Panorama - La voce del popolo

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Panorama - La voce del popolo
Anno LX - N. 17 - 15 settembre 2012 - Rivista quindicinale - kn 14,00 - EUR 1,89 - Spedizione in abbonamento postale a tariffa intera - Tassa pagata ISSN-0475-6401
Panorama
www.edit.hr/panorama
Croazia: salvo
il rating creditizio
Hrvoje Marko Peruzović,
Karl Vouk,
Mira Ličen
Krmpotić,
Klementina
Golija, Janko Orač, Klavdij Tutta,
Katja Smerdu, Fulvia
Zudič, Valentin
Oman, Nikola
Mašukov, Matej Metlikovič
«A Maria 1512-2012»
F
ino al 28 settembre prossimo presso Casa Tartini a Pirano sono in
mostra i lavori realizzati alla colonia artistica per la raccolta di
arte sacra a Strugnano in occasione dei 500 anni dell’apparizione della
Maria della Visione. Il laboratorio si è svolto presso il Convento francescano di Strugnano alla fine di aprile e vi hanno partecipato 13 artisti internazionali tra i quali la connazionale Fulvia Zudič. Gli artisti,
selezionati da Klavdij Tutta, hanno avuto modo di creare nell’idilliaco
ambiente del convento e di conoscere gli aspetti più interessanti della
località e dei suoi dintorni, Strugnano. Le opere sono state in mostra
dapprima al Convento fracescano di Strugnano nel mese di agosto, e
ora sono esposte presso la Comunità degli Italiani di Pirano.
Klavdij Tutta “Pot k križu”
2 Panorama
Darko Slavec dal ciclo “Kruh in kozmos”
Fulvia Zudič “Visione a Strugnano”
Katja Smerdu “Lumina”
In primo piano
Secondo il ministro alla Sanità, Rajko Ostojić, anche se il sistema è irrazionale
In Croazia il miglior personale medico!
di Ardea Velikonja
l Governo Milanović ha appoggiato di recente la “Strategia nazionale dello sviluppo della sanità dal 2012 al 2020”. Il piano è stato
steso da professionisti del settore, legali ed economisti ed è stato presentato dal ministro Rajko Ostojić. “Abbiamo il miglior personale medico in
questa parte d’Europa - ha tenuto a
sottolineare il ministro alla Sanità -,
e siamo tra i primi al mondo in fatto
di donazioni di organi e trapianti, ma,
e purtroppo c’è sempre un ma, il problema sta nella frammentazione del
sistema sanitario che non funziona né
in orizzontale né in verticale. Non potremo mai accedere ai fondi EU senza
una strategia di sviluppo del settore.
Abbiamo perso sette-otto anni e ora
dobbiamo rimboccarci le maniche”,
ha concluso il ministro.
Nel piano è compresa un’attenta analisi dei pregi e difetti del nostro sistema sanitario ma anche tutte le riforme, l’ultima avvenuta nel
2008 quindi quando è iniziata la crisi economica, e conclude dicendo che
“sono ancora troppo numerose le istituzioni sanitarie che generano deficit
e che non hanno i quadri professionisti necessari”. Nel documento si parla inoltre del finanziamento delle istituzioni sanitarie e di quale sia il loro
contributo nel PIL. Al termine della
lettura del documento è intervenuto
il premier Milanović che ha tenuto a
sottolineare che “non c’è Stato povero al mondo che abbia un sistema sanitario ai massimi livelli. Quello croato è irrazionale e il nostro compito è
quello di porgere alla popolazione le
cure migliori con il poco denaro che
abbbiamo a disposizione. Dobbiamo
chiederci se possiamo finanziare tante istituzioni sanitarie che porgono un
servizio mediocre e che si trovano a
breve distanza l’una dall’altra. In un
paese dove da nord a sud si arriva in
due ore d’automobile servirebbero
solo alcuni centri medici e non i 6070 ospedali vari che abbiamo. Un simile numero di cliniche basta per un
paese come il Texas!”
I
Dopo la pubblicazione della Strategia il dott. Nikica Gabrić, ex presidente del Consiglio direttivo dell’Istituto nazionale per la sanità, si è sfogato dicendo che “i 22 miliardi annui
di cui dispone la sanità vengono spesi
in modo irrazionale e noi non abbiamo una struttura sanitaria normale:
quella primaria, secondaria e terziaria è inesistente. Quindi qualcosa non
funziona. Non è vero che non abbiamo medici, ne abbiamo anche troppi
ma non lavorano anche se sono profumatamente pagati. Basti un dato: in
dieci anni le paghe dei dottori sono
salite vertiginosamente e in nessuna
parte del mondo possono usufruire di
7 settimane di ferie come da noi. Gli
ospedali spendono e spandono mentre i contributi alla sanità sono i più
bassi in Europa. Quindi qui qualcosa
non va, è il momento che il governo
dica basta ad una situazione simile,
che si rimbocchi le maniche e definisca dettagliatamente i diritti del paziente ma anche degli impiegati nel
settore il tutto per aumentare l’efficacia del sistema sanitario”.
Ebbene fino a qua le dichiarazioni ufficiali, ma come la mettiamo
con il paziente che aspetta mesi, per
non dire anni, una visita specialistica dopo che per anni ogni nuovo ministro della Sanità ha promesso che
non ci saranno liste d’attesa. Perché
presso un ambulatorio privato si può
fare una visita nel giro di due giorni
mentre negli ospedali e policlinici si
aspettano mesi? Perché per una riabilitazione si aspettano anni? Secondo
un dato statistico in Croazia annualmente si effettuano 15.000 operazioni della cataratta: per farle in condizioni normali servono 15 medici che
opereranno 22 pazienti alla settimana. Noi in Croazia abbiamo 400 oftalmologi e per operare una semplice cataratta si aspetta un anno! Evidentemente qualcosa non va perché
la matematica non è un opinione. E
infine se il ministro afferma che abbiamo il miglior personale medico in
questa parte d’Europa, viste le statistiche, non sarà forse che non lavorano abbastanza? ●
Costume
e scostume
Dimissioni sode
o alla coque?
Il PIL in Croazia ha avuto una
“caduta” del 2,1 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno
scorso. Quando la notizia è diventata di pubblico dominio il
premier Milanović si è rivolto al
popolo chiedendo “un po’ di pazienza dato che noi non chiediamo pietà né cerchiamo di accativarci le vostre simpatie”. Evidentemente la parola “dimissioni” al governo è sconosciuta.
E sono stati sempre i “terribili” giornalisti, dopo che l’Istituto nazionale per la statistica ha
reso noti i dati sul PIL nel paese,
a chiedere al premier se, dati i risultati nell’economia, il governo
pensa di dimettersi. E Milanović
ha candidamente risposto “Quali tipi di dimissioni volete: sode
o alla coque?” e ha continuato
“Noi non commentiamo, lavoriamo, non sono un commentatore.
Abbiamo ereditato i trend negativi non dal governo precedente,
ma dalla situazione globale. Non
solo pensiamo ma siamo convinti che il prossimo anno non sarà
migliore, ovvero che riusciremo
a realizzare un PIL positivo anche se il terzo quadrimestre registrerà risultati positivi nel turismo. La Croazia è uno di quei
paesi lasciati al caso, ed è questo
che dobbiamo cambiare, il modo
di governarla. Dipendiamo in
pratica dalla pioggia: se non c’è
va bene per il turismo ma non va
bene per l’agricoltura. In poche
parole dipendiamo da cose sulle
quali non possiamo avere alcuna
influenza. Noi lavoriamo, stiamo
risolvendo la cantieristica e quelle cose delle quali per 17 anni
nessuno si è occupato”.
Panorama 3
Panorama
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PANORAMA esce con il concorso finanziario della Repubblica di Croazia e della
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del Governo italiano nell’ambito della collaborazione tra Unione Italiana (FiumeCapodistria) e l’Università Popolare di
Trieste
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La distribuzione nelle scuole italiane di Croazia e Slovenia avviene all’interno del progetto
“L’EDIT nelle scuole III”, sostenuto dall’Unione Italiana di Fiume, realizzato con il tramite
dell’Università Popolare di Trieste e finanziato dal Governo italiano (Ministero degli Affari
Esteri - Direzione Generale per l’Unione Europea) ai sensi della Legge 193/04, Convenzione
MAE-UPT.
Consiglio di amministrazione: Roberto Battelli (presidente), Fabrizio Radin (vicepresidente), Maria Grazia Frank Franco Palma, Ilaria
Rocchi, Marianna Jelicich Buić.
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Panorama
Panorama testi
N. 17 - 15 settembre 2012
Sommario
IN PRIMO PIANO
Secondo il ministro alla Sanità, Rajko
Ostojić, anche se il sistema è irrazionale
IN CROAZIA IL MIGLIOR
PERSONALE MEDICO!................. 3
di Ardea Velikonja
ATTUALITÀ
Grazie ad una politica fiscale rigorosa
voluta dal Ministero delle Finanze
CROAZIA: SALVO
IL RATING CREDITIZIO................ 6
di Diana Pirjavec Rameša
INTERVISTE
Enrico Serventi Longhi ha pubblicato
una ricerca su Alceste De Ambris
FIUME, LABORATORIO
DEL NUOVO MONDO................... 8
di Diana Pirjavec Rameša
GUERRA SUL MARE
Discordanti quanto significativi i dettagli del combattimento
DUE SECOLI FA LA BATTAGLIA
NAVALE DI PIRANO.................... 14
di Giacomo Scotti
SOCIETÀ
Riflessioni su Carlo Maria Martini
PER UNA CHIESA
APERTA E PROFETICA.................17
di Marino Vocci
LA STORIA OGGI
L’Ernesto Guevara de la Serna tra mito e realtà
CHE: UN AVVENTURIERO
ROMANTICO E VAGABONDO.. 18
di Fulvio Salimbeni
PSICOLOGIA
CREDENZE E CIRCOSTANZE:
COME NASCE UN FANATICO... 20
di Denis Stefan
ARTE
Alla galleria Adris di Rovigno la mostra di Vilko Gecan, importante nome
della pittura croata moderna
UN PITTORE E VIAGGIATORE
ANCHE ATTRAVERSO GLI STILI..26
di Erna Toncinich
REPORTAGE
Il Festival storico Giostra da sei anni è
diventato un prodotto turistico
PARENZO BAROCCA
PER TRE GIORNI.......................... 28
di Ardea Velikonja
LETTURE
“HORROR TEMPORUM
(L’OLEANDRO DI PORTA PILE)”.. 34
di Laura Marchig
LIBRI
Secondo romanzo della trilogia “The
Century” di Ken Follett appena uscito
Un EPICO... INVERNO
DEL MONDO................................. 38
ITALIANI NEL MONDO
Il missionario e volontario italiano ha contribuito al salvataggio dell’Amazzonia
DARIO BOSSI, UNA VITA
PER GLI ALTRI..............................40
a cura di Marin Rogić
MADE IN ITALY
Alla grande kermesse, dal 27 al 30 settembre, presente per la prima volta l’Istria
GUSTI DI FRONTIERA A GORIZIA...42
a cura di Ardea Velikonja
MUSICA
VOCE, TEATRO E MUSICA
UN TERRENO DI RICERCA
DALLE INFINITE POSSIBILITÀ.. 44
a cura di Ardea Velikonja
CINEMA
Oggi esistono rassegne sulle minoranze che si svolgono nei luoghi più diversi, dalla Corsica alla Scandinavia
LE CINEMATOGRAFIE
CHE STANNO USCENDO
DALLA MARGINALITÀ............ 22
di Alessandro Michelucci
SPORT
Il dopo-Olimpiadi: polemiche con Carl Lewis
BOLT ARRIVERÀ A 9.40, CALCIO
E CRICKET PERMETTENDO.......46
a cura di Bruno Bontempo
CINEMA E DINTORNI
Theo Angelopulos si è spento da poco,
Manoel De Oliveira ha oggi 104 anni e
Marco Righi comincia la sua carriera
PER UN MAESTRO CHE SE NE
VA, UNO CHE RIMANE E UNO
CHE STA NASCENDO..................24
di Gianfranco Sodomaco
MULTIMEDIA
Il software gratuito per il fotoritocco e
per la gestione degli archivi fotografici
PICASA 3.9 PARLA CON GOOGLE+... 50
a cura di Igor Kramarsich
TRA STORIA E GUSTO
L’ULIVO: UN VECCHIO DI MILLENNI... 48
di Sostene Schena
RUBRICHE....................................52
a cura di Nerea Bulva
IN COPERTINA: Operai al lavoro. Fino a quando? (foto di Goran Žiković)
Agenda
Intoppi nei lavori rimandano a data di destinarsi il soggiorno dei 32 bimbi iscritti
Slitta l’apertura dell’asilo «Pinocchio» di Zara
I
bimbi iscritti all’asilo in lingua
italiana di Zara avrebbero dovuto
iniziare nel mese di settembre a frequentare la nuova istituzione situata
in una bella villetta nei pressi della
scuola elementare. Purtroppo non è
così dato che l’impresa che ha effettuato i lavori non li ha finiti e per ora
non si sa quando sarà possibile ospitare i bambini. Come ha detto la presidente della CI di Zara Rina Villani “non si sa cosa sia successo, dato
che è iniziata la seconda fase dei la-
vori per i quali non era stato ancora firmato nessun contratto. Noi non
abbiamo potuto far altro che avvisare i genitori dei 32 bimbi iscritti.
Alcuni hanno optato per l’iscrizione
in un asilo d’infanzia della maggioranza, altri invece hanno deciso di
attendere l’apertura di quello della
CI”. Da parte sua Maurizio Tremul
presidente della Giunta esceutiva
dell’UI ha voluto sottolinare che “si
sta lavorando con la massima intensità per risolvere nel modo più ra-
pido questa situazione però ritengo
corretto non fare previsioni in merito alla prossima apertura”.●
Animata riunione del Consiglio della RTV slovena sul preventivato taglio del canone
A rischio i programmi della RTV di Capodistria?
L
e possibili conseguenze del
preventivato taglio del canone radiotelevisivo sui programmi
dell’ente pubblico sloveno ha suscitato grande animosità nel corso
della riunione del Consiglio della Radiotelevisione slovena. Infatti questo taglio indubbiamente
influirà sui programmi ma anche
sul personale, anche se è prevista
una nuova programmazione. E per
quanto riguarda i programmi italiani della RTV di Capodistria è intervenuto il presidente della Giunta
esecutiva UI Maurizio Tremul che
è pure consigliere del Comitato dei
programmi della RTV slovena che
si è espresso contro il taglio del ca-
none per il quale non esisterebbero motivi reali, ma che può avere
conseguenze molto serie sul ruolo e sulla missione affidata ai Centri regionali che lavorano per l’informazione della Comunità nazionale italiana ed ungherese, nonchè
per gli sloveni che vivono nei Paesi
vicini. “Esorterò i deputati Roberto Battelli e Làszló Göncz a votare
contro il decreto governativo e di
richiedere di rivedere la riduzione
del canone”.●
L’Ex tempore si svolgerà dal 27 al 30 settembre con artisti internazionali
Grisignana a fine mese diventa una grande galleria
R
ealizzata nell’ambito della collaborazione tra l’Unione Italiana, la locale Comunità degli Italiani e il Comune di Grisignana, con
il contributo del ministero agli Affari Esteri italiano e della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia
si svolgerà dal 27 al 30 settembre
prossimi l’Ex tempore di pittura.
L’iniziativa, giunta ormai alla sua
XIX edizione, ha visto nel corso degli anni un significativo e progressivo successo che ha portato nella
splendida cornice della cittadina
istriana un numero sempre maggio-
re di artisti provenienti da Croazia,
Slovenia, Italia e Austria. La manifestazione comprenderà, oltre alla
competizione artistica principale,
numerose iniziative culturali e letterarie collaterali e appuntamenti di musica tradizionale, dunque
come sempre un ricco contenitore
dedicato ai visitatori di tutte le fasce d’età. Una Giuria internazionale valuterà i lavori scelti e assegnerà i premi che verranno consegnati
domenica pomeriggio. Da rilevare
che ogni anno sono tantissimi gli
artisti che vi partecipano ed altret-
tanto numeroso è il pubblico che
proviene da varie parti della Croazia e della Slovenia.●
Panorama 5
Attualità
Grazie ad una politica fiscale rigorosa voluta dal Ministero delle Finanze
Croazia: salvo il rating creditizio
di Diana Pirjavec Rameša
L’
agenzia di rating Fitch ha rivisto la prospettiva dello status del debito pubblico croato da un giudizio negativo in “stabile”, mantenendo al contempo a BBBla valutazione del rating creditizio sui
titoli in valuta straniera a lunga scadenza. Lo riferiscono i media di Zagabria citando l’agenzia.
“Il giudizio stabile della prospettiva del rating della Croazia è fondato su una politica fiscale rigorosa
intrapresa dal governo di Zagabria
e dal ministro delle Finanze, Slavko
Linić, in sintonia con le richieste per
una maggiore responsabilità fiscale”,
spiega Fitch in una nota. “Gli sforzi
del governo per migliorare la riscossione delle tasse e nella lotta contro
l’evasione fiscale - aggiunge Fitch stanno dando risultati concreti”. Comunque, l’agenzia ricorda che l’alto
debito pubblico croato è “insostenibile a lungo termine” senza una serie
di riforme strutturali del mercato del
lavoro e senza nuovi investimenti.
La Croazia sta attraversando una
fase di crisi economica che nel 2012
ha assunto le caratteristiche di recessione, con la crescita negativa del PIL,
anche se le prospettive vedono il PIL
in lieve crescita a partire dal 2013. A
pesare è stato soprattutto il calo degli
investimenti e delle esportazioni nei
rapporti con i paesi dell’Eurozona, i
principali partner economici e commerciali della Croazia.
La stabilità macroeconomica del
paese non è a rischio, tuttavia la Croazia ha una posizione debitoria elevata (100 p.c. del PIL) che peserà sulle
scelte governative inducendo a forti
tagli sulla spesa che potrebbero ulteriormente deprimere l’economia, già
caratterizzata da livelli di produttività
non elevati: infatti la produzione industriale nel mese di luglio è calata
del 5,5 p.c. rispetto allo stesso mese
del 2011. A questo quadro va aggiunta pure una disoccupazione tra le più
alte in Europa.
Negli ultimi anni le autorità hanno cercato di stimolare lo sviluppo e
6 Panorama
Il ministro croato delle Finanze, Slavko Linić
la crescita, provando ad aprire l’economia ed a liberalizzarla soprattutto
per raggiungere gli standard richiesti
per l’ingresso definitivo nell’Unione
europea, previsto per il 2013. Corruzione e una burocrazia ancora inefficiente rallentano questo processo e
limitano l’attrattività dell’economia
croata agli occhi degli investitori europei ed internazionali, anche a causa
di un mercato del lavoro ancora rigido. La stabilità politica sembra garantita così come il livello di sicurezza,
che al momento garantisce l’assenza
di particolari rischi per lo sviluppo di
attività economiche e commerciali. Il
protrarsi della situazione di recessione economica potrebbe tuttavia mettere a dura prova la stabilità dell’attuale coalizione di governo e provocare proteste a livello sociale. Altro dato che preoccupa è la disoccupazione. È di qualche giorno
la notizia che il numero complessivo di persone senza lavoro ha superato quota 300.000. Uno degli interventi che dovrebbero arginare questo
grave problema economico e sociale
è una modifica all’attuale Legge sul
lavoro che viene considerata poco
flessibile e non certo in grado di rispondere alle esigenze del mercato.
Le modifiche ventilate dal ministro
Mirando Mrsić riguardano la possibilità di introdurre contratti di lavoro
part time: metà orario lavorativo, un
terzo dell’orario di lavoro. Un modo
questo per venire incontro alle imprese che stanno oramai soffocando
sotto una forte pressione fiscale e con
leggi che pongono troppi paletti alla
loro attività.
Nonostante le gravi difficoltà che
incontra il governo croato i suoi ministri continuano ad impegnarsi in ambito internazionale nell’intento di fermare i flussi negativi in economia e
dar quanta più stabilità al paese sviluppando rapporti positivi e di collaborazione con i paesi europei. Ed è in
questa ottica che va inserita la partecipazione del ministro degli Esteri e degli Affari europei della Croazia, Vesna Pusić, nei primi giorni settembre all’annuale “Strategic
Forum” di Bled, occasione in cui
ha incontrato il suo omologo sloveno Karl Erjavec. Al centro della
conferenza di quest’anno, il cui titolo era “L’Europa e l’ordinamento
globale ridisegnato”, è stato il ruolo dell’Europa nelle relazioni internazionali, le sfide regionali nel sud del Mediterraneo, Europa sudorien-
Attualità
Vesna Pusić e Karl Erjavec a Bled
tale e Asia centrale nonché le relazioni tra Ue e Cina.
Commentando alcuni articoli pubblicati dai media croati in cui si sostiene che Bruxelles stia perdendo
la pazienza in merito alla questione
della Ljubljanska banka con la quale si vorrebbe condizionare la ratifica
dell’accordo di adesione della Croazia
all’Ue, Erjavec ha detto che non percepisce alcuna pressione e che si tratta soltanto di speculazioni mediatiche.
“Bisogna trovare una soluzione adeguata per entrambe le parti” ha detto in relazione al problema della Ljubljanska banka ed i soldi dei risparmiatori croati. Il ministro degli Esteri
sloveno ha ricordato che i due governi
avevano nominato un team di esperti finanziari che si sono già incontrati al fine di esaminare il problema e
proporre ai governi possibili soluzioni. Per questo motivo, ha precisato, bisogna continuare il dialogo. Sia
il ministro Pusić che Erjavec ritengono di aver compiuto un grande passo
avanti rispetto al loro ultimo incontro
svoltosi a Dubrovnik (Ragusa). Hanno espresso modesto ottimismo per
quanto riguarda il lavoro degli esperti
finanziari annunciando una prossima
riunione. Gli esperti che si occupano
della questione sono Zdravko Rogić e
France Arhar e si tratta di una proposta con la quale la Slovenia indirettamente condiziona la ratifica del trattato di adesione della Croazia all’Ue.
“Tutti i dati relativi alla loro prima
riunione parlano a favore della possibilità di trovare una soluzione relati-
Il ministro degli Esteri, Vesna Pusić
va alla situazione ‘win-win’ per entrambi gli stati e una loro proposta potrebbe uscire fuori in tempi brevi” ha
commentato il ministro croato Pusić.
Alla domanda quando ci si può aspettare che la Slovenia ratifichi l’accordo croato, ha detto che personalmente vorrebbe che questo accada al più
presto, mentre il suo collega sloveno
Erjavec ha espresso speranza che gli
esperti presentino al più presto le loro
soluzioni, che successivamente dovrebbero essere accettate da entrambi i governi.
Dopo l’approvazione dei due governi, non vi sarebbe più nessuna ragione perché la Slovenia non iniziasse subito con la ratifica dell’accordo di
adesione della Croazia all’Ue, ha detto
Erjavec. Un argomento quindi questo
che per la Croazia è importante visto
che si tratta di rispettare l’annunciato ingresso del paese nell’Ue previsto
per il primo luglio 2013. Il presidente
della Slovenia, Danilo Türk, ha raccomandato ai diplomatici sloveni, riunitisi alle tradizionali consultazioni annuali svoltesi a Brdo kod Kranj, di riflettere sulla possibilità di una collaborazione di partenariato con la Croazia
dopo che questa sia diventata membro
a pieno titolo dell’Ue. Ipoteticamente è possibile immaginare delle consultazioni più strette tra Italia, Austria,
Slovenia e Croazia nel contesto di decisioni da prendere nell’Ue. “Numerosi interessi accomunano questi Paesi e
per questo un loro approccio coordinato relativo ai temi di cui si occupa l’Ue
porterebbe indubbiamente a delle no-
vità nel processo decisionale europeo,
soprattutto nei prossimi anni, i quali
saranno decisivi per il rafforzamento
identitario dell’Ue” - ha detto il capo
dello stato sloveno.
Nel suo intervento di apertura alle
consultazioni, Danilo Türk ha sottolineato che la Slovenia nel senso geopolitico ha tre identità perché è al
tempo stesso uno stato balcanico,
mitteleuropeo e mediterraneo. Va detto anche che pochi giorni fa il premier
sloveno Janez Janša ha ammesso per
la prima volta che la Slovenia rischia
la bancarotta già ad ottobre. Anche se
il governo sloveno finora dichiarava
che tutti i problemi li poteva risolvere
da solo, Janša ha ammesso esattamente il contrario dopo che le agenzie di
credito hanno abbassato il rating della Slovenia per cui il valore del PIL
nel secondo quadrimestre è calato
del 3,2 per cento. Secondo i media tedeschi e austriaci, la Slovenia intende indebitarsi sul mercato americano
contando su interessi inferiori rispetto a quelli europei. Il ‘Financial Times’ ritiene che l’appello di Janša in
cui chiede aiuto è frutto dell’impossibilità del suo governo di coalizione
di raggiungere un accordo sulle riforme. Il tedesco ‘Die Presse’ riprende
le dichiarazioni del premier sloveno
il quale ammette che la Slovenia deve
pagare in un solo colpo due miliardi
di euro di debiti a cui vanno aggiunti gli interessi, il che sarà impossibile
se in autunno non verranno accolte le
indispensabili misure per arginare la
grave crisi finanziaria.●
Panorama 7
Interviste
Enrico Serventi Longhi ha pubblicato una ricerca su Alceste De Ambris
Fiume, laboratorio del nuovo mondo
di Diana Pirjavec Rameša
foto di Graziella Tatalović
a figura di Alceste De Ambris è stata studiata da diversi ricercatori, studiosi o anche
semplici appassionati di storia. La
sua vicenda biografica lo vede protagonista della politica rivoluzionaria dei primi decenni del Novecento,
ma anche avanti. Il suo nome è legato a due episodi celebri: lo sciopero
generale dei contadini a Parma nel
maggio del 1908 e la collaborazione
con Gabriele D’Annunzio a Fiume
nel 1920.
Esperienze profondamente diverse per fini, caratteri ideologici e sviluppi organizzativi, testimoni di una
indiscutibile trasformazione, comune del resto alla generazione degli
interventisti di sinistra. Enrico Serventi Longhi, un giovane ricercatore
italiano si dedica tra l’altro allo studio di questo interessante personaggio, importante anche per la storia
dell’area del Quarnero su di cui ha
pure il suo dottorato di ricerca. Lo
abbiamo incontrato a Fiume dove
stava portando a termine nuove ricerche su Fiume dannunziana.
Come nasce questo progetto di
ricerca da cui è poi nato il libro
dedicato al De Ambris e pubblicato dall’editore “Franco Angeli”
nel 2011?
L
8 Panorama
Enrico Serventi Longhi
“L’ipotesi di un progetto di lavoro su De Ambris nasce dal desiderio di approfondire il profilo di un
protagonista spesso sottovalutato
dalla storiografia italiana. A questo
va aggiunta la constatazione che ho
avuto modo di lavorare oltre che su
documenti custoditi presso numerosi archivi sia in Italia che all’estero,
anche su materiali molto importanti
di proprietà personale di un nipote
del sindacalista, il giornalista Mario
Guastoni, oggi residente a Parigi. Si
tratta di un Fondo che ho avuto pure
la possibilità di catalogare e che ho
rinominato ‘Guastoni-De Ambris’.
Si tratta di documenti i quali mi
hanno permesso di ricostruire importanti passaggi politici del protagonista e che mi hanno svelato inedite e molto interessanti implicazioni dell’opera e del pensiero del De
Ambris. Oltre a ciò è stato possibile,
grazie a queste preziose carte, costruire un fondamentale parametro
per confermare o meno l’attendibilità di altre fonti, non sempre affidabili, come quelle di polizia o la memorialistica. Ho trovato anche materiale interessante presso l’Archivio di
Stato di Fiume”.
Nel ripercorrere la vita o l’opera del De Ambris molto interessante risulta essere la tesi del sindacalista in merito all’entrata in guerra
dell’Italia...
“Un certo tipo di guerra era sempre stato giustificato dai rivoluzionari
sin dai tempi della rivoluzione francese e della Comune di Parigi. La
guerra patriottica, specie se difensiva, veniva intesa come fattore di tutela del territorio e unione nazionale
collettiva. Gli ambienti culturali con
cui De Ambris era entrato in contatto nel suo esilio svizzero erano proprio costituiti da quei libertari messi fuori gioco, nei primi anni dell’Internazionale socialista, dal marxismo
tedesco tipicamente burocratico e gerarchico.
