PORTICI 5/V da pag.29 - Città metropolitana di Bologna

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PORTICI 5/V da pag.29 - Città metropolitana di Bologna
S
sommario
ommario
n COME ERAVAMO
Detenuto Pascoli Giovanni
Claudio Santini
2
n DAL CONSIGLIO
All’indomani della tragedia in Usa
All’esame dell’assemblea
n ECONOMIA
L’euro alle porte
Liliana Fabbri
4
6
n SPECIALE
DA STRANIERI A CITTADINI
8
Un piano per finanziare l’immigrazione 9
Olivio Romanini
L’impegno dei Comuni
10
Liliana Fabbri
L’esperienza del Villaggio Rouza
13
L. F.
Gli interventi di Bologna
13
Nicodemo Mele
Immigrati tra cronaca e storia
14
Fausto Anderlini
Le Parole per dirlo
16
a cura di Dimitris Argiropoulos
e Rita Paradisi
Le regole per entrare
e restare in Italia
26
Abdulkadir Mohamed Tahlil
Non solo immigrato
29
D. A. e R. P.
Portici racconta
Incrociandosi per strada
31
Gabriella Ghermandi
Scritti di tutti i colori
Adriana Bernadotti
Le altre culture in biblioteca
A. B.
L’informazione multietcnica
a Bologna...
A. B.
... E quella della stampa italiana
Francesca Gallini
Tre storie di quotidiana immigrazione
a cura di Dimitris Argiropoulos
Più clandestinità meno sicurezza
F. B.
Tutti insieme per sciogliere i nodi
Nicodemo Mele
Cooperare per lo sviluppo
Pietro Pinto
n ORIZZONTI D’ARTE
n LA CITTÀ SENTIMENTALE
Il cielo sotto Wenders
Renzo Renzi
n BOLOGNA IN LETTERE
L’infelicità permanente
Stefano Tassinari
n IL POSTO DELLE FRAGOLE
I nuovi cinici
Nicola Muschitiello
n TERRITORIO E AMBIENTE
Agenda 21: lavori in corso
Direttore: Roberto Olivieri
Caporedattore: Sonia Trincanato
Direzione e redazione:
Provincia di Bologna, Via Zamboni, 13
tel. 051/218.340/355 fax 051/218.226
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Iscrizione Tribunale di Bologna
n. 6695 del 23/7/97
Chiuso in fotocomposizione il 25/10/2001
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Gabriele Bollini
n GRANDI INFRASTRUTTURE
Interporto, un gioiello
del sistema Bologna
n NEWS
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n RICOMINCIAMO A...
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Francesco Baccilieri
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a colloquio con Marzio Barbagli e Dario Melossi
Un ponte tra Bologna e Ferrara
Hidehiro Ikegami
Bimestrale della Provincia di Bologna
Anno V - n. 5 - ottobre 2001
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Dove va la cucina bolognese
Alessandro Molinari Pradelli
n RICERCA
In difesa della ragione
Stefano Gruppuso
n MOSTRE
Spazio arte
Lorenza Miretti
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Impaginazione: Piero Brighetti
Tiratura: 13.000 copie
In copertina
Nanni Menetti, ÒMicroviolenza VIII - Il
verde pu˜ essere bile, anche...Ó, 1999,
tecnica mista. I materiali di Nanni Menetti,
artista attivo fin dagli anni Ô60, sono i
residui della scrittura e, ultimamente, i
segni e le tracce della natura (il gelo).
Vincitore del premio Marconi 2000 per la
nuova scrittura, a nome Luciano Nanni
insegna estetica allÕUniversitˆ di Bologna.
Questo periodico • associato alla
Unione Stampa Periodica Italiana
Portici • consultabile anche sul sito Internet www.provincia.bologna.it/portici/index.html - Tutti i numeri sono scaricabili interamente in formato per Acrobat Reader
C O M E E R AVA M O
DETENUTO PASCOLI GIOVANNI
di CLAUDIO SANTINI
Quando il poeta conobbe il carcere e il tribunale mentre era ancora studente a Bologna,
e come la dura esperienza lo segnò anche nei confronti delle sue più intime convinzioni politiche
A
rrestato dai Carabinieri Reali per aver
elevato grida sediziose e aver oltraggiato i militi con l’invettiva “Avanti, sgherri vigliacchi!”. Rinchiuso nel carcere di San
Giovanni in Monte. Età: anni 24, professione:
studente di filosofia e belle lettere. Cognome:
Pascoli, nome: Giovanni.
Il futuro Poeta - all’Università con una borsa di
studio - s’impatta a Bologna con la galera e la
giustizia e subisce un trauma che segnerà
profondamente la sua vita già duramente provata per l’assassinio del padre Ruggero, la conseguente miseria e la serie a catena di gravi lutti che, in pochi anni, lo hanno privato anche
della madre Caterina, della sorella maggiore
Margherita, dei fratelli Gigino e Giacomo.
Un’esperienza negativa che gli fa pensare addirittura al suicidio, come testimonia la poesia La
voce.
“Una notte dalle lunghe ore/ (nel carcere!),
che all’improvviso/ dissi- Avresti molto dolore,/
tu, se non t’avessero ucciso,/ ora, o babbo!…e
che agli uomini, la mia vita,volevo lasciargliela lì…”.
È il 1879, l’anno della Duplice Alleanza fra
Germania-Austria e Ungheria e della Guerra
del salnitro in Pacifico. In America Thomas
Edison annuncia la realizzazione della lampadina elettrica, pronta ad essere messa in commercio a basso costo. In Italia è appena cominciata l’ “età Umbertina” dal nome di Umberto
I, succeduto al padre, Vittorio Emanuele II
morto nel ‘78. Depretis si dimette e lascia il posto a Benedetto Cairoli.
Bologna ha un governo locale guidato dai liberali trasformisti che- sindaco Gaetano Sacconi,
dal ‘75 - ha aperto alle istanze associazionistiche della classe operaia. I circoli sociali-socialisti sono numerosi e prevalentemente “umanitari”, dopo la fallita rivoluzione anarchica del
’74 che ha mandato in carcere Andrea Costa. Il
6 luglio, è inaugurato il nuovo passeggio pubblico dedicato a Margherita, la Regina che,
l’anno prima, ha visitato la città con l’Augusto
Consorte ed ha affascinato il repubblicano Giosuè Carducci.
È settembre e i giornali di fine estate parlano
del caldo che persiste oltre i 30 gradi, degli incendi, del viaggiatore Pellegrino Matteucci in
2
visita a Bologna, del Congresso dei Veterinari,
di Teresa Raquin di Zola fischiata all’Arena del
Sole. La moda femminile annuncia per l’autunno “scialli piegati all’usanza delle nostre
nonne”.
Il 2, al Palazzo di Giustizia, s’inizia un altro
processo agli Internazionalisti dopo quello del
’76 per l’ insurrezione in nome di Bakunin.
Il 17 novembre del ’78, a Napoli, Giovanni
Passanante, cuoco calabrese, si è precipitato
verso il cocchio reale impugnando un coltello
che ha cercato il petto del Sovrano ma ha trovato solo una coscia di Cairoli. Il gesto ha esaltato i libertari internazionalisti ai quali appartiene Giovanni Pascoli. Ad accostarlo a questo
ambiente politico è stato l’animo esacerbato
per la mancata giustizia dell’assassinio del padre assassinato. Poi l’indigenza economica che
lo ha portato a cercare un piatto caldo nell’osteria del Foro Boario (oggi Piazza Trento e
Trieste) dove un cameriere gli fa credito. È
Teobaldo Pio Buggini, detto Gigione, ex garibaldino, internazionalista, intimo di Andrea
Costa. Pascoli conosce così il capo del nascente socialismo e comincia a collaborare con lui
a Il Martello. Si iscrive alla ricostituita sezione
dell’Internazionale. Grida “Abbasso” al Ministro Ruggero Borghi in visita all’Università e si
vede sospendere la borsa di studio che gli permette di vivere. Altra “ingiustizia” che contribuisce, dopo l’attentato di Napoli, a fargli recitare: “Del berretto di un cuoco faremo una bandiera”.
Il 7 marzo ’79 l’attentatore è condannato a
morte (pena commutata poi in lavori forzati a
vita, per clemenza del Re) e ciò provoca manifestazioni internazionaliste e conseguenti retate di polizia. A Bologna finiscono “dentro” 18
persone che sono processate , appunto, dal 2 al
7 settembre. La sentenza infligge 11 condanne
ed è accolta dalle proteste dei compagni degli
imputati non tanto per la pesantezza delle sanzioni (massimo di 1 anno e 6 mesi, minimo di
5 mesi) quanto per la qualificazione del reato:
“associazione di malfattori” cioè delinquenti
comuni e non contestatori politici. L’aula è
Una veduta del carcere di San Giovanni in Monte in cui fu rinchiuso il giovane Pascoli
C O M E E R AVA M O
sgomberata e i reclusi sono ricondotti al carcere passando dal portone secondario che dà sulla via Solferino. La protesta si trasferisce così
davanti a San Giovanni in Monte. È attorno al
mezzogiorno.
Scrive La Stella d’Italia, nuovo Monitore di
Bologna, «Domenica gli internazionalisti dopo
la condanna erano ricondotti a San Giovanni in
Monte. Quivi giunti una schiera di cittadini li
attendeva; taluni gridavano Viva l’ Internazionale! Viva i malfattori moderni! Viva la rivoluzione sociale!» .E la Gazzetta dell’Emilia: « Ier
l’altro quando si ricondussero a San Giovanni
in Monte i condannati internazionalisti alcuni
loro compagni si fermarono sotto le finestre a
gridare Viva l’ Internazionale e Viva la rivoluzione sociale. Furono arrestati certi C.e P.»
C. è lo studente di Ravenna, conte Ugo Corradini Ginanni, P. è Giovanni Pascoli come dice
esplicitamente La Patria del 10 settembre:
«L’egregio giovane sig. Pascoli, studente di filosofia e belle lettere all’Università di Bologna,
fu arrestato a seguito della dimostrazione avvenuta alle carceri di San Giovanni in Monte a favore degli Internazionalisti testé processati.
Conoscendo l’ingegno, il cuore e il carattere di
questo veramente egregio giovane, facciamo
voti gli sia presto resa la libertà».
Sulle circostanze dell’arresto ci sono due versioni. Quella dei Carabinieri Reali che nel primo verbale sostengono di essere stati “fronteggiati” cioè contrastati con violenza. Quella di
Pascoli che - pur ammettendo la partecipazione alla protesta - la limita alla sola presenza davanti al carcere e alle spiegazioni chieste ai militari che avevano bloccato Corradini Ginanni.
Nulla di sedizioso e di rivoluzionario perché:
«Non appartengo ad alcun partito politico - sostiene sostanzialmente nel primo interrogatorio
- e le mie idee individuali mi conducono ad appartenere a quella parte dei socialisti che desiderano il miglioramento della società senza
pervertimento dell’ordine».
che gli inviano qualche soldo per integrare lo
scarso rancio. Scrive a Severino Ferrari, futuro
poeta e studioso di letteratura, nato a Alberino
di Molinella, allievo prediletto di Carducci
(“Allor che agosto cada, o Severino / e chiami
l’acqua le rane canore / noi torneremo poeti a
l’Alberino”) e gli chiede soprattutto libri: Storia e grammatica della lingua latina e una
grammatica tedesca, e il Faust di Goethe.
Riceve qualche visita dal fratello Raffaele, che,
a Bologna è impiegato tecnico al Genio Civile.
Le sorelle, Ida e Maria, sono in collegio a Sogliano e saranno avvertite solo più tardi da una
zia. È depresso e piomba nella cupezza quando
la Regia Corte d’Appello ne dispone il rinvio a
giudizio in stato di detenzione nonostante l’accusa avesse proposto la libertà provvisoria
avendo ravvisato l’oltraggio ma non la violenza. Medita il suicidio.
Il 22 dicembre, un lunedì, viene
chiamato, assieme a Ugo Corradini
Ginanni davanti alla seconda sezione
correzionale (oggi penale). Alla difesa siede Giuseppe Barbanti Brodano,
già in luce nel processo Costa.
Le deposizioni dei Carabinieri sono
determinanti.
A distanza di tempo, non sanno più
bene collocare gli imputati nel gruppo
Giovanni Pascoli
dei dimostranti. Si contraddicono.
in una foto-ritratto,
una veduta dei giardini Forse li hanno sentiti e visti mentre
pronunciavano le grida sediziose, forMargherita del secolo
scorso e, sopra, un
se li hanno individuati solo dopo che
autoritratto del poeta
qualcuno (- Chi? - È difficile dirlo) le
del 1909 con il suo
aveva pronunciate.
cane Guli
Per questi motivi: «visto l’art. 393 del
vigente codice di procedura penale, il
Tribunale dichiara non essersi fatto
luogo a procedere contro Ginanni
(In queste parole già cogliamo quell’ideologia Corradini Ugo e Pascoli Giovanni, pei capi
più di cuore che di testa che, unita negli anni d’imputazione loro addebitati».
successivi al nazionalismo, farà del Poeta un Lo stesso 22 dicembre Zvanì torna libero e risocialista particolare e un internazionalista prende la vita di studio che in due anni lo porterà alla laurea. L’esperienza l’ha confermato
massimamente improprio).
L’arresto, in flagranza, è confermato e per in alcune convinzioni ma mutato profondaZvanì comincia la traumatizzante esperienza di mente in altre. Anche in relazione alla sua futura collocazione politica.
detenuto.
La sua cella è nel vecchio monastero dei Cano- I Canti di Castelvecchio, pubblicati nel 1903,
nici lateranensi che ospita reclusi politici, di- contengono, infatti, la poesia La voce: quella sertori, delinquenti comuni , oziosi, vagabondi, come abbiamo scritto - col riferimento alla cartruffatori, bari: tutti ammassati in carenza di cerazione bolognese.
E una nota: «è un’allusione che mi riconduce a
spazi.
C’è un vecchio assassino, dal capo tutto bian- tempi che ora sembrano chiusi, ma che parevaco, quasi sempre accucciato per terra con la te- no voler condurre l’Italia alla condizione d’una
sta fra le mani e l’aria assorta e un ladro che Russia, forse peggiore: d’una Russia non solo
passeggia continuamente misurando a passi la senza giustizia, ma senza grandezza. Quanta
cella. L’estate calda è stata seguita da un au- prigione per nulla…». Poi «In quei mesi d’un
tunno freddo e Giovanni ha le mani continua- rigidissimo inverno ebbi occasione di meditare
mente intirizzite. Compone mentalmente poe- su la giustizia.
sie che non riesce a tenere a memoria. Non en- Dopo la qual meditazione mi trovai allora astra in gruppo con gli altri reclusi. Cerca invece solto e per sempre indignato. Ai cari compagni
q
di mantenere i contatti con i compagni liberi di quel tempo un saluto!».
3
DAL CONSIGLIO
ALLÕINDOMANI DELLA
TRAGEDIA IN USA
Erano le 15 circa (ora italiana) del’11
settembre quando il primo Boeing 767
si è schiantato contro una delle Twin
Towers. E poi il susseguirsi degli altri
attacchi, alla seconda torre e al Pentagono…immagini forti, vissute in diretta dal Consiglio provinciale che era già
stato convocato in seduta ordinaria.
Una riunione durante la quale sono stati espressi, a caldo, i primi commenti,
le impressioni e lo sgomento di fronte
alla tragedia che ha colpito gli Stati
Uniti. E dove è emersa, comunque, la
necessità di indire una seduta straordinaria che si è svolta il 13 settembre in
forma solenne. Per l’occasione sono
stati convocati tutti i sindaci dei Comuni della Provincia, intervenuti numerosi con gli altri invitati: il prefetto
di Bologna Sergio Iovino, il rettore
dell’Università Pier Ugo Calzolari, il
direttore della Johns Hopkins University Robert Evans, il vice sindaco di
Bologna Giovanni Salizzoni e una delegazione di monaci tibetani.
«Abbiamo voluto far sentire la nostra
volontà unanime di condanna nei confronti di un fatto difficilmente descrivibile per la sua atrocità assoluta - ha
detto aprendo la seduta il presidente
del Consiglio Valerio Armaroli - una
condanna che vogliamo sia netta, senza nessun appello per questo grave atto terroristico che ha colpito gli Stati
Uniti d’America, ma che noi diciamo
ha colpito l’intero mondo proprio per
la minaccia che esso rappresenta, per i
valori comuni quali la democrazia e la
convivenza internazionale».
E condanna unanime è stata con l’approvazione, da parte di tutti i gruppi
consiliari, di un ordine del giorno contro «il vile e criminale atto di terrorismo perpetrato contro gli Stati Uniti
d’America…un atto che, compiuto
con il preciso intento di portare ad una
radicalizzazione dei contrasti tra i popoli, rappresenta un attacco all’intera
comunità internazionale e ai suoi valo-
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ri di civiltà». Nel documento si esprime il più profondo e sentito cordoglio
al Governo americano e al suo popolo,
e si auspica una dura punizione per i
responsabili dell’attentato, ma anche il
proseguimento di quella faticosa opera
«volta a garantire la convivenza pacifica fra i popoli e ad affermare i principi
di pace, giustizia e tolleranza». Nell’ordine del giorno, infatti, si invitano
il Governo e il Parlamento italiani e
l’Unione Europea a «perseguire l’obiettivo di una politica estera improntata alla ricerca della pace e della convivenza tra i popoli del mondo e rifiutando l’ineluttabilità di un conflitto tra
civiltà». Un’indicazione, quest’ultima,
ripresa anche dal presidente della Provincia, Vittorio Prodi, che ha ammonito chi volesse innescare una spirale
di violenza. «Siamo feriti da questa
esperienza - ha detto - e chiediamo
giustizia, ma non vendetta, perché bisogna cercare di sfuggire a questo gioco che vorrebbe una violenza che alimenta altra violenza: diventerebbe
qualcosa di incontrollabile. Il vero
conflitto sarà fra civiltà e barbarie, non
fra civiltà diverse. Noi dobbiamo consentire ai popoli in via di sviluppo di
prendere quello che vogliono dalla nostra civiltà, senza imporre nulla: così
potremo contribuire a spegnere quei
focolai d’odio e di ingiustizia che sono
nel mondo e che possono anche avere
fornito qualche motivazione per azioni
di questa violenza».
Richiamando le parole del Papa, il capogruppo del Gruppo Misto, Osvaldo
Santi, ha detto «colpiamo i terroristi,
ma lasciamo stare i popoli. È un momento di riflessione per tutti, per vedere se abbiamo commesso degli errori
nel creare una società che è arrivata al
punto di fare delle cose così inumane
che credo non si siano mai verificate
nella storia. Cerchiamo di analizzare ha proseguito - e, se è possibile, porre
dei rimedi. Al contrario, se la risposta
dovesse essere quella delle botte contro le botte, qualcosa non funzionerebbe». Sentimenti di cordoglio, di sdegno e di rabbia per quanto accaduto sono stati espressi dal capogruppo dei
Verdi, Sandro Magnani. «La rabbia
per questo fatto - ha detto - ci ha fortemente colpito come cittadini bolognesi, purtroppo già coinvolti in questo tipo di esperienze: vado indietro negli
anni e penso al 2 agosto. Le stragi e le
crudeltà accompagnano la storia dell’umanità. L’essere umano è capace di
cose sublimi e di cose efferate e questo
è un esempio di efferatezza portato all’estremo livello dalla tecnologia, ma
che deve subire una condanna senza
appello». La necessità di una riflessione sulle motivazioni che hanno portato delle persone a compiere tali atti è
stata richiamata anche dal capogruppo
dei Comunisti Italiani, Elpidoforos
Nicolarakis. «Mentre noi viviamo in
un clima di pace - ha detto - in vari
punti del mondo ci sono tante contraddizioni e tante guerre, situazioni che
possono spingere certi individui a
compiere questi atti. Allora compito
del mondo occidentale è di contribuire
ad eliminare questi focolai, dando dignità ad ogni popolo, senza discriminarne nessuno». Evitare scontri tra civiltà: è stata la parola d’ordine di
Rifondazione Comunista che ha spiegato uno dei motivi per cui ha sottoscritto l’ordine del giorno. «Il documento - ha detto il consigliere Nello
Orivoli - in una parte che abbiamo
specificatamente richiesto, parla di organismi internazionali preposti alla risoluzione del problema della pace nel
mondo. Noi insistiamo su questo terreno, perché riteniamo l’ONU l’organismo principe, con un dettato che può
essere simile a un dettato costituzionale, quindi con dei principi inviolabili».
Atrocità, sgomento, condanna, pace:
parole che, secondo il consigliere della Margherita Flavio Peccenini, assumono un grande peso e dividono il
mondo in due. Da una parte chi, appunto, prova sgomento per l’atrocità
commessa e la condanna fermamente.
Dall’altra «c’è la barbarie che, ricordiamoci però, non è solo odio fanatico,
è anche la vendetta e la guerra. La persecuzione, la guerra e la vendetta in
questo momento sono da mettere dalla
stessa parte della barbarie».
Per il capogruppo di Alleanza Nazionale, Sergio Guidotti, la conseguenza
dell’atto contro gli Stati Uniti deve essere «una battaglia della civiltà della
vita contro quella della morte». Per
vincere questa battaglia, secondo Guidotti, ci si può impegnare a tutti i livelli «individuando e colpendo le compli-
DAL CONSIGLIO
cità, quelle che tendono a creare i brodi di coltura del terrorismo: questo è un
compito che noi possiamo darci, specialmente nel non tentare sociologiche
giustificazioni al terrore quando esso
si manifesta».
Anche il capogruppo di Forza Italia,
Mario Pedica, ha insistito sulla necessità di combattere e annientare il terrorismo. «Dovranno essere duramente
puniti non solo i responsabili - ha detto - ma anche chi offre loro asilo e
qualsiasi tipo di protezione. Da questo
momento tutte le forze politiche, le nazioni, comprese quelle arabe, devono
dire chiaramente da che parte vogliono
stare. Chi adotta la strategia del terrore è nemico della pace, e la pace è il bene supremo che tutti abbiamo il dovere di salvaguardare». Il consigliere dei
Democratici della Sinistra, Salvatore
Caronna, ha invece ritenuto «indispensabile che la politica riacquisti il
suo primato, perché solo la politica
può affrontare le ragioni che stanno alla base dell’odio, della disperazione,
del fanatismo, che portano persone a
morire per uccidere. Occorre prosciugare quelle sacche di odio e offrire una
speranza, una prospettiva a quei popoli che sono ai margini del mondo. Solo
così, penso, potremo sperare in un futuro sicuro per noi e per quelli che verranno dopo di noi».
Il Consiglio provinciale ha aderito alla
proposta della Comunità europea di
osservare tre minuti di silenzio nella
giornata del 14 settembre alle ore 12.
ALLÕESAME
DELLÕASSEMBLEA
«Nonostante l’incertezza del quadro
finanziario nazionale, la Provincia non
verrà meno agli impegni assunti di restituire il debito alla Cassa depositi e
prestiti, anzi l’amministrazione restituirà con un anno di anticipo anche la
rata del 2003». Lo ha assicurato il 25
settembre l’assessore provinciale al
Bilancio, Paola Bottoni, illustrando in
Consiglio le linee di indirizzo per il bilancio di previsione del prossimo anno. Indirizzi che prevedono anche una
manovra fiscale di circa 7 miliardi che
riguarderà le uniche due leve tributarie
dell’Ente: l’addizionale Enel sui consumi industriali (si ipotizza un aumento di 1 o 2 lire per kilowatt/ora) e l’im-
posta provinciale di trascrizione sulle
auto nuove (con un aumento di 30 mila lire per iscrizione). L’assessore ha
sottolineato come la Provincia abbia
mantenuto l’impegno a non far ricorso
alla leva fiscale per tre anni (dal ’99 al
2001) ed ha aggiunto che anche questa
manovra annunciata potrebbe essere
disinnescata se giungessero dal Governo garanzie, per il 2002, sulle maggiori entrate riguardanti i trasferimenti per
le nuove funzioni (stimati intorno ai 23
miliardi di lire). La delibera contenente tali indirizzi è stata approvata con 19
voti a favore (Democratici di Sinistra,
Verdi, Margherita, Gruppo Misto, Comunisti Italiani) e 7 contrari (Rifondazione Comunista, Forza Italia, Alleanza Nazionale).
Ptcp: i nuovi poteri
di palazzo Malvezzi
Sempre il 25 settembre, il vicepresidente Tiberio Rabboni ha informato
il Consiglio su quanto emerso dal convegno sul Piano territoriale di coordinamento provinciale che si è svolto nel
luglio scorso. Rabboni ha sottolineato, inoltre, i nuovi poteri che il Ptcp
(Piano Territoriale di Coordinamento
Provinciale) conferisce all’Ente per
quanto riguarda gli interventi a carattere sovracomunale. Tra questi, la programmazione e la localizzazione dei
nuovi poli funzionali (commerciali o
abitativi) e la ricognizione di quelli
esistenti (ad esempio fiera, aeroporto,
ospedali). Nuove funzioni che, ha assicurato il vicepresidente, verranno esercitate ricercando l’intesa dei Comuni
interessati. I contributi emersi dal convegno di luglio e le indicazioni del
Manifesto saranno raccolti in un documento preliminare che sarà presentato
alla Conferenza di pianificazione che
si aprirà nel mese di novembre. La discussione di questi argomenti avverrà
nelle prossime sedute consiliari.
Nel corso della stessa seduta, con 22
voti a favore (Democratici di Sinistra,
Verdi, Margherita, Gruppo Misto, Comunisti Italiani, Alleanza Nazionale) e
due astensioni (Rifondazione Comunista e Forza Italia) è stato approvato il
Piano degli interventi a favore dell’associazionismo per il 2001. Si tratta di
un provvedimento che stanzia 160 milioni (80 della Provincia e 80 della Regione) a favore, appunto, delle associazioni (sono 153 quelle iscritte al-
l’albo provinciale, per un totale di
86.196 iscritti). Il Piano prevede l’istituzione dello Sportello per lo sport,
con cinque sedi nel territorio che forniranno informazioni alle associazioni
sportive. Altre iniziative riguardano il
“fund raising”, cioè il recupero di fondi per le associazioni, un corso sulla
comunicazione al loro interno, un seminario sulla partecipazione a progetti
europei e l’aggiornamento della banca dati sulle associazioni.
I progetti del
Patto Metropolitano
Diversi sono i progetti messi in campo
nell’ambito del Patto metropolitano
per il lavoro e lo sviluppo, e riguardano gli alloggi in affitto a basso costo, il
digitale e la logistica. Lo ha detto l’assessore alla Promozione economica
del territorio, Nerio Bentivogli, quando ha aggiornato il Consiglio del 2 ottobre sull’attività svolta dal Patto metropolitano. Per quanto riguarda il tema degli alloggi c’è un accordo
approvato dalla Conferenza metropolitana dei sindaci che impegna, appunto,
i sindaci a mettere a disposizione aree
a costo contenuto per la costruzione di
alloggi a canone contenuto. È previsto
il coinvolgimento di privati, poiché la
comunione di energie pubbliche e private dovrebbe consentire di costruire,
in tempi ragionevolmente rapidi, una
significativa quantità di alloggi in affitto a basso costo. In cantiere anche la
realizzazione dell’agenzia per l’affitto,
un progetto per l’affiancamento al processo di immigrazione e un altro per la
trasmissione di impresa. Per quanto riguarda il digitale, invece, è prevista la
costituzione di un centro di informazione, documentazione e di monitoraggio permanente su tutte le azioni
che si svolgono sul territorio nel campo del digitale e del multimediale,
un’iniziativa realizzata dalla Provincia
in collaborazione con Università e Camera di Commercio. Ancora, un progetto sui processi di formazione sul digitale e la ripresa del progetto del polo
multimediale seppure, ha sottolineato
Bentivogli, un po’ ridimensionato. Infine, l’assessore ha annunciato un piano di marketing per la logistica (già avviato), un osservatorio permanente (in
fase di elaborazione), un convegno annuale e un forum permanente sullo
q
stesso tema.
5
ECONOMIA
LÕEURO
ALLE PORTE
di LILIANA FABBRI
Dal primo gennaio l’euro entrerà nelle tasche di circa
370 milioni di persone. L’economista Flavio Delbono,
in una lezione tenuta al COMPA, ricorda le tappe
del nuovo sistema monetario internazionale
N
on è mai successo che un numero così
elevato di Paesi, volontariamente, rinunci alla propria sovranità monetaria:
uno dei simboli, assieme alla bandiera e all’inno, dell’identità nazionale. Si tratta veramente
di un episodio unico nella storia». Così l’economista Flavio Delbono, assessore regionale al
bilancio, sintetizza la rivoluzione monetaria
che fra breve porterà nelle tasche di 370 milioni di cittadini europei l’euro.
La nuova moneta unica, ormai alle porte, era
uno dei temi conduttori dell’ultima edizione
del Com-P.A. (la fiera della comunicazione
nella Pubblica Amministrazione svoltasi a settembre a Bologna), durante la quale Delbono
ha tenuto una lezione su “L’euro: origini e prospettive”. A una platea di studenti prossimi alla maggiore età, ha spiegato i motivi che hanno
portato alla moneta unica, “sintesi di un nuovo
sistema monetario internazionale”. Ne è uscita
una lezione di storia economica contemporanea, che qui sintetizziamo. Bombardati ormai
quotidianamente da informazioni sui problemi
pratici - dalla conversione ai decimali, alla riconoscibilità di monete e banconote - legati al
passaggio dalla lira all’euro, siamo convinti
che un po’ di ripasso delle ragioni più profonde che sono alla base di questa grande rivolu-
6
zione non farà male anche a chi non è più studente. Il primo sistema monetario internazionale nacque quasi un secolo e mezzo fa: era il
1870, e venne definito “Gold Standard” (sistema dell’oro). Esso prevedeva un regime di
cambi fissi, con una “parità” fra un’oncia d’oro e un certo numero di lire, franchi, sterline,
rubli, ecc. (il cambio, ovviamente, era fisso anche fra le diverse monete); prevedeva anche la
“piena copertura” del denaro circolante, per cui
la Banca Centrale di un Paese doveva avere nei
propri forzieri l’equivalente in oro della moneta che emetteva.
Questo sistema monetario funzionò per circa
mezzo secolo, offrendo “certezza” agli operatori commerciali e agli investitori; entrò in crisi nel 1914, con lo scoppio della prima guerra
mondiale, e nel 1919 si cercò di reintrodurlo,
ma senza successo, perché nel frattempo le
condizioni erano cambiate. Durante la guerra,
infatti, l’inflazione aveva operato in modo diverso nei vari Paesi, e le vecchie parità non erano più coerenti coi nuovi prezzi. Fra la prima e
la seconda guerra mondiale, pertanto, regnò
una sorta di “anarchia” in campo monetario internazionale.
Al termine della seconda guerra mondiale, i
Paesi vincitori si incontrarono per dar vita a un
Evidenziati in blu i Paesi che
dal 1° gennaio 2002 adotteranno l’euro.
Fino al 1° marzo 2002 continueranno
a circolare anche le monete nazionali
nuovo sistema monetario internazionale e nacque il “Gold Exchange Standard” (sistema di
cambio aureo). Rispetto al sistema precedente,
ancorato solo all’oro, questo era imperniato
sulla parità fra oro e dollaro statunitense. Gli
Stati Uniti, cioè, si impegnarono a garantire la
convertibilità fra dollaro e oro, a un tasso prefissato: 35 dollari per oncia. Gli altri Paesi che
aderirono al sistema, fra cui l’Italia, si rapportavano al dollaro.
Questo sistema, inoltre, non prevedeva più i
tassi rigidamente fissi fra le monete, ma ammetteva una certa “fluttuabilità”: le monete potevano oscillare dell’1% (in più o in meno). Definito nel 1944, questo sistema entrò in vigore
solo nel 1958, contribuendo allo sviluppo del
commercio internazionale, all’incremento degli scambi, alla mobilità dei capitali. Fino al
1971, quando anch’esso entrò in crisi. La ragione è presto detta: all’inizio gli Stati Uniti
avevano nelle proprie casse una grande quantità di oro (un valore doppio rispetto al volume
di dollari in circolazione), ma la grande richiesta di dollari (in breve divennero infatti il mezzo di pagamento mondiale più diffuso) indusse
gli Stati Uniti ad immetterne sempre più nel sistema, importando più di quanto esportavano.
Di questo passo, alla fine degli anni ’60 il rap-
ECONOMIA
porto fra la quantità di oro e quella di dollari, in
origine pari a 2, arrivò a 0,1: la Banca Centrale
americana, cioè, era in grado di coprire solo il
10% del valore dei dollari in circolazione. Di
fronte alla preoccupazione degli altri Paesi, il
15 agosto 1971 gli Stati Uniti abbandonarono
il sistema: fu la fine del “Gold Exchange Standard”. È allora che comincia l’avventura monetaria europea. I Paesi che già collaboravano
sul fronte economico (nell’ambito della Comunità economica europea e di altri organismi)
pensarono fosse giunto il momento di cercare
di fare un sistema monetario solo europeo, senza gli Stati Uniti. Cominciò così la sperimentazione del cosiddetto “serpente monetario europeo”, che in seguito portò all’attuale “sistema
monetario europeo” (lo Sme, formalizzato
nel 1979). Facendo tesoro dei precedenti fallimenti, il sistema non fu imperniato su un oggetto esterno (ad esempio l’oro), e neppure su
una singola moneta.
Venne allora inventato l’Ecu (European Currency Unit), precursore dell’euro. Era una sorta di cocktail di monete, le cui dosi dipendevano dal peso delle varie economie. L’Ecu non ha
mai circolato, è stata solo una moneta virtuale,
una unità di conto. Lo Sme non prevedeva un
sistema di cambi rigido, ma flessibile: le monete potevano infatti oscillare in un corridoio
del 2,5%, al di fuori del quale si procedeva a un
riallineamento (con svalutazione o rivalutazione delle monete).
Questo sistema funzionò molto bene durante
tutti gli anni ’80, ma all’inizio degli anni ’90
anch’esso entrò in crisi: nel 1992, prima la lira
italiana poi la sterlina inglese uscirono dal sistema, perché non erano più in grado di stare
dentro al corridoio.
La crisi dello Sme non è imputabile a difetti
congeniti, quanto alla impossibilità di convivenza con la costruzione del mercato unico europeo, che prevedeva la libera circolazione di
merci, persone, servizi e capitali. E quando si
permette ai capitali di circolare liberamente,
questi si spostano dove la remunerazione è migliore: di volta in volta, quindi, ci sarà grande
domanda di una moneta (il cui prezzo cresce) e
grande offerta di un’altra (il cui prezzo scende).
Finisce che il tasso precedente non è più corretto e, alla lunga, il sistema crolla. Come è
successo per lo Sme.
È a questo punto che si collocano gli accordi di
Maastricht del 1992, nei quali si riconobbe che,
per arrivare a un sistema monetario europeo cogente, bisognava eliminare alla radice il problema dei tassi di cambio, attraverso l’adozione di un’unica moneta. Un obiettivo molto ambizioso, ma nel ’92 non c’erano le condizioni
per chiedere a 10-12 economie di rinunciare alla loro moneta e di adottarne una unica, perché
i sistemi economici erano troppo diversi. A
Maastricht si decise quindi di fissare alcuni parametri (debito pubblico, disavanzo pubblico,
tassi d’inflazione, tassi d’interesse), al fine di
armonizzare una situazione che si presentava
troppo eterogenea fra i vari Paesi. Solo chi
avesse centrato gli obiettivi su questi quattro
parametri poteva entrare nella fase finale. Ciò è
avvenuto il 1° maggio 1998, quando undici
Paesi (ai quali qualche mese dopo si è aggiunta la Grecia) hanno deciso di adottare una moneta unica: l’euro appunto, che inizierà a circolare dal 1° gennaio del prossimo anno.
«A questo punto - osserva Delbono - si prospettano due problemi. Da un lato il fatto che,
se la politica monetaria europea è svolta dalla
Banca Centrale Europea, le politiche fiscali e
commerciali sono ancora in mano ai singoli governi nazionali; dall’altro, il nodo dell’unificazione politica dell’Europa. L’assenza di un autentico governo europeo (perché la Commissione Europea non può considerarsi tale)
rappresenta uno dei principali ostacoli alla
creazione di una maggiore integrazione per
quanto riguarda la libera circolazione di merci,
persone, servizi, capitali. Al momento circolano molto più rapidamente (anche troppo) i capitali, rispetto a merci, servizi e persone». q
FORMAZIONE PROFESSIONALE
L
a Provincia di Bologna è da sempre attenta alle problematiche sociali ed attiva nella collaborazione con i Servizi Sociali del territorio per studiare risposte formative flessibili e personalizzate. Su sollecitazione del Quartiere San Donato ha accolto
la proposta di inserire nella programmazione provinciale
2001/2002 i progetti di transizione fromazione al lavoro che storicamente sono stati realizzati dal Quartiere nell’ambito delle sue iniziative di prevenzione al disagio di alcune fasce della popolazione
giovanile. In stretto raccordo con il quartiere San Donato e gli Enti di formazione Enaip e Ecipar sono state governate le azioni preliminari alla fase progettuale delle due iniziative affinché potessero
conservare la loro idnetità, costruitasi attraverso anni l’esperienza,
e nel contempo si inserissero nel contesto formativo con le sue regole e i suoi contenuti. Le due iniziative formative si caratterizzano
come percorsi volti a facilitare l’ingresso nel mercato del lavoro di
giovani e/o adulti attraverso metodologie attive che consentano di
“imparare facendo”. A conclusione dell’azione formative il Quartiere San Donato finanzierà ed attiverà tirocini formativi retribuiti
in azienda per dar modo ai giovani di completare la loro formazione, verificando e cosolidando le competenze acquisite.
