N°2 - 2014
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pagina 2 Seguici anche su Facebook NUMERO 2 - 2014 IN QUESTO NUMERO - Relazione del Presidente della C.N.D.A. pagine 3-7 - Mentana pagine 8-12 - Gara Vigevano pagine 13-14 - Il sud post-unitario pagine 15-18 - Eisenstadt pagine 19-20 - Record Grazioli pagina 20 - Dopo Eliopoli pagine 21-24 - ARMI SPORT pagine 25-27 - Compro/vendo pagine 28-29 - PEDERSOLI pagine 30-32 Per chi volesse inviare materiale da pubblicare (articoli, foto, disegni, ecc...) può lasciare un POST sulla pagina di facebook, oppure SCRIVERE, inviare un FAX oppure una E-MAIL alla redazione di Per tutte le altre news, classifiche e varie collegati al sito www.cnda.it c/o X.mas s.r.l. Viale della Lirica 61 48124 Ravenna fax 0544.271417 e-mail: info@cnda.it pagina 3 Relazione del Presidente della C.N.D.A. Giovanni Gentile Parma 18 maggio 2014 Egregi Presidenti, è uso, da nove anni a questa parte che l’ultimo week end di marzo io relazioni, in qualità di Presidente dell’associazione, quanto accaduto durante l’anno, intrattenendovi sui campionati italiani, gare internazionali, rapporti con altre federazioni e quant’altro attinente ad una normale vita associativa. Questa è una consuetudine ricorrente da anni in CNDA, ma in quest’ultimo anno l’atmosfera è andata degenerando. Tutto è iniziato, a mio modesto parere, dopo la mancata elezione in CD della CNDA di persone che forse credevano che in CNDA esistesse il diritto di successione dinastica della carica. Alcuni di voi si sono chiesti il perché la consueta Assemblea dei Presidenti sia stata spostata? Cosa sta succedendo in CNDA? Controllo, critica all’operato del CD e del Presidente e proposte costruttive di miglioramento sono comportamenti lodevoli e che dimostrano attaccamento alla nostra Associazione. Attacchi personali e seminare discredito sulle persone o peggio ancora, sono altra cosa ….. Preso atto che purtroppo è questo che si sta verificando, ho deciso di non tenere la solita relazione ma di esporvi quanto segue e che è riscontrabile nella documentazione in mio possesso. Chi è interessato consultare tale documentazione lo può fare su richiesta o presso i miei uffici o presso la sede del Segretario Beria. Ma andiamo per ordine. Dopo la mia rielezione e quella del nuovo Consiglio Direttivo avvenuta in marzo dello scorso anno, il nuovo organo aveva il compito di assegnare ai vari consiglieri e a persone di fiducia, da questo individuate, incarichi per la gestione corrente dell’associazione stessa. Fu assegnata la vice-presidenza a Luigi Catani, la segreteria ad Alberto Beria, l’ ”ufficio sportivo ed organizzazione eventi” congiuntamente a Valerio Andriotto ed a Cesari Alessandro. Rimaneva scoperta l’assegnazione della carica di tesoriere. Per quanto invece riguarda la delega al MLAIC il Consiglio Direttivo decise di affidarla al presidente dell’associazione in quanto essendo già questi rappresentante della consociazione in Italia sarebbe stato corretto affidargli la rappresentanza anche all’estero visto anche la statuto del MLAIC. Del resto era avvenuto così con il mio predecessore Tettamanti. L’indignazione del precedente delegato Antonio Ferrerio, tra l’altro non eletto alla carica di Consigliere, fu tangibile. Preciso che la decisione del nuovo CD di non riconfermare Antonio Ferrerio non è stata presa con superficialità, ma con cognizione di causa a seguito di alcuni precedenti accadimenti. Durante il Campionato del Mondo ad Adelaide l’Antonio Ferrerio avendo saputo della riunione dei capitani della squadra non informò il capitano designato dal Consiglio Direttivo Marcello Lepore per poter partecipare al suo posto. Sempre durante il Mondiale 2008 tenutosi in Australia la delegazione italiana si presentò alla cena di chiusura della manifestazione ed inspiegabilmente solo questa non aveva né un tavolo riservato né la consueta bandiera identificativa della nazione, cosa presente invece per tutte le altre rappresentative partecipanti alla competizione. Indignato come italiano, come presidente e come sportivo, dopo aver ascoltato il parere dei consiglieri presenti, presi la decisione di abbandonare la serata manifestando l’accaduto al presidente australiano. (CONTINUA NELLE PAGINE SUCCESSIVE) pagina 4 (CONTINUA DALLA PAGINA PRECEDENTE) L’unico che espresse la volontà assoluta di rimanere era l’Antonio Ferrerio giustificando la sua tesi secondo cui in qualità di delegato doveva presenziare alla serata. Ma a norma di statuto il delegato non si attiene a quanto impartitogli dal Consiglio Direttivo? Lascio a voi ogni considerazione in merito. Alla fine, dopo l’intervento di Jean Bordeaux, responsabile della nazionale francese, e del Segretario del MLAIC David Bridgen, la delegazione italiana rientrò in sala, tra gli applausi di tutti, ritrovando un tavolo e soprattutto una bandiera. Nel 2011 fummo invitati dai francesi a Vitrolles. La CNDA organizzo un pullman per la rappresentativa italiana, ma con stupore i tiratori presenti si accorsero che i francesi avevano riservato ad essi i turni di tiro peggiori. Dovetti subire in silenzio le lamentele di tutti i presenti pur essendo a conoscenza della verità, per non far sfigurare chi allora era nel mio staff. rare tutta la rappresentativa nei buchi disponibili. Campionato del mondo di Pforzheim 2012. Viene indetta la consueta riunione MLAIC a cui partecipo assieme al delegato Antonio Ferrerio. All’ordine del giorno c’era la discussione con seguente approvazione del nuovo statuto MLAIC. Il Consiglio Direttivo aveva dato al nostro delegato il preciso compito di richiedere di non cambiare la parte riguardante il riconoscimento di un’unica federazione per Nazione. Io stesso avevo strategicamente consigliato di produrre 5 emendamenti in modo tale che ne avessi ritirati quattro sarei riuscito a far accettare la proposta dell’Italia, che, badate bene, era l’unico punto dello statuto che ci avrebbe messo in grado di resistere ai tentativi della UITS di soppiantarci come rappresentativa ufficiale dell’Italia in seno al MLAIC, tentativi già più volte perpetati con varie lettere all’attenzione del Presidente MLAIC ed al Segretario Generale. Ma anche in quella sede il delegato non si attenne a quanto gli era stato detto di fare dal CD. Colui che aveva il compito di iscriverci (nota bene doveva solo inoltrare quanto ricevuto dall’Ufficio sportivo!). Si è giustificato dicendo che in realtà la cosa “si capiva” e che quindi l’interpretazione era a nostro favore. Era il Delegato MLAIC che non aveva ottemperato al compito assegnatogli e solo grazie all’attenzione di Giancarlo Moro, riuscimmo ad inviare pochi giorni prima l’iscrizione nominativa con le varie specialità e di conseguenza i francesi, che non ne avevano assolutamente colpa, riuscirono a far spa- Faccio l’assicuratore, con le parole ci lavoro e ritenevo giustamente che l’esistenza della CNDA era chiaramente legata a doppio filo alla esplicita chiarezza di quel paragrafo. Voi cosa avreste fatto? Ve n d i . . . c e r c h i . . . scambi? fax 0544.271417 e-mail: Armi, divise, ricambi ed accessori, buffetteria libri, ecc... inserisci il tuo annuncio gratuito su Avancarica Magazine info@cnda.it pagina 5 Per tutte le altre news, classifiche e varie, collegati al sito www.cnda.it Alla luce di questi eventi avreste ancora dato fiducia a chi, come rappresentante del CNDA e quindi dell’Italia, non intendendo seguire i dettami impostogli dal Consiglio Direttivo e avesse deciso “motu proprio” a scapito di tutta la comunità? Nonostante ciò gli fu proposta la stretta collaborazione con il Delegato presso il MLAIC, che egli stesso rifiutò. Riprendiamo ora l’assegnazione della carica di Tesoriere. Dopo aver interpellato alcune persone che ritenevo all’altezza del compito che avrebbero dovuto svolgere quali Vedani Alfredo e Ferrari Pierangelo, per non caricare la segreteria di altro lavoro mi fu segnalata una persona di possibile fiducia nel socio De Marco, già socio della APN. Chiesi un parere di Valerio Andriotto, e dopo aver scambiato quattro chiacchiere con l’interessato gli affidai l’incarico pregandolo di mettersi in contatto con De Paoli per il passaggio delle consegne, che da quello che mi dice Giorgio avvenne in poco più di due minuti (!!!). La critica mossami in seguito sia da Alberto Ferrerio che da un Revisore fu che la mia scelta non era stata felice in quanto avrei dovuto immaginare l’incompetenza di un “maestro di musica”. Ed io chiedo a loro come mai non abbiamo avuto problemi con Giorgio De Paoli che nella vita lavorativa ha sempre riparato televisori? Perché questa critica non è stata mossa dallo stesso Alberto Ferrerio quando il Consiglio Direttivo in cui ricopriva la carica di Segretario aveva assegnato la carica di Tesoriere ad Eandi che gestiva un negozio di elettrodomestici ed il rendiconto che presentava era fatto di quattro righe? De Marco venne a Lugo, sede della CNDA pro tempore, dove furono cambiate le firme sul C/C e dove, essendo stato criticato per aver gestito l’home banking della Consociazione volturai la gestione dell’home banking stesso a suo nome in qualità di tesoriere. Mi limitai a chiedergli di inviarmi i cambi di password frequenti per la sicurezza Lo invitai nel mio ufficio ed in presenza di un funzionario delle Poste, dove è aperto un secondo C/C CNDA, gli