Scarica PDF - Cinematografo

Transcription

Scarica PDF - Cinematografo
R I V I STA
D E L C I N E M ATO G R A FO
WWW.CINEMATOGRAFO.IT
GIUGNO 2006
N. 6 € 3,50
I NUOVI
VOLTI DEL
TERRORE
Demi Moore in Half Light e Al Gore
in An Inconvenient Truth
Fa più paura la fiction o la verità?
Speciale horror e un’anteprima
molto attesa
>ESCLUSIVO
TERZANI RACCONTA
"Un film per ricordare
mio padre"
JAMES BOND
LA RIVOLUZIONE
Duro e cattivo in
Casino Royale
+I favolosi anni '80
+Meryl Streep+Alex Infascelli+Wes Craven
Poste Italiane SpA - Sped. in
Abb. Post. - D.L. 353/2003
(conv. in L. 27.02.2004, n° 46),
art. 1, comma 1, DCB Milano
Tr e s o r e l l e ,
un unico
segreto.
SINTRA
L’enfeR
www.01distribution.it
DAL 9 GIUGNO AL CINEMA
PUNTI DI VISTA
Italiani in trasferta
FOTO: PIETRO COCCIA
G
Giuseppe Piccioni
e Barbora Bobulova
sommersi dalla
folla a Tokyo
rande festa a Tokyo per il cinema tricolore. La bestia nel cuore,
I giorni dell’abbandono, La febbre e La seconda notte di nozze sono
alcuni dei titoli presentati alla sesta edizione del festival del cinema
italiano organizzato da Aip-Filmitalia con l’editore nipponico
Asahi Shimbun, l’Ambasciata Italiana e l’Istituto Italiano di Cultura.
Barbora Bobulova, Giuseppe Piccioni e Marco Tullio Giordana hanno
accompagnato un evento che nel giro di pochi anni è diventato
fondamentale per la promozione della nostra industria cinematografica
nel Sol Levante e più in generale nell’Estremo Oriente. E le lunghe file di
pubblico e buyers alle proiezioni fanno ben sperare.
Ma il nostro cinema deve anche piangere un amico che ci ha lasciati.
A soli 62 anni è morto il regista Andrea Frazzi. Nato a Firenze nel 1944,
nel ‘72 aveva debuttato con il gemello Antonio come regista teatrale. Tre
anni dopo iniziava la loro collaborazione con la Rai, per cui hanno
realizzato diverse fiction, quali La storia spezzata, Due madri per Rocco e
Don Milani - Il priore di Barbiana. L’ultima, Giovanni Falcone con
Massimo Dapporto, è ancora in lavorazione.
Per il cinema i Frazzi hanno diretto due lungometraggi: Il cielo cade (2000) e Certi bambini (2004),
vincitore di due David di Donatello. E piange il cuore a pensare che proprio l’anno scorso Andrea e
Antonio Frazzi avevano partecipato, insieme al cardinale Achille Silvestrini, alla tavola rotonda “Nel
nome di Dio e dello Stato” organizzata dalla Rivista del Cinematografo sul tema del martirio laico e
cristiano. Sulla RdC diamo inoltre il benvenuto a Morando Morandini, che dallo scorso numero ci
regala “pillole” di saggezza cinefila, e salutiamo con soddisfazione il ritorno di Enrico Magrelli.
Accanto alla Rivista, l’Ente dello Spettacolo prosegue il proprio impegno editoriale. La nuova
pubblicazione Primissimo piano raccoglie le interviste di Mario Dal Bello a cinquantadue attrici,
attori e registi, italiani e stranieri. Passaggi veloci, impressioni soggettive e confronti a distanza per
ricomprendere tratti, emblemi e riflessi della società contemporanea, che la settima arte ha segnato e
continua a segnare.
Infine, facciamo gli auguri a Francesco Rutelli, neo-ministro dei Beni e delle Attività Culturali, con la
speranza che possa contribuire da subito al rilancio del nostro cinema.
rC
d
CINEMA - TELEVISIONE - RADIO
TEATRO - INFORMAZIONE
Nuova Serie - Anno 76 Numero 6
Giugno 2006
In copertina Demi Moore in Half Light
Direttore Responsabile
Dario Edoardo Viganò
Caporedattore
Marina Sanna
Progetto grafico e Art Director
Alessandro Palmieri
Hanno collaborato
a questo numero
Andrea Agostini, Paolo Aleotti,
Francesco Alò, Luciano Barisone,
Francesco Bolzoni, Pietro Coccia,
Ermanno Comuzio, Silvio Danese, Rosa
Esposito, Cesare Frioni, Marcello
Giannotti, Diego Giuliani, Giada Gristina,
Leonardo Jattarelli, Lara Loreti, Enrico
Magrelli, Massimo Monteleone, Franco
Montini, Morando Morandini, Roberto
Nepoti, Luca Pallanch, Peter Parker,
Luca Pellegrini, Federico Pontiggia,
Giorgia Priolo, Angela Prudenzi, Valerio
Sammarco, Alessandro Scotti, Marco
Spagnoli, Davide Turrini, Chiara Ugolini
Proprieta’ ed Editore
Ente dello Spettacolo
Direzione e amministrazione
Via G. Palombini, 6 - 00165 Roma
Tel.(06) 663.74.55 - 663.75.14
fax (06) 663.73.21
Registrazione al Trib. di Roma
N. 380 del 25 luglio 1986
Iscrizione al ROC N 2118 Del 26/9/01
Pubblicita’ e sviluppo
Eureka! S.r.l. - Franco Conta
335.5428.710
e-mail: franco@eurekamail.it
e-mail: info@eurekamail.it
Fax: 02.45497366
Servizio cortesia abbonamenti
Direct Channel S.r.l. – Milano
Tel. 02-252007.200
fax 02-252007.333
Lun-Ven 9/12,30 – 14/17,30
e-mail: abbonamenti@directchannel.it
Stampa
Società Tipografica Romana S.r.l.
Via Carpi 19 - 00040 Pomezia (RM)
Finita di stampare il 29 Maggio 2006
Distributore esclusivo
A. & G. Marco S.p.A.
Via Fortezza, 27 - 20126 Milano
Associata A.D.N.
Abbonamento per l'Italia
(10 numeri) 35,00 euro
Abbonamento per l'estero
(10 numeri) euro 110,00
Copia arretrata euro 5,00
Associato all'USPI
Unione Stampa
Periodica Italiana
Iniziativa realizzata
con il contributo
della Direzione
Generale Cinema –
Ministero per i Beni
e le Attività Culturali
Giugno 2006 RdC 3
CUOREDI
Il verdetto della giuria stravolge i pronostici
dell’ultima ora e premia Ken Loach. Con il
presidente Wong Kar-wai che, a sorpresa,
punta sulla riconciliazione di un mondo diviso
DI MARINA SANNA FOTO DI PIETRO COCCIA
Wong Kar-wai.
In basso Ken Loach
I
verdetti delle giurie sono più o meno
prevedibili, soprattutto in chiusura di un
festival. Cannes rappresenta l’eccezione,
impossibile capire che cosa succederà fino al
momento della premiazione. Nessuna
indiscrezione, nessuna pressione esterna,
assoluta indipendenza e libertà di giudizio. La
prova l’abbiamo sotto gli occhi anche
quest’anno: Ken Loach ha vinto la Palma
d’Oro stravolgendo ogni pronostico. Il suo
bel film sulla guerra di indipendenza
irlandese, The Wind That Shakes the Barley,
ha commosso i giurati all’unanimità, come ha
sottolineato il presidente Wong Kar-wai. E
sebbene proiettato all’inizio del concorso,
appena il secondo giorno del festival, non ha
avuto rivali. La notizia ha preso alla sprovvista
la stampa specializzata, negli ultimi giorni il
toto palmarès dava come favoriti Marie
Antoinette di Sofia Coppola, del tutto
ignorata (peccato) e in larga maggioranza non
compresa dalla critica, il corale Babel di
Alejandro Gonzalez Iñarritu (premio alla
regia e se si pensa che l’anno scorso l’ha vinto
Michael Haneke con Caché fa un po’
impressione) e più di tutti Volver di Pedro
Almodóvar. E’ stato toccante vedere il regista
spagnolo riuscire appena ad applaudire le sue
attrici vittoriose per l’interpretazione
femminile, perché in quel momento
realizzava che non avrebbe avuto, neanche
questa volta, la Palma d’Oro. Poi emozionato,
quasi sorridente per il discorso pieno di
sentimento di tutte le sue donne ma in
particolare di Penelope Cruz (“Pedro ti amo,
sei un uomo meraviglioso, hai cambiato la
4 RdC Giugno 2006
mia vita”) è salito faticosamente sul
palco per ritirare il premio alla
sceneggiatura e se ne è andato senza
ringraziare la giuria. E’ vero, Almodóvar
avrebbe meritato il massimo riconoscimento,
ma il film di Ken Loach sconquassa dal di
dentro, il passato diventa chiave di lettura
del presente, la guerra fratricida irlandese
emblema di tutte le guerre. Con
un’ottima prova d’attore: Cillian
Murphy diretto da Loach fa un balzo
avanti rispetto alla performance in Red
Eye di Wes Craven. Altra sorpresa, il
Gran Premio a Flandres di Bruno
Dumont, amato e odiato con la stessa
intensità da critici e giornalisti, più
CANNES 59
PALMA
TUTTI I PREMI
CONCORSO
Palma d’Oro al miglior film
The Wind That Shakes the Barley
di Ken Loach
Gran Premio della Giuria
Flandres di Bruno Dumont
Premio per la regia
Babel di Alejandro Gonzalez
Iñarritu
Premio della Giuria
Red Road di Andrea Arnold
Migliore interpretazione maschile
Cast di Indigènes di Rachid
Bouchareb
Migliore interpretazione femminile
Cast di Volver di Pedro Almodóvar
Migliore sceneggiatura
Volver di Pedro Almodóvar
Cortometraggi in concorso
Palma d’Oro Sniffer
di Bobbie Peers
Gran Premio Primera Nieve
di Pablo Aguero
UN CERTAIN REGARD
Miglior film Luxury Car
di Wang Chao
Premio Speciale della Giuria
10 canoe di Rolf De Heer
Migliore attrice Dorothea Petre per
Comment j’ai fêté la fin du monde
di Catalin Mitulescu
Miglior attore Don Angel Tavina per
El violin di Francisco Vargas
Premio Presidente della Giuria
Meurtrières di Patrick Grandperret
SEMAINE DE LA CRITIQUE
Les amitiés maléfiques
di Emmanuel Bourdieu
Miglior cortometraggio
Printed Rainbow di Gitanjali Rao
CAMERA D’OR
A l’Est de Bucarest
di Corneliu Porumboiu
The Wind That Shakes
the Barley. Accanto Bruno
Dumont, sopra una scena di
Indigènes e Flandres, e
Pedro Almodóvar
scioccante di un documentario e lontano
anni luce da The Wind That Shakes the Barley.
Anche qui c’è una guerra, più vicina e in un
luogo imprecisato (sembrerebbe
l’Afghanistan), e le immagini di sevizie, stupri
e massacri sono durissime. Un vero horror,
era dai tempi di Full Metal Jacket, a cui
Dumont fa esplicito riferimento, che non si
vedeva nulla di simile. Meno sorprendente
ma comunque non previsto anche l’altro
riconoscimento collettivo al cast maschile di
Indigènes del franco-algerino Rachid
Bouchareb, un’opera che pur non avendo
particolari meriti artistici svela la storia di
130 mila nordafricani che durante la seconda
guerra mondiale lasciarono le loro case per
combattere i nazisti e morirono quasi tutti.
Di fatto era impossibile ignorare che i tre
quarti dei film in competizione e non (una
buona selezione con opere discrete e picchi
alti tant’è che sono rimasti fuori Kaurismaki,
Sofia Coppola, il turco Ceylan e gli italiani)
raccontassero disgrazie di ogni genere,
torture, solitudini, barriere linguistiche,
culturali, divisioni religiose, discriminazioni
razziali, fanatismo, terrorismo. Questa presa
di coscienza deve avere influito pesantemente
e a ragione sulle decisioni della giuria,
capitanata da Wong Kar-wai, e spiega anche
il premio all’esordiente Andrea Arnold (Red
Road, qui non si parla di guerra ma ancora di
violenza e disperazione). Così il regista di In
PREMIO FIPRESCI
Iklimler di Nuri Bilge Ceylan
PREMIO GIURIA ECUMENICA
Babel di Alejandro Gonzalez
Iñarritu
the Mood for Love e 2046, il grande esteta,
l’autore calligrafico, che ama le donne, le
scarpe e Almodóvar (per cui ha speso parole
di apprezzamento mentre annunciava il
premio alle attrici di Volver), ha esortato i
suoi colleghi a scegliere con il
cuore, a cercare nei film la
solidarietà e la
compassione per i popoli
e gli individui. Un solo
rammarico a margine di
questa edizione: perché il
bellissimo film di
Marco Bellocchio, Il
regista di matrimoni, non
era in concorso?
%
sommario
Primo piano
14 Al Gore denuncia
In un documentario la
Scomoda verità dell’ex
vicepresidente Usa:
“Abbiamo distrutto il clima,
adesso pagheremo”
(Angela Prudenzi)
Servizi
4 Cannes 59
Vincitori e vinti
(Marina Sanna)
16 Terzani regista
Il figlio del celebre Tiziano in
anteprima su Twilight Men.
