Musica n. 227
Transcription
Musica n. 227
554009 9 770392 PUBBLICAZIONE MENSILE - ISSN 03925544 10227 www.rivistamusica.com 227 Zecchini Editore R I V I S TA D I C U LT U R A M U S I C A L E E D I S C O G R A F I C A - G I U G N O 2 0 1 1 luisa sello tito schipa riccardo rudolf buchbinder muti 6.90 - Frs.15.- Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB (VARESE) argerich_pubb 19-05-2011 16:59 Pagina 1 C Colori compositi M Y CM MY CY CMY K ""La La cosa più importante è riuscire a trasformare il pianoforte da strumento a percussione in uno strumento che canta ... il timbro cantante è fatto di sfumature, colori e contr cont r asti …" Cari amici musicisti In fondo è semplice: per fare uno strumento musicale vivo è sufficiente scegliere materiali naturali di ottima qualità e assemblarli secondo le migliori regole di costruzione- è così che nasce la ricchezza di colori sonori auspicata da Horowitz. Certo, ma questo riesce solo in meno di dieci fabbriche artigianali al mondo;quasi tutti i nuovi pianoforti oggigiorno sono strumenti tendenzialmente percussivi,sminuiti al ruolo di strumento a percussione. La possibilità di modulare l'intensità e il timbro dei suoni prodotti è di vitale importanza per il pianista professionista,il presupposto per qualsiasi interpretazione ... e anche per il "semplice" piacere di fare musica e suonare,tutti i pianisti necessitano come prima cosa di colori sonori. Vi invitiamo a conoscere i nostri pianoforti verticali e pianoforti a coda costruiti secondo la grande tradizione artistica artigianale-dal Vostro rivenditore Steingraeber o da noi,nella città del festival di Bayreuth. Siamo lieti di ricevere la Vostra visita Udo Steingraeber Klaviermanufaktur Steingraeber & Söhne, 95444 Bayreuth, Germany, Steingraeberpassage 1 steingraeber@steingraeber.de - www.steingraeber.de Fondale: "Bagatelle sans tonalité" Franz Liszt 1885, p. 1 ZecchiniEditore Le Guide. Da leggere. Zecchini Editore DISPONIBILE!!! Dei musicisti più importanti (settanta) ci sono le composizioni che concorrono a formare il repertorio orchestrale internazionale; di ognuna c'è una scheda con organico, divisione in tempi, genesi compositiva, caratteristiche artistiche e incisioni di riferimento. Completano la Guida le schede sulla produzione sinfonica di altri centodue compositori. Ogni scheda è corredata da consigli discografici, frutto di oltre un trentennio di esperienza critica dell'autorevole rivista MUSICA. pagine XIV+578 - Euro 35,00 ISBN 978-88-65400-01-2 OLTRE 170 COMPOSITORI OLTRE 350 ANNI DI MUSICA OLTRE 370 MONOGRAFIE OLTRE 1270 CONSIGLI DISCOGRAFICI della RIVISTA Da Bach a Beethoven, da Mahler ai contemporanei: una Guida all'ascolto attivo e critico delle pagine sinfoniche che hanno fatto, e fanno, la Storia della musica, inquadrate nella loro epoca e presentate da un punto di vista stilistico e formale. Inoltre, in questa Guida, organizzata in ordine alfabetico per autore, trovano posto il Poema sinfonico, gli Intermezzi orchestrali, le Ouverture d'opera e le Suite di balletti spesso eseguiti in concerto come brani autonomi (si pensi all'Ouverture de Il barbiere di Siviglia di Rossini, a quella dei Vespri Siciliani di Verdi, all'Intermezzo di Manon Lescaut di Puccini, alle Suite di Romeo e Giulietta di Prokof'ev). In preparazione LE GUIDE ZECCHINI LE GUIDE ZECCHINI 3 4 Le Guide Zecchini I CONSIGLI DISCOGRAFICI DI Zecchini Editore GUIDA ALLA MUSICA PIANISTICA a cura di Piero Rattalino La collana “Le Guide Zecchini” Le Guide Zecchini I CONSIGLI DISCOGRAFICI DI Zecchini Editore GUIDA ALLA MUSICA DA CAMERA a cura di Claudio Bolzan ‘‘Le Guide Zecchini’’ sono uno strumento indispensabile per chi frequenta le sale dei concerti, per il discofilo, per il musicista e per tutti coloro che condividono la passione per la Grande Musica. Le spiegazioni contenute in ogni libro di questa collana, guidano e consigliano come prepararsi all’ascolto. Troverete i libri: nelle migliori librerie, on-line visitando il sito www.zecchini.com, NOVITÀ DISPONIBILE!!! pagine XII+628 - Euro 35,00 ISBN 978-88-65400-08-1 OLTRE 80 COMPOSITORI OLTRE 400 ANNI DI MUSICA OLTRE 150 OPERE OLTRE 400 CONSIGLI DISCOGRAFICI della RIVISTA GUIDA AL TEATRO D’OPERA a cura di Aldo Nicastro Questa Guida, a differenza delle altre presenti sul mercato, ha un approccio diretto, personale: un compromesso ideale fra piacevolezza della lettura e informazione critica. Da Adams a Zimmermann, da Monteverdi ai giorni nostri, uno sguardo completo sul più grande spettacolo inventato dall’uomo nell’ultimo mezzo millennio. Dopo il successo della Guida alla musica sinfonica, è la volta del teatro d’opera: una guida adatta a tutti, dalla scrittura omogenea e appassionante, adatta a chi si accontenta di qualche informazione veloce prima di una serata a teatro e a chi, invece, vuole andare oltre. L’autore – Aldo Nicastro – e i suoi collaboratori (Bellingardi, Cattò, Marinelli Roscioni, Orselli) sono fra le firme più apprezzate nel settore in Italia e forti di una consolidata esperienza di divulgatori. Per tutte le opere illustrate è presente la sezione “come ascoltare”: un approccio singolare per il debuttante, un ripensamento spiazzante per il melomane. Ancora una volta, la rivista MUSICA, forte di 34 anni di storia, orienta il lettore nel mare magnum delle registrazioni audio e video, con i suoi consigli discografici. Selezionando un’ottantina di autori, illustri o meno (da Adams a Zimmermann), questa guida ha il compito di offrire uno stuzzicante florilegio di titoli del teatro d’opera. oppure usufruite del modulo d’ordine contenuto nell’ultima pagina della rivista La più completa ed economica enciclopedia discografica NAX 572332 NAX 572637 NAX 572415 NAX 570707 NAX 572736 NAX 572650 NAX 572571 NAX 570978 NAX 570782 NAX 572654 NAX 660302 NAX 669030 NAX 559679 NAX 559639 NAX 111372 NAX 111369 DUCALE snc Via per Cadrezzate, 6 - 21020 BREBBIA (VA) Tel. 0332 770784 Fax 0332 771047 info@ducalemusic.it www.ducalemusic.it Distribuzione esclusiva Richiedete i cataloghi &sommario musica227 - giugno 2011 DIRETTORI Conversazione con Riccardo Muti. Un amore « da matrimonio » con la Chicago Symphony 36 di Alberto Cantù Foto di Todd Rosemberg, cortesia www.riccardomuti.com RUBRICHE 7 Editoriale 8 Indice delle recensioni 10 Recite, Recital, Concerti 12 Dalla platea 22 Letture musicali 24 Attualità 32 Vetrina CD VOCI STORICHE L’inimitabile Schipa 40 di Michael Aspinall Le recensioni di concerti e spettacoli a Bari, Bologna, Brescia, Catania, Firenze, Genova, Ginevra, Liegi, Lugano, Milano, Palermo, Vicenza, Venezia 24 Intervista a Luisa Sello 26 Intervista a Udo Steingraeber 28 La polemica di Marzio Pieri 30 Ci hanno lasciato GUSTAV MAHLER Letture mahleriane di riferimento: la Quinta e l’Ottava di Riccardo Cassani 48 54 55 I dischi 5 stelle del mese Le recensioni di MUSICA 80 Sedici domande ad Alexandre Tharaud PIANOFORTE Un perfezionismo d’altri tempi. Il segreto di Rudolf Buchbinder di Mario Marcarini 50 94 96 Etichette e distribuzione Abbonamenti Hanno collaborato a questo numero: Michael Aspinall, Carlo Bellora, Paolo Bertoli, Marco Bizzarini, Claudio Bolzan, Michele Bosio, Vera Brentegani, Roberto Brusotti, Alberto Cantù, Riccardo Cassani, Nicola Cattò, Sergio Cimarosti, Benedetto Ciranna, Roberto Codazzi, Umberto Garberini, Gianni Gori, Stephen Hastings, Marco Leo, Mario Marcarini, Gianluigi Mattietti, Alberto Mattioli, Dario Miozzi, Maurizio Modugno, Aldo Nicastro, Stefano Pagliantini, Giuseppe Pennisi, Marzio Pieri, Giorgio Rampone, Piero Rattalino, Riccardo Risaliti, Riccardo Rocca, Luca Rossetto Casel, Giuseppe Rossi, Giovanni Andrea Sechi, Luca Segalla, Franco Soda, Alessandro Taverna, Lorenzo Tozzi, Massimo Viazzo, Carlo Vitali, Giovanni Vitali, Adriana Zecchini, Paolo Zecchini, Roberto Zecchini redazione, direzione, amministrazione, pubblicità: MUSICA - Via Tonale, 60 - 21100 Varese Tel. 0332 331041 - Fax 0332 331013 www.rivistamusica.com e-mail: info@rivistamusica.com ......................................................... Rivista di cultura musicale e discografica fondata nel 1977 direttore responsabile: Stephen Hastings ......................................................... distribuzione per l’Italia: Messaggerie Periodici SpA - Aderente ADN Via G. Carcano 21 - 20142 Milano - Tel. 02895921 ufficio abbonamenti: Adriana Zecchini ......................................................... ......................................................... iscrizione al ROC n. 12337 reg. trib. Varese n. 774 del 19 gennaio 2005 spedizione in abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB (Varese) prestampa: Datacompos srl - Via Tonale, 60 21100 Varese - Tel. 0332 335606 Fax 0332 331013 - info@datacompos.com ......................................................... ......................................................... segreteria e amministrazione: Sonia Severgnini ......................................................... stampa: Reggiani S.p.A. Via Alighieri, 50 - Brezzo di Bedero (Va) ......................................................... rivista associata all’USPI ......................................................... editore: Zecchini Editore srl Via Tonale, 60 - 21100 Varese Tel. 0332 331041 - Fax 0332 331013 info@zecchini.com - www.zecchini.com È riservata la proprietà letteraria di tutti gli scritti pubblicati. L’editore è a disposizione degli aventi diritto. Le opinioni espresse negli articoli coinvolgono esclusivamente i loro autori. Fotografie e manoscritti inviati alla Redazione non si restituiscono, anche se non vengono pubblicati. È vietata la riproduzione, anche parziale dei testi e delle foto pubblicate senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. Foto: Dario Acosta/DG (68), Francesco Angelico (27), Archivio Rivista Musica (copertina Schipa, 28b, 29a, 29b, 30b, 31a, 31c, 48b, 49, 60, 88, 92), Emanuele Arciuli (24a), Basta (copertina Buchbinder), Marco Borggreve (74, 80), Brescia e Amisano/Teatro alla Scala (18), Rocco Casaluci/Teatro Comunale di Bologna (12), foto di Luca d’Agostino Luisa Sello veste abiti Archetipo, sponsor personale dell’artista. www.archetipo.com (copertina Sello, 24b), Alessandro Dobici (10), David Geringas (31b), Askonas Holt (11), Philipp Horak (51), Lauterwasser/DG (48a), Silvia Lelli, cortesia www.riccardomuti.com (copertina Muti, 36-37), Library of Congress (40-41, 43, 45), Musacchio/Accademia Santa Cecilia (30a), Gianandrea Noseda (65), Palatului (26a), Marzio Pieri (28a), Quartetto Borodin (58), Todd Rosemberg, cortesia www.riccardomuti.com (5, 39), Klaus Rudolph (48c), Udo Steingraeber (26b), Teatro del Maggio Musicale Fiorentino (16), Teatro Petruzzelli Bari (14), Sonja Werner (72), ZDF (82) Usa il tuo cellulare o smartphone per leggere il QR-Code qui sotto. Scarica gratis il software dal sito http://www.mobile-barcodes.com/qr-code-software In questo modo potrai collegarti al sito di MUSICA per tenerti aggiornato sulle novità e abbonarti in modo semplice, direttamente da tuo telefono anche in PDF. www.rivistamusica.com editoriale & R iccardo Muti e Tito Schipa (entrambi in copertina questo mese), oltre a condividere un amore forte per quella bellissima regione – la Puglia – nella quale crebbero ed ebbero la prima (ottima) istruzione musicale, sono accomunati ora da un rapporto quasi altrettanto intenso con la città di Chicago, dove Schipa fu un divo incontrastato nelle stagioni in- vernali dal 1919 al 1931 e nelle stagioni estive (a Ravinia Park) dal 1923 al 1928 e dove Muti si è insediato da pochi anni, stabilendo non solo un’intesa « da matrimonio » con una delle migliori orchestre al mondo, ma anche un legame di riconoscenza e affetto reciproco con la stessa città. Ma la vera affinità tra il direttore con il senso innato del canto e il tenore-musicista per eccellenza sta nel carattere inconfondibile del loro fraseggio, che si riconosce dopo poche battute e che lascia un’impronta unica su ogni composizione eseguita. La volontà del tenore di far vivere le parole con immediatezza nuova all’interno di una linea melodica di cesellato rilievo rese affascinante la sua arte anche quando il timbro si era quasi prosciugato. La capacità di Muti di dare un profilo nobile e una vitalità interiore alle melodie più familiari del nostro melodramma si è arricchita di uno spessore umano più denso e intrigante quando il maestro – ancora indebolito dopo un intervento chirurgico – ha diretto quel Nabucco al Teatro dell’Opera che rimarrà nella storia per diversi motivi. E sono lieto di esserci stato anch’io a cantare il « Va pensiero » sotto la sua bacchetta all’ultima recita, dove regnava un’atmosfera di felicità intensa per la battaglia (per la restituzione del FUS) vinta grazie all’intervento decisivo dello stesso Muti. A questo proposito potrebbe sembrare paradossale il sogno raccontatoci da Marzio Pieri nella polemica di questo mese. Una polemica che esprime tuttavia un timore che era piuttosto diffuso anche nel pieno della battaglia sacrosanta per il FUS: che le fondazioni musicali, rifornite di soldi, continuassero ad accontentarsi del buono invece di mirare implacabilmente al meglio (che non è necessariamente la meta più costosa). Quale teatro italiano, ci si domanda, saprebbe accogliere oggi un giovane (ma già geniale) Schipa ed affidargli sei titoli di seguito, come fece il San Carlo nel 1915? E il fatto che sia girata la voce in questi mesi che si vorrebbe far diventare Gustavo Dudamel, un giovane di talento enorme ma digiuno di cultura melodrammatica (e per certi incarichi la cultura conta molto, come ci ricorda qui Rudolf Buchbinder), il direttore musicale della Scala, fa riflettere su un modo di gestire i teatri assai più attento ai colpi mediatici che riverberano all’esterno che alla vitalità dei personaggi che interagiscono sulla scena. Stephen Hastings &indice delle recensioni & Sestetto in Sol op. 36 violini Isabelle Faust, JuliaMaria Kretz viole Stefan Fehland, Pauline Sachse, vc Christoph Richter, Xenia Jankovic . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 58 AA.VV « Berlin Opera Night » (musiche di Händel, Mozart, Puccini, Dvořák, Wagner, R. Strauss, Saint-Saëns, Leoncavallo, Lehár, J. Strauss II) G. Bumbry, A. Schwanewilms, Charles Castronovo, R. Pape, V. Kasarova, A. Pieczonka, M. Crider, J. Kowalski, V. Galouzine, J. Banse, S. Licitra, A. Kirchschlager, M. Bruck; Orchester der Deutschen Oper Berlin, dir Kent Nagano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 3/4 « Historia Sancti Martini » (musiche sacre del XIII secolo) Diabolus in musica, dir Antoine Guerber . . . . . . . . . . 4 & « Les leçons particulières de musique » Anner Bylsma un film di François Manceaux . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 5 & « Les leçons particulières de musique » Pierre-Yves Artaud un film di Roger Kahane . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 5 « Venezia: Sonate e Sinfonie » (musiche di Rosenmüller, Legrenzi, Stradelli) The Rare Fruits Council, vl e dir Manfredo Kraemer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 57 65 66 66 Medium E. Keller, M. Powers, B. Dame, F. Rogier, C. Mastice; Orchestra non specificata, dir Siberia (Preludio atto II); Fedora (Intermezzo Atto II) Emanuel Balaban . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65 The Saint of Bleecker Street G. Ruggiero, D. Poleri, G. Lane, M. Di Gerlando, L. Lishner, C. Akos, M. BRITTEN HAYDN Marlo, E. Gonzales, D. Aiken, L. Becque; Orche& Quattro interludi marini da Peter Grimes op. 33a stra e Coro non specificati, dir Thomas Schippers . Sei Quartetti per archi op. 20 Daedalus Quartet . . . . . . . . . . . 3/4 64 BBC Philharmonic, dir Edward Gardner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 60 & & The Telephone M. Kotlow, F. Rogier; Orchestra non Sinfonia n. 53 in « L’impériale »; Sinfonia n. 54 Hei& Sinfonia per violoncello e orchestra op. 68 vcl Paul specificata, dir Emanuel Balaban . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . delberger Sinfoniker, dir Thomas Fey . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 64 Watkins BBC Philharmonic, dir Edward Gardner . . . . . 5 60 The Unicorn, the Gorgon and the Manticore Orche& Suite sinfonica da Gloriana op. 53a ten Robert Murstra e Coro non specificati, dir Thomas Schippers . HENZE ray BBC Philharmonic, dir Edward Gardner . . . . . . . . . . . . . . . . 5 60 « Guitar Music 2 » (musiche varie) chit Franz Halász, MESSIAEN mand Anna Torge, arp Cristina Bianchi, Ensemble BUCHHOLTZ Oktopus, dir Konstantia Gourzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 64 & Harawi sopr Annika Skoglund, pf Carl-Axel Domini« Piano Works » (musiche per pianoforte) pf Marco que . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Kraus . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 60 90 & Sinfonia CASTELNUOVO-TEDESCO Platero y yo (selezione) narratore Moni Ovadia chit Emanuele Segre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 60 Doctor Atomic G. Finley, R.P. Fink, T. Glenn, S. Cooke, E. Owens, E. Patriarco, M. Arwady, R. Honeywell; The Metropolitan Opera Orchestra, Chorus and Ballet, dir Alan Gilbert, reg Penny Woolcock, sc Julian Crouch, reg video Gary Halvorson . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 3 55 Sei Concerti per il cembalo concertato Wq 43; clav Andreas Staier Freiburger Barockorchester, dir Petra Müllejans . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 56 BACH Mottetti Vocalconsort Berlin, dir Marcus Creed . . . . . . . . . . . . . . 4 55 Passione secondo Giovanni BWV 245 M. Padmore, H. Müller-Brachmann, P. Harvey, B. Fink, K. Fugr, J. Lunn; Monteverdi Choir, English Baroque Soloists, dir John Eliot Gardiner . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 56 Passione secondo Matteo BWV 244 A. Dieltiens, S.K. Thornhill, T. Mead, M. White, G. Türk, J. Podger, C. Daniels, P. Harvey, S. Noack; Kampen Boys Choir, Netherlands Bach Society, Museum Catharijne Convent, dir Jos van Veldhoven . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 56 Loreley (Danza delle Ondine); La Wally (Preludio atto I, Preludio atto IV) BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65 Concerto per pianoforte n. 1 in mi op. 11; Concerto per pianoforte n. 2 in fa op. 21 pf Daniel Barenboim Staatskapelle Berlin, direttore Andris Nelsons . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4 61 Fantasia in fa op. 49; Sonata in si bemolle op. 35; Notturno in RE bemolle op. 27 n. 2; Barcarola in FA diesis op. 60; Valzer in la op. 34 n. 2; Valzer in FA op. 34 n. 3; Valzer in RE bemolle op. 64 n. 1; Valzer in do diesis op. 64 n. 2; Berceuse in RE bemolle op. 57; Polacca in LA bemolle op. 53 pf Daniel Barenboim . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 61 CIAIKOVSKI Il lago dei cigni, suite Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, dir Yuri Temirkanov . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . n. 2 op. 17 « Piccola Russia »; Sinfonia n. 3 op. 29 « Polacca » Orchestra del Ministero della Cultura dell’URSS, dir Gennadi Rozhdestvensky . . . . . BACH-BUSONI & Sinfonia n. 4 op. 36; Sinfonia n. 5 op. 64; Sinfonia Ciaccona pf Freddy Kempf . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4 77 n. 6 op. 74 « Patetica »; Romeo e Giulietta, Fantasia-ouverture Hallé Orchestra, dir John Barbirolli . . . . . & Sinfonia n. 6 op. 74 « Patetica » West-Eastern Divan BARTÓK Orchestra, dir Daniel Barenboim . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Concerto per violino n. 2; Concerto n. 1 op. post. vl Arabella Steinbacher Orchestre de la Suisse RoCILEA mande, dir Marek Janowski . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 56 Adriana Lecouvreur (Intermezzo) BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . BELLINI Norma J. Anderson, D. Barcellona, S.Y. Hoon, I. Abdrazakov, S. Ignatovich, L. Melani; Coro del Festival Verdi, Orchestra Europa Galante, dir Fabio Biondi, reg Roberto Andò, sc Giovanni Carluccio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 4 57 4 62 & Sinfonia 5 62 5 62 5 82 4 65 DEBUSSY Prélude à l’après-midi d’un faune; La mer; Jeux London Symphony Orchestra, dir Valery Gergiev . . . . . . . . . . . . 3 62 FAURÉ BORODIN & Messe per archi n. 1 op. 26 Quartetto Borodin . . . . . . . 5 57 BOTTESINI & Concerto per contrabbasso n. 2 in si; Duetto per clarinetto e contrabbasso ctb Enrico Fagone, cl Corrado Giuffredi Orchestra della Svizzera Italiana, dir Christoph-Mathias Mueller . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 58 & Gran Duo Concertante per violino e contrabbasso; Passione amorosa per violino e contrabbasso vl Walter Zagato, ctb Enrico Fagone, Orchestra della Svizzera Italiana, dir Christoph-Mathias Mueller . . . . . . . 5 58 BRAHMS in Re op. 77 vl Isabelle Faust Mahler Chamber Orchestra, dir Daniel Harding . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 58 Ein deutsches Requiem sopr Natalie Dessay, bar Ludovic Tézier, Orchestra Sinfonica della Radio di Francoforte, Coro della Radio Svedese, dir Paavo Järvi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 59 Quintetto in fa op. 34 per pianoforte e archi pf Paolo Restani Quartetto d’archi della Scala . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 78 n. 2 « La campana » Houston Symphony Orchestra, dir Leopold Stokowski . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 85 KNUSSEN Ophelia’s Last Dance op. 32 pf Kirill Gerstein . . . . . . . . . . . . . . . . 4 84 CATALANI CHOPIN BACH C.P.E. de Requiem op. 48; Ave Verum op. 65 n. 1; Ave Maria op. 67 n. 2; Tantum ergo op. 55; Messe des pecheurs de Villerville sopr Ana Quintans, bar Peter Harvey, Ensemble Vocal de Lausanne, Sinfonia Varsovia, dir Michel Corboz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 63 FRANCK & Sonata in LA per violino e pianoforte vl Francesca Dego, pf Francesca Leonardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 63 GERSHWIN Rhapsody in Blue; I Got Rhythm Variations; Concerto per pianoforte in FA pf Jean-Yves Thibaudet, Baltimore Symphony Orchestra, dir Marin Alsop . . . . . . 4 64 LEONCAVALLO Pagliacci (Intermezzo) BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65 LISZT & Die Zelle in Nonnenwerth, per violino e pianoforte S. 382; Romance oubliée per violino e pianoforte vl Jean-Marc Phillips Varjabédian, pf Vincent Coq . . . . . . . & Elegie n. 1 S. 130 per violoncello e pianoforte; Elegie n. 2 S. 131 per violoncello e pianoforte; La Lugubre Gondola S. 134 per violoncello e pianoforte vcl Raphaël Pidoux, pf Vincent Coq . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Fantasia e fuga su B.A.C.H.; Bénédiction de Dieu dans la solitude; Venezia e Napoli; Sonata in si pf Marc-André Hamelin . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sonata in si pf Kirill Gerstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . & Tristia, per violino, violoncello e pianoforte S. 723c Trio Wanderer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 86 4 66 4 84 5 86 LULLY MAHLER 4 70 5 71 4 70 5 72 da « Des Knaben Wunderhorn » bar Thomas Hampson, Wiener Virtuosen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Sinfonia n. 4 sopr Camilla Tilling, World Orchestra for Peace, dir Valery Gergiev . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 3 Sinfonia n. 5 London Symphony Orchestra, dir Valery Gergiev . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4 Sinfonia n. 5 World Orchestra for Peace, dir Valery Gergiev . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 3 MIASKOVSKI & Quartetto per archi n. 13 op. 86 Quartetto Borodin . . . . . 5 57 MOZART Arie da Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Cosı̀ fan tutte sopr Aga Mikolaj WDR Rundfunkorchester Köln, dir Karl Sollak . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 & Die Zauberflöte P. Beczala, D. Röschmann, D. Roth, M. Salminen, D. Rancatore, W. Schöne, G. Le Roi; Orchestre et Choeur de l’Opéra National de Paris, dir Ivan Fischer, reg Benno Besson, sc e cost Jean-Marc Stehle, reg tv François Roussillon . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 5 & Divertimento K 563 per trio d’archi Trio Zimmermann 5 Integrale dei Concerti per pianoforte e orchestra clav e fortepiano Viviana Sofronitzki, Linda Nicholson, Mario Aschauer Musicae Antiquae Collegium Varsoviense, dir Tadeusz Karolak . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4 Requiem K 626; Ave Verum Corpus KV 618 sopr Marinella Pennicchi, msopr Gloria Banditelli, ten Mirko Guadagnini, bas Sergio Foresti, Coro Canticum Novum di Solomeo, Accademia Hermans, dir Fabio Ciofini . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 & Sonata in DO K 330; Rondo in la K 511; Rondo in RE K 485; Adagio in si K 540; Sonata in do K 457 for Kristian Bezuidenhout . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 86 72 74 73 73 74 OBRECHT & Missa de Sancto Donatiano Cappella Pratensis, dir Stratton Bull . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 74 WILLEM VAN OTTERLOO & Lieder 68 68 68 68 MASCAGNI L’Amico Fritz (Intermezzo) BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65 MENDELSSOHN Ottetto per archi op. 20; Sestetto per pianoforte e archi op. 110 I Solisti Filarmonici Italiani . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3 70 Quartetto per archi in LA op. 13; Quattro Pezzi op. 81 per quartetto d’archi Quartetto di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 70 MENOTTI Amahl and the Night Visitors C. Allen, R. Kuhlmann, A. McKinley, D. Aiken, L. Lishner, F. Monachino; Orchestra e coro non specificati, dir Thomas Schippers . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 71 Sebastian, Suite dal balletto Robin Hood Dell Orchestra di Philadelphia, dir Dimitri Mitropoulos . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 71 I numeri della prima colonna si riferiscono alle stelle attribuite a ciascun disco. La sigla DVD prima del numero delle stelle segnala un’edizione video. I titoli preceduti dal quadratino rosso segnalano i dischi con 5 stelle (vedi pagina 54) musica 227, giugno 2011 5 86 Bellérophon C. Auvity, C. Scheen, I. Perruche, J. Borghi, E. Alexiev, J. Teitgen, R. Getchell; Chœur de chambre de Namur, Les Talens Lyriques, dir Christophe Rousset . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 67 & Concerto 8 5 71 KACHATURIAN ADAMS & Quartetto & The GIORDANO & Musiche di Smetana, Franck, Beethoven, Schubert, Brahms, Bruckner, Wagner, Saint-Saëns, Rachmaninov, Berlioz, Weber, Meyerbeer, Grieg, Prokofiev, org Feike Asma, pf Cor de Groot, vl Theo Olof, vl Herman Krebbers; Hague Philharmonic, Royal Concertgebouw Orchestra, Wiener Symphoniker, Berliner Philharmoniker, dir Willem van Otterloo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 75 PONCHIELLI La Gioconda (Danza delle ore) BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65 PROKOFIEV & Concerto per violino n. 1 op. 19; Concerto per violino n. 2 op. 63 vl Pavel Berman, Orchestra della Radio Svizzera Italiana, dir Andrey Boreyko . . . . . . . . . . . . . . . 5 76 & Sonata per due violini in Do op. 56 vl Pavel Berman, Anna Tifu . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 76 PUCCINI Manon Lescaut (Intermezzo); Suor Angelica (Intermezzo); Edgar (Preludio atto I, Preludio atto III) BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65 Tosca E. Magee, J. Kaufmann, T. Hampson; Coro e Orchestra dell’Opernhaus di Zurigo, dir Paolo Carignani, reg Robert Carsen, sc e cost Anthony Ward . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .DVD 3/4 77 Turandot F. Corelli B. Nilsson G. Višnevskaja N. Zaccaria R Capecchi F. Ricciardi P. De Palma A. Mercuriali V. Carbonari, I. Farina, J. Valtriani, R. Pelizzoni; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, dir Gianandrea Gavazzeni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/5 91 RACHMANINOV SHOSTAKOVICH Danze Sinfoniche Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, direttore Yuri Temirkanov . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 62 Variazioni su tema di Corelli op. 42 pf Freddy Kempf . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4 77 & Sinfonia n. 1 op. 10; Sinfonia n. 11 op. 103; L’anno 1905 Symphony of the Air, dir Leopold Stokowski . 5 85 SIBELIUS Sinfonia n.2 op. 43; Karelia suite op. 11 New Zealand Symphony Orchestra, dir Pietari Inkinen . . . . . . . . . . . . 3/4 86 RAVEL & Sonata per violino e pianoforte; « Tzigane » Rhapsodie de Concert per violino e pianoforte vl Francesca Dego, pf Francesca Leonardi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 Sonata per violino e violoncello vl Francesco D’Orazio, vcl Nicola Fiorino . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Sonata postuma per violino e pianoforte; Sonata in SOL per violino e pianoforte; Pezzo in forma di Habanera per violino e pianoforte; Berceuse sul nome di Gabriel Fauré per violino e pianoforte; Tzigane per violino e pianoforte vl Francesco D’Orazio, pf Giampaolo Nuti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 Valses nobles et sentimentales pf Freddy Kempf . . . . . . . . 3/4 REGER & Concerto per pianoforte op. 114 pf Marc-André Hamelin, Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin, dir Ilan Volkov . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . REICH & Electric counterpoint, Six marimbas counterpoint, Vermont counterpoint vibr, marimba, perc, nastro preregistrato Kuniko Kato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . RISTORI 63 78 SMETANA & Trio in sol per pianoforte, violino e violoncello op. 15 Trio Wanderer . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 86 STRAUSS e scene da Arabella, Capriccio e Ariadne auf Naxos sopr Lisa della Casa, Wiener Philharmoniker, dir vari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . & Burleske pf Marc-André Hamelin, Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin, dir Ilan Volkov . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . & Vier letzte Lieder (3 Lieder); Monologo di Elektra sopr Kirsten Flagstad, Orchestra dell’Opera di Stato di Berlino, dir Georges Sebastian . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 66 & Vier letzte Lieder sopr Lisa della Casa, Wiener Philharmoniker, dir Karl Böhm . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vier letzte Lieder; Rosenkavalier-Suite; Till Eulenspiegel sopr Anja Harteros, Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese, dir Mariss Jansons . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Vier letzte Lieder; Scene da Ariadne auf Naxos e 5 78 Capriccio sopr Aga Mikolaj WDR Rundfunkorchester Köln, dir Karl Sollak . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 78 77 Divoti affetti alla Passione di Nostro Signore D. Mields, F. Vitzhum; Echo du Danube . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 78 Esercizi per l’Accompagnamento Echo du Danube . . . . . 4 78 & Arie 5 86 5 66 5 86 5 86 4 86 3 86 STRAVINSKI & Concertino per quartetto d’archi Quartetto Borodin . . . . . 5 57 Trois mouvements de Pétrouchka pf Freddy Kempf . . 3/4 77 ROSSI Cleopatra D. Theodossiou, A. Liberatore, P. Pecchioli, S. Catana, W. Corrò, T. Carraro, P. Gardina, G. Medici; Orchestra Filarmonica Marchigiana, Coro Lirico Marchigiano « V. Bellini », dir David Crescenzi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4 79 STURLA Passio di Venerdı̀ Santo Il Concento Ecclesiastico, dir Luca Franco Ferrari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 89 TELEMANN SCARLATTI A. Lukas Passion sopr Veronika Winter, contr Anne Serenate a Filli E. Galli, Y. Arias Fernandez, M. Oro; Bierwirth, ten Julian Podger, bas Clemens HeiLa Risonanza, dir Fabio Bonizzoni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 82 drich, Matthias Vieweg, Rheinische Kantorei, Das Kleine Konzert, dir Hermann Max . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 89 & Ouvertüre in la; Tre Fantasie per flauto dolce; ConSCARLATTI D. certo in La minore per flauto dolce fl dolce Julien & Sonate K 239, K 208, K 72, K 8, K 29, K 132, K Martin, vlag Josh Cheatham, Capriccio Stravagan430, K 420, K 481, K 514, K 64, K 32, K 141, K te, dir Skip Sempé . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 90 472, K 3, K 380, K 431, K 9, pf Alexandre Tharaud . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 80 VERDI TITO SCHIPA & Integrale delle registrazioni 1913-1964 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 46 SCHUBERT Quartettsatz in do D 703 Quartetto di Roma . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Sonata in SI bemolle D 960; Improvviso in fa op. 142 n. 1; Klavierstück in MI bemolle D 946 n. 2 pf Luca Ciammarughi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . & Trio D471 per archi Trio Zimmermann . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . & « Nacht und Träume » (Lieder D827, D833, D637, D869, D876, D778, D842, D193, D194, D891, D889, D517, D289, D434, D502, D861, D303) bar Matthias Goerne, pf Alexander Schmalcz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 70 4 84 5 74 5 84 & Il trovatore F. Corelli, E. Bastianini, M. Parutto, F. Barbieri, A. Ferrin, A. Marcangeli, V. Pandano, C. Platania, M. Russo; Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera, dir Oliviero de Fabritiis . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Inno delle nazioni ten Francesco Meli, Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La Traviata (Preludio atto III) BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Libera me dalla Messa per Rossini; La vergine degli angeli sopr Barbara Frittoli, Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . Quattro pezzi sacri Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 91 4 92 4 65 4 92 4 92 SCHUMANN Humoreske op. 20 pf Kirill Gerstein . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 84 Quintetto in Mi bemolle op. 44 per pianoforte e archi pf Paolo Restani, Quartetto d’archi della Scala . . . . . . . . . 3 78 SCHÖNBERG op. 31 West-Eastern Divan Orchestra, dir Daniel Barenboim . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 82 WAGNER & Wesendonck-Lieder; Scene e Arie da Tristan und Isolde e Götterdämmerung sopr Kirsten Flagstad, Orchestra dell’Opera di Stato di Berlino, dir Georges Sebastian . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5 86 & Variazioni SCODANIBBIO Oltracuidansa ctb Stefano Scodanibbio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3/4 85 WOLF-FERRARI I Quattro Rusteghi (Intermezzo); I gioielli della Madonna (Intermezzo) BBC Philharmonic, dir Gianandrea Noseda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 65 &recite recital concerti BERGAMO-BRESCIA Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo (www.festivalpianistico.it) 1 (Bg, Teatro Donizetti), 2/6 (Bs, Teatro Grande) musiche di Liszt, Schubert-Liszt; pf B. Berezovsky 4 (Bg), 4/6 (Bs) musiche di Bartók, Liszt, Ciaikovski; pf D. Laziæ; Budapest Festival Orchestra, dir I. Fischer 6 (Bg), 7/6 (Bs) musiche di Schubert, Liszt; pf A. Volodos 8/6 (Bg) musiche di Shostakovich, Mahler; vl J. Jansen; Frankfurt Radio Symphony Orchestra, dir P. Järvi 10 (Bg), 12/6 (Bs) musiche di Bach, Schumann; pf G. Sokolov BOLOGNA Teatro Comunale di Bologna (www.tcbo.it) 10, 12, 14, 15, 16, 18, 19, 21/6 Rossini: La Cenerentola; M. Spyres/E. Scala, S. Alberghini/E. Chan, P. Bordogna/ M.F. Romano, L. Polverelli/C. Amarù, L. Regazzo/L. Tittoto; Orchestra e Coro del Teatro Comunale di Bologna, dir M. Mariotti; reg D. Abbado, scene G. Carluccio Bologna Festival (www.bolognafestival.it) Ciaikovski; Orchestra Giovanile Italiana, dir A. Boreyko 8, 9, 10/6 (Piccolo Teatro) ciclo Liszt; pf A. Tardino, G. Graniti, F. Nicoletta, C. Shekari Oreh, E. Cicconofri, A. Marino 14/6 (Teatro Goldoni) musiche di Reich; vl D. Ceccanti, vc V. Ceccanti; Contempoartensemble, dir M. Ceccanti 17/6 musiche di Kodály, Musorgskij, Berlioz; Philharmonia Orchestra, dir E.P. Salonen 18, 20, 22/6 (Teatro della Pergola) Monteverdi: L’incoronazione di Poppea; S. Graham, J. Ovenden, M. Brook, J.M. Lo Monaco, A. Dahlin, F. Lombardi, S. Malfi, A. Kasyan; Il complesso barocco, Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, dir A. Curtis; reg e scene P.L. Pizzi 23/6 musiche di Donizetti; sop M. Devia; Orchestra e Coro del Maggio Musicale Fiorentino, dir D. Callegari GENOVA Teatro Carlo Felice (www.carlofelice.it) 7, 9/6 Puccini: Madama Butterfly; R. Angeletti, V. Simeoni, L. Caimi, L. Grassi, M. Bolognesi; Orchestra e Coro MILANO Teatro alla Scala (www.teatroallascala.org) 5/6 G. Huppertz: Metropolis; Filarmonica della Scala, dir F. Strobel 12, 14, 15/6 musiche di Ciaikovski, Prokofiev; pf A. Toradze; Filarmonica della Scala, dir N. Luisotti 6, 9, 11, 13, 16, 21, 23/6 Gounod: Roméo et Juliette; N. Machaidze/M. Alejandres, V. Grigolo/F. Portari, A. Vinogradov, R. Braun, F. Ferrari, C. Burggraaf; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, dir Y. Nézet-Séguin; reg B. Sher, scene M. Yeargan 20, 22, 24/6, 2, 4, 6, 8, 12, 15/7 Verdi: Attila; O. Anastassov, M. Vratogna/L. Nucci, M. Alvarez/F. Sartori, E. Pankratova/L. Garcia; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, dir N. Luisotti; reg G. Lavia, scene A. Camera 30/6, 1, 5, 7, 9, 11, 13, 14/7 Rossini: L’Italiana in Algeri; M. Pertusi, F. Polinelli, L. Brownlee, A. Rachvelishvili, V. Taormina; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, dir A. Allemandi; reg e scene J.P. Ponnelle Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi (www.laverdi.org) 2, 3, 5/6 Brahms: Ein Deutsches Requiem; Orchestra Sinfonica e Coro Sinfonico di Milano Giuseppe Verdi, dir X. Zhang 9, 10, 12/6 musiche di Gershwin, Copland, Shaw, Bernstein, Gershwin/Russell; cl M. Fröst; Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, dir X. Zhang NAPOLI Teatro San Carlo (www.teatrosancarlo.it) 21, 22/6 musiche di Bernstein, Gershwin, Ciaikovski, Ravel; Orchestra del Teatro San Carlo, dir D. Oren 29, 30/6 musiche di Debussy, Bernstein, Elgar; Orchestra del Teatro San Carlo, dir D. Renzetti PALERMO Teatro Massimo (www.teatromassimo.it) 12, 14, 15, 17, 18, 19/6 Donizetti: Lucia di Lammermoor; N. Alaimo/S. Piazzola, D. Rancatore/O. Peretyatko, F. Demuro/P. Fanale, D. Vatchkov/U. Guagliardo; Orchestra e Coro del Teatro Massimo, dir S. Ranzani; reg G. Deflo, scene W. Orlandi ROMA 6/6 (Teatro Manzoni) musiche di Shostakovich, Mahler; vl J. Jansen; Frankfurt Radio Symphony Orchestra, dir P. Järvi Accademia Nazionale di Santa Cecilia (www.santacecilia.it) 4, 6, 7/6 musiche di Beethoven; Orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia, vl e dir L. Kavakos Orchestra Mozart (www.orchestramozart.com) 1/6 (Teatro Manzoni) musiche di Mozart, Beethoven; pf H. Grimaud; Orchestra Mozart, dir C. Abbado Orchestra Sinfonica di Roma (www.orchestrasinfonicadiroma.it) 5, 6/6 (Auditorium Conciliazione) musiche di Cherubini, Ciaikovski, Beethoven; Orchestra Sinfonica di Roma, dir R. Bokor 12, 13/6 Invito all’opera; Orchestra Sinfonica di Roma, dir F. La Vecchia CATANIA Teatro Massimo Bellini (www.teatromassimobellini.it) 17, 18/6 musiche di Dvořák, Brahms; Orchestra e Coro del Teatro Massimo Bellini, dir D. Kaftan SPOLETO 54o Festival dei due mondi (www.festivaldispoleto.com) FIRENZE 24, 25, 26/6, 1, 2/7 (Teatro Nuovo) Menotti: Amelia al ballo; A. Kučerová, A. Antoniozzi, S. Guèze, A. Spina; Or- Maggio musicale fiorentino (www.maggiofiorentino.it) 7/6 musiche di Markevitch, Schubert, & Roméo et Juliette debutta alla Scala Per quanto sembri strano, un’opera celebre come quella di Gounod, cavallo di battaglia di divi come Alfredo Kraus, Franco Corelli e Mirella Freni, non viene eseguita alla Scala dal 1934, quando i giovani amanti di Verona furono interpretati (in traduzione italiana) dalle splendide voci di Beniamino Gigli e Mafalda Fa- del Teatro Carlo Felice, dir G. Sagripanti; reg I. Garcia, scene B. Montresor a cura di Nicola Cattò Vittorio Grigolo vero. Si tratta quindi di debutto scaligero dell’opera nell’originale versione francese: ulteriore onere per Vittorio Grigolo e Nino Machaidze, che dal 6 giugno saranno Romeo e Giulietta a Milano, nell’allestimento di Bartlett Sher (proveniente da Salisburgo e recensito sul numero 205 di MUSICA) e con la direzione del giovane canadese Yannick Nézet-Séguin. www.teatroallascala.org Il Rheingold diretto da Jeffrey Tate a Venezia . L’Arena apre con Traviata per la regia di Hugo De Ana . Metropolis in versione integrale al Teatro alla Scala . Lucia di Lammermoor a Palermo, Torino e Trieste . Il Festival Pianistico di Brescia e Bergamo 10 musica 227, giugno 2011 chestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, dir J. Debus; reg G. Ferrara, scene G. Quaranta 29/6 musiche di Schubert, Battistelli, Liszt, Mendelssohn; Orchestra Sinfonica di Milano G. Verdi, dir G. d’Espinosa TORINO Teatro Regio (www.teatroregio.torino.it) 21, 22, 23, 25, 26, 28, 29, 30/6, 2, 3/7 Donizetti: Lucia di Lammermoor; E. Mosuc/M.G. Schiavo, F. Meli/P. Pretti, F.M. Capitanucci/S. Del Savio, V. Kowaljov/A. Guerzoni; Orchestra e Coro del Teatro Regio, dir B. Campanella; reg G. Vick, scene P. Brown TRIESTE Teatro Verdi (www.teatroverditrieste.com) 11, 12, 14, 15, 16, 17, 18/6 Donizetti: Lucia di Lammermoor; S. Dalla Benetta, M. Bronikowski, J.F. Borras, G. Furlanetto; Orchestra e Coro del Teatro Verdi; reg G. Ciabatti VENEZIA Teatro la Fenice (www.teatrolafenice.it) 3/6 Omaggio a Nino Rota; Orchestra del Teatro La Fenice, dir A. Fogliani 10, 11/6 musiche di Mahler, Ives, Copland, Beethoven; Orchestra del Teatro La Fenice, dir J. Axelrod 24, 26, 28, 30/6, 2/7 Wagner: Das Rheingold; G. Grimsley, S. Genz, M. Miller, R.P. Fink, K. Azesberger, N. Petrinsky, N. Beller Carbone, C. Williams; Orchestra del Teatro La Fenice, dir J. Tate 25/6 Rossini: Petite Messe Solennelle; Coro del Teatro La Fenice, dir C.M. Moretti VERONA 89º Festival Lirico Arena di Verona (www.arena.it) 17, 24/6 Verdi: La Traviata; E. Jaho, F. Demuro, V. Stoyanov; Orchestra e Coro dell’Arena di Verona, dir C. Rizzi; reg e scene H. De Ana 18, 26, 30/6 Verdi: Aida; M. Carosi, F. Armiliato, G. Casolla, G. Prestia, A. Gazale, C. Striuli; Orchestra e Coro dell’Arena di Verona, dir D. Oren; reg G. De Bosio 25/6 Rossini: Il barbiere di Siviglia; A. Siragusa, A. Kurzak, B. De Simone, A. Argiris, M. Vinco; Orchestra e Coro dell’Arena di Verona, dir A. Battistoni; reg e scene H. De Ana Adriana Kučerová & Amelia balla a Spoleto Dal 24 giugno al 2 luglio il Festival di Spoleto, giunto alla 54ª edizione, celebra i centesimo anniversario della nascita del proprio fondatore Gian Carlo Menotti riproponendone la prima opera, quell’Amelia al ballo che debuttò in lingua inglese (Amelia Goes to the Ball) nel 1937 e l’anno seguente, in italiano, al casinò di Sanremo. Questa go- dibilissima opera buffa in un atto sarà interpretata dal soprano Adriana Kučerová e da Alfonso Antoniozzi nei ruoli di Amelia e del marito tradito; Johannes Debus dirigerà l’Orchestra Sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, che ha una lunga tradizione di esibizioni al festival umbro. www.festivaldispoleto.com chiude in bellezza con Grigory Sokolov . Esa-Pekka Salonen dirige la Sinfonia fantastica al Maggio Musicale Fiorentino &dalla platea Alla quinta delle sette recite previste di quest’Ernani bolognese il protagonista Roberto Aronica ha tirato fuori lo squillo della festa in « O tu che l’alma adora », Dimitra Theodossiou – sempre lodevole per mezze voci, bel colore e piglio drammatico – ha intonato con sicurezza i temibili Do acuti su « Involami » e « Tutto sprezzo », e cosı̀ a seguire per tutti i quattro atti sino al terzettone finale col vecchio Silva: un Furlanetto sempre in ruolo con somma eleganza e ricompensato da ricca messe d’applausi. Qualche perplessità destava semmai il Don Carlo di Ivan Inverardi, simpatico trombone dalla gestualità caricata che tuttavia riscopriva una vena di umorismo assai forte nel personaggio originale di Victor Hugo. Imperdonabile la sua cabaletta « Vieni meco, sol di rose » sussurrata in disparte ad Elvira con eterodossa emissione di falsetto, ma nell’atto di Aquisgrana si congedava con accenti di autentica e stentorea maestà. Insomma un Carlo alla carlona, come da stereotipo attribuito ai costumi del Magno di cui il Quinto voleva emulare le virtù. In questa promettente opera di transizione, assente per oltre quattro decenni dalle scene del Comunale bolognese, il meglio dell’innovazione « Tutti gli uomini sono Dio almeno per un minuto ma poi tornano a essere se stessi », dice la « peccatrice » Katerina. Ma per il giovane pastore Manoliòs non sarà cosı̀: uscirà progressivamente da sé identificandosi in Cristo per farsi portavoce del suo messaggio di pace, fratellanza e solidarietà. Uno « scandalo » non sopportabile per la sua gente, da punire con la morte. In estrema sintesi è quanto si ritrova, elaborato in una struttura narrativa densamente stratificata, in Cristo di nuovo in croce, romanzo del 1948 di Nikos Kazantzakis, scrittore cretese dalla personalità fuori dagli schemi, la cui opera fu a suo tempo celebre e molto discussa, mentre in tempi più recenti è tornata alla ribalta soprattutto quale fonte di un notevole film di Scorsese (L’ultima tentazione di Cristo). Conquistato dalla forza della spiritualità di Kazantzakis e dalla sua visione non ortodossa del cristianesimo, in molti aspetti coincidenti con il suo umanesimo utopistico, Bohuslav Martinů dedicò i suoi ultimi anni di vita a The Greek 12 Recensioni di concerti e spettacoli VERDI Ernani R. Aronica, D. Theodossiou, I. Inverardi, F. Furlanetto, S. Calzavara, A. Taboga, S. Pucci; Coro e Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, direttore Roberto Polastri regia Beppe de Tomasi scene e costumi Francesco Zito Bologna, Teatro Comunale, 17 maggio 2011 verdiana si concentra nei cori e nei concertati. Pure qui tutto è girato al meglio grazie all’energica e puntuale concertazione di Roberto Polastri (che sostituiva Bruno Bartoletti). Lo conoscevamo come specialista del moderno; la sua competenza in un Verdi ancora giovanile, corrusco di battaglieri fremiti romantici, è piacevole rivelazione. L’allestimento è una chicca. Né psicoanalisi da bar, né genialate da macchina del tempo, né amabili incursioni nel bordello o nella stanza del buco. « Solo » un’ambientazione nei cronotopi voluti dal libretto, ma non « archeologica » come si dice con disprezzo tra i bidelli del Konzept. La galleria dei ritratti equestri nel castello dei Silva omaggia alla lontana quella alquanto allucinata nella Hofkirche di Inn- Roberto Aronica e Dimitra Theodossiou MARTINŮ The Greek Passion M. S. Doss, M. Hollop, J. Milner, B. Lazzaretti, E. Schilton, N. Ceriani, G. Lo Re, S. Nayda, J. Vacik, M. Srejma, C. Olivieri, A. Profeta, M. Frusoni, B. Diaz, J. Howarth, L.-O. Faria, V. Lima, P. Passarello, J. Milner; Orchestra e Coro del Teatro Massimo, direttore Asher Fisch regia Damiano Michieletto scene Paolo Fantin costumi Silvia Aymonino Palermo, Teatro Massimo, 5 maggio 2011 Passion (uno dei due titoli con i quali quel romanzo, tradotto da Jonathan Griffin, apparve nel 1953 nei paesi anglosassoni, essendo l’altro Christ Recrucified), assumendosi anche l’onere di ricavarne un libretto in inglese, compito assolto magistralmente. Il Covent Garden nel 1958 avrebbe dovuto tenere a battesimo l’opera con la direzione di Kubelik, ma non se ne fece nulla, per inopportunità politiche (le ripercussioni britanniche della crisi greco-cipriota). Fu poi l’Opera di Zurigo a prospettare a Martinů un’altra occasione, chiedendo però delle modifiche, a fronte delle quali il musicista preferı̀ procedere, tra il 1957 e il 1959, anno della sua morte, a un rifacimento talmente radicale da consentire ad Ales Brezina, l’artefice della ricostruzione dell’e- musica 227, giugno 2011 dizione originale, di affermare che oggi esistono « due versioni interamente differenti ed entrambe di grande valore » del lavoro. Per molto tempo ad essere nota (anche discograficamente) è stata solo la seconda, andata in scena postuma in lingua tedesca a Zurigo nel 1961 e presentata più volte anche in Italia (a Perugia nel 1962 in tedesco, alla Rai di Torino nel 1965 in italiano, a Parma nel 1969 e ancora a Bologna nel 1970, in cèco). Inaspettatamente recuperata, la prima versione debuttò a Bregenz nel 1999, coprodotta con il Covent Garden dove finalmente arrivò l’anno seguente, iniziando cosı̀ a circolare e a conquistarsi uno spazio autonomo e alternativo rispetto all’altra. Questo excursus storico è indispensabile per capire perché, giustamen- sbruck, la tomba di Aquisgrana non somiglia affatto al luogo reale, semmai al ciborio gotico di Arnolfo di Cambio in San Paolo fuori le Mura, e cosı̀ via. C’è cultura visiva e c’è invenzione in quei fondali boscherecci dipinti a mano, in quelle fughe prospettiche accelerate che continuano il costruito duro affacciato fin sul proscenio. Ci sono sete e broccati a dominante scarlatta, candele a centinaia, spade e armature, manti e corone. Zeffirelli? No, Visconti; visto che alla base di tutto sta un’importazione dal Massimo palermitano, dove ancora nel 1999 Beppe de Tomasi, Francesco Zito, Fulvio Lanza e Raffaele Del Savio coltivavano la secolare tradizione del teatro lirico all’italiana. Con buona pace del pensiero registico unico, ex avanguardia ormai degradata a noiosa accademia, sarà meglio riaprire quei laboratori del saper fare che tutto il mondo c’invidiava e riutilizzare i loro prodotti sopravvissuti nei magazzini. Alla fine sarà pure un risparmio, nasceranno posti di lavoro e i giovani spettatori, che in numero sempre maggiore si vedono nelle sale, scopriranno un mondo per loro davvero nuovo e straniante: l’opera del nonno. Carlo Vitali te, il Teatro Massimo parli di « prima italiana » per The Greek Passion, differente da Griechische Passion in modo sostanziale, come sostenuto da Brezina. Il soggetto, è bene precisarlo, racconta degli abitanti di un villaggio greco dell’Anatolia, Lycovrisi, alcuni dei quali, prescelti per interpretare i personaggi di una sacra rappresentazione, si immedesimano in essi trasformando le loro esistenze e quelle degli altri. Su tutti Manoliòs, il Cristo designato, che finirà ucciso per avere difeso i profughi di un altro villaggio in fuga dai turchi e impietosamente respinti dai suoi compaesani. Ad impressionare, fin dal primo ascolto, è l’inedito taglio adottato da Martinů: numerose situazioni di carattere differente fissate in quadri concatenati l’uno all’altro, ma al tempo stesso autonomi, in genere molto concisi e caratterizzati da un’estrema variabilità di soluzioni musicali. L’ossatura vocale, nel rapporto fra i personaggi, è affidata a una originale e efficace « melodia declamatoria » (per usare la defini- zione di Brezina) che a volte si apre in ariosi e, soprattutto, si contrappone a imponenti momenti corali, includendo anche il ricorso a passaggi di puro parlato nonché a un attore che illustra e commenta gli accadimenti. Altrettanto dinamica l’orchestra, dove spiccano il lavoro per sezioni (archi, fiati, percussioni) e i frequenti interventi di singoli strumenti anche inconsueti (su tutti, la fisarmonica). Quando le voci tacciono, brevi sezioni strumentali proseguono la narrazione, mentre veri e propri interludi svolgono una funzione di sintesi emotiva. La componente popolare e folklorica, la ritmica irregolare e gli ostinati possono far pensare a Janáček, ma Martinů ha una cifra tutta sua, meno ruvida e violenta, una naturale luminosità rasserenante che stempera il dramma, non per negarlo, ma per indicare che bene e male sono pur sempre due possibilità lasciate al libero arbitrio dell’uomo. Secondo le categorie d’un tempo Martinů non aveva fama di innovatore, ma un autentico capolavoro come The Greek Passion sembra confermare che la modernità non risiede nel linguaggio adottato e nei suoi codici formali, ma nel modo in cui i materiali, di qualsiasi tipo siano, sono trattati e nella forza espressiva che l’autore riesce ad imprimere ad essi. Cosı̀, con questa produzione, il Massimo ha realizzato una delle più importanti operazioni culturali della corrente stagione, per di più con una qualità visiva e musicale d’eccezione. La vicenda di un popolo in fuga che chiede accoglienza a un altro offriva al regista l’occasione di riflettere la contemporaneità e Damiano Michieletto l’ha colta in pieno, senza forzature, dal momento che il testo è di un’elo- quenza tale da non richiedere che di essere esposto cosı̀ com’è. Ma tutto il suo spettacolo è un felice racconto per immagini che possiedono l’eloquenza plastica dei tableaux vivants e allo stesso tempo ben aderiscono alla mobilità della musica, calate in un’atmosfera di fiaba spirituale con tocchi di realismo magico. Un contributo fondamentale è venuto dal magnifico impianto scenico di Paolo Fantin, una struttura multipiano rotante chiaramente ispirata a Escher, che non solo facilita i repentini mutamenti dell’azione ma realizza anche una simultaneità di quadri perfetta nel render vive le due comunità e il loro conflitto. Autorevole e ispirata la direzione di Asher Fisch che ha preteso e ottenuto dall’orchestra, dai cori e dagli interpreti precisione, passione e immedesimazione poetica. The Greek Passion è un’opera dove non ha senso una distinzione fra personaggi maggiori e minori, e bisogna dare atto al teatro palermitano di averne avuto coscienza, con una distribuzione delle parti dovunque ideale. È dunque solo per la diversa ampiezza degli interventi che qui si limita a citare la potente caratterizzazione vocale e scenica data da Mark S. Doss e Luis-Ottavio Faria alle contrapposte figure sacerdotali, mentre straordinario è parso lo Yannakos istintivo, visionario e generoso di Jan Vacik e adeguatamente intensa Judith Howarth quale Katerina. In Manoliòs, il giovane ingenuo pastore destinato al sacrificio, si ritrova qualcosa di Parsifal (e di Peter Grimes), nelle situazioni e ancor più nella vocalità, risolta con notevole proprietà di mezzi dal tenore Sergey Nayda. Giorgio Rampone MAHLER Sinfonia n. 9 in RE Swedish Radio Symphony Orchestra, direttore Daniel Harding Brescia, Teatro Grande, 2 maggio 2011 Un silenzio totale, protrattosi per più di un minuto, ha preceduto l’esplosione degli applausi al termine della Nona Sinfonia di Mahler diretta da Daniel Harding al Teatro Grande per l’inaugurazione del 48.mo Festival pianistico di Brescia e Bergamo. Sottolineiamo con piacere l’eccezionalità di un silenzio cosı̀ prolungato e perfino magico, logico sbocco di una sinfonia monumentale, che termina con un vastissimo Adagio, a sua volta sfociante in suoni degli archi sempre più rarefatti, tenui, sottili. Un lungo silenzio non può che essere l’unico sbocco della Nona di Mahler: sarebbe stato inopportuno affrettare l’applauso, togliere alla musica quel silenzio che le appartiene di diritto. È stato un concerto memorabile per più di un aspetto. Oggi ci sono direttori d’orchestra che vengono proiettati nello star-system in giovanissima età. Anche Harding, sul cui talento hanno scommesso mae- musica 227, giugno 2011 13 &dalla platea stri quali Simon Rattle e Claudio Abbado, ha bruciato le tappe, ma a differenza di altri colleghi ha saputo mantenere le promesse e le ha perfino oltrepassate. La Nona di Mahler, per la sua complessità a tratti quasi indecifrabile, sembra uno di quei testi musicali che si possono affrontare solo in età più che matura: Harding, a trentacinque anni, si è spinto molto più in profondità di tanti maestri con il doppio della sua esperienza, e con esiti di perfezione unica. Ecco il primo movimento, Andante comodo, restituito con la massima trasparenza fin dalle prime decisive Il Teatro Petruzzelli si è aperto all’avventura della musica contemporanea, con la nuova opera di Fabio Vacchi, Lo stesso mare, tratta dall’omonimo romanzo di Amos Oz. Storia di una famiglia israeliana, vicenda di perdite e di attrazioni erotiche, una specie di girotondo alla Schnitzler (che Vacchi aveva già messo in musica nel 1982): un commercialista rimasto vedovo (Albert) ha una relazione con una matura fiscalista (Bettin) e con una ragazza (Dita), la fidanzata di suo figlio (Rico), che è partito per il Tibet, ma che si consola con un’esperta prostituta (Miriam). Dita, che vive il sesso con disinvoltura, va a letto anche con un quarantenne (Ghighi) e suscita le brame di un produttore cinematografico (Dobi), mentre la moglie di Albert (Nadia) si riaffaccia periodicamente sulla scena come un fantasma. Il libretto, scritto dallo stesso Oz, riprendeva non solo la vicenda ma anche lo stile del romanzo, quello stile misto di prosa e di poesia, insieme lirico e diaristico, che lo scrittore considera come la propria versione letteraria di un madrigale, e che aveva attratto immediatamente Vacchi. Peccato che la « musicalità » propria di quel testo sbiadisse nella trasposizione operistica, e diventasse, quasi paradossalmente, il suo punto debole. Su questa vicenda non lineare, sospesa, priva di progressioni drammatiche, concepita come una trama di sensazioni individuali, Se gli anniversari offrono l’occasione di proporre angoli del repertorio meno conosciuti, e illuminare i compositori festeggiati da prospettive inconsuete, il recital che Angelika Kirchschlager e Julius Drake hanno proposto alla GOG ha ottemperato senz’altro ad entrambi i fattori: da un lato inserendo in programma al- 14 battute, in cui, sottovoce, compaiono le cellule generatrici di un brano oltre modo complesso, che rappresenta sempre – come lo stesso Harding ha dichiarato – una suprema « sfida intellettuale ». Ecco l’enigmatico Ländler, reso con la necessaria rudezza iniziale e poi rilanciato ad alta velocità come nell’universo vertiginoso de La Valse di Ravel. Ecco l’ancor più misterioso RondoBurleske, apparentemente centrifugo, ma in realtà compatto nella sua densità polifonica. Ecco infine l’Adagio, non più pensato come un momento lirico a sé stante, ma co- me il logico coronamento di quanto precede. Forse la chiave di questa felicissima introspezione da parte del direttore inglese consiste in un atto di fiducia nella scrittura mahleriana. Considerando Mahler come un compositore avvenirista (e non decadente), come un autore dallo spirito giovane (dunque pieno di energie, malgrado la morte che lo avrebbe precocemente strappato a questo mondo), Harding ci ha fatto scoprire l’organicità e la coerenza interna di un’opera come la Nona Sinfonia che pensavamo fosse giocata soprattutto VACCHI Lo stesso mare J. Tovey, Y. Aleksyuk, C. Taigi, S. Macculi, G. Lanza, S. Pisani, D. Formaggia, A. Castellucci, S. Lombardi, G. Bozzolo, G. Piazza; Orchestra della Fondazione Petruzzelli, direttore Alberto Veronesi regia Federico Tiezzi scene Gae Aulenti costumi Giovanna Buzzi Bari, Teatro Petruzzelli, 2 maggio 2011 Yulia Aleksyuk e Stefano Pisani molto intimistica, Vacchi ha costruito una grande opera in tre atti, ingegnandosi in tutti i modi per differenziare gli stili vocali dei singoli personaggi (dalla salmodia, all’aria di coloratura, agli echi di melodie yiddish e di canti di Muezzin), per ricreare sul piano musicale i continui slittamenti stilistici del testo. Ma questa simbiosi non ha funzionato. Le parole sembravano sempre troppe, anche per le frequenti ripetizioni, e stipate a forza dentro la musica, cosicché il canto spesso contrastava con l’oggettiva bellezza di alcuni passaggi orche- strali. Anche la presenza di tre narratori (Sandro Lombardi, Giovanna Bozzolo, Graziano Piazza), che parlavano in continuazione descrivendo ogni dettaglio dell’azione, se da un lato rappresentava una guida sicura anche per lo spettatore più sprovveduto, dall’altro appesantiva l’opera, appariva ridondante e spesso inutilmente didascalica. La scrittura orchestrale mostrava invece tutta la maestria di Vacchi: una musica costruita su un solido, collaudato impianto armonico, dalla densità variabile, ritmicamente complessa, intessuta di echi medio- ANGELIKA KIRCHSCHLAGER Lieder di Mahler e Liszt pianoforte Julius Drake Genova, Teatro Carlo Felice, 9 maggio 2011 cune pagine non molto note, dall’altro inducendo a riflettere sul fatto che Liszt e Mahler, figure quanto mai differenti per tanti aspetti, sono accomunati dalla mancanza di ritro- musica 227, giugno 2011 sie nell’esporsi e tradursi in musica: cosicché molti fra i loro Lieder godono di una particolare qualità diretta e comunicativa, al di là della maggiore o minore stratificazione e sui contrasti, su esaltazioni e depressioni, su momenti intellegibili e su lunghi interludi magmatici. E invece, con una concertazione finissima e con un’acuta lettura di quanto Mahler ha effettivamente scritto, il direttore inglese ha liberato la partitura dagli aloni tardo-romantici per consegnarla a quella galleria dei classici che, più che alla storia, appartengono al futuro. Esemplare e impeccabile, in questo affascinante processo, l’apporto dei musicisti dell’Orchestra Sinfonica della Radio Svedese. Marco Bizzarini rientali e tardoromanici, di richiami operistici, di effetti messi in risalto dall’ottima prova dell’orchestra del teatro, diretta dal nuovo direttore musicale Alberto Veronesi. La regia di Federico Tiezzi cercava di imprimere dinamismo a una vicenda statica, con figuranti, mimi, acrobati in continuo movimento, schermi sui quali venivano proiettate le e-mail di Rico, il continuo saliscendi dei personaggi sulle lunghe scale rosse inventate da Gae Aulenti, che suddividevano la scena in spazi diversi e distanti (che accentuavano il senso di isolamento dei personaggi), su uno sfondo che cambiava ad ogni atto: un mare raggrumato, con schiuma e uccelli di cartapesta, un deserto illuminato di colori diversi, e alla fine un prato fiorito che avvolgeva tutti i personaggi stendendosi anche in verticale. Bravi tutti i cantanti: il baritono inglese Julian Tovey (Albert) era solo un po’ penalizzato dalla linea vocale sempre schiacciata sul registro di passaggio, il tenore Danilo Formaggia (Dobi) sfoggiava un bel colore