La Germania era individuata
come pericolo e minaccia non solo
dalle forze democratiche, ma anche
da quelle rivoluzionarie sindacali e
libertarie che la individuavano come
il simbolo dell’oppressione tirannica
e del tradimento di un socialista non
più attento all’uomo, ma agli interessi materiali. Questo dibattito circolava in tutti gli ambienti della sinistra
europea, ma De Ambris fu il primo a
Interviste
Ritratto di Alceste De Ambris a destra D’Annunzio mentre sta appuntando una medaglia a De Ambris
tradurlo in Italia, in cui forte era la tradizione antimilitarista e pacifista nella scelta di appoggiare la Francia allo
scoppio del conflitto. La sorprendente decisione aveva anche due risvolti
positivi in politica interna: innanzitutto, con la campagna contro l’alleanza con Austria-Ungheria e Germania,
metteva in difficoltà la monarchia, la
vecchia diplomazia e la classe politica liberale, tradizionalmente alleati
della Germania; poi, con la campagna interventista, mirava a coinvolgere l’Italia in un grande momento di
rottura (per certi versi simile all’insurrezione o allo sciopero generale)
che educando le masse alla politica e
alla guerra poteva prepararle alla rivoluzione. Si trattava, dunque, di un
approccio rivoluzionario, unito nei
‘Fasci interventisti’, fortemente legato alla Francia, che metteva insieme
De Ambris e quasi tutti i sindacalisti
rivoluzionari con una parte dissidente del socialismo ufficiale, capeggiata
da Mussolini, che allora passò dalla
direzione dell’’Avanti!’ a quella de ‘Il
Popolo d’Italia’, che divenne l’organo ufficiale degli interventisti. Durante il conflitto De Ambris si recò diverse volte vicino al fronte, in veste di
corrispondente e di sottufficiale; soprattutto si impegnò alacremente nella propaganda, con frequenti e molto
apprezzati comizi in giro per l’Italia,
ma soprattutto a Parma. Verso la fine
della guerra, dopo l’allungamento dei
tempi e la disfatta di Caporetto, De
Ambris, insieme agli altri interventi-
sti, radicalizzò le sue posizioni interventiste, fino ad assumere aperti atteggiamenti antisocialisti e antipacifisti. L’interventismo stava già cambiando, dopo aver ‘scoperto’ durante
la guerra, il primato della Patria e della Nazione e, per quanto riguardava i
sindacalisti, l’importanza del riconoscimento dello Stato del ruolo della
produzione e del lavoro. Gli ‘amici’
di De Ambris, nel dopoguerra, divennero gli arditi (avanguardia militare dell’Italia), i fascisti (ancora progressisti) e le componenti più radicali
dei combattenti e dei reduci di guerra: con tutti loro combattè una strenua
battaglia per la valorizzazione della
vittoria, per la rivendicazione dei diritti dei reduci e contro i soliti avversari del socialismo ufficiale”.
Che cosa induce il De Ambris
a raggiungere nel 1919 la città di Fiume?
“La città del Quarnero non rientrava, in modo certo sorprendente, tra
le terre concesse italiane dal Patto di
Londra, mentre vi erano l’Istria e la
Dalmazia. Ora la situazione era mutata vuoi per la dissoluzione dell’Austria-Ungheria, vuoi per la battaglia
sulle rivendicazioni territoriali che
aveva lacerato il fronte interventista: i
democratici come Bissolati chiedevano, a maggior ragione se si voleva rivendicare Fiume, la rinuncia alla Dalmazia; i rivoluzionari e i nazionalisti
rivendicavano il programma massimo
del patto di Londra più Fiume. Le tensioni nella città già evidenti. Duran-
te la gestione di una forza interalleata
sfociarono nell’abbandono delle truppe italiane dopo un’inchiesta su gravi fatti di sangue fra italiani e francesi (che appoggiavano la neonata Jugoslavia). Dopo pochi giorni, Gabriele D’Annunzio, il poeta celebre per il
suo impegno nazionalista in guerra e
nel dopoguerra, guidò una colonna di
soldati italiani disertori a Fiume, rioccupandola insieme a dei volontari fiumani precedentemente inquadrati da
Giovanni Host-Venturi.
Proprio a Fiume si coagularono
dunque tutti quei gruppi, movimenti,
individui che cercavano uno sbocco
pratico all’interventismo: De Ambris
aveva già rivendicato i diritti dell’Italia su Fiume durante un viaggio di
propaganda negli Stati Uniti all’inizio dell’anno. Ora, deciso a non candidarsi nuovamente come deputato, in
difficoltà dal punto di vista sindacale
per l’adesione sempre maggiore degli operai alle forze popolari intravide a Fiume la possibilità di continuare a sperimentare la sua idea di rivoluzione. Arrivato nei primi giorni di
novembre del 1919, fu subito travolto dall’atmosfera eccitata e frizzante
che si respirava nella città quarnerina,
dove i militari vivevano con gioia ed
entusiasmo il loro ruolo di avanguardie delle rivendicazioni italiane, liberi
dalle costrizioni delle gerarchie e della rigida disciplina dell’esercito regolare. Poi accettò la carica che D’Annunzio gli propose di capogabinetto, al posto di un Giovanni Giuriati
Panorama 9
Interviste
che, se era stato punto di riferimento
di ambienti nazionalisti e irredentisti,
non aveva scaldato il cuore dei giovani ufficiali disertori”.
Qual è il rapporto del De Ambris con Fiume e come il sindacalista vive la città e il suo fermento rivoluzionario?
“Dal punto di vista umano, Fiume
per De Ambris rappresentò una vera
scoperta: il magnifico panorama del
golfo, la sincera passione italiana dei
fiumani (ovviamente la parte italiana),
la spregiudicatezza politica dei camerati legionari e, per la prima volta, un
ruolo di vera e propria responsabilità
amministrativa. Il Palazzo del Governo divenne la sua casa, inoltre aveva un elegante ufficio in cui si muoveva,
anzi muoveva il suo pesante corpo,
con disinvoltura. Il taglio dei capelli,
da buona ‘ testa di ferro’, come erano familiarmente chiamate le avanguardie militari, era a zero e della faccia leonina di De Ambris non restava
che il pronunciato pizzetto. La partecipazione alle cerimonie e ai comizi
mettevano sempre alla prova, riscuotendo successo, le doti oratorie del rivoluzionario, capace di suscitare entusiasmi e di modificare opinioni anche fra i temprati arditi; inoltre, anche
in questo caso in maniera inedita, rappresentarono un pubblico e sentito riconoscimento ufficiale, come nel caso
della consegna della medaglia da parte di D’Annunzio.
Le vere e proprie competenze di
De Ambris per un certo verso restarono le stesse già tenute dal suo predecessore. Tenne i rapporti con la cittadinanza locale, soprattutto il Consiglio
nazionale, spesso con nuove tensioni
che riflettevano da un lato la volontà
del sindacalista di avocare a sé diversi
dei poteri amministrativi dall’altro la
pregiudiziale del Consiglio che, composto in gran parte da persone di classi agiate borghesi, temevano le conseguenze sociali e istituzionali del nuovo corso del Comando. Inoltre, guidò le trattative con il governo italiano
che, nonostante gli scambi di accuse
in pubblico, continuavano intense ma
non sempre efficaci, a causa dell’intransigenza di Nitti prima e del pratico
cinismo di Giolitti poi. Per altri versi, la politica di De Ambris segnò una
netta discontinuità: rappresentando la
componente più radicale tra i legionari a Fiume, da subito aveva immagi-
10 Panorama
Ritratto di famiglia: a Fiume. Alceste De Ambris con la moglie Maria e
la figlia Laura (Fondo Guastoni-De Ambris)
nato la possibilità di utilizzare Fiume
e le difficili trattative diplomatiche per
sperimentare nuove istituzioni, che riformassero il governo in senso repubblicano e l’esercito verso quella nazione armata che avrebbe potuto rendere più democratico l’esercito italiano. La sua attenzione, a differenza dei
nazionalisti e degli irredentisti, era infatti rivolta al contagio rivoluzionario che l’esperimento fiumano avrebbe potuto diffondere in Italia. Mentre
alcuni guardavano a Fiume come un
ponte per continuare a destabilizzare
i Balcani (appoggiando anche i movimenti separatisti croati e montenegrini) e puntare sulla Dalmazia, anch’essa contesa e, anzi, apparentemente
perduta, De Ambris e i suoi seguaci
cercarono con costanza di rafforzare
la qualità rivoluzionaria dei legionari,
in vista di un sommovimento interno.
Non è vero, come spesso sostenuto
dalla storiografia, che cercò il contatto
con forze della sinistra rivoluzionaria
come socialisti, anarchici o repubblicani: piuttosto, tenendosi in questo fedele a una visione avanguardista, settaria e volontaristica della rivoluzione, proprio dal nocciolo più duro dei
legionari doveva partire la scintilla
per incendiare la vecchia Italia parlamentare e monarchica”.
Il De Ambris nel capoluogo
quarnerino scrive la Carta del Carnaro...
“La concezione dello Stato di De
Ambris trovò la sua applicazione con
la redazione della cosiddetta Carta del
Carnaro, ossia lo statuto\costituzione
della nuova Reggenza, che dal 12 settembre 1920, a un anno esatto dall’ingresso delle truppe dannunziane, divenne la nuova forma dello Stato libero di Fiume. Oltre alle libertà di stampa, parola, religione, ecc., il voto era
concesso anche alle donne; accanto
al riconoscimento della funzione sociale della proprietà, era prevista una
Camera dei produttori a sancire il primato del lavoro; erano garantite le più
ampie autonomie locali e venivano
introdotte le Corporazioni, come organizzazioni tra produttori. La parola
Repubblica venne evitata per non turbare eccessivamente i militari fedeli
alla monarchia e il Consiglio nazionale, ma l’impianto era innovativo e
recepiva gran parte degli stimoli provenienti dagli ambienti democratici e
sindacali internazionali”.
E il suo il rapporto con D’Annunzio?
“Finita l’avventura di Fiume con
lo sgombero delle forze di D’Annunzio da parte dell’esercito italiano regolare, De Ambris tornò in Italia e
si propose come leader dei legionari
usciti da Fiume. Purtroppo per lui, era
in inarrestabile ascesa il fascismo, che
si tramutò in partito e continuò sempre con maggiore effiacia a utilizzare
le squadre contro il movimento operaio di marca socialista e conquistando
con la forza i poteri locali. La capacità
di attrazione del Partito fascista, passato ormai alla reazione antisocialista,
finanziato da grandi gruppi economi-
Interviste
Da una pagina del diario di De Ambris
I miei polmoni potevano finalmente dilatarsi...
«F
ino al novembre del 1919, io
non avevo avuto l’occasione di conoscere personalmente Gabriele D’Annunzio. A dire il vero,
l’occasione non l’avevo mai cercata, l’avevo anzi evitata le poche
volte che mi s’era presentata. Non
ci tengo molto a fare la corte alle
personalità illustri, e d’altra parte
la vita di D’Annunzio si svolgeva
su un piano lontanissimo dal mio.
Gli atteggiamenti politici del poeta mi parevano ispirati da uno snobismo nazionalista che non poteva
essere di mio gusto, perfino l’arte
di lui non era quella che preferivo.
(...) Ma vennero le elezioni generali del novembre del 1919. Io avevo rifiutato ogni candidatura, più
che per le mie convinzioni antiparlamentari per la nausea che mi suscitava la lotta da un lato con la più
sconcia demagogia “neutralista”, e
dall’altro con l’intenzione non dissimulata di trar profitto dall’interventismo praticato, o almeno predicato, durante la guerra. La nausea mi vinse a tal punto che sentii
il bisogno di cercare un po’ d’aria
respirabile e mi parve che avrei potuto trovarla a Fiume.
In fuga dall’atmosfera
elettorale italiana
Vi andai dunque senza nemmeno intenzione precisa, salvo quella
di sfuggire all’asfissiante atmosfera elettorale italiana.
M’avevano detto che v’era qualche difficoltà a raggiungere Fiume e
difatti dovetti partire truccato da capotreno per attraversare la linea di
blocco. Ma in verità mi parve che
tutto non fosse che una commedia
superflua: la linea di blocco era tenuta da reparti assai più disposti a
favorire l’impresa dannunziana che
ad obbedire agli ordini del Governo di Roma.(...). Una nuova delusione mi attendeva appena giunto
a Fiume. Ero partito dal Regno per
non sentir più parlare di elezioni, di
candidati e d’altrettante cose per me
poco gradevoli, e arrivavo a Fiume
in pieno periodo elettorale. Ignoro anche adesso chi avesse avuto l’idea di far eleggere, in un momento così poco delicato per simili
esercitazioni, un deputato di Fiume
che non avrebbe poi seduto in Parlamento neanche un minuto. Il fatto è che fu presentata la candidatura di Luigi Rizzo, il quale - la sera
stessa del mio arrivo - doveva fare
al Teatro Comunale un discorso agli
elettori. Avevo conosciuto a Grado,
durante la guerra, Luigi Rizzo, audacissimo combattente marinaro, e
la curiosità di vederlo nella ben diversa veste di candidato mi spinse al Teatro Comunale, dove trovai
modo d’alloggiarmi quietamente in
un palchetto contando di poter fare,
una volta tanto, la parte di spettatore ignoto e tranquillo. Da principio
mi divertii assai a guardare un buffo signore corto con baffi a pizzo
biancastri alla Vittorio Emanuele II,
che si agitava molto parlando in un
italiano che ignorava le lettere doppie. Mi dissero che quel personaggio era il dott. Grossich, presidente del Consiglio nazionale fiumano.
Parlò poi Luigi Rizzo che, con mio
grande stupore, mostrò di prender
sul serio la sua candidatura, facendo
un discorso spettacolosamente elettorale in un ambiente che ne era la
negazione. Perché il pubblico delusissimo, composto in buona parte da
legionari, s’interessava assai poco
del programma e delle promesse del
candidato ma cercava invece ansiosamente ogni pretesto per dare sfogo alla sua passione, che non aveva
niente di elettorale.
Un’incandescenza
crescente e contagiosa
Si veniva così formando malgrado gli oratori, uno stato d’animo collettivo, d’una incandescenza crescente e contagiosa, che guadagnava a poco a poco me pure.
Rizzo finì di parlare e io mi stavo alzando per andare a salutarlo
all’uscita, quando da un gruppo di
legionari partì un clamore ripetuto:
“Parli De Ambris! La parola a De
Ambris!” Questo appello mi sorprese fino allo sbigottimento, perché credevo di essere completamente sconosciuto a Fiume, tanto
più che nelle brevi ore trascorse dal
mio arrivo non avevo ancora cercato di avvicinare nessuno. Mi avviai
in fretta fuori dal palco, nella speranza che il calore de’ miei incogniti amici si placasse, evitandomi
così di fare un discorso cui non ero
menomamente preparato. Ma Rizzo - udito il mio nome - balzò velocemente al palchetto dove mi trovavo, mi colse all’uscita e mi trascinò sul palcoscenico, presentandomi al pubblico plaudente come
suo compagno d’armi e amico strenuo della causa fiumana. Fu giocoforza parlare.
Se mai vi fu un discorso improvvisato, nel senso più letterale della
parola, fu il mio di quella sera. Non
avevo neanche avuto il tempo di racapezzare due idee che dovetti abbandonarmi all’ispirazione del momento, o piuttosto lasciarmi trascinare dalla suggestione dell’uditorio
insoddisfatto di chiacchiere elettorali. Che cosa dissi non so e non ha
importanza. È probabile che la mia
parola interpretasse il sentimento
collettivo della folla, che gli oratori precedenti non avevano afferrato.
Il teatro parve diventare subitaneamente il roveto ardente della fede.
Fiume, quale l’avevo presentita da
lontano, era in quella sala tempestosa, agitata da un magnifico impeto passionale che cancellava d’un
tratto le impressioni un po’ meschine dei miei primi momenti fiumani, come il vento oceanico cancella
le labili tracce nella sabbia. Ero venuto a cercare un po’ d’aria respirabile e sentivo il soffio vivificante
dell’Adriatico, carico d’ossigeno,
di sale e di procella. I miei polmoni
potevano finalmente dilatarsi...».
(Tratto da “Alceste De Ambris” Franco Angeli 2011)●
Panorama 11
Interviste
ci, appoggiato nell’esercito, era per i
legionari assai maggiore della debole Federazione nazionale dei legionari, diretta appunto da De Ambris.
L’assenza dell’appoggio di D’Annunzio al progetto di organizzare politicamente gli ex legionari compromise del tutto la scommessa di De Ambris. Proprio in questi anni si rovinò
completamente il rapporto tra il Poeta e il Sindacalista, soprattutto dopo il
fallimento elettorale di De Ambris nel
1921, quando D’Annunzio aveva accreditato con un suo messaggio la sua
candidatura. La luna di miele di Fiume era ormai alle spalle: allora la collaborazione tra i due era stata esemplare: da un lato l’esteta e artista che
sanciva con i suoi interventi la sacralità dell’impresa e la santità di Fiume
italiana, dall’altra la tempra dell’organizzatore sindacalista, che dava sostanza alla costituzione cittadina, guidava il Comando attento ai diritti del
lavoro e pronto a battersi con i poteri economici locali. Adesso, nell’Italia
dilaniata dalla guerra civile, gli sforzi
sintetici dei due erano vanificati dallo
scontro e dall’affermazione della violenza di parte. De Ambris non si arrese e fino alla sua sconfitta continuò ad
attaccare i fascisti a cui rimproverava lo scarso appoggio alla spedizione
fiumana e la loro subalternità ai desideri degli agrari; D’Annunzio si ritirò
nella sua nuova villa a Gardone, ricominciando a scrivere. I suoi interventi
pubblici tentarono di conciliare e pacificare gli animi, senza comprendere l’irriducibilità dello scontro e la necessità di prendere una posizione netta. Così, fallimento dopo fallimento di
ogni ipotesi organizzativa alternativa
al fascismo con al centro la Nazione e
il Lavoro, De Ambris, profondamente deluso, in alcune lettere molto belle
abbandonò D’Annunzio al suo rifugio
solitario e denunciò la sua assenza di
coraggio e di determinazione, ovvero,
in definitiva, il suo rifiuto a essere il
Duce alternativo all’Italia nuova che
stava sgorgando dalla guerra civile”.
E il suo atteggiamento nei confronti del fascismo?
“La marcia su Roma dell’ottobre
del 1922 e la nomina di Mussolini a
primo ministro emarginò progressivamente De Ambris, che fu anche aggredito da un gruppo di fascisti e, paradossi della politica, legionari a Genova. Minacciato e senza prospettive
12 Panorama
decise di espatriare ancora una volta,
scegliendo come destinazione quella
Parigi dove la sua attività professionale in alcune cooperative di lavoratori sembrava propizia. Il suo carattere inquieto e irruento, inevitabilmente portato allo scontro politico, gli impedì di dedicarsi solo al lavoro e alla
sua famiglia. Dopo qualche mese,
pubblicò su un importante periodico
francese il suo punto di vista riguardo al fascismo. La sua interpretazione
era certamente originale, provenendo
da un uomo che il fascismo, in quanto movimento politico, aveva contribuito a fondare, sebbene la sua scarsa simpatia personale per Mussolini
era sempre stata manifesta. Molti dei
massimi esponenti del fascismo vincente erano personali amici e compagni, con cui aveva condiviso anni di
battaglie rivoluzionarie. Del fascismo
salito al potere De Ambris, a differenza degli osservatori democratici, non
ne denunciava la violenza e la demagogia: anzi, lui che la violenza rivoluzionaria aveva sostenuto e che si autodefiniva demagogo (in quanto suscitatore e sobillatore di masse) accusava il
fascismo di aver perduto la sua anima
rivoluzionaria. Non era un problema,
dunque di guerra civile, di morti o feriti, che De Ambris riteneva inevitabile in ogni mutamento rivoluzionario,
quanto piuttosto la direzione di questa
guerra civile. Lo preoccupava il fatto
che il fascismo volgeva alla reazione,
alla difesa di quegli istituti che per tutta la vita aveva combattuto e che pure
il fascismo originario diceva di combattere: monarchia, chiesa, parlamento, privilegi economici. Più che antifascista, De Ambris sembrò sempre
essere un ‘deluso dal fascismo’ (e da
D’Annunzio…), che come movimento politico aveva fallito il vero rinnovamento del paese. Alcuni emissari
di Mussolini, cercarono di avvicinare
De Ambris e proporgli alcuni ruoli di
prestigio nel nuovo regime. Del resto,
gran parte dei militanti confluiti nel
sindacalismo fascista, come molti dei
legionari entrati nelle squadre e nella
milizia, come molti dei dirigenti politici in cima alla nomenklatura del Partito, erano tutti debitori di De Ambris
e ne riconoscevano e apprezzavano il
valore e le qualità.
Il rifiuto di De Ambris di tornare
in Italia, servo di un sistema che disprezzava, fu l’atto che sancì definitivamente il distacco dal fascismo, ricevendo gli insulti e la rabbia soprattutto degli intransigenti come Roberto Farinacci, che vedeva con fastidio
l’opposizione di un leader che tanto
rispetto godeva in una parte rilevante
del fascismo”.
Ad un dato punto c’è una svolta
ideologica... tanto da indurlo a diventare antifascista.
“L’assassinio di Giacomo Matteotti nel giugno 1924 radicalizzò la sua
opposizione totale al regime: la violenza e la demagogia, se accettabili e anzi necessarie in un movimento
rivoluzionario, divenivano fattori di
delitto supremo, di oltraggiosa tirannia, di mero dispotismo quando compiuti da un potere costituito. L’azione
violenta del fascismo era stata esercitata dall’alto, con il massimo senso
dell’impunità e con lo spregio per le
forme più elementari di rapporto tra
governante e suddito, in ogni forma
costituzionale. Così se il fascismo diveniva lo Stato italiano, si assolveva e
non si poneva più limiti, tanto valeva
condannare in blocco tutto il fascismo,
anche quello delle origini. De Ambris
si alleò quindi proprio con quell’antifascismo democratico così diverso,
per temperamento e visione della politica dal suo: si affiliò alla Massoneria, con cui aveva collaborato restandone sempre esterno, e divenne uno
dei dirigenti della Concentrazione antifascista, il massimo organo dei ‘fuorusciti’, come erano chiamati gli oppositori in esilio. Divenne anche il se-
Interviste
gretario della Lega italiana dei diritti
dell’Uomo che, oltre a rivendicare democrazia e libertà in Italia, proteggeva
e tutelava concretamente gli emigranti
e gli esuli dal Regime. L’attitudine al
compromesso e le diatribe trai partiti irritarono ancora una volta De Ambris, che decise di uscire alla Concentrazione e promuovere con pochi amici e compagni un nuovo antifascismo
‘non-conforme’. Il fascismo ritornò a
essere visto con interesse, specie nella
costruzione del suo Stato corporativo
che, per esplicito riconoscimento dei
suoi massimi promotori, si richiamava alla Carta del Carnaro e alle dottrine del sindacalismo. A sessant’anni,
nel dicembre 1934, De Ambris pagò
il conto con gli anni turbolenti della
sua passione politica e un malore lo
colse nella sua casa nel centro della
Francia mentre non mancava di litigare con i suoi compagni sui caratteri
da dare all’antifascismo. Nato in Lunigiana, splendida zona nell’appenni-
Alceste De Ambris (foto custodita
nel Fondo Guastoni-De Ambris)
no tosco-emiliano, cresciuto nel cuore
dell’Italia mazziniana, il sindacalista
morì così fuori da quella terra che nel
movimento operaio prima, in guerra e
a Fiume poi, aveva difeso e valorizzato. Poco amato anche dagli antifascisti per le sue idee originali e il suo carattere vulcanico, la sua memoria non
fu particolarmente coltivata negli anni
a venire. Esiliato dal fascismo e senza
aver partecipato a quella redenzione
nazionale che fu la Resistenza, la sua
stella non brillò neppure nell’Italia repubblicana. Solo a partire dagli anni
’60 iniziò un faticoso recupero della sua memoria, fino al trasporto del-
le sue spoglie proprio in quell’amata
Parma che lo aveva accolto. Eppure,
molte delle sue opere e delle sue idee
si ritrovano in gran parte del dibattito
politico e sindacale dell’Italia del Novecento. Le sue idee sulla centralità
del lavoro e sul ruolo dinamico e creativo del sindacato furono ripresi e approfonditi sia nel corporativismo fascista, che nella struttura costituzionale nuova; così molti dibattiti sull’autonomia e l’unità sindacali, fuori e
al di sopra dei partiti, attraversarono
tutti gli anni ’70 in Italia e in Francia,
quando stretta era diventata la dipendenza del movimento operaio internazionale dall’Unione sovietica. La Carta del Carnaro, infine, prodotto genuino dell’esperienza fiumana divenne
modello di riferimento per studi sul
costituzionalismo moderno e ancora oggi sembrano suggerire possibili
idee per riformare gli Stati e concepire finanche una nuova idea di Europa,
contrapposta a quella burocratica delle banche e della finanza”.
Mi risulta che lei stia lavorando
su un altro libro, sempre dedicato a
studi su Fiume dannunziana?
“Fiume dannunziana è tornata recentemente a interessare diverse generazioni di italiani soprattutto per il
carattere eccezionale ed eccentrico,
che lavori più recenti hanno messo in
luce. Dal punto di vista della ricostruzione storica, alcuni dei lavori più accreditati risalgono ormai a più di quaranta anni fa, con protagonista spesso esclusivo proprio quel D’Annunzio
la cui luce di fatto oscurava tanti altri
protagonisti fondamentali dell’impresa. Orientamenti storiografici più recenti, in particolar modo legati alle re-
ligioni politiche e al rapporto tra rivoluzione e totalitarismo suggerisco peraltro la possibilità di una nuova e più
affascinante interpretazione dell’impresa, legandola al processo di rigenerazione della cultura politica nazionale, di cui i soldati arditi e legionari furono per certi versi avanguardia e
in cui il lavoro e il sindacato giocavano un ruolo fondamentale. La crisi del
sistema liberale italiano trovò a Fiume una evidente manifestazione: non
solo a livello negativo, come spesso
messo in luce, come rifiuto della legalità e della disciplina, ma proprio
come potente laboratorio di un mondo
nuovo che la guerra aveva predisposto e che le nuove generazioni desideravano creare. Un mondo nuovo certo affascinante, ma non privo di quelle
tragiche contraddizioni (compreso il
rapporto difficile con la società civile)
che esploderanno nei sistemi totalitari di pochi anni dopo. Grazie al fondo De Ambris, allo studio di Giuriati,
alle carte dell’Archivio centrale dello Stato e dell’Archivio del vittoriale,
ma, soprattutto, grazie alla disponibilità nell’Archivio di Stato di Fiume del
fondo dei governi provvisori, sto scrivendo proprio di Fiume dannunziana come laboratorio di questo mondo
nuovo: un lavoro che vedrà la luce, mi
auguro, alla fine del 2013. Alla fine mi
sento di ringraziare col cuore proprio
la città e gli amici che mi hanno accolto e aiutato, sperando di venire personalmente a presentare il nuovo lavoro,
così intimamente connesso con la storia più eccezionale e l’anima più suggestiva di questa splendida perla del
mediterraneo, oggi ancora di più porta
fra l’Oriente e l’Europa”. ●
Panorama 13
Guerra sul mare
Discordanti quanto significativi i dettagli del combattimento tra il «Rivoli», il
Due secoli fa la battaglia navale
di Giacomo Scotti
eduta del combattimento delle due divisioni navali
nell’Adriatico francese ed inglese nella notte del 21 venendo lì 22
febbraio 1812 fra il vascello “Rivoli” francese ed il “Vittorioso” inglese
e li rispettivi loro brick, lungit. dieci
miglia in ponente L’ebich delle coste
dell’Istria d’inanzi Pirano:
1. Vascello “Rivoli” francese
2. Vascello “Vittorioso” inglese
3. Brick “Mercurio” italiano
4. Brick “Eridano” e “Mamalucco” datisi alla fuga
Sul vascello imbarcati erano Sig.