Tra i santoni dell’Himalaya,
per ricordare il padre
(Lara Loreti)
20 Nel nome di Fleming
James Bond torna alle
origini: duro e spietato, come
lo voleva il suo ideatore
(Giada Gristina)
24 Ottanta nostalgia
Rampantismo, tele-valori,
apologia del fitness: ecco il
decennio che sta facendo
impazzire il cinema
(Silvio Danese, Rosa
Esposito, Diego Giuliani,
Federico Pontiggia)
54 Meryl Streep
A tu per tu con la mattatrice
di Radio America
(Diego Giuliani)
Speciale
31 Horror ieri e oggi
Dai mostri romantici e
tormentati al trionfo dei
serial killer. Radiografia di un
genere in mutamento, fra
Italia e resto del mondo. Con
schede, interviste e
generazioni a confronto
(Hanno collaborato:
Francesco Alò, Massimo
Monteleone, Roberto Nepoti,
Luca Pallanch, Federico
Pontiggia, Angela Prudenzi,
Marco Spagnoli. A cura di
Marina Sanna)
6 RdC Giugno 2006
40
Il remake
Omen 666
Numero 6 >Giugno 2006
FOTO: PIETRO COCCIA
56
58
59
59
60
60
62
63
63
64
64
65
66
67
67
68
68
I film
Volver
10 canoe
L’enfer
Cappuccetto rosso e gli
insoliti sospetti
Imagine Me & You
Crossing the Bridge
Anche libero va bene
My Father
Bittersweet Life
Occupation: Dreamland
La casa del diavolo
Antonio, guerriero di Dio
Poseidon
The Sentinel
L’isola di ferro
Il Codice Da Vinci
X-Men 3
(Francesco Alò, Luciano
Barisone, Diego Giuliani,
Leonardo Jattarelli, Enrico
Magrelli, Massimo
Monteleone, Franco Montini,
Luca Pellegrini, Federico
Pontiggia, Angela Prudenzi,
Valerio Sammarco, Marco
Spagnoli, Davide Turrini)
20 Daniel Craig in Casino Royale: è lui il nuovo James Bond
Le rubriche
8 Tutto di tutto
News, festival, protagonisti e
fornelli
(Andrea Agostini, Marcello
Giannotti, Diego Giuliani,
Massimo Monteleone,
Morando Morandini, Peter
Parker, Chiara Ugolini)
72 Dvd & Extra-Ordinari
Orgoglio, pregiudizio e
pistole
(Alessandro Scotti, Marco
Spagnoli)
78 Inside Cinema
Lo strapotere dei grandi
(Franco Montini, Marco
Spagnoli)
80 Libri
Da Tim Burton a Depardieu
(Francesco Bolzoni, Giorgia
Priolo)
82 Colonne sonore
Inside Man e gli altri
(Ermanno Comuzio)
26 L’estate del mio primo bacio di Carlo Virzì
14 Al Gore paladino del clima in An Inconvenient Truth
16 Twilight Men di Terzani jr.
54 Meryl Streep nel film di Altman
Giugno 2006 RdC 7
TuttoDiTutto
Ultimissime in pillole dal pianeta cinema: tendenze, news, divi e fornelli
A cura di Diego Giuliani
chi fa cosa di Andrea Agostini
FOXX CI PRENDE GUSTO
Jamie Foxx non molla il distintivo. In attesa
del Miami Vice di Michael Mann con Colin
Farrell, l’attore interpreterà un agente
dell’Fbi nel thriller The Kingdom. Per Peter
Berg, regista di Cose molto cattive, Foxx
affiancherà Chris Cooper in un team di 007,
inviati in Medio Oriente per investigare sui
retroscena di un attentato terroristico a una
squadra di lavoratori occidentali. Nel cast,
tutto al maschile, spicca la presenza dell’ex
Alias Jennifer Garner.
8 RdC Giugno 2006
007 TRADISCI E
AMMAZZA
Illusioni d’amore per
Catherine Zeta-Jones.
Secondo quanto scrive
l’Hollywood Reporter, l’attrice
potrebbe affiancare Guy
Pearce in Death Defying Acts,
biografia del famoso
illusionista e prestigiatore
Harry Houdini. Il film ne
racconterà ascesa e relazione
con una medium esotica (la
Zeta-Jones) che cerca di
metterlo in contatto con la
madre morta. Il film sarà
diretto da Gillian Armstrong
(Piccole donne) e girato in
Inghilterra alla fine
dell’estate.
ADDIO ALLA DONNA
GATTO
Halle Berry rende
(finalmente) giustizia
all’Oscar. Premiata per
l’interpretazione in Monster’s
Ball, dopo la vittoria ha
dimostrato uno scarso fiuto
nella scelta dei ruoli: da
Gothika al flop di Catwoman,
nessun film le ha dato modo
di valorizzare le sue doti
drammatiche. Ora è in cerca
di un nuovo rilancio e per
farlo ha scelto partner fidati e
pluripremiati. Affiancata
dall’Oscar Benicio Del Toro,
l’attrice interpreterà il
dramma Things We Lost in
Fire, prodotto dal regista di
American Beauty Sam
Mendes. Nella storia sarà una
vedova che ospita nella
propria casa il migliore amico
del marito defunto.
Nonostante i suoi gravi
problemi, l’uomo riuscirà a
farsi ben volere, aiutando la
famiglia a superare il lutto.
Appuntamento fisso con un ammiratore mascherato. Che si confessa alla Kidman, per parlarle di sé, del cinema e del mondo
STREGATA DAL MAGO
HOUDINI
SulletraccediNicole
Pierce Brosnan marito
fedifrago. L’attore ha sepolto
il coraggioso 007 per vestire i
panni di un viscido traditore.
Nel dramma Marriage,
ambientato negli anni ’40,
interpreterà il ruolo di un
marito che, tradita la moglie,
per risparmiarle il trauma
della separazione, pensa bene
di ucciderla. Con lui un cast di
lusso: il premio Oscar Chris
Cooper (Il ladro di orchidee)
affiancherà la bravissima
Patricia Clarkson (Good Night,
and Good Luck) e la giovane
Rachel McAdams (Red Eye).
Le riprese inizieranno a luglio.
Contento e malmenato
Non è bastato farmi picchiare. Ma un giorno sarò degno di te
Nicole, mia distante Nicole,
ho ripreso in mano la tua
preziosa agendina. Alla “J”
ho trovato Jodie Foster. In due minuti,
dopo essermi presentato a tuo nome,
ero nella sua villa. Mi ha chiesto se
avevo visto tutti i suoi film: io,
scioccamente, ho annuito e lei ha
preteso che glieli citassi uno ad uno. Per
ogni errore mi arrivava una sberla dalla
guardia del corpo, un tale Tobias. “Lo
faccio perché devi migliorare”, mi
spiegava amabilmente Jodie. Poi le ho
detto che in Inside Man è stata
grandiosa. Contenta del complimento,
mi ha pregato di recitarle tutta la sua
parte. Non ricordavo che qualche
stralcio e Tobias si è divertito ancora di
più: sberle, calci, spintoni. Il tutto con
una certa gentilezza e professionalità.
“Devi diventare un bravo professionista,
è il metodo che uso con le persone cui
voglio bene”, mi ha detto Jodie. Sfinito,
le ho chiesto se potevo ritirarmi a
dormire. A quella parola ha cominciato a
urlare come un’indemoniata, mi ha detto
che lei non riposa dal 23 gennaio 2001
quando si appisolò per sette minuti
durante il montaggio di Panic Room.
“Non è dormendo che si fa il bene del
cinema. Bisogna lavorare e lavorare,
questo è il nostro destino”, ha
sussurrato mentre scriveva su una
lavagnetta il numero di sberle che
Tobias avrebbe dovuto darmi. Per 32
ore di seguito, senza acqua, cibo,
sigarette, mi ha raccontato tutti i
dettagli della lavorazione del Silenzio
degli innocenti, insistendo che lo
faceva solo perché io potessi essere
degno di starti vicino. Alla fine credo di
essere svenuto. Mi sono ritrovato fuori
dal cancello, con Tobias che mi caricava
su un taxi. “Torni presto a trovarci, sarà
il benvenuto, signor Parker”, mi ha
detto il gorilla. Mi manchi, Nicole, mi
manchi davvero moltissimo.
Tuo Peter Parker
Dal gorilla di Jodie Foster ho
capito come conquistarti
Giugno 2006 RdC 9
TuttoDiTutto
I protagonisti
di Marcello Giannotti
IL GRANDE SCHERMO A TU PER TU. OVVERO: FINTA INTERVISTA
A PERSONAGGI REALMENTE ESISTITI. AL CINEMA
IL PERSONAGGIO Sozzo (Un uomo da marciapiede di John Schlesinger)
Joe Buck (Jon Voight) ex lavapiatti, lascia
il Texas in cerca di fortuna a New York.
Vestito da cowboy e sicuro di poter riuscire
ad arricchirsi come gigolò, colleziona
soltanto una serie di delusioni. L’incontro con
“Rizzo” detto “Sozzo” (Dustin Hoffman),
tisico, sporco, poveraccio ladruncolo senza
fortuna, gli fa capire definitivamente quanto
sia dura la vita di un emarginato nella grande
metropoli dell’opulenza. Joe decide di aiutare
l’amico a realizzare il sogno di andare a
vivere in Florida: il viaggio in pullman verso
Miami sarà l’ultimo per Rizzo che morirà a
fianco del cowboy. Film culto degli anni ’70,
diretto dall’inglese John Schlesinger, tratto
da un romanzo di James Leo Herlihy, vinse
tre Oscar: miglior film, regia e sceneggiatura.
A trascinarne la fortuna anche la colonna
sonora con la canzone Everybody’s Talkin’ di
Fred Neil, cantata da Harry Nilsson. Tutto
potevo aspettarmi nella mia carriera ma non
di incontrare lui. E proprio qui, a Miami. In
perfetta forma, cinque donne al fianco che lo
L’ATTORE Dustin Hoffman
10 RdC Marzo 2006
coccolano, sua moglie Mira di 30 anni più
giovane, una limousine che lo aspetta, 3
chilometri di spiaggia privata tutta per lui,
sorvegliata da quattro minacciosi bulldog.
Indossa la stessa camicia con le palme che gli
aveva comprato Joe Buck alla fine del film.
Io sarei tentato di chiamarla Sozzo, ma
non so se, invece, preferisce il vero nome,
Enrico Salvatore Rizzo.
No, no, amico, chiamami Sozzo, non ti
preoccupare. Non ti manderò nessun bulldog
a sbranarti per questo.
Mi riesce difficile immaginare che vita
abbia fatto. L’ avevamo lasciata su
quell’autobus che la portava a Miami,
morto, accanto al suo amico Joe Buck…
Macché morto, fingevo per dar modo a Joe di
fregare un po’ di soldi ai vecchi turisti sul
pullman. Sai, con la scusa dei funerali, la
gente si sente ben disposta ad aprire il
portafogli.
Sono senza parole…
Porco boia, amico, non vedevo l’ora di
conoscerti, credevo fossi in gamba ma ora mi
stai facendo innervosire. Cos’hai da
guardare? Sto benissimo, per la miseria, non
ho più avuto neanche un’ombra di tosse. Vuoi
sapere se sono ancora storpio? Mi sono
operato, cammino benissimo, faccio tutti i
giorni footing sulla riva. Ma non mi alzerò per
dimostrartelo, devi credermi sulla parola.
E i soldi come li ha fatti, Sozzo?
Andiamo, amico, il mondo è degli arroganti,
non degli onesti. Diciamo che insieme a Joe
abbiamo fatto qualche buon affare. Quando
siamo arrivati qui avevamo solo quei venti
dollari racimolati per il mio funerale, non
avevamo una casa. Ma avevamo capito che in
“Onestà? Macché. Il mondo è degli
arroganti. Ho fatto fortuna come
tutti i fetenti che guidano il mondo”
America occorreva essere arroganti per
avere successo. Quello storpio viaggiava
assieme all’ex lavapiatti Joe Buck in
un’America piena di confusioni, di
contraddizioni, comunque meglio di quella di
oggi. Lo sai o no di che parlava quel film?
Di disagio sociale, di amicizia…
Tutte fregnacce, amico. Parlava di poveri, di
emarginati, di gente sola che non entrava mai
dalla porta principale, persone con cui non
voglio avere più a che fare. Io ero storpio ma
non fesso. Non che sia mai stato uno stinco di
santo, però pensavo in grande. Così ho preso
esempio dai presidenti, ho fatto fortuna
come fanno loro, non c’è modo più facile per
vivere. Niente di onesto, amico, niente di
encomiabile. Come gli altri fetenti che
guidano il mondo.
E Joe Buck?
Joe… A furia di fare il gigolo si è innamorato
veramente, ha messo su casa, si è comprato
un ristorante. Ha speso tutti i soldi che aveva
guadagnato con me, poi la moglie lo ha
lasciato ed è tornato a vivere in Texas. Si è
ricomprato il cappello da cowboy.
Quindi non c’è spazio per l’onestà nel
mondo, Sozzo?
Esatto amico, esatto. Ma per goderti la vita
devi vivere a Miami, altrimenti è del tutto
inutile essere ricchi. I due elementi necessari
per restare in vita sono il sole e il latte di
cocco. E le femmine. Guardati intorno, questo
è il posto ideale.
Beh, veramente anche Miami è cambiata
parecchio.
Questa spiaggia in cui vivo da 36 anni non è
cambiata e non cambierà mai. E ti voglio dire
un’ultima cosa. Sai perché ancora mi
commuovo quando sento nominare Joe Buck
dopo tutti questi anni?
Immagino perché eravate molto amici.
Prima di morire mi ha cambiato i pantaloni e
mi ha messo la camicia colorata. Questo è
quello che conta nella vita, amico. E ora levati
dalle scatole che ti ho già detto troppo:
queste sono cose che Sozzo dice solo quando
si confessa.