nei suoi squarci lirici, le quattro voci femminili caratterizzavano bene i rispettivi personaggi, quella agile e timbrata di Yulia Aleksyuk (Dita), sicurissima nei suoi virtuosismi proiettati sempre nel registro acuto, come quelle calde e piene di pathos di Chiara Taigi (Bettin), Sabina Macculi (Nadia), e del contralto Giovanna Lanza (Miriam). Gianluigi Mattietti complessità di lettura. La prima parte del Liederabend alternava canzoni giovanili di Mahler e alcuni tra i più compiuti Wunderhorn-Lieder, mettendo dunque a fertile confronto brani ancora relativamente ingenui con altri compiutamente « mahleriani ». L’impaginazione è parsa sempre azzeccata, tranne che nel caso del terribile « Das irdische Leben », avvicendato con troppa disinvoltura tra lo sfrontato « Trost im Unglück » e il lieve « Starke Einbildungskraft ». Di tutti e tre peraltro la cantante salisburghese si è rivelata interprete sensibilissima, palpitante e intensa nel Lied sul bimbo morto per fame (nel cui canto di sbalzo ha mostrato una notevole uniformità tra i registri), spigliata nello scherzo giovanile, vera mattatrice in « Trost im Unglück »: vedi la strofa centrale (« Du glaubst du bist der Schönste ») proferita tra i denti, preannunciata dal rude intervento del pianoforte. In effetti il mezzosoprano ha messo in campo una particolare abilità nella caratterizzazione dei Lieder a più personaggi, come « Lob des hohen Verstands » (dove rimane nella memoria la malizia del cuculo, lesto ad approfittare dell’ottusità asinina) o il dialogo tra amorosi sordi messo in scena da « Verlorne Müh’! ». Suggello ideale, un « Urlicht » introdotto da Drake senza fretta, con asciutta religiosità, e condotto dalla Kirchschlager con intensità espressiva e dovizia di legato. Il Liszt liederista è sempre stato oggetto di remore: troppo esuberante e forse troppo cosmopolita per inserirsi davvero nel solco della tradizione, rappresenta comunque un orizzonte, forse un limite, dell’ispirazione liederistica. Certo, il modo in cui risolve in scena drammatica una lirica sublime come « Der König in Thule » non può che suscitare per- plessità; che si rinnovano quando una certa visceralità espressiva fraintende l’intima qualità della poesia, come è il caso, tra i Lieder proposti dal nostro binomio, della delicata « Ein Fichtenbaum steht einsam » (da Heine). Tuttavia alcune pagine colpiscono per l’arditezza di armonia e struttura, mentre altre sono semplicemente deliziose nella loro epidermica comunicativa: se non soffrisse del paragone con la poderosa costruzione schumanniana, « Im Rhein, im schönen Strome » andrebbe ammirato senza remore, in virtù della semplice invenzione musicale. Temibili confronti condizionano anche l’apprezzamento dei goethiani Canti notturni del viandante (il modello schubertiano è particolarmente evidente in « Über allen Gipfeln »), pur rilevanti per l’irresistibile efficacia del cantabile. Alle qualità melodiche e drammatiche dei Lieder lisztiani la Kirchschlager si è consegnata con intensità, pienezza del canto, autorevolezza. Quanto al pianoforte, la concezione di Mahler e Liszt nel Lied è quasi opposta: per il primo si tratta di una sorta di evocazione dell’orchestra, per l’altro dello Strumento Assoluto. In entrambi i casi le sfide che rivolgono all’« accompagnatore » sono alquanto ardue, ma il pianista londinese si è dimostrato all’altezza tanto della sensibilità suggestiva reclamata dall’uno, quanto del virtuosismo richiesto dall’altro. Roberto Brusotti VERDI Les Vêpres siciliennes M. Byström, F. Portari, T. Christoyannis, B. Szabo, J. Brocard, C. Fel, C. Tilquin, F. Farina, H. Francis, G. Antoine, V. Iliev; Cœur du Grand Théâtre de Genève, Orchestre de la Suisse Romande, direttore Yves Abel regia Christof Loy scene Johannes Leiacker costumi Ursula Renzenbrink Ginevra, Grand Théâtre, 16 maggio 2011 Nell’allestimento Vêpres siciliennes nato ad Amsterdam nel settembre scorso e riproposto ora a Ginevra, Christof Loy, per mantenere l’idea della contrapposizione tra due popoli, ha messo in scena una vicenda priva di alcuna plausibilità storica, con Italiani oppressi e Francesi oppressori che si scontrano nella Sicilia del secondo Novecento. Né si tratta dell’unica stranezza di una regia che prevede un balletto ridotto a pantomima, a tratti volgare, che ripercorre a flashback l’infanzia dei protagonisti (nettissimo il contrasto tra ciò che si vede in scena e la musica delle Stagioni verdiane); gesti di sadismo nei confronti delle spose siciliane rapite; la morte di Procida, il quale viene ucciso prima che giunga la grazia, non interviene nel finale IV e si ripresenta come fantasma nell’ultimo atto; lo spostamento dell’ouverture all’inizio del II atto, perché « la si ascolta in maniera differente dopo aver già capito qualcosa del dramma ». La partitura, proposta molto opportunamente nella versione originale francese, è stata appunto tagliuzzata e cucita per rispondere ad esigenze registiche che in ogni caso lasciano perplessi. Buone sorprese sono giunte dalla locandina. Anche se il ruolo di Hélène viene definito come drammatico d’agilità, il soprano Malin Byström, che ha timbro chiaro e voce poco sviluppata nel registro mediograve, riesce, grazie allo scaltro uso &dalla platea della coloratura, a simulare appieno quell’aura drammatica che manca al suo strumento; e nel registro acuto spazia con agio dalla spiritosa leggerezza del bolero alle note lancinanti del terzetto finale. Il tenore Fernando Portari, pur non dotato di timbro particolarmente suadente, Il personaggio al quale Ferzan Ozpetek – regista di questo spettacolo inaugurale del Maggio Musicale – dedica maggiori attenzioni è Amneris. Una principessa vanitosa (le danze del secondo atto si trasformano in un lusinghiero gioco di specchi) e intensamente solitaria (la scena del giudizio la mette veramente a nudo psicologicamente) interpretata da una Luciana D’Intino più portata all’introspezione lirica che agli scatti crudeli. Non che rinunci a un registro di petto orgogliosamente esibito, ma tale esibizione sembra obbedire più agli automatismi della tradizione teatrale che a un’intima necessità della cantante e le genera qualche squilibrio quando passa dall’ottava grave aperta e corposa all’ottava alta più raccolta e snella. I suoi momenti di amara consapevolezza nel quarto atto – « Ohimé!...morir mi sento... » – sono comunque i più commoventi dell’intera recita. Più in equilibrio è parso lo strumento del soprano cinese Hui He (Aida): una voce lirica abbastanza penetrante per correre a dovere nei concertati e sufficientemente duttile per reggere i pianissimi più soffici negli assoli. La voce piena non ha tuttavia un colore, un carattere fortemente definiti e la dizione è ancora poco idiomatica. E se da un lato si è apprezzato un gioco di portamenti di gusto decisamente ottocentesco, il fraseggio nel Per la serata inaugurale della XIV edizione di « Omaggio a Palladio », il Festival ideato nel 1998 dal pianista András Schiff e realizzato dalla Società del Quartetto di Vicenza nella straordinaria cornice del palladiano Teatro Olimpico di Vicenza, il musicista ungherese ha proposto un concerto interamente dedicato a due dei massimi capolavori di Schubert, scritti entrambi in quell’anno miracoloso, ultimo della sua vita, il 1828, nel quale fiorirono in rapida successione geniali e sconvolgenti lavori. Schiff, che da qualche anno si diletta anche a impugnare la bacchetta, ha impaginato un programma che metteva a stretto confronto due pagine profondamente contrastanti 16 lavora molto bene sul fraseggio, ottenendo belle sfumature soprattutto nella mezza voce. E se deve maturare un po’ la lettura della melodia del V atto, particolarmente convincente è stato il quadro iniziale del III atto, snodo focale della vicenda col duetto tra Henri e Montfort, nel quale si è messo positivamente in luce anche il baritono Tassis Christoyannis, che ha saputo tratteggiare interamente il proprio spettro emotivo, dal sussurro della tenerezza alla spinta che indica non la violenza ma l’intensità del sentimento paterno. Più insipido il Procida di Balint Sza- VERDI Aida H. He, M. Berti, L. D’Intino, G. Prestia, A. Maestri, R. Tagliavini, S. Fiore, C. Di Tonno; Coro e Orchestra del Maggio Musicale, direttore Zubin Mehta regia Ferzan Ozpetek scene Dante Ferretti costumi Alessandro Lai Firenze, Teatro Comunale, 8 maggio 2011 Aida a Firenze suo complesso era più da esperta orecchiante che da musicista ispirata e autonoma. Marco Berti ha una voce generosamente dotata di quello squillo che definisce in parte il personaggio di Radamès già da « un esercito di prodi da me guidato... ». Il tenore deve esercitare tuttavia un autocontrollo notevole per conferire la dovuta finitezza ai legati sognanti dell’aria che segue, dove ottiene risultati musicalmente dignitosi ma carenti di spon- taneità. Il duetto finale invece viene risolto con relativa facilità e il contesto scenico disegnato da Dante Ferretti – con una tomba invasa progressivamente dalla sabbia come se fosse una clessidra – è quello che maggiormente si imprime nella memoria. Nel complesso lo spettacolo era piuttosto attraente dal punto di vista visivo (ciò che si vedeva era sempre ben in sintonia con i suoni che uscivano dalla fossa), con scene ispirate SCHUBERT Missa Solemnis D950; Sonata per pianoforte D960 M. Leluschko, B. Schwarz, W. Güra, A. Rocchino, A. Wolf; Cappella Andrea Barca, Coro Schola San Rocco, direttore e pianoforte András Schiff Vicenza, Basilica San Felice e Fortunato, 6 maggio 2011 come la grandiosa Missa Solemnis n. 6 in Mi bemolle maggiore e l’intima e sognante ultima Sonata in Si bemolle maggiore per pianoforte. Ne è sortito un connubio assolutamente inedito, che ha messo in luce la costante dualità del mondo musicale schubertiano, teso tra l’aspirazione sinfonica di stampo beethoveniano, chiaramente presente nella Messa, e l’intimismo dell’Hausmusik, trasceso in una dimensione visionaria e sognante, capace di aprire verso mondi ultraterreni e musica 227, giugno 2011 sconcertanti profondità. Proprio su questi estremi ci è parso dirigersi l’estro interpretativo del maestro ungherese, che non ha avuto timore di ricavare nel primo dei due lavori sonorità ampie e vibranti dalla sua Cappella Andrea Barca e dall’impegnatissimo Coro della Schola San Rocco, lasciando intravedere chiaramente future eredità bruckneriane, e di lasciare emergere dal successivo silenzio la commossa intimità della sonata, con quel primo tema dolce e sognante, interrotto bo, che per il poco volume non riesce a imporsi sulle masse, ma rassicurante la qualità complessiva dei personaggi secondari, tra i quali non si sono percepite sbavature, e dell’Orchestre de la Suisse Romande, guidata da Yves Abel. Marco Leo in parte alla terra d’origine del regista (le tombe di Nemrut) e un’azione talvolta inerte, ma libera almeno da fastidiose incongruenze: l’ostica conclusione del terzo atto è stata recitata con esemplare chiarezza. Gli altri interpreti vocali hanno colpito più per la loro affidabilità vocale che per la fantasia del fraseggio, ma Saverio Fiore è stato un Messaggero d’eccezione e Ambrogio Maestri ha sfruttato con intelligenza la ricca cavata della sua voce, senza riuscire a dirci qualcosa di nuovo su Amonasro. L’ampio vibrato di Giacomo Prestia è più adatto a personaggi meno implacabili, più umani di Ramfis. Dignitosi il Re di Roberto Tagliavini e la Sacerdotessa di Caterina Di Tonno e non priva di inventiva la coreografia di Francesco Ventriglia, ben realizzata dai ballerini di MaggioDanza. L’invidiabile souplesse che distingue spesso le direzioni di Zubin Mehta era ben in evidenza in questa recita pomeridiana. Capita raramente di sentire un accompagnamento cosı̀ rifinita strumentalmente e cosı̀ capace nel contempo di dare l’impressione che tutto ciò che capita in scena avvenga per caso e non per volontà prestabilita. Una casualità che Ozpetek ha sfruttato solo in parte, ma si è trattato dopotutto del debutto del cineasta turco nell’arena lirica. Stephen Hastings da oscuri sussulti, eseguito da Schiff con suono evocativo e lontano, più celeste che terreno, grazie anche alla scelta di un magnifico Bösendorfer. L’Orchestra, formata da musicisti amici di Schiff, che annualmente si riuniscono a Vicenza per il piacere di suonare assieme, ha assecondato, non senza qualche sbavatura, ma con contagioso entusiasmo, il gesto del suo direttore, cosı̀ come il bravissimo coro, al quale si sono uniti dei solisti di eccezione, come il tenore Werner Güra, il soprano Meike Leluschko, il contralto Britta Schwarz e il basso Andreas Wolf, cui la partitura riserva però solo brevi interventi. Stefano Pagliantini « Dalla salle Favart al Palais Garnier » (musiche di Offenbach, Massenet, Delibes, Bizet, David) mezzosoprano Jennifer Larmore Opus V Venezia, Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, 14 maggio 2011 « Un pomeriggio a salotto » (musiche di Martini, Fauré, Debussy, Rossini, Donizetti, Godefroid, Hahn, Lenoir, Messager, Bernard, Chatau/Delorme) soprano Felicity Lott arpa Isabelle Moretti Venezia, Palazzetto Bru Zane, 17 maggio 2011 Il Centre de Musique Romantique Française del Palazzetto Bru Zane a Venezia ha messo assieme, nell’ambito del Festival « Dal Secondo Impero alla Terza Repubblica », due serate a distanza ravvicinata con l’intento, pienamente riuscito, di ricreare l’atmosfera del salotto parigino a cavallo tra Otto e Novecento, dove era frequente eseguire arie d’opera, trascrizioni da camera di brani tratti da celebri melodrammi e raffinate mélodies. Ha affidato la non semplice impresa – quanto è facile in questi casi calcare la mano o trascendere i limiti del buon gusto – a due voci importanti: quella di Jennifer Larmore, nella splendida Scuola Grande di San Giovanni Evangelista, e quella di Felicity Lott, nella deliziosa sala da musica del Palazzetto. La cantante americana, spesso bistrattata dalla critica italiana e di rado presente sui nostri palcoscenici, ha brillato per invidiabile salute vocale, sfoggiando voce tuttora salda ed estesa, ancorché un po’ intubata in basso, e soprattutto una capacità di immedesimarsi nel clima « disimpegnato » della serata facendo ricorso alle sue riconosciute doti di attrice (fenomenale la sua mimica facciale) e a una carica di dirompente ironia, con cui ha saputo catturare il pubblico. Il programma, interamente francese, era dedicato a quattro capolavori teatrali come Le contes d’Hoffmann di Offenbach, il Werther di Massenet, la Lakmé di Delibes e la Carmen di Bizet. La Larmore ha cantato l’aria di Nicklausse « Vois sous l’archet frémissant » con grande partecipazione emotiva, la stessa che ha contraddistinto la drammatica aria di Charlotte « Va! Laisse couler mes larmes ». Immancabile l’esecuzione della Barcarolle, nella trascrizione per voce sola con il controcanto degli archi del Quintetto Opus V, trasformata, come il duetto Lakmé-Mallika « Sous le Dôme épais », in una dolce e carezzevole mélodie da salotto. Nella « Chanson bohémienne » dalla Carmen la cantante ha improvvisato una divertente scena di seduzione con gli strumentisti del quintetto, mostrando al contempo una voce salda nei diversi registri ed ancora ampia negli acuti. Vera girandola di divertimento e di (auto)ironia il bis, « Art is calling for me », pagina tratta dal musical The Enchantress di Victor Herbert del 1911, un ritratto scanzonato di una diva del canto con tutti i suoi tic, manie e capricci. Applausi calorosi anche per il Quintetto Opus V, che si è divertito a seguire la cantante e, in proprio, a eseguire quattro piccoli quintetti di Félicien David, musicista poco noto vissuto tra il 1810 e il 1876, dedicati alle stagioni, pagine salottiere e piacevolissime, ben adatte al clima della serata. Altrettanto riuscito il concerto al Palazzetto con Felicity Lott, Dama dell’Impero Britannico, cantante dalla gloriosa carriera, dal repertorio ricercato, qui accompagnata dall’arpa di Isabelle Moretti. Certo, la voce, che un tempo era dolce e carezzevole, ora ha un timbro più secco, come svuotato; i fiati, ancora notevoli, si sono accorciati, ma che importa: la classe è sorprendentemente fresca, il gusto impeccabile e l’eleganza intrigante. A ciò si aggiunga una totale consonanza con il mondo francese (la Lott è Officier dans l’Ordre des Arts et des Lettres e Chevalier dans la Legion d’Honneur) e una grande familiarità con la lingua d’Oltralpe, unite alla contagiosa voglia di divertire e divertirsi. Grazie all’accompagnamento suadente di una fuoriclasse dell’arpa come Isabelle Moretti, la cantante inglese ha deliziato il pubblico con un repertorio da salotto, raffinato e intelligente nelle scelte: apertosi con il celebre « Plaisir d’amour » di Johann Paul Aegidius Schwarzendorf, detto il Martini Tedesco, è proseguito con tre arie da camera di Donizetti e Rossini, musicisti che con la Francia ebbero un intenso rapporto, per arrivare a dei gioielli come le melodies di Fauré e di Reynaldo Hahn - di cui la Lott ha eseguito con grande musicalità e sottesa ironia « À Chloris », languido cammeo che fa il verso a Rameau. La seconda parte è stata un crescendo di humour e brio scintillante con « Parlez-moi d’amour » di Jean musica 227, giugno 2011 17 &dalla platea Lenoir, l’irresistibile « Ça fait peur aux oiseaux » di Paul Bernard fino all’aria « J’ai deux amants » tratta dalla comédie musicale L’amour maUn parallelepipedo di tre tonnellate sospeso a mezz’aria sul palcoscenico tramite 250 cavi d’acciaio. Con la sua caratteristica indifferenza alle sfumature storiche, Heiner Müller volle ambientare l’azione del proprio dramma Quartett (1982) in « un salotto prima della rivoluzione francese » e in « un bunker dopo la terza guerra mondiale ». Intorno, grazie alla magia del chromakey, tutto un universo in espansione: cavalcate di nembi, tumultuoso ribollire di oceani e ruotar di galassie, diorami tridimensionali di una metropoli che potrebbe essere Parigi, minacciose masse umane, megaliti inquietanti; ma l’occhio dello spettatore è imprigionato senza scampo in quei pochi metri quadrati impudicamente offerti alla sua voyeuristica curiosità come la casa del Grande Fratello. Due sedie, una tavola, due bicchieri di vino e poco altro ne fanno tutto l’arredo. Dopo solo tre decenni il nichilismo post-ideologico e fieramente immoralista del drammaturgo tedesco, a quel tempo paradigma dell’avanguardia teatrale, appare logorato dalla sazietà di un abuso mediatico che ne ha fatto pane quotidiano per famigliole teledipendenti. « Der Rest ist Verdauung », come profetava Quartett; il resto è digestione, col distillato della quale si può fare spettacolo a sontuosa misura scaligera. Distanziandosi con eleganza da un dialogo originale che più graveolente di cosı̀ non si può immaginare, ma che tradotto in esangue international English da un Luca Francesconi librettista di se medesiIn quattro anni di sodalizio Valery Gergiev e la London Symphony si sono plasmati a vicenda. A tratti il suono e il fraseggio dell’orchestra rievocano quelli delle orchestre russe di una volta, mentre Gergiev, padre padrone dei complessi del Teatro Marinskij di San Pietroburgo e star internazionale con il dono dell’ubiquità, mostra un’attenzione per lui nuova verso i dettagli e le sfumature. In effetti i delicati pianissimi ascoltati nell’Andante elegiaco della Terza Sinfonia di Ciaikovski e la leggerezza del Concerto per orchestra n. 1 di Shedrin erano insoliti in un direttore più incline all’enfasi tragica e al turbinio informe delle 18 squé di André Messager. L’arpista Moretti ha contribuito non poco all’incanto della serata, dispiegando tutto il suo virtuosismo in un brano asperrimo come Le Carnaval de Venise di Dieudonné-Félix Godefroid e nell’affascinante Une Châtelaine en sa tour. A chi non c’era suggerisco FRANCESCONI Quartett A. Cook, R. Adams; Orchestra e coro del Teatro alla Scala, direttori Susanna Mälkki, Jean-Michaël Lavoie regia Àlex Ollé scene Alfons Flores costumi Lluc Castells Milano, Teatro alla Scala, 28 aprile 2011 Quartett a Milano mo riecheggia paradossi alla Oscar Wilde: « Love is the domain of the servants »... « Fear makes philosophers »... « Virtue is an infectious disease »... ed altrettali profonde massime da cioccolatino Perugina. « Our noble profession is to kill time », confessa a un certo punto il visconte di Valmont mettendo il dito nella piaga. E Àlex Ollé, condirettore de La Fura dels Baus, sviluppa ulteriormente il tema nelle sue note di regia: « Valmont e la Merteuil sono due personaggi archetipici: rappresentano l’alta società, o la nuova classe medio-alta di qualunque città cosmopolita [...] i cui membri si tengono ben lontani dalla realtà che ne rende possibile la sopravvivenza, estranei ai sacrifici che il mantenimento dei loro con- tinui capricci richiede all’intero pianeta ». Messa cosı̀, con approccio ecologico e forse classista, la pièce acquisterebbe ben altra rilevanza civile; peccato che dopo quasi ottanta minuti di perversità verbali, denudamenti e cross-dressing con contorno di fellatio, sodomia, stupro e veneficio, lo scioglimento si attui in chiave di mera psico(pato)logia individuale, con una crisi pantoclastica della malefica protagonista. Fatti suoi, verrebbe da dire contemplando il cruento rito di rebirth che d’altronde il Francesconi drammaturgo ha qui trapiantato in forma di pantomima dalla Hamlet-Maschine dello stesso Müller. Dove la triplice fatica dell’autore prende davvero il volo è nella parte musicale, che aderisce alla sfuggente SHEDRIN Concerto per orchestra n. 1 MOZART Concerto per oboe in K 314 CIAIKOVSKI Sinfonia n. 3 oboe Emanuel Abbühl London Symphony Orchestra, direttore Valery Gergiev Lugano, Palazzo dei Congressi, 19 maggio 2011 emozioni, a volte anche a scapito del lavoro di scavo interpretativo, come ha rivelato la parziale delusione della recente Turandot scaligera. La vitalità, che rappresenta il tratto caratteristico di Gergiev, è emersa tutta, invece, nella frenesia ritmica del divertente Concerto di Shedrin, un lavoro del 1963 molto tradizionale nel linguaggio e nello stile, tra venature neoclassiche alla Stravinski e qualche strizzatina d’occhio al jazz. musica 227, giugno 2011 Il sottotitolo, Canzonette birichine, non lascia spazio a dubbi; certo è incredibile come Shedrin abbia potuto abbracciare in tutta tranquillità l’estetica di regime del realismo socialista negli stessi anni in cui Shostakovich viveva problematicamente e tragicamente il rapporto con quella stessa estetica. La frenesia del fraseggio caratterizzava anche l’esordio della Sinfonia n. 3 di Ciaikovski. La Terza viene consi- di ascoltare il CD Naive inciso nel 2009 dalle interpreti con lo stesso repertorio. Stefano Pagliantini consistenza dei personaggi alternando il declamato atonale dagli smisurati salti di registro al recitativo arioso; i concisi spunti di aria e di duetto in stile di conversazione ai floridi abbellimenti ed altri passi vocalizzati di artificioso gusto neobarocco. Ai due antagonisti, il soprano Allison Cook (Marquise de Merteuil) e il baritono Robin Adams (Vicomte de Valmont) non mancano le necessarie doti di virtuosità né la competente presenza fisica, e nemmeno le attitudini trasformistiche per reggere un gioco scenico che prevede sdoppiamenti e inversioni di ruolo. Le loro schizofreniche pulsioni sono amplificate dal piccolo complesso collocato in fossa: una ventina di strumenti regolati con alacre gesto dalla finnica Susanna Mälkki, prima donna a calcare questo podio in 232 anni di esercizio. Dal sesto piano, invisibili agli spettatori, le rispondono una grande orchestra e un coro diffusi in sala da altoparlanti stereofonici. Con la spazializzazione elettronica curata dall’IRCAM parigino, tutte le fonti sonore si combinano e si proiettano in una sbalorditiva esperienza multidimensionale. Teatro colmo in ogni ordine e poche defezioni lungo le tredici scene dell’atto unico. Al termine gli applausi scroscianti per quasi dieci minuti non risparmiavano nessuno, ma la fetta più cospicua toccava al regista catalano, coautore a tutti gli effetti di una visionaria produzione per cui già si prevede la distribuzione su DVD. Carlo Vitali derata la più asettica tra le sei sinfonie ciaikovskiane, ma in questo caso si percepiva il ribollire di oscure forze telluriche sotto la sua superficie levigata ed elegante. È avvenuto anche nel secondo movimento, uno strano valzer dove la melodia sembra faticare a prendere slancio, del quale Gergiev ha messo in evidenza la trama sottile, quasi scheletrica. Ma qui il direttore russo era nel suo elemento naturale e con una London Symphony a disposizione il risultato non poteva che essere eccellente. Non era nel suo elemento naturale, Gergiev, in Mozart, e lo si avvertiva dal peso eccessivo degli archi, dal fraseggio a tratti rugoso, dalla tendenza a scurire ed enfatizzare quando bisognerebbe schiarire il suono e alleggerire il fraseggio. A tenere alta la temperatura emotiva del Concerto per oboe K 314 è stato cosı̀ l’ottimo Emanuel Abbühl, oboista svizzero cresciuto alla scuola di Heinz Holliger. Interprete raffi- nato e autorevole, Abbühl ha affrontato il Concerto mozartiano da gran signore, con una estrema ricchezza di dinamiche, senza eccessi sentimentali né virtuosistici, esibendo un suono di una bellezza apollinea. Luca Segalla VERDI Otello F. Armiliato, D. Dessı̀, G. Meoni, C. Cremonini, L. Montanaro, J. Edwards, S. Fournier, R. Joakim, Orchestra e Coro del Théâtre Royal de Wallonie, direttore Paolo Arrivabeni scene Carlo Sala costumi Fernando Ruiz regia Stefano Mazzonis Liegi, Teatrotenda, 19 aprile 2011 A Liegi, città culturalmente vivace che ha dato i natali a Grétry, da tempo vige, nella programmazione del restaurando Teatro dell’Opera, un’amministrazione virtuosa che si lega alla conduzione di un sovrintendente italiano, Stefano Mazzonis di Pralafera, che porta volentieri alla ribalta artisti italiani. Cosı̀ sempre più spesso anche sul palcoscenico, e non solo tra i tavoli dei ristorantini del Boulevard de la Sauvenière, si sente parlare italiano. A raccontare la vicenda del Moro di Venezia sotto un capiente tendone (il Palafenice acquistato per le necessità cittadine con 1100 posti tra cui molti occupati da giovani), c’è difatti uno stuolo di artisti extra moenia che onorano il canto italiano. Onore innanzitutto all’Otello di Fabio Armiliato, che debutta coraggiosamente nel ruolo, rivelando inaspettatamente, sin dall’exploit iniziale a freddo in tessitura acuta, doti (e carattere) imprevisti da tenore eroico, accanto alla duttile e sfumata Desdemona di una Daniela Dessı̀ ancora nel pieno della sua maturità interpretativa. Apprezzabile anche la prova, nel ruolo di uno Jago infingardo e subdolo, di Giovanni Meoni, che dopo il forfait per il Nabucco dell’O- pera di Roma a Pietroburgo, ha ritrovato con la salute la sua brunita voce. A concertare il tutto una bacchetta, quella di Paolo Arrivabeni, capace di cogliere sfumature, bagliori lividi e soverchierie del dramma shakaspeariano messo in note dal bussetano. Ma il cervello dell’operazione resta Mazzonis, che si dimostra regista lucido ed inventivo. Basti vedere come in uno spazio angusto muove a dovere nel primo atto le masse in spasmodica attesa sul molo, solcato da una cascata d’acqua nel proscenio, o come imponga una sorta di determinismo nei personaggi condotti in scena da carrelli, marionette manifeste ed inconsapevoli nelle mani del perfido Jago. Scene e costumi, colorite e vivaci, rispettivamente firmate da Carlo Sala e Fernando Ruiz, sembrano saggiamente ispirarsi alla pittura veneziana da Tintoretto a Giorgione e Veronese e conferiscono all’azione una cornice adeguatamente degna tra peristili, leoni alati di San Marco e riparate alcove: uno spazio scenico intelligentemente ridisegnato volta per volta con pochi elementi quali tendaggi, pannelli divisori o luci adeguate. Lorenzo Tozzi ROSSINI Il barbiere di Siviglia M. Zeffiri, A. Rinaldi, A. Bonitatibus, C. Senn, S. Alaimo, G. Alessi, direttore Will Humburg regia, scene e costumi Dario Fo Catania, Teatro Massimo Bellini, 10 maggio 2011 Era da tempo che il teatro catanese non offriva uno spettacolo con regia d’autore, di quelle che in un passato non lontano avevano immesso il Bellini nel circuito delle piazze teatrali italiane che contano. La presenza di Dario Fo ha concesso ora una ripartita, che ci si augura foriera di nuova linfa per questo travagliato ente a corto di denaro. Fo ha impostato il suo Barbiere, già collaudato ad Amsterdam, sulla prospettiva mimica di cui è maestro: rivisitazione di un mondo, quello della commedia dell’arte, sovente di felicissimo conio. Arlecchini, Colombine, acrobati, ballerini e perfino un somaro hanno ravvivato la parte iniziale dell’opera, Sinfonia compresa, gettando riverberi assai godibili sul rimanente: fascinosa intanto la simulazione di un veneziano barcheggio nel corso della serenata di Lindoro, con Almaviva che canta fra i rematori su una barca ondeggiante sulla laguna; e aguzzi altri episodi, vedi il duetto tra musica 227, giugno 2011 19 &dalla platea Rosina e Figaro del primo atto realizzato con la complicità di un’altalena; o la divertente citazione del Pinocchio di Comencini con cui viene tratteggiata la « febbre scarlattina » di Basilio, nel secondo atto: una compagnia di becchini rigorosamente listati a lutto che recano in scena una cassa da morto in cui sistemano il pretaccio e se lo portano via fin che Basilio non mette il naso fuori della bara per augurare al consesso riunito la buonasera. Resterebbe semmai una domanda: come mai un uomo dei trascorsi di Fo abbia puntato questa regia solo sul fatto ludico ignorando o quasi la velenosità della satira sociale rossiniana; e sı̀ che due personaggi quali Bartolo e Basilio gliene avrebbero offerto il destro. Ma è il caso di aggiungere che nessuno dei due canSembra essere un minuzioso e caparbio studio sul « suono » il campo d’indagine prediletto, oggi, da Mario Brunello, il quale ha confezionato per il recital al Quartetto milanese un programma in bilico (spirituale) tra passato, presente e futuro. L’uso di un iPhone sul quale era preregistrata una linea di bordone per i Canti armeni che concludevano la serata non ha turbato più di tanto l’uditorio chiamato, tra l’altro, ad intervenire in prima persona per accennare con la voce il bordone stesso durante il suggestivo bis. Fulcro fulcro e motore del programma restava sempre e comunque la musica di Bach. Apriva la prima parte una Suite, la maestosa Terza, seguita da uno sguardo novecentesco oltreoceano (Atlantico) attraverso la Sonata per violoncello di George Crumb, brano che iniziava con rintocchi bartokiani che lasciavano presto il terreno a materiale più autoctono, e Unlocked di Judith Weir, laCon un’artista come Sokolov ci si può aspettare di tutto, tranne l’ordinario, la consuetudine. Ci vuol molto coraggio, infatti, a chiudere un programma di recital con la Fughetta dell’opera 32 di Schumann, brano non certo adatto a scatenare le ovazioni del pubblico. Ma lo scopo di Sokolov era far notare la relazione tra Bach e Schumann, come l’uno potesse confluire nell’altro, in una sorta di ciclicità senza tempo, tale da far credere che alla fine della Fughetta si potesse ricominciare tutto da capo con il Concerto italiano e cosı̀ via, all’infinito. Un possibile ritorno a Bach, dunque, quello suggerito 20 tanti preposti alla parte era in grado di venir in soccorso di tal esigenza: l’uno per dichiarata inidoneità vocale e l’altro per annose tendenze alla gigioneria. E allora si capisce forse meglio perché il glorioso uomo di teatro abbia inteso stavolta solo divertirsi e divertire. Che non è cosa trascurabile. A supportare l’idea registica di credenziali verosimili, due nomi mi son parsi stagliarsi alla ribalta, e quello di Will Humburg, per primo: ben di rado ho ascoltato un Rossini comico di tale scioltezza narrativa, pungoli ritmici ed eleganza formale come quello del direttore tedesco e della sua fidata compagine. Subito dopo menzione d’onore ad Anna Bonitatibus, Rosina perfettamente in linea con le agilità della parte e pastosa nel co- lore. Furono le due uniche lezioni di stile della serata, a dirla tutta; perché ottime erano in tal senso anche le intenzioni dell’Almaviva di Mario Zeffiri, ma alterne le risposte pratiche: il colore è insinuante e l’estensione ragguardevole, pure l’esilità del peso rende impossibile farsi un’idea delle autentiche chances di questo tenore; e l’eccesso di variazioni, non tutte di oro zecchino rossiniano, non ha aiutato a facilitare il giudizio. In quanto al resto non c’era davvero da scialare. Comune il Figaro di Christian Senna, oltre che timbricamente inadeguato a corrispondere alla tarantolata furia dei sillabati rossiniani. E deficitario in un contesto che si proponeva l’ambiziosa carta di una prova di stile l’apporto dei due bassi, o sedicenti tali: Alberto BACH Suite n. 3 in DO CRUMB Sonata per violoncello solo WEIR Unlocked BACH Suite n. 2 in re SOKOLOVIC Vez AA.VV. Canti armeni per violoncello solo violoncello Mario Brunello Milano, Sala Verdi del Conservatorio, 12 aprile 2011 DVOŘÁK Concerto op. 104 per violoncello e orchestra CIAIKOVSKI Sinfonia n. 6 op. 74 « Patetica » violoncello Mario Brunello Filarmonica della Scala Valery Gergiev Milano, Teatro alla Scala, 21 aprile 2011 voro basato su cinque Canti di prigionieri delle regioni Mississippi (qui Brunello, con le capacità camaleontiche che gli si riconoscono, riusciva addirittura a trasformare il suo Maggini in una chitarra elettrica, con tanto di basso e base ritmica, coinvolgendo il pubblico in una sorta di entusiasmante illusione uditiva collettiva). Dopo l’intervallo ecco un’altra Suite, la più meditativa Seconda, che sapeva affastellarsi a memorie sonore, anche popolari, di culture dell’est europeo. Indimenticabile, poi, nei Canti armeni, la ricreazione del suono del duduk, strumento simile al flauto, ma ad ancia doppia come l’oboe, con un violoncello che è sembrato per più di un istante mutarsi esso stesso in un aerofono. È pur vero che il cuore emotivo del concerto non poteva che rimanere legato all’esecuzione delle due Suites bachiane, il monumento che il violoncellista veneto non ama porgere nella sua interezza in un’unica serata. È la ricerca pertinace, inesausta della linea melo- BACH Concerto alla maniera italiana; Ouverture in stile francese SCHUMANN Humoresque op. 20; Klavierstucke op. 32 pianoforte Grigory Sokolov Catania, Teatro Massimo Bellini, 20 maggio 2011 da Sokolov. Un Bach, comunque, stilisticamente lontano dal romanticismo e più affine, semmai, ai clavicembalisti francesi (Couperin) e che, nella splendida interpretazione del Concerto italiano, ha presentato stacchi di tempo più « tradizionali » (penso soprattutto all’ Andante, molto più veloce rispetto ad altre sue esecuzioni in cui era più vicino a un Adagio). musica 227, giugno 2011 La tenuta complessiva della Ouverture francese è stata a dir poco sbalorditiva. Più di mezz’ora di musica, non certo di impatto immediato, che ha tenuto letteralmente soggiogato un pubblico stregato dall’irresistibile magnetismo di Sokolov (malia che ha toccato vertici ipnotici nella Sarabanda). Con la Humoresque siamo entrati nel mondo dell’irrazionale fantastico di cui dicevamo. Ma la cosa Rinaldi è nella fase calante di una carriera lunga e rispettata, ma caratteristiche da basso buffo rossiniano non ne ha mai avute e per di più la voce è ormai incapace di reggere la bruciante corposità dei picchettati di cui Bartolo dovrebbe esibire l’apoteosi. Simone Alaimo, infine, che pur cantante rossiniano di riferimento è stato, non v’è bacchetta e regia al mondo che ne possa frenare l’istinto maramaldesco; il suo Basilio, al dunque, era il consueto spaventapasseri piuttosto che il cinico profittator di mense altrui che dovrebbe essere. Due corpi estranei, insomma, che hanno finito col decidere delle sorti ibride di questo pur brillante Barbiere; ma anche una traccia al ritrovamento di un’auspicata rinascita del teatro di Catania. Aldo Nicastro dica, la chiave di lettura ultima dell’interpretazione, mai solipsistica, di Mario Brunello, che è parso in grado di restituirci un Bach umano, vero, eppure cosı̀ etico e superiore. Qualche sera dopo al Teatro alla Scala Brunello si misurava con quel Concerto in Si minore di Dvořák che l’aveva fatto innamorare, lui giovane chitarrista, del violoncello e che aveva pure portato all’esame di diploma. Un’interpretazione brillante, ma commossa quella del solista veneto, ricca di colori, sciolta e con diversi momenti da incorniciare. Il secondo tema dell’Allegro iniziale, ad esempio, veniva reso con tale levità e tenerezza da far, quasi, dimenticare la presenza dell’orchestra, diretta in modo non invadente (ma anche poco fantasioso) da Gergiev. Nulla da eccepire, invece, sulla Patetica infuocata e disperata che chiudeva il programma, terreno d’elezione del direttore russo. Massimo Viazzo sbalorditiva e fantastica era che il tutto non era lasciato a briglie sciolte, ma dominato da una mente lucidissima e accorta, che metteva ordine nel caos apparente. E l’op. 32 non sembrava una raccolta minore di piccoli pezzi, ma si caricava di arcani e reconditi significati in grado di trascenderla. Acquistava, in breve, importanza maggiore di quanto lo stesso Schumann, probabilmente, gli attribuisse. La generosità nei bis (ben sei), ha prolungato di circa mezz’ora un recital trasformatosi in esperienza mistica. Benedetto Ciranna stresa festival 2011 Copyright Comune di Milano – tutti i diritti di legge riservati © Photoservice Electa, Milano / Luca Carrà Direttore Artistico: Gianandrea Noseda c i n q u a n t ’ a n n i d i f e s t i v a l Umberto Boccioni, Elasticità, 1912 - Museo del Novecento e Case Museo, Milano 150 anni d’Italia Sabato 23 luglio Palazzo dei Congressi - Stresa CONCERTO PER I 150 ANNI DELL’UNITÀ D’ITALIA Banda Musicale dell’Arma dei Carabinieri Massimo Martinelli, direttore Meditazioni in Musica Venerdì 29 luglio - Sabato 30 luglio Eremo di Santa Caterina del Sasso - Leggiuno SUITE PER VIOLONCELLO SOLO di J.S. Bach David Geringas Domenica 31 luglio Chiesa di S. Nicolao al Sacro Monte - Orta MUSICA SPAGNOLA DEL ‘600 Hopkinson Smith, chitarra barocca Martedì 2 agosto Rocca Borromeo - Angera PLATTI, VIVALDI Ensemble Cordia Venerdì 5 agosto Chiesa Vecchia - Belgirate VIRTUTE E CANOSCENZA De Labyrintho Note di viaggio Domenica 21 agosto Palazzo dei Congressi - Stresa ŠOSTAKOVIC, BRAHMS Alexander Toradze, pianoforte Stresa Festival Orchestra Gianandrea Noseda, direttore Lunedì 22 agosto Loggia del Cashmere - Isola Madre LONDON BRASS Martedì 23 agosto Chiesa Madonna di Campagna - Verbania UNA SERATA A CASA BACH Mercoledì 24 agosto Castello Visconteo - Vogogna ITALIAN WONDERBRASS Giovedì 25 agosto Palazzo dei Congressi - Stresa LUCIA DI LAMMERMOOR di G. Donizetti Mosuc, Osborn, Vassallo Anastassov, Liberatore Casalin, Vendittelli Ars Cantica Choir Stresa Festival Orchestra Gianandrea Noseda, direttore Il Suonar Parlante Vittorio Ghielmi, direzione e viola soprano Venerdì 26 agosto Martedì 30 agosto Palazzo dei Congressi - Stresa WEBER, BEETHOVEN, DVORÁK Leif Ove Andsnes, pianoforte Sabato 27 agosto Chiesa del S.S. Crocifisso, Collegio Rosmini - Stresa BACH: SONATE E PARTITE Isabelle Faust, violino Filarmonica della Scala Gianandrea Noseda, direttore Domenica 28 agosto Palazzo dei Congressi - Stresa WEBERN, LISZT, CAJKOVSKIJ Israel Philharmonic Orchestra Zubin Mehta, direttore Lunedì 29 agosto Giovedì 1 settembre Salone degli Arazzi - Isola Bella RACHMANINOFF SOIRÉE Pavel Berman, violino Enrico Dindo, violoncello Sabato 3 settembre Auditorium La Fabbrica - Villadossola EUROPA BAROCCA Akademie für Alte Musik Berlin Domenica 4 settembre Palazzo dei Congressi - Stresa BEETHOVEN, MENDELSSOHN Maria João Pires, pianoforte Gewandhausorchester Leipzig Riccardo Chailly, direttore Alexander Romanovsky, pianoforte Salone degli Arazzi - Isola Bella CHOPIN, BACH, LISZT Simon Trpceski, pianoforte Venerdì 2 settembre Palazzo dei Congressi - Stresa IMPROVVISANDO Villa Ponti - Arona Enrico Pieranunzi Trio con i musicisti della Masterclass di Improvvisazione APOLLON MUSAGÈTE QUARTETT w w w. s t r e s a f e s t i v a l . e u tel. 0323.31095/30459 info@stresafestival.eu Sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica Con il contributo di In collaborazione con CITTÀ DI STRESA main sponsor bancario CITTÀ DI VILLADOSSOLA CITTÀ DI VERBANIA COMUNE DI VOGOGNA Appartenente a &letture musicali Mario Brunello, Fuori con la musica, Rizzoli, Milano 2011, pp. 180, E 18,00 Paul-André Demierre, Les opéras napolitains de Rossini, Editions Papillon, Ginevra 2010, pp. 283, s.i.p. Si legge tutto d’un fiato il primo libro di Mario Brunello, scritto in modo lineare e con quel candore che gli si riconosce. « Fuori con la musica » è una raccolta di istantanee musicali legate alla carriera dell’artista veneto, ma non è solamente un libro di aneddoti. Certo, è divertente leggere del volo sul trabiccolo a motore che doveva portare il violoncellista, appena concluso un matinée, a Stoccarda per eseguire il Concerto per violoncello e orchestra di Haydn con a terra un Andrea Lucchesini che faceva gli scongiuri; oppure dell’entusiasmo collettivo che contagiava il pubblico di Belém, alle porte dell’Amazzonia, eccitazione suscitata dall’ascolto di un brano di Giovanni Sollima, con tanto di piroette e balli improvvisati sul posto; o ancora della scalata al Monte Fuji su parete verticale con l’inseparabile « Maggini » a tracolla ed esecuzione bachiana in cima. Brunello è un girovago della musica non perché perennemente in tournée, ma per una curiosità inesausta, per una ricerca instancabile dei « luoghi » della musica, spazi in cui riconoscerla, in cui riconoscersi. « Il profilo delle Dolomiti assomiglia al disegno delle note di un Preludio di Bach. Ho provato a sovrapporre il segno lasciato dalla cresta di una cima sul rigo musicale: la musica e la montagna si sono rivelate, senza saperlo, l’una con l’altra ». Per Brunello la musica e la vita si condizionano e si alimentano vicendevolmente in un rincorrersi di sinestesie cromatico-panteistiche. Su www.mariobrunello.com è possibile ascoltare tutti i brani citati nel testo (ci sono anche le esecuzioni integrali della Quarta di Bruckner e della Settima di Mahler dirette da Claudio Abbado). Questo libro utilissimo dello studioso svizzero Paul-André Demierre – attualmente produttore di trasmissioni musicali presso la Radio Suisse Romande – nacque come tesi di dottorato nel lontano 1987, e qua e là si avverte qualche eco di un’epoca in cui gli allestimenti delle opere napoletane del pesarese erano ancora avvenimenti rari. La bibliografia e la discografia, cosı̀ come la cronologia delle rappresentazioni, sono tuttavia aggiornatissime, e l’argomento viene trattato con abbondanti esempi musicali e con molti estratti da recensioni e cronache d’epoca. Demierre non limita la sua indagine a Napoli e dedica capitoli sostanziosi alla scenografia, ai costumi e alla recitazione (ed è qui che emergono le testimonianze più eloquenti), prima di passare alla materia specificamente musicale. La quale viene trattata in modo sintetico (senza fare un’analisi capillare di ogni opera), partendo dalle recensioni ottocentesche per prendere esame alcune caratteristiche dell’orchestrazione rossiniana e per mettere a fuoco la varietà espressiva della sua scrittura vocale. È questo infatti l’argomento che appassiona maggiormente l’autore, il quale aggiunge informazioni preziose sulle carriere dei maggiori interpreti e un glossario di termini tecnici per il lettori che conoscono poco il repertorio del primo Ottocento. La lingua usata da Demierre è naturalmente il francese, ma lo stile è semplice, il registro informativo. È una gioia poi leggere nella lingua originale quelle cronache teatrali di Stendhal (pur avverso al Rossini « napoletano ») che mettono a nudo per contrasto la relativa povertà (umana) della critica operistica dei nostri giorni. Il valore di questo libro è soprattutto iconografico: centocinquanta quadri, bozzetti, stampe e disegni riprodotti in modo esemplare. Testimonianze di un’epoca in cui la Francia di Napoleone (con un breve intervallo asburgico a cavallo tra i due secoli) dominava le regioni settentrionali della penisola e fece di Milano la città capitale di una prima Repubblica Italiana (1802) e poi, tre anni dopo, di un Regno d’Italia, con Bonaparte che si cingeva « in duomo della corona ferrea dei Longobardi ». Le immagini ci parlano di un’epoca decisamente portata alla celebrazione di sé, nella quale pure lo spettacolo (e di conseguenza quel Teatro dei teatri che era già la Scala) faceva la sua parte. Cosı̀ nelle illustrazioni, accanto a scene di battaglia e di feste all’aperto, a ritratti di marescialli di Francia e dello stesso Napoleone in contesti svariati, troviamo rappresentati diciotto anni di storia scaligera. Una storia di dive (spiccano i ritratti della Billington, della Grassini – amante dello stesso Napoleone – e della Colbran) e castrati, di impresari (già si fa avanti Barbaja) e scenografi (Perego e Landriani sopra tutti), ma anche di rapporti non sempre facili con il potere dominante. Non fu questa in realtà – lo si capisce bene dal racconto di Vittoria Crespi Morbio – una stagione di meraviglie musicali, anche se l’approdo scaligero di Rossini e Paganini nel biennio 1812-13 segnò l’inizio di un trentennio d’oro, ma vale la pena ripassarne la storia perché fu allora che Milano divenne « finalmente, una città europea », accesa da « una passione artistica », che avrebbe dato poi i frutti che conosciamo. Mancava, salvo errore, dalla pubblicistica italiana una monografia mascagnana cosı̀ completa e minuziosa come quella adesso approntata da Cesare Orselli. Conscio di manovrare una materia controversa, il nostro saggista evita con cura le trappole dell’agiografia ma al tempo stesso è consapevole del ruolo che spetta al Livornese nel nostro operismo: forse non di primissimo piano eppure di qualche peso, a dispetto degli indignati in servizio permanente effettivo. E oltre l’indiscussa Cavalleria, individua con giustezza in Guglielmo Ratcliff, Fritz, Iris e Parisina, i titoli che di Mascagni costituiscono il nocciolo duro, separando il grano dal loglio della sua troppo prolifica produzione. Pagine di perspicace analisi suggeriscono, mediante l’attento scandaglio della metrica, l’idea di un compositore assai più vigile ai rapporti fra musica e testo letterario di quanto la sua apparenza naı¨f non volesse far intendere (leggere, ad esempio, le osservazioni in ordine al Ratcliff). Il « capobanda » di dannunziana memoria, insomma, possedeva i suoi numeri; e l’analisi del trattamento orchestrale in opere quali Isabeau e Parisina induce a qualche non improvvida riflessione. Moltissime sono poi le notizie biografiche, sovente inedite; e uno sguardo viene meritevolmente esteso alla produzione extrateatrale, con speciale attenzione alla lirica da camera, di cui Orselli è probabilmente il più convinto indagatore nazionale. E pazienza per l’eccesso di note a piè di pagina, che distraggono e affaticano una lettura per ogni altro verso scorrevole e penetrante. Non mi pare che Orselli avesse bisogno di rifarsi una verginità presso l’accademia. Massimo Viazzo Stephen Hastings Stephen Hastings Aldo Nicastro 22 musica 227, giugno 2011 AA.VV. La Scala di Napoleone: Spettacoli a Milano 1796-1814, Amici della Scala/Umberto Allemandi & C. Milano 2010, s.i.p. Cesare Orselli, Pietro Mascagni, L’Epos, Palermo 2011, pp. 522, E 48,30 Kurt Weill, Die Legende vom toten Soldaten, für gemischten Chor a cappella, Universal Edition, Vienna 2007, E 10,50 Robert Schumann, Papillons op.2, facsimile della prima edizione 1832, con introduzione e commento di Eric Sams, Analogon, Asti 2010, pp.XIV+26, E 12,00 La Universal Edition pubblicò La leggenda del soldato morto, su versi di Bertolt Brecht, nel 1930 (pochi mesi dopo che lo Schubertchor l’aveva eseguita a Berlino in prima assoluta). Nel 2007 ha ristampato la partitura, collocando le diciannove strofe del testo originale in seconda di copertina e assegnando tre accollature corali, ben distanziate e in corpo medio-grande, per facciata: nel complesso, undici pagine che si studiano agevolmente. Cosı̀ è di nuovo disponibile una partitura del Weill più politico. Nella poesia, infatti, il Kaiser non accetta che il soldato sia morto in battaglia prima della fine del conflitto, perciò ordina di esumarne il cadavere e rispedirlo subito al fronte. Un’apposita commissione profuma d’incenso lo zombie in divisa, lo rivitalizza – alla lettera – con acquavite, lo solleva nel morale infilandogli due donne sottobraccio, e infine, facendolo scortare da una banda che lo incita con chiassosi colpi di piatti, lo conduce a una morte eroica: la seconda. Una grottesca satira antimilitarista, scritta da Brecht nel 1918 come reazione indignata ai milioni di vittime della Grande Guerra, ma anche una parabola nera sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Weill musicò la Leggenda per coro misto a cappella. Un organico trattato omoritmicamente, come un plotone che canta marciando unito al passo di 6/8. L’armonia vaga per regioni minori sempre più lontane e sinistre, ogni due battute la polifonia sbatte contro spigoli dissonanti. Una parodia senza comicità dei cori militareschi che galvanizzano gli eserciti, una traduzione in musica delle caricature di Grosz. Con questo settimo volume dell’opera di Eric Sams da lui curata, Erik Battaglia ci fa conoscere questa « revisione » postuma del grande studioso inglese, che a Schumann ha dedicato gran parte del suo lavoro. Si sa che Schumann si ispirò al romanzo di Jean Paul – « Flegeljahre » – quando scrisse i suoi Papillons, anche se già nella prima edizione aveva cancellato dal testo musicale ogni riferimento letterario. Sams, con la sua ben nota passione investigativa, ha ritrovato e chiarificato i legami tra le due opere: quella letteraria « ispiratrice » e quella musicale « ispirata », facendoci capire come dai due fratelli del romanzo di Jean Paul, Vult e Walt Harnisch, discenda la ben nota dicotomia schumanniana di Florestano e Eusebio. La lunga introduzione, che cita ampie parti del romanzo, con le annotazioni di Schumann sulla copia da lui posseduta, comprende anche un’analisi semiologica sul testo. E alla fine del testo musicale, riprodotto col facsimile della prima edizione curata personalmente da Schumann, Sams fa seguire un diffuso commento musicale brano per brano, chiosandolo con continui riferimenti letterari e preziose citazioni. Eric Battaglia nelle note al testo (da lui tradotto) fornisce preziose informazioni su Sams e aggiunge un « errata corrige » del testo musicale nella prima edizione, oltre che una bibliografia essenziale. Sperando che questa edizione non passi inosservata, cosa che potrebbe succedere in seno a un’editrice non essenzialmente musicale, la raccomando, e caldamente, a chiunque si accosti, come ascoltatore e come interprete, a questo capolavoro. Massimo Pastorelli Riccardo Risaliti &attualità & Alla Lulu di Stein il Premio Abbiati È l’allestimento dell’opera di Berg andato in scena nel 2010 alla Scala lo spettacolo dell’anno secondo la giuria del Premio Abbiati: la regia di Peter Stein viene lodata « per la bellezza e la coerenza fra messinscena e trama musicale, nella naturalezza e nel rispetto dell’articolazione scenica e degli snodi dell’azione ». Fra gli altri vincitori, segnaliamo Esa-Pekka Salonen come miglior direttore (Da una casa di morti, ancora alla Scala), Nina Stemme e il controtenore Franco Fagioli come migliori cantanti. L’opera Il killer di parole di Claudio Ambrosini (alla Fenice), è stata indicata indicata come migliore novità assoluta e il premio per il migliore solista è andato al pianista Emanuele Arciuli. www.criticimusicali.org & La Argerich dà un’impronta lisztiana al Progetto Emanuele Arciuli Per la decima volta Martha Argerich riunisce attorno a sé a Lugano, per tre settimane circa (dall’8 al 30 giugno), colleghi e amici di fama, assieme a giovani talenti, per una rassegna densa di avvenimenti che sarà incentrata quest’anno su Liszt, con la versione per due pianoforti della Nona di Beethoven, alcuni poemi sinfonici, la So- nata. Poi la Argerich eseguirà il Concerto K 467 di Mozart, Stephen Kovacevich il Quarto di Beethoven, Nelson Freire il Secondo di Chopin. Tra gli altri protagonisti, Margulis, Zilberstein, Capuçon, Maisky e il Coro della Radio Svizzera diretto da Fasolis. www.rsi.ch/argerich & Masterclass di canto con Michael Aspinall in Sicilia Dall’8 al 13 agosto 2011, a San Salvatore di Fitalia, in provincia di Messina si terrà una masterclass del cantante e musicologo Michael Aspinall, che sarà aperta a coloro che desiderano perfe- Flautista attrice, regista, drammaturgo... Intervista a Luisa Sello Fra attività cameristiche, concerti con orchestra e one woman shows, il percorso artistico di Luisa Sello, una delle migliori flautiste italiane, si snoda con fluidità in una dimensione decisamente teatrale. tù un jazzista e mi ha spinto a guardare verso altre forme musicali. Io stessa poi sono sempre stata aperta a tutte le forme d’arte, anche non musicali, compresa la letteratura, il gesto, il teatro, la scenografia: tutto quello che si fa espressione. Avendo incontrato molto presto nella mia vita la musica contemporanea, ho conosciuto anche il valore del « gesto »: una ricerca comune a Gazzelloni, tra l’altro. Dopo questo incontro mi sono dedicata a cercare forme di gestualità che si potessero abbinare in maniera forte all’espressione musicale: da qui alcuni spettacoli in cui non sono solo musicista ma divento anche attrice, regista, drammaturga. E questi spettacoli mi hanno fatto vincere un premio per l’innovazione nello spettacolo e uno per l’impresa, che sottolinea una nuova maniera di porgere la musica: si trattava del mio Pierrot solaire. Luisa Sello La scelta del flauto è stata casuale? Direi del tutto naturale. Fin da bambina sono stata attratta verso la musica e il canto e quindi, pur non essendo figlia d’arte, sono stata indirizzata dai miei genitori – che si dilettavano a cantare e fare musica in casa – ad iscrivermi al Conservatorio. Il flauto, però, è arrivato dopo, poiché ho iniziato cantando in un coro e assumendo parti da solista, e quindi studiando il pianoforte (dopo qualche esperimento con la fisarmonica). Alla fine delle scuole elementari il flauto mi ha scelto: dico cosı̀ perché all’epoca non era uno strumento molto noto, tanto che al Conservatorio di Udine eravamo solamente due allievi nella classe di flauto. Come tutti, poi, ho seguito alcuni corsi di perfezionamento sino ad incontrare quello che considero il mio vero maestro, Raymond Guiot, col quale ho studiato lungamente. Cosa Le ha insegnato Guiot? La scuola francese del flauto è la più avanzata e Guiot, che è stato allievo a sua volta di Marcel Moyse, mi ha insegnato molto sul piano tecnico: una scuola diretta, di tradizione orale, di cui oggi mi ritengo portavoce e ambasciatrice. È un metodo che ritengo infallibile, che permette a ogni allievo di superare scientificamente ogni « blocco » strumentale. Ma da Guiot ho imparato anche un modo di porsi davanti al mondo, alla musica, alla vita: non si può vivere di sogni ma occorre studiare con molta umiltà. 