Cº Annibale Viscovich, il Sig.Vincenzo Mazzarovich ambi da Perasto
col grado di aspiranti di 2a classe e
che percorsero la via di onori come
videsi la descrizione nell’altergo del
quadro.
Questo testo, scritto in un italiano zoppicante (L’ebich invece di Lebich ovvero Libeccio; come videsi la
= come si vede dalla; nell’altergo = a
tergo) si legge sul retro di un dipinto ad olio su vetro (dimensioni:30 x
35,5 cm) raffigurante la battaglia navale sostenuta nelle acque di Pirano
nella notte tra il 21 e il 22 febbraio
1812 dal vascello francese “Rivoli” contro il vascello inglese “Victorious” e il brigantino “Weasel” pure
inglese. Il quadro, evidentemente fatto dipingere dai due perastini protagonisti della battaglia, si trova nella
chiesa votiva dei marinai della Madonna dello Scalpello (Gospa od
Škrpjela) sull’omonimo isolotto dirimpetto a Perasto nelle Bocche di
Cattaro.
Nella stessa chiesa si conserva un
secondo quadro ad olio, pur esso dipinto su vetro e delle medesime dimensioni del primo, raffigurante unicamente il vascello “Rivoli”. Sul retro di quest’ultimo, sempre in italiano, si legge un testo più lungo, una
sintetica descrizione della battaglia.
Eccola:
“DESCRIZIONE del risultato
del Combattimento seguito fra le
due Divisioni Francese ed Inglese
V
14 Panorama
Battaglia tra la flotta francese e quella inglese di fronte a Pirano, ovvero il
combattimento tra il “Rivoli”, il “Vittorioso” e il “Weasel” nel 1812 (incisione Giovanni Luzzo, conservata dalla famiglia di Jozo Visković a Perasto)
d’inanzi Pirano nella Notte del 21
venendo li 22 Febbrajo dell’Anno
1812. Il Combattimento tra le due
Divisioni Francese ed Inglese nella Notte del 21 venendo li 22 Febbraio 1812 e nel giorno successivo
fu ostinato e di molto sangue. Rimasto solo il Vascello ‘Rivoli’ Francese per la fuga delli Brick ‘Eridano’
Italiano e ‘Mamelucco’ Francese, e
per la sommersione del terzo Brick
‘Mercurio’ che s’incendiò, contro il
vascello ‘Vittorioso’, e Brick ‘Weasel, sostenne con valore il contrasto
per sei ore e venti minuti, ma la perdita di 506 individui fra morti e feriti del suo 53.mo Equipaggio dell’alto Bordo, la rottura dell’Albero di
Contro Mezzana, lo spezzamento di
vari pezzi di grossa artiglieria nella
Batteria bassa da 36, non restando
che sei pezzi di questo calibro atti
alla diffesa, perforato il vascello di
42 bucchi dal livello del mare, ad
un piede e mezzo sotto Acqua, con
sei piedi d’Acqua in stiva, fu forza
inalberrare il Segnale di resa. Non
è perciò che a gravi perdite e danni non che è stato soggetto anche il
Vascello ‘Vittorioso’ inglese, furono
morti, feriti incapaci d’ogni azione,
il numero ascende a 182 individui“.
Con quest’ultima frase, piuttosto oscura, si vuol dire che anche
il vascello nemico subì gravi danni
e perdite, 182 fra morti e feriti. La
“Descrizione” si conclude coon un
encomio per i due Perastini distintisi nella battaglia e fortunatamente
tornati vivi alle loro case nonostante
avessero subito gravi ferite:
“Li due aspiranti (ufficiali) Conte Viscovich e sig.e Mazzarovich,
tutto che gravemente feriti, conservarono sino al termine del Combattimento, (sicchè il) Cap.o Barrè (il
comandante del Rivoli, capitano di
vascello Barres de Sant-Leu, nda)
pello lodevole e valoroso loro condotto (li promosse) al grado di primi cl. Aspiranti (Aspiranti Alfieri di
prima classe), al quale il Ministero
della Guerra lì confermò. Fatti prigionieri, furono dopo tre mesi cambiati sulla parola d’onore, (in) seguito servirno nella squadra di Tolone, il primo sul Vascello ‘Danubio’
ed il secondo sul Vascello (nome illeggibile) sino alla fine della Guerra 1818...”
Guerra sul mare
«Vittorioso» ed il «Weasel»
di Pirano
Della battaglia navale di Pirano,
e più precisamente della vicenda del
“Rivoli” esistono tre descrizioni risalenti all’epoca in cui essa si svolse,
e precisamente due francesi ed una
inglese. Ce lo dice lo storico francese Antoine Bastide nel suo testo
“Naissance et mort du ‘Rivoli’” nella
rivista Neptunia, n. 30, Parigi 1953.
Si ignoravano i due documenti di Perasto dai quali siamo partiti per rievocare quell’episodio, anche su queste
sponde, poco noto.
Nato a Venezia
Dopo aver fatto distruggere l’Arsenale di Venezia nel corso della prima occupazione francese (16 maggio
1798-18 gennaio 1798) prima di consegnare la città agli austriaci che la terranno fino al 1806, Napoleone ordinò
nel 1807 la costruzione di cinque navi
da guerra per la sua flotta adriatica e,
contemporaneamente, la ricostruzione degli squeri, di cui quattro grandi sorsero sull’Isolotto. Dagli scali di
quei cantieri scesero, uno dopo l’altro, i vascelli “Rivoli”, “Lont SaintBernard”, “Montenotte”... Sui rispettivi scali rimasero il vascello “Saturno” ancora in via di allestimento (sarà
distrutto dagli Austriaci nel 1821), e
la chiglia appena posta di una quinta
nave. Il “Rivoli”, armato con 74 cannoni come gli altri della stessa classe,
cominciò ad essere costruito nel 1810.
Pirano in una litografia del 1845
Una volta completato e varato, venne
sollevato su un pontone o bacino galleggiante detto in francese “chameaux“ e in italiano “camello“ (progettato dall’ingegnere militare francese
Jean M. Tupinier) che venne rimorchiato attraverso i canali della laguna il 20 febbraio 1812, raggiungendo quello stesso giorno il mare aperto. L’equipaggio, eccezion fatta per il
comandante ed altri ufficiali francesi,
era composto da 808 giovani marinai
italiani e croati (veneziani, istriani, e
dalmati), tutti alle prime armi, arruolati da pochi mesi.
In quel periodo si era particolarmente intensificata nell’Adriatico la
guerra di corsa tra le forze francesi e
quelle inglesi che fin dal 1807 corseggiavano tra le isole dalmate e lungo
la costa di terraferma fino all’Istria,
spingendosi anche nelle acque di Venezia e di Ancona. Il “Rivoli”, con
l’armamento e l’equipaggio al completo, con munizioni, pezzi di ricambio, viveri ed acqua per sei mesi, raggiunse dapprima il canale di Malamocco, dove fu accolto festosamente,
così come era stato salutato alla partenza dell’Arsenale. Nessuno avrebbe
immaginato che la navigazione alla
quale si accingeva, una volta scivolato dal “camello”, sarebbe stata anche
l’ultima sotto bandiera francese e che
alcune centinaia di giovani marinai
avrebbero trovato la morte nelle acque istriane solo due giorni dopo.
Le due relazioni inglesi e quella francese sulla battaglia divergono
profondamente, al punto che è difficile conoscere la piena verità storica. La descrizione trovata sul retro
dei quadri di Perasto, probabilmente
scritta o dettata dal Conte Annibale
Viscovich, collima con quella francese, e comunque è la testimonianza di uno che a quella battaglia prese
parte in prima persona. Stando a queste fonti ed alle ricerche dello storico
delle Bocche di Cattaro Miro Montani (“Quelques notes sur le ‘Rivoli’
au combat de Pirano” in Neptunia,
nro 60, Paris 1962 e “Pomorska bitka kod Pirana 1812. godine” in Pomorski Zbornik, tomo I, Zara 1963),
il vascello “Rivoli” lasciò il porto di
Malamocco alle ore 20 del 20 febbraio puntando in direzione dell’opposta sponda istriana. In sua compagnia
si mossero tre brigantini: il francese
“Mamelucco” e gli italiani “Mercurio” ed “Eridano”. Sul nome del secondo le fonti non concordano: c’è
chi lo indica col nome di “Jena”.
Il combattimento, la resa
L’uscita in mare aperto delle navi
francesi aveva un unico scopo: verificare la solidità del neocostruito
vascello (navigazione di collaudo)
e contemporaneamente addestrare
l’equipaggio. Si sperava di trascorrere in mare qualche mese, appoggiandosi - nel caso fossero state necessarie riparazioni - ad uno degli arsenali minori della costa istriana direttamente subordinati a quello centrale
di Venezia. Uno di questi si trovava a
Porto Quieto a sud di Cittanova.
Panorama 15
Guerra sul mare
Al Comando francese di Venezia
non erano pervenute informazioni di
una presenza di navi corsare nemiche
in Alto Adriatico. Invece, solo poche
ore dopo la partenza da Malamocco,
il “Rivoli” e le unità della sua scorta
furono attaccate dalle due unità della divisione navale inglese in agguato a dieci miglia ad ovest di Pirano: il
vascello “Victorious” e il brick “Weasel”. Già da alcuni giorni i comandanti delle due navi nemiche erano
stati informati della data esatta della
partenza della squadra italo-francese.
Il brick “Mercurio” fu il primo ad essere colpito e distrutto; l’“Eridano”
(“Jena”) e il “Mamelucco” si allontanarono dal campo di battaglia incalzati per alcune miglia dal “Weasel” che
alla fine rinunciò all’inseguimento
per dare mano forte al “Victorious”.
In soccorso del “Rivoli” rimasto solo
sul campo di battaglia avrebbe potuto
accorrere il vascello “Danae” ancorato nel non lontano porto di Trieste,
ma ciò non avvenne. Allertato dal fragore delle cannonate, il comandante
del “Danae” aveva già posto in allarme l’equipaggio, ma non volle lasciare il porto senza l’autorizzazione del
Comando superiore, autorizzazione
che non giunse perchè ogni tentativo di contattare quel Comando fallì.
Come si apprende dalla Storia di Perasto di Frano Viscovich (edita a Trieste nel 1898) anche il “Danae” fece
una brutta fine: il 5 settembre di quel
1812 saltò in aria proprio nel porto di
Trieste in seguito allo scoppio delle
polveri da sparo nella Santa Barbara
del vascello.
Fin dal primo momento, quindi, il
“Rivoli” era venuto a trovarsi in una
posizione di inferiorità di fronte al
La battaglia di Lissa (1866), il momento decisivo nello scontro delle flotte
austriaca e italiana tra il pirovascello austriaco “Kaiser” e la fregata corazzata “Re di Portogallo” in testa alle navi italiane
nemico. Ciononostante, l’equipaggio
dimostrò forte determinazione e grande coraggio nel sostenere l’impari e
lungo combattimento. La battaglia si
protrasse per l’intera notte e nelle prime ore del mattino. Alle ore 9,30 del
22 febbraio, quando tutti gli ufficiali e
gran parte degli uomini dell’equipaggio erano stati uccisi o feriti, il “Rivoli” fu costretto a inalberare il segnale
della resa, la bandiera bianca.
I rimproveri
di Napoleone
Una decina di giorni dopo la sconfitta, in data 3 marzo, Napoleone
scrisse una lettera al Vicerè d’Italia
e suo figliastro, Eugenio de Beauharnais, rimproverandolo di non aver ordinato al “Rivoli” di prendere il mare
La divisione navale austriaca composta da 13 navi nel porto di Rovigno
(1 giugno 1847)
16 Panorama
sotto la scorta di una fregata e di non
aver fatto esaminare la situazione sul
mare prima della partenza del vascello. Ma ormai nulla poteva arrestare la
caduta verticale della stella napoleonica non soltanto sull’Adriatico.
Nel frattempo si fece la conta delle perdite. Sul “Rivoli”, tra morti e feriti, erano stati messi fuori combattimento 650 uomini (alcune fonti dicono 506); la batteria di bordo era andata distrutta, dei cannoni calibro 36
erano rimasti efficienti soltanto sei; il
vascello era stato perforato in quarantadue punti dalle cannonate nemiche,
colpito sopra e sotto la linea dell’acqua; all’interno della nave l’acqua
aveva raggiunto l’altezza di sei piedi e mezzo. Le perdite inglesi furono relativamente poco significative:
27 morti e 96 feriti sul “Victorious” e
pochi feriti sul “Weasel”.
Il 26 febbraio, scortato dai due
vascelli inglesi, il “Rivoli” arrivò e
gettò le ancore nel Porto San Giorgio dell’isola di Lissa che da alcuni anni era in possesso degli inglesi
e da essi trasformata nella Gibilterra
dell’Adriatico. Riparati alla meglio i
danni, inalberando il vessillo di Albione, senza mutare il nome, il “Rivoli” riprese la navigazione nel quadro della flotta britannica.
Nei primi giorni di marzo lo troviamo nelle acque dell’isola napoletana di Ischia, dove attracca e cattura la nave franco-italiana “Minerva”
con quaranta cannoni.●
Società
Riflessioni su Carlo Maria Martini nel giorno del suo funerale
Per una Chiesa aperta e profetica
di Marino Vocci
G
uardando, il giorno dei funerali nel Duomo di Milano, il libro dell’Evangelario posto sopra alla semplice cassa di legno che
conteneva le spoglie mortali di Padre (così amava farsi chiamare) Carlo
Maria Martini aperto sulla pagina della Resurrezione di Cristo, ho riflettuto
sull’importanza, sulla bellezza, sul significato profondo ed anche rivoluzionario della liturgia della parola. Un libro aperto che per me, come pure per
molti laici come me, ha un forte valore
simbolico e rappresenta un gesto estremo e generoso di pace, fratellanza e soprattutto di speranza.
Quasi all’improvviso un pensiero si è
imposto sugli altri: cosa succede a questa nostra Chiesa cattolica? Un mondo
che il Pastore tedesco doveva riportare all’ordine ed è invece attraversato da
grandi tormenti e profonde lacerazioni
Dove la potente Curia romana è sempre più frequentemente e scompostamente percorsa da intrighi di palazzo
e da vicende giudiziarie. E l’immagine
più immediata e più chiara che mi è venuta in mente è stata quella non di uno
(il povero maggiordomo), ma di diversi enormi corvi neri che volteggiavano pericolosamente nel cielo di Roma,
sfiorando la cupola della Basilica di San
Pietro, sopra le teste di preti, vescovi e
cardinali vestiti elegantemente con abiti talari, ostentatamente firmati. Rappresentanti di quella chiesa/potere che
continua a negare il diritto al sacerdozio delle donne e il matrimonio ai preti
e che, specialmente negli ultimi anni e
in diverse parti del mondo, è scossa da
grossi scandali legati a quelle storiacce
ripugnanti dei preti pedofili. Una chiesa/potere, e siamo approdati in queste
nostre terre, turbata dai comitati d’affari e dalle presunte paternità che vedono coinvolti due tra i più alti esponenti della Curia slovena e dalle polemiche nella Curia croata per il sostanziale “commissariamento/siluramento” di
monsignor Ivan Milovan, della Diocesi
Istriana, in seguito ai fatti legati al contenzioso con i benedettini di Praglia in
merito al Convento di Daila. Ma neppu-
re la Diocesi di Trieste sta molto bene,
anzi! Qui la Curia romana, seguendo
un precisa linea di orientamento politico nella nomina dei nuovi vescovi, che
in questi ultimi anni sceglie quelli in linea con il “nuovo” corso, ha posto al
governo della chiesa locale in sostituzione del lungimirante monsignor Ravignani (messo come il Cardinale Martini in pensione senza alcuna proroga,
non come per altri vescovi e cardinali
“allineati” al nuovo corso, esattamente
al compimento del settantacinquesimo
anno di età) un Vescovo in linea con il
processo di “restaurazione”. Una Trieste che anche grazie a questo, ma anche
purtroppo alla pochezza della sua classe politica e alla presunzione, arroganza, inadeguatezza e scarsa attenzione
al bene comune di molti suoi politici,
vede divisa come non mai la sua Comunità. E non solo quella dei fedeli e
del mondo cattolico.
Pensavo a tutto questo, mentre
guardavo la gente di Milano assistere
all’ultimo viaggio del Pastore, dell’uomo del dialogo, autore della bellissima
lettera/libro “Sto alla porta”. In particolare pensavo al modo entusiasta, intenso e convinto con cui avevo “vissuto”
il mio rapporto con il mondo cattolico.
Quello con la “rivoluzione “ del Concilio vaticano II, il mio rapporto con Padre Balducci, le letture giovanili di riviste Testimonianze, di Aggiornamenti
Sociali e dei testi dei teologi della Liberazione e dei difensori della Chiesa
dei poveri. Guardavo con emozione il
Duomo di quella Milano di Comunione e Liberazione e la sua piazza piena
di gente, dove purtroppo però si notava
l’assenza dei giovani, donne e uomini
commossi e partecipi (al punto da creare un certo imbarazzo alla Curia romana), che rendevano omaggio a questo
grande Pastore che molti, e io ero tra
questi, avrebbero voluto vedere Papa.
Sì avrei tanto voluto vedere Carlo
Maria Martini Papa, proprio Lui che
era stato uno dei grandi elettori di Ratzinger, quel Papa che è ora sempre più
isolato, inascoltato e spesso ignorato.
Avrei voluto vederlo Papa perché rappresentava un segno di speranza per il
futuro. Perché riusciva ad interpreta-
re i sentimenti profondi dell’uomo di
oggi, perché conoscendo il suo pensiero ed il suo animo, avrebbe riportato la
Chiesa alle sue origini. Soprattutto perché sarebbe stato un buon Pastore e un
buon Padre. Perché, ancora, avrebbe
contribuito ad avviare un percorso di
cambiamento, favorendo la collegialità e destrutturando una gerarchia spesso oppressiva e opprimente, esclusiva
ed escludente (per usare termini a me
cari), in una chiesa ossessionata dalla
propria identità e permeata dal dogmatismo assoluto. Una Chiesa che, come
Padre Carlo Maria Martini ha ricordato nella Sua ultima intervista, è indietro
di 200-300 anni. Lui invece credeva in
una Chiesa aperta, profetica e missionaria che deve farsi prossimo, farsi Altro, che dialoga con tutti, ebrei, buddisti, mussulmani, cristiani di altra fede e
anche con i non credenti. Un’altra Chiesa. Quella che guarda ai poveri ed agli
ultimi e che si occupa anche delle questioni “eticamente sensibili”: che è contro il dogmatismo assoluto.Una Chiesa
invece come corpo, come realtà intermedia che cerca di coniugare cristianesimo, illuminismo e modernità e che
costruisce ponti di dialogo, confronto
e scambio tra mondi, culture e religioni diverse. Una Chiesa non alla ricerca
del potere e dei privilegi, che evita il rischio di lodare la povertà. Una Chiesa
come quella vissuta e sognata da Padre
Carlo Maria Martini, che nel momento
dell’ultimo viaggio ha voluto salutarLo
non ricordando il mistero della Resurrezione e della forza e del potere di Cristo nello sconfiggere la morte ma i motivi per cui in moltissimi su questa terra
lo hanno amato.
Grazie fratello Carlo Maria e Ti sia
lieve la terra.●
Panorama 17
La storia oggi
L’Ernesto Guevara de la Serna tra mito e realtà, protagonista della
Che: un avventuriero romantico e
di Fulvio Salimbeni
A
Treppo Grande (Udine) dal
2005 era attivo l’agriturismo
“I Benandanti”, gestito da
Gianni Benasso che l’aveva fatto divenire un vivace centro di vita intellettuale, dove a cadenza più o meno
mensile venivano organizzate conferenze e spettacoli d’alto livello, sempre seguiti da un folto e qualificato
pubblico. Ora, per ragioni personali
dovendo concludere questa riuscita
esperienza, il titolare ha voluto dedicare l’ultima manifestazione alla vicenda di Ernesto Guevara de la Serna, meglio noto come “Il Che”, ritenendo giusto riflettere sull’esperienza
storica d’una delle maggiori personalità del XX secolo, la cui biografia con il tempo ha assunto dimensioni leggendarie, mostrando ancor oggi
sorprendenti tratti d’attualità.
Non è certo casuale che a lui siano state dedicate bellissime canzoni, tre delle quali eseguite durante la
conferenza, e anche film, dall’hollywoodiano Che!, del 1969, con
Omar Sharif e Jack Palance, a I diari della motocicletta, del 2004 - fedele resoconto del giovanile viaggio
in moto attraverso l’America Latina
insieme con un amico che gli fece
scoprire la tragica realtà di miseria
e sfruttamento delle masse popolari, indirizzandolo verso la scelta
dell’impegno militante -, e al Che,
del 2008, in due parti, con Benicio
Del Toro, oltre ad altri di minor valore artistico e storico, ma significativa testimonianza del costante interesse per la sua incredibile vicenda
rivoluzionaria, senza contare i molti documentari a lui dedicati. Ed è
significativo che a occuparsi di lui
siano stati non solo storici, politologi, giornalisti, ma anche scrittori. La
biografia di Pierre Kalfon, Il Che.
Una leggenda del secolo (Feltrinelli), vanta, infatti, una prefazione di
Manuel Vàzquez Montalbàn, mentre quella più ampia e documentata, Senza perdere la tenerezza. Vita
e morte di Ernesto Che Guevara (Il
Saggiatore), è dovuta al romanziere
18 Panorama
Paco Ignacio Taibo II, che ha dotato il volume d’una bibliografia enorme, di 44 pagine tra memorialistica, raccolte di fonti, studi storici e
gli scritti dello stesso Che, in larga
misura tradotti e pubblicati in Italia
subito dopo la morte. Né è da pensare che la sua vicenda abbia attirato l’interesse e l’ammirazione solo
delle sinistre, come immaginabile
data la sua scelta di campo antiimperialista, dal momento che perfino
sul versante opposto essa ha riscosso un’attenzione affatto trascurabile, come provato da Mario La Ferla ne L’altro Che. Ernesto Guevara
mito e simbolo della destra militante (Nuovi Equilibri).
Di fronte a tutto ciò v’è da chiedersi quali siano le ragioni del permanente successo politico di colui che poi è divenuto addirittura
un’icona consumistica - le magliette con la sua immagine -, anche se
una recente indagine tra le giovani
argentine ha rivelato che quasi tutte credevano fosse stato un cantante rocker degli anni Sessanta! La risposta si trova da un lato nella sua
biografia e da un altro nel contesto
mondiale attuale, segnato da una
globalizzazione selvaggia, da squilibri sempre più accentuati tra ricchi e
poveri, dall’asservimento dei diritti
dei cittadini allo strapotere della finanza internazionale e di quella che
già nell’Ottocento veniva definita la
“bancocrazia”.
Egli, infatti, nato in Argentina
nel 1928 in una famiglia benestante,
d’inclinazioni liberal-democratiche
riformiste, si formò negli anni del
governo di Juan Peròn (1946-1955),
connotati da un orientamento politico socialisteggiante e favorevole
alle masse - non è casuale che nel
celebre musical di Madonna, Evita, il Che compaia come voce commentante la vicenda -, all’università,
dopo un anno a Ingegneria, passò a
Medicina, ritenendo così di poter essere più utile ai bisognosi, lavorando anche nei lebbrosari e trattando
i pazienti come esseri umani e non
quali rifiuti della società, rinuncian-
do a una prestigiosa carriera accademica con luminari della disciplina, che ne apprezzavano le qualità e
l’impegno.
Una persona
di vasta cultura
Contrariamente
all’immagine
stereotipata del combattente, affermatasi a livello generale, egli, invece, fu persona di vasta cultura, lettore non solo dei classici dell’economia e del marxismo, ma anche di
testi filosofici e letterari, spaziando
dai grandi autori latino-americani a
Walt Withman, a Rimbaud e ai maggiori poeti e romanzieri francesi e
inglesi dell’Otto e Novecento, convinto dell’importanza dell’istruzione, tant’è vero che durante la guerriglia a Cuba nelle ore libere dai
combattimenti s’impegnava in prima persona a insegnare a leggere e a
scrivere ai suoi miliziani, ritenendo
ciò fondamentale per il loro riscatto umano e per l’affermazione dei
loro diritti, come ha ricordato Dariel
Alarcòn Ramirez, uno dei suoi più
fedeli collaboratori, nell’autobiografico Benigno, l’ultimo compagno
del Che (Baldini Castoldi Dalai). È
La storia oggi
storia del Novecento
vagabondo
di questi anni il già citato viaggio in
motocicletta attraverso l’America
meridionale e centrale, che gli rivelò la tragica realtà delle campagne e
dei loro abitanti. In Guatemala assistette agli ultimi mesi del governo di
Arbenz, un militare riformatore, per
il quale parteggiò, rovesciato da un
colpo di stato finanziato dalla CIA,
spostandosi poi in Messico, dove
entrò in contatto con gli esuli cubani del fallito tentativo insurrezionale
del 1953, appassionandosi alla loro
causa. Rientrato per un breve periodo in Argentina, a metà degli anni
Cinquanta ritornò in Messico, unendosi a Fidel Castro e ai suoi, partecipando all’avventura rivoluzionaria fino al suo pieno successo con
il rovesciamento del regime di Batista e la presa del potere l’1 gennaio 1959. Divenuto uno dei più stretti
collaboratori del Leader màximo, si
trovò a reggere il Ministero dell’Industria, impegnandosi subito per
l’educazione e la formazione professionale dei lavoratori, propugnando anche il lavoro volontario per la
trasformazione economica e sociale
di Cuba, battendosi per l’alfabetizzazione popolare e altresì contro la
burocratizzazione della rivoluzione
e il dogmatismo marxista che i consiglieri sovietici imponevano. Incapace di stare dietro una scrivania e
per allontanarsi da un ambiente che
sentiva sempre più ostile e connotato
da sotterranee lotte di potere - vittima delle quali fu uno degli eroi della rivoluzione, Camilo Cienfuegos,
scomparso misteriosamente durante
un volo di trasferimento nell’isola -,
egli con un pugno di fedelissimi si
trasferì in Africa, per alimentare la
lotta anticoloniale in Congo, sconvolto da lotte tribali e dalle interferenze delle multinazionali belghe,
impegnate a difendere i loro interessi strategici, ma, presto deluso dalla
situazione locale che non offriva gli
sperati sbocchi rivoluzionari e osteggiato dall’URSS della cui politica si
mostrava sempre più critico, ritenendola tutt’altro che veramente socialista, rimpatriò.
Si trattò, però, d’una breve permanenza, perché la lotta anticapitalista pareva aprire un nuovo, promettente fronte in Bolivia, nel cuore
dell’America Latina, le lotte dei cui
minatori aveva già conosciuto in gioventù. Da qui la decisione di tentare
la nuova avventura, quella decisiva e
ultima, che l’ha consegnato alla leggenda, iniziata sul finire del 1966 e
conclusa con la morte nell’ottobre
del 1967. Partito convinto di trovare il terreno favorevole e assicurato dell’appoggio del proprio governo, una volta giunto a destinazione
il Che scoprì una realtà ben diversa, perché il segretario del partito
comunista boliviano gli comunicò
subito che non avrebbe appoggiato
quell’avventura, tra l’altro dirottata dalla regione prevista, favorevole
alla guerriglia, a un’altra ambientalmente e socialmente ostile, poiché i
campesinos erano stati persuasi dalla
propaganda governativa che Guevara e i suoi venivano non a liberarli,
bensì a strappare loro le misere proprietà. Le autorità cubane, inoltre, lo
abbandonarono al suo destino, senza fornirgli i promessi aiuti, né informazioni operative o aiuti per la fuga,
in ciò condizionate pure dalle direttive sovietiche, avverse a quell’impresa, che metteva in discussione i taciti
accordi con gli USA sulle rispettive
aree d’influenza. Così, braccato dai
rangers governativi, il Che, nonostante alcuni fortunati colpi di mano,
finì circondato, catturato e giusti-
ziato dai boliviani contro la volontà
degli USA, che lo avrebbero voluto
vivo anche a scopi propagandistici.