Nome Sophia Loren
Provenienza Italia
Il film d’esordio
Cuori sul mare
Il miglior film
Una giornata particolare
L’ultimo film
Cuori estranei
PALM SPRINGS FILM NOIR
FESTIVAL
Sito web
www.palmspringsfilmnoir.com
Dove Palm Springs (California), USA
Quando 1-4 giugno
Resp. Arthur Lyons
tel. e fax (001-760) 8649760
E-mail: kittyteeth@aol.com
> LA SPECIALITA’
pizza napoletana
Laclassica
Linguine con salsa Sophia
alla napoletana con gli
Ragù
involtini
墍> LA SCELTA
Quando Alessandra
Mussolini aveva protestato
digiunando contro l’esclusione
del suo partito alle elezioni
regionali, zia Sophia si era
molto preoccupata. Mentre
l’illustre nipote, per sua
stessa ammissione, sognava
le sue lasagne, lei faceva
sapere di avere iniziato per
solidarietà il digiuno del babà.
L’ultima diva del cinema d’oro
italiano è sì una buona
forchetta, ma anche una
buona cuoca. I suoi menù
spaziano dai piatti tipici della
tradizione napoletana a quelli
di Roma, sua seconda città, da
quando venne a neppure
sedici anni per cercare
fortuna con la mamma
Romilda. Qualche piatto lo ha
ereditato da lei, qualcuno
dalla nonna Luisa,
qualcos’altro dalla zia Dora
Villani di Pozzuoli. Ce ne sono
un paio, però, creati dalla
stessa attrice, tra cui la salsa
Sophia: una variante ricca del
pesto genovese, dove al posto
del basilico trionfa il
prezzemolo, con acciughe,
aglio, pinoli, capperi, cipolla,
olive nere, pepe o paprica.
VI appuntamento col cinema di
genere noir e neo-noir. In
programma lungometraggi e corti.
Non prevede concorso.
MOSTRA INTERNAZIONALE DEL
NUOVO CINEMA
Sito web www.pesarofilmfest.it
Dove Pesaro, Italia
Quando 24 giugno - 2 luglio
Resp. Giovanni Spagnoletti
tel. (06) 4456643 (rif. a Roma)
fax. (06) 491163
E-mail: info@pesarofilmfest.it
XLII edizione del longevo festival
italiano, coerente nel seguire percorsi
originali, tendenze sperimentali,
cinematografie e autori emergenti.
In programma titoli inediti e una
rassegna sul cinema argentino
contemporaneo. L’evento speciale è
dedicato al cinema italiano
contemporaneo. Incontri con gli
autori e tavole rotonde.
ARCIPELAGO
Sito web
www.arcipelagofilmfestival.org
Dove Roma, Italia
Quando 16-22 giugno
Resp. Stefano Martina, Fabio Bo,
Massimo Forleo
tel. (06) 39387246
fax. (06) 39388262
E-mail: info@arcipelagofilmfestival.org
XIV edizione del “festival
internazionale di cortometraggi e
nuove immagini”. Sezioni
competitive: Onde Corte (film e video
internazionali); ConCorto (film e video
italiani); E-Movie (corti digitali);
VideoRome; CortoWeb; Extra Large.
FESTROIA - FESTIVAL
INTERNACIONAL DE CINEMA
Sito web www.festroia.pt
Dove Setùbal, Portogallo
Quando 2-11 giugno
Resp. Mario Ventura
tel. (00351-265) 534059
fax. (00351-265) 525681
E-mail: geral@festroia.pt
XXII edizione del festival che accetta
in concorso opere di paesi con meno
di 30 film a soggetto all’anno.
Presenta la produzione annuale
portoghese. Sezioni sulle opere
prime e gli indipendenti americani.
GENOVA FILM FESTIVAL
Sito web www.genovafilmfestival.it
Dove Genova, Italia
Quando 26 giugno - 2 luglio
Resp. Cristiano Palozzi, Antonella
Sica (Ass.Cult. Daunbailò)
tel. (010) 5573958
E-mail: segreteria@genovafilm
festival.it
IX edizione della più importante
manifestazione ligure sul cinema e
gli audiovisivi. Due sezioni
competitive per “corti” e
documentari. Fra le varie sezioni, il
consueto omaggio a Gassman
focalizza il suo lavoro in coppia con
Ugo Tognazzi.
NAPOLIFILMFESTIVAL
Sito web www.napolifilmfestival.com
Dove Napoli, Italia
Quando 4-11 giugno
Resp. Davide Azzolini, Mario Violini
tel. (081) 19563340
fax. (081) 19563345
E-mail:
segreteria@napolifilmfestival.com
VIII edizione della rassegna con tre
concorsi: i lungometraggi di area
mediterranea, i making of realizzati
sul set, e “Schermo Napoli”. Rassegne
sui film francesi di Sergio Castellitto,
sul regista turco Yilmaz Guney, e una
personale completa su Sergio Citti.
NEWPORT INTERNATIONAL
FILM FESTIVAL
Sito web
www.newportfilmfestival.com
Dove Newport (Rhode Island),USA
Quando 6-11 giugno
Resp. Nancy Donahoe
tel. (001-401) 8469100
E-mail: info@newportfilmfestival.com
V edizione del festival in cui
concorrono documentari, corti,
opere d’animazione e
lungometraggi.
FESTIVAL INTERNATIONAL DU
FILM D’ANIMATION
Sito web www.annecy.org
Dove Annecy, Francia
Quando 5-10 giugno
Resp. Tiziana Loschi
tel. (0033-4) 50100900
fax. (0033-4) 50100970
E-mail: info@annecy.org
XXX edizione dell’importante
manifestazione competitiva
europea, specializzata nel cinema
d’animazione. Diverse le categorie:
lungometraggi, corti, serial TV, film
delle scuole di cinema.
MIDNIGHT SUN FILM FESTIVAL
Sito web www.msfilmfestival.fi
Dove Sodankyla, Finlandia
Quando 14-18 giugno
Resp. Peter von Bagh
tel. (00358-16) 614525
fax. (00358-16) 614522
E-mail: office@msfilmfestival.fi
XXI edizione del festival scandinavo
del “sole di mezzanotte”, inventato
dai fratelli Kaurismäki. Non
competitivo, presenta novità di
cineasti indipendenti, monografie di
autori, omaggi, film muti con musica
dal vivo.
Giugno 2006 RdC 11
festival del mese di Massimo Monteleone
divi al fornello di Chiara Ugolini
f> IL PERSONAGGIO
TAORMINA FILMFEST
Sito web www.taorminafilmfest.it
Dove Taormina (Messina), Italia
Quando 20-25 giugno
Resp. Felice Laudadio
tel. (0942) 21142
fax. (0942) 23348
Rif. a Roma tel. (06) 32650035
E-mail: evspett@tin.it
LII edizione della rassegna siciliana,
con anteprime di film di tutto il
mondo alla presenza di autori ospiti.
Una sezione competitiva per i
cortometraggi internazionali.
Taormina FilmFest presenta 15 film
italiani e 7 documentari.
TuttoDiTutto
MORANDINI IN PILLOLE
Quello che gli altri non dicono: riflessioni e note a posteriori di un critico DOC
di Morando Morandini
1 Maggio: Cordoni ombelicali
Qual è la differenza di fase tra televisione pubblica e
televisione commerciale? Una piccola minoranza di
telespettatori sa la risposta, ma la ignorano – o fingono di
ignorarla – anche molti giornalisti. Nella tv pubblica si vende
la pubblicità per pagare i programmi; in quella commerciale si
fanno i programmi per vendere pubblicità. Mediaset insegna:
il bilancio del 2005 ha reso agli azionisti una pingue cedola, la
più alta negli anni 2000. E la Rai ha imparato la lezione: il suo
declino culturale e politico ha in questa rincorsa all’Auditel la
sua causa principale. Poche speranze che la situazione cambi
col nuovo governo di centrosinistra perché la classe dirigente
italiana è legata al piccolo schermo da un cordone ombelicale
che nessuno vuole toccare..
3 Maggio: Una
scimmia e un ragazzo
sexy
Dopo la massiccia biografia
di Dean Martin (Dino di Nick
Tosches, in Italia per Baldini
& Castoldi-Dalai), è uscita
negli USA Dean & Me – A
Love Story, autobiografia di
Jerry Lewis, aiutato da
James Kaplan: “Una
scimmia e un ragazzo sexy, ecco che cosa eravamo…”. Molti
critici italiani hanno esagerato nel leggere False verità di
Egoyan come una parafrasi della loro vicenda. I punti di
contatto non mancano (compresa le mimesi che di Jerry
Lewis fa Kevin Bacon), ma le differenze sono più numerose.
Il colmo è stato raggiunto da un titolo a tutta pagina sul
Manifesto: “Perché Dean Martin e Jerry Lewis si
separarono?”. Un esempio di giornalismo drogato.
4 Maggio: C’è anche una Allen sconosciuta
E’ sfuggita a molti quotidiani – ma non al Manifesto – la
notizia della morte di Jay Presson Allen (1922 - 2006),
Omaggio alla Valli
Castiglioncello ricorda la grande attrice. Con una mostra,
dal set di Senso, per i 100 anni di Luchino Visconti
Sul set, nelle pause, sotto l’occhio
affettuoso della macchina da presa
di Luchino Visconti. E’ un’Alida Valli
inedita, quella in mostra a Parlare
di Cinema a Castiglioncello dal 13 al
18 giugno. Una selezione di scatti
preziosissimi, realizzati da Paul
Roland durante le riprese di Senso,
con cui la rassegna curata da Paolo
Mereghetti omaggia l’attrice da
poco scomparsa, in occasione del
centenario della nascita del regista
del Gattopardo. L’allestimento
fotografico, selezionato partendo
12 RdC Giugno 2006
da un archivio di oltre mille
negativi, si affianca a un intenso
cartellone di incontri. A parlare dei
ruoli offerti dal cinema italiano ai
giovani attori sarà il 16 Silvio
Muccino, mentre il giorno
successivo seguirà un dibattito sui
tormentati rapporti fra grande
schermo e politica. Ciascun
incontro sarà poi accompagnato da
una serie di proiezioni sul tema.
Spazio a studenti e giovani
cineasti, infine, nel cartellone delle
opere prime.
scrittrice di merito che vinse un Oscar per la sceneggiatura
non originale di Il principe della città (1981), uno dei migliori
film - e il più scorsesiano – di Lumet. Per lui firmò anche
Cabaret (1972), Funny Lady (1975) e Dimmi quello che vuoi
(1980) ed esordì nel 1964 con Marnie di Hitchcock. Nel cinema
anglo-americano gli Allen noti sono una quindicina.
6 Maggio: Comandano i morti o gli zombi?
“In Italia comandano i morti” fa dire, e dice, Bellocchio nel
Regista di matrimoni. Ogni tanto ho il sospetto, invece
che in Italia comandino gli zombi, i morti viventi.
14 Maggio: Scambio tra coralli e
brillanti
Un po’ per caso un po’ per desiderio – titolo prolisso
e stupido per Fauteuls d’orchestre – è una delle più
intelligenti commedie francesi degli anni 2000. E’
dedicata a Suzanne Flon, morta a 87 anni il
15 giugno 2005 poco dopo le riprese. Dal
press-book ho saputo che alla fine degli
anni ’50 ebbe una storia d’amore con
John Huston. Un giorno che portava
una piccola collana di corallo
incontrò Marilyn Monroe, a cui la
collana piacque molto. Suzanne
gliela regalò subito. Il giorno dopo
M.M. le fece portare una
collana di brillanti. La
regista/sceneggiatrice Daniele
Thompson – che scrive i suoi
film col figlio Christopher –
dice che quando lavora per il
cinema pensa spesso a una
frase di Frank Capra: “Quel
che interessa la gente, è
la gente”. E’ il cuore del
suo terzo, ammirevole
film da regista.
PRIMO PIANO
“Siamo seduti su una bomba a orologeria” avvisa l’ex vicepresidente Usa Al Gore. Che
del clima ha fatto la sua crociata, come racconta nello scioccante documentario
(fuori concorso a Cannes) An Inconvenient Truth DI ANGELA PRUDENZI
CHE NE SARA’
E
normi ghiacciai che si
sciolgono, tifoni che spazzano
via intere città, diluvi con
migliaia di vittime, iceberg ridotti a
ghiaccioli, temperature infuocate che
decimano gli anziani, decine e decine
di animali in via di estinzione. La
trama dell’ennesimo film
catastrofico? No, la pura verità. E
non fatevi illusioni, nessuno può
dirsi al sicuro. Se le migliaia di morti
causate soltanto in Italia dal caldo
14 RdC Giugno 2006
torrido dell’estate 2003 non vi
dovessero sembrare un segnale
sufficientemente allarmante, correte
a farvi una gita ai piedi dell’Adamello
avendo cura di portare con voi una
bella foto della montagna risalente a
una ventina d’anni fa. Beh, roba da
non crederci, quel ghiacciaio bianco
e compatto che incantava l’anima per
magnificenza e opulenza è quasi
scomparso. Le cartoline che saranno
vendute tra un paio di lustri ne
certificheranno la definitiva e
irreversibile sparizione. Quindi
nemmeno a provarci a fare gli egoisti,
a pensare che tanto un uragano
parente di Katrina qui da noi non
arriverà mai. Quello forse no, è vero.