24 Diversa, credo, l’esperienza con Severino Gazzelloni. È stata più breve: ho studiato con lui all’Accademia di Siena e poi l’ho seguito in altre lezioni a Roma, ma quelle poche occasioni sono state per me una grande ispirazione. Ho potuto « bere » la sua solarità, il suo atteggiamento di gioia verso la musica, quel talento naturale nel fare musica che musica 227, giugno 2011 non si impara sui libri ma che lui sapeva trasmettere: per non parlare del carattere aperto, positivo. Se Guiot mi ha insegnato il rigore, la concretezza e il sacrificio, Gazzelloni mi ha mostrato il piacere di fare musica. Da Guiot viene anche lo spunto per le esperienze di contaminazione di genere. Certo, Guiot stesso è stato in gioven- È per questo motivo che ha abbandonato l’esperienza in seno a un’orchestra? Non credo: e devo dire che ne ho avute molte, dalle spedizioni punitive al suonare nell’Orchestra della Scala. Ho provato più volte a inserirmi in questo percorso, ma ho capito che non è ciò che desidero veramente. Mi trovo bene ad essere solista e a vivere secondo la mia logica, i miei tempi, coinvolgendo il mio pubblico. Mi ha detto che ha iniziato cantando: quanto c’è in comune fra l’emissione vocale e la tecnica flautistica? Molto: la respirazione è la stessa, perché impostare la voce in maschera o impostare il suono in maniera che arrivi in fondo alla sala è la medesima cosa. Inoltre, ho fatto l’esperienza zionare la tecnica e l’interpretazione del repertorio belcantistico. Sono previsti laboratori, concerti, attestati di frequenza. L’evento è inserito nel cartellone dei Corsi internazionali di musica « Nebrodi Itinerari Musicali » organizzati dall’Associazione Culturale Musicale Parthenia. www.musicaleparthenia.com; tel. 339 7451210. & I Berliner lasciano il Festival di Pasqua di Salisburgo I Berliner Philharmoniker sono in procinto di terminare la loro collaborazione con il Festival di Pasqua di Salisburgo e di cominciare un nuovo dello strumento traversiere storico proprio per approfondire le questioni legate alla respirazione: posso dire di essere diventata un’esperta delle questioni di prassi esecutiva bachiana, che ho portato sul flauto moderno. Con Trevor Pinnock ho eseguito le quattro Sonate concertanti di Bach proprio seguendo questo mio studio. Ha affermato che trova necessaria una reciproca fecondazione fra insegnamento e attività concertistica: in che senso? Nell’attività concertistica si apprendono i segreti per comunicare la musica, e quindi come trasmetterli ai futuri esecutori. Io sono anche un’insegnante di conservatorio che dovrebbe preparare i nuovi flautisti a salire su un palcoscenico. Davanti al pubblico, poi, ci si mette in discussione continuamente, si esercita la propria autocritica: un perfezionamento e un aggiornamento di sé e del repertorio che impedisce ogni stanchezza e routine. Al contrario, insegnando si ascolta in maniera molto concentrata la produzione del suono e di un’interpretazione da parte degli allievi: si può vedere allo specchio quello che si vorrebbe ascoltare da parte di un musicista. Su cosa insiste maggiormente con i suoi allievi? Certamente sul rispetto verso loro stessi, delle loro scelte: ma dietro a questo ci deve essere una ricerca che porti a un risultato, ossia sapere esprimere ciò che hanno dentro superando gli ostacoli tecnici posti dallo strumento. Chiaramente ci deve essere un bel suono, una tecnica pulita, ma soprattutto il sapere comunicare, il virtuosismo non fine a se stesso ma al servizio della musica. Qual è il Suo rapporto con il disco? sodalizio con il Festival di Baden-Baden. « Sono profondamente dispiaciuto per la decisione presa », ha affermato Peter Alward, direttore generale del festival salisburghese. « Le richieste dell’orchestra di quattro spettacoli d’opera e di una significativa estensione del programma di musica da camera e di varie attività formative, non potevano essere soddisfatte data l’attuale situazione finanziaria ». & Licenziamenti brasiliani L’Orchestra Sinfonica del Brasile ha allontanato quasi metà dei propri muIl CD Stradivarius con tutti i Concerti di Mozart [si veda la recensione su MUSICA n. 188] è stato un importante biglietto da visita per me: in quell’occasione ho scelto una chiave di lettura legata a una certa spontaneità espressiva e ai personaggi teatrali mozartiani, poiché io credo che tutta la musica di Mozart sia caratterizzata dalla presenza di personaggi, anche il Requiem. Ma non dimentico anche l’incisione in prima mondiale di una serie di manoscritti che ho trovato nelle biblioteche viennesi e italiane del periodo Biedermeier, per flauto e pianoforte. Prima di questi album ce n’erano stati altri dedicati sia al repertorio consueto da camera che a quello contemporaneo, dai compositori sloveni e croati alle prime assolute di Donatoni e altri compositori italiani. Ora mi piacerebbe dedicarmi alle pagine più celebri per flauto solo, ma anche incidere quelle sonate di Bach cui ho fatto riferimento prima (non so ancora se con un pianoforte o un clavicembalo) e i Quartetti di Mozart. Va detto che per noi flautisti è difficile trovare spazio nei cartelloni delle grandi Stagioni concertistiche, che preferiscono repertori con il pianoforte, il violino e il violoncello. Quali sono le ragioni, a Suo avviso, per cui il flauto è uno strumento cosı̀ amato dai compositori contemporanei? Si tratta di uno strumento « sperimentabile », duttile, in evoluzione continua e un custode di effetti sorprendenti: io stessa, continuando a studiare, trovo sempre nuovi multifonici, nuove soluzioni sonore. E poi è un buon conversatore, si presta ad esser suonato e parlato, suonato e camminato, suonato e gestualizzato: comunica in tutti i sensi e si lega benissimo agli altri strumenti. Nicola Cattò musica 227, giugno 2011 25 &attualità sicisti (36 su 82) dopo che si sono rifiutati di sottoporsi ad audizioni di valutazione, come richiesto dal direttore Roberto Minczuk. I musicisti ribelli avevano, per contro, chiesto la cacciata del direttore, rifiutata dal management della OSB, ed ora meditano di esibirsi autonomamente con la pianista Cristina Ortiz che, insieme a Nelson Freire, ha preso le loro parti nella disputa. tional de France sotto la bacchetta di Daniele Gatti (il 24 e 25 settembre) e dell’Orchestra Sinfonica dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia diretta da Antonio Pappano (21 e 22 settembre). www.festivalenescu.ro & Respighi a Caracalla & Il gotha musicale a Bucarest Il Festival e il Concorso Internazionale George Enescu, curati da Ioan Holender, si svolgeranno a Bucarest e in altre località romene di interesse storico-artistico nel mese di settembre. Il concerto inaugurale si terrà nella Sala Mare al Palatului, con musiche di Enescu e Shostakovich, protagonista l’orchestra residente, The Hague Phi- La Sala Mare al Palatului larmonic, diretta da Christian Badea. A questa seguiranno le esibizioni della London Symphony Orchestra (8 e 9 settembre), dei Wiener Philarmoniker (16 settembre), della Staatskapelle Berlin diretta da Daniel Barenboim (il 13 e 14 settembre), della Israel Philharmonic Orchestra diretta da Zubin Mehta con Vadim Repim solista (19 e 20 settembre), dell’Orchestre Na- Il cartellone 2011 delle Terme di Caracalla ha l’intento di esaltare la splendida scenografia naturale dell’anfiteatro romano: in tal senso va letto il concerto d’apertura del 2 luglio, con la « Trilogia romana » di Respighi diretta da Charles Dutoit e affidata alla regia di Carlus Padrissa (La Fura dels Baus). Successivamente saranno allestiti il Lago dei cigni di Ciaikovski (720 luglio), Tosca (21 luglio-10 agosto) e Aida (2-9 agosto). www.operaroma.it Udo Steingraeber: un costruttore di pianoforti a Bayreuth A poche centinaia di metri in linea d’aria dal Festspielhaus, nel centro storico di Bayreuth, davanti al monumento dedicato a Jean-Paul, sorge un austero edificio in pietra addolcito da una cancellata neorococò che si apre su un cortile adibito a spazio teatrale. All’interno, separati da un tappeto rosso, che attenua un poco lo scricchiolio dell’assito, pianoforti a coda accolgono come due ali di granatieri il viaggiatore wagneriano. Non di rado è lo stesso proprietario, Udo Steingraeber, che ancora vive con la famiglia nella casa-manifattura degli avi, ad accogliere il viaggiatore con innata cortesia e a illustrare la curiosa storia di una manifattura che segue gli artisti del Festival dalla sua nascita. tieri il pianoforte, non scrisse nulla di importante per quello strumento e, contrariamente a suo suocero Franz Che cosa significa per Lei essere costruttore di pianoforti a Bayreuth? Costruire pianoforti a Bayreuth significa... toccare il cielo con un dito! Da nessuna parte al mondo vi sono i desideri e le esigenze più disparate: qui lavorano pianisti solisti, direttori, compositori, cameristi e cantanti. Essi ci svelano l’intera gamma dei loro bisogni e delle loro aspirazioni al fine di preparare degli strumenti di qualità sempre più elevata. Ritiene che la tipica sonorità wagneriana, accentuata dall’acustica del Festspielhaus, abbia influenzato la concezione del suono di Steingraeber? Richard Wagner non suonava volen- 26 musica 227, giugno 2011 Udo Steingraeber Liszt, non diede nessun contributo alla sua evoluzione tecnica. Con un’eccezione però: le campane del Graal nel Parsifal! Per la prima rappresentazione del 1882 il mio trisavolo Eduard Steingraeber costruı̀ per Wagner un « piano a campane » con solo quattro note, quelle del motivo del Graal, appunto. Ovviamente Steingraeber fornı̀ degli strumenti alla famiglia Wagner e al Festival fin dalle primissime sessioni di prove del 1875, un anno prima dell’apertura ufficiale e, in modo indiretto, un grande influsso permane a tutt’oggi, un’influenza che, inizialmente, si faceva già sentire attraverso l’operato della cosiddetta Cancelleria dei Nibelunghi, ossia i gruppi dei copisti e dei trascrittori delle parti orchestrali. Qui si potevano incontrare personaggi come Engelbert Humperdinck e Josef Rubinstein, ma anche direttori d’orchestra (da Hans Richter fino ad arrivare a Giuseppe Sinopoli e a Daniel Barenboim) e assistenti musicali come Alfred Cortot. Tutti suonavano su uno Steingraeber e tutti davano concerti nella Rokokosaal (compreso Franz Liszt, naturalmente!). Alcuni hanno anche contribuito all’ideazione di uno Steingraeber ad hoc, influenzando cosı̀, verso la fine del XIX secolo, l’immagine sonora della marca. Engelbert Humperdinck, ad esempio, fece applicare al suo Steingraeber uno speciale pedale per il pianissimo. Gli Steingraeber erano apprezzati da Liszt. Egli suonò su un particolare modello « neorococò », ancora oggi utilizzabile. Che cosa lo spinse, secondo Lei, ad orientarsi su quel prototipo? Le ultime composizioni di Liszt sono radicali e moderne. A Liszt non occorreva più il suono sontuoso dei Romantici. Nel 1873 Steingraeber aveva iniziato a fare esperimenti con tavole armoniche insolitamente rigide: la conseguenza si traduceva in armoniche molto chiare, suoni lunghi a lento decadimento e perfettamente idonei alla polifonia. La parola d’ordine del Romanticismo era stata: « Più forte! Suoni più densi! ». Presso Steingraeber, certo, anche la dinamica si accrebbe, ma il dettato musicale rimaneva sempre trasparente all’ascolto. Liszt incontrò Eduard Steingraeber già a Vienna nel 1846 quando il giovane esordiente costruttore lavorava per la casa Streicher e seguiva le tournée del compositore ungherese. Più tardi Eduard descrisse questo periodo come « la peggiore esperienza della mia carriera » perché, durante i concerti, davanti al pubblico, doveva riparare tasti, martelli e corde devastati dal funambolico solista. Ma forse ciò costituı̀ un buon inizio per la successiva collaborazione a Bayreuth... Probabilmente Liszt conobbe la Rokokosaal con il suo moderno pianoforte solo nel 1878. Liszt era alla ricerca di un nuovo Sa- & Il Deutscher Dirigentenpreis a un italiano È il siciliano Francesco Angelico, nato a Caltagirone nel 1977, il vincitore della prestigiosa competizione tedesca per direttori d’orchestra: il premio è stato consegnato alla Konzerthaus di Berlino dopo che i tre finalisti hanno diretto l’Orchestra Sinfonica del Konzerthaus. La giuria internazionale era presieduta da Lothar Zagrosek. Francesco Angelico lon, poiché a Villa Wahnfried dal 1878 non poteva più suonare per non disturbare la quiete del Maestro... Più tardi tuttavia acquisı̀ uno Steingraeber a coda da 200 cm da piazzare a casa sua. Sembra che per l’anziano Abbé si sia trattato di una scelta molto soddisfacente: oltre che nell’intimità della sua abitazione, infatti, nel 1878 e nel 1882 egli si esibı̀ alla Rokokosaal suonando proprio su quel modello. Le ditte di pianoforti oggi tendono a evitare ai pianisti problemi di adattamento, e offrono cosı` strumenti che si assomigliano sempre di più nella meccanica e nel suono. Se è d’accordo con questa analisi, come si pone Steingraeber in un simile contesto? I buoni costruttori di pianoforti si considerano servitori degli artisti e della musica. Ne consegue che, ovviamente, ai pianisti non si riservano mai « brutte » sorprese. E ciò riguarda soprattutto la meccanica. Oggi vige un accordo internazionale sugli standard di pesatura e misura proprio per questioni legate alla meccanica e alla tastiera, e ovviamente Steingraeber si attiene ad essi. Tuttavia, per ciò che concerne la sonorità ogni manifattura dovrebbe vivere di vita propria. Le caratteristiche di Steingraeber sono molto individuali e si ispirano ancora interamente al pianoforte di Franz Liszt, con la sua forza, la sua lucentezza e la sua leggerezza. In fatto di « peso », ad esempio, noi ci allontaniamo, e non di poco, dal concetto di peso pianistico romantico. Quest’ultimo domina tuttora il mercato; anzi, oggi il suono è ancora più denso e metallico. Ma con questa tendenza all’uniformità Steingraeber, in compagnia di altre poche ditte in verità, non ha niente da spartire. Steingraeber ha brevettato un particolare dispositivo che consente un maggiore controllo della dinamica. Vorrebbe spiegarci come funziona? Lei intende le Phoenix-Agraffe, vero? Esse aumentano l’efficacia dinamica di un pianoforte fino a quasi il cinquanta percento e forniscono centinaia di armonici aggiuntivi. Tutto ciò comporta una sonorità inaspettata che raccoglie sempre più sostenitori, ma che si è fatta anche molti nemici. Per i « classici » i nostri Phoenix sarebbero indicati solo per la musica sperimentale... Anche oggi vi sono colleghi che applicano soluzioni analoghe ai loro strumenti (Wayne Stuart & Sons Newcastle e Paulello, Paris), ma Steingraeber è l’unico costruttore che offre queste innovazioni come alternativa, come seconda linea rispetto ai modelli strettamente classici. Oltre a Wagner e Liszt, quale altra musica ama Udo Steingraeber? Tutto ciò che è buona musica! Ed essa si trova in tutti i secoli e in tutti gli stili. I miei figli (Fanny di tredici anni e Alben di sedici) mi danno lezioni nel campo del pop contemporaneo, ma per me nel cielo musicale sulla terra rimangono Schubert, Scarlatti, Bach, Alban Berg e Palestrina: l’ultimo senza pianoforte, eppure per me irrinunciabile! Massimo Viazzo &attualità La polemica & Stanotte ho fatto un sogno... Aspettando Godot? un troppo celebre western, Soldier Blue, ci diceva che perfino gli indiani avevano imparato. Aspetta la corriera delle paghe del forte e svaligiala. Qui non c’è stato attacco indiano ma una leggenda metropolitana degna dei fioretti di San Francesco: quando il solito fondo statale, sempre insicuro ma alla fine fedele come la morte, sembrava proprio che questa volta avrebbe appiedato i reggimenti d’una cavalleria votata a scarse e disinteressanti battaglie, il Muti coi segni di non belligeranti ferite toccava col « Va pensiero » il cuore rigido del ministro Tremonti. È un destino: quando sulle macerie del muro di Berlino si affollarono tutti a festeggiare la pace tornata « per sempre », io piansi sui macelli che si sarebbero anzi sminuzzandosi infittiti. Questa volta avevo sperato fino in fondo che il Fondo non arrivasse e che i teatri toccassero il fondo. Forse nulla ho amato quanto il teatro d’opera; da anni lo diserto, perché il mio cuore è debole e non ne tollera il disamore. Non applico la logica triste del tanto peggio tanto meglio, ma del buono (due lire arrivate) nemico del meglio. Era l’occasione per guardarsi dintorno, sbigottiti; come il bambino che ha avuto alla fine di capricci e scorribande, dalla mamma un sonoro ceffone. Sognavo un teatro dove si ripartisse impolverati e con quel nulla che passasse il convento. La densa rete dei teatri di provincia ha mostrato una via possibile. Le & Le Duc d’Albe completato in Belgio « prime » come ritrovi rituali della classe affluente non hanno che fare con la sempre difesa, a parole, cultura. La cultura, se non si può inventare una parola meno obnubilante, non è un possesso né un atto dovuto. Scoprii il melodramma fra gente povera ed emarginata, eppure era cosa viva fra loro. Era una condizione da cui si poteva anche mettersi in viaggio. Non farei discorso diverso per l’università, di cui son stato parte e testimone. Come in quel romanzo di Morselli, Contro-passato prossimo: se avesse vinto l’Austria, nel 1918. La tecnica dei pittori di esaminare allo specchio le proporzioni di un quadro. O nell’altro di lui, Roma senza papa. Ecco, « stanotte ho fatto un sogno »: l’Opera senza Fondo. Vorrebbe dire, anche, liberarsi dei falsi amici e custodi del baccelHändel L’estrema opera donizettiana venne completata per la prima volta nel 1881 dall’allievo Matteo Salvi, il quale si prese molte libertà con il manoscritto originale. Ora l’Opera di Gand, che allestirà il titolo nel maggio 2012, ha affidato il completamento a Giorgio Battistelli. Sarà un’occasione per riscoprire questa affascinante opera, che verrà diretta da Paolo Carignani e vedrà Alexey Kudrya e Elena Mosuc nei ruoli principali. www.vlaamseopera.be « Ci siamo quasi: tra un paio di settimane il Parlamento varerà il regolamento speciale per le fondazioni virtuose », il che vuol dire finanziamenti su base triennale e facoltà di negoziare il contratto direttamente in teatro. Cosı̀ si è espresso, il 4 maggio, il sottosegretario ai Beni culturali, Francesco Maria Giro. Soltanto la Scala e Santa Cecilia beneficeranno dei vantaggi del nuovo statuto, poiché sono « gli unici due teatri a soddisfare i requisiti richiesti: pareggio di bilancio negli ultimi cinque anni, elevata produzione artistica e cospicua percentuale del contributo privato rispetto a quello pubblico ». Per i suoi dieci anni, il Festival du Lied, che si tiene nella cittadina svizzera, ha scelto come tema « I canti della Terra »: interpreti come Anna Caterina Antonacci, Sandrine Piau, Julia Kleiter, Sunhae Im, Eric Cutler e Detlef Roth, cosı̀ come l’Orchestra da Camera Friburghese, si danno appuntamento qui dal 3 al 13 luglio 2011. www.festivaldulied.ch Lo Stanley Sadie Handel Recording Prize 2011 – un premio esclusivamente händeliano ideato in memoria del grande musicologo inglese – è stato assegnato al direttore italiano Fabio Bonizzoni e al suo complesso La Risonanza per l’incisione, apparsa su etichetta Glossa, di Apollo e Dafne, una delle Cantate giovanili più at- 28 linese Annette Dasch e il duo da camera formato da Steven Isserlis e Olli Mustonen. www.helsinginjuhlaviikot.fi & Una legge speciale per la Scala e Santa Cecilia? & A Friburgo un Festival per il Lied & Un premio händeliano per Bonizzoni laio: una tavola ignuda è per costoro il più efficiente degli spaventapasseri. Nulla, del poco che in giro ci è offerto, è veramente scandaloso, uno che si prendesse un macinino d’auto e corresse per la penisola da una recita all’altra rischierebbe il collo ma non la saturazione. Ma è fuggita la Gioia. Voglio dire la zolla e il progetto, l’invenzione e il piacere di comunicare. Questi non sono optionals. Che male ci sarebbe a tornare allo stadio fuggendo le partite dei divi superpagati e delle classifiche precombinate? Se vuoi goder il gioco riparti dalla serie B e C. Come dai western di serie Z, gli unici insostituibili. Si vedevano con 20 lire. Il teatro « di cultura » apre i battenti trecento sere all’anno. Siamo anche in questo anomalı´a europea. Marzio Pieri & Uto Ughi inaugura il Festival di San Leo traenti: una « perfetta conclusione per l’ambizioso progetto di Bonizzoni di registrare tutte le Cantate con stromenti di Händel appartenenti al periodo italiano ». & Grande musica a Helsinki Torna, verso la fine dell’estate (19 agosto-4 settembre), il Festival di Helsinki, che nel suo cartellone acco- musica 227, giugno 2011 glie le più diverse manifestazioni artistiche, in un entusiasmo che coinvolge l’intera città e che culmina, il 26 agosto, nella « notte delle arti », un happening che dura fino alle prime luci dell’alba. La parte musicale vede la presenza del’Orchestra della Radio Finlandese (Seconda di Mahler diretta da Ingo Metzmacher) e l’Orchestra Filarmonica di Helsinki, ma anche di artisti ospiti come Jordi Savall, il pianista cinese Yundi Li, il soprano ber- Sarà nella splendida cattedrale di San Leo, sulle note di Vivaldi, che Uto Ughi aprirà – il 4 luglio – con i Filarmonici di Roma il Festival di S. Leo, la perla del Montefeltro. Il festival, risorto nel 2010 dopo una lunga pausa, prevede, tra l’altro, una Maratona Liszt con i pianisti Marco Forgiane e Manuel Clerici e un’esecuzione della Petite Messe Solennelle di Rossini, con il Coro Petrassi. Per informazioni, tel. 800553800. & Registrazioni gratuite alla Library of Congress La statunitense Library of Congress ha lanciato « National Jukebox » (www.loc.gov/jukebox), un sito che dà accesso libero ad oltre diecimila registrazioni effettuate tra il 1901 e il 1925 e che derivano dagli archivi RCA e Columbia, spaziando da Al Jolson a Enrico Caruso, Rachmaninov, Nellie Melba e George Gershwin. Vi troverete anche la scansione completa dell’impagabile « Victrola Book of the Opera », del 1919. & Menotti ricordato nel paese di nascita Per ricordare il centenario della nascita di Gian Carlo Menotti, dal 7 al 10 Luglio 2011, il paese di Cadegliano, in provincia di Varese, si trasformerà in un luogo d’arte. Il programma del Festival, totalmente dedicato al com- negli ultimi tre anni hanno trovato in uno strumento musicale un tesoro, anzi, una « Pepita »: tale è il nome del progetto di Children in Crisis Italy che, ispirandosi al modello di Abreu, ha l’obiettivo di creare un’orchestra giovanile classica nel capoluogo lombardo, offrendo gratuitamente l’opportunità di ricevere un’istruzione musicale e di far parte di un’orchestra. La partecipazione al progetto Pepita non prevede una esperienza musicale pregressa, non intende formare professionisti ma un’orchestra musicale su base amatoriale. Con oltre mille ore di insegnamento musicale, quattordici docenti appassionati e soprattutto, l’assiduo impegno di ottanta giovani milanesi e delle loro famiglie, i risultati sono già visibili e l’Orchestra si è già esibita in diverse occasioni e in teatri importanti di Milano, come il Teatro dal Verme e il Teatro degli Arcimboldi. www.childrenincrisis.it & Alberto Veronesi e Fabio Vacchi al Petruzzelli Il Consiglio d’Amministrazione della Fondazione Teatro Petruzzelli di Bari ha nominato ufficialmente Alberto Veronesi direttore musicale del teatro, mentre Fabio Vacchi sarà compositore residente dal 2012 al 2016. & Padova celebra Teresa Rampazzi Gian Carlo Menotti Teresa Rampazzi è stata la prima donna in Italia a occuparsi di musica elettroacustica e di computer music. Una bad girl degli anni cinquanta, amica di Cage, Maderna, Bussotti e Donatoni, con il suo lavoro ha for- positore, celebrerà tutte le arti nelle piazze, nei parchi e nelle ville Liberty del paese. www.cadeglianofestival. com & A Muti il Premio Principe delle Asturie Oltre ai premi di cui si parla nell’intervista con Alberto Cantù, Riccardo Muti ha ricevuto il prestigioso riconoscimento spagnolo per la sua vocazione di ricerca e per la formazione umanista che « fa onore alla tradizione classica del direttore capace di estrarre lo spirito di ogni opera attraverso le migliori qualità dell’orchestra ». & Il progetto Pepita Sono già ottanta i ragazzi milanesi tra gli otto e i diciannove anni che Teresa Rampazzi musica 227, giugno 2011 29 &attualità mato e influenzato gli odierni protagonisti della scena musicale italiana. Nei dieci anni dalla sua scomparsa l’Università di Padova e il Conservatorio la ricordano il 21 giugno 2011, con una giornata di testimonianze, interventi a carattere scientifico, ascolti e proiezioni inedite. zart proposta da Pappano a Roma, il ritorno di Maurizio Pollini, con Mozart, per festeggiare il suo settantesimo compleanno (a gennaio) e l’esecuzione della Prima Sinfonia di Elgar, partitura stranamente assente dai repertori delle nostre orchestre. Importante si preannuncia la serata del 20 novembre, quando Claudio Abbado unirà le forze della sua Orchestra Mozart e quelle di Santa Cecilia nell’esecuzione delle musiche di scena per il Re Lear di Shostakovich, insieme alla proiezione del film di Grigory Kozincev. E non va dimenticato il periodo di residenza, in novembre, dell’Orchestra del Mariinksy con Valery Gergiev, che completerà il suo progetto mahleriano, né la presenza, nel corso dell’anno, di musicisti del calibro di Maazel, Kissin, Dudamel, Conlon, Luisi, Temirkanov. Tutto il & Santa Cecilia apre con l’Ottava di Mahler Sarà la Sinfonia « dei mille » di Mahler (di cui parla Riccardo Cassani su questo numero) a dare il via, il 22 ottobre, al cartellone 2011-12 dell’Accademia di Santa Cecilia, sotto la bacchetta di Antonio Pappano. Per l’occasione, al Coro ceciliano si unirà il China National Chorus. Fra gli appuntamenti successivi segnaliamo la prima esecuzione del Requiem di Mo- Antonio Pappano Ci hanno lasciato Alda Noni Scrive Gianni Gori: Sabato 14 maggio a Cipro, dove da anni viveva, con la figlia, si è spenta ALDA NONI, leggendaria protagonista della lirica tra gli anni quaranta e sessanta, uno dei più celebri sopranisoubrette del Novecento, indimenticabile nei ruoli mozartiani e 30 donizettiani. Era nata a Trieste il 20 aprile 1916. Esordiente nel 1936 al Teatro Verdi nella parte di Biancofiore in Francesca da Rimini di Zandonai, aveva poi cantato a Lubiana nel 1937 (Rosina nel Barbiere di Siviglia). Nella Trieste della mia remota infan- musica 227, giugno 2011 zia Alda Noni era un mito. Era la Diva in formato paggio-Oscar, l’incarnazione della giovinezza in forma canora, la voce scintillante d’oro filato in un cast che nei foschi anni di guerra poteva esprimere persino un’autarchia di lusso: Tatiana Menotti, Rodolfo Moraro, Franca Somigli, Giovanni Vojer, Rina Pellegrini, Silvio Maionica. E la Noni appunto. L’ascoltavo e la vedevo non solo a teatro. E ancora la rivedo nel ricordo attraversare un giardino: quello che la mia famiglia ha condiviso per molti anni con la famiglia del direttore d’orchestra Nino Verchi, pianista e talento formidabile. L’immagine è quella ventenne di Alda Noni (viene spesso in casa Verchi, con altri colleghi, a preparare le sue interpretazioni). Alda ovvero Adina o meglio ancora la femminilità temperamentvoll, l’incarnazione composita di Assia Noris e Marika Rökk impastata di sensuale simpatia. Già consacrata a Vienna, prepara l’Elisir che sarà diretto dallo stesso sovrintendente del Verdi: Giuseppe Antonicelli. Sfarfallano trilli e vocalizzi tra gli alberi del giardino. Idillio musicale al profumo di tiglio. La Noni irradia spigliate seduzioni come una figurina di Schnitzler vestita da Dudovich. E fila suoni vispi, asprigni e zuccherini. Niente di più lontano dai sibili delle bombe che presto squarceranno la primavera. Se ne va su e giù, la Noni, per l’Europa in fiamme. Ha appena dato voce, rassicurante, ammiccante a un film di Géza von Cziffra dove canta « Kauf dir einen bunten Luftballon ». Tre settimane prima che le bombe squarcino la Staatsoper di Vienna, emozio- na Richard Strauss, cantando una Zerbinetta incandescente di arguzia e fantasia, ancora documentata da una leggendaria registrazione discografica. Il vecchio maestro non riesce a trattenere un sonoro « bravo! » al termine dell’aria asperrima. Per vent’anni la sua tecnica adamantina, la sua sensuale malizia, la sua musicalità assoluta unita allo sbalzo quasi visivo della parola e del sorriso intrecceranno modelli stilistici insuperati: Norine, Zerline, Despine, Rosine, Gilde, Nannette, Laurette. Accanto a partner stellari, da Mariano Stabile e Sesto Bruscantini a Cesare Valletti e Giuseppe di Stefano. Nello charme della sua personalità brillava la civiltà mitteleuropea della Leggerezza, che la Noni aveva in comune con l’intelligenza di artiste come Irmgard Seefried o come l’amica Elisabeth Schwarzkopf, che proprio a Trieste aveva rivisto alla fine degli anni settanta durante una memorabile master class sul Lied romantico, alla quale aveva preso parte anche la figlia della Noni, il soprano Tiziana Sojat. Tra le incisioni del soprano segnaliamo, oltre all’Ariadne viennese diretta da Karl Böhm ( DG ), Don Pasquale, L’elisir d’amore Il matrimonio segreto e Le nozze di Figaro realizzate per la Cetra, un Falstaff dal vivo con De Sabata alla Scala (Memories) e la Cenerentola di Gui realizzata a Glyndebourne per la EMI. In DVD si trova il Don Pasquale televisivo con Valletti e Italo Tajo (Hardy) e un Elisir d’amore giapponese del ’59 accanto a Ferruccio Tagliavini (Encore). Un’intervista con la Noni è stata pubblicata sul n. 181 di MUSICA. programma è leggibile su www.santacecilia.it & Una giornata in ricordo di Paolo Silveri Il 14 giugno si terrà, al Conservatorio « A. Casella » dell’Aquila, una giornata in ricordo del baritono abruzzese Paolo Silveri a dieci anni dalla scomparsa, con la partecipazione di Mariella Devia. Il programma prevede una conferenza che ripercorrerà la carriera di Silveri, quindi una conferenza stampa di presentazione di una ra barocca di Hopkinson Smith, con Ensemble Cordia e con De Labyrintho. La parte centrale del Festival, che quest’anno porta il titolo « Note di viaggio » (21 agosto-4 settembre) apre con l’Orchestra del Festival diretta da Gianandrea Noseda (musiche di Shostakovich e Brahms) e termina con l’Orchestra del Gewandhaus guidata da Riccardo Chailly. Non manca, poi, il consueto appuntamento con l’opera in forma semiscenica: quest’anno la Lucia donizettiana. www.stresafestival.eu & Musica ad alta quota in Trentino Paolo Silveri serie di iniziative editoriali e discografiche. Per finire, alle 18.30, il concerto della Devia e di Silvia Silveri, figlia del baritono. & Il violoncello di David Geringas per lo Stresa Festival Le Settimane Musicali di Stresa arrivano al cinquantesimo anno: un traguardo prestigioso, che un cartellone ricchissimo celebra degnamente. Si parte con la sezione « Meditazioni in musica » (29 luglio-5 agosto) e l’integrale delle Suites per violoncello all’Eremo di Santa Caterina del Sasso a Leggiuno, con il lituano Geringas come solista, e si prosegue con la chitar- Si terrà al cospetto delle Pale di San Martino di Castrozza, nella Valle di Primiero, da lunedı̀ 4 a sabato 9 luglio 2011 la sesta edizione del Primiero Dolomiti Festival Brass, rassegna trentina dedicata alla musica per ottoni. Il concerto inaugurale sarà affidato al Bozen Brass (4 luglio), quintetto d’ottoni sudtirolese il cui repertorio spazia con disinvoltura dal barocco al blues. Il giorno dopo toccherà al duo Rava-Bollani conferire una nota jazz al cartellone, mentre chiudono la manifestazione i concerti del Quintetto d’Ottoni e Percussioni della Toscana (8 luglio) e del Piazza Brass Ensemble (9 luglio). www.primierodolomitifestival.it & Un omaggio a Giuseppe Valdengo A Casale Monferrato, città in cui visse a lungo il grande baritono, è stato intitolato a Giuseppe Valdengo il ridotto del Teatro Municipale, alla presenza della vedova Maria. Si tratta di un salotto di gran classe, calato nel centro del mondo musicale piemontese, David Geringas Giuseppe Valdengo con oggetti di teatro, spartiti, cimeli e costumi di scena. Nel corso della serata inaugurale, il 5 maggio scorso, si sono alternati momenti di rievocazione storica (a cura di Giancarlo Landini) e testimonianze di grandi colleghi di Valdengo, fra cui Rolando Panerai e Carlo Bergonzi. &vetrina a cura di Nicola Cattò novità e curiosità dal mondo del disco Nella barra posizionata sotto ogni disco è indicato il distributore di ogni etichetta discografica Aleksis Kivi, opera del 1996 di Rautavaara, è dedicata all’omonimo poeta finlandese, morto a soli trentotto anni e considerato lo scrittore nazionale per eccellenza: il libretto, che attinge ai suoi testi, mescola con sapienza tragedia, umorismo e fantasia. Nel DVD della ONDINE il ruolo del titolo è impersonato dal baritono Jorma Hynninen. Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb) Spettacolo storico, questo che finalmente possiamo gustare in video nel DVD ARTHAUS: la Turandot viennese del 1983, infatti, vedeva alla guida dei favolosi Wiener Philharmoniker un Maazel all’altezza del suo talento e sul palco la grande Eva Marton, una Ricciarelli che tornava al « suo » ruolo di Liù e un Carreras ancora ammaliante. Ducale, Brebbia (Va) 32 Il Motezuma di Vivaldi, che debuttò a Venezia nel 1733, è un’opera piuttosto originale: non si parla d’amore, ma dell’oppressione di una cultura, e il protagonista appare piuttosto sbiadito innanzi al potente tratteggio del personaggio di Mitrena. In prima mondiale in DVD ce lo propone ora DYNAMIC, con la regia di Stefano Vizioli. Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb) Nell’anno mahleriano, EUROARTS ci propone un film sul compositore boemo: una lettura realistica, aliena da miti e suggestioni romantiche, che accosta suoni, colori, immagini come Mahler stesso li visse e li conobbe. La vita del compositore è raccontata tramite i suoi oggetti, rievocando l’anima di un uomo, e non un monumento. Ducale, Brebbia (Va) musica 227, giugno 2011 Opera affascinante e misteriosa, la Donna di picche di Ciaikovski sa unire gli accenti spettrali della contessa che muore sussurrando un minuetto di Grétry e un intermezzo pastorale in stile mozartiano: da gustare ora nella qualità del BLU-RAY OPUS ARTE in un allestimento con la regia di Gilbert Deflo che proviene dal Liceu di Barcellona. Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb) La musica di Mozart è spia infallibile del valore di un cantante: azzeccata, quindi, appare la scelta del giovane soprano tedesco Mojca Erdmann la quale, per il suo debutto con DG, sceglie una serie di arie mozartiane e di compositori contemporanei, quali J.C. Bach, Holzbauer e Paisiello. Andrea Marcon dirige La Cetra di Basilea. Universal Music Italia, Milano Il progetto del balletto La petite danseuse de Degas, che ARTHAUS ci presenta in DVD, nasce dall’idea di tradurre l’intrinseca modernità di questa storia ottocentesca tramite la musica e la danza. Un’idea che ben presto si è sovrapposta all’esplorazione dell’Opéra di Parigi, luogo simbolo della fusione fra sublime e grottesco. Ducale, Brebbia (Va) Il ventottenne montenegrino Miloš Karadaglić è uno degli astri nascenti della chitarra. Ha tenuto concerti applauditissimi alla Wigmore Hall, al Festival di Lucerna. Naturale conseguenza è l’album di esordio con DG, che contiene alcuni dei brani più celebri del repertorio chitarristico e un DVD bonus di 30 minuti. Universal Music Italia, Milano Giunge a compimento l’integrale quartettistica beethoveniana che gli Artemis hanno inciso per VIRGIN: in questo CD ascoltiamo due fra i primi quartetti (nn. 3 e 5 dell’op. 18) e l’estrema op. 135, composta nell’ottobre 1826, ultima composizione di Beethoven a essere portata a termine. Un traguardo invidiabile per l’ensemble cameristico. Emi Music Italy, Milano Dopo il successo dell’album dedicato a Mendelssohn, lo Swiss Piano Trio torna a incidere un SACD per AUDITE, questa volta scegliendo l’op. 63 e l’op. 80 di Schumann: si tratta di brani complessi, che richiedono agli esecutori un dominio tecnico assoluto per poter esaltare le delicate sfumature e i legami interni della musica. Sound and Music, Lucca Dopo la Creazione nel 2009, Sir Colin Davis e la London Symphony Orchestra affrontano l’altro grande oratorio di Haydn, ossia Le stagioni, che dipinge il ciclo vitale della natura tramite gli occhi di tre contadini. Un cast di grande prestigio, in cui spicca Miah Persson, per questi due SACD a prezzo speciale dell’etichetta LSO LIVE. Sound and Music, Lucca Ariodante è uno dei maggiori capolavori di Händel, composto nel 1735 per le eccezionali voci del castrato Carestini e della primadonna Strada del Pò: alla fortunata discografia si aggiunge questa nuova incisione VIRGIN, che promette scintille grazie a un cast in cui spicca la stella di Joyce DiDonato. Dirige l’esperto Alan Curtis. Emi Music Italy, Milano In prima incisione mondiale SUPRAPHON ci propone alcuni concerti di Antonı́n Reichenauer, compositore ceco del periodo barocco che, dopo Fasch, fu compositore di corte al servizio del conte Morzin. Musica Florea è l’ensemble che, nel CD, esegue questi lavori concertanti, la cui ricchezza timbrica colpirà chi non li conosce ancora. Sound and Music, Lucca HYPERION ci offre, in due CD al prezzo di uno, l’integrale delle sonate per flauto di Bach nella lettura di Lisa Beznosiuk. Scritti fra il 1720 e il 1741, anni in cui il flauto dritto veniva sostituito da quello traverso, questi lavori sono una celebrazione delle possibilità timbriche e tecniche del nuovo strumento. Sound and Music, Lucca Il Falstaff napoletano del 1961 è ben noto a tutti gli appassionati, per il parterre de roi in cui convivono Tito Gobbi nei panni del protagonista, Renata Tebaldi e Mirella Freni come Alice e Nannetta d’eccezione, nonché Renato Capecchi e Fedora Barbieri. Serve altro per consigliare i due CD a prezzo di uno curati da URANIA? Sound and Music, Lucca Sound and Music, Lucca Del catalogo di Florent Schmitt, oggi piuttosto dimenticato, solo La tragédie de Salomé viene ancora oggi eseguita: ed è proprio questo poema sinfonico, composto per piccola orchestra, che è inciso sul CD CHANDOS, assieme al Salmo 47 e a Le palais hanté, tratto da un racconto di Poe. Dirige Yan Pascal Tortelier. Sound and Music, Lucca Steve Reich è certamente il padre del minimalismo contemporaneo, ma anche una fonte di ispirazione per musicisti pop e rock come Brian Eno; nel SACD CHANDOS – in offerta fino al 31/7 – ascoltiamo il suo più importante lavoro sinfonico, The Desert Music, per coro e grande orchestra, ispirato dall’atmosfera del deserto del Mojave. Sound and Music, Lucca I CD di Jordi Savall sono anzitutto il frutto di un meditato progetto artistico: e dopo il successo di L’orchestra di Luigi XIII (Philidor l’Aisné) e L’orchestra del Re Sole (Lully), il musicista catalano sceglie, sempre per ALIA VOX, di dedicarsi a Rameau, incidendo, con L’orchestra di Luigi XV, quattro suite orchestrali del francese. Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb) I tre CD a prezzo speciale di URANIA sono il prezioso risultato di una sinergia, realizzatasi negli anni ’50, fra Rca e Decca, che ha permesso questo Don Giovanni dal cast irripetibile: troviamo infatti il nobile seduttore di Cesare Siepi, il favoloso Ottavio di Cesare Valletti, oltre a Fernando Corena, Leontyne Price e Birgit Nilsson. Philippe Herreweghe torna, con la sua etichetta PHI, ai Mottetti di Bach, dopo molti anni dalla sua prima incisione: alla luce delle ricerche più recenti, Herreweghe ha fatto piazza pulita degli arbitri incrostatisi negli anni, per riportare in vita le pratiche esecutive in vigore a Lipsia negli anni della composizione di questi brani. Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb) musica 227, giugno 2011 33 Con questo CD i Sixteen iniziano, su etichetta CORO, una collana dedicata a Palestrina, ogni volume della quale sarà incentrato su di una messa e su un tema ad essa attinente: si parte quindi con l’Assunzione e alcuni fra i ventinove arrangiamenti del Cantico dei Cantici, che nel Rinascimento erano usati come lodi alla Vergine Maria. Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb) In prima mondiale l’incisione (per CAPRICCIO) della colonna sonora di Metropolis, celeberrimo film di Fritz Lang che oggi finalmente può dirsi completo grazie al ritrovamento di una bobina mancante: Frank Strobel (che la eseguirà anche il 5/6 alla Scala) con l’Orchestra della Radio di Berlino ne offrono una versione emozionante. Ducale, Brebbia (Va) Senza fare una classifica, è indubbio che la Seconda di Mahler sia una delle sinfonie più registrate di questi ultimi anni, forse per il suo carattere tormentato che sfocia in un finale di speranza: da LPO giunge ora la stuzzicante lettura di un grande, giovane talento, ossia Vladimir Jurowski, che del complesso è direttore stabile. Codaex Italia, Milano 34 Il CD RICERCAR è dedicato allo sconosciuto Giovanni Giorgi, maestro di cappella a San Giovanni in Laterano nel 1719 e morto a Lisbona nel 1762: la scoperta della sua musica è stata un colpo di fulmine per il giovane direttore argentino Leonardo Garcı́a-Alarcón, che ha scelto una Messa concertante e vari mottetti tratti dall’ampio catalogo. Jupiter, Verbania Fondotoce (Vb) Meredith Monk è un’artista che occupa un ruolo centrale nel catalogo ECM. Questo nuovo atteso album arriva dopo Impermanence del 2007. Con l’impiego di un quartetto d’archi, due gruppi vocali e percussioni, oltre alla propria voce, Songs of Ascension (ispirata a una raccolta di salmi) è tra le sue più ambiziose avventure musicali. Ducale, Brebbia (Va) E dopo la Seconda, ecco la Terza, altra grande favorita dei cataloghi discografici: e benché in musica non si possano mai prevedere gli esiti, ci sentiamo di dire che affidarla a Mariss Jansons e all’Orchestra del Concertgebouw – il complesso mahleriano par excellence – sia davvero la miglior scelta possibile. Un disco RCO LIVE. Codaex Italia, Milano musica 227, giugno 2011 L’ensemble El Mundo continua nella sua opera di diffusione della musica antica spagnola: questa volta, nel CD DORIAN, il direttore, il chitarrista Richard Savino, ha posto l’obiettivo sull’influenza della cultura castigliana nei paesi limitrofi e attraverso l’Atlantico, mescolando umori e tendenze autoctone con la tradizione cattolica. Ducale, Brebbia (Va) Questo CD della QUARTZ contiene una raccolta di lavori pianistici di Michael Nyman, uno dei compositori britannici più celebri, e guru del minimalismo in musica, suonati da Ksenia Bashmet, figlia del celebre violista Yuri. Non manca il tema del celebre film Lezioni di piano: sono presenti, insomma, tutti gli ingredienti del successo! Codaex Italia, Milano « Ho sempre pensato che la mia prima incisione sarebbe stata dedicata a Liszt, l’unico in grado di presentare le varie sfaccettature della mia anima », scrive la georgiana Khatia Buniatishvili sul suo album di debutto con SONY che, naturalmente, all’ungherese è dedicato: fra le pagine scelte, la grande Sonata e il vorticoso Mephisto Waltz. Sony Music, Milano Al di là delle ormai fugate dicerie sulla sua responsabilità nella morte di Mozart, rimane il fatto che Antonio Salieri fu compositore di corte per una trentina d’anni a Vienna: il motivo lo si capisce benissimo da questo CD CAPRICCIO, che contiene due concerti e la Sinfonia « La Veneziana », che rivelano il talento di un grande operista. Ducale, Brebbia (Va) Su SACD NEOS un’importante incisione di due lavori di Niccolò Castiglioni, ossia la pagina sinfonica Altisonanza e l’oratorio Le favole di Esopo; scomparso nel 1996, Castiglioni attraversò nel suo percorso l’esperienza dodecafonica e lo strutturalismo, per giungere ad un linguaggio personale, libero e dalla strumentazione luminosa. Codaex Italia, Milano Un CD graditissimo questo proposto da SONY, dedicato al sigaro: l’Ensemble Huelgas ha scelto sedici fra Lieder, ballate e canzoni degli ultimi cinque secoli che provengono dalle tradizioni cubane, spagnole, francesi, inglesi e tedesche, tutte in onore del sigaro e del tabacco. Non resta che lasciarsi sedurre dall’aroma! Sony Music, Milano Il Nazismo e i Berliner. La storia di uno sfruttamento reciproco. “Vale la pena leggere il libro di Misha Aster per ragioni che vanno ben oltre l'interesse verso la storia dei Berliner Philharmoniker” (Frankfurter Allgemeine) “Ha raggiunto il suo scopo, quello di una rappresentazione completa, supportata dai fatti, delle relazioni tra due unità collettive, ossia l'orchestra e il regime nazionalsocialista” (Süddeutsche Zeitung) “È incredibile che un libro del genere non sia uscito molto prima” (Die Welt) Misha Aster L’Orchestra del Reich I Berliner Philharmoniker e il Nazionalsocialismo Presentazione di Claudia Fayenz pag. XII+340, cartonato, euro 25,00 Nel 1933, quando Hitler viene nominato cancelliere del Reich, i Berliner Philharmoniker sono in gravissima crisi economica: ma Joseph Goebbels, potentissimo neo-ministro per l’educazione del popolo e la propaganda, intuisce che l’orchestra può essere un formidabile strumento di propaganda. Decide quindi non solo di salvarla, ma di farne una branca del proprio ministero: i musicisti, da imprenditori, diventano dipendenti pubblici, perdendo la propria indipendenza ma acquisendo dei privilegi inauditi fra cui salari regolari e generosi, prestigio, fama e – più importante di tutti – l’esenzione dalla leva militare. Il libro dello storico canadese Misha Aster è il primo tentativo di far luce su questo singolare rapporto di sfruttamento reciproco fra l’orchestra e il Nazismo, attraverso un’analisi scrupolosa, documentata e imparziale degli aspetti culturali, sociali, economici e politici, con un occhio di riguardo verso la figura di Wilhelm Furtwängler, la cui ambiguità nei confronti della barbarie nazista riflette in maniera esemplare la ricchezza di sfumature del rapporto fra arte e politica di quegli anni. Uno squarcio storico affascinante e attualissimo, documentato e obiettivo. DISPONIBILE DAL 20 GIUGNO 2011 Zecchini Editore Troverete il libro: nelle migliori librerie, on-line visitando il sito www.zecchini.com, oppure potete usufruire del modulo d’ordine contenuto nell’ultima pagina della rivista DIRETTORI Incontro con Riccardo Muti, tornato a Ravenna per Pasqua. Una chiacchierata quattro giorni dopo il rientro da New York: Carnegie Hall, Chicago Symphony, concerti trionfali con venti minuti di standing ovations. Conversazione con Riccardo Muti Un amore « da matrimonio » con la Chicago Symphony di Alberto Cantù Nel colloquio Chicago è come la madeleine proustiana. Fa riandare l’interlocutore a remoti decenni statunitensi che dal passato volgono al presente. Ne nasce un gioco continuo di rimandi, sul filo del ricordo o della riflessione, fra USA e Italia, grande musica e grandi problemi della musica. Negli anni settanta, quando iniziò la mia avventura americana, diressi numerose orchestre tra cui la Chicago, la Boston Symphony e la Philadelphia Orchestra. Con la Philadelphia fu amore forte e improvviso. Si sviluppò in una serie di concerti estivi. Un’intesa estiva, o meglio un violento atto d’amore; un legame durato dal 1972 al 1992 e coronato da una pubblicazione ad hoc e a ricordo (« I venti anni di Riccardo Muti alla Philadelphia Orchestra »). Dal 1976 Riccardo Muti fu direttore principale ospite – dopo il regno di Eugene Ormandy durato più di quaranta anni – e dal 1979 direttore musicale e artistico del complesso statunitense. Con un mare di dischi per la EMI – praticamente tutto il grande repertorio sinfonico – riversati su CD, raccolti in cofanetti, oggi allegati pure a riviste ed esposti festosamente in edicola. Nell’86, quando fui nominato direttore musicale alla Scala, ritenni opportuno lasciare Filadelfia. Sarebbe stato troppo gravoso seguire seriamente due istituzioni: una basta e avanza. Poi, quando lascia la Scala nel 2005, la libertà... Mi sono trovato alla testa dei Wiener Philharmoniker e con oltre orchestre in tournée a New York e altrove. In giro, finalmente, senza preoccupazioni, dopo essere stato a lungo direttore stabile, con tutto il carico di impegni che questo comporta. Ho potuto insomma gustare la libera attività; assaporarla con i vantaggi che offre: tempo di cui puoi disporre come vuoi, senza appuntamenti fissi, senza attività amministrative sulle spalle. Insomma. Me ne andavo a dirigere a Salisburgo come a Vienna in santa pace. Potevo tornare a capo dei Filarmonici berlinesi con cui avevo avuto un rapporto strettissimo fino alla morte di Karajan. Non pensavo più a un « futuro americano » anche se dirigevo regolarmente negli USA oltre che per l’Europa. Mi 36 musica 227, giugno 2011 accorsi però, negli spostamenti europei, che a Parigi e a Londra, ad esempio, veniva sistematicamente a farmi visita la presidente dell’orchestra di Chicago, Deborah Rutter. La Rutter mi chiese di dirigere concerti con la sua orchestra, anche di seguirla in una tournée. A dire il vero, non ne avevo molta voglia. Tra l’altro, per due volte mi ero trovato a declinare la proposta di direttore stabile della New York Philharmonic e la situazione diventava imbarazzante: no a New York, si a Chicago... mah? Mi pesava, poi, l’idea di ulteriori viaggi oltre Atlantico. Ancora. Non avevo più desiderio di incontrare nuove orchestre, visto che lo avevo fatto sempre: dagli anni di gavetta – quelli che non esistono più per i direttori d’oggi – ai decenni con i colossi del sinfonismo. L’insistenza della Rutter ma anche Chicago, città sul lago Michigan di bellezza straordinaria, con una grande storia e nuove splendide architetture cresciute in questi ultimi anni, con Enrico Fermi, cui è dedicata parte dell’Università, che lı` compi il primo esperimento nucleare. Chicago ovvero la svolta. Infatti. Dopo trent’anni anni di vincoli, mentre pensavo a concerti « normali ma senza matrimonio alcuno », la tenacia della Rutter e il fascino di Chicago hanno avuto la meglio. Misi in programma, per il primo concerto-esperimento, la Sesta Sinfonia di Ciaikovski: la Patetica. Tempo poche battute, trovai una rispondenza, un voler lavorare appassionato, unici. Questo dopo esserci studiati reciprocamente come fanno gli animali e come peraltro capita con qualsiasi grande direttore e grande orchestra quando si incontrano e vogliono verificare se quanto hanno letto e ascoltato o sentito dire corrisponde o meno a verità e come. Mi accorsi subito di qualcosa di straordinario. Ogni cosa che chiedevo, con braccio e parole. aveva una risposta immediata e intensa, fatta di afflato ed emozione autentici. Da uno, due, tre concerti nacque una tournée europea che toccò anche Roma e Torino, Londra e Parigi. Era sbocciato un amore « da matrimonio » mentre si faceva infatti sempre più forte, nell’orchestra, il desiderio di avermi come direttore musicale. musica 227, giugno 2011 37 Foto di Silvia Lelli, cortesia www.riccardomuti.com E qui viene il « dopo Daniel Barenboim »... Barenboim infatti era andato via. Due direttori quali Pierre Boulez e Bernard Haitink si dividevano gli impegni della Chicago Symphony in una sorta di interregno prestigiosissimo ma interlocutorio. Ricevetti più di sessanta lettere individuali piene di affetto e di ammirazione in cui ogni strumentista esprimeva il desiderio di fare musica continuativamente con me. Nel 2008 la scintilla si è cosı̀ rinnovata. Come sempre, la richiesta è venuta dall’orchestra: come a Firenze, a Londra e alla Scala. Ero titubante ma un movimento cosı̀ appassionato e un amore talmente contraccambiato, mi convinsero Si partı` con la Messa da Requiem di Verdi, solisti Barbara Frittoli, Olga Borodina, Mario Zeffiri e Ildar Abdrazakov. È il Requiem confluito su due CD: emissione autoprodotta dall’orchestra, come fanno tanti grandi complessi internazionali di fronte alla crisi del mercato discografico, registrando tutti i loro concerti e poi scegliendo cosa pubblicare. È l’edizione del Requiem che in breve si è guadagnata due Grammy Award: il primo per il miglior album classico in assoluto, il secondo per il miglior album corale. E che il coro di Chicago sia una favola di emissione impeccabile, dolcezza e pienezza, flessibilità e colori è indiscutibile... Proponemmo il Requiem nel settembre 2010 al Millenium Park in un concerto « Per Chicago » con trentamila persone – il parco venne chiuso per ragioni di sicurezza – dove i due grattacieli che si fronteggiavano portavano, rispettivamente, le insegne « CSO » e « MUTI » in un luminoso, ideale abbraccio. Il sindaco, poi, volle che per un mese la Michigan Avenue prendesse il nome Riccardo Muti. Avventura splendida ma con un incidente di percorso qualche mese dopo: l’aritmia cardiaca, una brutta caduta dal podio che ha reso necessario una peraltro eccellente ricostruzione facciale. Cure sapienti e medici che hanno parlato di cuore sanissimo dopo che un pacemaker ha corretto tale aritmia e mantiene soltanto funzione di garanzia, di monitoraggio precauzionale. In questo frangente l’orchestra mi è stata vicinissima anche con lettere assolutamente affettuose. Dopo essere stato dimesso dall’ospedale, due gruppi della Chicago Symphony, uno di ottoni e un altro d’archi, hanno tenuto due giorni di concerti come ringraziamento per le cure prestate, con la commozione dei pazienti, mia, di amici e della mia famiglia. Non solo Grammy e, nel 2010, il titolo , il titolo di Musicista dell’Anno assegnato da « Musical America » ma anche, di recente, l’Opera News Award e il Premio Birgit Nilsson, il più ricco nel mondo della musica colta. Questo 17 aprile « Opera News » mi ha conferito appunto l’Opera News Award. A consegnarmelo è stato Francis Coppola, regista de « Il padrino » e pure mio parente per parte di madre, tanto che siamo lontani cugini. Si è poi aggiunto il Premio Birgit Nilsson, lascito di una fondazione voluta dal grande, scomparso soprano wagneriano e straussiano, la formidabile cantante svedese. Conferito la prima volta a Placido Domingo, il Premio viene assegnato ogni due anni a un artista del teatro e della musica dai criteri specialissimi: quelli stabiliti da una giuria internazionale di sette persone che decreta il riconoscimento all’una- 38 musica 227, giugno 2011 nimità. O tutti d’accordo, o niente. Il riconoscimento consiste in un milione di dollari e la cerimonia di consegna è prevista 13 ottobre prossimo al Teatro Reale dell’Opera di Stoccolma alla presenza della famiglia reale svedese. L’Opera News Award ha coinciso con l’ultimo dei concerti con la Chicago Symphony tenuti nell’aprile alla Carnegie Hall di New York. In programma, una versione da concerto dell’Otello di Verdi; Berlioz con la Sinfonia Fantastica e il suo séguito, Lélio, voce recitante di Gérard Depardieu come a Salisburgo; un’ouverture di Cherubini, il poema sinfonico Les Préludes di Liszt e la Quinta Sinfonia di Shostakovich. Il tutto, fra concerti pomeridiani e serali, preparato in meno di quarantotto ore. Sono stati appuntamenti straordinari, la stampa ha scritto di un passaggio tempestoso, di « Muti che ha preso Manhattan by storm », di un’orchestra che ha stabilito un legame ancora più forte con il suo direttore musicale e, cosa che mi ha davvero inorgoglito, che il complesso ha ritrovato il livello sommo dei tempi di Fritz Reiner. Da Ravenna a Chicago passando per Salisburgo con l’ultima edizione mutiana del Festival di Pentecoste, che quest’anno cade nella prima metà di giugno. In scena, I due Figaro di Saverio Mercadante su libretto di Felice Romani, sequel di Barbiere e Nozze, dove Cherubino si spaccia per Figaro. Lavoro scritto nel 1826 per Madrid che descrive un arco tra la scuola napoletana ormai declinante e il nuovo stile rossiniano ornando il tutto con stilemi iberici. Un unicum, insomma, che si vale della nostra Orchestra Cherubini con Muti e del coro dei Wiener Philarmoniker e vede la regia di Emilio Sagi. Il manoscritto de I due Figaro proviene dalla Biblioteca del Conservatorio di Madrid e l’allestimento è una coproduzione tra il Festival di Salisburgo, Ravenna Festival e il Teatro Reale di Madrid. Gérard Mortier, direttore artistico del Teatro madrileno, vorrebbe creare un gemellaggio fra la città spagnola, Ravenna e Napoli (Ravenna per meriti sul campo fra Cimarosa, Paisiello eccetera riproposti negli anni; Napoli come luogo deputato all’opera napoletana; si pensi anche ai rapporti politici fra Napoli e la Spagna). Si tratterebbe di riprendere – l’esperienza di un lustro a Salisburgo mi sembra sufficiente – il lavoro iniziato sulla Salzach e proseguire per vie nuove. Questa estate a Salisburgo [dove in luglio Muti compie gli anni: auguri sin d’ora per i suoi settanta prossimi venturi portati con agio mozartiano] dirigerò Macbeth con la regia di Peter Stein e due produzioni del Requiem di Verdi assieme ai Wiener Philarmoniker. Finiti impegni e tournée, ricomincia la stagione stanziale a Chicago dove ogni concerto ha due o tre repliche. Stagione che va da settembre a giugno, comprende il Festival estivo di Ravinia, vicino Chicago, tournée negli USA, in Estremo Oriente o in Europa e di nuovo concerti in loco. L’Italia: il Ravenna Festival, l’Opera di Roma, il San Carlo di Napoli. A Ravenna torno con i miei giovani « cherubini » per Mercadante prima del consueto « Viaggio dell’amicizia » che quest’anno è a Nairobi (so che a Nairobi bambini stanno imparando brani che canteranno con noi). Quanto ad opere di repertorio da proporre nei grandi teatri, sto pensando a un tris verdiano: Macbeth, Attila ad apertura della stagione 2012 e in- Riccardo Muti al Cloud Gate di Chicago (foto di Todd Rosemberg, cortesia www.riccardomuti.com) fine Simon Boccanegra, l’unica grande opera di Verdi che mi manca. Ho progettato anche un Requiem verdiano al San Carlo. Opera di Roma, 16 marzo scorso, Nabucco per i 150 anni dalla costituzione dello Stato italiano, « Va’ pensiero » non solo bissato a furor di popolo ma, su invito di Muti, cantato dall’intero teatro con il direttore che chiosa: « non vorrei che questo Nabucco o altre opere fossero il canto funebre dell’ignominiosa scure che si è abbattuta » sulla musica e sulla cultura italiana. Col seguito, per cosı` dire, « da bella favola », che sappiamo: il « Veni, vidi, capii » (il latino è un’opinione) di Giulio Tremonti. Il Fus, Fondo unico per lo spettacolo, è stato ripristinato, pare. La visita di Tremonti dopo tanti appelli di tanti musicisti e artisti dello spettacolo, visita di un’ora, fatta a chi da più di quarant’anni si è battuto per la cultura, mi ha fatto piacere se ha contributo a ridare alle istituzioni i ventisette milioni di euro congelati. Diciamo che sono stato l’iceberg di una montagna: la parte che si è scontrata col Titanic ma in un incontro costruttivo. Sono poi felice che quanto accaduto a Roma in marzo sia rimbalzato ovunque e abbia dato un peso importante nel mondo al nostro paese. Un teatro intero che canta col coro è un segnale positivo. Restituisce un grande orgoglio a quell’Italia che di questi tempi ai giornali stranieri interessa per altri motivi decisamente meno nobili. È un momento di ammirazione ossigenante. Ci sono però molte considerazioni da fare sulla situazione del Bel Paese con relativi provvedimenti. Bisogna permettere ai teatri italiani di respirare. Bisogna anche fare pensieri seri su come tali teatri devono marciare. Non col passo lento e obsoleto di programmi messi su da persone che non hanno competenza o conoscenza in materia di musica secondo nomine che, a loro volta, nulla hanno a vedere con la conoscenza e l’esperienza musicale. In America vedono il direttore musicale al vertice delle istituzioni. Il motivo per cui nei programmi il suo nome compare prima di tutti gli altri, senza la piramide italiana di sovrintendenti, direttori artistici eccetera. Mentre in Italia il direttore musicale non ha potere di firma se non la propria autorevolezza, che è comunque musicale ma non legale. Non può prescindere purtroppo dal controllo esterno, esercitato troppo spesso da burocrati. È tempo di finirla poi con « discorsi di eccellenza » ovvero con gare, fra un teatro e l’altro, a chi è o sarebbe il più bravo. Va svecchiato tutto un mondo teatrale legato a formule parassitarie. Ogni teatro, poi, deve essere messo in condizione di dimostrare quanto sa fare e quanto vale. Ci vuole anche una maggiore collaborazione fra le diverse Fondazioni liriche, senza ambizioni infantili da primi della classe. Non è un caso che i grandi festival mondiali, oggi, guardino con meno interesse all’Italia. Questo perché il nostro paese si è impantanato. E poi quella italiana è una realtà molto particolare, fatta anche di tanti piccoli, splendidi teatri. Ha caratteristiche sue proprie e imprescindibili. Insomma. C’è molto cammino da fare. Bisogna però che i luoghi siano operativi in maniera moderna e non risultino invece istituzioni assistenziali. L’Italia e il mondo... Chicago, Salisburgo, Roma, Napoli che vuole recuperare la sua grande storia sono tutti elementi cui un musicista italiano può guardare. Penso all’Orchestra Cherubini che ho creato e cresciuto, che s’è guadagnata onori a Mosca e Parigi, è stata per cinque anni protagonista del Festival di Pentecoste a Salisburgo ed è il complesso in residence del Ravenna Festival. Orchestra che è stata diretta da bacchette somme come Kurt Masur e Yuri Temirkanov; che quest’anno offre un programma interamente lisztiano con Michele Campanella. Tutto questo è la dimostrazione che in Italia esiste una realtà giovanile importante. A patto, s’intende, che chi fa musica sia messo in condizione di dare il suo contributo. E qui sta il problema. Uno dei tanti. & musica 227, giugno 2011 39 VOCI STORICHE In un’epoca in cui non mancavano tenoritrombe dai polmoni d’acciaio, Tito Schipa coltivava un’arcata vocale fluida e flessibile che gli permetteva di dare la massima importanza alle parole e ai sentimenti. 