Enti coinvolti
ENAIP ed ECIPAR
Profili / Contenuti del progetto
Riparatore di moto e cicli
Riparatore auto
Idrauico
Aiuto-parrucchiere
Ebanista restauratore
Operatore elettrico
Saldatore
Destinatari
72 partecipanti
di etˆ superiore ai 16 anni
Ore di formazione
20.000
Importo finanziario per le attivitˆ
formative a carico della Provincia
Importo finanziario per le attivitˆ
formative a carico del Quartiere
Attestato rilasciato
L. 313.125.000
L. 30.000.000
Dichiarazione di competenze
7
DA STRANIERI A CITTADINI
Il flusso che porta uomini e donne da altre
regioni del mondo nel nostro Paese è visto
ormai non solo come un fatto necessario
ed ineliminabile, ma anche positivo.
Studi recenti hanno evidenziato che si sta
esaurendo il carattere di eccezionalità delle
immigrazioni tipiche degli anni ’90
(ricordiamo l’emergenza dovuta alla
guerra nei Balcani). Augurandoci che altri
conflitti con le loro tragiche conseguenze,
non spingano più masse di profughi verso i
Paesi più sviluppati dell’Europa, possiamo
anche in Italia cominciare a guardare al
fenomeno dell’immigrazione con un
approccio diverso. Sta crescendo una
nuova generazione
di cittadini figli di stranieri; ciò delinea
uno scenario diverso, con molti problemi
8
cui dare risposta. La casa anzittutto, e un
lavoro regolare, ma anche politiche che
favoriscano il rispetto di tutti e il
riconoscimento
dell’ identità culturale a discapito del
pregiudizio e dell’intolleranza.
In queste pagine abbiamo cercato,
attraverso dati, confronti, pareri di esperti
dei fenomeni migratori, ma anche
attraverso le dirette testimonianze degli
immigrati, di tratteggiare uno spaccato di
questo complesso mondo
e di illustrare progetti e interventi in atto,
anche alla luce del nuovo piano territoriale
sull’immigrazione messo a punto
dall’amministrazione, sulla base delle linee
d’indirizzo recentemente approvate
dal Consiglio provinciale
DA STRANIERI
A
C I T TA D I N I
Un piano
per finanziare
lÕimmigrazione
di OLIVIO ROMANINI
Maggiore informazione e orientamento,
sostegno alle donne, più integrazione
nel lavoro e nella vita di tutti i giorni
sono i punti salienti del piano
sull’immigrazione provinciale
N
el mese di settembre la Giunta provinciale di Bologna ha definitivamente
approvato il piano per l’immigrazione
del 2001, che complessivamente stanzia più di
un miliardo e 800 milioni per i progetti che i
comuni del territorio hanno presentato a sostegno dei circa 32 mila cittadini immigrati residenti in provincia di Bologna.
Viene utilizzato il contributo finanziario del
fondo nazionale per l’immigrazione, ma i Comuni sono obbligati a finanziare il 35% del costo dei progetti.
«Questo è un buon piano - dice l’assessore provinciale alla sanità e ai servizi sociali Donata
Lenzi - perché rappresenta l’esito di un percorso locale e perché è più omogeneo rispetto a
quello dell’anno scorso». Lenzi spiega che, ad
esempio, è prevista l’istituzione di sportelli ad
hoc per l’informazione e l’orientamento ai servizi per immigrati, così come l’introduzione di
servizi per gli immigrati in sportelli informativi già esistenti sul territorio, due soluzioni diverse che andranno costantemente monitorate
per capire in poco tempo qual è l’impostazione
più corretta. Una delle priorità fondamentali
che la Provincia ha indicato, è rappresentata dai
progetti su e per le donne immigrate: «Sul tema delle donne - spiega Lenzi - c’è stato un
grande accordo a livello territoriale che ci ha
permesso di rendere disponibili azioni concre-
te, ma anche qui dovremo costantemente monitorare la situazione. In altre parole, noi possiamo anche individuare servizi per le donne
immigrate, ma bisogna poi concretamente vedere se le fanno uscire di casa». Un altro capitolo fondamentale, è quello dell’insegnamento
della lingua italiana, una sfida che per Lenzi si
presenta difficile, perché gli immigrati della
provincia di Bologna provengono almeno da
70-80 paesi diversi.
Il piano affronta anche il tema delicatissimo
della partecipazione politica dei cittadini immigrati. «Il distretto di San Lazzaro e Pianoro
- spiega l’assessore - sembra essere orientato
sul modello di una consulta rappresentativa dei
cittadini immigrati, mentre la Provincia sembra
essere orientata a favorire una rappresentanza,
cioè l’elezione nei Consigli comunali e nel
Consiglio provinciale.
Penso tuttavia, che la soluzione ideale sarebbe
quella di avere una serie di consulte nel territorio e poi un coordinatore che sieda sui banchi
del Consiglio provinciale. Non possiamo negare agli immigrati la rappresentanza politica, ma
il punto vero è che dovremo anche chiamarli a
condividere delle scelte».
È prevista anche la possibilità di realizzare
un’autoscuola speciale per i cittadini immigrati. «L’idea dell’autoscuola - continua Lenzi - è
venuta all’assessore alla mobilità Pamela
Meier che ha rilevato che da un lato negli incidenti stradali aumentava sempre più il numero
di cittadini immigrati e dall’altro i datori di lavoro della nostra provincia assumono spesso
lavoratori immigrati solo se hanno la patente.
L’idea è quella di una scuola ad hoc, con la possibilità ad esempio di avere un traduttore per
chi ha problemi con la lingua e con la possibilità di praticare sconti significativi sui costi del
corso. Questo progetto sarà interamente finanziato dalla Provincia di Bologna».
Recentemente le esternazioni dell’arcivescovo
di Bologna Giacomo Biffi, sulla problematicità
di un rapporto con l’Islam e con la cultura islamica, sull’onda emotiva degli attacchi terroristici che hanno colpito l’America, hanno riacceso sotto le due torri un acceso dibattito sui temi dell’integrazione e dei rapporti con le
popolazioni immigrate.
«Noi crediamo - dice Lenzi - che in questo momento occorra essere tutti più laici e chiedere
laicità agli altri, pur nel riconoscimento delle
varie opzioni religiose. Siamo perplessi, come
qualcuno vorrebbe, sulla possibilità di scegliere quali immigrati accogliere in base alla loro
professione di fede, ci sembra molto difficile.
Per quanto riguarda il nostro rapporto con l’Islam, sulle questioni delle donne e delle politiche familiari, il confronto è molto difficile e
q
non c’è bisogno che ce lo dica Biffi».
9
DA STRANIERI
A
C I T TA D I N I
LÕIMPEGNO DEI COMUNI
di LILIANA FABBRI
Il Piano territoriale 2001 vede la partecipazione di tutti i Comuni,
delle Aziende Usl, di enti, associazioni italiane e straniere, secondo le linee
e le priorità indicate da Palazzo Malvezzi
E
rano soprattutto uomini, che arrivavano
in Italia per cercare lavoro, e si
ritenevano fortunati quando trovavano
un letto in un centro di prima accoglienza. Poi
qualcuno ha cominciato a cercare un alloggio
indipendente, da dividere con la moglie e i figli.
È cambiata così la geografia dell’immigrazione nel territorio provinciale, ora sono per lo più
famiglie che vivono in zone rurali o piccole frazioni poco o nulla collegate ai centri dove si
concentrano i principali servizi, in una situazione di quasi isolamento. E se gli uomini, attraverso il lavoro, hanno rapporti con la società
emergenza. A tale scopo in seguito ad una decisione presa della Conferenza Metropolitana
dei Sindaci l’anno scorso, il Piano Territoriale
sull’immigrazione è stato organizzato per distretti (Bologna, Budrio, Casalecchio di Reno,
Imola, Porretta Terme, San Giorgio di Piano,
San Giovanni in Persiceto, San Lazzaro di Savena). Ciascun distretto ha individuato un Comune capofila che coordina l’attività dell’intero territorio con un proprio budget, per un totale di circa 1 miliardo e 800 milioni complessivi.
Saranno inoltre finanziati con fondi regionali
(circa 58 milioni), ma su criteri disposti dalla
azioni sul territorio. Per il primo degli obiettivi, è stato costituito lo scorso anno un Gruppo
di lavoro interassessorile, a supporto del coordinamento e monitoraggio delle azioni dai vari
settori dell’Ente, che è attualmente impegnato
nell’elaborazione di un progetto organico e trasversale a favore dell’integrazione dei cittadini
stranieri. (Cfr. Progetto Trasversale sull’Immigrazione della Provincia).
Nella elaborazione dei progetti, i Comuni hanno lavorato in stretta collaborazione con le
realtà pubbliche e del privato sociale attive sul
territorio ed interessate al tema dell’immigraUn campo estivo a Imola organizzato
dall’associazione “Trame di Terra” che accoglie
durante l’estate i figli degli immigrati
locale, le donne rischiano di essere sempre più
emarginate.
Oggi che la “questione immigrati” non è più
solo un fatto di prima accoglienza, anche i Comuni della provincia si stanno organizzando
per fare in modo che i cittadini extracomunitari possano integrarsi nel tessuto locale, mettendo in campo progetti che spaziano negli ambiti più diversi: dall’insegnamento della lingua
italiana all’integrazione femminile, dagli sportelli informativi alla mediazione culturale, dalla formazione all’accoglienza abitativa di
10
Provincia, anche 16 progetti presentati da Associazioni di cittadini stranieri o “miste”,
orientati all’organizzazione di corsi di lingua
italiana per extracomunitari e alla valorizzazione delle culture di origine degli immigrati, per
favorire la socializzazione e l’incontro fra persone di culture diverse.
Per la realizzazione del Piano Territoriale Immigrazione per l’anno 2000, l’Amministrazione provinciale ha inaugurato un approccio di
intervento che mira a privilegiare l’integrazione, sia delle politiche d’indirizzo, sia degli
DA STRANIERI
Cingalesi (Bangladesh) durante le elezioni
dei rappresentanti della comunità
zione (Aziende Usl, associazioni di immigrati,
scuole, enti formativi, ecc). Tutti i progetti, infine, rispondono ai criteri-guida fissati dalla
Provincia.
I progetti
Il progetto presentato dal Distretto imolese
prevede la continuazione di alcune attività già
avviate e l’avvio di due nuove esperienze: uno
“sportello casa” per immigrati e un servizio di
accoglienza abitativa per donne e bambini stranieri in difficoltà. In entrambi i casi si tratta di
iniziative che vanno a colmare alcune carenze
presenti nel territorio. Lo sportello, che opererà
presso gli uffici accoglienza ai cittadini immigrati di Imola e Castel S. Pietro Terme, raccoglierà le richieste abitative degli immigrati e,
attraverso contatti con agenzie immobiliari,
imprenditori, istituzioni, cercherà di trovare soluzioni abitative idonee; al piano superiore del
locale Centro interculturale è stato inoltre attrezzato un piccolo appartamento, dove verrà
sperimentato un servizio di accoglienza diurna
e notturna per donne immigrate con problemi
economici e/o abitativi, sole o con figli (l’appartamento può ospitare due donne e un bambino, che grazie alla vicinanza col Centro interculturale potranno usufruire anche di altri
servizi).
Per quanto riguarda la continuazione di progetti avviati da tempo, invece, in prima fila c’è il
già citato Centro interculturale, gestito da donne italiane e straniere, che si propone come
“luogo amico e aperto”. Qui vengono svolte, in
collaborazione con l’associazione “Trame di
terra”, attività di mediazione culturale per donne, famiglie e coppie miste, corsi di lingua per
A
C I T TA D I N I
donne immigrate e bambini in età scolare, attività culturali. Già attivi anche un Servizio di assistenza e consulenza legale (in collaborazione
con l’associazione Centro di informazione sociale) e un Centro servizi per cittadini extracomunitari (in collaborazione con le cooperative
sociali “Il solco” e “Mappamondo”), che offre
consulenza nella compilazione di moduli e nell’espletamento di procedure, fa intermediazione presso Enti pubblici e privati, ecc.
Grande attenzione alle donne anche nei progetti della Distretto di Casalecchio e della Comunità montana Valle del Samoggia. Si tratta
dunque di un’area molto vasta e dalle caratteristiche ambientali e umane molto varie, che vede la popolazione immigrata, assieme a quella
locale a più basso reddito, concentrarsi prevalentemente nei Comuni montani (Castello di
Serravalle e Savigno), più scomodi da raggiungere ma dove gli affitti sono meno cari. In questo contesto l‘attività dei Comuni si rivolge non
solo alla popolazione straniera, ma anche a
quella nativa, attraverso servizi di consulenza
legale, formazione e orientamento al lavoro,
mediazione linguistica e culturale. Agli immigrati sono specificamente destinati i corsi di alfabetizzazione per adulti, ma a tutta la popolazione sono rivolte le attività informative sull’accesso ai servizi sanitari e scolastici, i
laboratori di sartoria, i corsi di formazione per
baby sitter e assistenza agli anziani, le iniziative di educazione alla differenza.
Il Distretto di Budrio, che comprende anche i
Comuni di Medicina, Molinella e Castenaso,
ha scelto di sviluppare l’esperienza degli sportelli “Odos”, aperti un tutti quattro i Comuni ad
aprile di quest’anno (con in fondi del precedente Piano per l’immigrazione). Gli sportelli,
gestiti dal Cefal in convenzione con le Amministrazioni comunali, sono a disposizione dei
cittadini immigrati per fornire informazioni o
orientamento ai servizi (studio della lingua italiana, formazione e ricerca lavoro, diritti e doveri dei cittadini, servizi sanitari, iniziative culturali e ricreative).
Gli operatori e i mediatori degli sportelli
“Odos” svolgono opera di mediazione linguistica e culturale e sono a disposizione sia dei
cittadini stranieri sia delle Istituzioni: ad essi
possono rivolgersi infatti anche gli insegnanti
che hanno difficoltà a comunicare con le famiglie degli alunni immigrati, gli operatori sanitari e sociali. Si occupano anche di organizzare
feste, eventi, iniziative pubbliche, volte a comunicare all’esterno la ricchezza e le peculiarità delle culture degli stranieri che sono tra noi.
Puntano sugli sportelli informativi, già avviati
coi fondi del precedente Piano, anche i dodici
Comuni che fanno capo al Distretto di S.
Giorgio di Piano: Argelato, Baricella, Bentivoglio, Castel Maggiore, Castello d’Argile,
Galliera, Granarolo, Malalbergo (capofila),
Minerbio, Pieve di Cento, S. Giorgio di Piano,
S. Pietro in Casale. Una esperienza molto positiva, che ha permesso di instaurare rapporti
fruttuosi con gli utenti, riscuotendo un’accoglienza favorevole anche da parte dei servizi.
Il progetto – realizzato col supporto del Cefal e
della cooperativa Il Mappamondo – intende
promuovere e incentivare la conoscenza e l’accesso ai servizi da parte dei cittadini stranieri,
con una particolare attenzione alle donne: soggetti “deboli”, che spesso vivono situazioni di
segregazione o sfruttamento.
Gli sportelli sono quattro e hanno sede a S. Pietro in Casale, Castel Maggiore, Pieve di Cento
e Granarolo. Si avvalgono di un operatore e due
mediatori linguistico-culturali (uno di lingua
araba, l’altro di lingua urdu); vengono organizzati anche incontri tematici, utili per favorire la
comprensione dei diritti-doveri nei principali
ambiti di interesse e la relazione coi servizi del
territorio.
Il progetto di punta del Distretto di Pianoro
(che riunisce anche i Comuni di Ozzano dell’Emilia, San Lazzaro di Savena, Loiano, Monghidoro, Monterenzio) è la “Consulta degli immigrati”, attraverso la quale si vuole favorire
l’incontro e il dialogo fra le persone di diverse
culture presenti sul territorio, nonché incrementare fra gli immigrati la consapevolezza e
la sensibilità alla gestione della cosa pubblica.
L’idea di base è dotare ogni Comune di una
propria Consulta, con il compito di evidenziare esigenze particolari e di formulare proposte
al Consiglio comunale; è previsto anche un
momento di rappresentanza a livello distrettuale. Nel primo anno verrà monitorata la presenza degli immigrati sul territorio, per creare una
banca dati; in seguito si potrà arrivare a delle
vere e proprie elezioni.
È prevista inoltre la realizzazione di una Biblioteca multiculturale, che raccolga materiale
cartaceo e on line, e di un Centro servizi e mediazione interculturale, al fine di garantire pari
opportunità di accesso ai servizi alle fasce più
svantaggiate per motivi linguistici e culturali.
Assieme ai Comuni di Anzola Emilia, Calderara, Casalecchio di Reno e Zola Predosa, San
Lazzaro ha messo in cantiere anche un progetto contro la tratta delle donne e la prostituzione, che oltre a monitorare il fenomeno vedrà la
nascita di gruppi di strada per contattare le donne coinvolte. Sarà un intervento fra il sociale e
la sicurezza, che coinvolgerà i servizi sociali, la
polizia municipale e le associazioni che operano nel settore.
Le donne straniere sono le principali destinatarie anche del progetto ideato dal Distretto di
San Giovanni in Persiceto (di cui fanno parte
anche i Comuni di Crevalcore, Sala Bolognese,
Sant’Agata Bolognese e l’Azienda Usl Bologna Nord). Nel territorio interessato risiedono
424 donne straniere maggiorenni, che verranno
11
DA STRANIERI
contattate personalmente, al fine di conoscerle
e individuarne aspettative, esigenze, problemi,
cercando di dare una risposta concreta alle loro istanze e di renderle il più possibile autonome nei confronti dei mariti.
Verranno anche organizzati corsi di lingua italiana e di formazione, e si lavorerà in modo particolare sull’informazione (ad esempio realizzando opuscoli multilingue e ricorrendo all’aiuto di mediatori culturali), per favorire
l’accesso ai servizi del territorio.
Accoglienza, integrazione linguistica e integrazione nel sistema sanitario locale sono i punti
cardine degli interventi progettati dal Distretto
di Porretta Terme.
Si tratta di un’area molto vasta, composta da
undici Comuni: Monzuno, Camugnano, Castel
d’Aiano, Castel di Casio, Castiglione dei Pepoli, Gaggio Montano, Granaglione, Grizzana
Morandi, Marzabotto, Porretta Terme, Vergato.
Già sperimentati in primavera, i corsi di lingua
italiana sono stati seguiti da 70 adulti; l’iniziativa punta ad aiutare donne e uomini extracomunitari a svolgere le principali funzioni familiari: dal fare la spesa al leggere le comunicazioni scolastiche, dal comprendere le
prescrizioni mediche al rapportarsi con gli uffici pubblici. Sul fronte dell’accoglienza, invece, verrà rinnovata la convenzione con il Centro A. Zolli (gestito dalla Parrocchia S. Maria
Maddalena e di proprietà del Comune di Porretta Terme), ove ospitare nuclei familiari in situazione di emergenza abitativa. Del tutto nuovo, invece, il progetto di “mappatura” dei biso-
A
C I T TA D I N I
Una manifestazione di cittadini extracomunitari per le strade di Bologna
gni degli immigrati rispetto ai servizi socio-sanitari e scolastici; al termine dell’indagine sul
campo verrà realizzato un opuscolo, scritto in
varie lingue, volto a fornire un orientamento di
L’OSSERVATORIO
PROVINCIALE
DELLE IMMIGRAZIONI
attivo dal gennaio 2000 con sede c/o
gli Uffici del Servizio Sicurezza Sociale della Provincia di Bologna (Via
del Borgo di San Pietro, 90/G) lÕOsservatorio Provinciale delle Immigrazioni, servizio
realizzato in collaborazione con il Comune
di Bologna (Servizio Immigrati Profughi e
Nomadi) e grazie ai finanziamenti di cui al
D. Lgs 286/98 - Piani Territoriali Immigrazione. Il progetto nasce dallÕesperienza del
vecchio Osservatorio Comunale delle Immigrazioni, e si propone di:
■ Fornire gli enti locali di uno strumento
di orientamento e sostegno alla programmazione ed al monitoraggio degli interventi in tema di immigrazione anche nellÕottica
di dare organicitˆ alla pluralitˆ delle azioni
é
12
attivate sul territorio;
■ Disporre di informazioni quantitative e
qualitative costantemente aggiornate sulla
presenza della popolazione immigrata e la
loro integrazione nel territorio provinciale,
base sull’accesso ai servizi per immigrati. L’iniziativa prevede anche lo svolgimento di una
“Giornata di Fiera dell’Immigrazione”, che
coinvolga cittadini italiani ed extracomunitari;
verranno allestiti stand informativi sui servizi
socio-sanitari e scolastici, punti ristoro con cucina etnica, uno spazio gioco dove confrontare
q
culture diverse, ecc.
sia in termini demografici che di insediamento e di percorsi di mobilitˆ sociale;
■ Rilevare e capire come sul territorio
viene applicata la legislazione riguardante
lÕimmigrazione;
■ Mantenere un punto di consultazione
e di documentazione in grado di fornire e
diffondere informazioni sul fenomeno migratorio tramite una lettura corretta delle
fonti statistiche e la diffusione di buone pratiche sullÕintegrazione anche analizzando
le esperienze realizzate nei servizi territoriali locali.
LÕOsservatorio • aperto al pubblico per
consultazione testi e documentazione nei
giorni di luned“ e gioved“ dalle 15 alle 18; il
luned“ • attivo anche il servizio di consulenza e orientamento.
Per appuntamenti telefonare a:
Maria Adriana Bernardotti 051 218992
Milena Michielli 051 218991
e-mail:
mariaadriana.bernardotti@nts.provincia.bologna.it
milena.michielli@nts.provincia.bologna.it
DA STRANIERI
A
C I T TA D I N I
LÕesperienza del Villaggio Rouza
Chiuso anche a Casalecchio come a Bazzano e Budrio
il centro di accoglienza per i profughi della ex Jugoslavia
S
i parla tanto di integrazione dei cittadini
extracomunitari, di politiche sociali e
abitative in grado di avviare un percorso
verso una società multietnica. Tante parole,
buone intenzioni, che in genere si scontrano
però con una realtà quotidiana molto diversa.
Non sempre però.
A volte, qualcuno “ce la fa”.
È il caso delle dodici famiglie di profughi serbi, da diversi anni ospitate nel Villaggio Rouza
a Casalecchio, che un po’ alla volta sono riuscite a trovare una sistemazione abitativa nel
territorio comunale: dalle baracche prefabbricate a una casa vera, per una vita “normale”,
fianco a fianco con chi li ha accolti dopo la fuga dalla ex Jugoslavia.
E così, all’inizio di settembre il Villaggio Rouza è stato smantellato: le baracche sono state
smontate e stoccate nel magazzino comunale
(pronte ad essere riutilizzate per eventuali interventi di emergenza), le ruspe hanno bonificato l’intera area, che - dopo essere stata liberata da tubi, impianti, fili elettrici - è stata riconsegnata alla proprietà, con due anni di
anticipo rispetto agli accordi iniziali.
«Questa esperienza – afferma il sindaco di Casalecchio, Luigi Castagna – dimostra che l’integrazione è possibile, a patto che ci siano la
volontà politica e la disponibilità economica
per dar vita a interventi sociali, educativi, culturali».
La storia del Villaggio Rouza inizia nel 1997,
ma le famiglie di profughi serbi erano arrivate
a Casalecchio all’inizio del 1994, dopo diversi
mesi passati accampate lungo il fiume Reno a
Bologna. All’inizio vennero alloggiate presso
una ex fabbrica, ove furono attrezzate una cucina e una lavanderia. La gestione del centro –
caso più unico che raro – fu affidata agli stessi
ospiti.
L’11 maggio del 1997 venne inaugurato il Villaggio Rouza, su un terreno messo a disposizione dalla proprietà, in comodato gratuito, per
sei anni. Era un “villaggio di transizione” verso una sistemazione definitiva, che per qualcuno giunse molto presto.
«Quel villaggio - osserva Castagna - rispondeva all’esigenza di dare una sistemazione più dignitosa a persone che vivevano una situazione
di vera emergenza, ed è servito a strutturare
gradualmente la loro presenza sul territorio.
Un po’ alla volta, infatti, le famiglie hanno cominciato ad avere una vita indipendente, prima
assumendosi delle responsabilità (ad esempio
attraverso il pagamento delle utenze) poi acquisendo l’autonomia economico-finanziaria
necessaria all’inserimento nel tessuto della
città. Adesso che il percorso si è concluso manteniamo una specie di monitoraggio sociale, e
posso dire che l’inserimento è stato accolto positivamente.
Ma il progetto che sta alla base del Villaggio
Rouza aveva significato in quella particolare situazione, che vedeva riunite una sessantina di
persone tutte di etnia rom. Non sarebbe però
adatto ad affrontare situazioni di ordinaria immigrazione: le situazioni che, in genere, ci troviamo di fronte hanno caratteristiche diverse,
con la presenza di immigrati provenienti da
Paesi e culture diverse. Quasi mai abbiamo a
che fare con gruppi di persone che fanno parte
di un’unica comunità, come è avvenuto in questo caso».
L. F.
GLI INTERVENTI DI BOLOGNA
di NICODEMO MELE
C
ase, lavoro e dignità. È in queste
tre direzioni che l’Amministrazione
comunale di Bologna (uno degli
attori al tavolo del Consiglio territoriale
per l’immigrazione della Prefettura) è impegnata nell’affrontare le tematiche legate agli immigrati. «Non è un’azione rivolta all’accoglienza impossibile - afferma
Franco Pannuti, assessore ai Servizi sociali - bensì all’integrazione vera. Per
questo abbiamo chiuso centri di accoglienza dalle situazioni difficili come
quelli dei Prati di Caprara, di Santa Caterina di Quarto e di via Rivani e stiamo
elaborando iniziative più rispondenti alle
necessità degli immigrati».
Per rispondere alle esigenze dei 16 mila e
200 stranieri residenti a Bologna, il Comune ha istituito un servizio apposito che
ha la sede in pieno centro storico, in via
Drapperie 6, nel cosiddetto “Quadrilatero”. Da qui partono gli interventi, rivolti
in massima parte all’accoglienza, che ammontano a circa 9 miliardi di cui 4,5 per
le spese di funzionamento dei servizi e altri 4 per ristrutturazioni e acquisizionidei
Centri di prima accoglienza e alloggi sociali. “Un primo progetto - rivela Raul
Collina, responsabile del Servizio immigrazione - è rivolto a circa 500 persone
singole (scapoli e padri di famiglia venu-
ti da soli in Italia) che, oltre che nelle
strutture già esistenti, saranno sistemati
nei nuovi centri di accoglienza che stiamo
realizzando in via Bassa dei Sassi e al
Lazzaretto. Un secondo progetto riguarda
la sistemazione dei lavoratori con famiglia che a Bologna sono sempre di più.
Dal momento che questi stentano a trovare una risposta sul mercato a causa dell’elevato costo degli affitti delle case, il
Comune è già intervenuto con la sistemazione di 127 famiglie in strutture di proprietà comunale. Per le altre si sta pensando alla realizzazione di alloggi da affittare a canone concordato. Le soluzioni
in gioco sono tante e una di queste prevede anche una partecipazione tra industriali e Comune.
Infine, c’è il problema dei profughi della
ex Jugoslavia e del Kosovo, che oggi si
trovano a vivere situazioni quasi simili a
quelle degli immigrati stranieri. Esauriti i
contributi messi dallo Stato per la loro accoglienza, ora i circa 500 profughi presenti sul nostro territorio sono tutti a carico del Comune. Il programma dell’Amministrazione è quello di arrivare nel giro
di cinque anni (entro il 2005-2006) alla
chiusura dei campi di Pianazze e Trebbo e
all’inserimento delle famiglie in normali
abitazioni”.
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DA STRANIERI
A
C I T TA D I N I
Immigrati tra cronaca e storia
di FAUSTO ANDERLINI*
L
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a rilevanza dell’immigrazione straniera,
soprattutto di quella dai paesi poveri, è
ormai un dato acquisito e fortemente distribuito nella realtà provinciale bolognese. Il
fenomeno è esploso negli anni ’90: gli stranieri residenti, infatti, erano circa 10.000 all’inizio
del decennio, oggi risultano oltre 32.000. I
molteplici aspetti che si correlano al fenomeno
sono da diversi anni nell’occhio analitico dell’
“Osservatorio delle immigrazioni”. Preme qui,
in particolare, richiamarne due: la forte distribuzione territoriale degli immigrati (talché, a
paragone delle altre aree metropolitane, Bologna è quella dove più forte è la compartecipazione all’accoglienza dei comuni suburbani) e
l’incidenza strutturale dell’immigrazione in
numerosi segmenti del mercato locale del lavo-
le sub-regionale, solo limitatamente arricchita
da una componente d’estrazione meridionale,
dunque sociologicamente assai compatta, il periodo attuale evidenzia una forte e crescente
eterogeneità etnico-culturale della forza-lavoro. In alcuni comparti (si pensi all’edilizia, ma
anche alla meccanica) gli immigrati sono ormai ben più del 10 % degli occupati. Il sistema
industriale e manifatturiero è sempre più dipendente, nel suo funzionamento, dal contributo dell’immigrazione. La situazione del mercato dei servizi è assai diversa. La più gran parte
degli immigrati occupati nel settore ricettivo,
ma soprattutto nei servizi domestici (dove la
forza-lavoro immigrata supera ormai la metà
degli occupati), risiede a Bologna città ed è
composta in larga misura da donne provenienti dall’estremo oriente
(principalmente Filippine, ma anche Sri
Lanka), dal corno
d’Africa (Eritrea, Somalia, Etiopia) e dal
ro. Soprattutto su quest’ultimo aspetto è necessario richiamare alcune evidenze. L’impatto
occupazionale degli immigrati è infatti distinguibile in quattro grandi sottosistemi etnicosociali: l’industria, i servizi (soprattutto domestici), il lavoro autonomo, le attività informali
a carattere illegale. Gli immigrati occupati nell’industria risiedono prevalentemente fuori
città e sono costituiti in larga misura di maschi
provenienti dal nord Africa (soprattutto Marocco e Tunisia) ma anche dai Balcani (Albania e
Jugoslavia) e dal Pakistan. Questa “nuova classe operaia”, a marcata prevalenza islamica,
quanto ad appartenenza culturale-religiosa, ha
ormai intaccato in profondità la composizione
etnico-sociale della classe operaia. Se gli anni
del grande take-off regionale dell’industrializzazione diffusa sono stati caratterizzati da una
classe operaia in larga parte d’estrazione rura-
Sopra, vita quotidiana
in un centro di prima
accoglienza e a fianco,
dove prima c’era un
magazzino ora c'è
una moschea
Sudamerica (Perù e Brasile). I lavoratori domestici sono, in prevalenza, di religione cristiana e sostituiscono, in una società arricchita
e bisognosa di un quantum crescente di “lavoro servile”, le tradizionali “donne alla pari” che
la buona borghesia bolognese usava prelevare,
sino a non molto tempo orsono, dalle pie famiglie contadine della montagna. Anche il lavoro
autonomo ha carattere prevalentemente urbano
e propri gruppi etnici di riferimento. Si tratta
soprattutto di cinesi impegnati in attività manifatturiere tradizionali o nei servizi di ristorazione. Più recentemente hanno acceduto al lavoro in proprio anche altri gruppi etnici: emblematico il caso dei pakistani nelle rivendite di
frutta e verdura. In questi casi gli immigrati
surrogano la fuga degli autoctoni da attività ritenute troppo faticose e scarsamente profittevoli e si avvantaggiano della capacità di sfruttare in forma assai più stringente, nell’economia a base “familiare”, i legami di solidarietà
parentali o etnico comunitari. Contrariamente a
molti pregiudizi, il settore illegale di attività
DA STRANIERI
A
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Anche nella
nostra città
razze e
costumi si
mescolano in
un
caleidoscopio
colorato
non è affatto comunicante con i tre precedenti
sottosistemi. Non esistono correlazioni fra
gruppi etnici come tali e criminalità. Il fenomeno vede soprattutto interessati individui privi di permesso di soggiorno ed inseriti, normalmente, nei “landbridge” criminali (dediti
principalmente allo spaccio di droga, al furto
ed alla prostituzione) che collegano l’Italia ad
alcuni paesi limitrofi (Albania, Tunisia, Algeria, ex Jugoslavia). Come l’imprenditoria industriale ha trovato la sua classe operaia incrementale, i ceti abbienti i loro menial servant
domestici, l’impresa familiare tradizionale i
suoi surrogati etnici, così l’impresa criminale
dell’epoca globale ha trovato la sua manovalanza inter-etnica. A prescindere da quest’ultimo aspetto (come è giusto fare, relegando il
problema all’ambito suo proprio, cioè delle politiche di sicurezza ed intelligence anti-crimine), per quanto l’impatto demografico dell’immigrazione sia ancora contenuto (entro poco
più del 3 % della popolazione provinciale), la
sua incidenza sul tessuto economico è così
avanzata da apparire revocabile solo alla luce di
drammatiche crisi recessive. L’integrazione
economica, dunque, è un dato acquisito. Ad essere gravemente arretrata è invece l’integrazione sociale e politica. Una società libera e democratica non può conservarsi tale se finisce
per istituzionalizzare questo divario, derogando dal principio universalistico dei diritti d’uguaglianza e introiettando forme di segregazione politico-sociali a base etnico-castale.
Sorprendentemente, tuttavia, è proprio sugli
aspetti sociali e civili che latita (quando non
s’industria a produrre danni come la rinnovata
legislazione immigratoria) l’azione dei poteri
pubblici. Il dibattito sull’integrazione viene di
norma confinato in modo pleonastico agli
aspetti economici (ad esempio con il falso problema della flessibilità, quando dalle imprese
viene, semmai, la richiesta di una più forte
strutturazione dei rapporti lavorativi), oppure,
con conseguenze ancora più gravi e depistanti,
agli aspetti culturali.
L’idea pervicacemente sostenuta dal cardinale
Biffi che la strada dell’integrazione sociale sia
inibita da incompatibilità di carattere religioso
imputabili all’islamismo, nasconde un fondo
dove vive un semplicismo politico. Di un disarmante semplicismo è infatti l’idea di potere
regolare i flussi immigratori non tanto in base
a criteri quantitativi, ma qualitativi, quasi che il
mercato migratorio sia riducibile ad una sorta
di supermarket dove i prodotti (cioè gli uomini) vengono acquistati sulla base del marchio
religioso (l’islamico, no, il cristiano sì, soprattutto se cattolico, l’induista, l’animista, il confuciano, il buddista, il giudeo o l’ateo, forse…,
comunque meglio alla fine, se proprio non se
ne può fare a meno…). La praticabilità di questa ipotesi è quantomeno analoga all’eventualità di poter sradicare l’Italia dal Mediterraneo
e di spostarla al centro dell’America latina, così da non poter essere raggiungibile dalle vituperate popolazioni del Magrebh. Di desolante
ignoranza storica è poi il pregiudizio religioso.
Nella storia europea la secolarizzazione, cioè la
restituzione della religiosità ai domini extrapolitici (cioè privati o della società civile) è stato un processo lungo e sofferto che si è compiuto solo sviluppando la cittadinanza nella
completezza dei suoi attributi: civili, politici e
sociali. Solo difettando questi requisiti il fattore religioso ha conservato una forza scardinante e conflittuale, anche all’interno della stessa
cristianità, come dimostra in modo quasi manualistico il caso irlandese. Togliete a un uomo
i diritti di cittadinanza, ed egli, inesorabilmente, farà della religiosità (o di qualsiasi altro simbolo serva allo scopo) la fortezza impenetrabile della sua identità. Traducendo: mettete in
condizione la nuova classe operaia di appartenenza islamica (che peraltro paga regolarmente le tasse) in condizione di non veder riconosciuti taluni fondamentali diritti sociali (come
la casa, la sanità, il ricongiungimento familiare, l’accesso all’istruzione per i figli ecc.) e politici (come il diritto di voto, quantomeno amministrativo), guardatela a vista, circondatela
di sospetto e rinserratela in un ghetto culturale.