Intanto il clima dell’italico stivale è
cambiato, e inverni sempre più caldi
e piovosi hanno già cominciato ad
alternarsi con estati sempre più
lunghe e calde. In linea, del resto,
con il surriscaldamento dell’intero
DINOI?
globo. Una scomoda verità, An
Inconvenient Truth, come
giustamente ha intitolato il proprio
bel documentario l’americano Davis
Guggenheim. Coprotagonista, oltre
al sistema climatico della terra, Al
Gore, vicepresidente degli Stati Uniti
con Clinton e quasi presidente
allontanato dalla massima carica
dopo un poco chiaro duello
all’ultimo voto con Bush jr. Da allora
si spende per gridare al mondo che
siamo seduti su una bomba a
orologeria. In pochi anni ha girato in
lungo e in largo il pianeta,
orchestrato oltre 2000 conferenze,
denunciato scelte politiche che
minacciano la nostra vita e
soprattutto quella delle generazioni
future. Non deve costargli poco, se
non altro pensando che lui, da
presidente, il famoso “Documento di
Kyoto” che dovrebbe impegnare i
paesi civilizzati alla salvaguardia
dell’ambiente lo avrebbe firmato, e
non rispedito al mittente come
invece ha fatto Bush. “Sono solo due
i paesi che non riconoscono il
Documento – afferma tristemente noi e l’Australia”. Peccato che gli
Stati Uniti siano la potenza più forte
del mondo, in grado di vanificare da
sola gli sforzi delle altre nazioni. Per
nulla rinunciatario e anzi convinto
che ogni singolo individuo possa
fermare la tragedia in atto, Al Gore il
combattente tra un aereo e l’altro
passa ore al computer ad affinare le
proprie conoscenze. C’è però anche
un altro Gore che esce dallo
schermo, quello privato. Il bambino
delle foto in bianco e nero che torna
con i ricordi all’infanzia, alla scuola,
ai giochi, ai genitori. Il padre toccato
dalla tragedia della perdita di un
figlio, ferita impossibile da
rimarginare che però l’impegno
sociale aiuta a lenire. Infine il
giovane politico affascinante e
rampante che non conosce ancora il
sapore della sconfitta. Sono
soprattutto quest’ultime le immagini
che più impressionano: il fisico
palestrato e la bella faccia da wasp
hanno oggi lasciato il posto a una
corporatura massiccia e a un volto
maturo, sul quale brillano gli occhi
vivaci di sempre. Ma Gore è un ex
star della politica che la vita ha forse
segnato più del dovuto, non
sconfitto. Per tutta la durata del
documentario non si lascia mai
andare a un rimpianto, conscio di
avere un’altra missione da compiere,
non meno importante di quella che
gli è stata negata. Non si tratta di
salvaguardare gli interessi
dell’America, ma di salvare il mondo.
Un obiettivo di cui si fa carico con
fermezza, come appare evidente da
An Inconvenient Truth. Ma, sia
chiaro, il lavoro di Guggenheim non
manipola né miticizza la figura di
Gore. La macchina da presa lo segue
senza virtuosismi, più vicina al
linguaggio giornalistico che
cinematografico. Anche se alla fine la
denuncia è scritta nel suo corpo
maturo non meno che nei dati, nei
tabulati, nelle percentuali.
Al Gore durante una
delle sue conferenze.
Accanto e nell’altra
pagina ghiacciai di Perù e
Nepal ieri e oggi
Giugno 2006 RdC 15
INCONTRI
‘‘Un santone
mi disse’’
Il figlio di Terzani parla in esclusiva del suo nuovo film
Twilight Men. Girato sulle vette dell’Himalaya, per carpire
la magia dei Sadhu: asceti indiani che vivono di nulla
DI LARA LORETI
Folco Terzani
con il protagonista
del film
16 RdC Giugno 2006
C
’
è un posto magico sulle vette
dell’Himalaya, dove i santoni indiani, i
sadhu, vivono in solitudine, dimentichi
del mondo e dei beni materiali. Immersa in una
natura fatta dei suoni del fiume e degli animali,
degli odori e delle asperità della montagna, la
mente dei sadhu medita leggera, sgombra da
pensieri e preoccupazioni. E l’anima trova la
pace. Tra loro vive Kalu Baba, un giovane
coraggioso che a 14 anni ha lasciato la sua
famiglia nel sud dell’India per intraprendere la
vita meditativa tra le montagne. In breve tempo
Kalu Baba è diventato il sadhu più carismatico
del suo tempio. Ma cosa accade se un giorno in
quell’ambiente fatto di silenzio e rinunce arriva
un uomo occidentale, un italo-americano in
cerca di se stesso e della verità, munito
di telecamera per filmare i momenti più
Giugno 2006 RdC 17
INCONTRI
“Sembrano mendicanti ma in
India sono considerati profeti. A 27
anni volevo vivere come loro”
emozionanti del suo viaggio? L’incontro tra i
due, nel buio di una grotta sulla montagna,
poi l’amicizia e il confronto: di questo parlerà
Folco Terzani, figlio del celebre giornalista e
scrittore fiorentino Tiziano Terzani, nel suo
prossimo Twilight Men (Uomini del
crepuscolo, ma il titolo italiano dovrebbe
essere Il terzo occhio), un film-documentario di
cui è autore, regista e interprete. Le vite di
Kalu Baba e di Folco, tanto diverse eppure
simili nella sostanza, s’intrecciano e iniziano
un percorso parallelo, “uno scambio di
anime”, come dice lo stesso Terzani. Una
storia commovente, al confine tra il giorno e la
notte, interamente girata in India, nelle stesse
grotte dove il padre Tiziano ha trascorso
diversi mesi prima di morire. Il film, diretto a
quattro mani insieme al regista americano
Roko Belic (candidato all’Oscar per il miglior
documentario nel ’99 con Genghis Blues) in
questi mesi è al montaggio. Già autore del
documentario Il primo amore di Madre Teresa,
sulla beata di Calcutta, Terzani è reduce dal
successo del libro postumo di suo padre da lui
curato, La fine è il mio inizio. L’abbiamo
incontrato a Firenze, nel giardino della sua casa.
Cosa l’ha spinta a girare un film sui santoni
indiani?
E’ una storia lunga, che inizia quando io avevo
11 anni. Mio padre ci portò per la prima volta
in India. Un’esperienza toccante: avevamo
vissuto a lungo in Asia, ma l’India per noi era
18 RdC Giugno 2006
ancora una terra inesplorata. Vagando per la
strade povere di Calcutta, rimasi scioccato
dalla vista dei lebbrosi che, mani e piedi
fasciati, venivano trasportati sui carrelli: era
come un film dell’orrore. Sconvolto, mi
rinchiusi nell’albergo e non volli più uscire
finché un giorno papà ci portò in un tempio
davanti al quale c’erano tre uomini. Erano
nudi, avevano un aspetto da straccioni,
eppure apparivano regali, per nulla
sottomessi. Erano dei sadhu, gente che decide
di abbandonare ogni affetto e ogni bene per
dedicarsi alla meditazione sull’Himalaya.
Possono essere considerati i profeti di oggi,
rappresentano quello che per noi è stato San
Francesco. Il loro percorso è inverso rispetto a
quello degli uomini moderni, protagonisti di
una corsa forsennata al consumismo. Da
allora ho sempre avuto in mente di conoscere
meglio quegli asceti e di vivere come loro. E
all’età di 27 anni, nel 1996, sono andato in
India allo scopo di realizzare questo progetto.
Ma l’incontro meraviglioso con Madre Teresa
di Calcutta mi ha spinto a girare prima un
documentario su di lei. Quattro anni dopo,
nel 2000, è iniziata l’odissea,
non ancora conclusa,
di Twilight Men.
Come è nata la
collaborazione con Belic?
Quando ho visto Genghis
Blues, la storia un musicista
che parte per la Mongolia alla scoperta di
nuovi suoni, me ne sono innamorato: ho
pensato che quell’uomo doveva essere il mio
compagno di lavoro, e lui ha accettato
volentieri. Insieme abbiamo deciso di
raccontare l’incontro di due uomini che
rappresentano due mondi opposti: quello
moderno, hollywoodiano, fatto di tecnologie,
di consumismo, mondanità; e quello
tradizionale, quasi medievale, profetico in cui
vivono i sadhu. L’intero film è una ricerca, in
salita, verso la cima del monte, fino a
raggiungere quel sadhu, sospeso tra realtà e
mito, che vive in una grotta di ghiaccio ed è
in grado di rinunciare a tutto, anche al cibo.
La difficoltà più grande che ha incontrato
durante le riprese?
La cosa più complicata, sulla quale sto ancora
lavorando, è riuscire a cogliere l’essenza della
meditazione dei sadhu attraverso l’occhio
insensibile di una telecamera. In India torno
spesso. Lì ho vissuto delle emozioni
indescrivibili, un intero mese nella giungla
nelle stesse condizioni di vita dei santoni: è
stato duro, ma stupendo. Sento che quel
mondo mi appartiene e
quando sono lontano
mi manca e avverto il
bisogno di tornarci. Folco Terzani e il padre
Tiziano. Sopra una scena di
Twilight Men
UNA VITA A COLORI
E’ stata quella del celebre Tiziano. Che a due anni dalla morte, un documentario ricorda su Rai Tre: in rosso passione,
bianco purezza e con una punta di nero
di Paolo Aleotti
Quanti colori possono
riempire un’esistenza?
La vita avventurosa di
Tiziano Terzani ne ha
conosciuti molti. E Tutti
i colori di una vita è il
titolo (provvisorio)
scelto per il
documentario che
stiamo realizzando con
Luciano Minerva e Rai
Tre trasmetterà in
occasione del secondo
anniversario della morte
del giornalista-scrittore,
scomparso il 28 luglio
del 2004. Un uomo le
cui azioni sono state
contrassegnate dal
rosso dell’emotività,
della passione,
dell’esteriorità; dal viola
del profondo, che ha
scelto come tinta
dominante dell’ultimo
periodo; dal bianco dei
vestiti adottati nella
fase indiana; fino al nero
tutt’altro che nero di un
trapasso dipinto di
sorprendente serenità.
Spina dorsale del
documentario, il lungo
racconto che per un’ora
al giorno il padre Tiziano
ha regalato al figlio
Folco negli ultimi tre
mesi di vita. Le
riflessioni sul rapporto
tra generazioni, sul
secolo delle ideologie,
su pace e guerra, sul
mondo contemporaneo,
sul senso della vita
umana, sulla
preparazione alla morte,
sulla pacificazione
interiore. Oltre 90 ore di
pensieri e
considerazioni, che
verranno illustrati dai
riferimenti filmici e
fotografici di
un’esistenza intensa ed
estesa, che ha spaziato
attraverso i continenti,
e ha saputo
contemporaneamente
penetrare le culture
delle popolazioni
incontrate lungo la
strada. Le parole, gli
scritti, le foto, i
documenti d’epoca dai
luoghi di Terzani (la
Toscana povera dei primi
passi, quando da piccolo
i genitori portavano
Tiziano a Firenze “a
vedere i ricchi mangiare
il gelato”; gli Stati Uniti,
che videro i germi della
sua vocazione
giornalistica; fino al
Vietnam, la Cambogia,
l’Unione Sovietica, la
Cina, il Giappone, che ne
consacrarono l’abilità a
fotografare mutamenti
storici epocali) sono i
segnali di un modo di
intendere la vita che
lascia tracce profonde in
questa epoca assetata
di senso. Non a caso La
fine è il mio inizio, il
libro nato dalle lunghe
chiacchierate all’ombra
di un vecchio albero tra
Folco e Tiziano, immersi
nella pace dell’Orsigna
(la residenza tra i colli
toscani dei Terzani) sta
già diventando, oltre
che un bestseller (come
Un indovino mi disse,
Asia o Un altro giro di
giostra) un vero e
proprio cult. Testamento
morale che travalica gli
insegnamenti che un
padre lascia ad un figlio,
per trasformarsi in
eredità per le
generazioni giovani.
Decine di manifestazioni
vedono in questi mesi
Folco, la sorella Saskia,
la loro mamma Angela,
(la donna amata per una
vita intera da Tiziano
Terzani) impegnati in
dibattiti e interviste.
Non il becero
presenzialismo al quale
questa epoca ci ha quasi
fatto rassegnare, ma la
risposta alle richieste
insistenti di scolaresche,
università e ospedali, di
cittadini semplici e di
associazioni o enti
morali, per una
testimonianza diretta su
un uomo unico e
originale. Che un
documentario non potrà
racchiudere. Ma
ricordare e onorare,
forse sì.
Il giornalista e
scrittore Tiziano
Terzani. Sopra col
figlio Folco
Giugno 2006 RdC 19
ANTEPRIMA
007
licenzadi
Duro, cattivo e
seviziato: nel
prossimo Casino
Royale James
Bond giura
fedeltà al
creatore Ian
Fleming. Per un
ritorno al
passato che sa
di rivoluzione
DI GIADA GRISTINA
20 RdC Giugno 2006
cambiare
lle tre del mattino l’odore del
casinò, il fumo e il sudore
danno la nausea”. Inizia così il
primissimo romanzo, Casino
Royale, sulla spia più famosa della storia.
L’incipit sintetizza perfettamente il
Bond-mondo: una realtà consumata per
lo più nei tempi dilatati della notte,
A
‘‘
tempi viziosi e pericolosi. Fleming,
teorema vivente del bello dissoluto, dà
vita al suo alter ego James Bond. E in
quel di Goldeneye, nome dal sapore
profetico che scelse per la sua residenza
in Giamaica, scrive sulla sua vecchia
Imperial le prime parole di una lunga
serie. E’ il 1952. Una data da ricordare.
Giugno 2006 RdC 21
ANTEPRIMA
Il nuovo 007 Daniel
Craig con Eva Green e
Caterina Murino. Sotto
il regista Martin
Campbell
La sceneggiatura del premio Oscar Paul Haggis promette un
taglio più realistico, con un Bond prima maniera
Ian Fleming, prima di James Bond,
consumò i suoi anni migliori nel tentativo di
farsi spazio fra le leggende di famiglia; il
confronto con un padre-eroe e un fratellogenio lo porteranno a saltellare da un paese
all’altro e da un mestiere all’altro, per trovare
infine pace in Giamaica.
Ma nel personaggio “007”, Fleming fa
scorrere la vita di quello che è stato, di
quello che ha cercato di essere e di quello
che non è mai riuscito a diventare, infine:
un uomo elegante e raffinato, ma anche
contorto e vizioso, innamorato di se stesso,
ma anche di tutte le donne, una spia al
servizio della corona inglese, ma cittadino
del mondo alla Corto Maltese.
Bond beve Martini Dry come il suo autore
del resto, che si dice consumasse una
22 RdC Giugno 2006
bottiglia di gin al giorno più un paio di
pacchetti di sigarette, seduce signorine in
ogni dove, e ne esce sempre impeccabile.