Da quel momento ebbe inizio la
leggenda, molto più reale della realtà, come disse Régis Débray, l’intellettuale francese che ne condivise l’avventura, riuscendo a sopravvivergli e tenendone viva la memoria, che ha trovato nuovo alimento,
dopo la fine della Guerra Fredda,
con il trionfo d’un capitalismo selvaggio, che giustifica in pieno l’impegno militante del Che, espressosi
costantemente in un vero amore per
i popoli oppressi di tutto il mondo e
la loro causa, tanto da essere assunto
come simbolo della loro causa, insieme con il sacerdote colombiano Camilo Torres - che imbracciò le armi,
cadendo nella lotta, per abbattere un
ordine ritenuto ingiusto e dipendente dall’imperialismo nord-americano -, dai cristiani per il socialismo e
dai teologi della liberazione, come
attesta un saggio di Giulio Girardi,
Che Guevara visto da un cristiano.
Il significato etico della sua scelta
rivoluzionaria (Sperling§Kupfer).
Il suo esempio, del resto, ha trovato imitatori così nei sandinisti nicaragueni, riusciti a conquistare il potere, instaurando una regolare democrazia, come nella vicenda zapatista
del subcomandante Marcos, capace
di costringere il governo messicano
a venire a patti con i peones e gli indigeni insorti.
“Hasta siempre Comandante”! ●
Panorama 19
Psicologia
Quali sono i processi mentali che precedono la formazione di un
Credenze e circostanze: come nasc
di Denis Stefan
altri che condividono i loro sistemi
di convinzioni paranoidi.
Le caratteristiche nominate però
n questi giorni abbiamo avuto
non sono di per se stesse una garanzia
modo di sentire o leggere sui medel fatto che colui che le mostra deve
dia la sentenza del processo ad
per forza diventare un estremista fanaAnders Breivik, autore dell’eccidio
tico, ci vuole dell’altro. La costruziodel 22 luglio 2011 che ha provocato
ne di un fanatico è un processo lungo
la morte di 77 persone, in prevalenza
e piuttosto complesso, generalmente
giovani, che si scusa per non aver ampreceduto da un’educazione che enfamazzato ancora… Altresì sono all’ortizza alcune idee politiche o religiose
dine del giorno gli attentati suicidi dei
e che si svolge in un determinato confondamentalisti islamici e le ripetute
testo familiare e sociale. La psicologia
minacce dei cosiddetti “teocon” ameevoluzionista sottolinea il fatto che, e
ricani a coloro che non rispettano gli
ciò è più marcato in età infantile, siainsegnamenti della Bibbia e sono anmo dotati di un istinto all’obbedienza
cora vive nel ricordo tutte le atrocità
che ci risulta utile poiché ci libera dal
che si sono compiute, e purtroppo anpericolo di dover apprendere solo con
cora si compiono in nome di certe pol’esperienza personale, per cui tendiasizioni ideologiche totalitarie.
mo ad obbedire alle persoAvremmo la tendenza
ne di cui ci fidiamo e verso
a dire che gli atti estremi
le quali proviamo affetto,
trovino la loro causa nelin primis ai nostri genitori.
le credenze di coloro che
Non siamo però dotati di
li compiono, ma possiamo
un istinto che ci permetteveramente affermarlo con
rebbe di distinguere i conassoluta certezza? Questa
sigli utili, e quindi obbedinostra tendenza deriva da
re solo a quelli, da quelli
un meccanismo cognitivo
che rappresentano solo un
chiamato errore di attribueffetto placebo, del tipo
zione e che sta ad indicare
“se dirai le preghiere le
che tendiamo ad attribuicose andranno bene”. Si
re le causa delle azioni decrea così, tramite un cergli altri a delle loro caratto tipo di educazione, una
teristiche interne e stabipre-condizione sulla quale
li, quali possono appunto
si innestano poi altri tipi di
essere i sistemi di credencredenze partenti da preze religiose o ideologiche.
Tante ricerche di psicolo- Breivik uno degli ultimi fanatici condannato recentemente giudizi che possono avere degli elementi di plaugia sociale ci hanno invece mostrato che certe circostanze pos- ma delle idee negative preconcette, sibilità, che facilmente li trasformano
sono portare anche degli individui che che sono in genere non proprio com- in certezze. Se l’individuo, immerso
non hanno delle credenze ideologiche pletamente implausibili, riguardo a nel suo ambiente sociale, ha acquisio religiose di tipo totalitario a compie- persone o situazioni con cui vengo- to delle credenze ideologiche o relire degli atti di estrema crudeltà. Allora no in contatto, attribuendo agli altri giose che tendenzialmente possono
come la mettiamo? Sono le credenze intenzioni malvagie. Possono mo- indurre l’estremismo, e si è convinto
o piuttosto le circostanze a creare un strare fantasie grandiose irrealisti- che sia in corso una specie di guerra
fanatico, disposto anche ad immolare che sottilmente nascoste e tendono cosmica in cui il nemico è colui che
la propria vita pur di affermare l’as- ad elaborare stereotipi negativi degli non condivide queste certezze, si deve
soluta verità e bontà delle sue creden- altri, particolarmente di coloro che innescare un meccanismo mentale di
ze? Per gli psicologi è interessante ve- appartengono a gruppi di popola- delegittimazione del “nemico” chiadere quali sono i processi mentali che zione distinti dal proprio. Attratti da mato disumanizzazione dell’avversaprecedono la formazione di un fanati- concezioni semplicistiche del mon- rio, detto con un termine più forte anco, se ci sono delle caratteristiche del do, sono spesso cauti nelle situazio- che “satanizzazione” (di cui ho parlasingolo che lo rendono più propenso ni ambigue. Possono fondare “culti” to negli articoli dedicati al disimpegno
a compiere atti estremi e quali sono le o gruppi strettamente aggregati con morale) che è presente spesso anche
I
20 Panorama
circostanze dell’ambiente sociale che
favoriscono il fanatismo e l’estremismo.
Andiamo con ordine, innanzitutto
gli estremisti generalmente mostrano di non differenziarsi dalla maggioranza della popolazione per quello che concerne le loro potenzialità
intellettive, salvo mostrare forse una
tendenza al pensiero rigido, tendente
a formare facilmente degli stereotipi
particolarmente tenaci. Dall’aspetto
personologico alcuni di essi possono mostrare tendenze simili ai sintomi dei distubi della personalità di
tipo paranoide intesi come tendenza
a sentirsi continuamente minacciati
da qualcuno. Gli individui con questo disturbo ricercano una confer-
Psicologia
simile individuo
e un fanatico
in forme non marcatamente aggressive e contrappone il gruppo di appartenenza (ingroup) agli altri gruppi (outgroup) e di cui la satanizzazione è la
forma più estrema e violenta. La satanizzazione avviene in diverse fasi: crisi di fiducia in un dato potere istituzionale, conflitto di legittimità tra potere
istituzionale e gruppo di appartenenza e in fine una crisi totale di legittimità del potere ufficiale che finisce per
autorizzare qualunque tipo di atrocità.
A questo punto ci vuole qualcosa che
rinforzi e mantenga, nella mente del
fanatico, le idee estreme e la prontezza a compiere azioni estreme. Il qualcosa si trova nel cosiddetto “rinforzo
simbolico” (symbolic empowerment).
L’attivazione di questo processo procede anch’essa per fasi la cui presa di
coscienza fa da rinforzo alle “supercredenze fanatiche”. Si potrebbero descrivere tali fasi nel modo seguente:
1) Riscontri reali ed argomentabili,
seppur non dimostrabili che innescano pensieri del tipo: “Il mondo va a
rotoli; la corruzione e la secolarizzazione e liberalizzazione della società
corrompono i sacrosanti valori della
fede religiosa o politica. A questo ho il
dovere di reagire anche con il sacrificio personale”.
2) Impossibilità di alternative: “I
metodi di protesta non violenti (petizioni, manifestazioni pacificha, elezioni politiche, ecc.) sono inefficaci, coloro che li mettono in atto sono sostanzialmente dei codardi e non c’è alternativa all’azione violenta”.
3) Satanizzazione e guerra cosmica- alimentati da “capi” e da media
intrisi di fanatismo.
4) Azioni simboliche di rinforzo:
esaltazione degli atti di terrorismo in
cui i terroristi vengono trasformati in
martiri ed il tutto viene enfatizzato dai
media
La motivazione è ciò che dà il via
ad un processo lungo e complesso: il
terrorismo, il fondamentalismo religioso, anche non estremo, e la sub-cultura dal cui interno esso nasce e si sviluppa, possiedono profondissime radici motivazionali in grado di alimentarli in misura massiccia ed inconsueta.
Le Torri gemelle distrutte dai fondamentalisti islamici
Purtroppo, il fanatismo non è stato ben colto nei suoi risvolti psicologici profondi ed estremi: esso va inteso
quale totale dedizione alla causa, con
annullamento della persona individuale a vantaggio dell’ideale collettivo e
ultraterreno. A questo punto, per il fanatico, il “reale” si rivela ben misera
cosa a confronto con l’“ideale”, il “terreno” si rivela ben misera cosa a confronto con l’“ultraterreno”; la morte in
effetti porta all’immortalità, quindi non
c’è nemmeno sofferenza nel cercare la
propria morte. Colui che si identifica
nel terrorismo “assoluto-giusto-illimitato-infinito” non prova nessun rispetto per le vittime, nessun rispetto per
se stesso. Non è impossibile, a questo
punto, capire come si possa giungere
a personalità solo apparentemente così
“strane”: menti chiuse, cuori induriti,
sentimenti azzerati. Tuttavia, si tratta
pur sempre di una dimensione etica:
per quanto negativa e talvolta malata,
è in ogni caso una “morale” realmente esistente, e non la si può ignorare.
Anche per questo, bisogna considerare
che, al di là dei terroristi e dei fanatici, larghe parti “normali” della popolazione mondiale possiedono etiche differenti da quella prevalente.
La maggior parte di noi, che ha
avuto un’educazione moderata e che è
favorevole allo sviluppo di una società
aperta e democratica, è riluttante ad accettare che ciò sia possibile, ma non ci
troviamo forse in delle situazioni paradossali in cui sosteniamo che la libertà e la vita umana sono sacrosante, ma
poi, né più né meno di come fanno gli
estremisti glorifichiamo persone che si
sono immolate per la loro “fede” e le
loro “idee”? Non ci ritroviamo quotidianamente a pontificare su ciò che è
bene e ciò che è male, su ciò che è una
“giusta causa” basandoci soltanto su
dei nostri sistemi di credenze, ritenute
verità assolute e che quindi assumono
il ruolo di “supercredenze”?
È possibile trovare una soluzione in
una società liberale e pluralista, in cui
si trovano a convivere portatori di tendenze estreme con coloro che non condividono le loro “supercredenze”? Certo, i casi di atti violenti, come il pluriomicidio di Breivik o l’attacco alle torri
gemelle ci rimangono impressi e creano paura per la loro imprevedibilità e
crudeltà estrema, ma vi sono anche altri modi, meno evidenti, in cui l’estremismo risulta dannoso per lo sviluppo
di una società libera tendente ad allargare al massimo le libertà individuali.
Sono i casi in cui la democraticità viene confusa con il concetto di “dittatura
della maggioranza” che finisce per limitare le libertà individuali in nome di
credenze condivise dalla maggioranza
delle persone, ma che non hanno fondamenti razionali.
Quale potrebbe essere una soluzione? Forse il graduale spostamento,
peraltro in corso nelle società laiche,
delle supercredenze dello “credere in”
alla sfera del privato del “credere che”
e la creazione di un ambiente educativo sempre più pluralista e meno dottrinario in senso etico. ●
Panorama 21
Cinema
Oggi esistono rassegne sulle minoranze che si svolgono nei luoghi
Le cinematografie che stanno usc
di Alessandro Michelucci
partire dagli anni Settanta del
secolo scorso i problemi delle minoranze e dei popoli indigeni hanno cominciato a guadagnare una visibilità che fino a poco tempo prima sembrava impensabile. Il fenomeno è partito in sordina, ma sono
bastati pochi anni perché si affermasse. Anche l’Europa, in seguito al crollo dell’URSS e della Jugoslavia, è stata
investita da questo fenomeno. Questo
interesse non si è manifestato soltanto
in campo politico, ma anche nel mondo
cinematografico. Il fenomeno include
da una parte l’affermarsi di cinematografie regionali e dall’altra il rinnovato
interesse che il cinema tout court dimostra per questi temi.
Anche limitandoci all’Europa,
oggi esistono rassegne che si svolgono nei luoghi più diversi, dalla Corsica alla Scandinavia, grazie alle quali
A
La bella cittadina bretone di Douarnenez dove si è tenuto il festival
certe cinematografie stanno uscendo
dalla marginalità dando spazio a temi
a lungo trascurati. Si tratta di una novità importante: se prima i problemi
Le autonomie spagnole
a Costituzione spagnola, entrata in vigore il 29 dicembre 1978, riconosce larga autonomia alle tre minoranze storiche - Baschi, Catalani e Galleghi - che la dittatura franchista ha represso duramente. Non
solo, ma oggi la Spagna si presenta come il paese dell’Unione europea
che più di ogni altro è riuscito a garantire una tutela effettiva delle proprie minoranze. I tre popoli suddetti costituiscono complessivamente il
29 p.c. della popolazione totale, che oggi raggiunge i quaranta milioni.
La carta costituzionale spagnola fa esplicito riferimento ai “popoli di
Spagna” e proclama la volontà di proteggere “le loro culture e tradizioni,
le lingue e le istituzioni”. Lo stato, che viene definito “indivisibile”, garantisce l’autonomia delle regioni e delle nazionalità che ne fanno parte.
Le 17 regioni (comunidades autonomas) istituite nel 1983, divise a loro
volta in 52 province, godono di ampi poteri locali, tanto da avvicinare la
Spagna a una federazione. Lo stato garantisce la realizzazione del principio di solidarietà, fissato dall’art. 2 della Costituzione, in modo da evitare
lo squilibrio economico fra le varie regioni.
La minoranza più numerosa della Spagna è quella catalana, che raggiunge i sette milioni. In altre parole, l’equivalente di un paese come la
Svizzera. A questa potenza numerica si aggiunge il fatto che la Catalogna
è la regione più ricca della Spagna. La città più importante, Barcellona, è
una metropoli di respiro europeo e di grande vivacità culturale.
Le tre minoranze suddette possono rivendicare molti talenti che vengono genericamente considerati spagnoli, fra i quali i catalani Salvador
Dalì e Montserrat Caballé, il filosofo basco Fernardo Savater e il musicista gallego Carlos Núñez.●
L
22 Panorama
delle minoranze restavano confinati ai
cineforum, negli ultimi anni abbiamo
potuto vedere film come “Il vento fa il
suo giro”, “La masseria delle allodole” e “Sonetàula”. Il fenomeno è stato
confermato dai libri sul cinema basco,
sardo e gallese, tanto per fare qualche
esempio, che sono stati pubblicati recentemente. L’associazionismo direttamente legato alle minoranze non poteva rimanere inattivo. Lo dimostrano
iniziative come la Mostra del cinema
friulano, che poi si è trasformato in
una rassegna europea, e lo European
Minority Film Festival, la cui quarta
Cinema
più diversi, dalla Corsica alla Scandinavia
endo dalla marginalità
Place Jour piena di gente
edizione si svolgerà a Husum (Germania) dal 22 al 24 novembre.
La grande festa
della diversità culturale
Fra i tanti festival cinematografici
dedicati alle minoranze, quello che si
svolge ogni anno a Douarnenez, cittadina bretone situata sul’Atlantico, è sicuramente uno dei più appetibili e più
longevi. Il Gouel ar Filmou, questo
il nome in lingua bretone, è nato nel
1978 per iniziativa di alcuni cinefili
locali, all’epoca impegnati nelle lotte
popolari contro la centrale nucleare di
Plogoff. Il suo obiettivo era semplice
ma ambizioso: proporre un panorama
di opere dedicate ai problemi delle minoranze che rifiutasse al tempo stesso
l’approccio didattico-antropologico e
quello umanitario.
Fra gli animatori del festival spicca
Erwan Moalic, che oltre a essere uno
dei fondatori lo ha diretto fino al 2010,
quando è stato sostituito da Éric Prémel. Moalic e gli altri membri dell’associazione Daoulagad Breizh non sono
soltanto difensori appassionati delle
minoranze, ma anche profondi conoscitori del cinema in quanto tale. Anno
dopo anno, combinando queste due
caratteristiche, hanno dato vita a un festival che affianca opere ignote a film
che che sono stati distribuiti nel nor-
male circuito cinematografico. Con gli
anni l’iniziativa è cresciuta costruendo
un mosaico socioculturale di grande
valore nel quale si sono succeduti i popoli minoritari più diversi: dai Gallesi
(1998) ai Maori della Nuova Zelanda
(2001), dagli Indiani del Nordamerica
(1979) alle minoranze d’Italia (2000).
Talvolta, invece, gli organizzatori hanno optato per temi di grande attualità,
come la globalizzazione (2002) e le
migrazioni (1996).
Col passare del tempo il festival è
diventato una realtà sempre più prestigiosa e rilevante, ottenendo così il
sostegno di numerose amministrazioni e banche locali. Il festival di Douarnenez non si esaurisce con la manifestazione estiva che porta questo nome,
ma continua con vari programmi che
si svolgono durante il resto dell’anno.
Grazie al tessuto associativo che si è
consolidato vengono organizzate proiezioni, conferenze e altre iniziative legate al cinema.
Suoni e colori
di tutte le Spagne
La trentacinquesima edizione, che
si è svolta dal 17 al 24 agosto, era dedicata alle tre minoranze storiche della
Spagna: Baschi, Catalani e Galleghi.
Per l’occasione i 280 volontari avevano creato uno scenario nel quale si al-
ternavano il flamenco e la paella, l’architettura di Gaudì e le opere dell’artista Sam3, autore del manifesto ufficiale. Oltre alle proiezioni - settanta opere
fra film, documentari e cortometraggi
- il pubblico ha potuto assistere a dibattiti con attori, giornalisti, produttori, registi e altri esperti della materia.
Il panorama culturale offerto dagli organizzatori non era limitato ai tre popoli minoritari suddetti, ma includeva
opere di Almodóvar, Arrabal, Bunuel
e molti altri artisti. Infine, una sezione
era dedicata a registi stranieri che hanno raccontato la Spagna, dall’Olanda
(Joris Ivens) alla Gran Bretagna (Ken
Loach), senza dimenticare il Messico
(Guillermo Del Toro).
Come si vede il festival si oppone alla ghettizzazione delle minoranze, ma le considera giustamente come
colori di una tavolozza che non avrebbe senso senza di loro. Un messaggio
prezioso in questi tempi dove molti
di coloro che rivendicano la propria
identità rifiutano di riconoscere quella altrui. La specificità regionale, insomma, viene sottolineata con forza,
ma inserendola in un contesto internazionale che la separava nettamente da
certi etnicismi cupi e pericolosi.
Se le proiezioni relative ai popoli scelti costituivano la parte principale del festival, al tempo stesso il programma includeva numerose sezioni
dedicate ad altri temi: film sui sordi,
sugli omosessuali e una stimolante selezione dei film realizzati in Bretagna
nell’ultimo anno.●
Panorama 23
Cinema e dintorni
Theo Angelopoulos è morto a 77 anni sul lavoro
Manoel De Oliveira ha oggi 104 anni
Theo Angelopulos si è spento da poco, Manoel De Oliveira ha
Per un maestro che se ne va, uno
di Gianfranco Sodomaco
L’
abbiamo visto l’altra volta, il
grande Theo Angelopoulos è
morto a 77 anni (1935-2012)
sul lavoro. Ebbene, il grande portoghese Manoel De Oliveira ha oggi 104
anni e quando ha girato “Singolarità di
una ragazza bionda”, il primo film di
cui parleremo oggi, nel 2009, ne aveva già più di cento: così è la vita, così
è la storia del cinema. Difficile definire l’arte di Oliveira: possiamo cominciare col dire che ha fatto, dal 1942 ad
oggi, ventisei film di cui alcuni memorabili: “Francisca” (1981), “Viaggio
all’inizio del mondo” (1997), “Il principio dell’incertezza” (2002) ecc., che
ha vinto una trentina di premi in mezzo mondo e che ha ottenuto due Leoni
d’Oro alla carriera a Venezia e una Palma d’Oro alla carriera a Cannes. Può
essere utile, per partire, questa sua frase: “Il teatro è un’arte ma il cinema non
è altro che un mezzo per fissare ciò che
si recita davanti alla macchina da presa”. Dunque un “teatro filmato”? Neanche per sogno, perché non è detto che
ciò che si recita davanti alla macchina da presa sia, di necessità, “teatro”.
Insomma, il rapporto con il teatro c’è
ma, conta quel ma, il cinema è un’altra
cosa. Ebbene, Singolarità di una ragazza bionda, uscito in piena estate e
quindi visto da pochissimi, può essere
letto in questa chiave.
La storia. E la storia (che si rifà a
un racconto di fine ottocento) è narrata, fin dall’inizio, con toni dolen-
24 Panorama
ti, dal giovane Macario ad una donna estranea incontrata su un treno in
corsa. Inizio del flashback: contabile
presso lo zio Francisco, dalla finestra
dell’ufficio un giorno Macario vede
la bella Luisa (tutti attori portoghesi
a noi sconosciuti) affacciata alla finestra di fronte. Muovendo lentamente
un piccolo ventaglio cinese, la ragazza avanza e insieme si ritrae, si mostra
e insieme non si mostra. Macario se
ne innamora, subito ricambiato. Ma lo
zio Francisco si oppone alle nozze e
il giovanotto è costretto a cercarsi un
nuovo lavoro. All’isola di Capo Verde
c’è bisogno di un contabile deciso ed
energico e Macario, per amore, parte. Quando torna (il montaggio è tagliente, secco, le inquadrature quasi
sempre fisse) Macario ottiene l’assenso dello zio (Oliveira mantiene questa
mentalità/cornice ottocentesca nonostante la vicenda sia stata trasposta al
giorno d’oggi), inizia subito a preparare le nozze e va, con Luisa, a comprare gli anelli. Ma è qui che la ragazza mostra la sua “singolarità”, da subito, immediata (il film dura 65 minuti):
Luisa è una ladra, una cleptomane e
il commesso della gioielleria subito se
ne accorge. Fine del sogno di Macario, che scaccia, repentino, Luisa: fine
di un amore.
Caro Manoel, cosa ci vuoi dire,
oggi, con questa, diciamo la verità,
“storiellina”? Attraverso il classico
“racconto morale”, che ieri (Ottocento) come oggi, c’è poco da farsi illusioni, non bastano i buoni sentimen-
La locandina del film “Il principio
dell’incertezza” che ha vinto una
trentina di premi in mezzo mondo
e che ha ottenuto due Leoni d’Oro
alla carriera a Venezia e una Palma d’Oro alla carriera a Cannes
ti, la forbita eleganza (il ventaglio),
il romanticismo della (piccola) borghesia, dietro v’è sempre la sorpresa, e che dunque l’idealizzazione non
è mai stata una buona maestra; non
solo, simbolicamente, che il suo Portogallo, apparentemente proiettato nel
futuro, è ancora quello di una volta e
non sarà facile liberarsi della sua vecchia cultura. Insomma, quasi un lascito, un’eredità che Oliveira vuole
lasciare ai suoi connazionali e a noi,
Oliveira che ha già girato un altro film
Cinema e dintorni
Il giovane e promettente regista emiliano Marco Righi
Una scena delfilm “Francisca “ di Oliveira
oggi 104 anni e il giovane Marco Righi comincia la sua carriera
che rimane e uno che sta nascendo
che si potrà vedere solo dopo la sua
morte... Un maestro, senza aggettivi.
E adesso, dal Portogallo andiamo
in... Emilia! E in Emilia, in questo momento “percossa” dal terremoto, terra generosa di tutto, di cantanti e rivoluzionari (ma anche fascisti), di buoni
vini e buoni cibi, di scrittori e cinematografari (a partire dal padre del neorealismo, Cesare Zavattini), un giovanissimo regista, Marco Righi, bolognese,
ha girato il suo primo lungometraggio:
I giorni della vendemmia, con protagonista un altrettanto giovane esordiente,
Marco D’Agostin.
Perché lo segnalo, tra tante “opere prime” che, fortunatamente, d’estate, circolano e tra tante che andranno alla Mostra di Venezia? Perché ha
qualcosa che mi tocca nel profondo, e
cioè un momento storico che ho vissuto intensamente e che segna un passaggio da cui, drammaticamente, non
si torna indietro. Il film si svolge infatti, non a caso, nel 1984, l’anno in cui
è morto Enrico Berlinguer. Ed Enrico
Berlinguer è il mito del padre del protagonista del film, l’adolescente Elia,
chiamato così per volontà della madre:
fosse stato il padre a decidere si sarebbe chiamato Palmiro o, appunto, Enrico. Capito l’ambiente che fa da sfondo
alla storia? Ma sì, la classica famiglia
emiliana cattocomunista dove, per decenni, le due ideologie sono convissute
(Peppone e Don Camillo...) combattendosi ma anche rispettandosi. Roba veramente d’altri tempi. Ebbene, in questo
ambiente, Elia inizia a crescere, ad uscire dal torpore della sua pubertà quando
Il grande regista portoghese Manoel De Oliveira quando ha girato “Singolarità di una ragazza bionda” aveva 101 anni
arriva, per aiutare a fare la vendemmia,
ma proprio la ragazza chiamata Emilia,
con le sue labbra più mature dell’uva
da raccogliere. Elia dimentica subito la
cartolina, che conserva come una reliquia, arrivata da Cesenatico e inviatagli da una coetanea che non è neanche
riuscito a baciare. Elia la smette di masturbarsi con la calma e la rassegnazione che fa un tutt’uno con quel paesaggio. Con Emilia è tutta un’altra cosa, è
lei a condurre il gioco e lui, finalmente, irretito, si lascia andare e chiude con
l’età dell’innocenza. Ma la botta di vita
dura poco. Arriva il fratello che (erano
i tempi) fa l’hippy girovago per l’Europa e si scopre che il primo, vero “moroso” di Emilia è stato... proprio lui,
il fratello. Emilia non sceglie, lascia,
Elia lascia fare, non vuole contendere, litigare col fratello, è troppo semplice per lui tornare alla “sonnolenta”
vita di sempre, tornare in campagna tra
i vigneti ormai tagliati, nudi. E l’ultima
scena, disperante, è per lui che, seminudo, balla da solo al ritmo del vinile
rock del fratello.
Certo, nulla di nuovo sul piano dei
contenuti, ancora una volta l’iniziazione
alla vita di un giovane di provincia, ma
lo stile, l’“aria” che si respira nel film ricorda certo Bertolucci e certo Bellocchio
che, non a caso, hanno attraversato e filmato le stesse “contrade”. Un piccolo
film ma equilibrato, condotto con mano
sicura, che sa riempire lo schermo. Marco Righi, più che una promessa.
E adesso dall’Emilia andiamo, finalmente, a Venezia.●
Panorama 25
Arte
Alla galleria Adris di Rovigno la mostra di Vilko Gecan, importante nome del
Un pittore e viaggiatore anche attra
di Erna Toncinich
S
e la scorsa primavera la galleria
Adris di Rovigno ha ospitato la
personale di Oskar Hermann,
grande protagonista dell’arte croata
moderna, l’autunno porta nello stesso spazio espositivo un altro importante nome della pittura croata moderna, Vilko Gecan. Ambedue le mostre sono state organizzate dall’Adris
grup con sede nella cittadina istriana
e curate dallo storico e critico d’arte
zagabrese Igor Zidić.
Quasi coetanei, Herman e Gecan, tutti e due allievi della monacense Accademia di Belle Arti - dalla quale Herman esce con il diploma
P
mentre Gecan la frequenta un solo
anno -, devono la loro formazione
attraverso esperienze condotte direttamente in più luoghi, oltre che a
Monaco di Baviera, dove Gecan ha
contatti con i protagonisti della cosiddetta “scuola croata monacense”
formata da Račić, Kraljević, Becić
e dallo stesso Herman che però percorre una via diversa da quella degli
altri tre pittori croati. Gecan subirà l‘influenza di questa scuola oltre
che, come lo stesso Herman, quella di altri pittori operanti nel capoluogo bavarese, portatori di nuovi
linguaggi, da essi fruiti e tradotti in
modo proprio, personale.