Prima o poi, questa nuova classe operaia, troverà inutile anche iscriversi a un sindacato,
prenderà corpo uno smisurato bisogno di autoconsiderazione e farà della sua diversità culturale, cioè di tutto quanto è negletto dalla società
dominante, come il credo religioso, una violenta e aggressiva bandiera identitaria. Si ribellerà non tanto come classe sfruttata, ma come
nazione offesa, contro un’altra nazione coloniale e sopraffattrice. No taxation without representation. Il motto vale davvero per tutti. Il
fondamentalismo è contagioso e alberga come
un cuore di tenebra nella cecità degli uomini,
prima ancora che nel fondo delle religioni. q
*Sociologo, responsabile
del settore studi e programmazione
della Provincia di Bologna
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DA STRANIERI
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LE PAROLE PER DIRLO
a cura di DIMITRIS ARGIROPOULOS E RITA PARADISI
Appunti per penetrare con più consapevolezza nel difficile,
complesso e assai diversificato mondo dell’immigrazione
A come abitazione
La questione abitativa è uno dei temi più delicati e difficili: la casa è la prima necessità dell’immigrato e il primo luogo che risponde a
questa esigenza è anche quello che lascia l’imprinting, quello su cui si struttura il primo impatto con il nuovo paese che così racconta se
stesso…. L’emergenza casa in Italia è un problema che riguarda tutti i cittadini, ma che colpisce in modo particolare e specifico gli immigrati. Quello che più colpisce è l’oggettiva discriminazione di cui gli stranieri sono ancora
vittime quando cercano un alloggio sul mercato privato: spesso si sentono rispondere “no”
per via del colore della loro pelle, dei loro vestiti, dei loro capelli. E questo raccontano anche gli operatori dei servizi sociali: spesso,
quando cercano casa per cittadini stranieri, si
sentono dire di no appena chi è dall’altra parte
scopre che si tratta di immigrati, anche se l’operatore è lì proprio per fornire tutte le garanzie possibili da parte dell’Ente Pubblico (pagamento affitto in caso di non solvenza da parte
dell’inquilino, restituzione dell’alloggio nei
16
tempi previsti, ecc.), anche se la persona per la
quale si cerca casa ha un lavoro e una famiglia…. Questo è un fatto che si commenta da
sé, in tutta la sua drammaticità.
Ma le difficoltà dei nuovi cittadini non si fermano qui, perché anche l’accesso agli alloggi
pubblici o ai contributi per l’affitto concessi dai
Comuni non è di facile accesso a causa della
scarsa conoscenza della lingua e della burocrazia italiana, che rende un po’più complicato capire quando ci sono i bandi, come e dove si fa
la domanda, recuperare tutti i documenti utili… ecc. E ancora: le difficoltà economiche,
non riguardano tutti ma molti immigrati, che
hanno spesso famiglie più numerose e redditi
più bassi, che hanno il pensiero dei familiari rimasti in patria che si aspettano il loro aiuto….
Con i fondi resi disponibili dalla Legge 39/90,
cosiddetta legge Martelli, diversi comuni bolognesi hanno realizzato, all’epoca, strutture di
prima accoglienza (CPA) che ancora permangono sul territorio. Alla fine dell’anno 2000 i
CPA nei comuni della provincia erano 25, per
un totale di 402 posti letto. Nel capoluogo, alla
stessa data, c’erano 5 strutture che accoglieva-
no 325 ospiti ed una struttura per donne sole o
con bambini con una capienza di 21 posti letto.
L’esperienza dei CPA è marcata quasi sempre
da un grande limite individuato nel momento
della loro gestione, che non favorisce l’uscita
dei residenti verso soluzioni abitative più stabili nel tessuto urbano. Anche il sistema di prima
accoglienza che nasce, con l’applicazione nella provincia di Bologna della L. 390/92, per il
sostegno umanitario ai profughi della ex-Jugoslavia, ha avuto per alcuni comuni, compreso il
capoluogo, gli stessi limiti. Comunque a
tutt’oggi, sul territorio, non esiste un sistema di
CPA in grado di ricevere nuovi arrivati impostando ed avviando i percorsi di integrazione.
La legge 40/98, prevede (art.38) la realizzazione oltre che dei CPA, anche di alloggi sociali
che caratterizzano la seconda accoglienza e che
sono “finalizzati ad offrire una sistemazione alloggiativa dignitosa a pagamento, secondo
quote calmierate, nell’attesa del reperimento
di un alloggio ordinario in via definitiva”: alloggi, quindi, che rappresentano un passaggio
intermedio tra la prima accoglienza e la definitiva integrazione in condizioni di vera autono-
DA STRANIERI
mia economica ed abitativa. Nel territorio provinciale di Bologna sono presenti circa 151 alloggi, di cui 139 nel solo comune di Bologna
che – in quanto destinati a singoli nuclei familiari regolarmente paganti- possono essere ricompresi in questa tipologia. Il problema è che
– almeno per quanto riguarda parte di quelle
ubicate nel Comune di Bologna – si tratta di case isolate rispetto al contesto urbano e sociale,
creando così condizioni di chiusura e ghettizzazione, rendendo più difficile, anziché facilitare, il percorso di integrazione. In virtù dei
bandi emanati dalla Regione nell’anno 2000,
saranno disponibili nel prossimo futuro altre 11
abitazioni di questo tipo nel territorio provinciale. Nell’edilizia residenziale pubblica, circa
il 20% delle assegnazioni di alloggi negli ultimi anni, hanno riguardato nuclei di immigrati,
in particolare famiglie numerose. Di pari dimensione è stata la percentuale di contributi assegnati a nuclei familiari stranieri tramite il
fondo sociale per l’affitto dell’anno 2000.
La Provincia di Bologna, attenta alla questione
abitativa con riguardo a tutti i cittadini residenti, è stato il primo ente locale che ha chiuso su
tutto il proprio territorio gli accordi decentrati
tra Associazioni di Inquilini e Proprietari, per
l’affitto. L’Ufficio Affari generali della Provincia di Bologna, sta inoltre elaborando un protocollo d’intesa tra Provincia, Comuni e parti
sociali per reperire risorse economiche da utilizzare per la costruzione di case per l’affitto, e
ha realizzato un progetto per la costruzione,
con il contributo della Fondazione Carisbo, entro il 2004, di 23 edifici per un totale di 192 alloggi, prevedendo inoltre la ristrutturazione di
2 edifici già esistenti nei comuni di Minerbio e
Zola Predosa. Gli alloggi saranno destinati all’affitto con canone contenuto per famiglie con
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basso reddito. Quest’ultimo progetto è stato
realizzato anche grazie alla collaborazione dello IACP, della Regione Emilia Romagna e dei
17 Comuni del territorio provinciale (Bologna,
Casalecchio di Reno, Minerbio, Marzabotto,
Medicina, Pianoro, San Pietro in Casale, Anzola dell’Emilia, Bentivoglio, Budrio, Castello
d’Argile, Castenaso, Crespellano, Imola, San
Giovanni in Persiceto, Zola Predosa, San Lazzaro) che hanno stipulato con la Provincia e la
Fondazione Cariplo, apposita convenzione.
B come bambini
L’immigrazione oggi non è più, come per il più
recente passato, caratterizzata dalla presenza di
singoli lavoratori adulti. Negli anni, la presenza della famiglia, arrivata o ricongiunta o costituita nella nuova patria, è sempre più significativa. Così come la presenza di bambini bolognesi figli di genitori stranieri. Bambini arrivati
o nati qui. L’insieme dei cittadini stranieri residenti nella provincia di Bologna, dall’ultima rilevazione (32.630), è costituito per il 22,4% da
minori (7.302) e questa percentuale si avvicina
al 30% nei comuni della montagna e della pianura bolognese. I minori stranieri costituiscono il 6,2% dei ragazzi sotto i 18 anni e sono in
misura maggiore bambini in età tra gli 0 e i 6
anni. Nel corso del 2000 sono nati 717 bambini da genitori stranieri, che rappresentano più
del 9% delle nascite nella provincia. Nella città
di Bologna sono circa il 10% i bambini in età
compresa tra 0 e 2 anni, l’8,4% nella fascia di
età tra i 3 e i 5 anni, il 7% nell’età della scuola
elementare. Nell’anno scolastico 2000-2001, i
bambini che hanno frequentato i nidi del capoluogo sono stati 218, che rappresentano oltre il
Nella pagina precedente, festa del Capodanno curdo al T.P.O. di Bologna. Sopra una manifestazione in Piazza
Maggiore per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla drammatica mancanza di case
10% del totale dell’utenza, e altri 525 hanno
frequentato la scuola materna nello stesso periodo. Le informazioni raccolte dal Provveditorato agli Studi per l’insieme della provincia, rivelano una presenza sempre più consistente anche nella scuola dell’obbligo: 1.890 ragazzi
stranieri hanno frequentato le elementari e
1.100 le medie, cifre che rappresentano circa il
6% del totale degli allievi. La loro presenza inizia ad essere visibile anche nelle scuole superiori, frequentate nel 2000-2001 da 554 allievi
stranieri, pari al 2,1% del totale degli studenti.
L’inserimento dei bambini figli di immigrati
nelle scuole richiede una particolare attenzione
sia per il loro apprendimento, sia perché è necessario che, anche con la scuola, si formi un’identità al plurale che nasce dall’incontro fra la
nostra e le altre culture.
Con l’istituzione del “Centro servizi” di consulenza e di supporto operativo agli interventi di
qualificazione scolastica rivolti agli alunni stranieri, il Servizio Scuola dell’Amministrazione
Provinciale fornisce risorse tecniche finalizzate alla programmazione territoriale degli interventi che favoriscono l’integrazione scolastica,
nel quadro della L.R.10/99 recentemente sostituita dalla L.R.26/01 sul diritto allo studio.
Le azioni, realizzate in stretta collaborazione
con il CD/LEI (Centro di Documentazione e
Laboratorio di Educazione Interculturale), sono rivolte al sostegno alla progettazione, alla
consulenza pedagogica agli operatori coinvolti
nei progetti, all’attivazione di interventi di mediazione culturale su richiesta, alla formazione
per gli operatori scolastici, alla documentazione dei progetti realizzati.
C come centri
di permanenza temporanea
Sono le strutture previste dalla legge, per il trattenimento dei cittadini stranieri presenti irregolarmente sul territorio ed in attesa di espulsione. La privazione della loro libertà personale è
prevista per un tempo massimo di 30 giorni, il
tempo necessario per l’identificazione della
persona, requisito indispensabile per poter attuare il riaccompagnamento alla frontiera.
E’ una delle misure previste dalla legge sull’immigrazione che ha fatto maggiormente discutere, perché secondo la legislazione italiana
l’immigrazione clandestina è una infrazione
amministrativa e non un reato penale e la Costituzione vieta la detenzione per le infrazioni
amministrative. Il legislatore ha in questo caso
“aggirato” l’ostacolo denominando queste
strutture come Centri di permanenza.
In realtà, queste strutture sono costruite e gestite con le stesse norme e modalità utilizzate
per la costruzione e la gestione delle carceri, e
sono carceri a tutti gli effetti dove le persone
17
DA STRANIERI
A
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sono “trattenute” contro la propria volontà. Alcuni centri già attivi sul territorio nazionale sono tristemente noti come veri e propri “lager”,
in cui si vive in condizioni estreme, si pensi ad
esempio al Vulpitta di Trapani, dove sono morte 6 persone nel rogo del dicembre 1999. I costi per la loro realizzazione sono fino a dieci
volte superiori ai finanziamenti che lo Stato
eroga per le attività di sostegno all’integrazione degli immigrati e sono costi pagati da tutti i
cittadini. Recenti proposte di modifica della
Legge sull’Immigrazione prevedono oltre all’introduzione del reato di immigrazione clandestina come reato penale, anche di portare a
60 giorni i tempi del trattenimento e,
inoltre, di estendere il provvedimento anche ai richiedenti asilo le cui
domande “si presumono manifestamente infondate”.
ha resistito, incontra l’intervento pubblico e
con esso deve misurarsi. I centri di prima accoglienza diventano i centri perversi e distorti
dell’eterna accoglienza dai quali non si esce
mai. I processi di “integrazione” e i loro tempi
non hanno fine, gli esami per l’integrazione li
superi solo se riesci a omologarti, a diventare
“normale”, “uguale”. Gli interventi si eternizzano sempre a partire da logiche istituzionali
“neutre” e “obiettive”. False informazioni, corrispondenti alla propria percezione e non basate sul sapere ascoltato, notizie di ogni genere
attribuite alla natura non corretta e non correggibile del richiedente l’aiuto istituzionale, permettono di giustificare l’insuccesso degli interventi e la messa in opera di altri interventi per
correggere questi insuccessi. Nasce e si rafforza il bisogno di sicurezza che ovviamente guarda qualsiasi cosa meno che la sicurezza dello
zingaro, dell’immigrato, dell’altro. La “securitizzazione” degli interventi è il meccanismo ultimo dell’esclusione.
Si giustificano così i controlli di massa che colpiscono le comunità e non i responsabili di possibili reati, la mancanza di proposte per il lavoro e la discriminazione dei redditi informali, si
giustifica tutto ciò
che può impedire la
Il Centro di prima
accoglienza di via Guelfa
mobilità sociale.
D come discriminazione
«Ogni comportamento che, direttamente
o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di
distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita
pubblica» (questa la definizione dell’art. 43 del
Testo Unico sull’immigrazione n. 286/98).
Anche in Italia è stato necessario definire per
legge la discriminazione, malgrado ciò non esiste ancora una politica attiva contro la discriminazione etnica e manca un dispositivo di
azioni pratiche per rendere effettiva la raccolta
di denunce e l’applicazione di pene o misure
correttive.
F come
formazione
professionale
E come esclusione
Sgomberi ed espulsioni, sistemi di accoglienza
che non promuovono mobilità sociale, l’applicazione o meno delle leggi, la mancanza di dialogo e mediazione sociale, la presunzione autoreferenziale delle istituzioni, i rapporti istituzionali impostati quasi esclusivamente a partire
dall’assistenzialismo, la settorializzazione e il
mancato coordinamento degli interventi pubblici, tutti questi fattori rafforzano i meccanismi istituzionali di clandestinizzazione e attivano i meccanismi permanenti dell’esclusione
e dell’emergenza istituzionale, funzionale solo
a se stessa.
L’espulsione è la strategia primaria dell’esclusione. Sgomberi, fogli di via, provvedimenti
amministrativi di allontanamento, provvedi-
18
menti di ordine pubblico, rimpatri forzati,
mancata presa in carico, non applicazione delle leggi, impedimenti burocratici e non alla
concessione dei permessi di soggiorno. Metodi
questi largamente praticati per non accorciare
le distanze con “l’altro”, per giustificare le proprie ragioni, per non permettere considerazione, dignità e presa in carico. Metodi questi che
consentono, con la forza e gli atti amministrativi di allontanare e/o di scoraggiare gli immigrati, i profughi e le minoranze a permanere sul
territorio. Quando non si può fare altrimenti si
interviene, quando emerge l’emergenza, quando non si può attuare l’espulsione, allora si interviene. Chi è stato accolto, chi ha superato le
barriere del sistema, chi non è stato espulso, chi
La formazione professionale è una fase
importante del percorso di inserimento
lavorativo, soprattutto per i cittadini stranieri che hanno notevoli difficoltà a farsi
riconoscere in Italia i
titoli di studio acquisiti all’estero e che
spesso si trovano a svolgere mansioni con qualifiche molto basse pur essendo invece professionisti qualificati. Per l’anno 2001 (con sviluppo anche nel 2002), il Servizio Formazione
Professionale della Provincia di Bologna finanzia 26 progetti per un totale di 18.568 ore
rivolte a 900 utenti, per un ammontare complessivo di L. 2.282387.000.
I corsi che si svolgono su gran parte del territorio provinciale si caratterizzano come attività
di
■ alfabetizzazione linguistica, informatica e di
orientamento per favorire l’accesso ai servizi e
l’inserimento nel mercato del lavoro
■ formazione specifica per l’acquisizione di
competenze professionali in ambito meccani-
DA STRANIERI
co e dei servizi (quest’ultimo nei settori della
ristorazione, turistico-alberghiera, commercio,
cura e assistenza degli anziani)
■ formazione e specializzazione nell’ambito
della mediazione culturale.
Le attività di formazione possono prevedere
per i partecipanti un’indennità oraria di
L.6.000.
Inoltre tutte le iniziative previste dal sistema
formativo sono aperte agli immigrati/e purché
sussistano le condizioni minime di parità (conoscenza basica della lingua italiana e, se richiesto, titolo di studio equipollente)
Come per tutti i giovani di 15 e 16 anni di età,
anche per i minori stranieri, vige l’obbligo
formativo.
I giovani stranieri, la cui presenza nell’ampia
gamma di corsi programmati in questo ambito è significativa, sono aiutati con lezioni di
italiano, per garantire il successo del percorso formativo.
Infine, per fornire strumenti e risorse agli operatori che lavorano con utenza straniera sono
state finanziate 2 iniziative volte alla conoscenza della lingua e della cultura araba (totale finanziamento di L. 24.800.000, per un totale di
130 ore ,per 24 partecipanti)
G come giocamondo
L’incontro con l’altro, con il diverso, ci pone di
fronte a noi stessi e perciò può spaventare, ma
non può che essere fonte di reciproco arricchimento, se si è capaci di superare paure e reciproche diffidenze.
Per questo è importante capirsi e per capirsi è
necessario conoscersi e comunicare.
Cominciando, perché no, dai bambini e dai loro giochi: il Servizio Sicurezza Sociale della
Provincia di Bologna ha stipulato una convenzione con la Società ETNOS per la realizzazione del Progetto Giocamondo.
Il progetto prevede la produzione di una serie
televisiva (15 trasmissioni di 4 minuti ciascuna) per la conoscenza e la divulgazione dei giochi giocati dai bambini di quindici paesi del
mondo.
I filmati prodotti saranno proposti anche alle
scuole come supporto di specifici percorsi didattici.
E’ un modo questo di “globalizzare” i giochi,
mettendo in comune culture, stili di vita, tradizioni, storie di minori e di adulti.
Sul tema della comunicazione, il Servizio Sicurezza Sociale della Provincia di Bologna ha
collaborato anche alla realizzazione della trasmissione radiofonica “Italia per tutti”, notiziario in sei lingue per la diffusione di informazioni sui servizi, le istituzioni e le leggi italiane (prossimamente sulla lunghezza di Radio
Tau e altre radio cittadine).
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Corsi di alfabetizzazione per adulti.
Imparare la nostra lingua è il primo passo
verso l’integrazione, un passo ancora più difficile
per le donne, tradizionalmente relegate in casa
I come intercultura
E’ la scommessa del futuro: una società veramente interculturale, dove – come ricordano le
Linee di Indirizzo del Consiglio Provinciale
per l’attuazione del III programma di attività
in favore degli immigrati- “le differenze comunicano, si mescolano e quindi cambiano, si rispettano e si valorizzano reciprocamente”. Le
Linee del Consiglio considerano l’interculturalità come il principio guida cui riferirsi per
l’impostazione dell’operatività futura e lo contrappongono a quello della Multiculturalità
“dove esistere separatamente in un patto di non
mescolanza, per evitare scontri ed aggressività
che però riaffiorano alla prima “emergenza”
trasformando il territorio in enclave dove i localismi e i singoli interessi si esaltano e soprattutto evitano sistematicamente la comunicazione reciproca, esasperando le proprie differenze”. La strutturazione dell’intercultura come
pratica attiva della convivenza multietnica, deve basarsi sulla logica della democrazia che
esiste se, e solo se, esistono differenze. Deve
basarsi sull’accoglienza e la mobilità sociale
dei nuovi cittadini, sulla solidarietà, la pace, i
diritti umani e di cittadinanza.
L come lavoro
Curare l’accoglienza dando una diversa attenzione e centralità anche a partire dall’inserimento lavorativo della popolazione immigrata,
abbassa inevitabilmente i costi sociali derivanti dalla condizione di povertà, emarginazione e
mancata mobilità sociale.
La necessità di abbinare il fabbisogno lavorativo al fabbisogno familiare e al fabbisogno formativo, dove formazione e lavoro includono
adulti e minori, uomini e donne, superando
quella dimensione univoca che considerava come unico soggetto dell’inserimento lavorativo
il maschio adulto e per di più singolo. Questa è
una dimensione superata dai fatti perché l’immigrazione che caratterizza il nostro territorio
è ormai un’immigrazione di famiglie, anche allargate, dove la presenza femminile è sempre
più significativa e deve dunque trovare maggior
attenzione istituzionale e sociale.
Da questa constatazione emerge anche la necessità di reimpostare i Servizi socio-sanitari
ed educativi strutturando al loro interno forme
e modi di mediazione socio-culturale e superando la logica dei servizi differenziati e assistenzialistici.
L’equazione immigrato uguale lavoratore nel
mercato bolognese è un’equazione forte, che
va però re-impostata dando dignità di persona
e di cittadino all’immigrato.
Nel corso dell’anno 2000 – secondo i dati dell’Ufficio Provinciale del Lavoro - 8.563 cittadini non comunitari sono stati avviati al lavoro,
per un totale di 11.966 avviamenti (circa 2000
persone hanno esperimentato più di un avviamento nel corso dell’anno).
Del totale degli avviamenti, 8.303 hanno riguardato lavoratori uomini e 3.663 donne straniere: questi numeri rappresentano il 14% dell’insieme degli inserimenti lavorativi di uomini e il 6,8% di donne nella provincia, una quota
molto importante confrontata con l’incidenza
dei residenti stranieri (3,5%). Soltanto una minoranza relativa di questi avviamenti riguarda
contratti a tempo indeterminato (30%), riflettendo per altro una tendenza presente per l’insieme degli inserimenti lavorativi: i contratti
più ricorrenti sono quelli a tempo determinato
(5.565 pari al 46.5%). Il numero maggiore di
inserimenti al lavoro hanno riguardato cittadi-
19
DA STRANIERI
ni marocchini (24%), cui seguono albanesi, tunisini, pakistani, bengalesi, cinesi, jugoslavi e
filippini. Gli archivi dell’Inps provinciale forniscono interessanti dati sui settori di attività
della forza lavoro immigrata. Nel settore domestico, più della metà dei contribuenti sono
immigrati. Per il resto delle categorie di lavoro
subordinato, almeno sei immigrati ogni dieci
sono occupati in attività di tipo industriale ed è
particolarmente significativo il contributo di
questi lavoratori nelle ditte artigiane. I principali rami di attività sono, in ordine decrescente, la metallurgia e meccanica di precisione,
l’edilizia, gli alberghi o pubblici esercizi, i trasporti, l’industria chimica, della pelle e simili,
il commercio e le industrie del legno.
Una recente ricerca su dati Infocamera ha rilevato inoltre la presenza di 3.356 titolari di
impresa nati all’estero registrati alla Camera
di Commercio di Bologna (il 3,5% degli imprenditori della provincia). La nazionalità dei
titolari mostra in testa i cinesi (392), seguiti
dai marocchini (338) e dai tedeschi (212, forse molti figli di italiani emigrati).
Sul fronte del lavoro, tre sono i progetti qualificanti l’attività della Amministrazione provinciale:
1) curato dall’assessorato Agricoltura, per favorire l’inserimento di immigrati extracomunitari nelle attività stagionali dell’agricoltura (annata agraria 2001/2002).
Il Progetto di propone di creare le condizioni
per: qualificare le esigenze dell’offerta e delle
opportunità di lavoro stagionale in agricoltura;
agevolare il regolare reperimento di manodopera extracomunitaria avventizia idonea a soddisfare i fabbisogni stagionali nelle zone e per
le attività interessate; raccordare l’inserimento
lavorativo con sistemi di accoglienza adeguati
ed in particolare con soluzioni abitative temporanee in prossimità dei luoghi di lavoro.
2) promosso dal Servizio Lavoro si propone di
facilitare i percorsi di integrazione lavorativa
dei cittadini stranieri, prevedendo l’inserimento di mediatori socio-culturali nei Centri per
l’impiego del territorio.
Il progetto è attualmente allo studio di fattibilità da parte del Servizio Lavoro e rientra nelle
azioni di sistema a sostegno delle attività dei
Centri per l’Impiego attivi nel territorio provinciale;
3) promosso dal Servizio Artigianato, Commercio e Industria, prevede un intervento per
favorire l’occupazione di emigrati e immigrati
attraverso un contributo, a fondo perduto, per
imprese commerciali e turistiche costituite da
tali soggetti e in particolare:
- accogliere e istruire le domande;
- determinare le spese ammissibili a contributo;
- predisporre l’elenco delle imprese ammissibili da inoltrare alla Regione;
- concedere ed erogare il contributo.
20
A
C I T TA D I N I
Nel 2001 sono pervenute 19 demande e ammesse 16.
M come
mediazione interculturale
Relazionarsi, informare, capirsi, orientarsi, valorizzare le differenze anche per evitare conflitti culturali permanenti, nutriti da razzismi e
discriminazioni sistematiche e intenzionali,
che possono coinvolgere sia la società civile
che le istituzioni.
Per evitare o attenuare lo scontro, è necessaria
la mediazione, intesa come capacità di costruire relazioni interculturali ed interetniche.
Il mediatore interculturale è soprattutto un
esperto di comunicazione e di codici culturali
differenti che sa riconoscere, interpretare e
trasmettere.
Tra i 60 Comuni della provincia, 41 utilizzano
mediatori nei servizi territoriali, oppure nella
realizzazione di azioni ed interventi rivolti ai
cittadini stranieri.
Due sono le questioni prioritarie che occorrerà
affrontare nel breve periodo: la formazione di
questi operatori-mediatori e il loro stabile inserimento. La figura professionale del mediatore
culturale nei servizi costituisce sicuramente
un’originalità delle politiche dell’accoglienza
Sopra e a fianco,
immigrati al lavoro.
La manodopera straniera
subentra nelle mansioni
ormai quasi del tutto
abbandonate dagli
italiani, soprattutto
nell’industria pesante,
nell’edilizia
e nel lavoro agricolo
stagionale. Nella pagina
accanto, una festa Tamil
(Sri-Lanka) nella sede
del Quartiere Navile
lativa si è trattato di donne (183, pari al 58%),
tuttavia questa predominanza è molto meno rilevante di quanto si registra a livello nazionale (circa 70%).
Il tasso di naturalizzazione in Italia (0,8) e nella nostra provincia (1,1%) è molto al di sotto
N come naturalizzazione
della media europea (3%).
E’ il percorso che consente all’immigrato di L’acquisizione della cittadinanza richiama anottenere la cittadinanza del nuovo paese.
che la questione della rappresentanza e della
Almeno un milione di immigrati soggiorna re- partecipazione dei cittadini stranieri alla gegolarmente in Italia, e spesso chi immigra in stione della cosa pubblica.
un paese desidera vivere in modo stabile e re- La legislazione italiana è, in proposito, assai regolare nella sua nuova patria.
strittiva e non prevede nemmeno il diritto dei
Nel corso dell’anno 2000, 314 cittadini resi- cittadini stranieri al voto amministrativo.
denti in comuni bolognesi hanno acquisito la C’è la possibilità di includere nei consigli cocittadinanza italiana. Per una maggioranza re- munali la figura del consigliere aggiunto, cittaitaliane e può rappresentare, con il tempo, un
valido strumento di supporto alla trasformazione della cultura dei servizi e della società.
DA STRANIERI
dino straniero che deve essere “sentito” sulle
questioni inerenti l’immigrazione, ma non ha
diritto di voto e, in sostanza, scarse possibilità
di essere realmente incisivo sulle scelte.
In alcune città italiane sono state portate avanti esperienze di Consulte degli immigrati su base elettiva, mentre a Bologna sono stati pensati alcuni progetti in questa direzione ma nessuno di essi ha poi avuto seguito effettivo, mentre
c’è il problema oggettivo, che riguarda soprattutto le istituzioni, di non avere referenti certi
che siano rappresentativi degli immigrati residenti nel territorio.
Anche per supplire a questa carenza, oltre che
con l’intento prioritario di operare per l’integrazione e l’interculturalità, il Consiglio Provinciale ha impegnato l’Amministrazione ad
avviare, nell’ambito del Progetto Trasversale
sull’Immigrazione, lo studio di diverse esperienze e delle relative procedure per consentire
la creazione di una rappresentanza su base provinciale della popolazione immigrata.
O come omologazione
L’omologazione è un rischio possibile dell’integrazione, o meglio di un modo distorto di intendere l’integrazione, che si realizza quando
chiediamo agli immigrati di essere come noi,
quando inseriamo a scuola i loro bambini e neghiamo la loro provenienza da un’altra realtà
geografica, sociale, e culturale.
In realtà le possibilità e difficoltà dell’integrazione non dipendono tanto dalla provenienza
geografica delle persone, dal loro modo di vivere o pensare, dalla loro religione, bensì sono
una diretta conseguenza del tipo di accoglienza, delle condizioni materiali e immateriali che
le persone trovano nel nuovo paese.
A
C I T TA D I N I
P come
programmazione dei flussi
E’ ormai una realtà consolidata e accettata da
tutti, il fatto che il sistema economico italiano
necessita di una dose consistente di lavoratori
stranieri, a causa della riduzione graduale della popolazione attiva e della tendenza dei giovani italiani a non rivolgersi più ai lavori c.d.
usuranti. Senza l’apporto dei lavoratori immigrati andrebbero in crisi diversi settori dell’economia nazionale e con loro il bilancio del
welfare.
Partendo da queste premesse, il legislatore del
98 ha delineato una politica per l’immigrazione che si manifesta nell’adozione, da parte del
Governo, di documenti programmatici, di lungo e breve periodo, sull’immigrazione. Infatti,
ai sensi dell’art. 3, comma 1°, del T.U., «il Presidente del Consiglio dei Ministri predispone
ogni tre anni il documento programmatico relativo alla politica dell’immigrazione e degli
stranieri nel territorio dello Stato..». Questo documento individua i criteri generali per la determinazione dei flussi di ingresso in Italia,
flussi che sono quantificati annualmente con
decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Le quote stabiliscono, tenendo conto degli
ingressi già effettuati o programmati, di ricongiungimento familiare o di protezione temporanea, quanti lavoratori stranieri, anche stagionali, possono entrare in Italia. Nel 2000 e nel
2001 le quote hanno stabilito, rispettivamente,
63.000 e 83.000 ingressi.
I flussi riguardano essenzialmente l’autorizzazione al lavoro (art. 22, T.U.) di cittadini stranieri residenti all’estero, richiesti nominativamente da datori di lavoro operanti in Italia, e la
prestazione di garanzia (o lo sponsor, art. 23,
T.U.) fatta a favore di stranieri che richiedono
di entrare in Italia per cercare lavoro. Lo sponsor è una delle novità della Turco-Napolitano e
consiste nel garantire per un anno allo straniero vitto e alloggio, copertura sanitaria e spese
di rimpatrio. Se entro un anno dall’ingresso lo
straniero trova un lavoro gli viene rilasciato il
relativo permesso di soggiorno, altrimenti esce
dall’Italia. La quota di sponsorizzazioni previste per il 2001 (quindicimila) si è esaurita in poche ore, tante sono state le domande di sponsorizzazioni in favore di lavoratori stranieri.
Le più recenti proposte di modifica alla L.
40/98, prevedono l’abolizione della figura dello sponsor e di questo possibile meccanismo di
ingresso. Secondo le proposte il rilascio del
permesso di soggiorno per lavoro potrà avvenire solo dopo la stipula di un “contratto di soggiorno” incontro della volontà del datore di lavoro e del lavoratore e certificato all’estero dall’autorità consolare italiana. Sulla base di
questo contratto viene concesso un permesso di
soggiorno di durata variabile: 9 mesi al massimo per lavoro stagionale, un anno per contratti
a tempo determinato, due anni per contratti a
tempo indeterminato: anche chi ha quest’ultimo tipo di contratto dovrà ogni due anni rinnovare il permesso. In caso di perdita del lavoro,
è concesso un tempo massimo di 6 mesi per trovare un altro lavoro, dopo di che scade il permesso di soggiorno.
In precedenza, il permesso seguiva la sua naturale scadenza, anche in caso di perdita del contratto di lavoro.
Queste proposte avranno inevitabilmente come
risultato quello di indurre un maggior numero
di lavoratori stranieri a percorrere vie di immigrazione illegali: ciascuno di loro osserverà infatti come, piuttosto che aspettare nel proprio
paese una chiamata che non arriverà mai, convenga tentare la sorte, nella speranza di incontrare la fiducia di un datore di lavoro e di guadagnare, a valle della stipula di un contratto e
di un temporaneo ritorno in patria, un reingresso legale in Italia. Perché è vero: chi assumerebbe mai una colf, o una baby sitter o una badante per assistere i propri familiari senza prima “guardarsi in faccia”? Senza prima
conoscersi?
Q come quanti sono?
Gli stranieri residenti nella provincia di Bologna al 1° gennaio 2001 sono 32.630, pari al
3,5% della popolazione totale. Di questi
17.332 sono maschi e 15.298 femmine; i minori invece sono 7.302, pari al 6,2% del totale
dei minori.
Degli stranieri residenti nella provincia di Bologna, poco meno della metà abita nella città
capoluogo (16.190), il restante nei comuni del
territorio provinciale (16.440). Dei 60 comuni
21
DA STRANIERI
bolognesi, 21 hanno più di 300 residenti stranieri. I più popolati, oltre a Bologna, sono Imola, Casalecchio di Reno, San Lazzaro di Savena e San Giovanni in Persiceto, tutti con più di
500 residenti stranieri. Se consideriamo invece
l’incidenza degli stranieri sul totale della popolazione, questa è molto significativa nei comuni montani e in alcuni comuni dell’imolese e
della pianura; è al contrario relativamente bassa nei comuni dell’hinterland bolognese.
I gruppi nazionali più consistenti in provincia
sono, in ordine decrescente: Marocco (7.638
residenti), l’Albania (2.316), Filippine (2.314),
Tunisia (2.152), Cina Popolare (1.772), Pakistan (1.419), Jugoslavia (1.342), Bangladesh
(888), Sri Lanka (759) e Romania (753). Diversa però la composizione nazionale del capoluogo e gli altri comuni: più “cosmopolita”
la città, molto più concentrata nella provenienza nordafricana e dall’est europeo i comuni
della provincia.
R come
richiedenti asilo e rifugiati
I richiedenti asilo sono persone che abbiano
subito persecuzioni o temano, sulla base di fondati motivi, di subire una persecuzione individuale a causa della loro razza, della loro religione, della loro nazionalità, della loro appartenenza a un certo gruppo sociale o delle loro
opinioni politiche. Essi possono richiedere asilo nel nostro Paese presentando una domanda
di riconoscimento dello status di rifugiato.
Restano attualmente esclusi da tale definizione
coloro che, pur non essendo individualmente
perseguitati, siano fuggiti dal proprio Paese in
seguito al verificarsi di situazioni di violazione
22
A
C I T TA D I N I
delle libertà democratiche (v. sfollati sottoposti
a protezione temporanea).
I rifugiati sono coloro che hanno ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato in seguito all’accoglimento della loro domanda da parte dello Stato italiano.
Per richiedere il riconoscimento dello status di
rifugiato è necessario presentare una domanda
motivata con l’indicazione delle persecuzioni
subite e delle possibili ritorsioni in caso di rientro nel proprio Paese e, nei limiti del possibile,
documentata.
Al richiedente asilo viene rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo, che lo autorizza
alla permanenza sul territorio nazionale per un
mese e può essere prorogato fino a quando non
verrà accertata la competenza dell’Italia all’esame della domanda di riconoscimento.
Accertata la responsabilità dello Stato italiano,
al richiedente asilo viene rilasciato un permesso di soggiorno provvisorio per richiesta di asilo, valido tre mesi e rinnovabile fino alla definizione del procedimento con la decisione della Commissione centrale per il riconoscimento
dello status di rifugiato.
Il permesso di soggiorno temporaneo (Convenzione di Dublino 15.6.1990) e il permesso di
soggiorno provvisorio per richiesta di asilo,
danno diritto - ai richiedenti privi di mezzi di
sussistenza o di ospitalità in Italia - di ottenere
l’assistenza economica degli enti locali e il
contributo di prima assistenza a carico della
Direzione Generale dei Servizi Civili. Tale
contributo consiste nella erogazione di una
somma di £.34.000 pro-capite al giorno, per un
periodo massimo di 45 giorni. Va detto che al
richiedente asilo non è concessa la possibilità
di lavorare, fino a quando non sarà concluso l’iter della sua domanda (i tempi reali sono pari
anche ad un anno e più). Cessata l’erogazione
del contributo, queste persone si trovano quindi in condizioni di estremo disagio, costrette a
lavorare in nero oppure a dipendere esclusivamente dalle azioni di sostegno del volontariato.
Se la Commissione centrale accoglie la domanda di riconoscimento, il richiedente ottiene
un permesso di soggiorno per asilo valido due
anni e uno speciale documento di viaggio valido per l’estero tranne che per il Paese di appartenenza.
La disciplina del permesso di soggiorno per
asilo è analoga a quella degli altri permessi di
soggiorno; tuttavia, data la specialità della condizione in cui si trova il rifugiato, il permesso
di soggiorno non può essergli di norma revocato e deve essere prorogato alla scadenza, salvi i
casi di cessazione dello status e di espulsione.
Le statistiche disponibili sul fenomeno dei richiedenti asilo e dei rifugiati in Italia dimostrano la sua limitatezza. I rifugiati in Italia al settembre 2000 sono 22.900; le richieste di asilo
DA STRANIERI
A
C I T TA D I N I
Sopra, giovani immigrate
per le strade di Bologna,
a fianco, tipica bancarella
di “cineserie” nel grande
mercato della Montagnola.
Nella pagina accanto,
immigrati chiedono la
regolarizzazione del permesso
di soggiorno previsto dalla
legge Martelli,
Sotto, la preghiera collettiva
della fine del Ramadan
per il 2000 sono pari a 18.000 unità, circa la
metà di quelle presentate nel 1999 (34.300).
Non sono disponibili dati a livello locale.
S come salute
Il Piano Sanitario Nazionale 1998–2000 individua la popolazione migrante tra i soggetti cui
indirizzare prioritariamente gli interventi di tutela della salute.
