi e contenuti la sua caratterizzazione più significativa. Le elaborazioni di Vanni non intendono però essere una critica di tale condizione, ma una presa di coscienza che la indichi come dato di fatto, esprimendone anche, però, le contraddizioni irrisolte, di come la complessità della rete comunicativa non corrisponda necessariamente ad una comprensione 163 generalizzata, oppure come la simultaneità di linguaggi si risolva nella moltiplicazione delle contraddizioni e degli equivoci, e come la proliferazione di informazioni occulti la sostanza dei contenuti. Vanni ha scelto di esprimere questa fenomenologia con mezzi propriamente pittorici cercandone la formulazione con soluzioni formali continuamente rinnovate. Parallelamente all’evolversi della realtà in pochi decenni da una struttura eurocentrica e cartesiana ad una struttura globale, i quadri di Vanni sono andati arricchendosi in composizioni sempre più complesse. Come si è potuto vedere Vanni ha raggiunto la formulazione della sua sintassi pittorica, in una dialettica fondata sul sincretismo, fin dal ‘65. Il lavoro precedente consiste principalmente nella acquisizione progressiva di tutti i linguaggi di cui è composta. Nel periodo immediatamente successivo esplora le conseguenze di questa ricerca in soluzioni che travalicano il quadro nello spazio e nel tempo. Si è trattato di una tappa obbligata che gli ha fornito un elemento fondamentale alla sua formulazione: la discontinuità temporale. Se l’ambiguità spaziale-stilistica è immediatamente evidente e già presente nelle sue opere del ‘65, quella temporale entra nella sua figurazione dieci anni più tardi. La presentazione sulla stessa tela di vari momenti del processo pittorico senza soluzione di continuità rappresenta infatti la rottura dell’unità di tempo che si aggiunge alla già abbandonata unità di spazio. Con questo esprime la sua sintesi dei due movimenti che avevano costituito la maggiore influenza nei suoi anni giovanili: il futurismo ed il cubismo. Il suo linguaggio si arricchisce così di tutti gli elementi necessari per lo sviluppo della sua poetica. Questa si articola in contraddizioni spaziali create da elementi conflittuali che si sovrappongono a vari livelli, affermando la propria esistenza attraverso la negazione dei presupposti logici che reggono le altre letture alternative. Per realizzare queste complesse architetture Vanni si riferisce anche a grammatiche traslate dalla letteratura, come l’interpretazione pirandelliana della realtà, o della musica, nei delicati equilibri dettati dal contrappunto. 