Herman vivrà a lungo - nasce nel
1886 e muore quasi centenario -,
ben diverso, tragico, è il destino di
Gecan che morirà ottantenne ma il
suo ciclo creativo sarà molto breve,
di soli sedici anni, colpito com’è dal
morbo di Parkinson.
Gecan, come del resto Herman,
cambia spesso residenza - Zagabria, Monaco, Berlino, Praga, Parigi
ensieri di Oskar Herman estrapolati dall’intervista concessa allo
storico e critico d’arte nonché curatore della mostra allestita a Rovigno, Igor Zidić:
Quello che conta è l’ unicità... Tutti i quadri nei quali i particolari
prevalgono sull’ unicità non sono buoni. Se il frammento è migliore della
sua totalità - il quadro non esiste più.
Con gli anni mi piace sempre di più il fisicismo del mio lavoro. È strano che i miei quadri - mentre gli anni lasciano le loro tracce ed io ho
sempre meno forza - mostrino sempre più energia...
Prima, mentre dipingevo la casa, pensavo al comignolo, alla porta,
alle finestre, mentre adesso sottolineo, velocemente e sommariamente,
solo l’ idea della casa. Il monte, l’ albero, la nuvola - è tutto uguale.
Ho fatto quello che ho potuto. Ho scelto questa strada invece di un’ altra. Il mio cammino era già definito da colui che mi ha creato.●
26 Panorama
(dove lo affascina la pittura impressionista), New York, Chicago (nel
continente americano lascia diverse pitture decorative), in Sicilia, da
prigioniero di guerra, dove realizza
numerosi disegni poi raccolti nella cartella Schiavitù in Sicilia - questi e altri ancora sono i luoghi in cui
il pittore croato, “pittore viaggiatore” e “viaggiatore” anche attraverso gli stili (così lo ha definito Zvonko Maković, storico dell’arte croato, il cui dottorato verte sull’opera
dell’artista) ha soggiornato, più o
meno a lungo.
Influenzato inizialmente soprattutto da Kraljević, Gecan si cimenta
nell’espressionismo - e sarà uno dei
portatori di questa tendenza in Croazia -, nel cubismo, nel realismo magico per realizzare infine opere permeate di un colorismo intimo.
Dei poco più di tre lustri di attività Gecan ha lasciato dipinti, disegni,
litografie e decorazioni su vetro.
La mostra, da visitare per conoscere un pittore che ha svolto un importante ruolo nella nascita dell’arte croata moderna, è aperta sino al
prossimo 28 ottobre.
Pola invece, nel locale Museo di
Arte Contemporanea, ha presentato,
ma solo per pochi giorni, nell’ambito dell’annuale manifestazione della
cultura ebraica Bejahad, una mostra
di Oskar Herman (che propone più
opere di quella allestita la scorsa primavera a Rovigno). Quaranta dipin-
Arte
la pittura croata moderna
verso gli stili
ti, prestiti della Galleria Klovićevi
dvori di Zagabria, raccontano il percorso di questo pittore zagabrese di
origine ebraica, viaggiatore - soggiorna a Parigi e a Berlino e più a
lungo a Monaco di Baviera, durante
la Seconda guerra mondiale per due
anni nel campo profughi di Ferramonti Tarsia in Italia.
Operano nell’ambito
del romanticismo
Herman, come Gecan, è un pittore che viaggia anche negli “stili”, opera nell’ambito del romanticismo, del simbolismo; si appassiona, è fervido ammiratore dell’opera
del tedesco Hans von Marées, pittore di composizioni monumentali dal
significato filosofico, in quel tempo
attivo a Monaco. La pittura di Herman, conosciuta e studiata l’opera
del von Marées, cambia.
Alcune opere del primo decennio
del Novecento già mostrano chiaramente che d’ora in avanti nella pittura hermaniana il colore dominerà sul
disegno. Colorista eccezionale, non
grande disegnatore, è con il colore
che Herman “disegna” la forma. Os-
serva a proposito lo storico dell’arte Zidić: “...Perché le virtù di Herman non dovrebbero misurarsi con
le virtù di coloro che, durante lo studio, erano dei disegnatori migliori di
lui?”
Figure femminili e maschili, singole o in coppia, ma anche paesaggi,
il pittore li costruisce con lunghe e
forti pennellate di colore più o meno
intenso, veemente, con tratti sicuri
esegue sintetici insiemi non scevri di
una nota espressionistica.
Nel 2006, dodici anni dopo la
morte dell’artista, i Klovićevi dvo-
ri hanno ospitato una grande mostra retrospettiva di Oskar Herman,
e Zdenko Rus, ottimo conoscitore
dell’opera hermaniana, ha scritto nel
catalogo della stessa: “La sua opera
è stata analizzata, tutti gli enigmi, i
dubbi, le continuità e discontinuità
sono stati trattati, spiegati e risolti e
le ingiustizie sono state corrette e superate. Herman è un libro aperto che
si legge con molta facilità”. ●
In queste pagine alcune opere di
Oskar Herman e di Vilko Gecan,
due pittori protagonisti dell’arte
croata moderna
Panorama 27
Reportage
Il Festival storico Giostra da sei anni è diventato un prodotto turistico
Parenzo barocca per tre giorni
testo e foto di Ardea Velikonja
U
n tuffo nella storia, si potrebbe chiamare così la rievocazione storica Giostra che si svolge
a Parenzo da sei anni nel mese di settembre. La città si veste di “barocco”
con nobildonne e nobiluomini in costumi d’epoca che affollanno le vie, specie la principalissima Decumana, creando un’atmosfera particolare. Il Festival storico, come viene comunemente
chiamato, è cresciuto in fatto di contenuti di anno in anno aggiungendo manifestazioni varie, il tutto per attirare
quanto più visitatori e riempire le giornate settembrine dei numerosi turisti
che soggiornano ancora sulla penisola istriana. E il tutto si è mostrato veramente azzeccato tanto che la tribuna
allestita per assistere al torneo cavalleresco, che da quattro anni a questa parte
è stato introdotto nelle manifestazioni,
era troppo piccola per contenere tutti
gli interessati. Tra le novità di quest’anno pure la Fiera franca triduana allestita al Lapidario del Museo nella quale
si è voluto mostrare gli antichi mestieri
con fabbri, falegnami, calzolai, bottai,
scalpellini, pescatori, orafi e pittori ma
Anche la centralissima Piazza Libertà si è “vestita” in stile
anche panettieri e casalinghe che hanno preparato squisiti dolci tipicamente
istriani. Nel mondo barocco di Parenzo quest’anno per la prima volta si sono
inseriti pure gli attori della filodrammatica della locale Comunità degli Italiani
che in tre giorni hanno riproposto più
volte lo sketch “La dona sul balcon”
accattivandosi le risa e le simpatie del
pubblico. Un’altra novità di quest’anno è stata la celebrazione di un vero e
Ma guardate che bel vestito che ho!
28 Panorama
proprio matrimonio barocco (valevole
a tutti gli effetti) di due giostranti celebrato nella chiesa della Madonna degli
Angeli. Interessante un particolare: la
sposa è arrivata davanti alla chiesa su
una lettiga ricostruita per l’occasione. Dunque in tutta Parenzo per tre
giorni si è respirata “aria d’altri tempi” con le colorate dame che attiravano l’attenzione della gente. Non c’è
stato un turista che non si sia fatto una
Le giovanissime giostranti si sono divertite tanto
La Fiera Franca triduana e il corteo
Panorama 29
A ritroso nel tempo
30 Panorama
Panorama 31
Il torneo
cavalleresco
32 Panorama
Reportage
foto con una delle donne in costume.
Tutta la città è stata addobbata in stile con in Piazza Libertà le bancarelle,
anche loro d’epoca, che offrivano oggetti antichi. Dinanzi alla Chiesa è stato allestito un salotto in cui le signore,
e solamente loro, chiacchieravano con
davanti una tazza di tè. Subito vicino
il notaio con segretaria che, con una
vera penna di piume alla mano, vi regalava un papiro con nome e cognome
come attestato di partecipazione alla
Giostra. Quest’anno si è inclusa pure
l’associazione cittadina degli invalidi i
cui ragazzi offrivano per sole 10 kune
un bicchierone di cocomero o melone
freschissimo che è andato a ruba data
la temperatura registrata in questi giorni. E, stando da parte un po’ per vedere
come andava la vendita, non c’è stato
turista che non si è preso un bicchiere
non tanto per il contenuto ma per aiutare quest’associazione.
Quindi possiamo certamente dire
che la Giostra sta diventando un vero e
proprio prodotto turistico culturale che
è riuscito a coinvolgere sia i cittadini
che i turisti. Certamente lo spettacolo
più atteso è stato il Torneo cavalleresco riproposto quattro anni fa grazie al
Museo civico parentino. Quest’anno
sono stati 18 i cavalieri che hanno partecipato alla gara. Nove erano parentini e gli altri sono arrivati da vari club
d’equitazione dell’Istria. Il torneo cavalleresco viene eseguito in base agli
scritti risalenti al 14 febbraio del 1745.
Bartolomeo Rigo, uno dei cavalieri partecipanti alla Giostra e cancelliere comunale, aveva conservato questo
Il torneo si è tenuto nello spazio accanto all’ ex cantina sociale
documento nel “Libro delle terminazioni della cancelleria” seguendo gli
ordini degli stimati signori giudici di
Cittanova.
Quasi trecento anni fa la gara si
svolgeva su una lizza sontuosa (un rifugio per i combattenti dei tornei di
quell’epoca) della lunghezza di cento
passi (circa 180 metri), all’inizio lunga circa dieci piedi (circa 36 metri), la
quale verso la fine era larga soltanto
cinque passi (circa 1,80 metri). Dalla
parte sinistra della lizza erano indicati due segni di colore rosso da dove il
cavaliere partecipante al gioco doveva
rispettare il tempo indicato per gettare la lancia e per arrivare fino al Saraceno (la meta) sistemato a distanza
di altri 30 passi (circa 54 metri) fino
all’ultima indicazione, colpirlo (ferirlo) e spezzare la lancia. Ognuno di
loro aveva la sua guida (fante) ed il secondo (padrino) a cavallo. Il Mastro di
campo (Mastro principale) supervisionava la gara assieme a tutto il seguito
numeroso, i cavalieri, i trombettieri e i
Grandi e piccine tutte eleganti
cavalli di riserva. E tutto ciò viene riproposto a regola d’arte ancora oggi.
Il centro cittadino è diventato sabato anche palcoscenico dei balli medioevali con musiche d’epoca suonate a regola d’arte dal gruppo austriaco “Saltarello” che si sono meritati i lunghi
applausi del pubblico. Più tardi il corteo dei circa 300 nobili ha sfilato lungo le vie del centro fino allo spiazzo
verde vicino all’ex cantina sociale. Tra
loro spiccavano i “soldati” della Compagnia del Lupo Passante di Monselice
che ogni anno partecipano alla giostra
parentina. Tra gli altri c’erano anche
ospiti in costume di Austria e Ungheria. Arrivati sul posto i nobili si sono
accomodati sulle poltrone per assistere
al torneo mentre i padrini dei cavalieri erano in prima fila dato che secondo
le regole hanno diritto di controllare il
verdetto del Mastro principale che assegna i punti dopo che il cavaliere ha
effettuato il suo lancio. E, come detto,
la tribuna allestita era troppo piccola
per contenere tutto il pubblico e quindi
la gente si è riversata intorno al poligono di tiro. Diciotto i cavalieri che hanno potuto infilzare la lancia per tre volte. Il primo posto quest’anno è andato
ad Ante Tonči Topić, socio dell’associazione “Amici della Giostra”, che ha
gareggiato nella categoria dei dilettanti e si è aggiudicato una pistola a salve.
Tra i cavalieri professionisti il migliore
è stato Ive Štoković al quale è andato
il “masgalano” ovvero il piatto dorato
simbolo del torneo.
Il festival storico Giostra viene organizzato come detto da sei anni dalla
società “Amici della Giostra” in collaborazione con lo studo 053 di Franko Štiković ai quali si sono uniti la
Società Nostra Infanzia e l’associazione giovanile USB con il patrocinio dell’Ente turistico e della Municipalità cittadina.●
Panorama 33
Letture
L
o scorso maggio sono stati attribuiti i Premi della
XLIV edizione del concorso Istria Nobilissima, che
hanno dato una nuova conferma dei potenziali creativi
del gruppo nazionale italiano nei campi dell’arte e della cultura. Ritenendo che di tali potenziali debba fruire il
maggior numero di lettori, nelle pagine riservate alle letture “Panorama” propone le opere a cui siano stati attribuiti premi o menzioni.
Nella categoria “Letteratura” alla sezione “Poesia in
lingua italiana” la giuria ha assegnato il primo premio
a LAURA MARCHIG di Fiume per la raccolta di poesie
dal titolo “Horror Temporum (L’oleandro di Porta Pile)”.
Questa la motivazione: “Prosa poetica e liriche fortemente evocative, in buon equilibrio fra contrasto e paradosso,
private lacerazioni e autoironia, da cui trapela l’umano
disorientamento in un mondo privo di certezze”
«Horror Temporum»
(L’oleandro di Porta Pile)
Horror Temporum
Ritmo, musica
Braccati, storditi, inseguiti da iene questa non è la mia
scrittura è l’affidarsi al grido immutato del tempo che si
espande si espelle dai ricordi braccati inseguiti da iene
Questa non è la mia scrittura è il mondo che rode che
insegue inseguito nell’immobile moto del proprio orgoglio per chissà quante volte sorpreso a mangiarsi la coda
braccato dal mondo l’orrore del mondo stordito inseguito da iene Questa non è la mia paura questa non è la mia
scrittura questa non è la distanza che prendo da me stessa
dalla paura della scrittura dall’immutato grido del tempo
mi fermo un momento respiro, riparto, ripeto...
Avranno affilati coltelli le bandiere e il vento porterà
ancora l’odore del sangue È una danza che si ripete: il
piede dell’uomo incede e calpesta divora al suo passaggio la bocca ciò che trova l’orecchio non ascolta ciò che
ascoltare non vuole e ancora una volta al suo passaggio
l’orrore fa suo il suono del silenzio cancella le prove disconosce i figli più deboli i figli bastardi nati nel silenzio in atti d’orrore concepiti I continenti hanno movenze
e rimi di danze apprese nei primordi quando essenza di
fuoco era la materia manifesta Era un moto così musicale
da rendere logica e pura ogni piccola tempesta ogni rivoluzione di un microcosmo e la materia rinnovata cantando e danzano era nel canto e nel moto perfetta e in questo
ugualmente perfetta a un moto e a un canto più vasto materia appena rinnovata e già così pronta a cambiare.
L’oleandro di Porta Pile *
Nera come bara
Portiamo i nostri corpi a giacere in nascosti tuguri
privati dal senso contraffatti dalle parole dalla neve nera
come bara Sbarriamo le imposte spranghiamo i portoni
che non possano uscire i respiri le parole come stelle e gli
altri dal giacere nostro non ci muovano Saltiamo con movenze innaturali di cervo trafitto dentro a una spelonca
calpestiamo il fiato che coi denti teniamo che ancora ci
rimane diamo addio al ritorno e il suo arrivederci sapendo di poter incontrare di nuovo sorpresi nell’orrore nella grazia dolcissima del più dolce attimo diamo al celeste
respiro l’ampiezza di chi soffoca nel tugurio nostra casa
nera su cui scende neve nera e che nera si scioglie Oh
scogli oh sciogli oh sciogli i nodi ritocca i contorni affila
i profili ma sciogli quei nodi...
34 Panorama
C’è un oleandro nei pressi della Porta Pile il cui rosso
dei fiori è il rosso cupo del sangue rappreso dello sfacelo
nel cuore di un rubino. E fioritura segue a fioritura. Guardati dalle iterazioni. È il ritmo preciso del presente scandito. Facci da monito, questo ti chiedo. Le iterazioni spaventano e così deve essere. Il respiro il respiro il respiro è vaticinio, parola scomposta dal mare nell’onda ricomposta,
residui di luce spezzata, bronzei fondi di caffè dalle linee
incrudelite, un viaggio che non prevede luoghi da attraversare. Le iterazioni non hanno memoria e non conservano,
anche a spremerle non secernono giudizi, non depongono
prove. Questi fiori velluto si adattano alla terra, vi si adagiano cadendo come se ritrovassero il cuscino dell’infanzia riempito di piume da mani callose di donna, si rannicchiano nel non tempo, la loro forma è il rosso cupo del sangue rappreso dello sfacelo nel cuore di un rubino.
(*) Porta Pile è uno dei due ingressi della città di Ragusa (Dubrovnik)
Letture
A proposito di allarmi
Stagione
Segreti e segreti leciti ridondanti velenosi eccitanti mostruosi evidenti economici di partito della mia compagna
di scuola del figlio cresciuto del pentito di mafia e del magistrato del militare affiliato alla setta del miliziano assoldato del pacioccone reclutato quello che ha usato calze di
nailon per strozzare e assicura “centomila volte meglio di
mille coltelli se vuoi fare le cose in silenzio”.
Spaventi e spaventi di quello che non si aspetta che la
morte lo assalga da dietro gli spezzi la schiena di quello
che la doppia strada in salita è la scelta così poco banale se davvero ci pensi fra vita e morale dell’amore azzannato per non farlo fuggire di una madre e di un padre che
hanno scelto di viziare il vizio svezzando la figlia di omini esaltati dai deliri di onnipotenza e rosi dal terrore di
perdere il potere del faccendiere che teme di non poterlo
più comperare il potere del pensiero aberrante che teme
di non essere più parte della moda corrente - seviziatore
stipendiato d’ogni atto di fede per ogni tempo per ogni
continente.
Segreti e segreti lucidi come farfalle di metallo incandescenti come primavere di mille gradi fondenti come rigurgiti dell’Universo così inutili così inopportuni ma anche segreti bruni di ciglia e dunque leggeri tramonti pizzichi indefiniti di colore e pare di profumo.
Noi di minerale di elemento naturale di resurrezione
inopportuna sostanza aliena alla ragione sconosciuta al
corpo e al linguaggio nella trasformazione supposta delle
essenze nell’ingenuità del pensabile nella volontà dell’immaginabile che si trasforma in pio desiderio e illusione
della conoscenza della propria missione di speranza nella
presunzione che tutto conduca ad un fine, ci nutriamo.
E quindi siamo pronti a farci allegoria. Eccoci, elastici
di questa terra: un metallo che s’ingemma di brina, s’annoda come un fonema battuto dalle intemperie e che una
volta estratto si spaesa. Siamo il segreto stanato della terra. Alla stagione ciò è indifferente. Si stiracchia e sbadiglia questa distensione dell’animo.
A chi è morto ammazzato
Tu pensa alla corazza di un angelo come alla casa di
una tartaruga ai motivi delle ali come a una decorazione
di nube sopra a un crocefisso. Pensa a una lancia come
al raggio di sole che bacia il Sebastiano, alle suggestioni recondite dei simboli nei dipinti come a un’apoteosi di
evidenze. Pensa alle eresie come penseresti alla religione.
Nella frattaglia nel sangue rubino scruta la nuvolaglia tra
il cuore di un Caravaggio. Pensa al delitto come a una
bottiglia d’acqua-santa e versala piano sulla purezza del
taglio, sull’effluvio del marcio e così, goccia a goccia, diffusamente contamina...
E dunque...
...Pensa a come sarebbe essere la confusione che ama
la regola, l’istanza che si dimentica di farsi pressione, il
rovente punzone che diviene canto del torturato, pensa
se ognuno avesse amato il mondo per quello che appare,
come l’amante che ama e non vuol possedere. Pensa di
possedere il segreto delle maree senza doverle per questo
soggiogare, essere forma che non indottrina, entità che
non dispone, essere conoscenza senza erudizione, senza
volontà d’ammaestrare, non direttive né decreti, l’ortografia circolare di un tutto che non comprende più limitazioni. Alla tua morte prova a pensare con tenerezza come
al giorno della tua nascita e cullati, accarezzati. Fosse solitarie, fosse comuni, fosse aeree di fumo, disegni di anelli
nuziali come commozioni di una sigaretta. Fai della tua
zana un mausoleo del mausoleo una cuna e sognati potente, morbido, bussola della gloria, sentimento augusto,
ramata discendenza di stella cadente nel cielo d’agosto.
Permanente
Ma non mi rompere gli anni
con i tuoi anni
con la tua disallegria
e non mi rompere le palle
con i tuoi anni disallegri
la nevrastenia della cervice di bestia
che s’arrabatta
da sola si calpesta
senza conoscere dell’urlo
la permanente
potenza impotente della protesta
della disperazione che crede
che crea virtuosa
s’arresta vilmente
riprende.
Non mi rompere la matita
lasciami al lavoro solitario
rispetta il bisogno primario
di solitudine
e il desiderio contrario
di un tuffo nella folla
il bisogno primario così umano
della vicinanza al sudore
di corpi
alle risate dei teschi
alle illusioni dei vivi.
E non mi rompere più ma calpesta
se le incontri, le mie ossa
schioccanti:
sempre avrei voluto far musica
e ora posso
petulante, stridula
schioccare
sibilante e poi velare
criccare
e ciò credi
davvero mi delizia
Panorama 35
Letture
Da quanto mi manchi
Consumo il divano e le ore
Da quanto ti penso non penso
Mi gonfio le occhiaie
Sprofondo nel net
Mi drogo di televisione
E traccio arabeschi sentenze barocche
Ma sento soltanto che sanno
Scomposte crear confusione
Poi torno a impilare il sedere su un cubo - braciere di poliuretano
Mi piace da sempre portare un bicchiere ricolmo
Che come per caso risulti appoggiarsi da solo
In punta di labbra tenuto con mano
Leggera e vezzosa
Così mi concedo una tregua
E quindi dai rami dai buchi risorgo
Riprendo l’attesa
E quella cosa che tu sai di essere e bene
Mi manca da vomitare
Quel prefisso para che accanto alla noia
Entrandomi in bocca magnanimo fiore
Senza rumore atroce si scorolla
Pinguente (veduta)
Ritorna amaro come di oleandro
sotto forma di morbo dissacrato
bianco clangore dal riso sguaiato.
In questo monte d’ossa da ipermarket
il ricordo d’un male, d’una guerra
della furia rapace d’una terra
che rode i propri figli, ingoia il tempo
prima che passi, che si rappresenti
prima che venga, che si concepisca
e che capisca d’esser ciò che passa.
Mi viene da estrarre a sorte una tibia
come fossi velina ad un concorso:
“Al fortunato toccherà ballare
e potrà al fine dirmi la sua storia”!
Sarà che delle cronache del tempo
è forse solo l’acqua la memoria
la terra si ribella, si fa muro
ingoiando ogni cosa desolata
e golosa, una risata tremenda
come di madre, come di lupa
mi dice “ciao” adesso ch’è un buongiorno.
Recuperare i ricordi non serve:
in questi luoghi licet il silenzio
osso della terra nel dolore
seminato e nel dolore fiorito.
36 Panorama
Turista a Birkenau
Oh donnina bassetta e peregrina
perché ti fa orrore entrare in questi luoghi
perché non t’appresti a varcare la soglia
che come noi in tanti e tanti e tanti
lo sai, hanno varcato?
Ma perché resti ad aspettare fuori?
Ti prendi una Coca - mi dici
- piuttosto dietetica
e respiri aria, l’aria polacca più pura
e a casa tua, terrazza con vista
cucini e ti scaldi soltanto a corrente
del gas hai paura
e già
si sa che
Natale
Esce di casa sanguinando
scopertamente di poesia vestito
come in un modulo, come in un canto
i vaticini di latte si moltiplicano
intonando gennaio
e le attese del calendario si sfogliano.
Lo sgomento nel cielo è una vampa
codardo presagio di ghiaccio.
L’Acqua della Terra si fa amica
perché di un cucciolo ha la memoria.
Egli è nativo di questi luoghi:
”Dell’Universo”, dice, “riconosco le strade
gli scorci celesti di paesaggio”.
È un gesto il ticchettio del tempo
il corpo che s’inarca
persegue nel suo moto
l’attimo della Resurrezione
Hai scritto poesie?
Tu hai scritto poesie? Per me eri l’afasia, il ricordo costante che ci si porta dietro nella tomba. Eri il non ritorno
accoccolato nella memoria. Ma tu hai scritto poesie con
quella tua facciotta tonda, con quella tua natura irrequieta posseduta dall’adolescenza che già si preparava a distendersi a dismisura con le sue appendici sulla tua vita
futura. Ma tu scrivevi poesie e io non lo sapevo e mi parli
ora usando la lingua furente dei vivi, aprendoti un varco
nelle variabili del tempo, fermando il momento, respirando e quindi riprendendo...
Letture
Paesaggi
Ho incontrato un alieno
Lo so, non hai voglia di ascoltare i miei predicozzi sulla Natura. Mi chiedi di fare domande, di offrirti risposte, le pretendi scritte col sangue. Le visioni appaiate da
rime spaiate che cantano l’esigenza di guardare alla Terra come alla fonte, come ad un fine, non placano, spieghi,
la tua furibonda fame di presente, il senso d’orrore per
ciò ch’è passato. L’orrore alla furia si oppone, la furia
all’orrore e insieme rotolando, il tuo corpo percuotono.
Non concepito, il dopo si scancella.
Vorrei che le frange dei miei paesaggi fossero per te
come il serpente che dopo aver morso il saggio gli leccò
le ferite. Non sa ciò che su questa terra passa farti male.
L’essenza di uno scoglio è così stabile e così mutevole da
poter diventare il prolungamento della tua mano, l’amo
della tua lingua, il crampo del tuo sgomento. Quietati
dunque perché tu stesso sei ciò che passa, uno scorcio di
paesaggio, la terra che all’improvviso si apre e t’inghiotte, così facendo se stessa reclama.
Ho incontrato un alieno: aveva cinque dita in una
mano e cinque nell’altra. Le unghie dei pollici erano leggermente scheggiate e tra le iridi azzurre nuotavano piccole stelline d’ambra in grado di ipnotizzare donne, iguane e spazzini. Sembrava essere umano in tutto e per tutto,
dai peli scuri che spuntavano impavidi dai buchi del naso,
alle piante dei piedi che apparivano piatte, in verità. Partivamo da punti vicini e c’incontravamo ogni volta scambiandoci i segreti di viaggi organizzati, di certe disastrose
tournée in città di provincia, in locali fumosi e teatri mezzi vuoti, freddi oltre ogni dire. E mezze verità ci dicevamo,
sempre, senza mentire. Faticavamo a non entrare l’uno
nel discorso dell’altro non riuscendo ad ascoltare e a parlare nello stesso momento.
Quel giorno qualsiasi che prese la sua astronave per
volarsene in chissà quale luogo dell’ipermente, io stappai
una bottiglia di spumante sloveno comperato al discount
e mi accorsi di non avere alcuna domanda da fare alla
creatura, né gli chiesi: “come essere il tuo pianeta, come
provare emozioni voi alieni, come salutare?” Rivolsi il
mio sguardo un po’ perso al gatto che mi fissava accoccolato sul divano. Questo strizzò piano gli occhi enormi e
fece frullare leggermente quei suoi baffi da filosofo.
Non scrivete più libri
Vi prego non scrivete più libri:
si accatastano nella mia casa
come scheletri in un ossario
si affastellano nella mia testa
come mostri dei sogni più bui.
Non intrecciate pensieri
non raccontate storie
memorie, intenzioni
didascalie alle interiora trascorse.
Non scrivete più libri
non raccontate storie
sulla perdita della memoria
e il recupero della coscienza.
Datemi dell’essenza
di vuoto da conservare, qui - ora
come una scatola di Pandora
Coro greco
Hai preso da qualche tempo a strappare la carta a
morsi e ti mangi le mie poesie. Non hai rispetto per chi
scrive e ti nutre. Tu che guardi il mondo dalla finestra,
vorresti come me, essere la trasformazione eccentrica di
un coro greco che, potenza della rappresentazione, assume la forma del ventaglio di un artista da strada. Vorresti diventare un magico ventaglio che sa commentare le
tragedie umane senza mai mostrare quella noiosa, eterna
meraviglia, quello stupore ingenuo di chi scrive e guarda il mondo dalla finestra. Anche tu, ci scommetto, vorresti essere il ventaglio di un giocoliere impegnato in un
discreto “ti vedo e non ti vedo” che si muove impassibile
col leggero frullio di un baffo di gatto.