Le nuove norme sull’immigrazione hanno sancito “la piena parità di trattamento e la piena
uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene all’obbligo contributivo, all’assistenza erogata dal Servizio
Sanitario Nazionale ed alla sua validità temporale”. Restano tuttavia esclusi da una specifica
tutela sanitaria gli immigrati irregolari, che
presentano peraltro i maggiori rischi sanitari, a
causa del combinarsi di irregolarità giuridica e
di disagio sociale.
Oltre agli interventi urgenti e d’emergenza, in
aggiunta a quanto previsto dalla L.40/98 (tutela gravidanza, maternità e minori, vaccinazioni, profilassi internazionale, malattie infettive),
è necessario sviluppare programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva.
A questo scopo è necessario attivare, a livello
locale, tutti gli attori coinvolti nella gestione
dell’assistenza agli stranieri immigrati: Enti locali, forze sociali, associazioni di volontariato
che nel corso degli anni hanno maturato un’esperienza specifica sui problemi dell’immigrazione, per avviare progetti comuni di intervento volti a favorire l’uscita dall’emarginazione e
a tutelare la salute come diritto dell’individuo
ed interesse della collettività.
Per il rispetto delle culture d’origine e per favorire l’integrazione si dovrà favorire la formazione e la sensibilizzazione degli operatori sanitari, prevedendo interventi di mediazione socioculturale finalizzati all’eliminazione di
barriere sociolinguistiche che limitano l’accesso ai servizi ed il concreto esercizio del diritto
alla salute (2).
Il profilo sanitario dell’immigrato è rappresentato da un patrimonio di salute sostanzialmente integro, sia per la giovane età, sia per l’autoselezione che precede la migrazione pionieristica, cui si associa un buon livello di istruzione
(effetto migrante sano). Su questo patrimonio
si innestano però
- patologie da degrado,
- patologie della povertà (scabbia, TBC, pediculosi, ecc.),
- patologie da importazione (malaria, m. di Lyme, amebiasi, ecc.),
- patologie a lunga incubazione (lebbra, ecc.),
- false patologie da incomprensione (problematiche comunicative e culturali).
Per la popolazione italiana, il rischio infettivo
per trasferimento di agenti infettanti da paesi
ad alta endemia è ridotto o controllabile; specifici problemi originati nel paese di partenza
possono invece aggravarsi, soprattutto nelle
persone di recente immigrazione (fasi di trasferimento con mezzi di fortuna, condizioni disagiate di accoglienza e primo inserimento, alimentazione, clima e condizioni lavorative).
Per quanto riguarda i ricoveri ospedalieri i pazienti con cittadinanza straniera da paesi in via
di sviluppo dimessi nel 1998 sono 15.902 e
rappresentano l’1,84% del totale regionale.
Anche includendo i soggetti non residenti, si
evidenzia che il tasso di ospedalizzazione dei
soggetti immigrati nella nostra regione (113
per 100.000 abitanti residenti) è molto inferiore a quello della popolazione italiana residente
(162 per 100.000 abitanti residenti).
Gli accessi di cittadini stranieri al Pronto Soccorso rappresentano il 3-3,5% del totale; solo
l’8,3% dei casi è seguito da ricovero.
Lo scarso utilizzo dei servizi ambulatoriali in
ambito ostetrico-ginecologico si spiega sia
con l’ampia offerta di servizi pubblici, sempre consentita anche agli irregolari, sia con la
scarsa propensione della popolazione femminile di alcune etnie a utilizzare servizi in
cui lavorano operatori di sesso maschile.
Alcune esperienze dimostrano una spesa farmaceutica media annuale di circa £ 12.000
per paziente assistito (contro le £ 50.000 dei
residenti).
In ambito regionale esistono numerosi servizi a
carattere socio-sanitario, come i consultori pediatrici e familiari; centri per la salute delle
donne straniere; servizi di informazione, assistenza e segretariato sociale; centri di prima accoglienza (CPA); associazioni di volontariato
(anche di specifiche etnie); consulte, mediatori
culturali in forma singola o associata, gestiti
con modalità diverse da istituzioni pubbliche,
mancano tuttavia uno specifico momento di
programmazione complessivo degli interventi,
23
DA STRANIERI
C I T TA D I N I
percorsi assistenziali semplificati e chiari, e
manca soprattutto una rete strutturata fra i diversi attori pubblici, privati e del volontariato.
Molte realtà locali sono portatrici di esperienze progettuali innovatrici, gli attori coinvolti
sono principalmente le aziende sanitarie, gli
enti locali, il volontariato (incluse le associazioni di migranti di specifiche etnie), e i sindacati, che hanno attivato programmi integrati attraverso protocolli d’intesa e convenzioni.(3)
Il Servizio Sicurezza Sociale della Provincia di
Bologna ha collaborato alla definizione degli
obiettivi di salute per il II Piano Sanitario Regionale 1999-2001, partecipando alle attività
del gruppo di lavoro “esclusione sociale” e col-
l’incontro/scontro con altre soggettività ed altre culture - vivono, cercando di soddisfare i
propri bisogni e si progettano cercando futuro, ma anche rielaborando il passato, tentando
di non inchiodarsi e appesantirsi sul presente.
Non tutti ce la fanno, ma molti sì. Affiancarli
nei loro tempi rafforzandoli e incrociandoli
con i nostri, permette a noi di lasciarci trasportare dall’ottimismo, e a loro di continuare a vivere.
Ciò, “… implica il riconoscimento delle storie, la ricerca di un tempo comune - che molte volte incontra la difficoltà di tempi diversi,
di sensibilità al tempo molto diversa- implica
la ricostruzione dei depositi per l’accumulo,
domanda di lavoratori nell’industria (magrebini, pakistani, senegalesi, ecc) seguono il classico modello di una prima tappa di immigrazione di uomini soli che in un secondo momento
avviano la riunificazione delle famiglie nel
paese di accoglienza. Altri collettivi migratori
(cinesi, rom ex jugoslavi, albanesi) tendono all’emigrazione di gruppi familiari che sono però
numericamente ridotti e non sempre completi
rispetto alla composizione della famiglia nel
paese di origine. Esiste anche, e assume caratteristiche sempre più strutturali, l’immigrazione al femminile verso l’Italia e Bologna (filippine, capoverdiane, peruviane, ucraine ed est
europee), che risponde al bisogno emergente di
lavoratrici per attività domestiche e di cura; anche in questo caso, si tenta successivamente il
ricongiungimento di mariti e figli.
Tra il 1992 e l’anno 2000 le donne straniere residenti nella provincia sono passate dal 36% al
47% del totale della popolazione immigrata. La
presenza femminile è più rilevante nella città di
Bologna (48%) e nel suo hinterland. Tuttavia,
il suo incremento relativo è stato molto più incisivo nei comuni della provincia e principalmente nella montagna e nella pianura dove si
registrano i più significativi processi di riunificazione familiare, soprattutto per via di una
maggiore disponibilità di alloggi.
Le recenti proposte di modifica alla legge sull’immigrazione restringono le possibilità di
chiedere il ricongiungimento familiare che si
propone di concedere solo per i figli ed il coniuge e per i genitori se in patria non c’è un altro figlio.
laborando in particolare alla stesura del documento relativo alla salute delle popolazioni sinte e rom.
la riorganizzazione di un sistema di distribuzione (4)”.
V come vita o come valori
T come tempo
Il tempo è la dimensione naturale in cui l’uomo vive ed agisce. Non fa parte del modo
d’essere di un soggetto isolato o solo, ma è la
relazione stessa del soggetto con gli altri.
Questa relazione incrocia le dimensioni, quella soggettiva e quella collettiva, quella del presente e quella storica, e condiziona il tempo
futuro o inchiodandolo sul presente o aprendolo sulle prospettive. Gli immigrati, uomini
e donne, bambini e adulti, universi culturali
uguali e differenti nella moltitudine della società nostra e loro -nostra- vivono nel proprio
tempo soggettivo, collettivo e culturale, nonostante le difficoltà e le fatiche, istituzionali e
sociali, nonostante le discriminazioni, il razzismo, la non accoglienza, la condizione eternizzante dello straniero.
In questo tempo - che pure è influenzato dal-
24
A
U come uomini e donne
Immigrare da soli, uomini o donne adulti, è l’elemento caratterizzante il fenomeno migratorio
anche nel bolognese. Il panorama della presenza di immigrati cambia nel corso degli anni
perché si rafforza della presenza dei familiari,
resa possibile dall’attuazione delle norme sui
ricongiungimenti familiari. Fenomeno questo
di processi differenziati anche a seconda dei
gruppi nazionali, dei settori produttivi o delle
nicchie di lavoro nelle quali sono in maggioranza inquadrati gli o le immigrati/e , nonché
dei progetti migratori (se ci sono) dei singoli
soggetti. Quello dell’immigrazione familiare è
comunque un fenomeno non lineare e che presenta una certa complessità, la quale va considerata per superare l’idea dell’immigrato come
singolo lavoratore e come “forza lavoro”.
Diversi gruppi nazionali molto rappresentati
nella nostra provincia, occupati e attirati dalla
Vita, esistenza, r/esistenza.
Considerare la complessità dell’immigrazione
cercando futuro, per riflettere insieme sulle
chiusure/aperture e sulla soddisfazione/continuità del progetto migratorio, per strutturare
accoglienze che non cristallizzano l’altro ma
che portino a nuove forme di convivenza, è la
scommessa di adesso.
Occorre recuperare la solidarietà, sia come valore che nell’azione sociale, occorre concepire
l’integrazione come reciprocità, come riconoscimento/valorizzazione della differenza individuale e della differenza etnico-culturale, come ricerca di possibili equilibri, basati sull’incontro/scontro, che possano permettere la
convivenza interculturale. Un individuo può
essere una persona, intendendo come persona i
ruoli e le maschere della sua quotidianità. Un
individuo può essere caratterizzato dalle differenze proprie del genere o dell’etnicità, della
cultura o dell’età, ma non c’è contraddizione in
questa identità al plurale.
Si tratta non solo di accettare la fondamentale
DA STRANIERI
interdipendenza della gente e delle culture, ma
di pensare con chiarezza a nuove relazioni tra
individui e istituzioni.
In questa prospettiva, la difficoltà può anche
essere positiva, perché può consentire -proprio
perché l’operazione progettuale è più difficiledi rapportarsi non alla mia forza ma alla mia
debolezza, e quindi di fare spazio a quella forza dell’altro che sembrava non esistere, perché
appariva tutta consumata dalla debolezza.”(5)
Ciò implica sforzi comuni per cercare le possibilità e le prospettive. Implica conversazione.
Con/vers(o)/azione. R/esistenza.
Z come zingari
Non esistono rilevazioni precise del fenomeno
zingari, perché mai sono state organicamente
censite le presenze reali, anche di fronte alle
esigenze derivanti dall’applicazione delle leggi
40/98 sull’immigrazione e 390/92 sulla profuganza dalla ex-Jugoslavia, nonché delle leggi
regionali a tutela delle minoranze Sinte e Rom.
I censimenti effettuati dalle diverse regioni,
non sempre hanno considerato il fenomeno
nella sua complessità e usano spesso strumenti
impropri (forze dell’ordine in luogo di indagini sociali).
Le stime disponibili indicano una presenza di
110.000 zingari presenti sul territorio nazionale (0,7% sul totale della popolazione) al dicembre 1999, dei quali 70.000 sono cittadini
italiani e 40.000 cittadini stranieri. Non esistono stime sulla presenza degli irregolari, tuttavia
A
C I T TA D I N I
la fisionomia familiare dei
gruppi balcanici e i continui
flussi migratori fanno supporre che questi numeri siano destinati quanto meno a
duplicarsi.
Non sono disponibili dati relativi alla distinzione fra zingari nomadi e sedentari,
nonché alla suddivisione per
sesso e per fasce di età della
popolazione zingara registrata sul territorio nazionale. L’indagine sulla popolazione zingara curata dalla
regione Emilia Romagna
(6), al novembre 1998 rileva
la presenza nelle aree sosta
di 1.851 zingari, dei quali
588 nell’area metropolitana
di Bologna.
E’ utile evidenziare che questa rilevazione non è stata
condotta su tutta la popolazione zingara presente sul
territorio regionale. In particolare, per quanto riguarda
l’area metropolitana di Bologna, si può osservare che:
■ non sono stati rilevati tutti gli zingari Rom
residenti nei centri di prima accoglienza per
profughi della ex-Jugoslavia attivati ai sensi
della L. 390/92, la cui presenza è pari a 384
persone nel febbraio ‘98 (rilevazione a cura
del Servizio Sicurezza Sociale della Provincia
di Bologna);
■ non sono stati rilevati tutti gli zingari che vivono in aree di loro proprietà;
■ non sono rilevati tutti gli zingari che vivono
in aree abusive con o senza permesso di soggiorno, che si possono stimare, solo a Bologna,
intorno alle 180 persone.
In riferimento alla situazione abitativa, tutte le
aree sosta pubbliche disciplinate dalla legge regionale n. 47/’88 sono costituite da roulotte di
proprietà degli zingari. Le aree sono dotate di
servizi ad uso comune, spesso in misura ridotta rispetto alle esigenze.
Lo stesso vale per le aree dei Rom jugoslavi regolarizzati ai sensi della legge sull’immigrazione. L’equazione zingaro uguale nomade è
radicata nelle politiche sociali della regione, e
non considera il fatto che i Sinti emiliani sono
stanziali da ormai tre decenni, mentre i Rom
Jugoslavi non hanno mai praticato il nomadismo. Quello degli zingari è un mondo riconosciuto solo attraverso stereotipi e pregiudizi o
meglio è un mondo sconosciuto, circondato dal
silenzio. Il non sapere, l’ignorare, ingrandito e
amplificato dai mass media che distorcono
l’immaginario collettivo per rafforzare il silenzio, è proprio anche dell’istituzione, della poli-
tica. Questa popolazione, per sopravvivere, deve affrontare, in tempi brevi e rapidi, cambiamenti che possano portarla verso nuovi equilibi di sopravvivenza, in un incontro/scontro con
il resto della popolazione e con le sue forme
rappresentative ed istituzionali.
L’integrazione deve invece essere intesa nella
sua complessità, come riconoscimento delle
differenze individuali e delle differenze etnicoculturali, come ricerca di possibili equilibri,
basati sull’incontro/scontro, che possano permettere la convivenza fra popoli zingari e gagè.
Ciò a partire dall’accettazione/riconoscimento
del valore dell’alterità, rifiutando e contrastando quel principio dell’omologazione che si impone ancora come determinante e che ha delineato “l’altro” dell’Occidente contemporaneo:
chi non può consumare perché zingaro, povero,
immigrato o profugo, come chi non raggiunge
determinati livelli di produttività, ed è escluso
dalla società dei soggetti di diritto. La sua diversità, la sua incapacità di omologarsi, lo rende ancora inaccettabile.
E così, “... deve adattare più volte il suo comportamento alle difficoltà che incontra e spesso
aggirare ostacoli altrimenti insuperabili ... affronta ogni ostacolo nel momento in cui vi si
imbatte, tenta diverse vie per attraversarlo o aggirarlo, senza preoccuparsi troppo degli ostacoli futuri.
... Se lo consideriamo una figura geometrica il
percorso della formica è irregolare, complesso
e difficilmente descrivibile. Ma la sua è in
realtà una complessità che si trova sulla superficie della spiaggia, non nella formica.”(7). q
Note
1) In un paese che ha un tasso di disoccupazione costante del 11-12%, e che il lavoro sommerso è un fenomeno difficile sradicare, si richiede, a corredo
della domanda di cittadinanza, la certificazione dei
redditi prodotti e dichiarati nel triennio precedente
all’anno di presentazione della domanda. Non si
prendono in considerazione i periodi di iscrizioni
nelle liste di collocamento, di frequenza di corsi di
formazione professionali o di studi, di attività di volontariato. In alcuni casi addirittura si pretende non
solo di aver prodotto un reddito e aver pagato le relative tasse, ma di aver prodotto una determinata
quantità di reddito.
2) Liberamente tratto da: Regione Emilia Romagna, Piano sanitario regionale 1999-2001, disponibile sul sito Internet http://www.regione.emilia-romagna.it/fr_sanita.htm
3) Ibidem, Esclusione sociale, dossier n. 57,
http://www.regione.emilia-romagna.it/cds
4) Andrea Canevaro, La relazione di aiuto, Carocci,
Roma, 1999
5) Ibidem
6) Regione Emilia Romagna, Rapporto sulla popolazione nomade presente nella Regione Emilia Romagna Indagine riferitaal novembre ‘98
7) Herbert Simon, Le scienze dell’artificiale
25
DA STRANIERI
A
C I T TA D I N I
LE REGOLE PER ENTRARE
E RESTARE IN ITALIA
di ABDULKADIR MOHAMED TAHLIL
Quadro delle principali normative che riguardano lo stato di immigrati;
le condizioni necessarie per entrare in Italia e quelle causa di espulsione
S
in dall’inizio dell’ultimo ventennio del
novecento le nazioni ricche dell’Europa
occidentale hanno conosciuto flussi migratori sempre più crescenti, provenienti dai
paesi dell’Europa orientale, Africa, Asia e dell’America latina. Per controllare questi flussi,
le nazioni occidentali cominciarono a regolare
l’ingresso e il soggiorno degli immigrati che
intendevano entrare o erano già presenti nei loro territori.
In Italia, la regolamentazione dell’immigrazione fu un fenomeno considerato non prioritario
dal legislatore. In effetti, è con la legge del 30
dicembre 1986, n. 943(1) che per la prima volta avviene un interessamento legislativo in materia. Prima di quella data era la normativa sulla Pubblica Sicurezza, risalente al lontano
1931, che disciplinava il soggiorno, l’impiego
e l’espulsione degli stranieri in Italia(2). Una
serie di decreti e circolari ministeriali o prefettizi ne colmavano le lacune.
La legge n. 943/1986, oltre ad offrire agli operatori pubblici e privati un minimo d’orientamento legislativo, introdusse essenzialmente
due novità: il riconoscimento del diritto al ricongiungimento familiare per gli stranieri legalmente soggiornanti (art. 2, comma1°); l’eguaglianza di diritti tra i lavoratori italiani e
quelli stranieri.
I limitati e circoscritti campi d’intervento della
legge n. 943/86 e la sua incapacità a disciplinare la complessa realtà dell’immigrazione, portarono all’emanazione del decreto legge n. 416
del 30/12/1989(3), convertito con la Legge.
39/1990, conosciuto come legge Martelli. Il
tentativo fu quello di dare una disciplina completa dello statuto dello straniero che comprende le categorie dello straniero in genere, dell’immigrato, del rifugiato e dell’apolide. Regolarizzò la posizione degli irregolari (art. 9),
previde una serie di politiche statali e locali per
l’integrazione dei lavoratori stranieri (art. 11,
comma 3°), dispose l’espulsione degli extracomunitari irregolarmente presenti nel territorio
dello Stato o che avessero riportato condanne
penali per determinati reati (art. 7). Introdusse
26
l’attuale disciplina sui rifugiati e sulle richieste
d’asilo (art. 1), abrogando le limitazioni geografiche e le riserve che l’Italia aveva posto alla Convenzione di Ginevra(4).
Tuttavia, la legge Martelli non mise la parola fine sulla questione dell’immigrazione e la sua
regolamentazione per una serie di motivi. Innanzi tutto, il fenomeno dell’immigrazione irregolare o clandestina non si arrestò con la sanatoria del 1989(5). Proprio agli inizi degli anni ’90, in conseguenza di diverse crisi
internazionali (la guerra del Golfo, la dissoluzione dell’URSS, il crollo del vecchio regime
albanese, la guerra in ex Jugoslavia)(6), l’Italia
visse le più vaste ondate migratorie della sua
storia. E per un paese di emigranti, simili eventi crearono inquietudini e angoscia. Inoltre, il
permesso di soggiorno è un documento che
permette al cittadino extracomunitario di poter
soggiornare in Italia per un tempo determinato.
Orbene, almeno un milione di immigrati soggiorna regolarmente in Italia, e di solito chi immigra in un paese compie una scelta di vita: desidera vivere in modo stabile e regolare nella
sua nuova patria. Il permesso di soggiorno è il
passaggio necessario per l’iter d’avvicinamento alla nuova condizione di vita, ma dopo un ragionevole lasso di tempo occorre uscire dallo
status di membership temporaneo e di acquisire l’effettivo membership della società in cui si
vive. Nella generalità dei paesi dell’Unione
Europea, questo passaggio avviene con la naturalizzazione che si consegue, in media, dopo
5-6 anni di residenza regolare. In Italia la naturalizzazione è un percorso tortuoso e incerto:
occorrono minimo 10 anni di residenza e il possesso di faticosi requisiti accessori(7), lasciando poi alla discrezionalità amministrativa la valutazione di merito della richiesta di concessione della cittadinanza.
Per affrontare queste problematiche, per superare la legislazione d’emergenza e per dotarsi
di una legge in linea con le altre legislazioni europee, negli ultimi anni si è consolidata, sia nella società civile sia nelle forze politiche, la consapevolezza che l’immigrazione vada governa-
ta in un’ottica di linearità e di certezza del diritto. La conseguenza di questa consapevolezza è stata l’approvazione della legge organica
del 06/03/1998 n. 40, nota come la legge Turco-Napolitano.
Le disposizioni della legge n. 40/98 e alcune altre disposizioni della vecchia legislazione sull’immigrazione, sono state raccolte nel “Testo
Unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” adottato con il Decreto
Legislativo 25/07/1998, n. 286. Il T.U. e il regolamento d’attuazione, DPR 394/99, della
legge n.40/98, costituiscono le fonti per eccellenza del “Diritto dell’immigrazione”.
La Disciplina del Testo Unico, rispetto alle legislazioni precedenti, si caratterizza per incisività del controllo e della lotta all’immigrazione
clandestina; per la programmazione dei flussi;
per il riconoscimento alla stabilità del soggiorno e per le politiche dell’integrazione sociale.
Note
(1) L. n.943/1986, Norme in materia di collocamento e di trattamento dei lavoratori extracomunitari e
contro le immigrazioni clandestine.
(2) Regio Decreto n.773 del 18/06/1931, Testo Unico delle Leggi della Pubblica Sicurezza, Titolo V
“Norme sugli Stranieri”.
(3) Norme urgente in materia di Asilo Politico, di Ingresso e Soggiorno dei Cittadini Extracomunitari e
di Regolarizzazione dei Cittadini Extracomunitari
ed Apolidi già presenti nel Territorio dello Stato.
(4) All’atto della sottoscrizione della Convenzione
di Ginevra l’Italia si riservò di accordare lo status
di rifugiato e di asilo politico solo a coloro che provenivano da determinate aree geografiche, essenzialmente i paesi del blocco sovietico. I rifugiati dalla Romania o dall’Ungheria venivano accolti, mentre quelli che fuggivano da dittatori di tipo Pinochet
erano sistematicamente respinti.
(5) Solo coloro che erano presenti in Italia alla data del 31 dicembre 1989 potevano chiedere la regolarizzazione (art. 9, comma 1°). Ciò indusse molti
stranieri entrare in Italia prima di quella data, e chi
non ce la fece si trovò di nuovo clandestino in attesa di ulteriori sanatorie.
(6) L’arrivo dei profughi provenienti dai paesi in-
DA STRANIERI
A
C I T TA D I N I
Immigrati di varie
nazionalità manifestano
per le strade di Bologna
chiedendo migliori
condizioni di vita.
Sotto, lunghe file
per il permesso di
soggiorno
cendiati dalle guerre civili, Jugoslavia, Albania, Somalia, determinò la necessità di regolamentare la
loro posizioni in Italia. Molti di loro erano candidati naturali allo status di rifugiati, ma l’Italia preferì
trattarli umanamente concedendoli permessi di soggiorno speciali per “motivi umanitari” .
(7) In un paese che ha un tasso di disoccupazione
costante dell’11-12%, e che il lavoro sommerso è un
fenomeno difficile da sradicare, si richiede, a corredo della domanda di cittadinanza, la certificazione
dei redditi prodotti e dichiarati nel triennio precedente all’anno di presentazione della domanda. Non
si prendono in considerazione i periodi di iscrizionenelle liste di collocamento, di frequenza di corsi
di formazione professionali o di studi, di attività di
volontariato. In alcuni casi addirittura si pretende
non solo la dimostrazione di aver prodotto un reddito e aver pagato le relative tasse, ma di aver prodotto una determinata quantità di reddito.
Il controllo e la repressione
dell’immigrazione clandestina
Il respingimento. Il controllo e la lotta all’immigrazione clandestina incominciano dalla polizia di frontiera la quale respinge “gli stranie-
ri che si presentano ai valichi di frontiera senza
avere i requisiti per l’ingresso nel territorio dello Stato”. Il restringimento con l’accompagnamento alla frontiera è previsto anche per lo
straniero che, eludendo i controlli di frontiera,
è fermato all’ingresso o subito dopo. I vettori
marittimi, aerei o terrestri che conducono nel
territorio dello Stato stranieri senza validi titoli d’ingresso, sono tenuti a prenderli immediatamente a carico e a ricondurli negli Stati di
provenienza o di origine.
Disposizioni penali contro il traffico illegale
delle persone. Sono previste sanzioni penali
contro coloro che compiono “attività dirette a
favorire l’ingresso degli stranieri nel territorio
dello Stato”, (la pena è la reclusione fino a tre
anni e la multa fino a trenta milioni). Se l’attività di favoreggiamento all’immigrazione clandestina è commessa in forma associata e a fine
di lucro, “la pena è della reclusione da quattro
a dodici anni e della multa di lire trenta milioni per ogni straniero di cui è stato favorito l’ingresso”. È prevista la reclusione fino a quindici anni per l’importazione di persone da reclutare alla prostituzione ovvero l’importazione di
minori da impiegare in attività illecite.
L’espulsione amministrativa. L’art. 13 del
t.u. disciplina i casi e le modalità cui lo straniero presente nel territorio dello Stato può essere
espulso. Innanzi tutto, i provvedimenti d’espulsione sono adottati o dal Ministro dell’interno o dal Prefetto. L’espulsione immediata,
con l’accompagnamento alla frontiera a mezzo
della forza pubblica, può essere disposta, in
presenza di motivi d’ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, dal Ministro dell’interno nei
confronti dello straniero sia residente o non residente. Si procede, altresì, all’espulsione con
accompagnamento alla frontiera a mezzo della
forza pubblica, nei casi in cui: sia abitualmente e notoriamente dedito a traffici illeciti; sia
privo di un valido documento attestante la sua
identità e nazionalità. Negli altri casi, l’espulsione è fatta mediante l’intimazione a lasciare
il territorio dello Stato entro il termine di quindici giorni con l’obbligo di presentarsi all’ufficio di polizia di frontiera. Contro il decreto d’espulsione può essere presentato ”unicamente
ricorso al tribunale civile”, entro cinque giorni
(trenta giorni nel caso d’espulsione immediata)
dalla comunicazione del decreto. Si tratta di
una forma di tutela giuridica caratterizzata dalla brevità dei termini, che non consente una vera e propria preparazione difensiva.
I centri di permanenza temporanea. Una
delle novità più incisive della legge Turco-Napolitano, i c.p.t. sono stati concepiti per trattenere, fino all’espulsione effettiva, gli stranieri
nei cui confronti l’espulsione immediata ovvero il respingimento alla frontiera non è possibile per motivi di soccorso allo straniero, d’accertamenti supplementari in ordine alla sua
identità, d’acquisizione di documenti di viaggio, d’indisponibilità di mezzo di trasporto. Il
questore, in presenza di queste esigenze, “dispone che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di
permanenza temporanea e assistenza più vicino, tra quelli individuati o costituiti con decreto del Ministro dell’interno”. Il questore trasmette copia degli atti, entro quarantotto ore,
al tribunale civile. Qualora il tribunale convalidi il provvedimento del questore, lo straniero
è trattenuto nel c.p.t. per un periodo non superiore di venti giorni, prorogabili per un massimo di ulteriori dieci giorni. Contro i decreti di
convalida e di proroga del “trattenimento” è
previsto la possibilità di proporre ricorso in
27
DA STRANIERI
cassazione che, tuttavia, non sospende l’esecuzione della misura.
La carta di soggiorno
e le politiche per l’integrazione
La carta di soggiorno sicuramente costituisce
lo strumento più innovativo nel riconoscimento alla stabilità e alla regolarità del soggiorno.
A
C I T TA D I N I
n. 40/98). Sul versante dell’integrazione, la disciplina del testo unico detta disposizioni programmatiche agli enti locali che sono chiamate a favorire la promozione dei diritti e dei doveri
dei
cittadini
extracomunitari,
dell’interculturalità, di iniziative di prevenzione della discriminazione razziale o della xenofobia, di organizzazione di corsi di formazione “ispirati a criteri di convivenza in una società multiculturale” destinati agli operatori
degli organi e uffici pubblici e degli enti priva-
Nelle strade dei
quartieri più degradati
la “casa”è spesso una
macchina
La carta di soggiorno, a differenza del permesso di soggiorno, non è una concessione amministrativa, ma è un diritto soggettivo riconosciuto allo straniero in possesso dei requisiti
stabiliti dalla legge: soggiorno quinquennale in
Italia, reddito sufficiente, mancanza di condanne penali per determinati reati.
La carta di soggiorno, e in genere il permesso
di soggiorno per lavoro, conferiscono al cittadino extracomunitario tutti i diritti facenti capo
al cittadino italiano, eccetto quelli politici in
senso stretto, o perlomeno tutti i diritti riconosciuti al cittadino comunitario.
A sostegno di quest’affermazione, si possono
citare alcune disposizioni della disciplina sull’immigrazione: l’art. 2, comma 2°, T.U. “Lo
straniero regolarmente soggiornante nel territorio dello Stato gode dei diritti in materia civile attribuiti al cittadino italiano..”.
Il terzo comma dello stesso articolo dispone
“La Repubblica italiana…garantisce a tutti i
lavoratori stranieri soggiornanti nel suo territorio e alle loro famiglie parità di trattamento
e piena uguaglianza di diritti rispetto ai lavoratori italiani”.
La piena titolarità di diritti è ulteriormente confermata dall’eliminazione dell’ostacolo della
reciprocità per i titolari della carta di soggiorno o di un permesso di soggiorno per lavoro subordinato o autonomo, per l’esercizio di un’impresa individuale (art, 1, comma 2°, DPR
394/99, regolamento di attuazione della legge
28
ti che hanno rapporti abituali con stranieri o che
esercitano competenze rilevanti in materia di
immigrazione (art. 42, t.u.).
Sono istituiti a livello nazionale vari organismi
di consulenza: l’organismo nazionale di coordinamento presso il CNEL, che ha il compito
di individuare ”le iniziative idonee alla rimozione degli ostacoli che impediscono l’effettivo esercizio dei diritti e dei doveri dello straniero”; la Consulta per i problemi degli stranieri immigrati e delle loro famiglie, istituita
presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri,
che ha il compito di acquisire le osservazioni
degli enti e delle associazioni maggiormente
attivi nell’assistenza e nell’integrazione degli
immigrati; la Commissione per le politiche di
integrazione, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri- Dipartimento per gli affari sociali, avente il compito di “predisporre per il
Governo il rapporto annuale sullo stato di attuazione delle politiche per l’integrazione degli
immigrati, di formulare proposte di interventi
di adeguamento di tali politiche..”. I Consigli
territoriali per l’immigrazione sono istituiti a
livello provinciale e raggruppano i competenti
organi periferici dello Stato, la Regione, gli enti locali, le associazioni operanti nell’ambito
dell’assistenza e dell’integrazione degli immigrati, le organizzazione dei lavoratori e dei datori di lavoro, “con compiti di analisi delle esigenze e di promozione degli interventi da attuare a livello locale” (art. 3, comma 6°, T.U.).
La disciplina
nel contesto europeo
La Commissione UE ha recentemente presentato una proposta di direttiva sulle “Condizioni
di entrata e di soggiorno dei cittadini dei Paesi
terzi con l’obiettivo di un posto di lavoro salariato o dell’esercizio di un’attività economica
indipendente” che prevede, tra le altre cose, l’istituzione di un permesso di soggiorno comunitario che potrebbe consentire agli stranieri regolarmente soggiornanti in uno Stato membro
di poter lavorare e soggiornare in qualsiasi altro Stato membro.
Spetterà agli Stati membri decidere sul numero di immigrati da accogliere nel proprio territorio, limitandosi la proposta legale a rispondere dall’esigenza dell’economia comunitaria,
che vede imbrigliata, allo stato attuale delle
cose, una parte non trascurabile delle sue forze produttive.
Se questa direttiva sarà approvata dal Consiglio
e dal Parlamento europeo sarà un ulteriore passo nel processo di integrazione europea.
Nella stragrande maggioranza degli Stati EU è
garantito la parità dei diritti tra i cittadini e gli
stranieri legalmente soggiornanti.
Nella maggior parte dei casi, eccetto Germania
e Grecia, è previsto, dopo un certo periodo, il
soggiorno a tempo indeterminato.
Il periodo di residenza necessario per l’acquisto della cittadinanza è più breve, ad esclusione della Germania, nei paesi del nord, più lungo nel sud (Portogallo, Italia, Grecia).
In alcuni Stati è riconosciuto il voto amministrativo agli stranieri regolarmente soggiornanti (Portogallo, Spagna, Olanda, Svezia, Inghilterra e Danimarca).
Conclusione
Il 14/09/2001 il Consiglio dei Ministri ha approvato un disegno di legge che intende introdurre emendamenti e modifiche al testo unico
sull’immigrazione.
Si prevede la limitazione dei ricongiungimenti
familiari: saranno ammessi solo il coniuge, i figli minori e i genitori, solo in mancanza di altri figli. L’istituto dello “sponsor” sarà completamente eliminato.
Chi viene espulso dall’Italia e vi rientra clandestinamente rischia l’arresto da sei a dodici
mesi, che vengono commutati in una nuova
espulsione.
Nel caso di un terzo ingresso scatta il carcere
da uno a quattro anni.
Il periodo di soggiorno utile al conseguimento della carta di soggiorno sarà elevato da cinque a sei anni.
Il disegno di legge, è attualmente è al vaglio
della Conferenza Stato-Regione.
q
DA STRANIERI
A
C I T TA D I N I
Non solo immigrato
I lavoratori stranieri, le loro famiglie,
sono cittadini che pagano le tasse,
usufruiscono dei servizi socio-sanitari,
intraprendono attività autonome, diventano
proprietari, vanno all’università, ecc…
Eppure a queste persone
manca il “diritto di cittadinanza”,
cioè quel diritto di vedere
M
ICHAEL HUNDEYIN BOLADE presidente del Forum Metropolitano delle Associazioni di cittadini non
comunitari di Bologna e Provincia - delle ragioni del Forum Metropolitano e di politica
per l’Immigrazione.
Il Forum metropolitano è un’associazione autonoma fondata nel ’97 sulla base del trattato di
Strasburgo del ’92, che è stato ratificato dall’Italia nel ’94. Il Comune di Bologna si era posto
allora l’obiettivo di creare il Forum per arrivare poi all’elezione del Consigliere Aggiunto in
Consiglio comunale, ci sono stati mesi e mesi
di discussione fra gli immigrati e il Servizio per
l’immigrazione del Comune e nel ’97 siamo arrivati all’istituzione del Forum. Attualmente ne
fanno parte 44 associazioni, ma viviamo un periodo di grande difficoltà perché siamo tutti volontari e ci autofinanziamo.
Il Forum metropolitano si è attivato soprattutto
nel sociale: abbiamo messo su una squadra di
calcio il Forum calcio e partecipiamo ai tornei
con la Uisp, facciamo ogni anno il Forum in festa, abbiamo partecipato ad un Progetto Europeo con il Cospe per la formazione dei poliziotti in una società multietnica, abbiamo partecipato con la Uisp al “Fare Info”, una
iniziativa contro il razzismo negli stadi, ai
Mondiali antirazzismo sempre organizzati dalla Uisp, nel ’97 abbiamo avviato un giornale
“Forum News” che però è stato chiuso per problemi finanziari, adesso ci stiamo riprovando
con “Il Tamburo” un giornale online che dovrebbe iniziare a funzionare dal mese prossimo, perché sono arrivati i finanziamenti regionali della L. 286/98 (quelli dell’anno scorso…),
inizieremo così anche un’attività di consulenza
legale per gli immigrati, gratis, nella nostra sede. Il Forum partecipa anche alle attività del
Consiglio Territoriale Immigrazione …
In questi giorni ci sentiamo se possibile ancora
più “sotto tiro” e alle dichiarazioni del cardinale Biffi che parla di immigrati “integrabili e
le proprie istanze rappresentate in modo
continuativo ed organico.
Certo le persone straniere appartengono
a tante etnie con diverse visioni del mondo,
differenze anche consistenti esistono inoltre
tra le varie ondate migratorie.
È un variegato universo in continuo
movimento (gruppi religiosi, associazioni
multinazionali, club culturali,
coordinamento di immigrati più politicizzati,
gruppi informali) che si parla, a volte si
contrappone, si confronta con le istituzioni
e che con esse ha bisogno di interagire.
Su questi problemi abbiamo incontrato
i rappresentanti dei due Forum degli
immigrati a Bologna
culturalmente compatibili” rispondiamo che la
chiesa deve dare solidarietà, aiutare i poveri e
bisognosi, la politica non è della chiesa… gli
italiani sono abituati a subire e non dire niente.
