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R I V I STA D E L C I N E M ATO G R A FO WWW.CINEMATOGRAFO.IT GIUGNO 2006 N. 6 € 3,50 I NUOVI VOLTI DEL TERRORE Demi Moore in Half Light e Al Gore in An Inconvenient Truth Fa più paura la fiction o la verità? Speciale horror e un’anteprima molto attesa >ESCLUSIVO TERZANI RACCONTA "Un film per ricordare mio padre" JAMES BOND LA RIVOLUZIONE Duro e cattivo in Casino Royale +I favolosi anni '80 +Meryl Streep+Alex Infascelli+Wes Craven Poste Italiane SpA - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27.02.2004, n° 46), art. 1, comma 1, DCB Milano Tr e s o r e l l e , un unico segreto. SINTRA L’enfeR www.01distribution.it DAL 9 GIUGNO AL CINEMA PUNTI DI VISTA Italiani in trasferta FOTO: PIETRO COCCIA G Giuseppe Piccioni e Barbora Bobulova sommersi dalla folla a Tokyo rande festa a Tokyo per il cinema tricolore. La bestia nel cuore, I giorni dell’abbandono, La febbre e La seconda notte di nozze sono alcuni dei titoli presentati alla sesta edizione del festival del cinema italiano organizzato da Aip-Filmitalia con l’editore nipponico Asahi Shimbun, l’Ambasciata Italiana e l’Istituto Italiano di Cultura. Barbora Bobulova, Giuseppe Piccioni e Marco Tullio Giordana hanno accompagnato un evento che nel giro di pochi anni è diventato fondamentale per la promozione della nostra industria cinematografica nel Sol Levante e più in generale nell’Estremo Oriente. E le lunghe file di pubblico e buyers alle proiezioni fanno ben sperare. Ma il nostro cinema deve anche piangere un amico che ci ha lasciati. A soli 62 anni è morto il regista Andrea Frazzi. Nato a Firenze nel 1944, nel ‘72 aveva debuttato con il gemello Antonio come regista teatrale. Tre anni dopo iniziava la loro collaborazione con la Rai, per cui hanno realizzato diverse fiction, quali La storia spezzata, Due madri per Rocco e Don Milani - Il priore di Barbiana. L’ultima, Giovanni Falcone con Massimo Dapporto, è ancora in lavorazione. Per il cinema i Frazzi hanno diretto due lungometraggi: Il cielo cade (2000) e Certi bambini (2004), vincitore di due David di Donatello. E piange il cuore a pensare che proprio l’anno scorso Andrea e Antonio Frazzi avevano partecipato, insieme al cardinale Achille Silvestrini, alla tavola rotonda “Nel nome di Dio e dello Stato” organizzata dalla Rivista del Cinematografo sul tema del martirio laico e cristiano. Sulla RdC diamo inoltre il benvenuto a Morando Morandini, che dallo scorso numero ci regala “pillole” di saggezza cinefila, e salutiamo con soddisfazione il ritorno di Enrico Magrelli. Accanto alla Rivista, l’Ente dello Spettacolo prosegue il proprio impegno editoriale. La nuova pubblicazione Primissimo piano raccoglie le interviste di Mario Dal Bello a cinquantadue attrici, attori e registi, italiani e stranieri. Passaggi veloci, impressioni soggettive e confronti a distanza per ricomprendere tratti, emblemi e riflessi della società contemporanea, che la settima arte ha segnato e continua a segnare. Infine, facciamo gli auguri a Francesco Rutelli, neo-ministro dei Beni e delle Attività Culturali, con la speranza che possa contribuire da subito al rilancio del nostro cinema. rC d CINEMA - TELEVISIONE - RADIO TEATRO - INFORMAZIONE Nuova Serie - Anno 76 Numero 6 Giugno 2006 In copertina Demi Moore in Half Light Direttore Responsabile Dario Edoardo Viganò Caporedattore Marina Sanna Progetto grafico e Art Director Alessandro Palmieri Hanno collaborato a questo numero Andrea Agostini, Paolo Aleotti, Francesco Alò, Luciano Barisone, Francesco Bolzoni, Pietro Coccia, Ermanno Comuzio, Silvio Danese, Rosa Esposito, Cesare Frioni, Marcello Giannotti, Diego Giuliani, Giada Gristina, Leonardo Jattarelli, Lara Loreti, Enrico Magrelli, Massimo Monteleone, Franco Montini, Morando Morandini, Roberto Nepoti, Luca Pallanch, Peter Parker, Luca Pellegrini, Federico Pontiggia, Giorgia Priolo, Angela Prudenzi, Valerio Sammarco, Alessandro Scotti, Marco Spagnoli, Davide Turrini, Chiara Ugolini Proprieta’ ed Editore Ente dello Spettacolo Direzione e amministrazione Via G. Palombini, 6 - 00165 Roma Tel.(06) 663.74.55 - 663.75.14 fax (06) 663.73.21 Registrazione al Trib. di Roma N. 380 del 25 luglio 1986 Iscrizione al ROC N 2118 Del 26/9/01 Pubblicita’ e sviluppo Eureka! S.r.l. - Franco Conta 335.5428.710 e-mail: franco@eurekamail.it e-mail: info@eurekamail.it Fax: 02.45497366 Servizio cortesia abbonamenti Direct Channel S.r.l. – Milano Tel. 02-252007.200 fax 02-252007.333 Lun-Ven 9/12,30 – 14/17,30 e-mail: abbonamenti@directchannel.it Stampa Società Tipografica Romana S.r.l. Via Carpi 19 - 00040 Pomezia (RM) Finita di stampare il 29 Maggio 2006 Distributore esclusivo A. & G. Marco S.p.A. Via Fortezza, 27 - 20126 Milano Associata A.D.N. Abbonamento per l'Italia (10 numeri) 35,00 euro Abbonamento per l'estero (10 numeri) euro 110,00 Copia arretrata euro 5,00 Associato all'USPI Unione Stampa Periodica Italiana Iniziativa realizzata con il contributo della Direzione Generale Cinema – Ministero per i Beni e le Attività Culturali Giugno 2006 RdC 3 CUOREDI Il verdetto della giuria stravolge i pronostici dell’ultima ora e premia Ken Loach. Con il presidente Wong Kar-wai che, a sorpresa, punta sulla riconciliazione di un mondo diviso DI MARINA SANNA FOTO DI PIETRO COCCIA Wong Kar-wai. In basso Ken Loach I verdetti delle giurie sono più o meno prevedibili, soprattutto in chiusura di un festival. Cannes rappresenta l’eccezione, impossibile capire che cosa succederà fino al momento della premiazione. Nessuna indiscrezione, nessuna pressione esterna, assoluta indipendenza e libertà di giudizio. La prova l’abbiamo sotto gli occhi anche quest’anno: Ken Loach ha vinto la Palma d’Oro stravolgendo ogni pronostico. Il suo bel film sulla guerra di indipendenza irlandese, The Wind That Shakes the Barley, ha commosso i giurati all’unanimità, come ha sottolineato il presidente Wong Kar-wai. E sebbene proiettato all’inizio del concorso, appena il secondo giorno del festival, non ha avuto rivali. La notizia ha preso alla sprovvista la stampa specializzata, negli ultimi giorni il toto palmarès dava come favoriti Marie Antoinette di Sofia Coppola, del tutto ignorata (peccato) e in larga maggioranza non compresa dalla critica, il corale Babel di Alejandro Gonzalez Iñarritu (premio alla regia e se si pensa che l’anno scorso l’ha vinto Michael Haneke con Caché fa un po’ impressione) e più di tutti Volver di Pedro Almodóvar. E’ stato toccante vedere il regista spagnolo riuscire appena ad applaudire le sue attrici vittoriose per l’interpretazione femminile, perché in quel momento realizzava che non avrebbe avuto, neanche questa volta, la Palma d’Oro. Poi emozionato, quasi sorridente per il discorso pieno di sentimento di tutte le sue donne ma in particolare di Penelope Cruz (“Pedro ti amo, sei un uomo meraviglioso, hai cambiato la 4 RdC Giugno 2006 mia vita”) è salito faticosamente sul palco per ritirare il premio alla sceneggiatura e se ne è andato senza ringraziare la giuria. E’ vero, Almodóvar avrebbe meritato il massimo riconoscimento, ma il film di Ken Loach sconquassa dal di dentro, il passato diventa chiave di lettura del presente, la guerra fratricida irlandese emblema di tutte le guerre. Con un’ottima prova d’attore: Cillian Murphy diretto da Loach fa un balzo avanti rispetto alla performance in Red Eye di Wes Craven. Altra sorpresa, il Gran Premio a Flandres di Bruno Dumont, amato e odiato con la stessa intensità da critici e giornalisti, più CANNES 59 PALMA TUTTI I PREMI CONCORSO Palma d’Oro al miglior film The Wind That Shakes the Barley di Ken Loach Gran Premio della Giuria Flandres di Bruno Dumont Premio per la regia Babel di Alejandro Gonzalez Iñarritu Premio della Giuria Red Road di Andrea Arnold Migliore interpretazione maschile Cast di Indigènes di Rachid Bouchareb Migliore interpretazione femminile Cast di Volver di Pedro Almodóvar Migliore sceneggiatura Volver di Pedro Almodóvar Cortometraggi in concorso Palma d’Oro Sniffer di Bobbie Peers Gran Premio Primera Nieve di Pablo Aguero UN CERTAIN REGARD Miglior film Luxury Car di Wang Chao Premio Speciale della Giuria 10 canoe di Rolf De Heer Migliore attrice Dorothea Petre per Comment j’ai fêté la fin du monde di Catalin Mitulescu Miglior attore Don Angel Tavina per El violin di Francisco Vargas Premio Presidente della Giuria Meurtrières di Patrick Grandperret SEMAINE DE LA CRITIQUE Les amitiés maléfiques di Emmanuel Bourdieu Miglior cortometraggio Printed Rainbow di Gitanjali Rao CAMERA D’OR A l’Est de Bucarest di Corneliu Porumboiu The Wind That Shakes the Barley. Accanto Bruno Dumont, sopra una scena di Indigènes e Flandres, e Pedro Almodóvar scioccante di un documentario e lontano anni luce da The Wind That Shakes the Barley. Anche qui c’è una guerra, più vicina e in un luogo imprecisato (sembrerebbe l’Afghanistan), e le immagini di sevizie, stupri e massacri sono durissime. Un vero horror, era dai tempi di Full Metal Jacket, a cui Dumont fa esplicito riferimento, che non si vedeva nulla di simile. Meno sorprendente ma comunque non previsto anche l’altro riconoscimento collettivo al cast maschile di Indigènes del franco-algerino Rachid Bouchareb, un’opera che pur non avendo particolari meriti artistici svela la storia di 130 mila nordafricani che durante la seconda guerra mondiale lasciarono le loro case per combattere i nazisti e morirono quasi tutti. Di fatto era impossibile ignorare che i tre quarti dei film in competizione e non (una buona selezione con opere discrete e picchi alti tant’è che sono rimasti fuori Kaurismaki, Sofia Coppola, il turco Ceylan e gli italiani) raccontassero disgrazie di ogni genere, torture, solitudini, barriere linguistiche, culturali, divisioni religiose, discriminazioni razziali, fanatismo, terrorismo. Questa presa di coscienza deve avere influito pesantemente e a ragione sulle decisioni della giuria, capitanata da Wong Kar-wai, e spiega anche il premio all’esordiente Andrea Arnold (Red Road, qui non si parla di guerra ma ancora di violenza e disperazione). Così il regista di In PREMIO FIPRESCI Iklimler di Nuri Bilge Ceylan PREMIO GIURIA ECUMENICA Babel di Alejandro Gonzalez Iñarritu the Mood for Love e 2046, il grande esteta, l’autore calligrafico, che ama le donne, le scarpe e Almodóvar (per cui ha speso parole di apprezzamento mentre annunciava il premio alle attrici di Volver), ha esortato i suoi colleghi a scegliere con il cuore, a cercare nei film la solidarietà e la compassione per i popoli e gli individui. Un solo rammarico a margine di questa edizione: perché il bellissimo film di Marco Bellocchio, Il regista di matrimoni, non era in concorso? % sommario Primo piano 14 Al Gore denuncia In un documentario la Scomoda verità dell’ex vicepresidente Usa: “Abbiamo distrutto il clima, adesso pagheremo” (Angela Prudenzi) Servizi 4 Cannes 59 Vincitori e vinti (Marina Sanna) 16 Terzani regista Il figlio del celebre Tiziano in anteprima su Twilight Men. Tra i santoni dell’Himalaya, per ricordare il padre (Lara Loreti) 20 Nel nome di Fleming James Bond torna alle origini: duro e spietato, come lo voleva il suo ideatore (Giada Gristina) 24 Ottanta nostalgia Rampantismo, tele-valori, apologia del fitness: ecco il decennio che sta facendo impazzire il cinema (Silvio Danese, Rosa Esposito, Diego Giuliani, Federico Pontiggia) 54 Meryl Streep A tu per tu con la mattatrice di Radio America (Diego Giuliani) Speciale 31 Horror ieri e oggi Dai mostri romantici e tormentati al trionfo dei serial killer. Radiografia di un genere in mutamento, fra Italia e resto del mondo. Con schede, interviste e generazioni a confronto (Hanno collaborato: Francesco Alò, Massimo Monteleone, Roberto Nepoti, Luca Pallanch, Federico Pontiggia, Angela Prudenzi, Marco Spagnoli. A cura di Marina Sanna) 6 RdC Giugno 2006 40 Il remake Omen 666 Numero 6 >Giugno 2006 FOTO: PIETRO COCCIA 56 58 59 59 60 60 62 63 63 64 64 65 66 67 67 68 68 I film Volver 10 canoe L’enfer Cappuccetto rosso e gli insoliti sospetti Imagine Me & You Crossing the Bridge Anche libero va bene My Father Bittersweet Life Occupation: Dreamland La casa del diavolo Antonio, guerriero di Dio Poseidon The Sentinel L’isola di ferro Il Codice Da Vinci X-Men 3 (Francesco Alò, Luciano Barisone, Diego Giuliani, Leonardo Jattarelli, Enrico Magrelli, Massimo Monteleone, Franco Montini, Luca Pellegrini, Federico Pontiggia, Angela Prudenzi, Valerio Sammarco, Marco Spagnoli, Davide Turrini) 20 Daniel Craig in Casino Royale: è lui il nuovo James Bond Le rubriche 8 Tutto di tutto News, festival, protagonisti e fornelli (Andrea Agostini, Marcello Giannotti, Diego Giuliani, Massimo Monteleone, Morando Morandini, Peter Parker, Chiara Ugolini) 72 Dvd & Extra-Ordinari Orgoglio, pregiudizio e pistole (Alessandro Scotti, Marco Spagnoli) 78 Inside Cinema Lo strapotere dei grandi (Franco Montini, Marco Spagnoli) 80 Libri Da Tim Burton a Depardieu (Francesco Bolzoni, Giorgia Priolo) 82 Colonne sonore Inside Man e gli altri (Ermanno Comuzio) 26 L’estate del mio primo bacio di Carlo Virzì 14 Al Gore paladino del clima in An Inconvenient Truth 16 Twilight Men di Terzani jr. 54 Meryl Streep nel film di Altman Giugno 2006 RdC 7 TuttoDiTutto Ultimissime in pillole dal pianeta cinema: tendenze, news, divi e fornelli A cura di Diego Giuliani chi fa cosa di Andrea Agostini FOXX CI PRENDE GUSTO Jamie Foxx non molla il distintivo. In attesa del Miami Vice di Michael Mann con Colin Farrell, l’attore interpreterà un agente dell’Fbi nel thriller The Kingdom. Per Peter Berg, regista di Cose molto cattive, Foxx affiancherà Chris Cooper in un team di 007, inviati in Medio Oriente per investigare sui retroscena di un attentato terroristico a una squadra di lavoratori occidentali. Nel cast, tutto al maschile, spicca la presenza dell’ex Alias Jennifer Garner. 8 RdC Giugno 2006 007 TRADISCI E AMMAZZA Illusioni d’amore per Catherine Zeta-Jones. Secondo quanto scrive l’Hollywood Reporter, l’attrice potrebbe affiancare Guy Pearce in Death Defying Acts, biografia del famoso illusionista e prestigiatore Harry Houdini. Il film ne racconterà ascesa e relazione con una medium esotica (la Zeta-Jones) che cerca di metterlo in contatto con la madre morta. Il film sarà diretto da Gillian Armstrong (Piccole donne) e girato in Inghilterra alla fine dell’estate. ADDIO ALLA DONNA GATTO Halle Berry rende (finalmente) giustizia all’Oscar. Premiata per l’interpretazione in Monster’s Ball, dopo la vittoria ha dimostrato uno scarso fiuto nella scelta dei ruoli: da Gothika al flop di Catwoman, nessun film le ha dato modo di valorizzare le sue doti drammatiche. Ora è in cerca di un nuovo rilancio e per farlo ha scelto partner fidati e pluripremiati. Affiancata dall’Oscar Benicio Del Toro, l’attrice interpreterà il dramma Things We Lost in Fire, prodotto dal regista di American Beauty Sam Mendes. Nella storia sarà una vedova che ospita nella propria casa il migliore amico del marito defunto. Nonostante i suoi gravi problemi, l’uomo riuscirà a farsi ben volere, aiutando la famiglia a superare il lutto. Appuntamento fisso con un ammiratore mascherato. Che si confessa alla Kidman, per parlarle di sé, del cinema e del mondo STREGATA DAL MAGO HOUDINI SulletraccediNicole Pierce Brosnan marito fedifrago. L’attore ha sepolto il coraggioso 007 per vestire i panni di un viscido traditore. Nel dramma Marriage, ambientato negli anni ’40, interpreterà il ruolo di un marito che, tradita la moglie, per risparmiarle il trauma della separazione, pensa bene di ucciderla. Con lui un cast di lusso: il premio Oscar Chris Cooper (Il ladro di orchidee) affiancherà la bravissima Patricia Clarkson (Good Night, and Good Luck) e la giovane Rachel McAdams (Red Eye). Le riprese inizieranno a luglio. Contento e malmenato Non è bastato farmi picchiare. Ma un giorno sarò degno di te Nicole, mia distante Nicole, ho ripreso in mano la tua preziosa agendina. Alla “J” ho trovato Jodie Foster. In due minuti, dopo essermi presentato a tuo nome, ero nella sua villa. Mi ha chiesto se avevo visto tutti i suoi film: io, scioccamente, ho annuito e lei ha preteso che glieli citassi uno ad uno. Per ogni errore mi arrivava una sberla dalla guardia del corpo, un tale Tobias. “Lo faccio perché devi migliorare”, mi spiegava amabilmente Jodie. Poi le ho detto che in Inside Man è stata grandiosa. Contenta del complimento, mi ha pregato di recitarle tutta la sua parte. Non ricordavo che qualche stralcio e Tobias si è divertito ancora di più: sberle, calci, spintoni. Il tutto con una certa gentilezza e professionalità. “Devi diventare un bravo professionista, è il metodo che uso con le persone cui voglio bene”, mi ha detto Jodie. Sfinito, le ho chiesto se potevo ritirarmi a dormire. A quella parola ha cominciato a urlare come un’indemoniata, mi ha detto che lei non riposa dal 23 gennaio 2001 quando si appisolò per sette minuti durante il montaggio di Panic Room. “Non è dormendo che si fa il bene del cinema. Bisogna lavorare e lavorare, questo è il nostro destino”, ha sussurrato mentre scriveva su una lavagnetta il numero di sberle che Tobias avrebbe dovuto darmi. Per 32 ore di seguito, senza acqua, cibo, sigarette, mi ha raccontato tutti i dettagli della lavorazione del Silenzio degli innocenti, insistendo che lo faceva solo perché io potessi essere degno di starti vicino. Alla fine credo di essere svenuto. Mi sono ritrovato fuori dal cancello, con Tobias che mi caricava su un taxi. “Torni presto a trovarci, sarà il benvenuto, signor Parker”, mi ha detto il gorilla. Mi manchi, Nicole, mi manchi davvero moltissimo. Tuo Peter Parker Dal gorilla di Jodie Foster ho capito come conquistarti Giugno 2006 RdC 9 TuttoDiTutto I protagonisti di Marcello Giannotti IL GRANDE SCHERMO A TU PER TU. OVVERO: FINTA INTERVISTA A PERSONAGGI REALMENTE ESISTITI. AL CINEMA IL PERSONAGGIO Sozzo (Un uomo da marciapiede di John Schlesinger) Joe Buck (Jon Voight) ex lavapiatti, lascia il Texas in cerca di fortuna a New York. Vestito da cowboy e sicuro di poter riuscire ad arricchirsi come gigolò, colleziona soltanto una serie di delusioni. L’incontro con “Rizzo” detto “Sozzo” (Dustin Hoffman), tisico, sporco, poveraccio ladruncolo senza fortuna, gli fa capire definitivamente quanto sia dura la vita di un emarginato nella grande metropoli dell’opulenza. Joe decide di aiutare l’amico a realizzare il sogno di andare a vivere in Florida: il viaggio in pullman verso Miami sarà l’ultimo per Rizzo che morirà a fianco del cowboy. Film culto degli anni ’70, diretto dall’inglese John Schlesinger, tratto da un romanzo di James Leo Herlihy, vinse tre Oscar: miglior film, regia e sceneggiatura. A trascinarne la fortuna anche la colonna sonora con la canzone Everybody’s Talkin’ di Fred Neil, cantata da Harry Nilsson. Tutto potevo aspettarmi nella mia carriera ma non di incontrare lui. E proprio qui, a Miami. In perfetta forma, cinque donne al fianco che lo L’ATTORE Dustin Hoffman 10 RdC Marzo 2006 coccolano, sua moglie Mira di 30 anni più giovane, una limousine che lo aspetta, 3 chilometri di spiaggia privata tutta per lui, sorvegliata da quattro minacciosi bulldog. Indossa la stessa camicia con le palme che gli aveva comprato Joe Buck alla fine del film. Io sarei tentato di chiamarla Sozzo, ma non so se, invece, preferisce il vero nome, Enrico Salvatore Rizzo. No, no, amico, chiamami Sozzo, non ti preoccupare. Non ti manderò nessun bulldog a sbranarti per questo. Mi riesce difficile immaginare che vita abbia fatto. L’ avevamo lasciata su quell’autobus che la portava a Miami, morto, accanto al suo amico Joe Buck… Macché morto, fingevo per dar modo a Joe di fregare un po’ di soldi ai vecchi turisti sul pullman. Sai, con la scusa dei funerali, la gente si sente ben disposta ad aprire il portafogli. Sono senza parole… Porco boia, amico, non vedevo l’ora di conoscerti, credevo fossi in gamba ma ora mi stai facendo innervosire. Cos’hai da guardare? Sto benissimo, per la miseria, non ho più avuto neanche un’ombra di tosse. Vuoi sapere se sono ancora storpio? Mi sono operato, cammino benissimo, faccio tutti i giorni footing sulla riva. Ma non mi alzerò per dimostrartelo, devi credermi sulla parola. E i soldi come li ha fatti, Sozzo? Andiamo, amico, il mondo è degli arroganti, non degli onesti. Diciamo che insieme a Joe abbiamo fatto qualche buon affare. Quando siamo arrivati qui avevamo solo quei venti dollari racimolati per il mio funerale, non avevamo una casa. Ma avevamo capito che in “Onestà? Macché. Il mondo è degli arroganti. Ho fatto fortuna come tutti i fetenti che guidano il mondo” America occorreva essere arroganti per avere successo. Quello storpio viaggiava assieme all’ex lavapiatti Joe Buck in un’America piena di confusioni, di contraddizioni, comunque meglio di quella di oggi. Lo sai o no di che parlava quel film? Di disagio sociale, di amicizia… Tutte fregnacce, amico. Parlava di poveri, di emarginati, di gente sola che non entrava mai dalla porta principale, persone con cui non voglio avere più a che fare. Io ero storpio ma non fesso. Non che sia mai stato uno stinco di santo, però pensavo in grande. Così ho preso esempio dai presidenti, ho fatto fortuna come fanno loro, non c’è modo più facile per vivere. Niente di onesto, amico, niente di encomiabile. Come gli altri fetenti che guidano il mondo. E Joe Buck? Joe… A furia di fare il gigolo si è innamorato veramente, ha messo su casa, si è comprato un ristorante. Ha speso tutti i soldi che aveva guadagnato con me, poi la moglie lo ha lasciato ed è tornato a vivere in Texas. Si è ricomprato il cappello da cowboy. Quindi non c’è spazio per l’onestà nel mondo, Sozzo? Esatto amico, esatto. Ma per goderti la vita devi vivere a Miami, altrimenti è del tutto inutile essere ricchi. I due elementi necessari per restare in vita sono il sole e il latte di cocco. E le femmine. Guardati intorno, questo è il posto ideale. Beh, veramente anche Miami è cambiata parecchio. Questa