164 Le immagini che prendono forma dalla metà degli anni settanta sono significative di una sintesi di esperienze disparate. Si approda così ad un eclettismo sistematico, per esprimere la sempre più manifesta sovrapposizione di riferimenti linguistici eterogenei con l’utilizzo di componenti formali diversissime. La scelta di una strutturazione sincretistica del linguaggio trova la sua legittimità non solo nell’interpretazione della realtà quotidiana, ma anche nella importanza che Vanni ripone in un raffronto dialettico dell’artista contemporaneo con qualsiasi momento della ricerca artistica passata slegato da gerarchie cronologiche. Un raffronto, quello di Vanni, che pur liberato dal concetto di evoluzione rispetto alla storia dell’arte, sottolinea un bisogno di mantenere vivi, nel presente, i legami con le situazioni figurative che lo hanno preceduto. Non vuole però che questo apporto venga confuso con una citazione anedottica con la quale si trova in aperta polemica. Intende semmai ribadire, attraverso l’inserimento di questi elementi, l’attuale compresenza di sollecitazioni estetiche slegate dalle loro collocazioni spazio-temporali. Come cioè possa risultare altrettanto stimolante un museo di quanto possa esserlo una manifestazione artistica contemporanea. Ed, in ulteriore allargamento del concetto, di come oggi si sia sottoposti ad esperienze visive altrettanto diversificate di quelle linguistiche, in una successione continua che giustappone le immagini più disparate, dove il dettaglio microscopico di vita cellulare coesiste con l’immagine satellitare della desertificazione. Vanni si serve di questi riferimenti nella sua architettura complessa aggregandoli con quelli della dimensione psichica dei suoi ricordi. In questo suo museo della memoria spazi e tempi si confondono in una miriade di percezioni multiformi e in costante trasformazione. Risulta evidente che si tratta non di una semplice operazione di assemblaggio, ma di riportare sulla tela la compenetrazione infinita, che si attua nella memoria, tra le esperienze accumulate negli anni e la dimensione totalizzante del contemporaneo. Ed ecco allora combinarsi, sia all’interno dello stesso quadro che attraverso cicli pittorici, il frammento 165 bizantino ed il grafismo primitivo con la struttura di una costa o l’organismo cellulare osservato al microscopio. In un continuo moltiplicarsi i riferimenti esterni si combinano a loro volta con altri interni: elementi di quadri precedenti, parte fondamentale del patrimonio visivo da cui attinge, riemergono all’interno di nuove strutture modificandone il significato. Ne risulta un mondo complesso in cui gli episodi formali e le strutture compositive presentano molteplici possibilità interpretative evidenziando il dubbio esistenziale sul vero significato delle cose, e l’uguale importanza di verità diverse, malgrado l’apparenza contraddittoria. Se ambiguità, metamorfismo e molteplicità sono i termini che meglio caratterizzano l’opera di Vanni, non è un caso che egli abbia scelto New York come punto di osservazione da cui operare. Qui infatti convergono tutte le contraddizioni del mondo contemporaneo creando un costante metamorfismo urbano nella simultaneità di realtà opposte, anche sottolineate dalle ottanta