Il più grande limite che imputiamo alla legislazione passata è stato quello del non aver approvato l’articolo sul diritto di voto, almeno amministrativo, per gli immigrati; anche la questione della rappresentanza politica non è stata
applicata quasi da nessuno. Invece ce n’è bisogno, così come c’è bisogno della cittadinanza:
i bambini nati qua devono aspettare fino ai 18
anni e poi chissà quale sarà il futuro…
Sul problema della rappresentanza politica che
ci divide anche da altre associazioni pensiamo
che la Consulta serva poco: siamo sempre noi,
che parliamo fra di noi, come in un ghetto, invece noi facciamo parte della realtà del paese e
tutte le questioni che ci riguardano riguardano
anche gli italiani e vanno condivise da tutti.
Ci ha chiamati il Vicesindaco Salizzoni, perché
vogliono fare la Carta della convivenza, delle
regole per gli immigrati, ma io dico che la Carta serve per gli italiani, noi finora ci siamo arrangiati ad integrarci nella società italiana, ci
sono regole precise, culture esistenti, noi finora ci siamo adattati, ora loro si devono adattare
a noi e devono essere accoglienti per chi arriva
e sta cercando di vivere e dare un contributo alla società italiana… bisogna fare la Carta per
gli Italiani.
migrazione, sui centri di accoglienza.
Noi cerchiamo una partecipazione attiva sui
grandi temi di interesse civile e lavoriamo per
l’istituzione di una Consulta, su base elettiva
per tutti gli stranieri che abbiano almeno un anno di residenza sul territorio bolognese, che ci
rappresenti realmente sul piano politico più che
su quello culturale, compito che può essere
svolto anche dalle associazioni.
Fanno parte del Forum 22 associazioni: arabe
(marocchine, tunisine, egiziane), senegalesi,
albanesi, cinesi, filippine, pakistane, bosniache, croate, rumene. Tante persone diverse che
fanno lavori diversi; ci sono anche tanti diplomati e laureati che però fanno tutt’altro della
loro qualifica, ma in genere quello che fanno i
primi è di esempio per chi viene dopo.
Consideriamo il fattore della rappresentanza
politica come il più importante. Un vero strumento democratico in grado di funzionare autonomamente con una propria sede. Non siamo
affatto d’accordo sulla proposta del Consigliere Aggiunto, una persona in rappresentanza di
tutti gli stranieri che non ha alcun diritto di voto e che può essere facilmente strumentalizzato. Bisogna cominciare a trattare gli immigrati
come soggetti anche politici, persone che per
molto tempo, forse per sempre, faranno parte
della comunità. Bisogna iniziare a fare le cose
con gli immigrati e non solo per gli immigrati.
Non abbiamo neppure diritto al voto amministrativo come in altri paesi europei.
Ma il nostro impegno continua per essere cittadini a tutti gli effetti.
Quando hanno approvato la Legge 40 hanno
tolto l’art. 39 che prevedeva il diritto di voto, almeno amministrativo, per gli immigrati… questo è un treno importante che abbiamo perso,
ma gli immigrati devono essere considerati cittadini e non sempre chiedergli “di dove sei”…
Sono 20 anni che vivo qua, ho la cittadinanza
italiana… e mi sento sempre chiedere “di dove
sei”… ma io sono di Bologna! D. A. e R. P.
HASSAM FATHY - rappresentante del Forum Autonomo delle Associazioni di immigrati di Bologna e Provincia.
Ci siamo scissi dal Forum metropolitano alla fine del ‘99 per una serie di considerazioni, prima fra tutte quella di una necessità molto sentita fra gli immigrati di esprimere pubblicamente il nostro punto di vista sulle principali
questioni della vita cittadina e soprattutto sulle
problematiche che direttamente ci interessano
come le politiche comunali e nazionali sull’im-
29
PH. ANTONIO FIORENTE
P O RT I C I R A C C O N TA
30
PH. VANES CAVAZZA
PH. GABRIELLA GHERMANDI
P O RT I C I R A C C O N TA
Incrociandosi
per strada
di GABRIELLA GHERMANDI
Q
uesto che sto per raccontarvi è un fatto realmente
accaduto, uno di quei fatti che appartiene al detto:
“Quando la realtà supera ogni immaginazione”.
Affrontavo le ultime rampe della scalinata del portico di
San Luca quando Mariella, ansimante, mi disse :
“Ci fermiamo un attimo?”. Mi sedetti su uno dei muretti posti tra
gli archi ed attendendo il normalizzarsi del suo respiro mi guardai
attorno. Un tempo San Luca, il portico, il santuario erano luoghi a
me estranei. Piuttosto che luoghi erano un’immagine mentale e
visiva, qualcosa che stava lì, abbarbicata su un colle di
Bologna a protezione della città.
Era stato Abba che aveva operato il cambiamento. Il “mio” Abba,
il mio dolce vecchio eremita. Era arrivato a Bologna in una serata
afosa di fine luglio, come solo lui poteva fare, senza preavviso.
Quel vecchio alto, pieno di rosari al collo, con la tunica gialla, i
capelli come lunghi trucioli di legno e i piedi nudi aveva suscitato
subito grande curiosità all’aeroporto Marconi. La gente gli si
avvicinava come le api al miele. Tutti mi chiedevano..., domande
inarrestabili... Le mie risposte si perdevano nei loro occhi sgranati;
“è un eremita, copto, Etiope” “certo, i copti sono cristiani, un
cristianesimo assai antico” “vive in una baracca in uno dei cimiteri
di Addis Abeba, è un esorcista, guarisce anche la gente”.
31
PH. VANES CAVAZZA
PH. GABRIELLA
GHERMANDI
P O RT I C I R A C C O N TA
32
Lui intanto sorrideva a tutti, felice di
tanta attenzione. Venire in Italia era il
suo sogno, per potersi inginocchiare
davanti alla tomba di San Pietro e San
Paolo, almeno una volta, prima di
morire. Poi la sua mano sulla spalla mi
aveva richiamato all’ordine.
“È ora di andare a casa” aveva detto.
“Il mio paese, Balagna” come lo
chiamava lui, gli era subito piaciuto,
iniziando da quello strano gabinetto
“che si lava da solo”.
Guardava tutto con ammirazione e
beveva coca cola e gassosa come un
vero Angelo monello. Molti ci
fermavano per strada e lui, nel suo Italiano stentato diceva “io cinco
anno ascaro governo Galla-Sidamo”. Povero Abba, lui orgoglioso di
un esercito italiano in Etiopia, un esercito che, in questo paese,
vogliono dimenticare. Chi per sconfitta e chi per vergona.
Il nostro pellegrinaggio per chiese era iniziato il giorno successivo
al suo arrivo. Istintivamente, come prima chiesa, l’avevo portato a
San Luca e se ne era innamorato. Dopo nessuna aveva retto il
confronto. Neppure a Roma, San Pietro, il suo sogno. C’era solo la
chiesa di Cuddus Lucas. Il giorno prima della partenza ci era voluto
tornare. All’uscita mi aveva comunicato soddisfatto “Alla Madonna
ho detto tutto! Tutto ciò di cui hai bisogno. Non ti preoccupare, lei
mi ascolta sempre!”. Poi la partenza, l’aeroporto, le mie lacrime ...
la tristezza nel pensare al vuoto che avrebbe lasciato nel mio cuore e
nel cuore di questa città la partenza di quell’Angelo inatteso.
Poi il portico mi era diventato familiare, conoscevo ogni curva ed
ogni gradino e soprattutto il viso e le abitudini dei suoi abitanti,
coloro che a San Luca, per passeggiare o per allenarsi, ci vanno tutti
i giorni. Tra questi c’era un anziano signore alto, con i capelli
candidi, il labbro inferiore leggermente pendulo e la testa
costantemente bassa, a controllarsi il passo. “Va, stasera lo saluto”
pensai, “Buonasera” dico mentre passa. Lui si avvicina “ Lei è
eritrea o etiope?” e io che credevo non mi avesse mai notato
“etiope” rispondo. Vedo il suo labbro irrigidirsi, ergersi fiero e
infine distendersi in un sorriso, poi usando una complicatissima
forma di cortesia mi dice in Amarico “Come sta?” attonita scendo
dal muretto sul quale ero ancora seduta “Come scusi?”, lui ripete,
ancora più sorridente. Davanti al mio viso pietrificato per la
sorpresa lui si presenta “Piacere Carlo Catalano, sono stato nove
anni nel suo paese, ufficiale dell’esercito italiano, cinque anni nel
Governo Galla-Sidamo” “Oddio! Come Abba” dice Mariella.... Io
sono ancora bloccata dalla sorpresa. Lui mi prende sottobraccio e si
avvia verso la discesa. Parla, parla,...mi racconta della sua vita
“Che nostalgia che ho del suo paese, brava gente gli Etiopi e le
donne...Ah! Voi donne...” e sorride malizioso. E parla...ancora.
“Facevo il traduttore, amarico-italiano, scritto e parlato. Lei sa
scrivere in Amarico” “No, quando sono partita ero troppo piccola
per imparare” “allora le insegno io e lei, in cambio, mi consolerà
con la sua presenza della nostagia che nutro per la sua terra.
Chiaramente da gentiluomo. Può considerarmi un padre, se vuole
anche un nonno, va! Del resto, rispetto a lei, ne ho l’età, cosa ne
dice?” annuisco leggermente con la testa “Ah! Ho anche un libro sul
quale potrebbe esercitarsi a leggere, il quarto vangelo, è uno dei
pochi ricordi materiali di quei tempi!”. Conto e riconto sulle dita
della mano “Il quarto vangelo..., ma è il vangelo di San Luca”....,
guardo Mariella, lei mi sorride “non ti pare che tornino tutti i
conti?” mi dice. Ma che strana magia è questa! Forse aveva ragione
Abba...una chiesa speciale....
DA STRANIERI
A
C I T TA D I N I
SCRITTI DI TUTTI I COLORI
di ADRIANA BERNADOTTI
C’è ancora scarso interesse fra gli italianisti per il nuovo fenomeno della letteratura degli immigrati.
L’esperienza più significativa è dell’associazione Eks&Tra di Mantova
che ha anche istituito un premio giunto alla settima edizione.
Abbiamo raccolto i pareri di alcuni vincitori che risiedono nella nostra città
I
mmigrati che scrivono nella lingua del
Dante? Niente da stupirsi perché la letteratura di autori immigrati in lingua italiana è ormai una realtà consolidata nel nostro
paese. Nonostante questo gli autori riescono a
fatica ad accedere alle case editrici e la materia
stessa raggiunge difficilmente status accademico o visibilità come manifestazione culturale
fuori dagli stretti circuiti sensibili ai problemi
sociali della vita degli immigrati.
La situazione italiana è sicuramente paradossale, come spiega Armando Gnisci - professore
del Dipartimento di Italianistica e Spettacolo
dell’Università La Sapienza - ideatore di Basili (www.disp.let.uniroma1.it), prima banca dati
sulla letteratura dell’immigrazione in Italia, e
della rivista on line Kúmá. «Mentre negli USA
si è andata formando addirittura una piccola legione di specialisti sull’argomento, in Italia ai
letterati e agli italianisti il fenomeno interessa
pochissimo. E così, ogni anno uno o due giovani studiosi nord-americani, e qualche euro-
peo, chiedono di venire a studiare a Roma la
letteratura dei migranti, sotto la mia guida», dice il professore.
L’italiano «è per molti autori la lingua dell’ospitalità», sostiene la scrittrice Roberta Sangiorgi, promotrice del concorso letterario per
immigrati Eks&Tra che è arrivato oramai alla
settima edizione. «Nel bando si parla di scritti
in italiano o in lingua originale, ma il 90% degli autori sceglie l’italiano anche perché spesso la lingua di alfabetizzazione non è la propria
ma quella del colonialismo. Per qualcuno l’italiano è la lingua dei sentimenti: un algerino mi
raccontava che scrive in italiano perché in arabo non trova le parole per i sentimenti». L’arabo però è la lingua nella quale sono state scritte per la prima volta canzoni e poesie d’amore!
Quanta lacerazione c’è dietro ogni esperienza
d’emigrazione…
Il concorso Eks&Tra è promosso dall’associazione interculturale omonima e dal Centro di
Educazione Interculturale della Provincia di
Mantova e ha il patrocinio dei ministeri della
Pubblica Istruzione, delle Pari Opportunità, dei
Beni e delle attività culturali e della Commissione nazionale italiana dell’Unesco. L’insieme di racconti e poesie è stato raccolto in un archivio di 1.400 opere con sede a Rimini (via
Bassi, 26 – tel. 0541/392951). «Lungo questi
anni, continua la Sangiorgi, gli argomenti sono
passati dalla denuncia, dalla rivendicazione in
prima persona, ad un’analisi dell’impatto con
la società italiana, all’intreccio tra noi e loro.
Più che l’autobiografia, che il proprio vissuto,
prevale la “trasposizione” - ad esempio un siriano che si immedesima in un marocchino che sta a dimostrare l’esperienza universale
dell’immigrazione».
Chi è però l’immigrato che si mette a scrivere?
«Sono spesso persone con una o due lauree,
che hanno avuto esperienze di scrittura nei loro paesi e che passata una prima fase di “sonno” della scrittura, che è servita per prendere
dimestichezza con l’italiano, riprendono a scri-
33
DA STRANIERI
vere. Un’altra questione significativa è quella
degli stranieri in carcere, della quale abbiamo
diverse testimonianze: qui la scrittura appare
come percorso di autoanalisi, di purificazione,
quasi di redenzione. Uno degli autori mi ha
spiegato che i suoi personaggi nascono dagli
incubi notturni in carcere, sono le immagini
delle sue vittime...» Tre dei vincitori del concorso Eks&Tra risiedono a Bologna: Jadelin
Mabiala Gangbo, Gabriella Ghermandi (della
quale si pubblica un racconto in questo stesso
numero di Portici) e Miguel Angel García. Jadelin che è nato nel Congo Brazzaville e ha ormai pubblicato due romanzi in Italia. Il primo,
con Portofranco, intitolato “Verso una notte
bakonga”, il secondo, uscito pochi mesi fa con
Feltrinelli, “Rometta e Giulieo”: un romanzo di
linguaggio “stralunato” secondo la stessa presentazione del suo editore. Jadelin fa il lavapiatti in un ristorante, dicono che giri molto per
la città e che non sia facile rintracciarlo… Abbiamo trovato invece gli altri due vincitori e li
abbiamo intervistato per voi:
Miguel Angel García, vincitore dell’ultima
edizione del concorso letterario per immigrati
Eks&Tra, è autore dei racconti riuniti nel volume di prossima pubblicazione intitolato Immigrazioni. García è argentino, vive da anni a Medicina ed è stato tra i primi protagonisti dei dif-
34
A
C I T TA D I N I
ficili tentativi di organizzazione del movimento degli immigrati. È da tempo che Miguel ha
deciso di “ritirarsi”, non ascoltando i richiami
di alcuni leaders più giovani che rimpiangono
la perdita della sua creatività ottimista e del suo
consiglio lucido in ogni circostanza. Miguel
però è un instancabile e adesso ha scelto la
scrittura per dar voce ai sogni e agli incubi di
tanti immigrati e immigrate con i quali ha condiviso pezzi di strada a Bologna. I suoi racconti e i suoi personaggi partono ora da una frazione di San Giovanni in Persiceto, ora da una
fabbrica di Calderara o da un’osteria di Bologna, per tessere un intreccio che, dalla piccola
e spesso meschina società provinciale, finisce
sempre per abbracciare il mondo.
Miguel, hai vinto un concorso letterario che aveva per tema l’umore
(“Eppur si ride: il senso dell’umorismo fra culture”, 7a edizione concorso Exs&Tra). Quale sono i contenuti
e i motivi ricorrenti nei tuoi racconti?
Ognuno dei miei racconti è una storia sentita dire, o un episodio di cui è
stato testimone uno dei sudamericani che fa parte di un piccolo gruppo
che si ritrova in un’osteria di Bologna per sgranare il tempo raccontandosi a vicenda. Perché sudamericani? Perché abbiamo un piede nei due
mondi, perché credo che siamo i traghettatori perfetti…Fin qui l’unità
tecnica dei miei racconti.
Il mio tema, invece, che si è delineato con l’andare dei racconti, è sempre quello della mondializzazione. E
quando dico mondializzazione parlo
della Scienza e della Tecnica, che
credo siano l’unica vera mondializzazione, in senso positivo, non nella
prospettiva degli antiglobal. Scienza
e tecnica sono l’oggetto per antonomasia della mondializzazione: il suo
soggetto invece, l’unico possibile, è
l’immigrato.
Ma cosa significa essere un intellettuale straniero in Italia, quanto e
come è difficile?
Io non sono un intellettuale straniero, figurarsi!
In Italia uno straniero che sia tale, che possa
parlare alla società italiana ricoprendo quel
ruolo, può essere soprattutto un inglese, in qualche caso un francese, sicuramente un tedesco o
un nordamericano… forse anche uno spagnolo.
Gli intellettuali del Terzo Mondo possono essere soltanto una “testimonianza”, hanno un ruolo di dimostrazione, di esibizione del loro paese
di origine. L’intellettuale immigrato fa dell’altro per campare, non è che fa l’intellettuale! Io
sono soltanto un ingegnoso che impiega i suoi
ingegni per lavorare il meno possibile…
In questa pagina un ristoro al mercato di Lasho
(Mynamar) e, sopra, donne mauritane nell’oasi di
Cinguetti. Nella pagina precedente una donna rabari
in una delle zone più colpite dalla siccità in India
Gabriella Ghermandi è nata e cresciuta in una
famiglia mista: la madre è etiope e il padre italiano. La famiglia si è trasferita quando lei era
ancora bambina, qui ha fatto la scuola ed è stata la sua professoressa di italiano che l’ha stimolata a scrivere. Con i suoi racconti ha vinto
il primo premio della 5a edizione del concorso
Exs&Tra e il 3° premio dell’ultima. Gabriella è
bilingue e tutta la sua vita è segnata dalla doppia appartenenza, dalla ricerca di identità che
costituisce la materia della sua creazione artistica. Da tantissimi anni lavora per l’Amministrazione Provinciale: fa l’usciere nel palazzo
di via Malvasia.
Sono tanti anni che scrivi... Non ti sarebbe
piaciuto fare un altro lavoro?
Io non ho potuto fare l’università perché la mia
famiglia non aveva soldi. Inoltre quello che a
me interessava non lo trovavo nelle facoltà…Il
problema è questo: io sono un’immigrata e ho
avuto tanti problemi, perché così è l’immigrazione, capisci?. Ero troppo giovane per valutare, ero confusa e non sapevo chi ero, quello che
volevo. A quel tempo era difficile studiare e lavorare, non c’erano ancora lavori part-time.
Non sapevo cosa fare…
Io comunque sono soddisfatta, non ho preoccupazioni. A me le cose sono andate bene,
niente è stato difficile: la prima volta che ho
partecipato a un concorso l’ho vinto. Sto bene
così. Sarà che sono africana!… sono molto lenta.
Io mi sento tra due mondi. I miei temi sono l’Africa e l’immigrazione perché entrambi sono i
miei conflitti interiori e da lì nasce la mia creatività, dall’aver vissuto certe cose, certe esperienze… Credo che il problema in Italia sia che
i giovani hanno tutta la strada spianata, sono
intrappolati nel consumismo, non c’è la possi-
DA STRANIERI
bilità di elaborare le cose fondamentali della
vita. Questo, in definitiva, si riflette anche nella produzione culturale che è priva di valori:
salvo qualche ricerca sperimentale nel teatro o
nella musica, tutto è piatto, tutto è uguale,
manca autenticità.
Purtroppo a volte si accoglie l’intellettuale extracomunitario perché è di moda, tuttavia - di-
A
C I T TA D I N I
co questo senza presunzioni - credo che noi siamo gli unici in grado di portare qualcosa di veramente innovativo. Perché abbiamo un occhio
esterno rispetto al paese, perché possiamo veder in modo più oggettivo la cultura italiana rispetto a chi conosce solo questa, a chi non si è
mai spostato. Nei miei racconti parlo spesso
delle tradizioni, delle usanze africane. In Italia
Al confine tra
Laos e Vietnam.
In queste zone
tormentate da lunghe
guerre per molti anni
sono sorti numerosi
campi per i profughi.
Con la pace le
popolazioni sono
in parte tornate
ai loro villaggi
Le altre
culture in
biblioteca
L
e biblioteche della provincia hanno costituito in questi anni un importante supporto per iniziative di tipo interculturale,
spesso in collaborazione con la scuola. L’apertura verso le altre culture, tuttavia, non trova
facile riscontro nell’offerta di volumi e periodici nelle lingue non europee. L’insufficienza
dei finanziamenti e il largo arco di comunità
straniere presenti nel territorio, costringe a privilegiare l’acquisto di materiali nelle cosiddette “lingue franche”, che sono spesso le lingue
dei colonizzatori. Manca inoltre il personale
specializzato, capace di catalogare un volume
in cinese o in urdu…
Nonostante queste concrete difficoltà, molte
cose si stanno movendo. Ad iniziare dagli spazi per ragazzi, dove esistono ormai esperienze
consolidate grazie al tempestivo impegno delle
istituzioni nella sfida aperta dall’accoglienza
nella scuola.
Nel 1991 una convenzione tra il Provveditorato agli Studi, l’Università degli Studi, il Comune e la Provincia di Bologna ha dato vita al
CD/LEI (Centro documentazione Laboratorio di Educazione Interculturale), che gestisce un centro di documentazione con testi e videocassette sull’intercultura, sulla didattica,
sulle religioni e sulla letteratura infantile e multiculturale aperto alla consultazione e al prestito di insegnanti e allievi. Il CD/LEI e il Provveditorato, grazie a un finanziamento europeo
del programma Socrate, hanno portato avanti
negli anni scorsi un’originale progetto di biblioteca multiculturale itinerante denominato
“Apriti Sesamo”. L’avvicinamento e la permanenza nelle scuole di una biblioteca “esemplare” - costruita a partire da un ventaglio di testi
c’è bisogno di recuperare i valori: questo può
essere il contributo dell’intellettuale extracomunitario, il suo dovere sociale. Recuperare
un’identità, anche per l’Italia. Ma non a partire dalle chiusure!. Recuperare l’identità vuol
dire: io sono questo, tu chi sei? Non vuol dire
cacciare i diversi…
q
organizzati in sezioni articolate in base ad un
criterio geografico -, le opportunità create per
momenti di animazione e di lettura, sono sicuramente serviti per sensibilizzare ragazzi e insegnanti verso le tradizioni e i prodotti culturali di altri popoli. (Sede: Via Libia 53 - Bologna,
tel. 051/4293408-9.)
Non molti lo sanno, ma esiste anche nella città
di Bologna una ricchissima collezione di libri
per bambini in circa venti diverse lingue. L’associazione Bambarán, interessata alla dialettica interculturale delle famiglie miste, gestisce diverse attività tra cui uno spazio giochi interculturale e una biblioteca con fiabe e
racconti delle altre culture aperta a tutti i bambini. (Sede: Via Santo Stefano, 13. Orario biblioteca: lunedì mattina).
La rete di biblioteche comunali, capillarmente
distribuite nel territorio, ha cominciato anche a
dare risposte. Nel 1999 la biblioteca di San
Lazzaro ha inaugurato una sezione multiculturale all’interno dello spazio ragazzi, con testi
in albanese, arabo, curdo e altre lingue. La biblioteca comunale di Imola, nello spazio per
ragazzi “Casa Piani”, offre una raccolta di circa 50 volumi in lingua russa e sta costruendo
una sezione in arabo. Molte sono state le iniziative promosse dalla biblioteca in questi anni: la mostra di libri “Bambini nel mondo”, una
mostra bibliografica sulle cinque grandi religioni, un’altra sugli indiani d’America così come attività di animazione e teatrali per stimolare la lettura e l’interesse per le altre culture.
Altre piccole raccolte sono disponibili presso
la biblioteca comunale di Casalecchio di Reno, le biblioteche “Malpighi” del quartiere Saragozza e “Natalia Ginzburg” del quartiere
Savena. Anche la biblioteca cittadina Sala
Borsa offrirà, alla sua apertura, una sezione
multicultuale per i ragazzi.
Per l’immigrato peruviano che vuole seguire le
elezioni politiche del suo paese, o per il cinese
che vuole leggere un romanzo del suo autore
preferito, le cose non sono ancora facili a Bologna. Poche le opportunità di soddisfare il bisogno informativo e culturale degli adulti, tuttavia alcune iniziative stanno decollando.
Il Centro interculturale “Massimo Zonarelli”, attivo da tre anni nel Quartiere San Donato
e coordinato da un pool di più di 50 associazioni italiane e straniere, ha una mediateca
multiculturale nella quale sono accessibili alcuni periodici pubblicati nei paesi di origine (il
settimanale Al Wasat in arabo, il mensile Jeune
Afrique in francese) così come diverse pubblicazioni degli immigrati in Italia (si veda Periodici e altre pubblicazioni degli immigrati a Bologna). L’archivio della mediateca comprende
anche testi di narrativa in arabo, persiano, cinese, cingalese, inglese, francese e spagnolo, oltre a CD e video in lingua originale e sottotitolati. È disponibile anche l’accesso gratuito a Internet per i soci. Sede: Via Sacco, 14 - Bologna.
Martedì e giovedì dalle 17 alle 20; sabato dalle
10 alle 13.
Con l’apertura della Sala Borsa, sarà possibile
la lettura dei principali quotidiani stranieri in
versione cartacea. La biblioteca ha tra i suoi
35
DA STRANIERI
progetti futuri la costruzione di una sezione di
testi in lingua araba e cinese.
Un altro progetto di prossimo avvio è quello
della biblioteca di San Lazzaro, progetto che
fa parte degli interventi finanziati dal Piano
provinciale con i fondi della legge sull’immigrazione 286/2000. La biblioteca costruirà una
sezione di testi nelle principali lingue della popolazione immigrata del territorio (inglese,
francese, arabo, albanese) e verrà aperto un sito internet con link alle maggiori testate internazionali e uno o più forum di discussione.
La mancanza di finanziamenti impedisce l’abbonamento a periodici e quotidiani, ma molte
delle principali testate del Terzo Mondo sono
arrivate a Internet. Il computer è uno strumento potente per avvicinare l’utenza immigrata alle biblioteche della provincia e sono diverse
quelle che ormai offrono questa possibilità. La
biblioteca del comune di Casalecchio di Reno
ha attivato una postazione Internet nel settore
dei quotidiani, con link ai giornali e alle agenzie di stampa del mondo.
A. B
A
C I T TA D I N I
sciamo diversi immigrati, residenti a Bologna, che nei loro
paesi erano giornalisti di professione. Qualcuno, per non
perdere l’abitudine, riesce ancora a “tenersi in allenamento”, come il lavoratore immigrato residente nel centro di
accoglienza Arcoveggio di
Bologna che fa anche il corrispondente per un giornale del
Marocco.
Malgrado le difficoltà, diverse
comunità immigrate diffondono con regolarità informazioni
nella propria lingua, spesso
con il supporto di Ong e associazioni italiane.
Segnaliamo, in primo luogo, le pubblicazioni
periodiche più consolidate delle quali abbiamo
reperito notizia e che circolano attualmente a
Bologna, anche se in nessun caso sono realizzate nella nostra provincia:
■ Zhong Yi Bao: periodico bilingue cinese-italiano, realizzato a Firenze con il supporto del
COSPE.
■ Il Tempo Europa-Cina: periodico in cinese
realizzato a Roma.
■Bota Shquiptare: quindicennale in albanese
realizzato a Roma.
I periodici precedenti si possono consultare
presso la mediateca del Centro Zonarelli
(Quartiere San Donato).
LÕinformazione
multietnica
a Bologna...
N
on è facile per un’associazione o un
gruppo di immigrati – tra il proprio lavoro e la mancanza di fondi - sostenere uno sforzo continuativo qual è l’edizione di
una pubblicazione periodica. Quello che sicuramente non manca è il capitale umano: cono-
36
Sopra, interno di una casa nel centro storico
di Mosca. Una scuola elementare, per ragazzi di
strada ,organizzata dall’associazione “Save the
children” a Ulan Bator in Mongolia.
Nuovi e drammatici problemi hanno investito
le popolazioni dei paesi dell’ex Unione Sovietica
durante questa fase di grandi mutamenti economici
e politici. Forse il più drammatico è proprio quello
dei bambini abbandonati
Per quanto riguarda invece pubblicazioni realizzate nel territorio bolognese, si possono indicare:
■ La rivista Il Sofà – periodico sull’immigrazione, nata con il sostegno del CIDES e dell’associazione “Progetto Marocco” con l’obiettivo di dare avvio a un dialogo per la pacifica
convivenza tra comunità straniera e comunità
di accoglienza Lo scorso mese di febbraio è
stato diffuso il primo numero in 5.000 copie: è
in preparazione un secondo numero e la rivista
si può consultare on line all’indirizzo www.ilsofa.org.
■ Il Tamburo è un settimanale on-line, al momento in corso di sperimentazione, sostenuto
dal Forum Metropolitano delle Associazioni di
Cittadini Stranieri di Bologna e Provincia in
collaborazione con il quartiere San Donato. Il
progetto prevede informazioni sul mondo dell’immigrazione ed è realizzato da un gruppo di
immigrati esperti nel settore, con versione in
lingua italiana e francese. Si può consultare all’indirizzo: www.iltamburo.it
■ Esperança è una pubblicazione periodica
realizzata dall’Associazione Angolana di residenti in Italia, con sede a Ozzano dell’Emilia.
■ The Banglar mukh è il nome della pubblicazione periodica realizzata da un gruppo di bengalesi di Bologna nella propria lingua. Riunisce molte pagine di informazioni di attualità sul
Bangladesh, notizie per i membri della comunità, aggiornamenti sulle leggi italiane in materia. Il periodico finora è stato prodotto
in forma artigianale ma, con il supporto
del Centro per i Diritti della CGIL, si
cercherà presto l’iscrizione regolare
della testata. L’esperienza bolognese sicuramente più significativa di produzione editoriale in collaborazione con autori immigrati è quella realizzata dalla
casa editrice Pendragon, con la sua collana L’Arca. Questo originale progetto patrocinato prima dal Comune di Bologna, poi dalla Coop Adriatica - ha portato alla pubblicazione tra gli anni 1998
e 2000 di 18 volumi che condensano la
storia, le tradizioni, la cultura dei principali paesi di provenienza degli immigrati presenti nella nostra provincia.
Ispirata allo slogan “l’intolleranza nasce dall’ignoranza”, la collana si rivolge principalmente ai giovani e al mondo della scuola e la sua originalità risiede nel fatto che ogni paese è raccontato
da qualcuno che è emigrato e oggi vive tra noi:
uno che conosce i due mondi e cerca con la sua
opera un’azione di mediazione interculturale.
Titoli della collana: Il mondo arabo, Filippine,
Algeria, Pakistan, Albania, Somalia, Il Sud-Est
Asiatico, Senegal, Kurdistan, Perù, Camerun,
Indonesia, Africa Subsahariana, Iran, Marocco,
Tunisia, Nigeria, Cina.
A. B.
DA STRANIERI
A
C I T TA D I N I
...E quella della
stampa italiana
di FRANCESCA GALLINI
In che modo il mondo dei media racconta realtà
pericolosamente esposte al giudizio e pregiudizio dello
sguardo occidentale. I dati raccolti in un seminario
organizzato dell’organismo non governativo
G.V.C. in collaborazione con la Scuola di giornalismo
e il Centro Amilcare Cabral
C
ome vengono trattate le tematiche dell’immigrazione, della povertà e dell’esclusione sociale, dei problemi del Sud
del mondo dalla stampa italiana? Questo è il
quesito di fondo che i partecipanti al corso di
giornalismo “NordSudEstOvest – la fabbrica
della dis/informazione” si sono posti durante la
lettura critica degli articoli dei quotidiani. Sono stati analizzati 757 articoli sul tema immigrazione de “La Stampa”, “La Repubblica”, “Il
Resto del Carlino”, “Il Sole 24-ore” e “La Nuova Ferrara” nel periodo che va dal gennaio
2000 all’agosto 2001. Questi i temi più scandagliati: l’aumento demografico della popolazione immigrata, la clandestinità, gli spazi abitativi carenti, lo sfruttamento della prostituzione extracomunitaria, i fatti di cronaca nera
(scippi, aggressioni, rapine, spaccio), il dibattito sulla legge e le misure da adottare per il controllo dei flussi migratori, l’occupazione e il lavoro. Tali voci rientrano in tre aree d’indagine:
1) l’area “devianza – disagio” che comprende i
fatti di cronaca nera, le notizie inerenti lo sfruttamento della prostituzione e la clandestinità;
con il 56,2% della totalità degli articoli raccolti;
2) l’area “integrazione”, ossia i fatti, le iniziative, i progetti che attestano l’inserimento lavorativo e sociale degli immigrati o la volontà di
accoglierli, con il 23,8 % degli articoli;
3) l’area “razzismo” – discriminazione – sfruttamento”, con i casi di sfruttamento della manodopera extracomunitaria, le reazioni e le
azioni dettate dall’intolleranza, ha compreso il
20% degli articoli. Il tema più toccato e “spettacolarizzato” è stato quello dell’immigrazione
clandestina, ossia dei numerosi sbarchi dei profughi sulle coste italiane, della questione dei
centri di accoglienza temporanea previsti dalla
legge Turco – Napolitano.
A questo tema sono stati dedicati i 231 articoli
Bambini della scuola della baraccopoli di Korogocho
organizzata con l’aiuto di padre Alex Zanotelli, a Nairobi in Kenia
che spesso hanno riempito intere pagine delle
cronache nazionali. Un vero e proprio allarme
sociale è stato lanciato attraverso titoli “sparati” e a volte ingigantiti fin quasi a far sparire il
contenuto degli articoli, attraverso racconti
drammatici e foto ad effetto. “Clandestini, la
nuova invasione” (Il Resto del Carlino, 3/8/00),
“Immigrati, un assedio all’Europa” (Il Sole 24ore, 5/2/01), “Arriva un esercito di extracomunitari” (Il Resto del Carlino, 8/2/00), “L’odissea degli espulsi” (La Stampa, 3/1/00): questi
alcuni dei titoli che hanno contribuito a drammatizzare il fenomeno dell’immigrazione clandestina e ad accrescere nel lettore la percezione di un grave pericolo sociale. Si è parlato
molto delle organizzazioni criminali internazionali, le mafie turca, italiana e albanese, padrone del traffico di esseri umani, degli “scafisti” senza scrupoli, senza regole che trasportano gli immigrati da una parte all’altra del
Mediterraneo in condizioni disumane. Nell’odissea dei disperati è compresa anche “l’odissea di quelle ragazze” (Il Resto del Carlino,
6/8/00), ragazze nigeriane, albanesi, ucraine, le
prostitute extracomunitarie, le “nuove schiave”. I clandestini sono uomini, donne e bambini che viaggiano ammassati sugli scafi, chiusi
nelle stive di motonavi arrugginite, lasciate andare alla deriva a qualche chilometro dalla costa italiana. Tra le righe degli articoli l’Adriatico appare come un ponte attraverso cui può
passare il male. I clandestini, definiti in base alle loro diverse nazionalità – curdi, cinesi, albanesi, marocchini – sono vittime, “senza nome e
senza documenti” (Il Resto del Carlino,
11/3/00), e restano oggetto della notizia. Essi
rientrano in un’unica categoria omogenea, perdendo la propria individualità, le proprie peculiarità e differenze. Colpiscono inoltre le foto,
più volte proposte sulle pagine dei quotidiani,
degli arrivi dei profughi. Davanti ai nostri occhi uomini, donne e bambini ammassati in fila
uno dietro l’altro, i loro sguardi smarriti, stanche e disperati. Non si riesce però a vedere dove finiscano queste file di clandestini, immagine di una popolazione lacera che sta per entrare nel nostro paese. E questo forse ci fa pensare,
solamente all’emergenza, a una richiesta di
aiuto che ci costerà molto. Sulle pagine delle
cronache nazionali compaiono spesso piccole
mappe in cui viene tracciata una specie di “linea Maginot”, è la via dell’immigrazione clandestina diretta dai racket criminali. Nella stampa esaminata si parla anche di “battaglie in mare” (La Stampa, 25/7/00) tra i militari delle
“Fiamme Gialle” e gli scafisti, o de “l’offensiva delle forze dell’ordine nell’Adriatico” (Il
Resto del Carlino, 17/9/00). I nuovi sbarchi di
immigrati continuano a connotarsi come eventi eccezionali, fuori dalla norma, come emergenze sociali. Ricordiamo che, nell’ultimo
dossier Caritas sull’immigrazione (Immigrati
regolari e non), che fa riferimento all’anno
2000 con le anticipazioni del 2001, i dati confermano che l’Italia è un paese di immigrazione stabile. «Il fenomeno immigrazione – si legge nel dossier – nei paesi industrializzati è
strettamente congiunto con quello della globalizzazione e si presenta come un segno di modernità, non certo un caso anomalo».
Cosa fa notizia nell’area “integrazione”? Oltre
la metà dei pezzi qui compresi parlano dell’inserimento lavorativo degli immigrati “regolari”
e della richiesta pressante di manodopera da
parte di settori produttivi. In un’Italia sempre
più multietnica sembra che l’integrazione sia
un fenomeno in sintonia con le esigenze del sistema economico, più che dialogo tra “culture
diverse” necessario per coesistere e arricchirsi
q
reciprocamente.