fu spiegato come gestire on line il conto. Questo perché avesse le idee chiare sul compito che aveva accettato. Inoltre gli fu chiesto di preparare un programma di Excel per gestire una prima nota ed un eventuale rendiconto finale. Oltre al sottoscritto, per agevolarlo in questo compito, si era offerto per la parte informatica anche Alessandro Cesari. Nessuna richiesta di aiuto ci è stata mai rivolta. Il 28 settembre 2013 fu indetto un Consiglio Direttivo a Bologna ( e stessa richiesta da parte mia a Beria ma questa volta con scarso successo). La mattina stessa prima delle ore 09.00 ricevetti un sms con il quale il De Marco si scusava ma per motivi famigliari non avrebbe potuto presenziare alla riunione. Credendo che tutto andasse per il meglio lasciai trascorrere del tempo, ma con la gara di Ravenna convocai un Consiglio Direttivo ( 26 ottobre 2013) chiedendo al segretario Beria di invitare il tesoriere per avere un report sullo stato di cassa della consociazione e tenuta contabile. Verso la fine della riunione si presentò il tesoriere con la scusa che aveva dovuto gareggiare e ci ha comunicato solamente che il saldo del c/c postale era X e che il saldo banca era Y. Rimasi sbigottito per tale superficialità e quindi, dopo avergli consegnato dei documenti in mio possesso ci congedammo. Cominciò una spasmodica ricerca del Tesoriere via mail ed a mezzo telefono sia da parte mia che di Beria, ma di questo nessuna traccia. Al che decisi di indire un’ulteriore Consiglio Direttivo sempre a Bologna il 15 dicembre 2013 con un solo punto all’ordine del giorno: “Presentazione conti” invitando il De Marco mezzo raccomandata con R/R, che dopo alcuni mesi ritornò indietro perché non ritirata, e, con la riunione indetta per domenica mattina alle ore 9.00 ricevemmo una mail inviata il venerdì alle ore 23.15 con allegato certificato medico che attestava l’impossibilità di presenziare causa un normalissimo mal di gola. (CONTINUA NELLE PAGINE SUCCESSIVE) pagina 6 (CONTINUA DALLE PAGINE PRECEDENTI) In tale data, visto che comunque la riunione non era stata annullata, il De Marco inviava mail con una prima nota ed altri documenti che ad un prima analisi non risultavano esaustivi. Lascio a voi le considerazioni, e lo stato d’animo di persone che avevano fatto centinaia di chilometri sopportandone le spese!! Il Consiglio Direttivo decise quindi di revocare la carica la De Marco e di assegnarla a Cesari Cesare che la maggior parte di voi conosce come persona stimata e corretta. Ricevuta la mail di revoca, il De Marco assicurava la presentazione del documento finale all’Assemblea (mail del 2 gennaio 2014) salvo poi delegare i Revisori alla formalizzazione del rendiconto (mail del 18 febbraio 2014). A questo punto comincia il calvario del rendiconto, entra in scena il Ten. Dott. Vaschetti in qualità di revisore, proposto da Alberto Ferrerio, che in completo disaccordo con gli altri revisori , uno di questi è un commercialista revisore iscritto all’albo, comincia a chiedere una serie di documenti non pertinenti la revisione dell’anno passato, ma anche relazioni e rendiconti degli anni trascorsi già da voi approvati ad approvati anche dal collegio dei revisori degli anni precedenti. Tra i revisori è scontro aperto a colpi di mail, di Codice Civile e di interpretazioni. Ma di tutto questo il Consiglio Direttivo cosa sa del rendiconto che deve presentare all’assemblea? Nulla. Ad oggi, il CD non ha avuto ufficialmente alcun rendiconto da poter valutare con l’esclusione di quello redatto da un commercialista di Rovigo, “su indirizzo di Andriotto” (così si legge in una mail), che ha redatto un rendiconto e per di più errato, così come apprendo dai revisori Dell’Avo e Cortazzi. In compenso la parcella è molto bassa. nizzare una raccolta firme per chiedere le dimissione del sottoscritto. Telefonate del capo clan e comparse nei vari poligoni dell’”erede” mostrando a molti di voi incartamenti tenuti nascosti dove si portava a conoscenza gli “avvicinati” che il sottoscritto aveva avuto due condanne presso due distinti tribunali per ingiurie (art. 595 C.P.) da parte di Finocchi e da parte dell’UITS. A questo proposito ho già risposto pubblicamente anche sulla rivista “Avancarica Magazine” e non intendo tediarvi con racconti già ai più di voi noti. Chiaramente anche un altro attore è presente sulla scena con mail destinate ad eventuali “amici” per indurli alla firma di sfiducia nei miei confronti. Il candidato non eletto alla carica di presidente nell’ultima tornata, nonché grosso frequentatore e postatore di social network, mio nemico dichiarato. A norma di statuto (Art. 33) l’eventuale richiesta di dimissioni deve essere inoltrata al Presidente, tramite Racc A.R., che ha l’obbligo di indire entro quindici giorni un’assemblea e per il momento nulla mi è pervenuto Scusate ma mi rimangono alcuni dubbi: Come mai il clan Ferrerio si è così avvicinato all’UITS quando negli anni precedenti ne sentivo di tutti i colori contro quest’ultima? Come mai, essendo anche soci dell’Unione impegnati con cariche nel poligono di Somma Lombardo non hanno avuto la stessa indignazione, con conseguente raccolta di firme, nell’apprendere dalla trasmissione “REPORT” su RAI 3 andata in onda giorno 05 Maggio 2014 ore 21.00 in cui il giornalista metteva a conoscenza il telespettatore che un certo IARDELLA, già revisore dei conti della UITS, era stato condannato per usura aggravata? Bene, io una idea me la sono fatta e, confrontandomi con alcuni di voi, ho constatato che siamo giunti alle stesse conclusioni. Così è spiegato il ritardo della convocazione dell’assemblea che gli immancabili social network avevano imputato a grossi ammanchi di cassa oltre alle consuete infamie sul mio conto. Meditate, i più vecchi di voi, come iscrizione alla CNDA si intende, su quanto è accaduto al Presidente Tettamanti, al Presidente Duranti, al suo amico Gianni Polliero ed ora sta accadendo al sottoscritto. Nel frattempo il “Clan Ferrerio” comincia ad orga- La risposta l’ avete già in tasca. Per tutte le altre news, classifiche e varie, collegati al sito www.cnda.it pagina 7 Altra causa di sfiducia sarebbe derivata dalla mia idea di organizzare il Campionato del Mondo del 2016, ed un GP Italia quest’anno, nel sud Italia e nello specifico a Giffoni Valle Piana, sede di un campo di tiro privato con possibilità di 80 linee a 25 m., 40 linee a 50 m., 14 linee a 100 m. con possibilità di tiro fino a 400 m. e 2 campi per il tiro a piattello. qualche maniera poiché si sarebbe svolto in un campo privato e quel qualcuno aveva già concordato che la manifestazione si sarebbe svolta a Torino già sede del Master Game? Il mio progetto era chiaro. Di contorno a quanto da me esposto voglio aggiungere che sono anche stanco di sentire infamie quali quelle dette da Biagini al TSN di Torino in presenza mia, di Giancarlo Moro, Valerio Bozzola e Giorgio Sifletto secondo il quale è notizia certa che “qualcuno del Direttivo si fa lo stipendio” e lui ne ha le prove oppure che Giancarlo Moro porta alle gare la moglie spesato dalla CNDA o che “ se ci fosse mio padre lo prenderebbe a calci nel culo” o essere apostrofato come “quell’animale del presidente e del suo vice” Questa era l’unica possibilità per organizzare una competizione internazionale al sud in quanto nel territorio non sono reperibili altre strutture che ti garantissero le stesse possibilità e per rilanciare l’attività dell’avancarica al sud. Inoltre per far ben figurare l’organizzazione italiana sappiate che avevo un accordo di massima con i vertici di Fastweb e con Sky per trasmettere l’evento in streaming mondiale ed inoltre una congrua sponsorizzazione. Con una frase di andreottiana memoria “a pensar male è peccato ma molte volte ci si prende” Vi sembra una cosa da poco? E’ anche difficile governare una nave dove il Consiglio Direttivo rema in un verso e persone che non conoscono la realtà dei fatti raccontano falsità e menzogne sui social network. Del resto, oltre alla visibilità del nostro sport, quale modo più corretto di aumentare la pratica dell’avancarica al sud, o per decisione di qualche ben pensante questa pratica deve rimanere ad esclusivo fruizione di “nordisti” o meglio torinesi e lombardi? Ora, cari Presidenti, capite lo stato d’animo mio e dei consiglieri che con me hanno dovuto subire tutto ciò e che ci ha complicato la gestione e la programmazione della normale attività della nostra Consociazione. Anche qui i social network sono stati inondati (i 4 soliti personaggi) di frasi a dir poco stupide quali “meglio Agna sotto la pioggia che Pontecagnano” per di più scritte da soggetti che non hanno mai visitato la struttura e non conoscono neanche il progetto futuro del campo. In conseguenza a tutto quanto esposto, non essendo legato a qualsivoglia bisogno di carica, ma avendola accettata con il solo spirito di appartenenza e di sacrificio in nome della CNDA chiedo a voi di dare un giudizio sul mio operato, votando con voto palese, trarrendone in seguito le mie decisioni. Il Presidente C.N.D.A. Giovanni Gentile Forse questo progetto doveva essere bloccato in Ve n d i . . . c e r c h i . . . scambi? fax 0544.271417 e-mail: Armi, divise, ricambi ed accessori, buffetteria libri, ecc... inserisci il tuo annuncio gratuito su Avancarica Magazine info@cnda.it pagina 8 MENTANA 3 novembre 