lingue diverse che vi vengono parlate. A contrappunto di questa realtà fluida e mutevole, Vanni interpone lunghi periodi nel suo studio in Grecia in cui confronta queste sollecitazioni con gli elementi essenziali della natura e del mare nella luce della cultura mediterranea. Su questi presupposti sviluppa la sua ricerca che, evolvendosi all’insegna di un eclettismo formale, manifestazione tangibile di un sincretismo concettuale, insegue costantemente l’espressione dello stesso tema: il piccolo elemento frammentato di una realtà corrispondente a sistemi di segni diversi, in conflitto con elementi naturali regolati dal fascino dell’irrazionale caotico, dandoci la conferma dell’intenzione di Vanni di risolvere in soluzioni formali problematiche filosofiche ed esistenziali che l’artista è chiamato ad affrontare. 166 Bibliografia Mariani V., Gian Berto Vanni, cat. mostra, Galleria La Margherita, Roma, giugno 1948. Mariani V., Scoperta nella tavolozza. 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BLITZ, Judith (detta Didi): 82, 82n, 83, 86. ALOISI GIUSTINI, Alberta: 14, 14n. BOCCIONI, Umberto: 19. ALOISI, Max: 14n. BOILLE, Luigi: 17n, 33. ANOUILH, Jean: 19n. BONICATTI, Riccardo: 97n. ANTIOCO I (Re di Commagene): 160n. BONNARD, Pierre: 23, 28. APTEKAR, Bernard: 114, 114n. BOSCH, Hieronymus: 149. ARCANGELI, Francesco: 77, 77n. BOVEN KAMP, Hans van de: 114n. ARIOSTO, Ludovico: 55n, 102n, 116, BRAGAGLIA, Alberto: 17, 17n, 18, 19, 116n. 136n. ARNHEIM, Rudolf: 150n, 152, 152n. BRAGAGLIA, Anton Guilio: 17. BRAGAGLIA, Carlo Ludovico: 17. BACH, Johann Sebastian: 104. BRAGHIROLI, Giorgio: 100, 109. BARGELLINI, Giulio: 15, 16. BRAQUE, Georges: 23, 29. BARINGER, Richard: 114n. BRAZILLER, George: 54n. BARRAULT, Jean-Louis: 19n. BRIN, Irene: 22n, 66. BAY, André: 75n. BRION, Marcel: 26n. 175 BRONZINO, Agnolo di Cosimo detto: 139n. CLAESZ, Pieter: 125n. BRUNI, Claudio: 66. COLLA, Ettore: 15n. BUGGIANI, Paolo: 66, 66n, 67, 68, 81, 82n. COMINI, Alessandra: 126n, 128n. BURRI, Alberto: 66, 66n, 107n, 149. COOPER, Peter: 114n. BUZON-VALLET, Laure de: 24n. CORDY, Meta: 60n. BUZZATI, Dino: 86n. CORPORA, Antonio: 66. CRANACH, Lucas, IL VECCHIO: 149. CAGLI, Corrado: 11, 15n, 23, 24, 52n, CRESCENTINI, Manuela: 65n, 66n, 95n. 66, 67, 67n, 82, 82n, 84, 86n, 91, 92, CRESTON, William: 114n. 92n, 100, 100n, 105, 105n, 109, 114n, CRISPOLTI, Enrico: 67n, 105n, 119n, 119, 119n, 139, 139n. 139n. CAILLOIS, Roger: 125n. CRISTIANO, Renato: 66. CALZA-BINI: 14n. CROATTO, Bruno: 15, 16. CAMPIGLI, Massimo: 15n. CAMPOLONGHI: 24. DALLAPICCOLA, Luigi: 42. CAMUS, Albert: 24, 154n. D’ALMEIDA, George: 66. CANEVARI, Angelo: 68, 100n. D’ANNUNZIO, Gabriele: 138n. CANTELLI, Guido: 42. DE CHIRICO, Giorgio: 15n. CAPOGROSSI, Giuseppe: 15n, 66, 66n. DELACROIX, Eugène: 86. CARENA, Felice: 15n. DEL CORSO, Gasparo: 20n, 66. CARNEVALE, Mara: 14. DE KOONING, Willem: 60, 65n. CARRÀ, Carlo: 15, 15n. DE MARTIIS, Plinio: 66. CASELLA, Alfredo: 15n, 19, 19n. DIEHL, Gaston: 27n. CASELLA, Fulvia: 24, 24n. DEWHURST, Barrie: 97n. CASELLA, Yvonne: 24, 24n. DI GENOVA, Giorgio: 77n, 88, 92n, CASORATI, Felice: 15n, 19, 20. 