40 musica 227, giugno 2011 L’inimitabile Schipa di Michael Aspinall I concittadini di Tito Schipa onorano tuttora la sua memoria, come dimostra l’integrale delle registrazioni, il risultato di lunghe ricerche e di un amore inestinguibile. Ecco infatti il tutto-Schipa in trentuno CD, per realizzare il quale l’Associazione Nireo di Lecce si è rivolta al reverendo Richard Cantrell e a molti altri collezionisti. Chi avrebbe poi mai immaginato che esistessero tante incisioni di questo cantante amatissimo? Fra i tenori dell’epoca dei 78 giri, soltanto Gigli potrebbe, nell’eventualità di un’integrale, uguagliarlo in termini quantitativi. Ed era Gigli che usava dire: « Quando canta Schipa, noi altri stiamo ad ascoltare ». Caruso, invece, ascoltandolo per la prima volta a New York, si alzò dopo le prime battute di recitativo e disse alla moglie: « Possiamo andare a casa. È bravissimo, ma non c’è da preoccuparsi ». Il metodo usato da Schipa per fondere musica e parola non era infatti tecnicamente ineccepibile: non riuscı̀ mai a dare piena uguaglianza alle vocali e nelle incisioni realizzate dopo il 1930 la i divenne sempre più nasale. In un frammento sonoro del film « In cerca di felicità » Schipa pronuncia il suo credo artistico: « La base del canto è la parola col suono. Si canta come si parla, aggiungendo alla parola la melodia. Sembra facile, ma non lo è ». Ma nella scuola italiana più antica la base è sempre lo strumento vocale. Come Rossini spiegò all’amico Edmond Michotte, i maestri di canto della sua giovinezza formavano lo strumento dell’allievo con almeno tre anni di esercizi sull’emissione del suono, sull’omogeneità del timbro e sull’uguaglianza dei registri prima che l’allievo iniziasse a lavorare sulle vocali: « si cantavano tutte e cinque le vocali su una nota sostenuta, o ripetendo un certo vocalizzo con ciascuna vocale [...] Lo scopo era di arrivare al punto in cui, per quanto fosse possibile, il suono non variasse né di timbro né di intensità nonostante i movimenti della lingua e delle labbra causati dalla successione delle vocali aperte o chiuse ». A volte, nella ricerca di colori particolari, Schipa schiarisce il suono senza appoggiare bene la voce sul fiato. Altri grandi cantanti – tra cui i tenori Caruso e McCormack – riuscivano ad avere una dizione nitida e persino tagliente perfettamente amalgamata nell’arcata. I brevi filmati della Vitaphone mostrano che l’apparente flusso naturale della voce di Schipa era accompagnato da alcuni manierismi: se chiudi gli occhi sentirai una voce che sgorga spontaneamente, ma aprendoli noterai delle smorfie che non fanno parte dell’estetica del bel canto (la romanza « Princesita » ne offre, nella versione video, esempi vistosi e quasi caricaturali). Tuttavia, lui era Schipa e poteva farlo. Anche Joan Sutherland e Alfredo Kraus manovravano vistosamente i muscoli facciali per ottenere i loro effetti. La voce di Schipa ha poi il pregio di un vibrato naturale appena percepibile. La voce galleggia sul fiato e rimane ferma senza essere mai fissa. Forse è nato tenore naturale con i registri già amalgamati; tuttavia la sua maniera di gestire il passaggio di registro, sulle note fra Re e Sol, non è sempre ortodossa. Se Schipa vuole fare suoni leggeri, non esita ad « aprire » le vocali. Ma in un’aria come « Recondita armonia », che richiede tutta una serie di Fa (quinto rigo), il nostro sta attento a impostare le note sul passaggio correttamente. Nei suoi dischi migliori Schipa mostra una precisione notevole nell’esecuzione delle note, se quelle note cadono in zone e su vocali a lui favorevoli ma – come osservò Michael Scott (in « The Record of Singing » vol. II) – nelle incisioni elettriche non è sempre capace di eseguire un gruppetto con la dovuta nitidezza. La cronolgia della carriera, dovuta a Carlo Marinelli Roscioni e pubblicata nella commovente biografia scritta da Tito Schipa Jr., dimostra che dopo il felice esordio nella Traviata a Vercelli nel 1909, esigenze economiche costringevano il tenore a cantare opere per lui pesanti come Adriana Lecouvreur, Zazà, Mefistofele, Fedora, Cavalleria rusticana (venti recite al Quirino di Roma nel 1911!) e Tosca. Un disco Pathé (1916) di una pagina drammatica dall’ultimo atto di Zazà – scelta curiosa, giacché l’opera era uscita dal suo repertorio dopo le quattordici recite insieme a Lina Cavalieri a Roma nel 1911 – illustra i pericoli della scrittura melodrammatica novecentesca per una voce delicata come quella di Schipa. Costretto a declamare nella zona più debole della voce, quella media-bassa, e a fulminare contro « quell’immondo musica 227, giugno 2011 41 amplesso della tua carne impura », il timbro risulta gutturale, mentre meravigliosa è la facilità con cui spazia nella tessitura acuta delle parole « e al rientrar domani »: frase coronata da uno squillantissimo Si naturale. Tuttavia, la cronologia ci insegna che dall’epoca dei suoi primi grandi successi internazionali – Buenos Aires, 1914 – il tenore rinunciò alle partiture più pesanti, tenendo solo Tosca nel suo repertorio fino al 1921, quando cantò le sue ultime recite di Cavaradossi con Claudia Muzio a Città del Messico. Quando divenne divo all’Opera di Chicago, Schipa restrinse il repertorio a quelle opere che gli calzavano perfettamente: Lucia di Lammermoor, Linda di Chamonix, Don Pasquale, L’elisir d’amore, La sonnambula, Il barbiere di Siviglia, La traviata, Rigoletto, Falstaff, Mignon, Lakmé, Manon, Marta, Fra Diavolo, con poche recite di Roméo et Juliette, Don Giovanni, Sadko, Il matrimonio segreto, L’amico Fritz, Il flauto magico, Marcella e La principessa Liana, e molte dell’Arlesiana e di Werther. La cura del repertorio e la maniera in cui gestı̀ il graduale declino della voce erano sintomatici della grande intelligenza musicale di Schipa. Il booklet comprende saggi interessanti di Giorgio Gualerzi e di Giancarlo Landini, con un’eccellente traduzione in inglese dovuta a George Metcalf. L’indice alfabetico dei brani ci mostra dove trovare ciascuna delle quattordici incisioni diverse di « Chi se nne scorda cchiù ». Sospetto, però, che l’indice sia stato compilato da un computer piuttosto che da una persona. E non mancano stranezze neppure nei riversamenti. Troviamo riprese alternative di trentuno delle incisioni che compaiono nel corpus del lavoro, ma con una documentazione frammentaria e in una qualità sonora che varia dall’accettabile al pessimo. Controproducente è stata la furbizia della persona che ha modificato la velocità della ripresa alternativa della « donna è mobile » (1925) per farla ritornare nella tonalità originale, mentre Schipa l’aveva abbassata di un semitono, perché l’aumento della velocità rende la voce metallica e aperta. L’edizione è ordinata cronologicamente, e si divide in sette parti: le incisioni fatte per « la Voce del Padrone » (1913); quelle per la Pathé a Milano (1916 & 1919) e a New York (1921); i dischi Victor (1922-4, 1926-34 e 1941); le incisioni elettriche per « La Voce del Padrone » (1929-1953); colonne sonore dai film; registrazioni « dal vivo » di scene d’opera o concerti incisi in sala o dalla trasmissione radiofonica; incisioni private, per lo più inedite. Schipa appartiene alla prima generazione di cantanti le cui incisioni spaziano dall’inizio fino alla fine della carriera. Quando il grammofono lo colse per la prima volta, nel novembre del 1913, era appena arrivato nei teatri importanti dopo quattro anni di gavetta in quelli minori. Aveva già cantato La traviata, Tosca, La sonnambula e Rigoletto al Teatro Dal Verme di Milano, aveva ottenuto i suoi primi successi al Colón di Buenos Aires e teneva in tasca la prima scrittura per il San Carlo di Napoli. Per la Voce del Padrone era una semi-celebrità, da presentare sull’etichetta economica verde anziché quella rossa riservata ai divi; in seguito alcune di queste incisioni milanesi sarebbero state promosse all’etichetta rossa, e sarebbero rimaste nel catalogo dei 78 giri della EMI italiana fino al 1956. Ci sono indicazioni di un certo impegno da parte della casa discografica, che colse l’occasione di incidere alcuni brani con un buon coro, e in certe arie – ad esempio, in quelle dalla Cavalleria rusticana – quell’eccellente direttore che fu Carlo Sabajno tentò di rimanere il più fedele possibile 42 musica 227, giugno 2011 all’orchestrazione originale del compositore (usando, però, il pianoforte per la parte dell’arpa). Come tutti i cantanti più amati, Schipa possiede un timbro unico e immediatamente riconoscibile. Nei dischi del 1913 sentiamo una voce ancora fresca, pastosa e squillante. A venticinque anni si è già formato uno stile individuale e del tutto accattivante. Anche un brano « pesante » come « Ah! dispar, vision » dalla Manon viene cantato con somma facilità: ecco un tenore tutto da studiare, un tenore che, nell’arco di trentuno CD che partono dal 1913 per arrivare al 1964, non spingerà mai e non forzerà una sola nota. L’attacco sul Sol di « Ah! dispar » potrebbe essere preso a modello da tutti i cantanti; è una nota pura, luminosa, come lo è anche il Si bemolle acuto. Schipa non era famoso, certo, per gli acuti, tuttavia i dischi rivelano che sale al Si bemolle e al Si naturale con una facilità irrisoria. Rodolfo Celletti mi disse che nella scena dell’incendio della Mignon, alla Scala nel 1936, Schipa lanciò un Si naturale acuto di straordinario effetto: questo poi da un tenore che si considerava di estensione limitata! Ascoltandolo oggi il disco del 1913 in cui canta, nella tonalità originale e con la massima disinvoltura, « Tu che a Dio spiegasti l’ali », si direbbe che se fosse nato cent’anni prima, l’avrebbero addestrato come tenore contraltino. Non solo per La sonnambula, ma anche per I puritani... Le due facciate del 1913 che riportano il recitativo ed aria « Parmi veder le lagrime » dal Rigoletto sono di una disinvoltura tecnica, di una raffinata musicalità, e di uno charme da superare qualsiasi altra incisione rivale. Quest’aria era stata sempre tagliata nelle recite italiane di Rigoletto e fu restituita da De Lucia e Caruso, di conseguenza nessuna « interpretazione tradizionale » era stata tramandata alla generazione di Schipa. Non si sa cosa ammirare di più: il recitativo con i suoi contrasti fra lo sdegno e la tenerezza, oppure l’esecuzione delicatissima degli abbellimenti, oppure l’attacco dolcissimo di « Parmi veder le lagrime ». « Che gelida manina », abbassato di un semitono, ha già il tocco delizioso del grande Schipa sulle parole « L’anima ho milionaria » e il Si naturale è splendido. Sentiamo, però, la mancanza del portamento di voce usato da tenori quali Caruso, Bonci e Gigli. Puccini chiede spesso il portamento, ad esempio sulle parole « vuole » e « siete », ma questo giovane iconoclasta di uno Schipa ha già deciso di eliminarlo dal proprio suo bagaglio stilistico. Fu in realtà il primo cantante italiano di fama a rinnegarlo. L’unico altro grande cantante della sua epoca che avesse già inciso un’aria di Verdi senza nessun portamento è il basso francese Marcel Journet. Le due arie dalla Tosca, ascoltate magari insieme alle tre facciate Pathé del 1916 dedicate a « O dolci mani » e il duetto « Amaro sol per te », spiegano perché Schipa tenne quest’opera in repertorio fino al 1921. Emilio De Marchi, il primo Cavaradossi, era un tenore drammatico di accenti squillantissimi (a giudicare dai rulli Mapleson). Schipa, sapendo di non poter mai offrire un’interpretazione da ex-carabiniere, sceglie la strada degli accenti patetici, seducenti, e ne fa un capolavoro. « E lucevan le stelle » è particolarmente riuscito. Schipa dice il recitativo da maestro, conferendo il giusto peso a ogni sillaba senza osservare pedissequamente il valore musicale di ogni nota. Non può nascondere il suo disagio sui ripetuti Fa diesis (primo spazio), una nota già gutturale, ma questo neo viene subito dimenticato nell’esecuzione dell’aria, melliflua e toccante. Schipa fa il solito diminuendo sul La di « disciogliea », ma – diversamente dalla maggioranza dei tenori – non ha bi- sogno di riprendere fiato per finire la frase, e canta anche la lunga frase finale « E non ho amato mai tanto la vita » in un sol fiato. Questa sua volontà di sfruttare tutte le risorse della tecnica vocale per realizzare il desiderio del compositore senza ostentare la propria bravura ha fatto di Schipa un tenore per veri conoscitori del canto. Schipa interpretò il Faust di Gounod soltanto una volta, al Teatro Comunale di Bozzolo nel 1910; se nel 1913 volle incidere l’aria « Salve dimora » – solo una strofa, abbassata di un semitono – sarà perché sapeva di avere qualcosa di particolare da offrire, un’interpretazione « da salotto », intima, pensierosa, carezzevole, ma con una salita raggiante al Si naturale. Lo stesso si può dire di « Cielo e mar » dalla Gioconda, opera che non cantò mai. L’aria è ridotta a una strofa sola, un’effusione di pura poesia nonostante l’omissione dei portamenti segnati spesso da Ponchielli, persino sulle parole iniziali dell’aria (ed eseguiti in disco con grande eloquenza da Caruso e Viñas). Due brani dalla Cavalleria rusticana vengono affrontati con una sicurezza e una fluidità che nascondono le difficoltà della tessitura acuta. Nella « Siciliana », dove i tenori di solito devono spingere sui ripetuti La6, Schipa introduce persino i mordenti e terzine alla Roberto Stagno. Le ultime frasi, con la ripetuta salita dal Re al Fa, ci fa sentire come Schipa gira il suono per emettere un bellissimo Fa in registro di testa. È sconcertante sentire però quanto sia diverso l’approccio tecnico nel disco Pathé del 1916; qui egli apre la vocale a sui ripetuti Fa, una procedura decisamente da non emulare. Anche nel brindisi « Viva il vino spumeggiante » Schipa e Sabajno seguono la tradizione di Stagno, con tempi molto elastici e corone introdotte per mettere in mostra il diminuendo. Nella Traviata si sente ancora il profumo dell’Ottocento: insieme al ruolo di Alfredo, Schipa ha imparato numerose « tradizioni », come gli abbellimenti di « Un dı̀ felice, eterea ». Anche qui Schipa fa il virtuoso senza ostentare, cosı̀ non si nota forse al primo ascolto che canta il La acuto su « Croce » forte la prima volta e piano la seconda. Il soprano Nina Garelli, una di quelle artiste « economiche » che Sabajno usava scritturare in Galleria prima delle sedute di registrazione, non è al livello di Schipa ma fa del suo meglio. In « Libiamo ne’ lieti calici » né la Garelli né lo stesso Schipa sono capaci di articolare con precisione il gruppo di quattro sedicesimi preceduto da un’acciaccatura che caratterizza il brano. Il brindisi del quarantunenne Caruso (1914) è molto più preciso (ma neanche lui azzecca tutte le note) ed evidenzia un legato più solido grazie all’appoggio perfetto della voce e all’uso magistrale del portamento che introduce ogni volta che viene richiesto dallo spartito. Alla fine del brano Caruso esegue il trillo sul Fa. Schipa omette questa nota completamente, conservando il fiato per il Si bemolle finale. Dal 1914 al 1919 Schipa conquistò i pubblici di Madrid, Barcellona, Lisbona e l’America Latina, appassionati dell’arte del canto che nutrivano un gusto rétro per i virtuosismi dei cantanti di una volta. La sua voce era più fragile di quelle di De Lucia, Anselmi o Bonci, ma Schipa raccolse l’eredità di Anselmi (« il tenore delle dame ») e incominciò a specializzarsi nelle sfumature tipiche dei suoi illustri predecessori. L’emissione facile, mai forzata, rende la voce ferma: non c’è traccia del vibrato caprino che i critici inglesi ed americani rimproveravano a De Lucia ma che stranamente non percepivano nella voce di Bonci. Il monumento più perfetto alla maestria di Schipa in questo stile antico, che morı̀ con lui per essere riesumato in seguito da Alfredo Kraus, è il disco acustico Victor (1924) delle due arie dalla Mignon: « Addio Mignon, fa core » e « Ah! non credevi tu ». Ormai Schipa possiede in pieno la messa di voce e una gamma notevole di colori e accenti, e le due belle arie di Thomas si prestano volentieri al trattamento trasognato e edonistico. A Milano nel 1916 e 1919, e a New York nel 1921, Schipa incise, per la Pathé, più di trenta facciate, spesso di un repertorio cosı̀ interessante che siamo disposti ad ascoltare incisioni a volte lontane ed offuscate, afflitte sia da vibrazioni metalliche che da fruscı̀i. A me piacciono in particolare « O dolci mani » e il successivo duetto dalla Tosca con la brava Giuseppina BaldassareTedeschi, uno di quei soprani italiani dalla voce solida e robusta dalle note basse a quelle acute. Il musicologo noterà che Schipa allarga il tempo in anticipo rispetto alle indicazioni pucciniane (e in ciò rispetta la prassi ottocentesca). Il patito del canto rimarrà deliziato dai piani squisitamente timbrati e degli acuti facili e trasognati (« a pregar, giunte ») o anche drammatici e squillanti (« Voi deste morte »). Di grande interesse poi sono « Questa o quella » e « La donna è mobile »: esecuzioni all’antica in cui il tenore gioca deliziosamente con il ritmo e inserisce tutti gli abbellimenti della tradizione Masini-De Lucia, compresa la risatina argentea, incantevole, nella Ballata. Schipa ha anche il sorriso nella voce e in queste arie è disinvolto, brioso e leggero: forse troppo leggero, perché si intuisce una certa mancanza di appoggio. Alla fine della « donna è mobile » la cadenza viene cantata con inflessioni nasali e gutturali, tuttavia il disco si conclude con un Si naturale sensazionale. Quando Schipa incise quest’aria per la Victor nel 1925 era costretto a abbassarla di un musica 227, giugno 2011 43 semitono: il disco mostra come il tenore sia diventato un interprete più sobrio, più intonato con il gusto americano degli anni venti. Gli abbellimenti sono stati ridotti; si conserva una certa flessibilità di ritmo, molto meno variato che nel disco del 1919, ma sempre più espressivo dei tempi rigidi che di solito si sentono oggi. Le incisioni acustiche Victor (1922-25) sono quelle che captano lo Schipa nella seconda fase della carriera. La voce viene registrata senza distorsioni e con estrema nitidezza. Si sente che le opere di Leoncavallo, Puccini e Mascagni hanno sciupato un pochino la freschezza del timbro e intaccato pericolosamente il registro basso, che diventerà sempre più debole e gutturale. Non importa: qui troviamo alcuni classici intramontabili del canto tenorile, come « Granadinas », « O Colombina », « Se il mio nome saper voi bramate » e « Chiudo gli occhi ». Possiamo seguire lo sviluppo artistico di Schipa nelle arie che incise parecchie volte in un lungo arco di tempo. Il disco Pathé della Serenata di Arlecchino dai Pagliacci (1916), in cui il cantante è piazzato molto vicino alla tromba d’incisione, è già un piccolo capolavoro, ma il disco Victor del 1922 presenta un’interpretazione più equilibrata e raffinata: l’uso del tempo rubato, l’effetto malizioso dei piani, i lunghi fiati, i contrasti, e la frase magistrale che unisce la prima strofa all’attacco della seconda – tutto parla di un artista, specializzato nelle miniature, all’apice delle sue possibilità tecniche ed interpretative. Nell’incisione elettrica del ’27 si presentano piccole crepe nella facciata: l’attacco di « O Colombina » viene realizzato da sotto, e mentre i La acuti sono splendidi, il Fa sostenuto su « senza tardar » è ora troppo aperto. Nell’aria dalla Manon sentiamo chiaramente perché nel 1915 un’intenditrice come Matilde Serao potesse descrivere la sua esecuzione del « Sogno » come « un suo capolavoro di bel canto squisito, con quelle meravigliose sfumature che toccano le corde più sensibili degli ascoltatori » (ringrazio Gualerzi per la citazione). Nel 1915 « bel canto » significava espressione e non soltanto agilità vocale, e per espressione si intendeva una libertà di tempi e di ombreggiature che provenivano dalla sensibilità del cantante. Il disco Pathé del 1916 evidenzia le qualità che tanto entusiasmarono la Serao: Schipa introduce numerosi abbellimenti e segue il modello di Anselmi, con una messa di voce prolungata sul La naturale acuto – su una vocale, però, pericolosamente aperta. All’inizio dell’aria il fraseggio è troppo staccato, mentre nell’incisione Victor del 1922 il canto è molto più legato. Qui le corone sono un po’ più lunghe del necessario, mentre la messa di voce è meno spettacolare e alcuni abbellimenti sono stati eliminati. Il La naturale è stato perfezionato e non è più aperto. Deliziosi sono gli attacchi sul Mi naturale, quarto spazio. Questo disco fu sostituito nel 1926 dalla famosa incisione elettrica che rimase a lungo nel catalogo della Voce del Padrone. È un disco meno perfetto di quello del ’22, perché qui Schipa canta più velocemente con suoni meno trasognati e con una messa di voce appena accennata, tuttavia la frase conclusiva è fra i suoi piccoli miracoli. Siamo fortunati di avere, in un sonoro accettabile, tutto il second’atto della Manon che proviene da una trasmissione radiofonica dall’Opera di San Francisco nel 1939. La pronuncia francese di Schipa lascia molto a desiderare, ma la dizione è incisiva, sia nei parlati che nei recitativi cantati. Il « Sogno » – ora privo di qualsiasi abbellimento – viene detto lentamente, con suoni incantevolmente fanciulleschi. Non sono più disponibili le affascinanti ombreggiature di prima, e quando 44 musica 227, giugno 2011 Schipa tenta un piano la voce è ingolata: il La naturale è buono, anche se alquanto nasale. Benché Schipa abbia inciso il « Lamento di Federico » per la Pathé nel 1916, dovette aspettare fino al 1936 per poter cantare L’Arlesiana in teatro (alla Scala). Poi, fino al 1951 l’opera rimase una sua specialità. In una lettera del 1944 a Piero Ostali, Cilea scrive che: « Schipa, per quanto con poca voce, è pur sempre artista intelligentissimo ». Ostali invece, fa delle osservazioni severe in una lettera al compositore del 1950: « Oramai, dicono i nostri amici, non si può sentire L’Arlesiana con i soliti tenori ... castrati, tanto più che Federico è un ‘‘figlio della terra’’ e quindi non può essere un raffinato alla ... Schipa, alla cui interpretazione, non dimentichiamolo, noi dobbiamo tante mancate rappresentazioni di questa nostra cara Opera, perché i nostri migliori tenori non si sentivano di misurarsi con Schipa nella raffinatissima esecuzione del ‘‘Lamento’’, che Caruso, come io ben ricordo per averlo sentito al Lirico nel 1897, eseguiva con una passionalità che richiedeva voce e non sospiri ». Nel disco del 1916 Schipa aderisce strettamente allo spartito e offre già una bella interpretazione – assai estroversa, alla maniera verista, la linea vocale spesso intrisa di singhiozzi. Nel disco Victor del 1928, uno dei suoi migliori, sentiamo qualcosa di ben diverso. Schipa utilizza una versione aggiornata della partitura – che cambia alcune parole e il valore musicale di alcune note – e l’interpretazione è più contenuta e più curata nei dettagli. Eppure tutta l’angoscia rimane, sotto il contegno, espressa nel timbro scuro che scoppia nella disperazione finale. Schipa sceglie di cantare forte « vorrei poter tutto scordar », anche se la frase è segnata pp, riservando per « il dolce sembiante » il suo pianissimo celestiale. Da ora in poi affretterà sempre il crescendo di « Fatale vision mi lascia ». La registrazione del 1936, tratta dalla colonna sonora del film « Vivere! », mostra Schipa in pieno declino vocale, con frasi più attenuate, alcune vocali sgradevolmente strette nel naso – ma poi in « Vorrei poter tutto scordar » il timbro acquista all’improvviso una purezza, una limpidità impareggiabile. Una versione che proviene da un concerto alla radio di Berlino nel 1939 è cantata con somma perizia e con sentimento struggente, ma ora i ripetuti Fa diesis e Sol sono poco limpidi, soprattutto se il tenore tenta di cantarli piano. Due versioni dell’aria di Cilea cantate nei concerti live di New York nel 1962 vengono accolte con applausi deliranti dal pubblico, e certo dimostrano come Schipa sapeva utilizzare saggiamente quel poco che rimaneva della sua voce. Schipa interpretò Almaviva nel Barbiere di Siviglia per la prima volta a Pola nel 1911 e per l’ultima a Roma nel 1950. Nel 1915 prese parte a delle recite storiche dell’opera al San Carlo di Napoli (con Elvira De Hidalgo e Mario Sammarco) in cui il giovane Vittorio Gui introdusse di nuovo il pianoforte nell’orchestra per accompagnare i recitativi; da molti anni erano stati accompagnati dal violoncello insieme al contrabbasso, oppure dal solo contrabbasso, come nell’incisione acustica completa del Barbiere effettuata a Milano nel 1918 dalla Voce del Padrone. Dal disco Pathé di « Ecco ridente in cielo » sentiamo che Schipa ha lavorato sull’esecuzione delle agilità, anche se non tutti i problemi sono stati risolti. Qua e là l’esecuzione è esitante o approssimativa, e manca il fascino di De Lucia, il fenomenale squillo e la diabolica precisione di Jadlowker (la cui voce, però, è dura e fissa nelle note sostenute e senza charme), o la bravura più convenzionalmente ottocentesca di Fernando Carpi e Giuseppe Paganelli. Come c’era da aspettarsi, sul disco acustico Victor, trattandosi di una sola facciata a 25 cm., l’aria subisce dei tagli, ma il disco elettrico del 1926 è superiore, e include la scala cromatica più precisa, più disinvolta e più brillante che io abbia mai sentito in disco da un tenore. Tuttavia, il vero Schipa emerge nella serenata trasognata « Se il mio nome saper voi bramate ». Di grande interesse è una selezione dal Don Giovanni: tutto quello che rimane di una trasmissione del 20 gennaio 1934. Si tratta della più vecchia registrazione di una certa durata tra le storiche trasmissioni dal Met, e i dischi acetati originali sono in pessime condizioni. Prima di scendere nei particolari, comunque, devo indicare alcune trascuratezze da parte della Nireo. Fa sorridere leggere che la trasmissione proviene dal « Metropolitan Opera House, Milano », ma molto meno divertente è la scoperta che l’intera selezione è riversata alla velocità sbagliata, risultando tutto quanto crescente di un semitono. Come è possibile che nessuno si sia reso conto che il duetto iniziale fra la Ponselle e Schipa, « Fuggi, crudele, fuggi », sembra cantato da Paperina e Topolino? In compenso, possiamo constatare con piacere che Tullio Serafin ha ripristinato l’italianità dell’opera: la sua direzione è grandiosa e drammatica nei brani solenni, festosa e briosa nei momenti che ricordano l’opera buffa napoletana. Editha Fleischer, un’allieva di Lilli Lehmann che purtroppo incise pochi dischi, è una grande Zerlina, e la sua « Batti, batti, o bel Masetto » è la gemma vocale della serata, leggera e charmante senza moine da soubrette. Chi si aspetta molto della leggendaria Ponselle sarà in parte deluso: in quegli anni conclusivi della carriera, mentre la sua voce opulenta si espandeva ancora con splendido effetto nei cantabili, in passaggi rapidi il suono diventava nasale e chioccio. Nella musica di Mozart la Ponselle è stilisticamente discutibile: attacca tutta la musica della prima scena in una maniera genericamente concitata, adoperando un’emissione con scossoni laddove vorrebbe marcare gli accenti. Tuttavia, se nel grande recitativo « Don Ottavio! Son morta! » il soprano manca di nobiltà, nell’aria « Or sai chi l’onore » la voce è salda e ferma, la maniera maestosa, i La acuti lanciati con vigore e ben sostenuti, e la cantante osserva minuziosamente ogni segno di contrasto fra forte e piano indicato sullo spartito: è una grande interpretazione, anche se non viene eseguita una sola appoggiatura. Nel Don Giovanni tutti i cantanti in realtà sono molto parsimoniosi con le appoggiature, ma in compenso Serafin adopera giustamente i tempi tradizionali per « Là ci darem la mano » e « Batti, batti, o bel Masetto », sanciti dalla nuova edizione della Bärenrei- ter (2005). Ezio Pinza si trova in forma vocale smagliante, ma troppo spesso grida invece di cantare, soprattutto nei recitativi. E Schipa? Sereno e senza fretta sul palcoscenico, riesce a superare se stesso in « Dalla sua pace ». La voce, spesso definita « piccola », è perfettamente adeguata anche agli spazi vasti del vecchio Metropolitan, e l’orchestra non copre mai neppure le deboli note basse. Sulla seconda sillaba di « morte » Schipa sale a un Sol brillante. Alcune vocali sono nasali, ma l’interpretazione rimane un classico. Il tenore aveva quarantasette anni allora e mentre l’impostazione delle note più acute sembra corretta nel forte, nei piani i suoni sono troppo aperti. Quando la linea vocale richiede scioltezza oppure qualche intervallo scomodo, Schipa ora introduce un aspirato per aiutarsi, cosa sconosciuta al giovane tenore di vent’anni prima. Possiamo comunque applaudire Schipa per aver capito perfettamente lo stile dell’aria « Il mio tesoro intanto »: attacca la prima parte in un tempo lentissimo, pregando gli amici a andare a « consolare » Donna Anna, e poi, nella seconda parte dell’aria, quando decide di « volare a vendicare i suoi torti », stacca un tempo marziale e vigoroso. Nell’incisione Victor del 1927, Schipa tenta la stessa interpretazione, ma l’effetto viene compromesso dal taglio imposto dalla scelta di una matrice di 25 centimetri anziché 30. Come c’era da aspettarsi, il tenore Schipa viene un po’ sopraffatto dai soprani nei concertati, tuttavia si intuisce, nella sezione del Finale « Or che tutti, o mio tesoro », che Schipa stia cantando con una grazia e un’eleganza speciali, fondendo la sua voce con quella della Ponselle. Dagli estratti di una trasmissione dall’Opera di St. Louis del secondo atto del Don Giovanni, diretto da Laszlo Halasz, del 16 aprile 1941, ci interessa soltanto un’altra versione di « Il mio tesoro ». La buona qualità dell’incisione rivela un avanzato declino vocale (i passi di agilità sono sempre più legnosi e pesanti), ma le ammirevoli intenzioni del grande artista rimangono sempre percepibili. L’aria viene interrotta prima della fine dall’annunciatore: l’arte di Schipa deve cedere davanti alle esigenze dello sponsor commerciale. Sui dischi IX e X troviamo la celebre incisione completa del Don Pasquale realizzata a Milano nel 1932, particolarmente preziosa per la direzione brillante e sensibile di Sabajno. In un ruolo che gli calza quasi perfettamente Schipa è in forma splendida, nonostante le manovre per evitare il peso dei passaggi più pesanti. Gli altri non raggiungono il suo livello eccelso, ma si difendono bene. musica 227, giugno 2011 45 Il primo gruppo di estratti dal vivo dal Werther proviene da terzetto « Le faccio un’inchino » lei è l’unica a inserire le apuna serata incandescente alla Scala diretta splendidamente da poggiature. Per quanto sia interessante sentire Boris Christoff Franco Ghione, il 27 aprile 1934. Troviamo Schipa in piena nel ruolo del Conte Robinson e Sesto Bruscantini come Geforma: nell’opera di Massenet infatti è come a casa propria. Il ronimo, nessuno dei due è particolarmente spiritoso e tutti e timbro della voce è sempre bello e carezzevole, il fraseggio di due tendono ad abbaiare. L’unico vero canto legato della seraun’eleganza senza pari. Schipa coglie sempre l’atmosfera giu- ta viene offerto da Hilde Gueden nel ruolo di Elisetta. sta in ogni momento di questo lavoro cosı̀ atmosferico, indi- Vale la pena ascoltare il secondo atto dell’Elisir d’amore regimenticabile in « O natura di grazia piena » e nel duetto « Di- strato dal vivo a Lecce il 28 ottobre 1954. L’incisione inizia viderci dobbiam ». Il « periodo Anselmi » è ora definitivamen- un semitono sopra la tonalità giusta ma si corregge in tempo te dietro le sue spalle, e egli non ci abbaglia più con le messe per i grandi momenti di Schipa. La maggior parte del Quardi voce, ma si accontenta del suo proprio modo particolare di tetto « Dell’elisir mirabile » è tagliata, ma rimangono il duetto fondere la parola, l’accento e la frase musicale in un flusso si- con Belcore e l’aria. I recitativi secchi sono detti in una manuoso di eloquenza lirica. Nelle pagine conclusive dell’opera niera ideale: sono veloci, leggeri, brillanti, comprensibili e diSchipa è molto toccante, ma la mia più completa ammirazio- vertenti, e vengono incluse tutte le appoggiature. La voce di ne è riservata per « Ah, non mi ridestar », abbassata di un se- Schipa risponde con un’alacrità sorprendente alla volontà delmitono e detta con grande passione: si tratta di un live parti- l’artista, anche se il timbro è piuttosto legnoso e restio alle colarmente prezioso, anche per l’atmosfera dell’epoca che ci sfumature. La sua esecuzione di « Una furtiva lagrima » è semavvolge quando il pubblico, in delirio, applaude il tenore an- pre una master class di fraseggio; viene accolta con delirio dai concittadini, che gridano frasi affettuose al loro idolo nel che alla fine della prima strofa. Per quanto riguarda la selezione dal Werther incisa, si suppone, chiedere l’inevitabile bis. Quanto avrei voluto essere là per su dischi acetati durante una trasmissione dal Teatro dell’Ope- aggiungere la mia parte agli applausi! ra il 3 febbraio 1948, si tratta di un cimelio prezioso. È consi- Nel 1958 venne pubblicato un disco intitolato: « Learn to gliabile seguirla con lo spartito italiano in mano, perché la qua- sing with Tito Schipa ». Un presentatore americano ci assiculità sonora è disastrosa. Il baritono romano Andrea Petrassi fu ra che troveremo tutte le spiegazioni « in the booklet ». Sicpresente alla prima recita di questa ripresa del Werther, e mi come la Nireo non ci fornisce quel testo, è improbabile che disse: « Schipa entrò in scena. Era vecchio, grasso, brutto e non qualcuno possa veramente « imparare a cantare insieme a Tito aveva più voce. Dopo che ebbe cantato per appena cinque mi- Schipa », soprattutto perché il tenore canta (molto male, con nuti, tutti noi eravamo convinti che era giovane, bello, magro, una voce totalmente inaridita) soltanto nelle prime dieci lee che la sua voce fosse fresca come sempre ». Il mago di Lecce zioni: la Nireo ha incluso però le altre nove in cui sentiamo riesce ancor’oggi a compiere questo miracolo: una volta che il pianoforte solo. Il presentatore ci dice di stare in piedi; di avevo iniziato ad ascoltare l’incisione, sono rimasto inchiodato adoperare, possibilmente, il diaframma quando respiriamo, di sulla sedia a seguirla fino alla fine. Purtroppo i produttori del- non inspirare troppo profondamente (vuol dire « riempire l’edizione non hanno curato la velocità della fonte usata. Alcu- soltanto la parte superiore dei polmoni » oppure « non pratine delle facciate originali iniziano crescenti di un semitono, care la respirazione addominale? ») e di conservate un sorriso per scendere pian piano alla tonalità giusta, alcune sono corret- amichevole (un consiglio tradizionale). te dall’inizio fino alla fine, altre rimangono costantemente a Il booklet definisce « insuperabili » i riversamenti dei dischi una velocità eccessiva. In questa serata troviamo Schipa in di Schipa realizzati da Ward Marston e sospetto che la pregrande forma e laddove Massenet lo fa cantare comodamente sente edizione, per quanto riguarda i primi tre CD, derivi nella zona media-acuta sentiamo un prezioso ricordo dello almeno in parte dall’edizione Romophone 82014-2 e dalSchipa storico. La scena che finisce nel passaggio « Ma, come l’edizione Marston Records 52008-2. Se il suo lavoro è dopo il nembo » è da antologia, toccante fino alle lacrime, e davvero « insuperabile », perché cercare allora di migliorarlo viene giustamente salutata con urli dal pubblico. Alla fine di aggiungendo una finta eco elettronica? Queste riverberazio« Ah, non mi ridestar » Schipa raggiunge, in tutte e due le stro- ni artificiali non fanno che aggiungere una leggera distorfe, un pianissimo celestiale, ripetuto anche nel bis. Purtroppo la sione al timbro vocale. In molti casi poi si sente che il disco è stato Pederzini è ormai diventata la caricatura delriprodotto su un grammofono a tromba. la grande cantante sentita alla Scala nel 1934. CD In tutti questi riversamenti da esecuzioni dal Ho confrontato il riversamento di « Fa la TITO SCHIPA Integrale delle regivivo, la Nireo ha deciso di includere tutto il nana, bambin » con la mia copia originale a strazioni 1913-1964 materiale esistente, e perciò anche i brani in 78 giri. La trascrizione della Nireo sembra NIREO 2010-1/31 (31 CD) cui Schipa non canta. Una scelta dolorosa provenire da un grammofono acustico, ADD HHHHH quando arriviamo alla selezione dal Matrimomolto debole soprattutto nella riproduzione nio segreto di Cimarosa, una delle ultime delle frequenze più basse e più alte. La risoquattro recite del tenore alla Scala nel marnanza elettronica aggiunta dal tecnico serve zo del 1949. Ci sono alcuni tocchi magici soltanto a rendere questa preziosa voce più dello Schipa che amiamo nel duetto iniziale nasale e più dura. Il cofanetto mette in mostra infine molti alcon Carolina (Alda Noni). Nell’aria « Pria tri aspetti della carriera di Schipa: l’interpreche spunti in ciel l’aurora », una volta considerata una delle prove maggiori dell’agilità, te incantevole della romanza da salotto, delvivacità e bravura di un tenore, Schipa può la canzone napoletana, e della canzonetta popolare; la stella dei film; il compositore. offrire soltanto dei cauti sussurri. La stella Se lo acquistate, vi aspettano settimane, medell’esecuzione è Fedora Barbieri, una Fidalsi, anni di piacevole ascolto. & ma splendidamente baritonale, e nel famoso 46 musica 227, giugno 2011 GUSTAV MAHLER Prosegue la nostra rassegna sintetica delle sinfonie mahleriane in disco, indirizzata tanto agli esperti quanto ai neofiti. Letture mahleriane di riferimento: la Quinta e l’Ottava di Riccardo Cassani Il nostro pellegrinaggio sinfonico mahleriano riparte dalla Sinfonia n. 5 – quella del celebre Adagietto – che apre una nuova fase nella produzione sinfonica del compositore boemo. Scampato alla morte nell’inverno del 1901, Mahler passa l’estate dello stesso anno a scrivere opere intensamente drammatiche come i Kindertotenlieder e i primi due movimenti di questa sinfonia. Alla fine dell’estate qualcosa scatta dentro di lui e il successivo Scherzo (il più ampio e complesso della sua produzione sinfonica) diventa un vero canto di rinascita. I due movimenti conclusivi vedono la luce l’anno successivo e proseguono l’evoluzione in positivo dell’opera. Mahler passerà però il successivo decennio a correggere e riscrivere senza posa l’orchestrazione di questa sinfonia, vero punto di svolta nella sua produzione, gettando nella disperazione l’editore Peters. La prima scelta Il suo opposto Orchestra Sinfonica della Radiotelevisione dell’URSS, direttore Kirill Kondrashin MELODIYA 1000810 ADD 63:50 Berliner Philharmoniker, direttore Herbert von Karajan DG 447450-2 ADD 73:45 Premiato con una medaglia dalla Società Internazionale Mahleriana nel 1974, Kondrashin ci lascia un’interpretazione di travolgente drammaticità musicale nei primi due movimenti; di raffinata concertazione nell’ampio Scherzo, semplice e scorrevole nell’Adagietto e fulminante (13:57), senza inutili virtuosismi, nell’ultimo movimento. Quello che maggiormente colpisce di questa lettura è l’estrema sincerità espressiva, capace da sola di dare piena valenza artistica all’interpretazione di questo magnifico direttore russo, scomparso troppo presto. Qualcuno potrà trovare le sonorità degli ottoni russi troppo aperte, ma personalmente non mi dispiace per nulla il vibrato della tromba solista nel primo movimento e il colore opaco dei corni nell’ultimo. 48 L’approdo mahleriano di Karajan è stato tardivo e parziale, ma non privo di significato. Dopo aver lasciato che la « sua » orchestra apprendesse Mahler da altri direttori (Barbirolli in particolare), Karajan ha affrontato Quarta, Quinta, Sesta e Nona. La sua Quinta registrata nel 1973 risale al periodo di massimo splendore dell’interprete: l’ottica è prepotentemente tardo-romantica ma mai « esausta » (i Herbert von Karajan musica 227, giugno 2011 dodici minuti dell’Adagietto sono da antologia stilistica), mentre la partitura è lucidata in ogni minimo dettaglio ma senza risultare freddamente analitica. Da questo punto di vista Karajan si conferma uno straordinario « Blade Runner »: capace di camminare sul baratro del kitsch senza mai lasciarsi tentare da facili effetti speciali. Solo storico, prego New Philharmonia Orchestra, direttore John Barbirolli EMI 566910 ADD 74:29 Definire « storica » una registrazione in studio anno 1970 di questa qualità sonora potrebbe sembrare paradossale Ma non potevo certo esimermi dal segnalarvi questa magnifica Quinta adorata da sempre dalla critica e dal pubblico inglese. Barbirolli risolve quasi tutto il lavoro con un’intensità di canto lancinante (Ah, le origini italiane!) e un fraseggio degli archi plasmato meravigliosamente (Ah, il suo passato da violoncellista!) dalle prime battute della marcia funebre, passando per lo Stürmisch Bewegt si approda a un Adagietto quasi naı¨f Sir John Barbirolli nella sua intimità espressiva. Il Rondo-Finale è poi uno dei più lenti e anti-virtuosistici della discografia con i suoi oltre diciassette minuti di durata. I mahleriani d’oggi Melbourne Symphony Orchestra, direttore Markus Stenz ABC 476102-4 DDD 71:52 Questa edizione è una sorpresa recente, appena distribuita in Italia seppur datata 2002. Markus Stenz è un direttore tedesco nato nel 1965 con studi a Tanglewood con Bernstein e Ozawa. Attuale direttore dell’Orchestra Gürzenich di Colonia (con cui ha nuovamente registrato la stessa sinfonia) nel 2002 era a capo della Melbourne Markus Stenz Symphony Orchestra con cui firma questa registrazione di bellissima sintesi, giustamente « storicizzata » come piace agli interpreti attuali, ma assai convincente dal punto di vista drammatico. Meglio della raffinatezza un po’ fine a se stessa del recente Rattle berlinese (EMI) o del vitalismo ancora inconcluso del molto acclamato Dudamel ( DG ) con l’Orchestra Simon Bolivar. Il consiglio dell’amico Junge Deutsche Philharmonie, direttore Rudolf Barshai BRILLIANT 93719 DDD 69:33 Questa edizione mi è stata suggerita da diversi appassionati. Interprete acclamato di Shosta- Non da tutti amata, l’Ottava è un’opera curiosa nel cammino mahleriano: dall’organico potenzialmente spropositato, questo dittico sinfonico corale si compone di una prima parte oratoriale su testo del « Veni Creator Spiritus » e una seconda parte che si potrebbe definire come quanto di più vicino al melodramma Mahler ci abbia lasciato. Il problema dell’ interprete (oltre a maneggiare i mille possibili esecutori) consiste proprio nel comprendere e realizzare il senso complessivo del lavoro. La prima scelta soprani Martina Arroyo, Erna Sipoorenberg, Edith Mathis contralti Julia Hamari, Norma Procter tenore Donald Grobe baritono Dietrich Fischer Dieskau basso Franz Crass BR, NDR, WDR, Regensburger Domspatzen, Münchner Motettenchor, Symphonie-Orchester des Bayerischen Rundfunks, direttore Rafael Kubelik AUDITE 92551 ADD 73:37 Passano gli anni, ma l’edizione di riferimento dell’Ottava resta sempre questa. A renderla ineludibile un cast vocale di grande omogeneità e una visione interpretativa di superba coesione drammatica. Kubelik riesce come pochi altri a rendere immediatamente evidente come la seconda parte sia una diretta evoluzione del materiale musicale esposto nel Veni Creator Spiritus. Se l’edizione in studio firmata DG soffriva per una registrazione opaca e priva di spazialità, il remastering Audite dell’esecuzione dal vivo preparatoria all’incisione offre invece un’ampiezza e una profondità di ambiente inequivocabilmente superiori. L’esecuzione è praticamente sovrapponibile alla versione studio, ma in più c’è l’emozione del live. Il suo opposto soprani Alexandra Marc, Margaret Jane Wray, Christiane Boesiger contralti Dagmar Pecková, Eugenie Grunewald tenore Glenn Winslade baritono Anthony Michaels-Moore basso Peter Lika EuropaChor Akademie, Aurelius Sängerknaben, SWR Sinfonieorchester Baden-Baden und Freiburg, direttore Michael Gielen HÄNSSLER 93015 DDD 83:43 Interprete noto per il suo apostolato nei confronti della musica contemporanea, Michael Gielen ha realizzato due registrazioni dell’Ottava. La seconda, parte dell’integrale mahleriana pubblicata da Hänssler, è una lettura di grande lucidità musicale, concertata con estrema attenzione ai dettagli e concepita con un occhio attento a evidenziarne le istanze più moderne. Minimalista nel dispiegamento delle forze in campo, ma non per questo meno imponente nei punti di climax, questa registrazione è ideale per tutti quegli appassionati che trovano eccessive e ridondanti le più celebri edizioni discografiche. Da apprezzare in particolare l’estrema preparazione e disciplina delle forze corali coinvolte. Un buon cast vocale e un’ottima qualità della registrazione completano il risultato complessivo. Solo storico, prego soprani Anneliese Kupper, Ilona Steingruber, Dorothea Förster-Georgi contralti Maria von Ilosvay, Ursula Zollenkopf tenore Leorenz Fehenberger baritono Hermann Prey basso Franz Crass Kölner Rundfunkchor, Hamburger Musikhochschule, Städtischer Hamburg, Oberschule Eppendorf, NDR-Sinfonieorchester, direttore Winfried Zillig GALA 100806 ADD 72:35 Potrebbe far discutere la scelta di preferire quest’edizione storica a quelle di Mitropoulos, Horenstein, Stokowski o Boulez. kovich, il direttore di origine sovietica Rudolf Barshai, spentosi nel novembre 2010, propone una lettura priva di cedimenti sentimentali, lontana da tentazioni effettistiche, concertata con grande attenzione alle macro-strutture e splendidamente restituita dall’Orchestra Giovanile Tedesca. Ulteriori pregi della pubblicazione sono individuabili nell’estrema economicità dell’acquisto e nella stupefacente qualità della registrazione, effettuata nel 1999 alla Philharmonie di Berlino sotto la guida di Jürg Jecklin (mitico tecnico del suono svizzero), dalla resa ambientale inusitata – per ampiezza, profondità e precisione – del palcoscenico sonoro. Amo moltissimo la teatralità di Stokowski, il romanticismo sopra le righe di Mitropoulos, la perfezione strutturale di Horenstein e l’acume analitico di Boulez (Londra 1975), ma tutti e quattro presentano limiti vari: nella qualità del suono (Stokowski), nella tenuta del coro e nella credibilità di qualche solista (Mitropoulos) o nella resa di parte del cast vocale (Horenstein e Boulez). Eccoci quindi all’allievo di Schönberg, Winfried Zillig e al suo cast vocale assai omogeneo (tra cui svettano un magnifico Fehenberger e un giovane, incredibile Prey) e alla sua lettura di affascinante spessore e di vero equilibrio interpretativo. reperibilità un po’ più incerta tramite i normali negozi. I mahleriani d’oggi soprani Jane Eaglen, Anna Schwanewilms, Ruth Ziesak contralti Sara Fulgoni, Anna Larsson tenore Ben Heppner baritono Peter Mattei basso Jan-Hendrik Rootering Prague Philharmonic, Netherlands Radio, Kathedrale Koor St. Bavo, Sacramentskoor Breda, Royal Concertgebouworkest, direttore Riccardo Chailly DECCA 467314-2 DDD 82:14 Riccardo Chailly è ormai giunto alla piena maturità artistica: e la sua lettura dell’Ottava registrata ad Amsterdam nel 2000 si propone come una delle migliori dell’ultimo ventennio. Si tratta di un’esecuzione dal passo ampio e dai grandi gesti sonori di impostazione essenzialmente romantica: molto ben concertata e, soprattutto, dal cast vocale piuttosto omogeneo (Eaglen a parte) e convincente. Quest’ultimo dettaglio in particolare mi spinge a preferire questa ad altre edizioni recenti meno consistenti nel reparto voci seppur interessanti dal punto di vista direttoriale (Rattle e Boulez tra tutti). Unico vero neo è costituito dall’uscita di catalogo di questo doppio CD che diventa quindi di Il consiglio dell’amico soprani Jeannine Crader, Lynn Owen, Blanche Christensen contralti Nancy Williams, Marlena Kleinman tenore Stanley Kolk baritono David Clatworthy basso Malcolm Smith University of Utah Children’s Chorus, Utah Symphony Orchestra, direttore Maurice Abravanel AUDIO CLASSIC RECORDS DVD 75:01 Il supporto doppia faccia DVD audio o DVD video (la registrazione è però solo audio) è delicato e necessita di un lettore adeguato (possibilmente DVD audio per leggere la traccia a 24 bit, 192 Khz). Inoltre reperire una copia di questa ristampa non è facile né economicamente indolore. L’edizione però vi dà la possibilità di ascoltare l’interpretazione più entusiastica, gioiosa e « cuore in mano » di questo lavoro e una registrazione strabiliante dal punto di vista dell’ampiezza e della definizione dello spazio sonoro. Neanche le più recenti registrazioni DSD pubblicate in SACD (quelle di Zinman e Nagano per esempio) offrono lo stesso spettacolo sonoro. Su un impianto adeguato l’immagine sonora travalica addirittura i limiti dei diffusori in larghezza e sfonda l’eventuale muro di fondo in profondità. Se non vi basta... & Maurice Abravanel musica 227, giugno 2011 49 PIANOFORTE Una carriera costruita senza fretta, con l’unica idea di migliorare: potrebbe sembrare persino scontato, il percorso vissuto dal grande pianista austriaco, ma oggi questo tipo di saggezza acquisita nel tempo viene messo sempre più in discussione. Rudolf Buchbinder è immerso nella vita musicale dai primi anni cinquanta del Novecento, quando – enfant prodige – fu ammesso a cinque anni (il più giovane allievo di tutti i tempi) alla Musikhochschule di Vienna. E sessant’anni dopo questo interprete tradizionalista e intraprendente ha ancora le riserve di energia fisica e spirituale che occorrono per eseguire in un’unica serata (in veste di direttore e di solista) i Concerti per pianoforte di Brahms. La sua conversazione è focosa: non è certo uno di quei pianisti che sanno parlare esclusivamente del loro repertorio e del loro strumento. Buchbinder è un ottimo conoscitore della letteratura mitteleuropea e un esperto di arti figurative che durante le rare vacanze si dedica volentieri alla pittura. Le sue considerazioni sulla vita musicale sono quelle di un artista pienamente calato nella propria epoca ma preoccupato per quella perdita di memoria che affligge il mondo musicale di oggi. Che cosa significa per Lei essere un artista in questo particolare momento storico? E che cosa significa essere un artista in senso più ampio? Partirò da un aspetto che potrebbe sembrare a prima vista marginale, ma che in realtà è di fondamentale importanza: non lascio passare uno solo dei miei concerti senza intrattenermi dopo la performance con il pubblico che me lo richiede, per la firma degli autografi, o semplicemente per scambiare un’opinione sulla musica eseguita, o ancora meglio, solo per un sorriso o una stretta di mano. Inizio da questo dettaglio per spiegare il mio concetto di tradizione e di missione, con poche parole: le cattive tradizioni vanno abolite, distrutte. Le buone tradizioni vanno tenute in vita, adattandole al passare del tempo e al mutare delle condizioni sociali, politiche, culturali. In questo senso più ampio va intesa la professione, il fare artistico, che è una missione ricca di centinaia di anni di storia in trasformazione continua e ininterrotta, nella quale i cambiamenti si innestano con naturalezza. Essere un artista significa per me innanzitutto essere un interprete. Non metto certo in secondo piano il versante tecnico: senza quello non esisterebbe l’interpretazione. Lo studio è una condizione imprescindibile per l’esistenza di un pianista. L’esercizio quotidiano è un compagno di viaggio dell’intera vita del pianista. Tuttavia essere artista presuppone un salto di qualità, entrare nel vivo della musica, comprendere i compositori, confrontarsi con ciò che hanno scritto, eventualmente fino a trasfigurarlo. Abbiamo documenti di Stravinski che attestano come egli stesso cambiasse la sua musica dopo il confronto con gli esecutori. Come sono mutate le dinamiche del Suo lavoro? I mutamenti sono vastissimi, e sono di due categorie ben distinte: potremmo definirle interne ed esterne. Innanzitutto quelle interne: è cambiato completamente il metodo di avvicinarsi agli studi, all’acquisizione della tecnica, e di conseguenza è mutato il gusto esecutivo. Io non giudico, non categorizzo, non pretendo di dire ciò che è meglio o peggio: 50 musica 227, giugno 2011 constato solamente che ci si avvicina a un compositore, magari studiandolo a fondo, ma talvolta senza entrare nel suo mondo, nella sua storia, senza valutare i motivi che hanno condotto la sua estetica a prendere una certa direzione. Noto talora che i giovani pianisti sono tecnicamente inappuntabili, ma portano al pubblico note magnificamente suonate senza far arrivare agli ascoltatori la cultura che le ha generate, l’epoca dalla quale i capolavori sono usciti. Io invece sono molto legato alla necessità di approfondire la conoscenza delle fonti. Per amore delle sonate di Beethoven, ho acquisito circa venti edizioni differenti della raccolta completa. Per passione ho poi collezionato un gran numero di manoscritti, di autografi, di prime edizioni. Anche dei Concerti per pianoforte e orchestra di Brahms possiedo le copie anastatiche dei manoscritti. Oggi la professione si è trasformata in una corsa al concerto, talora senza comprendere la differenza tra evento e interpretazione. Molti pianisti si sono trasformati in uomo-evento, e questo è un cambiamento evidente, sotto gli occhi di tutti. Per quanto riguarda i mutamenti che abbiamo definito come « esterni », si può ben cogliere il fatto che la musica d’arte non è più sotto i riflettori come un tempo. Qualche decennio fa i giornali, i quotidiani come le riviste, avevano il critico musicale, l’inviato a teatro per le « prime », e a volte anche lo storico che introduceva e spiegava l’opera. In televisione c’erano molti più concerti, i telegiornali parlavano dei musicisti come oggi parlano dei protagonisti della vita sportiva. Tutto questo non esiste più, e ovviamente condiziona la percezione del pubblico. Una grandissima differenza rispetto al passato riguarda la professione di pianista in relazione alle case discografiche. Un tempo il pianista veniva quasi « adottato » da una casa discografica, che lo seguiva lungo tutta la sua carriera, con un vantaggio enorme: quello di poter programmare il suo repertorio anche in funzione dell’eredità discografica. Tutto ciò costringeva in un certo senso l’artista a delineare un percorso, a scegliere i « suoi » compositori. L’identificazione fra pianista e casa discografica poteva essere addirittura totale o quasi, come dimostra il caso di Glenn Gould e la CBS. Questo elemento ci porta alla considerazione forse più importante: il pianista del passato poteva pensare in proiezione alla sua carriera e al suo percorso estetico, lentamente, senza scossoni. Riassumendo, la carriera del pianista del passato era rivolta alla costruzione di un futuro, quella del pianista di oggi guarda essenzialmente al presente. La più grande fortuna della mia carriera è stata quella di poter costruire il mio percorso con serenità, mettendo assieme le tessere di un mosaico ideale per cinquant’anni, senza affanni e senza rincorse, con l’unica idea di migliorare. Qual è il destino dei più giovani che si avvicinano alla musica colta e in particolare al pianoforte? Penso che il problema fondamentale per il mondo della musica colta sia attualmente quello di trovare una soluzione che permetta ai giovani e anche ai più piccoli di avvicinarsi in Un perfezionismo d’altri tempi Il segreto di Rudolf Buchbinder di Mario Marcarini musica 227, giugno 2011 51 modo naturale all’arte. Ripeto, è lo snodo vitale per la trasmissione della nostra cultura musicale, ed è una questione che viene quasi totalmente accantonata dalle istituzioni della quasi totalità dell’Occidente. Io ho la fortuna di attraversare il mondo suonando, e da questa posizione di osservatore per cosı̀ dire privilegiato devo dire che – dal Musikverein di Vienna fino alla sala da concerto più sperduta in Islanda – quando durante un concerto mi volgo al pubblico, o mi inchino per ricevere gli applausi, vedo sempre meno giovani tra le file. Ci sono certo delle eccezioni, dovute alla lungimiranza non tanto dei governi ma delle orchestre e dei teatri: direttori come Zubin Mehta e Nikolaus Harnoncourt fanno sı̀ che vengano messi a disposizione biglietti economici per i ragazzi. Anche nel Festival di Grafenegg, che ho fondato e che dirigo, quello dell’accesso privilegiato ai giovani è un aspetto fondamentale. Purtroppo noto che in Italia questo atteggiamento è meno frequente, con pochissime eccezioni, rappresentate dal Teatro alla Scala e soprattutto dalla Filarmonica della Scala, che apre le prove alle scuole, gratuitamente. Poi c’è un altro problema da affrontare, quello della crisi economica. Se il prezzo di un biglietto per un concerto o per un’opera è assolutamente al di fuori della portata di un operaio o di un insegnante, figuriamoci come può uno studente accedere alle sale da concerto. Inoltre il sistema scolastico è oggi orribile, perfino in Austria, dove le scuole sono carenti in numero e in qualità. La situazione nel vostro paese non è migliore, ma finché non si prenderanno delle decisioni serie e definitive a livello politico sicuramente sarà improbabile un miglioramento. Sarebbe inoltre necessario far capire ai politici la differenza tra istruzione e cultura; la prima non serve a nulla senza la seconda, e i governi dovrebbero investire maggiormente in tutti e due i campi. Quali sono i Suoi impegni più coinvolgenti attualmente? L’entusiasmo maggiore deriva dal mio carattere di perfezionista: come il grandissimo Claudio Arrau, vorrei arrivare dopo cinquant’anni di carriera al massimo delle mie possibilità. Migliorare continuamente è la mia fonte principale di energia ed entusiasmo. Come direttore e solista, dopo aver affrontato tutti e cinque i Concerti di Beethoven con i Wiener, il mio coinvolgimento maggiore in questo momento è diretto all’esecuzione dei due Concerti di Brahms che preparo con la Tonhalle Orchester Zürich; li suoniamo nella stessa serata, come abbiamo già fatto a Vienna e al Brucknerfest di Linz. Ma tutta la mia vita come pianista mi coinvolge comGrafenegg pletamente, nello spirito e Il Festival di Grafenegg, che viene nella quotidianità: programospitato nel grande parco di un mare il futuro significa avere castello a pochi chilometri dal l’opportunità di poter protratto più bello del Danubio in porre al pubblico i propri soAustria, si svolge ogni anno tra figni. Fonte di enorme soddine agosto e inizio settembre, con sfazione è per me la nomina a una particolare concentrazione di « Capell-Virtuoso », un incariappuntamenti intorno ai weeco creato per me dalla Staatkend. Il livello esecutivo è all’alskapelle Dresden come artista tezza dei migliori festival internaresidente: con questa magnifizionali e i luoghi d’esecuzione – che comprendono un auditorium ca compagine suonerò sia in all’aperto e due sale chiuse – sono tournée negli Stati Uniti che particolarmente accoglienti. L’atpresso la Semperoper. Sempre mosfera poi è un po’ quella di fenell’ottica di affinare le mie stival americani come Tanglescelte estetiche, ripropongo il wood, con un compositore in resiciclo integrale delle sonate 52 musica 227, giugno 2011 per pianoforte di Beethoven, che eseguirò – tra l’altro – anche al Mariinsky. Non mi dispiacerebbe riproporre, dopo tanti anni di distanza dalla mia incisione discografica, questo ciclo fondamentale in compact disc. Qual è appunto il Suo rapporto con il disco? Dopo averne registrati più di cento, c’è ancora qualcosa che sogna di incidere, o un ciclo che desidera realizzare? Sta per essere pubblicato il live dei due Concerti per pianoforte di Brahms realizzato con la Israel Philharmonic Orchestra diretta da Mehta. Un ciclo completo di Beethoven poi mi permetterebbe poi di realizzare un confronto fra il me stesso odierno e il me stesso di venti anni addietro. Non aggiungo altro tuttavia, proprio perché i sogni sono belli ma privati, e non nascondo un certo grado di scaramanzia, misto anche alla mia naturale riservatezza. Certamente guardando al mio passato posso dire di aver avuto la fortuna di realizzare progetti fondamentali per la mia crescita, come l’incisione completa dei Concerti per pianoforte e orchestra di Mozart, di tutte le sonate di Haydn, dei Concerti di Beethoven, ma anche di progetti più originali come il ciclo delle Variazioni Diabelli, in cui ho affrontato le lezioni di più di cinquanta autori differenti che si sono cimentati sul celebre tema. Posso solo aggiungere che ultimamente prediligo le registrazioni dal vivo, per la loro naturalezza, ma anche per la forza e l’energia che emanano. In veste di fondatore e direttore artistico del Grafenegg Festival può raccontarci qualcosa su questa esperienza? Per mia natura sono un perfezionista, e ho cercato di cogliere il meglio, selezionandolo, dai festival più affermati e consolidati a livello mondiale, come il Festival di Salisburgo, di cui sono ospite abituale. Ho cercato di trasmettere tutta la mia personalità e le mie idee a questo festival, cercando soprattutto di evitare gli errori compiuti da altri, che sono sotto gli occhi di tutti. Spesso capita che i fondatori di Festival, se sono anche esecutori, desiderino essere anche le celebrità della manifestazione, togliendo spazio agli altri. Decisamente non è il mio caso: le mie apparizioni sono molto limitate, un recital solistico e un concerto con orchestra, e quest’anno sarò lieto di interpretare il Primo Concerto di Brahms con la Israel Philharmonic e Mehta. Come direttore artistico sono orgoglioso di poter dire che sono lontano mille miglia dal sistema clientelare che purtroppo vige in molte manifestazioni, sistema che io detesto. Nel mio Festival non sono invitati solo gli amici degli amici, o i protetti di qualche potente agenzia: a Grafenegg Festival 2011 lo scambio culturale si svolge dence (quest’anno Heinz Karl soprattutto all’insegna del Gruber, che sarà protagonista di confronto fra scuole e stili. Io un concerto di musiche proprie invito artisti interessanti, che e di Weill il 4 settembre). Buchpossono trasmettere il senso binder si esibirà in un recital (il dell’arte al pubblico, offrendo 20 agosto: Beethoven e Schurepertori variegati, dal barocco mann) e un concerto (il 30 agosto: al ventesimo secolo, senza preil Primo di Brahms), mentre tra gli clusioni. Soprattutto non invialtri solisti figurano Jean-Yves to solo artisti che io amo; mi Thibaudet, Janine Jansen, Nikolaj sforzo di invitare anche interZnaider e Anne-Sophie Mutter. Sul podio invece spiccano i nomi preti che io personalmente di Paavo Järvi, Charles Dutoit, non apprezzo, ma che possono Zubin Mehta, Myung-Whung coinvolgere il mio pubblico. Il Chung e del colombiano Andrés mio gusto non è importante, Orozco-Estrada. Per ulteriori inio devo assemblare il miglior formazioni: www.grafenegg.com cartellone possibile. & PHAEDRA WorldPremiere GRAMOLA Hans GAL (1890-1987) Concerto per violino op.39 (1932) Sonate per violino e pianoforte n.1 (1920) n.2 (1933) --------------------------------------Thomas Albertus Irnberger, violino Evgenij Sinaiski, pianoforte Orchestra da camera d’Israele Roberto Paternostro, direttore Wolfgang Amadeus MOZART Q uintetto per clarinetto K.581 Johannes BRAHMS Q uintetto per clarinetto op.115 ---------------------------------------Roeland Hendrickx, clarinetto Panocha Quartet SACD GRAM 98921 PH 292024 ) Franz LISZT Trascrizioni per piano e orchestra (integrale) da Franz SCHUBERT: Wanderer-Fantasie da Hector BERLIOZ Grande fantasia sinfonica su temi del Lelio da Ludwig van BEETHOVEN Fantasia su Le rovine di Atene da Carl Maria von WEBER Polacca brillante ---------------------------------------Victor Sangiorgio, pianoforte Queensland Symphony Orchestra En Shao, direttore HAGEN QUARTETT Ludwig van BEETHOVEN Quartetto op. 59/2, ‘R asumowsky ’ Wolfgang Amadeus MOZART Quartetto K 428 Anton WEBERN Fünf Sätze op.5, Bagatellen op. 9 -------------------------------------- SACD MYR 006 ABC 476 4236 DIES --------------------------------------Escolania del Escorial Real Capilla Escurialense Javier M.Carmena, direttore WorldPremiere Tomas Luis de VICTORIA (1548-1611) Officium Hebdomadae Sanctae (1585) LA MA DE GUIDO Maurice OHANA (1913-1992) S tudi d ’interpretazione ----------------------------------Maria Paz Santibaez, pianoforte 4CD a prezzo speciale DIES 201123 LMG 4009 QUERSTAND a cura di Antonio MARTIN Y COLL (1671-1734) C omposizioni anonime del S eicento spagnolo --------------------------------------Ignasi Jordà, organo di Montesa (1744) La Dispersione Ensemble Joan B. Boïls, direttore EN 2031 PubbMUSICA_Giugno2011.indd 1 WorldPremiere WorldPremiere ENCHIRIADIS IL TROMBONE RINASCIMENTALE M usiche di B. de S elma y S alaverde D.O rtiz , G.B.B onvicelli , G.B assano C.M onteverdi , F.R ognoni -Teggio --------------------------------------Ercole Nisini, trombone rinascimentale Instrumenta Musica Ensemble (flauto dolce, organo, dulciana e percussioni) W W W . C O D A E X I T A L I A . I T - Trovate tutte le novità nella sezione iGusto scaricabili in pdf ABC via Reina, 15 MYRIOS e CODAEX ITALIA s.r.l. -----------direzione 20133 Milano tel. 02.3656.2060 - fax 02.3656.1967 - info@codaex.it d dances VKJK 1012 20/05/11 09:02 giugno 2011 i dischi 5 stelle del mese NIREO CD ONYX CD STRADIVARIUS CD recensione a pagina 46 recensione a pagina 57 recensione a pagina 58 ALTO URANIA MIRARE CD CD CD HARMONIA MUNDI CD WIDE CLASSIQUE HÄNSSLER HYPERION CD recensione a pagina 63 DG NAXOS DOMINIQUE RECORDS HARMONIA MUNDI CD recensione a pagina 68 recensione a pagina 71 recensione a pagina 72 recensione a pagina 74 CHALLENGE CLASSICS CD DYNAMIC LINN VIRGIN CLASSICS recensione a pagina 75 recensione a pagina 76 recensione a pagina 78 recensione a pagina 80 URANIA HARMONIA MUNDI AUDITE NAXOS CD recensione a pagina 85 CD CD recensione a pagina 86 SACD CD recensione a pagina 86 CD recensione a pagina 60 recensione a pagina 63 CD DELOS recensione a pagina 59 recensione a pagina 62 CD CD recensione a pagina 58 recensione a pagina 62 CD CHANDOS Premiato con 5 stelle dalla Rivista CD CD recensione a pagina 86 CD CD recensione a pagina 64 recensione a pagina 66 BIS FINELINE CLASSICAL SACD CD recensione a pagina 74 recensione a pagina 74 DECCA HARMONIA MUNDI CD recensione a pagina 82 PARADIZO CD recensione a pagina 90 CD recensione a pagina 84 URANIA CD recensione a pagina 91 Premiato con 5 stelle dalla Rivista HARMONIA MUNDI DVD recensione a pagina 66 HARMONIA MUNDI DVD recensione a pagina 66 ARTHAUS DVD recensione a pagina 72 segnala i dischi eccezionali recensiti in questo numero LE RECENSIONI DI H HH HHH HHHH HHHHH Negativo Discreto Buono Ottimo Eccezionale La fascia di prezzo segnalata è puramente indicativa DVD Video ADAMS Doctor Atomic (opera in 2 atti su libretto di P. Sellars) G. Finley, R.P. Fink, T. Glenn, S. Cooke, E. Owens, E. Patriarco, M. Arwady, R. Honeywell; The Metropolitan Opera Orchestra, Chorus and Ballet, direttore Alan Gilbert regia Penny Woolcock scene Julian Crouch regia video Gary Halvorson SONY 88697806659 (2 DVD) M 171:00 HHH . Nell’ottobre del 2008 il capolavoro di John Adams è arrivato anche al Metropolitan, con una velocità (la prima mondiale a San Francisco si tenne il primo ottobre 2005) del tutto eccezionale, considerando i gusti conservatori del pubblico del teatro newyorchese. E riguardando questo doppio DVD l’impressione suscitata dall’opera, già recensita in occasione della pubblicazione del DVD Opus Arte (su MUSICA n. 202), rimane estremamente positiva. Una partitura di potente impatto teatrale, musicalmente raffinata, che dipinge con efficacia i contrasti morali che la scienza e invenzioni cosı̀ paurose come la bomba atomica sollevano nell’animo umano. Quella di Robert Oppenheimer è una figura prometeica, insomma, ma lacerata dai dubbi e dalle inquietudini dell’uomo del Ventesimo secolo. Un ruolo di grande difficoltà vocale, tra l’altro, che pone all’interprete enormi richieste in termini di musicalità, dominio del registro acuto e introspezione: Gerard Finley si conferma ancora (il cast è sostanzialmente immutato rispetto alla pro- .A .M .B duzione di Amsterdam conservata nell’altro video) artista di statura storica, arricchendo il suo ritratto con una sorta di rassegnato fatalismo. Interessante anche la lettura orchestrale che Alan Gilbert – direttore musicale della New York Philharmonic – dà della complessa partitura, di cui sottolinea i momenti onirici, amorosi e