Gli eccessi lo soddisfano, ma non lo
intaccano mai: viene fuori immacolato ed
elegante dalle più depravate “liaison”.
Casino Royale aveva già ispirato, nel ’67, un
altro film dal titolo omonimo. Il film, a cui
parteciparono più registi fra cui John
Huston, rileggeva il romanzo in chiave
satirico-grottesca e, nonostante fosse
interpretato da due star come David Niven
e Peter Sellers, fu un mezzo fiasco e pochi
lo ricordano. Ma ecco che i celebri
produttori della serie, Michael J.Wilson e
Barbara Broccoli, sfoderano l’asso nella
manica: rifare Casino Royale, rendere infine
giustizia a quel favoloso romanzo da cui
iniziò tutto e forse (ci auguriamo) uscire da
quella serialità a cui ci aveva condannato
l’odioso Pearce Brosnan, che sarà pure
elegante e sofisticato, ma di sex appeal
neanche l’ombra, con quell’aria perfettina e
il sorrisetto legnoso. Finalmente si cambia
aria e forse 007 tornerà ad essere quella
spia languida e fascinosa a cui ci avevano
abituato Sean Connery e Roger Moore,
levando il povero Dalton che venne quasi
subito cestinato. Il prossimo Bond sarà
Daniel Craig (Munich), il primo della serie
ad avere capelli biondi e occhi chiari e che,
tutt’altro che stucchevole, conserva un
fascino algido da super-cattivo e quell’aria
un po’ vissuta alla Steve McQueen che non
guasta mai. Le prospettive sembrano buone
tanto più che Casino Royale, co-sceneggiato
dal premio Oscar Paul Haggis, dipinge un
Bond prima maniera: più che gentiluomo,
una canaglia che deve guadagnarsi a suon
di morte quel doppio zero che gli darà la
tanto sospirata licenza di uccidere. Un
Bond alle prime armi, meno sofisticato
certo, ma ben disposto a ripagare la
bruciante sconfitta da parte del perfido
gangster Le Chiffre col quale si consuma
una delle scene di tortura più
raccapriccianti del genere, roba da far
impallidire pure Rambo. La scena in
questione è raccontata da Fleming con
dovizia di particolari: il nostro uomo è
immobilizzato su una sedia senza sedile
mentre il sadico antagonista gli tormenta le
parti basse. Nell’ambiente si dice che
Tarantino puntasse al film solo per girare
quella scena, ma la regia invece è andata a
Martin Campbell, che aveva già girato uno
007 nel ‘95 con Goldeneye, il primo film
della serie Brosnan. Ad ogni modo il
regista si dice entusiasta del progetto e del
nuovo protagonista che sarà secondo lui
“più dark, più duro e più vicino al Bond di
Ian Fleming”. Niente (o poche) scene
d’azione alla Mission: Impossible questa
volta, niente “surfate” su onde anomale in
smoking, Casino Royale sarà un film più
realistico e sottile. Un film serio. La
“crudelia” di turno, la nuova Bond girl sarà
la splendida Eva Green (The Dreamers)
alias Vesper Lynd, una vera dark lady,
accostata all’ex letterina Caterina Murino.
Nel cast ci saranno anche Claudio
Santamaria e Giancarlo Giannini, il nostro
uomo all’estero.
Il film, girato fra Gran Bretagna, Bahamas
(deputate alla ricostruzione del celebre
casinò), Praga e Italia, vedrà la nostra spia
ancora una volta alla guida della celebre
Aston Martin (la nuova AMV8 Vantage), e
in alcune scene addirittura al volante della
nostrana Fiat Panda 4x4 super accessoriata.
Che sia l’inizio di una nuova era?
TENDENZE
]
0
8
‘
i
n
n
a
i
l
[g
Paillettes, tele-valori e sceneggiatori “pierini”: è tornato
in voga il decennio più stupido del secolo. Al cinema
DI SILVIO DANESE
24 RdC Giugno 2006
Giugno 2006 RdC 25
TENDENZE
Fitness e televendite hanno
spazzato via in un attimo
le conquiste degli anni ’70
I
nsomma, erano “incasinati ma carini” gli
anni ’80, come dice l’adolescenza
studentesca di La notte prima degli esami o
sono stati “letali e duraturi”, secondo la
visione apocalittica del Caimano?
Nell’Italia rampante che idolatrava il fitness e,
a tavola, esigeva la bresaola con rucola per
correre leggiadri tra l’ufficio, l’aperitivo e
l’amante, ci siamo sentiti separati in casa.
La partecipazione, che nei precedenti 40 anni
aveva marcato il debutto, la crescita e la crisi
di una nazione, bum!, improvvisamente fu
irreperibile. Al suo posto, l’onnipotente
delegato, una scatola vociante di paillettes e
sederi, di multioccasioni da tele-comando e
familiari disgregazioni da tele-valori, di Fellini
intermittenti, tra pannolini e spray, e astri
nascenti del network. Occhio alla parola.
Network. Consolidava l’idea del trapasso della
“condivisione”, surrogata nel tubo catodico.
Tra i sinonimi inglesi del termine tecnico che
definisce la connessione di gruppi televisivi
troviamo “meet people” (incontrare gente),
“make contacts” (creare contatti) “exchange
ideas” (scambiarsi idee). E’ chiaro?
Non è soltanto provocatorio dire che il
terrorismo, che disorientò e bloccò gli
sceneggiatori storici del cinema italiano alla
fine degli anni ’70, lasciando spazio ai pierini
seduti al bar dello sport, uscì dalla porta e
26 RdC Giugno 2006
rientrò dalla finestra, nella forma melliflua,
inarrestabile, di massa, dei valori imposti nel
segno del mercato e dell’individualismo. Per
ridere, bastava essere “eccezzziunali
veramente”. Se siete giovani, occupatevi dei
“sapori di mare”. Se siete sportivi, be’ c’è
“l’allenatore nel pallone”.
Da Abussi Francesco a Zecca Valerio,
passando per Bastelli, Bologna, Concari, Di
Robilant, Farina, Lazzotti, Loffredo,
Mattolini, Piavoli, Rosa, Sestieri, Stella,
Todini, un libro di Franco Montini intitolato
I Novissimi fotografò decine di autori
esordienti negli anni ’80. La conta dei
resistenti che hanno potuto continuare il
lavoro è la prova del fallimento dell’industria
culturale del cinema italiano. Ma mettiamo in
conto che la cultura dell’individualismo ha
IL BEL PAESE DI VIRZI’
Le pubbliche virtù dell’Italia pre-Tangentopoli.
Con un innocente primo bacio
Non è certo un caso che Carlo Virzì (fratello musicista
di Paolo) abbia scelto gli anni ’80 per ambientare la sua
opera prima. Non solo perché L’estate del mio primo
bacio è tratto dal romanzo semi-autobiografico Adelmo
torna da me della scrittrice Teresa Ciabatti, ma anche
perché sarebbe stato più difficile raccontare la storia di
una tredicenne di oggi che sogna, con lo stesso incanto
e lo stesso candore della sua Camilla, di posare per la
prima volta le labbra su quelle di un ragazzo. Camilla (la
straordinaria Gabriella Belisario) è una ricca ragazzina
di città, con una mamma cronicamente depressa (Laura
Morante), un padre (Andrea Renzi) che ha un’amante
molto più giovane di lui (Regina Orioli), una tata che le
fa da nonna e confidente e delle amiche frivole e
viziate. Quando arriva all’Argentario per trascorrere le
vacanze nell’enorme villa di famiglia, decide che quella
sarà l’estate in cui finalmente darà il suo primo bacio. E
sceglie Adelmo (Jacopo Petrini), un diciassettenne
taciturno e di umili origini, incaricato di tenere pulita la
sua piscina. Per far colpo su di lui finge di essere più
grande, si atteggia a femme fatale sorseggiando succhi
di frutta e dispensa sguardi languidi da un materassino a
prodotto l’autodistruzione d’autore, nella
narcisistica convinzione del cinema autarchico.
Vale di meno, se questa fosse una posizione
eminentemente generazionale? Un paio di
settimane fa Emanuela Martini ha scritto: “Gli
anni del nostro scontento. Premesso che non
mi riferisco agli ultimi cinque anni, ma
semmai agli ultimi venticinque e al risultato
che hanno prodotto, ammetto che (...) possa
essere frutto di una sensazione specificamente
generazionale, secondo un concetto di
generazione piuttosto ampio che comprende
tutti quelli tra i 40 e i 60 anni”.
Le figurine belle e fragranti di Fausto Brizzi
sono ridicole. La notte prima degli esami è un
film che manca totalmente di senso critico. Il
premio del pubblico ci parla delle dimensioni
del disastro. Con diverso senso del tempo
sociale, Carlo Virzì tocca invece la sensibilità
PATIERNO CI SCOMMETTE
Il giocatore con Fabio Volo per raccontare la vera storia di Marco Baldini: deejay
di grido, finito in mano agli strozzini
Strozzini e fan impazzite. Botte e
paillettes. Ferrari e cavalli. Sono gli
anni ’80 di Francesco Patierno. Un
decennio di contrasti esasperati, che il
regista-rivelazione di Pater Familias si
appresta a raccontare nel
Giocatore con Fabio Volo. Da
loro stessi sceneggiato in
collaborazione con Marco
Baldini, il film si ispira
all’omonima biografia del
popolare conduttore
radiofonico. Luci e ombre
degli anni ’80 sono tutte sue.
Una doppia vita di showman e
incallito scommettitore, che
l’ha portato a perdere coi
cavalli oltre 4 miliardi delle
vecchie lire. Da qui le cordate
corrotta nell’innocenza degli adolescenti di
ieri, adulti di oggi, in L’estate del mio primo
bacio. Dice la tredicenne Camilla a proposito
del giovanotto che pulisce la sua piscina nella
villa dell’Argentario: “Divertente se mi faccio
un’avventura con un povero, no?”. E poco
prima, aveva dovuto specificare a un’amica:
“Lui si occupa di piscine”. E l’altra:
“Accidenti, quante ville possiede?”.
Ci passate che il decennio “più cretino del
secolo scorso” è stato un decennio breve?
Diciamo dal 1982 al 1989. Nel mondo, dal
sostegno di papa Wojtyla a Solidarnosc alla
caduta del Muro di Berlino. In Italia,
concedendo ampiezza di orizzonte, dal crollo
del Banco Ambrosiano o dall’assassinio del
Generale Dalla Chiesa, al controllo di
Fininvest su Mondadori o all’assalto
Gigio Alberti in una
scena de L’estate del
mio primo bacio
forma di coccodrillo. L’estate
del mio primo bacio è una
commedia ironica e nostalgica
su come eravamo quando il
telefonino era un miraggio
fantascientifico e per dire “mi
piaci” a un ragazzo ci si affidava
a un bigliettino anonimo o a
un’amica compiacente. Ma c’è
dell’altro. Attraverso gli occhi di
Camilla, e nella
contrapposizione tra il suo
mondo e quello di Adelmo, il regista getta uno sguardo
su un’Italia che ancora non aveva perso la propria
innocenza. Il candore di Camilla è quello del Bel Paese
prima di conoscere Tangentopoli. E come Camilla,
anche l’Italia alla fine non sarà più la stessa.
(R. E.)
di solidarietà degli amici Linus e
Amadeus, ma anche il giro degli usurai,
le minacce, un suicidio sventato quasi
per caso. “Sarà un film molto diverso
da Pater Familias – promette Patierno -,
che alternerà comicità e
dramma, cercando di
coniugare cinema d’autore e
incontro col pubblico”. Per
questo la scelta di Fabio Volo,
“l’unico che potesse incarnare
questa trasversalità”. Anche
perché, promette, non sarà
una storia sul gioco, ma una
finestra sugli anni ’80. Le
riprese del film, primo di tre in
contratto per la Rodeo Drive,
sono attese tra novembre e
gennaio.
(D. G.)
di una demente banda di incappucciati agli
africani di Villa Literno, a Caserta, quando
morì il muratore Jerry Masslo. Ci sono i
danni e le perversioni stabili del futuro, che il
cinema italiano è colpevole di aver ignorato,
salvo casi sporadici: la crisi della politica alla
prova del fallimento del socialismo reale, la
corruzione dei poteri economici, il razzismo e
il rifiuto della differenza, la spaventosa
quotidianità mafiosa, la promiscuità
dell’industria culturale. Al cinema, il decennio
breve va dalla consegna del testimone da Sordi
a Verdone (In viaggio con papà, ’82), all’Oscar
di Tornatore (Nuovo cinema Paradiso, ’89).
Non dobbiamo né alle analisi di costume di
Verdone né al poetismo di Tornatore stimoli,
denunce, coscienza, riflessioni. Dobbiamo
accontentarci di Muccino?
Gabriella Belisario,
protagonista del
film di Carlo Virzì.
Nell’altra pagina
Cristiana Capotondi
in Notte prima
degli esami
Giugno 2006 RdC 27
TENDENZE
C’ERANO UNA
DI FEDERICO PONTIGGIA
MASSIMO CIAVARRO
Il ragazzo dal "sapore di mare" è
diventato produttore senza rimpianti
28 RdC Giugno 2006
VOLTA
N
ell’immaginario collettivo ha
ancora il ricciolo biondo e la
faccia pulita di Sapore di mare 2.
Ventitre anni più tardi, Massimo Ciavarro
non delude le aspettative. Con un pizzico
di orgoglio - “Se passiamo in via del Corso
io e Sergio Castellitto, la gente ferma me” e palate di umiltà: “Non mi sono mai
montato la testa”. Sulle labbra ha ancora il
sapore di mare che lo lanciò nel 1983
quale rubacuori della porta accanto. Di
quel film e dei successivi Chewingum,
Giochi d’estate e Grandi magazzini,
Ciavarro ha un ricordo affettuoso: “Erano
produzioni di grande qualità, rivisitazioni
della commedia all’italiana, che è da
sempre nel nostro Dna. Ancora oggi
Sapore di mare passa in tv due o tre volte
l’anno”. E sul contemporaneo revival
cinematografico degli anni ‘80, che passa
per Notte prima degli esami e L’estate del
mio primo bacio, l’attore ha le idee chiare:
“Sono frutto della nostalgia.