1867 Testimonianze di una battaglia. di Massimo Capone Mappa della zona dove si svolse la battaglia di Mentana con annotazioni scritte a mano da un sottufficiale zuavo che vi prese parte (da “La mano di Dio nell’ultima invasione contro Roma - Carte topografiche“ di P. Mencacci - 1868) (collezione dell’autore) E’ il mattino del 3 novembre del 1867. A Monterotondo, piccola cittadina posta quasi sulla Via Salaria, a pochi chilometri da Roma, Garibaldi si appresta a far muovere il suo corpo di spedizione per raggiungere Tivoli , distante una ventina di chilometri, transitando per Mentana, altra cittadina che sorge a due chilometri da Monterotondo. L’inizio della marcia verso Tivoli, in realtà, era stato fissato per le primissime ore del mattino, ma un ritardo, rivelatosi fatale, fa slittare la partenza che avverrà addirittura attorno al mezzogiorno. Il motivo è l’indispensabile distribuzione ai volontari di un certo quantitativo di scarpe giunte come rifornimento il giorno precedente. In realtà è anche sottovalutato un dispaccio, giunto da Roma poco dopo la mezzanotte, con il quale viene annunciata la partenza dalla capitale, in quella stessa notte, di un corpo di spedizione franco-pontificio marciante lungo la Via Nomentana, e diretto per l’appunto verso Mentana con l’intento di bloccare i garibaldini. Viene in mente la similitudine tra il buttero latore di questo urgentissimo messaggio ed il più famoso ed osannato Paul Revere che, il 18 aprile 1775, compì una lunga e veloce cavalcata notturna fino a Lexington, nei dintorni di Boston, per avvisare il contingente dei ribelli americani (gli altrettanti famosi Minute Men) dell’arrivo imminente delle truppe inglesi! Fucile svizzero da cacciatori (Jagergewehr) Mod. 1856. L’esemplare qui fotografato risulta essere uno di quelli in dotazione ai “Carabinieri Esteri” pontifici nei primi anni della loro costituzione. Nel Museo del Laterano in Roma ne è conservato un altro simile. (collezione dell’autore) pagina 9 Ed ora veniamo ad un argomento che in modo particolare può interessare gli studiosi ed utilizzatori di armi storiche. Se Garibaldi, invece di aspettare a Monterotondo per la distribuzione delle scarpe, avesse preso più sul serio il messaggio del buttero e fosse partito qualche ora prima, come peraltro inizialmente previsto, si sarebbe evitato lo scontro con i franco-pontifici e….. ma la storia non si fa con i “se”. Quali furono le armi da fuoco impiegate in quell’evento e testimonianze del loro utilizzo, basandoci anche sui reperti conservati a Mentana nel “Museo della Campagna dell’Agro Romano per la Liberazione di Roma” (questa la sua esatta denominazione), ed in collezioni private. In realtà erano state inviate per cautela delle pattuglie sul fianco destro del percorso verso Tivoli per salvaguardarsi dall’eventuale comparsa di truppe nemiche provenienti da Roma, ma queste pattuglie abbandonarono prima del previsto le posizioni assegnate (un po’ per il maltempo, ma soprattutto per una “riferita” diversa interpretazione di ordini successivi) per cui, con il fianco destro scoperto, a sorpresa i garibaldini si ritrovarono sotto l’attacco dell’avanguardia nemica alle ore 12,30 – 12,45, mentre stavano uscendo da Mentana. Il corpo garibaldino sembra che consistesse, nella marcia verso Tivoli, di quasi 5.000 uomini, mentre i franco-pontifici di circa 6.500 uomini, suddivisi tra 3.500 pontifici e 3.000 francesi. Queste cifre sono il risultato in parte di rapporti ufficiali ed in parte di estrapolazioni e/o considerazioni varie di numerosi studiosi. Per le armi da fuoco dei garibaldini non c’è in realtà molto da dire, in quanto ci troviamo di fronte ad una congerie vastissima ed altrettanto eterogenea di fucili lisci ad avancarica, pistole ad avancarica monocolpo (canna liscia o rigata), rivoltelle a spillo di varia fattura e provenienza. E’ interessante però la presenza nel Museo di una baionetta per Carabina Federale Svizzera Mod. 1851. Zuavo fieramente in posa con la sua carabina. (collezione dell’autore) Ritengo pressocchè certa la presenza di carabine Mod. 1851 nelle mani di questi carabinieri livornesi, ma la baionetta giacente nel museo è l’unica testimonianza di quello che potrebbe essere stato l’ultimo impiego in guerra del fucile svizzero. Ben conosciamo l’esito della battaglia ed il famoso rapporto del generale De Failly “les chassepot ont fait merveilles” (gli chassepot hanno fatto meraviglie). Questo altisonante apprezzamento per i nuovi fucili francesi a retrocarica, esordienti a Mentana, voleva essere soprattutto un chiaro monito alle potenze europee riguardo alla supremazia militare della Francia. Nel museo non resta attualmente testimonianza dell’impiego degli Chassepot francesi, a parte un esemplare di fucile da fanteria, in buone condizioni e funzionante, ma non abbiamo prove certe del suo impiego in quella battaglia. In realtà l’intervento degli Chassepot in mano francese non sembra sia stato così determinante come ancora molti credono: le testimonianze di alcuni reduci attestano la scarsa precisione dei tiri e sopratutto una situazione che era già seriamente compromessa per i garibaldini! Ad onor del vero anche i pontifici, nel corso del pomeriggio, si trovarono più volte in condizioni critiche in parte superate, sul far della sera, dal sopraggiungere di una nutrita colonna di zuavi provenienti dalla Via Salaria, lungo la quale questi erano avanzati per rincalzare sul fianco sinistro il corpo principale della spedizione avviato sulla Via Nomentana (per chi non conosce bene le località, la via Salaria e la via Nomentana, dopo aver lasciato Roma, decorrono verso nord quasi parallelamente: con la prima, sulla sinistra, si raggiunge Monterotondo, mentre con l’altra, parallela a destra, si raggiunge Mentana). Alla spedizione garibaldina era anche aggregata una compagnia di 70 carabinieri livornesi comandata dal capitano Mayer (Santini secondo altri) che era aggregata al battaglione Missori. E’ logico pensare che i francesi siano stati ben attenti a non lasciare sul terreno nessuno di questi loro “nuovi” fucili! E per i pontifici? Neanche dei loro fucili restano esemplari nel museo, ma testimonianze del loro impiego ne abbiamo e molte. Variante nell’armamento. Il fucile di questo zuavo non è la carabina ma un fucile rigato Mod. 1842 T oppure 1853 T. (collezione dell’autore) Non solo i grossi buchi nei crani dei poveri volontari sepolti nel mausoleo e visibili parzialmente attraverso il vetro di una teca posta all’interno dell’araossario (ma questi squarci potrebbero essere stati causati anche da Chassepot o da armi corte), ma soprattutto i numerosi proiettili miniè sparati dalle carabine degli zuavi e recuperati dal campo di battaglia. (continua nelle pagine successive) pagina 10 Carabina francese Mod. 1859 in dotazione agli zuavi pontifici (precedentemente all’adozione del Remington Rolling Block mod. 1868) (prosegue dalle pagine precedenti) Il corpo di spedizione pontificio (circa 3.000 uomini) era composto in gran parte di Zuavi (1.500 uomini), Carabinieri Esteri (circa 500 uomini) e Legionari d’Antibo (circa 500 uomini). Preciso che sulle armi lunghe pontificie degli anni ’50 e ’60 non mi sembra che ci sia molta documentazione precisa ed attendibile, almeno fino all’adozione del Remington rolling block nel 1868, per il quale i riferimenti sono senza altro più affidabili. All’epoca di Mentana i Carabinieri Esteri ed i Legionari d’Antibo probabilmente utilizzavano, almeno in maggioranza, gli stessi fucili, ma quali? Alcuni autori accennano al fucile “Mod. 1842” francese, che ritengo possa essere il Mod. 1842 T, rigato, di calibro 18 mm. I Carabinieri Esteri è quasi certo che, almeno in parte, fossero anche armati di Fucile Svizzero da Cacciatore Mod. 1856 o simile. Di quest’arma vidi un esemplare nel Museo del Laterano, in Roma, ed un altro, riferito come “pontificio”, in possesso di un tiratore collezionista. Esso è un fucile ottimamente costruito, robusto e molto preciso. Veniamo agli zuavi. Il “Battaglione degli Zuavi Pontifici” venne ufficialmente creato il 1° gennaio 1861 e fin dall’inizio fu armato di armi lunghe tra le migliori disponibili, prevalentemente di modello francese. Nel novembre del 1857 era stato stipulato un contratto con i Fratelli Mazzocchi per la costruzione di un fucile rigato ispirato alla carabina francese Mod. 1846, ed era stata presa ad esempio una carabina da cacciatori comperata nel Regno di Napoli. La carabina Mazzocchi fu fabbricata in mille esemplari, che purtroppo andarono dispersi con la disfatta di Castelfidardo nel 1860. Proiettili miniè Mod. 1859 Era molto simile alla carabina francese modello 1846 T (“T” indica la versione privata dello stelo e quindi adattata ai nuovi proiettili miniè) e queste erano le sue principali caratteristiche: canna lunga cm. 84,2, di calibro 17,6 mm, e 4 righe con passo di 2 metri, vitone camerato con capacità di 4,25 grammi di polvere, peso complessivo (senza baionetta) Kg. 4,450, acciarino modello francese 1840, modificato 1847. Evidentemente già soddisfatte di questo tipo di arma, le autorità militari pontificie scelsero successivamente, per il nuovo corpo d’elite degli zuavi, la carabina francese di modello 1859. La maggioranza degli autori cita il modello adottato come “Mod. 1859”, ma non sono sicurissimo di questa