meditativi, compresi quelli affidati alla native American Pasqualita, a scapito forse di quell’asciuttezza ritmica che è tratto saliente dell’ultima mezz’ora del secondo atto. Va altresı̀ detto che John Adams ha nel frattempo rivisto la partitura e ne ha ammorbidito certe asperità armoniche e diluito, a mio parere in modo eccessivo, la lunghezza di alcune scene. Una revisione che spero venga presto dimenticata, perché l’equilibrio della lezione precedente viene compromesso. Ma dove il DVD Sony perde nettamente il confronto con quello Opus Arte è nella parte visiva: alla stratificata, emozionante, polisemica regia di quel geniaccio di Peter Sellars (il quale, va ribadito, è anche librettista dell’opera), si sostituisce l’innocua mise en scène di Penny Woolcock, di per sé corretta ma lasciata troppo all’iniziativa dei singoli nella recitazione, senza un’idea ben chiara al di là di una buona illustrazione dei singoli momenti e – colpa maggiore di tutte – incapace di uniformarsi alla musica in troppi punti, specie durante la sublime scena del countdown finale. Alto Medio Basso Gli altri cantanti sono in massima parte gli stessi delle precedenti produzioni: come Jack Hubbard (qui chiamato Frank Hubbard, contrariamente a ogni dato storico) non abbiamo più, purtroppo, James Maddalena, sostituito da un assai meno efficace Earle Patriarco, e cambiano anche gli interpreti del giovane scienziato James Nolan (un ottimo, trasognato Roger Honeywell) e di Kitty, moglie di Oppenheimer, la cui tessitura è stata riportata a quella mediosopranile, trovando in Sasha Cooke un’artista efficace ma poco più. E gli altri sono sempre bravi, ma privi di quella spinta totalizzante mostrata nel video precedente, molto più ricco anche negli extra. Nicola Cattò CD BACH Mottetti Vocalconsort Berlin, direttore Marcus Creed HARMONIA MUNDI HMC 902079 A DDD 70:57 HHHH . I Mottetti di Bach non rappresentano un insieme immutabile come le sinfonie di Beethoven: il loro numero oscilla a seconda del parere degli studiosi che periodicamente rimettono in discussione le tradizionali attribuzioni. Cosı̀, se una trentina d’anni fa John Eliot Gardiner pubblicava un doppio CD dedicato a queste composizioni bachiane, ora al maestro inglese Marcus Creed, direttore del Vocalconsort Berlin, basta un solo album per esaurire la ricognizione integrale del genere musicale in oggetto. Rispetto alla raccolta di Gardiner sono scomparsi due mottetti, ma in compenso si è aggiunto Ich lasse dich nicht BWV Anh 159, già ritenuto opera del prozio di Bach, Johann Christoph, e ora accolto dagli specialisti fra le opere giovanili del sommo Johann Sebastian. Un’analoga oscillazione riguarda le modalità esecutive di questi lavori. Per esempio, il più celebre dei mottetti, il possente e gioioso Singet dem Herrn ein neues Lied BWV225, si esegue di norma con un’orchestra che raddoppia le parti vocali, mentre Marcus Creed lo restituisce alla dimensione puramente corale, per sole voci e basso continuo (nella fattispecie, organo e violone). Il magnifico ensemble del Vocalconsort Berlin – in tutto diciotto coristi con voci femminili per le parti di soprano e contralto, dunque senza controtenori – supera a pieni voti la difficile prova e restituisce a queste pagine la loro essenzialità espressiva in stretto rapporto con i testi tratti dai Salmi e dalle epistole paoline. Marco Bizzarini CD C.P.E. BACH Sei Concerti per il cembalo concertato Wq 43 clavicembalo Andreas Staier Freiburger Barockorchester, direzione Petra Müllejans HARMONIA MUNDI HMC 902083.84 (2 CD) M DDD 94:30 . HHHH Affascinante iniziativa quella dell’Harmonia Mundi austriaca di proporre i Sei Concerti per il cem- musica 227, giugno 2011 55 BACH SACD BACH Passione secondo Matteo BWV 244 A. Dieltiens, S.K. Thornhill, T. Mead, M. White, G. Türk, J. Podger, C. Daniels, P. Harvey, S. Noack; Kampen Boys Choir, Netherlands Bach Society, Museum Catharijne Convent, direttore Jos van Veldhoven CHANNEL CLASSICS CCS 32511 (3 SACD) A DDD 165:25 HHHH balo concertato elaborati tra il 1770 e il 1772 dal massimo esponente dello stile « sensibile » (o « sentimentale »), vale a dire Carl Philipp Emanuel Bach, all’epoca appena giunto ad Amburgo, dopo il non sempre gratificante soggiorno berlinese, al servizio di Federico II (i cui gusti musicali erano notoriamente conservatori). Essi rappresentano dunque – come sottolinea Andres Staier nelle interessanti note di presentazione – la prima importante raccolta tardiva dell’autore, precedendo le Sei Sinfonie per archi (1773), le Orchestersinfonien mit zwölf obligaten Stimmen (1780) e le Clavier-Sonaten und freye Fantasien (1779-1786), con le quali presentano diversi punti di contatto, soprattutto con le sinfonie, di cui anticipano lo splendore timbrico e l’inesauribile vitalità, oltre ad alcune peculiari soluzioni formali, come il diretto collegamento tra i vari movimenti (che si snodano uno dietro l’altro senza soluzione di continuità). Dal punto di vista espressivo risaltano poi l’intensità e l’eloquenza patetica dei tempi lenti: si ascoltino, ad esempio, il dolente soliloquio dell’Andante del Concerto in Fa maggiore n. 1, la soave connotazione del Larghetto del Concerto in Mi bemolle maggiore n. 3, o, ancora, l’assorto divagare del Poco adagio del Concerto in Do minore n. 4, (articolato in quattro movimenti), per avere la cifra esatta della profondità dell’ispirazione e della varietà espressiva, come emerge anche dallo scintillio dei movimenti veloci, sempre esuberanti e vitalistici, ulteriormente valorizzati dalle novità formali, dalla ricchezza della strumentazione, dalla singolare ampiezza di soluzioni dinamiche ed agogiche, al punto che Staier ha potuto concludere che « in nessun’altra raccolta Bach ha presentato in modo cosı̀ sistematico tutte le sfaccettature di un compito formale dato come nei sei Concerti ». Questa raccolta ci è ora presentata integralmente dallo stesso Staier, affiancato dalla Freiburger Barockorchester diretta da Petra Müllejans: un’edizione che non esitiamo a considerare di assoluto riferimento per adesione stilistica, per l’energia e la brillantezza della conduzione orchestrale, per il sicuro virtuosismo e la flessibilità del solista (che per l’occasione ha utilizzato una copia di un clavicembalo Hass del 1734). Un itinerario ricco di sorprese, trascinante nei movimenti più veloci, spesso toccante in quelli lenti, dato il non comune spessore di un’invenzione melodica altamente eloquente. Un approccio, peraltro, privo di quei limiti che spesso hanno compromesso non poche esecuzioni clavicembalistiche, vale a dire la meccanicità o la rigidità del fraseggio nei tempi più mossi, quando affrontati con analoga incisività. L’unico neo è il livello di una registrazione senz’altro limpida e naturale, ma nella quale lo strumento solista sembra relegato nello sfondo, probabilmente per riprodurre l’esatto equilibrio fonico tra il cembalo (timbricamente delicato) e un’orchestra dall’organico comprendente anche diversi strumenti a fiato (flauti e corni in particolare). Una nota di merito infine per l’elegante realizzazione grafica e per il libretto allegato. Claudio Bolzan . CD BACH Passione secondo Giovanni BWV 245 M. Padmore, H. Müller-Brachmann, P. Harvey, B. Fink, K. Fugr, J. Lunn; Monteverdi Choir, English Baroque Soloists, direttore John Eliot Gardiner SOLI DEO GLORIA SDG 712 (2 CD) M DDD 114:47 HHHH . La Passione secondo Giovanni di Gardiner risale al 2003 e ha i pregi e i difetti delle registrazioni live (vivezza ma anche una non sempre nitidissima presa di suono). Tra le voci soliste svetta quella contraltile di Bernarda Fink (si vedano le arie « Von den Stricken » e soprattutto « Es ist vollbracht! »), assecondata dal timbro brunito della viola da gamba. Ma non dispiace neppure la voce ferma e ascetica del Cristo del basso Müller-Brachmann e quella multicolore e partecipe dell’Evangelista del tenore Mark Padmore. La Bach Society olandese è il più antico ensemble di musica antica in Olanda e dal 1983 viene diretta da Jos van Veldhoven. Anche se i nomi dei cantanti non appartengono allo star system internazionale, la registrazione « surround » della Passione secondo Matteo è all’ultimo grido. Nell’esecuzione c’è gloria per tutti: per i solisti che hanno, come noto, le loro zone di primo piano, gli snelli e duttili cori, l’orchestra attenta alla prassi antica. Ascolto avvincente come in una sequenza filmica. Molto curato, soprattutto iconograficamente, il libretto con le note illustrative. Lorenzo Tozzi SACD BARTÓK Concerto per violino n. 2; Concerto n. 1 op. post. violino Arabella Steinbacher Orchestre de la Suisse Romande, direttore Marek Janowski PENTATONE PTC 5186 350 A DDD 61:12 HHHH 56 musica 227, giugno 2011 . Dopo la partenza di Julia Fischer, accolta a braccia aperte dalla Decca, la violinista di casa PentaTone è oggi, al cento per cento, Arabella Steinbacher. Monacense classe 1981, la Steinbacher è stata allieva di artisti assai dissimili ma tutti importanti quanto ad apporti complementari: Ana Chumacenko ossia una tecnica a prova di bomba, Dorothy de Lay vale a dire i modi eloquenti della Juillard School, ed Yvry Gitlis l’iconoclasta, con quanto ne consegue. Dopo il Concerto di Dvořák e il Primo di Szymanowski (ancora la PentaTone); in coda a emissioni per Orfeo (Beethoven, Berg, Shostakovich), ecco il dittico bartokiano. Dittico che in verità si sostanzia nel Secondo Concerto, essendo il Primo, che l’autore non volle mai pubblicare e infatti è stato edito postumo, di semplice interesse documentario (è la versione iniziale dei giovanili Due ritratti op. 5). L’Orchestre de la Suisse Romande, quella con cui il compianto Ernest Ansermet faceva miracoli, sotto la bacchetta esperta di Jarowski suona bene ma non benissimo; è sempre un po’ agglutinata, poco analitica anche se a un risalto sonoro di rispetto concorre il SACD. Quanto alla Steinbacher, va osservata una forte personalità che, vicina, qui, al Gitlis di storiche registrazioni e lontanissima dallo « stile Juillard », accentua gli aspetti espressionisti del lavoro con forti contrasti, bruschi accenti e una pensosità dolorosa molto marcata. Il tutto con intonazione inappuntabile, facilità, coerenza del dire. Ne scapitano un po’ il lirismo e lo squillo aperto nelle stesure soprane, punto di forza della lettura di Shaham con Boulez, DG , interpreti che a loro volta sottolineavano mahlerismi trascurati, in questa interpretazione, da direttore e solista. In un brano nato come tema con variazioni, dunque tutto variazioni incanalate nel sonatismo da Concerto, un direttore dal solido senso dell’architettura come Janowski ottiene risultati eccellenti ed esemplare affiatamento con la solista. Alberto Cantù DVD Video BELLINI Norma (melodramma in due atti di F. Romani) J. Anderson, D. Barcellona, S.Y. Hoon, I. Abdrazakov, S. Ignatovich, L. Melani; Coro del Festival Verdi, Orchestra Europa Galante, diret- BORODIN tore Fabio Biondi regia Roberto Andò scene Giovanni Carluccio ARTHAUS 107 235 (2 DVD) A 163:00 HHHH . Questo video della Arthaus propone la registrazione del coraggioso esperimento belliniano andato in scena al Teatro Regio di Parma nel 2001. L’idea di applicare alla musica ottocentesca, dopo anni di lavoro sui repertori più antichi, la prassi esecutiva « storicamente informata » era dieci anni fa già ampiamente praticata sul fronte sinfonico (pensiamo alle conquiste di Gardiner negli anni novanta). Applicare però tale convenzioni esecutive a un titolo come la Norma di Bellini, con tutto ciò che ne consegue a livello di sonorità orchestrali, agogica e rivisitazione generale del testo, era invece una novità. L’irruenza e i ritmi concitati dell’Europa Galante danno risultati notevoli sul piano espressivo e la lettura di Biondi attenua i tradizionali toni epici a vantaggio di un’alternanza tra momenti di barbarica concitazione e altri di nudo sostegno per le voci. E June Anderson garantisce un altro livello di verità espressiva in una parte che le richiede alcuni sforzi virtuosistici ma soprattutto una linea vocale elegiaca e dolente. Il finale primo, la scena dei figli e « Deh! Non volerli vittime » sono momenti altissimi che forse nessun’altra cantante negli ultimi anni ha saputo rendere con altrettanta pertinenza. Se la visione interpretativa della Anderson si sposa perfettamente con la prospettiva di Biondi, non altrettanto si può dire di Daniela Barcellona. Che certo sfrutta con calore e trasporto la propria rigogliosa vocalità, ma che, chiamata in una parte come quella di Adalgisa, reitera, in un contesto che guarda del tutto altrove, la tradizione del mezzosoprano in una parte creata da Giulia Grisi. Ciò naturalmente non significa che in generale la parte debba per forza essere affrontata da soprani acuti (come accade talora da quando il Festival di Martina Franca convocò Lella Cuberli), ma è chiaro che vi sono richieste una certa facilità nel sostenere le alte tessiture e una certa ingenuità d’accento che non sono mai state le caratteristiche peculiari della Barcellona. Shin Young Hoon possiede tutte le note di Pollione, ma poco dello slancio eroico del personaggio né sembra complessivamente dare un qualsivoglia spessore interpretativo al proprio canto. Se di questa operazione di rilettura si può comunque dare un giudizio complessivo più che lusinghiero, dispiace che sul fronte registico si assista invece a una sostanziale rinuncia. Lo spettacolo di Roberto Andò è tradizionale nel senso meno lusinghiero del termine e non offre grandi stimoli alle notevoli risorse attoriali delle due protagoniste. Riccardo Rocca DVD Video « Berlin Opera Night » (musiche di Händel, Mozart, Puccini, Dvořák, Wagner, R. Strauss, Saint-Saëns, Leoncavallo, Lehár, J. Strauss II) G. Bumbry, A. Schwanewilms, Charles Castronovo, R. Pape, V. Kasarova, A. Pieczonka, M. Crider, J. Kowalski, V. Galouzine, J. Banse, S. Licitra, A. Kirchschlager, M. Bruck; Orchester der Deutschen Oper Berlin, direttore Kent Nagano EUROARTS 2053589 A 73:00 H H H /H HHHH . Beneficenza, quanti delitti si commettono in tuo nome! Ben trentasei tracce conteneva l’originale registrazione su CD del concerto di gala a sostegno della Deutsche Aids-Stiftung (dal 1994 evento clou della stagione invernale berlinese; qui si tratta dell’edizione 2003). Nella versione su DVD ne sono rimaste appena tredici e non sempre il criterio di selezione pare obbedire ad un criterio di qualità musicale o interpretativa. Prevale invece il facile ascolto, mentre il corpo tipografico del frontespizio, volendo dividere i cantanti fra serie A e serie B, meriterebbe solo fischiate, o quanto meno un bel rimescolamento di carte. Ignorando le furbate del marketing, come pure una regia assai modesta, forse più adatta alle riprese di una convention elettorale statunitense, diremmo comunque che il prodotto meriti l’attenzione del collezionista, e domani – chissà – pure dello storico. Anzitutto il mostro sacro Grace Bumbry, qui nel suo sessanteseiesimo anno di età e tuttavia capace di destare brividi sensuali con un’aria di Dalila affrontata a passo maestoso, sviluppata in spire e riprese adorne dei maliosi portamenti « all’antica » appresi alla scuola di Lotte Lehmann, ed infine conclusa sullo squillo di un Si bemolle acuto che molte colleghe trentenni le invidierebbero. Poi un inedito René Pape, oggi affermato specialista di ruoli wagneriani, impegnato a snocciolare il catalogo di Leporello tra sulfurei ammiccamenti, note basse scolpite, impeccabili sillabati. Peccato solo che due versi del testo gli scappino dalla memoria; ma pazienza: è un infortunio che non riesce a intaccare una prestazione maiuscola sotto ogni aspetto. Anche l’aria della lettera dal Werther trova in Vesselina Kasarova una lettura memorabile: duttile fraseggio, colore rotondo nei centri, saldezza nel registro basso, forza dirompente in acuto. La polacco-canadese Adrianne Pieczonka completa il podio d’onore con un’invocazione alla luna dalla Rusalka tale da farci rimpiangere che non canti spesso dalle nostre parti: bel suono, grazia di legati e mezze voci, acuti esultanti e senza sforzo. Pure interessanti l’aristocratica Anne Schawanewilms come Elsa di Brabante nell’aria del sogno, l’ex sovietico di lungo corso Vladimir Galouzine con un « Vesti la giubba » molto drammatico e dignitoso, e il giovanissimo tenore Charles Castronovo con un « Dein ist mein ganzes Herz » (per noi: « Tu che m’hai preso il cor »), affrontato da lirico spinto di grandi mezzi più che da crooner di rito operettistico viennese. Sarà poco filologico ma lascia a bocca aperta. Lasciamo ai rispettivi fans il privilegio di emozionarsi per le prodezze di Angelika Kirchschlager, Juliane Banse, Salvatore Licitra, Michèle Crider; divi che già allora avevano perso il fascino della novità e cominciavano a mostrare la corda di uno scorretto metodo di canto. Quel che più ci preme è segnalare la superba prova di Kent Nagano, ancora capelluto e corvino come un Beatle ma già elegantissimo per indipendenza totale delle mani, precisione, economia e fluidità di gesto. Sotto la sua bacchetta l’Orchestra della Deutsche Oper suona all’altezza della propria fama; non senza qualche fiorettatura umoristica nel finale straussiano, ossia il gran concertato del Pipistrello cui si uniscono gli emarginati dal montaggio di EuroArts: il controtenore Jochen Kowalski e il baritono Markus Bruck. Nell’altro Strauss (terzetto dal Rosenkavalier), neppure Nagano riesce a frenare lo sgomitamento fra le signore Banse e Pieczonka, mentre la Kirchschlager appare rinunciataria in partenza. Complice il suono orchestrale un filo troppo turgido, ne nasce una discreta confusione. Carlo Vitali CD BORODIN Quartetto per archi n. 1 op. 26 Quartetto Borodin STRAVINSKI Concertino per quartetto d’archi Quartetto Borodin MIASKOVSKI Quartetto per archi n. 13 op. 86 Quartetto Borodin ONYX 4051 M DDD 67:40 HHHHH . Il timore di compromettersi con la musica tedesca potrebbe aver indotto i compositori russi a limitare l’interesse verso la forma « sacra » del quartetto d’archi. In effetti, fatto salvo il caso di Shostakovich, che di quartetti (e che quartetti!) ne scrisse ben quindici, in quest’area geografica i capolavori del genere non sono, poi, cosı̀ numerosi. La ricerca di equilibrio tra nazionalismo e occidentalismo è presente nel Quartetto n. 1 in La maggiore di Borodin composto tra il 1875 e il 1879. È addirittura Beethoven a fornire il materiale per il primo tema dell’Allegro iniziale, ma l’evidente citazione dal Finale del Quartetto op. 130 esibisce qui contorni squisitamente autoctoni. Per quanto riguarda Nikolaj Miaskovski si può affermare che lo sdoganamento della sua musica sia appena iniziato musica 227, giugno 2011 57 BOTTESINI & Il Quartetto Borodin & qui da noi. In questo CD possiamo ammirare l’ottima fattura dell’ultimo Quartetto per archi del prolifico (e poco progressista) musicista, un lavoro composto nel 1949, un anno prima della morte, che si colloca ai vertici della sua produzione cameristica. Il lirismo intenso dell’Andante con moto e molto cantabile (terzo movimento), di gusto un po’ retrò, si imprime nella memoria. Igor Stravinski instaura, invece, un rapporto fugace con il medium quartettistico. Il Concertino – licenziato nel 1920 in risposta a una commissione del Quartetto Flonzaley, storico complesso fondato a New York nel 1902 già dedicatario dei Tre Pezzi per quartetto d’archi – è una gemma preziosa, un distillato di limpidezza graffiante sulla via del neoclassicismo, sostanzialmente tripartito (stuzzicanti gli equilibrismi armonico-coloristici della sezione mediana) con Coda che si dilegua in modo impercettibile; eppure Stravinski, evidentemente non pago del risultato, lo arrangerà, trent’anni più tardi, per ensemble allargato ai prediletti fiati. Il Quartetto Borodin – qui nella sua ultima formazione con Rubén Aharonian e Andrei Abramenkov al violino, Igor Naidin alla viola e Vladimir Balshin al violoncello – va a nozze con questa musica. Ad esempio, rapiti, assaporiamo i delicati cromatismi che innervano il secondo tema del primo movimento, mentre non è vietato intenerirsi nel Trio dello Scherzo di fronte all’impagabile cantilena dei suoni armonici resi dal complesso russo a mo’ di iridescente carillon. Nessun personalismo e nemmeno motorismo fine a se stesso nella pagina stravinskiana, e davvero encomiabile l’im- 58 pegno profuso al servizio del Quartetto n. 13 di Miaskovski, un lavoro intriso ancora di spirito romantico. Massimo Viazzo CD BOTTESINI Concerto per contrabbasso n. 2 in si; Duetto per clarinetto e contrabbasso contrabbasso Enrico Fagone clarinetto Corrado Giuffredi Orchestra della Svizzera Italiana, direttore Christoph-Mathias Mueller Gran Duo Concertante per violino e contrabbasso; Passione amorosa per violino e contrabbasso violino Walter Zagato contrabbasso Enrico Fagone Orchestra della Svizzera Italiana, direttore Christoph-Mathias Mueller STRADIVARIUS 33865 M DDD 48:06 HHHHH . Ecco un bel programma bottesiniano pubblicato dall’etichetta Stradivarius; un disco che dovrebbe entrare di diritto nella discoteca di tutti gli appassionati del genere concertistico italiano romantico. Quattro composizioni con accompagnamento orchestrale che hanno per protagonista il contrabbasso (strumento d’elezione del compositore cremasco) trattato da Bottesini con virtuosismo « paganiniano » e accompagnato con altrettanta bravura da clarinetto e violino. Composizioni che esprimono appieno pregi e limiti del sinfonismo ottocentesco italiano di genere: profondamente legato al modello del Concerto di bravura paganiniano e intimamente correlato con lo stile operistico dominante. Compositore in proprio di melodrammi oggi completamente di- musica 227, giugno 2011 menticati, Bottesini passa alla storia della musica per il suo ampio lascito contrabbassistico e per aver diretto la prima assoluta di Aida di Verdi al Cairo. Il programma del CD (purtroppo breve) si apre con il Secondo Concerto per contrabbasso e orchestra risolto con estrema bellezza di suono e intonazione dal solista Enrico Fagone, strumentista italiano primo contrabbasso dell’Orchestra della Svizzera italiana. Fatta salva l’irreprensibile qualità tecnica dell’esecuzione, a stupire è la grande qualità musicale della sua interpretazione. L’abitudine a esibirsi in ensemble da camera con grandi solisti come Martha Argerich o Boris Belkin e la partecipazione a un gruppo stabile come il Quintetto Bislacco hanno avuto sicuramente un’influenza sulla capacità di questo strumentista di plasmare il fraseggio con eleganza: qualità non comune quando si ha a che fare con uno strumento dalla sonorità poco malleabile come il contrabbasso. Nel Concerto in Si minore consiglierei di ascoltare con attenzione la bellezza con cui Fagone fraseggia il tema cantabile che apre il secondo movimento (da notare la linearità della cavata) o lo spolvero virtuosistico con cui chiude il primo movimento (quartine di grande pulizia e precisione). Il successivo Duetto per contrabbasso e clarinetto, una sorta di divertimento in tre parti per i due solisti con accompagnamento orchestrale, ci offre ulteriori momenti di piacere dati dalla capacità dei due solisti di dialogare tra loro scambiandosi i ruoli di protagonista. Anche in questo caso colpisce la capacità di Fagone di far cantare il proprio strumento nella prima parte più lirica e la leggerezza con cui riprende nella sezione virtuosistica la brillantezza espressa dal clarinetto. Il successivo rapporto con il violinista Walter Zagato, nei due brani conclusivi della silloge, è sicuramente facilitato dal rapporto musicale sviluppato tra i due solisti nel Quintetto Bislacco. Nulla da dire sull’apporto orchestrale fornito dall’Orchestra della Svizzera Italiana e dal direttore Christoph-Mathias Mueller. Molto attento a fornire un accompagnamento elegante, flessibile e puntuale, Mueller rinuncia a priori a qualsiasi tentazione protagonistica (anche nei brevi passaggi a solo dell’orchestra) mostrando un rispetto ammirevole. Unica nota discutibile la qualità della registrazione, leggermente artefatta nei piani sonori. La presa del suono dei solisti è vistosamente ravvicinata, mentre il riverbero appare innaturalmente lungo rispetto alla prossimità di ripresa. Non siamo ai livelli da « antro della strega » tipici di certe terribili registrazioni ECM, ma il risultato è comunque un poco spiazzante per il mio orecchio. Riccardo Cassani CD BRAHMS Concerto in Re op. 77 violino Isabelle Faust Mahler Chamber Orchestra, direttore Daniel Harding Sestetto in Sol op. 36 violini Isabelle Faust, Julia-Maria Kretz viole Stefan Fehland, Pauline Sachse violoncelli Christoph Richter, Xenia Jankovic HARMONIA MUNDI HMC 902075 A DDD 74:55 HHHHH . Cambi anzi mutazioni generazionali. Non esiste più il violinista istintivo d’una volta; istintivo nel bene – Menuhin dove l’istinto si faceva rivelazione – e nel male – Ricci, più veloce di mano che di pensiero. Oggi Isabelle Faust studia il carteggio Johannes Brahms-Joseph Joachim – lo Joachim che collabora alla composizione del Concerto in Re maggiore, di cui è dedicatario e primo interprete – e sulla base del carteggio disegna la propria lettura dell’op. 77 assieme a Daniel Harding e alla Mahler Chamber Orchestra. La Faust e il Concerto di Brahms ovvero un suono terso anzi di cristallo, l’uso volutamente parsimonioso – e molto accorto – del vibrato (come ai tempi di Joachim & soci), modi esecutivi di grande scioltezza e prontezza, magari scatenati ma sempre ordinatissimi, accordi e bicordi asciutti ad esorcizzare, col resto, il pericolo dell’enfasi. Questo senza trascurare, fra mille chiaroscuri, oasi e plaghe liriche (non solo l’Adagio). Modi svelti però con i giusti, ben evidenziati respiri. Andamenti più spesso serrati come nel Finale, Allegro giocoso energicamente accentuato – anche archi e ottoni – e più stilizzazione di modi tzigani che espressione di accenti, appunto, zingareschi. La rara cadenza di Busoni, ovvero il senso della storia (rimandi a Beethoven), fra le poche, forse l’unica, composta per l’op. 77 da un non violinista, è una scelta azzeccata perché, con le parti di timpani (rulli) e gli interventi orchestrali a sostegno del solista, esalta il carattere e il respiro, il fluire sinfonico del componimento. Harding è protagonista di una buona anzi ottima esecuzione – filologicamente « magra » ma notevole come sempre la Mahler Chamber Orchestra – anche se con quell’incertezza stilistica per cui Mozart diventa parente di Schumann e Mahler nonno di Haydn che notammo sin da un lontano, famoso Don Giovanni (regia di Peter Brook) in scena anche al Piccolo Teatro di Milano e dove l’acerba ma notevole interpretazione di Harding lasciava immaginare sviluppi che non abbiamo invece riscontrato. Notevolissima è la lettura del secondo Sestetto (la Faust con cameristi e prime parti d’orchestra), mirabile per larga, pacata interiorità e chiarezza delle parti. Molto superiore a quella di Menuhin, Gendron e via citando (Emi), moltissimo superiore a quella del Quartetto Amadeus più aggiunti (DG; si sa che intonazione e smalto non erano virtù primarie dell’Amadeus), appena meno spontanea di quella con Pina Carmirelli & soci al Festival di Marlboro (Sony). Cinque stelle, nonostante Harding: ovvero un’esposizione orchestrale (Allegro non troppo) poco memorabile, riscattata però in buona misura dall’eccellente sintonia con il partner e dai risultati complessivi. Alberto Cantù CD BRAHMS Ein deutsches Requiem soprano Natalie Dessay baritono Ludovic Tézier Orchestra Sinfonica della Radio di Francoforte, Coro della Radio Svedese, direttore Paavo Järvi VIRGIN 6286100 7 A DDD 72:17 HHHH . Nell’ottobre del 2009 l’Orchestra Sinfonica della Radio di Francoforte festeggiò alla Alte Oper il proprio ottantesimo compleanno eseguendo il Deutsches Requiem di Brahms insieme al suo direttore stabile Paavo Järvi che ora viene fissata in CD da Virgin Classics. Non sorprende certo l’impiego del Coro della Radio Svedese, a buon diritto considerato uno specialista del capolavoro di Brahms e già presente nella sua discografia con le incisioni di Abbado e Gergiev. Può invece sorprendere la scelta come solisti di due cantanti francesi, peraltro fra i migliori oggi, come Natalie Dessay e Ludovic Tézier. La personalità del direttore si impone fin dalle prime battute per la scelta di un suono asciutto e trasparente molto lontano dai colori scuri e dai densi spessori di tante incisioni storiche. È una immagine sonora peraltro perfettamente intonata a una visione di nordica severità che privilegia la contenutezza introspettiva allo sbalzo monumentale, senza però all’occorrenza rinunciare ad un notevole impeto drammatico. I tempi sono abbastanza spediti ma tutto sommato nella norma inscrivendosi comunque in un taglio misurato che rifugge da ogni esagerazione retorica. Järvi è ammirevole nella capacità di garantire l’intelligibilità dei più piccoli dettagli durante i momenti di maggiore concitazione e densità di suono. Ogni parte strumentale e vocale è nettamente isolabile dal contesto anche nelle pagine dalla scrittura polifonica più fitta e articolata. Una lettura analitica che comunque non esclude un approccio intenso e profondamente commosso al quale il celebre coro svedese diretto da Christoffer Holgersson presta un nitore di fraseggio, una qualità di impasti e un equilibrio di insieme oggi con pochi confronti. Qualche riserva può essere invece suscitata dalla prova dei solisti. La bella voce chiara e delicata di Tézier non possiede certo il bronzeo rilievo timbrico e la scultorea terribilità di accento di tanti grandi interpreti del passato, anche se la sua sobrietà di accento si intona all’impostazione generale dell’esecuzione. Il bellissimo Lied cantato dal soprano richiederebbe un’angelica purezza di suono che non rientra fra le tante doti di una artista pur straordinaria come Natalie Dessay, dal timbro un po’ querulo e dal fraseggio della lingua tedesca scarsamente incisivo. Il suo intervento costituisce in realtà l’unico vistoso punto debole di un’incisione che comunque nell’insieme può essere considerata fra le migliori degli ultimi anni, senza naturalmente scomodare i riferimenti storici di Walter e Klemperer, Furtwängler e Karajan, Kempe e Giulini, Celibidache e Sawallisch. Giuseppe Rossi CD BRITTEN Suite sinfonica da Gloriana op. 53a tenore Robert Murray BBC Philharmonic, direttore Edward Gardner Sinfonia per violoncello e orchestra op. 68 violoncello Paul Watkins BBC musica 227, giugno 2011 59 BUCHHOLTZ & Philharmonic, direttore Edward Gardner Quattro interludi marini da Peter Grimes op. 33a BBC Philharmonic, direttore Edward Gardner A CHANDOS CHAN 10658 HHHHH . Questa pubblicazione dedicata a Britten accosta la sua più celebre composizione sinfonica, i Quattro interludi marini da Peter Grimes, a due opere assai meno note e registrate. La Suite sinfonica da Gloriana si riferisce all’opera andata in scena al Covent Garden di fronte a un pubblico di invitati nel 1953 per celebrare l’incoronazione della regina Elisabetta. Il lavoro imperniato sulla relazione tormentata fra la regina Elisabetta I e il conte di Essex fu giudicato inadeguato alla circostanza e accolto molto freddamente, anche se oggi se ne riconosce la bellezza e la capitale importanza nell’evoluzione del teatro britteniano. La Suite fu diretta per la prima volta da Rudolf Schwarz a Birmingham nel 1954 e curiosamente non figura fra le incisioni realizzate in studio dal compositore, anche se recentemente è stata recuperata una sua esecuzione radiofonica con Peter Pears registrata nel 1956 a Baden-Baden. La Sinfonia per violoncello e orchestra fu dedicata a Rostropovich che la eseguı̀ sotto la direzione dell’autore a Mosca nel 1964 e ne realizzò insieme a lui una pregevole incisione in studio. Ricchissima è infine la discografia degli Interludi marini, diretti da Britten per la prima volta nel 1945 e registrati per la Decca. Una incisione famosa alla quale si aggiungono tante altre eccellenti versioni discografiche come quelle di Bernstein, Giulini, Previn, Kempe, van Beinum, Boult, Ormandy. Le interpretazioni di Edward Gardner sono però da includere fra le migliori e riescono a tenere testa perfino a quelle del compositore. La Suite da Gloriana diretta con incantevole finezza mostra un’attenzione ai dettagli superiore a quella dimostrata dall’autore, anche per merito della straordinaria qualità della registrazione, e trova in Robert Murray un interprete appropriato del Lute Song. La Sinfonia concertante eseguita da Paul Watkins e da Gardner è molto diversa da quella di Rostropovich con Britten. La presenza prepotente del grande violoncellista russo conferiva a quella un denso spessore sonoro e un fraseggio più plastico e carico di 60 cheggiante. La melodia talora è accurata e l’armonia naturale e semplice, il pianismo poco più che dilettantistico, comunque mai arduo. Una certa ricerca armonica più volutamente sperimentale la si nota solo nel primo movimento della sua Sonata. Comunque questa musica la si ascolta con piacere e relativo impegno. Le note d’accompagnamento scrivono in termini assai elogiativi sia della musica sia della sua compositrice, più di quanto esse non meritino, ma in questo caso la motivazione è comprensibile. Riccardo Risaliti CD CASTELNUOVO-TEDESCO Platero y yo (selezione) narratore Moni Ovadia chitarra Emanuele Segre DELOS DE 3383 M DDD 50:37 HHHHH Britten & pathos. I due artisti inglesi puntano invece in perfetto equilibrio a una lettura introspettiva, asciutta e trasparente, più moderna e paradossalmente più britteniana. Infine gli Interludi marini si pongono fra i migliori in assoluto ascoltabili in disco per la sottigliezza dedicata dal direttore ad analizzare lo spettro sonoro di ogni battuta e la delicatezza di tratteggio che contraddistingue le pagine più estatiche ma anche l’impeto travolgente della Tempesta finale. Insomma un grande disco da collocare ai vertici nella discografia del maggior compositore inglese del Novecento. Giuseppe Rossi CD BUCHHOLTZ « Piano Works » (musiche per pianoforte) pianoforte Marco Kraus CPO 777 635-2 A DDD 55:46 HHHH . Charlotte Helena Buchholtz fu una distinta signora lussemburghese vagamente somigliante nelle splendide foto dell’epoca (attorno all’anno 1900) a certi ritratti di Felix Nadar. Compositrice autodidatta, sempre vissuta nel suo angolino, si dedicò per tutta la vita al suo musica 227, giugno 2011 hobby creativo, lasciando centotrentotto composizioni: liriche da camera in varie lingue (anche in lussemburghese), pezzi per pianoforte tra cui molte sonate, opere corali e sinfoniche, musica per banda. Dopo la sua morte questo materiale, scampato fortunosamente a un incendio, fu ritrovato e in parte fatto conoscere. Vi è naturalmente una associazione che se ne interessa, anche dietro motivazioni nazionalistiche, e forse anche le varie associazioni musicali femminili, note per la loro bellicosa attività propagandistica (hanno una casa editrice musicale che si chiama Furore!) hanno preso in carico la dama lussemburghese. Il disco quindi è una primizia e come tale ha delle rarità, anzi delle prime assolute, presumo. Il pianista e musicologo lussemburghese Marco Kraus, che vive nel granducato, si è accollato l’apostolica fatica di farci conoscere un mazzetto di composizioni della signora, e lo ringraziamo: fa sempre piacere per ogni studioso conoscere il nuovo e l’inedito, anche perché – non dimentichiamolo – la storia non si fa solo con la grosse personalità, ma anche con quelle minori che apparentemente non ne fanno parte. Non saprei definire storicamente, in effetti, la musica della Buchholtz, che non appartiene a nessuna epoca ben definita, tranne un romanticismo alquanto di maniera e classi- . Mario Castelnuovo-Tedesco nutriva un’antichissima ammirazione per la cultura spagnola, da cui trasse ispirazione per molti lavori: dalle Coplas ai Capricci di Goya. Non può dunque sorprendere che, nell’autunno della sua esistenza e a seguito di un episodio particolarmente deludente dal punto di vista umano (gli intrighi per non far rappresentare alla Scala il suo Il mercante di Venezia), sia rimasto affascinato dalla « narrazione lirica » Platero y yo di Juan Ramón Jiménez, all’epoca fresco premio Nobel per la letteratura: un ciclo poetico di sfondo autobiografico (1914-1917) che racconta in centotrentotto liriche la singolare amicizia per un asinello, nel quale il misantropo alter ego del poeta trova le qualità che non riconosce negli umani. In effetti Castelnuovo stesso, nelle sue memorie, riconduce il vasto affresco musicale creato sulle poesie di Jiménez a una sorta di periodo « animalista », in quanto in quello stesso 1960 il compositore creò altre due importanti opere in qualche modo affini: la Sonatina zoologica, pensata come ampliamento della giovanile Lucertolina; e il ciclo per canto e pianoforte Il Bestiario, su poesie di Arturo Loria. Ma nella stessa occasione il compositore confida che tra i tre lavori « di gran lunga il più vasto e importante » è costituito dalle ventotto scene per narratore e chitarra costruite sulle liriche del poeta spagnolo: opera difficile da « maneggiare » per natura CHOPIN e vastità (Segovia stesso, pur avendo progettato una registrazione integrale, non riuscı̀ che inciderne dieci, e nella sola versione strumentale), che pure ben si presta ad esecuzioni parziali. Come quella che, dopo una parallela esperienza concertistica, ci presentano Moni Ovadia ed Emanuele Segre: che hanno selezionato dodici brani, interpolandovi una significativa poesia-manifesto non musicata dal compositore (« Asnografı́a ») e chiosando con la delicata trascrizione per chitarra, di mano del compositore fiorentino, della Pavane pour une infante défunte di Ravel, adattissima con la sua dolcezza lirica (e tanto più nella spiccata cantabilità offerta da Segre) a fungere da commosso epitaffio per l’umanissimo asinello. La musica con cui CastelnuovoTedesco accompagna o commenta le liriche appartiene senz’altro alla sua migliore ispirazione: percorsa da una forte vena popolaresca, la ricchezza della palette ritmica e coloristica riesce ad evocare vividamente le atmosfere dei vari piccoli affreschi, creando una sinergia tra voce e strumento raramente raggiunta nello spinoso campo del melologo. A volte l’altezza della poesia è tale che a Castelnuovo è sufficiente fornire un adeguato sottofondo musicale: è il caso del finale di « Amistad », in cui il poeta scrive di Platero « È cosı̀ uguale a me... che sono arrivato a credere che sogni i miei stessi sogni ». La bellissima strofa iniziale di « La Luna », invece, è introdotta da un suggestivo firmamento di armonici; che sottende anche ai versi di Leopardi (poeta amatissimo dal compositore fiorentino) a cui Jiménez lascia brevemente la parola. Appropriatissima l’evocazione di una canzone popolare per l’intensa strofa finale de « La Tı́sica »: sul dorso dell’asinello « la bambina, con il suo vestito candido... trasfigurata dalla febbre e dalla speranza, sembrava un angelo che entrasse in paese dal cielo del Sud »; su un cante jondo si impernia anche l’estesa e bellissima « La Arrulladora ». Altrettanto efficace il tono lirico e asciutto, ma struggente individuato per « La Muerte » e per « Melancolı́a », conclusa dalla bella immagine di Platero che, in cielo, porta in groppa gli angeli adolescenti, mentre il ricordo del vecchio padrone-amico si materializza nel volo di una farfalla bianca. Praticamente perfetto l’affiatamento tra voce e strumento, essenziale in questa forma ibrida tra musica e recitazione. Emanuele Segre è inter- prete ideale di queste pagine, per versatilità sonora ed espressiva, per poesia del fraseggio; la voce di Moni Ovadia, almeno in disco, inizialmente non appare altrettanto ricca di inflessioni, ma in realtà gradualmente convince nell’efficace caratterizzazione del Narratore, grazie alla qualità timbrica matura e appena rude e a una declamazione scabra ed essenziale. Nel booklet due brevi ma sentite annotazioni da parte degli interpreti introducono alle liriche, presentate anche in traduzione italiana, seppur con qualche piccolo errore ed omissione. Roberto Brusotti CD CHOPIN Concerto per pianoforte n. 1 in mi op. 11; Concerto per pianoforte n. 2 in fa op. 21 pianoforte Daniel Barenboim Staatskapelle Berlin, direttore Andris Nelsons DG 477 9520 A DDD 73:34 H H H /H HHHH . Si è dato molto da fare, Daniel Barenboim, nel duecentesimo anniversario della nascita di Chopin. Dopo il recital dal vivo del febbraio 2010 a Varsavia, è arrivato questo live, registrato ad Essen, con i due Concerti, che il pianista argentino non aveva mai inciso prima. Al suo fianco la Staatskapelle Berlin, diretta dal giovane lettone Andris Nelsons. L’Orchestra appare un poco ruvida nel fraseggio e Nelson, direttore musicale della City of Birmingham Orchestra, si mantiene nell’ambito di una prudente ed impeccabile professionalità. Alla tastiera Barenboim non mette del tutto a fuoco le intuizioni e le intenzioni. Del resto se la tecnica non è più quella di una volta, se le scale non sono perfettamente sgranate, se nei fortissimi il suono si fa aspro e se gli stacchi di tempo devono forzatamente essere contenuti, l’interpretazione finisce per risultarne frenata. Barenboim suona da gentiluomo e da viveur, senza però lasciare davvero il segno. È indicativo che il ritmo, per esempio nel Maestoso d’apertura del Concerto in Fa minore, acquisti nei soli orchestrali una vitalità assente quando l’orchestra deve accompagnare il solista. A compensare la mancanza di verve c’è una convincente retorica del fraseggio, in particolare nei movimenti lenti, dove il pianista argentino può abbandonarsi senza preoccupazioni al cantabile. Si tratta di un fraseggio marcato e dal respiro ampio, suadente e a piena voce, il fraseggio di un pianista-direttore abituato a frequentare l’opera lirica. È la caratteristica distintiva, oggi, del pianismo di Barenboim, che sembra poco incline, invece, a lavorare sul suono e sul timbro. In virtù di questa retorica troviamo dei passaggi suggestivi anche nei movimenti veloci, come l’entrata del pianoforte nel Maestoso del Concerto in Fa minore, che ha il piglio autorevole dell’attacco di un’aria tenorile. Il Rondo conclusivo del Concerto in Mi minore, pur staccato a un tempo piuttosto lento e faticoso, possiede la ruvida vitalità di una danza ispirata al folklore. E la stessa semplicità un po’ grezza caratterizza il Finale del Concerto in Fa minore. Luca Segalla CD CHOPIN Fantasia in fa op. 49; Sonata in si bemolle op. 35; Notturno in RE bemolle op. 27 n. 2; Barcarola in FA diesis op. 60; Valzer in la op. 34 n. 2; Valzer in FA op. 34 n. 3; Valzer in RE bemolle op. 64 n. 1; Valzer in do diesis op. 64 n. 2; Berceuse in RE bemolle op. 57; Polacca in LA bemolle op. 53 pianoforte Daniel Barenboim DG 477 9519 A DDD 79:15 HHHH . Il pianismo di Daniel Barenboim vive di retorica, nel senso nobile del termine. Tutto è finalizzato, nei recital del musicista argentino-israeliano, a rendere evi- dente l’essenza della partitura attraverso accentuati contrasti dinamici ed un fraseggio molto espressivo, ma anche per mezzo di una componente gestuale che in CD non può essere apprezzata. Lo hanno dimostrato i concerti di questi anni al Teatro alla Scala. Erano interpretazioni non rifinite, a volte imprecise, che tradivano un certo affanno. Eppure il riscontro del pubblico è stato (quasi) sempre entusiasta. Perché? Forse è solo il tributo a un nome, come quando il vecchio Horowitz affrontava la Polacca op. 53 di Chopin (che qui Barenboim suona con uno slancio non sempre sostenuto dalla solidità della tecnica) pestando maledettamente sulla tastiera, ma facendo scoppiare la sala dagli applausi. La risposta, in realtà, è un’altra. Barenboim, da grande musicista e da grande direttore, coglie d’istinto il senso di un brano. Si veda la Sonata in Si bemolle minore, il brano centrale di questo recital registrato dal vivo a Varsavia il 28 febbraio del 2010 e disponibile anche in DVD , con i fortissimi esasperati e una tenuta ritmica a volte precaria, ma proprio per questi motivi affannata e lacerata e quindi convincente sul piano emotivo. L’approccio retorico funziona meno dove la retorica non c’è, come nei Valzer e nella Berceuse op. 57. I Valzer, sornioni e senza orpelli, suscitano grandi applausi, perché Barenboim conosce bene i mezzi per sedurre il pubblico (basta ascoltare come mette in evidenza il controcanto nel Valzer op. 62 n. 3); mancano, però, di rifinitura nei dettagli timbrici (sono sempre un poco opachi) ed a volte difettano di brillantezza. musica 227, giugno 2011 61 CIAIKOVSKI Il fatto è che Barenboim è oggi un grande musicista e non è più un grande pianista. Prendiamo la Fantasia op. 49. Siamo lontani dalla levigatezza sublime e apollinea di Michelangeli, come dall’eleganza nobile di Salomon. Eppure, anche se a tratti Barenboim arranca un po’ nei passaggi più complicati, l’ascoltatore viene travolto. È un’interpretazione di fuoco. Rivelatrice. Cosı̀ il Notturno op. 27 n. 2, che non incanta per la finitezza e la leggerezza del suono – si ascolti, per un confronto, la levigatissima interpretazione di Pietro De Maria (cfr. n. 211 di MUSICA ), con il basso sempre in ombra e calibrato al millimetro – eppure incanta per la bellezza del fraseggio. Luca Segalla cenni non ha mai inteso divenire celebre oltre la stretta cerchia dei capaci d’intendere la musica. Vorrà pur dire qualcosa? Live, fra parentesi. Paolo Bertoli CD CIAIKOVSKI Sinfonia n. 2 op. 17 « Piccola Russia »; Sinfonia n. 3 op. 29 « Polacca » Orchestra del Ministero della Cultura dell’URSS, direttore Gennadi Rozhdestvensky ALTO ALC 1103 A DDD 78:03 HHHHH CIAIKOVSKI Sinfonia n. 4 op. 36; Sinfonia n. 5 op. 64; Sinfonia n. 6 op. 74 « Patetica »; Romeo e Giulietta, Fantasia-ouverture Hallé Orchestra, direttore John Barbirolli URANIA WS 119 (2 CD) B ADD 150:10 HHHHH CD . . CIAIKOVSKI Il lago dei cigni, suite RACHMANINOV Danze Sinfoniche Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo, direttore Yuri Temirkanov SIGNUM SIGCD229 A DDD 74:38 HHHH . Parliamo fuori dai denti. D’accordo, negli ultimi anni Yuri Temirkanov appare un po’ fermo sulle proprie posizioni: quanto a repertorio, certo; e – sempre d’accordo – anche quanto a proposte interpretative. Il CD di cui ci occupiamo non presenta novità clamorose, per coloro che hanno già sperimentato in concerto o sul proprio impianto stereo l’ebbrezza della suite dal Lago dei cigni o delle Danze Sinfoniche da colui dirette. Del resto analoghe licenze non sono concesse ad altri benemeritissimi senatori del podio (Abbado, Boulez, Haitink, oppure – scindendo e scendendo – Maazel, Masur, Mehta e cosı̀ via)? La vera novità sta nel saper ritornare in luoghi consueti garantendo un immutato, palpabile, piacere d’ascolto. Tutto si gioca su sottigliezze. La Suite dal Lago dei cigni è più che mai colorita e festosa; le Danze Sinfoniche si sono fatte meno profonde, cupe e mortifere, rispetto alla formidabile incisione RCA... ma quanto maggiormente sfumate, scivolose, sornione, vellutate, allusive. Insomma, Ars est celare artem è motto sempre più consapevolmente sposato da un direttore che – meditate su questo – nonostante la formidabile orchestra diretta per de- 62 In sede critica si è spesso parlato di una vera e propria antinomia – in senso stretto, come compresenza di due affermazioni contraddittorie che possono tuttavia essere entrambe giustificate – tra la visione interpretativa « orientale » e quella « occidentale » della musica di Ciaikovski. I massimi paradigmi dei due modelli contrapposti (fatto salvo il denominatore comune del supremo virtuosismo esecutivo) sono facilmente rintracciabili in Evgeny Mravinsky con il suo lucido e affilato barbarismo e in Herbert von Karajan con il suo estetismo decadente e « patologico », espresso attraverso una quasi maniacale – soprattutto nelle versioni EMI e DG degli anni ’70 – ricerca timbrica. Due splendide ristampe – caratterizzate da remastering particolarmente accurati – ci offrono l’occasione ideale per meditare nuovamente sul problema: da una parte Alto recupera le incisioni della Seconda e della Terza realizzate da Rozhdestvensky per la Melodiya nel 1988-9, dall’altra Urania rende nuovamente disponibili le storiche registrazioni HMV di Quarta, Quinta, Sesta e Romeo con la Hallé Orchestra diretta da Barbirolli (Manchester, 195759). L’ascolto di questi CD conferma su tutta la linea l’inconciliabilità – e al tempo stesso la complementarità – delle due prospettive. Il carattere fieramente autoctono dell’ispirazio- musica 227, giugno 2011 ne ciaikovskiana viene riaffermato da Rozhdestvensky in maniera più che mai perentoria: basti infatti dire che, fra sue mani, l’incipit della Sinfonia n. 2 potrebbe essere tranquillamente scambiato per una scena del Boris Godunov; la quasi totale « immunità » rispetto a seduzioni austrogermaniche, francesi o italiane è coerentemente ribadita nel prosieguo di un’esecuzione sempre ottimamente sostenuta, persuasiva ed efficace. Nella Terza il direttore moscovita si spinge però ben oltre: il presunto carattere « leggero », rilassato e quasi ballettistico della partitura (si pensi alle affettuose ed eleganti interpretazioni di Beecham e Boult) è negato da Rozhdestvensky con un radicalismo che definire impietoso suona quasi eufemistico. Il mondo fatato dello Schiaccianoci appare infatti remotissimo: al contrario si può leggere in tralice addirittura una lontana anticipazione delle Danze Sinfoniche di Rachmaninov. Capolavori assoluti di questa versione sono il secondo e il terzo movimento. L’Allegro moderato e semplice suona qui come uno stralunato giro di valzer con la morte, che nel Trio si toglie platealmente la maschera (le figurazioni in terzine degli strumentini sembrano proprio grottesche e beffarde risate). Allo stesso modo l’Andante Elegiaco (traccia 7) schiude inediti panorami di sconforto: si ascoltino soprattutto, da 7.45 alla conclusione, i glaciali tremoli degli archi e gli interventi prima vanamente imploranti (flauto, clarinetto) e poi cupamente rassegnati (fagotto e corno) dei fiati. Tale pessimismo cosmico è accuratamente bandito nel Ciaikovski di Barbirolli: la certezza della sconfitta non può e non deve indebolire la pervicace lotta contro le forze avverse. L’aperta ostilità del mondo, anziché rendere inutile l’Io, lo rafforza. L’arduo viaggio della vita, con le sue infinite bellezze, occasioni e conquiste (per quanto provvisorie), va dunque assaporato fino in fondo. La sensibilità profonda e sottile del maestro londinese, per mezzo di un sismografo emotivo invidiabilmente ben calibrato, prende per braccio l’ascoltatore conducendolo con discrezione e delicatezza alla scoperta di dettagli preziosi che, a mano a mano, giustificano le premesse. Il rifugio della bellezza diviene roccaforte impenetrabile persino agli assalti del Fato: prova ne siano l’affondo degli archi nel secondo tempo della Quarta (da 4.36), sottolineato da colpi cadenzati del timpano quasi haydniani nella loro gioiosa pienezza, oppure lo spirito « sanamente voluttuoso » che pervade la Valse della Quinta Sinfonia. Paolo Bertoli SACD DEBUSSY Prélude à l’après-midi d’un faune; La mer; Jeux London Symphony Orchestra, direttore Valery Gergiev LSO LIVE LSO0692 M DDD 56:07 HHH . Dopo un CD raveliano con Daphnis, Pavane e Boléro Valery Gergiev torna a confrontarsi con il Novecento francese in questa pubblicazione dedicata a Debussy ugualmente registrata dal vivo fra il 2009 e il 2010 con la London Symphony Orchestra. Nella sua voracità di stili e autori diversissimi il direttore russo talvolta licenzia registrazioni di scarso rilievo perché contrassegnate da un approccio scarsamente personale. Non è questo il caso del suo Debussy, giudicabile anche severamente ma certo ricco di idee e a suo modo indiscutibilmente originale. Bisogna dimenticare tanto le evanescenze impressionistiche degli interpreti storici francesi quanto la radiografica lucentezza di Boulez o di Abbado di fronte a queste letture dai tempi insolitamente lenti prodighi di rubati e delle sonorità dense e impastate. Un Debussy cosı̀ marcatamente languoroso o in certi casi smodatamente violento e drammatico, in una parola cosı̀ inelegante, non lo si ascoltava in disco da un pezzo... Gergiev ricrea i tre celebri lavori in un’estetica da poema sinfonico attraverso un plastico descrittivismo illustrativo. Impregnata di melassa l’esecuzione del Prélude à l’après-midi d’un faune, pur ottimamente suonata dal primo flauto Gareth Davies, si spinge ad evocare un erotismo quasi pornografico. Le maggiori sorprese vengono dall’enigmatico Jeux, forse la più straordinaria opera sinfonica di Debussy, certo la più moderna sul piano concettuale come ha dimostrato da tempo Boulez. L’esecuzione di Gergiev nella carnosa tangibilità dei rilievi ritmici come nella totale assenza di continuità e tensione formale fra i diversi episodi interni resta fra le più umorali e bizzarre che conosca. Gli spunti migliori vengono invece FRANCK dalla Mer rappresentazione di un mare del nord cupo e limaccioso che comunque nel tempo finale non manca di evidenziare una propria dirompente forza espressiva. Nella discografia di Debussy questo disco arriva ad assumere il significato di un esempio estremo di alterazione stilistica, in quella di Gergiev segna la tappa certo discutibile ma non incolore di una carriera curiosamente zigzagante. Giuseppe Rossi CD FAURÉ Messe de Requiem op. 48; Ave Verum op. 65 n. 1; Ave Maria op. 67 n. 2; Tantum ergo op. 55; Messe des pecheurs de Villerville soprano Ana Quintans baritono Peter Harvey Ensemble Vocal de Lausanne, Sinfonia Varsovia, direttore Michel Corboz MIRARE MIR 028 A DDD 63:23 HHHHH . La storia del capolavoro sacro di Fauré è complicata e in parte ancora avvolta di mistero. La prima versione in cinque tempi fu diretta dall’autore alla Madeleine nel gennaio del 1888 per i funerali dell’architetto Joseph La Soufaché ma in realtà non sap- piamo bene quali furono le vere ragioni che propiziarono la composizione del Requiem. Fra il 1889 e il 1891 Fauré sottopose la partitura a una revisione ampliando l’organico e aggiungendo l’Hostias e il Libera me, che in realtà era già stato scritto nel 1877 come pezzo indipendente. È la versione per orchestra da camera che l’autore diresse nel gennaio del 1893 nella stessa chiesa parigina. Solo nel 1900 la partitura fu nuovamente modificata per un organico ancora più vasto forse da un allievo del compositore ed è la versione più nota che venne presentata al pubblico da Eugène Ysaÿe. Solo agli inizi degli anni ottanta John Rutter grazie al ritrovamento del manoscritto nella Biblioteca Nazionale di Parigi riuscı̀ a riproporre la versione originale. Per non rinunciare però ai due bellissimi tempi aggiunti Rutter li inserı̀ nella propria edizione recuperandoli dalla terza versione. Infine nel 1994, grazie al ritrovamento di nuove fonti, Jean-Michel Nectoux and Roger Delage hanno potuto ricostruire interamente la seconda stesura che è sotto ogni aspetto preferibile alle altre. Lo stesso Rutter curò nel 1984 una incisione della propria edizione (Collegium Records), mentre quella di Nectoux può essere ascoltata nelle registrazioni di Philippe Herreweghe (Harmonia Mundi), Laurence Equilbey (Naive) e ora di Michel Corboz, in questa registrazione Mirare che è senz’altro la migliore di tutte. Il direttore ne aveva già realizzate due incisioni nel 1972 (Erato) e nel 1992 (Virgin) seguendo la versione per grande orchestra. Questa supera nettamente le precedenti non solo per la scelta della versione del 1893 ma per un taglio interpretativo di mirabile equilibrio che punta ad esaltare proprio il carattere raccolto e intimo della partitura in una dimensione sonora di diafana purezza e toccante semplicità espressiva. Il baritono Peter Harvey si inserisce nella visione delicata e affettuosa del direttore con sensibilità e la voce ferma e limpida, quasi infantile, del soprano Ana Quintans è fra le più appropriate dell’intera vasta discografia del lavoro. Mirabile sotto ogni aspetto è anche l’apporto dell’orchestra e del glorioso Ensemble Vocal de Lausanne, fondato cinquant’anni fa dallo stesso Corboz, nel Requiem come negli altri più rari e bellissimi pezzi sacri che completano il CD. Una pubblicazione che può essere considerata un vertice assoluto nella discografia delle opere sacre di Fauré. Giuseppe Rossi CD FRANCK Sonata in LA per violino e pianoforte RAVEL Sonata per violino e pianoforte; « Tzigane » Rhapsodie de Concert per violino e pianoforte violino Francesca Dego pianoforte Francesca Leonardi WIDE CLASSIQUE WCL125 M DDD 57:36 HHHHH . Quanto garbo traspare dal tocco delicato di Francesca Leonardi, pianista che introduce l’Allegretto moderato della Sonata di Franck con una sonorità calda e suadente. E in questa atmosfera intimista, si innesta il dialogo con la violinista Francesca Dego, che sa dosare fin dalle prime battute i chiaroscuri della partitura. È la dialettica l’arma principale di queste due personalità musicali che si fondono in un unico disegno esecutivo. La pianista ama cesellare ogni frase con degli impercettibili rallentandi che aumentano la tensione espressiva; la violinista alla bellezza del suono ag- GERSHWIN giunge la fluidità e la scorrevolezza del fraseggio che acquista sempre nuove screziature dinamiche e timbriche. E cosı̀ l’Allegretto diviene un’introduzione quanto mai « parlante ». Poi si entra nel vorticoso Allegro con il tocco calligrafico della Leonardi sul quale si sovrappone la cristallina bellezza della quarta corda di Francesca Dego. Colpisce la straordinaria fluidità del dialogo tra violino e pianoforte anche durante quelle zone insidiose dove è facile lasciarsi trascinare e perdere l’appiombo. Il Recitativo-fantasia è ben tornito e avvolgente: le atmosfere immobili dell’inizio producono solo sul finire un graduale e ben dosato crescendo, impreziosito da celatissimi sostenuti che rendono ancora più tornite le splendide timbriche dei due strumenti; poi il movimento si spegne in un piano mai impalpabile. L’Allegretto, poco mosso è staccato con un tempo non troppo spigliato nel quale si torna a godere della gioiosa serenità del fraseggio. Forte e fortissimo sono centellinati per emergere solo nella parte conclusiva, quando la melodia diventa estroversa e passionale; poi tutto si richiude verso zone delicate ed intermedie della dinamica fino alla coda; mai sguaiata nelle sonorità e staccata con un tempo ben controllato. La Sonata di Ravel palesa colori nitidi e tersi nell’Allegretto, dove si coglie, oltre al trasparente e calligrafico tocco della Leonardi, la straordinaria duttilità del braccio destro della Dego. Splendide le zone spettrali della partitura (« quinte vuote » del pianoforte). Blues, moderato esordisce con i carnosi pizzicati della violinista e ogni asperità dell’assieme viene risolta con brillante disinvoltura. Infine, un Perpetuum mobile sempre ben controllato, dove le note sembrano scolpite nell’alabastro. E che dire, infine della superba Tzigane di Ravel? Brano che esalta le splendide doti della Dego, musicista che non solo domina le difficoltà tecniche, ma rivela una personalità interpretativa già ben delineata, persino esaltante nel suo controllo della materia musicale. Carlo Bellora CD GERSHWIN Rhapsody in Blue; I Got Rhythm Variations; Concerto per pianoforte in FA pianoforte JeanYves Thibaudet Baltimore Symphony Orchestra, direttore Marin Alsop DECCA 478 2189 A DDD 57:26 HHHH 64 . Ferde Grofè è tornato in auge, in questi ultimi mesi, come arrangiatore delle musiche di George Gershwin, in particolar modo per quanto riguarda le versioni per jazz band (recensione MUSICA n. 222) dei lavori per pianoforte e orchestra del compositore newyorkese. Questa volta è il raffinato pianista francese Jean-Yves Thibaudet ad accomodarsi alla tastiera; e questa volta la chicca è costituita dalla più rara redazione per jazz band del Concerto in Fa, agile, sorniona e maggiormente swinging rispetto alla versione orchestrale tradizionale. L’inizio del Concerto, ad esempio, cosı̀ urbano e chiassoso, ricorda neanche tanto da lontano quello di An American in Paris. Thibaudet centra la cifra stilistica di questi lavori, in costante bilico tra il mondo della musica colta e quello del jazz, senza eccessi o vuoti istrionismi. Quando il pianista francese decide, per esempio, di passare allo swing nella celebre pagina solistica in Sol maggiore che precede l’Andantino moderato nella Rhapsody in Blue lo fa con consapevolezza e discrezione. Giustamente netti e scattanti, invece, i momenti più ritmici. Ma Thibaudet sa anche colorire le melodie più cantabili sfruttando la sua paletta timbrica con un pianismo fine e sempre molto nitido. Marin Alsop offre una direzione non fantasiosissima, ma disinvolta in questo live registrato durante tre concerti tenutisi a Baltimora nel novembre 2009. Massimo Viazzo CD HAYDN Sinfonia n. 53 in « L’impériale »; Sinfonia n. 54 Heidelberger Sinfoniker, direttore Thomas Fey HÄNSSLER 98.626 A DDD 62:10 HHHHH . Nel quindicesimo volume della pregevole integrale haydniana che Thomas Fey e gli Heidelberger Sinfoniker stanno portando avanti per Hänssler Classic sono accostate due sinfonie presumibilmente datate 1778-79 e 1774. Due opere poco conosciute e per lo più registrate solo all’interno delle raccolte complete, anche se di quella in Re maggiore ricordo una curiosa musica 227, giugno 2011 incisione di Stokowski. La n. 53 soprannominata L’imperiale forse per le pompose battute iniziali o per il particolare favore che le accordò la regnante sembra essere un lavoro messo insieme riunendo pagine per lo più destinate all’attività teatrale di Esterháza specialmente per gli spettacoli di marionette tanto apprezzati dal principe. La sinfonia ci è giunta in versioni differenti e la nuova incisione presenta due diverse stesure del Finale, il Capriccio originale in coda ai primi tre