Tre deprecabili esempi di «confessional poetry»
con gatto
Istruzioni per il gatto Pino
Sarà meglio che tu non esca: il mondo umano è pericoloso, quello animale, crudele. Sarà meglio che rimanga
in casa, accomodato fra divano e poltrona o sulle spalle
della tua padrona; che ti faccia castrare, che dimentichi...
sarà meglio che te ne resti nell’Ade delle passioni, sotterrando timori e coglioni, barattando sette vite sottomesse
con le regolari tue resurrezioni. Farai bene a cambiare la
rampante voluttà ferina, con la pappa in lattina.
Panorama 37
Libri
Secondo romanzo della trilogia The Century di Ken Follett appena uscito
Un epico... inverno del mondo
C
inque famiglie legate l’una
all’altra il cui destino si compie durante la metà del ventesimo secolo in un mondo funestato
dalle dittature e dalla guerra. Berlino
nel 1933 è in subbuglio. L’undicenne
Carla von Ulrich, figlia di Lady Maud
Fitzherbert, cerca con tutte le forze di
comprendere le tensioni che stanno
lacerando la sua famiglia, nei giorni
in cui Hitler inizia l’inesorabile ascesa al potere. In questi tempi tumultuosi fanno la loro comparsa sulla scena
Ethel Leckwith, la formidabile amica
di Lady Maud ed ex membro del Parlamento inglese, e suo figlio Lloyd,
che presto sperimenterà sulla propria
pelle la brutalità nazista. Lloyd entra
in contatto con un gruppo di tedeschi
decisi a opporsi a Hitler, ma avranno
davvero il coraggio di tradire il loro
paese? Volodja Peškov, destinato a
un brillante futuro nei servizi segreti sovietici, li sta tenendo sotto stretto
controllo. Sull’altra sponda dell’Atlantico i due fratelli americani Woody
e Chuck Dewar, ognuno con un suo
segreto, reagiscono a questi momenti
drammatici prendendo strade diverse,
uno in politica a Washington, l’altro
sul fronte del Pacifico. A Cambridge,
Lloyd è irresistibilmente attratto dalla cugina di Volodja, Daisy Peškov,
38 Panorama
brillante frequentatrice dell’alta società, che rappresenta tutto ciò che
la famiglia del ragazzo disprezza.
Lei però gli preferisce l’aristocratico Boy Fitzherbert, pilota amatoriale,
amante delle feste e membro di spicco dell’Unione britannica dei fascisti.
A Berlino Carla s’innamora perdutamente di Werner Franck, erede di una
ricca famiglia, anche
lui con un suo segreto. Ma il destino lì
metterà a dura prova,
così come le vite e le
speranze di tanti altri
verranno annientate dalla più grande e
crudele guerra nella
storia dell’umanità,
che si scatenerà con
violenza da Londra
a Berlino, dalla Spagna a Mosca, da Pearl Harbor a Hiroshima, dalle residenze
private alla polvere
e al sangue delle battaglie che hanno segnato l’intero secolo.
L’inverno
del
mondo, secondo romanzo della trilogia “The Century”,
prende le mosse da dove si era chiuso il primo libro, ritrovando i personaggi de “La caduta dei giganti”, ma
soprattutto i loro figli. Come sempre
Ken Follett eccelle da grande e indi-
La biografia
K
en Follett è nato a Cardiff
nel 1949 e vive a Londra.
Laureatosi in filosofia all’University College di Londra, ha lavorato come giornalista. La sua
straordinaria carriera di scrittore
inizia nel 1978, con l’exploit di
La cruna dell’Ago. Un successo
mondiale hanno ottenuto anche
i successivi romanzi (tutti editi
da Mondadori): Triplo, Il codice Rebecca, L’uomo di Pietroburgo, Sulle ali delle aquile, Un
letto di leoni, I pilastri della terra, Notte sull’acqua, Una fortuna pericolosa, Un luogo chiamato libertà, Il terzo gemello,
Il martello dell’Eden, Codice a
zero, Le gazze ladre, Il volo del
calabrone, Nel bianco e Mondo
senza fine.
scusso maestro dell’intrattenimento
nell’ambientazione storica impeccabile, nella narrazione fluida e accattivante, nel ritmo veloce e nella descrizione di personaggi davvero indimenticabili, dando vita a un’opera
magnifica, epica e avvincente, che tra
conflitto mondiale e drammi personali ci trasporta in un mondo che pensavamo di conoscere, ma che ora non ci
sembrerà mai più lo stesso.●
Novità in libreria
Dan Roam
SUL RETRO DEL TOVAGLIOLO
Come risolvere problemi e vendere
idee con le immagini
Un modo completamente diverso
di vedere business. Chiunque può risolvere un problema aziendale e vendere un’idea. Dan Roam offre la chiave per meglio comprendere e farsi
comprendere: un metodo innovativo
per affrontare e risolvere i problemi e
persuadere gli altri.
saggio sono quelli densi di eventi
che vanno dal 70 al 58 a.C., in cui
Cesare, prima di partire per la Gal-
Von Hardesty
EROI DEL CIELO
Dai pionieri del volo ai viaggi spaziali
Il cielo è sempre stato il teatro di
imprese eroiche individuali: da quando i fratelli Wright controllarono per
primi il volo su un mezzo motorizzato, ogni aviatore ha avuto una sola
aspirazione: andare più veloce, più
in alto e sempre più lontano. Da Lindbergh, che esaltò il mondo con la
prima traversata dell’Atlantico senza
scalo, ad Amy Johnson, che volò in
solitaria dall’Inghilterra all’Austra-
Neil MacGregor
LA STORIA DEL MONDO
IN 100 OGGETTI
Se il tentativo di restituire un periodo o un personaggio storico attraverso una mostra ha sempre qualcosa dell’azzardo, per l’idea di raccontare la storia della civiltà umana sulla
Terra attraverso 100 oggetti - da una
pietra da taglio abbandonata in Tanzania due milioni di anni fa a una
carta di credito islamica emessa nel
2009 - mancano le definizioni. Eppure Neil MacGregor non solo ha raccolto la sfida, ma le ha aggiunto un
ulteriore gradiente di difficoltà: ha
cioè pensato di descrivere i 100 oggetti, tutti provenienti dalle collezioni del British, alla radio, in altrettante puntate da un quarto d’ora l’una
trasmesse tre anni fa dalla BBC. E,
per farlo, ha sostituito alle immagini
un numero equivalente di storie, raccontate con la sua voce, ma anche lasciando la parola a una folla di studiosi, esperti, artisti. Risultato? Un
successo enorme che ha incoraggiato
MacGregor a trasformare tutto il materiale trasmesso in ciò che, in filigrana, era già: questo libro. Che adesso
si può aprire come un’enciclopedia,
leggere come un romanzo, o visitare
lia; dall’epocale discesa sulla Luna
degli astronauti dell’Apollo 11 all’incredibile impresa del Voyager fino al
record del Breitling Orbiter, il primo
pallone a circumnavigare il globo
non stop: l’entusiasmante epopea del
volo attraverso cinque storie appassionanti. Con itinerari, mappe e poster giganti, per rivivere le imprese di
come una Wunderkammer - un personalissimo museo portatile da percorrere una stanza dopo l’altra.
Editore Adelphi
Pagine 706. Prezzo 49,00 euro
lia, s’impone gradualmente sull’insidiosa scena politica e prepara la sua
irresistibile ascesa.
Editore BUR
Pagine 680. Prezzo 9,90 euro
Esiste un sistema rapido ed efficace di analizzare le informazioni che ci
circondano, di considerare i problemi
che ci assillano? È possibile comprendere concetti complessi in modo intuitivo e comunicarli agli altri in maniera semplice, diretta, persuasiva? “Sul
retro del tovagliolo” ci offre una soluzione disarmante: si possono analizzare dati, sviluppare idee e formulare
strategie con pochi tratti di matita, che
possono risultare molto più potenti di
una presentazione in PowerPoint. Un
libro che stimola riflessioni, sollecita
nuove prospettive e visioni attraverso
schizzi e scarabocchi che tutti sono in
grado di realizzare.
Editore A. Vallardi
Pagine 256. Prezzo 14,50 euro
Colleen McCulloug
LE DONNE DI CESARE
Geniale uomo di stato, eroico
condottiero, splendido oratore ma
anche dissipatore, volubile, gran seduttore, calcolatore astuto e cinico:
questo il ritratto ricco di luci e ombre
di Giulio Cesare, primo e unico dittatore a vita nella storia di Roma, suo
padrone assoluto, al punto che dopo
di lui “Cesare” divenne sinonimo di
imperatore. Gli anni considerati nel
piloti coraggiosi che, inseguendo un
sogno, sfidarono i limiti del proprio
tempo. Età di lettura: da 8 anni.
Editore Touring Junior
Pagine 64. Prezzo 14,50 euro
Panorama 39
Italiani nel mondo
Il missionario e volontario italiano ha contribuito al salvataggio dell’Amazzonia
Dario Bossi, una vita per gli altri
a cura di Marin Rogić
S
i chiama Dario Bossi il missionario e volontario originario
della provincia di Varese che,
negli ultimi mesi, ha contribuito al
salvataggio di una parte molto estesa
dell’Amazzonia, la grandissima foresta che caratterizza una buona parte
del territorio di paesi come il Brasile.
Seguendo l’esempio del suo compaesano Padre Daniele, morto di lebbrosi
nel paese sudamericano nel 1917 durante una missione umanitaria, Bossi
è partito proprio per il Brasile, “terra
di conflitti generati da un forte sfruttamento che cancella il futuro” (citazione di Padre Bossi, ndr.) cinque
anni fa, dopo sei passati con i giovani
di Padova e altri quattro vissuti a San
Paolo al fianco dei ragazzi di strada,
quelli abbandonati non soltanto dai
genitori, ma anche dalla società, perché considerati senza speranza, senza futuro.
In un futuro migliore Padre Bossi ha sempre creduto, sin da giovane si è sempre battuto per i più deboli, per i più bisognosi. All’età di
20 anni ha deciso di intraprendere il
viaggio più lungo della sua vita, un
viaggio che continua ancora adesso e che lo ha visto intraprendere la
strada del suo lontano predecessore.
Arrivato in Brasile, si impegna da
subito in attività di solidarietà, diventa uno dei coordinatori della rete
“Justiça nos Trilhos” (Giustizia sui
binari) che si stava mobilitando affinché non iniziassero i lavori per
l’infrastruttura pesante che avrebbe turbato gli equilibri di una regione che già di per sé quotidianamente si ritrova ad affrontare innumerevoli problemi: si trattava di un sistema di binari ferroviari lungo alcune
delle più importanti località minerarie e commerciali della zona, voluto
dal colosso minerario Vale al quale
un giudice, Ricardo Macieira, dopo
i vari appelli della rete “Justiça nos
Trilhos” e l’instancabile protesta di
Padre Bossi, ha intimato di sospendere i lavori di ampliamento della
linea di Caraiás, stabilendo che la
porzione di territorio in questione
non poteva essere rovinata dalla presenza di una struttura potenzialmente dannosa per l’ambiente, di grande estensione, il cui intento principale sarebbe stato quello di fornire
agganci tra l’area mineraria del ferro
della Vale e l’area portuale di Ponte de Madeira. Di grande estensione
lo era certamente, si trattava infatti di un progetto che prevedeva 900
chilometri di ferrovia, dalle miniere di ferro dell’ azienda fino al porto di Saõ Luis, attraversando lo stato
amazzonico del Parà. Come raccon-
Padre Bossi ha contribuito al salvataggio di una parte molto estesa dell’Amazzonia
40 Panorama
tato dal missionario al Corriere della
Sera, si tratta di “un progetto da 28
miliardi di dollari che - spiega Padre
Dario - con l’ apertura di nuove immense miniere e con l’ampliamento del porto, era stato fatto passare
come un piccolo intervento che per
questo può sfuggire alla valutazione
di impatto ambientale e al consenso
della popolazione”.
Per dare l’idea di quanto “piccole” fossero quelle opere, il missionario aggiunge: “Oggi su questa linea viaggiano ogni giorno 24 treni
da 330 vagoni; un domani, una volta raddoppiata la ferrovia, vorrebbero far transitare un convoglio ogni
25 minuti, 58 al giorno. E siccome
ogni treno con il suo carico di ferro, inquinamento e rumore è lungo
quattro chilometri e il suo passaggio
dura cinque minuti, questo vuol dire
sequestrare ogni giorno un quinto di
vita alle persone che vivono lungo
quei binari. Il giudice ha stabilito che
il raddoppio potrebbe causare seri
danni ad aree protette e allo stile di
vita della tribù Awa Guaja in Amazzonia”. Inoltre, la concessione per
l’avvio dei lavori era stata varata senza che venissero adottati tutti i procedimenti utili alla messa in sicurezza e
alla verifica di sostenibilità dell’opera. La società ha annunciato che farà
ricorso contro la sentenza. Ma intanto deve fermare i lavori. Ora è atteso
un nuovo verdetto, quello di secondo
grado. Davide, il missionario arrivato in Brasile da Varese, mosso e armato da una forte determinazione per
affermare i prinicipi di verità e giustizia e con nel cuore l’arma più grande,
quella della fede nel signore, si prepara alle prossime battaglie contro il
gigante del ferro.
In attesa degli sviluppi del processo, Padre Bossi si è preso fortemente a cuore le vicende della tribù
degli Awa Guaja ed insieme all’associazione non governativa “Survival”, tre mesi fa ha lanciato una
campagna umanitaria per difendere
questa piccola tribù, diffondendo a
mezzo stampa e internet bellissime
immagini girate presso i loro gruppi
Italiani nel mondo
Connazionali in Patria e nel mondo
X Convention
degli italiani all’estero
a Fondazione Filitalia International di Filadelfia (USA)-Distretto
Italia guidata dal Governatore Daniele Marconcini ha partecipato
con una numerosa delegazione alla 10ª Convention degli “Italiani in
Patria e nel Mondo - 1° Incontro dei “Sanfratellani nel Mondo”, organizzata da Globe Italia International, da Filitalia International, dai Sanfratellani nel Mondo e da CabriniLand Heart in collaborazione con il
Comune di San Fratello (Messina).
Ideatori ed organizzatori dell’evento sono stati Pietro Paolo Podimani, presidente di Globe Italia International e membro del Direttivo
nazionale di Filitalia International, e Francesco Buttà, Presidente del
Chapter di Lodi e animatore dei Sanfratellani nel Mondo e di CabriniLand Heart di Lodi. Erano presenti Carlo Mazzanti, presidente del
Chapter Filitalia International di Venezia, Stefania Schipani, in rappresentanza del Chapter di Roma e coordinatrice di Filitalia International
in Calabria, Tony Currà, vice presidente del Chapter di Milano, Angelo
Arangio Febbo, presidente del Chapter di Imperia, Sebastiano d’Angelo, membro del Direttivo nazionale di Filitalia International e direttore
dei Ragusani nel Mondo.
Nel corso della manifestazione Daniele Marconcini, Governatore
del Distretto Italia della Fondazione Filitalia International di Filadelfia
(USA), ha annunciato la nascita entro settembre di almeno dieci sedi di
chapters in tutto il paese della Fondazione italo-americana, impegnata
sin dalla sua nascita nel 1987 sui temi della difesa della lingua e della
cultura italiana e dell’emigrazione.
In qualità di vice presidente dell’Unaie (Unione nazionale Associazioni Immigrati ed Emigrati) Marconcini non ha mancato di manifestare la sua “forte preoccupazione sulle miopi politiche di disimpegno di
molte regioni italiane sui temi della nuova emigrazione intellettuale e
professionale delle giovani generazioni del nostro paese”, lanciando anche un allarme “sulla crisi dell’associazionismo degli italiani all’estero
e sulla necessità di ripartire dai territori e dalle Comunità locali per fermare questa deriva sociale e morale sui temi dell’emigrazione”. Marconcini ha infine “chiamando a raccolta” i parlamentari eletti all’estero
e il Consiglio Generale degli Italiani all’estero “per una più incisiva attività in collaborazione con il vero, grande Associazionismo regionale
e provinciale degli italiani nel Mondo”. (aise)
L
Padre Dario Bossi
che, pur mantenendo lo stile di vita
tradizionale, non rifiutano il contatto
col resto del mondo. In un’intervista
al quotidiano cattolico on line “La
perfetta letizia” ha dichiarato: “Si
sollevano ogni giorno di più conflitti e impatti socioambientali (…) incidenti, riduzione dell’accesso alle
fonti idriche, violenza in aumento
nelle città, espulsione di famiglie e
comunità per lasciare spazio ai cantieri e ad altre infrastrutture in vista
dello sfruttamento di nuove miniere
e massicce ondate migratorie. Tribù
che da secoli abitano quei territori
vengono costrette a lasciare la loro
terra. La cacciata degli Awa Guaja
rappresenterebbe una sconfitta per
tutti, non lo permetteremo”.
Oltretutto le foreste dell’Amazzonia rappresentano i polmoni del
pianeta: preservarli è un problema
di tutti, non solo degli Awa e delle altre tribù, è un problema che
prevalica i confini sudamericani e
che bussa alle porte di ogni paese.
Questa volta il treno, per ora, è stato fermato, ma purtroppo il “treno”
del profitto non si ferma, non conosce ostacoli e questa è una dura realtà del mondo in cui viviamo e davanti al quale tutti noi troppo spesso chiudiamo gli occhi. Scrive Padre Bossi nel suo blog (padredario.
blogspot.com): “Quando potremo
celebrare la dignità di questa gente,
con la testa alta, senza paura né obbligo di fuggire? Quando finalmente, invece delle croci e delle ceneri di questa quaresima permanente,
anche noi sperimenteremo la vertigine di chi può sognare e costruire
la sua storia?”●
Il comune di San Fratello in provincia di Messina
Panorama 41
Made in Italy
Alla grande kermesse, dal 27 al 30 settembre, presente per la prima volta l’Istria
Gusti di frontiera a Gorizia
a cura di Ardea Velikonja
orizia si prepara a scoprire
programmi e appuntamenti
della più attesa manifestazione organizzata nel capoluogo isontino, capace di attirare 100 mila visitatori in una manciata di giornate. Fervono infatti i preparativi per la nona
edizione di Gusti di frontiera, tradizionale kermesse che inaugurerà l’autunno goriziano il 27 settembre e si
protrarrà fino al 30.
New entry e rentrée Resta invariato il format della manifestazione, capace per originalità e varietà
dell’offerta di attirare nel capoluogo
isontino i palati più esigenti. «Sarà
un’edizione ancor più ricca, con
moltissime novità – spiega Ziberna,
alla prima da gran cerimoniere del
festival –. Estenderemo il percorso
complessivo della manifestazione,
abbracciando anche aree che fino a
quest’anno erano state scarsamente
utilizzate: penso a via Boccaccio e
a via Diaz».
Così, tra i chioschi di Gusti di
frontiera farà per la prima volta capolino l’Istria, che con ogni probabilità darà vita a un asse all’insegna
del Mare Adriatico con i produttori
ittici di Grado, Trieste e Marano. Da
registrare poi il ritorno della Spagna,
già protagonista in piazza Sant’Antonio due anni fa: la delegazione
iberica guiderà un’altra delle novità della kermesse, ovvero il “Borgo
latino”, che accoglierà anche le specialità tipiche del Sudamerica. Confermata in massa, invece, la presenza delle nazioni che tanto successo
hanno riscosso in passato: da quelli
dell’area balcanica (Slovenia, Croazia, Serbia, Montenegro e Albania)
alla Francia, dall’Austria alla Polonia.
Il via giovedì 27. L’accensione
di griglie e fornelli è fissata per le 18
di giovedì 27 settembre: il villaggio
enogastronomico resterà aperto fino
all’una. Venerdì e sabato gli stand saranno aperti dalle 10 all’una di notte, mentre nella giornata conclusiva
il sipario sulla manifestazione cale-
G
42 Panorama
Le specialità regionali attirano circa 100 mila visitatori
rà alle 23. Complessivamente sono
giunte al Comune già 160 richieste di accredito per l’allestimento di
stand nei quattro giorni dell’iniziativa: a questi si aggiungono altrettanti espositori, precettati direttamente
dagli uffici municipali.
Kermesse a costo zero «Gusti di
frontiera costa complessivamente
150 mila euro, in larga parte ricavati
dai contributi della Regione per il turismo – argomenta Ziberna –. Il nostro obiettivo è spendere meno della
passata edizione, arrivando a pareggiare entrate e uscite».
I gusti e gli aromi saranno esaltati
dall’accompagnamento degli eccellenti vini della zona, i DOC del Collio e dell’Isonzo, unanimemente riconosciuti fra i migliori d’Italia.●
Nel 2011 le spedizioni di spu
Le bollicine ita
U
n’analisi dei 10 marchi di vino
spumante più venduti negli
USA conferma che le bollicine italiane continuano a dominare questo mercato in espansione. È quanto rilevato dall’Ufficio Ice di New
York.
Nel 2011, le spedizioni di spumanti verso gli Stati Uniti sono aumentate del 19.7 p.c., raggiungendo
7,65 milioni di casse. Secondo Impact Databank, 5 delle 10 etichette
più importate negli USA sono italiane, di cui 4, Verdi, Sparkletini,
Mionetto e Lunetta, hanno registrato un forte incremento nel 2011.
Made in Italy
Dal 29 settembre all’8 ottobre a Udinefiere il grande appuntamento
Le soluzioni per sentirsi... a casa
L
e 59 edizioni, esperienza e qualità da vendere, prodotti e materiali da toccare con mano, soluzioni
a vista, ampia scelta in un contesto
espositivo stimolante, ricco di stile
e di novità, aziende e professionisti
del settore pronti ad offrire al pubblico risposte su misura che oggi
diventano ancora più importanti e
ricercate per ottimizzare al massimo tempo, risorse e spazi: questo
e tanto altro ancora è Casa Moderna che si svolgerà dal 29 settembre
all’8 ottobre.
Appuntamento alla Fiera di Udine con lo stile e le produzioni di circa 500 espositori tra diretti e indiretti che presentano i migliori marchi
nazionali e internazionali. Il percorso espositivo di “Casa Moderna” riguarda non solo l’area living, i complementi d’arredo, gli accessori e le
soluzioni di alto design, ma esplora
l’arredo bagno, l’arredo per esterno
e giardino soffermandosi sui settori dei serramenti, rivestimenti e dell’
impiantistica.
Una fiera importante come questa, che è punto di riferimento per
il Nord Est, non tralascia l’attualità e la richiesta sempre più forte
di eco-sostenibilità: continua infatti a crescere dentro “Casa Moderna” la sezione Casa Biologica
con un intero padiglione, il 7, dedicato alle aziende, ai prodotti, ai
professionisti e ai progetti del settore della bioedilizia e della bioarchitettura.
L’attenzione di Udine e Gorizia
Fiere per l’ambiente e per l’energia
da fonti rinnovabili non si traduce
solo nelle manifestazioni fieristiche
organizzate, ma anche nella recente
riattivazione della centralina idroelettrica sita dentro il quartiere e che
già da alcuni mesi produce energia elettrica sfruttando il salto del
corso d’acqua che attraversa e caratterizza il polo espositivo friulano. Il quartiere fieristico, facilmen-
te raggiungibile dagli sbocchi autostradali e vicinissimo ad una città
su misura e da visitare come Udine, si sviluppa infatti nel contesto
naturalistico del Parco del Cormôr,
cornice verde in sintonia con la parte eco-friendly di “Casa Moderna”
e con i prossimi sviluppi del nuovo Orto Botanico proprio nell’area
della Fiera.
Visitare “Casa Moderna” significa anche informazione, aggiornamento, intrattenimento, incontrare
ospiti e personaggi conosciuti, partecipare a convegni e incontri tecnici, a talk aperti sulle dinamiche
dell’arredo/design, inteso come ricerca, innovazione, tecnologia, ma
anche come linguaggio della piacevolezza e della bellezza.●
manti verso l’America sono aumentate del 19.7 p.c., ovvero7,65 milioni di casse
liane continuano a dominare il mercato USA
Solo Martini e Rossi, la seconda etichetta italiana più importata, ha
subito una flessione del 25 p.c. dal
2007. Il grande successo del Verdi
e Sparkletini, importati da Carriage
House Imports, è dovuto a due fattori: prezzo vantaggioso e il gusto americano per i vini aromatizzati, in questo caso, al gusto di mela verde, di pesca e di lampone.
La quantità importata dei due marchi è quasi raddoppiata dal 2007, superando 1,5 milioni di casse nel 2011.
Il Prosecco Mionetto (al n.8) e Lunetta (al n.10), che hanno un prezzo di
vendita superiore, continuano a cre-
scere sul mercato USA. Nel 2011, le
vendite del Lunetta sono aumentate quasi del 50 p.c. raggiungendo le
150.000 casse, mentre il Mionetto ha
registrato una crescita del 21 p.c. e ha
venduto 155.000 casse.
Alla crescita degli spumanti italiani, si contrappone il declino dei 3 più
venduti CAVA spagnoli. L’etichetta
Freixnet (al n. 3) ha subito un declino per tre anni di seguito (del 19 p.c.
dal 2008). Gli spumanti Jaume Segura Viudas (al n.9), fissati ad un prezzo leggermente inferiore, hanno aggiunto circa 20.000 casse all’anno nel
corso degli anni 2005-2010, tuttavia
la crescita è notevolmente rallentata
nel 2011. Il concorrente Serra Cristalino (al n. 5) ha seguito una tendenza
simile. Dal 2006 al 2010, il volume è
cresciuto dal 70 p.c. ma un calo del
8.5 p.c. nel 2011 ha concluso la sua
ripresa.
Nel frattempo le spedizioni di
Champagne verso gli USA sono state
cospicue negli ultimi due anni (+14
p.c. in volume per il 2011) caratterizzate però da un incremento relativamente basso dei due principali marchi, Moet & Chandon e Veuve Clicquot, alla quarta e settima posizione
rispettivamente. (aise)
Panorama 43
Musica
In anteprima il programma del 56.esimo Festival della creatività
Voce, teatro e musica un terreno di ricer
a cura di Ardea Velikonja
e le percussioni sono affrancate
da un ruolo di marginalità proprio dalla musica contemporanea
fin dal primo ‘900 (Ionisation di Varèse ne è il manifesto), anche la chitarra, tenuta tradizionalmente ai margini
nell’area classica mentre conquistava
centralità nei territori di ambito popolare, viene recuperata dalla musica colta come elemento di rottura con la tradizione. Ecco che il ventottenne Alberto Mesirca sa trarre con maestria tutta
la complessità e la stratificazione sonora di questo strumento, restituendone
un’immagine svincolata dagli abituali
riferimenti idiomatici. In scena al Teatro alle Tese l’11 ottobre (ore 20.30),
Alberto Mesirca, che al suo attivo ha
concerti al Concertgebouw di Amsterdam, all’Auditorium di Valencia e alla
Barocksaal di Vienna, aprirà il concerto con la prima italiana di Lassan szállj
és hosszan énekelj, haldokló hattyúm,
S
Il compositore dell’opera di teatro
musicale Giovanni Bertelli
szép emlékezet! (“Fly slowly and sing
for a long time my dying swan, my beautiful memory”, da Sándor Petofi),
scritto espressamente per chitarra sola
da György Kurtág, fonte di tanti ripensamenti e infine dato alle stampe in
questo stesso anno. Sempre per chitarra sola e in prima italiana verrà eseguito
Priapo Assiderato di Claudio Ambrosini, mentre trascritto dallo stesso interprete un altro pezzo di Kurtág, Splinter,
44 Panorama
dai Cinque Merrycate, e Addio a Trachis II di Sciarrino, trascritto da Maurizio Pisati.
A conferma del rapporto speciale
che lega un autore al suo interprete,
Andrew Zolinsky, che ha accompagnato come solista le maggiori orchestre di area anglosassone, dalla London Sinfonietta alla BBC, ha costituito un binomio inscindibile con Unsuk
Chin, figura consolidata del panorama
internazionale, riservandosi tutte le
prime esecuzioni della letteratura pianistica fino a oggi composta dall’autrice coreana, da Londra a Parigi e ora
anche a Venezia. Fiore all’occhiello
del concerto, il 13 ottobre nella Sala
delle Colonne (ore 15.00), sarà infatti
la prima esecuzione italiana dell’intero ciclo di Six Etudes di Unsuk Chin.