spiaggia in cui vivo da 36 anni non è cambiata e non cambierà mai. E ti voglio dire un’ultima cosa. Sai perché ancora mi commuovo quando sento nominare Joe Buck dopo tutti questi anni? Immagino perché eravate molto amici. Prima di morire mi ha cambiato i pantaloni e mi ha messo la camicia colorata. Questo è quello che conta nella vita, amico. E ora levati dalle scatole che ti ho già detto troppo: queste sono cose che Sozzo dice solo quando si confessa. Nome Sophia Loren Provenienza Italia Il film d’esordio Cuori sul mare Il miglior film Una giornata particolare L’ultimo film Cuori estranei PALM SPRINGS FILM NOIR FESTIVAL Sito web www.palmspringsfilmnoir.com Dove Palm Springs (California), USA Quando 1-4 giugno Resp. Arthur Lyons tel. e fax (001-760) 8649760 E-mail: kittyteeth@aol.com > LA SPECIALITA’ pizza napoletana Laclassica Linguine con salsa Sophia alla napoletana con gli Ragù involtini 墍> LA SCELTA Quando Alessandra Mussolini aveva protestato digiunando contro l’esclusione del suo partito alle elezioni regionali, zia Sophia si era molto preoccupata. Mentre l’illustre nipote, per sua stessa ammissione, sognava le sue lasagne, lei faceva sapere di avere iniziato per solidarietà il digiuno del babà. L’ultima diva del cinema d’oro italiano è sì una buona forchetta, ma anche una buona cuoca. I suoi menù spaziano dai piatti tipici della tradizione napoletana a quelli di Roma, sua seconda città, da quando venne a neppure sedici anni per cercare fortuna con la mamma Romilda. Qualche piatto lo ha ereditato da lei, qualcuno dalla nonna Luisa, qualcos’altro dalla zia Dora Villani di Pozzuoli. Ce ne sono un paio, però, creati dalla stessa attrice, tra cui la salsa Sophia: una variante ricca del pesto genovese, dove al posto del basilico trionfa il prezzemolo, con acciughe, aglio, pinoli, capperi, cipolla, olive nere, pepe o paprica. VI appuntamento col cinema di genere noir e neo-noir. In programma lungometraggi e corti. Non prevede concorso. MOSTRA INTERNAZIONALE DEL NUOVO CINEMA Sito web www.pesarofilmfest.it Dove Pesaro, Italia Quando 24 giugno - 2 luglio Resp. Giovanni Spagnoletti tel. (06) 4456643 (rif. a Roma) fax. (06) 491163 E-mail: info@pesarofilmfest.it XLII edizione del longevo festival italiano, coerente nel seguire percorsi originali, tendenze sperimentali, cinematografie e autori emergenti. In programma titoli inediti e una rassegna sul cinema argentino contemporaneo. L’evento speciale è dedicato al cinema italiano contemporaneo. Incontri con gli autori e tavole rotonde. ARCIPELAGO Sito web www.arcipelagofilmfestival.org Dove Roma, Italia Quando 16-22 giugno Resp. Stefano Martina, Fabio Bo, Massimo Forleo tel. (06) 39387246 fax. (06) 39388262 E-mail: info@arcipelagofilmfestival.org XIV edizione del “festival internazionale di cortometraggi e nuove immagini”. Sezioni competitive: Onde Corte (film e video internazionali); ConCorto (film e video italiani); E-Movie (corti digitali); VideoRome; CortoWeb; Extra Large. FESTROIA - FESTIVAL INTERNACIONAL DE CINEMA Sito web www.festroia.pt Dove Setùbal, Portogallo Quando 2-11 giugno Resp. Mario Ventura tel. (00351-265) 534059 fax. (00351-265) 525681 E-mail: geral@festroia.pt XXII edizione del festival che accetta in concorso opere di paesi con meno di 30 film a soggetto all’anno. Presenta la produzione annuale portoghese. Sezioni sulle opere prime e gli indipendenti americani. GENOVA FILM FESTIVAL Sito web www.genovafilmfestival.it Dove Genova, Italia Quando 26 giugno - 2 luglio Resp. Cristiano Palozzi, Antonella Sica (Ass.Cult. Daunbailò) tel. (010) 5573958 E-mail: segreteria@genovafilm festival.it IX edizione della più importante manifestazione ligure sul cinema e gli audiovisivi. Due sezioni competitive per “corti” e documentari. Fra le varie sezioni, il consueto omaggio a Gassman focalizza il suo lavoro in coppia con Ugo Tognazzi. NAPOLIFILMFESTIVAL Sito web www.napolifilmfestival.com Dove Napoli, Italia Quando 4-11 giugno Resp. Davide Azzolini, Mario Violini tel. (081) 19563340 fax. (081) 19563345 E-mail: segreteria@napolifilmfestival.com VIII edizione della rassegna con tre concorsi: i lungometraggi di area mediterranea, i making of realizzati sul set, e “Schermo Napoli”. Rassegne sui film francesi di Sergio Castellitto, sul regista turco Yilmaz Guney, e una personale completa su Sergio Citti. NEWPORT INTERNATIONAL FILM FESTIVAL Sito web www.newportfilmfestival.com Dove Newport (Rhode Island),USA Quando 6-11 giugno Resp. Nancy Donahoe tel. (001-401) 8469100 E-mail: info@newportfilmfestival.com V edizione del festival in cui concorrono documentari, corti, opere d’animazione e lungometraggi. FESTIVAL INTERNATIONAL DU FILM D’ANIMATION Sito web www.annecy.org Dove Annecy, Francia Quando 5-10 giugno Resp. Tiziana Loschi tel. (0033-4) 50100900 fax. (0033-4) 50100970 E-mail: info@annecy.org XXX edizione dell’importante manifestazione competitiva europea, specializzata nel cinema d’animazione. Diverse le categorie: lungometraggi, corti, serial TV, film delle scuole di cinema. MIDNIGHT SUN FILM FESTIVAL Sito web www.msfilmfestival.fi Dove Sodankyla, Finlandia Quando 14-18 giugno Resp. Peter von Bagh tel. (00358-16) 614525 fax. (00358-16) 614522 E-mail: office@msfilmfestival.fi XXI edizione del festival scandinavo del “sole di mezzanotte”, inventato dai fratelli Kaurismäki. Non competitivo, presenta novità di cineasti indipendenti, monografie di autori, omaggi, film muti con musica dal vivo. Giugno 2006 RdC 11 festival del mese di Massimo Monteleone divi al fornello di Chiara Ugolini f> IL PERSONAGGIO TAORMINA FILMFEST Sito web www.taorminafilmfest.it Dove Taormina (Messina), Italia Quando 20-25 giugno Resp. Felice Laudadio tel. (0942) 21142 fax. (0942) 23348 Rif. a Roma tel. (06) 32650035 E-mail: evspett@tin.it LII edizione della rassegna siciliana, con anteprime di film di tutto il mondo alla presenza di autori ospiti. Una sezione competitiva per i cortometraggi internazionali. Taormina FilmFest presenta 15 film italiani e 7 documentari. TuttoDiTutto MORANDINI IN PILLOLE Quello che gli altri non dicono: riflessioni e note a posteriori di un critico DOC di Morando Morandini 1 Maggio: Cordoni ombelicali Qual è la differenza di fase tra televisione pubblica e televisione commerciale? Una piccola minoranza di telespettatori sa la risposta, ma la ignorano – o fingono di ignorarla – anche molti giornalisti. Nella tv pubblica si vende la pubblicità per pagare i programmi; in quella commerciale si fanno i programmi per vendere pubblicità. Mediaset insegna: il bilancio del 2005 ha reso agli azionisti una pingue cedola, la più alta negli anni 2000. E la Rai ha imparato la lezione: il suo declino culturale e politico ha in questa rincorsa all’Auditel la sua causa principale. Poche speranze che la situazione cambi col nuovo governo di centrosinistra perché la classe dirigente italiana è legata al piccolo schermo da un cordone ombelicale che nessuno vuole toccare.. 3 Maggio: Una scimmia e un ragazzo sexy Dopo la massiccia biografia di Dean Martin (Dino di Nick Tosches, in Italia per Baldini & Castoldi-Dalai), è uscita negli USA Dean & Me – A Love Story, autobiografia di Jerry Lewis, aiutato da James Kaplan: “Una scimmia e un ragazzo sexy, ecco che cosa eravamo…”. Molti critici italiani hanno esagerato nel leggere False verità di Egoyan come una parafrasi della loro vicenda. I punti di contatto non mancano (compresa le mimesi che di Jerry Lewis fa Kevin Bacon), ma le differenze sono più numerose. Il colmo è stato raggiunto da un titolo a tutta pagina sul Manifesto: “Perché Dean Martin e Jerry Lewis si separarono?”. Un esempio di giornalismo drogato. 4 Maggio: C’è anche una Allen sconosciuta E’ sfuggita a molti quotidiani – ma non al Manifesto – la notizia della morte di Jay Presson Allen (1922 - 2006), Omaggio alla Valli Castiglioncello ricorda la grande attrice. Con una mostra, dal set di Senso, per i 100 anni di Luchino Visconti Sul set, nelle pause, sotto l’occhio affettuoso della macchina da presa di Luchino Visconti. E’ un’Alida Valli inedita, quella in mostra a Parlare di Cinema a Castiglioncello dal 13 al 18 giugno. Una selezione di scatti preziosissimi, realizzati da Paul Roland durante le riprese di Senso, con cui la rassegna curata da Paolo Mereghetti omaggia l’attrice da poco scomparsa, in occasione del centenario della nascita del regista del Gattopardo. L’allestimento fotografico, selezionato partendo 12 RdC Giugno 2006 da un archivio di oltre mille negativi, si affianca a un intenso cartellone di incontri. A parlare dei ruoli offerti dal cinema italiano ai giovani attori sarà il 16 Silvio Muccino, mentre il giorno successivo seguirà un dibattito sui tormentati rapporti fra grande schermo e politica. Ciascun incontro sarà poi accompagnato da una serie di proiezioni sul tema. Spazio a studenti e giovani cineasti, infine, nel cartellone delle opere prime. scrittrice di merito che vinse un Oscar per la sceneggiatura non originale di Il principe della città (1981), uno dei migliori film - e il più scorsesiano – di Lumet. Per lui firmò anche Cabaret (1972), Funny Lady (1975) e Dimmi quello che vuoi (1980) ed esordì nel 1964 con Marnie di Hitchcock. Nel cinema anglo-americano gli Allen noti sono una quindicina. 6 Maggio: Comandano i morti o gli zombi? “In Italia comandano i morti” fa dire, e dice, Bellocchio nel Regista di matrimoni. Ogni tanto ho il sospetto, invece che in Italia comandino gli zombi, i morti viventi. 14 Maggio: Scambio tra coralli e brillanti Un po’ per caso un po’ per desiderio – titolo prolisso e stupido per Fauteuls d’orchestre – è una delle più intelligenti commedie francesi degli anni 2000. E’ dedicata a Suzanne Flon, morta a 87 anni il 15 giugno 2005 poco dopo le riprese. Dal press-book ho saputo che alla fine degli anni ’50 ebbe una storia d’amore con John Huston. Un giorno che portava una piccola collana di corallo incontrò Marilyn Monroe, a cui la collana piacque molto. Suzanne gliela regalò subito. Il giorno dopo M.M. le fece portare una collana di brillanti. La regista/sceneggiatrice Daniele Thompson – che scrive i suoi film col figlio Christopher – dice che quando lavora per il cinema pensa spesso a una frase di Frank Capra: “Quel che interessa la gente, è la gente”. E’ il cuore del suo terzo, ammirevole film da regista. PRIMO PIANO “Siamo seduti su una bomba a orologeria” avvisa l’ex vicepresidente Usa Al Gore. Che del clima ha fatto la sua crociata, come racconta nello scioccante documentario (fuori concorso a Cannes) An Inconvenient Truth DI ANGELA PRUDENZI CHE NE SARA’ E normi ghiacciai che si sciolgono, tifoni che spazzano via intere città, diluvi con migliaia di vittime, iceberg ridotti a ghiaccioli, temperature infuocate che decimano gli anziani, decine e decine di animali in via di estinzione. La trama dell’ennesimo film catastrofico? No, la pura verità. E non fatevi illusioni, nessuno può dirsi al sicuro. Se le migliaia di morti causate soltanto in Italia dal caldo 14 RdC Giugno 2006 torrido dell’estate 2003 non vi dovessero sembrare un segnale sufficientemente allarmante, correte a farvi una gita ai piedi dell’Adamello avendo cura di portare con voi una bella foto della montagna risalente a una ventina d’anni fa. Beh, roba da non crederci, quel ghiacciaio bianco e compatto che incantava l’anima per magnificenza e opulenza è quasi scomparso. Le cartoline che saranno vendute tra un paio di lustri ne certificheranno la definitiva e irreversibile sparizione. Quindi nemmeno a provarci a fare gli egoisti, a pensare che tanto un uragano parente di Katrina qui da noi non arriverà mai. Quello forse no, è vero. Intanto il clima dell’italico stivale è cambiato, e inverni sempre più caldi e piovosi hanno già cominciato ad alternarsi con estati sempre più lunghe e calde. In linea, del resto, con il surriscaldamento dell’intero DINOI? globo. Una scomoda verità, An Inconvenient Truth, come giustamente ha intitolato il proprio bel documentario l’americano Davis Guggenheim. Coprotagonista, oltre al sistema climatico della terra, Al Gore, vicepresidente degli Stati Uniti con Clinton e quasi presidente allontanato dalla massima carica dopo un poco chiaro duello all’ultimo voto con Bush jr. Da allora si spende per gridare al mondo che siamo seduti su una bomba a orologeria. In pochi anni ha girato in lungo e in largo il pianeta, orchestrato oltre 2000 conferenze, denunciato scelte politiche che minacciano la nostra vita e soprattutto quella delle generazioni future. Non deve costargli poco, se non altro pensando che lui, da presidente, il famoso “Documento di Kyoto” che dovrebbe impegnare i paesi civilizzati alla salvaguardia dell’ambiente lo avrebbe firmato, e non rispedito al mittente come invece ha fatto Bush. “Sono solo due i paesi che non riconoscono il Documento – afferma tristemente noi e l’Australia”. Peccato che gli Stati Uniti siano la potenza più forte del mondo, in grado di vanificare da sola gli sforzi delle altre nazioni. Per nulla rinunciatario e anzi convinto che ogni singolo individuo possa fermare la tragedia in atto, Al Gore il combattente tra un aereo e l’altro passa ore al computer ad affinare le proprie conoscenze. C’è però anche un altro Gore che esce dallo schermo, quello privato. Il bambino delle foto in bianco e nero che torna con i ricordi all’infanzia, alla scuola, ai giochi, ai genitori. Il padre toccato dalla tragedia della perdita di un figlio, ferita impossibile da rimarginare che però l’impegno sociale aiuta a lenire. Infine il giovane politico affascinante e rampante che non conosce ancora il sapore della sconfitta. Sono soprattutto quest’ultime le immagini che più impressionano: il fisico palestrato e la bella faccia da wasp hanno oggi lasciato il posto a una corporatura massiccia e a un volto maturo, sul quale brillano gli occhi vivaci di sempre. Ma Gore è un ex star della politica che la vita ha forse segnato più del dovuto, non sconfitto. Per tutta la durata del documentario non si lascia mai andare a un rimpianto, conscio di avere un’altra missione da compiere, non meno importante di quella che gli è stata negata. Non si tratta di salvaguardare gli interessi dell’America, ma di salvare il mondo. Un obiettivo di cui si fa carico con fermezza, come appare evidente da An Inconvenient Truth. Ma, sia chiaro, il lavoro di Guggenheim non manipola né miticizza la figura di Gore. La macchina da presa lo segue senza virtuosismi, più vicina al linguaggio giornalistico che cinematografico. Anche se alla fine la denuncia è scritta nel suo corpo maturo non meno che nei dati, nei tabulati, nelle percentuali. Al Gore durante una delle sue conferenze. Accanto e nell’altra pagina ghiacciai di Perù e Nepal ieri e oggi Giugno 2006 RdC 15 INCONTRI ‘‘Un santone mi disse’’ Il figlio di Terzani parla in esclusiva del suo nuovo film Twilight Men. Girato sulle vette dell’Himalaya, per carpire la magia dei Sadhu: asceti indiani che vivono di nulla DI LARA LORETI Folco Terzani con il protagonista del film 16 RdC Giugno 2006 C ’ è un posto magico sulle vette dell’Himalaya, dove i santoni indiani, i sadhu, vivono in solitudine, dimentichi del mondo e dei beni materiali. Immersa in una natura fatta dei suoni del fiume e degli animali, degli odori e delle asperità della montagna, la mente dei sadhu medita leggera, sgombra da pensieri e preoccupazioni. E l’anima trova la pace. Tra loro vive Kalu Baba, un giovane coraggioso che a 14 anni ha lasciato la sua famiglia nel sud dell’India per intraprendere la vita meditativa tra le montagne. In breve tempo Kalu Baba è diventato il sadhu più carismatico del suo tempio. Ma cosa accade se un giorno in quell’ambiente fatto di silenzio e rinunce arriva un uomo occidentale, un italo-americano in cerca di se stesso e della verità, munito di telecamera per filmare i momenti più Giugno 2006 RdC 17 INCONTRI “Sembrano mendicanti ma in India sono considerati profeti. A 27 anni volevo vivere come loro” emozionanti del suo viaggio? L’incontro tra i due, nel buio di una grotta sulla montagna, poi l’amicizia e il confronto: di questo parlerà Folco Terzani, figlio del celebre giornalista e scrittore fiorentino Tiziano Terzani, nel suo prossimo Twilight Men (Uomini del crepuscolo, ma il titolo italiano dovrebbe essere Il terzo occhio), un film-documentario di cui è autore, regista e interprete. Le vite di Kalu Baba e di Folco, tanto diverse eppure simili nella sostanza, s’intrecciano e iniziano un percorso parallelo, “uno scambio di anime”, come dice lo stesso Terzani. Una storia commovente, al confine tra il giorno e la notte, interamente girata in India, nelle stesse grotte dove il padre Tiziano ha trascorso diversi mesi prima di morire. Il film, diretto a quattro mani insieme al regista americano Roko Belic (candidato all’Oscar per il miglior documentario nel ’99 con Genghis Blues) in questi mesi è al montaggio. Già autore del documentario Il primo amore di Madre Teresa, sulla beata di Calcutta, Terzani è reduce dal successo del libro postumo di suo padre da lui curato, La fine è il mio inizio. L’abbiamo incontrato a Firenze, nel giardino della sua casa. Cosa l’ha spinta a girare un film sui santoni indiani? E’ una storia lunga, che inizia quando io avevo 11 anni. Mio padre ci portò per la prima volta in India. Un’esperienza toccante: avevamo vissuto a lungo in Asia, ma l’India per noi era 18 RdC Giugno 2006 ancora una terra inesplorata. Vagando per la strade povere di Calcutta, rimasi scioccato dalla vista dei lebbrosi che, mani e piedi fasciati, venivano trasportati sui carrelli: era come un film dell’orrore. Sconvolto, mi rinchiusi nell’albergo e non volli più uscire finché un giorno papà ci portò in un tempio davanti al quale c’erano tre uomini. Erano nudi, avevano un aspetto da straccioni, eppure apparivano regali, per nulla sottomessi. Erano dei sadhu, gente che decide di abbandonare ogni affetto e ogni bene per dedicarsi alla meditazione sull’Himalaya. Possono essere considerati i profeti di oggi, rappresentano quello che per noi è stato San Francesco. Il loro percorso è inverso rispetto a quello degli uomini moderni, protagonisti di una corsa forsennata al consumismo. Da allora ho sempre avuto in mente di conoscere meglio quegli asceti e di vivere come loro. E all’età di 27 anni, nel 1996, sono andato in India allo scopo di realizzare questo progetto. Ma l’incontro meraviglioso con Madre Teresa di Calcutta mi ha spinto a girare prima un documentario su di lei. Quattro anni dopo, nel 2000, è iniziata l’odissea, non ancora conclusa, di Twilight Men. Come è nata la collaborazione con Belic? Quando ho visto Genghis Blues, la storia un musicista che parte per la Mongolia alla scoperta di nuovi suoni, me ne sono innamorato: ho pensato che quell’uomo doveva essere il mio compagno di lavoro, e lui ha accettato volentieri. Insieme abbiamo deciso di raccontare l’incontro di due uomini che rappresentano due mondi opposti: quello moderno, hollywoodiano, fatto di tecnologie, di consumismo, mondanità; e quello tradizionale, quasi medievale, profetico in cui vivono i sadhu. L’intero film è una ricerca, in salita, verso la cima del monte, fino a raggiungere quel sadhu, sospeso tra realtà e mito, che vive in una grotta di ghiaccio ed è in grado di rinunciare a tutto, anche al cibo. La difficoltà più grande che ha incontrato durante le riprese? La cosa più complicata, sulla quale sto ancora lavorando, è riuscire a cogliere l’essenza della meditazione dei sadhu attraverso l’occhio insensibile di una telecamera. In India torno spesso. Lì ho vissuto delle emozioni indescrivibili, un intero mese nella giungla nelle stesse condizioni di vita dei santoni: è stato duro, ma stupendo. Sento che quel mondo mi appartiene e quando sono lontano mi manca e avverto il bisogno di tornarci. Folco Terzani e il padre Tiziano. Sopra una scena di Twilight Men UNA VITA A COLORI E’ stata quella del celebre Tiziano. Che a due anni dalla morte, un documentario ricorda su Rai Tre: in rosso passione, bianco purezza e con una punta di nero di Paolo Aleotti Quanti colori possono riempire un’esistenza? La vita avventurosa di Tiziano Terzani ne ha conosciuti molti. E Tutti i colori di una vita è il titolo (provvisorio) scelto per il documentario che stiamo realizzando con Luciano Minerva e Rai Tre trasmetterà in occasione del secondo anniversario della morte del giornalista-scrittore, scomparso il 28 luglio del 2004. Un uomo le cui azioni sono state contrassegnate dal rosso dell’emotività, della passione, dell’esteriorità; dal viola del profondo, che ha scelto come tinta dominante dell’ultimo periodo; dal bianco dei vestiti adottati nella fase indiana; fino al nero tutt’altro che nero di un trapasso dipinto di sorprendente serenità. Spina dorsale del documentario, il lungo racconto che per un’ora al giorno il padre Tiziano ha regalato al figlio Folco negli ultimi tre mesi di vita. Le riflessioni sul rapporto tra generazioni, sul secolo delle ideologie, su pace e guerra, sul mondo contemporaneo, sul senso della vita umana, sulla preparazione alla morte, sulla pacificazione interiore. Oltre 90 ore di pensieri e considerazioni, che verranno illustrati dai riferimenti filmici e fotografici di un’esistenza intensa ed estesa, che ha spaziato attraverso i continenti, e ha saputo contemporaneamente penetrare le culture delle popolazioni incontrate lungo la strada. Le parole, gli scritti, le foto, i documenti d’epoca dai luoghi di Terzani (la Toscana povera dei primi passi, quando da piccolo i genitori portavano Tiziano a Firenze “a vedere i ricchi mangiare il gelato”; gli Stati Uniti, che videro i germi della sua vocazione giornalistica; fino al Vietnam, la Cambogia, l’Unione Sovietica, la Cina, il Giappone, che ne consacrarono l’abilità a fotografare mutamenti storici epocali) sono i segnali di un modo di intendere la vita che lascia tracce profonde in questa epoca assetata di senso. Non a caso La fine è il mio inizio, il