tempi e al termine del CD una stesura alternativa indicata semplicemente Presto. La pagina migliore della partitura è comunque individuabile nell’Andante costruito in forma di doppie variazioni con un secondo tema in minore. Ancor più interessante è la n. 54, anche questa pervenutaci in versioni diverse con un organico modificato. Vi spicca soprattutto lo straordinario Allegro assai in Sol maggiore ricco di sorprese a cominciare dalla curiosa cadenza affidata poco prima della fine a due violini soli. In queste sinfonie ricche di problemi già sotto l’aspetto della scelta testuale si conferma in pieno l’affidabilità stilistica di Thomas Fey con esecuzioni caratterizzate dall’appropriatezza di tempi e di fraseggi che contrassegna ogni suo confronto con Haydn. Basti fra i tanti esempi possibili segnalare le deliziose ornamentazioni introdotte nella ripresa del Minuetto della n. 53. La soluzione di accostare strumenti d’epoca e moderni utilizzati secondo criteri rispettosi delle attuali convinzioni in fatto di prassi esecutiva settecentesca risulta anche in questo caso vincente e l’orchestra tedesca aderisce alle richieste del suo direttore con la grande bravura già rilevata nei precedenti volumi. Giuseppe Rossi CD HAYDN Sei Quartetti per archi op. 20 Daedalus Quartet BRIDGE 9326A/B (2 CD) A DDD 140:08 H H H /H HHHH . Un po’ in controtendenza rispetto alla spregiudicatezza e ai funambolismi dei giovani quartetti odierni, il Daedalus Quartet dà una lettura tutto sommato sobria, equilibrata, temperata della fondamentale op. 20 haydniana, il primo ciclo quartettistico rilevante uscito dalla penna del compositore di Rohrau. Anche i tempi risultano tranquilli e una certa rilassatezza, qua e là, limita un po’ la vivacità, l’esuberanza di queste pagine contenendone la temperie emotiva. I « Sonnenquartette » (cosı̀ reca il frontespizio dell’edizione Hummel di Berlino del 1779 pubblicata sette anni dopo la loro composizione) si situano, inoltre, in una fase quasi sperimentale della produzione haydniana accanto alle cosiddette Sinfonie « Sturm und Drang »: ci sono, ad esempio, ben tre finali in forma di Fuga, per non parlare del sorprendente Capriccio del Quartetto op. 20 n. 2 in Do maggiore (secondo movimento), del cullante Adagio a mo’ di ninna-nanna del Quartetto op. 20 n. 4 in Fa minore (terzo movimento) e, infine, della nuova concezione di indipendenza fra le voci che governa il dettato strumentale. Nell’esecuzione del complesso americano tutto suona, in tal senso, pulito ed eufonico, ma a volte un po’ smorto. Massimo Viazzo CD HENZE « Guitar Music 2 » (musiche varie) chitarra Franz Halász mandolino Anna Torge arpa Cristina Bianchi Ensemble Oktopus, direttore Konstantia Gourzi NAXOS 8.557345 B DDD 70:24 HHHH . Lo strumento protagonista è sempre lui: la chitarra. Ma lo stile compositivo cambia ad ogni traccia, come è tipico di Henze. Si comincia con Royal Winter Music, la prima sonata henziana per chitarra (1975-76), in cui l’autore ha tentato di circoscrivere a un solo strumento la sua vocazione (passione) per il teatro: First Sonata on Shakespearean Characters, annuncia infatti il sottotitolo, perché ciascuno dei sei movimenti è ispirato a uno o più personaggi di Shakespeare (nel ’79 Henze scriverà una seconda Royal Winter Music shakespeariana in tre tempi). Si tratta, come è noto, del più impegnativo pezzo per chitarra sola del repertorio secondonovecentesco insieme alla Sequenza XI di Berio: Julian Bream, il chitarrista committente, aveva chiesto a Henze qualcosa di paragonabile, come respiro e impegno per il solista, all’Hammerklavier di Beethoven, e fu accontentato. « The Italian Intermezzo » Segue Carillon, Récitatif, Masque, un lavorino del 1974, molto più leggero, in cui tutto si riduce al fascino dei tintinnii dorati scaturiti dall’intreccio di tre strumenti a corde pizzicate cosı̀ simili nel principio organologico e cosı̀ diversi nell’effetto: chitarra, mandolino, arpa. Più che una composizione, un gioco di prestigio musicale. Anche Drei Märchenbilder aus « Pollicino » appartiene alla stessa linea disimpegnata: tre melodie accompagnate, niente di più, trascritte per chitarra da Reinbert Evers dall’opera per bambini Pollicino, composta da Henze nel 1980 per il suo Cantiere di Montepulciano. Chiude l’Ode an eine Äolsharfe, di nuovo l’Henze maggiore: un compositore che, nel 1986, riscopre le proprie origini espressioniste e, travestita la chitarra da arpa eolia, la fa emergere da un paesaggio strumentale oscuro nelle tinte e arcaico nelle sonorità: flauto contralto, flauto basso, oboe d’amore, clarinetto basso, viola d’amore, viola da gamba... Franz Halász è un chitarrista raffinato, con un suono nobile, armonici pieni e una notevole allure. Primeggia, dunque, nei brani dal fraseggio tradizionale o in cui al centro dell’invenzione è il timbro (Carillon, Drei Märchenbilder, l’Ode). Laddove c’è drammatizzazione, come nella Sonata, Halász tende a uniformare i contrasti sotto un velo di eccessiva bellezza, siano quelli lividi di Gloucester (n. 1) o quelli schizofrenici di Ophelia (n. 4). Un’esecuzione molto elegante, ma poco teatrale. La voce di un attore talmente suadente, da attirare l’attenzione tutta su di sé, a scapito dell’« azione ». Massimo Pastorelli CD « Historia Sancti Martini » (musiche sacre del XIII secolo) Diabolus in musica, direttore Antoine Guerber AEON AECD 1103 A DDD 66:02 HHHH . La vita di San Martino, morto a Tours nel 397, ci è ben nota grazie al suo amico e biografo Sulpicio Severo che ne ricorda le vicende: l’abbandono della legione romana, la condivisione del mantello con un povero per strada, il suo incontro con santo Ilario vescovo di Poitiers, la fondazione dei primi monasteri, l’ascesa al soglio vescovile di Tours, le numerose conversioni, i miracoli e la drammatica morte (per saperne di più si legga la preziosa Legenda aurea di Jacopo da Varazze). La tomba del Santo divenne presto meta di pellegrinaggi non solo da tutta la Gallia ma anche da fuori: il primitivo oratorio diventò cosı̀ presto una ampia basilica che esortò anche il re Clodoveo alla conversione e poté resistere sino alla distruzione degli eserciti rivoluzionari francesi (1801), intrecciando un legame indelebile con la corona francese (carolingi e capetingi) sino alle soglie del secolo decimonono. L’Ensemble ultraspecializzato Diabolus in musica, diretto da Antoine Guerber, ci rinvia ora con la memoria agli antichi riti ecclesiali, alle liturgie della laus perennis (lode perenne) attraverso la registrazione del Grande Uffizio Solenne della Basilica di S. Martino di Tours, databile al XIII secolo, un misto di cantus planus (gregoriano) e di antiche forme polifoniche come il variegato rondellus, il sillabico e processionale conductus, il responsorio). La storia del Santo riceve quindi luce alterna ora dalla cantillazione (canto declamato) che esalta la parola, ora dalle pratiche polifoniche (anche organuli) che esaltano il colore dell’impasto e la varietà intervallare delle voci sovrapposte. Un colore particolare viene dal ricorso a sole voci maschili (due tenori, un baritono, due bassi-baritoni ed un basso) a conferire al racconto la giusta dose di pensosità ed arcaicità pietrificata come nelle pareti delle grandi cattedrali gotiche del tempo. Il gruppo francese segue le indicazioni piene di dettagli del canonico Péan Gatineau, scritte tra il 1226 e il 1237, relative alla pratica musicale in uso al tempo nella importante basilica, una pratica che durò anche oltre ( all’epoca in cui tesoriere era il fiammingo Ockeghem). La festa più importante e solenne (l’11 novembre) coincideva con la data della sepoltura del Santo e proprio questo rito di S. Martino d’inverno è qui riproposto nella sua composita articolazione musicale. L’Ufficio (databile al 1230 circa), dopo la processione del Mattutino, comprende tre Notturni, articolati ciascuno in tre Salmi con relative antifone e qui intercalati da tre conductus polifonici talora della Scuola di Notre Dame di Parigi, e tre lectiones (che raccontano la fine di Martino) seguite da altrettanti responsori ed immancabilmente concluse da un Te Deum laudamus. La ricerca filologica di questa preziosa esecuzione si spinge al punto di plasmare la pronuncia del latino sul vernacolo dei canonici di Tours all’ inizio del Duecento, ovvero la lingua d’oil dei trovieri. Il risultato è a tratti sorprendente per dovizia di colore, perfezione di risonanze armoniche: un mondo sepolto tra le nervature ogivali del grande gotico nord-europeo. Lorenzo Tozzi CD « The Italian Intermezzo » CILEA Adriana Lecouvreur: Intermezzo PUCCINI Manon Lescaut: Intermezzo; Suor Angelica: Intermezzo; Edgar: Preludio atto I, Preludio atto III CATALANI Loreley: Danza delle Ondine; La Wally: Preludio atto I, Preludio atto IV VERDI La Traviata: Preludio atto III GIORDANO Siberia: Preludio atto II; Fedora: Intermezzo Atto II PONCHIELLI La Gioconda: Danza delle ore MASCAGNI L’Amico Fritz: Intermezzo WOLF-FERRARI I Quattro Rusteghi: Intermezzo; I gioielli della Madonna: Intermezzo LEONCAVALLO Pagliacci: Intermezzo BBC Philharmonic, direttore Gianandrea Noseda CHANDOS CHAN 10634 A DDD 72:32 HHHH . La pregevole collana « Musica Italiana » della Chandos si arricchisce di un bel CD interamente dedicato ad estratti sinfonici da opere « nostrane » del secondo Ottocento e primo Novecento. In un repertorio come questo è ben raro imbattersi in antologie appositamente realizzate o quantome- no costruite « a posteriori » con la dovuta cura: di solito le case discografiche – blasonate o meno – si accontentano di accozzare una dozzina di brani alla bell’e meglio attingendo spregiudicatamente al back catalogue. Qui, per fortuna, ci si muove su un piano completamente diverso: da una parte l’accostamento di autori e brani risulta particolarmente raffinato e stuzzicante; dall’altra, il livello omogeneamente elevato delle esecuzioni è garantito da una BBC Philharmonic in ottimo spolvero guidata da Gianandrea Noseda con partecipazione, gusto e fantasia. Attraverso una concertazione sapiente e accurata (si ascoltino ad esempio la parte conclusiva dell’Intermezzo da Adriana Lecouvreur o il Preludio al second’atto di Siberia), opportunamente il maestro milanese si preoccupa di porre in luce anzitutto le finezze timbriche e armoniche caratterizzanti queste partiture, svelando – se ancora ce ne fosse bisogno – l’infondatezza dei consunti luoghi comuni concernenti l’imperizia dei nostri autori scapigliati e veristi. Al tempo stesso, grazie a un’adesione sincera e viscerale all’appassionato e inconfondibile melos che contraddistingue il teatro musicale italiano da Verdi in avanti (si ascoltino ad esempio le prime pagine dell’Intermezzo da L’Amico Fritz o i due squarci sinfonici dell’Edgar pucciniano), sa garantire agli ascolti un indispensabile surplus di carica emozionale. Vista la ghiotta occasione sarebbe stato forse auspicabile ripescare qualche altra rarità « sostituendola » ai brani maggiormente celebri, già serviti da una più che copiosa di- & Gianandrea Noseda & musica 227, giugno 2011 65 « Les leçons particulières de musique » scografia. In questi ultimi casi non bisogna però temere che Noseda si adagi nella comoda routine consegnandoci letture tutto sommato superflue: avviene anzi l’esatto contrario, come dimostrano ad esempio la restituzione tesa e tragica dell’Intermezzo da Manon Lescaut o quella assai elegante, scorrevole e vivace della Danza delle ore. In somma delle somme, se il primo pensiero che vi passa per la mente è quello di comprare questo CD per regalarlo al classico amico neofita, sarà meglio non lasciarsi andare alla tentazione di ascoltarlo preventivamente: la tentazione di conservarlo nella propria collezione diverrebbe troppo forte. Paolo Bertoli DVD Video « Les leçons particulières de musique » Pierre-Yves Artaud un film di Roger Kahane HARMONIA MUNDI HMD 9909034 A DDD 52:00 . HHHHH « Les leçons particulières de musique » Anner Bylsma un film di François Manceaux HARMONIA MUNDI HMD 9909035 A DDD 56:00 . HHHHH . Sull’interesse della collana di Olivier Bernager e François Manceaux mi sono già soffermato segnalando i volumi dedicati a Jacobs, Ross, Baumann e la Loriod. Ricorderò solo che si tratta della serie di dodici trasmissioni diffusa fra il 1987 e il 1991 da La Sept, poi Arté, ora diffusa in DVD da Harmonia Mundi. Filmati realizzati in anni e luoghi diversi che ci permettono di seguire le masterclasses dei alcuni dei maggiori musicisti del Novecento. In questo caso si tratta di specialisti di repertori molto diversi. Il francese Pierre-Yves Artaud è uno dei maggiori conoscitori della letteratura e delle tecniche del flauto contemporaneo. Come un tempo il nostro Gazzelloni, Artaud è dedicatario di molte composizioni che hanno segnato l’evoluzione tecnica dello strumento ed è quindi l’iniziatore ideale a un mondo sonoro poco noto, ricco di delicati problemi esecutivi a cominciare già dalla varietà 66 e complessità di indicazioni sul piano della notazione. La sua lezione tenuta nel 1988 si svolge nell’atelier di un pittore parigino e fra gli allievi riconosciamo lo svizzero Emmanuel Pahud, all’epoca diciottenne e oggi diventato una celebrità come solista e primo flauto dei Berliner. Artaud introduce ai segreti del flauto moderno partendo dall’emblematico Syrinx di Debussy, coronamento di un’immagine tradizionale pastorale e galante dello strumento ma anche rivelazione di una sua nuova dimensione sonora poi sviluppata dalle avanguardie. Il lavoro di Artaud si svolge interamente sui dati concreti delle partiture e oltre al pezzo di Debussy riguarda due lavori di Yoshihisa Taira (Synchronie e Maya), a dimostrazione dell’influenza esercitata dalla musica orientale su certi stili della musica contemporanea, e Cassandra’s Dream Song di Brian Ferneyhough che vediamo presenziare alla lezione. Al termine è poi lo stesso Artaud a suonare stupendamente Unity Capsule del musicista inglese. Con Anner Bylsma siamo invece di fronte a un guru del violoncello barocco e soprattutto a uno dei più illustri studiosi e interpreti delle Suites di Bach. Attento e scrupoloso, Bylsma parla poco, preferendo suggerire la soluzione di un problema attraverso l’esempio, anche se da bravo insegnante non punta a inculcare un’imitazione del proprio stile ma a raggiungere una propria visione del pezzo. Assistiamo a lezioni tenute in ambienti diversi, nella sua casa di Amsterdam poi in una cappella barocca vicino Harlem, e lo vediamo spaziare fra mondi musicali lontani, quasi in una sintesi ideale degli stili dello strumento, uno Studio di Franchomme, una Canzone di Domenico Gabrielli, La Ligne des toits di Henri Pousseur e naturalmente Bach, quello della Suite in Do minore. Come è consuetudine del ciclo anche questo volume si chiude poi con un’esecuzione del maestro, una ricreazione austera e bellissima del Preludio dalla Suite in Sol maggiore. Giuseppe Rossi CD LISZT Fantasia e fuga su B.A.C.H.; Bénédiction de Dieu dans la solitude; Venezia e Napoli; Sonata in si pianoforte Marc-André Hamelin HYPERION CDA67760 A DDD 79:25 HHHH . REGER Concerto per pianoforte op. 114 musica 227, giugno 2011 STRAUSS Burleske pianoforte MarcAndré Hamelin Rundfunk-Sinfonieorchester Berlin, direttore Ilan Volkov HYPERION CDA67635 A DDD 56:53 HHHHH . Marc-André Hamelin ha fatto precedere oltre quaranta dischi alla sua registrazione della Sonata in Si minore, che viene realizzata adesso, nell’anno dell’anniversario, in questa bella scelta di composizioni lisztiane che costituisce il suo terzo disco dedicato interamente a questo compositore. Nei due precedenti (il primo per la Music & Arts) era palese la predilezione di Hamelin per i settori più desueti della letteratura pianistica, anche nell’ambito di un compositore di maggior richiamo: nel caso di Liszt alcuni brani giovanili o tardi, o preziose scoperte nel campo della trascrizione (le tre grandi Marce di Schubert, ad esempio). Abbiamo invece qui – e fa parte dell’attuale politica di recupero, da parte di Hamelin, del grande repertorio – oltre alla Sonata, la versione pianistica della Fantasia e fuga su B.A.C.H. scritta da Liszt (come « Preludio e fuga ») per organo, uno dei brani più belli del ciclo Harmonies poétiques et réligieuses, che è Bénédiction de Dieu dans la solitude, infine i tre brani che costituiscono il supplemento, Venezia e Napoli, al secondo anno delle Années de pèlerinage. Inutile dire che in questo repertorio il pianista canadese si muove come un pesce nell’acqua, direi come uno squalo nell’oceano: la sua tecnica gli permette effetti timbrici tellurici: si ascolti quel tremolo in accordi nel finale della Fantasia e fuga, o le note ribatture della Tarantella di Venezia e Napoli. Splendide anche le rapidissime filigrane della Gondoliera (dallo stesso ciclo). Ma sono cose cui ormai Hamelin ci ha avvezzo. Il lavoro più impegnativo, appunto la Sonata, è da lui resa non solo con la tecnica giusta (quindi velocità, impeti, scatti) e la sonorità più accattivante (bellissima la parte centrale, Andante sostenuto), ma con convincente coerenza discorsiva e strutturale. Egli non esce però qui dai canoni interpretativi ormai affermatisi riguardo questo capolavoro, che non pongono in primo piano le suggestioni immaginifiche e il lato visionario del pezzo, privilegiandone invece le novità strutturali e le invenzioni tecnicistiche. Non mancano però – in questo la personalità di Hamelin non si smentisce – soluzioni particolari e scelte anche un tantino eccentriche, che il testo pur permette. Con l’altro disco, dedicato al Concerto di Max Reger e alla Burlesca di Richard Strauss, Hamelin arriva a venti brani orchestrali registrati per la casa inglese, per lo più nella serie « Romantic Piano Concerto ». E brani non da poco, se si pensa che già comprendevano Concerti di Busoni, di Brahms (Secondo), di Henselt, di Scharwenka (Primo), di Shostakovich, e che con quello di Reger giungono a uno dei vertici della difficoltà pianistica, oltre che dell’impegno musicale (specialmente per l’ascoltatore). Celebre per l’incisione di Rudolf Serkin, che ancor giovanissimo lo aveva eseguito nientemeno che con Furtwängler a Berlino, questo Concerto non fu mai popolare, sia per la difficoltà di esecuzione (soprattutto di memorizzazione), sia – appunto – per la « difficoltà » di ascoltarlo: eccessivo spessore orchestrale, mancanza di melodie ben definibili, vicissitudini armoniche abbastanza contorte. Ci vuole un interprete di livello superiore non solo dal punto di vista tecnico, ma soprattutto capace di muoversi con chiarezza nella complessa struttura: deve credere in questa musica ed esporla in modo convincente. Serkin ci si buttava a corpo morto e creava tensioni decisamente brahmsiane (il Concerto risente chiaramente dell’esempio del Primo Concerto di Brahms). Hamelin è meno coinvolto emozionalmente, rispetto a Serkin, ma la facilità con cui supera la complessità strutturale e tecnica del lavoro è al solito sorprendente. E nel direttore Volkov ha trovato analogo « chiarificatore » della parte sinfonica. Ottima anche la partecipazione dell’Orchestra della Radio di Berlino, le cui prime parti (ovviamente qui il timpanista) brillano nella Burlesca di Strauss, straordinario brano del giovane Strauss, tale da farci rimpiangere che il compositore poi abbia voltato le spalle al pianoforte, sia pure per darci i capolavori che ci ha dato. Avevo già ascoltato Hamelin in questo lavoro a Torino, con l’Orchestra della RAI , in una interpretazione pressappoco analoga: egli crede nella modernità di questo pezzo, evidenziando di questo enorme valzer sinfonico più la coerenza strutturale e il tessuto pianistico, decisamente arduo, che non le reminiscenze romantiche che la LULLY forma stessa di danza si porta dietro: diciamo, siamo agli antipodi de La Valse di Ravel, ma anche del Rosenkavalier! Splendida prestazione, anche qui, dell’orchestra e del direttore, che ha parecchio da fare per tenere assieme un materiale ritmicamente trascinante e timbricamente lussureggiante. Riccardo Risaliti CD LULLY Bellérophon (tragédie lyrique in un prologo e cinque atti su libretto di T. Corneille) C. Auvity, C. Scheen, I. Perruche, J. Borghi, E. Alexiev, J. Teitgen, R. Getchell; Chœur de chambre de Namur, Les Talens Lyriques, direttore Christophe Rousset APARTÉ AP 015 (2 CD) M DDD 133:46 HHHH . Il Bellérophon di Lully, inaugurato nel 1679 all’Academie Royale de Musique, sopravvisse sulle scene operistiche francesi per quasi un secolo. Precisamente fino al 1773, quando il conte d’Artois poté ascoltarlo alla propria festa nuziale; quello stesso conte d’Artois che, effimero re col nome di Carlo X, fu celebrato da Rossini con la sua ultima opera italiana: Il viaggio a Reims (1825). A quel tempo le tragédies lyriques del bizzarro genio fiorentino erano ormai reperti archeologici noti solo a bibliotecari e storici della musica. Nemmeno l’impetuoso revival barocco del secondo Novecento si era mai occupato di questa partitura, che ha sperimentato la riesumazione in forma di concerto solo l’anno scorso, ed ora – dopo un tour da Beaune a Vienna via Versailles e Parigi – affronta il mercato discografico in una veste di gran lusso. Il libretto è curato come si deve quanto a metrica del testo cantato e traduzioni, benché con qualche errore di numerazione delle tracce; le note introduttive di Jean Duron, piacevoli a leggersi, contestualizzano storicamente il lavoro senza burbanza accademica, la grafica è sontuosa come i manoscritti antichi di cui cita le immagini. Tutti pregi non comuni di questi tempi. Manca tuttavia un testo italiano, e in simili casi il danno è grave. Senza aver mai frequentato l’attico di Racine né gli atrii della Comédie Française è inevitabile smarrirsi nella selva dei lunghi discorsi versificati in sonore e tortuose polimetrie, dove coabitano grandeur mi- litaresca e ampollose trasfigurazioni mitologiche del quotidiano a maggior gloria del Re Sole. I valori di quella cultura cortigiana qui trovano espressione suprema mediante gettoni semantici di sicuro effetto (« gloire », « valeur », « héros », « victoire ») da introdurre in una sorta di slot-machine compositiva che rimunera il giocatore con un diluvio di declamati e brevi ariette, di trilli, marce e fanfare in ritmo saccadé. Ma ciò che più interessa è la loro applicazione finalizzata alla conquista di « tendresse », « jeux », « plaisirs »... Fondamentale è poi la funzione del coro, da considerarsi alla stregua di un vero personaggio collettivo secondo i canoni del classicismo allora imperante. Esso non si limita a commentare l’azione in corso, anzi vi partecipa a pieno titolo sonorizzando i movimenti scenici di un invisibile corpo di ballo: Muse e Amazzoni, maghi, sacerdoti e popolo. Ci voleva il DVD per rendere giustizia a un lavoro che esige macchine, mostri e spettacolari scenografie secondo l’essenza dell’opera barocca; tanto più se corredata di un prologo allegorico-politico ambientato nella reggia di Parnaso. Sarà per un’altra volta. Intanto godiamoci quello che c’è: una compagnia di canto media- mente assai competente, con l’unica eccezione del pur scultoreo baritono Evgueniy Alexiev (Jobate, re di Lidia), la cui fonetica slava suona troppo fuori contesto. L’altro cattivone, il mago Amisodar, è Jean Teitgen: neppure lui uno specialista, ma il suo timbro cavernoso alla Sparafucile risolve con autorità un ruolo centrale nelle convenzioni librettistiche del tempo. La regina Sténobée, perfidissima femmina che non esita a devastare un intero paese per vendicarsi di uno scacco amoroso, è Ingrid Perruche, soprano dall’ampia gamma espressiva svariante fra gli sdegni, le velenose ipocrisie e la patetica scena-lamento del finale; pagina da catalogare fra le vette del secolo, diciamo fra l’Ottavia monteverdiana e la Dido di Purcell. I due nobili amanti bersagliati dal destino sono il tenore Cyril Auvity (Bellérophon) e il soprano belga Céline Scheen (Philonoë). Possiedono entrambi colore grato, duttile fraseggio, facile agilità; ma lui prende molti rischi come suo solito, mentre lei si contiene meglio nei limiti di una composta eleganza, e nei duetti legano senza problemi. Bene i comprimari Jennifer Borghi e Robert Getchell, strepitoso il MAHLER Chur de Chambre di Namur, dinamica la concertazione di Christophe Rousset alla testa dei suoi Talens Lyriques, seppure con qualche intemperanza alla René Jacobs nell’uso di una panoplia di percussioni maneggiate con virtuosismo da Marie-Ange Petit. Carlo Vitali CD MAHLER Lieder da « Des Knaben Wunderhorn » baritono Thomas Hampson Wiener Virtuosen DG 477 9289 A DDD 67:04 HHHHH . I quattordici Wunderhorn-Lieder dei quali Mahler lasciò anche una versione orchestrale sono presentati qui in un’interpretazione stimolante e sorprendente, per la novità della prospettiva e l’elasticità del fraseggio. Sono molteplici i punti di forza che convergono a simile risultato: da un lato la rico- che offre una trama sonora sontuosa e infinitamente ricca di colori, dinamiche, dettagli; ancora, una concezione flessibile e direi creativa dell’articolazione interna di ogni singolo Lied; e infine il contributo di un liederista e mahleriano di prim’ordine come Thomas Hampson, che nonostante qualche durezza vocale dimostra una capacità di penetrazione di queste pagine ammirevole. Del resto proprio due album Telarc di Lieder (mahleriani e non) basati sulla raccolta di Arnim e Brentano furono tra i primi a segnalare il baritono americano all’attenzione universale, ormai una ventina di anni or sono. Il palinsesto è costruito abilmente: al centro il gruppo di Lieder in cui è protagonista quella figura, dominante nella poetica mahleriana, della vittima del destino; l’ultima parola alla trasfigurata (e qui davvero commovente) « Urlicht ». Un aspetto che emerge immediatamente è che la visione più levigata del tessuto orchestrale si traduce in una minore esasperazione del carattere grottesco, in favore di sonorità più Thomas Hampson & & struzione dell’originale equilibrio interno dell’orchestra, « sbilanciato » verso i fiati (nella maggioranza dei Lieder, per dare un’idea, il compositore prevede quattro corni) rispetto a un tessuto degli archi maggiormente votato alle trasparenze; poi l’elevatissimo livello dell’ensemble cameristico, imperniato sulle prime parti della Filarmonica di Vienna, 68 sottili e sfumate; senza perdere peraltro vigore e graffio (vedi « Lob des hohen Verstands »), ma riportandoli a una dimensione più ironica, alla fine più umana. La raffinatezza della visuale si può apprezzare particolarmente in « Der Tamboursg’sell », caratterizzato da un cambio di atmosfera improvvisa (tra la terza e la quarta strofa) che tra- musica 227, giugno 2011 sforma il cammino del condannato in una dilatata e interiorizzata marcia funebre, amarissima ma priva di ogni distorsione caricaturale. Anche « Revelge » diviene qui una favola macabra, una marcia a tappe forzate verso l’ossessione e verso la morte. Ma in ciascun Lied le nostre attese e abitudini di ascolto vengono messe fertilmente in gioco: anche in pagine più liriche come « Wo die schönen Trompeten blasen », di cui risalta tutta l’essenzialità e genialità dell’orchestrazione. Qui peraltro, come nel finale di un « Der Schildwache Nachtlied » elastico e prodigo di indugi, Hampson dimostra di saper cantare ancora con levigata morbidezza. Roberto Brusotti SACD MAHLER Sinfonia n. 5 London Symphony Orchestra, direttore Valery Gergiev LSO LIVE LSO0664 M DDD 70:46 H H H /H HHHH . Con la più popolare delle sinfonie di Mahler, registrata a Londra nel settembre del 2010, si conclude l’integrale di Valery Gergiev per LSO Live. Un ciclo dagli esiti alterni che tirate le somme non sembra aver mantenuto certe interessanti promesse intraviste nei primi volumi. In una posizione intermedia fra i risultati migliori (Prima e Sesta) e i peggiori (Quarta e Settima) si viene a collocare questa Quinta indubbiamente ben diretta ma non contraddistinta da tratti particolarmente personali. A differenza di altri illustri interpreti della sinfonia come Scherchen e Maderna, per vie diverse tendenti ad esaltarne gli aspetti centrifughi più che quelli coesivi allontanandola dalla tradizione e proiettandola nel futuro, Gergiev punta in realtà su una lettura di solida tenuta formale che riesce a collegare in un arco compatto il suo percorso lungo e variegatissimo. Affrontata col cuore in mano, come è consuetudine del direttore russo, questa Quinta conosce momenti interessanti soprattutto quando l’approccio viscerale basta a circoscriverne gli scenari poetici. Ciò vale per certe convulse esplosioni del secondo movimento, rese con enfasi febbrile e indiscutibile impatto drammatico, come per le zone più eccitate dello Scherzo e del Finale. Altrove il direttore ap- pare meno convinto e convincente. La Marcia funebre iniziale non procede con la inesorabile dereminazione e l’ineluttabilità che rende tanto suggestive le letture pur diversissime di Bernstein, Solti e Abbado. Le parentesi liriche e introspettive del secondo movimento denotano una scarsa sottigliezza di fraseggio e l’Adagietto, pur eseguito a un tempo moderatamente lento, non conosce la necessaria immateriale poeticità e ricercatezza di sfumature timbriche. Nell’insieme si tratta però di una buona esecuzione, forse non destinata ad occupare un posto di primo piano nella sterminata discografia della Quinta ma certo ben suonata (magnifiche fra le prime parti la tromba e il corno) e a tratti perfino coinvolgente. Limitatamente alle precedenti incisioni della London Symphony, che curiosamente non includono grandi nomi, la versione di Gergiev è comunque preferibile alle versioni marginali di Schwarz, Farberman, Kaspsyk e DePriest. Giuseppe Rossi DVD Video MAHLER Sinfonia n. 4 soprano Camilla Tilling World Orchestra for Peace, direttore Valery Gergiev Sinfonia n. 5 World Orchestra for Peace direttore Valery Gergiev CMAJOR 702608 A 154:00 HHH . È piuttosto raro ascoltare la Quarta e la Quinta Sinfonia di Mahler nello stesso concerto e non è certo un compito facile per l’orchestra e il direttore che le devono eseguire di fila. È accaduto il 5 agosto del 2010 in una serata dei Proms londinesi dedicata alle celebrazioni del 150º anniversario della nascita di Mahler. Sul grande palcoscenico della Royal Albert Hall c’era la World Orchestra for Peace, un complesso ideato da Georg Solti nel 1995 che di volta in volta riunisce strumentisti provenienti da ogni parte del mondo e da allora si è ricostituito una volta all’anno per tournées stagionali. Questa volta a dirigerla nel ricco omaggio a Mahler c’era Valery Gergiev, fresco dell’integrale registrata con la London Symphony. Il video immortala l’eccezionalità della serata con un’orchestra del tutto particolare, priva per forza di cose di una definita Ministero per i Beni e le Attività Culturali BANDO INTERNAZIONALE Nella Anfuso Fondazione Centro Studi Rinascimento Musicale BANDO INTERNAZIONALE INTERNATIONAL CALL FOR VOCALISTS PLATONISMO MUSICALE IL CANTO UMANISTICO E LA AUTENTICA SCUOLA ITALIANA (XV-XVIII secolo) PLATONISM IN MUSIC. HUMANISTIC SINGING AND THE AUTHENTIC ITALIAN SCHOOL (XV-XVIII century) MODALITÀ DI PARTECIPAZIONE DETAILS FOR PARTICIPATION: Possono partecipare: Vocalisti di qualsiasi nazionalità di età fra i 16 e 26 anni con conoscenza basilare della Lingua italiana. La durata di formazione è Triennale e si svolgerà nella “Villa Medicea” di Artimino. Sono previste Borse di studio per i partecipanti alla Alta Formazione Vocale. La scelta dei partecipanti avverrà con una selezione in due fasi: PRE- AUDIZIONE ed AUDIZIONE This call is addressed to vocalists of all nationalities, aged 16 to 26, with a basic knowledge of the Italian language. The course lasts three years and is held at the Villa Medicea in Artimino. Scholarships are available for those attending the Advanced School for Vocal Training. The selection of vocalists will be carried out in two steps: a pre-audition and an audition. 1. Prima fase: invio di Curriculum dettagliato (con foto e dati anagrafici completi ) e di materiale AUDIO (CD o DVD). 1. First step: send detailed Curriculum Vitae (with complete personal details and photo) together with audio material (CD or DVD). 2. Seconda fase: audizione ad ARTIMINO (Italia) con l’esecuzione di 2 brani a piacimento del vocalista ed un colloquio con la Giuria. 2. Second step: AUDITION in Artimino (Italy), vocalists are required to perform two pieces of their own choice; candidates will also be interviewed by the selection board. PRE-AUDIZIONE Inviare il materiale richiesto entro il 30 Settembre 2011 ad uno dei seguenti indirizzi: PRE-AUDITION Please send material to one of the following addresses by September 30th 2011: Fondazione CSRM Museo “Gianuario” Villa Medicea 59015 ARTIMINO - ITALIA e-mail: fondazionecsrm@tin.it Fondazione CSRM Museo “Gianuario” Villa Medicea 59015 ARTIMINO - ITALY e-mail: fondazionecsrm@tin.it MENDELSSOHN identità timbrica, anche se provvista di alcune individualità di grande spicco, a cominciare da Rainer Küchl il primo violino dei Wiener. Un confronto fra la Quarta registrata nel gennaio dello stesso anno per LSO Live, una delle meno felici del ciclo, rivela un taglio meno stucchevole e discutibile ma anche meno personale. Gergiev sembra qui preoccupato soprattutto di assicurare una tenuta all’insieme con una lettura discorsiva e quadrata ma anche poco rifinita nei dettagli e soprattutto decisamente anonima sul piano delle idee. Solo nel Lied conclusivo, staccato a un tempo assai lento come nell’incisione precedente, la voce fresca e il candore espressivo di Camilla Tilling sembrano vivacizzare un po’ un’esecuzione per il resto priva di spunti interessanti. La Quinta è nell’insieme migliore soprattutto quando il direttore può sfogare liberamente la propria propensione per le sonorità accese e i fraseggi carichi di enfasi. Convincente e talvolta perfino entusiasmante nei climax carichi di tensione e di suono, Gergiev è altrove meno coinvolto e come incapace di preparali cosı̀ che quei momenti culminanti sembrano configurarsi come i classici effetti senza causa. L’esecuzione è comunque in generale molto simile a quella immortalata il mese successivo con la London Symphony e recensita in questo stesso numero, solo che quella era meglio suonata, mentre questa è in fondo più godibile grazie alle riprese di Matt Woodward che si soffermano sul gesto instabile e apparentemente incomprensibile del direttore, sul curioso raduno di strumentisti di nazioni e scuole di- 70 verse e sul colpo d’occhi spettacolare della sala londinese con il suo pubblico colorito ed entusiasta. La pubblicazione è completata dal documentario Solti’s Vision sui primi quindici anni di attività dell’orchestra-simbolo collegata all’Unesco. Giuseppe Rossi CD MENDELSSOHN Quartetto per archi in LA op. 13; Quattro Pezzi op. 81 per quartetto d’archi Quartetto di Roma SCHUBERT Quartettsatz in do D 703 Quartetto di Roma DISCANTICA 225 A DDD 58:07 HHHH . MENDELSSOHN Ottetto per archi op. 20; Sestetto per pianoforte e archi op. 110 I Solisti Filarmonici Italiani CPO 777 524-2 A DDD 62:28 HHH . Il Secondo Quartetto per archi in La maggiore op. 13 di Mendelssohn, in realtà il primo scritto dal compositore di Amburgo, è restituito dal Quartetto di Roma con grande partecipazione e slancio. Le relazioni, per nulla velate, con l’op. 132 di Beethoven (qui Mendelssohn sembra rendergli un commosso omaggio a pochi mesi dalla sua scomparsa) vengono evidenziate dal complesso italiano con una lettura molto comunicativa, di suono vigoroso e fantasiosa. Ma è soprattutto la forza del canto a imporsi, un canto vibrante e sincero che perva- musica 227, giugno 2011 de tutti i movimenti del lavoro. Vitale, esuberante la resa dei Quattro Pezzi op. 81, sorta di quartetto per archi assemblato solo in sede editoriale, mentre discorsiva e mobilissima, pur in una compostezza formale di fondo, pare la fotografia sonora del celeberrimo Quartettsatz in Do minore D 703 di Schubert. Ancora pagine giovanili mendelssohniane nel CD CPO – il Sestetto per pianoforte e archi op. 110 (1824) e l’Ottetto per archi op. 20 (1825) –, ma l’interpretazione dei Solisti Filarmonici Italiani, pur dignitosa, non sembra saper cogliere quella spontaneità e leggerezza loro connaturate, con un impiego della dinamica poco variegato e un fraseggio un po’ monocorde. Massimo Viazzo CD MENOTTI The Saint of Bleecker Street (opera in tre atti su testo di G.C. Menotti) G. Ruggiero, D. Poleri, G. Lane, M. Di Gerlando, L. Lishner, C. Akos, M. Marlo, E. Gonzales, D. Aiken, L. Becque; Orchestra e Coro non specificati, direttore Thomas Schippers The Unicorn, the Gorgon and the Manticore coro e orchestra non specificati, direttore Thomas Schippers NAXOS 8.111360-61 (2 CD) B ADD 155:48 HHHH . Rammento l’impressione di romanzesca, cinematografica teatralità suscitata da una rappresentazione di quest’opera nel 1970, in un teatro incapsulato nel ghiaccio di una serata da tregenda, di quelle più maligne dell’inverno triestino. Menotti però vi aveva personalmente riattivato e portato a incandescenza tutti i lambicchi del suo laboratorio teatrale. L’artifizio stava nel rimettere a punto tutti i meccanismi tipici del Musical. Non a caso The Saint era nata a Broadway. Nel congegno aveva inserito, al posto dell’eccellente David Poleri, interprete della prima edizione, un tenore che più tenore non si poteva, come Franco Bonisolli. Meriterebbe un saggio a parte l’abilità del compositore-regista nell’inventare ogni volta cast pressoché impeccabili non solo per le opere proprie, ma anche per le sue regie di repertorio e in genere per le sue produzioni di Spoleto: interpreti capaci di brillare come stelle solo per quella occasione, di ballare insomma una sola estate e poi magari di perdersi nelle nebbie. Se il tenore americano David Poleri ha dato prove rilevanti di talento nel corso della sua purtroppo breve carriera tra Europa e Stati Uniti, non saprei dire per esempio quali altre imprese abbia compiuto il soprano Gabrielle Ruggiero, qui semplicemente perfetta nell’incarnazione esangue e smarrita di Annina tra estasi religiose e passioni terrene consumate nello spaesamento della little Italy americana, al centro della Santa. E la sua sincerità alla deriva nel contesto di fede e fanatismo della comunità è anche l’elemento strutturale energetico di questo melo in cui si intersecano fervori devozionali da oratorio popolare verista, impeti sensuali, turbamenti ambigui alla Tennessee Williams (Michele – quasi un nipote di Turiddu emigrato negli States – tra gli ardori per l’amante Carmela e l’incestuoso sentimento per la sorella Annina), piani-sequenza neorealisti. Gli estremi dell’opera menottiana, quelli che coinvolgono la protagonista, suo malgrado, in un impianto corale di ottima fattura, sono anche le pagine migliori della Saint of Bleecker Street, ma tutta la prima scena del terzo atto (l’incontro di Annina e Michela nella stazione della metropolitana, con la montante cupezza di quell’Allegro impetuoso da Pacific 231) è un numero davvero impressionante. Difficilmente trascurabile in una panoramica del teatro musicale del Novecento. Certo fece orrore ai critici di quarant’anni fa il cartolinismo verista di sangue e di coltello enfatizzato da Michele. Nell’ottica del Musical l’effetto è garantito. Ma allora, si sa, al Musical non si concedevano permessi di residenza nel teatro musicale « serio ». Oggi la prospettiva è forse cambiata e con tutte le riserve del caso, il « mestiere » e la maestria di Menotti in questo affresco sono innegabili. Sarebbe uno spettacolo da fare invidia a Lloyd Webber. Si aggiungano, in questa edizione, le emozionanti accensioni concertate e dirette dal venticinquenne Thomas Schippers e il ritmo sbalzato quasi visivamente dall’esecuzione. L’album della Naxos riserba un supplemento di qualità in un secondo CD con il delizioso « esercizio di stile » prodotto da Menotti subito dopo la Santa, con spericolato, raffinato scarto di linguaggio e di misura drammaturgica: il balletto in forma di favola madrigalistica (omaggio a Banchieri) di The Unicorn, the Gorgon and the Manticore: MENOTTI una galleria e una allegoria polifonica mossa e impaginata con grande fantasia, tanto da essere apprezzata persino da Stravinski. L’esecuzione è quella newyorchese del ’57, coordinata da Schippers, con un formidabile ensemble vocale e un non meno acuminato complesso strumentale. Il tutto ben conservato dalla rigenerata registrazione. Gianni Gori CD MENOTTI The Medium (opera in due atti su libretto di G.C. Menotti) E. Keller, M. Powers, B. Dame, F. Rogier, C. Mastice; Orchestra non specificata, direttore Emanuel Balaban The Telephone (opera in un atto su testo di G.C. Menotti) M. Kotlow, F. Rogier; Orchestra non specificata, direttore Emanuel Balaban ADD 77:51 B NAXOS 8.111370 HHHHH . MENOTTI Amahl and the Night Visitors (opera in un atto su testo di G.C. Menotti) C. Allen, R. Kuhlmann, A. McKinley, D. Aiken, L. Lishner, F. Monachino; Orchestra e coro non specificati, direttore Thomas Schippers Sebastian, Suite dal balletto Robin Hood Dell Orchestra di Philadelphia, direttore Dimitri Mitropoulos ADD 63:06 B NAXOS 8.111364 HHHH . Continua la Menottiade della Naxos, omaggio postumo al Duca di Spoleto, che proprio in questi giorni avrebbe compiuto cento anni. Si rigenerano cosı̀ in CD gli introvabili (allora eccellenti) vinili che nell’immediato dopoguerra avevano documentato uno dei più brillanti fenomeni di successo nel teatro musicale. Se il fenomeno accusa adesso gli anni, la qualità di quelle registrazioni storiche (specie quella della Columbia) è ancora pregevole e rispecchia la calibrata regia musicale di Menotti nella sua drammaturgia d’esordio. Le incisioni del più fortunato dittico menottiano (La Medium e Il telefono) confermano equilibri pressoché perfetti. E non si tratta di facili operine, di proporzioni e organico ridotti, anche se oggi vengono spesso riproposte come « integratori » operistici per « fare serata ». Aveva ragione Schippers nel dire che ogni direttore avrebbe dovuto considerare un’opera come The Medium un impegno insidioso. La registrazione diretta a New York nel ’47 da Emanuel Balaban serve su un piatto di agrodolci trasparenze i fantasmi di Madame Flora (Baba) e le dinamiche drammatiche dell’opera, non meno delle lievi mordenze di quella cameristica tempesta in un bicchiere d’acqua che è l’esile Telephone In entrambe le opere guizzano spiritelli vocali oggi dimenticati: la Monica adolescenziale di Evelyn Keller, la Lucy di Marilyn Catlow che cinque anni pria, non ancora diciannovenne, aveva debuttato come Regina della Notte. Ma il pezzo da novanta è la protagonista storica della Medium (e della madre nel Console): quella Marie Powers, che a Menotti avrebbe dato tante soddisfazioni e tanti grattacapi per il suo temperamento. Allieva di Giannina Russ, dopo breve avventura italiana, la Powers aveva imboccato la strada dei grandi caratteri. Qui apre con grintosa, allucinata teatralità una galleria di Medium, che avrebbe attratto, a volte con qualche eccesso, grandi personalità (dalla Pederzini alla Resnik) o cantanti forti d’accento se non di risorse vocali. Il finale del primo atto, in cui la disperata preghiera di Baba si sovrappone alla cullante ballata di Monica (« The sun has fallen ») è un momento di grande teatro. La fragilità di Amahl (sempre a rischio come tutte le opere che richiedano bambini-cantanti) trova in Schippers una concertazione perfettamente cesellata, da carillon natalizio, come si addice a questa edificante parabola televisiva in tinta pastorale per la NBC Television Opera Theatre di New York nel 1951. La fiaba devozionale è filtrata abilmente (anche nella musica) da una delicata ironia. Tutti suasivi gli interpreti, dai Re Magi alla bravissima Rosemary Kuhlmann nella parte della madre di Amahl. Ma la sorpresa del CD è in coda con la Suite del balletto Sebastian – oggi meno frequentato ma per oltre un ventennio in repertorio – affidata alla direzione analitica di Mitropoulos. Tutte in evidenza, lucidamente sbalzate, nei sei episodi strumentali, le componenti di una partitura raffinata. Lo spunto viene da Prokofiev per scivolare e distendersi poi in morbidezze wolferrariane, ritessute con finezza e senso figurativo della danza, in linea con l’estetizzante vicenda dello schiavo moro Sebastian (che si sacrifica per salvare l’oggetto del suo amore segreto) e con l’assunto del balletto creato nel ’46, pur tra molti contrasti, per il Marchese de Cuevas. Gianni Gori MESSIAEN CD MESSIAEN Harawi soprano Annika Skoglund pianoforte Carl-Axel Dominique DOMINIQUE RECORDS DM14 M DDD 65:01 HHHHH . Qui Tristano si chiama Piroutcha. E Isotta è una colomba verde. « Qui » è il folklore peruviano, in cui Olivier Messiaen si immerse nel 1945 per dar vita al ciclo di dodici canti per soprano e pianoforte Harawi, prima parte di un trittico sul mito di Tristano e Isotta (le altre due saranno la sinfonia Turangalıˆla e i Cinq rechants per dodici cantanti a cappella). Ma, nonostante la fuga dei due amanti, sotto falso nome, nelle Ande, tutto, vocalmente e armonicamente, rimane occidentale, francese in particolare. E romantico: che si tratti di melodie accompagnate, non lo si dimentica mai, nonostante i complicati canoni ritmici retrogradi, le sovrapposizioni di figure irregolari divenute regola, gli accordi solidificati in cluster rocciosi (n. 3, Montagnes). E neppure è raro che la voce, circondata dagli immancabili cinguettii sopracuti del pianoforte, intoni languidi intervalli da chanson... Harawi è un lavoro multiforme, insomma, che, come tutta l’opera di Messiaen, riflette, senza preoccuparsi minimamente di nasconderle, le contraddizioni della Weltanschauung del suo autore: misticismo e sensualità, cristianesimo e culto pagano della natura, trascendenza dell’anima e carnalità del corpo. Con le difficili conseguenze, per gli interpreti, che si immaginano. Per passare da suoni fissi a grida selvagge, da vocalizzi morbidi a ecolalie sillabiche rituali, il soprano Annika Skoglund sfodera un trasformismo vocale alla Cathy Berberian, frutto di un’estensione ampia e una duttilità timbrica naturali, certamente, ma, soprattutto, è facile dedurlo leggendo la biografia, di una formazione divisa tra opera, jazz e canto popolare. Quanto a CarlAxel Dominique (che aveva già inciso il ciclo nel ’78 con Dorothy Dorow), il musicista svedese si guarda bene da spettacolarizzare troppo il pianismo di Messiaen (tentazione fortissima): preferisce rimanere sospeso tra il romanticismo da « chants d’amour et de mort » (come recita il sottotitolo) e qualche contemporaneo taglio nella te- 72 la, non troppo profondo. Da vero allievo che fu di Messiaen. Massimo Pastorelli DVD Video MOZART Die Zauberflöte (opera in due atti su libretto di Schikaneder) P. Beczala, D. Röschmann, D. Roth, M. Salminen, D. Rancatore, W. Schöne, G. Le Roi; Orchestre et Choeur de l’Opéra National de Paris, direttore Ivan Fischer regia Benno Besson scene e costumi Jean-Marc Stehle regia televisiva François Roussillon ARTHAUS 107 233 A 158:00 HHHHH . Nel 2001, data alla quale l’Opéra parigino allestı̀ questo Flauto magico, Benno Besson aveva settantanove anni e non so se avesse mai provato a cimentarsi nel teatro musicale; ma se questo fu l’esordio va subito detto che mai esordio avrebbe potuto essere più esaltante. Opportuna allora l’iniziativa di proporre nel DVD lo spettacolo: è un ha provato almeno per qualche istante la sensazione dell’abbiocco in presenza del pur inopinabile capolavoro; le quasi tre ore del testamento operistico di Mozart scorrono qui invece con l’inattesa felicità di condividerne i due poli, il candore favolistico e la grave materia massonica, alla quale ultima Mozart dedicò il segno della sua insorpassabile scienza contrappuntistica ma qua e là anche qualche pesantezza. Besson sembra limitarsi a illustrare con una sorta di gioiosa ingenuità i fatti ma trova l’equilibrio giusto; e tale è la sfrenata fantasia dei fulminei mutamenti di scena, a modo di scatole cinesi, e l’apoteosi del colore, da sorprendere il colto e l’ignaro. Talvolta è possibile si rasenti l’ovvio, vedi le prove iniziatiche della coppia amorosa alle prese col fuoco e l’acqua; ma assai più spesso si resta ammirati: le tre colombe che si depositano, per un arcano gesto da prestigiatore, nella gabbia di Papageno; la sfilata di fiere ammansite ed elegantissime, tigre e pavone in testa a tutte, al suono del flauto di Tamino; il primo ingresso della Regina della Notte appollaiata delle ambivalenze mozartiane, magari con qualche concessione in più alla sfera del solenne, senza però che ne discapitino accensione lirica e senso del comico. E l’apice sconvolgente della « Ach, ich fühl’s » di Pamina non viene tradito: in pari misura se ne contendono il merito la casta dolenza di Dorothea Röschmann e un’orchestra di vigile tensione. Tutte le voci, del resto, evitano di cadere nella ormai insopportabile pratica del cosiddetto « mozartese », con cui un tempo si ammanniva a forza di moine e fini dicitori l’opera del geniale ragazzo austriaco: la Röschmann è una Pamina di intensa presenza espressiva, l’ancora pastoso Matti Salminen fa il suo bravo Sarastro senza mancare la prova delle note gravi, ed è ormai uno dei rarissimi a poterselo permettere; Detlef Roth esibisce un simpatico, giovanile Papageno. Dal loro canto Désirée Rancatore e Piotr Beczala, Regina della Notte e Tamino, fanno apprezzare, l’una i propri giochi di funambolismo e l’altro il limpido timbro che gli consente l’esecuzione di una insinuante aria del ritratto. CompletaIvan Fischer & & bellissimo Flauto, baciato dalla concomitanza di un livello musicale non meno che degno, e vale a ricordo di uno dei più importanti uomini di teatro che abbiano calcato le scene europee. Coloro ai quali procura un inguaribile mal di pancia far i conti con regie operistiche rispettose di tempi, luoghi e costumi e sdottoreggiano di reato di vecchiezza, se ne tengano alla larga: è un Egitto tutto di scene dipinte alla moda d’un tempo e di trucchi visivi, questo di Besson; ma l’intelligenza del fatto teatrale vi domina incontrastata. Alzi la mano chi non musica 227, giugno 2011 sul suo lunghissimo manto azzurro, l’apparire dello Sprecher dal sottosuolo a far lezione di illuminismo a Tamino. Vien voglia di credere che giusta fosse la primitiva idea di autore e librettista di capovolgere i termini della contesa tra Ragione e Oscurantismo e di relegare Sarastro e la sua corte al loro vero ruolo di imbonitori di precetti ipocriti. La realizzazione esecutiva dell’Opéra è all’altezza del disegno della regia. Ivan Fischer non pare bacchetta da magiche illuminazioni, eppure autorevole è la manovra del fraseggio orchestrale e adeguato il risalto no con giustezza il team di palcoscenico l’ottimo Sprecher di Wolfgang Schöne, la graziosa Papagena di Gaële Le Roi, il terzetto femminile Perrin-Schneidermann-Perraguin quali dame della Regina, i sempre insostituibili ragazzini del Tölzer Knabenchor viennese. Besson era stato servito con riguardo, insomma; e oggi che l’illustre regista non c’è più, morto cinque anni dopo questo suo Flauto, possiamo rivolgere grato pensiero al Palais Garnier per avercene fatto godere uno degli ultimi sortilegi. Aldo Nicastro MOZART CD MOZART Requiem K 626; Ave Verum Corpus K 618 soprano Marinella Pennicchi mezzosoprano Gloria Banditelli tenore Mirko Guadagnini basso Sergio Foresti Coro Canticum Novum di Solomeo, Accademia Hermans, direttore Fabio Ciofini DISCANTICA 236 A DDD 50:47 HHHH . Il Requiem mozartiano non ha certo bisogno di presentazioni, essendo un’opera che più di ogni altra è assurta a una dimensione mitica, sia per le circostanze della sua creazione che per le vicende legate al suo completamento, affidato a tre diversi allievi del maestro, tra i quali Franz Xaver Süssmayr, forse il più dotato e il più rispondente al dettato mozartiano. Dato anche il fascino esercitato dal suo essere un opus ultimum, la sua discografia ha raggiunto proporzioni gigantesche, come del resto la stessa bibliografia. Qui ci troviamo di fronte a un approccio intenso, ricco di ombreggiature e di efficaci sottolineature espressive (culminanti nel piagato Lacrimosa), approccio dovuto a una direzione di Fabio Ciofini costantemente tesa tra cupa drammaticità e assorta introspezione. Qualche squilibrio emerge nei rapporti tra masse corali (particolarmente dense e compatte) e organico strumentale (più esiguo), con il particolare risalto conferito alle trombe e ai tromboni. Il forte riverbero della chiesa di San Bartolomeo di Solomeo (PG) rende a tratti poco differenziato il fronte timbrico (i tenori e i contralti non sempre emergono con la dovuta chiarezza ed incisività). Tra i solisti emergono il mezzosoprano Gloria Banditelli e il tenore Mirko Guadagnini, dotati di bella voce e di sensibilità apprezzabile, mentre il soprano Marinella Pennicchi risulta carente di naturalezza. Molto disciplinato il coro Canticum Novum di Solomeo, efficace nei momenti più concitati e drammatici (notevole, ad esempio, il Confutatis) e nei brani contrappuntistici, resi con rigore e con la dovuta energia (come nel Kyrie). Un’interpretazione di tutto rispetto, insomma, arricchita da un fascicolo contenente note (firmate da Silvia Paparelli) assai puntuali, vivaci e ottimamente documentate. Claudio Bolzan CD MOZART Integrale dei Concerti per pianoforte e orchestra clavicembalo e fortepiano Viviana Sofronitzki, Linda Nicholson, Mario Aschauer Musicae Antiquae Collegium Varsoviense, direttore Tadeusz Karolak ET’CETERA KTC1424 (11 CD) B DDD 701:19 H H H /H HHHH . Arriva dalla casa discografica Etcetera la prima registrazione completa dei Concerti per pianoforte e orchestra di Mozart su strumenti originali. Le ormai « antiche » registrazioni di Malcom Bilson con John Eliot Gardiner e di Robert Levin con Christopher Hogwood o quella più recente di Jos van Immerseel per la Channel non comprendono i primi quattro Concerti K 37, 39, 40 e 41, scritti a Salisburgo da un Mozart undicenne, tra l’aprile e il luglio 1767 – in realtà trascrizioni di tempi di sonata di autori quali Leontzi Honauer, Hermann Friedrich Raupach, Johann Gottfried Eckhart e Johan Schobert – e i tre adattamenti del 1772 per clavicembalo, due violini e basso continuo di altrettante sonate di Johann Christian Bach. Ben venga allora quest’edizione completissima, affidata a Viviana Sofronitsky, figlia dell’illustre pianista russo, e all’orchestra Musica Antiqua Collegium Varsoviense, diretta da Tadeusz Karolak. Lo strumento utilizzato è una copia di un fortepiano Anton Walter, alternato al clavicembalo nei lavori giovanili. Il pregio di questa incisione, al di là dei meriti di completezza e di carattere filologico – rispetto assoluto delle indicazioni in partitura, uso attento degli abbellimenti, appropriatezza delle cadenze (nel booklet se ne tace la paternità) – è quello di proporre delle esecuzioni estremamente vitali e sbarazzine, fresche nei fraseggi e per nulla intimorite nei grandi capolavori dell’età matura, dove i paragoni potrebbero essere schiaccianti. L’orchestra polacca è molto reattiva e soprattutto nei Concerti in tonalità minore si fa corrusca e spigolosa nelle sonorità, mettendo in luce certi caratteri stürmisch, che contraddistinguono molti tratti di queste composizioni: l’introduzione del primo tempo Allegro del celebre K 466 in Re minore e la terza sezione in minore dell’Andante sprigionano un vigore e una forza teatrale contagiosa – davvero favolosi gli interventi dei fiati – precipitosa e cupa. Peccato poi – e questo è il più vistoso limite della proposta – che a tanta forza non segua un adeguato vigore strumentale alla tastiera, dovuto alle sonorità troppo contenute e ovattate del fortepiano, che no- MOZART nostante il fraseggio mosso della pianista, mostra tutti i suoi limiti, al punto da risultare spesso soffocato dall’orchestra. Conseguentemente Concerti come il K 491 e il K 537 perdono molto della loro dimensione sinfonica e del dialogo serrato tra la tastiera e l’orchestra, facendo rimpiangere la presenza del moderno gran coda, mentre migliore è il risultato nei tempi lenti, resi espressivi grazie anche al suono particolarmente dolce dello strumento. Più compiuti risultano i tre Concerti K 413, 414 e 415, più contenuti nelle dimensioni, cosı̀ come i lavori giovanili, brillanti ed estroversi, resi con grande abilità digitale e sensibile intesa con il direttore. Ottime riuscite sono anche i Concerti per due e tre pianoforti K 242 e K 365, dove a Viviana Sofronitsky si affiancano Linda Nicholson e Mario Aschauer. Complessivamente una riuscita di piacevole ascolto, ottimamente registrata, che tuttavia non scalza le pioneristiche registrazioni su strumenti originali di Bilson e Levin. Stefano Pagliantini CD MOZART Sonata in DO K 330; Rondo in la K 511; Rondo in RE K 485; Adagio in si K 540; Sonata in do K 457 fortepiano Kristian Bezuidenhout HARMONIA MUNDI HMU 907498 A DDD 70:42 HHHHH . Un Mozart iridescente e frizzante. Imprevedibile e drammatico. Questo secondo volume della musica per tastiera del genio di Salisburgo con il fortepianista Kristian Bezuidenhout esplora gli estremi opposti dell’ispirazione mozartiana. Sudafricano di nascita, studi in Australia e negli USA, il trentaduenne Bezuidenhout oggi vive a Londra e collabora con gli ensemble più accreditati per il repertorio barocco e classico su strumenti originali; per questa registrazione ha utilizzato un’ottima copia moderna di un Anton Walter & Sohn, datato circa 1802. Evitando gli eccessi virtuosistici, Bezuidenhout mostra di aver compreso come molta della musica per tastiera di Mozart conservi quella bizzarria e quella verve ritmica che sono un’eredità del Barocco. Avviene nella Sonata in Do maggiore K 330, una sonata « facile » che il fortepianista Bart Van Oort risolveva, 74 nell’integrale di qualche anno fa per la Brilliant (cfr. numero 180 di MUSICA), con una compostezza molto didattica e che qui rivela, invece, tutta la sua brillante solarità. Il primo movimento scivola via rapido e leggero, senza forzature e senza indugi ma anche con molto humour, mentre il finale appare molto divertente nel suo ritmo finto pomposo. L’Andante cantabile è una di quelle pagine che iniziano in modo innocente per poi rivelare una profondità inattesa. La sua malinconia è colta bene da Bezuidenhout, che indugia sui dettagli, introduce molti abbellimenti, si lascia sprofondare in zone di sofferto intimismo, mentre Bart Van Oort tende a procere più a scatti ed accelerazioni. Questa inclinazione a ritirarsi nell’intimità è evidente anche nell’Adagio in Si minore K 540, anche una la lettura come quella di Paul Badura-Skoda (cfr. n. 139 di MUSICA) risulta più efficace sul piano della resa drammatica. Emozionante è il Rondo in La minore, con il suo fraseggio precario e irregolare, a rendere l’umor nero di una pagina che appare pericolosamente sospesa sull’abisso (mentre l’Adagio in Si minore nell’abisso è ormai precipitato). La stessa tensione espressiva caratterizza la Sonata in Do minore K 457. Ancora una volta è illuminante il conKristian Bezuidenhout fronto con Bart van Oort, che imposta la sua lettura sulla tensione del movimento, staccando tempi esasperati. Bezuidenhout, invece, punta sui contrasti, nel movimento d’apertura come nel movimento conclusivo, dove la contrapposizione tra le prime sedice battute in piano e le successive in forte viene resa con un’incredibile forza drammatica. E l’Adagio, umorale e inquieto, è un capolavoro di introspezione psicologica. Luca Segalla SACD MOZART Divertimento K 563 per trio d’archi Trio Zimmermann SCHUBERT Trio D471 per archi Trio Zimmermann BIS 1817 A DDD 59:25 HHHHH . Il Trio-Divertimento K 563 di Mozart è un lavoro che sembra fatto apposta per far risaltare la bravura degli strumentisti che sono chiamati a eseguirlo. Composto nel settembre del 1788 per l’amico e sovvenzionatore massone Puchberg (non è un caso che sia in Mi bemolle maggiore, quindi!), subito a & ruota delle ultime tre sinfonie, è un lavoro imponente che va ben al di là delle prerogative della forma settecentesca del divertimento. Si tratta di un vero e proprio Trio per archi, nella sua accezione più compiuta, ampliato a sei movimenti. Il Trio Zimmermann, formato da tre solisti del calibro di Frank Peter Zimmermann, Antoine Tamestit e Christian Poltéra, ha un impatto sul lavoro chiaramente sinfonico. Il primo movimento, Allegro, ci permette di godere della robusta forma-sonata in cui è strutturato direttamente dall’interno, tanto le linee si alternano con precisione (mai meccanica) ed eufonia in un dialogo avvincente. Il canto puro e pudico del violino si esprime, poi, nel successivo Adagio in La bemolle maggiore. Qui l’equilibrio dei pesi sonori è pressoché perfetto. Dopo un primo innocente Minuetto di vago sapore agreste è l’Andante in forma di variazione a mettere in evidenzia al meglio la musicalità dei tre solisti. Qui Zimmermann, Tamestit e Poltéra inanellano perle mozartiane di rara bellezza. La timbrica è assolutamente affascinante (gli strumenti utilizzati sono due Stradivari e un Guarneri) e il Divertimento dopo un’ulteriore Minuetto si avvia alla conclusione leggero, amabile, in un clima di raffinatezza apollinea. Per chi non conosce quest’opera la registrazione Bis, tra l’altro di ottimo suono, è senz’altro raccomandabile, anche perché il successivo Trio in Si bemolle maggiore D471 di Schubert non è solo una semplice chicca scelta per riempire il CD. Massimo Viazzo CD OBRECHT Missa de Sancto Donatiano Cappella Pratensis, direttore Stratton Bull FINELINE CLASSICAL FL 72414 M DDD 63:13 + DVD 118:00 HHHHH & musica 227, giugno 2011 . Quando impegno scientifico e talento musicale collaborano onestamente, il risultato è da non perdere. Basta poco a dar conto di una produzione come questa, dedicata a un capolavoro della polifonia che pare l’opera