100n. CASSANDRE (Adolphe MOURON): 13n. DISTEFANO: 19. CELANT, Germano: 95. DONGHI, Antonio: 15. CENNINI, Cennino: 144. DORAZIO, Piero: 20n. CERLETTI, Ugo: 14, 14n, 38. DORIVAL, Bernard: 26, 26n, 27n. CERVELLI, Enrico: 68. DUBINSKY, Sasha: 14, 14n. CÉSAR (César BALDACCINI): 33, 33n. DURRELL, Lawrence: 83. CÉZANNE, Paul: 29. CHAGALL, Marc: 23. EMMER, Luciano: 47. CHURCHILL, Winston: 14. ERNST, Max: 25n. CLAESZ HEDA, Willem: 125n. ESTÈVE, Maurice: 25n. 176 FAGIOLO DELL’ARCO, Maurizio: 19n. KADISH, Reuben: 141, 141n. FLAIANO, Ennio: 81. KAHN, Louis: 41. FONTANA, Lucio: 107n. KANDINSKY, Nina: 24. FOREL, Oscar: 121, 1218n. KANDINSKY, Vassily: 25n, 41, 52n, FRANCHINA, Nino: 24, 82n. 119, 124. FULLER, Richard Buckminster: 41, KERÉNYI, Károly: 154n. 51n, 60. KIESLER, Frederick: 41. KLEE, Paul: 22, 32, 38n, 41, 51n, 52n, GADDA, Carlo Emilio: 115, 115n. 86, 92, 118n, 124n, 148, 149. GANDHI, Mohandas Karamchand KLIMT, Gustav: 92. 126, 126n, 128, (detto Mahatma): 14. 128n. GANDIN, Michele: 36n. KLINE, Franz: 60. GIANCOTTI, Fabiola: 17n, 18n. KOSAK, Boza: 81, 81n. GIANINI, Giulio: 36, 36n, 47n. KRAUTHEIMER, Richard: 91n. GINNEVER, Charles: 114n. GISCHIA, Léon: 24, 25, 25n, 26. LAPICQUE, Charles: 24, 25n, 26. GOLUB, Leon: 114n. LE CORBUSIER (Charles-Edouard GORKY, Arshile: 60, 65n. JEANNERET): 33. GOTTLIEB, Adolf: 60. LÉGER, Fernand: 23. GOYA Y LUCENTES, Francisco: 141. LE MOAL, Jean: 25n. GRASSI, Ernesto: 82n. LEVI, Carlo: 24. GUERRINI, Mino: 20n. LIVERANI, Tommaso: 66. GUSTON, Philip: 140n. LOUIS, Morris: 137. GUZZI, Virgilio: 52n. LUZZATI, Emanuele: 36n. HADZI, Dimitri: 66. MAFAI, Mario: 15n, 20. HAECKEL, Ernst: 62n, 120n, 121. MAGNELLI, Alberto: 24. HARTUNG, Hans: 25n. MANCINI, Antonio: 15. HINNA: 17. MANDELBROT, Benoit: 75n. HOFMANN, Hans: 25n, 41. MANDELLI, Pompilio: 77. HOROWITZ, Vladimir: 42. MANESSIER, Alfred: 24, 25n, 26, 27, 27n. HORSZOWSKI, Mieczwslaw : 42. MANISCO, Lucio: 20n, 30n. MARCARELLI, Conrad: 65. JOHNS, Jasper: 65. MARIANI, Valerio: 22, 23n. JORGESEN, Roger: 114n. MARINETTI, Ala: 19. MARINETTI, Benedetta: 30, 30n. 177 MARINETTI, Luce: 19. PAUWELS, Louis: 82n. MARINETTI, Vittoria: 19. PERICOLI VANNI, Marcella: 13. MATHIEU, Georges: 25n. PERICOLI, Alberto: 13n. MATISSE, Henri: 23, 29. PERICOLI, Augusto: 13n. MATTA ECHAURREN, Roberto PERILLI, Achille: 20n. Sebastian: 66. PETRUCCI, Carlo Alberto: 19n. MAURIAC, François: 19. PICASSO, Pablo: 23, 26, 28, 29, 30n, MAYER, Sigismondo: 15, 16. 