libro nato dalle lunghe chiacchierate all’ombra di un vecchio albero tra Folco e Tiziano, immersi nella pace dell’Orsigna (la residenza tra i colli toscani dei Terzani) sta già diventando, oltre che un bestseller (come Un indovino mi disse, Asia o Un altro giro di giostra) un vero e proprio cult. Testamento morale che travalica gli insegnamenti che un padre lascia ad un figlio, per trasformarsi in eredità per le generazioni giovani. Decine di manifestazioni vedono in questi mesi Folco, la sorella Saskia, la loro mamma Angela, (la donna amata per una vita intera da Tiziano Terzani) impegnati in dibattiti e interviste. Non il becero presenzialismo al quale questa epoca ci ha quasi fatto rassegnare, ma la risposta alle richieste insistenti di scolaresche, università e ospedali, di cittadini semplici e di associazioni o enti morali, per una testimonianza diretta su un uomo unico e originale. Che un documentario non potrà racchiudere. Ma ricordare e onorare, forse sì. Il giornalista e scrittore Tiziano Terzani. Sopra col figlio Folco Giugno 2006 RdC 19 ANTEPRIMA 007 licenzadi Duro, cattivo e seviziato: nel prossimo Casino Royale James Bond giura fedeltà al creatore Ian Fleming. Per un ritorno al passato che sa di rivoluzione DI GIADA GRISTINA 20 RdC Giugno 2006 cambiare lle tre del mattino l’odore del casinò, il fumo e il sudore danno la nausea”. Inizia così il primissimo romanzo, Casino Royale, sulla spia più famosa della storia. L’incipit sintetizza perfettamente il Bond-mondo: una realtà consumata per lo più nei tempi dilatati della notte, A ‘‘ tempi viziosi e pericolosi. Fleming, teorema vivente del bello dissoluto, dà vita al suo alter ego James Bond. E in quel di Goldeneye, nome dal sapore profetico che scelse per la sua residenza in Giamaica, scrive sulla sua vecchia Imperial le prime parole di una lunga serie. E’ il 1952. Una data da ricordare. Giugno 2006 RdC 21 ANTEPRIMA Il nuovo 007 Daniel Craig con Eva Green e Caterina Murino. Sotto il regista Martin Campbell La sceneggiatura del premio Oscar Paul Haggis promette un taglio più realistico, con un Bond prima maniera Ian Fleming, prima di James Bond, consumò i suoi anni migliori nel tentativo di farsi spazio fra le leggende di famiglia; il confronto con un padre-eroe e un fratellogenio lo porteranno a saltellare da un paese all’altro e da un mestiere all’altro, per trovare infine pace in Giamaica. Ma nel personaggio “007”, Fleming fa scorrere la vita di quello che è stato, di quello che ha cercato di essere e di quello che non è mai riuscito a diventare, infine: un uomo elegante e raffinato, ma anche contorto e vizioso, innamorato di se stesso, ma anche di tutte le donne, una spia al servizio della corona inglese, ma cittadino del mondo alla Corto Maltese. Bond beve Martini Dry come il suo autore del resto, che si dice consumasse una 22 RdC Giugno 2006 bottiglia di gin al giorno più un paio di pacchetti di sigarette, seduce signorine in ogni dove, e ne esce sempre impeccabile. Gli eccessi lo soddisfano, ma non lo intaccano mai: viene fuori immacolato ed elegante dalle più depravate “liaison”. Casino Royale aveva già ispirato, nel ’67, un altro film dal titolo omonimo. Il film, a cui parteciparono più registi fra cui John Huston, rileggeva il romanzo in chiave satirico-grottesca e, nonostante fosse interpretato da due star come David Niven e Peter Sellers, fu un mezzo fiasco e pochi lo ricordano. Ma ecco che i celebri produttori della serie, Michael J.Wilson e Barbara Broccoli, sfoderano l’asso nella manica: rifare Casino Royale, rendere infine giustizia a quel favoloso romanzo da cui iniziò tutto e forse (ci auguriamo) uscire da quella serialità a cui ci aveva condannato l’odioso Pearce Brosnan, che sarà pure elegante e sofisticato, ma di sex appeal neanche l’ombra, con quell’aria perfettina e il sorrisetto legnoso. Finalmente si cambia aria e forse 007 tornerà ad essere quella spia languida e fascinosa a cui ci avevano abituato Sean Connery e Roger Moore, levando il povero Dalton che venne quasi subito cestinato. Il prossimo Bond sarà Daniel Craig (Munich), il primo della serie ad avere capelli biondi e occhi chiari e che, tutt’altro che stucchevole, conserva un fascino algido da super-cattivo e quell’aria un po’ vissuta alla Steve McQueen che non guasta mai. Le prospettive sembrano buone tanto più che Casino Royale, co-sceneggiato dal premio Oscar Paul Haggis, dipinge un Bond prima maniera: più che gentiluomo, una canaglia che deve guadagnarsi a suon di morte quel doppio zero che gli darà la tanto sospirata licenza di uccidere. Un Bond alle prime armi, meno sofisticato certo, ma ben disposto a ripagare la bruciante sconfitta da parte del perfido gangster Le Chiffre col quale si consuma una delle scene di tortura più raccapriccianti del genere, roba da far impallidire pure Rambo. La scena in questione è raccontata da Fleming con dovizia di particolari: il nostro uomo è immobilizzato su una sedia senza sedile mentre il sadico antagonista gli tormenta le parti basse. Nell’ambiente si dice che Tarantino puntasse al film solo per girare quella scena, ma la regia invece è andata a Martin Campbell, che aveva già girato uno 007 nel ‘95 con Goldeneye, il primo film della serie Brosnan. Ad ogni modo il regista si dice entusiasta del progetto e del nuovo protagonista che sarà secondo lui “più dark, più duro e più vicino al Bond di Ian Fleming”. Niente (o poche) scene d’azione alla Mission: Impossible questa volta, niente “surfate” su onde anomale in smoking, Casino Royale sarà un film più realistico e sottile. Un film serio. La “crudelia” di turno, la nuova Bond girl sarà la splendida Eva Green (The Dreamers) alias Vesper Lynd, una vera dark lady, accostata all’ex letterina Caterina Murino. Nel cast ci saranno anche Claudio Santamaria e Giancarlo Giannini, il nostro uomo all’estero. Il film, girato fra Gran Bretagna, Bahamas (deputate alla ricostruzione del celebre casinò), Praga e Italia, vedrà la nostra spia ancora una volta alla guida della celebre Aston Martin (la nuova AMV8 Vantage), e in alcune scene addirittura al volante della nostrana Fiat Panda 4x4 super accessoriata. Che sia l’inizio di una nuova era? TENDENZE ] 0 8 ‘ i n n a i l [g Paillettes, tele-valori e sceneggiatori “pierini”: è tornato in voga il decennio più stupido del secolo. Al cinema DI SILVIO DANESE 24 RdC Giugno 2006 Giugno 2006 RdC 25 TENDENZE Fitness e televendite hanno spazzato via in un attimo le conquiste degli anni ’70 I nsomma, erano “incasinati ma carini” gli anni ’80, come dice l’adolescenza studentesca di La notte prima degli esami o sono stati “letali e duraturi”, secondo la visione apocalittica del Caimano? Nell’Italia rampante che idolatrava il fitness e, a tavola, esigeva la bresaola con rucola per correre leggiadri tra l’ufficio, l’aperitivo e l’amante, ci siamo sentiti separati in casa. La partecipazione, che nei precedenti 40 anni aveva marcato il debutto, la crescita e la crisi di una nazione, bum!, improvvisamente fu irreperibile. Al suo posto, l’onnipotente delegato, una scatola vociante di paillettes e sederi, di multioccasioni da tele-comando e familiari disgregazioni da tele-valori, di Fellini intermittenti, tra pannolini e spray, e astri nascenti del network. Occhio alla parola. Network. Consolidava l’idea del trapasso della “condivisione”, surrogata nel tubo catodico. Tra i sinonimi inglesi del termine tecnico che definisce la connessione di gruppi televisivi troviamo “meet people” (incontrare gente), “make contacts” (creare contatti) “exchange ideas” (scambiarsi idee). E’ chiaro? Non è soltanto provocatorio dire che il terrorismo, che disorientò e bloccò gli sceneggiatori storici del cinema italiano alla fine degli anni ’70, lasciando spazio ai pierini seduti al bar dello sport, uscì dalla porta e 26 RdC Giugno 2006 rientrò dalla finestra, nella forma melliflua, inarrestabile, di massa, dei valori imposti nel segno del mercato e dell’individualismo. Per ridere, bastava essere “eccezzziunali veramente”. Se siete giovani, occupatevi dei “sapori di mare”. Se siete sportivi, be’ c’è “l’allenatore nel pallone”. Da Abussi Francesco a Zecca Valerio, passando per Bastelli, Bologna, Concari, Di Robilant, Farina, Lazzotti, Loffredo, Mattolini, Piavoli, Rosa, Sestieri, Stella, Todini, un libro di Franco Montini intitolato I Novissimi fotografò decine di autori esordienti negli anni ’80. La conta dei resistenti che hanno potuto continuare il lavoro è la prova del fallimento dell’industria culturale del cinema italiano. Ma mettiamo in conto che la cultura dell’individualismo ha IL BEL PAESE DI VIRZI’ Le pubbliche virtù dell’Italia pre-Tangentopoli. Con un innocente primo bacio Non è certo un caso che Carlo Virzì (fratello musicista di Paolo) abbia scelto gli anni ’80 per ambientare la sua opera prima. Non solo perché L’estate del mio primo bacio è tratto dal romanzo semi-autobiografico Adelmo torna da me della scrittrice Teresa Ciabatti, ma anche perché sarebbe stato più difficile raccontare la storia di una tredicenne di oggi che sogna, con lo stesso incanto e lo stesso candore della sua Camilla, di posare per la prima volta le labbra su quelle di un ragazzo. Camilla (la straordinaria Gabriella Belisario) è una ricca ragazzina di città, con una mamma cronicamente depressa (Laura Morante), un padre (Andrea Renzi) che ha un’amante molto più giovane di lui (Regina Orioli), una tata che le fa da nonna e confidente e delle amiche frivole e viziate. Quando arriva all’Argentario per trascorrere le vacanze nell’enorme villa di famiglia, decide che quella sarà l’estate in cui finalmente darà il suo primo bacio. E sceglie Adelmo (Jacopo Petrini), un diciassettenne taciturno e di umili origini, incaricato di tenere pulita la sua piscina. Per far colpo su di lui finge di essere più grande, si atteggia a femme fatale sorseggiando succhi di frutta e dispensa sguardi languidi da un materassino a prodotto l’autodistruzione d’autore, nella narcisistica convinzione del cinema autarchico. Vale di meno, se questa fosse una posizione eminentemente generazionale? Un paio di settimane fa Emanuela Martini ha scritto: “Gli anni del nostro scontento. Premesso che non mi riferisco agli ultimi cinque anni, ma semmai agli ultimi venticinque e al risultato che hanno prodotto, ammetto che (...) possa essere frutto di una sensazione specificamente generazionale, secondo un concetto di generazione piuttosto ampio che comprende tutti quelli tra i 40 e i 60 anni”. Le figurine belle e fragranti di Fausto Brizzi sono ridicole. La notte prima degli esami è un film che manca totalmente di senso critico. Il premio del pubblico ci parla delle dimensioni del disastro. Con diverso senso del tempo sociale, Carlo Virzì tocca invece la sensibilità PATIERNO CI SCOMMETTE Il giocatore con Fabio Volo per raccontare la vera storia di Marco Baldini: deejay di grido, finito in mano agli strozzini Strozzini e fan impazzite. Botte e paillettes. Ferrari e cavalli. Sono gli anni ’80 di Francesco Patierno. Un decennio di contrasti esasperati, che il regista-rivelazione di Pater Familias si appresta a raccontare nel Giocatore con Fabio Volo. Da loro stessi sceneggiato in collaborazione con Marco Baldini, il film si ispira all’omonima biografia del popolare conduttore radiofonico. Luci e ombre degli anni ’80 sono tutte sue. Una doppia vita di showman e incallito scommettitore, che l’ha portato a perdere coi cavalli oltre 4 miliardi delle vecchie lire. Da qui le cordate corrotta nell’innocenza degli adolescenti di ieri, adulti di oggi, in L’estate del mio primo bacio. Dice la tredicenne Camilla a proposito del giovanotto che pulisce la sua piscina nella villa dell’Argentario: “Divertente se mi faccio un’avventura con un povero, no?”. E poco prima, aveva dovuto specificare a un’amica: “Lui si occupa di piscine”. E l’altra: “Accidenti, quante ville possiede?”. Ci passate che il decennio “più cretino del secolo scorso” è stato un decennio breve? Diciamo dal 1982 al 1989. Nel mondo, dal sostegno di papa Wojtyla a Solidarnosc alla caduta del Muro di Berlino. In Italia, concedendo ampiezza di orizzonte, dal crollo del Banco Ambrosiano o dall’assassinio del Generale Dalla Chiesa, al controllo di Fininvest su Mondadori o all’assalto Gigio Alberti in una scena de L’estate del mio primo bacio forma di coccodrillo. L’estate del mio primo bacio è una commedia ironica e nostalgica su come eravamo quando il telefonino era un miraggio fantascientifico e per dire “mi piaci” a un ragazzo ci si affidava a un bigliettino anonimo o a un’amica compiacente. Ma c’è dell’altro. Attraverso gli occhi di Camilla, e nella contrapposizione tra il suo mondo e quello di Adelmo, il regista getta uno sguardo su un’Italia che ancora non aveva perso la propria innocenza. Il candore di Camilla è quello del Bel Paese prima di conoscere Tangentopoli. E come Camilla, anche l’Italia alla fine non sarà più la stessa. (R. E.) di solidarietà degli amici Linus e Amadeus, ma anche il giro degli usurai, le minacce, un suicidio sventato quasi per caso. “Sarà un film molto diverso da Pater Familias – promette Patierno -, che alternerà comicità e dramma, cercando di coniugare cinema d’autore e incontro col pubblico”. Per questo la scelta di Fabio Volo, “l’unico che potesse incarnare questa trasversalità”. Anche perché, promette, non sarà una storia sul gioco, ma una finestra sugli anni ’80. Le riprese del film, primo di tre in contratto per la Rodeo Drive, sono attese tra novembre e gennaio. (D. G.) di una demente banda di incappucciati agli africani di Villa Literno, a Caserta, quando morì il muratore Jerry Masslo. Ci sono i danni e le perversioni stabili del futuro, che il cinema italiano è colpevole di aver ignorato, salvo casi sporadici: la crisi della politica alla prova del fallimento del socialismo reale, la corruzione dei poteri economici, il razzismo e il rifiuto della differenza, la spaventosa quotidianità mafiosa, la promiscuità dell’industria culturale. Al cinema, il decennio breve va dalla consegna del testimone da Sordi a Verdone (In viaggio con papà, ’82), all’Oscar di Tornatore (Nuovo cinema Paradiso, ’89). Non dobbiamo né alle analisi di costume di Verdone né al poetismo di Tornatore stimoli, denunce, coscienza, riflessioni. Dobbiamo accontentarci di Muccino? Gabriella Belisario, protagonista del film di Carlo Virzì. Nell’altra pagina Cristiana Capotondi in Notte prima degli esami Giugno 2006 RdC 27 TENDENZE C’ERANO UNA DI FEDERICO PONTIGGIA MASSIMO CIAVARRO Il ragazzo dal "sapore di mare" è diventato produttore senza rimpianti 28 RdC Giugno 2006 VOLTA N ell’immaginario collettivo ha ancora il ricciolo biondo e la faccia pulita di Sapore di mare 2. Ventitre anni più tardi, Massimo Ciavarro non delude le aspettative. Con un pizzico di orgoglio - “Se passiamo in via del Corso io e Sergio Castellitto, la gente ferma me” e palate di umiltà: “Non mi sono mai montato la testa”. Sulle labbra ha ancora il sapore di mare che lo lanciò nel 1983 quale rubacuori della porta accanto. Di quel film e dei successivi Chewingum, Giochi d’estate e Grandi magazzini, Ciavarro ha un ricordo affettuoso: “Erano produzioni di grande qualità, rivisitazioni della commedia all’italiana, che è da sempre nel nostro Dna. Ancora oggi Sapore di mare passa in tv due o tre volte l’anno”. E sul contemporaneo revival cinematografico degli anni ‘80, che passa per Notte prima degli esami e L’estate del mio primo bacio, l’attore ha le idee chiare: “Sono frutto della nostalgia. Retrospettivamente gli anni ’80 acquistano un valore che all’epoca non riconoscevamo o dichiaratamente negavamo”. Oggi sul piccolo schermo con la fiction Questa è la mia terra, Ciavarro coglie un’analogia temporale tra il fortunato esordio di Fausto Brizzi e il sequel del compianto Bruno Cortini: “Sia Notte prima degli esami che Sapore di mare 2 fanno un passo indietro di vent’anni, gli anni ’60 tra spiaggia e flirtini per noi, i nostri anni ’80 per la Capotondi e Faletti”. Ma non sono solo rose e fiori. Come altri compagni di set, Ciavarro ha subito l’ostracismo dei produttori: “Ce l’hanno fatta pagare, non offrendoci più alcun ruolo per molto tempo, quasi dovessimo vergognarci delle nostre interpretazioni”. Ma una soluzione Massimo l’ha trovata: passare dall’altra parte e produrre, sempre nel segno della commedia. Il suo Agente matrimoniale uscirà in sala il prossimo autunno. A nche se certamente non lo era, il cinema l’aveva voluta da subito Fuori di testa: questa espressione traduceva qui da noi Fast Times at Ridgemont High, con cui aveva debuttato nel 1982 diretta da Amy Heckerling. Ma il successo planetario sarebbe arrivato con Paradise di Stuart Gillard, che “raccontava la stucchevole storiella di due minorenni che, novelli Adamo ed Eva, scoprono l’amore, trastullandosi tra scimmie, oasi piscina e, sullo sfondo, deserti finti” (Morando Morandini). La novella Eva è Phoebe Cates, bellezza casta e pura, che dettò i canoni estetici degli eighties, fino ai Gremlins di Joe Dante. Poi poca roba al cinema – un recente sussulto nel 2002 con The Anniversary Party – ma tante soddisfazioni nel privato: il matrimonio nel 1989 con Kevin Kline, da cui ha avuto due figli, Greta e Owen. Lontane le atmosfere-clone di Laguna blu, Phoebe Cates si è dunque tuffata nella famiglia. Per sempre? PHOEBE CATES Da fidanzatina di Paradise a madre di due bambini FIGLI DELLE METEORE Sono gli anni degli Wild Boys. Il mondo è diviso in Duran e Spandau. In mezzo una zona grigia di Supertelegattoni e Festivalbar. Tutto fantastico. Anzi “superfantastico”, come nel Disco Bambina di Heather Parisi. L’America reaganiana detta lessico e modelli: Girls Just Wanna Have Fun giura Cindy Lauper, un proto-Jovanotti si candida For President e alla peggio Vamos a la Playa. Non è quindi un mistero che Battiato alzasse Bandiera bianca. Né che il Figlio delle stelle Alan Sorrenti sia diventato buddista. DRIVE-IN CONTROMANO Difficile distinguere Has Fidanken dagli altri. Il mite cocker del DriveIn si confonde nella tv dei finti applausi e dei cani in prima serata. La corazzata Fininvest schiera Beruschi, Carmen Russo, Lory Del Santo. Una volta a settimana Mike Bongiorno, a sprazzi la Casa Vianello e a mezzogiorno Il pranzo è servito con Corrado. La Rai perde ai punti: le mancano i bagliori di Dallas, la melassa di Love Boat, il furgoncino della Famiglia Bradford. Grazie a Hitchcock non le resta che Il brivido dell’imprevisto. Ma sempre più raramente. TU VUO’ FA’ IL PANINARO Il piumino Moncler e le felpe Best Company, i jeans Levi’s e Americanino, gli orologi Swatch, le scarpe Timberland e le calze Burlington, la cintura El Charro e gli ammennicoli Naj-Oleari: questo era il paninaro, nato al bar Panino di Milano e beatificato dai Pet Shop Boys. Così griffati i galli tacchinavano le sfitinzie a scuola, ruotavano per San Babila sulle Zundapp, fiocinavano un hamburger da Burghy, si scontravano con i sapiens (i genitori) e i china (i coetanei di sinistra). Con un imperativo (im)morale: essere “troppo giusti!”