attribuzione per la somiglianza strettissima tra i modelli 1846 T, 1853 T e 1859. Ho cercato quindi di risalire al modello esatto in base a fotografie di zuavi ritratti con la loro carabina. Intanto posso affermare che assolutamente non si tratta del Mod. 1840, ben riconoscibile per la diversa posizione dell’alzo, ma quanto a distinguere tra i suddetti 3 modelli non ho cavato un ragno dal buco. I Mod. 1853 e 1859 si distinguono per il porta luminello sporgente dalla culatta, ma dalle foto che ho visionato non ho potuto apprezzare questo particolare, ad eccezione di una nella quale mi è sembrato di scorgere questa fatidica sporgenza! Ho però riscontrato una cosa interessante: gli zuavi di 2 foto hanno fucili lunghi, con la baionetta a ghiera, che ritengo siano di modello francese 1842 T (cal.18 mm) o 1853 T (cal. 17,8 mm): ho capito che erano “T”, cioè rigati, dalla forma dell’estremità della bacchetta. Ma è giunto il momento di parlare dei proiettili pontifici rinvenuti a Mentana, argomento clou di questa mia chiacchierata. Il campione da me esaminato è abbastanza ampio per poter trarre interessanti ed attendibili conclusioni. I proiettili reperiti sono soprattutto di 2 tipi cioè, usando la terminologia francese, di mod. 1857, 1859 e mod. 1863. A sinistra una palla Mod. 1859 pesantemente deformata dall’impatto pagina 11 Elenco di alcuni feriti garibaldini ricoverati in un ospedale di Roma, con descrizione delle ferite e loro esito. (da “Rapporto sull’Ospedale a Borgo S. Agata aperto in Roma” - 1868) (collezione dell’autore) Nel cercare di catalogare questi esemplari sono rimasto sorpreso e perplesso nel constatare la loro disomogeneità, sia pure di minore entità, per quanto riguarda la forma. Comunque l’impatto con il bersaglio (terreno od altro) ha naturalmente determinato un accorciamento del proiettile e di questo dovrete tenere conto quando leggerete la misura delle lunghezze riportate più avanti. - mod. 1859: diametro 17,2 mm, peso 48 grammi, carica propulsiva 5 grammi. Il peso e la forma dei proiettili pontifici sono dunque, tutto sommato, abbastanza simili ai corrispondenti modelli francesi. Per il peso non ho tenuto molto conto di eventuale perdita di materiale od accumulo di terriccio perché valutabile di minima entità (al massimo pochi decimi di grammo!). Neanche a parlare, naturalmente, di poter effettuare misure precise sui proiettili sparati, però ho rilevato che, mentre per quelli più grossi e pesanti (mod. 1859) il diametro medio, considerando la dilatazione dello sparo, più o meno corrisponde (è in media circa mm 17,5 - 17,8), per quelli più piccoli e leggeri il diametro medio è circa 16,7 - 16,8, cioè molto inferiore a quello citato dal Boudriot. Quelli che ho classificato come mod. 1859 hanno tra loro diverse misure riguardo alla proporzione tra base cilindrica e parte ogivale. La lunghezza complessiva degli esemplari è circa 24 – 25 mm. Il peso medio è di circa 46,7 grammi, con scarti in più od in meno rispetto alla media, al massimo di un grammo circa. Quelli classificabili come mod. 1857 hanno, in proporzione, una maggiore disomogeneità di peso: peso medio di 33 grammi, con scarti massimi, rispetto alla media, di circa un grammo in più od in meno. La loro forma è però molto più omogenea. La lunghezza complessiva di questi esemplari è circa 21 - 22 mm. Il Boudriot riporta le seguenti specifiche per i corrispondenti modelli francesi: - mod. 1857: diametro 17 mm, peso 32 grammi, carica propulsiva 4,5 grammi. Quello che mi lascia perplesso invece è il diametro. Ricordo che il calibro della carabina Mod. 1846 o 1853 o 1859 è di mm. 17,8 (Boudriot). Cartuccia (svuotata della polvere) di modello francese accanto ad un proiettile dello stesso tipo di quello in essa contenuto. Ne ho tratto questa conclusione: la palla pontificia di primo modello, cioè la 1857, evidentemente veniva alloggiata in una cartuccia che aveva un maggiore spessore del rivestimento cartaceo, e questo può spiegare l’assenza di rigatura visibile su gran parte di quelle sparate. (continua nelle pagine successive) pagina 12 Nel complesso delle palle esaminate ne ho trovata una sola con cavità quadrangolare, corrispondente quindi al modello 1863 francese. Ha un peso di 36 grammi e risulta molto deformata dall’impatto finale. In Francia questo modello fu introdotto per sostituire il mod. 1857. (prosegue dalle pagine precedenti) In Francia il mod. 1857 fu sostituito dal mod.1859 ritenuto più preciso, ed infatti le palle mod.1857 pontificie rinvenute hanno quasi tutte evidenziate le rigature della canna. Ritengo che, con un loro maggiore diametro ed un minore spessore del rivestimento della cartuccia, riuscissero a prendere meglio il forzamento della rigatura (ed in ciò probabilmente giocava il suo ruolo anche il maggior peso e conseguente maggiore inerzia e dilatazione). L’oggetto misterioso. (E’ la spoletta a tempo di un proiettile d’artiglieria francese sparato a Mentana) Forse per le palle più piccole il rivestimento di carta poteva assicurare comunque un sufficiente forzamento in rigatura, ma sta di fatto che quasi tutti gli esemplari da me esaminati sembrano neanche sparati (ma di sicuro lo sono stati!) perché la superficie della parte cilindrica non evidenzia, ad una normale osservazione, impronta di rigatura. Riporto la foto di una cartuccia integra (anzi quasi integra, perché è stata svuotata della polvere) contenente la palla mod.1857, messa in confronto con una palla nuda dello stesso modello. Il diametro esterno della cartuccia, all’altezza del proiettile, è di circa 17,3 mm (ma essendo un pò deformata non posso spergiurare su questa misura!). Quasi tutti i proiettili mod. 1857 mostrano chiarissima traccia di costruzione per colata di piombo in stampo a 2 valve. In teoria, secondo l’ordinanza francese, le palle mod. 1853 e 1863 erano destinate all’impiego nelle carabine 1842 T e fucili 1822 T bis, 1853 T e 1854, mentre le palle mod. 1857 alle carabine 1848 T, 1853 T e 1859. All’epoca di Mentana, considerato quanto ritrovato in fatto di proiettili, possiamo procedere con 2 ipotesi: a) - i pontifici avevano carabine di diverso modello quindi ciascun militare utilizzava strettamente le munizioni dedicate al suo fucile. Essendo gli zuavi circa 1.500, e gli altri 2 battaglioni (carabinieri esteri ed antiboini) complessivamente più di 1.000, si può ipotizzare la presenza di almeno 2 tipi di armi lunghe impiegate, e relativo diverso munizionamento. Lo convaliderebbe anche la proporzione tra i tipi di palle ritrovate. b) - venivano utilizzate munizioni di diverso tipo in uno stesso tipo di fucile. In quest’ultimo caso ci sarebbe da farsi venire i capelli dritti a calcolare gittate e riferimenti di mira diversi a seconda del pacchetto di cartucce in dotazione nella giornata! Se così fosse gli zuavi avrebbero sospirato di sollievo, nel 1868, al ricevimento dei Remington rolling block con cartucce finalmente tutte uguali. Ritengo più fondata la prima ipotesi ma questi sono naturalmente miei ragionamenti del tutto confutabili. I pontifici, soprattutto gli zuavi, erano comunque indubbiamente dotati di armi all’avanguardia per il loro tempo, e di esse fecero buon uso il 3 novembre 1867 nelle campagne circostanti quella piccola cittadina chiamata Mentana. A confronto un proiettile miniè cal. ’58 ed uno francese Mod. 1859 cal. 17,2 mm Proiettili miniè Mod. 1857 Riferimenti e bibliografia - Museo Nazionale della Campagna dell’Agro Romano per la Liberazione di Roma (Via della Rocca, 2 - Mentana - RM) - Garibaldi Condottiero - Ministero della Guerra - Ufficio Storico – Roma 1932 - X - Armes a Feu Francaises – Modeles Reglementaires di J.Boudriot – Ed. Du Portail - La Nona Crociata di P. Raggi - Libreria Tonini, Ravenna - Per il Papa Re di L. Innocenti - Esperia Editrice - La Neuvieme Croisade 1860-1870 di P. Crociani e M. Fiorentino – radition Magazine - Fusils et Carabines de Collection di F. Pellaton, R. Caranta, H. Bonsignori, J. Jordanoglou – Ed. Crepin Leblond - La Mano di Dio nell’Ultima Invasione contro Roma -Carte Topografiche di P. Mencacci - Roma 1868? - Rapporto sull’Ospedale a Borgo S. Agata aperto in Roma Comitato di soccorso dei feriti – Roma 1868 Per tutte le altre news, classifiche e varie, collegati al sito www.cnda.it pagina 13 VIGEVANO ultima di Campionato 2014 Da venerdì 13 a domenica 15 giugno si è svolta a Vigevano l’ultima gara di Campionato, valida per l’accesso alla finale che si disputerà a Pisa domenica 6 luglio ed alla quale dedicheremo ampio spazio sul prossimo numero di Avancarica magazine. Il tempo non è stato molto clemente come temperatura, a parte il sabato, ma non ha procurato problemi allo svolgimento della gara che ha visto circa 280 prestazioni individuali più le squadre. Come la solito, l’organizzazione è stata ottima, curata da Walter Olante e dal Presidente della Sezione Salvatore Galeano ben coadiuvati da tutti i tiratori della LDV che si sono alternati a svolgere i diversi compiti richiesti dalla gara. (continua nella pagina successiva) pagina 14 (prosegue dalla pagina precedente) La manifestazione è stata l’occasione per inaugurare la nuova cucina (eh si, non si spara solamente, ogni tanto dobbiamo caricarci anche noi) che lo “chef” ha utilizzato al meglio sfamando la truppa e, direi anche accontentandola. Dobbiamo parlare delle