37
DA STRANIERI
A
C I T TA D I N I
TRE STORIE
DI QUOTIDIANA IMMIGRAZIONE
Abram: “La mia prima casa
in una nazione libera è stato
l’ex-carcere di Imola”
48 anni, impiegato presso un Centro
di Formazione Professionale, rifugiato
politico dal Cile di origine italo-araba,
sposato con una donna di origine
nippo-ispanica, cittadini italiani
dopo vent’anni di rifugio politico.
Sono arrivato a Roma nell’ottobre del ‘74, esiliato dal governo cileno.
Dopo un paio di settimane ho dovuto abbandonare questa città perché non era adatta a risolvere i problemi di una persona rifugiata politica, l’unico lavoro che si trovava era quello di lavare i piatti.
Ho parlato con altri compagni cileni e abbiamo
studiato un po’ la storia e la situazione economica dell’Italia, ci siamo divisi in due gruppetti. Uno che si è avviato verso Milano che era
una zona industriale e un altro che si è avviato
in Emilia.
In particolare io sono arrivato a Imola perché
era un posto tranquillo e anche per le autorità
era più facile controllare la gente. Lì ho cominciato a lavorare quasi subito, facevo il muratore ed era un lavoro in regola fin da subito.
Sono tornato a Roma presentando tutti i documenti occorrenti per la richiesta del ricongiungimento familiare, però avevo un altro “piccolo” problema: non avevo dove abitare e mi
mancava la residenza.
La mia prima abitazione in un paese democratico è stata nel vecchio carcere di Imola. Lì avevo la residenza, in via Pambera 112. Era un carcere abbandonato e a Imola non si trovava nessun posto da affittare. Il carcere abbandonato è
stato il mio centro di prima accoglienza.
Come rifugiati eravamo sotto la tutela delle Nazioni Unite, avrei potuto essere mandato al
campo rifugiati di Napoli o stare in albergo, dove potevo vivere per lunghi periodi con la protezione anche economica delle Nazioni Unite.
Però non era quello che volevo, io volevo stare
insieme alla mia famiglia.
Lavoro e residenza erano condizioni indispen-
38
sabili per riunificare la famiglia. Io ho visto una
quantità enorme di compagni dividersi dalle
proprie famiglie e non volevo che succedesse a
me. Molti matrimoni all’epoca si sono disciolti. Non è stato difficile adattarsi.
Comunque era dura perché non c’erano delle
regole. La legge sui rifugiati non era chiara e la
sua applicazione dipendeva dalle interpretazioni dei funzionari locali.
In alcune province eravamo trattati in una maniera, in altre in un modo completamente diverso. Per esempio quando mia moglie è arrivata in Italia era studentessa universitaria in Cile e voleva continuare gli studi, ma tutti ci
dicevano che non poteva iscriversi e non poteva neanche lavorare perché era qui solo per motivi di ricongiungimento familiare.
Ma le informazioni che ci passavano i vari funzionari erano contraddittorie e imprecise. Tutte
le direttive che accompagnavano la normativa
sui rifugiati davano l’indicazione di sveltire le
pratiche amministrative, ma era un’indicazione
generica perché non si sapeva quali erano le
pratiche. Tutto dipendeva dai funzionari che
spesso non erano molto “ospitali”.
Ci sono stati anche miei amici cileni che hanno
fatto il servizio militare qui in Italia per equivoci amministrativi. E poi non gli hanno riconosciuto nemmeno la cittadinanza italiana. Dal
punto di vista amministrativo l’Italia era un
caos.
Ogni tanto ci riunivamo anche con cileni che
stavano in altre province per scambiarci informazioni su come funzionava il nostro inserimento amministrativo e sociale nelle varie province italiane. A Perugia per esempio c’erano
cileni rifugiati che lavoravano anche presso
l’amministrazione pubblica, mentre in altre
città era vietato lavorare.
Mia moglie è arrivata dopo quattro mesi dal
mio arrivo in Italia. Voleva fare qualche attività,
e sono riuscito a risolvere il problema della sua
iscrizione all’università dopo mesi di tentativi.
Quando si è trattato di cercare lavoro per lei mi
rispondevano che non poteva perchè ero io l’esiliato e non lei che era qui solo per il ricongiungimento.
Questa situazione l’hanno vissuta anche altri i
quali ovviamente si sono avviati verso il lavoro nero. Anche mia moglie ha lavorato in nero
per un certo periodo facendo le pulizie e aspettando di ottenere il libretto di lavoro. Anche all’epoca si trovava facilmente il lavoro nero.
Molti all’inizio hanno avuto anche problemi di
riconoscimento dei titoli di studio. Alcune amministrazioni riconoscevano tutti i diritti degli
italiani e altre pochi o nessuno. Eravamo disorientati per la mancanza di informazioni chiare. Le stesse difficoltà c’erano anche per il rinnovo del permesso di soggiorno. I requisiti per
rinnovarlo erano ambigui, talvolta anche estenuanti. Ogni anno si penava per mettere insieme tutto quello che occorreva per ottenere il
rinnovo del permesso di soggiorno. Abbiamo
perso giornate per questo…
Non esisteva allora, come non esiste adesso,
una legge organica sull’asilo politico.
Jora: “Non ho una soluzione
nella maggior parte dei casi”
Albanese, 25 anni, in Italia dal ‘97
per motivi di studio, dal ‘99 lavora come
mediatrice culturale per l’Associazione
Mediatori Interculturali Socio Sanitari
(Amiss)
Sono venuta a Bologna direttamente dall’Albania con l’obiettivo di iscrivermi alla facoltà di
psicologia. Per simpatie mie personali ho scelto Bologna.
Ho avuto anch’io il problema della casa, non
mi affittavano un appartamento perché ero straniera, però non lo dicevano direttamente, non
avevano neppure il coraggio delle loro opinioni.
In quel periodo ho conosciuto anche gente del
sindacato e operatori dei servizi per stranieri,
così ho saputo che c’era un corso della comunità europea gestito dall’ISI per formare mediatori interculturali in ambito sociosanitario.
Mi ricordo che andai a fare il concorso pur essendo poco interessata perché non capivo bene
di cosa si trattasse. Ho fatto il corso... eravamo
tutte donne e tutte straniere, con tutti i proble-
DA STRANIERI
mi che si hanno quando si incontrano diverse
culture, diverse persone... il clima poi è migliorato fino a diventare ottimo. Mentre facevamo il corso ci era venuta l’idea di lavorare insieme e verso la fine del corso abbiamo deciso
di costituirci in associazione. Ho scelto di non
lavorare molto per potere anche studiare. Ritengo comunque questa esperienza utile anche
per il mio futuro.
Quello del mediatore non è ancora un ruolo
chiaro, professionalmente non è riconosciuto e
non si capisce quali sono i criteri di base né
quale tipo di lavoro si può fare. Nel senso che
per molti servizi il mediatore può essere o uno
che ha 5 lauree o l’addetto alle pulizie che lo
chiamano quando hanno bisogno perché deve
fare il traduttore.
Perciò l’inizio è stato confuso e molto ingenuo,
abbiamo formato questa associazione; ma presto abbiamo dovuto occuparci di bilanci, di
contratti, di firme, il lavoro cominciava a diventare già meno bello, più complicato, comunque una cosa più...
Avevamo cominciato con una prima convenzione, era un numero verde dove davamo informazioni in lingua straniera per tutto quello che
riguarda la sanità …
Uno dei primi problemi che abbiamo notato era
che gli uffici anagrafe e le Aziende USL non
accettavano le autocertificazioni da parte di
stranieri. Ma la legge diceva che l’autocertificazione era valida per tutti.
Poi un’altra difficoltà che abbiamo affrontato
era quella degli studenti che per fare l’iscrizione al Servizio Sanitario Nazionale dovevano
avere il nuovo Permesso di Soggiorno, però per
averlo … era il solito gatto che si mangia la coda perché la Questura non ti rilascia il permesso di soggiorno se tu non hai un’assicurazione
e l’assicurazione non ti veniva rilasciata se l’USL non sapeva che tu eri regolarmente in Italia…
Un’altra delle cose che abbiamo presto capito
è che la gente preferisce il contatto fisico, il
fatto di vedere di fronte una persona, di poterci parlare a lungo. Diciamo che ci richiedevano un front office e non lo sportello telefonico … con un contatto più umano insomma.
Con la gente, con gli immigrati e le immigrate mi sono trovata abbastanza bene, ma mi sono sentita spesso impotente di fronte ai problemi che loro pongono. Non ho una soluzione
nella maggior parte dei casi.
I problemi sono vari e spesso collegati a difficili condizioni sociali che non hanno niente a
che fare con la sanità, tipo vivono in case troppo umide oppure dormono in macchina. Oppure, la depressione, ad esempio, è legata al fatto
di non poter avere un lavoro, di fare lavori non
attinenti alla propria formazione, di non avere i
soldi per l’affitto...
A
C I T TA D I N I
Penso che il razzismo, che può essere anche
alimentato, sia frutto spesso di ignoranza, ma
credo anche che i mass-media italiani abbiano
gonfiato molto gli aspetti che riguardano gli
immigrati. Questi sono stati e sono il cavallo di
battaglia della cronaca nera. Per cui bisognerebbe cominciare a cambiare direzione se si
vuole creare una società più integrata, bisogna
conoscere la storia dei popoli e le ragioni dell’immigrazione. Dobbiamo fare in modo di conoscerci.
TANJA: “la mia vita
è dietro di me…”
Ucraina, 45 anni, laureata in chimica
agraria all’Università di Kiev, ha
lavorato come direttrice di laboratorio
a Leopoli fino al 1997. Ha perso il lavoro
perché l’azienda statale (kolkos) dove
lavorava è stata rilevata da una privata
che ha licenziato 250 dipendenti.
Dal 1999 è in Italia, dove lavora come
domestica. In Ucraina ha lasciato
il marito e due figlie che dipendono
dai suoi guadagni.
Ho scelto l’Italia per immigrare... non so perché, forse per le canzoni italiane conosciute in
tutto il mondo e mai vietate nel nostro paese,
forse per il cinema, l’architettura, la moda italiana che mi piaceva tanto e poi perché ... italiani “molto buoni”... mi sono innamorata di
questa terra, non così per i soldi... ma per altre
cose, per i sentimenti.
Sono arrivata direttamente a Napoli dall’Ucraina, ho pagato, oltre alle spese di viaggio, 700
dollari all’Ufficio del Turismo per avere il visto
e 300 dollari alla persona italiana che mi ha trovato lavoro a Napoli… dopo un anno sono venuta a Bologna, presso un’altra famiglia.… per
me c’è una bella differenza: i napoletani sono
aperti, allegri, come si dice sono più... persone
… i bolognesi li trovo freddi, educati, gentili,
però è tremendo: ti tengono a distanza.
Il mio sogno è di poter fare la chimica agraria
qua in Italia, perché questo è il mio lavoro, poi
penso che potrei scoprire tante cose nuove e
che anch’io posso trasmettere le mie conoscenze… mi piacerebbe tantissimo. Quando ho
tempo libero, vado sempre dal fioraio e gli
chiedo l’occorrente per curare il giardino della
famiglia presso la quale lavoro, la cosa mi diverte anche perché loro non capiscono come
mai io, una domestica, ho tutte queste conoscenze scientifiche sui terreni e i medicinali per
le piante, tutte le volte mi guardano stupiti…
All’Ufficio di collocamento mi hanno iscritta
come manovale semplice, risulto perfino analfabeta… perché -mi hanno detto- i miei titoli di
studio non erano tradotti né equiparati e quindi
non valgono, neanche la scuola elementare mi
hanno riconosciuto...
Voglio rimanere in Italia almeno ancora per 5
anni... non lo so, aspetto di avere una piccola
pensione che mi spetta in Ucraina, perché
quando divento vecchia che faccio?
Ma è molto difficile vivere senza famiglia... è
difficile vivere lontano, la mia vita è dietro di
me...
Dal ’97 sono tornata solo una volta a casa…non
ho visto mia famiglia per 2 anni, 2 mesi, 10
giorni... è stata una cosa tremenda a casa…
Quando sono potuta tornare ero così felice…felicissima, non avevo vissuto mai una felicità così, neanche quando sono nate le mie bambine,
quando mi sono sposata, neanche quando mi
sono innamorata tanto.
Adesso che ho il permesso di soggiorno sono
più tranquilla perché so che posso tornare, anche solo 2 o 3 giorni.
Questo pensiero mi calma. Prima non dormivo,
avevo paura, paura che succedesse qualcosa alla mia famiglia e io non potevo tornare perché
rischiavo di non poter più rientrare in Italia per
lavorare e la mia famiglia, là, ha bisogno dei
miei soldi per vivere.
Se un domani avessi la possibilità di lavorare
qua in Italia come agronoma forse preferirei
restare in Italia, con la mia famiglia ma non so
… mio marito… adesso… non so se vorrebbe
venire qui con me perché adesso i rapporti…diciamo… si sono un po’ persi.
Quando c’è una famiglia deve stare insieme,
è brutto quando vicino a una donna non c’è il
marito o quando il marito è da solo là…
Io capisco che lui non possa stare da solo per
molto tempo, anche a casa deve avere… una
mano di donna, sì… e anche fisicamente…
tante nostre famiglie adesso stanno crollando…. …anche uomo è debole…lo so capisco…ma anch’io…donna senza nessuq
no…non posso vivere.
39
DA STRANIERI
A
C I T TA D I N I
PIô CLANDESTINITË
MENO SICUREZZA
di F. B.
È indiscutibile che l’immigrazione, soprattutto se irregolare, può contribuire
ad incrementare l’illegalità. Ma le cause profonde sono da ricercarsi nelle trasformazioni
socio-economiche che sono alla radice dei processi migratori stessi e del loro governo.
Il parere di due studiosi del fenomeno, Dario Melossi e Marzio Barbagli
S
tanno cambiando o meno, secondo Voi,
le regole della convivenza con gli immigrati provenienti da altre culture?
Marzio Barbagli - I dati di cui siamo in possesso, tenendo presente anche quelli comparati, mostrano una specificità tutta italiana riguardo al tema della paura nei confronti degli
immigrati. Ben l’ottanta per cento dei nostri
connazionali, infatti, si dichiara favorevole a
concedere il pieno godimento dei diritti politici agli immigrati, dimostrando in questo di essere più avanti rispetto alla classe dirigente del
Paese. Per quanto riguarda l’impatto della criminalità, viceversa, appaiono un po’ più preoccupati rispetto al resto dell’Europa. Non temono tanto, in altre parole, la colonizzazione culturale o la perdita del posto di lavoro a
vantaggio di gente venuta da fuori, ma piuttosto hanno paura del contributo rilevante che gli
immigrati, nel corso degli ultimi anni, hanno
dato ad alcune forme di criminalità. Magari in
talune occasioni non mancano le esagerazioni,
ma i dati dicono che si tratta di un sentimento
diffuso e, a mio parere, anche comprensibile,
che è più sviluppato nei grandi centri urbani del
Nord Italia, Bologna compresa, e risulta del
tutto trasversale per quanto concerne le opinioni politiche dei cittadini. Nonostante questo, la
tesi secondo la quale gli italiani provino diffidenza e timore nei confronti del diverso è del
tutto priva di fondamento. Ormai nel nostro
Paese prevale una forma di assuefazione riguardo alla presenza degli “altri”, figlia di una
mentalità sufficientemente aperta e priva di
pregiudizi legati alle diverse abitudini. Direi
che di vera e propria intolleranza non ne vedo,
mentre di ostilità sì, talvolta anche forte, però
sempre legata a questioni di criminalità.
Dario Melossi - L’Istat ci dice che nel corso di
due generazioni, cioè nel 2050, con gli attuali
trends demografici la popolazione italiana si ri-
40
durrebbe da circa 57 a circa 45 milioni di abitanti, per cui, se pensassimo che l’attuale situazione economica dovesse perdurare (con una
sostanziale piena occupazione al Centro-Nord)
e ci servissimo dell’immigrazione semplicemente per sostituire posti di lavoro, il numero
degli immigrati in Italia potrebbe salire dall’attuale 3% massimo (contando anche una quota
di irregolari) sino al 15-20%. Oggi in California, ad esempio, i nati all’estero sono il 25%
della popolazione e nella città di New York
quasi la metà. Riguardo alla capacità della nostra società di accogliere l’estraneo, direi che
dipende da noi, collettivamente, poiché non
esiste alcun limite “esterno” alla nostra cultura
e all’azione politica, economica e sociale. Dipende innanzitutto da processi culturali intesi
in senso lato, in quanto non abbiamo ancora capito che siamo, intendendo l’Italia come regione dell’Europa, una società di immigrazione.
Prima lo capiremo, meglio sarà per tutti. Essere una società d’immigrazione significa ren-
MARZIO BARBAGLI
docente di sociologia
all’Università di Bologna
Autore tra l’altro di “Immigrazione
e criminalità in Italia” Bologna, 1988,
“Il Mulino”
DARIO MELOSSI
docente di criminologia
all’Università di Bologna,
autore tra l’altro di “Multiculturalismo
e sicurezza in Emilia-Romagna”
su “Quaderni di cittàsicure”
anno n. 15 Regione Emilia-Romagna
dersi conto che bisogna apprestare, insieme
agli altri Paesi europei e probabilmente creando strutture comuni, politiche d’immigrazione,
a cominciare dalla struttura consolare italiana
all’estero per finire all’accoglienza interna,
passando per la predisposizione di tutte le politiche necessarie.
Gli immigrati hanno spesso un posto rilevante nella cronaca per fatti legati alla delinquenza comune, alla prostituzione, all’abusivismo, al punto che è sempre più facile associare l’idea di insicurezza a quella di
immigrazione. A Vostro parere quali sono i
nodi prioritari da affrontare per tentare di risolvere il problema?
Marzio Barbagli - I problemi da risolvere in
materia di immigrazione sono molti. In sintesi
direi che occorre, come sottolineavo prima, organizzare i flussi in modo tale da penalizzare i
clandestini e gli irregolari. Tutto ciò è difficile
da realizzare, ma non impossibile, come dimostra l’esperienza di altri Paesi che hanno storicamente iniziato prima di noi ad occuparsi di
questi temi. La seconda questione inerisce alla
necessità di fare tutti gli sforzi possibili per integrare al meglio gli immigrati nelle nostre
realtà. Quelli che arrivano, che sono regolari e
che vengono per lavorare, vanno aiutati nel percorso per la concessione dei diritti politici e
nella ricerca di un’abitazione dignitosa nella
quale vivere. Bisogna impostare una seria politica della casa, che adesso non esiste, facendo
in modo che siano contemperate le esigenze di
tutti, senza dimenticare i sacrosanti diritti dei
cittadini italiani. Un terzo aspetto basilare è costituito dall’obbligo che gli immigrati devono
avere di imparare bene l’italiano, un altro versante sul quale siamo comprensibilmente indietro rispetto ad altre nazioni.
Personalmente sono ottimista, penso che col
DA STRANIERI
tempo riusciremo a risolvere gran parte di questi problemi. Degli immigrati abbiamo bisogno, sono una preziosa risorsa per la nostra
economia. L’importante è realizzare un sistema
complessivo equilibrato, che riduca al minimo
i rischi di conflittualità.
Dario Melossi - Da una nostra ricerca, ristretta all’Emilia-Romagna, ma credo con elementi simili a quelli di gran parte del territorio nazionale, è emerso che il fenomeno criminalità
degli immigrati è legato fondamentalmente all’immigrazione clandestina e irregolare. Questa, a sua volta, è legata a due diverse dimensioni: da un lato alla capacità di attrattiva economica di una certa regione o città. C’è per così
dire un “alone” di immigrazione irregolare che
accompagna quella regolare o più spesso in Italia, “regolarizzata”. Aspettando di essere regolarizzati, costoro sono in larga parte costretti ad
avvicinarsi ad impieghi che siano nel mercato
nero o addirittura nella dimensione illegale o
criminale. A questo punto si aggiunge la seconda dimensione: vi sono città, in genere medio-grandi ma non solo (nella nostra regione ci
riferiamo a Bologna, Modena e Rimini) che
sono centri dei due maggiori mercati illegali,
quello della droga e quello del sesso di strada a
pagamento. Questi sono anche i centri della criminalità immigrata e molti altri tipi di reati, ad
esempio le lesioni, la resistenza a pubblico ufficiale, le rapine, ecc., avvengono per il tentativo di gestire questi mercati o sottrarsi al controllo delle forze dell’ordine, oppure per sopperire ai periodi di “magra” nei mercati stessi.
Gli immigrati occupano questi ruoli alla base
della piramide criminale esattamente per lo
stesso motivi per cui troviamo quelli regolari
intenti ai lavori più pesanti, sporchi e rischiosi,
proprio quelle attività che gli italiani non vogliono più fare. Semplificando, e tenendo presente che esistono delle eccezioni, si può dire
pertanto che la differenza tra un “impiego” di
tipo criminale o non sta nella condizione di irregolarità, soprattutto dal punto di vista dell’ingresso all’interno delle attività criminali.
Le conseguenze di tutto ciò, relativamente al
controllo della criminalità immigrata e non sono di due tipi: primo, bisogna combattere l’irregolarità, il che secondo taluni può avvenire
inasprendo le pressioni di tipo penale, ma su
questo mi permetto di essere scettico, e secondo altri invece rendendo possibile un vero e
proprio percorso d’ingresso regolare in Italia,
alla ricerca di un altrettanto regolare lavoro,
che sia il più semplice e diretto possibile. In secondo luogo bisogna rendersi conto che in
realtà non è vero che noi non vogliamo immigrati irregolari e criminali in Italia, anzi li vogliamo talmente tanto che compriamo i loro
servizi, mi riferisco all’acquisto di droga e sesso, i cui consumatori sono in grandissima parte italiani. Chi afferma il contrario, se volesse
A
C I T TA D I N I
essere coerente, dovrebbe per prima cosa affrontare il problema di questi due enormi mercati illegali, agendo sul versante dell’aumento
della repressione, come è stato fatto negli Stati
Uniti, oppure regolando in qualche modo questi mercati, ad esempio con la depenalizzazione e la zonizzazione di certe attività, così da
sottrarli gradualmente al controllo della criminalità.
Come potranno influire i recenti tragici avvenimenti negli Stati Uniti e nel resto del mondo sulla nostra percezione del fenomeno immigrazione, soprattutto per quanto riguarda
le comunità islamiche?
Marzio Barbagli - Se fosse avvenuto in Italia
un attentato così terribile come quello di New
York e ne fosse stata accertata la matrice fondamentalista, credo che il sentimento di fondo
sarebbe di sicuro cambiato.
Allo stato attuale
delle cose, invece, non vedo nella società italiana timori di minacce culturali e religiose
provenienti dal mondo islamico. Ai nostri connazionali, nella grande maggioranza dei casi,
non interessa molto giudicare le abitudini di
queste persone. I motivi di preoccupazione non
derivano dalla diversità dei valori, anche perché gli immigrati col tempo tendono ad assumere i costumi del luogo dove vivono. E’ vero
che in genere gli islamici sono meno secolarizzati rispetto a noi, ma in un Paese democratico
la libertà religiosa deve essere comunque sempre garantita a tutti. L’importante è che siano
qui per guadagnarsi da vivere con un lavoro
onesto che permetta loro di poter sperare in un
futuro migliore e che accettino le norme previste dal nostro codice penale. Se poi hanno tre
mogli, praticano con rigore il Ramadan e pregano cinque volte al giorno rivolti verso la
Mecca, questo non è affar nostro.
Dario Melossi - A questo riguardo credo sia
necessario essere molto chiari: se si vogliono
evitare “lacrime e sangue”, come ha giustamente evocato il Cardinal Biffi nelle sue ultime
dichiarazioni, bisogna andare esattamente nella direzione opposta a quella da lui indicata con
la sua reiterata richiesta di discriminare ai danni dei non cristiani, addirittura dei non cattolici.
La posizione di Biffi non solo è palesemente
anticostituzionale, ma è anche foriera di sventura proprio sul tema della convivenza civile,
dell’integrazione e, in particolare, della lotta alla criminalità. I criminologi, infatti, ci dicono
che le generazioni immigrate più a rischio sono proprio quelle che vengono dopo la prima.
Si tratta di generazioni che sono a metà tra il
mondo antico e quello nuovo e rispetto alle
quali è assolutamente fondamentale che non si
crei la mentalità della minoranza ghettizzata,
che non si metta in moto quel meccanismo del
risentimento che è poi alla base di tanti lutti e
di tanto dolore. Aggiungere quindi difficoltà
culturali che vengano da posizioni preconcette
al già comunque difficile processo di insediamento, può diventare un debito che pagheremo
tutti in futuro, immigrati e non, e in particolare
i nostri figli e i nostri nipoti. Le posizioni attuali, quindi, che solo etimologicamente si
possono definire reazionarie, rischiano di condurre le nostre città ad un futuro grigio.
Per quanto riguarda la questione degli islamici, il fatto che vi possa essere un legame tra la
immigrazione musulmana e terrorismo è una
faccenda che attiene alle indagini di polizia.
Ma avvicinare, come è stato fatto da alcune
parti, le organizzazioni terroriste alla criminalità comune immigrata mi sembra alquanto azzardato e improbabile. Sarebbe come
dire, che so, che negli anni ‘70-80 potevamo arrestare i brigatisti controllando meglio gli scippatori. Semmai, credo sia più facile ipotizzare l’opposto: da un lato, cioè, che chi
possiede una profonda fede religiosa e politica
farà di tutto per non giocarsi le sue carte in modo stupido; dall’altro, invece, che spesso chi lascia un Paese lo fa anche perché si sente alienato dalle sue tradizioni storiche, soprattutto da
quelle di stampo religioso, culturale e politico.
L’immigrato comune proveniente dai Paesi
musulmani viene in Occidente anche perché attratto dai nostri valori, e da questo punto di vista i criminologi hanno spesso osservato che la
criminalità comune contro la proprietà rappresenta, anche se in modo paradossale, un segno
di integrazione piuttosto che il suo contrario.
Mi sembra, in altre parole, che rispetto alla minaccia del terrorismo la comunità musulmana
immigrata dovrebbe essere considerata, con le
ovvie precauzioni, più un’alleata che una preq
senza ostile.
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DA STRANIERI
A
C I T TA D I N I
TUTTI INSIEME PER
SCIOGLIERE I NODI
di NICODEMO MELE
Inserimento lavorativo e accoglienza. Questi i temi di maggior rilievo emersi
più volte al tavolo del Consiglio territoriale per l’immigrazione
D
all’estate del 2000 i rappresentanti
delle istituzioni pubbliche (il Prefetto,
i presidenti della Provincia e della Camera di commercio, i sindaci del comune capoluogo e dei comuni interessati dal fenomeno), i sindacati, delle associazioni degli stranieri e di quelle impegnate nel soccorso e
assistenza agli immigrati, delle associazioni di
categoria delle imprese hanno un tavolo al quale confrontarsi per trovare soluzioni ai problemi legali dell’immigrazione.
Il Consiglio è, in pratica, un organo permanente che si riunisce periodicamente e che, per affrontare le questioni più spinose, si è dotato di
due gruppi di lavoro che hanno il compito di
analisi e formulazione di proposte su temi come quelli della casa e del lavoro. Nel marzo
scorso il gruppo di lavoro sulla casa ha sfornato un documento sull’accoglienza degli immigrati stranieri a Bologna e provincia. È in via di
elaborazione quello sull’inserimento lavorativo. Nel frattempo il Consiglio, tramite la Prefettura, è intervenuto per risolvere i problemi
delle situazioni più critiche manifestatesi nei
centri di accoglienza. Nei prossimi mesi potrebbe già ospitare anche lo Sportello unico per
l’immigrazione, come prevede il nuovo disegno di legge del Governo sugli immigrati «Perché no? - risponde il Capo di Gabinetto Matteo
Piantedosi - anche se in un certo qual modo
questa funzione la svolgiamo già oggi. Certo,
la creazione di uno sportello unico sarebbe più
rispondente alle nuove attribuzioni della Prefettura, cioè di collegamento tra tutti gli organismi periferici dello Stato. Allo Sportello unico gli immigrati potrebbero ricevere risposte
sui permessi di soggiorno come sulle opportunità di lavoro, sulla casa come sui servizi di assistenza». In ottobre il Consiglio è tornato a
riunirsi per cominciare a delineare gli obiettivi
del 2002. Ecco di seguito le idee più salienti,
esposte dalle forze sociali ed economiche presenti al tavolo della Prefettura.
42
I lavoratori delle piantagioni di ananas in Kenia e, nella pagina accanto, lavoro artigianale in Indonesia
«Per la dimensione medio-piccola delle imprese di questo settore - afferma Giancarlo Sangalli, presidente della Camera di Commercio si sta verificando da alcuni anni una crisi di ricambio generazionale, sicché succede che molti lavoratori extracomunitari rilevino l’impresa
in cui sono entrati e portino avanti l’attività del
proprio datore di lavoro».
Rimanendo nell’ambito dell’impresa, si scopre
anche la notevole presenza di imprenditori extracomunitari in un settore tipico del tessuto
economico bolognese: l’artigianato. Solo la
Cna (Confederazione nazionale dell’artigianato) oggi ne associa 800 e di questi ben 530 danno lavoro a mille e 600 persone. Nel settore pelletteria e alimentazione (170, perlopiù cinesi),
edilizia (100), metalmeccanica (85), impiantistica (60), parrucchieri e estetiste (40), trasporto merci (50)e officine grafiche (30).
E sul fronte della manodopera straniera? Dopo
la fase iniziale in cui si assumeva personale
quasi sempre con mansioni generiche, le aziende oggi esprimono sempre più interesse per la
manodopera specializzata e pongono con insistenza il problema della qualificazione del per-
sonale. «Purtroppo il tema dell’immigrazione
continua ad essere affrontato solo in termini di
emergenza - afferma Loretta Ghelfi, segretario provinciale della Cna - ma la mancanza di
manodopera qualificata sta minando la competitività e lo sviluppo delle aziende che in molti
casi sono costrette a rinunciare alle commesse». E Giuliano Gotti, segretario generale dell’Associazione industriali di Bologna, aggiunge: «Se l’obiettivo è quello di qualificare il tessuto produttivo del territorio, allora ci sembra
indispensabile un’azione coordinata di tutti gli
attori in campo (istituzioni, sindacati e associazioni di categoria). Per ora posso dire che è il
microcosmo delle imprese (cioè l’imprenditore, i sindacati e gli stessi dipendenti) che si fanno carico delle emergenze (la casa, il lavoro e
l’integrazione sociale) che tutti conosciamo».
Ma allora che risposta dare alla carenza di manodopera specializzata?
«La Cna al tavolo del Patto per il lavoro ha presentato una serie di progetti che riguardano l’istituzione di un centro per l’affiancamento nella creazione di imprese per stranieri, la formazione di extracomunitari nei paesi di origine, la
DA STRANIERI
realizzazione di una partnership tra i servizi per
l’impiego e le associazioni degli imprenditori
per fare incontrare le domande e le offerte di lavoro». Dello stesso tenore le proposte dell’Api
(Associazione piccole e medie imprese) di Bologna che puntano anche alla formazione di base dei lavoratori e delle loro famiglie, alla formazione tecnica degli occupati, alla creazione
di manuali sulla conoscenza delle diverse culture e di prontuari tecnici stilati in diverse lingue. «Ma la formazione si può fare anche nei
paesi di origine degli immigrati - afferma
Francesco Montanari, presidente del Collegio Costruttori di Bologna - e a questo proposito con il Collegio costruttori di Parma siamo
impegnati in un progetto, finanziato dal Fondo
sociale europeo, per l’inserimento di 100 immigrati l’anno dalla Repubblica Moldava».
Una proposta condivisa anche dalla Cisl. «Anche perché - afferma Franco Balestrazzi, responsabile del centro stranieri Cisl - gli immigrati che arrivano in Italia sono tanto impegnati a lavorare per mantenere la famiglia nei paesi
di origine, che hanno poco tempo per seguire i
corsi organizzati dai centri di formazione professionale bolognesi».
Accoglienza. Rimane ancora il problema più
spinoso, com’è stato sottolineato più volte al
tavolo della Prefettura. «Manca un orientamento su come procedere - afferma Franco Balestrazzi, della Cisl - e le varie proposte stentano
a decollare. Intanto gli immigrati arrivano a
frotte, ma non si sa come sistemarli». E Loretta Ghelfi della Cna aggiunge: «Purtroppo, le diverse proposte presentate da tanto tempo nel
merito trovano uno scarso coordinamento istituzionale e non si traducono in scelte concrete.
Per questo la Cna torna a porre due richieste urgenti: agevolazioni per gli imprenditori che investono nella casa ai lavoratori e creazione di
agenzie di affitto».
Da tempo il Collegio costruttori propone la co-
A
C I T TA D I N I
struzione di case per gli immigrati su aree pubbliche. Una soluzione esclusa recentemente
dalla Provincia nelle linee di indirizzo del nuovo Ptcp (Piano territoriale comprensoriale provinciale) e anche dall’Api, in quanto ci sarebbe
il rischio di creare quartieri ghetto. A sua volta,
l’Api ha più volte manifestato l’interesse di
molte aziende associate a comprare alloggi da
dare in affitto ai dipendenti stranieri a costi sostenibili e a costruirne di nuovi su aree messe a
disposizione dalle amministrazioni locali a costi contenuti.
Secondo il Sunia (il sindacato unitario degli inquilini) gli immigrati che riescono a trovare casa, spesso si sistemano in alloggi che sono in
pessime condizioni e che vengono affittati a costi elevatissimi. «D’altro canto - afferma Mauro Colombarini, segretario provinciale del Sunia - la risposta al problema casa non può venire solo dagli alloggi di edilizia residenziale
pubblica. Ma anche da iniziative che coinvolgano i privati. Una soluzione potrebbe essere
quella adottata a Reggio Emilia, dove il Comune ha creato una struttura di intermediazione
per l’affitto di appartamenti privati agli stranieri e di garanzia verso i proprietari». Per la Cgil
il mercato dell’affitto si affronta con piattaforme unitarie. «Mettendo in campo - sostiene
Stefano Maruca, segretario provinciale del
settore lavoro e immigrazione - sia finanziamenti pubblici che privati, capaci di superare la
logica dei centri di prima accoglienza».
Attualmente su 12 mila e 220 alloggi gestiti a
Bologna città dall’Acer (Azienda casa Emilia
Romagna), la neonata azienda di gestione degli
alloggi pubblici sorta sulle ceneri del glorioso
ex Iacp, ben 683 (il 5,6 per cento) è occupato
da famiglie provenienti da paesi stranieri. Mentre nei comuni della provincia ne occupano 296
(il 5,8 per cento) sui 5134 gestiti. «L’Acer - afferma il presidente Marco Giardini - ha sposato la linea dell’integrazione dei nuclei familiari. Una cosa è certa: la risposta al problema
della casa per gli immigrati non può venire solo da noi o solo dai privati. A questo devono
concorrere tutti, in primo luogo le istituzioni
con adeguate politiche abitative. Per parte nostra oggi siamo impegnati a dare risposte ad
una domanda che ha due facce: da un lato quella dei ceti più deboli, costituiti da nuclei familiari a reddito basso (soprattutto anziani) o mono reddito come quelle degli immigrati; dall’altro la domanda di famiglie che non vogliono
assistenza, ma che hanno difficoltà a trovare risposte sul mercato a causa dell’elevato costo
degli affitti. Nel primo caso Acer risponde con
750 nuove assegnazioni l’anno (di cui il 20 per
cento agli immigrati), anche se il patrimonio di
edilizia residenziale pubblica risulta insufficiente. Nel secondo caso, invece, con interventi di nuove costruzioni o di recupero di edifici
e aree dismesse con cui realizzare alloggi da affittare a canone moderato e compatibile. Un intervento di questo genere sono i 79 alloggi che
saranno consegnati a gennaio 2002 vicino alla
ex stazione Veneta e che abbiamo realizzato in
collaborazione con la Fondazione della Cassa
di Risparmio in Bologna. In programma ci sono altri 450 alloggi di questo tipo, tra Bologna
e provincia, e 200 da realizzare sempre in collaborazione con la Fondazione della Cassa di
q
Risparmio».
Cooperare per lo sviluppo
di PIETRO PINTO
Il ruolo del volontariato e degli organismi non governativi
nell’attività di governo dei flussi migratori
Q
uando nel corso degli anni ’80 si attivano i primi significativi flussi immigratori, gli Enti Locali vengono colti di
sorpresa e prevale la convinzione che
non si tratti di migrazioni strutturali bensì di fenomeni transitori. Si continua a ritenere che la
disoccupazione esistente non permetta l’inserimento di manodopera straniera nel mercato del
lavoro. Di conseguenza, non si ritiene necessario attivare interventi strutturati e stabili e al
massimo si cerca di tamponare qualche situazione d’emergenza in attesa che il tutto passi….
Solo negli anni ’90, dopo la legge Martelli, che
sancisce la definitiva consapevolezza del Governo che l’Italia è divenuto un paese d’immigrazione, gli Enti Locali iniziano ad attivarsi in
modo significativo per la prima accoglienza.