. Giugno 2006 RdC 29 SpecialeHorror Paura, terrore, carneficina. Mutazioni di un genere, nell’era dei serial killer. Con interviste, Horror senza fine anteprime e schede Giugno 2006 RdC 31 SpecialeHorror METAMORFOSI DELLA PAURA L’australiano Wolf Creek e Saw 2. Accanto e nell’altra pagina Psyco e il Dracula di Coppola 32 RdC Giugno 2006 E’ malsano rimpiangere dei mostri? No, se il loro posto è stato preso da altri mostri, ancor più malvagi e inquietanti. In un libro di parecchi anni fa, Il cinema fantastico e le sue mitologie, Gérard Lenne distingueva due gruppi di mostruosità: da una parte i mostri fantastici, sovrannaturali; dall’altra i mostri “normali”, deviazione e aberrazione dell’umano. Per intenderci, della prima squadra facevano parte Dracula, la Creatura di Frankenstein, l’Uomo-Lupo, la Mummia; la superstar della seconda era il maniaco omicida, l’“assassino della porta accanto” su cui il cinema ha edificato (capostipite il Norman Bates di Psyco) la mitologia del serialkiller. Ebbene: all’alba del terzo millennio, di quei mostri sovrumani, colpiti da maledizioni e perciò sofferenti, non è rimasto quasi nulla; invece il serial-killer impazza, da padrone assoluto, sugli schermi. Ed ecco la ragione della nostalgia. A loro In principio trionfava la metafisica, oggi lo strazio della carne. E l’impero dei macellai ha soppiantato quello dei mostri romantici e tormentati di Roberto Nepoti Giugno 2006 RdC 33 IL SERIAL-KILLER IMPAZZA DA PADRONE ASSOLUTO SUGLI SCHERMI modo, il vampiro e i suoi colleghi flirtavano con la metafisica, rappresentavano l’eterna sfida (magari involontaria e tormentata, come il povero mostro di Frankenstein) del Male che osa ergersi contro il Bene, erano portatori di parabole esemplari, dèmoni da affrontare con croci e pallottole d’argento. Nelle trionfanti efferatezze del serial-killer, invece, resta solo la materia, la carne: carne da macelleria, o addirittura oggetto di cannibalismo. Difficile non pensare a questa come alla faccia nascosta dell’ossessione del corpo dilagante nei nostri anni: ossessione in cui - dal culto della giovinezza a oltranza traspare l’orrore della vecchiaia, del degrado e della corruzione della carne intesi come il male supremo. Né alla legge si sottrae lo zombi, grottesco ribaltamento parodistico del vivente svuotato di ogni contenuto metafisico, puro divoratore a caccia di carne umana per la propria insaziabile fame (ben diversa la ricerca del sangue del vampiro, 34 RdC Giugno 2006 piena di significati simbolici ed erotici). L’horror contemporaneo è, dunque, diventato dominio dello splatter, cinema hard-gore spezzettato nell’“immagine del corpo in frammenti” di cui scriveva Jacques Lacan. Per assicurarsene, basta dare una scorsa agli ultimi titoli del genere; che si rifanno quasi tutti, per estetica o per la via diretta del remake, all’horror anni ’70. Vi compaiono rifacimenti di film diretti dai “maestri” di quella generazione: Non aprite quella porta - The Texas Chainsaw Massacre (2003), basato sull’omonimo film di Tobe Hooper; l’imminente Le colline hanno gli occhi, remake del cult di Wes Craven; con l’aggiunta di Fog - Nebbia assassina, dal celebre horror di John Carpenter (che però rappresenta l’eccezione, trafficando con i fantasmi). Altri titoli recentissimi, improntati al medesimo tipo di “gore”, sono Wolf Creek, esponente del new-horror australiano e neozelandese, Saw - L’enigmista SpecialeHorror (di cui è già uscito un seguito), il raccapricciante Hostel; mentre George Romero ha coronato proprio ora la sua lunga saga degli zombi con La terra dei morti viventi. L’immagine epocale che questi film ci rimandano non invita all’ottimismo. L’essere umano si riassume in due soli ruoli: da una parte è fame, cannibalismo, puro istinto aggressivo e pulsione assassina; dall’altra, quella della vittima, mero dettaglio anatomico torturato, dissezionato; è ridotto a una sua parte e la parte sta per il tutto. Di qui la preferenza accordata alle armi bianche, coltelli, seghe, ganci atti a squarciare la carne, martoriata protagonista dell’azione. Purtroppo si trova raramente in I ferri del mestiere in Hostel. Sopra Psyco, accanto i due Saw questi film la dose di humour nero degli antecedenti, greve ma liberatoria: come quando il massacratore Neal, nell’originale Non aprite quella porta (1974), confidava “my family’s always been in meat”. Fin la Morte in persona si adegua, cinematograficamente, al modello dominante: nella serie Final Destination è diventata un serial-killer che uccide al dettaglio; nel terzo episodio, in particolare, “cuocendo” nella macchina abbronzante un paio di teenager col culto del corpo perfetto. Torniamo, così, al rapporto di senso tra la supervalutazione del corpo dilagante (fitness, cosmetici, chirurgia estetica: varianti procedurali di una fissazione sul particolare anatomico, sul singolo “pezzo”) e la globalizzazione del new-horror, che sta azzerando i sottogeneri un tempo affiancati allo splatter, ossia il monster-movie, la ghost-story, la fiaba orrorifica. C’è qualcosa da aggiungere, però, e riguarda il linguaggio per immagini. La frammentazione dei corpi rappresentata dall’horror odierno s’inscrive in un’estetica del frammento generata dal mezzo televisivo, ma ancor più dal web: dove tutto circola (smaterializzandosi) in forma segmentata e breve, di file, di trailer porno, di clip e perfino di esecuzioni capitali, messe in fila alla pari con tutte le altre immagini dell’ipertesto che ci circonda. E il frammento, diventato una delle principali forme dell’estremo, non poteva non entrare nel paradigma orrorifico fino a dominarlo. Facendoci rimpiangere l’affascinante conte Dracula che, con la persecuzione dell’immortalità, sembra condannato a un’eterna, noiosissima pensione. Giugno 2006 RdC 35 SpecialeHorror > Generazioni a confronto IERI,OGGI E... 29 anni dopo Le colline hanno gli occhi nuovi: il giovane Aja sfida il maestro 36 RdC Giugno 2006 S ono passati 29 anni da DISUMANI FOTO MARCO ROSSI quando uscì nelle sale Le colline hanno gli occhi di Wes Craven, horror di culto che raccontava di come la gita in camper di una famigliola americana si tramutasse in incubo grazie all’attacco improvviso da parte di un’altra famiglia: ex minatori diventati spietati cannibali dopo aver subito radiazioni nucleari a causa di alcuni esperimenti governativi. Sono passati 27 anni da quando Alexandre Aja, nuovo talento dell’horror francese, dopo il successo di Alta tensione è apparso sul pianeta terra. Il ragazzo francese ha avuto la possibilità di realizzare il remake de Le colline hanno gli occhi a Hollywood a fianco di Wes Craven, qui in veste di produttore. dell’horror Wes Craven. Con una lezione politica e spauracchi molto attuali di Francesco Alò Giugno 2006 RdC 37 SpecialeHorror > Generazioni a confronto ALEXANDRE AJA “Il mio remake è figlio dell’11 settembre. Il terrore lo abbiamo creato noi, proprio come Saddam e Osama Bin Laden” Perché ami tanto l’originale? Per l’atmosfera kitsch e ricca di humour nero. Da cosa nasce questa passione per l’horror anni ’70? Sono cresciuto vedendo gli horror degli anni ’90. Orribili film per ragazzini. Allora mi rifugiavo in videoteca recuperando i primi Craven, Hooper, Romero e Carpenter. Quello che amo di quel periodo horror è l’approccio politico. Politico in cosa? Perché i mostri non venivano più 38 RdC Giugno 2006 dall’Europa ma dal cuore più profondo degli Stati Uniti. Istanze che sembrano ancora più forti in questo remake. La famiglia americana ha due anime, democratica e repubblicana, proprio come gli Stati Uniti di oggi. E in un deserto che ricorda l’Iraq, viene attaccata da “mostri” creati dal governo Usa… Già l’originale del 1977 era un’allegoria della società americana. Oggi gli americani stanno in Iraq come negli anni ’70 stavano in Vietnam. Certamente questo Il remake di Aja de Le colline hanno gli occhi. Nell’altra pagina l’originale di Craven remake non sarebbe stato possibile prima dell’11 settembre. Il sottotesto è: i mostri li abbiamo creati noi. Saddam e Bin Laden li abbiamo creati noi. E ora abbiamo paura. Neil Marshal (The Descent), Eli Roth (Hostel) e Alexandre Aja. Tre giovani cineasti che operano nell’horror in modo simile. Conosci il lavoro dei colleghi? Assolutamente. The Descent è un capolavoro. Anche loro vogliono tornare a un horror più reale, sanguigno e sociale. E’ vero che dopo Alta tensione volevi lavorare ancora con Giannetto De Rossi, lo storico effettista speciale di Lucio Fulci? Certo! Per Le colline hanno gli occhi lo volevo assolutamente, ma WES CRAVEN “L’horror usa lo shock per istigare interrogativi. Soprattutto in un popolo disinteressato come gli americani” E’ vero che tra L’ultima casa a purtroppo non poteva. Il suo lavoro in Alta tensione è stato geniale. Maestri italiani? Il primo Dario Argento. Il suo modo unico di unire sensualità e sangue. Poi Lucio Fulci. I suoi Zombi sono straordinari. E infine I corpi presentano tracce di violenza carnale di Sergio Martino. Fondamentale. Occhi(o) lungo Craven fiuta il bingo. E con Bassett firma il sequel delle Colline Le colline hanno gli occhi e ci vedono benissimo: 15 milioni di budget e 41 milioni di incasso nei soli Stati Uniti. Aggiungeteci almeno altri 20 milioni che arriveranno dai mercati esteri, tra cui l’Italia, e potrete dire che il remake firmato AjaCraven è stato un successo. Arriverà il sequel. Wes Craven, già colpevole di un orribile secondo capitolo nel lontano 1985, ne ha scritto la sceneggiatura insieme al figlio Jonathan: “Un gruppo di cadetti della Guardia Nazionale incontra la famiglia di mutanti durante il loro addestramento nel deserto” anticipa Craven: “Stavolta porteremo il pubblico sotto terra, nelle caverne dove vivono i mutanti”. Il sequel è stato offerto ad Alexandre Aja, ma il regista del remake ha rifiutato perché impegnato in The Waiting, horror con fantasmi. La Fox Searchlight ha chiesto a Craven di sfornare il sequel entro la fine dell’anno. Il vecchio Wes ha allora optato per Michael J. Bassett, cineasta segnalatosi per l’horror del 2003 Deathwatch, mai distribuito nel nostro paese. Le colline hanno gli occhi 2 verrà girato questa estate. (F. A.) sinistra (1971) e Le colline hanno gli occhi (1977) non riuscì a dirigere un altro film perché i produttori pensavano che fosse uno psicopatico? Fondamentalmente sì. L’ultima casa a sinistra offese molte persone. Dopo quel film scrissi molte sceneggiature: una commedia su un concorso di bellezza intitolata American Beauty, una versione della fiaba di Hansel e Gretel e un film ispirato alla figura del Colonnello “caccia alle streghe”. Il cinema di genere può raccontare un periodo meglio del cinema d’autore. E l’horror? È una sveglia brutale che istiga il pubblico a farsi più domande attraverso lo shock e il fastidio. Lo spettatore tipico dell’horror nel nostro paese non ha forti convinzioni politiche. Per questo i nostri film possono avere su di lui un impatto ancora più forte. Che ne pensa del remake di Aja? Ho amato molto quello che ha fatto Anthony Heartle, il primo militare americano che perseguì penalmente le torture del suo esercito in Vietnam. Nessuno era interessato a quei film perché il regista era Wes Craven, lo psicopatico che aveva partorito il malsano L’ultima casa a sinistra. Avevo guadagnato con quel film almeno 100 mila dollari ma in sei anni, tra tasse e spese varie, li avevo finiti quasi tutti. Tornai all’horror. Francamente era l’ultima cosa che volessi fare, ma visto che stavo rischiando la bancarotta, realizzai di corsa Le colline hanno gli occhi. Viviamo un’epoca in cui torna l’horror politico che facevate nei ‘70. Perché? All’epoca c’era il Vietnam e il Watergate. Oggi abbiamo l’Iraq e Katrina. Quando ho realizzato l’originale pensavo che il governo fosse inaffidabile. Mi ricordai di quando Don Siegel fece L’invasione degli ultracorpi durante l’era McCarthy e di quanto quel film fosse un’allegoria geniale della Alex. L’idea è: abbiamo fatto delle cose orribili in passato e ora ne paghiamo il prezzo. Ora i ragazzini fanno film come i maestri e un maestro come lei fa film per ragazzini come Scream, Cursed e Red Eye. Perché? Francamente non so. Aspetto l’ispirazione giusta e continuo a tenermi molto occupato con mille progetti per lanciare giovani cineasti. Penso di poter fare ancora un horror realmente tosto. E’ buffo che Scream oggi venga considerato un filmetto per ragazzini, perché all’epoca lo feci proprio per tornare all’horror duro dopo la parentesi comica di Vampiro a Brooklyn. Giugno 2006 RdC 39 SpecialeHorror > Il caso Omen DIAVOLO DI UN RE Sulla scia di un antico Presagio e di simbologie inquietanti, il ritorno dell’Anticristo con Omen 666. L’appuntamento? Il 06/06/06, ovviamente di Federico Pontiggia N ell’Apocalisse di Giovanni, 13:18, è scritto: “Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: essa rappresenta un nome d’uomo. E tal cifra è seicentosessantasei”. Sesto giorno, sesto mese, sesto anno: 6/6/06. E’ la data di uscita di Omen 666, remake del classico horror The Omen (Il presagio) diretto da 40 RdC Giugno 2006 Richard Donner nel 1976. Classico perché l’inquietudine che lo pervade è demoniaca: il 666 quale trinità blasfema di Satana, terra di nessuno tra uomo (simbologia numerica 5) e Dio (7). Se Donner cavalcava proficuamente – fu con 27 milioni di dollari tra i maggiori incassi dell’anno – l’onda orrorifico-religiosa dell’Esorcista di Friedkin, il remake scritto Alcune scene di Omen 666. Accanto il piccolo Seamus DaveyFitzpatrick dall’esordiente Daniel McDermott con lo sceneggiatore dell’originale David Seltzer e diretto da John Moore (Behind Enemy Lines) assorbe la paura apocalittica che percorre lo scenario globale post11 settembre 2001. E che la società distributrice 20th Century Fox non ha mancato di riattizzare, evocando Nostradamus quale preconizzatore dell’11/9 (“Cinque e quaranta gradi cielo brucerà, Fuoco si avvicina alla grande città nuova”) e della Terza Guerra Mondiale scatenata dall’Anticristo (“Il capo di Londra col regno d’America sarà, l’Isola di Scozia il gelo invaderà: Re ribelle e mendace Anticristo avranno, Che tutti quanti nelle dispute li MAKE spingeranno”). Non c’è troppo da stupirsi, dunque, se tale Terica Washington di Daytona Beach, Florida, abbia interpretato quale minaccia terroristica l’aereo passeggeri su cui campeggiava la scritta promozionale “6/6/06. Siete stati avvertiti” e informato l’FBI. Se il terreno spettatoriale è decisamente fertile, il risultato artistico di Omen 666 – primo remake dopo i tre dimenticabili sequel - appare sulla carta meno incontrovertibile. Rispetto a un originale che sfiora – per chi scrive con maggior legittimità dell’Esorcista – lo status di capolavoro del genere: cast di prim’ordine, con un Gregory Peck straordinario nella parte del diplomatico Usa padre della Bestia Harvey Stephens; sceneggiatura con una sola sbavatura (il ritorno di Robert Thorn all’ospedale romano in cui venne alla luce l’Anticristo); colonna sonora che valse l’Oscar a Jerry Goldsmith e, sul piano poetico tout-court, la miscela implosiva di scetticismo e ineluttabilità. La sfida è comunque aperta. Trent’anni dopo ci si affida a Liev Schreiber e Julia Stiles per il ruolo degli inconsapevoli genitori – adottivi del demonio Damien (Seamus Davey-Fitzpatrick all’esordio sul grande schermo), Pete Postlethwaite nella tonaca di padre Brennan e Mia Farrow, che porta in dote l’eredità di Rosemary’s Baby alla governante Baylock. A loro il compito di riaffilare l’Arma letale impugnata da Richard Donner. Nel nome dell’Anticristo. OSSESSIONI RELIGIOSE I vampiri di Ferrara e la Passione di Gibson: quando l’horror è sacro Se la dimensione religiosa percorre più o meno sotterraneamente tutto il genere horror - basti pensare agli zombie morti viventi o alla croce nemesi del vampiro – due sono i titoli su cui vogliamo soffermarci: The Addiction di Abel Ferrara e La passione di Cristo di Mel filosofia: finzione (cinematografica) e pensiero (esistenzialista) devono ugualmente fronteggiare la nostra dipendenza dal Male. E la religione/redenzione scaturisce dal sangue nero che sporca le labbra di Lili Taylor. Rosso vivo, invece, è quello che sgorga copiosamente dal Gibson, agli antipodi per qualità e quantità del rapporto horror-religione. Nella cornice del film di vampiri Ferrara stigmatizza l’orrore del genere umano, con la New York bassa e sporca che condivide la maledizione (Fluch) dell’alta corpo flagellato del Cristo di Gibson, la cui Passione arriva a sconvolgere il confine tra rappresentazione della violenza e violenza della rappresentazione. Sequenze splatter in cui l’horror scarifica (F. P.) il volto di Cristo. Giugno 2006 RdC 41 SpecialeHorror > In arrivo BRIVIDI ALL’ORIZZONTE Il nuovo Tobe Hooper, il terzo The Eye, il ritorno di Demi Moore in Half Light: ecco i titoli che ci aspettano fino al 2007 di Marco Spagnoli HALF LIGHT Di Craig Rosenberg Con Demi Moore Dopo la tragica morte del suo bambino di cinque anni, la scrittrice di bestseller Rachel Carlson si trasferisce in un piccolo cottage sulla costa scozzese. La donna sembra soffrire di allucinazioni e non sapere più distinguere verità e finzione. Il ritorno di Demi Moore al cinema dopo tre anni di assenza… Questo sì che fa paura! THE REAPING Di Stephen Hopkins Con Hilary Swank Il regista di 24 e di Tu chiamami Peter torna all’amore giovanile per l’horror con un film incentrato su un’ex missionaria che dopo avere perso tutta la sua famiglia e la sua fede, è diventata famosa grazie al demistificare falsi fenomeni paranormali. Arrivata in una cittadina della Louisiana, però, la donna si trova di fronte a qualcosa di non spiegabile attraverso la semplice razionalità. 42 RdC Giugno 2006 SILENT HILL Di Cristophe Gans Con Radha Mitchell, Sean Bean Diretto dal regista de Il patto dei lupi e ispirato al famosissimo videogioco, il film racconta la storia di Rose che, dopo un incidente d’auto insieme alla figlia gravemente malata, resta “intrappolata” in un’altra dimensione, nella città deserta e infestata da misteriose presenze di Silent Hill. Per salvare la sua bambina, la donna dovrà “allearsi” con un enigmatico demone. SLITHER Di James Gunn Con Nathan Fillion, Elizabeth Banks, Michael Rooker Lo sceneggiatore dei due Scooby Doo debutta alla regia con una commedia, omaggio al genere horror che ha sempre IL CUSTODE Di Tobe Hooper Con Daniel Byrd Da uno dei maestri dell’horror una classica ghost story con la famiglia Doyle trasferitasi nella campagna californiana, nella casa funeraria PULSE Di Jim Sonzero Con Kristen Bell, Tate Hanyok, Ian Somerhalder, Christina Milian Basato sulla sceneggiatura del regista di horror nipponici Kiyoshi Kurosawa per il suo amato. La storia è quella di una città che, contaminata da un virus alieno, vede trasformarsi i suoi abitanti in zombie e mostri mutanti. Un film pieno di citazioni: basti pensare che il sindaco della città porta il nome del personaggio di Kurt Russell ne La cosa di John Carpenter. THE DARK abbandonata dai fratelli Fowler. Gli abitanti del luogo però evitano quel posto perché pensano che la casa non sia completamente abbandonata. Presto anche i Doyle dovranno vedersela con le “presenze” che frequentano la loro nuova dimora. THE BREED Kairo (2001), il film prodotto dai fratelli Weinstein esplora la possibilità di dialogare con l’aldilà attraverso e-mail, internet e telefonia mobile. Quando un ragazzo muore, il suo tornare in contatto con gli amici rivela un inquietante segreto. THE EYE INFINITY Di John Fawcett Con Sean Bean, Maria Bello, Richard Elfyn, Maurice Roëves Adele e James hanno perso la figlia, precipitata giù da una scogliera. Il suo corpo non è stato più ritrovato. I due Di Nicholas Mastandrea Con Michelle Rodriguez, Taryn Manning, Oliver Hudson Prodotto da Wes Craven, il film racconta l’insolita avventura, in un’isola deserta, di cinque studenti di college alle prese con Di Oxide Pang Chun & Danny Pang Con Bolinchen, Gyu gu Terzo capitolo della saga di The Eye, che arriva nelle sale mentre il primo film è cercano di reagire al dolore, fino a quando una bambina comincia a perseguitare la donna, che in un primo momento crederà di aver ritrovato sua figlia. Un piccolo dettaglio le fa capire di essersi sbagliata: questa bambina dice di essere morta sessant’anni prima. abitanti tutt’altro che amichevoli. Un weekend di divertimento diventa così un incubo per i ragazzi, tra cui spicca l’avvenente (e combattiva) Michelle Rodriguez, che dopo Lost alle isole “pericolose” dovrebbe averci fatto l’abitudine. oggetto di un remake statunitense. Ambientato in Thailandia, il film racconta l’avventura di un gruppo di amici che grazie ad un conoscente locale, vengono in contatto con un libro che mostra dieci maniere diverse per vedere i fantasmi. Giugno 2006 RdC 43 SpecialeHorror > Mostri in galleriaGli altri... L’ABBECEDARIO DEL TERRORE Da Frankenstein a Freddy Krueger, da Hitchcock agli slasher, nomi e volti della paura. Fino al moderno incubo genetico-batteriologico di Massimo Monteleone ’’M ostri da un passato ancestrale” per lo psicanalista dell’inconscio Jung, “terrore reverenziale del demoniaco” per l’antropologo Mazzini Rizzo, “speranza di essere terrorizzati” per il produttore horror Val Lewton. Sono queste le ragioni psicologico-culturali a cui rimandano i tipici ingredienti del genere: l’immagine del “mostro”; la manifestazione soprannaturale; l’“ombra”, nel senso del terrore indistinto, della minaccia occulta, di ciò che si nasconde nel buio. Il dilemma primario è se riempire lo schermo di orrori oggettivizzati – cioè mostruosità, sangue e visioni 44 RdC Giugno 2006 macabre – oppure scegliere la strada del raccapriccio indiretto, dell’ellissi inquietante. L’Espressionismo tedesco degli anni ’20 prediligeva le “ombre ammonitrici”, i chiaroscuri e le scenografie distorte per incutere il terrore pre-hitleriano, nonostante i protagonisti fossero vampiri, golem, sonnambuli assassini e demoni. Diversamente, l’horror hollywoodiano degli anni ’30 metteva in scena con spettacolari make-up una galleria di mostri: Frankenstein, Dracula, La mummia, L’uomo lupo, King Kong, La maschera di cera – e la variante tabù dei mostri “reali” di Tod Browning: Freaks. Gli incubi muti di Weimar derivavano sia dalla psicologia che dalle radici culturali di quella terra. E se Edgar Allan Poe, sosteneva che “il terrore non nasce in Germania, ma nell’anima”, Heinrich Heine rispondeva con orgoglio: “Lasciate a noi tedeschi gli orrori del delirio, i sogni della febbre, il regno dei fantasmi. La Germania è un paese che si addice alle vecchie streghe, alle pelli d’orso redivive ed ai golem di ogni sesso”. Gli incubi di Val Lewton recuperarono la dimensione ambigua e non esplicita (presente anche nel Dreyer di Vampyr), con l’aggiunta di un ingrediente talvolta di maggiore effetto rispetto al momento “shock”: la suspense. Ne fu maestro Hitchcock, che ha dimostrato in Psyco come il thriller e l’horror possano combinarsi perfettamente (la ricetta “giallo + macabro” fu applicata poi in Italia da Mario Bava e Dario argento). Psyco fu girato in bianco e nero per non mostrare il rosso del sangue. Ciò che Hitchcock non aveva esplicitato (necrofilia e cannibalismo) lo fece capire Tobe Hooper in Non aprite quella porta (’74). Il film era basato sugli stessi fatti (il “macellaio” Ed Gein), ma col crudo realismo del colore e col rumore insopportabile della motosega, divenuta poi uno strumento-simbolo dei film splatter. Il filone slasher degli anni ‘70/’80 (le serie Halloween, Venerdì 13, etc.), ha avuto nelle armi da taglio l’ingrediente primario. E ha estremizzato in senso emoglobinico gli orrori inglesi a colori degli anni ‘60/’70 e le premesse macabro-organiche del new horror statunitense, condensate nel classico di Romero La notte dei morti viventi (’68). E’ il seminale filmspartiacque fra l’horror gotico delle suggestioni chiaroscurate e il nuovo “grand-guignol” barocco contemporaneo, fatto di anatomie straziate, di psicopatici in maschera e di esperimenti sulla “nuova carne” (i film di Cronenberg). E il La mummia e Nosferatu. Sopra e nella pagina accanto Dracula di Bram Stoker, Wolf Creek e Frankenstein soprannaturale demoniaco? Nel cinema moderno ha scelto due strade. Una è quella inaugurata negli anni ’70 da L’esorcista e Il presagio. L’altra è vestire il demone coi panni del serial-killer, creando un mostro di metafisica valenza. L’Omo Nero che agisce crudelmente nel territorio onirico, nell’inconscio giovanile, saldando la spiegazione psicanalitica a quella surreal-fantastica. E’ il caso di Freddy Krueger, lo spauracchio della serie Nightmare on Elm Street, ormai divenuto una maschera della Commedia (nera) dell’Arte horror. Il Morfeo macabro con l’artiglio di lame è già un pezzo di storia del genere, archiviato nella