prestazioni? Non è che i punteggi visti siano di particolare valore, ma notiamo un ottimo 97 di Galli in Vetterli R, 93 in Minie O di Sammarco, un 96 di Orso in Kuchen O e Cattaneo con un 140 in Sharpshooter. Un arrivederci quindi a Pisa e poi in Spagna a Granada! A. Beria pagina 15 Il Sud post-unitario Brigantaggio o resistenza armata? Una questione ancora aperta di Vincenzo Labellarte Nel numero precedente di Avancarica Magazine, ho cercato di analizzare le cause e le concause che contribuirono al lento disfacimento ed alla caduta del Regno delle Due Sicilie. Un Regno questo, contrariamente a quanto scritto dalla storiografia ufficiale, tra i più fulgidi e per molti aspetti moderni ed innovativi d’Europa e che annoverò alla sua guida monarchi illuminati da Carlo III a Ferdinando II. Furono motivazioni e manovre sovranazionali d’ordine economico-politico ed in chiave anti-papato che mirarono a ridisegnare l’Italia dando, a tutta l’area Mediterranea, un nuovo assetto. Tutto questo grazie alla regia occulta dell’ Inghilterra e alle sue mire espansionistiche. Ma per la realizzazione di questo disegno, serviva un “braccio armato” ed una “giustificazione patriottica”. Fu il Piemonte ad assumere questo ruolo. Giuseppe Garibaldi, la spedizione dei Mille, le “epiche” battaglie da Calatafimini al Volturno, ne costituirono l’epopea, creando il termine “Risorgimento” e consegnandolo alla nostra storia patria. Ciò non deve comunque far dimenticare che il tutto nasce, da parte del Piemonte, con invasioni e guerre mai dichiarate ad altri stati sovrani, fino a concludersi con plebisciti d’annessione farsa. Fatta questa debita premessa, questo mio articolo vuole prendere spunto da quella frase che Camillo Benso conte di Cavour pare pronunciasse sul letto di morte e che la storiografia ufficiale ha consegnato con enfasi all’immaginario popolare: “L’ Italia è fatta, ora bisogna fare gli Italiani”. Ebbene, quale fu la politica meridionalista di casa Savoia, monarchia straniera, divenuta per giochi politici Italiana, per trasformare Abruzzesi, Campani, Puliesi, Calabresi e Siciliani in Italiani? Già l’atto costitutivo del Regno d’Italia e l’investitura di Vittorio Emanuele a primo Re d’Italia, furono redatti e letti da Cavour a palazzo Carignano in francese, lingua ufficiale della monarchia Sabauda. Questo fu, è vero, solo l’aspetto formale, ma quale triste presagio, la dice lunga su quelli che saranno gli anni a venire. Questi saranno caratterizzati nei territori “liberati”, da un’occupazione militare feroce. Processi sommari, carcerazioni e fucilazioni anche solo per sospetto di cospirazione a favore del passato regime segneranno gli oltre 4 anni a venire. Ed ancora a lungo al Parlamento di Torino si parlò di “conquista del Sud” e non di una sua liberazione. Infatti molti deputati nei loro discorsi dai banchi del neo Parlamento italiano, si compiacevano di rimarcare con enfasi di come il Piemonte con la “conquista” del Sud avesse allargato i propri confini. Tutto questo provocò le vibranti proteste degli unitaristi meridionali tra i quali il deputato Bruno di Enna. Intanto l’aspettativa principale delle masse rurali del Sud, quella di vedere ridimensionato il privilegio latifondista dei grandi proprietari terrieri con la ridistribuzione della terra ai contadini andò via via sgretolandosi. Questo perchè molti grandi proprietari, come molti nobili siciliani, sedevano ora quali deputati sui banchi del neonato Parlamento italiano a difendere i loro privilegi ed interessi nella logica gattopardiana del “tutto cambi affinchè nulla cambi”. A ciò va aggiunta l’introduzione, da parte delle autorità, della leva militare obbligatoria, con la conseguente accusa di diserzione nei confronti di chi non si presentava, nei termini stabiliti, presso i rispettivi distretti militari. Al tempo dei Borboni, quello del militare era al contrario un mestiere volontario, retribuito e che poteva usufruire oltre la paga di molti benefici elargiti dalla corona. (continua nelle pagine successive) pagina 16 (prosegue dalla pagina precedente) Inoltre, quello del militare, essendo un mestiere volontario, consentiva di bilanciare le esigenze socio-economiche delle popolazioni. Infatti, il contadino non era così costretto ad abbandonare la terra e chi terra non aveva poteva intraprendere una professione considerata onorevole. La leva obbligatoria fu una vera sventura per il Sud, in quanto costituirà il motivo principale dello spopolamento delle campagne con il conseguente nascere del triste fenomeno dell’ emigrazione oltre oceano. Così centinaia di ex-soldati borbonici emigrati in America dove infuriava la Guerra Civile, combatterono con onore tra le file dei Confederati su molti campi di battaglia, facendo vedere di che tempra erano fatti. Nel frattempo, migliaglia di soldati del disciolto esercito Napoletano, che si erano rifiutati di abiurare al giuramento fatto al loro Re e di arruolarsi nel nuovo esercito “italiano”, venivano deportati nelle prigioni “lager” piemontesi. Tra queste quelle famigerate di Fenestrelle ebbero il triste primato di migliaia di morti per malattie e denutrizione. Anche l’armata Garibaldina forte di 76.000 uomini tra cui moltissimi meridionali e che sotto la carismatica guida di Garibaldi poteva costituire una componente poco gestibile se non addirittura una minaccia, veniva sciolta. Questo creò un forte stato di frustrazione tra le file di quei combattenti che di quella guerra erano stati l’anima più popolare e romantica e del “Risorgimento” avevano interpretato lo spirito originario. Infine l’incontro di Teano fu l’ultimo atto di questa fase del nostro Risorgimento. La frase di Garibaldi “Saluto il Re d’Italia” sancisce l’investitura di Vittorio Emanuele da parte del personaggio che, nonostante molti lati controversi, fu il più importante e carismatico di tutto il Risorgimento e la parola conclusiva “Obbedisco” ne significa la sua uscita di scena. Lo stato di frustrazione che ormai pervadeva l’animo dei garibaldini, sfocierà in vere e proprie manifestazioni di rivolta. Questi si sentivano traditi negli ideali in cui avevano creduto e per cui avevano combattuto fin dallo sbarco a Marsala. Inoltre vedevano ormai in gran parte vanificate le promesse di vantaggi socioeconomici che erano state fatte loro. Innumerevoli finiranno imprigionati o dopo processi sommari davanti ai plotoni d’esecuzione “italo-piemontesi”. Così nelle bande irregolari dei cosidetti “briganti” confluiranno molte camicie rosse e molte cadranno nei combattimenti contro le truppe regolari e la guardia nazionale. Ma nelle file di chi, con strenua resitenza armata si opporrà per anni al nuovo ordine politico e militare, non c’erano solo ex garibaldini ma anche ex soldati piemontesi. A tale proposito vale la pena di raccontare la vicenda di certo Carlo Antonio Gastaldi di Biella, storia tratta dagli atti della Corte d’Assise di Trani e narrata da Gustavo Buratti. “La notte di sabato di Natale un sacerdote alto e magro, viso lungo, capelli neri e barba fluente, si reca a dorso di mulo alla masseria del convento di Noci (siamo in Puglia, poco distante da Gioia del Colle) per celebrare la Messa la domenica mattina seguente. E’ un canonico di 46 anni: Don Vito Tinelli. Per questo servizio religioso, il massaro gli passa dai 45 ai 50 ducati all’anno raccolti tra i contadini presenti alle funzioni. Quella notte del sabato Don Tinelli ha la sorpresa di trovarsi tra una sessantina di “briganti” tutti armati sino ai denti, giunti a cavallo e che chiedono al massaro di poter mangiare. Quest’ultimo, Antonio Calumi, serve loro “per forza” (come sosterrà più tardi) o “per amore” (come ritiene la Polizia) una cena a base di minestra verde, pecorino, ricotta forte e pane. Sbigottito, il canonico rimane a conversare con i ribelli, per non dar loro l’idea di averli in antipatia. Durante la cena, uno di loro si presenta, dicendosi piemontese, come in effetti si vedeva dall’uniforme e gli dice “canonico mio, abbiate la bontà di far pervenire alla mia famiglia questa lettera, affidandola alla posta”. Il sacerdote risponde che l’avrebbe fatto con piacere, ripone la lettera in tasca e, preso dal sonno, chiede il permesso di andare a letto. Alla mattina, quando si è alzato, apprende dal massaro che la compagnia se ne è andata a notte fonda. Più tranquillo, va alla cappella per celebrare la Messa ma, mentre si veste nella piccola Sacrestia, sente di là un tramestio di uomini armati. Capisce subito che si tratta degli uomini con cui si era intrattenuto la sera prima. Costoro ascoltano compunti la Messa e all’ “Ite Missa est” escono dalla chiesetta ed il sacerdote li vede andarsene pacificamente. Prima di lasciare la masseria, mentre sta montando sul mulo, vede ancora il piemontese che si avvicina e gli chiede: ”Posso sapere il vostro nome?” poi prega il sacerdote di scrivere lui stesso il suo nome e cognome su una lettera per suo padre e per far ciò gli porta la penna e il calamaio. Infatti, la risposta sarebbe dovuta pervenire al canonico che, poi l’avrebbe recapitata alla masseria. Poi gli domanda quale sia la sua cavalcatura da lui usata per gli spostameni: un cavallo, asino, mulo? Questo per saperlo riconoscere, affinchè non sia disturbato dai ribelli. Commosso per la premurosa attenzione, Don Tinelli risponde: ”Sarete servito