Un ruolo determinante nell’accoglienza dei
nuovi cittadini viene giocato anche dai sindacati, dalle associazioni e dal volontariato che
attivano i primi concreti interventi di accoglienza, anticipando gli Enti Locali. Ad esempio si può ricordare come l’Ufficio stranieri del
Comune di Bologna, uno dei primi in Italia, nel
43
DA STRANIERI
1987 nasce non solo per spinta del sindacato
ma con il diretto coinvolgimento di suoi operatori.
Un segmento particolare dell’associazionismo
è rappresentato dalle O.N.G. (Organismi non
governativi) di Cooperazione allo Sviluppo.
Queste associazioni si caratterizzano innanzitutto per le attività nei cosiddetti “Paesi in via
di sviluppo”. Proprio per questa peculiarità in
diversi casi gli Enti Locali cercano di coinvolgerle: la considerazione che spinge in questa
direzione è che avendo lavorato in molti dei
paesi di origine dei flussi immigratori che interessano l’Italia le O.N.G. conoscono la cultura
dei nuovi cittadini.
In linea di massima le O.N.G. vengono chiamate nei casi in cui si vogliono attivare interventi di tipo culturale o comunque di “seconda
accoglienza”. Le O.N.G. si sono sempre prestate a questi interventi anche se in modo non
continuativo, visto che l’utilizzo prioritario dei
propri operatori è all’estero.
In linea di massima il punto di contatto principale tra le O.N.G. e le associazioni che si occupano in modo strutturale di immigrazione è
il mondo della scuola, dove spesso gli operatori delle O.N.G. vengono chiamati per attività di
educazione allo sviluppo (attività tese a far conoscere ai cittadini italiani i paesi in via di sviluppo PVS). Nelle stesse realtà poi si muovono
gli operatori dell’associazionismo immigrato
ed italiano, sia per attività di tutela degli allievi
di etnia minoritaria sia per attività tese a far conoscere nelle scuole le culture di cui sono portatori i nuovi cittadini.
In questi ultimi anni gli Enti Locali cercano di
coinvolgere le organizzazioni O.N.G. anche
per le loro specifiche competenze sulla cooperazione; partendo dal presupposto che esse
hanno conoscenze di alcuni contesti territoriali
ed hanno le competenze per attivare interventi
in loco, spesso si cerca di coinvolgerle nell’implementazione di progetti che hanno l’obiettivo di attivare processi di reinserimento di immigrati nei paesi di origine.
Tra le O.N.G. c’è però una certa resistenza ad
accettare progetti di questo tipo in quanto molti ritengono che la priorità oggi debba essere
quella di utilizzare le poche risorse a disposizione per l’immigrazione per garantire un dignitoso inserimento degli immigrati in Italia e
non per fare rientrare “a casa” pochissimi fortunati individui.
Si deve poi aggiungere che, a parte la considerazione che il rientro deve essere volontario,
questi interventi non raggiungono l’obiettivo
prefissato di diminuire la pressione migratoria
verso l’Italia, perché rapidamente i posti lasciati liberi dai beneficiari di questi progetti
vengono occupati da loro connazionali.
Diversa è la filosofia dei progetti proposti dalle O.N.G. che cercano di attivare percorsi di
44
A
C I T TA D I N I
cooperazione decentrata, valorizzando le comunità immigrate come strumento di collegamento con i paesi di origine.
A questo riguardo è però utile ricordare come
nei regolamenti relativi ai progetti di cooperazione finanziati dal Ministero degli Affari Esteri vi sia una sconcertante prescrizione, che rende molto difficile il coinvolgimento di immigrati in progetti di cooperazione. I cooperanti
devono infatti essere di nazionalità italiana (o
europea). Mentre gli “extracomunitari” possono essere coinvolti solo come “personale in loco” e quindi con differenze retributive notevoli!
Le O.N.G. non sono però solo stimolate dagli
Enti Locali, spesso incalzano questi ultimi per
attivare interventi che vadano oltre la prima accoglienza nel senso della promozione dei diritti e nella sensibilizzazione sui temi dell’antirazzismo.
Per quanto riguarda Bologna, è
una delle realtà in cui le O.N.G.
si sono più attivamente impegnate sui temi dell’immigrazione.
Si può ad esempio ricordare come recentemente il CESTAS abbia curato una ricerca, finanziata
dalla R.E. R., il cui fine era capire come azioni di cooperazione
decentrata promosse a livello locale e regionale possano costruire
e generare modelli di sviluppo che interagiscono con i flussi migratori, con particolare attenzione ai casi di Marocco e Tunisia.
Altro intervento da ricordare è quello del CEFA che ha contribuito alla nascita dell’associazione “Progetto Marocco” che da un lato lavora sul coinvolgimento delle comunità di immigrati in progetti di cooperazione, e dall’altro
promuove interventi per l’integrazione degli
immigrati.
Interessanti sono anche le attività del GVC, rivolte in particolare al mondo della scuola. Rilevante appare il progetto “Diritti umani e migrazioni involontarie” che cerca di fornire
informazioni e conoscenze su questo specifico
spezzone di immigrazione, che comprende rifugiati politici e richiedenti asilo, troppo spesso dimenticato.
Come abbiamo già ricordato, pur in presenza di
interventi qualificati, le O.N.G. utilizzano la
maggior parte degli operatori in attività nei
PVS. Un’ eccezione interessante è rappresentata dal COSPE, una delle poche O.N.G. ad aver
attivato uno specifico dipartimento strutturato
che interviene in modo sistematico sui temi
inerenti l’immigrazione. Dipartimento che impiega circa la metà del personale del COSPE in
attività sulle immigrazioni.
Il COSPE da sempre ha caratterizzato la sua at-
tività con interventi non di emergenza ma miranti all’integrazione, attraverso la promozione
di interventi sperimentali politicamente emblematici. Tra gli interventi attuati anche in provincia di Bologna ricordiamo:
- Un progetto NOW con un corso per l’avvio di
piccole imprese da parte di donne immigrate.
- Il Progetto CROCUS che offre un sistema integrato di servizi informativi ed educativi erogati via satellitare per allievi d’origine minoritaria, per facilitarne l’accesso al mondo della
scuola e della formazione. Il servizio comprende:
■ una sezione che eroga, a distanza, moduli didattici interattivi per la diffusione dell’interculturalità nelle scuole e in altri centri culturali o
associativi e per il rafforzamento del bilinguismo fra gli allievi di famiglie
migranti o profughi, rifugiati o
richiedenti asilo, con programmazioni flessibili, concordate
con i docenti delle classi frequentate e seguite a distanza
da tutors bilingue;
■ un chiosco informativo plurilingue a distanza che offre
un sostegno alle attività delle
segreterie, mettendo a disposizione di scuole e famiglie
interpreti a distanza e modulistica interattiva bilingue.
Il progetto transnazionale
europeo PAVEMENT che ha l’obiettivo
di aprire la via in Europa per l’art. 13 del trattato di Amsterdam, con le seguenti attività:
■ creazione di “gruppi di contatto” tra cittadini di origine etnica minoritaria e operatori di
Polizia Municipale e di Stato per analizzare
problemi di discriminazione operata sulla base
dell’appartenenza etnica e della fede religiosa;
■ raccolta di dati e informazioni sulla struttura
delle Polizie Municipali e di Stato e sui rischi
di discriminazione da questa indotti;
■ visite di studio presso i partner europei per
conoscere le diverse esperienze dell’agire di
polizia in questo settore;
Il progetto MMC Europe 2000 (Multicultural
Multimedia Channel Europe 2000) che ha attivato la prima radio multiculturale e multilingue
on line in Italia, MMC Europe 2000 che propone ai migranti e agli autoctoni interessati, notiziari, interviste e reportage multiculturali e
multilingue (http://www.mmc2000.net/)
Infine, ricordiamo il progetto MIRROR promosso da AIAS Bologna, COSPE e 5 associazioni europee, che mira a valutare la validità
dello strumento della “media education” per
ragazzi svantaggiati e discriminati per vari motivi. In altre parole, educare all’utilizzo degli
strumenti di comunicazione (video, radio, Internet), adolescenti che nel loro percorso di crescita hanno un ostacolo in più da superare. q
O RIZZONTI
D ’A RTE
Un ponte tra Bologna
e Ferrara
di HIDEHIRO IKEGAMI
É Francesco Cossa, che visse nella nostra città dal
1470 al 1478. Ci ha consegnato uno stile pittorico
raffinato, testimone di importanti influssi
culturali che abbracciano l’intera Europa
N
È naturalmente impossibile che uno
stile “provinciale” si formi in maniera indipendente. Ciò è ancor più
evidente per le città situate in snodi economici, sociali, culturali: è il caso di Bologna.
In questa rubrica abbiamo già preso in considerazione l’importante arrivo in città dei
maestri pisani, l’intervento decisivo di toscani e umbri, i venti che soffiavano da Rimini...
Tra tutte queste influenze è interessantissimo
osservare quelle provenienti da Ferrara, una
città geograficamente molto vicina a Bologna, ma sufficientemente lontana politicamente e culturalmente e, inoltre, stilisticamente diversa. Consideriamo ora l’importante ruolo giocato da un grande maestro
ferrarese: Francesco del Cossa.
Nacque nel 1436 a Ferrara e fu uno degli artisti che ebbero la fortuna di vivere durante
la fioritura del Rinascimento ferrarese, guidata dalla famiglia estense. Borso d’Este nominò Cosmè Tura, che è praticamente il
“fondatore” della scuola ferrarese, primo
artista della sua corte; Tura aveva studiato
Mantegna e Piero della Francesca, legati da
vincoli d’amicizia con il signore di Ferrara;
sappiamo anche che Piero si trovava alla
corte di Ferrara intorno al 1449. E come tutti gli altri artisti ferraresi, anche Cossa all’inizio seguì Cosmè Tura, suo fratello in stile.
L’influenza è evidente nell’iper-decorativismo, nei colori dignitosi e nelle superfici un
po’metalliche. Si nota anche in Cossa la tendenza a uno stile scultoreo, derivato dal
Mantegna per il tramite di Tura. L’apice artistico raggiunto da Francesco a Ferrara è la
decorazione della Sala dei Mesi nel magnifico Palazzo Schifanoia. Quando Cossa cominciò a svolgere la sue attività a Bologna,
la città era proprio nel felice, ma breve, periodo
del dominio della famiglia Bentivoglio.
Qui vediamo la sua “Pala dei Mercanti”
conservata alla Pinacoteca di Bologna. Sul
trono siede la Madonna con Gesù bambino.
A destra, c’è san Giovanni, che sta leggendo
il suo Vangelo sulle ginocchia. A sinistra, c’è
San Petronio, che tiene in mano la sua città e
guarda verso l’alto con aria molto severa,
decisa e solenne. Dietro a San Petronio si vede una persona in preghiera, di dimensioni
più piccole rispetto alle altre figure, che altri
non è che il committente di quest’opera, Alberto de’Cattanei. In basso, sul bordo di pietra alla base del trono, si leggono queste
informazioni, grazie alle quali possiamo fortunatamente venire a sapere la data di esecuzione dell’opera: [...] Fecerunt. 1474. Fraciscus Cossa Ferrariensis.
Anche a causa delle tecniche pittoriche di
questo periodo, i colori purtroppo risultano
molto scuri, ma ciò nonostante possiamo apprezzare l’eccellenza dell’opera. Sui braccioli del trono ci sono due alti trofei di metallo, arricchiti con frutta, che ricordano
candelabri di bronzo. Nel disegno dei trofei,
che sembrano quasi fatti di materia viva, è
giusto ricordarci del rapporto con un altro
artista importante: Niccolò dell’Arca, molto
vicino a Cossa alla corte dei Bentivoglio. In
effetti, i due tondi di fiori sopra il trono assomigliano a quelli che si trovano in cima alla
famosa tomba di san Domenico a Bologna.
Sul trono si vede un rosario di corallo rosso
con cristalli, presente anche nelle pale di
Mantegna. Possiamo ammirare l’eccellente
Sopra, “Pala dei Mercanti”
del 1474 conservata nella
Pinacoteca di Bologna.
A fianco, “Annunciazione”
del 1471 ca. alla
Gemäldegalerie di Dresda
tecnica di Cossa nel disegno dei cristalli che ritroveremo nel Lorenzo Costa della “Madonna
dei Bentivoglio” nella chiesa di San Giacomo Maggiore. Queste opere ci mostrano il lato super-miniaturistico della tradizione ferrarese.
Ciò che è notevole in questa tela è la perfetta, dignitosa composizione con rigide simmetrie che ritroviamo ancora più chiaramente nella “Annunciazione” di Cossa a Dresda: qui, con due diversi tipi di spazi,
separati dalla colonna centrale, il pittore ottiene, con una simmetria austera, un equilibro perfetto.
Però non possiamo trascurare l’espressione
“umana” dei volti dei personaggi, soprattutto della Madonna. Ci sorprendono il suo
morbido sorriso, il tenero sguardo e l’aria
tranquilla, pensierosa e con un po’ di ennui.
C’è un netto progresso rispetto al suo stile
del periodo ferrarese, ancora radicato nella
tradizione cavalleresco-medievale. Qui possiamo vedere che i rapporti tra Bologna e
Ferrara non erano sempre a senso unico e
che gli artisti stessi erano influenzati dallo
stile del luogo in cui si trovavano. Purtroppo
le opere più importanti di Francesco del Cossa a Bologna, nella cappella Garganelli o
nel vecchio palazzo Bentivoglio, sono perdute. Però con la “Pala dei Mercanti” del 1474
possiamo sufficientemente attestare il ruolo
importante che Francesco del Cossa ha avuto nella formazione dello stile bolognese.
Dopo di lui, Ercole de’ Roberti prenderà il
suo posto, sviluppando ancora più la mescolanza di stili tipici delle due città.
45
L A C I T T À S E N T I M E N TA L E
IL CIELO SOTTO WENDERS
di RENZO RENZI
Un improvviso malanno ha impedito
a Renzo Renzi di scrivere per noi
il consueto pezzo sulla Città Sentimentale.
Per non mancare del tutto l’appuntamento,
che sappiamo sempre atteso dai lettori,
riportiamo brani di un suo articolo
pubblicato da “2000 Incontri” nel numero
1/2 del 1988, in cui emergono sempre forti
e ricchi di suggestioni i legami dell’autore
con Bologna. E naturalmente gli
rivolgiamo il più sincero augurio per
un rapido ritorno al suo lavoro
B
ologna, dicembre. Stamattina al “Lumière”, tra molti giovani, ho visto “Il
cielo sopra Berlino”, l’ultimo film di
Wim Wenders.
Nel pomeriggio sono andato al cinema d’essai
“Roma”, dove il film veniva proiettato, per gli
studenti del Dams, alla presenza del regista e
della protagonista femminile. Sono riuscito a
superare i cordoni della polizia che, nella strada, bloccavano l’entrata ad una folla di altri
giovani, a causa della sala già stipata.
Quindi ho assistito, assieme al mio amico Lucio Dalla, al lungo dibattito condotto da Guido
Fink, tra gli studenti, Wenders in bretelle e la
dolce Solveig.
Cadendo in una condizione metafisica, non mi
sono riconosciuto in quasi nessuna delle domande poste dagli studenti al regista tedesco.
Ma chi era l’angelo?
Per conto mio, non posso certo dire che cosa i
giovani vedano nei film di Wenders e perché ne
abbiano fatto un oggetto di culto.
Certamente li traviserei. Infatti, appartengo ad
un’altra generazione, purtroppo.
Posso riferire, invece alcune delle cose che ho
man mano pensato disordinatamente, vedendo
quest’ultimo film, al solo scopo di rendere testimonianza. […]
Scesi in terra i due angeli si trovano a leggere
nei volti delle persone, per strada, in metropolitana, una serie - del tutto affascinante, bisogna
aggiungere - di microstorie segnate dall’angoscia. Di fronte a questa letteratura minimalista
(nell’edizione originale i racconti sono fatti,
neorealisticamente, in uno stretto dialetto berlinese) vengono in mente i soggetti di Zavattini, “Ladri di biciclette”, “Miracolo a Milano”,
“Umberto D.”, altrettante microstorie dilatate
in un film. Oppure quando, essendo noi andati
46
nel Delta padano assieme a Rossellini per preparare un film che poi non si fece, “Italia mia”,
Zavattini cercava costantemente spunti minimi.
A Goro, per esempio, sulla riva del Po: «Perché
non raccontiamo la storia di un bambino e di un
granchio?»
Ma Wenders, seguendo altri pensieri, aggiungerà che ormai, oltre la barriera creata dal “muro”, ciascuno degli abitanti di Berlino si è chiuso in un suo piccolo stato e che esistono altrettanti stati quanti sono gli abitanti di Berlino.
Il regno dell’uomo solo.
Quindi, angeli e “comuni mortali” hanno quest’altro carattere in comune, che però questa
volta li divide. […]
Le rovine di Berlino, prodotte dai bombardamenti alleati dell’ultima guerra, appaiono nel
film di Wenders o tramite vecchi documentari
oppure oggi, come ampi spiazzi non ancora
riutilizzati.
Queste rovine si vedevano bene, ancora in piedi, come si ricorderà, nel film “Germania anno
zero” di Rossellini. Il film, senza saperlo ma
come una straordinaria premonizione, attraverso la storia del piccolo Edmund raccontava, tutta intera, quella che sarebbe stata la storia di
Fassbinder, arte e vita.
Ma Wenders, prima è fuggito da quel passato,
cercando altre terre, altri paesaggi, incessantemente “on the road”.
Ora è tornato in patria, mentre il passato del nazismo e della guerra è diventato un vuoto da
riempire con ricordi weimariani; oppure un argomento per film americani; oppure ancora col
suggerimento di una nuova reincarnazione.
Io fui a Berlino, invece, durante la guerra, nei
primi mesi del 1944.
In carri piombati, dopo un lungo viaggio notturno per destinazione ignota, giungendo dai
“lager” polacchi, all’alba ci fermarono in una
stazione che portava la scritta “Tempelhof”,
l’aeroporto di Berlino. Dunque siamo a Berlino, si pensò. Quindi il nostro treno sfilò per
un’ora intera tra le macerie di una Berlino nebbiosa e deserta.
Vedemmo solo macerie. Nella Sprea, un battello navigava lentamente, come in un film francese d’anteguerra, la nostra cultura di allora. “Il
porto delle nebbie” di Carnè, per esempio; fotografia di Henri Alekan. Alekan, “circus
Alekan”: il fotografo anche di quest’ultimo
film di Wenders. Ma guarda un po’!
Dai vagoni piombati scendemmo nel “lager” di
Sandbostel, tra Brema e Amburgo. Nello zaino
portavo la “Storia della filosofia” di Wilhelm
Windelband (2 voll., Edizioni Sandron, 1937),
che lessi tutta, fino al capitolo conclusivo. […]
Il fatto è che nel “lager” di Sandbostel era anche il “tenente” Enzo Paci, un maestro (mio, di
sicuro) il quale, nelle ore forzate dell’ozio e
L A C I T T À S E N T I M E N TA L E
In questa e nella pagina precedente foto
di scena del regista Wim Wenders del film “Il cielo sopra Berlino”
della fame, fece, per chi l’ascoltò, una serie di
lezioni sull’esistenzialismo. Allievo di Nicola
Abbagnano, Paci anticipava in tal modo, per
noi, quella che in Italia del dopoguerra, sarebbe diventata la moda dell’esistenzialismo; descrivendolo come il tentativo di recuperare alla
filosofia un buio mondo romantico, espresso,
fin qui, soltanto nella letteratura. […]
Il privilegio che, nel “lager” avemmo nell’ascoltare le lezioni di Paci, mentre soldati tedeschi col colpo in canna ci tenevano prigionieri,
fu allargato al fatto di conoscere, tramite i discorsi del nostro maestro, una serie di testi di
letteratura - il buio mondo da recuperare filosoficamente - che il fascismo ci aveva in gran
parte occultato: Kafka, Proust, Gide, Joyce e,
appunto altri tedeschi, Rilke, Hölderlin, Novalis, Thomas Mann.
Così, mi capitò tra le mani, tra l’altro, un’edizione francese del “Tonio Kröger” di Mann
che, da allora, di Mann è rimasto il mio romanzo prediletto. Naturalmente - accade nei fatti
d’amore - potrei citare, senza commento, una
serie di passi del “Tonio Kröger” che, secondo
me, rinviano direttamente a “Il cielo sopra Berlino” come fossero un nutrimento diventato
persino “natura” di quest’ultimo Wenders. […]
Il “Tonio Kröger” fu scritto nel 1903. Wenders
ha girato il suo film dopo due guerre mondiali
perdute dal suo paese e dopo il nazismo. […]
Wenders dapprima cade nel trabocchetto di un
troppo facilmente atteso incontro tra l’angelo
Daniel (Bruno Ganz) e Marion (Solveig Dommartin), “macchina desiderante” dapprima
mossa dalla “manque”, la mancanza, come ella stessa dice. Perché “l’amore è l’uscita dall’infinita possibilità dei casi e delle scelte, per
una scelta univoca” (a costo, sartraniamente,
delle “mani sporche”?, ci chiederemo noi).
Quindi, dopo avere superato questo primo ostacolo, forse troppo autobiografico (Sainte-Beu-
ve, salvami tu!), prendendo il coraggio a due
mani, Wenders si getta in una perorazione che,
anche a giudicare dalla musica di fondo, continua altre citazioni di Chaplin (“Il circo”, “Luci
della ribalta”) per raggiungere il finale di “The
great dictator”: un appello alla rifondazione
della società, che ha la sfortuna di trovare nel
doppiaggio italiano (in realtà, Wenders lo ha
detto, voleva citare il Pascal del “vous êtes embarqué”) questa terrificante dizione: “Siamo
tutti nella stessa barca!”.
Allora, sarà stata pure giusta la domanda oltranzista di un giovane che, alzandosi verso la
fine del dibattito, chiese: «Vorrei sapere da
Wenders perché ci ha tenuti qui oltre due ore di
film, allo scopo di dirci infine che siamo tutti
nella stessa barca!».
Ma furono gli effetti, evidentemente ingiusti, di
chi aveva mostrato, forse per debolezza di pensiero, di cadere infine, alla resa dei conti, nell’oratoria. Tornando nel “lager” (solo con la
memoria), ricordo che Paci cercava di individuare almeno due filoni della cultura tedesca:
un primo che da Goethe giungeva fino a Mann;
un secondo che da Wagner e
Nietsche giungeva fino a Hitler. Naturalmente, oggi, lo
sguardo si è complicato perché riesce più difficile pensare Wagner e Nietsche come
semplici precursori di Hitler.
È certo, in ogni caso, che
Wenders, tornando in patria
e impugnando un gran tema
della cultura europea, tedesca in particolare, ha forse
mostrato di volersi appoggiare ad una linea di civiltà
profondamente rispettabile del suo paese,
così avviando un primo smantellamento del paralizzante senso di colpa prodotto dall’esperienza “popolare” nazista. In realtà, Wenders non ci
dà sufficienti notizie del mondo in bianco e nero degli angeli: e perciò siamo autorizzati a
completarle con quest’altro passo del “Tonio
Kröger”: «Non pensate a Cesare Borgia, o a
non so quale ebbra filosofia che va innalzandolo sugli scudi! Per me, questo Cesare Borgia è
men che nulla, non ci tengo minimamente; e
mai e poi mai potrò concepire che lo straordinario, il demoniaco vengano onorati come
ideali». Eravamo nel 1903. Wenders, alle spalle, si ritrova ora il “demoniaco” realizzato e intende liberarsene, cancellandolo.
Ma, dice il vecchio, «la pace non si presta al
racconto. Manca un epos di pace».
Eppure l’angelo ha affermato che vuole entrare nel mondo, nella storia; vuole tornare alla vicenda, dopo la grande frantumazione individualistica (e le microstorie).
Perciò (continuo a citare parole perché il film
di Wenders è soprattutto un film di parole, illustrate), «bisogna finirla con il caso. Il tempo
siamo noi. Bisogna decidere. Dobbiamo essere
tutti noi a decidere. Adesso o mai più». […] q
47
B OLOGNA
IN
L ETTERE
LÕinfelicitˆ permanente
di STEFANO TASSINARI
M
a non c’è sesso senza amore” –
cantava molti anni fa un romantico
Antonello Venditti, il quale, a giudicare dal comportamento dei personaggi
che popolano il secondo romanzo della scrittrice bolognese Grazia Verasani (“Fuck me
mon amour”, edizioni Fernandel, pagg. 125,
lire 20.000) è rimasto decisamente inascoltato. Per loro, infatti, i due momenti sembrano essere non solo difficilmente conciliabili,
ma addirittura contrapposti, quasi a voler
sottolineare una presunta coincidenza tra
amore e infelicità (o normalità) da un lato,
sesso ed euforia (dovuta all’ormai scontata
sensazione di trasgredire) dall’altro. In
realtà, la generazione dei trentenni messa in
scena - con indubbia capacità - da Grazia
Verasani è caratterizzata da un’infelicità
permanente, che nemmeno la continua ricerca dell’estremo potrà mai scalfire, se non per
qualche istante casualmente rubato alla
dubbia consapevolezza del proprio disagio.
Il romanzo gira intorno alla micro-quotidianità di Gabri, giovane scrittrice in cerca di
idee per la stesura di un nuovo testo, dopo
che il primo, marcatamente autobiografico e
dedicato al proprio ambiente, le aveva provocato diverse rotture personali. E così, tra
interviste minimali a prostitute, tossicodipendenti e mancate uxoricide e delusioni sentimentali della protagonista, si
sviluppa una storia fatta non tanto di
un tradizionale intreccio narrativo, ma
di frammenti di vita messi in relazione
tra loro dalla comune appartenenza generazionale. Una scelta, questa, particolarmente azzeccata, in quanto si
adatta nel migliore dei modi al tipo di frantumazione
esistenziale che la Verasani
ha inteso raccontarci. E
l’affresco che ne deriva spesso graffiato dai metaforici chiodi autolesionistici
dei personaggi – è quanto
meno sconfortante, data la
pochezza messa in campo dai
“tardogiovani” (la definizione è dell’autrice) che s’aggi-
48
rano per una Bologna fradicia di aperitivi e
cocktails bevuti a comando, più per “stonarsi” che non per socializzare con qualcuno.
La solitudine interiore, frutto anche di una
sorta di separatezza dalla vita reale, sembra
essere il vero nodo da sciogliere per questi
trentenni annoiati e insicuri, continuamente
in cerca di emozioni forti, proprio perché non
sono in grado di vivere quelle di tutti i giorni. Non a caso l’obiettivo di Grazia Verasani
si sposta dalle case e dai caffè ai club privati , al cui interno quelle singole solitudini
confluiscono in degradanti giochi voyeristici, promiscuità sessuali e tradimenti, senza
che questo scalfisca minimamente l’apparente equilibrio dei personaggi, esattamente
come per Gabri è del tutto normale, anche se
un po’faticoso, passare i pomeriggi al Magic
a doppiare film pornografici (salvo poi, nella propria vita sessuale, non riuscire ad
emettere nemmeno un sospiro…). L’importante, evidentemente, è inseguire a tutti i costi l’esagerazione, pur sapendo che, alla fine
della corsa, si rischia l’autodistruzione, o almeno di non avere più niente da cercare (persino l’amicizia, in tal senso, si rivela inadeguata anche a trasformarsi in un semplice rifugio, visto che, tra equivoci e tempi dispari,
finisce con l’aggravare le tensioni anziché
diminuirle). In questo romanzo, dunque, Grazia Verasani – autrice, tra l’altro,
anche del CD “Nata mai” e
vincitrice del Premio Recanati 1995 per la canzone
Un’istantanea
di Grazia
Verasani e
la copertina
del suo
ultimo libro
d’autore – ci racconta efficacemente un mondo senza sbocchi, ma sceglie di farlo – ed è
un grande merito – sostituendo il cinismo
con l’ironia, il che rende molto piacevole la
lettura di un testo comunque duro nei suoi intendimenti di fondo.
Novità
A parte l’uscita dell’ottimo romanzo di Marcello Fois “Dura madre” (edizioni Einaudi),
già anticipata da “Portici” un paio di numeri fa, nel mese di settembre sono apparsi in
libreria due stimolanti testi di scrittori bolognesi, a cui, in queste settimane, si aggiungeranno, tra gli altri, i nuovi romanzi di Stefano Benni e Danila Comastri Montanari.
Il primo è stato scritto dal cantante dei Massimo Volume, Emidio Clementi, e s’intitola
“La notte del Pratello” (Fazi editore, pagg.
160, lire 22.000). Ambientata nella strada alternativa di Bologna per eccellenza, la storia
che ci propone Clementi ruota attorno all’io
narrante Mimì e al suo amico Leo, impegnati tutto il giorno a svuotare cantine e solai
della città agli ordini di un personaggio
sgradevole e diffidente. Tra vicende credibili
(ma non necessariamente veritiere) ed altre
reali (come lo sgombero delle case occupate
da parte della polizia), il romanzo ci restituisce, con molta freschezza, lo spaccato di
un’altra Bologna, ben più vivace di quella
dominante. “Fantasmi di pianura” (edizioni
Diabasis, pagg. 127, lire 22.000) è, invece, il
titolo del romanzo di Maurizio Garuti, il
quale, finora, si era occupato soprattutto di
teatro (vincendo i Premi Riccione e IDI per
la migliore commedia italiana dell’anno) e
di comicità. Questa volta, invece, ci conduce
all’interno di un’atmosfera drammatica, nella quale prevalgono le tensioni psicologiche
di un grande gruppo famigliare, interamente
riunito, dopo tanto tempo, nella casa del protagonista, un affermato professionista bolognese sposato con una donna di trent’anni
più giovane di lui. Romanzo di contrasti e
analisi di costume, è costruito con un buon
ritmo e con un linguaggio molto sorvegliato.
IL POSTO
DELLE
FRAGOLE
I NUOVI CINICI
di NICOLA MUSCHITIELLO
N
on si tratta del fenomeno, abbastanza
recente e normale, dei cani che portano a spasso i loro padroni e, quando
hanno fatto i loro bisogni, spesso non li obbligano a raccogliere il loro escremento, visto che
in genere hanno più giudizio dei loro padroni e
che i padroni veri sono loro, almeno fino a
quando non vengono abbandonati sull’autostrada. Succede in qualsiasi città umana.
Ma c’è un altro fenomeno, antichissimo, che si
sta diffondendo. Anzi, è sorprendente la sua
diffusione. Parlo dei giovani che vivono randagi, e sono tanti, e se ne vanno in giro con il loro cane. Con i loro cani, anzi. I cani sono tenuti con una catena o una corda. Qualche volta sono sciolti. In certe ore, la sera specialmente, si
radunano insieme, giovani e cani. I primi sono
buttati per terra, qualcuno mendica per tutti, i
secondi ruzzano insieme, qualcuno sogna un
osso.
Feci umane e canine, le seconde
più democraticamente numerose,
in virtù della maggioranza ottenuta, imbrattano i portici. Renzo
Renzi, come ha spiritosamente
raccontato in questa rivista, è caduto rovinosamente su una cacca.
Lui dice di cane. Gli crediamo sulla parola.
Ora, mi pongo questa domanda:
come mai tanti giovani, all’improvviso, in questo punto del
tempo, decidono di vivere stracciati e simili ai cani, e poi scelgono questi come compagni? È forse perché i cani permettono loro
di non essere completamente soli, né necessariamente aggregati? Il loro rifiuto è ormai tale, che
accettano solo i loro simili nella
loro condizione di vita, e i cani
che sono ancora di più i loro simili? È amore vero e animale?
È un modello, il cane?
L’elemento nuovo sembra essere il cane; l’emarginato in società col cane. Perché in realtà
questi giovani randagi, che nella dura costrizione della vita, e della vita di oggi, hanno scelto la dura libertà d’una condizione semplice e
animale, fatta di avversione e disprezzo, dolcemente testimoniati, sono i “cinici” dei nostri
giorni. Sapete che i filosofi cinici, nella Grecia
antica, erano così per la somiglianza ai cani.
Alcuni erano mordaci. Erano insomma ”canini”. Diogene, Cratete… I quali, più che filosofi importanti, sono importanti perché hanno dato origine a una corrente culturale che ha attraversato tutta la storia umana, ed è giunta fino a
noi. Questa corrente, di segno eterodosso, comporta uno scioglimento dalle regole date, un’infrazione consueta, un avvicinamento allo stato
di natura nella società. In questa corrente si sono bagnati (per modo di dire…) i millenaristi, i
viandanti romantici, gli hippies. È la corrente
“naturalistica” della storia; in contrapposizione
alla corrente “culturalistica”. Sono concetti che
mutuo da un libro, Hommes domestiques et
hommes sauvages, pubblicato nel 1974 da uno
studioso francese, Serge Moscovici. Il quale
scrive: «Se presso i greci ci fosse stata la televisione, avrebbe fatto vedere delle figure inquietanti e familiari: i cinici.
Mendichi, la bisaccia in spalla, il mantello corto, scalzi, capelli lunghi, irsuti e disinvolti, dormivano all’aperto d’inverno come d’estate, avidi e sobri, mangiavano quel che trovavano oppure stringevano la cinghia. Sradicati ed
erranti…». E coglie anche un tratto che possiamo verificare: «Quando ci si nutre e ci si veste
con semplicità come i selvaggi, in realtà come
i poveri, gli schiavi e gli stranieri (la popolazione dei non-cittadini, dei cittadini a metà),
quando si ha per abitazione una botte o si afferma, come Cratete tebano: ‘Io non ho una
città, ma il mondo intero per viverci la vita’, allora si proclama la propria fratellanza con l’animale, col barbaro…». In questo riguardo, da
una delle bellissime Vite immaginarie dello
scrittore Marcel Schwob tolgo alcuni tratti relativi appunto al filosofo Cratete: «Parlava raramente agli dei, e non se n’inquietava: gl’importava poco che ce ne fossero o no, e ben sapeva che non avrebbero potuto fargli niente.
Del resto, li rimproverava di aver reso infelici
gli uomini apposta, girandogli il viso verso il
cielo, e privandoli della facoltà che la maggior
parte degli animali ha, di camminare a quattro
zampe. Giacché gli dei hanno deciso che bisogna mangiare per vivere, pensava Cratete, essi
dovevano girare il viso degli uomini verso la
terra, dove crescono le radici: nessuno saprebbe pascersi d’aria, o di
stelle… L’idea di una qualunque conoscenza gli pareva
assurda. Non studiava che le
relazioni del suo corpo con
ciò che gli era necessario, cercando di ridurle per quanto si
può. Diogene mordeva come i
cani, ma Cratete viveva come i
cani».
A questo punto, mi sembra
evidente che la condizione dei
nuovi cinici, per quanto inconsapevoli e ignari siano, e pur
nella testimonianza rinnovata
di una secolare attitudine, sia
vagamente correlata con la zoofilia, l’anticonsumismo, l’antieconomicismo, l’antiglobalizzazione, dei nostri giorni, un po’
meno con l’ecologia…
Ma in fondo, se il movimento cinico fu una specie di umanesimo selvaggio e
disperato, e se Diogene vedeva gli uomini come escrementi, con sguardo cinico, e affettava
con suo lanternino in pieno giorno di dire:
“Cerco l’uomo”, temo che il nuovo cinico si limiterebbe a dire, guardandosi in giro: “Cerco il
q
cane”.
49
TERRITORIO
E
AMBIENTE
Agenda 21:
lavori in corso
di GABRIELE BOLLINI
L
o scorso gennaio, la Provincia di Bologna ha avviato il proprio processo di
“Agenda 21“ Locale mirante a definire
attraverso la costituzione di un Forum civico,
un piano di azione locale per lo sviluppo sostenibile del territorio bolognese, condiviso quindi dai vari attori della comunità locale, coerentemente all’adesione alla Campagna europea
“Città Sostenibili”.
Nel periodo compreso tra il 7 marzo e l’8 giugno si sono svolti 11 workshop tematici. All’attività del forum hanno aderito formalmente
circa 150 tra rappresentanti (stakeholders) di
enti pubblici ed associazioni ambientali, sociali ed economiche, enti, associazioni di categoria, ecc.. Di questi, hanno partecipato al lavoro
un centinaio, che si sono incontrati settimanalmente suddivisi in tre gruppi di lavoro, Ambiente, Economia e Società. I vari incontri hanno costituito per i partecipanti un’opportunità
di confronto e di scambio di informazioni, sulla base di dati tecnici aggiornati, per giungere
ad analisi condivise di problemi, cause ed effetti della situazione attuale, individuando
priorità di intervento, possibili azioni, target e
attori da coinvolgere.
I dati emersi dal lavoro hanno portato alla definizione di 82 obiettivi prioritari di sostenibilità
per lo sviluppo del territorio provinciale di Bologna e di circa 300 possibili azioni collegate.
Un gruppo trasversale del Forum (selezionati
fra quelli con maggiori presenze) ha poi votato
i 10 obiettivi prioritari per ambito tematico sulla base del grado d’innovazione, di sostenibilità ambientale, sociale ed economica, e di rilevanza locale (vedi tabelle allegata). Il risultato
di questa prima fase del processo costituisce il
Piano di Azione ed Indirizzo del Forum di
Agenda 21 della Provincia di Bologna.
Per la presentazione ufficiale sono stati preparati il “Quaderno di documentazione”, che ha
raccolto tutti i materiali distribuiti e prodotti
durante i workshop tematici, ed il “Piano d’Azione” contenente il documento finale, scaricabili entrambi al sito di Agenda 21: www.provincia.bologna.it/ag21.