galleria dei mostri che si scambiano le visite (un tempo c’era Dracula contro Frankenstein, di recente c’è stato Freddy vs. Jason). Nell’horror odierno, a parte riletture post-moderne di temi classici come Maschera di cera o il mix metropolitano di vampiri e licantropi di Underworld, la paura e i mostri scaturiscono dai laboratori di armi batteriologiche e dell’ingegneria genetica (i Resident Evil ). Dunque dal connubio letale fra fantascienza e orrore (la contaminazione produce gli zombie). Un connubio con nuovi allarmi socio-politici, ma che in realtà risale – in chiave più romantico-esistenziale – al mito di Frankenstein. Mary Shelley ha infatti “cucito” assieme (è il termine adatto) gli esperimenti elettrici di Galvani e il sacrilego trafugamento dei defunti dalla tomba. Giugno 2006 RdC 45 SpecialeHorror > Incubi d’autore NEBBIA LETALE Tormenti privati e angosce collettive targati John Carpenter. Fog continua a mietere vittime, ma non ha eredi di Luca Pallanch 46 RdC Giugno 2006 N ella catena di montaggio di Hollywood, alla voce “remake”, dopo Distretto 13: le brigate della morte finisce un altro gioiello di John Carpenter: Fog, un piccolo film, incastonato fra i suoi due titoli più noti, Halloween: la notte delle streghe e 1997: Fuga da New York. È sufficiente citare queste quattro opere, situate tra il 1976 e il 1981, per comprendere la centralità di Carpenter nel cinema americano della seconda metà degli anni settanta. Proprio Fog consente di apprezzarne appieno la grandezza “autoriale”, pur nel contesto di un film di genere, debitore, come sempre avviene nel suo cinema, di quelli di fantascienza e di paura amati nella giovinezza. E consente di riflettere sui meccanismi della tensione di cui è stato un maestro grazie a un lavoro di sottrazione, ancor più straordinario in anni in cui la componente horror tendeva a prevalere, fino a scadere nello splatter. “Io trovo – ha dichiarato Carpenter – che il mezzo più nobile e più efficace mai escogitato per far paura, è non mostrare troppo! Soprattutto non sforzarsi di essere chiari! Se ora vediamo tutto questo sangue è perché sovente il regista non conosce altro modo per toccare il suo pubblico, e trova questo più facile da fare” (da “Il Castoro” dedicato al regista americano da Fabrizio Liberti). Fog è un film dell’orrore sostenuto dalla suspense tipica di un thriller, scandita dall’incedere inesorabile del Tempo, che è il grande alleato del regista nelle sue opere più mature. Il tempo alimenta la lotta per la sopravvivenza, in cui emerge, come figura centrale, l’eroe chiamato a salvare la comunità, normalmente coincidente con i confini di un cittadina. La notte, con il suo retaggio di paure infantili, è lo scenario perfetto per ambientare le storie, la cui origine si perde in vicende lontane, ancestrali. Nel caso di Fog risalgono alla nascita della comunità di Antonio Bay, quando una nave di lebbrosi, in una notte di forte nebbia, fu attratta dalla luce di un falò e finì contro gli scogli, un naufragio organizzato dagli abitanti del paese per depredarli. È passato un secolo, nella Giugno 2006 RdC 47 SpecialeHorror > Incubi d’autore GLI SPETTRI DEL PASSATO PREANNUNCIATI DALLA NEBBIA RITORNANO PER SALDARE I CONTI CON LA STORIA cittadina si preparano i festeggiamenti, ma gli spettri del passato, preannunciati dalla nebbia, ritornano per saldare i conti con la Storia. Una storia di fantasmi, simile a quelle che si raccontano ai bambini per spaventarli. Non le favole, con il bene e il male perfettamente distinti, ma le storie avvolte nel mistero in cui i confini fra l’uno e l’altro tendono a smarrirsi. La dialettica fra il bene e il male, su cui 48 RdC Giugno 2006 Carpenter ha costruito il suo cinema, ha spesso delle zone d’ombra: basti pensare agli eroi per antonomasia del suo cinema, Napoleone Wilson in Distretto 13 e Snake/Jena Plissken in 1997: Fuga da New York, due detenuti che rivelano, nella lotta per la sopravvivenza, un profondo senso morale. Carpenter scrisse la sceneggiatura di Fog in due settimane, Distretto 13 in otto giorni, Halloween in dieci (il miglior Carpenter scrive in fretta e gira velocemente): in ognuno di questi film è palpabile il frutto dell’ispirazione. Sono storie che si fondano su un’idea forte, chiamiamola intuizione o colpo di genio, attorno a cui costruisce un meccanismo perfetto, per il quale si avvale della sua cultura letteraria e cinematografica, da Poe a Lovecraft, da Hawks a Hitchcock. Il suo cinema si nutre di omaggi e citazioni, in perfetta sintonia con la categoria del postmoderno, ma lo stile è personale perché la sua classicità (da bambino che si impossessa della macchina da presa senza abiurare i suoi sogni e i suoi incubi) si iscrive perfettamente nel cinema anni ottanta, ne condivide gli umori, lo spirito, i tempi narrativi, il ritmo soprattutto, tanto da poter essere posto a confronto con molti autori in auge in quegli anni, a cominciare dal nostro Dario Argento. Ed è uno stile unico, proprio perché si porta dietro il retaggio del cinema americano anni cinquanta, in cui i film di consumo sono ormai considerati piccoli capolavori, prestandosi a molteplici letture, complice la guerra fredda e le paure che scatenò. La capacità, inoltre, di tratteggiare personaggi indimenticabili, archetipi universali, e di scavare nel profondo fino a far emergere dall’inconscio dello spettatore paure che portano pur sempre con sé i tratti di angosce collettive. I suoi eroi e i suoi fantasmi lottano contro il sistema e assumono una valenza politica, sempre più presente nei suoi film successivi (Essi vivono, Il seme della follia). Una visione così nitida della storia e dei personaggi non ha bisogno di essere supportata da grandi effetti speciali e colpi di macelleria: la paura per Carpenter si confonde con l’oscurità dell’inconscio, è una sensazione sotterranea e contagiosa che cresce parallelamente all’incedere angosciante del tempo. “I film sono emozioni, un pubblico dovrebbe piangere, ridere o spaventarsi”. E Carpenter gioca con le emozioni dello spettatore, le conosce perché sono le stesse che lui ha provato: appartiene a una generazione di registi che prima di studiare cinema, hanno visto e consumato film, non tanto come cinefili ma come spettatori. Per poi, crescendo, allontanarsi da quello spettatore e perdere, parallelamente, il contatto con la realtà, che prima filtravano attraverso la visione di film. Destino comune a molti altri registi della sua generazione: Dante, Landis, Milius, forse anche Cimino e De Palma. Ma film come Fog testimoniano, anche a distanza di anni, una vitalità, sia nella narrazione sia nella rappresentazione, che il cinema americano contemporaneo ha smarrito. Di qui il ricorso all’arma impropria del remake, che ha il merito se non altro di spingerci a vedere e rivedere l’originale, salvo poi rimpiangere i bei film andati… GIOVANI, CARINI E RASSERENATI Politically correct e adolescenziale: il remake di Wainwright è senza fascino Perché The Fog - Nebbia assassina di Rupert Wainwright è un prodotto ordinario mentre l’originale di Carpenter si è ritagliato uno spazio importante nel cinema horror anni Settanta? Wainwright spinge sull’acceleratore della gioventù: la storia d’amore, il tradimento, il conflitto con i genitori, la ribellione, la voglia di fuggire. Su questo tessuto narrativo innesta una storia che non è diversa da quella scritta da Carpenter e Debra Hill, con qualche lieve, ma sostanziale, variante. Inutile dire che la ragazza ha il volto della giovane diva di Lost Maggie Grace, così come il suo ragazzo è interpretato dall’eroe di Smallville Tom Welling. Sono loro i protagonisti, ben più giovani rispetto a quelli del film di Carpenter, così come più giovane è l’annunciatrice Fog ieri e oggi. Accanto una sequenza dell’originale della radio (Selma Blair, lanciata da Cruel Intentions), il che permette di inserire una possibile insidia all’amore dei due protagonisti. Ci sono tutti gli ingredienti per un film giovanile, con tanto di amico con la battuta pronta a stemperare la tensione, ma dovendo raccontare una storia di spettri, tanto vale privilegiare il lato thriller della vicenda. La nebbia e la notte: Carpenter gioca con le angosce dell’uomo e semina terrore. Wainwright realizza un horror, egualmente pulito. Però, non confidando più nella capacità della nebbia di reggere l’intera storia, mischia le carte e intreccia i legami fra i protagonisti, fra presente e passato, congegnando un film troppo ragionato. Tanto il film di Carpenter era politically uncorrect, perché i cattivi erano i buoni riemersi dal baratro per vendicarsi, così quello di Wainwright è politicamente corretto, perché neutralizza ogni elemento di rottura attraverso il filtro del filone giovanile. Se non si scorgessero all’orizzonte prospettive di guadagno, ci si domanderebbe il motivo di riesumare Fog dalla storia del genere horror. La verità è che si possono acquistare i diritti di un film, ma il fascino non è in vendita. (L. P.) Giugno 2006 RdC 49 SpecialeHorror > Italia oggi SBATTI I MOSTRI IN PRIMA PAGINA Tramontata l’era di Bava e Argento, Infascelli porta il nuovo film in edicola. Mentre Puglielli sceglie il dvd e Segatori sbarca Oltreoceano di Angela Prudenzi C’ era una volta l’horror italiano. C’erano i film di Bava e Fulci, poi quelli di Argento, Avati, Massaccesi, Deodato, Lenzi. C’erano, e non ci sono più. Due decenni e si è spenta la fiamma di un genere che tanto ha brillato. Una realtà impossibile da spiegare, soprattutto se si pensa a quanto vendono i noir nelle librerie. Naturale chiedersi perché a fronte di un mercato cinematografico saturo di thriller stranieri che incassano cifre sorprendenti, la produzione italiana sia così stagnante. Pesa la mancanza di idee in grado di rinverdire il genere, ma il problema sembra soprattutto economico. I produttori non sono più disposti a rischiare, e fortuna che molti giovani non hanno paura di battere strade nuove. Alex Infascelli, forte del successo di Almost Blue e del Siero delle vanità, ha scelto di sperimentare una Antonio Cupo in Hollywood Flies. Sopra Alex Infascelli, accanto Eros Puglielli. Nell’altra pagina H2Odio 50 RdC Giugno 2006 Arrivederci orrore, ciao “Osservare la realtà per rinnovare il genere”: l’imperativo di Michele Soavi formula inedita, quella del film a basso budget veicolato direttamente nelle edicole. Il risultato, H2Odio, è un horror dell’anima, visivamente molto libero. “Questa formula – spiega il regista – ha permesso di esprimere appieno le mie intenzioni d’autore. Non rinnego le esperienze precedenti, ma stavolta ho mantenuto intatta la creatività senza adattare il mio mondo ad uno già precostituito. Le vendite stanno andando bene e ciò dimostra che si può partire da un’esigenza artistica senza essere vittime degli incassi. Certo, mi piace uscire nelle sale, ma se il Ha avuto per maestro Massaccesi, ma la sua ammirazione va a Romero: “Nei suoi film dietro il sangue resta sempre visibile il punto di vista sul mondo”. Per Michele Soavi, autore di pellicole di culto quali Dellamorte Dellamore, La setta e La chiesa, “l’horror italiano è caduto nell’oblio perché sono mancati personaggi e storie forti. E’ ora di rinnovare il genere, ma con l’occhio alla realtà del paese”. Quali soluzioni? “Leggere molto. Non sono il solo che si butta su ogni noir pubblicato. Almost blue ce lo siamo contesi in tanti”. Una via potrebbe essere quella intrapresa con Arriverderci amore, ciao, che coniuga l’indagine psicologica con il thriller-horror. “Nel romanzo c’era già tutto: angoscia e morte, delitto ma non castigo, bene e male. E’ quest’ultimo che va cercato nel profondo dell’animo umano”. Eppure di recente non sono mancati i tentativi di ritrarre il male, che cosa non ha funzionato? “Molti registi non smettono mai di guardarsi. Bisogna uscire da se stessi e ricominciare ad avere occhi per il mondo che ci (A. P.) circonda”. prezzo da pagare è la rinuncia a una parte di me, allora ben vengano le edicole. L’importante è non dimenticare che il cinema è e resta un’industria. Sono contro il cinema tra amici, tutti devono essere pagati, altrimenti si fa un favore a quei produttori che non puntano sui giovani”. Dello stesso parere è Eros Puglielli, che dopo essersi cimentato nel genere con Occhi di cristallo, di recente ha realizzato per il mercato homevideo AD Project, curioso mix di fantascienza e horror. Lui, gli attori, i tecnici, si sono dati un valore e in proporzione divisi le quote che arriveranno dalla distribuzione. “Produrre in libertà ampiamente ripagato dei costi. Inutile dire che i distributori italiani lo hanno ignorato. Comunque un’esperienza positiva che ha aperto le porte a un’altra avventura: Segatori è in partenza per gli Usa dove girerà Dark Roots, un horror per stomaci forti. “Non posso negare di essere deluso – racconta -, ma la delusione non è solo personale. Penso al fatto che il nostro cinema non partecipa più al mercato internazionale. I film di genere negli anni ’60 e ’70 riuscivano ad avere delle prevendite all’estero, oggi i produttori si preoccupano solo di ripagare i costi con il mercato interno. La fetta più grande dell’homevideo, si parla del significa recuperare una dimensione simile a quella delle altre arti – spiega Puglielli -, sei tu e il tuo progetto e basta. E’ un po’ come andare verso l’imponderabile e, se si lavora su un soggetto che ha anche fare con l’inconscio come AD Project, è molto importante”. Sulle potenzialità di un recupero dei temi fantastici propri della nostra cultura, Puglielli crede molto: “L’Italia è piena di storie di superstizione, di fantasmi, ma i produttori non ne vogliono sapere. Hanno dimenticato che le stesse storie fino agli anni ’80 hanno venduto in tutto il mondo. Oggi non provano nemmeno a fare lo sforzo di proporre prodotti che in America comprerebbero ad occhi chiusi”. L’oceano lo ha invece varcato Fabio Segatori, che in America ha realizzato Hollywood Flies, apprezzato thriller, da poco mostrato sul canale Showtime e che nei blockbuster si è già 60-70%, è strappata dal noir in tutte le sue sfumature. E noi non partecipiamo. Eppure io sono la prova che con un buon soggetto ci si può far ascoltare anche in America. Ci tengo ad essere italiano, sia chiaro, ma qui sento di non avere interlocutori”. Una storia, quella di Segatori, che dovrebbe far riflettere. L’avventura di un singolo dimostra ciò che dovremmo conoscere a memoria: godiamo ancora di un immenso credito. Perché non approfittarne? Giugno 2006 RdC 51 È UNA FIRMA, MA È ANCHE MOLTO DI PIÙ. Per informazioni www.8xmille.it Ripartizione 8xmille (milioni di euro) Esigenze di culto e pastorale Interventi caritativi Sostentamento del clero 2003 2004 2005 452,0 442,0 471,3 185,0 190,0 195,0 329,5 319,5 315,0 La tua firma è arrivata sui Monti Nuba in Sudan, dove ha trasformato un miraggio in una scuola fatta di fango e di amore. In questi anni ha sostenuto anche 39 mila sacerdoti nella loro missione evangelica. Ha aiutato Sostentamento dei sacerdoti Carità in Italia Carità nel Terzo Mondo i poveri in Italia e ha reso possibile l'apertura di nuovi oratori e il restauro di antiche chiese. In un viaggio di speranza di oltre 6000 interventi, che portano anche il tuo nome. Culto e Pastorale Con l’8xmille alla Chiesa Cattolica avete fatto molto, per tanti. C.E.I. Conferenza Episcopale Italiana PERSONAGGI Meryl 54 RdC Giugno 2006 Q uasi trent’anni di cinema e 2 Oscar accompagnato l’innocenza e la gioventù di vinti non sono bastati a Meryl tutta la mia generazione”. Note e voci che Streep per reggere all’emozione. “E’ l’hanno seguita da quando frequentava la magia del cinema”, dice lei sorridendo. E Yale. Con la compagna di classe Sigourney la magia di Radio America, il film corale Weaver fantasticava di opera e teatro con cui il Robert Altman saluta un’epoca e perché, diceva, più del cinema ti fanno un paese che non ci sono più. Toni “sentire il pubblico”. Una convinzione che scanzonati e ritmi country mascherano una il successo non ha cancellato. Tra un ciak e melanconia che non lascia scampo. Il un altro del prossimo Il diavolo veste Prada, ruvido John C. Reilly, lo sboccacciato la Streep è infatti volata a Londra, per il Woody Harrelson, perfino la giovane puro gusto di recitare di fronte agli attoniti Lindsay Lohan e quel buontempone di passanti di Hyde Park. “Una sensazione Kevin Kline se ne sono accorti. Tutti ad simile – racconta – a quella vissuta sul set applaudire commossi, mentre Lily Tomlin di Radio America. E’ stato uno intonava sul palco una dolorosa cantata su straordinario lavoro corale. Eravamo vita, morte e rapporto coi genitori. Tanto è insieme dalla mattina alla sera, come al bastato perché fra le crepe del mostro sacro cinema capita molto di rado”. emergesse prepotente la donna. Un pianto Immaginiamo Kevin Kline, addetto alla liberatorio in cui Meryl Streep ha messo sicurezza strappato alle pagine di Raymond gioia, rimpianti e soddisfazioni di una vita Chandler, fare le prove davanti allo intera. Come i trascorsi da cameriera nel specchio col suo gessato. E immaginiamo suo New Jersey, le mance messe da parte anche i cowboy John C. Reilly e Woody per pagarsi le lezioni di canto. E poi quel Harrelson ripassare la strofetta country primo Oscar per Kramer contro Kramer a dell’elefante all’uomo nudo: “Ehi, carino confermarle che sì, aveva imboccato la quel coso! Ma davvero riesci a respirarci?”. strada giusta. Da allora sono passati 27 Si è divertita un mondo Meryl Streep. anni, 13 nomination e 4 figli. Grazie a Anche perché finalmente ha potuto Cimino, Pakula e Eastwood ha capito che cantare, come sognava fin da bambina: al cinema vuole far ridere e piangere. Per “Quando ho fatto il provino – se la ride questo sognava da anni di lavorare con con Altman – mi ha chiesto soltanto di Altman. “Il suo nome è una garanzia - dice cantare. Non di essere brava!”. Copione in -. E la prospettiva che ha scelto per tasca e tanta improvvisazione, come ormai raccontare l’America lo conferma”. A può soltanto l’ultima grande signora di Prairie Home Companion, cioè: il popolare Hollywood. show radiofonico, che dal ’74 a oggi ha Meryl Streep in Radio incarnato l’anima del America. Accanto con la Lohan, a sinistra in Kramer paese, raggiungendo contro Kramer oltre 35 milioni di spettatori in tutto il mondo. Tra i fan più accaniti, insieme alla signora Altman a cui dobbiamo l’idea del film, anche la stessa Streep: “Lo ascolto da sempre e ci sono molto affezionata. E’ una trasmissione che ha FREQUENZE DISTURBANTI Il regista di Nashville continua a graffiare. Nell’etere 81 anni di cinema e vita, in cui Altman ha cambiato e visto cambiare il mondo dello spettacolo, senza mai rinunciare alla sua graffiante zampata. Per questo la scelta di A Prairie Home Companion, il celebre programma radiofonico di Garrison Keillor, per cui il celebre conduttore si è improvvisato anche sul set e alla sceneggiatura. Siamo a St. Paul, Minnesota. Sul palco del Fitzgerald Theater che ospita lo spettacolo sta andando in onda l’ultima puntata. Le sorelle Johnson col volto di Meryl Streep e Lily Tomlin, il divertentissimo Guy Noir di Kevin Kline e poi ancora i pirotecnici Lefty e Dusty interpretati da John C. Reilly e Woody Harrelson: con la trasmissione si stanno concludendo un ciclo e tante amicizie. Confessioni dietro le quinte e canzoni sul palco parlano di storie di vita, drammi familiari, radici perdute. Ma mentre i tempi passano e la barca affonda, Keillor continua a guardare avanti. Con un pizzico di malinconia e grinta da vendere, proprio come il vecchio caro Altman. per sempre Dopo trent’anni di carriera e due Oscar, la Streep realizza un sogno: cantare alla Radio (America) DI DIEGO GIULIANI Giugno 2006 RdC 55 Punto critico: manuale per sopravvivere alle uscite in sala VOLVER Almodóvar poetico ed esemplare. Con una riflessione corale su vita, morte e ritorno alle origini IN SALA I fantasmi non piangono, sostiene Carmen Maura nel bellissimo finale del film di Pedro Almodóvar. I fantasmi non possono versare lacrime. Devono abitare nelle antiche case e riposarsi nei patii. Assistono chi si appresta a superare la soglia della vita per lasciarla definitivamente. Accudiscono i morenti. Accompagnano i vivi, li amano, li seguono discretamente. I fantasmi conoscono l’arte misteriosa di trattenere il tempo, di fermarlo, di fissare quei momenti, per lo più dolorosi, nei quali le persone e i personaggi hanno cominciato a diventare quello che poi saranno per il resto dei propri giorni. Tutto su mia madre è un film sull’assenza di un figlio, sul vuoto assoluto e incolmabile di un lutto che non si può elaborare, su un amore materno che non ha neanche una presenza fantasmatica alla quale aggrapparsi, una presenza impalbabile da abbracciare e da accarezzare con affetto. Volver è un film su una madre (in realtà più d’una perché anche la madre di Augustina è svanita nel nulla da anni) creduta morta, “scomparsa”, ormai lontana e presente. Nell’odore che ristagna nelle stanze e nelle memorie dolenti della intraprendente e corrucciata Raimunda (Penélope Cruz). Nell’incertezza dei ricordi. Il titolo attesta che il ritorno è inevitabile, è inscritto nel destino dell’essere umano (polvere che torna alla polvere). Tornare alla propria infanzia ferita o felice, al paese d’origine, La Mancha, battuto e spazzato dal solano, un vento incessante che rende folli o stordisce, e laddove gli incendi devastano la regione e la vita degli abitanti: in uno di quegli incendi il padre e la madre di Raimunda e Sole (Lola Dueñas) sono morti abbracciati e in amore. Tornare al passato che, ostinato, irriducibile, arrogante, pietoso, non passa mai come ne La mala educación o in Tacchi a spillo. Tornare per sopravvivere, per resistere al dolore di un incesto subito da Raimunda, all’omicidio commesso dalla figlia (Yohana Cobo) della protagonista per difendersi, dal senso di colpa della nonna–fantasma