Retrospettivamente gli anni ’80
acquistano un valore che all’epoca non
riconoscevamo o dichiaratamente
negavamo”. Oggi sul piccolo schermo con
la fiction Questa è la mia terra, Ciavarro
coglie un’analogia temporale tra il
fortunato esordio di Fausto Brizzi e il
sequel del compianto Bruno Cortini: “Sia
Notte prima degli esami che Sapore di
mare 2 fanno un passo indietro di
vent’anni, gli anni ’60 tra spiaggia e flirtini
per noi, i nostri anni ’80 per la Capotondi
e Faletti”. Ma non sono solo rose e fiori.
Come altri compagni di set, Ciavarro ha
subito l’ostracismo dei produttori: “Ce
l’hanno fatta pagare, non offrendoci più
alcun ruolo per molto tempo, quasi
dovessimo vergognarci delle nostre
interpretazioni”. Ma una soluzione
Massimo l’ha trovata: passare dall’altra
parte e produrre, sempre nel segno della
commedia. Il suo Agente matrimoniale
uscirà in sala il prossimo autunno.
A
nche se certamente non lo era, il
cinema l’aveva voluta da subito
Fuori di testa: questa espressione
traduceva qui da noi Fast Times at
Ridgemont High, con cui aveva debuttato
nel 1982 diretta da Amy Heckerling. Ma
il successo planetario sarebbe arrivato con
Paradise di Stuart Gillard, che
“raccontava la stucchevole storiella di due
minorenni che, novelli Adamo ed Eva,
scoprono l’amore, trastullandosi tra
scimmie, oasi piscina e, sullo sfondo,
deserti finti” (Morando Morandini). La
novella Eva è Phoebe Cates, bellezza
casta e pura, che dettò i canoni
estetici degli eighties, fino ai
Gremlins di Joe Dante. Poi poca
roba al cinema – un recente
sussulto nel 2002 con The
Anniversary Party – ma tante
soddisfazioni nel privato: il
matrimonio nel 1989 con
Kevin Kline, da cui ha avuto
due figli, Greta e Owen. Lontane
le atmosfere-clone di Laguna blu,
Phoebe Cates si è dunque tuffata
nella famiglia. Per sempre?
PHOEBE CATES
Da fidanzatina di Paradise
a madre di due bambini
FIGLI DELLE METEORE
Sono gli anni degli Wild Boys. Il
mondo è diviso in Duran e Spandau.
In mezzo una zona grigia di
Supertelegattoni e Festivalbar. Tutto
fantastico. Anzi “superfantastico”,
come nel Disco Bambina di Heather
Parisi. L’America
reaganiana detta
lessico e modelli:
Girls Just Wanna
Have Fun giura
Cindy Lauper, un
proto-Jovanotti
si candida For
President e alla
peggio Vamos a
la Playa. Non è
quindi un mistero
che Battiato
alzasse Bandiera
bianca. Né che il Figlio delle stelle
Alan Sorrenti sia diventato buddista.
DRIVE-IN CONTROMANO
Difficile distinguere Has Fidanken
dagli altri. Il mite cocker del DriveIn si confonde nella tv dei finti
applausi e dei cani in prima serata.
La corazzata Fininvest schiera
Beruschi, Carmen Russo, Lory Del
Santo. Una volta a settimana Mike
Bongiorno, a sprazzi la Casa
Vianello e a mezzogiorno Il pranzo è
servito con Corrado. La Rai perde ai
punti: le mancano i
bagliori di
Dallas, la
melassa di
Love Boat, il
furgoncino
della Famiglia
Bradford. Grazie
a Hitchcock non le
resta che Il brivido
dell’imprevisto. Ma
sempre più
raramente.
TU VUO’ FA’ IL PANINARO
Il piumino Moncler e le felpe Best
Company, i jeans Levi’s e
Americanino, gli orologi Swatch, le
scarpe Timberland e le calze
Burlington, la cintura El Charro e gli
ammennicoli Naj-Oleari: questo era il
paninaro, nato al bar Panino di Milano
e beatificato dai Pet Shop Boys. Così
griffati i galli tacchinavano le sfitinzie
a scuola, ruotavano per San Babila
sulle Zundapp, fiocinavano
un hamburger da
Burghy, si
scontravano con i
sapiens (i genitori)
e i china (i coetanei
di sinistra). Con un
imperativo
(im)morale: essere
“troppo giusti!”.
Giugno 2006 RdC 29
SpecialeHorror
Paura, terrore, carneficina.
Mutazioni di un genere, nell’era
dei serial killer. Con interviste,
Horror
senza fine
anteprime e schede
Giugno 2006 RdC 31
SpecialeHorror
METAMORFOSI
DELLA
PAURA
L’australiano Wolf
Creek e Saw 2. Accanto
e nell’altra pagina
Psyco e il Dracula
di Coppola
32 RdC Giugno 2006
E’
malsano rimpiangere dei mostri? No, se il loro posto
è stato preso da altri mostri, ancor più malvagi e
inquietanti. In un libro di parecchi anni fa, Il cinema
fantastico e le sue mitologie, Gérard Lenne distingueva due gruppi
di mostruosità: da una parte i mostri fantastici, sovrannaturali;
dall’altra i mostri “normali”, deviazione e aberrazione
dell’umano. Per intenderci, della prima squadra facevano parte
Dracula, la Creatura di Frankenstein, l’Uomo-Lupo, la
Mummia; la superstar della seconda era il maniaco omicida,
l’“assassino della porta accanto” su cui il cinema ha edificato
(capostipite il Norman Bates di Psyco) la mitologia del serialkiller. Ebbene: all’alba del terzo millennio, di quei mostri
sovrumani, colpiti da maledizioni e perciò sofferenti, non è
rimasto quasi nulla; invece il serial-killer impazza, da padrone
assoluto, sugli schermi. Ed ecco la ragione della nostalgia. A loro
In principio trionfava la metafisica, oggi lo strazio della carne. E l’impero
dei macellai ha soppiantato quello dei mostri romantici e tormentati
di Roberto Nepoti
Giugno 2006 RdC 33
IL SERIAL-KILLER
IMPAZZA
DA PADRONE ASSOLUTO
SUGLI SCHERMI
modo, il vampiro e i suoi colleghi flirtavano
con la metafisica, rappresentavano l’eterna
sfida (magari involontaria e tormentata,
come il povero mostro di Frankenstein) del
Male che osa ergersi contro il Bene, erano
portatori di parabole esemplari, dèmoni da
affrontare con croci e pallottole d’argento.
Nelle trionfanti efferatezze del serial-killer,
invece, resta solo la materia, la carne: carne
da macelleria, o addirittura oggetto di
cannibalismo. Difficile non pensare a questa
come alla faccia nascosta dell’ossessione del
corpo dilagante nei nostri anni: ossessione
in cui - dal culto della giovinezza a oltranza traspare l’orrore della vecchiaia, del degrado
e della corruzione della carne intesi come il
male supremo. Né alla legge si sottrae lo
zombi, grottesco ribaltamento parodistico
del vivente svuotato di ogni contenuto
metafisico, puro divoratore a caccia di carne
umana per la propria insaziabile fame (ben
diversa la ricerca del sangue del vampiro,
34 RdC Giugno 2006
piena di significati simbolici ed erotici).
L’horror contemporaneo è, dunque,
diventato dominio dello splatter, cinema
hard-gore spezzettato nell’“immagine del
corpo in frammenti” di cui scriveva Jacques
Lacan. Per assicurarsene, basta dare una
scorsa agli ultimi titoli del genere; che si
rifanno quasi tutti, per estetica o per la via
diretta del remake, all’horror anni ’70. Vi
compaiono rifacimenti di film diretti dai
“maestri” di quella generazione: Non aprite
quella porta - The Texas Chainsaw Massacre
(2003), basato sull’omonimo film di Tobe
Hooper; l’imminente Le colline hanno gli
occhi, remake del cult di Wes Craven; con
l’aggiunta di Fog - Nebbia assassina, dal
celebre horror di John Carpenter (che però
rappresenta l’eccezione, trafficando con i
fantasmi). Altri titoli recentissimi,
improntati al medesimo tipo di “gore”, sono
Wolf Creek, esponente del new-horror
australiano e neozelandese, Saw - L’enigmista
SpecialeHorror
(di cui è già uscito un seguito), il
raccapricciante Hostel; mentre George
Romero ha coronato proprio ora la sua
lunga saga degli zombi con La terra dei
morti viventi. L’immagine epocale che questi
film ci rimandano non invita all’ottimismo.
L’essere umano si riassume in due soli ruoli:
da una parte è fame, cannibalismo, puro
istinto aggressivo e pulsione assassina;
dall’altra, quella della vittima, mero
dettaglio anatomico torturato, dissezionato;
è ridotto a una sua parte e la parte sta per il
tutto. Di qui la preferenza accordata alle
armi bianche, coltelli, seghe, ganci atti a
squarciare la carne, martoriata protagonista
dell’azione. Purtroppo si trova raramente in
I ferri del mestiere
in Hostel. Sopra
Psyco, accanto i
due Saw
questi film la dose di humour nero degli
antecedenti, greve ma liberatoria: come
quando il massacratore Neal, nell’originale
Non aprite quella porta (1974), confidava
“my family’s always been in meat”. Fin la
Morte in persona si adegua,
cinematograficamente, al modello
dominante: nella serie Final Destination è
diventata un serial-killer che uccide al
dettaglio; nel terzo episodio, in particolare,
“cuocendo” nella macchina abbronzante un
paio di teenager col culto del corpo perfetto.
Torniamo, così, al rapporto di senso tra la
supervalutazione del corpo dilagante
(fitness, cosmetici, chirurgia estetica:
varianti procedurali di una fissazione sul
particolare anatomico, sul singolo “pezzo”) e
la globalizzazione del new-horror, che sta
azzerando i sottogeneri un tempo affiancati
allo splatter, ossia il monster-movie, la
ghost-story, la fiaba orrorifica. C’è qualcosa
da aggiungere, però, e riguarda il linguaggio
per immagini. La frammentazione dei corpi
rappresentata dall’horror odierno s’inscrive
in un’estetica del frammento generata dal
mezzo televisivo, ma ancor più dal web:
dove tutto circola (smaterializzandosi) in
forma segmentata e breve, di file, di trailer
porno, di clip e perfino di esecuzioni
capitali, messe in fila alla pari con tutte le
altre immagini dell’ipertesto che ci circonda.
E il frammento, diventato una delle
principali forme dell’estremo, non poteva
non entrare nel paradigma orrorifico fino a
dominarlo. Facendoci rimpiangere
l’affascinante conte Dracula che, con la
persecuzione dell’immortalità, sembra
condannato a un’eterna, noiosissima
pensione.
Giugno 2006 RdC 35
SpecialeHorror > Generazioni a confronto
IERI,OGGI E...
29 anni dopo Le colline hanno gli occhi nuovi: il giovane Aja sfida il maestro
36 RdC Giugno 2006
S
ono passati 29 anni da
DISUMANI
FOTO MARCO ROSSI
quando uscì nelle sale Le
colline hanno gli occhi di
Wes Craven, horror di culto che
raccontava di come la gita in
camper di una famigliola
americana si tramutasse in incubo
grazie all’attacco improvviso da
parte di un’altra famiglia: ex
minatori diventati spietati
cannibali dopo aver subito
radiazioni nucleari a causa di
alcuni esperimenti governativi.
Sono passati 27 anni da quando
Alexandre Aja, nuovo talento
dell’horror francese, dopo il
successo di Alta tensione è apparso
sul pianeta terra. Il ragazzo
francese ha avuto la possibilità di
realizzare il remake de Le colline
hanno gli occhi a Hollywood a
fianco di Wes Craven, qui in veste
di produttore.
dell’horror Wes Craven. Con una lezione politica e spauracchi molto attuali di Francesco Alò
Giugno 2006 RdC 37
SpecialeHorror > Generazioni a confronto
ALEXANDRE AJA
“Il mio remake è figlio dell’11 settembre. Il terrore lo abbiamo creato
noi, proprio come Saddam e Osama Bin Laden”
Perché ami tanto l’originale?
Per l’atmosfera kitsch e ricca di
humour nero.
Da cosa nasce questa passione per
l’horror anni ’70?
Sono cresciuto vedendo gli horror
degli anni ’90. Orribili film per
ragazzini. Allora mi rifugiavo in
videoteca recuperando i primi
Craven, Hooper, Romero e
Carpenter. Quello che amo di quel
periodo horror è l’approccio
politico.
Politico in cosa?
Perché i mostri non venivano più
38 RdC Giugno 2006
dall’Europa ma dal cuore più
profondo degli Stati Uniti.
Istanze che sembrano ancora più
forti in questo remake. La
famiglia americana ha due anime,
democratica e repubblicana,
proprio come gli Stati Uniti di
oggi. E in un deserto che ricorda
l’Iraq, viene attaccata da “mostri”
creati dal governo Usa…
Già l’originale del 1977 era
un’allegoria della società americana.
Oggi gli americani stanno in Iraq
come negli anni ’70 stavano in
Vietnam. Certamente questo
Il remake di Aja de Le
colline hanno gli occhi.
Nell’altra pagina
l’originale di Craven
remake non sarebbe stato possibile
prima dell’11 settembre. Il sottotesto
è: i mostri li abbiamo creati noi.
Saddam e Bin Laden li abbiamo
creati noi. E ora abbiamo paura.