Il piano è stato presentato in Consiglio provinciale per una sua illustrazione. I lavori del fo-
50
rum da qui a dicembre prevedono l’elaborazione dei Piani Operativi e l’attivazione delle Partnership tra settori, enti locali e soggetti coinvolti, che si assumeranno la responsabilità della
sua effettiva attuazione. Da parte della Provincia nel corso del prossimi mesi di qui alla fine
dell’anno si provvederà all’elaborazione del
Piano Operativo dell’Ente che dovrà individuare quanto è di propria competenza (fra gli obiet-
tivi e le azioni contenute nel Piano d’Azione) e
i necessari collegamenti con il Piano Esecutivo
di Gestione (PEG). Parallelamente spetterà ai
Progetti e Piani Settoriali della Provincia, primo
fra tutti il Piano Territoriale di Coordinamento
Provinciale in corso di elaborazione, di assumere al proprio interno gli obiettivi di sostenibilità e le relative azioni individuate dal Piano
q
d’Azione Locale di Agenda 21.
I 30 OBIETTIVI PRIORITARI:
Industria/attivitˆ economiche
¥ Creare figure professionali necessarie
allÕeconomia locale
¥ Promuovere tecnologie e processi
Òpi• pulitiÓ allÕinterno delle imprese
¥ Valorizzare lÕofferta turistica
nel territorio
Agricoltura
¥ Valorizzare prodotti locali con criteri
ambientali
¥ Aumentare la formazione per la
qualificazione professionale
¥ Incrementare lÕinformazione lungo
tutta la filiera
Servizi
¥ Potenziare lÕeconomia con attivitˆ
produttive ambientalmente compatibili
¥ Valorizzare ed integrare la rete dei
trasporti
New economy
¥ Innescare un circolo virtuoso tra
consumatori, P.A. e imprese
¥ Avvicinare le banche allÕeconomia
sostenibile
Acque e difesa del suolo
¥ Favorire la cultura della salvaguardia e
del risparmio delle risorse
¥ Riqualificare lÕambiente montano
Risorse, emissioni e rifiuti
¥ Ridurre lÕinquinamento dovuto al traffico
veicolare
¥ Ridurre la quantitˆ di rifiuti non riciclabili
¥ Minimizzare lÕuso di risorse non
rinnovabili
Aree protette e biodiversitˆ
¥ Pianificare il recupero verdi e
diminuirne il degrado (lungo periodo)
¥ Creare una rete ecologica,
rinaturalizzare le zone fluviali
¥ Promuovere la cultura sulla biodiversitˆ
e sullo sviluppo sostenibile
Energia e cambiamenti climatici
¥ Sperimentare strumenti per ridurre i
consumi energetici tra diversi settori
¥ Sviluppare tecnologie ÒpuliteÓ
con minor consumo energertico
Sicurezza
¥ Ridurre lÕisolamento delle fasce pi•
deboli
¥ Ridurre quantitˆ ed entitˆ degli incidenti
stradali
Salute
¥ Diminuire la concentrazione di agenti
chimici e fisici nellÕambiente
¥ Diminuire lÕinquinamento da traffico
¥ Riqualificazione urbana
Patrimonio culturale
¥ Fornire motivazioni forti
allÕavvicinamento al patrimonio culturale
¥ Progetto ÒBologna museo a cielo
apertoÓ
¥ Stimolare lo sviluppo di una cultura
che parta dai cittadini Òdal bassoÓ
Coesione sociale
¥ Responsabilizzare la societˆ civile
sulle soluzioni alle fratture sociali
¥ Diffondere una cultura della solidarietˆ
e della tolleranza
GRANDI INFRASTRUTTURE
Un gioiello del sistema Bologna
di FRANCESCO BACCILIERI
È l’Interporto, che ha da poco compiuto trent’anni
I
l gigante sorge nel pieno della nostra pianura, tra i comuni di Bentivoglio e S.
Giorgio di Piano, lungo l’asse viario Bologna-Padova-Venezia. Ha compiuto da poco
trent’anni di vita, durante i quali ha cambiato il
proprio nome e si è ingrandito sino a diventare
il più importante del suo genere in Europa. I
bolognesi, giustamente, gli riconoscono un
merito storico, quello di avere contribuito a decongestionare le strade cittadine dall’inquinamento e dal rumore causati dal transito dei tir.
Il tentativo di liberare il centro storico e i viali
di circonvallazione dalla presenza ingombrante e fastidiosa dei mezzi pesanti fu infatti l’obiettivo prioritario che, il 22 giugno del 1971, i
soci fondatori – Comune, Provincia, Camera di
Commercio e le associazioni degli autotrasportatori – misero in capo al neonato Autoporto
Bologna S.p.A. I risultati non si fecero attendere, a tal punto che ben presto ci si rese conto
che esisteva lo spazio per fare della struttura un
nodo vitale della logistica e dell’intermodalità.
Stiamo parlando, lo avrete già capito, dell’Interporto, un colosso arrivato attualmente a smistare, in entrata e in uscita, circa 3 milioni e
mezzo di tonnellate di merci all’anno, quasi la
metà delle quali movimentate per via ferroviaria. Una vera e propria cittadella, insomma, interamente cablata, con una superficie complessiva di oltre 2 milioni di metri quadrati, dotata
di un terminal ferroviario; un centro doganale
dove si trovano anche una delegazione della
Camera di Commercio, uno sportello bancario
ed un ufficio postale; 12 ribalte gomma/gomma; 4 ribalte ferro/gomma; magazzini generali
e per la logistica; una stazione di servizio per il
rifornimento ed il lavaggio degli autocarri;
un’area di servizio che dispone, tra l’altro, di
un ristorante e un bar.
L’Interporto occupa stabilmente circa 1500 addetti ed al suo interno sono attive 75 imprese
operanti nei comparti della logistica e del facchinaggio, dell’autotrasporto, della spedizione
aerea, internazionale e doganale. Oltre 4000
sono gli automezzi che ogni giorno vi transitano in entrata e in uscita, mentre gli impianti ferroviari coprono una superficie di circa 358 mila metri quadrati e sono in grado di movimentare 16 treni bloccati al giorno, in arrivo e in
partenza, su base annua. Sino ad oggi la società
che gestisce l’infrastruttura ha effettuato investimenti che superano i 334 miliardi di lire, che
si stima saliranno a 400 con il completamento
delle opere ferroviarie e dei lavori previsti dal
primo piano particolareggiato. Tornando ad
analizzare il tema del traffico su rotaia, che, a
detta di tutti, rappresenta l’unica soluzione per
attenuare il sempre più pesante impatto ambientale della viabilità su gomma, i volumi fatti registrare dall’Interporto sono in costante aumento e, quel che più conta, presentano ancora
degli interessanti margini di miglioramento.
Ad oggi sono attestati sul milione e 400 mila
tonnellate di merci, una quantità che in ogni caso corrisponde al carico di circa 55 mila camion, che, senza l’Interporto, si sarebbero
senz’altro riversati sull’asfalto, con tutte le
conseguenze negative che tutti noi ben conosciamo.
Alla luce di questi numeri, non si può non rilevare come quella di cui ci stiamo occupando sia
una realtà di cui andare fieri, un vero e proprio
fiore all’occhiello del cosiddetto ‘sistema Bologna’, un’infrastruttura in costante sviluppo,
in grado di contribuire concretamente a rendere sempre più attrattivo il complesso del nostro
territorio: «Abbiamo già avviato – sottolinea
Giuseppe Petruzzelli, dal 1995 presidente dell’Interporto – i lavori per la realizzazione di
nuovi 20 mila metri quadrati di magazzini, ormai tutti affittati, per un investimento di una
ventina di miliardi di lire. Dal punto di vista
strutturale, immobiliare, siamo già entrati nella fase del secondo piano particolareggiato, che
prevede anche un’ulteriore espansione dei servizi alle imprese, soprattutto sotto il profilo
della qualità. In quest’ottica, ad esempio, siamo intervenuti per migliorare il versante della
sicurezza, completando le recinzioni e dotando
di telecamere tutti gli accessi. Anche per il
prossimo futuro – prosegue Petruzzelli – continueremo sulla strada tracciata in questi anni,
che è stata quella di riuscire a fornire agli operatori un valore aggiunto fatto, tra le altre cose,
di servizi telematici ed informatici di assoluta
avanguardia, di capannoni costruiti secondo
criteri tecnici innovativi, di una serie di utili
supporti per gli utenti, quali gli sportelli bancari e postale. Il fatto poi di essere il primo interporto interamente cablato d’Europa e di ospita-
re al nostro interno così tante aziende, ci rende
senz’altro un polo attrattivo molto interessante
per la nascita di nuove attività imprenditoriali».
Lo stato di salute certamente buono che emerge dal quadro dell’Interporto che siamo venuti
dipingendo, non deve però fare pensare che
manchino gli aspetti operativi bisognosi di un
impulso decisivo, anche grazie al contributo di
altri attori: «In tema di viabilità – riprende Petruzzelli – desideriamo impegnarci per risolvere i problemi causati dall’aumento indiscriminato dei camioncini e dei furgoni adibiti al trasporto merci. Essi hanno ormai letteralmente
invaso la città e occorre studiare al più presto
delle soluzioni al riguardo, così come è neces-
sario sbloccare, con l’aiuto determinante della
Provincia, l’ormai annosa questione della bretella di Funo, un’opera che sgraverebbe la zona del Centergross e dell’Interporto da un traffico sempre più insostenibile. Come società,
inoltre, abbiamo il dovere di contribuire a realizzare una vera e propria rete logistica, che ancora manca in Italia e di cui le stesse aziende
industriali sentono il bisogno urgente. Per fare
ciò, bisogna puntare non solo sull’intermodalità gomma-ferro, ma anche su quella mare-terra. Per quanto concerne infine il rapporto con
le altre infrastrutture bolognesi, dovremo lavorare sempre più in sinergia e valorizzare al meglio le grandi potenzialità che possediamo, con
l’obiettivo di migliorare il nostro sistema industriale e di attrarre preziosi capitali provenienti
dall’estero. Noi – conclude Petruzzelli – offriamo la nostra esperienza e la capacità di trasportate e di gestire le merci in maniera innoq
vativa».
51
NEWS
Riorganizzazione del trasporto
pubblico
Nei giorni scorsi la Regione Emilia-Romagna,
la Provincia di Bologna, i Comuni di Bologna
e Imola hanno sottoscritto un importante accordo di programma sul trasporto pubblico, in
vista della liberalizzazione prevista per il 2004,
quando i servizi di trasporto saranno affidati
tramite gare pubbliche. L’accordo disciplina,
tra l’altro, i servizi minimi di bacino per gli anni 2001-2003 e indica gli investimenti per la
riorganizzazione della mobilità e la qualificazione dell’accesso ai servizi di interesse pubblico. In particolare, verranno destinati 420 miliardi (circa 140 ogni anno) ai servizi auto – filo tranviari, anche se i chilometri di trasporto
pubblico diminuiranno, ma saranno distribuiti
in modo da non penalizzare nessuno. I chilometri in meno, tra l’altro, saranno recuperati
con un aumento di servizi nel bazzanese. Sono,
invece 61 i miliardi destinati agli investimenti
strutturali per migliorare la mobilità: tra i progetti previsti c’è il collegamento tramviario tra
San Lazzaro e la nuova fermata ferroviaria Caselle. Nell’ambito dell’accordo, la Provincia e
i Comuni di Bologna e Imola si sono impegnati per la realizzazione di un’agenzia per la mobilità entro il 2002. L’agenzia avrà il compito
di bandire le gare per l’affidamento dei servizi.
Articolo 19: un nuovo strumento
a disposizione dei
Rappresentanti dei Lavoratori
per la sicurezza
Nel mese di ottobre è uscito quale supplemento, il n. 0 del nuovo bollettino a supporto del-
l’attività dei Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (R.S.L.). Costituisce
uno strumento informatico
agile e semplice per la circolazione di idee, opinioni
e confronti nell’ambito della complessa materia della
sicurezza negli ambienti di
lavoro.
“Articolo 19”, bollettino di
proprietà dell’Amministrazione provinciale di Bologna, vede la partecipazione
ed il coinvolgimento dei
vari soggetti aderentiail
SIRS, il Servizio Informativo per i Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza che, nato agli inizi del 1998, è attualmente costituito dalla Provincia di Bologna,
dai quattro Dipartimenti di Sanità Pubblica delle Aziende USL della Provincia di Bologna e
dalle OO.SS. CGIL, CISL e UIL provinciali.
Questo nuovo strumento d’informazione ha cadenza bimestrale e viene divulgato a tutti gli
operatori istituzionali che si occupano di prevenzione, in quanto si giunge ad un miglioramento delle condizioni di sicurezza negli ambienti di lavoro attraverso il coinvolgimento,
l’interessamento e l’attenzione di tutti i soggetti attori nel campo della sicurezza.
All’interno del bollettino gli spazi verranno dedicati allo sviluppo di temi di particolare interesse, alle esperienze realizzate dagli RSL di
singole aziende o comparti ed infine una pagina verrà messa a disposizione dei lettori (RLS,
ma non solo) per commenti, critiche, proposte,
domande su tutte le problematiche sia tecniche
che organizzative con cui il rappresentante dei
lavoratori si confronta quotidianamente.
Sono graditi suggerimenti e contributi che saranno fondamentali per il proseguo di questa
nuova esperienza. Riportiamo quindi
di seguito i recapiti telefonici e di posta elettronica dove potete contattarci per qualsiasi informazione:
SIRS:
Daniela Patelli,
tel. 051.6079936,
e-mail:
daniela.patelli@ausl.bologna.it;
Leonildo Morisi,
tel. 051.6079934,
e-mail:
leonildo.morisi@ausl.bologna.it
Provincia di Bologna:
Anna Maria Zacchi,
tel. 051.218492,
e-mail:
annamaria.zacchi@
provincia.bologna.it
52
Il ciclo delle acque
La salvaguardia e la valorizzazione delle risorse
idriche rappresenta uno degli obiettivi strategici
dell’assessorato provinciale all’Agricoltura. L’azione dell’Assessorato tende a garantire agli
agricoltori le necessarie quantità d’acqua per le
colture di pregio durante tutto l’anno utilizzando
le risorse idriche superficiali e riducendo i prelievi dalle falde sotterranee. In questo contesto
acquista particolare rilievo il progetto approvato
dal Comune di Anzola dell’Emilia per convogliare le acque reflue del depuratore comunale in
una rete di canali per l’irrigazione agricola, con
una portata di 100 litri al secondo. Il progetto
prevede la realizzazione di una condotta di circa
1.500 metri e di un impianto di sollevamento per
convogliare la portata scaricata dall’impianto comunale di depurazione nel territorio compreso
fra i torrenti Ghironda e Martignone completamente sprovvisto, durante la stagione irrigua, di
risorse idriche. Il progetto, messo a punto in accordo con le associazioni agricole e il consorzio
di bonifica Reno Palata, comporterà una spesa di
480 milioni di lire, interessa una superficie di
1.100 ettari e 270 aziende.
Patti dÕamicizia con il popolo
saharawi
Nel territorio provinciale bolognese ferve l’attività a favore del popolo saharawi che, fuggito
dal proprio Paese occupato militarmente dal
Marocco, ormai da 25 anni vive in campi profughi. Due patti di gemellaggio sono stati infatti sottoscritti l’1 ottobre nella cornice della
sala Rossa di palazzo Malvezzi. Uno, fra la
Provincia di Bologna e la Provincia di Smara,
l’altro, fra i Comuni di S. Agata Bolognese e di
Echderìa. Il 9 ottobre scorso, invece, il Comune di Medicina ha siglato un patto di amicizia
con il Comune di Tifariti durante una seduta
speciale del Consiglio.
NEWS
La Provincia, nel cui territorio sono stati ospitati 10 dei 40 bambini Saharawi accolti in Emilia-Romagna, è giunta a questi accordi dopo un
lungo cammino. A febbraio 2000, in occasione
dell’anniversario dell’indipendenza del popolo
Saharawi, una delegazione istituzionale visitò
la tendopoli di Tindouf, nel deserto algerino; il
10 aprile, sentita la relazione dei partecipanti,
il Consiglio provinciale si pronunciò a favore
di un’azione di solidarietà ed aiuto materiale
verso questo popolo; nei mesi successivi la
giunta provinciale si è attivata per giungere all’accordo formale di gemellaggio.
Albanella minore: gli interventi
della Provincia per
salvaguardare il rapace protetto
La Provincia di Bologna è impegnata da alcuni
anni nella salvaguardia dell’Albanella minore
(Circus pygargus), un rapace di medie dimensioni (circa 110 cm di apertura alare) presente
in tutta Italia con circa 300 coppie. L’Albanella, considerata una specie “particolarmente
protetta”, dal 1999 è monitorata dal Corpo di
Polizia Provinciale nella fascia collinare bolognese dove 15-20 coppie, nidificando negli arbusteti spontanei, non risentono dell’incidenza della mecISITA UIDATA RATUITA AL
canizzazione agricola (fra le
USEO ORANDI
maggiori cause della riduzione della specie), e in un’area della bassa
A partire dall’11 ottobre tutti i giovedì, alle 16,30, viepianura bolognese, dove invece nine organizzata una visita guidata gratuita alle sale del
dificano una decina di coppie nei
Museo Morandi. Non sono ammessi gruppi di oltre 10
campi di frumento. Negli ultimi tre
persone ed è indispensabile prenotare al numero 051
anni hanno preso l’involo oltre tren– 203332. Il prezzo del biglietto d’ingresso è di 8.000
ta giovani rapaci, a seguito di interlire; per i dipendenti della Provincia che presenteranventi volti ad impedire la distruziono il badge il prezzo scende a 6.000 lire.
ne delle uova o l’uccisione dei pulcini al momento della mietitura.
V
M
G
M
G
VITTORIO PRODI PRESIDENTE DEL
COMITATO PROMOTORE DELLA
FONDAZIONE PER LA
SCUOLA DI PACE DI MONTE SOLE
La proposta del presidente della Regione Vasco Errani di designare il presidente della Provincia Vittorio Prodi alla guida
del Comitato promotore della Fondazione per la Scuola di pace di Monte Sole è
stata accolta all’unanimità dai componenti del comitato stesso. A Prodi sono
stati affidati i compiti di “traghettare” il
Comitato verso la costituzione della Fondazione, di riprendere e rafforzare l’attività della Scuola, di perfezionarne lo Statuto, di implementare le risorse e di costituire, infine, in tempi brevi un gruppo
tecnico necessario per avviare l’attività
vera e propria della Fondazione. Nel corso dell’incontro si è anche approntato un
calendario delle future iniziative, che vedranno tra l’altro la riconferma dei
“Campi a 4 voci”, gruppi di convivenza e
studio fra giovani palestinesi, israeliani,
italiani e tedeschi.
Inaugurato nuovo istituto tecnico
Cordoglio per Massimo Gorni
É stata inaugurata a San Giovanni in Persiceto la nuova sede dell’istituto tecnico e scientifico “Einaudi-Galilei”. Il polo scolastico - ampliato dalla nuova costruzione che permette di unificare anche il liceo scientifico - ospita ora tutte le classi dei quattro indirizzi di studio dell’Istituto: liceo
scientifico, tecnico industriale, geometri e ragionieri. La nuova ala (che è costata 5 miliardi di lire e va ad aggiungersi al fabbricato funzionante dal gennaio 1995, costato 9 miliardi di lire) rappresenta solo l’ultimo dei molti interventi di edilizia scolastica che la Provincia di Bologna sta
effettuando dopo che, con la Legge 23 del 1996, ha assunto la titolarità di tutte le scuole superiori
pubbliche del territorio. Lo sforzo economico (11,4 miliardi solo nel 2001) e organizzativo che
l’Amministrazione sta compiendo sull’edilizia scolastica è volto a riequilibrare e migliorare la
qualità dell’offerta edilizia complessiva del territorio, nonché a rispettare il termine ultimo del
2004 per la messa a norma di tutte le scuole. Agli interventi già finanziati si aggiungono le nuove opere: in cantiere ci sono tra l’altro la costruzione dell’Istituto tecnico industriale statale (Itis)
di Porretta Terme (costo previsto, 7 miliardi) e la realizzazione di un’unica sede del polo scolastico di Molinella (costo previsto, 5,5 miliardi) per unificare le sezioni staccate di tre istituti tecnici e professionali (Itc e Ipc di Budrio e Ispia del “Fioravanti” di Bologna).
Si sono svolti il 9 ottobre scorso, a Sermide in
provincia di Mantova dove risiedeva, i funerali
dell’ingegnere Massimo Gorni, funzionario del
settore Lavori pubblici della Provincia, responsabile per la manutenzione dei fabbricati scolastici, deceduto per le conseguenze del gravissimo incidente del 3 ottobre mentre verificava le
condizioni del tetto della palestra del Polo scolastico “Giordano Bruno” di Budrio. La notizia
della morte di Gorni ha profondamente colpito
gli amministratori e tutto il personale dell’Ente
che lo conoscevano, ne apprezzavano la serietà
e la competenza professionale. «È una tragedia
che ci lascia attoniti» aveva detto il presidente
della Provincia Vittorio Prodi stringendosi a
nome di tutta la Giunta attorno ai familiari.
L’ingegner Gorni era nato il 13 giugno del 1965
a Sermide, in provincia di Mantova ed era sposato. Laureato in ingegneria civile, era stato assunto in Provincia nel giugno del ’94 con la
qualifica di funzionario del Settore pianificazione territoriale; nel ’98 era diventato funzionario dei Lavori pubblici e come direttore dei
lavori avrebbe seguito l’opera di ristrutturazione della palestra di Budrio.
Anche la redazione di “Portici” si unisce al dolore della famiglia, esprimendo il più profondo
q
cordoglio per la scomparsa del collega.
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R ICOMINCIAMO A ...
Dove va la cucina bolognese?
di ALESSANDRO MOLINARI PRADELLI
S
e riuscirò a non farmi prendere dalla
rabbia e dalla passione, allora avrò
appagato la mia città proprio come
vorrei, soprattutto per quei giorni felici,
quando certi angoli profumano davvero per
il brodo che si concentra, per certi bollori di
carni lesse ed insaccati, per certi ragù, friggioni, arrosti, contorni, formaggi e torte o biscotti.
Il grande risveglio delle cucine multietniche
ha portato, incredibilmente, al ritorno ben
visto della tradizione, più o meno ingentilita
ed arricchita, pur sempre l’espressione più
vicina al vero nostrano.
Possibile che la fama di Bologna, goduta
fuori dalle mura, corrisponda sempre meno
alla qualità; senza parlare dei prezzi spropositati, a volte meritevoli perfino di contestazione. Ci fosse una stampa più attenta e competente, meno di parte, si potrebbero impostare davvero laboratori del gusto, ma non
solo rivolti ai soli consumatori: visto che le
nuove generazioni di cuochi ne sanno più di
mozzarella e rucola.
Perché meravigliarsi e lamentarsi dei giovani se i vecchi cuochi, poveri, fanno finta di
non sapere, di non riconoscere scempi e volgarità riportate sui libri e sulle pubblicazio-
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ni ufficiali, che dovrebbero prima di tutto garantire la verità e non la convenienza e l’affare.
Allora, poveri ristoratori, si sarebbero mossi
volentieri in mia compagnia per cancellare
le nefandezze della Confraternita del tortellino (si chiamerebbe Dotta Confraternita,
ma non me la sento di definirla dotta, anzi,
avrei buona ragione per chiederne la cancellazione, meglio ancora la chiusura), quando
il ripieno dei tortellini viene raccontato (raccomandato) come dal testo depositato presso la camera del Commercio cittadina.
Purtroppo debbo ripetermi (lo faro’ fino a
stancarmi), perché da serio bolognese ci tengo a difendere la storia vera, la tradizione.
Come se non bastasse, possibile che nessuno
si fosse accorto della discutibile pubblicazione La cultura del cibo, piatti e menu’ per
Bologna 2000; dove mancano ricette di dolci, ad esempio; dove si citano prodotti che
nulla hanno da spartire con Bologna, vedi:
l’olio di Brisighella, l’aceto balsamico tradizionale di Modena, il culatello di Zibello, il
prosciutto crudo di Parma e il formaggio di
fossa di Solignano al Rubicone.
Ultima perla, la ricetta del vero tortellino di
Bologna (pag. 31 della pubblicazione), dove
non è prevista la pasta.
Bando alle castronerie (che fanno male a tutti, se è vero che queste pubblicazioni sono rivolte soprattutto ai turisti; anche stranieri,
provo ad immaginare) e torniamo alla tradizione, semplice, già descritta (non solo da
me) e raccontata con dovizia di particolari.
Basterebbe cercarli.
Se sono preoccupato, imbestialito dall’ignorante prosopopea di certa ristorazione, immaginarsi cosa pensare a proposito dell’innovazione, che ha deciso di proporre di tutto
e di più, ma non soltanto con piatti dei territori limitrofi, comodo, ma da altri stati, da
altri continenti; basti saggiare il fritto, per
noi, uguale oro, non nocciola o marrone come in Piemonte o in Liguria, ad esempio.
Panare e friggere non vuol dire bruciare, ma
bensì racchiudere in uno scrigno elegante e
leggero (poca panatura) la carne, la crema,
la verdura, la frutta ed avvolgerla in un involucro odoroso e croccante, di strutto più
che di olio.
Macché, ormai la pastella più usata dalle nostre parti è ripresa dall’Asia, così il tegame
(padella, se preferite), così i sapori.
Per questo facile del consumo sentito dire,
del recuperato, del recuperato dal viaggio,
della supponenza di essere bravi come gli altri, ecco le nostre cucine si trasformano in
palestre, dove provare esercizi nuovi, dove
mescolare culture, dove lasciare al caso,
senza garantire la tipicità.
Il turista viene a Bologna per assaggiare la
famosa cucina locale (veramente anche i residenti), e dove la trova più?
Quando il ristorante non ha il bollito di carni tra i secondi piatti, come potrà servire i
tortellini nel brodo di carne vero?
Quella carne l’ha buttata, invece di servirla
anche insieme al friggione, in polpette, in
crocchette, in tortino, in…
Dove s’è nascosto il carrello dei bolliti?
Dove va la cucina bolognese? É difficile dirlo, visto la discontinuità delle proposte, la facilità con cui aprono o chiudono locali, con
cui si cambiano i cuochi.
Cos’è rimasto della tradizione?
Poco, molto poco; forse il sentito dire, a volte perfino il raccontato male; eppure buone
notizie serpeggiano in locali dove operano
ristoratori giovani, perché la nonna, la mamma, la suocera collaborano volentieri.
Da vecchi bolognesi come siamo, guai se ci
mancasse fiducia e ottimismo; puliamo la
scena dalle improvvisazioni scellerate, ritorniamo a guardare all’ospitalità, caso mai
fatta anche solo di qualche fetta di polpettone, con l’uovo sodo al centro, ricoperta di
profumatissima maionese.
R ICERCA
In difesa della ragione
di STEFANO GRUPPUSO
Anche una sezione emiliano-romagnola del CICAP (Comitato Italiano per
il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale) per investigare sui
fenomeni ai confini della realtà
C
hiaroveggenza, precognizione, sedute spiritiche, telepatia e altri fenomeni del mistero e dell’occulto
sono, da oltre dieci anni, sotto l’occhio scientifico del CICAP, il Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul
Paranormale. L’associazione, il cui fondatore è Piero Angela, ha come membri onorari
figure scientifiche del calibro dei Nobel Rita
Levi Montalcini e Carlo Rubbia, nonché,
quali garanti, altre famose personalità della
scienza e della cultura, tra cui l’astrofisica
Margherita Hack, il farmacologo Silvio Garattini e il pedagogista Aldo Visalberghi.
Da circa quattro anni il CICAP ha istituito
una propria sezione in Emilia Romagna. Ne
è vicepresidente Davide Guidetti, docente di
matematica all’Università di Bologna.
«C’è stato, in concomitanza con il passaggio
del secolo, anzi del millennio, un momento di
forte crescita di interesse per tutti i fenomeni
medianici e di precognizione - afferma il professore - la gente aveva il desiderio di anticipare il futuro. L’oroscopo, in pratica, ha catturato grandissima attenzione ed è stato il tema più seguito sui mezzi di comunicazione.
Constatato che il cambiamento del calendario, pur così carico di simboli, nulla di particolare aveva prodotto e che anche il famo-
so ‘baco del millennio’, peraltro
più tecnologico che paranormale,
non aveva causato quella catastrofe informatica più volte annunciata, il picco di interesse è
rientrato. Pur tuttavia il mondo
dell’occulto rimane un’area molto vasta, un luogo in cui molta
gente si rifugia spontaneamente o
è spinta ad entrare da abili ingannatori. È certo che intervengono
meccanismi psicologici profondi». La realtà descritta dalla
scienza lascia poco spazio alla fantasia. E a
molte persone ciò non piace affatto. Sono
molto più attratte dal mistero e da quel mondo dove irrazionalità, seduzione e illusioni si
mescolano. A tutto questo può anche aver
contribuito una cattiva immagine della
scienza spesso presentata dai mass media
nelle due polarità estreme: o come fonte del
male, dalla scienza abbiamo armi sempre
più pericolose e inquinamento in crescita, o
come strumento di un bene mai raggiunto,
come quando, ad esempio, la scienza annuncia vittorie su malattie, come il cancro, che
invece continuano a rimanere molto diffuse.
E qui si apre un altro importante aspetto del
problema che è la corretta comunicazione
scientifica, spesso messa da parte per fare
posto allo scoop, molto vantaggioso sul pia-
no commerciale, ma deleterio sul piano educativo.
Ma come opera il comitato? Quale il suo
rapporto con il paranormale?
«Noi cerchiamo - continua il vicepresidente
- di indagare direttamente su base scientifica i vari fenomeni incontrando di persona
chi afferma di avere poteri straordinari. Circa due anni fa, ad esempio, ricevemmo una
lettera da una signora di Reggio Emilia che
diceva di possedere, fin da bambina, dei poteri paranormali, tanto che nell’infanzia
aveva avuto dei problemi relazionali perché
era un po’trattata come una specie di strega.
In pensione dopo una vita come infermiera,
svolgeva l’attività di pranoterapeuta. Il potere principale che dichiarava di possedere
non era però quello legato alla pranoterapia,
ma consisteva nella capacità di evocare e
parlare con i defunti in qualche modo legati
a chi la interpellava oppure di riconoscere il
proprietario degli oggetti semplicemente
toccandoli. Concordammo con la signora lo
svolgersi della sperimentazione che eseguimmo in una sede prestigiosa: il Mauriziano di Reggio Emilia, la vecchia casa di Ludovico Ariosto. Prelevai dieci oggetti, otto di
questi erano chiavi, da altrettante persone e
sottoposi a prova la signora. L’esito fu disastroso: non azzeccò neppure una risposta
esatta. Il commento sconsolato della donna
fu: eppure a casa mi veniva». Per fare più
chiarezza sui fenomeni normali, ma che non
trovano una facile spiegazione, e su quelli
paranormali, il CICAP organizza un importante convegno nazionale che teniamo al
Teatro Ariosto di Reggio Emilia dedicato alle Medicine Alternative. Si svolgerà dal 9
all’11 novembre e vi parteciperanno medici,
psicologi, fisici,chimici e tanti altri studiosi.
Vi sarà anche una serata speciale dal titolo ‘
Misteri…risolti’ presentata da Piero Angela,
nel corso della quale verranno assegnati i
premi giornalistici ‘In difesa della ragione’.
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MOSTRE
Spazio arte
F
ino al 15 novembre, presso la Galleria
d’Arte Moderna di Bologna è allestita la mostra antologica curata da Pier
Giovanni Castagnoli, intitolata con un’eloquente semplicità: Sergio Romiti. Un’occasione per riflettere sul percorso creativo dell’artista bolognese scomparso poco più di un anno
fa e che era già stato ospitato negli spazi della
galleria bolognese nel 1976. Si tratta di un centinaio di opere dal tracciato rigoroso d’ascendenza morandiana, ma di una vitalità, un colore ed uno spessore materico tutto personale. Segni ‘affidati’ alla carta, poi cancellati sì da
lasciarne solo tracce che l’occhio dello spettatore deve seguire e ricomporre; sprazzi di colore dalla forte gestualità o stesure cromatiche di
più ampia estensione e distensione si alterano e
testimonianza di una personalità dell’arte
drammaticamente concisa e mnemonicamente
selettiva e non per questo, anzi proprio grazie a
questo, non transitoria.
A ciò si aggiunga, con le parole del curatore:
«Accade così che degli oggetti quotidiani costituiscano, nella pittura di Romiti, altrettante
scene entro le quali il fantasma si manifesta:
non il fantasma che intacca per l’intelletto la
certezza corporea delle cose e rivela la loro superficie metafisica, bensì quello che, disponendo della memoria dell’inconscio, è fondamento di ogni sua archeologia e che, fondendo e
deformando in tracce gli atti e le cose rimanda
soltanto a visioni parziali e lacunose».
Il Miracolo dei quaranta annegati e La resurrezione di Napoleone Orsini. Questi i titoli
delle due grandi tele secentesche della chiesa di
San Domenico a Bologna eseguite da Giovanni Andrea Donducci detto Mastelletta per decorare le pareti laterali dell’edificio cittadino
con le raffigurazioni dei miracoli compiuti dal
santo.
Oggi, i due dipinti sono stati ricollocati nella
loro sede originaria dopo un restauro conservativo finanziate dal Ministero dell’Interno. In
realtà le opere erano già state felicemente restaurate da Arturo Raffaldini dopo la seconda
guerra mondiale, ma il tempo trascorso aveva
richiesto un’ulteriore pulizia e consolidamento
che hanno permesso anche il riemergere di figure - dipinte in una prima stesura dall’artista
che le aveva, poi, parzialmente ricoperte e lasciate come sfondo scuro - rese ormai pressoché indistinguibili dai segni del tempo.
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Da ricordare, poi, un’iniziativa che sembra proseguire idealmente la tradizione settecentesca dei
viaggi in Italia compiuti
da stranieri in cerca di
suggestioni artistiche che
il patrimonio, soprattutto
romano, del nostro paese, poteva stimolare.
Si tratta dell’esposizione
dell’artista francese Annie Favier La luce e la
memoria organizzata su
iniziativa dell’Ordine degli Architetti di Bologna. Protagonista delle tele è il portico di Bologna, quel lungo, lunghissimo percorso che da secoli connota l’architettura bolognese, cittadina e provinciale, e che da
sempre colpisce l’attenzione degli stranieri,
mentre spesso i bolognesi lo dimenticano.
Da Bologna a Castel San Pietro Terme per un’iniziativa dal titolo Mostre a castello: l’artista
al lavoro, una serie di quattro mostre curate da
Bruno D’Amore ed incentrate “sulla figura dell’artista al lavoro nel proprio atelier”. Pirro Cuniberti, Elio Marchegiani, Concetto Pozzati dal
17 novembre al dicembre p.v. e Giovanni Mundula, i protagonisti di un viaggio che è prima di
tutto un confronto con il loro stesso fare arte.
Poi, dopo il gesto, il risultato. Un risultato artistico che, al di là delle diverse poetiche, peculiari di ogni protagonista, sia capace di sfidare
transitorietà ed oblio del tempo nella coerenza
di una ricerca personale che dura da anni ma
anche nella peculiarità comunicativa di ogni
singolo linguaggio espressivo. Queste le ragioni ed il senso delle mostre a castello, nelle parole del curatore che suggellano tutti i cataloghi degli esposti: «Scelgo artisti concentrati
sul proprio operare, che davvero lavorano
creando, che mai danno l’impressione di risul-
In senso orario:
la tela recentemente
restaurata “La
Resurrezione di
Napoleone Orsini”
di Giovanni Andrea
Donducci detto
Mastelletta.
Di Tonino Gottarelli
“Voglia di dipingere una
rosa” e di Sergio Romiti
“Composizione, 1963”
tati evanescenti sorti per caso o sull’onda di
mode; scelgo artisti che invece dettano le mode, in grado di indicare i riferimenti semiologici e semantici del proprio operare, che sanno
spiegare a chiunque la logica per quanto endogena del proprio fare; il fare, dunque, come entità propulsiva e vitale, come essenza stessa
della produzione dell’oggetto dell’arte, come
indicazione metodologica e didattica».
A San Giorgio in Poggiale, infine, per ricordare la mostra di Tonino Gottarelli Varie, antiche
immagini, curata da Marilena Pasquali che firma anche il testo nel catalogo che rimane a testimoniare l’evento.
Le parole, quelle di Marilena Pasquali, per disegnare un percorso di lettura attraverso le immagini riprodotte dell’artista, le sue figure, i
suoi colori, ma anche le sue scritture, perché:
«Tonino Gottarelli è un artista complesso che
accompagna la parola all’immagine come
specchiando l’una nell’altra», egli «non è solo
un uomo di pensiero che dipinge e scrive, alternando i due linguaggi secondo logica e sensibilità, perché a volte ama anche usare il segno
grafico, la figura stessa della parola nel contesto della pittura come parte integrante non secondaria dell’immagine». Lorenza Miretti
Studi per l’ambiente
LUCA PICCININI
I
l bozzetto fa parte di una serie realizzata dagli studenti delle
classi III A e III B della sezione “operatore grafico pubblicitario”
degli Istituti Aldini Valeriani e Sirani, in occasione delle ricerche per la
creazione di un logo per l’Associazione Emilia-Romagna - Costa Rica
e di un manifesto sull’educazione ambientale