son solito avvlermi in occasione che mi porto a celebrare la Messa, or di un asino di colore nero ed or di color bianco”. Dopo queste reciproche cortesie, si separano dandosi cordiale addio. Oltrepassato il bosco Bonelli, fuori pericolo, Don Tinelli apre la lettera indirizzata a Giuseppe Castaldi, da Fiorelli, Napoli..... ma destinata al padre. Giuseppe era il fratello di Carlo, in servizio militare (classe 1841) a Napoli: questi, furbo come una vecchia volpe, ha pensato che fosse più prudente spedirla a Napoli piuttosto che a Biella.... Il prete, preso dagli scrupoli, si vergogna di rendere un servizio ad un “brigante” per timore di risultare poi suo amico, e strappa la lettera in quattro pezzi, guardandosi bene di buttarla ma rimettendosela in tasca dove rimarrà dimenticata. pagina 17 Quella Messa celebrata per i “briganti” costerà cara al canonico. Il 19 gennaio seguente, la polizia lo arresta e lo mette in prigione, accusandolo di essere spia e ricettatore. A giugno era ancora in prigione, nonostante protestasse che la Messa per i briganti l’aveva celebrata non per sua volontà ed una sola volta. La lettera poi l’aveva strappata in pezzi dimenticandola poi in tasca. La lettera si conserva ancora presso l’Archivio di Stato di Bari, ma è tutta stracciata e mancante di alcuni frammenti di carta. Ne voglio citare solo l’inizio particolarmente toccante: “Caro padre non ho potuto scriverti prima, mentre che son certo che a quest’ora sarete informato del tutto, ma con tutto ciò non importa, state allegri non pensate a me ma pregate solo Dio..... muoia nel combattimento .....? Venire Francesco ...... ricompensato...... compagnia di questi suoi....... non sono i briganti come gli dicono...... non credete che ........ vadano rubando ......... ovvero case, no questo non è vero ............ soldati fedeli al suo Re Francesco dicono di riaverlo di nuovo........” Per completare le parole delle parti mancanti (puntini) e le parole incomprensibili, viene in aiuto la deposizione del canonico Tinelli, 5 mesi dopo aver consegnao la lettera al delegato di Polizia: “Essere loro appartenenti a Francesco II e non già briganti come erano spacciati, e con la venuta dello stesso sarebbero stati remunerati dalle loro fatiche fatte a vantaggio dello stesso. La risposta indirizzarsi al canonico Don Vito Tinelli” Questa lettera, significativa dello spirito di ribellione che portò anche soldati piemontesi delusi a disertare per unirsi ai ribelli, è anche una fonte di notizie preziose su quella che fu la banda cui si legò l’ex soldato Carlo Gastaldi: la banda del “Sergente Romano” ed è di lui che voglio brevemente raccontarvi. Il suo nome era Pasquale Domenico Romano, ex sergente del 5° reggimento Cacciatori dell’esercito Borbonico, nonchè alfiere dello stesso. Questa nomina spettava al soldato cui si riconoscevano le maggiori qualità militari e le più alte dote morali. Era nato a Gioia del Colle, allora florido paesone agricolo di circa 8.000 abitanti distante una ventina di km da Bari, paese che risulterà di grande importanza in quanto sarà lì che esploderà la rivolta popolare contadina contro il nuovo ordinamento statale. Era istruito per quei tempi e per la classe sociale cui apparteneva. Sapeva infatti leggere, scrivere e far di conto. Componeva poesie per la fidanzata, la sua adorata Rosetta e preghiere per la Madonna del Carmine a cui era devoto. Per tutto questo “bagaglio” culturale fu sempre grato al suo Re Francesco II, grazie alla cui generosità potè studiare ed intraprendere un’onorata carriera militare e questa gratitudine la manifestò sempre con valore sia prima sui campi di battaglia che dopo da “guerrigliero” nella lotta di resistenza contro i “liberatori” italo-piemontesi, fino all’estremo sacrificio della vita. Combattè valorosamente in tutte le più importanti battaglie, da Calatafimini al Volturno. La diceria popolare vuole che a Calatafimini fosse proprio lui ad apostrofare in maniera veemente il trombettiere del proprio reggimento quando questi, su ordine del Generale Landi, suonò la ritirata proprio nel momento in cui la battaglia sembrava vinta. Da lui il grido di “Viva o’ Re” fu sempre urlato con la rabbia di chi vedeva sgretolarsi, intorno a sè il mondo ed i valori in cui aveva sempre creduto e per cui aveva sempre lottato, fino all’ultimo combattimento. Al lettore che, spero con curiosità se non con interesse, sta leggendo questo mio articolo, credo non sia sfuggito il coinvolgimento personale di cui questo è pervaso. Il motivo sta nel fatto che la famiglia e gli avi di mio padre erano originari di Gioia del Colle e possedevano una masseria proprio nelle campagne del “parco della corte”, tra Gioia ed Acquaviva delle Fonti dove il sergente Romano sostenne la sua ultima battaglia. Per questo la sua figura e le sue imprese erano spesso presenti nei racconti che mio nonno faceva a me bambino ed agli altri cugini nelle lunghe sere d’estate, alla luce dei lumi a petrolio, nel grande salone da pranzo della masseria nella campagna di Gioia. Parliamo di oltre 60 anni fa..... una vita! Ma torniamo al nostro personaggio. Dopo la decisiva sconfitta patita sul Volturno e la resa dell’ultima fortezza, la “fedelissima” Civitella del Tronto, la causa borbonica era definitivamente persa. Ma molti ex combattenti soldati e graduati, non si arresero e, rifiutando di abiurare al giuramento fatto al loro Re, confluirono in bande armate che per gli anni a venire combatterono duramente le truppe regolari, infliggendo loro pesanti perdite. Particolarmente duri furono gli scontri con la guardia nazionale, odiata nemica dei “briganti”. Questa era formata da gente della piccola borghesia locale, quali commercianti, bottegai, impiegati comunali, piccoli proprietari terrieri. Arricchitisi tutti col passato regime, liberali dell’ultima ora, guardavano al nuovo regime come alla grande occasione per conservare i loro privilegi. La guardia nazionale fu invisa ai ceti umili della popolazone e guardata, anche se necessaria alleata, con diffidenza dall’autorità militare riluttante ad armarla. Si rese protagonista in Puglia di numerose efferatezze non solo contro i “briganti” ma anche nei confronti dei loro familiari. Processi ed esecuzioni sommarie contribuirono a dare alla lotta al “brigantaggio” i connotati di una vera guerra civile e scaveranno un solco di odio del quale per decenni successivi il sud sarà pervaso. Paesi incendiati come rappresaglia per l’appoggio vero o presunto dato ai “briganti”, intere famiglie imprigionate affinchè questi si consegnassero alle autorità. Esecuzioni sommarie per chi trovato in possesso di armi improprie o semplici arnesi da lavoro che potessero ricordarle, o di qualsiasi cosa riconducibile al passato regime. Questo fu il concetto di liberazione delle terre “oppresse” che il nuovo Stato impose al Meridione. Emblematica la storia di una vecchia che, trovata in possesso di alcuni ducati d’oro nascosti in casa per paura, fu accusata di averli ricevuti come compenso per la sua ttività di spionaggio e condannata a morte praticamente senza processo. (continua nella pagina successiva) pagina 18 (prosegue dalle pagine precedenti) Oggi qualcuno azzarda le stime delle vittime civili in circa 1 milione. Tale numero è senz’altro eccessivo ma non si esagera certo nello stimarle intorno alle 300.000. Va anche considerato che la difficoltà di questo censimento è dovuta al fatto che in ogni paese distrutto venivano incendiati gli archivi comunali, come successe a Pontelandolfo e Casalduti, proprio perchè non si potesse risalire al numero e alle identità delle vittime. Intanto in tutta la Puglia scoppiavano tumulti, che sfoceranno in vere e proprie rivolte. A partire da Matera, dove contadini inferociti uccisero il proprietario terriero Conte Francesco Gattini, per arrivare a Santeramo in Colle fino a quella di Gioia del Colle del 1861. Qui operava un comitato neo-borbonico molto attivo e radicato nel territorio. Fu una rivolta principalmente contadina ma cui aderirono anche intellettuali e che dette così al successivo fenomeno del “brigantaggio” la connotazione di “brigantaggio politico”. Di questa lotta si fecero paladini numerosi capibanda tra cui il più famoso fu Carmine Crocco che, a capo di centinaia di uomini, scorazzò per tutta la Puglia infliggendo pesanti perdite all’esercito regolare. Crocco, per i suoi meriti, fu insignito della nomina a Colonnello da parte del Re Francesco II in esilio a Roma presso il Papa. La seconda banda per importanza fu quella del nostro sergente Romano. Questi il 20 agosto 1862 in una grotta sita nel territorio di Martina Franca, riunì le maggiori comitive brigantesche del barese e del Salento con i loro capi. Erano presenti: Cosimo Mazzeo, “Pizzichicchio” di San Marzano, Giuseppe Valente “Nenna Nenna” di Carovigno, Giuseppe Nicola Laveneziana “Figlio del Re” di Carovigno, Antonio Locaso “il Capraro” di Abriola, Antonio Testino “Il Caporale” di Ruvo, Scipione Di Palo “la Sfacciatella” di Terlizzi, Tito Trinchera “Titta” di Ostuni, nonchè emissari di altri capi-banda minori. Quel giorno il sergente Romano, in una storica riunione fu nominato capo supremo e destinato al comando di circa 200 uomini. Inizieranno così le gesta del “Sergente di Gioja” o, Enrico La Morte, nome di battaglia con cui amava farsi chiamare. Gesta fatte