per non aver capito - come intuisce con amarezza Anna Magnani nella breve IL TONO E’ QUELLO DI UNA COMMEDIA DRAMMATICA, ESALTATA DALLE STRAORDINARIE INTERPRETAZIONI DELLE ATTRICI scena di Bellissima trasmesso dalla tv quale tragedia domestica avesse vissuto la figlia. Ci sono molti altri ritorni, privati e cinematografici, che riguardano Pedro Almodóvar. I suoi film non si pongono limiti. Le emozioni forti e laceranti sono controllate da uno stile sobrio, asciutto, suadente, depurato. I materiali narrativi palpitanti sono svelati da una scrittura e da una messa in scena che, in questo caso, ha le cadenze di una commedia drammatica. La furia e la provocazione barocca, il gioco paradossale e postmoderno del melodramma sono stati smussati e accantonati. Una trama che i reality-show o i talk-show morbosi (un modello di tv rifiutata dal regista in modo esplicito in una scena e in alcune spiritose e caustiche battute dei personaggi) trasformerebbero in volgarità dei sentimenti, in avvilimento delle umane sofferenze, in discount dell’emotività, nelle mani di Almodóvar assume la dimensione di un cinema che è “esemplare”, una qualità intrinseca dell’estetica classica. Già nel magnifico Parla con lei, il regista si muoveva nella zona opaca, nello scintillio che separa la vita dalla morte, lungo la linea di demarcazione tra la consapevolezza di esserci e l’assenza di questa consapevolezza. Volver si apre in un cimitero, con l’operoso fervore intorno alle tombe dei propri cari. I vivi che si prendono cura di chi ci ha lasciato. Il confine da valicare è lo stesso di Parla con lei: dialogare con chi non c’è più, con se stessi, con la propria storia, con le proprie cadute. Come i fantasmi, le meravigliose donne almodóvariane (le interpretazioni sono eccezionali) non vogliono separarsi dai luoghi in cui sono state felici e infelici, dai luoghi in cui tutto è nato, dai luoghi in cui continueranno a tornare nei sogni, nei desideri, negli incubi. Stanno lì a guardare oltre lo scintillio. I fantasmi non hanno crisi di nervi e non piangono. ENRICO MAGRELLI REGIA Con Genere Distr. Durata 56 RdC Giugno 2006 PEDRO ALMODÓVAR Penélope Cruz, Carmen Maura Drammatico, Colore Warner Bros. 121’ iFilmDelMese Giugno 2006 RdC 57 iFilmDelMese 10 CANOE Vera storia di un Eden perduto. Da Rolf De Heer, tra fiaba e antropologia IN SALA C’era una volta… Comincia così, come la più classica delle fiabe, 10 canoe che l’australiano Rolf De Heer firma insieme alla popolazione della città di Ramingining. E della fiaba ha l’andamento leggero, sebbene la vicenda si tinga anche di sangue. Ambientato secoli fa, quando i bianchi non avevano ancora colonizzato il nord del paese, il film appena presentato nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes racconta la storia di Dayindi, giovane appartenente al popolo Yolgnu, innamorato di una delle tre mogli del fratello maggiore Minygululu. Pieno di energie, mal VITA E TRADIZIONI DEGLI ABORIGENI AUSTRALIANI DI RAMINGINING 58 RdC Giugno 2006 sopporta di dover aspettare il consenso degli anziani per potersi sposare, ma la legge è legge e va rispettata. Perché non dimentichi gli insegnamenti, Minygululu approfitta del lungo rito che accompagna la caccia alle oche, per narrare una leggenda che si perde nella notte dei tempi. Protagonista Yeeralparil, anch’egli desideroso di conquistare la bella cognata. Rapimenti, vendette, punizioni e morte si rincorrono fino a una soluzione tragicomica che dimostra come l’uomo debba sempre rispettare le leggi della convivenza, anche quando terribili. Costruito a partire da alcune foto scattate negli anni ’30 dall’antropologo Donald Thomson, il film è una ricostruzione della vita dei popoli delle terre di Arnhem, ma per la correttezza REGIA Con Genere Distr. Durata PETER DJIGIRR, ROLF DE HEER David Gulpilil, Jamie Gulpilil Drammatico, Colore Fandango 91’ storiografica, il rispetto delle tradizioni, l’uso della lingua Ganalbingu, l’utilizzo di attori aborigeni, finisce per essere una sorta di documentario su un Eden che l’arrivo dei bianchi ha corrotto. Un pensiero che De Heer si guarda bene dal gridare, lasciando che traspaia dal racconto, dall’armonia dei paesaggi, dalla scanzonata ironia dei protagonisti, dalla forza dei guerrieri, dalla bellezza delle canoe che scivolano sulle acque durante la caccia. Oggi circa 800 discendenti degli Yolgnu di 15 diverse etnie vivono a Ramingining, fondata per loro dal governo nei primi anni ’70. La città è lontana dalle terre di origine. Difficile credere che non rimpiangano il loro paradiso perduto. ANGELA PRUDENZI IN SALA L’ENFER Tanovic volta pagina e dirige un dramma al femminile fedele a Kieslowski IN USCTA CAPPUCCETTO ROSSO E GLI INSOLITI SOSPETTI Rivisitazione postmoderna della celebre fiaba. In 3D e senza passione E’ il secondo film di Danis Tanovic, lanciato dal successo di No Man’s Land, Oscar per il miglior film straniero nel 2002. Proprio il precedente suscita immediata sorpresa: difficile immaginare due film tanto diversi. Il primo, girato tutto in esterni, nel clima infuocato e disperato della guerra dei Balcani, era quasi privo di presenze femminili; questo secondo film, invece, è una storia di interni domestici e sentimenti nascosti, passioni impossibili e desideri inconfessabili, popolata prevalentemente da donne ed ambientata nella tranquillità di borghesi appartamenti parigini e della campagna circostante. Ma se No Man’s Land era frutto di una sceneggiatura originale di Tanovic, L’enfer è nato originariamente come il capitolo di una trilogia elaborata da Kieslowski e da Piesiewicz, irrealizzata per la morte del regista polacco, anche se un altro episodio del progetto, Le Paradis, è stato portato sullo schermo da Tom Tykwer. Contrariamente alla scelta del collega tedesco, Tanovic è rimasto fedele allo spirito della sceneggiatura e al cinema di Kieslowski. L’enfer è imperniato su una materia incandescente, ma raccontata con uno stile freddo, volutamente sommesso, che evita le grida e risulta tanto più vero ed emozionante. Descrivendo una grande tragedia, Tanovic punta l’attenzione sulle piccole cose, con una regia raffinata, di grande eleganza formale, che evidenzia una estrema padronanza nella direzione degli attori, tutti particolarmente convincenti. Nella storia si ritrovano molti dei temi cari al cinema di Kieslowski: l’inevitabilità del destino, il dovere della responsabilità, la contraddittorietà dei sentimenti, lo svelamento di una verità sconosciuta e imprevedibile. E l’idea che l’inferno faccia parte della vita di tutti i giorni, senza bisogno di essere immersi in una tragedia come quella dei Balcani. Forse proprio questa è stata la molla che ha spinto Tanovic a realizzare il film. Al centro del racconto tre sorelle e la loro madre; la vita della quattro donne è stata segnata, determinata da un dramma del passato: il suicidio del rispettivo padre e marito, colpito da un’infamante accusa di pedofilia. Come nel tentativo di cancellare il ricordo di quella tragedia, le tre sorelle, ormai adulte, hanno interrotto ogni contatto fra loro. Immerse in una comune infelicità, solo affrontando finalmente il passato le tre sorelle si liberano dai sensi di colpa. FRANCO MONTINI Tragedia familiare dal regista di No Man’s Land. L’inferno del titolo è quello della normalità Afflitto da cronica carenza inventiva, il cinema contemporaneo saccheggia questa volta il repertorio fiabesco, mettendo le mani su Cappuccetto Rosso. Per dissimulare il rapimento, ovvero per dichiararne la marginalità poetica, gli sceneggiatori e registi Cory e Todd Edwards e Tony Leech inoculano a trama e personaggi una buona dose di post-moderno sulla scia di altre animazioni quali Shrek e Shark Tale. Cappuccetto Rosso, la Nonna, il Taglialegna e il Lupo assumono connotazioni altre e stereotipate: la prima alterna canzoni melense a colpi di kung-fu; la vecchiarda miscela buoni consigli e sport estremi; il boscaiolo è massiccio e stolido venditore di schnitzel; lo spauracchio della fiaba originale si palesa quale investigatore drop-out. Su tutti, poi, si spande l’aura politically correct da eco-guerrieri in lotta per la salvaguardia del bosco. Sancita la propria ortodossia ideologica, il film realizzato in computer grafica 3D può alzare le mire e sconvolgere l’intreccio: il celebre climax tra il Lupo e Cappuccetto apre il film, revisionato dall’intervento di Nonna e Taglialegna. Toccherà al detective Nicky Flippers, una rana dandy, fare ordine tra gli insoliti sospetti, innescando una serie di flashback che echeggiano Rashomon. Prodotto medio, ma pretenzioso, Cappuccetto Rosso non riesce ad appassionare. Ancor più per un’animazione che si vuole indirizzata a grandi e piccini, il verdetto non è assolutorio. FEDERICO PONTIGGIA REGIA Con Genere Distr. Durata DANIS TANOVIC Emmanuelle Béart, Carole Bouquet Drammatico, Colore 01 Distribution 98’ REGIA Genere Distr. Durata CORY e TODD EDWARDS, TONY LEECH Animazione, Colore 01 Distribution 88’ Giugno 2006 RdC 59 iFilmDelMese CROSSING THE BRIDGE La Turchia tra passato e presente, in un bel documentario musicale Diretto da Fatih Akin, regista del film Orso d’Oro a Berlino La sposa turca, il documentario Crossing the Bridge – The Sound of Istanbul è un trascinante percorso etnico-musicale all’interno della cultura musicale turca. Documentando il viaggio del rocker tedesco Alexander Hacke, Fatih Akin coglie l’occasione per raccontare la Turchia di oggi attraverso i suoi suoni, le sue musiche, le sue passioni vecchie e nuove, nonché le sue contraddizioni. Un film intenso che tra passato e presente, tra vecchie e nuove glorie della musica popolare locale, tra l’eredità ascetica di Mevlana e le trasgressioni dell’Hip hop, conduce lo REGIA Genere Distr. Durata ANTEPRIMA spettatore alla scoperta delle bellezze della città divisa geograficamente e talora lacerata culturalmente tra Europa ed Asia, tra Occidente e Oriente. Un’occasione per partire idealmente da Istanbul e arrivare fino ai confini del Kurdistan e della Cappadocia tra toccanti canzoni in lingua curda e l’ipnotica eleganza della danza dei dervisci. Un viaggio emotivo all’ombra dei minareti sulla riva del Bosforo che FATIH AKIN Documentario, Colore Fandango 90’ guida lo spettatore in un universo umano in fermento, espressione sociale di un paese alla ricerca di una nuova identità culturale capace di guardare al futuro nel rispetto della tradizione. Un film interessante e appassionato in grado di arricchire lo spettatore con una costruzione cinematografica simile a quella del celebre Buena Vista Social Club. MARCO SPAGNOLI IMAGINE ME & YOU Colpo di fulmine ai piedi dell’altare. Ma è un romanticismo déjà vu Basta incrociarsi con uno sguardo, a volte, e la vita cambia per sempre. Lo sa bene Ol Parker, sceneggiatore inglese che nel suo primo lungometraggio racconta l’innamoramento quale scintilla dalle conseguenze incontrollabili: Rachel (Piper Perabo) sta per convolare a nozze con Heck (Matthew Goode), che prima di essere amato è soprattutto il suo “miglior amico”. Fatalità vuole che, un attimo prima di raggiungere l’altare, la ragazza sfiori con gli occhi quelli della bella fiorista nuziale Luce (Lena Headey). La celebrazione del matrimonio non è messa in pericolo, ma di lì a poco i pensieri di Rachel prenderanno un’unica direzione… Operazione che dà il meglio di sé nella prima metà, Imagine Me & You (titolo non casuale, strofa di partenza di Happy Together che torna nel finale del film) non tradisce i canoni della classica commedia romantica “british style”, REGIA Con Genere Distr. Durata OL PARKER Piper Perabo, Matthew Goode Commedia, Colore 20th Century Fox 94’ 60 RdC Giugno 2006 ANTEPRIMA ben calibrata sui tempi e sui movimenti di una recitazione corale di alto livello. A non convincere pienamente è il modo in cui viene gestito il tragitto della protagonista - costretta a scegliere fra cosa “è giusto” e ciò che le suggerisce il cuore – verso l’apogeo definitivo. L’innamoramento fra Rachel e Luce è trattato così brillantemente da rendere quasi marginale il fatto che siano entrambe donne: dove risiederebbe, allora, l’originalità di un soggetto simile? Di amori che nascono in prossimità di un altare non ne sentivamo la mancanza. VALERIO SAMMARCO iFilmDelMese ANCHE LIBERO VA BENE Felicissimo esordio in regia per Kim Rossi Stuart. Che evita stereotipi e manicheismi IN SALA Anche libero va bene... come accade su un campo di calcio, dove il libero inventa, crea, affonda, forgia l’assist giusto per andare in gol. Così l’undicenne Tommi (Alessandro Morace), nel felicissimo esordio alla regia di Kim Rossi Stuart, è uno che tenta di volare, di librarsi leggero sui tetti di una capitale asfittica, di gettare le zavorre di una vita troppo pesante per essere ancora così acerba, di suggerire rimanendo inascoltato. Perchè il suo padrepadrone Renato (Kim Rossi Stuart), genitore frustrato, abbandonato dalla moglie Stefania (Barbora Bobulova) STRAORDINARIO IL PICCOLO PROTAGONISTA ALESSANDRO MORACE 62 RdC Giugno 2006 che non riesce ad essere neanche madre, vuole recuperare nel figlio, più che nella primogenita Viola (Marta Nobili), il terreno e la vita da lui stesso perduti. Il dramma adolescenziale si consuma tra le quattro pareti di una casa modesta, sciatta, sporca, abbandonata anch’essa; tra i banchi di una scuola dove Tommi sceglie come compagno di banco un ragazzo disturbato, bisognoso di sostegno, come lui. In questo eterno specchiarsi senza riuscire a trovarsi e a trovare la giusta risposta dell’altro, Tommi paradossalmente fin dall’inizio incarna il perno sul quale ruota l’esistenza di chi lo circonda. E non è un caso che venga subito alla mente il De Sica de I bambini ci guardano REGIA Con Genere Distr. Durata KIM ROSSI STUART Barbora Bobulova, Kim Rossi Stuart Drammatico, Colore 01 Distribution 108’ perché in Anche libero va bene proprio gli sguardi si ergono a protagonisti del racconto. Una sorta di angolazione esistenziale, una soggettiva dell’anima. Occhi colmi di lacrime o stretti nel sorriso, timorosi e sperduti nel vuoto, sguardi fissi nella follia di istanti che non vogliono mettere a fuoco. Kim Rossi Stuart regista riesce a divincolarsi da qualsiasi stereotipo e a sdoppiare la sua spasmodica, profonda attenzione per la vita interiore di generazioni diverse, quelle dei padri e dei figli senza il manicheismo dei buoni e cattivi. Straordinaria, per intensità e naturalezza, la prova del piccolo Alessandro Morace. Ne risentiremo parlare. LEONARDO JATTARELLI IN SALA MY FATHER - RUA ALGUEM 5555 L’incubo nazista nel confronto tra Mengele e il figlio. Teso e complesso IN SALA BITTERSWEET LIFE Dalla Corea con furore. Ultraviolenza e formalismi nel noir di Kim Ji-woon Da Mosè e Ben Hur a Josef Mengele. Dai profeti e gli eroi dell’ebraismo al genetista criminale del nazismo e di Auschwitz, antisemita e freddo esecutore della “selezione per l’igiene razziale”. E colpevole di esperimenti disumani ai danni di gemelli, nani e donne incinte. Un paradosso per l’anziano Charlton Heston, una delle leggende di Hollywood. Curiosamente, anche Gregory Peck ha vestito i panni di Mengele nel fantathriller I ragazzi venuti dal Brasile (1978). Heston l’ha scelto Egidio Eronico per il film My Father - Rua Alguem 5555, tratto dal romanzo Papà del tedesco Peter Schneider. Si ricostruisce l’unico incontro avvenuto nel 1977 in una favela di Manaus, in Brasile, fra Mengele (il nome non è mai citato) e suo figlio Rolf, avvocato, che non aveva mai conosciuto il padre, fuggito in Sudamerica dal 1949. Herman (il nome usato nel film) decide di raggiungere il genitore per convincerlo a costituirsi o per denunciarlo alle autorità. Ma come figlio vorrebbe almeno capire perché quell’uomo ha agito da mostro. Vuole ascoltare la versione del padre, che invece di esprimere dubbi o pentimenti ostenta sicurezza teutonica. E ancora delira lucidamente su teorie “darwinsocialiste”: lotta per la sopravvivenza, dominio dei più forti, disprezzo dell’amore per il prossimo e della sacralità della vita. Significativa la scena in cui il padre guarda compiaciuto un arcadico film tedesco di montagna, emblema della propaganda ariana. Ma il figlio interrompe il fuorviante sogno di “purezza” e gli mostra un video con i cadaveri di Auschwitz, che il “dottore” rifiuta. Durante la convivenza, il figlio è agitato dal contrasto stridente fra l’anziano che ride di Charlot assieme ai bambini della favela e lo scienziato sadico che i sopravvissuti e la Storia hanno raccontato (e che riemerge negli incubi del giovane). La coscienza di Herman è spaccata fra il dovere (storico, civile, morale) e il legame filiale. Tenta d’innestare il corso della giustizia, ma fallisce. Tutto ciò egli confessa all’avvocato ebreo nell’85. Un’intervista che racchiude il lungo flashback ed anche ricordi di Herman bambino e studente, boicottato per quel cognome infamante e impronunciabile. My Father è un bel dramma teso e complesso, che rivela quanto la vita del figlio di un tale criminale sia stata segnata pesantemente, come se anche la generazione innocente dovesse subire l’ereditarietà della colpa. MASSIMO MONTELEONE REGIA Con Genere Distr. Durata EGIDIO ERONICO Charlton Heston, Thomas Kretschmann Drammatico, Colore AB Film 100’ L’ereditarietà della colpa secondo Egidio Eronico. Con il criminale Charlton Heston Direttore di un albergo di lusso e braccio destro del boss Kang, Sunwoo è elegante, solo e senza scrupoli. Verrà incaricato dal capo di sorvegliare i movimenti della sua giovane amante, Heesoo, con il mandato di ucciderla se dovesse scoprirla con qualcuno. Ma quando preferirà risparmiarla, Sunwoo scatenerà le ire di Kang, il quale, tradito dall’uomo in cui riponeva maggior fiducia, deciderà di lasciarlo in balia dei suoi scagnozzi. Subirà le peggiori torture, Sunwoo, ma riuscirà a tener salva la vita. Per spenderla al servizio di una vendetta spietata. Gangster movie e noir si fondono nell’ultimo lavoro di Kim Ji-woon, regista conosciuto per Two Sisters. Presentato fuori concorso allo scorso festival di Cannes, Bittersweet Life trova nello stesso assunto che ha fatto le fortune del recente cinema coreano (ci riferiamo alla straordinaria “trilogia sulla vendetta” di Park Chan-wook) il nesso portante della sua struttura. Ma se a sorprendere, in Park, era prima di ogni cosa la capacità di amalgamare decostruzione narrativa, poetica visiva e violenza, qui il tutto sembra limitarsi a un più che soddisfacente esercizio di forma, lineare e senza grandi sussulti. Certo, “l’estetica dell’ultraviolenza” non ne risente, adagiata sulle superfici riflettenti di una Seul quanto mai affascinante, ma da qui al rapimento sensoriale c’è ancora tanta strada da affrontare. E non basta un finale soavemente onirico. VALERIO SAMMARCO REGIA Con Genere Distr. Durata KIM JI-WOON Byung-Hun, Min-A Shin Thriller, Colore Lucky Red 120’ Giugno 2006 RdC 63 iFilmDelMese LA CASA DEL DIAVOLO Ritorna la famiglia assassina di Rob Zombie: un horror pretenzioso Sequel del truculento con stile La casa dei 1000 corpi, Devil’s Rejects (per gli italiani La casa del diavolo: boh?) di Rob Zombie ritorna a inquadrare la famiglia Firefly: il clown Captain Spaulding (Sig Haig, sottratto alla pensione da Tarantino con Jackie Brown), Mother Firefly (Leslie Easterbrook, clone di Faye Dunaway) e i figli Otis (Bill “capello bisunto” Moseley) e Baby (Sheri Moon Zombie, moglie del regista e sogno erotico per gli altri). Come prima, più di prima, la sadica famigliola è impegnata a seviziare e assassinare chiunque capiti sotto mano, tanto da riempirne uno scantinato. Ma un bel giorno la casa degli orrori è circondata dagli uomini dello sceriffo REGIA Con Genere Distr. Durata IN SALA Wydell (William Forsythe): segue inevitabile conflitto a fuoco e fuga/caccia, con il decremento demografico del caso. Già design artist di riviste porno, editor di una collana per bambini, frontman del gruppo death-metal White Zombie, Rob Zombie aveva firmato un capitolo importante del genere horror con la prima Casa. Acquistata la seconda, attesta di essere un parvenu: si schermisce ROB ZOMBIE Sid Haig, William Forsythe Horror, Colore Eagle Pictures 101’ meta-cinematograficamente (il critico che blatera su Groucho Marx e la battuta “I miei standard sono talmente bassi che mi deludo difficilmente”), stoppa le immagini, si trastulla al montaggio e si compiace - ai danni del povero Cameron Crowe - di saper utilizzare le musiche, Lynyrd Skynyrd su tutti. In breve, fa le pentole ma non i coperchi. FEDERICO PONTIGGIA OCCUPATION: DREAMLAND Pubblico e privato di un plotone americano a Falluja. In una rigorosa testimonianza dal fronte Falluja, Iraq. Gennaio 2004. Una divisione dell’esercito americano occupa un’area abbandonata ai margini della città. Missione: mantenere l’ordine e prevenire l’insurrezione nel vicino centro abitato. Come un’ombra, la macchina da presa di Ian Olds e Garrett Scott tallona i soldati sul campo e nel privato. Se non fosse tutto terribilmente vero, potrebbe essere il seguito ideale di Jarhead: paure e illusioni sono le stesse del Golfo Persico. Alle immagini di donne e bambini terrorizzati durante le irruzioni notturne si alternano i disarmanti identikit di queste giovani reclute. Ragazzi con mogli a carico e burrascosi trascorsi scolastici, che nell’esercito hanno trovato il miraggio di un futuro possibile. La parola d’ordine diventa presto disillusione: quello che vedono è un groviglio di interessi economici e strategie di palazzo. La sensazione, dicono, è quella di essere abbandonati a se stessi: una goccia nell’oceano REGIA Genere Distr. Durata IAN OLDS, GARRETT SCOTT Documentario, Colore Fandango 79’ 64 RdC Giugno 2006 IN SALA incapace di rispondere all’esasperazione della gente. Il primo compito è convincerli che sono lì per portare la pace. Vecchi e bambini si aggrappano alla telecamera per interrogare il mondo: “E l’acqua, l’elettricità, la democrazia che ci avete promesso?”