47, 48, 77. MICHETTI, Francesco Paolo: 15. PIERGENTILI: 16. MILETO, Guglielmo: 97, 97n. PIGNON, Édouard: 25n. MINGUZZI, Luciano: 24, 66n. PIRANDELLO, Luigi: 101n, 119. MIRKO (Mirko BASALDELLA): 66, 66n. PIRANDELLO, Ninì: 66. MIRÓ, Juan: 24. PIZZETTI, Ildebrando: 42n. MODIGLIANI, Amedeo: 30. PIZZETTI, Ippolito: 42n. MONTANARINI, Luigi: 100n. POLLOCK, Jackson: 60, 65n, 141n. MONTGOMERY, Steve: 114n. POLLOCK, Sandy: 141n. MORANDI, Giorgio: 15n. POONS, Larry: 136. MORDINI, Attilio: 129n. PORCINAI, Pietro: 129n. MOREAU, Gustave: 119, 128. POZZO, Andrea: 122, 122n. MORICONI, Angelo: 68. PRENCIPE, Umberto: 15, 16. MORICONI: 68. PROUST, Marcel: 55n, 102. MORIN, Edgar: 82n. PROVINO, Salvatore: 100n. MOTHERWELL, Robert: 41. QUADRANI: 66. NERVI, Pier Luigi: 23n, 60. NUVOLO: 68. RADER, Herbert: 97n. RAUSCHENBERG, Robert: 65. OLITSKI, Jules: 137. REDON, Odilon: 32. OMERO: 82. REED, Elisabeth: 70n, 86n, 88n, 98n. OVIDIO NASONE, Publio: 136. REMBRANDT, Harmenszoon van Rijn: 32, 64, 119. PAHLAVI, Reza Mohammed: 97. RENAUD, Madeleine: 19n. PANOFSKY, Erwin: 127n. RICHTER, Gerard: 136. PAOLINI, Paolo: 104n. RIGHETTI, Renato: 24. PAOLO UCCELLO, Paolo di Dono ROBIN, Gabriel: 25n. detto: 161. RODIN, Auguste: 141n. 178 ROSAI, Ottone: 15. SOULAGES, Pierre: 25n. ROTHKO, Mark: 41, 60. SPADONI, Claudio: 65n, 74n, 77n. ROUAULT, Georges: 30. STILL, Clyfford: 60. ROWHOLT, Ledig: 82n. RUBIN, Erwin: 140n. TAL-COAT, Pierre: 55. RUSKIN, John: 127, 159. TAPIÉ, Michel: 55, 73n. TINGUELY, Jean: 55. SALARIS, Claudia: 81n. TISNÈ, Laurent: 54n. SAMONÀ, Pupino (Mario): 68. TIZIANO VECELLIO: 127. SANDBERG, Peter: 32. TOBEY, Mark: 60. SANFILIPPO, Antonio: 66. TOBIAS, Julius: 114n. SARGENTINI, Fabio: 95. TOMASSONI, Italo: 75n, 77n. SARTORIS, Alberto: 81, 82n, 100n. TOMMASI FERRONI, Riccardo: 100n. SARTRE, Jean-Paul: 24. TOSCANINI, Arturo: 42, 43. SAVELLI, Angelo: 24. TOSCANINI, Walfredo: 42. SCARPA, Carlo: 23n. TOSI, Arturo: 15. SCHNEIDER, Denis: 75, 75n. TOULOUSE-LAUTREC, Henri de: 30, 30n. SCHNEIDER, Gérard: 25n. TWOMBLY, Cy: 65. SCHNEIDER, Robert: 52n, 65, 66, 66n, 75n. VALLI, Federico: 22n. SCHWARTZ, Therese: 114n. VAN GOGH, Vincent: 32. SCILTIAN, Gregorio: 15. VANNI ATKINSON, Frani Gay: 46, 52. SCIPIONE (Gino BONICHI): 15n, 20. VANNI, Giuseppe: 13n, 14, 14n. SEGOVIA Y TORRES, Andrés: 104n. VANNI, Ruggero: 7, 63. SELIGMAN, Otto: 60, 60n. VANNI, Vittorio: 10, 13, 14, 15 16, 17. SERMONTI, Vittorio: 19. VAN SCHENDEL, Arthur: 32. SERVADIO, Emilio: 77. VAN SCHENDEL, Corinna: 32. SERVAN-SCHREIBER Jean-Jacques: 82n. VASARELY, Victor: 55. SEVERINI, Gino: 24. VENTURI, Lionello: 23n. SINGIER, Gustave: 24, 25n. VERDI, Richard: 118n, 124n. SIQUEIROS, David Alfaro: 141n. VERDIGLIONE, Armando: 17n, 18n. SIRONI, Mario: 15n. VIATTE, Germain: 24n. SKOURAS: 66. VIEIRA DA SILVA, Maria Elena: 55, 57. SLUTSKY, Robert: 140n. VIÉVILLE, Dominique: 26n. SORDINI, Ettore: 68. VILLON, Jacques: 23, 23n. SOTO, Jesus Raphaël: 55. VIRGILI, Lanfranco: 33n, 54. 179 VLAD, Alessio: 19n. VLAD, Roman: 19. VORDEMBERGE-GILDEWART, Friedrich: 32. WARHOL, Andy: 113. WARNER, Langdon: 133n. WEISLAND, Robert: 114n. WESCHER, Herta: 24n. WILSON, Sarah: 25n. ZAJAK, Jack: 66. ZAO WOU-KI: 55. ZEVI, Bruno: 87n. ZURLINI, Valerio: 36n. 180