Il concerto prevede inoltre tre prime italiane di James Dillon e James
Clarke la cui musica è spesso associata alla cosiddetta “neo complessità”, rispettivamente con The Book of
Elements e Untitled3 e Island; inoltre i Klavierstucke V e VII, capitoli
di forma variabile del famoso ciclo di
Stockhausen e, infine, la Seconda sonata di Sciarrino.
Alla sua prima esibizione in Italia, Andrew Zolinsky sarà protagonista anche del concerto che concluderà
il Festival il 13 ottobre alle 23.00 nella Sala delle Colonne: in programma
For Bunita Marcus di Morton Feldman, uno dei più bei pezzi per pianoforte dell’ultimo periodo di Feldman, detto dei “Long Works”, quando
il compositore americano comincia
a scrivere pezzi dilatati nel tempo –
questo dura circa 75 minuti – ma riducendo ai minimi termini la densità del
materiale: infinitesimali e scarsissime
cellule germinali disseminate su lunghi periodi temporali. Una rarefazione
incantatoria che, come è stato scritto,
penetra la realtà sensuale dei suoni ed
è il segno distintivo di questo inimitabile autore (Bob Gilmore).
Un contrabbasso per otto
In pochissimo tempo, dopo il debutto all’Auditorio Nacional di Madrid nel marzo 2010, Ludus Gravis,
Il 13 ottobre ci sarà un omaggio a
Stefano Scodanibbio, prematuramente scomparso lo scorso gennaio
“la prima e unica formazione di contrabbassi al mondo” (Helmut Failoni), fondata da Stefano Scodanibbio
e Daniele Roccato, ha avuto un’eco
enorme. D’altronde il nome di Stefano Scodanibbio è legato alla rinascita del contrabbasso negli anni ’80
e ’90, quando questo strumento, con
la sua ricchezza di armonici che lo fa
suonare come un’intera orchestra, era
isolato rispetto alla centralità degli altri strumenti ad arco. Racconta Terry Riley, di cui Scodanibbio realizzò una strepitosa versione di In C per
ensemble di contrabbassi: “Da lontano riuscivo a sentire i suoni di corni
francesi, tromboni, archi e ottoni tutti
fusi insieme in un bellissimo ensemble modale. (…) Rimasi stupito, entrando nella galleria, di trovare Stefano da solo che suonava il suo contrabbasso”. La biografia di questo eccelso
strumentista e compositore non fa che
confermare la testimonianza di Riley:
a Roma, nel 1987, Scodanibbio, destinatario di tante partiture scritte per lui
da Bussotti, Donatoni, Estrada, Ferneyhough, Frith, Globokar, Sciarrino,
Xenakis, ha tenuto una maratona di 4
ore non-stop suonando 28 brani per
contrabbasso solo di 25 autori. Scodanibbio è stato a lungo collaboratore di
Giacinto Scelsi e di Luigi Nono, che
gli ha dedicato arco mobile à la Stefano Scodanibbio nella partitura del
Prometeo, ma ha collaborato anche
Musica
contemporanea che si terrà a Venezia
ca dalle infinite possibilità
con artisti come il coreografo Virgilio
Sieni, il regista Rodrigo García, il poeta Edoardo Sanguineti.
Il concerto di Ludus Gravis, al Teatro Piccolo Arsenale il 13 ottobre (ore
18.00), è anche un omaggio a Stefano
Scodanibbio, prematuramente scomparso lo scorso gennaio, con tre brani della sua ampia produzione: Ottetto,
in prima esecuzione assoluta, l’assolo
Due pezzi brillanti e Alisei. Accanto,
Bajo el vulcano di Julio Estrada, compositore messicano di origine spagnola, compagno di strada delle più recenti avventure musicali di Scodanibbio,
che proprio il Messico aveva eletto a
dimora dei suoi ultimi mesi.
A Tribute to
L’esercizio della memoria non è facile retorica, ma un modo per riannodare i fili con la storia recente, troppo
poco frequentata dai programmi concertistici, e creare un gioco di rimandi
con gli autori di altre generazioni, moltiplicando i significati e dando nuovo
senso alle opere in programma.
Dopo Pierre Boulez, Leone d’oro
alla carriera, dedicatario del concerto
inaugurale, il Festival rende omaggio
agli 80 anni di un compositore e intellettuale della musica come Giacomo
Manzoni, anch’egli Leone d’oro alla
carriera nel 2007. A Manzoni è dedicato il concerto del 12 ottobre al Teatro Piccolo Arsenale (ore 18.00) con
l’ensemble Risognanze di Tito Ceccherini, acuto interprete di musica del
nostro tempo, ma anche di tanti titoli operistici e di musica antica che lo
hanno portato su palcoscenici prestigiosi. Ceccherini impagina il concerto affiancando alle opere del Maestro,
con la prima esecuzione assoluta di
Per questo, Alla Terra, Opus 75, Liriche di Élouard e Frase 2b, due novità
assolute di Giovanni Verrando e Alessandro Melchiorre, entrambi intenti a
sviluppare la ricerca e l’integrazione
tra musica ed elettronica.
Nel centenario della nascita, il
nome di John Cage ricorre lungo il
Festival con i tanti brani in programma: eseguiti da Simone Beneventi, la
Mitteleuropa Orchestra, Irvine Arditti,
Ciro Longobardi, oltre ad ispirare l’intero concerto “Out of a Landscape”.
Alla figura di Luciano Chailly,
che ha attraversato 50 anni della nostra storia culturale dando un contributo determinante, compositore, direttore d’orchestra, alla testa delle maggiori istituzioni musicali (dal Teatro alla
Scala all’Arena di Verona, dal Carlo
Felice di Genova all’Orchestra Rai di
Torino), pedagogo appassionato, è dedicato un concerto, a dieci anni dalla
sua scomparsa, il 10 ottobre nella Sala
Concerti del Conservatorio di Venezia
(ore 15.00). Protagonisti saranno i giovani musicisti del Conservatorio “G.
Verdi” di Milano e dello stesso Conservatorio “B. Marcello” di Venezia.
In tema di ricorrenze, può essere
utile ricordare che In C, considerato il
manifesto del minimalismo americano, compie 50 anni, e il Festival ne celebra l’anniversario con una esecuzione in tandem dell’ Ex Novo Ensemble
e Alter Ego.
La voce
e il teatro musicale
Voce, teatro e musica è un terreno di ricerca dalle infinite possibilità e dalla forte carica immaginativa e
comunicativa: la molteplicità di elementi in gioco, gesto parola drammaturgia suono immagine, può dar vita
ad un concerto scenico, un melologo, una micro-opera, teatro strumentale, performance, art song, sprechoper.
Su questo versante la Biennale si è annualmente impegnata con Musik der
Jahrhunderte di Stoccarda per produrre nuove opere sperimentali da camera. Quest’anno, saranno due trentenni,
Francesca Verunelli, già vincitrice del
Leone d’argento alla Biennale Musica
2009, e Giovanni Bertelli a cimentarsi,
in separata sede, in quella che è la loro
prima opera di teatro musicale il 10 ottobre al Teatro alle Tese (ore 20.30).
Serial Sevens di Francesca Verunelli si
ispira ai grovigli oscuri della memoria,
riferendosi, nel titolo, ad un vero test
clinico per valutare il grado di memoria e di concentrazione, ma anche alle
7 voci degli interpreti e ai testi, tutti
Il giovane chitarrista Alberto Mesirca
anonimi, tratti da autentiche conversazioni tra dottori e pazienti, che aprono
spazi a un mondo non detto; AMGD,
ovvero “aesthetica more geometrico
demonstrata”, ma anche anagramma
con cui i musicisti di qualche secolo
fa siglavano i loro lavori e che significava “ad maiorem dei gloriam”, è costruito con una stessa catena di azioni – ispirata a un processo statistico
noto come “catena di Markov” - ripetuta cinque volte, ogni volta subendo
variazioni diverse. Sarà interessante
anche la lettura registica, che per entrambi è opera della finlandese Kristiina Helin, a lungo alla scuola di Jerzy
Grotowski e di Eugenio Barba.
Allo strumento vocale, alla sua
evoluzione e ai suoi sviluppi è poi dedicato un concerto l’11 ottobre al Teatro Piccolo Arsenale (ore 18.00) con
l’insostituibile complesso dei Neue
Vocalsolisten Stuttgart, dal 1984 alfiere prestigioso della nuova musica. Oltre all’impegno nelle opere di
Francesca Verunelli e Giovanni Bertelli, i cantanti dell’ensemble di Stoccarda impaginano un concerto in cui
si nota la presenza di Elliott Sharp,
un eretico della scena sperimentale
newyorchese, con il suo ultimo pezzo, Turing Test per 6 voci e clarinetto in prima italiana. Accanto novità
assolute di Bernhard Gander, autore
di Deathtongue, Johannes Schöllhorn
con C - Vier Etüden, Yannis Kryakides e Oscar Bianchi.● (3-continua)
Panorama 45
Sport
Il dopo-Olimpiadi: polemiche con Carl Lewis e proiezioni sui tempi che il giamaica
Bolt arriverà a 9.40, calcio e cricket
a cura di Bruno Bontempo
A
vere il mondo ai propri piedi a
soli 27 anni, dopo aver conquistato medaglie e record olimpici come se piovesse. Eppure al “marziano” Usain Bolt tutto questo sembra
già non essere sufficiente. Il campione
giamaicano, protagonista alle Olimpiadi di Londra con il tris di medaglie
che ha bissato quelle ottenute quattro
anni fa a Pechino, potrebbe scioccare
il mondo. Questa volta, non per le imprese in pista, bensì per una nuova avventura che lo stesso Bolt si è detto curioso di intraprendere. La passione per
il calcio dell’atleta nato a Trelawny potrebbe spingerlo, almeno provvisoriamente, lontano dallo sport che lo ha
reso celebre. Dopo essersi offerto proprio durante le Olimpiadi al Manchester United, Bolt è tornato sull’ipotesi,
lasciando intendere di non scherzare affatto: “Non stavo assolutamente scherzando. Non mi cimenterei in un’avventura del genere se non fossi sicuro di esserne in grado. Con la mia velocità potrei fare la differenza, e in ogni caso so
anche giocare a calcio”.
Sarà, ma a furia di scherzare un’offerta extra-atletica a Bolt è arrivata per
davvero. Non dal Manchester United,
che a lui per il momento ha preferito
andare sul sicuro con Van Persie, e non
dal mondo del calcio. Bensì dai Twenty20, squadra di cricket del campionato australiano. Un’idea che non sarebbe in realtà inedita per il giamaicano,
che da piccolo ha praticato questo sport
nella categoria juniores. Il mondo sportivo attende dunque con ansia di scoprire quanto di vero ci sia nelle intenzioni
di Bolt. Ma una cosa è certa: quando il
giamaicano afferma di non avere intenzione di scherzare, c’è decisamente da
credergli.
Due «figli del vento»
Non c’è storia, perché non ci sarà
mai la sfida. Non in pista, non sui blocchi. È come la partita mai giocata tra
Pelé e Maradona: due miti, paragone
infinito, ma sempre palla al centro. Nella notte in cui Usain Bolt è diventato
46 Panorama
Il grande sprinter giamaicano è soprannominato Lightning Bolt (fulmine)
“leggenda umana” per sua stessa ammissione, perché a nessuno era riuscita
prima l’impresa del tris 100-200-4x100
in due Olimpiadi, la scia dorata fatta di
show, flessioni, baci e saette si è intorbidita dei veleni a distanza con l’altro
grande della storia della velocità: era
stato Carl Lewis, quattro ori olimpici
consecutivi nel lungo e una carriera infinita di successi anche nelle due gare
della velocità, a innescare lo start della polemica. “Mi chiedo come si possa
correre un anno in 10.3 e l’anno successivo in 9.69” l’insinuazione maligna
del figlio del vento nei confronti dello
sprinter giamaicano. Quanto basta per
scatenare la guerra. E Bolt, forte del risultato straordinario nello stadio londinese, non ci ha pensato molto a replicare. “Ho perso ogni rispetto nei suoi
confronti” ha tagliato corto, dopo essersi prodigato in ogni sorta di complimento invece per altri miti come Jesse
Owens e i suoi ori nel ‘36 e Michael
Johnson (“sono cresciuto guardandolo
battere record su record”). Troppo pesanti per il giamaicano le ombre gettate su di lui da Lewis. “Il doping è una
cosa seria e avanzare dubbi su un atleta mi fa davvero rabbia - le parole di
Bolt -. Penso che lui voglia solo attirare
l’attenzione su di sé perché non si parla più di lui”.
Mentre si parla solo di Bolt: anche
a Londra, dove le sue tre finali (tutte
vinte) hanno adunato folle davanti ai
maxischermi e scene di esultanza collettiva viste solo, o quasi, per le finali dei mondiali di calcio: La gente ama
il giamaicano istrionico e vulcanico. Le
incredibili prestazioni di Bolt e il fatto
che la Giamaica non abbia un’apposita
Agenzia Nazionale antidoping, avevano sollevato dei sospetti già durante le
Olimpiadi di Pechino. Il velocista tedesco Tobias Unger, che non riuscì a qualificarsi per la seconda batteria dei 100
metri piani, accusò Bolt dicendo che le
sue vittorie sono una burla, per il fatto
che abbia corso i 100 metri in 9.92 senza preoccuparsi di scaldarsi e non mostrando segni di stanchezza a fine gara
Carl Lewis fece notare pure che tra gli
atleti che sono scesi sotto i 9.80 tre sono
risultati positivi a test antidoping e uno
è rimasto fuori per un anno a causa di
un infortunio. Bolt non è mai stato trovato positivo.
Ai Mondiali di Daegu, in Corea del
Sud, dopo essersi qualificato per la finale con il secondo miglior tempo ma i
favori del pronostico, Bolt venne squalificato per una falsa partenza, togliendosi prima la maglietta in segno di stizza e poi lasciando lo stadio. Il titolo
andò al suo connazionale Yohan Bla-
Sport
no potebbe realizzare in futuro
permettendo
ke (9.92 e vento -1,4 m/s). In seguito
a questo evento si addensarono vari sospetti sul motivo per il quale avesse voluto anticipare la partenza in modo così
evidente. Carlo Vittori, l’ex tecnico di
Pietro Mennea, lo criticò sostenendo
che il suo gesto sia stato commesso volontariamente con l’obiettivo di far aumentare ancora di più l’attenzione dei
media verso di lui, affermando che si
sarebbe parlato molto di più di una sua
inaspettata squalifica rispetto ad una
sua vittoria. Bolt si riscattò dalla delusione dei 100 m, confermandosi campione mondiale dei 200 metri in 19.40
(vento +0,8 m/s).
Lewis e Bolt, comunque, di certo la
storia dell’atletica l’hanno già scritta: il
primo ha segnato un decennio, con 9
ori olimpici e 17 anni di carriera. Per
reggere il suo passo Ben Johnson fu costretto a doparsi, con gogna pubblica
conseguente. Lewis era anche il signore
del lungo e aveva 35 anni quando planò sulla sabbia per il suo ultimo salto.
Certo non è mai stato quell’esplosione
di simpatia che Bolt porta in pista ogni
volta che gareggia: dietro, per la saetta, ci sono i ritmi e il calore della Giamaica, un paese che lo ha praticamente
eletto a suo eroe. Record e medaglie: in
mezzo il confronto con il passato, perché dopo Lewis c’è Bolt. Ma il giamaicano non vuole essere il suo erede, lui
è un altro figlio del vento: balla, ride,
mette in scena il suo show. Due storie,
due miti e quei 100 metri mai corsi diventati lunghi una vita.
2/10 persi in partenza
E naturalmente c’è chi vuole anticipare i tempi con previsioni... matematiche. Usain Bolt potrebbe tagliare quasi
due decimi di secondo dal suo primato
di 9.58 sui 100 metri senza dover correre più velocemente, ma solo con qualche accorgimento e le condizioni giuste. Lo afferma John Barrow, un matematico dell’università inglese di Cambridge, in un libro appena pubblicato
in cui “risolve” in maniera scientifica i
problemi di diversi sport. Gli ingredienti fondamentali individuati da Barrow
nella sua simulazione sono una buona
Carl Lewis (a sinistra)-Usain Bolt, la “storica” fida che non si farà mai
partenza, che allo sprinter giamaicano riesce raramente, un vento ai limiti
dei due metri al secondo consentiti dal
regolamento e un’atmosfera rarefatta:
“Basterebbe tagliare il tempo di reazione diciamo a 0,13 secondi, che è buono
ma non eccezionale - spiega il professore -. Insieme agli altri fattori si potrebbe tagliare il record di 0,18 secondi, per
portarlo a 9.40.
Barrow ha affrontato in maniera matematica anche altri sport, sviluppando
ad esempio un’equazione matematica
per determinare la disposizone ottimale dei canottieri nel quattro e nell’otto
di canottaggio: “Per fare in modo che le
forze laterali si annullino - spiega - nel
quattro il primo e l’ultimo vogatore dovrebbero avere il remo a destra, mentre
i due in mezzo a sinistra. Nell’otto invece la disposizione ottimale è con il primo remo a destra, poi due a sinistra, poi
uno a destra e uno a sinistra, quindi due
a destra e l’ultimo a sinistra”.
Anche l’uomo più veloce di sempre,
Usain Bolt, parlando dei suoi progetti
per il futuro ha raccontato quelli che saranno i suoi prossimi obiettivi e gli avversari contro cui vorrebbe confrontarsi. Il giamaicano parte proprio dal suo
record nei 100 metri, il 9.58 stampato
ai mondiali dello scorso anno a Berlino: “Ho sempre detto che il record del
mondo può essere abbassato fino a 9.40
e spero di essere io a correrlo”.
Gb, fisco troppo severo?
In un momento di crisi mondiale,
poter e saper risparmiare il più possibile è una dote da non sottovalutare. Lo
sa bene anche Usain Bolt, che ha deciso di non gareggiare più sul terreno britannico. Tutta colpa della stretta fiscale
adottata in Gran Bretagna. Il fenomeno
giamaicano, infatti, si è lamentato delle
tasse applicate in territorio britannico:
“Mi piace correre qui, ma mi rivedrete in pista solo quando cambieranno le
leggi”, la stoccata dell’uomo più veloce
al mondo. Ma non è la prima volta per
Bolt, e non sarà sicuramente l’ultima,
che nei tre anni precedenti aveva infatti saltato tutti gli appuntamenti in terra
britannica facendo un’eccezione solo
per i Giochi. Le Olimpiadi, va ricordato, sono stati però “graziati” dal Ministero del Tesoro britannico, che non ha
applicato la solita percentuale di tassazione. Un’eccezione che ha “convinto”
Bolt. Il fulmine giamaicano non è però
l’unico sportivo a mal digerire la tassazione britannica. Rafa Nadal, in questa
stagione, ha deciso di saltare il torneo
di preparazione a Wimbledon sull’erba
del Queen’s optando per l’Atp di Halle,
in Germania. “Non è stato uno motivo
tecnico, ma solamente perché in Gran
Bretagna le tasse per gli sportivi sono
molto più alte”, aveva dichiarato il fenomeno maiorchino.●
Panorama 47
Tra storia e gusto
L’ulivo: un vecchio di millenni
di Sostene Schena
L
a storia dell’ulivo ha testimoniato per millenni la vita
dell’uomo e la propria esistenza, nessun altro albero può trovare altre similitudini con la natura umana.
L’albero dal tronco stanco, ritorto, ma
mai spezzato, si è sempre adattato alle
infinite avversità, così come l’uomo si
è adattato agli innumerevoli ostacoli
della vita. “Vi sono creature sulla terra
che debbono essere spiegate; un microbo, un animale, una pianta un fiore, ma non l’ulivo, è lui che ha spiegato noi, la nostra storia, i nostri bisogni, la nostra vita, facendosi portatore di messaggi, si è lasciato mangiare
ed ha pregato con noi” (N. Mastrangelo op.cit.). Quando si guarda l’ulivo e lo si tocca, si venera una pianta la
cui simbologia è nell’insieme mistica,
sacra, unica, essenziale. La pianta dai
rami lucenti come l’argento, è un miracolo divino che lega l’uomo alla terra, alla religione, alla fede, alle antiche credenze che da secoli raccontano
una storia infinita.
Ma quali sono le origini dell’ulivo? Molti studiosi ipotizzano che il
genere Olea sia originario dell’Asia,
precisamente delle regioni comprese
fra l’Armenia, il Turkestan e il Pamir,
da dove si sarebbe successivamente diffuso in tutto il bacino mediterraneo. La sua presenza è documentata nell’isola di Creta già durante l’età
minoica, e con la vite rappresentava
un’importante ricchezza economica. Nel 2.000 a.C. era ampiamente diffuso anche in Egitto, indicato
col nome Tat veniva allevato con
avanzati sistemi di potatura. Nel
1000 a.C. l’olivicoltura si sviluppava in Palestina, in Grecia e lungo le coste del Nord Africa. La sua
diffusione nell’Italia meridionale e
nella penisola Iberica risale al V secolo a.C. Tra il VI e il IV secolo a.C.
si affermava nel Lazio, in Campania,
nelle Marche, raggiunse poi il Veneto, la Liguria, poi la Sardegna, e con
l’espansione dell’Impero Romano
d’Occidente si sviluppava lungo le
coste della Gallia meridionale.
Gli ateniesi avevano per l’ulivo
un grande rispetto, la sua simbologia,
48 Panorama
ventagli superiori ai due piedi, veniva esaltata nelle feste e nei riti religiosi. Inoltre era vietato effettuare eccessive potature durante l’anno anno per
non limitare la crescita. Ai Romani
Atena, donando l’olivo, vinse la disputa con Poseidone per la precedenza nell’erigere un proprio tempio sull’Acropoli ateniese
era proibito l’utilizzo della pianta per
usi profani, il legno poteva essere bruciato soltanto come offerta agli dei. I
maggiori fornitori d’olio erano i Fenici, che lo esportavano lungo le coste mediterranee, ricevendo in cambio monete e metalli preziosi. I greci ed i romani diffusero ampiamente
la coltivazione dell’ulivo nella Gallia
meridionale, incrementando l’utilizzo
e il commercio dell’olio che si sostituì alla tradizione celtica del consumo di grassi animali. La comparsa
della parola “olivo” appare, forse
per la prima volta, nei poemi epici. Omero descrive questa pianta
non solo nel suo aspetto botanico ma come simbolo mitico, idilliaco poetico, come significato di
vita, di pace, di alleanza, di gioia,
di gloria, di prosperità: “Nella mitologia greca l’ulivo è l’albero sacro custode dell’Acropoli di Atene.
Si racconta infatti che Athena, figlia
prediletta di Zeus, e Poseidone (Nettuno) dio del mare, si contendessero il predominio dell’Attica. Il diritto di precedenza per erigere un tempio sull’Acropoli fu il pretesto per una
contesa di cui divenne arbitro e giudice Giove il quale, per rimettere pace
Tra storia e gusto
L’olivo è originario dell’Asia Minore, dall’altopiano
dell’Iran, dalla Siria e dalla Palestina si diffuse poi in
tutto il bacino del Mediterraneo
fra i due contendenti, concesse il diritto di edificare a colui che avesse creato l’oggetto più utile all’uomo. Nettuno creò il cavallo, Athena creò l’ulivo
e vinse”. Non vi fu mai odio fra Athena e Nettuno, l’ulivo divenne un simbolo di pace e si diffuse in tutta la Grecia.
Fra i georgici latini, Columella ne
elenca circa cinquanta varietà. Plinio ci offre ampie descrizioni nella
sua monumentale “Naturalis Historia”. Pure Senofonte offre una elencazione descrittiva delle antiche colture che nei secoli costituivano il patrimonio agricolo dell’Impero. Narra
la leggenda che la prima coltivazione dell’ulivo sia da attribuirsi ad Ermete, Dio dei Greci, figlio di Zeus che
lo diffuse fra la Cirenaica e l’Egitto.
Un’altra leggenda tramandata da Plinio e da Cicerone, riconosce Aristeo,
divinità alla quale era stata affidata la
protezione degli armenti dei frutti della terra, come colui per primo riuscì
a estrarre dall’oliva il fluido dorato
chiamato “olio”. Miti e leggende si intrecciano sull’origine di questa pianta
così umile e così ricca, certamente tuttavia l’ulivo è un dono di dio fatto agli
uomini, come grande segno di vita, di
forza e di amore.
La storia ci tramanda da secoli l’importanza dell’ulivo come elemento essenziale nella vita dell’uomo, Catone
testimonia la propria esperienza nel
“De Agricoltura” indicando particolari sistemi di coltivazione, di potatura e di raccolta del frutto. Circa un se-
colo dopo Varrone nell’opera “De Re
Rustica” valorizza i sistemi d’impianto attuati dai Romani considerandoli
superiori a quelli dei greci. Nell’opera di Varrone l’ulivo diventa insieme
alla vite, una delle risorse di grande
interesse economico, una fonte di ricchezza unica, insostituibile, portata
a segnare il destino dell’Impero. Columella, georgico latino originario di
Cadice, elabora nell’ulivo uno studio,
non solo letterario e scientifico ma una
complessa analisi che porta a continue
pratiche esperienze applicate a sistemi d’impianto altamente specializzati.
Nel quinto libro della sua opera viene
trattato dettagliatamente il tema della
sua coltivazione, considerato con la
vite la più importante ricchezza economica e commerciale di Roma. È infatti nelle terre dell’Oriente e dell’Occidente mediterraneo che l’ulivo trova
il clima più idoneo divenendo il protagonista di una coltura sempre più estesa ed altamente qualificata. Si fa spazio un progresso tecnico ed economico che sviluppa un settore mercantile
arricchito soprattutto dall’ulivo, dalla
vite e dal grano. Ingenti flotte di navigazione costeggiano il mare, stabilendo importanti empori nelle città portuali che man mano divengono sempre più ricche e potenti.
Nel primo secolo dopo Cristo la
struttura agraria si modifica sensibilmente, dalla coltura specializzata nasce una produzione qualificata che alimenta i mercati delle più importanti città imperiali come: Roma, Atene,
Alessandria Cadice. La mistica simbologia attribuita alla pianta nell’antico Testamento viene esaltata dalla
religione cristiana, che, eletta prima e
unica religione di Stato dall’imperatore Costantino nel 313, lega il valore sacrale dell’ulivo e dell’olio ai riti
di fede della Santa Chiesa. “Nel vecchio Testamento il richiamo simbolico non viene riferito tanto alla pianta
d’ulivo, quanto al suo prodotto che assume la funzione di vincolo tra il divino e l’umano, tra la morte terrena e
la vita eterna. Già nel Deuteronomio
l’olio, con il frumento e il vino, rappresenta uno degli alimenti essenziali con cui Dio sazia il suo popolo fedele, in una terra ricca di ulivi. Esso
appare come una benedizione divina
la cui privazione castiga l’infedeltà e
la cui abbondanza è segno di salvezza e simbolo di felicità. Dai Libri della
Sacra Scrittura, l’olio non appare solo
un nutrimento indispensabile in tempo di carestia, ma è anche un unguento
che profuma il corpo, che fortifica le
membra, che lenisce le piaghe.
Quanto ai due ulivi citati nel Vecchio Testamento, il cui olio alimenta
il candelabro delle sette lampade, essi
simboleggiano il re e il sommo sacerdote, che hanno la missione di illuminare il popolo e di condurlo sulla via
della salvezza. Infondere olio sul capo
significa augurare gioia, felicità e onore. Il legame tra l’unzione e lo spirito
è infine all’origine del simbolismo dei
sacramenti cristiani” (cit. Mastrangelo
op.cit.). ● (2 - continua)
Panorama 49
Multimedia
Il software gratuito per il fotoritocco e per la gestione degli archivi fotografici
Picasa 3.9 parla con Google+
a cura di Igor Kramarsich
L
a nuova edizione di Picasa, il
programma gratuito di Google
per l’archiviazione di immagini e video e per il fotoritocco leggero, si apre al social networking e permette di condividere su Google+ foto
e filmati. In realtà già nella versione
precedente di Picasa, grazie a Picasa
Web Album, era possibile creare album fotografici sul Web, privati oppure pubblici (utili quindi sia come
archivio personale sia per condividere le immagini) e sincronizzati con
quelli in locale. Picasa Web Album
mette a disposizione 1 Gbyte di spazio gratuito (incrementabile a pagamento in tagli da 20 Gbyte da 5 dollari l’anno, tasse escluse), ma lo spazio disponibile diventa illimitato se
le foto sono grandi al massimo 800
x 800 pixel e i video non superano i
15 minuti. Con Google+ la dimensione dello spazio gratuito non cambia,
ma la dimensione massima delle foto
archiviabili on-line senza restrizioni sale a ben 2.048 x 2.048 pixel (il
limite per i video rimane invariato).