Neil Marshal (The Descent), Eli
Roth (Hostel) e Alexandre Aja. Tre
giovani cineasti che operano
nell’horror in modo simile.
Conosci il lavoro dei colleghi?
Assolutamente. The Descent è un
capolavoro. Anche loro vogliono
tornare a un horror più reale,
sanguigno e sociale.
E’ vero che dopo Alta tensione
volevi lavorare ancora con
Giannetto De Rossi, lo storico
effettista speciale di Lucio Fulci?
Certo! Per Le colline hanno gli occhi
lo volevo assolutamente, ma
WES CRAVEN
“L’horror usa lo shock per istigare interrogativi. Soprattutto
in un popolo disinteressato come gli americani”
E’ vero che tra L’ultima casa a
purtroppo non poteva. Il suo lavoro
in Alta tensione è stato geniale.
Maestri italiani?
Il primo Dario Argento. Il suo
modo unico di unire sensualità e
sangue. Poi Lucio Fulci. I suoi
Zombi sono straordinari. E infine I
corpi presentano tracce di violenza
carnale di Sergio Martino.
Fondamentale.
Occhi(o) lungo
Craven fiuta il bingo. E
con Bassett firma il
sequel delle Colline
Le colline hanno gli occhi
e ci vedono benissimo: 15
milioni di budget e 41
milioni di incasso nei soli
Stati Uniti. Aggiungeteci
almeno altri 20 milioni
che arriveranno dai
mercati esteri, tra cui
l’Italia, e potrete dire che
il remake firmato AjaCraven è stato un
successo. Arriverà il
sequel. Wes Craven, già
colpevole di un orribile
secondo capitolo nel
lontano 1985, ne ha
scritto la sceneggiatura
insieme al figlio
Jonathan: “Un gruppo di
cadetti della Guardia
Nazionale incontra la
famiglia di mutanti
durante il loro
addestramento nel
deserto” anticipa Craven:
“Stavolta porteremo il
pubblico sotto terra,
nelle caverne dove
vivono i
mutanti”. Il
sequel è stato
offerto ad
Alexandre Aja,
ma il regista
del remake ha
rifiutato perché
impegnato in
The Waiting,
horror con
fantasmi. La
Fox Searchlight
ha chiesto a
Craven di
sfornare il
sequel entro la
fine dell’anno.
Il vecchio Wes
ha allora optato
per Michael J.
Bassett,
cineasta
segnalatosi per
l’horror del 2003
Deathwatch, mai
distribuito nel nostro
paese. Le colline hanno
gli occhi 2 verrà girato
questa estate.
(F. A.)
sinistra (1971) e Le colline hanno
gli occhi (1977) non riuscì a
dirigere un altro film perché i
produttori pensavano che fosse
uno psicopatico?
Fondamentalmente sì. L’ultima casa
a sinistra offese molte persone.
Dopo quel film scrissi molte
sceneggiature: una commedia su un
concorso di bellezza intitolata
American Beauty, una versione della
fiaba di Hansel e Gretel e un film
ispirato alla figura del Colonnello
“caccia alle streghe”. Il cinema di
genere può raccontare un periodo
meglio del cinema d’autore.
E l’horror?
È una sveglia brutale che istiga il
pubblico a farsi più domande
attraverso lo shock e il fastidio. Lo
spettatore tipico dell’horror nel
nostro paese non ha forti
convinzioni politiche. Per questo i
nostri film possono avere su di lui
un impatto ancora più forte.
Che ne pensa del remake di Aja?
Ho amato molto quello che ha fatto
Anthony Heartle, il primo militare
americano che perseguì penalmente
le torture del suo esercito in
Vietnam. Nessuno era interessato a
quei film perché il regista era Wes
Craven, lo psicopatico che aveva
partorito il malsano L’ultima casa a
sinistra. Avevo guadagnato con quel
film almeno 100 mila dollari ma in
sei anni, tra tasse e spese varie, li
avevo finiti quasi tutti. Tornai
all’horror. Francamente era l’ultima
cosa che volessi fare, ma visto che
stavo rischiando la bancarotta,
realizzai di corsa Le colline hanno gli
occhi.
Viviamo un’epoca in cui torna
l’horror politico che facevate nei
‘70. Perché?
All’epoca c’era il Vietnam e il
Watergate. Oggi abbiamo l’Iraq e
Katrina. Quando ho realizzato
l’originale pensavo che il governo
fosse inaffidabile. Mi ricordai di
quando Don Siegel fece L’invasione
degli ultracorpi durante l’era
McCarthy e di quanto quel film
fosse un’allegoria geniale della
Alex. L’idea è: abbiamo fatto delle
cose orribili in passato e ora ne
paghiamo il prezzo.
Ora i ragazzini fanno film come i
maestri e un maestro come lei fa
film per ragazzini come Scream,
Cursed e Red Eye. Perché?
Francamente non so. Aspetto
l’ispirazione giusta e continuo a
tenermi molto occupato con mille
progetti per lanciare giovani
cineasti. Penso di poter fare ancora
un horror realmente tosto. E’ buffo
che Scream oggi venga considerato
un filmetto per ragazzini, perché
all’epoca lo feci proprio per tornare
all’horror duro dopo la parentesi
comica di Vampiro a Brooklyn.
Giugno 2006 RdC 39
SpecialeHorror > Il caso Omen
DIAVOLO DI UN RE
Sulla scia di un antico Presagio e di simbologie
inquietanti, il ritorno dell’Anticristo con Omen 666.
L’appuntamento? Il 06/06/06, ovviamente
di Federico Pontiggia
N
ell’Apocalisse di Giovanni,
13:18, è scritto: “Qui sta la
sapienza. Chi ha
intelligenza calcoli il numero della
bestia: essa rappresenta un nome
d’uomo. E tal cifra è
seicentosessantasei”. Sesto giorno,
sesto mese, sesto anno: 6/6/06. E’
la data di uscita di Omen 666,
remake del classico horror The
Omen (Il presagio) diretto da
40 RdC Giugno 2006
Richard Donner nel 1976. Classico
perché l’inquietudine che lo
pervade è demoniaca: il 666 quale
trinità blasfema di Satana, terra di
nessuno tra uomo (simbologia
numerica 5) e Dio (7). Se Donner
cavalcava proficuamente – fu con
27 milioni di dollari tra i maggiori
incassi dell’anno – l’onda
orrorifico-religiosa dell’Esorcista di
Friedkin, il remake scritto
Alcune scene
di Omen 666.
Accanto il piccolo
Seamus DaveyFitzpatrick
dall’esordiente Daniel McDermott
con lo sceneggiatore dell’originale
David Seltzer e diretto da John
Moore (Behind Enemy Lines)
assorbe la paura apocalittica che
percorre lo scenario globale post11 settembre 2001. E che la società
distributrice 20th Century Fox non
ha mancato di riattizzare, evocando
Nostradamus quale preconizzatore
dell’11/9 (“Cinque e quaranta
gradi cielo brucerà, Fuoco si
avvicina alla grande città nuova”) e
della Terza Guerra Mondiale
scatenata dall’Anticristo (“Il capo
di Londra col regno d’America
sarà, l’Isola di Scozia il gelo
invaderà: Re ribelle e mendace
Anticristo avranno, Che tutti
quanti nelle dispute li
MAKE
spingeranno”). Non c’è troppo da
stupirsi, dunque, se tale Terica
Washington di Daytona Beach,
Florida, abbia interpretato quale
minaccia terroristica l’aereo
passeggeri su cui campeggiava la
scritta promozionale “6/6/06. Siete
stati avvertiti” e informato l’FBI. Se
il terreno spettatoriale è
decisamente fertile, il risultato
artistico di Omen 666 – primo
remake dopo i tre dimenticabili
sequel - appare sulla carta meno
incontrovertibile. Rispetto a un
originale che sfiora – per chi scrive
con maggior legittimità
dell’Esorcista – lo status di
capolavoro del genere: cast di
prim’ordine, con un Gregory Peck
straordinario nella parte del
diplomatico Usa padre della
Bestia Harvey Stephens;
sceneggiatura con una sola
sbavatura (il ritorno di Robert
Thorn all’ospedale romano in
cui venne alla luce
l’Anticristo); colonna sonora
che valse l’Oscar a Jerry
Goldsmith e, sul piano poetico
tout-court, la miscela implosiva di
scetticismo e ineluttabilità. La sfida
è comunque aperta. Trent’anni
dopo ci si affida a Liev Schreiber e
Julia Stiles per il ruolo degli
inconsapevoli genitori – adottivi del demonio Damien (Seamus
Davey-Fitzpatrick all’esordio sul
grande schermo), Pete
Postlethwaite nella tonaca di padre
Brennan e Mia Farrow, che porta
in dote l’eredità di Rosemary’s Baby
alla governante Baylock. A loro il
compito di riaffilare l’Arma letale
impugnata da Richard Donner. Nel
nome dell’Anticristo.
OSSESSIONI RELIGIOSE
I vampiri di Ferrara e la Passione di Gibson: quando
l’horror è sacro
Se la dimensione religiosa
percorre più o meno
sotterraneamente tutto il
genere horror - basti pensare
agli zombie morti viventi o alla
croce nemesi del vampiro –
due sono i titoli su cui
vogliamo soffermarci: The
Addiction di Abel Ferrara e La
passione di Cristo di Mel
filosofia: finzione
(cinematografica) e pensiero
(esistenzialista) devono
ugualmente fronteggiare la
nostra dipendenza dal Male. E
la religione/redenzione
scaturisce dal sangue nero che
sporca le labbra di Lili Taylor.
Rosso vivo, invece, è quello
che sgorga copiosamente dal
Gibson, agli antipodi per
qualità e quantità del rapporto
horror-religione. Nella cornice
del film di vampiri Ferrara
stigmatizza l’orrore del genere
umano, con la New York bassa
e sporca che condivide la
maledizione (Fluch) dell’alta
corpo flagellato del Cristo di
Gibson, la cui Passione arriva a
sconvolgere il confine tra
rappresentazione della
violenza e violenza della
rappresentazione. Sequenze
splatter in cui l’horror scarifica
(F. P.)
il volto di Cristo.
Giugno 2006 RdC 41
SpecialeHorror > In arrivo
BRIVIDI ALL’ORIZZONTE
Il nuovo Tobe Hooper, il terzo The Eye, il ritorno di Demi Moore in Half Light: ecco i titoli che ci aspettano fino al 2007
di Marco Spagnoli
HALF LIGHT
Di Craig Rosenberg Con Demi Moore
Dopo la tragica morte del suo bambino di
cinque anni, la scrittrice di bestseller
Rachel Carlson si trasferisce in un piccolo
cottage sulla costa scozzese. La donna
sembra soffrire di allucinazioni e non
sapere più distinguere verità e finzione. Il
ritorno di Demi Moore al cinema dopo tre
anni di assenza… Questo sì che fa paura!
THE REAPING
Di Stephen Hopkins Con Hilary Swank
Il regista di 24 e di Tu chiamami Peter
torna all’amore giovanile per l’horror con
un film incentrato su un’ex missionaria
che dopo avere perso tutta la sua famiglia
e la sua fede, è diventata famosa grazie al
demistificare falsi fenomeni paranormali.
Arrivata in una cittadina della Louisiana,
però, la donna si trova di fronte a
qualcosa di non spiegabile attraverso la
semplice razionalità.
42 RdC Giugno 2006
SILENT HILL
Di Cristophe Gans Con Radha Mitchell,
Sean Bean
Diretto dal regista de Il patto dei lupi e
ispirato al famosissimo videogioco, il film
racconta la storia di Rose che, dopo un
incidente d’auto insieme alla figlia
gravemente malata, resta “intrappolata”
in un’altra dimensione, nella città deserta
e infestata da misteriose presenze di
Silent Hill. Per salvare la sua bambina, la
donna dovrà “allearsi” con un enigmatico
demone.
SLITHER
Di James Gunn Con Nathan Fillion,
Elizabeth Banks, Michael Rooker
Lo sceneggiatore dei due Scooby Doo
debutta alla regia con una commedia,
omaggio al genere horror che ha sempre
IL CUSTODE
Di Tobe Hooper Con Daniel Byrd
Da uno dei maestri dell’horror una
classica ghost story con la famiglia
Doyle trasferitasi nella campagna
californiana, nella casa funeraria
PULSE
Di Jim Sonzero Con Kristen Bell, Tate
Hanyok, Ian Somerhalder, Christina Milian
Basato sulla sceneggiatura del regista di
horror nipponici Kiyoshi Kurosawa per il suo
amato. La storia è quella di una città che,
contaminata da un virus alieno, vede
trasformarsi i suoi abitanti in zombie e
mostri mutanti. Un film pieno di citazioni:
basti pensare che il sindaco della città
porta il nome del personaggio di Kurt
Russell ne La cosa di John Carpenter.
THE DARK
abbandonata dai fratelli Fowler. Gli
abitanti del luogo però evitano quel
posto perché pensano che la casa non
sia completamente abbandonata. Presto
anche i Doyle dovranno vedersela con le
“presenze” che frequentano la loro
nuova dimora.
THE BREED
Kairo (2001), il film prodotto dai fratelli
Weinstein esplora la possibilità di dialogare
con l’aldilà attraverso e-mail, internet e
telefonia mobile. Quando un ragazzo
muore, il suo tornare in contatto con gli
amici rivela un inquietante segreto.