meglio documentata nella storia musicale di ogni tempo: la Missa de Sancto Donatiano (1487) del vagabondo maestro fiammingo Jacob Obrecht, venuto a morire di peste nel 1505 in quel- l’Italia dove sperava di raccogliere la successione di Josquin. Dagli scavi archivistici di Reinhard Strohm e Rob Wegman sappiamo tutto sulla personalità dei facoltosi coniugi committenti e le loro strategie comunicative (in una combinazione di mecenatismo artistico a 360 gradi, pietà cristiana e opere di assistenza sociale), sull’ambiente di Bruges in cui la Messa nacque e fu eseguita per la prima volta, sulle fonti del materiale musicale; insomma una « Messa minuto per minuto », volendoci avvalere di una metafora forse poco riguardosa. Entrare nel dettaglio sarebbe irrispettoso per gli specialisti e superfluo per gli altri, visto che troveranno il tutto organicamente esposto nel corredo cartaceo del CD ma soprattutto nel DVD annesso, dove l’esecuzione si avvale di un’illusionistica sceneggiatura tipo macchina del tempo: cantori in cotta davanti al gran leggio corale, graziosa vedovella orante, celebrazione liturgica in tempo reale con le giuste intonazioni gregoriane del proprium debitamente nasalizzate all’uso gallicano. E poi, terzo strato della sontuosa torta, un lungo bonus filmato di sopraluoghi, retroscena delle prove, piacevoli dialoghi didattici fra la musicologa statunitense Jennifer Bloxam e il falsettista Stratton Bull, direttore del complesso Cappella Pratensis. Quest’ultimo, a due voci maschili per parte, dipana senza rampanti estremismi la fabbrica politestuale e pluringuistica intessuta da Obrecht sui tenores scelti in omaggio al defunto da suffragare, con suono fuso e carezzevole benché rispettoso delle individualità timbriche. E per gli interessati (studenti, studiosi o semplici musicofili in vena di approfondimenti) è perfino disponibile un sito web dedicato: www.ObrechtMass.com. Schiaffo morale a quei maestri di cappella moderni pronti a spacciare le proprie arbitrarie « intuizioni » per frutto di severe ricerche musicologiche che mai non fecero, e che il servo encomio di certa critica accredita loro sulla parola. Carlo Vitali CD WILLEM VAN OTTERLOO Musiche di Smetana, Franck, Beethoven, Schubert, Brahms, Bruckner, Wagner, Saint-Saëns, Rachmaninov, Berlioz, Weber, Meyerbeer, Grieg, Prokofiev organo Feike Asma pianoforte Cor de Groot violino Theo Olof violino Herman Krebbers Hague Philharmonic, Royal Concertgebouw Orchestra, Wiener Symphoniker, Berliner Philharmoniker, direttore Willem van Otterloo CHALLENGE CLASSICS CC 72383 (7 CD) B ADD 507:35 HHHHH . Il nome di Willem van Otterloo è noto ai discofili di una certa età che non avranno dimenticato le sue tante incisioni in vinile per la Philips, anche se il direttore olandese non è mai diventato una celebrità fuori dai patrii confini e dall’Australia, dove ricoprı̀ incarichi stabili a Melbourne e a Sydney e dove nel 1978 morı̀ in un incidente d’auto all’età di settantuno anni. Dopo le prime affermazioni come violoncellista e compositore la sua carriera si legò nel dopoguerra alle maggiori orchestre olandesi compresa quella del Concertgebouw ma soprattutto alla Residentie Orkest o Filarmonica dell’Aja con un incarico stabile durato dal 1948 al 1973. Né mancarono assidue collaborazioni con alcuni grandi complessi sinfonici di altri paesi come l’Orchestra dei Concerti Lamoureux di Parigi, i Berliner e i Wiener Philharmoniker. Fino a non molti anni fa il ricordo della notevole statura interpretativa di van Otterloo era custodito soprattutto dagli irriducibili cultori del vinile, a parte qualche isolata ristampa Philips, Decca, DG e Doremi Records. Oggi invece poggia essenzialmente sul massiccio impegno di Challenge Classics che ha già pubblicato un singolo dedicato al van Otterloo compositore e un cofanetto di tredici CD con registrazioni effettuate fra il 1950 e il 1960 insieme alla Residentie Orkest. Questo nuovo album completa la documentazione includendo incisioni realizzate fra il ‘51 e il ‘66 anche con altre orchestre, il Concertgebouw, i Wiener Symphoniker e i Berliner Philharmoniker. Registrazioni bellissime fra le quali si segnalano alcuni dei maggiori esiti discografici del direttore, la Quinta e la Sesta di Beethoven la Settima di Bruckner, la Sinfonia, Les Eolides e Psyché di Franck, la Terza di Saint-Saëns, il Siegfried Idyll di Wagner. Per riferirsi ad altri illustri direttori olandesi lo stile di van Otterloo appare vicino a quello classico e controllato di van Beinum e di Haitink piuttosto che alle geniali intemperanze di Mengelberg. Due i settori privilegiati del suo repertorio, il sinfonismo austro-tedesco da Beethoven a Mahler e la musica francese fra Ottocento e primo Novecento. Le sinfonie di Beethoven registrate a PROKOFIEV Vienna nel 1958 (la Quinta costituı̀ la prima incisione stereo del direttore) e nel 1953 (la Sesta) evidenziano il senso della tradizione nella concezione del suono e allo stesso tempo la modernità dello stile del direttore nell’agile mobilità dei tempi, nella cura dei dettagli come nel lirismo dei cantabili. Letture allo stesso tempo robuste ed eleganti che posso ricordare il rigore e la misura di Walter più che la fantasiosa libertà degli interpreti di scuola romantica. Pregevoli sono anche le due Romanze registrate nel 1951 e nel 1952 con due magnifici strumentisti olandesi Theo Olof, all’epoca primo violino della Residentie Orkest e collaboratore privilegiato di Maderna, e Herman Krebbers. Il Terzo Concerto per pianoforte proviene dall’integrale realizzata con il pianista olandese Cor de Groot (1914-1993) interprete notevolissimo che all’età di quarantacinque anni, all’apice della carriera, per una paralisi alla mano destra dovette limitare il suo repertorio alle opere per la sinistra. Il suo Beethoven limpido e asciutto diverge radicalmente dal taglio accentuatamente romantico di molti dei suoi colleghi dell’epoca e stabilisce un accordo perfetto con la visione di van Otterloo. Cor de Groot è anche interprete autorevole dei primi due Concerti di Rachmaninov registrati con la Filarmonica dell’Aja nel 1954 e nel 1952. Il pianista sfoggia una grande tecnica e una fantasiosa elasticità di fraseggio ma all’interno di una visione priva di eccessi, imbrigliata da van Otterloo in una cornice orchestrale che non manca di evidenziare con bravura il fasto della strumentazione. Di Bruckner van Otterloo incise l’Ouverture in Sol minore, la Quarta e la Settima Sinfonia adottando in entrambe le edizioni di Robert Haas. La Sinfonia in Mi maggiore incisa con i Wiener Symphoniker nel 1954 illustra le credenziali dell’interprete bruckneriano di razza nell’enfasi e nella tenerezza che contrassegnano l’enunciazione dei temi come nella chiarezza assegnata agli intricati sviluppi polifonici. Una esecuzione dai tempi scorrevoli ma accurata e intensamente lirica, lontana dalla sacralità monumentale degli interpreti di scuola tedesca e animata da una concezione decisamente moderna. In particolare l’Adagio, privo del famoso unico colpo di piatti aggiunto da Schalk, sfoggia un legato e una gradazione dei piani dinamici assolutamente esemplari. Fra le incisioni di van Otterloo raccolte in questo cofanetto spiccano le tre pagine di Franck registrate ad Amsterdam nel 76 1954 (Psyché) e in stereo nel 1964 (Les Eolides e la Sinfonia). Di fronte al composito amalgama di influenze diverse riscontrabili nel Franck sinfonico il direttore sembra curiosamente privilegiare il versante francese rispetto a quello tedesco, risultando insomma più vicino a Monteux che a Furtwängler. Lo si avverte nella trasparenza e vaporosità del suono orchestrale, nel nitore dei particolari, nella inflessibile logica dei tempi come nella sinuosa eleganza di un fraseggio che evita di accentuare il turgore espressivo caro ad altri illustri interpreti. Tre esecuzioni magnifiche collocabili fra i vertici storici nella discografia del musicista belga. Nella stessa prospettiva è ricreata con spolvero virtuosistico e mobilissima varietà di fraseggi la Terza di Saint-Saëns incisa nel 1954 con la Filarmonica dell’Aja e l’organista Feike Asma, una registrazione mono fra le migliori dell’epoca. Originariamente abbinata alla Sinfonia fantastica di Berlioz l’incisione dell’Idillio di Sigfrido di Wagner realizzata a Berlino nel giugno del 1951 è un gioiello di incantevole semplicità musica 227, giugno 2011 espressiva e raffinatezza di colori. Il direttore ne propone la versione per orchestra ma trattandola con una delicatezza e una lucidità di analisi che sembrano conservare la preziosa filigrana della stesura originale. Nell’ultimo CD, accanto a varie piccole pagine che illustrano la brillantezza tecnica e l’eleganza del direttore olandese, spicca infine la Seconda Sinfonia di Weber incisa ad Amsterdam nel 1956, all’epoca un’autentica rarità dagli scarsissimi riferimenti discografici, della quale van Otterloo fa ammirare una lettura di deliziosa freschezza, ben suonata nello spicco concertante di flauto, oboe, corno e fagotto dalle prime parti della Filarmonica dell’Aja. Lo stampaggio originale la abbinava alla Sinfonia di Cherubini diretta da Carlo Zecchi. Tutte le registrazioni già all’origine di ottima qualità tecnica sono state riversate con grande cura e la pubblicazione è corredata da un serio opuscolo illustrativo di Otto Ketting contenente molte utili informazioni sul direttore e sulla sua discografia. Giuseppe Rossi CD PROKOFIEV Concerto per violino n. 1 op. 19; Concerto per violino n. 2 op. 63 violino Pavel Berman Orchestra della Radio Svizzera Italiana, direttore Andrey Boreyko Sonata per due violini in Do op. 56 violini Pavel Berman, Anna Tifu DYNAMIC CDS 676 A DDD 62:22 HHHHH . Si può dire qualcosa di nuovo con due classici del Novecento, iper-conosciuti e iper-eseguiti, come i Concerti violinistici di Prokofiev? Si può, se ci sono le condizioni. Come in questo CD, illuminato, pure, nel completare i sessanta e passa minuti con la trascurata Sonata per due violini soli: quella che non piaceva a David Oistrakh, il Virgilio delle Sonate prokofiane (le due col pianoforte). Per dire cose nuove ci vuole un violinista quale Pavel Berman, medaglia d’oro al Concorso di Indianapolis, che è anche un « vero » direttore d’orchestra. Musicista che ha dunque della partitura una visione non limitata alla parte solistica ma « totale ». Il Berman che, tra l’altro, si sta leggendo, in russo, le novecento e passa pagine di Memorie di Prokofiev dopo avere registrato, sempre per la Dynamic, pochi mesi fa, la coppia di Sonate e le Cinque melodie prokofiane (pianista Vardan Marmikonian). Ci vuole – ancora – un’orchestra di assoluta eccellenza, camaleontica nel cambiar pelle a seconda dei direttori ospiti, chiarissima come quella della Radio Svizzera Italiana; complesso certo stimato ma che meriterebbe ben altra considerazione nel panorama delle compagini internazionali. Ci vuole anche e naturalmente una bacchetta comme il faut. Qui il simpatico e giovane quanto navigato Andrey Boreyko che con strumentisti e solista stabilisce il rapporto cameristico-concertante di un concerto mozartiano; che è poi quello della musica da camera. Ed ecco la novità di queste letture, chiare, fluide, naturali. Mozartiane, appunto. Dove il solista si fa da parte se la scrittura sinfonica lo richiede; dove Boreyko è misurato ed equilibrato come Berman – stessa lunghezza d’onda –; dove l’OSI è un prodigio di nitore ed evidenza; dove tutto fluisce come in quei lirici meccanismi di precisione che so- RACHMANINOV no appunto i lavori violinisti prokofiani. Con, in più, l’ex enfant prodige Anna Tifu che, nella sonata a due, dimostra di avere mantenuto le promesse e scioglie, in perfetta intesa, col partner, la linea neoclassica del lavoro con bell’eloquio e bellissima misura. Alberto Cantù DVD Video PUCCINI Tosca (opera in tre atti su libretto di L. Illica e G. Giacosa) E. Magee, J. Kaufmann, T. Hampson; Coro e Orchestra dell’Opernhaus di Zurigo, direttore Paolo Carignani regia Robert Carsen scene e costumi Anthony Ward DECCA 074 3420 A 125:00 H H H /H HHHH . Non tutti i registi d’opera cui è demandato di rinnovare la pratica degli spettacoli odierni sono riusciti a imparare che in quel riottoso apparato del teatro musicale fa capolino un’incognita maligna, predisposta non tanto dagli uomini quanto dalle convenzioni stesse dell’opera. Mettiamo il caso di questa Tosca, proveniente da una ribalta autorevole quale è oggi l’Opernhaus di Zurigo: Robert Carsen, uomo di teatro cui non mancano intelligenza e senso della scena, immagina Tosca ambientata più o meno ai giorni nostri, e fin qui niente di male; la vicenda si presta e la stessa ricostruzione dei luoghi deputati avviene con sobria verosimiglianza: una chiesa, l’interno di un importante palazzo romano, un terrapieno che funge da fortezza per la finale fucilazione. Ma lo scherzo glielo gioca quella benedetta convenzione, perché la convenzione vuole che i cantanti, specie nei momenti topici dell’azione, cantino rivolti alla bacchetta e al pubblico e non mai in posizione sbilenca o di spalle. Il Nostro escogita invece nel primo atto un luogo di preghiera con le sedie rivolte non verso il fondo ma in linea orizzontale, quasi l’altare si trovasse sul limitare estremo destro della scena; di modo che, nell’atto del finale Te Deum coristi e baritono sono costretti a esporre le loro ragioni canore di sghembo, voltandosi verso la platea. È mai possibile incappare in una gaffe teatrale del genere? È possibile, secondo Carsen; ed è un peccato, visto che il resto della vicenda si dipana con bastevole credibilità e crea un clima di fosca foia che rende adeguatamente la cupa vicenda di sesso e sangue. E per una volta diamo un senso, tra l’altro, alla lussuria del tristo barone e della incolpevole diva: Tosca resta in sottoveste e si prepara all’immolazione, Scarpia si toglie giacca e cravatta e si butta sulla sua vittima, la quale, guarda caso, s’è sdraiata sulla grande tela che ritrae l’Attavanti, tela che Scarpia, chissà perché, s’è portata a Palazzo Farnese. La vicenda musicale soffre di analoghi strappi, stavolta non tanto alla convenzione quanto alla norma esecutiva; per una Tosca provvista, fra tenore, baritono e regista, di cosı̀ tanti titoli di glamour, Paolo Carignani offre una lettura per molti versi pregevole, attenta soprattutto a far risaltare con cura analitica gli innumerevoli, piccoli episodi strumentali che fanno la gloria di Puccini, e però manca forse quel tratto di isteria sonora necessario a dar risalto alle convulse violenze libertine della musica. E manca una cantabilità franca, sontuosa, atta a dipingere la Roma papalina che il compositore aveva in mente. In tal senso si poteva esigere di più, per dire, dall’esplosivo finale primo (ma lı̀ c’entra in buona misura anche Hampson), che trascorre invece privo della sua carica di tragica opulenza. Pur è dato riconoscere al direttore italiano almeno un grande momento, la splendida apertura orchestrale del terzo atto: un’alba quirite di notevole fascino sonoro, che è la perla dell’intera esecuzione. Ma dicevo del glamour, che è garantito specialmente dalla presenza di Jonas Kaufmann come Cavaradossi; il giovane tenore tedesco conferma quanto di buono s’era sentito di lui: il colore è brunito, quasi baritonale, ma gli acuti squillanti il giusto; e la mezza voce, di cui egli forse un poco abusa, ottiene al suo « E lucevan le stelle » effetti di malia oggi impensabili con altri protagonisti. Emily Magee è una bella signora alquanto ubertosa e fa la sua Tosca con grande professionalità, difettando magari nel registro grave; la voce non è voluminosa ma regge bene i passi aspri dell’opera, Do della « lama » compreso. Quel che le manca sono la vera sensualità del timbro e l’abbandono nervoso che fanno le grandi Tosche. Thomas Hampson, infine, è quel meraviglioso liederista che tutti ammiriamo, ma la sua confidenza con il melodramma è troppo scarsa perché si possa parlare di un congruo Scarpia. Dovessi confessarlo sotto tortura, egli mi sembra allora il vero punto oscuro della Tosca zurighese: la voce e il fraseggio non reggono alla tensione declamatoria della parte e il Te Deum letteralmente lo sovrasta. Buoni momenti, sı̀, specie quando la foga mortifera cede il passo alle insinuazioni e ai sussurri, ma niente che consenta di farne il polo dialettico che la drammaturgia pucciniana esige. Il glamour, alla fine, è insomma parziale; ma con quello che si ascolta in giro, è inutile fare i preziosi: questa Tosca non si iscriverà nel libro mastro dell’eccellenza eppure si ascolta e si vede senza grandi emozioni ma con gusto. Aldo Nicastro SACD RACHMANINOV Variazioni su tema di Corelli op. 42 BACH-BUSONI Ciaccona RAVEL Valses nobles et sentimentales STRAVINSKI Trois mouvements de Pétrouchka pianoforte Freddy Kempf BIS SACD-1810 A DDD 63:45 H H H /H HHHH . Quando uscirono, alcuni anni fa, i primi dischi di Freddy Kempf (Studi di Chopin e di Liszt, Ballate di Chopin) pensai che al giovane Kempf mancava una f per esser preso in seria considerazione, dal momento che la sua già notevole manualità non eguagliava la musicalità e la bellezza di suono del grande Wilhelm Kempff con due f. Molto del suo Chopin e del suo Liszt, peraltro lontano da quello dei grandi virtuosi del passato, era eseguito meccanicamente nei passi brillanti e con una espressività deformata e poco ispirata nel cantabile. Non ho seguito più, poi, lo sviluppo, la carriera e la discografia del pianista inglese. Vedo che ha registrato varie cose, soprattutto autori russi, nei quali presumo un pianista come lui si trovi a suo agio: è musica poco difficile da interpretare, quando si ha la tecnica giusta per superarne le asperità tecniche e realizzarne gli effetti, dato che la ricerca dell’effetto è l’elemento base di questo repertorio. La conferma infatti eccola in questo recente disco, un’antologia un po’ sconclusionata che ha nei due brani russi, di Rachmaninov e di Stravinski il suo punto di forza, anche se in realtà lo spirito fieraiolo di Petrouchka e la tragicità che alligna in questa sagra paesana nella figura del Pierrot russo sfuggono all’interprete, teso a realizzare il celebre trittico come un semplice pezzo di bravura. Un pezzo di bravura non sono le raveliane Valses nobles et sentimentales, ma gli effetti timbrici sono ben realizzati e con ottima sonorità. C’è poi la Ciaccona in Re minore di Bach, nella celebre trascrizione di Busoni. E qui mi chiedo: per suonare la Ciaccona con chi dobbiamo fare i conti, con Bach o con Busoni? Gli interpreti si dividono: o con l’uno o con l’altro, ossia rispettando più l’originale o la libera versione busoniana. Benedetti Michelangeli fece i conti con se stesso, eseguendo una Ciaccona che non è né di Bach né di Busoni, ma di Benedetti Michelangeli. Ecco, Freddy Kempf invece fa i conti con Rachmaninov, dandoci una Ciaccona vista alla russa, e con gli occhiali di Rachmaninov in particolare: la suona infatti non dissimile da quelle Variazioni op. 42 che hanno aperto il disco. Manca la logica discorsiva bachiana, ogni variazione va per la sua strada non curandosi di quella che viene prima e di quella che segue. Una serie di frammenti, una collezione di francobolli. L’effetto naturalmente c’è: non tanto quello dato dalla tecnica digitale, di cui era maestro Michelangeli, ma certo in fatto di potenza sonora e aggressività percussiva. Riccardo Risaliti musica 227, giugno 2011 77 RAVEL CD RAVEL Sonata postuma per violino e pianoforte; Sonata in SOL per violino e pianoforte; Pezzo in forma di Habanera per violino e pianoforte; Berceuse sul nome di Gabriel Fauré per violino e pianoforte; Tzigane per violino e pianoforte violino Francesco D’Orazio pianoforte Giampaolo Nuti RAVEL Sonata per violino e violoncello violino Francesco D’Orazio violoncello Nicola Fiorino DECCA 476 4399 A DDD 67:04 HHHH . . Nel primo dei due compact disc pubblicati dalla divisione italiana della Universal il protagonista assoluto è Francesco D’Orazio, fresco vincitore del Premio Abbiati 2010, unico violinista italiano ad aver conseguito l’ambito riconoscimento dopo Salvatore Accardo (nel 1985). D’Orazio è un violinista che fa della versatilità (e la motivazione del premio della critica italiana sottolinea proprio questo aspetto) la sua arma vincente nei confronti dei repertori più disparati: lo possiamo apprezzare, e sempre ad alti livelli, in una esecuzione filologicamente informata di una sonata di Vivaldi, come pure nella vertiginosa Sequenza di Luciano Berio. In tal senso il solista pugliese incarna al meglio la figura del concertista contemporaneo. La solidità tecnica, la lucidità nel mantenere viva la frase, l’impiego di un suono bello, ma non edonistico – ricordo che D’Orazio suona su un Giuseppe Guarneri del 1711 – rendono l’incisione di quest’omnia raveliana certamente interessante, anche se l’esecuzione, a volte, un po’ sbilanciata proprio verso il violino. Nell’altra proposta firmata Decca ecco la classica accoppiata che abbina i due Quintetti con pianoforte di Schumann e Brahms, e che vede impegnati il pianista Paolo Restani e il Quartetto d’archi della Scala. Esecuzioni quadrate, ineccepibili dal punto di vista formale, non fantasiosissime (ed è Schumann a sof- 78 SACD REICH « Kuniko plays Reich » Electric counterpoint, Six marimbas counterpoint, Vermont counterpoint vibrafono, marimba, percussioni, nastro preregistrato Kuniko Kato LINN CKD 385 A DSD 47:06 HHHHH BRAHMS Quintetto in fa op. 34 per pianoforte e archi pianoforte Paolo Restani Quartetto d’archi della Scala SCHUMANN Quintetto in Mi bemolle op. 44 per pianoforte e archi pianoforte Paolo Restani Quartetto d’archi della Scala DECCA 476 4373 A DDD 72:58 HHH frirne maggiormente) caratterizzate da una timbrica piena, virile, ma poco sfumata. Massimo Viazzo . Esponente di spicco del minimalismo in musica, Steve Reich è presente in questo disco con tre ampie composizioni per organici diversi, arrangiate e presentate dalla percussionista giapponese Kuniko Kato in una nuova veste strumentale (realizzata consultando direttamente lo stesso compositore): Electric counterpoint, articolato in tre movimenti (da eseguire senza soluzione di continuità), è presentato in un’elaborazione per vibrafono, marimba e nastro preregistrato; Six marimbas counterpoint è offerto in una riduzione per la sola marimba musica 227, giugno 2011 e nastro preregistrato, mentre Vermont counterpoint è eseguito nella versione per solo vibrafono e nastro preregistrato. Si tratta di composizioni nelle quali un modulo ritmico-melodico è ripetuto dall’inizio alla fine apportando microvariazioni tese a creare un impercettibile movimento all’interno di un tessuto compatto e, solo apparentemente, uniforme. Nell’affrontare questo arduo itinerario, la percussionista giapponese Kuniko Kato si è dimostrata una strumentista straordinaria, pienamente in grado di dipanare questi vasti e complessi edifici con una lucidità e una organicità tali da dar vita a una trama sonora di singolare fascino, grazie anche alle magie timbriche create con la marimba: è il caso, ad esempio, del Six marimbas counterpoint, reso con una precisione ritmica e con una energia davvero sorprendenti, o, ancora, del Vermont counterpoint, pagina di liquida fluidità affrontata con un controllo assoluto non solo del ritmo, ma anche delle dinamiche. Al disco è allegato un elegante fascicolo comprendente ampie e dettagliate note di presentazione firmate dallo stesso Reich e da Kuniko Kato. Claudio Bolzan SACD RISTORI Divoti affetti alla Passione di Nostro Signore D. Mields, F. Vitzhum; Echo du Danube Esercizi per l’Accompagnamento Echo du Danube ACCENT ACC 24209 A DDD 63:57 HHHH . Dobbiamo ai corpulenti « Annales » (« de la musique et des musiciens en Russie au XVIII siècle, Ginevra 1948-51 ») del musicologo Robert Aloys Mooser la conoscenza del principale merito del compositore bolognese Giovanni Alberto Ristori, figlio del capocomico Tommaso. La sua commedia per musica Calandro (novembre 1731) risulterebbe infatti essere la prima opera rappresentata in terra russa per desiderio della Zarina Anna. Precedendo dunque anche quel Francesco Araja, giunto a Pietroburgo nel 1735, che è considerato l’antesignano del teatro musicale in Russia. In realtà il nostro fu molto più attivo nel non meno blasonato territorio di Dresda, città dalla intensa e qualificata produttività musicale tra barocco e classicismo come attestano i nomi di Zelenka, Heinichen, Hasse e Naumann. E il viaggio a Mosca si era reso necessario proprio per i trionfanti successi in terra tedesca della concorrenza rappresentata dall’emergente Hasse. Numerosi gli incarichi del Ristori tra Dresda e Varsavia, da Kapellmeister del re polacco, organista da camera di Federico Augusto II (1733), compositore di chiesa e vice-kapellmeister (1750), mentre gli si riconosce il merito di aver inserito opere comiche in Sassonia sotto la forma non solo di intermezzi ma anche di commedie in musica. Nel suo catalogo però oltre a melodrammi (il Calandro, unica sua opere registrata discograficamente, Don Chisciotte o Arianna), Oratori, Cantate e musica sacra (quindici messe, tre Requiem e ventidue mottetti). A riportarne in auge il nome è ora l’Echo du Danube (salterio,arpa, liuto, cembalo, organo e viola da gamba) con le voci del soprano Dorothée Mields e del contralto Franz Vitzhumt, che ripropone all’ascolto una serie di devote meditazioni sonore del periodo quaresimale dal poetico titolo di « Divoti affetti alla Passione di Nostro Signore », duetti sacri da camera scritti per essere eseguiti dalla Real ROSSI Cappella di Dresda nella antica Chiesa cattolica di corte « nei giorni di Venerdı̀ e Domenica della Quadragesima » e intercalati, secondo l’uso del tempo, con una serie di Esercizi per l’Accompagnamento (comprendenti una tripartita Sonata in Sol minore) allora destinati allo studio del basso continuo e alla improvvisazione, realizzati per una bella varietà di gamma strumentale dallo stesso Alexander Weimann, cembalo-organista dell’ensemble. Apre e chiude ad esempio il medesimo Esercizio (Andante) in Do minore eseguito rispettivamente prima al cembalo e poi all’organo. La morbidezza vocale delle due voci e la grande varietà dell’organico strumentale appaiono pienamente convincenti e rendano pienamente giustizia al dimenticato compositore bolognese. Lorenzo Tozzi CD ROSSI Cleopatra (melodramma in quattro atti su libretto di M. D’Arienzo) D. Theodossiou, A. Liberatore, P. Pecchioli, S. Catana, W. Corrò, T. Carraro, P. Gardina, G. Medici; Orchestra Filarmonica Marchigiana, Coro Lirico Marchigiano « V. Bellini », direttore David Crescenzi NAXOS 8.660291-92 (2 CD) B DDD 105:10 H H H /H HHHH . Chi scrive era al Lauro Rossi di Macerata quando, nel luglio 2008, è stata rappresentata la Cleopatra che ora viene pubblicata dalla Naxos in registrazione live; e ricorda ancora il clangore che la grande orchestra del tardo Ottocento – Cleopatra risale al 1876 – produceva nella piccola sala settecentesca del Bibbiena. Per riscoprire il compositore maceratese nel teatro a lui dedicato si sarebbe potuta scegliere una delle opere che lo avevano portato al successo quarant’anni prima, e se si voleva riesumare questo titolo con i suoi effetti-colossal bisognava avere il coraggio di rappresentarlo allo Sferisterio. Nell’edizione discografica, il buon lavoro dei tecnici del suono fa scomparire i problemi di natura ambientale. Ma non sempre l’esecuzione procede a ranghi serrati, come è del resto comprensibile se si pensa che David Crescenzi, maestro del Coro Lirico Marchigiano « V. Bellini », si è trovato, a pochi giorni dalla prima, a dover ricoprire anche il ruolo di direttore d’orchestra a causa del forfait di un collega. Quello che, viceversa, si fa molta fatica a comprendere è il motivo per cui, nel momento in cui si sceglie di riportare alla luce un’opera sepolta da centotrenta di silenzio, la si debba aggiustare accorciandola qua e là a proprio piacimento, espungendo ad esempio l’intera sinfonia. Protagonista, in tutti i sensi, è Dimitra Theodossiou. Il soprano greco, come è solita fare quando manca un direttore autoritario, si concede qualche eccesso negli acuti buca-orchestra, ma riesce a dipingere a tutto tondo il personaggio della regina egizia, supportata com’è da una voce piena e luminosa e da una solida tecnica che le permette lo squillo sonoro e le smorzature, i filati in pianissimo nel registro più acuto e in quello più grave. La partitura, offrendo a Cleopatra un campionario di situazioni sentimentali varie (la felicità, l’apprensione e il disinganno, la fierezza della regina ferita, la seduzione della femme fatale, la morte a testa alta), permette alla Theodossiou di sfoggiare il proprio carisma interpretativo nell’aria del II atto: dalla delicatezza del recitativo alla dolcezza fremente del cantabile che si conclude in un’atmosfera trasognata, subito prima che le giunga la notizia delle imminenti nozze romane di Antonio. Appresa la notizia, si rivela regina torreggiante e vendicativa nei suoi acuti lancinanti. Un simile mutamento spirituale si ha anche nel duetto di Cleopatra con Ottavio Cesare (Ottaviano, non ancora divenuto Augusto) nel IV atto, dove la notizia della morte di Antonio, suicida dopo la sconfitta di Azio, giunge a metà del colloquio e permette ad Ottaviano di gettare maschera mostrando il proprio disprezzo per la regina, che abbandona il timbro seducente per assumere l’accento terribile della disperazione. L’opera – che segue abbastanza da vicino le forme tipiche del melodramma ottocentesco nei duetti e nei finali, mentre preferisce la più libera romanza per le arie solistiche – fa un certo uso di elementi timbrici e ritmici di sapore esotico. Dei personaggi, se si toglie la monumentale regina, l’unico a subire una propria evoluzione interiore è Antonio. Il tenore Alessandro Liberatore, tuttavia, riesce solo parzialmente ad esprimerne il carattere, appiattendosi su un’interpretazione sforzata che può andar bene a raffigurare il dolore della sconfitta nel- musica 227, giugno 2011 79 D. SCARLATTI l’ultima aria, ma manca, nel I atto, tanto di grazia quanto di squillo eroico. Gli altri interpreti sono tutto sommato capaci, pur con mezzi non sempre smaglianti, di incarnare i semplici caratteri delineati da Lauro Rossi: l’insistente vibrato del mezzosoprano Tiziana Carraro per l’insicurezza trepidante di Ottavia; il fraseggio dolente e la voce un po’ impastata del baritono Sebastian Catana per Diomede, amante respinto ma sempre fedele a Cleopatra; la voce solida e capace di significative sfumature del basso Paolo Pecchioli per l’astuto uomo di Stato Ottaviano. Marco Leo minuti ad offrire il terreno fertile a una fantasia inventiva ed a un acume quanto mai rari. Il tratto saliente delle sue interpretazioni – questo CD lo conferma – è infatti la ricerca di una chiave di lettura capace di rivelare l’essenza profonda di un compositore. In questa prospettiva ChoAlexandre Tharaud clavicembalisti. Per esempio la Sonata K 132 supera i 7:30 contro i 6:35 di Andreas Staier, mentre la Sonata K 239 dura 3:30, circa trenta secondi in più rispetto all’interpretazione di Pierre Hantaı̈. Anche quando qualche concessione al virtuosismo viene fatta, come nel caso della Sonata in Re minore K 141, il fraseggio resta naturale, quasi parlante. Le stesse considerazioni valgono per il tocco, che è trasparente ma non brillante, perché i preziosismi timbrici sono estranei all’universo espressivo del pianista francese, attento alla concretezza dell’espressione musicale. Lo dimostra la Sonata in Mi maggiore 380, che sotto le di- & CD D. SCARLATTI Sonate K 239, K 208, K 72, K 8, K 29, K 132, K 430, K 420, K 481, K 514, K 64, K 32, K 141, K 472, K 3, K 380, K 431, K 9 pianoforte Alexandre Tharaud VIRGIN 50999 64201 627 A DDD 68:05 HHHHH . Uno Scarlatti cosı̀ trasognato e trasparente, sospeso tra vivacità e malinconia e animato da un’eloquenza umanissima poteva uscire solo dalla fantasia di un artista estroso e riflessivo come Alexandre Tharaud. Estroso perché il pianista francese ha sempre mostrato di possedere inventiva e verve – in Rameau come in Ravel, in Chopin come in Chabrier, in Schubert e Satie. Riflessivo perché le sue interpretazioni possiedono una forte coerenza interna, nascendo tutte da un lungo percorso di studio. Possiamo rinvenire, anzi, un filo comune nei CD di Tharaud, per cui questa antologia scarlattiana, che segna il debutto con l’etichetta Virgin, appare come il completamento di un cammino iniziato molti anni fa con Grieg, Poulenc e i clavicembalisti francesi. Tharaud predilige le miniature. Sono proprio le dimensioni ridotte di pagine destinate a esaurirsi in pochi 80 & pin non è soltanto il creatore di malinconiche suggestioni da salotto, ma un geniale ricreatore di musica di origine folklorica. Chabrier è un grande e cordiale affabulatore e non solo un bizzarro inventore di illusionismi ritmici sulla tastiera. Cosı̀ Domenico Scarlatti, oltre a essere il virtuoso imprevedibile delle corti di Portogallo e Spagna, si rivela un esploratore delle profondità della psiche. Si vedano il clima introverso della Sonata in Do maggiore K 132, dove tutto appare come trasfigurato, l’inquietudine umbratile della Sonata in La minore K 3, la bizzarria strana della Sonata in Do maggiore K 420. I tempi sono estremamente moderati (in genere Tharaud è poco incline a tempi veloci), soprattutto se messi a confronto con i tempi dei musica 227, giugno 2011 ta di Horowitz era un miracolo di invenzioni timbriche, mentre con Tharaud conserva intatto il suo carattere di danza popolare. Il carattere danzante viene meravigliosamente accentuato nella Sonata in Re minore K 64, su un robusto ritmo di gavotta. Anche la pagina con cui si apre questa personalissima antologia, compilata secondo criteri puramente estetici e non di completezza musicologica, la Sonata in Fa minore K 239, possiede, pur nella sua malinconia svagata, un eloquio molto naturale. Lo Scarlatti di Tharaud, insomma, non è confinato in un olimpo di pura e intatta bellezza, ma viene calato nella quotidianità dell’esperienza. Molto curata è anche la qualità tecnica della registrazione, effettuata su un grancoda Yamaha nell’ormai mitica sala L’Heure Blue a La Chaux-de-Fonds, in Svizzera. Luca Segalla Sedici domande ad Alexandre Tharaud Alexandre Tharaud si è mosso sempre con libertà nel mondo del concertismo, seguendo il suo gusto e le sue passioni. Anche nei ritmi di lavoro, con lunghe pause tra una tournée e l’altra, Tharaud è un pianista insolito. Decisamente originale è il suo repertorio, molto francese e molto clavicembalistico. Bach, Rameau, Couperin e Scarlatti. Poi Chopin, Ravel, Satie e Poulenc. Nella sua discografia c’è anche un album con i Pezzi lirici di Grieg (nel 1993, a inizio carriera), poi la musica da camera – non moltissima, a dire il vero – e quindi un CD dedicato al contemporaneo francese Thierry Pécou. Antivirtuoso ma a suo modo un divo, Tharaud, parigino, classe 1968, è poco incline ai preziosismi timbrici; si concentra sul senso della musica, è abituato a scavare in profondità. A lavorare sulla struttura di un brano più che sulla superficie timbrica. Matura lentamente le sue idee e poi le realizza con determinazione. Anche quando ci racconta del suo nuovo disco, le parole sono misurate e precise. Dopo molta musica francese, un CD dedicato a Domenico Scarlatti. Perché questa scelta? Credo fosse un passaggio obbligato dopo Bach, Rameau e Couperin. Per anni, alla fine dei miei concerti, molta gente veniva a chiedermi quando avrei fatto un disco con le sonate di Scarlatti; poi ci sono molte sonate scarlattiane poco note al pubblico, che ritengo importante far conoscere. Cosı̀ mi sono deciso. Con quali criteri ha selezionato le sonate del disco? In primo luogo ho voluto registrare le sonate che ho studiato quando ero molto giovane, a sette-otto anni, l’età in cui ho scoperto Scarlatti. Poi alcune sonate virtuosistiche e alcune malinconiche, altre basate sui ritmi delle danze di corte come la gavotta e infine qualche sonata di ispirazione popolare, dal momento che è molto importante – a mio avviso – sottolineare il legame di Scarlatti con la musica del popolo e della strada, come il flamenco. Ho notato che in molti casi i Suoi tem- D. SCARLATTI pi sono più lenti rispetto a quelli di altri interpreti, soprattutto nelle sonate in modo minore. Per quale motivo? La velocità non dipende soltanto dal pianista, ma anche dal pianoforte, dall’acustica, dalle condizioni della sala. In realtà non potrei dire come sono davvero i miei tempi, perché ogni volta, in concerto, cambiano! Dove è avvenuta la registrazione? In una fantastica sala in Svizzera, L’Heure Bleue, a La Chaux-deFonds: erano anni che sognavo di registrare in quella sala. Ho usato uno Yamaha, come nel CD di Satie di tre anni fa: sono riuscito a trovare uno strumento meraviglioso, ideale per Scarlatti. Oggi è abbastanza comune affrontare Scarlatti al pianoforte, mentre qualche decennio fa erano più frequenti le interpretazioni al clavicembalo. Quali sono i vantaggi e i limiti? È importante, per prima cosa, avere in mente che queste sonate sono state scritte per il clavicembalo: bisogna cercare sul pianoforte la leggerezza del suono clavicembalistico. In secondo luogo bisogna considerare la modernità della musica di Scarlatti. Händel e Bach sono nati nello stesso anno di Scarlatti, eppure appaiono più legati al loro periodo storico, mentre la musica di Scarlatti sembra essere stata scritta ieri. Cosı̀ è molto facile suonare questa musica su un pianoforte, certamente più facile rispetto alla musica di Bach, di Händel, di Rameau o di Couperin. Il limite del pianoforte è che è troppo lirico e che in alcune situazioni manca di forza: sembra incredibile, ma a volte le sonorità del clavicembalo sono più incisive, anche se si pensa sempre il contrario. Fra gli interpreti di Scarlatti chi apprezza in particolare, tra i pianisti? Marcelle Meyer, Clara Haskil e Vladimir Horowitz. Ritengo la Meyer la più grande pianista donna della storia: è il mio idolo e tutti i suoi dischi sono per me fondamentali. Poi viene Clara Haskil, perché quella di Scarlatti è la musica più adatta alla sua personalità, per la teatralità e per l’humour. Infine Horowitz, perché lui è il cinema – noi in Francia diciamo un piccolo bambino con un carattere difficile. Ed è anche molto lirico. Tra i clavicembalisti direi Pierre Hantaı̈. È un interprete fantastico, semplice ma deciso quando serve, sempre pieno di sorprese: al clavicembalo, per il repertorio scarlattiano, è senza dubbio il più grande. Quali autori di solito affianca a Scarlatti nei suoi recital? Mi capita spesso di fare una prima parte dedicata a Beethoven e una seconda parte dedicata a Scarlatti. In effetti Scarlatti è in grado di reggere da solo un intero tempo, perché le sue sonate hanno caratteri molto diversi. Ed è anche interessante accostarlo a Beethoven, per esempio fare prima la Sonata op. 109 e poi delle sonate di Scarlatti: funziona molto bene. A questo punto dobbiamo aspettarci un disco beethoveniano? No, non a breve. Ho in progetto di incidere due Concerti di Beethoven, ma non nei prossimi tre anni. Devo ancora scegliere il direttore e l’orchestra e non sono scelte facili, perché bisogna trovare l’orchestra ideale per questa musica e un direttore con il quale si lavora bene. Un direttore disponibile, possibilmente un amico. E poi c’è il problema della sala. È molto più facile registrare dei CD solistici che registrare con un’orchestra. I direttori con i quali si è trovato più in sintonia? Ho avuto un’esperienza molto bella insieme all’Orchestre de la Suisse Romande e a Rafael Frühbeck de Burgos, lo scorso anno in tournée con i Concerti di Ravel. Vede, il mio direttore ideale non è solo un musicista che conosce molto bene il brano da eseguire, ma è anche una persona che, per esempio, non parte subito dopo la prova, ma si ferma a mangiare con me. Insomma, un direttore con il quale posso avere un dialogo vero: per registrare un disco bisogna passare cinque o sei giorni insieme! È vero che ha rinunciato ai concerti per sette mesi prima di registrare questo CD? In realtà ho fatto sette mesi sabbatici dopo averlo registrato. Ho bisogno di prendere i miei tempi, di lavorare al pianoforte senza la tensione del concerto. Di lavorare sul mio suono e sulla tecnica. Oggi, però, questo è sempre più difficile: in un mondo globalizzato i solisti sono spinti a dare continuamente concerti. Lei sente questa pressione? Nella vita è possibile dire di no. Ormai sono cinque stagioni che riesco a prendermi ogni anno alcuni mesi pausa dai concerti e sono contento di questa mia decisione. musica 227, giugno 2011 81 A. SCARLATTI E la musica da camera? Poca, adesso. In passato ne ho fatta, ma oggi preferisco i Concerti con orchestra e i recital, perché sono molto più rischiosi. Ed a me il rischio piace: nella vita non voglio la tranquillità! I prossimi dischi per la Sua nuova etichetta, la Virgin? Ho registrato i Concerti di Bach con una meravigliosa orchestra canadese, Les Violons du Roi. È un’orchestra che utilizza strumenti moderni, ma con l’archetto barocco. Abbiamo trovato – mi sembra – un bel colore, molto leggero e un suono barocco: per queste pagine è importante, perché di solito risultano troppo pesanti. In Francia il disco uscirà in novembre. Poi c’è un altro progetto, ma preferisco non anticipare nulla. Ho letto, in un’intervista al mensile francese « Diapason », che la Sua opera preferita è il Parsifal. Io mi sarei aspettato un’opera del Settecento... Arriverà ad affrontare le parafrasi operistiche wagneriane di Liszt? Ho ascoltato il mio primo Parsifal a diciassette anni, a Bayreuth ed è stata un’esperienza che ha cambiato la mia vita. E Liszt mi piace molto, come mi piacciono le opere di Wagner e anche quelle di Verdi. Però le parafrasi, che ho suonato dieci anni fa, oggi sono diventate meno interessanti per me. In questo periodo quali brani sta studiando? Le Variazioni Goldberg di Bach, le ho suonate in pubblico per la prima volta a Barcellona pochi giorni fa. È veramente l’opera della mia vita, un’opera che desideravo suonare da molti anni che credo suonerò per tutta la carriera. Per la registrazione, però, voglio ancora aspettare. In genere suono per molti anni un brano prima di registrarlo. È avvenuto cosı̀ per tutti i miei dischi ed anche per le Goldberg mi piacerebbe aspettare tre o quattro anni. GLOSSA OCD 921511 DDD 63:40 HHHH Del palermitano Alessandro Scarlatti Bonizzoni restituisce alla luce (ed all’ascolto) due preziose serenate a tre voci (due soprani e un contralto) con strumenti: Tacete, aure, tacete e O mie figlie canore, entrambe composte a Roma nel 1706. E proprio in quell’anno insieme a Corelli e Bernardo Pasquini Scarlatti fu tra i primi musicisti ammessi alla nobile accademia romana dell’Arcadia, insignita sino allora solo di poeti e letterati. Nella prima i pastori Fileno, Niso e Doralbo, infelici compagni di sventura amorosa, lamentano a turno la spietata crudezza dell’amata ninfa Filli che giace addormentata, unendosi a volte in brevi ma succose arie a due o tre voci, sempre genialmente assecondate dagli archi: un vero e proprio caleidoscopio del pathos amoroso tra speranza e delusione, rimpianto e compiaciuta sofferenza. Nella seconda invece è il Sole, insieme alle figlie Urania e Clio, a decantare le bellezze della venerea Filli tiberina (forse una favorita del marchese Ruspoli): la guancia vezzosa simile a una rosa, il seno candido che sembra un giardino di gigli, gli occhi dardeggianti. CD 82 Doti alle quali si aggiunge naturalmente quella delle virtù. L’invito finale del Sole tramontante è quello di godere di un sereno sonno notturno. La lettura di Bonizzoni e della Risonanza, affidata alle voci esperte dei soprani Emanuela Galli, Yetzabel Aria Fernandez e del controtenore Martin Oro, si dimostra molto rispettosa del testo poetico e delle sue valenze emotive, ma piacevole è anche il colore strumentale che scaturisce dall’affiatamento dell’ensemble e dalla prassi esecutiva barocca. Ne deriva un linguaggio sonoro ricco di sfumature, di sottolineature psicologiche, di umori, di affetti, che rende onore a un padre fondatore della moderna musica europea. Lorenzo Tozzi CD SCHÖNBERG Variazioni op. 31 CIAIKOVSKI Sinfonia n. 6 op. 74 « Patetica » West-Eastern Divan Orchestra, direttore Daniel Barenboim DECCA 478 2719 A DDD 69:02 HHHHH & musica 227, giugno 2011 . Insolito l’accostamento di Schönberg e Ciaikovski proposto da questo CD che riproduce il programma di un concerto tenuto da Daniel Barenboim con la West-Eastern Divan Orchestra Isola deserta, in assoluta solitudine. Tre dischi da portare. Quali sceglierebbe? Il Preludio del Parsifal con Toscanini, l’integrale discografica della cantante francese Barbara e le Variazioni Goldberg con Glenn Gould, la versione del 1955. Luca Segalla A. SCARLATTI Serenate a Filli E. Galli, Y. Arias Fernandez, M. Oro; La Risonanza, direttore Fabio Bonizzoni .M Daniel Barenboim al Festival di Salisburgo il 13 agosto del 2007 escludendone l’iniziale Ouverture Leonore n. 3 di Beethoven. La West-Eastern Divan Orchestra fondata nel 1999 dallo stesso Barenboim e dal critico letterario Edward Said riunendo musicisti arabi e israeliani, lo si è ripetuto più volte, è una delle più straordinarie dimostrazioni di quanto la musica possa unire ciò che secoli di storia hanno diviso. In questo caso sarà però opportuno accantonare per una volta l’ammirazione per la formidabile testimonianza di impegno umanitario e concentrarsi sul livello di un’orchestra capace di restituire in concerto una delle opere più complesse dell’intero repertorio sinfonico con una disinvoltura e una qualità di suono degne di sostenere il confronto con qualsiasi altra incisione in studio delle Variazioni op. 31, siano pure quelle lussureggianti di Karajan con i Berliner e di Solti con la Chicago Symphony, di Mehta con la Los Angeles Philharmonic o di Rattle con la City of Birmingham. La lettura di Barenboim punta a sottolineare i legami della partitura di Schönberg con il passato, non solo con Bach naturalmente, ma con il mondo di Brahms, Mahler e Strauss. La ricerca di una estrema chiarezza formale non comporta quindi l’atteggiamento distaccato e impersonale di tanti « specialisti » dello stile dodecafonico ma si accompagna a una ricchezza di colori, un lirismo e una intensità espressiva capaci di far godere lo splendido lavoro come musica normale e di emozionare. È la stessa strada percorsa dalla celebre incisione di Karajan ma forse con una convinzione perfino maggiore e certo senza il compiacimento virtuosistico di quella. Dopo una & L O R E L L A T A F U R O soprano Tosca Norma Aida Trovatore Manon e... La voce del sole info Management Agency - Tel. 338 4183708 - www.lorellatafuro.it SCHUBERT lettura cosı̀ insolitamente partecipata del capolavoro di Schönberg l’accostamento al tardoromanticismo dell’ultima sinfonia di Caikovski non appare in fin dei conti cosı̀ stridente come ce lo eravamo prospettato. E anche in questo caso ci troviamo di fronte a una bella esecuzione seppure non originale come quella delle Variazioni. È una lettura dai tempi lenti, commossa e affettuosa, immersa in una calda luce crepuscolare che rimanda ad angolazioni interpretative lontane, perfino con il recupero di insistiti portamenti nel fraseggio degli archi come non se ne ascoltavano da tempo. In ogni caso anche qui l’orchestra mediorientale suona superbamente e il risultato complessivo è di fortissimo impatto emotivo a coronare uno dei migliori dischi recenti del Barenboim direttore. Giuseppe Rossi CD SCHUBERT « Nacht und Träume » (Lieder D827, D833, D637, D869, D876, D778, D842, D193, D194, D891, D889, D517, D289, D434, D502, D861, D303) baritono Matthias Goerne pianoforte Alexander Schmalcz HARMONIA MUNDI HMC902063 A DDD 60:40 HHHHH . Con questa registrazione Matthias Goerne prosegue nella sua Schubert Edition per Harmonia Mundi, un’impresa titanica coronata finora da lusinghieri successi. Il baritono tedesco è, infatti, uno dei maggiori liederisti attualmente in attività e il livello altissimo delle sue esecuzioni, sotto il profilo vocale e interpretativo, lo rendono degno erede del grande Dietrich Fischer-Dieskau, di cui è stato allievo. Distinguendosi però, rispetto al modello, per una visione di questo particolarissimo universo domestico che è il Lied, maggiormente spontanea, imprescindibilmente attenta al significato del testo, ma anche capace di trascenderlo nel segno della freschezza e dell’immediatezza espressiva. Tratti che sono evidenti anche nella nuova uscita, che porta il titolo « Nacht und Träume » (notte e sogni): due emblemi del romanticismo più puro su cui sono stati versati fiumi di inchiostro e sparse copiose lacrime. La scelta dei diciassette Lieder che Goerne, accompagnato dal pianista Alexander 84 Schmalcz, inanella traendoli dal vasto catalogo schubertiano, mirano a ritrarre un ventaglio di emozioni, ora rattenute ora dirompenti, legate al tema della morte, del sogno infranto, della speranza delusa. La voce robusta del baritono, capace di ombrose discese verso il basso (come in « Totengräbers Heimweh ») ma anche di tenorili salite all’acuto, scandaglia questi microcosmi con grande varietà di espressione, passando dalla vellutata cantabilità del Lied che dà il titolo alla raccolta, e che con la sua invocazione « Ritorna, santa notte! Dolci sogni tornate » sembra introdurre ante litteram il tema della notte wagneriana, alla dolcissima « An Silvia » su testo di Shakespeare o « An die Geliebte », cantata con voce trattenuta ed eccellente legato. O ancora « An den Mond » con quell’accompagnamento pianistico in terzine che ricorda cosı̀ da vicino il primo tempo della Sonata « Al chiaro di luna » di Beethoven. Da sottolineare ancora la capacità del baritono di dare plastica evidenza ad alcune parole chiave dei testi poetici scelti, ricorrendo agli accenti, alla dizione particolarmente scolpita oppure a lievi rallentandi. Quello che semmai sembra qui e là difettare è un qualche spiraglio di luce, trascurato in favore di un tono per lo più malinconico, spesso addirittura drammatico che, in taluni casi, assume una dimensione quasi operistica (si ascolti l’incipit di « Totengräbers Heimweh »). Una scelta, tuttavia, ampiamente plausibile considerando il tema scelto, e che non inficia minimamente l’ottima riuscita complessiva della registrazione. Valido il supporto pianistico di Schmalcz, che può contare su una lunga collaborazione con il baritono tedesco e su un altrettanto considerevole esperienza come accompagnatore. Stefano Pagliantini CD SCHUBERT Sonata in SI bemolle D 960; Improvviso in fa op. 142 n. 1; Klavierstück in MI bemolle D 946 n. 2 pianoforte Luca Ciammarughi CLASSICA VIVA GTSELC0901 A DDD 66:26 HHHH . I giovani pianisti che mettono piede in sala di registrazione appartengono, in genere, a tre categorie. Si confezionano un CD in musica 227, giugno 2011 proprio, spesso con risultati dignitosi ma con pochissime possibilità di poterlo realmente distribuire. Arrivano al debutto discografico dopo il successo in qualche concorso più o meno importante. Oppure si dedicano a un repertorio raro, dove – visto che mancano i concorrenti – hanno qualche possibilità di farsi notare. Il trentenne Luca Ciammarughi non appartiene a nessuna di queste categorie. Non vanta vittorie di prestigio, non costruisce un CD di autopresentazione infarcito di pagine virtuosistiche e sta alla larga dalle rarità, visto che ha scelto l’ultima Sonata di Schubert. A debuttare in disco con una pagina simile, registrata da quasi tutti grandi pianisti, ci vuole del coraggio e un po’ di incoscienza; a suonarla bene ci vuole talento. Ciammarughi riesce a essere originale e coerente in un capolavoro dove la tentazione di imitare i grandi del passato è sempre dietro l’angolo. Il fatto è che Ciammarughi, oltre a un essere un ottimo pianista e un ottimo camerista, è anche un valido giornalista e un fine musicologo; lo dimostrano le note del booklet, un saggio in miniatura scritto con la chiarezza di chi è abituato – dai microfoni di Radio Classica – a fare quotidianamente divulgazione musicale. Nella Sonata D960 la sua prospettiva è quella di un intimismo doloroso e dolce, senza eccessi di intellettualismo. L’esordio è lento, non lentissimo come nella celebre e provocatoria interpetazione di Richter, ma più lento, per avere un termine di confronto, dell’interpretazione di Radu Lupu del 1991. Il colore timbrico è piuttosto scuro, le sonorità sono tutte contenute, con il forte (ascoltare la ripetizione del tema alle battute 36 e seguenti) ridotto di fatto a un mezzoforte. Sono tutte caratteristiche che ritroviamo anche negli altri movimenti della Sonata, compreso un finale che suonato cosı̀ lentamente rischia di sfilacciarsi. È evidente la volontà di rinunciare ad ogni brillantezza, ad ogni amabilità di stampo salottiero. Anche il terzo movimento, pure risolto con una grazia malinconica, in perfetto spirito da Hausmusik, resta immerso in questa penombra. Una penombra che nel secondo movimento assume tratti quasi spettrali, con un suono scarnificato appena ravvivato nella parte centrale cantabile. La stessa penombra sembra avvolgere l’Improvviso op. 142 n. 1, men- tre il secondo dei Klavierstück D 946 è tutto immerso, al contrario, in un’elegante dolcezza salottiera. Il giovane Brendel, nel 1962, era molto più neutro... Pregevole è anche la qualità tecnica della registrazione, effettuata su un grancoda Yamaha C 7 ben preparato. Luca Segalla CD SCHUMANN Humoreske op. 20 KNUSSEN Ophelia’s Last Dance op. 32 LISZT Sonata in si pianoforte Kirill Gerstein MYRIOS MYR005 M DSD 65:30 HHHH . Kirill Gerstein è un pianista di origine russa, trasferitosi a quattordici anni negli Stati Uniti per studiare jazz al Boston Berklee College of Music e successivamente alla Manhattan School of Music di New York, dove ha approfondito gli studi classici con Solomon Mikowsky, poi con Dmitri Bashkirov a Madrid e con Ferenc Rados a Budapest. Se dunque è a stelle e strisce la sua formazione, in realtà questa è avvenuta nell’alveo della grande tradizione russa. Gertein ha già registrato per Myrios Classics un disco con Tabea Zimmermann, ma questa è la sua prima incisione da solista. Il programma scelto sembrerebbe pretenzioso, almeno a guardare la Sonata di Liszt, per un pianista giovane (ma non giovanissimo: Gerstein è del 1979) come lui: i precedenti in questo campo si sprecano e ogni paragone, in effetti, potrebbe giocare a suo sfavore. Tuttavia sono pochi i giovani pianisti di oggi che accetterebbero, come fa il russo Gerstein, di rinunciare allo sfoggio virtuosistico e alla retorica altisonante di certi passaggi del capolavoro lisztiano per offrirne, piuttosto, una versione più contenuta, attenta ai dettagli e alle voci interne, che procede non per grandi campiture, ma piuttosto per piccoli tocchi. Il che non vuol dire che l’esecuzione sia tecnicamente dimessa, perché anzi qui la tecnica è infallibile e superbo il controllo anche nei passaggi più ostici. Il suono è sempre luminoso e diviene parlante nei momenti più lirici, quelli meglio riusciti, come il secondo movimento Andante sostenuto. Il limite, che peraltro è legato a SHOSTAKOVICH questo tipo di scelta interpretativa, è la parziale rinuncia a quella retoricità cosı̀ innegabilmente associata alla musica di Liszt. In ogni caso un’interpretazione coraggiosa e coerentemente sviluppata. La stessa squisita musicalità si ritrova nelle Humoreske op. 20 di Schumann, con il loro caleidoscopico ventaglio di emozioni contrastanti: leggerezza, brio virtuosistico, attenzione certosina ai dettagli sono le qualità precipue dell’esecuzione di questo pezzo schumanniano di non cosı̀ frequente ascolto. Da ricordare il sognante Einfach iniziale, dimesso e virginale, che subito trapassa nell’esuberante Sehr rasch und leich, l’ansia rattenuta del secondo movimento Hastig, il poeticissimo Intermezzo e la luminosità della virtuosistica Stretta nel quarto movimento. Una riuscita da ricordare, che dimostra una particolare congenialità di Gerstein per il pianismo schumanniano. Più discutibile la scelta di incidere, tra i due capolavori del Romanticismo tedesco, Ophelia’s Last Dance, una composizione di Oliver Knussen, classe 1952, originariamente scritta per Paul Crossley nel 2004, rimaneggiata per il Gilmore International Keyboard Festival nel 2010 proprio per Kirill Gerstein. Un pezzo, stilisticamente ancorato al passato, quasi impressionistico, costruito su imprevedibili cambi di tonalità, uniforme nella successione delle diverse sezioni, cui il pianista russo rende omaggio con un’esecuzione accuratissima, ma che risulta piuttosto fuori luogo in tanto consesso. Stefano Pagliantini CD SCODANIBBIO Oltracuidansa contrabbasso Stefano Scodanibbio MODE 225 A DDD 58:14 H H H /H HHHH . Qual è il linguaggio del contrabbasso? Come dar voce a un pensiero? A questo e altri quesiti vuol dare risposta Oltracuidansa: termine provenzale da cui è derivata la parola tracotanza. Lo fa con una approfondita analisi delle possibilità sonore dello strumento amplificate e riverberate dall’uso di materiale sonoro registrato su un nastro magnetico a otto piste. Secondo le parole dell’autore e interprete: « Oltracuidansa scava ora nelle viscere dello campana » Houston Symphony Orchestra, direttore Leopold Stokowski URANIA WS 114 (2 CD) B ADD 146:18 HHHHH strumento, rivelando i lati oscuri e animaleschi attraverso l’uso di tecniche non convenzionali ». E bisogna riconoscere che la musica si tiene lontana dal facile effettismo, grazie alla serietà con cui Scodanibbio ha affrontato il lavoro di catalogazione, sistematizzazione ed esecuzione dei suoni utilizzati in esecuzione. Quest’opera, nata inizialmente per uno spettacolo intitolato La fine del pensiero, con coreografie di Hervé Diasnas e la voce recitante di Giorgio Agamben, avrebbe però bisogno, secondo la stessa testimonianza scritta dell’autore, della presenza visiva del solista live, i cui gesti vengono enfatizzati e commentati da giochi di luce. L’ascolto della riduzione stereofonica modifica in maniera sostanziale la percezione spa- ziale della partitura rendendo di difficile riconoscimento gli interventi « dal vivo » del solista con il risultato di ridurre sensibilmente la complessità di percezione del lavoro da parte dell’ascoltatore. Meglio sarebbe stato pensare direttamente a un bonus DVD tratto da una delle numerose esecuzioni rese da Scodanibbio nel corso dell’ultimo decennio da allegare alla versione CD proposta dall’etichetta americana specializzata in musica contemporanea. Riccardo Cassani CD SHOSTAKOVICH Sinfonia n. 1 op. 10; Sinfonia n. 11 op. 103; L’anno 1905 Symphony of the Air, direttore Leopold Stokowski KACHATURIAN Sinfonia n. 2 « La . Chi è solito identificare Leopold Stokowski solo con l’abile uomo di spettacolo che in Fantasia di Disney stringe la mano a Mickey Mouse dimentica che in realtà fu uno dei direttori maggiormente impegnati nella diffusione della musica contemporanea e che grazie a lui circa duecento opere ebbero la prima esecuzione negli Stati Uniti fra le quali ben quattro sinfonie di Shostakovich, Prima, Terza, Sesta e Undicesima. La Sinfonia n. 11 fu presentata per la prima volta al pubblico americano il 7 aprile del 1958 a Houston e subito registrata in disco da Capitol. È appunto la superba incisione riversata in questo album Urania accanto alla Sinfonia n. 1 incisa nello stesso anno a New York con la Symphony of the Air, il complesso che aveva raccolto buona parte degli strumentisti della NBC Symphony sciolta nel 1954 dopo il ritiro di Toscanini. La stessa orchestra impiegata poco dopo nella registrazione della Sinfonia n. 2 di Khachaturian. Stokowski aveva già inciso la Prima di Shostakovich a Philadelphia nel lontano 1933 realizzandone cosı̀ la prima edizione discografica in assoluto. Un’esecuzione contrassegnata da un virtuosismo formidabile e dal rilievo di un’orchestra non di poco superiore alla Symphony of the Air. Ciò limita solo in parte la bellezza di questa registrazione, peraltro nettamente migliore sotto il profilo tecnico, tuttora da considerarsi fra le migliori del capolavoro giovanile di Shostakovich. Impressionante è l’interpretazione dell’Undicesima nella quale gli incalliti detrattori di Stokowski non mancheranno di scorgere la sua smodata inclinazione alla spettacolarità. Personalmente non escludo che il suo approccio all’imponente affresco sonoro sia in un certo senso condizionato da un gusto illustrativo degno di una colonna sonora hollywoodiana. L’attenzione all’atmosfera di ogni scena attraverso un ventaglio timbrico di incredibile variegatezza e la terrificante plasticità dei volumi si traducono certamente nel descrittivismo minuzioso di uno sgargiante documentario storico ma i dettagli finiscono per trasformarsi anche in simboli sonori di straordinaria forza musica 227, giugno 2011 85 SIBELIUS dinamiche, mentre la forcella della macro-dinamiche risulta ben realizzata. Il palcoscenico sonoro risulta sufficientemente delineato e dettagliato. Riccardo Cassani CD espressiva. Sul piano della messinscena timbrica nei primi due tempi nessuno è giunto a tanta efficacia evocativa ma a saper ascoltare senza pregiudizi l’iperromanticismo struggente dell’Adagio funebre e la restituzione ruvida e monumentale del Tocsin finale testimoniano anche uno sguardo interpretativo di notevole profondità. Quanto alla Seconda di Khachaturian, confrontandola con le incisioni realizzate dall’autore è possibile valutare quanto un grande direttore possa contribuire a rendere accattivante l’ascolto di una partitura decisamente retorica e banale. Prodigo quanto Khachaturian di enfasi sentimentale Stokowski riesce però a ingentilire la pesante rozzezza della strumentazione senza per questo perdere di mordente e di vigore drammatico. La pubblicazione