di scontri, imboscate, incursioni notturne. Fu capace di atti di generosa magnanimità così come di indicibile crudeltà verso chi considerava traditori, gesta comunque consegnate alla tradizione popolare di quella parte del sud che ancora oggi lo ricorda con vivida memoria. Innumerevoli furono i combattimenti sostenuti dalla sua banda. L’ultimo vittorioso avvenne nei pressi della masseria “il Panzo”. Dopo lo scontro, Romano fu comunque costretto a dividere la banda in 2 gruppi. Il primo guidato da Gastaldi si portò nei boschi intorno a Taranto, il secondo comandato dallo stesso sergente deviò verso Monopoli e Fasano. Lo scopo era quello di sfuggire più facilmente alla caccia che, soprattutto i reparti di cavalleggeri, stavano dandogli. Egli sentiva il fiato dei nemici sul collo e fece un ultimo tentativo per unirsi alle bande satelliti di Carmine Crocco e ricevere direttive da qualche emissario reazionario. Ma tutto fu inutile. La sua storia si conclude alle 2 pomeridiane del 5 gennaio 1863. Egli, preso dalla nostalgia e forse per rivedere un’ultima volta la sua amata Rosetta, braccato dalla truppa, torna imprudentemente presso Gioia del Colle, sostando per abbeverare i cavalli nei boschi della vallata chiamati anche Parco della Corte. Nel frattempo, un drappello di 60 cavalleggeri di Saluzzo, al comando del Capitano Bolasco, si era acquartierato la sera prima in una masseria nei dintorni. Informati della presenza della banda ormai ridotta a poche decine di unità, circondano il bosco e, appoggiati da una cinquantina di guardie nazionali, attaccano. E’ la fine. Enrico La Morte combatte sino all’ultimo, finchè coperto di ferite chiede al sergente cavalleggero Michele Cantù di essere fucilato, gridando: “finitemi da soldato”. Ma Cantù gli risponde: “muori da brigante” e lo finisce a sciabolate, proprio là dove il 28 luglio 1861 il sergente aveva cominciato la sua disperata avventura. 22 ribelli restano uccisi sul campo. Pochi si salvano, facendo finta di essere morti o dandosi alla fuga. Tra gli scampati c’è il nostro Carlo Gastaldi! Secondo la leggenda, il morto alla vallata non sarebbe stato il Romano, ma un altro “brigante” che gli assomigliava. Infatti la gente era convinta che il sergente fosse invulnerabile grazie ad una medaglia avuta in dono dal Papa. Invulnerabilità di cui lo stesso comandante si vantava. Per convincere gli increduli, il corpo del Romano fu caricato su di un asino e trasportato di masseria in masseria, come facevano i cacciatori quando uccidevano un lupo. Infine lo fecero sfilare per le strade di Gioia fin sotto la finestra della madre e della sorella che affacciatesi ignare furono costrette ad assistere a quello scempio. Il cadavere, a pezzi e con il volto irriconoscibile, fu infine esposto, nudo, per 2 giorni sulla piazza antistante il Castello Normanno. Finchè una notte mani pietose lo trafugarono per seppellirlo in un luogo che rimarrà sconosciuto. Dopo la sua uccisione, i giornali legittimisti francesi dedicarono commossi articoli alla sua memoria. Sono così giunto al termine di questo mio articolo sul brigantaggio politico post-unitario (1861-1864) nel meridione. E’ stato per me molto difficile fornire al lettore in poche pagine un’idea sulla complessità di quegli anni così tragici e sui quali la storiografia ufficiale ha sempre steso un velo di oblio. Ma mi piace ricordare quanto riportato da Pino Aprile all’inizio della sua prefazione al libro di Mario Guagnano “Il sergente Romano”: “Il Risorgimento fu un bagno di sangue che è stato nascosto sotto cumuli di retorica. Altri paesi, come gli Stati Uniti e il Giappone si unificarono negli stessi anni, con stragi persino peggiori di quelle compiute nel nostro Sud, in nome del tricolore. Ma non le hanno nascoste. Ed i protagonisti di quelle guerre civili, vincitori e vinti, sono stati sempre celebrati insieme, perchè padri di uno stesso paese. (In Giappone addirittura si onorano i vinti molto più dei vincitori.) Per questo l’Italia è un paese incompiuto perchè ha dimenticato gli eroi dei vinti” Per capire il Sud di oggi, bisogna conoscere la sua tragica storia Per quelli che fossero interessati all’argomento: Confessioni di un brigante - Enzo Mangiameli Rosario, XL Edizioni I Savoia e il massacro del Sud - Ciano Antonio, Magenes Guardie e ladri: L’unità d’Italia e la lotta al brigantaggio Lunardelli Massimo, Blu Edizioni Il Brigantaggio nell’Italia meridionale - AA.VV, Effepi Il Brigantaggio nelle provincie meridionali dopo l’unità d’Italia Tuccari Luigi, Centro Culturale S. Ammirato Michelina De Cesare guerrigliera per amore D’Amore Fulvio, Contocorrent Istruzioni per la repressione del Brigantaggio Pallavicini di Priola Emilio, Effepi Il bosco nel cuore - Guerri Giordano Bruno, Mondadori - Libreria Militare ARES - Via Lorenzo il Magnifico 46 00162 Roma Tel.06.44232188 www.libreriamilitareares.it pagina 19 8° GRAND PRIX AUSTRIA Eisenstadt 30 maggio - 1 giugno 2014 Come lo scorso anno ci siamo messi in viaggio per andare a trovare l’amico Herbert e partecipare a quest’ottavo GP d’Austria dopo la doppia esperienza del 2013. Abbiamo sperato di trovare un tempo decente, vista la stagione, ma siamo stati disattesi: pioggia, vento, freddo, qualche parvenza di sole. Come d’abitudine, il “mago” Herbert con i suoi collaboratori ha predisposto tutto nel migliore dei modi, tra una partecipazione a una gara ed un servizio in cucina ha permesso lo svolgimento perfetto della manifestazione. Vediamo un pò di statistiche: 140 partecipanti, di cui 60 austriaci, per un totale di ben 604 prestazioni complessive (59 di piattello), una media elevata. Noi eravamo 11 (6 piattellisti) per un totale di 42 prestazioni. Data la vicinanza geografica, l’affluenza di Cechi, Slovacchi e Ungheresi è stata molto buona con un totale di 48 partecipanti. Come siamo andati? Forse un poco meno dello scorso anno ma dobbiamo ricordare che i partecipanti stranieri rappresentavano il meglio dei loro paesi, comunque abbiamo avuto un bronzo a squadre in Boutet con Biagini, Caruso e Ferrari. (continua nella pagina successiva) pagina 20 (prosegue dalla pagina precedente) Caruso ha guadagnato un bronzo in Donald Malson R, Biagini un quinto in Remington O con un quarto (per un punto!) in Donald Malson O. I nostri piattellisti, anche per le assenze dell’ultimo momento, si sono accontentati di un quarto posto in Manton di Enrico Siclari ed un quarto in Hawker insieme con Ciuffi e Zanzi. Che dire, ci siamo divertiti in compagnia, abbiamo avuto interessanti informazioni tecniche da colleghi stranieri, fatto acquisto di accessori, ricambi e spiato metodi di pulizia delle armi. Prima di lasciarci, l’amico Herbert ha voluto farci un omaggio inaspettato: alcune bottiglie di vino locale che stapperemo alla sua salute in attesa di incontrarci ancor il prossimo anno. A.B. Grande risultato del tiratore Pietro Grazioli Durante il recente trofeo “Cavalier Pareschi” tenutosi il 7 e 8 giugno presso il poligono di Galliate, Pietro Grazioli ha ottenuto un risultato eccezionale con la pistola a miccia nella categoria Tanzutzu replica con lo straordinario punteggio di 96/100 che è record europeo e mondiale anche se, purtroppo, non omologabile. Caro pietro, la soddisfazione resta e questo risultato deve essere sprone per il prossimo impegno in Spagna. A.B. pagina 21 dopo Il dopo... Eliopoli 2014. Un vero successo la 3 giorni storica organizzata a Terra del Sole, 8 chilometri da Forlì, per il 25-26 e 27 aprile 2014. Molti la conoscono per il Palio che viene disputato una volta all’anno (prima domenica di settembre) fra le 2 squadre dei rioni cittadini (quello Fiorentino e quello Romano), oppure per le gare di balestrieri alle quali prendono parte compagnie provenienti da tutta Italia. Sempre qui organizzano anche un’altra bellissima rievocazione, questa volta medievale, cioè “Anno Domini 1387”, che quest’anno si terrà il 27-28 settembre. (continua nelle pagine successive) Una cornice suggestiva, le truppe schierate, il pubblico... Eliopoli 2014. pagina 22 (continua dalla pagina precedente) Grazie alla perfetta organizzazione della manifestazione a cura del Borgo Romano con la collaborazione della Compagnia Santa Brigida, da ora molti altri la conosceranno anche per la rievocazione storica cinquecentesca. Organizzazione che è riuscita a portare nella cittadella medicea gruppi di rievocazione storica da tutta Europa, ricreando per 3 giorni quadri di vita civile e militare degli inizi del 1600, suscitando anche l’interesse di TV e giornali locali, riviste nazionali ed un pubblico interessato ad un evento relativamente nuovo per la Romagna. Terra del Sole era la porta della Romagna Toscana, ad essa i Medici avevano affidato la guardia dei confini che vedevano come vicini a nord le legazioni pontificie di Forlì, Ravenna, Faenza, Imola, Ferrara. La sua costruzione ha seguito parametri innovativi per l’epoca lasciando a noi posteri “un’opera d’arte” militare e civile allo stesso tempo. A parte la piazza centrale sulla quale danno il Palazzo Pretorio e la chiesa, la città è praticamente speculare. Ai lati della piazza sono collocati i 2 borghi, i 2 castelli, le 2 porte di accesso. La planimetria aveva anche previsto campi da coltivare o dove ospitare il bestiame, per poter resistere agli assedi. Il sistema di mura era ed è basato su 4 