Foto e clip caricati su Google+ o Picasa Web possono essere messi a disposizione anche di chi non è iscritto
50 Panorama
ai due servizi: la condivisione avviene infatti tramite un link che viene inviato per e-mail, e l’apertura dell’album corrispondente non richiede alcuna registrazione.
Anche i tag associati alle foto
(nomi delle persone inquadrate, luoghi e così via) sono condivisibili su
Google+, sempre nell’ottica di fa-
vorire uno scambio di informazioni
tra le persone che frequentano il sito
social di Google. A questo proposito
segnaliamo però che la condivisione è automatica e non può essere disattivata: ogni tag riferito a una persona registrata in Google+ comporta
la visibilità dell’intero album da parte di quest’ultima, cosa non sempre
desiderabile.
Le altre novità di Picasa 3.9 sono
l’anteprima migliorata e un set più
ricco di filtri fotografici. L’anteprima ora può visualizzare due foto in
contemporanea, affiancate orizzontalmente oppure verticalmente. Può
trattarsi dello stesso scatto (l’originale e la sua versione modificata con
l’applicazione di uno o più filtri) oppure di due immagini diverse, una
possibilità molto comoda quando
bisogna selezionare la foto migliore tra numerosi scatti dall’inquadratura simile.
Picasa 3.9 offre 24 nuovi filtri
fotografici che trasformano le immagini nelle maniere più diverse. Tra questi citiamo Effetto Hdr,
che recupera le zone troppo chiare
e troppo scure, Orton, che rende più
ricchi i colori e introduce un alone
ideale per i ritratti, e Zoom Foca-
Multimedia
le, che simula gli scatti effettuati
con una rapida variazione del fattore di ingrandimento. Interessanti
sono anche Neon, che esalta i bordi
e rende monocromatica la foto, Museo Mat, che inserisce una cornice
semplice ma molto elegante, e Polaroid, che simula le stampe ottenute con le celebri macchine fotografiche a sviluppo rapido. Come ultima
novità segnaliamo l’aggiornamento
del modulo per importazione delle
foto in formato Raw, ora compatibile con i file creati dalle fotocamere
più recenti.
Picasa impiega un’interfaccia
molto accattivante grazie ai colori
chiari e alla semplicità degli elementi grafici, mai invasivi e molto ridotti
in numero. Nella modalità di gestione dei documenti lo schermo è quasi interamente dedicato alla visualizzazione delle miniature: a sinistra vi
è il riquadro per la rappresentazione
gerarchica degli archivi, ordinati per
album e per cartella. Continua però
a mancare una funzione diretta per
la visione delle foto a pieno schermo
senza altri elementi grafici. L’unico
metodo - piuttosto scomodo - che
abbiamo trovato consiste nel far partire lo slide show e poi metterlo in
pausa. Picasa offre anche un altro
tipo di interfaccia, molto scenografica e originale, richiamabile con il
comando Cronologia. La schermata cambia completamente e appare
una serie di miniature disposte ad
arco: con il mouse si scorre la sequenza e poi con un clic si lancia lo
slide show automatico. Il programma consente di associare a ogni foto
fino a dieci tag, ma non ne offre di
predefiniti Peccato inoltre che vicino alle miniature non appaia nessun
simbolo per evidenziare le foto a cui
sono stati assegnati tag. Stranamente non è possibile attribuire un indice di gradimento a più valori: Picasa
supporta una sola stelletta, che evidenzia le foto giudicate “speciali”.
La funzione di riconoscimento
del viso è notevole: basta selezionare una o più foto e il software individua i volti al loro interno, anche
se sono ritratti di profilo, elencandoli poi nel pannello a destra. Qui
l’utente può assegnare i nomi corrispondenti, che il software utilizzerà
in seguito per identificare le persone
negli altri scatti. In questa seconda
fase l’efficacia dell’algoritmo lascia
però a desiderare, poiché non sempre l’associazione nome-volto risulta corretta. È comunque sempre richiesto l’intervento dell’utente, che
deve approvare o rifiutare con un
clic i collegamenti proposti dal programma.
Gli strumenti per modificare le
immagini appaiono di fianco al documento ingrandito e sono raggruppati in cinque pannelli sovrapposti.
Nel primo troviamo diversi tasti, tra
cui quelli per il ritaglio con preset,
il raddrizzamento dello scatto, l’eliminazione degli occhi rossi e il bilanciamento cromatico automatico.
Il raddrizzamento impiega, alo posto
della classica linea di riferimento, un
reticolo abbastanza comodo ma prevede una rotazione massima di circa
±10°. Lo strumento per gli occhi rossi è efficace, agisce in automatico ma
consente anche di intervenire a mano
per evidenziare con un rettangolo le
pupille che sono sfuggite all’analisi del software. Per quanto riguarda
il bilanciamento cromatico, con le
foto di prova abbiano ottenuto ottimi risultati con la correzione livelli,
la luce di schiarimento e l’eliminazione della dominante. Nel secondo
pannello sono visibili i cursori per
la regolazione a mano della temperatura colore e della luminosità sulle
alte luci, sulle mezze luci e sulle ombre. In più è disponibile un selettore
per portare alla tonalità grigio neutro
il colore del pixel campionato. Negli altri tre riquadri sono distribuiti i filtri: nel primo si trovano quelli
di base, già disponibili nell’edizione
precedente, e negli altri due gli effetti più sofisticati, introdotti in questa
edizione. Molti dei nuovi filtri sono
regolabili nell’intensità di intervento
oppure nei parametri di base, tramite semplici cursori disposti a sinistra
dell’anteprima.
Picasa 3.9 si è rivelato un buon
programma per l’archiviazione e per
il fotoritocco leggero delle foto; uno
dei suoi principali punti di forza è
senza dubbio la semplicità di utilizzo. Nonostante sia gratuito, offre
prestazioni di tutto rispetto e un set
di strumenti decisamente completo.
Certamente non mancano i piccoli difetti, come l’impossibilità di visualizzare a pieno schermo una singola foto e l’assenza di simboli che
evidenzino le foto a cui sono stati assegnati tag e indice di gradimento. In
compenso i suoi strumenti correttivi
sono efficaci e il collegamento a Picasa Web Album e a Google+ permette di archiviare e di condividere
immagini e video su Web.●
Panorama 51
Curiosità
Cenerentola moderna
Il pranzo è servito
Dalla Cina l’arte pazza e interatti
a cura di Nerea Bulva
I
nterattivi, irriverenti e con una gran voglia di “bucare” la
tela: questi i quadri alla mostra dal titolo Magic Art che
ha incantato i visitatori del Peace International Exhibition
and Conference Centre ad Hangzhou, in Cina, lo scorso luglio e conclusasi il 6 agosto. Adulti e bambini sono stati invitati ad interagire con le opere d’arte, create da 15 artisti sudcoreani, e a farsi fotografare insieme ad esse. Con risultati a
dir poco esilaranti.
La mostra di Hangzhou (città diventata famosa nel 2008
dopo la costruzione del ponte più lungo del mondo con 36 km
di lunghezza) è stato un grande successo per l’arte cinese. Ci
sono voluti quattro mesi di duro lavoro e litri di colori ad olio
per i giovani artisti che hanno suscitato curiosità e meraviglia
in tutti i visitatori. Un intrattenimento divertente e innovativo che ha interessato milioni di persone di ogni età tanto da
indurre gli organizzatori della mostra a renderla itinerante in
tutta la Cina.
Siamo ormai un po’ tutti abituati ad andare in museo rigidi, senza poter toccare questo o quell’oggetto, senza passare
una mano su di una statua per apprezzarne linee e venature,
limitandoci ad ammirare tutto con gli occhi, come se stessimo
sfogliando un catalogo con belle immagini. Alla “Magic Art”,
invece, gli spettatori hanno vissuto l’emozione opposta perché dovevano completare le opere con loro stessi, toccando,
mettendoci la faccia (e alle volte non solo quella) per non rendere altrimenti l’opera incompiuta, mancante. Infatti la tecnica utilizzata dagli autori di questi dipinti è conosciuta come
anamorfosi (dal greco ana = indietro e morphé = forma). Si
Meglio spostarsi
Buffetto sgradito
52 Panorama
Oooh... issa asfalto
Curiosità
Tiro al lenzuolo
Un cucciolo affamato
va nei quadri 3D
tratta di una particolare deformazione del disegno che, visto
da una certa prospettiva, non solo non appare più distorto ma
sembra acquistare una terza dimensione, con un rilievo e un
gioco di prospettive che lasciano senza fiato. In altre parole
un’immagine deformata ad arte acquista la sua forma corretta, quella che l’artista vuole suggerire, solo quando l’osservatore si dispone in una posizione molto inclinata rispetto al suo
piano, o se la si riflette con uno specchio curvo. Come si può
vedere nelle foto, ci si può davvero sbizzarrire.●
Musica per le tue orecchie
Ciao delfino
Cavalca l’onda
Attenzione a Hulk
I vantaggi di un collo lungo
Panorama 53
Salute
Dopo il gr
e prime piogge torrenziali e il tracollo delle temperature nel giro
di poche ore hanno messo a letto
molte persone. Questo è il periodo ideale per i virus simil-influenzali (coronavirus, rinovirus, adenovirus) che approfittano delle escursioni termiche. Quando lo sbalzo di temperatura abbassa le
difese e le vie aree sono meno presidiate, partono all’attacco. Ma, rassicurano
gli esperti, non c’è da aspettarsi il classico febbrone da cavallo, piuttosto il mal
di gola, il naso chiuso o che cola e la faringite, tutti sintomi che possono durare
da 3 a 4 giorni, con qualche strascico.
Cosa si può fare? Per evitare il virus praticamente nulla anche perché
viene trasmesso facilmente visto il
ritorno al lavoro e l’inizio dell’asilo
e della scuola per i piccini. Le cure
poi sono sempre le stesse: basta non
allarmarsi e in pochi giorni tutto tornerà alla normalità. Come curarsi, allora? Si consiglia l’automedicazione.
Ecco una lista di rimedi naturali efficaci per combattere i primi sintomi
dell’influenza.
Limone e miele: sono ottimi rimedi contro il raffreddore e l’influenza,
il limone per il suo alto contenuto di
vitamina C e perché potenzia la capacità dell’organismo di espellere le tossine, mentre il miele perché aiuta ad
ammorbidire la gola infiammata. Prepararsi quindi una bevanda calda con
L
Ecco perché ci «istupidisce»
Q
uando veniamo colpiti dal virus dell’influenza, il nostro organismo è costretto a combattere per ristabilire una condizione
di benessere. Spesso, sia durante che in seguito a quest’affezione,
ci sentiamo come istupiditi. I ricercatori dell’Università di Portland
hanno scoperto che tutto ciò deriva dall’attivazione di un certo tipo
di neuroni.
Ovviamente anche la febbre ed il raffreddore compiono il loro
“dovere”, ma in buona parte il merito di questo nostro stato alterato
deve essere dato, come è stato rilevato attraverso le immagini ottenute tramite risonanza magnetica, a queste particolari cellule cerebrali contenute nell’ipotalamo ed in parte dell’amigdala che si attivano quando veniamo colpiti da un virus per convogliare maggiori
energie verso il nostro sistema immunitario. Questi neuroni, chiamati “ipocretinergici”, fanno in modo tale che la “forza” che noi impiegheremmo per condurre della normale attività fisica venga inviata a quella parte del nostro corpo che lotta contro l’agente patogeno
che ci sta causando malessere, portandoci quindi, attraverso la spossatezza, a limitare al massimo la nostra attività e azzerando la voglia
di fare qualsiasi cosa.
Secondo i ricercatori statunitensi questo meccanismo non entrerebbe in vigore solo in caso di virus influenzale, ma anche in concomitanza di qualsiasi malattia acuta o cronica. È un “modus operandi” che il nostro organismo ha migliorato nel corso dell’evoluzione e che mira alla sopravvivenza dello stesso. Queste particolari
cellule cerebrali sono state scoperte nell’ambito di uno studio sulla
narcolessia cataplettica, una rara forma d’ipersonnia, che causa il
crollo istantaneo della persona a terra per via dell’addormentamento improvviso.
È stato proprio grazie alla scoperta di questi neuroni regolati da
una neuroproteina, l’ipocretina, che è stato possibile iniziare a mettere a punto dei farmaci contro l’insonnia e la narcolessia adeguati.
Ed è stato proprio partendo da questo passaggio, che si è riusciti a
collegare questa nostra “spossatezza” relativa alla malattia alle cellule cerebrali ipocretinergiche ed alla loro politica di “risparmio” attuata in situazioni di difesa.●
54 Panorama
Salute
an caldo arriva la prima influenza
Il brodo di pollo è stato rivalutato
perché, secondo una ricerca medica, le proteine della carne stimolerebbero la produzione di anticorpi
il succo di due-quattro limoni e aggiungere un cucchiaino di miele.
Timo: è molto utile contro il mal
di gola grazie al suo potere disinfettante. Portate ad ebollizione l’equivalente di 1 tazza di acqua e lasciate
in infusione 1 cucchiaino di foglie e
fiori per 10-15 minuti. L’infuso va bevuto 3-4 volte al giorno.
Salvia: nota per le sue proprietà balsamiche ed espettoranti, caratteristiche
che la rendono molto efficace contro il
mal di gola. Portate a ebollizione 500
ml di acqua e lasciate in infusione una
decina di foglie di salvia per 10 minuti.
Olio essenziale di eucalipto: è un
mix molto efficace contro il naso chiuso, l’olio essenziale di eucalipto, infatti, favorisce l’espettorazione e libera
subito le vie respiratorie. Fate sciogliere in una bacinella d’acqua bollente 1 cucchiaio di olio essenziale di
eucalipto e 1 cucchiaio di bicarbonato, raccogliete bene i capelli e coprite la testa con un asciugamano e respirare.
Pepe: è un ottimo rimedio per alleviare i sintomi della faringite. Bollite
2 grammi di pepe e bevetene 3 tazze
al giorno.
Acqua calda e sale: è utile in caso
di faringite per fare i gargarismi.
Aglio: in molti non lo usano perché è difficile da digerire e poi lascia
un alito sgradevole, ma oltre essere
uno degli elementi base della cucina
è un potente battericida e può essere
utilizzato come antisettico, come preventivo dell’influenza e come curativo di alcune malattie delle vie respiratorie. Il consiglio è di mangiarlo a
crudo, se però non sopportate il sapore, potreste fare una tisana a base
di limone e aglio.
La “batosta” di fine estate è comunque solo un assaggio. Per imbatterci nell’influenza vera e propria
occorrerà aspettare l’arrivo del freddo rigido, quello tipico dell’inverno,
e sarà più aggressiva rispetto a quella dell’ultimo biennio. Le previsioni, elaborate sulla base dei dati diffusi dall’Organizzazione mondiale
della sanità (Oms), portano a far supporre che nei prossimi mesi circolerà ancora il ceppo virale pandemico
del 2009 (il virus A/H1N1), ma anche
due ulteriori nuovi ceppi, un ceppo B
e un ceppo H3N2. Quindi, il vaccino che verrà somministrato conterrà
sia quello relativo al ceppo influenzale del 2009, sia quello contenente il
virus per stimolare gli anticorpi delle
due nuove varianti. Intanto, i virus parainfluenzali si godono il loro “quarto
d’ora di celebrità” grazie a una colonnina al mercurio ballerina.●
Panorama 55
Benessere
Tornare in forma con i cibi giusti
O
rmai possiamo dire addio,
almeno per quest’anno, alla
tanto amata stagione estiva. Certo ancora ci aspetta qualche
giornata di sole, ma il mare e il caldo afoso sono ufficialmente finiti.
Ci prepariamo ad affrontare l’autunno, e tra giornate di pioggia e i primi
freddi cominciamo a prestare attenzione anche alla nostra linea, magari
non proprio in forma durante l’estate. Ecco allora alcuni consigli sui
cibi ideali per recuperare la forma
fisica persa durante l’estate.
Cominciamo
con la mela
Questo frutto, oltre a minerali e
vitamine, contiene pectine, che sono
utili per tenere sotto controllo la regolarità del nostro intestino, oltre
che i livelli di glicemia e colesterolo. Insomma dalla serie “una mela
al giorno leva il medico di torna” a
confermare le proprietà salutari della mela, uno studio americano che
sottolinea e ribadisce le virtù dimagranti della buccia della mela.
Associare fibre e grassi
Il consumo di fibre non solo riequilibria il nostro intestino ma limita
anche l’assorbimento degli zuccheri e dei grassi in eccesso. Tra i suoi
punti negativi vi si annovera il comune gonfiore addominale. Il modo migliore per evitare il fastidio è quello
di associarle con il grasso vegetale
come l’olio di oliva o di lino, che previene il gonfiore intestinale. Esistono due tipi di fibre, quelle solubili e
quelle insolubili, entrambe utili per il
nostro organismo. Per essere più precisi, le fibre solubili hanno proprietà prebiotiche ovvero favoriscono la
crescita dei batteri buoni, importante per la salute del nostro organismo.
Le fibre insolubili invece contrastano
la stipsi. Le fibre solubili si trovano
nella crusca di avena, frutta secca, albicocche, e mele; mentre quelle insolubili sono contenute nei cereali integrali, verdure, legumi e frutta. Come
si può ben capire, una dieta fatta di
probiotici e fibre aiuta a recuperare in
poco tempo la forma fisica persa durante l’estate e ci prepara ad affrontare con maggiore sicurezza l’autunno
e l’inverno. Piccolo consiglio come
antipasto bevete frullati a base di fibre e probiotici che ti consentono di
riconquistare la linea e mantenere la
forma fisica perfetta.
Ci sono anche
i probiotici
Come accennato per riattivare il metabolismo, oltre le fibre è
bene consumare anche i probiotici, a cominciare dallo yogurt e dal
56 Panorama
kefir che in quanto ricchi di batteri
buoni, riattivano l’intestino e combattono l’accumulo di grasso in eccesso. Esempio di come si possono
abbinare probiotici e fibre è yogurt e
crusca, mix ideale per controllare il
peso. Ricordatevi di scegliere lo yogurt naturale, intero o parzialmente
scremato. A confermare le sue virtù uno studio giapponese questa volta, che ha spiegato come lo yogurt
assottiglia i fianchi, dimostrando
come il consumo per ben 12 settimane dello yogurt comporta un calo
di peso notevole ed anche di grasso sottocutaneo, e conseguente riduzione del girovita.
Migliorare
le difese naturali
Mangiate spesso - e fuori pasto - i
frutti blu di stagione (prugne, mirtilli, uva, more). Il blu infatti è per eccellenza il colore che induce vibrazioni purificanti. Questi frutti aiutano anche a diminuire lo shock dovuto al cambiamento di ambiente:
temperatura, umidità e smog infatti
incidono tantissimo sui naturali ritmi del nostro organismo.
Sport e moto
Non sono due brutte parole, ma
servono a rimettere in movimento il vostro metabolismo, che avrà
rallentato per oziare con voi sulla
Benessere
sdraio. Scegliete qualsiasi attività
(dalla piscina alla corsa, dalla palestra al tennis) purché la facciate con
un po’ di costanza.
Poche regole ma difficili da metterle in pratica con la vita frenetica
di tutti i giorni. Potete sempre provare però, vedrete che sarà più sempli-
ce di quello che pensate… e, soprattutto, potrete prolungare il benessere
che avete acquistato durante le vostre vacanze! ●
Stress da rientro? Non esiste!
er molti le vacanze sono finite.
Ombrelloni e sdraio ritrovano
posto in soffitta e, di malavoglia, si
abbandonano gli infradito per calzare i mocassini. Ma il ritorno alla
scrivania non deve condurre alla nostalgia di spiagge dorate. Al rientro, secondo le ultime ricerche degli
esperti psichiatri, non bisogna farsi prendere da un malessere che, fra
l’altro, non è certo una patologia,
bensì un’invenzione.
La chiave per affrontare una
vaga malinconia dovuta alla ripre-
P
sa di ritmi più concitati sta nel modo
di guardare le cose. Bisogna pensare alla fortuna che si ha ad aver fatto
delle ferie e a poter contare su un impiego, con i tempi che corrono. Per
gli esperti ci sono molte persone felici di tornare nella propria abitazione, nel loro ufficio, altre che riescono semplicemente a razionalizzare e
a non farsi prendere dalla tristezza
perché capiscono che la situazione
economica attuale non consente di
lasciarsi andare a depressione. E se,
nonostante tutto, compaiono mal di
testa, stanchezza e irritabilità, come
combatterli? Basta fare un po’ di
sport, la psicomotricità è un elemento essenziale per il benessere umano.
A tutte le età, dall’infanzia alla vecchiaia. Basta assecondare le proprie
tendenze e, in caso di scarsa disponibilità economica, uscire e fare una
bella corsa. Il ritorno alla vita di tutti i giorni non deve scatenare ansie.
L’organismo e la mente umana sono
perfettamente in grado di adattarsi a
cambiamenti ben più repentini. Non
dimentichiamo infatti che tutti coloro che si recano in vacanza sanno
quando inizia e quando finirà, dunque hanno tempo per prepararsi psicologicamente a un rientro sereno.
Un piccolo e prezioso stratagemma per sentirsi al meglio tutto l’anno: concedersi tre giorni
di vacanza al mese, oltre alle domeniche. Il risultato è che si lavora anche meglio. Gli amici possono dare una mano anche in questo caso. Per gli esperti il segreto per non sentirsi tristi e depressi
quando finisce l’estate è non isolarsi. Telefonare agli amici e stare
il più possibile in compagnia è un
modo per riprendere bene il tran
tran quotidiano. Non bisogna mai
essere passivi nella vita.●
Panorama 57
Passatempi
ORIZZONTALI: 1. Spaccio di
alcolici – 7. Un pericolo per il sub –
15. La risposta quando non le manca prontezza e vivacità d’ingegno –
16. Scrisse il Paradiso perduto – 17.
Si dà pigiando l’acceleratore – 18. La
fine della guerra – 19. Margini, orli
– 21. Il nome di Gazzara – 22. Nasce dal monte Penna – 23. Consumato dal fuoco – 25. L’Abel Janszoon
navigatore ed esploratore olandese –
27. Il Capirossi del motociclismo –
28. Concessione strappata – 29. Lo
stato USA con Topeka – 30. Automobile a Londra – 31. Particella pronominale – 32. Cittadina della Lombardia, in provincia di Pavia – 34. La corazza dei Cheloni – 37. Ha tre regni
– 39. Gli avversari al fronte – 41. Profondo precipizio – 43. La sconfessa
il fedifrago – 45. I confini della Somalia – 46. Parità per farmacisti – 47.
Un po’ di paura – 49. Quartiere residenziale di Roma – 50. Ridotta in
minuscoli pezzetti – 52. Valico delle
Alpi Retiche – 53. Si nutre con foglie
di gelso – 54. Città dell’Etiopia settentrionale – 55. Figlio inglese – 56.
Lo sport dei pachidermi – 58. Le ini-
Soluzione del numero precedente
ziali dei Dumas – 59. Il nome di King
Cole – 60. Formano acque vorticose
nei fiumi – 62. Coperture per autocarri – 64. Piccola nave da guerra – 65.
Accertamento di esperti.
VERTICALI: l. Una gran confusione – 2. Le finanze dello stato – 3.
Il simbolo del seaborgio – 4. Quello di Rubik è snodabile – 5. Andato
– 6. Si muove lentamente – 7. Quello greco è pari a 3,141592 – 8. Città
dell’Albania – 9. Un mitra inglese –
10. Il timoniere nel canottaggio – 11.
Enna su targa d’auto – 12. Diede ad
Abramo il primogenito Ismaele – 13.
Un… buco del naso – 14. Lo sono i
prezzi troppo alti – 16. Una bella incoronata – 20. Il seme del settebello
– 22. Ospita cuore e polmoni – 24.
Cittadina della Campania in pro-
vincia di Salerno – 26. Patronimico
scozzese – 27. Identifica il sepolcro
– 29. La spada del samurai – 30. Piccoli vani – 33. Lo è l’apparecchiatura messa a punto – 35. Un colpo
di vento – 36. Musicò l’Arlesiana –
38. Il nome di Dvořák – 40. Versione
comica di un’opera – 41. Il fiume di
Skopje – 42. Un… tedesco – 44. Uccelli dal becco enorme – 45. Si allestisce alla fiera – 48. Non tutto viene
per nuocere – 51. Tela per sacchi –
52. Ballano quando il gatto non c’è
– 53. L’isola indonesiana con Singaraja – 55. Il regista Peckinpah – 57.
Tre volte in latino – 60. In mezzo alla
strada – 61. Concludono le domande
– 63. Ci ricorda un mago.
Pinocchio
15.0%, il cucchiaino che scioglie il gelato
S
e vogliamo festeggiare qualcosa, il gelato è uno tra i modi
migliori per farlo. Ma anche nella situazione opposta, quando
siamo particolarmente tristi, anche lì, un gelato ci sta bene comunque. Molte volte però ci troviamo a scavare con un’agitazione rabbiosa nel tentativo inutile
di racimolare un briciolo di golosa crema, con l’unico risultato
di piegare il cucchiaino sotto la
forza della nostra furia (e golosità)!!! Fortunatamente Naoki Te-
58 Panorama
rada, architetto e designer giapponese, ci viene in soccorso con
un cucchiaino speciale in grado
di fondere il gelato, senza però
farlo sciogliere. Meglio conosciuto come 15,0%, proprio perché la legge giapponese dice che
il gelato deve contenere almeno il
15 p.c. di latte, è realizzato in alluminio con una conduttività termica del grado specifico per fondere il gelato senza ridurlo in una
poltiglia liquida. Nello specifico
il gelato piano pianino si scioglie
mentre si mangia grazie al calore della mano trasmesso tramite
l’impugnatura. ●
80 anni a 80 metri
di profondità
P
er un Adriatico pulito e l’amicizia tra i popoli sta scritto sulla targa apposta sul relitto della nave
da guerra italiana “Audace” affondata nell’acquatorio tra le isole di
Pago, Lussino ed Arbe. A volerlo
fare è stato il dott. Božo Dimnik, sloveno di nascita e amante delle acque
dell’Adriatico. E lo ha fatto in un
modo molto singolare: per festeggiare i suoi ottant’anni di età è sceso a
ottanta metri di profondità, laddove
appunto giace il relitto. Questa sua
immersione è stata voluta nell’ambito del Progetto ecologico denominato 80/80 e che probabilmente ha fatto del dott. Dimnik il subacqueo più
anziano del mondo che sia sceso ad
una simile profondità.
Subito dopo l’immersione il dott.
Dimnik ha detto che “esploro i fondali del nostro belllissimo Adriatico
da cinquant’anni e purtroppo devo
dire che la situazione è catastrofica. Trent’anni fa nei relitti delle navi
sparsi nel nostro mare la vita pulsava, c’erano pesci di tutti i tipi, aragoste, oggi non c’è nulla, ed è per questa ragione che ho voluto fare questa
immersione, per dire a tutti che stiamo distruggendo l’Adriatico e che
bisogna correre ai ripari”.
Ad accompagnare l’anziano subacqueo c’era pure l’ex presidente Stipe Mesić, suo amico, nonché
il sindaco di Maribor, città natale di
Dimnik, Franz Kangler.
Il dott.Dimnik, che tra l’altro è
presidente della Società dell’amicizia croato-slovena, al termine della
festa che gli è stata preparata non appena arrivato a riva ha detto che: “Il
4 settembre 2032 compirò cent’anni
e quel giorno scenderò a 100 metri di
profondità”.
A. V.
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