. Le domande si ripetono sotto le bombe. Il tempo passa. E mentre l’82ª divisione lascia il campo ai Marines, infuria la più violenta offensiva americana. Quando Falluja cade, nel maggio 2004, il bilancio è di 42 militari e oltre 1000 civili rimasti sul campo. DIEGO GIULIANI ANTONIO, GUERRIERO DI DIO Il Santo di Padova contro povertà e usura. Con lo sguardo intenso di Jordi Mollà IN USCITA Nell’Europa del Milleduecento era facile svegliarsi guerrieri. La famiglia spediva a conquistare terre, la Chiesa a difendere dottrine, i banditi a compiere malversazioni, tutti erano rivestiti di fervore e di corazze. Il sangue si versava facilmente; la vita aveva un valore diverso da quello che noi le attribuiamo. Ma la vita, agli occhi di Dio, era sacra allora come oggi. E se una guerra si doveva combattere, i santi capivano che necessaria era quella per insegnare l’amore di Dio, per tutelare gli ultimi, accogliere gli oppressi, perdonare i peccatori. Antonio, il Santo, combatte per Dio: UN BIOPIC NEL NOME DELLA FEDE NARRATO DA UN LADRO CONVERTITO con la parola, la lingua, il gesto, la volontà e la fede. Travolge, con il suo insaziabile desiderio di giustizia e Vangelo, lui, travolto, invece, dalla sofferenza, dalla debolezza. In un mondo sconquassato da eroismi e brutalità, da pietà nascoste e crudeltà manifeste, Antonio si prodiga, in poco meno di quarant’anni, a far conoscere Dio, la notizia più bella del mondo. Il film che Antonello Belluco, scrittore e regista, dedica al Santo, a Padova, ai fedeli, è pieno di questa fede, di gioia e di dolore, dei chiaroscuri dell’“età del ferro”. Scopriamo che la storia del “guerriero” è raccontata da un ladro convertito e frate a sua volta, il quale all’inizio e alla fine prega sulla sua tomba, prefigurando una devozione plurisecolare. Molti personaggi REGIA Con Genere Distr. Durata ANTONIO BELLUCO, SANDRO CECCA Jordi Mollà, Arnoldo Foà Biografico, Colore 01 Distribution 110’ s’incontrano e scontrano col Santo che proprio a Padova si scaglia contro la piaga dell’usura. Donne e uomini, bambini e sacerdoti, nessuno è indenne da quella parola che l’attore spagnolo Jordi Mollà assume e proietta con accento volutamente portoghese (terra d’origine d’Antonio) e balenare di occhi profondi. Il suo incontro con Francesco ad Assisi è viscerale e toccante; quello con Papa Gregorio IX, interpretato dal carismatico Arnoldo Foà, solenne e problematico. Alcune pittoresche intrusioni non lasciano il segno; non tanto quanto fa, invece, l’onnipresente musica di Pino Donaggio che “il guerriero” sarebbe certamente riuscito a moderare. LUCA PELLEGRINI Giugno 2006 RdC 65 iFilmDelMese POSEIDON Il remake di Petersen con Richard Dreyfuss supera il catastrofico originale IN SALA “Ogni pellicola con Ernest Borgnine può essere rifatta senza vergogna”. E’ una crudele massima che gira tra i critici Usa. Ora sappiamo uno dei motivi per cui Poseidon di Wolfgang Petersen può essere superiore rispetto all’originale L’avventura del Poseidon (1972) di Ronald Neame, primo successo del genere catastrofico inventato dal produttore Irwin Allen. Ernest Borgnine era una delle star che cercava di uscire da quel gigantesco transatlantico capovolto da un’onda mastodontica durante la notte di fine anno. Borgnine, poliziotto ossessionato dal passato da ex TRA I PUNTI FORTI, EFFETTI SPECIALI REALISTICI E FISICITA’ 66 RdC Giugno 2006 prostituta della moglie, scalava il Poseidon capovolto seguendo il prete visionario Gene Hackman. Ma questo non è più il catastrofico anni ’70 con “grandi distruzioni e grandi star” bensì un remake le cui star sono solo le “grandi distruzioni”. 160 milioni di dollari di budget per devastare l’interno della nave, creare esplosioni e allagamenti ma non pagare alti cachet. Nell’originale c’erano cinque Oscar per dieci protagonisti: Hackman, Borgnine, Red Buttons, Shelley Winters, Jack Albertson. Qui otto protagonisti e un solo attore Oscar: il redivivo Richard Dreyfuss, architetto gay con tendenze suicide. Accanto a lui Kurt Russell, ex pompiere che vuole spegnere i fuochi sessuali della figlia, lo scommettitore Josh Lucas e una serie di attori televisivi tra cui spicca Kevin Dillon, il REGIA Con Genere Distr. Durata WOLFGANG PETERSEN Kurt Russell, Richard Dreyfuss Drammatico, Colore Warner Bros. 97’ fratello “meno tutto” di Matt. Eppure il nuovo Poseidon è più bello dell’originale. Gli effetti speciali sono realistici. Petersen ha voluto poco computer e molta fisicità, tanto che il povero Josh Lucas ne è uscito con le ossa letteralmente rotte. La sceneggiatura di Mark Protosevich cerca l’essenziale (97 minuti rispetto ai 117 dell’originale). La regia di Petersen si esalta con l’essenziale. Il cineasta tedesco rende il massimo quando non vede il cielo come nel suo capolavoro U-Boot 96, tutto ambientato in un sommergibile tedesco. Dunque, “Legge Borgnine” ma non solo per il nuovo Poseidon. E comunque… sta arrivando il remake de Il mucchio selvaggio. Indovinate chi era uno degli attori? FRANCESCO ALÒ ANTEPRIMA THE SENTINEL Michael Douglas agente segreto in gran spolvero. Il risultato non è all’altezza ANTEPRIMA L’ISOLA DI FERRO Una città galleggiante come metafora dell’Iran. Poetico e paradossale L’agente dei servizi segreti Pete Garrison ne ha fatta di carriera. Dopo essersi beccato un po’ di pallottole destinate al presidente Ronald Reagan, vent’anni più tardi è capo della sorveglianza della First Lady. O meglio, la sua guardia del corpo a marcatura stretta: lo studio “orale” non è solo prerogativa maschile di clintoniana memoria, qui è la prima donna Kim Basinger a tradire il marito, che non può competere con un Michael Douglas in gran spolvero. Fin qui i vizi privati, ma le pubbliche virtù non mancano: Garrison e compagni sono completamente votati alla sicurezza di presidente e consorte. Controlli minuziosi, registrazioni video pervasive, pianificazioni puntigliose, perlustrazioni approfondite, bonifiche capillari: tutto perfetto, ma il problema è atavico, chi controlla i controllori? Una mela marcia si nasconde tra gli agenti e, verremo a sapere, da più di vent’anni lavora per il KGB, anche se nel frattempo l’organizzazione spionistica è andata in pensione con l’URSS… A imbruttire le acque il malanimo tra Garrison e il collega David Beckenridge (Kiefer Sutherland), grandi amici messi ko dalla presunta tresca tra Pete e la - ormai ex - moglie di David, mentre il sereno ha il volto di Eva Longoria, matricola ai servizi di David per esplicito consiglio dell’istruttore Pete. Insieme, ovvero individualmente, toccherà a loro scoprire di chi è la mano che trama nell’ombra, sperando che in manette non finisca un innocente, per esempio Pete. Film triangolare in varie ed eventuali accezioni, The Sentinel è scritto dallo sceneggiatore di Ocean’s Twelve George Nolfi e diretto da Clark Johnson – anche interprete – alla seconda regia cinematografica dopo S.W.A.T. Scelto per aprire il Taormina Film Festival, The Sentinel è ben girato ma non è bello, ha spunti interessanti ma una sceneggiatura in libera uscita, attori in forma per ruoli imbolsiti. In breve, delude, ma con un certo stile. Stile politico, quando con toni blasfemi nell’America post-11 settembre rivela, anzi suggerisce e basta (sic!), che il Male è interno e non out there, ovvero esotico, ovvero mediorientale; quando mostra un presidente a cui basterebbe negare il dono della parola per retrocederlo compiutamente nel regno animale, dalle parti dei cani o giù di lì; quando, infine, rileva come a Echelon non sfuggano nemmeno i suoi propugnatori. Altolà, chi va là? FEDERICO PONTIGGIA REGIA Con Genere Distr. Durata CLARK JOHNSON Michael Douglas, Kim Basinger Thriller, Colore 01 Distribution 108’ La Casa Bianca tra vizi privati e pubbliche virtù: chi controlla i controllori? Intelligente e raffinata metafora della moderna condizione dell’Iran, presentata lo scorso anno alla Quinzaine des Realisateurs di Cannes. Surreale fin dalle premesse, il film del giovane Mohammad Rasoulof sceglie come microcosmo simbolico quello di una petroliera in dismissione nelle acque del Golfo Persico. A bordo una vera e propria città: un popolo di sfollati e senza patria, che fra grandi e piccini si è organizzato per provvedere a istruzione, cibo e lavoro, proprio come in qualsiasi altro angolo di terra ferma. E come in qualsiasi angolo di terra ferma, in questo francobollo di Iran galleggiante si riproducono però le stesse dinamiche che governano tutto il paese. Il prezzo dell’apparente normalità è la cieca fede nel capitano Nemet, paterno dittatore che riecheggia il Nemo del Nautilus e trasforma la nave nell’Isola di ferro del titolo: una prigione dorata, in cui non tardano a manifestarsi tutti i meccanismi legati all’organizzazione sociale e alla convivenza forzata. Nemet dispensa consigli, amministra la comunità, dispone su vita e morte di tutti i suoi membri. Il tutto accompagnato da uno sguardo leggero e profondo, che si sofferma discreto sull’ordinaria poesia della quotidianità a bordo: dalle domande dei bambini, che interpellano il maestro chiedendogli se sono “nel mondo”, alla parabola del piccolo “pesce-bimbo”, così chiamato perché appartiene all’acqua e all’acqua dovrà tornare. DIEGO GIULIANI REGIA Con Genere Distr. Durata MOHAMMAD RASOULOF Ali Nasirian, Hossein Farzi-Zadeh Drammatico, Colore Lucky Red 85’ Giugno 2006 RdC 67 iFilmDelMese ILCODICE DAVINCI Verboso e troppo fedele all’originale. L’azione non salva l’adattamento di Ron Howard Scortato passo passo fino all’inaugurazione del festival di Cannes da misteri e polemiche, Il Codice Da Vinci annega nelle chiacchiere che lo hanno preceduto. Il libro, che raccontava di delitti e misteri sullo sfondo di intrighi politico-religiosi, era noto per la sua fantasiosa ricostruzione del passato. Il film non lo migliora in niente, seguendo pedissequamente la pagina scritta, inventandosi flashback storici che nella fattura ricordano quelli televisivi di Quark, propinandoci battute che destano in sala ilarità irrefrenabili (vedi Hanks che dice alla Tautou: “Allora vuol dire che tu sei la discendente di Gesù Cristo”). Verboso e pretenzioso nello REGIA Con Genere Distr. Durata IN SALA spiegare sommariamente ciò che viene annunciato come “la verità” (in questo senso, la mancanza di rispetto non sta tanto nel contraddire le versioni ufficiali, ma nel farlo “autoritariamente”, secondo il modo di Hollywood, senza lasciare al pensiero il tempo di elaborare), il film si presenta come una lunga ed estenuante caccia al tesoro, densa di quiz da Settimana enigmistica; anche se poi il ritmo RON HOWARD Tom Hanks, Audrey Tautou Thriller, Colore Sony Pictures 152’ dell’azione, senza un attimo di tregua, copre i difetti di credibilità, grazie all’efficacia e al mestiere di un regista come Howard. Il problema è che l’abilità della manipolazione fa sentire lo spettatore come l’ingenuo passante alle prese con il gioco delle tre carte: si è affascinati dal movimento delle mani, ma la sensazione predominante è quella di essere caduti in un imbroglio. LUCIANO BARISONE X-MEN: CONFLITTO FINALE Filosofia, etica e umorismo per teenager. Non manca niente all’ultimo capitolo della saga Marvel Difficile ragionare su un prodotto commerciale che usufruisce della classica leggerezza con cui l’americano medio mescola Einstein, etica, scazzottate e umorismo da action movie. Divertirsi sarebbe d’obbligo, ma se si mira in alto con presunti crucci filosofici, il risultato non può che essere deludente. X-Men 3 – La sfida finale, l’apocalisse, il giorno del giudizio. La novella da cui è tratto il film è l’atto conclusivo della saga a fumetti Marvel, dove di nuovo c’è che una sinistra casa farmaceutica ha scoperto un rimedio per eliminare il gene che differenzia il mutante dagli esseri umani. La questione più volte ribadita è: usufruire delle possibilità medico-sanitarie, farsi roccia in un nano-secondo, oppure rimanere normali, con tutti gli inconvenienti del caso (emarginazione sociale e isolamento psicologico)? Insomma, controllare il superpotere o REGIA Con Genere Distr. Durata BRETT RATNER Hugh Jackman, Halle Berry Action, Colore 20th Century Fox 104’ 68 RdC Giugno 2006 IN SALA farsi controllare da esso? Magneto e Charles Xavier la pensano in maniera opposta e con loro i relativi mutanti che hanno fatto una “scelta di campo”. Solo lo scontro finale deciderà le sorti del mondo. Ciò implica una proliferazione di personaggi e una parcellizzazione delle sequenze che introducono nuove e vecchie conoscenze. Ma è l’appiattimento della drammaturgia a farla da padrone per Brett Ratner, regista dell’improbabile Red Dragon: la fattura estetica è quella del cinema da teenager, gli attori fanno a gara per sentirsi uno più identico all’altro. DAVIDE TURRINI Ogni giorno film, prime visioni esclusive, lungometraggi e cortometraggi, scelti tra le migliori produzioni di tutto il mondo. Magazine, documentari, backstage e tutto ciò che ruota introno al cinema. È il canale che racconta tutti i più importanti festival italiani e internazionali. RaiSat Cinema World. Un viaggio intenso come il cinema. CANALE 322 - OK Telecomando Homevideo, musica, industria e letteratura: novità e bilanci dal cinema DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore BERSAGLIO MOBILE Quando eravamo pistoleri. Da Un detective a Il giustiziere sfida la città, ritorna in dvd il cinema con la canna che scotta Giugno 2006 RdC 71 telecomando DVD Inside Cinema Libri di Alessandro Scotti Keira Knightley da romanzo L’attrice fra balli e gossip, nella moderna rilettura di Orgoglio e pregiudizio. Frivola e leggera, come la borghesia inglese del XVIII secolo Inghilterra secolo XVIII. Nella rigida società britannica Jane Austen descrive dall’interno quella media borghesia di cui è parte, senza le pretese moralistiche dei suoi colleghi, semmai con una ironica consapevolezza delle tensioni esistenti fra spontaneità e convenzione, fra valori morali e ideali di status sociale. Fra le Regia Joe Wright Con Keira Knightley, ambizioni fondamentali c’è, inevitabilmente, il matrimonio, in Brenda Blethyn, Rosamund Pike, vista del quale ruotano balli, visite Donald Sutherland, di cortesia, gossip, shopping, Simon Woods speranze e timori di tutte le Genere famiglie. Questo il materiale grezzo Sentimentale che la vivace scrittrice tratta come Distr. Uip un microcosmo della vita nei suoi aspetti sociali. Scrive e riscrive le sue opere prima di darle alla Bravo il regista Joe Wright: riesce a mantenere vivacità e stile di personaggi e ambientazioni 72 RdC Giugno 2006 stampa; e questa è anche la genesi del suo secondo romanzo, Orgoglio e pregiudizio, pubblicato nel 1813, riscrittura di First Impressions, che l’editore si rifiutò di pubblicare. Di Pride and Prejudice la stessa Austen disse: “E’ un po’ troppo leggero, e luminoso, e frizzante: ha bisogno di ombra”. Ma proprio nella vivacità dello stile e dei personaggi, nell’azione corale sta la forza del romanzo, del resto molto apprezzato dal pubblico del tempo. Lo stesso tono è mantenuto nella versione cinematografica di Joe Wright, particolarmente aderente alla versione letteraria, dove la coralità di personaggi ben caratterizzati fa da collante fra smorfie e moine: bella e gentile d’animo Jane, affascinante Bingley, orgoglioso Darcy, galante Wickham, ciarliera e un po’ comica Mrs. Bennet, arguta Elizabeth. La signora Bennet ha cinque figlie da maritare: Elizabeth (detta Lizzie), Jane, Lydia, Mary, e Kitty. E’ l’inizio di balli e balletti di pretendenti che chiedono la mano di una e finiscono per impalmare un’altra, come nel caso di Mr. Collins, che propone il matrimonio a Lizzy ma metterà l’anello al dito della sua migliore amica, Charlotte, la quale non può lasciarsi sfuggire l’ultima occasione che la porrà al riparo da un triste zitellaggio. L’unica a non voler ballare è proprio Elizabeth; lei ha una visione più ampia della sua vita, libera dagli orgogli e i pregiudizi che invece, come una linfa, animano la società che le danza attorno. Affresco di un’epoca adatto ad amanti del ricamo e palati zuccherini. Colonne sonore Giugno 2006 RdC 73 telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore (Tele) visioni COWBOY BEPOP La prima volta di Malle Esordio in grande stile fra noir e dramma. Sulle note di Miles Davis, in Ascensore per il patibolo Regia Louis Malle Con Georges Poujouly, Maurice Ronet, Jeanne Moreau Genere Giallo Distr. Dolmen Louis Malle coniuga con misura machiavellica gli elementi del thriller con il dramma della passione. Il risultato che riesce a confezionare è un noir anni ’50 che divenne un classico. Ispirato al romanzo di Noël Calef, questo film d’esordio del regista di Arrivederci ragazzi è la storia di un amore sbagliato, quello per una donna sposata; l’unione degli amanti sarebbe impossibile a meno che non si ricorra al rimedio estremo, il delitto. Tutta la vicenda ruota intorno alla costruzione di un triangolo perfetto fra lo stesso Malle e i protagonisti Maurice Ronet e Jeanne Moreau. Il secondo si trasforma in assassino, pur di liberare l’amata Florence dal vincolo che la separa da lui. Al momento di lasciare l’appartamento, dopo il delitto, accade però l’imprevedibile: l’uomo rimane intrappolato in ascensore. Quando riesce a uscirne viene a conoscenza di altri due omicidi: dei teppisti hanno assassinato una coppia di turisti. Dulien viene accusato di un crimine che non ha commesso e a scagionarlo sarà proprio l’amante. Ma il destino non lascia scampo e per i due amanti scrive un finale ben diverso da quello agognato. L’intreccio è incalzante e la messinscena si regge su un sapiente gioco di atmosfere, il tutto armonizzato dalle note jazz di Miles Davis e da un sottotesto di spessore. Sullo sfondo la politica post-coloniale della Francia a cui tutti i protagonisti sono più o meno direttamente legati, Malle sembra col loro destino voler sottolineare un impietoso giudizio su guerra e colonialismo. Intreccio incalzante e messinscena reggono un efficacissimo gioco di atmosfere 74 RdC Giugno 2006 Riedizione integrale della serie cult di anime, andati per la prima volta in onda nel ‘98. In 4 dischi la versione restaurata dei 26 episodi televisivi, che hanno poi ispirato un film e due cicli di manga. Sofisticata ideazione di Shinichito Watanabe, Cowboy Bebop è fin dal titolo un tributo alla musica jazz, che tanta parte ha nella storia. Le puntate, non a caso chiamate sessions, ricostruiscono le scorribande nel sistema solare di un cacciatore di taglie e i suoi compagni. La grandissima cura nelle scenografie alterna ambientazioni futuristiche ad affascinanti ricostruzioni dal gusto retrò anni ’30. IL PIANETA DELLE SCIMMIE Sul finire degli anni ‘60 la suggestione dell’apocalisse nucleare si tinse di fantasociologia, ipotizzando la regressione dell’homo sapiens a schiavo delle scimmie. Sull’onda del film di Franklin J. Schaffner, una serie televisiva in 14 episodi nel ’74 ne ricalca liberamente la trama, ma con un impianto particolare: ad esclusione dell’episodio pilota, che costituisce l’antefatto, gli altri sono del tutto indipendenti fra di loro. Il 13° venne trasmesso dalle tv americane solo negli anni ’90. Il cofanetto raccoglie tutta la serie. Freschi di sala LA GUERRA DI MARIO Sottratto a una famiglia segnata dal disagio sociale, il piccolo Mario viene affidato a una coppia borghese e benestante. I due mondi che si incontrano generano incomprensione e malessere, e per il bambino la soluzione è il rifugio in un mondo fantastico. CACCIATORE DI TESTE Malessere sociale al centro dell’ultimo film di Costa-Gavras. Un affermato manager si trova improvvisamente disoccupato e con la famiglia a carico. Per trovare un nuovo impiego, escogita un diabolico piano: eliminare uno ad uno tutti i potenziali concorrenti. I SEGRETI DI BROKEBACK MOUNTAIN L’amore fra due cowboy sotto cappello e stivali da mandriano. Ang Lee racconta con pudore il dramma di Ennis Del Mar e Jack Twist nel contesto della provincia americana anni sessanta. La loro condizione è un marchio infamante e la passione sfocerà in tragedia. Vai col tango Vengo!, lo Shall We Dance? giapponese e non solo: il cinema a passo di danza La danza. Non come disciplina artistica, ma come espressione collettiva di emozioni e veicolo di significati culturali radicati. I ritmi dei gitani dell’Andalusia esaltano il dolore e la rabbia, abbacinanti come il bianco infuocato delle strade e dei muri inondati dalle note viscerali del flamenco. Alla macchina da presa c’è lo tzigano Tony Gatlif e il titolo del film è Vengo! Demone Flamenco. Nelle scuole di New York un gruppo di bambini si sfidano in gare di ballo sulle note di ritmi latinoamericani: nel documentario Siamo tutti in ballo, la regista Marilyn Agrelo indaga il potenziale della danza come collante sociale per ragazzini provenienti da aree metropolitane disagiate. Dagli USA al Giappone: un uomo di mezza età, una vita dedicata al lavoro, sembra che ormai non ci sia più niente che stuzzichi l’entusiasmo di Shohei Sugiyama... fino al giorno in cui conosce un’incantevole insegnante di danza: la donna e il ballo risveglieranno passioni insattese. Con Vuoi ballare? Masayuki Suo si guadagnò, nel ’77, il Japanese Academy Award. Vecchie glorie LA STANGATA La storia è quella del criminale navigato gabbato da un piccolo truffatore. Il primo è Doyle Lonnegan, re della mala della Chicago anni ’30, il secondo è Redford nei panni di un ambizioso delinquente che si allea all’imbroglione Paul Newman per vendicare l’assassinio di un compare. La squadra di Butch Cassidy mette a segno uno dei film più vivaci prodotti da Hollywood: fortunato melange di comicità e suspense abilmente accompagnata dal rag time di Scott Joplin. L’impresa fruttò nel ’73 ben sette premi Oscar, fra cui quello per il miglior film. Fra gli extra note di produzione e filmografie. SUSANNA TUTTA PANNA Commedia degli equivoci di chiara marca anni ‘50, il film di Steno esce con chicche da pasticceria, menù interattivi e animati. Susanna gestisce a Milano una pasticceria il cui fiore all’occhiello è una speciale torta alla panna. La ricetta si tramanda con gran segretezza di generazione in generazione per via femminile, Susanna ne è l’attuale depositaria. Innamorata e vessata da un fidanzato geloso, decide di passargli la ricetta come prova d’amore. Ma il pacco finisce fra quelli destinati alla vendita e solo dopo peripezie ed equivoci l’eredità di famiglia sarà di nuovo in salvo. JOHNNY BELINDA Nuova Scozia, anni ’40. Una giovane sordomuta subisce violenza carnale da parte di un marinaio. La ragazza rimane incinta e dà alla luce un figlio. Scopertolo, il padre cercherà di portarle via il bambino. Finora vittima passiva, lei non è però disposta a cedere: l’amore materno le dà la forza di lottare. La vicenda culmina nell’omicidio, ma l’assoluzione è vicina. Il melodramma di Jean Negulesco, che prende le mosse da una pièce teatrale di Elmer Harris, venne acconto nel ’48 con 11 nomination all’Oscar. Chi incassò la statuetta fu però Jane Wyman per la sua interpretazione della protagonista. Schizzi d’autore Il mistero di Picasso Arte e vita del pittore di Guernica Cronaca di un incontro felice: quello fra il cineasta Henri-Georges Clouzot e il genio della pittura Pablo Picasso. Due uomini e due modi diversi di esprimersi: la cinepresa esplora le fasi del processo creativo in tempo reale, duetta con il pennello del maestro in una chicca del cinema anni ’60. Montaggio, luci e musica sono al servizio della pittura come mezzo espressivo in grado di fare proprio il processo creativo. Il documentario è parte del film Notte e nebbia, inedito in Italia e vincitore a Cannes del Premio Speciale della Giuria. Giugno 2006 RdC 75 telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore UN ATTIMO, UNA VITA Un pilota automobilistico in crisi e una donna colpita da un male incurabile. L’incontro è un attimo, ma sufficiente a far scoppiare una passione profonda. Sydney Pollack cavalca il soggetto basandosi sull’impianto comunicativo con cui sviluppa intreccio e storia d’amore: il discorso diretto lascia il posto al non detto, alle allusioni, alla sottile tecnica dell’intuizione. Il raffinato esercizio dell’autore sui meccanismi verbali e non verbali ha la meglio sulla caratterizzazione dei personaggi e sulla tipologia della storia. Il dvd contiene brevi scene in versione originale inglese sottotitolate in italiano. Italia Calibro 9 Hollywood chiama, Cinecittà risponde. Con otto polizieschi d’autore Regia Giuseppe Colizzi Con Bud Spencer, Terence Hill Genere Western Distr. 