bastioni, camminamenti e casematte sotterranee, il tutto studiato per l’uso di artiglieria e la difesa dalle armi da fuoco. Proprio presso il castello del Governatore ed il Bastione di San Martino (lato della città verso Forlì) i gruppi storici hanno ricostruito un tipico accampamento dell’epoca. Niente è stato lasciato pagina 23 al caso, dall’osteria, al banco del cerusico (medico), alla venditrice di pozioni ed erbe ed a questi sono state affiancate dall’organizzazione stand per poter acquistare prodotti locali tipici, biologici ed un bel servizio di ristorazione. Il salto nel passato è riuscito quindi in pieno, dalla veridicità con la quale tutto è stato organizzato all’ accuratezza della battaglia finale di domenica 27 che si è svolta sotto le mura nei pressi del secondo castello quello del Capitano della Artiglierie (lato verso Castrocaro Terme). Nonostante la minaccia di pioggia ed il conseguente problema di non poter utilizzare le micce degli archibugi, i rievocatori storici hanno attraversato in formazione di marcia la città ed accolti da un folto pubblico si sono schierati sotto le mura. A questo punto avreste potuto veramente dire di essere stati catapultati indietro nel tempo. (continua nella pagina successiva) pagina 24 (continua dalle pagine precedenti) Rispondendo ai comandi dei vari ufficiali le truppe, divise in 2 fronti opposti, si sono affrontate senza risparmio di energie, sia per ripagare il pubblico, sia per la propria soddisfazione personale e la propria passione. Spari, cannonate, tutto a salve ovviamente, scontri di reparti di picchieri, duelli all’arma bianca dei fiancheggiatori, qualche ferito, qualche “morto” presso i quali accorrevano a turno il cerusico oppure il prete. Tutto ha contribuito a lasciare agli spettatori presenti un ricordo bellissimo della giornata, dimostrando che una bella rievocazione storica ben organizzata vale più di mille lezioni di storia. Giovanni Zauli pagina 25 pagina 26 Da due secoli l’ARMA a nostra difesa. Un tributo al coraggio e alla abnegazione. Sono trascorsi duecento anni da quando, il 20 maggio 1814, il re Vittorio Emanuele I di Savoia ritorna a Torino per riprendere possesso del trono del Regno di Sardegna. Nell’instabile situazione socio-politica e nella difficoltà di gestire l’ordine pubblico, ritiene debba essere trattata con urgenza la creazione di una forza militare con compiti di polizia. Viene così concordato un “progetto di istituzione di un Corpo militare per il mantenimento del buon ordine” che diverrà ufficiale il 13 luglio. Il nuovo Corpo, denominato Carabinieri Reali, dovrà “contribuire sempre più alla maggiore prosperità dello Stato”. Diviene comandante supremo del Corpo il conte Giuseppe Thaon di Revel, già Presidente Capo del Buon Governo. La presentazione dei Carabinieri Reali al re Vittorio Emanuele avviene nel mese di agosto 1814, occasione in cui viene definito l’ordinamento del Corpo e prescritte foggia e colori dell’uniforme. In due secoli di vita quella che oggi è per tutti l’Arma dei Carabinieri si è sempre contraddistinta per spirito di corpo, coraggio e dedizione continua. Efficienza e professionalità hanno sempre accompagnato l’Arma fin dalle origini, anche al di fuori dei confini dello Stato Italiano. Nel tempo infatti si è conquistata ammirazione e fiducia, stima e rispetto in ogni sua azione. La Fabbrica d’armi Davide Pedersoli, per onorare questo importante duecentesimo anniversario, ha voluto allestire i tre modelli dell’anno 1814, che da subito hanno costituito l’armamento individuale del corpo dei Carabinieri Reali. Si tratta del fucile da fanteria, della carabina da cavalleria e della pistola definita proprio da Carabinieri Reali. Tutti e tre i modelli, di chiara ispirazione francese, venivano in origine realizzati nell’arsenale di Valdocco per quanto riguarda la forgiatura delle canne e in quello di S. Maria Maddalena per la fabbricazione delle altre parti delle armi. I primi esemplari furono assegnati il 9 agosto 1814 e rimasero in dotazione fino al 1833 eccezion fatta per la pistola, in servizio fino al 1846 prima di essere dismessa. La Davide Pedersoli completa questo fantastico trio di armi storiche con la sciabola mod. 1814 da Carabiniere Reale a piedi. pagina 27 Una grande e unica opportunità per possedere, o donare, una concreta testimonianza della storia d’Italia. Ogni esemplare viene realizzato affidando la cura di ogni dettaglio a esperti maestri armaioli, anch’essi testimoni di una tradizione armiera che in Val Trompia, e a Gardone in particolare, ha sempre scandito, già da qualche secolo, l’evoluzione delle armi da fuoco. Sicuramente alcuni materiali e alcune tecniche di lavorazione non potranno più essere come quelle di due secoli or sono, ma nell’anima e nel cuore del produttore d’armi valtrumplino risiederanno sempre, come temprati, lo spirito e la voglia di svolgere il proprio operato nel migliore modo possibile. In occasione dei prossimi campionati del Mondo a Granada la Davide Pedersoli vorrebbe offrire ai membri della squadra Italiana una revisione completa delle armi Pedersoli che intendono portare con se in Spagna, la nostra azienda chiude la prima settimana di agosto, si rende quindi necessario ricevere l'arma entro il più presto possibile e non oltre l'inizio di luglio, così da poter restituire le armi ai tiratori prima della chiusura e permettere loro di allenarsi (l'intervento sulla singola arma non richiederà ovviamente un mese e noi cercheremo di fare del nostro meglio per restituire l'arma al tiratore, tuttavia nella malaugurata ipotesi che tutte le armi pervenissero in azienda pochi giorni prima della chiusura estiva potremmo non avere il tempo materiale per intervenire su tutte ......) Stefano Pedersoli pagina 28 COMPRO... VENDO... Fucile GARAnd SPRInGFIELd anno 1942 ca. ottimo stato canna a specchio +cinghia baionetta e dies. € 1.200 tr. 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Da quel momento F.A.S. è stata per quarant’anni un punto di riferimento per il mercato sportivo e per i migliori atleti olimpici che con essa conquistarono punteggi storici a tutt’oggi imbattuti. Dopo la recente scomparsa del fondatore, il figlio Raffaele – da sempre responsabile dell’ufficio export – ha rinnovato il sistema produttivo artigianale delle pistole F.A.S. in un sistema produttivo industriale, affidandosi all’esperienza ed alla riconosciuta eccellenza qualitativa del gruppo Chiappa. Dopo sei mesi di riprogettazione e ingegnerizzazione, il primo lotto produttivo della nuova gamma F.A.S. esce dalla fabbrica di Azzano Mella in Aprile 2014. Sarà distribuito in Italia da DOMINO S.r.l. (l’azienda di Raffaele Mencarelli dedicata alla distribuzione di armi da competizione), nel resto del mondo da Chiappa Firearms. Prima tappa di questa nuova joint-venture è il modello “FAS AP 6004”. Nata dalla rivisitazione della pistola originale FAS AP 604, quest’arma sportiva training ad aria precompressa è caratterizzata da un sistema di caricamento pneumatico manuale, in colpo singolo, che utilizza pellets in piombo calibro 4,5 mm. La canna è in acciaio al carbonio ed è lunga 190 mm (7,5”) inserita direttamente nella leva di armamento. Quest’ultima presenta zigrinature antiriflesso su tutta la lunghezza superiore ed ospita un mirino fisso intercambiabile ed una tacca di mira regolabile sia in altezza che in deriva. Il grilletto “match” è dotato di diverse regolazioni: posizione e peso dello scatto, lunghezza della corsa, regolazione primo e secondo tempo. Oltre all’originale scatto F.A.S. pagina 31 eccezionalmente pulito e netto, colpisce favorevolmente l’ergonomia di questa pistola sia nel modello Standard - con impugnatura ambidestra adatta al training - che nel modello Match - con impugnatura regolabile medium o large. Le sue caratteristiche di peso e bilanciamento la rendono simile ad un’arma a fuoco, pertanto permette l’allenamento per diverse discipline di tiro. La singolarità della FAS AP 6004 risiede nell’apertura della valvola dell’aria, posta in linea con la canna. Questa caratteristica è unica rispetto a tutte le altre pistole pneumatiche, conseguentemente la AP 6004 vanta il più veloce “barrel time”– tempo di percorrenza del pallino all’interno della canna - della sua categoria, favorendo il tiratore con una “punteria” meno impegnativa e più gestibile nei tempi, ottenendo inoltre la massimizzazione della pressione di sparo. La particolare lavorazione del legno di noce offre una impugnatura confortevole dalla superficie porosa e dall’aderenza ottimale. L’ergonomia di entrambe le versioni – standard e match - è studiata per garantire la perfetta stabilità della presa. In particolare nella versione Match si ha l’impressione di avere una forma plasmata su misura della propria mano. La FAS AP 6004 non ha praticamente concorrenti nel suo settore di mercato: è l’unica pistola per tiratori professionisti ed “entry level” che garantisce una performance di altissimo livello ad un prezzo accessibile grazie alla struttura semplice ed intuitiva. Chiappa Firearms ha dunque un nuovo, entusiasmante impegno: riportare a nuovi splendori un mito italiano che ha lasciato il segno nei campionati mondiali ed olimpici del tiro da competizione.
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N°2 - 2011
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