presenta una confezione assai spartana e per riunire i tre lavori in due CD si è dovuto spezzare la Prima di Shostakovich collocando l’Allegretto alla fine del primo e il resto all’inizio del secondo. I riversamenti sono però accurati nel riprodurre registrazioni stereo già in origine di livello tecnico eccezionale. Giuseppe Rossi CD SIBELIUS Sinfonia n. 2 op. 43; Karelia suite op. 11 New Zealand Symphony Orchestra, direttore Pietari Inkinen NAXOS 8.572704 B DDD 62:00 H H H /H HHHH . L’integrale di Pietari Inkinen prosegue con la pubblicazione della più famosa delle opere orchestrali di Sibelius: la Seconda Sinfonia. In questo nuovo CD troviamo gli stessi pregi e i medesimi limiti già riscontrati nella recensione della Quarta e della Quinta Sinfonia. Inkinen caratterizza la Sinfonia n. 2 in maniera estremamente lirica, evitando con convinzione di porre l’accento sulle caratteristiche più 86 epiche della composizione. Questo va a beneficio di passaggi come il solo del violoncello nella seconda sezione del Vivacissimo, ma a scapito dei passaggi più intensamente drammatici del secondo movimento dove a tratti si può notare anche una certa scolasticità del fraseggio legata alla volontà dell’interprete di rendere estremamente chiara la scrittura di Sibelius. Il celebre tema dell’ultimo movimento esce dalle mani di Inkinen quanto mai candido ed espressivo, ma nello sviluppo successivo e soprattutto nell’ultima sezione (dopo la ripresa del Vivacissimo) l’ascesa verso la chiusura epica della partitura manca di tensione drammatica creando una sensazione di staticità. Le pagine della Suite Karelia, meno universalmente note e meno impegnative dal punto di vista musicale risultano più convincenti. L’approccio morbido dell’interprete non nuoce ai due movimenti estremi, mentre la Ballata risulta al meglio grazie alla qualità del canto ottenuta dal podio. Confermo quindi il netto salto di qualità rispetto alla precedente integrale a catalogo Naxos (firmata da Leaper), ma se dovessi consigliare una edizione di riferimento a cui rivolgersi per la Seconda Sinfonia la scelta cadrebbe sulla ristampa Testament della bellissima registrazione realizzata da John Barbirolli con la Royal Philharmonic Orchestra per la Selezione dal Reader’s Digest nel 1962. Un’esecuzione travolgente magnificata da una presa del suono eccezionale firmata dal tecnico RCA Kenneth Wilkinson nella mitica Walthamstow Town Hall di Londra. La registrazione di questa nuova produzione Naxos, effettuata nel 2008 a Wellington, si caratterizza con uno spettro di frequenze insolitamente ampio e un rilievo timbrico di particolare qualità plastica, ma non particolarmente incisivo in particolare nella restituzione forse troppo morbida delle frequenze più gravi (che però non sono fuori controllo). Ovviamente con queste premesse la resa dinamica non può essere molto incisiva nella micro- musica 227, giugno 2011 SMETANA Trio in sol per pianoforte, violino e violoncello op. 15 Trio Wanderer LISZT Tristia, per violino, violoncello e pianoforte S. 723c Trio Wanderer LISZT Die Zelle in Nonnenwerth, per violino e pianoforte S. 382; Romance oubliée per violino e pianoforte violino Jean-Marc Phillips Varjabédian pianoforte Vincent Coq LISZT Elegie n. 1 S. 130 per violoncello e pianoforte; Elegie n. 2 S. 131 per violoncello e pianoforte; La Lugubre Gondola S. 134 per violoncello e pianoforte violoncello Raphaël Pidoux pianoforte Vincent Coq HARMONIA MUNDI HMC 902060 A DDD 72:33 HHHHH . L’idillio tra Liszt e la musica da camera sboccia, in parte, solo nel suo ultimo periodo compositivo. Si tratta di una manciata di lavori spesso non esclusivi ed autonomi in quanto trascrizioni o adattamenti di brani composti in precedenza. Nell’interessantissimo CD edito da Harmonia Mundi possiamo ascoltare Tristia, un trio per violino, violoncello e pianoforte basato su materiale tratto dalla pianistica Vallée d’Obermann (Liszt opera sulla versione cameristica effettuata dal compositore danese Eduard Lassen), come pure da un originale pianistico del 1848 nasce la Romance oubliée per violino e pianoforte, mentre Die Zelle in Nonnenwerth, ancora per violino e pianoforte, affonda le proprie radici in un Lied dell’inizio degli anni ’40 consacrato all’amata Marie d’Agoult. Ci sono, infine, due Elegie, crepuscolari e nostalgiche, che esistono anche in altre versioni (fra le quale quella pianistica è, naturalmente, d’obbligo), e una dolorosissima Lugubre Gondola modellata sulla sua seconda redazione. Molto intelligente l’abbinamento con il Trio in Sol minore op. 15 per pianoforte, violino e violoncello di Bedřich Smetana, pagina gagliarda, appassionata, con ampi tratti elegiaci (suggestionata dalla morte prematura della figlia primogenita) apprezzata, ai tempi, quasi solo da Liszt, musicista considerato dal compositore ceco un modello quasi inarrivabile. Il Trio Wanderer vive queste pagine con grande intensità, trasporto e passione tormentata. Il suono è corposo e la timbrica suadente. Emblematici in tal senso, ad esempio, l’infuocata esposizione del primo tema nel Moderato assai con cui si apre il Trio in Sol minore, o la furibonda ed elettrizzante cavalcata che ne contrassegna il Presto finale, o, ancora, lo struggente assolo di violoncello che apre l’Elegie n. 1 del compositore ungherese. Massimo Viazzo CD STRAUSS Vier letzte Lieder (3 Lieder); Monologo di Elektra WAGNER Wesendonck-Lieder; Scene e Arie da Tristan und Isolde e Götterdämmerung soprano Kirsten Flagstad Orchestra dell’Opera di Stato di Berlino, direttore Georges Sebastian AUDITE 23.416 (2 CD) B ADD 96:55 HHHHH . STRAUSS Vier letzte Lieder soprano Lisa della Casa Wiener Philharmoniker, direttore Karl Böhm Arie e scene da Arabella, Capriccio e Ariadne auf Naxos soprano Lisa della Casa Wiener Philharmoniker, direttori vari NAXOS 8.111347 B ADD 67:21 HHHHH . STRAUSS Vier letzte Lieder; Rosenkavalier-Suite; Till Eulenspiegel soprano Anja Harteros Orchestra Sinfonica della Radio Bavarese, direttore Mariss Jansons BR KLASSIK 900707 M DDD 63:33 HHHH . STRAUSS Vier letzte Lieder; Scene da Ariadne auf Naxos e Capriccio MOZART Arie da Le nozze di Figaro, Don Giovanni, Cosı̀ fan tutte soprano Aga Mikolaj WDR Rundfunkorchester Köln, direttore Karl Sollak CPO 777 641-2 M DDD 67:30 HHH . Vengono pubblicati quasi simultaneamente quattro CD che propongono altrettante interpretazioni dei Vier letzte Lieder, molto lontane per epoca e per importanza storica, e la DUCALE snc DIETRICH BUXTEHUDE Oratorî Leandro (cantata) La Rêveuse Un’alchimia musicale Raphaële Kennedy, soprano Da Pacem Brani vocali e strumentali DOV SELTZER interpreta Bach (CD) Le Temple de la Musique ancienne (DVD Rom) Lament for Yitzhak Requiem to a man of peace (In memoria di Yitzhak Rabin) The New Israeli Opera Choir The Ankor Children Choir The Israel Philharmonic Orchestra Zubin Mehta DUCALE snc GIUSEPPE VERDI Macbeth Tiliakos, Urmana, Furlanetto Orchestra e Coro dell’Opéra de Paris Teodor Currentzis Via per Cadrezzate, 6 - 21020 BREBBIA (VA) Tel. 0332 770784 Fax 0332 771047 info@ducalemusic.it www.ducalemusic.it EL 1127 HATART 184 ARNOLD SCHOENBERG Opere per pianoforte Ph-Hsien Chen, pianoforte HEL 029637 (CD + DVD) Wanda Landowska BAC 054 (2 DVD) Blu-Ray BAC 454 La Pellegrina Intermedii (1589) Capriccio Stravagante Renaissance Orchestra Collegium Vocale Gent Skip Sempé K617 227 SÉBASTIEN DE BROSSARD PA 0004 CD + DVD Vespro a San Marco Chœur de Chambre de Namur Les Agrémens Leonardo García Alcarón PA 0009 CD + DVD-Rom ANTONIO VIVALDI MIR 125 AMY 029 (2 CD al prezzo di 1) Distribuzione esclusiva Carmina Burana (versione medioevale) Ensemble Obsidienne Emmanuel Bonnardot STRAUSS prima cosa che salta all’occhio è che in nessuno dei casi ci troviamo di fronte a un recital liederistico: il ciclo del crepuscolo è sempre affiancato a pagine operistiche e sinfoniche del compositore monacense. Un fatto significativo (anche guardando alla globalità della discografia) di quanto i Vier letzte Lieder non vengano percepiti come un’opera « di genere », ma costituiscano veramente una sorte di epitome dell’intero opus straussiano, dal punto di vista stilistico-musicale e tematico: ricollegandosi a quel tema del congedo, nel segno della rigenerazione ma appena velato di malinconia, che si può riscontrare attraverso tutta l’opera matura del compositore, a partire naturalmente dal Rosenkavalier. È chiaro che, tra quel 1911 e il secondo dopoguerra, tale senso di distacco avesse acquisito un sapore particolarmente concreto. A ottantaquattro anni, gli orrori bellici appena alle spalle, il compositore si sente davvero al termine del cammino: esplicita l’immagine del viaggio mano nella mano del quarto Lied, immanente la stanchezza che impregna tutte le liriche (tranne « Frühling ») e tracima in uno stato d’animo di compimento estatico che si traduce nell’orchestrazione rarefatta e nelle volute aeree e disincarnate della voce, in cui sembrano trasfigurarsi la Marescialla e Madeleine. Il compositore era morto da otto mesi quando i Quattro ultimi Lieder (che, pur con tutta la loro unitarietà, non furono concepiti da Strauss come un vero ciclo) vennero battezzati da Kirsten Flagstad alla londinese Royal Albert Hall, il 22 maggio 1950, assieme alla Philharmonia Orchestra diretta da Wilhelm Furtwängler: dell’evento (o meglio della prova generale) è rimasta una storica registrazione. Quasi altrettanto significativa si rivela la documentazione divulgata ora dalla Audite, etichetta che sta guadagnandosi rapidamente lo status di benemerita: si tratta in realtà di due concerti consecutivi al berlinese Titania-Palast (9 e 11 maggio 1952), il primo su un palinsesto interamente wagneriano (comprendente i Wesendonck-Lieder) e il secondo diviso tra Wagner e Strauss. Dei nostri Lieder, presentati per il resto nello stesso ordine della prima esecuzione (diverso da quello, più logico, di pubblicazione, sempre postuma peraltro) viene omesso il primo, « Frühling »: sicuramente a causa della tessitura acuta, che al so- 88 prano norvegese aveva creato qualche preoccupazione anche alla prima (tanto da consigliare una variante grave onde evitare il Si naturale su « Wunder »). Nonostante qualche piccolo disturbo acustico, la registrazione ci permette di ammirare senza problemi le qualità della voce, piena e matura, che colora i brani di una vena non troppo nascosta di rimpianto; l’ampia arcata e i melismi sontuosi danno quasi un senso di stordimento e il congedo finale, « Ist dies etwa der Tod? » (« sarà forse la morte? »), pur correttamente esitante, assume qui una sorta di malinconica consapevolezza. Alcune modifiche del testo caratterizzano « September »: se l’interpolazione di « müden » nel melisma su « Augen » (già proposto con Furtwängler) sembra obbedire a una logica prettamente tecnicomusicale, sono curiose le altre variazioni, con le acacie che diventano per l’occasione castagni. Per quanto riguarda gli altri estratti, il cinquantaseienne soprano si dimostra ancora in grado di mantenere il suo leggendario livello come Isotta (debuttata esattamente vent’anni prima), Brünnhilde, Elektra cosı̀ come nei Lieder su testi di Mathilde Wesendonck. Kirsten Flagstad & musica 227, giugno 2011 All’anno successivo risale quella che va considerata una delle registrazioni di riferimento della raccolta straussiana: fu anzi la prima registrazione in studio dei Vier letzte Lieder, anticipando per pochi mesi un’altra versione mitica, quella di Elisabeth Schwarzkopf con la Philharmonia diretta da Otto Ackermann. Si tratta di un’interpretazione troppo conosciuta perché sia necessario dilungarsi in questa sede: sia Karl Böhm che Lisa Della Casa erano interpreti straussiani d’elezione, e se l’apprezzamento del sontuoso contributo orchestrale è appena condizionato dall’età ormai venerabile della registrazione (ma l’assolo del violino, vero protagonista di « Beim Schlafengehen » risuona sempre rapinoso e vellutato), la cantante trentaquattrenne offre timbro e stile praticamente perfetti per i Lieder da Hesse e Eichendorff; gli unici limiti riscontrabili sono note gravi appena « vuote » e una minima carenza di dettagli nel fraseggio, ma per il resto la purezza perlacea del timbro, l’eleganza, il legato, la qualità raggiante dell’atteggiamento espressivo rivelano una perfetta sintonia con l’aereo crepuscolarismo dell’opera estrema. & Il resto del CD è molto omogeneo: tre ruoli di parata del soprano svizzero esemplificati in registrazioni, sempre Decca, del medesimo periodo (1952-4) e tutte con la Filarmonica di Vienna. Di Capriccio è compresa tutta la scena finale; di Arabella tre pagine celeberrime, una per atto, registrate in due diverse occasioni. È chiaro che per gli interpreti odierni il confronto con questi veri giganti dell’interpretazione è alquanto ostico. Ma almeno nel caso del disco commercializzato dall’etichetta « di casa » dell’orchestra bavarese, il confronto è sostenuto con onore. Il palinsesto ha logicamente un taglio decisamente più sinfonico degli altri: particolarmente felice l’idea di accostare ai Lieder la Suite dal Rosenkavalier, allestita da Strauss nel 1945. Il CD tuttavia mette insieme estratti da tre diversi concerti; quello da cui sono estratti i Lieder, qui presentati nell’ordine di pubblicazione, è del 2009. Un vantaggio evidentissimo all’ascolto-confronto è che l’attuale tecnica di registrazione permette di cogliere tutti i dettagli della raffinatissima orchestrazione, tanto più grazie alla trasparente concertazione di Mariss Jansons, capace di mettere in risalto lo splendido velluto dell’orchestra bavarese. Fin dalle prime battute di « Frühling » colpisce in effetti il fraseggio esuberante e plastico, che asseconda pienamente la mobilità armonica del pezzo. Anja Harteros poi quasi non fa rimpiangere le grandi apripista, grazie alla pienezza vocale e al fervore interpretativo; se nel primo Lied gli acuti appaiono appena forzati, in « September » avvince la qualità estenuata del canto, ben accordata al clima dell’estate declinante. Molto ben controllato il melisma su « Augen », che dà avvio con grande naturalezza al prezioso assolo conclusivo del corno. Nel terzo Lied spicca soprattutto l’intervento del violino solista, velato di malinconia, piuttosto trattenuto dinamicamente, resistendo alla tentazione di espandersi e gonfiarsi; in « Im Abendrot » apprezziamo nel canto qualche acconcio portamento, e a « ist dies etwa der Tod » il tono privo di autocompiacimento, annuncio del lutto che prevale nel finale orchestrale, nonostante l’innesco del tema della Trasfigurazione e i garruli trilli dei flauti. Più ordinaria la versione che proviene da Colonia. L’apporto orchestrale appare generoso, ma mai particolarmente illuminante: ancora una volta è soprattutto l’assolo di « Beim Schlafengehen » a spiccare, nobile, quasi barocco, elegante ma non avaro di rubato. La voce della polacca Aga Mikolaj possiede le qualità necessarie di estensione e legato, ma risulta un poco impersonale e controllata: a volte si avverte che è troppo impegnata dalla scrittura vocale per esprimersi appieno. Anche le pagine operistiche che completano il CD non rivelano qualità particolari, lasciando alla fine un sapore di alta routine. Roberto Brusotti CD STURLA Passio di Venerdı` Santo Il Concento Ecclesiastico, direttore Luca Franco Ferrari BRILLIANT 94184 B DDD 51:58 HHHH . Ancora una volta la Brilliant propone una prima incisione mondiale di un’opera degna di attenzione. Dell’autore, Carlo Sturla, si sa ben poco: nato a Genova nella prima metà del XVIII secolo, fu attivo come musicista presso il locale Convento di Santa Brigida, dando vita a composizioni che dovevano essere eseguite nel corso delle svariate funzioni luturgiche, culminanti nelle cerimonie per la Settimana Santa, come nel caso della Passione qui registrata. Si tratta di un lavoro nel quale al testo evangelico di Giovanni, intonato secondo gli austeri canoni del cantus firmus, sono aggiunti brevi cori a due voci, recitativi e svariate arie per soprano e contralto, in genere piuttosto concise (fatta eccezione per il solo duetto « Noli scrivere rex Iudeorum », pagina ben altrimenti elaborata). È una musica concepita in modo semplice, con organico ridotto, comprendente solamente il basso continuo, realizzato con cinque strumenti impiegati in modo assai vario nel corso dell’esecuzione. Un itinerario dunque privo di quella densità e drammaticità tipica delle Passioni d’oltralpe, in ogni caso tradotto dagli interpreti del Concento Ecclesiastico con partecipazione e consapevolezza stilistica. Una nota di merito, in particolare, per Emanuela Esposito impegnata nella lunga parte dell’evangelista, delineata con chiara dizione e voce gradevole. Non meno efficace il soprano Laura Dalfino, spesso chiamata a tradurre arie di notevole vir- tuosismo (come nel caso dell’iniziale « Numquid et tu », assai concitata e ricca di passaggi insidiosi) rese sempre con scioltezza, mentre nei brani più meditativi (è il caso, ad esempio, dell’intensa « Ego nullam invenio ») dà prova di sensibilità e di apprezzabile fluidità. Non sempre interessante, nonostante la voce densa e morbida, il contralto Marina Frandi, a causa soprattutto di una dizione poco chiara, mentre assai compatte sono le voci femminili della turba. La direzione di Luca Franco Ferrari è improntata a una notevole incisività ritmica e a una vitalità capace di mettere in piena evidenza i momenti più concitati, dando vita a un affresco ricco di luci sferzanti e di violenti chiaroscuri, peraltro ben evidenziati da una registrazione alquanto aggressiva. Al disco è allegato un fascicolo comprendente note di presentazione (firmate da Luisa Bagnoli) solo in lingua inglese e il testo integrale in latino (con traduzione inglese): non era il caso di pensare anche ai possibili acquirenti italiani? Claudio Bolzan CD TELEMANN Lukas Passion soprano Veronika Winter contralto Anne Bierwirth tenore Julian Podger bassi Clemens Heidrich, Matthias Vieweg Rheinische Kantorei, Das Kleine Konzert, direttore Hermann Max CPO 777 601-2 (2 CD) A DDD 91:32 HHHH . Una « guida musicale » della città di Amburgo, intitolata Musica amburghese e datata 1657, documenta eloquentemente l’importanza delle attività musicali legate alla Settimana Santa, con particolare riguardo per le esecuzioni delle Passioni. In questo contesto anche l’ordine dei Vangeli utilizzati come testo di base era rigorosamente prestabilito fin dal 1691, partendo dal Vangelo secondo Matteo per proseguire con quelli di Marco, Luca e Giovanni. Ogni quattro anni, dunque, Telemann avrebbe dovuto riprendere il medesimo testo (sono ben 46 le Passioni da lui composte per queste funzioni cittadine), avendo comunque la facoltà di inserire delle sezioni diverse creando un quadro emozionale sempre nuovo, derivante dalla messa in musica di arie, recitativi accompagnati, cori, secondo lo schema formale della « Passione-orato- TELEMANN rio ». Anche la Lukas Passion del 1748 obbedisce sostanzialmente a questa impostazione, presentando, però, all’inizio e alla fine della partitura, un grande coro anziché il più consueto versetto corale (oltre a offrire la consueta varietà di interventi della Turba). La stessa parte iniziale del lavoro offre una singolare gamma di soluzioni nella successione di arie e di recitativi accompagnati, dando vita a una vera e propria « introduzione » connotata in senso teatrale e tesa a preparare lo spettatore all’evento straordinario della passione e morte di Cristo. Oltre ai brani connessi alla narrazione vera e propria, incontriamo cosı̀ quattro grandi affreschi destinati al coro, cinque recitativi accompagnati, dieci arie e sette corali, tutti caratterizzati da un’ispirazione ormai orientata nel segno di quella Empfindsamkeit che con la sua densità e linearità melodica stava ormai soppiantando le più complesse costruzioni barocche. L’incisione qui proposta da Hermann Max è basata su una registrazione dal vivo, datata 13 marzo 2010, messa a punto in occasione dei Magdeburger Telemann-Festtagen e realizzata utilizzando i Rheinische Kantorei e Das kleine Konzert (con strumenti d’epoca). Se le parti corali e strumentali possono essere considerate pienamente all’altezza della situazione per aderenza stilistica, compattezza e sensibilità (basterebbe l’ascolto dei quattro cori sopra menzionati a dimostrarlo, e, più in particolare, dell’ultimo « Seht noch einmal, mit welchem Blicke », con il delicato episodio centrale impreziosito dalle tenere sonorità dei flauti), non meno rispondente agli intenti è stata la prova dei solisti. È doveroso rilevare la chiarezza della dizione, la flessibilità e la morbidezza del tenore Julian Podger, impegnato nel non facile ruolo dell’Evangelista. Sostanzialmente persuasivi anche i due bassi Clemens Heidrich (nel ruolo di Gesù) e Matthias Vieweg (impegnato nelle arie), anche se quest’ultimo mostra talvolta di una certa rigidità. Ottimo il soprano Veronika Winter, morbida e fluida nei fraseggi, sempre chiara nella dizione e espressiva negli accompagnati e nelle arie più meditative. Complessivamente interessante il contralto Anne Bierwirth, in grado di cogliere le diverse esigenze espressive e drammatiche della sua parte. Un’edizione, in definitiva, di notevole livello, resa tanto più godibile da una registrazione equilibrata (nonostante il fatidioso « effetto cattedra- 90 le », evidente soprattutto negli interventi corali) e dalla ricchezza degli apparati, comprendenti ampie note di presentazione e il testo integrale in due lingue. Claudio Bolzan CD TELEMANN Ouvertüre in la; Tre Fantasie per flauto dolce; Concerto in La minore per flauto dolce flauto dolce Julien Martin viola da gamba Josh Cheatham Capriccio Stravagante, direttore Skip Sempé PARADIZO PA0002 A DDD 61:19 HHHHH . Giustamente Skip Sempé definisce l’Ouvertüre in La minore di Telemann « la Suite per flauto dolce di tutta l’epoca barocca »: un lavoro giustamente celebre per varietà melodica, brillante virtuosismo, ampiezza di concezione. Anche per questo si tratta di una delle creazioni dell’autore più registrate, a cominciare dalle pionieristiche versioni con strumenti d’epoca e prassi storica realizzate negli anni sessanta del secolo scorso (tra le quali spiccano le brillanti versioni di David Munrow e Frans Brüggen). Nel disco in esame è abbinata a tre delle Dodici Fantasie per flauto solo (trascritte per flauto dolce) e al singolare Concerto in La minore per flauto dolce, viola da gamba, archi e basso continuo, esempio tra i più suggestivi della versatilità e del gusto per le più svariate combinazioni strumentali di Telemann. Anche se il catalogo discografico dell’Ouvertüre è ormai imponente, questa nuova versione non deve essere considerata superflua: Sempé, infatti, sostiene – a ragione – che le esecuzioni correnti appaiono spesso troppo rigide e incisive, « basate su preoccupazioni ereditate dalla tradizione [esecutiva] tedesca », mentre « in questo repertorio barocco, che presenta spesso degli elementi di « sfumato » e di « atmosfera », lo stile francese produceva all’epoca un esito musicale generalmente più flessibile e risonante rispetto a ciò che si ascolta spesso oggi ». Date queste premesse, le scelte interpretative appaiono indubbiamente innovative: i tempi sono sensibilmente più lenti (e non solo nei brani più meditativi, come la celebre Air à l’Italien), l’andamento globale più morbido, la gamma dei abbellimenti assai variegata, comprese le diminuzioni aggiunte nella riproposta delle sezioni dei singoli musica 227, giugno 2011 movimenti (una componente essenziale della musica barocca). Tutto questo non ha compromesso, ovviamente, lo scintillio nella resa dei passaggi più virtuosistici, qui affrontati con invidiabile scioltezza e fluidità dal giovane flautista Julien Martin, uno strumentista davvero eccellente per l’eleganza e l’ariosità dei fraseggi, per la rotondità del suono e per la chiarezza con cui vengono dipanati i passaggi più brillanti. Ciò vale anche per le tre Fantasie, forse le più ispirate tra quelle composte da Telemann, qui interpretate con grande sensibilità e flessibilità nella resa dei repentini contrasti dinamici e agogici. Analoghi risultati anche nel bel Concerto in La minore per flauto dolce, viola da gamba, archi e basso continuo, anche se la viola risulta relegata un po’ nello sfondo a tutto vantaggio del flauto. Sia nell’Ouvertüre che nel Concerto Sempé ha pensato di utilizzare per il ripieno le sole parti reali: una soluzione che ha trasformato i due lavori in pagine cameristiche, quindi non sempre rispondenti alla loro effettiva concezione, per quanto il notevole livello della registrazione permetta di far risaltare i diversi piani sonori tipici delle forme concertanti. Una produzione, infine, molto curata anche negli apparati, costituiti da un fascicolo contenente un’interessante intervista a Sempé e a Julien Martin. Claudio Bolzan CD « Venezia: Sonate e Sinfonie » (musiche di Rosenmüller, Legrenzi, Stradelli) The Rare Fruits Council, violino e direzione Manfredo Kraemer AMBRONAY AMY028 A DDD 81:53 HHHH . Come giustamente evidenziato nell’ampio fascicolo allegato, « la repubblica di Venezia fu in ogni tempo un crogiolo di popoli, di tradizioni e di costumi diversi. Autoctoni e stranieri convivevano fianco a fianco e formavano, al di là dei secoli, un’identità culturale unica e singolare che, fino ai nostri giorni, non ha perduto nulla del suo potere di fascinazione ». In questa realtà le attività musicali erano particolarmente intense: le chiese, i teatri, gli ospedali (o orfanotrofi), le dimore borghesi risuonavano letteralmente di musica, spesso improntata a una grande vivacità e a un autentico splendore timbrico, come avveniva nelle funzioni presso la basilica di San Marco. In questo contesto, nella seconda metà del XVII secolo, incrociarono il loro itinerario artistico nella città lagunare tre compositori: Rosenmüller, Legrenzi e Stradella. Non è noto se i tre ebbero modo di incontrarsi o se conoscessero le loro rispettive opere. Johann Rosenmüller, originario da un paesino della Sassonia e attivo a Lipsia come Kantor nella Scuola di San Tommaso, accusato di omosessualità, dovette abbandonare precipitosamente la città, approdando a Venezia, ove ebbe solide protezioni negli ambienti mercantili d’origine tedesca (come il Fondaco dei Tedeschi), venendo poi chiamato a Wolfenbüttel per riorganizzare l’orchestra di corte, impegno che non riuscı̀ però ad espletare a causa della morte avvenuta nel settembre 1684. Giovanni Legrenzi, originario di Bergamo, giunse a Venezia intorno al 1670, ottenendo il posto di maestro di cappella a San Marco e distinguendosi sia come autore di opere e di oratori che come magistrale compositore di musica strumentale (la sua raccolta di Sonate, intitolata La Cetra op. 10, venne dedicata all’imperatore Leopoldo I). Alessandro Stradella, di origine toscana, trasferitosi poi a Roma, ove poté andare incontro ad esperienze musicali assolutamente determinanti, diede vita a una intensa attività creativa culminante, anche in questo caso, nella messa a punto di lavori teatrali e oratoriali. Implicato in diversi intrighi fu, però, costretto a fuggire, ripiegando nella città lagunare ove ottenne importanti commissioni da parte di influenti mecenati e ove si distinse anche come virtuoso: le sue raffinate e brillanti sinfonie videro la luce, con ogni probabilità, in questo contesto. Anche a Venezia, tuttavia, fu implicato in ulteriori intrighi, che lo costrinsero alla fuga e che furono poi causa del suo assassinio. Una cospicua selezione di sonate e sinfonie di questi autori ci sono ora presentate dal valente complesso The Rare Fruits Council, diretto dal violinista Manfredo Kraemer: si avvicendano cosı̀ sei Sonate di Rosenmüller, quattro Sonate di Legrenzi e tre Sinfonie di Stradella, permettendo non solo un raffronto tra questi autori, ma anche di verificare l’evolversi stesso delle forme strumentali in questione (globalmente articolate in svariate sezioni assai contrastanti tra loro per condotta agogica e per valenza espressiva), in un itinerario reso tanto più interessante dalla notevole abilità dei sette interpreti, tutti capaci di VERDI piegarsi con duttilità alle esigenze di una scrittura irta di passaggi insidiosi, di repentini cambi di umore, di imprevedibili scatti di vitalità. Una proposta che si apprezza, comunque, oltre che per l’organicità della concezione, per il notevole affiatamento, la freschezza dell’approccio. A queste qualità è doveroso aggiungere l’elevato livello della registrazione, ben spaziata e timbricamente naturale, e la ricchezza delle note di presentazione. Claudio Bolzan CD VERDI Il trovatore (dramma in quattro atti di S. Cammarano) F. Corelli, E. Bastianini, M. Parutto, F. Barbieri, A. Ferrin, A. Marcangeli, V. Pandano, C. Platania, M. Russo; Orchestra e Coro del Teatro dell’Opera, direttore Oliviero de Fabritiis URANIA WS 121.115 (2 CD) B ADD 123:36 HHHHH . PUCCINI Turandot (opera in tre atti di G. Adami e R. Simoni) F. Corelli B. Nilsson G. Višnevskaja, N. Zaccaria, R. Capecchi, F. Ricciardi, P. De Palma, A. Mercuriali, V. Carbonari, I. Farina, J. Valtriani, R. Pelizzoni; Orchestra e Coro del Teatro alla Scala, direttore Gianandrea Gavazzeni LA SCALA MEMORIES (2 CD) A ADD 113:51 H H H /H HHHHH . Esamineremo in questa cartella la forza del tempo, la forza del caso, la forza dei nervi, la forza del destino, la forza dell’imbecillità mica tanto furba, la forza dell’ingegno che si deve sperare che prevalga. Vincerò, vincerò. Troppe forze per una cartella? Mega biblı´on mega kakón. Il tempo: quest’anno Franco Corelli avrebbe novant’anni. Probabile che il Trovatore rimesso in lizza dalla Urania inauguri una pioggia di ristampe live che bagnerà tutto l’anno. La riedita Turandot delle Scala Memories è un altro discorso: qui si celebra (siamo al numero sei della portentosa collana) la gloria di una Scala che non ci sarà più. Corelli è una delle perle della corona, non la più amata né la più risplendente, certo l’irripetibile. L’abbinamento Scala-Skira compie oltre ogni sognabile perfezione quello che ci si aspetta da una riesposizione di testimonianze già diffusissime. Basti l’indice del libro-disco: il program- ma di sala originale (Riccardo Allorto), l’introduzione di Giorgio Gualerzi (che piacere ritrovare la prosa e la saviezza di questo civilissimo raccontatore), la storia dell’allestimento, il racconto per immagini (venticinque o giù di lı̀ foto d’archivio del teatro, la gran parte in technicolor, a tenere in alta memoria non solo la bellezza delle scene, la ben nota maniera di Benois, la regı̀a della immutabile Wallmann, che rischiano di essere solo nomi per i nuovi operofili se ne siano, i cantanti in immagine, Corelli che sembra Stewart Granger in Scaramouche, soprattutto la grande Višnevskaja indimenticabile nel suo completino vedette chinoise), il libretto stampato senza pasticci come ormai quasi mai si verifica; questo è il futuro del live documentario. Qualcosa di pallidamente simile era stato tentato nei primi tempi del CD dal Teatro dell’Opera di Roma, ahimé talora con una precarietà di ascolto (la Fanciulla del West con Lauri Volpi e la Caniglia) da riempirti soltanto di inappagato desiderio. Il Trovatore della Urania non precisa nemmeno che l’esecuzione che stiamo per ascoltare fu in occorrenza di una spedizione ufficiale del Teatro dell’Opera a Berlino (l’unica volta di Corelli in Germania). Il sonoro è dozzinale e fa poco grazia a voci tanto ricche. La serata era stata già diffusa in CD (1993) in una collezioncina elegante di breve vita, la Datum; e non essendomela riuscita a procurare a tempo, ricorsi a un amico arabocanadese che ci ha una botteguccia nelle caverne della Sierra Madre, Hatz-zahly, che me ne procurò una riproduzione eccellente. Unico plusvalore della Urania credo sia aver serbato l’applauso che seguı̀ alla prima scena dell’opera, con uno dei migliori Ferrandi, Agostino Ferrin. Del resto davvero gli applausi a scena aperta e a fine d’atto (e, come tradizione, all’entrata in arengo delle voci amate) tengono campo in una occasione eccezionale. Cosı̀ a distanza di tre anni possiamo misurare due diverse ufficialità. A entrata nel decennio Roma va a Berlino, come ci sarebbe potuta andare la Roma o la Lazio; prima della metà di esso la Scala va a Mosca, come ci sarebbe andata la Juventus, con tutte le piume al vento. Sorpresa? La Roma vince 4 a 2. La Turandot qui lucentemente testimoniata era la ripresa di quella che i Moscoviti avevano ascoltato con Prevedi al posto di Corelli e la Mirellina al posto della Vinia. Mancai Prevedi-Calaf a Firenze, quando fu sostituito da un ormai spento Campora; venni via do- musica 227, giugno 2011 91 VERDI po « Nessun dorma ». La Višnevskaja, ancora prima stella del regime, è l’unica Liù nel mio ricordo che non si metta al séguito delle reginette del lacrimatoio. Qui rifulge l’intelligenza di Gavazzeni, che seppe trasformare uno scambio di inchini in una proposta interpretativa tagliente. C’era il precedente della Schwarzkopf nella Turandot leggheiana che restò ai margini del mito della Callas. Eppure quella è ancora (direttore Serafin, Calaf lo strapotente e misurato Eugenio Fernandi) la migliore esecuzione discografica dell’opera, altrimenti a rischio di essere letta come un prodotto minore dello Strauss orientaleggiante (Karajan, Maazel) o come una passarella offenbachiana di glorie del can-can (Pavarotti Sutherland Caballé, perfino Pears a far l’Imperadore, nella lussuosa registrazione Decca diretta da Mehta indiano-paggio). Forse a torto il Gavazzeni che dirige Puccini non ha stabilito la fama che questa estrovagante personalità ottenne nei dominı̂ del Donizetti da riscoprire, del Verdi meno noto da riqualificare; io ne ascoltai la Fanciulla del West a Firenze con la regı̀a intelligente di Sylvano Bussotti e posso rompere tutte le lance a favore del Gavazzeni anche pucciniano. A metà sentiero esatto fra i « nemici della musica » e la musica comme il faut. Dar torto al comme il faut metteva ali ai piedi del Gran Bergamasco. In lui oltre che il lettore sterminato di tutti i libri e il concertatore divertitissimo v’era anche un Pedagogo sommo. Con tutto ciò l’itinerarium Schalae in Muscam non fu molto più che un successo diplomatico. Se ne veda la storia nel bellissimo « Musica e verità » di Beniamino Dal Fabbro. L’aver previsto come la cosa sarebbe finita costò indecentemente al grande critico e letterato, amico-nemico perpetuo di Gavazzeni, il posto al giornale. La serata di gala del 7 dicembre 1964 fu un trionfo, prevedibile epperò rôso da qualche tarlo. Fu anche l’ultima venuta di Corelli alla Scala. Tutti aspettavano l’esordio della Freni nella Traviata « di » Karajan. Non ci sarebbe stata battaglia per la successione nel ruolo di « primo tenore », le armi si affilavano sulla probabile (e paradossale, cosı̀ poco avventurosa come sempre si vantò di essere la « prima della classe » modenese) successione della ormai decantata Callas. Invece il glorioso De Fabritiis portò il Trovatore romano a una incandescenza e fabulosità che non scapitano rispetto al Karajan della Lucia scaligero-berlinese del 1955. Il segreto è la narrazione e la convinta poesia (ascoltare l’attacco, con la corrente degli archi, del « Balen del suo sorriso »). Il vecchio collaboratore di Beniamino Gigli non ha scrupoli: il Trovatore deve accendersi e deve commuovere. I cantanti non vanno frenati ma guidati alla gloria, come nella carica dei Seicento. La Barbieri, spesso insopportabile per eccesso di gesto, suona qui come il tardo Del Monaco: scostolata e arcipotente. Era stata l’Azucena di Björling (RCA), di Di Stefano (EMI), di Del Monaco (RAI), qui è al massimo e al meglio di se stessa. Ci sono oggi gli allergici a Bastianini, ma non lo hanno ascoltato in teatro. Il suo Luna è bieco in bassi profondi, tenorilmente sognante in canti rapiti dall’idea pura della altezza. In forma eccezionale, pensare che gli restava un pugno di tempo prima della spietata malattia. Franco Corelli & Corelli ah Corelli. Siamo alle soglie del suo (in realtà brevissimo) periodo di sommo sul trono. Pochi mesi e sarà l’eroe della Battaglia di Legnano (nel complesso un’esecuzione meno convinta di quella del Limarilli, alla rinascita fiorentina dell’opera, diretta paradigmaticamente da Vittorio Gui, messa in scena come delle figurine Liebig da Franco Enriquez, con la Gencer perfettamente vice-Callas e un Taddei che non disgiunge mai il canto dalla parola), finalmente il Raoul di quei vertiginosi Ugonotti. A quel punto fioriscono le scommesse: sarà Arnoldo, sarà Arturo, sarà Otello. Fu (mediocremente) Werther, Edgardo, Roméo, Rodolfo. Qui non soccorre la storia né la critica. È la favola di un Arcangelo dimenticatosi in terra e ogni volta sorpreso e titubante per quelle ali che spiccano il volo o posson trascinarlo giù all’inferno. Solo una parola sulle due signore: difficile che possa sorprendere la Turandot di Birgit Nilsson, scavata nella rupe (si capisce la scommessa di Karajan sulla Ricciarelli, paradossale e non cosı̀ a fondo perduto come di solito si sente pretendere) e tuttavia sorprende e conquista una tenuta che pare sempre quella di una prima volta. La Leonora di Roma, Mirella Parutto, fu poco più che una meteora, che in ultimo tentò riciclarsi nel registro di mezzosoprano. Per dare un’idea siamo sulla linea ManciniBanaudi, alternativa a quella belcantista fiorita dalla Callas in avanti: la Parutto vi è fresca, valorosa, sincera. L’ho ascoltata ammirando. Marzio Pieri CD VERDI Inno delle nazioni tenore Francesco Meli Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino, direttore Gianandrea Noseda Libera me dalla Messa per Rossini; La vergine degli angeli soprano Barbara Frittoli Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino, direttore Gianandrea Noseda Quattro pezzi sacri Orchestra e Coro del Teatro Regio di Torino, direttore Gianandrea Noseda CHANDOS CHAN 10659 A DDD 70:35 HHHH Gianandrea Noseda e i complessi del Teatro Regio di Torino rendono omaggio a Verdi con un’interessante antologia di opere corali che include due pagine abbastanza rare e dalla discografia limitata. L’Inno delle nazioni composto su & 92 . musica 227, giugno 2011 testo di Boito nel 1862 per l’Esposizione internazionale di Londra ma in realtà non eseguito in quella circostanza è un pezzo d’occasione retorico e francamente bruttino per molto tempo conosciuto solo attraverso la celebre registrazione di Toscanini con Jan Peerce, in realtà basata su un arrangiamento del direttore che aggiunge al Canto degli italiani con testo rifatto, alla Marsigliese e a God Save the King The Star-Spangled Banner in onore degli Usa e l’Internazionale in onore dell’Urss. Noseda torna naturalmente alla stesura originale dirigendola con generosa convinzione e Francesco Meli presta la sua bella voce e la sua nitida dizione all’intervento del Bardo previsto nella Cantica. Più interessante è la versione del Libera me originariamente destinata alla Messa per Rossini e poi riciclata come ultima parte del Requiem alla memoria di Manzoni. Nel riprendere il brano composto nel 1869 Verdi lo migliorò radicalmente estendendo le 391 battute originali a 421. La versione del 1874 rimodella linee melodiche, armonie e strumentazione, sostituisce dieci battute della prima con trenta nuove all’inizio della ripresa del Dies irae e affida al soprano l’ultima intonazione salmodica del Libera me che in quella del ‘69 era destinata al coro. In questo caso i maggiori precedenti discografici sono quelli di Rilling (Hänssler), Chailly (Decca) e Chung (DG). La nuova incisione di Noseda si affianca degnamente a quelle e affida la difficile parte del soprano solista a una Barbara Frittoli senz’altro brava nonostante il vibrato molto accentuato e una certa insufficienza di corpo nel registro grave. La riascoltiamo poi più a suo agio in chiusura di programma nella celebre preghiera che chiude il secondo atto della Forza del destino. Il miglior risultato interpretativo di Noseda e dei validi complessi torinesi è comunque individuabile nei Quattro pezzi sacri restituiti con nitore e misura in un’angolazione saggiamente equidistante fra intimo fervore religioso e suggestioni drammatiche di segno teatrale. La concorrenza è in questo caso spietata (Giulini, Muti, Abbado, Solti, Mehta, Fricsay, Gardiner, per tacere del Te Deum inarrivabile diretto da Toscanini), ma le esecuzioni meditate e accuratissime di Noseda, all’occorrenza provviste anche della giusta eloquenza e monumentalità, si collocano comunque in una posizione di rilievo all’interno della discografia dei Pezzi sacri. Giuseppe Rossi Musica 210x297_MUSICA 210X297 18/05/11 09:35 Pagina 1 Maurizio Baglini celebra l’anniversario di Franz Liszt con un nuovo, bellissimo CD CD 476 4418 Mephisto Valse, S514 Valse oubliée n.1, S215 6 Grandes Etudes d’après Paganini, S141 (1851) Grande Fantaisie de bravoure sur La Clochette, S420 d'après “La Clochette” Concerto pour Violon op. 7 de Paganini Hungarian Rhapsody n.2, S244 Liebestraum n.3, S541 “Rêve d’amour” NEI MIGLIORI NEGOZI DI DISCHI E IN DIGITALE www.amiatapianofestival.com www.universalmusic.it/classica Universal Music Group – Classics & Jazz Italia &etichette e distribuzione La presente guida è composta da una lista in ordine alfabetico delle case discografiche, affiancate ognuna da un numero. Ai vari numeri corrispondono i relativi distributori, che troverete di seguito elencati con indirizzi e numeri telefonici. Le case discografiche momentaneamente sprovviste di una distribuzione ufficiale in Italia, sono ugualmente presentate nella lista generale senza tuttavia un numero di riferimento. 2L Abc Classics Accademia Accent Accentus Music Acte Préalable Aeolus Aeon Ages Agpl Albany Records Alia Vox Allegria Almaviva Alpha Altara Alto Altus Ambroisie Ambronay Ame Son Amon Ra Analekta Andromeda Anemos Aparté Apex Appian Records Arbiter Arcana Archipel Archiphon Archiv AR RE-SE Argo Arion Arkadia Arlecchino Armide Classics Arte Classica Arthaus Arsis Ars Produktion Arte Dell’Arco Arte Nova Arte Verum Arts ASV Atopos Atr Attacca Audiomax Audite Aulia Avanti Classic Avenira Avi Avie Bayer Records BBC Legends Bella Voce Bel Air Classiques Berlin Classics Berliner Philharmoniker BMC Records BIS Black Box Bluebell Boheme Music Bongiovanni Bottega Discantica BR Klassik Bridge Brilliant Classics Brodsky Records Cabaletta Calliope Camerata Campion Canary Classics Cantaloupe 94 17 17 3 9 4 17 9 9 11 17 10 9 7 17 9 10 10 17 9 4 17 13 17 8 17 4 15 13 2 9 8 10 14 17 14 13 3 4 4 18 4 17 11 17 1 9 7 10 7 13 17 17 13 7 17 17 17 9 11 13 11 4 10 4 11 9 13 2 17 9 4 4 17 9 13 7 4 17 10 17 4 Cantus Classics Cappella Sistina Capriccio Capston Records Carpe Diem Caro Mitis Carus Cascavelle CBC Records Cedille Records Challenge Classics Chandos Channel Classics Chopin Institute Christophorus Clarinet Classics Classic Records Classica d’Oro Classical Archive Classound Claves Cmajor Cobra Records Coda Arrese Col Legno Collegium Records Columna Música Concerto Coro Coviello Classics CPO Cristal Records CSO Resound CV Cybele Records Cyprès Dacapo Dal Segno Danacord Daphénéo Datum DDT Decca Delos Deutsche Grammophon Deutsche Harmonia Mundi Deux-Elles Dies Digital Classics DVD Diligence Discant Divox Dom Disques Doremi Dorian Ducale Dutton Laboratoires Dux Dynamic Early Music EBS ECM Edel Classics Edipan Edition Alberto Moraleda Edition RZ Eloquentia E Lucevan Le Stelle EMI Enchiriadis Erol Et’cetera Eufoda EuroArts Everest Explore Records Fabula Classica Farao Fimvelstar Fineline Classical Finlandia First Edition Flora Fonè Fonit-Cetra Fonoteca Forlane Forum Fra Musica Fuga Libera Fugatto musica 227, giugno 2011 7 7 4 10 4 7 9 11 4 7 10 13 9 17 11 4 13 10 13 17 4 4 17 10 9 17 17 9 9 11 13 4 4 10 17 9 4 13 2 17 10 13 14 10 14 1 7 17 17 17 17 9 8 7 4 4 10 9 9 17 10 4 10 7 17 10 4 13 6 17 17 17 10 4 13 13 11 9 11 10 15 4 10 11 15 4 8 10 4 9 2 Gavin Bryars Genuin Classics GHA Gimell Glissando Globe Glor Classics Glossa Glossa Reprise Glyndebourne Golden Melodram G.O.P. Gramola Great Hall Guild Historical Hänssler Classic Hardy Classic Hat Hut Harmonia Mundi France Helicon Classics Helios Heristal Hortus Howe Records Hungaroton Hyperion Idéale Audience Idis III Millennio IMP Classics Indésens Inedita Inscena Jade JVC XRCD JuxtaPositions Kairos KHA Kicco Music King KLE K 617 Laborie Classique La Ma De Guido Largo Laserlight Lebendige Vergangenheit Le Chant du Monde Leman Ligia Digital Lindoro Linn Records Live Classics L’Oiseau-Lyre LPO LSO Ludi Musici Lycanus Lyrinx Lys MAA Mandala Marc Aurel Marco Polo MA Recordings Mariinsky MDG Medici Masters CD Medici Arts DVD Megadisc Melodiya Membran / NCA Meta Records Metronome MGB Micrologus Myto historical line Milan Mirare Mode Monopole Motette Ursina Mudima Music Multisonic Music Digital Musica Antigua Aranjuez Musica Ficta Musica Sveciae Music and Arts Musique à la Chabotterie Musique en Wallonie 17 17 17 13 13 17 17 11 11 17 7 11 17 17 7 17 8 4 4 4 13 3 17 17 9 13 4 9 11 10 17 11 8 17 13 4 9 13 8 2 13 4 9 17 2 7 11 4 2 9 17 13 13 14 17 13 9 17 17 4 17 4 9 4 13 13 9 13 4 17 17 7 17 9 10 9 8 17 4 17 7 2 7 7 7 17 9 2 17 17 17 MV Cremona Musique en Wallonie Myrios Naim Naı̈ve Nalesso Records Naxos NB Musika Nbe Live Neos NBB Records NMC Records Newton New World Records Nonesuch Nuova Era Internazionale NVC Arts OBS Obsidian OCL Records Oehms Classics Ondine Onyx Opera Rara Opera Tres Opus 106 Opus Arte Orf Orfeo Original Master Recording Osteria / Ponto Pan Classics Pan Dream Parnassus Paradizo Passacaille Paula Pavane Pentatone P&P Phaedra Phi Philarmonia Phil. Harmonie Philips Phoenix Phoenix Edition Phono Suecia Piano 21 Plus Loin Music Pierre Verany Pneuma Praga Preiser Records Prezioso Priory Profil Gunther Hänssler Pyramid Q Disc Quartz Quindecim Querstand Rai Trade Ramée Rare Raumklang RCA 2 17 17 13 9 3 4 17 9 17 7 2 9 17 15 7 15 17 11 4 11 9 10 15 2 9 9 17 11 13 10 9 3 7 4 9 2 2 17 12 17 9 13 4 14 4 4 2 17 4 13 13 4 11 2 10 11 2 10 17 7 17 4 9 10 9 1 RCOC RCO Live Reference-Recordings Regent Regis Ricercar Ricordi Rivo Alto Rondeau Royal Opera House RSI RTVE Rugginenti Sanctuary Classics Satirino Saydisc Scandinavian Classics SDG Soli Deo Gloria SFS San Francisco Symphony Sheffield Signum (UK) Simax Sipario Sittelle S.M.P. Solstice Solo Musica Solo Voce Somm Recordings Sony Classical Spring Art Sterling Stradivarius Supraphon Symphonia Tacet Tactus TDK (CD) TDK (DVD) Telarc Teldec Telos Testament Timpani Toccata Classics Transart Tony Palmer Triton Tudor United Archives Urania Vanguard VAI Verso Videoland Virgin Classics VMS Walhall Warner Fonit Well Music WHRA Wergo Westminster Wigmore Hall Live Winter&Winter WLA Ysaÿe Records 4 17 13 2 10 9 1 4 17 13 9 10 3 13 17 13 7 9 9 13 9 2 2 10 10 2 4 17 11 1 7 7 10 13 9 7 13 10 4 13 15 11 13 10 4 11 17 10 2 9 13 13 8 17 8 6 17 8 15 16 17 11 14 13 5 13 4 Sony Music via Amedei, 9, 20123 MILANO - tel. 02/8536272 Bottega Discantica Via Nirone 5, 20123 MILANO - tel. 02/862966 Deltadischi Via P. Pomponazzi 9, 20141 MILANO -tel. 02/87392039 Ducale Via per Cadrezzate 6, 21020 Brebbia (VA) - tel. 0332/771771 Edel Italia Ripa di P.ta Ticinese 63/A, 20143 MILANO - tel. 02/831381 EMI Music Italy Corso Sempione 68, 20154 MILANO - tel. 02/777971 La Tosca srl Via San Zanobi 43r, 50129 FIRENZE - tel. 055/3841760 Hardy Trading Ripa di Porta Ticinese 91, 20143 MILANO - tel. 02/ 48705646 9 – Jupiter Via dell’Industria 31/b, 28924 Verbania Fondotoce (VB) - tel. 0323/586200 10 – Milano Dischi Via Sormani 18, 20093 Cologno Monzese (MI) - tel. 02/ 25396575 11 – New Communication Via Campani 38, 50127 FIRENZE - tel. 055/ 4368733 12 – P&P Classica Via Bartolomeo Gosio 85, 00191 ROMA - tel. 06/3338370 13 – Sound and Music Via Mazzarosa 105, 55100 LUCCA - tel. 0583/581327 14 –Universal Music Italia Via Crespi 19, 20159 MILANO - tel. 02/802821 15 – Warner Music Italia Via Milano,16, 20090 Redecesio di Segrate (MI) - Tel. 02/637831 16 – Well Music International C.P. 196, 65100 PESCARA - tel. 031/611648 17 – Codaex Italia srl Via Reina 15, 20133 MILANO - tel. 02/36562060 18 – Art Communication srl Mottola (TA) - info@artcommunication.it 1– 2– 3– 4– 5– 6– 7– 8– osn.rai.it Riparte la stagione dell’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai. Difficile non farsi catturare. 24 appuntamenti in nove mesi, solo grande musica, solo le migliori interpretazioni dal vivo. In più se hai meno di trent’anni puoi avere l’intero abbonamento a soli 84 euro, o un carnet da minimo sei serate a 5 euro l’una. Biglietteria: piazza Rossaro . 011.8104653/4961 . biglietteria.osn@rai.it Juraj Valčuha, Roberto Abbado, Ramin Bahrami, Mario Brunello, Semyon Bychkov, Renaud e Gautier Capuçon, James Conlon, Enrico Dindo, Matthias Goerne, Christopher Hogwood, Leonidas Kavakos, Sergej Krylov, Omer Meir Wellber, Ennio Morricone, Helmuth Rilling, Giovanni Sollima, Christian Tetzlaff RAI_Classica_210x297.indd 1 16/05/11 16.18 * buono d’ordine abbonamenti a CAMPI OBBLIGATORI * * Nome .............................................................. Cognome ................................................................................. * * * Via .........................................................................................................Numero ........... CAP .......................... * * e-mail * ................................................................ * Località ...........................................Prov. ........... Tel. ............................................ Data.................................. Codice fiscale ...................................................................... SOTTOSCRIVO * nuovo abbonamento * rinnovo abbonamento il rinnovo partirà dal numero successivo a quello scaduto dal n. .............................. Annuale (10 numeri) Biennale (20 numeri) ITALIA Biblioteche (10 numeri) 59,00 105,00 50,00 ESTERO (v. tariffe nella colonna sulla destra) Per tutti coloro che desiderano abbonarsi a MUSICA in formato PDF possono andare nel sito www.rivistamusica.com e cliccare sul bottone “ABBONAMENTI” NOVITA’ ABBONAMENTO IN PDF ONLINE NON DISPONIBILI * 1 Antica Sinfonica Operistica Cameristica Liederistica Pianistica Contemporanea Concertistica Barocca 3 4 5 6/7 8/9 10 11 12 13 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 42 43 44 45 46 47 48 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95 96 97 98 99 100 110 111 112 113 114 115 116 117 118 119 120 121 122 101 102 103 104 105 106 107 108 109 123 124 125 126 127 128 129 130 131 132 133 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147 148 149 150 151 152 153 154 155 156 157 158 159 160 161 162 163 164 165 166 167 168 169 170 171 172 173 174 175 176 177 178 179 180 181 182 183 184 185 186 189 190 191 192 193 194 195 196 197 198 199 200 201 202 203 204 205 208 209 210 211 212 213 214 215 216 217 218 219 220 221 222 223 224 225 226 187 188 Internet: sul sito www.rivistamusica.com cliccando su Abbonamenti 10,00 cad. 14 206 207 Fax: al n. 0332 331013 inviando anche la copia del Buono d’Ordine e scegliendo una delle modalità di pagamento riportate qui sotto Telefono: al n. 0332 331041 rinnovo abbonamento Indici di MUSICA 1977-1991 25,00 Indici di MUSICA 1992-2004 35,00 Vladimir Horowitz di P. Rattalino Wilhelm Backhaus di P. Rattalino Sviatoslav Richter di P. Rattalino Arturo Benedetti Michelangeli di P. Rattalino Glenn Gould, di P. Rattalino Sergej Rachmaninov di P. Rattalino Ignaz Ian Paderewski di P. Rattalino Artur Rubinstein di P. Rattalino Claudio Arrau di P. Rattalino Josef Hofmann di P. Rattalino Ferruccio Busoni di P. Rattalino Friedrich Gulda di P. Rattalino Yehudi Menuhin, di A. Cantù Jascha Heifetz, di A. Cantù Dimitri Mitropoulos di A. Zignani Herbert von Karajan di A. Zignani L’interpretazione pianistica di P. Rattalino Sergiu Celibidache di U. Padroni Carlo Maria Giulini A. Zignani Leonard Bernstein di A. Zignani Carlos Kleiber di A. Zignani Happy Fingers+DVD di T. Poli Viaggi di note, note di viaggi di M. Malvasi L’Europa all’Opera di P.V. Marvasi 15,00 15,00 15,00 15,00 15,00 15,00 15,00 15,00 15,00 15,00 15,00 15,00 19,00 19,00 19,00 19,00 19,00 20,00 20,00 20,00 20,00 25,00 19,00 19,00 Schumann: Robert & Clara, P. Rattalino Sergej Prokofiev, P. Rattalino I grotteschi della musica, H. Berlioz P. Buscaroli svela l’imbroglio del Requiem Manuale del pianista concertista, P. Rattalino Il Bianco e il Nero, Nino Gardi Angelo Mariani, V. Ramón Bisogni La Sonata per pf. nel 1700 e 1800, A. Gherzi Franco Corelli di V. Ramón Bisogni David Oistrakh di A. Cantù Thomas Schippers di Maurizio Modugno Richard Wagner di V. Ramón Bisogni Alfred Cortot di Piero Rattalino Alfred Brendel di Piero Rattalino Controtenori di A. Mormile Guida alla Musica Sinfonica Guida al Teatro d’Opera Bellini di A. Bucci Charles-Marie Widor di G. Clericetti Ermafrodite armoniche+CD di Beghelli-Talmelli La Sinfonia dell’Ottocento di D. Toro Le seduzioni di Bach di A. Brena I suoni del tempo di A. Zignani L’Orchestra del Reich di M. Aster 12,91 20,00 20,00 20,00 17,00 25,00 20,00 25,00 20,00 20,00 20,00 19,00 19,00 19,00 20,00 35,00 35,00 25,00 25,00 25,00 20,00 19,00 19,00 25,00 Ho versato pertanto l’importo totale di.............................................................. Tramite carta di credito (barrare il tipo di carta): Allego assegno bancario Contrassegno (+Euro 6,90) * NOVITA’ Vi preghiamo di controllare la scadenza dell’abbonamento sul tagliando contenuto nella confezione della rivista. Per non perdere i numeri successivi, riceverete fino a 2 fascicoli oltre la scadenza del vostro abbonamento. Vi informiamo che il rinnovo parte dal numero successivo a quello scaduto. I prezzi dei prodotti elencati qui a sinistra sono comprensivi di spese di spedizione escluso in contrassegno. In caso di pagamento in contrassegno verranno addebitati Euro 6,90 Per cessare il rinnovo automatico per l’abbonamento sottoscritto è sufficiente inviare una lettera via fax o via posta a Zecchini Editore srl, Via Tonale 60, 21100 Varese, con oggetto: “disdetta rinnovo automatico abbomanento” 30 giorni prima della data di scadenza dell’abbonamento. Informativa D.lgs. 30 giugno 2003, n.196. Compilando questo coupon, Lei ci fornisce i dati necessari per abbonarsi e/o ordinare libri. II numero di telefono è facoltativo, ma ci consente di contattarLa rapidamente per eventuali comunicazioni sulla consegna. I dati saranno trattati anche elettronicamente mediante elaborazione con criteri prefissati. I dati potranno essere trasferiti nella banca dati della Zecchini Editore dalla quale Lei potrà ricevere altre proposte commerciali. A Lei spettano i diritti di cui all'art. 7) D.lgs. 196/2003. Titolare del trattamento dei dati è Zecchini Editore srl e Lei potrà rivolgersi per qualsiasi domanda scrivendo alla società titolare, Responsabile Dati, Via Tonale 60, 21100 Varese. modalità di pagamento Con bollettino postale sul conto corrente n. 11137213 intestato a Zecchini Editore srl, via Tonale, 60 - 21100 VARESE indicando la causale (es. acquisto volume HEIFETZ) inviando copia del pagamento con il Buono d’Ordine b Con Carta di Credito Modalità di pagamento: Allego bollettino postale ANNUALE per l'Italia (10 numeri) 59.00 90.00 per l'estero (10 numeri) BIENNALE per l'Italia (20 numeri) 105.00 per l'estero (20 numeri) 170.00 ANNUALE SOSTENITORE (SOLO PER L’ITALIA) 7 CD in dono 89.00 15 CD in dono 149.00 215.00 30 CD in dono ARRETRATI (esclusi i numeri con asterisco) 10.00 INDICI DI MUSICA 1992-2004 35.00 Posta: inviando il presente Buono d’Ordine e scegliendo una delle modalità di pagamento riportate qui sotto (inviare copia del bollettino postale) Novecento 2 tariffe come abbonarsi Abbonamento annuale sostenitore 89,00 con 7 CD in dono [si prega di indicare almeno tre o più categorie] 149,00 con 15 CD in dono [si prega di indicare almeno tre o più categorie] 215,00 con 30 CD in dono [si prega di indicare almeno tre o più categorie] Richiedo i seguenti numeri arretrati a ATTENZIONE: per l’attivazione dell’abbonamento fa fede la data del pagamento avvenuto. Bonifico bancario Desidero il rinnovo automatico dell’abbonamento scaduto utilizzando la seguente carta di credito Nome e Cognome............................................................................................................................................................ N. Carta............................................................................................................................................................................. Data scadenza Carta...................................... Firma........................................................................................................ b Con Bonifico bancario intestato a: Zecchini Editore srl BANCA INTESA / SAN PAOLO - Ag. 1 Varese CIN: A - ABI 03069 - CAB 10831 C/C n. 6250158971/78 IBAN: IT68 A030 6910 8316 2501 5897 178 b Con assegno bancario non trasferibile intestato a Zecchini Editore srl b Con R.I.D. (solo per abbonamenti Italia) chiamando il numero 0332 331041 Un libro rivelazione. Zecchini Editore Con CD allegato Il contralto è morto. O forse no: semplicemente cerchiamo oggi ciò che non è, rigettiamo ciò che sarebbe. L’ascolto delle pionieristiche registrazioni di contralti attivi negli ultimi anni dell’Ottocento ci rivela voci di inimmaginabile ambiguità sonora: baritonaleggianti al grave, sopranili in acuto, senza nessun tentativo di mascherare lo scarto di registro ed anzi sottolineando le differenze con effetti da jodel. Dilettanti? Eppure furono le voci predilette da Wagner e Saint-Saëns, Strauss e Toscanini! Risalendo i decenni, scopriamo che l’appellativo audace di ermafrodite armoniche era stato speso con la più alta ammirazione per cantanti del calibro di Maria Malibran e Marietta Alboni, mentre emissioni baritonali furono apprezzate in castrati come Farinel- li, Carestini, Pacchierotti, Marchesi. Il Novecento ha però spazzato via l’androginia della “voce doppia”, la tradizione operistica del “contralto sopranile”, preferendo il mezzosoprano d’estensione più contenuta ma omogenea, con acuti sonori e ben “coperti”, note gravi prive di eccessive risonanze “di petto”. E i “veri” contralti che hanno tentato di riproporre in pubblico il dualismo vocale naturalmente presente nella loro voce sono stati emarginati dalla vita teatrale. Documenti sonori (nel Cd allegato) e verbali (tante testimonianze d’epoca) s’intrecciano in questa trattazione assolutamente originale, che porterà il lettore (nonché ascoltatore) a dischiudere i segreti di un mondo solo apparentemente perduto. Marco Beghelli - Raffaele Talmelli ERMAFRODITE ARMONICHE Il contralto nell’Ottocento pag. VIII+216, con numerose illustrazioni + CD allegato, coll. “Personaggi della Musica”, 7 - euro 25,00 Troverete il libro: nelle migliori librerie, on-line visitando il sito www.zecchini.com, oppure potete usufruire del modulo d’ordine contenuto nell’ultima pagina della rivista e 66 SETTIMANE MUSICALI DI ASCONA 31 agosto - 14 ottobre 2011 P R O G R A M M A Con riserva di cambiamenti Mercoledì 31 agosto - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30 Academy of St. Martin-in-the-Fields, dir. e sol. Murray Perahia pianoforte Concerto sinfonico - Musiche di Ries, Beethoven, Schubert Venerdì 23 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30 Junge Deutsche Philharmonie, Martin Helmchen pianoforte, dir. Lothar Zagrosek Concerto sinfonico - Musiche di De Raaf, Mozart, Benjamin, Strawinsky Venerdì 2 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30 Deutsches Sinfonieorchester Berlin, Lars Vogt pianoforte, dir. Philippe Jordan Concerto sinfonico - Musiche di Wagner, Schumann, Brahms Lunedì 26 settembre - Chiesa del Collegio Papio - Ascona, ore 20.30 I Musici di Roma, Xavier de Maistre arpa L'arpa virtuosa - Musiche di Vivaldi, Marcello, Bacalov, Debussy, Geminiani Giovedì 8 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30 Solisti e Coro della Radiotelevisione Svizzera, I Barocchisti Max Emanuel Cencic e. a., dir. Diego Fasolis Vivaldi: Il Farnace Venerdì 30 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30 Orchestra della Svizzera Italiana, Vadim Gluzman violino, dir. John Axelrod Concerto sinfonico - Musiche di Mendelssohn, Mozart Sabato 10 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30 London Philharmonic Orchestra, Dezsö Ranki pianoforte, dir. Vladimir Jurowski Concerto di gala - Musiche di Kodaly, Liszt, Brahms Martedì 4 ottobre - Chiesa del Collegio Papio - Ascona, ore 20.30 Venice Baroque Orchestra, Michele Favaro, flauto traverso, oboe, dir. Andrea Marcon Concerto barocco - Musiche di Vivaldi, Händel, Bach Martedì 13 settembre - Chiesa del Collegio Papio - Ascona, ore 20.30 Quartetto Fauré Quartetto con pianoforte - Musiche di Mahler, Mendelssohn, Brahms Venerdì 16 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30 Orchestra della Svizzera italiana, Jinsang Lee pianoforte, dir. Heinz Holliger Concerto sinfonico - Musiche di Beethoven Mercoledì 21 settembre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30 Amsterdam Baroque Orchestra & Choir, dir. Ton Koopman Concerto corale - Musiche di Mozart Venerdì 7 ottobre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30 Orchestra della Svizzera Italiana, Sergej Nakariakov tromba, dir. Hubert Soudant Concerto sinfonico - Musiche di Schubert, Hummel Martedì 11 ottobre - Chiesa di San Francesco - Locarno, ore 20.30 Grigory Sokolov pianoforte Recital di pianoforte - Il programma sarà comunicato successivamente Venerdì 14 ottobre - Chiesa del Collegio Papio - Ascona, ore 20.30 Accademia d'archi di Bolzano, Viviane Hagner violino, dir. Jörg Faerber Concerto di chiusura - Musiche di Mozart Per informazioni: Ente Turistico Lago Maggiore Viale B. Papio, 5 - 6612 Ascona - Svizzera Tel. 004191 7851965 - Fax 004191 7851969 www.settimane-musicali.ch - e-mail: booking@settimane-musicali.ch Settimane Musicali di Ascona