01 Distribution Otto film polizieschi, tutti italiani e tutti prodotti nell’arco degli anni ‘60-‘70. Romolo Guerrieri firma, nel 1969, Un detective, storia di un commissario corrotto con finale indimenticabile. Corleone di Pasquale Squitieri (1978) si ispira alla vicenda di due amici le cui vite prendono strade diverse: uno diventa sindacalista dall’etica impeccabile, l’altro boss mafioso. E di mafia si parla anche in La legge violenta della squadra anticrimine (1976), come nel film di Domenico Paolella, Gardenia, il giustiziere della mala, dove un boss delle case da gioco rifiuta di entrare nel nuovo business della droga. Ira Furstenberg, William Berger ed Edwige Fenech nel film di Mario Bava 5 bambole per la luna d’agosto (1969). Frick Hangel, inventore di una nuova resina sintetica, viene invitato nella villa di un industriale, soltanto per carpirgli la preziosa formula finché una serie di omicidi insanguinerà la vacanza. Nel 1971 Lucio Fulci dirige Una lucertola con la pelle di donna: thriller con spunti psicoanalitici. Sergio Martino dirige invece nel ’75 il poliziesco a sfondo politico La polizia accusa, il servizio segreto uccide. E’ dello stesso anno anche Il giustiziere sfida la città, di Umberto Lenzi con Tomas Milian. Un’intera stagione del cinema nostrano con una lunga carrellata di tutti i suoi interpreti da Laura Antonelli a Franco Nero, da Florinda Bolkan a Adolfo Celi, passando per Giuliano Gemma, Michele Placido, Claudia Cardinale, Rosanna Fratello, Antonella Lualdi e Lino Capolicchio. STATI DI ALLUCINAZIONE Atipica rivisitazione del binomio scienziato-mostro, diretta dal regista visionario di Tommy. La vicenda è quella di un giovane psicofisiologo, ossessionato dall’idea di registrare i cambiamenti del proprio elettroencefalogramma mentre galleggia in una vasca di isolamento. Alle immersioni iniziali seguirà un’esperienza sciamanica in Messico e la contaminazione dell’originale esperimento con un concentrato di funghi allucinogeni. William Hurt (al debutto come attore) regredirà fino allo stato embrionale per essere salvato dalla moglie. Extra-Ordinari a cura di Marco Spagnoli OGNI COSA E’ ILLUMINATA Scene inedite e doppia lingua originale rendono ancora più esilarante la versione dvd, grazie alle sfumature che replicano il lavoro dello scrittore Jonathan Safran Foer. 76 RdC Giugno 2006 M, IL MOSTRO DI DUSSELDORF Doppia possibilità offerta dal dvd: vedere uno dei capolavori di Fritz Lang in versione originale e integrale, senza i tagli di alcune delle edizioni precedenti. L’AVVENTURA DEL POSEIDON Occasione imperdibile per rivedere l’originale del 1972 in contemporanea al remake di Wolfgang Petersen. Per la prima volta in inglese e con un lungo making of. Ringraziamo BINOVA Techno Logical Kitchens, CLASS EDITORE con Capital, Milano Finanza, Luna e Class CNBC, CAIRO EDITORE con Diva e Donna, FERRARELLE, MONDADORI con Panorama Travel, LUDOVICO MARTELLI con Proraso, INDESIT COMPANY con Scholtès, RADIO KISS KISS, che hanno scelto il Product Placement con Via Durini, 28 20122 Milano Tel. 02.776961 telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore ECONOMIA DEI MEDIA DI FRANCO MONTINI La guerra dei cloni Pochi film e sempre più simili. E’ il paradosso Italia: dove aumentano gli schermi e a contendersi le sale sono pochi grandi Per una curiosa combinazione del destino, nello stesso giorno, lo scorso 3 maggio, si sono verificati due piccoli eventi cinematografici, che da prospettive completamente opposte, testimoniano di un disagio. Il 3 maggio è stato messo in vendita in edicola H2Odio, un thriller inedito di Alex Infascelli, proposto al pubblico saltando il tradizionale passaggio su grande schermo. La stessa sera Gianluca Arcopinto ha ufficialmente e polemicamente annunciato la morte della Pablo, la più indipendente, coraggiosa e anomala casa di distribuzione del cinema italiano. Tutto ciò accade in un mercato che negli ultimi anni ha fatto registrare una 78 RdC Giugno 2006 significativa crescita nel ramo dell’esercizio. Il paradosso è evidente: la moltiplicazione degli schermi che avrebbe dovuto favorire una diversificazione dell’offerta, ha invece provocato un effetto esattamente contrario. “Nel 1998 - ha sottolineato Arcopinto - anche se a Roma c’erano un centinaio di schermi in meno, era ancora possibile trovare spazi per prodotti di nicchia e di qualità. Oggi questi spazi sono fortemente ristretti e anche l’asservimento è cresciuto con la complicità di tutti. Soltanto il calcio è più marcio del cinema e, come nel calcio, servirebbe uno Zeman che avesse il coraggio di dire le cose come stanno: viviamo in un paese in cui è inconcepibile fare un film senza passare per Rai e Mediaset. La situazione, sotto gli occhi di tutti, si è legittimata grazie al complice silenzio dell’intero mondo dello spettacolo. Produttori, esercenti, registi: pochissimi i nomi veramente indipendenti. Nessuno si è sottratto a questa logica e così facendo ha finito per avallarla”. Difficile dargli torto. La chiusura della Pablo e l’uscita in edicola di H2Odio sono risposte diverse al medesimo problema: in sala c’è sempre più spazio solo per pochissimi prodotti. Questa omogeneità di offerta, oltre a impoverire culturalmente il pubblico, è dannosa anche da un punto di vista economico. La mancata crescita di presenze in sala non dipenderà anche da questo? Solo un mercato libero da monopoli e oligopoli è destinato alla crescita. Nel cinema italiano sta accadendo il contrario e presto a soffrirne sarà l’intero mercato. Anzi, a ben guardare, il fenomeno si sta già verificando. Lo conferma una recente indagine realizzata dal periodico Box Office, che ha monitorato gli L’omologazione sta uccidendo il cinema. Prepariamoci a veder sparire sempre più operatori e case di distribuzione incassi di tutti i film distribuiti nelle sale italiane nelle ultime cinque stagioni. Dei 1983 titoli distribuiti dal 1° dicembre 2000 al 30 novembre 2005, ben 875, il 44,13%, hanno incassato meno di 100mila euro. Quasi la metà dei film non ha cioè coperto neppure il costo per il lancio e la stampa delle copie. Qualsiasi settore merceologico dove la metà del prodotto venisse rifiutata dai consumatori sarebbe destinato a rapida estinzione. Il cinema è un mercato molto particolare, dove è sufficiente il successo di un solo film per ripianare le perdite di molte produzioni e, tuttavia, la quantità di pellicole rifiutate dal pubblico appare francamente eccessiva. Inevitabile porsi qualche domanda: il flop di così tanti titoli dipende dal fatto che si distribuiscono troppi film? O dall’insufficiente “lanciamento” di troppe pellicole, a cui neppure le distribuzioni credono? O ancora la sala non è che una vetrina utilizzata per il successivo sfruttamento nel segmento tv, homevideo e quant’altro? Oppure, più semplicemente, il sistema cinematografico Italia, ingessato, illiberale, privo di normative antitrust, in grado di favorire lo sviluppo di una libera concorrenza, non funziona e non può funzionare? Cercare di rispondere a queste domande significherebbe cominciare ad individuare i problemi e, di conseguenza, a ipotizzare anche qualche risposta. In caso contrario prepariamoci alla sparizione di tante altre distribuzioni e case di produzione. Risolvere le contraddizioni ricorrendo a forme di consumo alternativo, come nel caso del film di Infascelli, non può essere la soluzione. L’esperimento H2Odio deve continuare ad essere, come appare sia stato, una scelta alternativa, non un ripiego obbligato per i film che non riescono a trovare visibilità sul grande schermo. CAST & CREW DI MARCO SPAGNOLI Previsioni di mercato Marco D’Andrea Distribuire con la palla di vetro. Trucchi e segreti del direttore commerciale La Uip è la joint venture distributiva di tre grandi major americane: Universal, Paramount e DreamWorks. Tra i suoi film, solo in questa stagione, titoli come Munich, Wallace & Gromit e Mission: Impossible. Direttore commerciale è Marco D’Andrea, uno dei professionisti più stimati dell’industria cinematografica italiana. In cosa consiste il lavoro del direttore commerciale? Insieme al direttore marketing e al direttore generale segue le strategie distributive occupandosi della parte commerciale, ovvero il rapporto con gli esercenti, la scelta delle date di uscita, il numero di copie. In più c’è la supervisione e il controllo dei punti vendita sul territorio italiano. Dove? A Roma e Milano abbiamo due uffici, mentre a Padova e a Bologna ci appoggiamo su due agenzie. Altre società, invece, hanno undici punti vendita in tutto il territorio nazionale. ISTRUZIONI PER L’USO Noi siamo convinti che da Roma non si possa seguire tutta l’Italia, mentre le altre major fanno ognuna in una maniera differente. Quali sono le difficoltà principali? L’avvento dei multiplex ci obbliga a una maggiore attenzione. Ci sono così tanti schermi che ad uscire con troppe copie si rischia di bruciare le potenzialità di un film. La difficoltà è poi scegliere la data di uscita e “Uscire con troppe copie brucia le potenzialità di un film” gestire il prodotto quando è in sala. In Italia viviamo in un mercato schizofrenico dove ci sono, forse, troppe uscite. Essere un cinefilo la aiuta nel lavoro? Assolutamente sì. Andare al cinema, avere a che fare con la gente è fondamentale per capire gusti e reazioni degli spettatori. Indirizzi e raccomandazioni, per provarci senza fare una brutta fine ISTRUZIONI D’AUTORE Altro che blockbuster! Gli ultimi due film visti da Marco D’Andrea al momento dell’intervista: Le particelle elementari di Oskar Roehler e il documentario Il grande Nord di Nicolas Vanier. SPERANZE AL BOTTEGHINO Dal 1° gennaio al 30 aprile 2006, il box office italiano è aumentato del 5% rispetto all’anno precedente. Circa dieci milioni di presenze in più, che confermano una timida ripresa. MADAGASCAR, CHE BINGO! Ricordate Madagascar, il film d’animazione con i quattro simpatici pinguini mafiosi? D’Andrea ne ha posizionata l’uscita a settembre. Incasso previsto dieci milioni di euro. Incasso ottenuto: ventidue. Giugno 2006 RdC 79 telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore di Francesco Bolzoni Nella fabbrica dei sogni Burton come Kafka Filosofia di un genio che non ha mai letto un libro Schermi sloveni a Gorizia. Block notes di uno spettatore Alberto Pesce, 1981-2000, Kinoatelje, Gorizia 2006 L’imperfezione della bellezza: Nora Gregor a cura di Igor Devetak Kinoatelje, Gorizia 2005 Tim Burton. Anatomia di un regista cult Marco Spagnoli Memori, Roma 2006 “Il cinema sloveno, 75 film in 35 anni per poco meno di due milioni di abitanti, comprese parecchie decine di migliaia inglobati all’estero, con l’Austria, con l’Italia, è meravigliosamente autonomo, non ghettizzato, è frutto di mediazione anche quando reca impronta d’autore. E’ servizio-filtro tra culture di diversa qualità struttura e spettatori, senza cercare il consumo facile”, così scriveva su questa rivista Alberto Pesce nel 1982. Pesce, critico cinematografico del Giornale di Brescia, dal 1981 al 2000 ha seguito la rassegna “Film video monitor” tanto da trarne un’esauriente informazione relativa al cinema e alla televisione in Schermi sloveni a Gorizia dove, oltre a film mai diffusi da noi, si parla anche di registi noti come Kusturica e Franco Giraldi (di origine goriziana) e di un’attrice recuperata dall’oblio, Nora Gregor. All’interprete di film di Dreyer e di Jean Renoir, attiva in Gemania e negli Stati Uniti, Igor Devetak dedica una bene informata biografia, un’analisi criticostorica illustrata da foto rarissime e ben riprodotte. E’ difficile, molto difficile, ricostruire un percorso umano e divistico quando i testimoni sono scomparsi; è relativamente facile ritrarre un artista del presente come Tim Burton come fa egregiamente Marco Spagnoli, che ha avuto occasione di intervistarlo più volte e di incontrare alcuni dei suoi collaboratori. Più che i singoli film (almeno quattro capolavori : il primo Batman, Ed Wood, Big Fish, La fabbrica di cioccolato e il delizioso La sposa cadavere) Spagnoli descrive, e bene, l’uomo Burton. Burton è un personaggio spiritoso, che ha scelto di vivere in Gran Bretagna dato che non apprezza Bush. Dice che i mostri del 2000 sono “i produttori esecutivi delle case di produzione. Ogni volta che li devo incontrare divento molto nervoso. E’ qualcosa che peggiora di anno in anno”. Sottolineiamo alcune delle sue affermazioni: “Il cinema è una forma dispendiosa di psicoterapia. […] La fantascienza e il fantastico mi hanno sempre parlato a un livello molto realistico. […] La forza del cinema sta tutta nell’analizzare i sogni offrendo a ciascuno spettatore aspetti diversi in cui riconoscersi maggiormente”. Sembra di ascoltare Kafka. E poi Burton dice di essere cresciuto senza avere mai letto un libro. Da non perdere a cura di Giorgia Priolo L’ARMATA BRANCALEONE A cura di Stefano Della Casa, Edizioni Lindau Associazione Philip Morris Progetto Cinema, € 25,00 In occasione del restauro del capolavoro di Mario Monicelli, curato da Giuseppe Rotunno e finanziato da Philip Morris Progetto Cinema, viene pubblicata in volume la sceneggiatura desunta di Age Scarpelli e Monicelli stesso. Con i suoi irresistibili dialoghi che mischiano latino maccheronico, italiano antico, espressioni desuete, dialettismi, anacoluti, sgrammaticature e bizzarri neologismi si legge d’un fiato come una travolgente e intramontabile novella comica. Impreziosiscono il volume molte illustrazioni a colori e diversi saggi delle migliori penne della critica cinematografica. 80 RdC Giugno 2006 CINEMA & GENERI 2006 A cura di Renato Venturelli, Editore Le Mani, € 12,00 Prosegue l’analisi nella storia e nell’attualità del cinema di genere. I saggi di quest’anno parlano di neo-peplum (dal Gladiatore ad Alexander passando per Troy e sfiorando con una critica illuminante La Passione di Cristo), della nuova commedia americana, del thriller (da The Village a Collateral) e del nuovo horror coreano. Non mancano interviste esclusive (Walter Hill, Stephen Chow, Shishido Jo) e approfondimenti monografici come il bel saggio su Chabrol e il “polar”. Come sempre il volume a cura di Venturelli offre una panoramica interessante sul cinema internazionale che riesce a coniugare risultati commerciali e qualità. AMO LA VITA Gérard Depardieu con Laurent Neumann, Sperling & Kupfer Editore, € 16,00 Che Gérard Depardieu ami la vita non è una novità: conosciamo la sua passione per donne, alcol, avventure, sappiamo che è a suo agio con il registro comico e quello drammatico. Uno dei più grandi interpreti della storia del cinema, artista puro in bilico tra genio e sregolatezza, in questo bel libro Depardieu si mette a nudo e mette in scena se stesso. Senza pudori racconta, da La capra di Veber a 36, Quai des Orfevres di Olivier Marchal, tutti i film, i registi e le bellissime attrici che hanno segnato la sua carriera. Perché, dice lui: “Facendo cinema io non lavoro… io vivo!” PAPA WOJTYLA E LA “NUOVA” CULTURA MASSMEDIALE Nazareno Taddei, Edizioni EDAV, € 25,00 Il concetto di “nuova” cultura lanciato da Papa Wojtyla con l’enciclica Redemptoris Missio sostiene l’impianto del nuovo libro del gesuita padre Taddei, docente universitario e studioso di cinema. Sulle orme della sua celebre lettura strutturale, approccia criticamente i media per rintracciare le cause del disagio sociale e proporre possibili soluzioni. Per Taddei, recentemente premiato per il suo impegno dall’Ente dello Spettacolo, il contemporaneo scenario mass-mediale richiede nuove tecniche comunicative, di cui fornisce una trattazione chiara e approfondita. Giugno 2006 RdC 81 telecomando DVD Inside Cinema Libri Colonne sonore di Ermanno Comuzio Visto da vicino INSIDE MAN Regia Spike Lee Musica Terence Blanchard In un film pieno di doppi fondi, musica a fondi quadrupli. Voglio dire: Terence Blanchard, il veterano della “black music” e compositore fisso di Spike Lee dal 1991, sa rendere flou l’atmosfera del racconto, un cocktail sfaccettato tra una (presunta) rapina in banca attuata nel presente, una indagine intercalata ai fatti attuali ma svolgentesi nel futuro, e i fantasmi del passato, invano “rimossi”. Abbiamo così, nella colonna sonora, un rock duro, addirittura urlato, per i momenti d’azione, con accordi aspri e perentori, ma anche – nelle pieghe della narrazione, quando entrano in campo le ambiguità del presidente della banca “rapinata” e la potente mediatrice senza scrupoli tra le forze in campo – suoni oscuri e “morbidi”. E impasti dissonanti di ottoni, sempre nelle tinte basse, tali da avvolgere la vicenda in una definizione desolata, cui ci si deve arrendere infine con la più grande amarezza (non tanto e non solo per quanto è accaduto in passato – i crimini di guerra – ma per la corruzione del presente). Meglio, allora, i “rapinatori”, visti coma una specie di vendicatori e, a loro modo, idealisti: ed è proprio la musica a definirne l’essenza segreta con dolorose perorazioni e, a volte, circondandoli di una solennità che arriva a sembrare una aureola sonora quasi mistica. L’efficace mix di rock duro e ottoni esalta le atmosfere del racconto Per tutti i gusti Senza senso LA FAMIGLIA OMICIDI IL REGISTA DI MATRIMONI Riccardo Giugni, dopo L’ ora di religione e Buongiorno notte è ora alle prese con l’ultimo Bellocchio. Anche con composizioni originali, ma per lo più dandoci dentro con le citazioni: opera lirica, classica, melodie popolari, canzoni del passato, contemporanei vari. Anche questo, eccome, vuol dire essere buon musicista per il cinema. 82 RdC Giugno 2006 LA VITA SEGRETA DELLE PAROLE Non è detto che quando non è indicato il nome del musicista manchi la musica. Qui c’ è, soprattutto “realistica”, ma anche quella che lega momenti della vita della piattaforma petrolifera e quella di commento. Poi ci sono le parole, che la protagonista (sorda) non sente, ma che hanno una loro, intensa, vita segreta. MATER NATURA Lino Cannavacciuolo è violinista, sperimentatore e arrangiatore per risultati musicali e teatrali di Beppe Barra, Pino Daniele e molti altri. Le musiche di Mater Natura, pur non essendo state composte per il film, funzionano perché sono in tono: siparietti comici ma con qualche momento di commozione verace. Regia Niall Johnson Musica Dickon Hinchliffe Usare il fagotto per sottolineare il personaggio soavemente assassino di Maggie Smith è un po’ troppo facile. Dickon Hinchliffe, dei Tindersticks, non appare un campione di originalità. Gariboldi & Associati Uno spot è pubblicità. Uno spot al cinema è spettacolo. Il cinema ha qualcosa in meno della televisione. Il telecomando. Perché l’unico programma è il grande spettacolo. Opus lo sa bene, in quanto concessionaria di spazi pubblicitari leader in Italia rappresentando oltre un terzo del mercato sia per numero di spettatori che di schermi (quasi 700 certificati Cinetel). In queste sale la pubblicità dà spettacolo sia dentro il grande schermo, sia fuori. Cinedomination permette di integrare la comunicazione tradizionale con soluzioni inedite e coinvolgenti: maxi affissioni, allestimenti ad alta visibilità, personalizzazione dei biglietti, serate di anteprima riservate e tanto altro. Se anche voi siete tra i 27 milioni di persone che ogni anno entrano nelle nostre sale, preparatevi a farvi stupire.