THE EYE INFINITY
Di John Fawcett Con Sean Bean, Maria
Bello, Richard Elfyn, Maurice Roëves
Adele e James hanno perso la figlia,
precipitata giù da una scogliera. Il suo
corpo non è stato più ritrovato. I due
Di Nicholas Mastandrea Con Michelle
Rodriguez, Taryn Manning, Oliver Hudson
Prodotto da Wes Craven, il film racconta
l’insolita avventura, in un’isola deserta, di
cinque studenti di college alle prese con
Di Oxide Pang Chun & Danny Pang Con Bolinchen, Gyu gu
Terzo capitolo della saga di The Eye, che
arriva nelle sale mentre il primo film è
cercano di reagire al dolore, fino a quando
una bambina comincia a perseguitare la
donna, che in un primo momento crederà
di aver ritrovato sua figlia. Un piccolo
dettaglio le fa capire di essersi sbagliata:
questa bambina dice di essere morta
sessant’anni prima.
abitanti tutt’altro che amichevoli. Un
weekend di divertimento diventa così un
incubo per i ragazzi, tra cui spicca
l’avvenente (e combattiva) Michelle
Rodriguez, che dopo Lost alle isole
“pericolose” dovrebbe averci fatto
l’abitudine.
oggetto di un remake statunitense.
Ambientato in Thailandia, il film racconta
l’avventura di un gruppo di amici che
grazie ad un conoscente locale, vengono
in contatto con un libro che mostra dieci
maniere diverse per vedere i fantasmi.
Giugno 2006 RdC 43
SpecialeHorror > Mostri in galleriaGli altri...
L’ABBECEDARIO
DEL
TERRORE
Da Frankenstein a Freddy Krueger, da Hitchcock agli slasher, nomi
e volti della paura. Fino al moderno incubo genetico-batteriologico
di Massimo Monteleone
’’M
ostri da un passato
ancestrale” per lo
psicanalista dell’inconscio
Jung, “terrore reverenziale del
demoniaco” per l’antropologo
Mazzini Rizzo, “speranza di essere
terrorizzati” per il produttore horror
Val Lewton. Sono queste le ragioni
psicologico-culturali a cui
rimandano i tipici ingredienti del
genere: l’immagine del “mostro”; la
manifestazione soprannaturale;
l’“ombra”, nel senso del terrore
indistinto, della minaccia occulta, di
ciò che si nasconde nel buio. Il
dilemma primario è se riempire lo
schermo di orrori oggettivizzati –
cioè mostruosità, sangue e visioni
44 RdC Giugno 2006
macabre – oppure scegliere la strada
del raccapriccio indiretto, dell’ellissi
inquietante. L’Espressionismo
tedesco degli anni ’20 prediligeva le
“ombre ammonitrici”, i chiaroscuri
e le scenografie distorte per incutere
il terrore pre-hitleriano, nonostante
i protagonisti fossero vampiri,
golem, sonnambuli assassini e
demoni. Diversamente, l’horror
hollywoodiano degli anni ’30
metteva in scena con spettacolari
make-up una galleria di mostri:
Frankenstein, Dracula, La mummia,
L’uomo lupo, King Kong, La maschera
di cera – e la variante tabù dei
mostri “reali” di Tod Browning:
Freaks. Gli incubi muti di Weimar
derivavano sia dalla psicologia che
dalle radici culturali di quella terra.
E se Edgar Allan Poe, sosteneva che
“il terrore non nasce in Germania,
ma nell’anima”, Heinrich Heine
rispondeva con orgoglio: “Lasciate a
noi tedeschi gli orrori del delirio, i
sogni della febbre, il regno dei
fantasmi. La Germania è un paese
che si addice alle vecchie streghe,
alle pelli d’orso redivive ed ai golem
di ogni sesso”. Gli incubi di Val
Lewton recuperarono la dimensione
ambigua e non esplicita (presente
anche nel Dreyer di Vampyr), con
l’aggiunta di un ingrediente talvolta
di maggiore effetto rispetto al
momento “shock”: la suspense. Ne
fu maestro Hitchcock, che ha
dimostrato in Psyco come il thriller e
l’horror possano combinarsi
perfettamente (la ricetta “giallo +
macabro” fu applicata poi in Italia
da Mario Bava e Dario argento).
Psyco fu girato in bianco e nero per
non mostrare il rosso del sangue.
Ciò che Hitchcock non aveva
esplicitato (necrofilia e
cannibalismo) lo fece capire Tobe
Hooper in Non aprite quella porta
(’74). Il film era basato sugli stessi
fatti (il “macellaio” Ed Gein), ma
col crudo realismo del colore e col
rumore insopportabile della
motosega, divenuta poi uno
strumento-simbolo dei film splatter.
Il filone slasher degli anni ‘70/’80 (le
serie Halloween, Venerdì 13, etc.), ha
avuto nelle armi da taglio l’ingrediente
primario. E ha estremizzato in senso
emoglobinico gli orrori inglesi a colori
degli anni ‘60/’70 e le premesse
macabro-organiche del new horror
statunitense, condensate nel classico
di Romero La notte dei morti viventi
(’68). E’ il seminale filmspartiacque fra l’horror gotico delle
suggestioni chiaroscurate e il nuovo
“grand-guignol” barocco
contemporaneo, fatto di anatomie
straziate, di psicopatici in maschera
e di esperimenti sulla “nuova carne”
(i film di Cronenberg). E il
La mummia e
Nosferatu. Sopra e
nella pagina accanto
Dracula di Bram
Stoker, Wolf Creek e
Frankenstein
soprannaturale demoniaco? Nel
cinema moderno ha scelto due
strade. Una è quella inaugurata
negli anni ’70 da L’esorcista e Il
presagio. L’altra è vestire il demone
coi panni del serial-killer, creando
un mostro di metafisica valenza.
L’Omo Nero che agisce
crudelmente nel territorio onirico,
nell’inconscio giovanile, saldando la
spiegazione psicanalitica a quella
surreal-fantastica. E’ il caso di
Freddy Krueger, lo spauracchio
della serie Nightmare on Elm Street,
ormai divenuto una maschera della
Commedia (nera) dell’Arte horror.
Il Morfeo macabro con l’artiglio di
lame è già un pezzo di storia del
genere, archiviato nella galleria dei
mostri che si scambiano le visite
(un tempo c’era Dracula contro
Frankenstein, di recente c’è stato
Freddy vs. Jason).
Nell’horror odierno, a parte
riletture post-moderne di temi
classici come Maschera di cera o il
mix metropolitano di vampiri e
licantropi di Underworld, la paura e
i mostri scaturiscono dai laboratori
di armi batteriologiche e
dell’ingegneria genetica (i Resident
Evil ). Dunque dal connubio letale
fra fantascienza e orrore (la
contaminazione produce gli
zombie). Un connubio con
nuovi allarmi socio-politici, ma
che in realtà risale – in chiave
più romantico-esistenziale – al
mito di Frankenstein.
Mary Shelley ha infatti
“cucito” assieme (è il
termine adatto) gli
esperimenti elettrici di
Galvani e il sacrilego
trafugamento dei defunti dalla
tomba.
Giugno 2006 RdC 45
SpecialeHorror > Incubi d’autore
NEBBIA
LETALE
Tormenti privati e angosce collettive targati John Carpenter.
Fog continua a mietere vittime, ma non ha eredi
di Luca Pallanch
46 RdC Giugno 2006
N
ella catena di montaggio di
Hollywood, alla voce “remake”,
dopo Distretto 13: le brigate della
morte finisce un altro gioiello di John
Carpenter: Fog, un piccolo film,
incastonato fra i suoi due titoli più noti,
Halloween: la notte delle streghe e 1997:
Fuga da New York. È sufficiente citare
queste quattro opere, situate tra il 1976 e
il 1981, per comprendere la centralità di
Carpenter nel cinema americano della
seconda metà degli anni settanta. Proprio
Fog consente di apprezzarne appieno la
grandezza “autoriale”, pur nel contesto di
un film di genere, debitore, come sempre
avviene nel suo cinema, di quelli di
fantascienza e di paura amati nella
giovinezza. E consente di riflettere sui
meccanismi della tensione di cui è stato
un maestro grazie a un lavoro di
sottrazione, ancor più straordinario in anni
in cui la componente horror tendeva a
prevalere, fino a scadere nello splatter. “Io
trovo – ha dichiarato Carpenter – che il
mezzo più nobile e più efficace mai
escogitato per far paura, è non mostrare
troppo! Soprattutto non sforzarsi di essere
chiari! Se ora vediamo tutto questo sangue
è perché sovente il regista non conosce
altro modo per toccare il suo pubblico, e
trova questo più facile da fare” (da “Il
Castoro” dedicato al regista americano da
Fabrizio Liberti). Fog è un film dell’orrore
sostenuto dalla suspense tipica di un
thriller, scandita dall’incedere inesorabile
del Tempo, che è il grande alleato del
regista nelle sue opere più mature. Il
tempo alimenta la lotta per la
sopravvivenza, in cui emerge, come figura
centrale, l’eroe chiamato a salvare la
comunità, normalmente coincidente con i
confini di un cittadina. La notte, con il
suo retaggio di paure infantili, è lo
scenario perfetto per ambientare le storie,
la cui origine si perde in vicende lontane,
ancestrali. Nel caso di Fog risalgono alla
nascita della comunità di Antonio Bay,
quando una nave di lebbrosi, in una notte
di forte nebbia, fu attratta dalla luce di un
falò e finì contro gli scogli, un naufragio
organizzato dagli abitanti del paese per
depredarli. È passato un secolo, nella
Giugno 2006 RdC 47
SpecialeHorror > Incubi d’autore
GLI SPETTRI DEL
PASSATO
PREANNUNCIATI DALLA NEBBIA
RITORNANO
PER SALDARE I CONTI CON
LA STORIA
cittadina si preparano i festeggiamenti, ma
gli spettri del passato, preannunciati dalla
nebbia, ritornano per saldare i conti con
la Storia. Una storia di fantasmi, simile a
quelle che si raccontano ai bambini per
spaventarli. Non le favole, con il bene e il
male perfettamente distinti, ma le storie
avvolte nel mistero in cui i confini fra
l’uno e l’altro tendono a smarrirsi. La
dialettica fra il bene e il male, su cui
48 RdC Giugno 2006
Carpenter ha costruito il suo cinema, ha
spesso delle zone d’ombra: basti pensare
agli eroi per antonomasia del suo cinema,
Napoleone Wilson in Distretto 13 e
Snake/Jena Plissken in 1997: Fuga da
New York, due detenuti che rivelano, nella
lotta per la sopravvivenza, un profondo
senso morale. Carpenter scrisse la
sceneggiatura di Fog in due settimane,
Distretto 13 in otto giorni, Halloween in
dieci (il miglior Carpenter scrive in fretta
e gira velocemente): in ognuno di questi
film è palpabile il frutto dell’ispirazione.
Sono storie che si fondano su un’idea
forte, chiamiamola intuizione o colpo di
genio, attorno a cui costruisce un
meccanismo perfetto, per il quale si avvale
della sua cultura letteraria e
cinematografica, da Poe a Lovecraft, da
Hawks a Hitchcock. Il suo cinema si
nutre di omaggi e citazioni, in perfetta
sintonia con la categoria del
postmoderno, ma lo stile è personale
perché la sua classicità (da bambino che si
impossessa della macchina da presa senza
abiurare i suoi sogni e i suoi incubi) si
iscrive perfettamente nel cinema anni
ottanta, ne condivide gli umori, lo spirito,
i tempi narrativi, il ritmo soprattutto,
tanto da poter essere posto a confronto
con molti autori in auge in quegli anni, a
cominciare dal nostro Dario Argento. Ed
è uno stile unico, proprio perché si porta
dietro il retaggio del cinema americano
anni cinquanta, in cui i film di consumo
sono ormai considerati piccoli capolavori,
prestandosi a molteplici letture, complice
la guerra fredda e le paure che scatenò. La
capacità, inoltre, di tratteggiare
personaggi indimenticabili, archetipi
universali, e di scavare nel profondo fino a
far emergere dall’inconscio dello
spettatore paure che portano pur sempre
con sé i tratti di angosce collettive. I suoi
eroi e i suoi fantasmi lottano contro il
sistema e assumono una valenza politica,
sempre più presente nei suoi film
successivi (Essi vivono, Il seme della follia).
Una visione così nitida della storia e dei
personaggi non ha bisogno di essere
supportata da grandi effetti speciali e colpi
di macelleria: la paura per Carpenter si
confonde con l’oscurità dell’inconscio, è
una sensazione sotterranea e contagiosa
che cresce parallelamente all’incedere
angosciante del tempo. “I film sono
emozioni, un pubblico dovrebbe piangere,
ridere o spaventarsi”. E Carpenter gioca
con le emozioni dello spettatore, le
conosce perché sono le stesse che lui ha
provato: appartiene a una generazione di
registi che prima di studiare cinema,
hanno visto e consumato film, non tanto
come cinefili ma come spettatori. Per poi,
crescendo, allontanarsi da quello
spettatore e perdere, parallelamente, il
contatto con la realtà, che prima
filtravano attraverso la visione di film.
Destino comune a molti altri registi della
sua generazione: Dante, Landis, Milius,
forse anche Cimino e De Palma. Ma film
come Fog testimoniano, anche a distanza
di anni, una vitalità, sia nella narrazione
sia nella rappresentazione, che il cinema
americano contemporaneo ha smarrito.
Di qui il ricorso all’arma impropria del
remake, che ha il merito se non altro di
spingerci a vedere e rivedere l’originale,
salvo poi rimpiangere i bei film andati…
GIOVANI, CARINI E RASSERENATI
Politically correct e adolescenziale: il remake di
Wainwright è senza fascino
Perché The Fog - Nebbia
assassina di Rupert
Wainwright è un prodotto
ordinario mentre l’originale di
Carpenter si è ritagliato uno
spazio importante nel cinema
horror anni Settanta?
Wainwright spinge
sull’acceleratore della
gioventù: la storia d’amore, il
tradimento, il conflitto con i
genitori, la ribellione, la
voglia di fuggire. Su questo
tessuto narrativo innesta
una storia che non è diversa
da quella scritta da Carpenter
e Debra Hill, con qualche
lieve, ma sostanziale,
variante. Inutile dire che la
ragazza ha il volto della
giovane diva di Lost Maggie
Grace, così come il suo
ragazzo è interpretato
dall’eroe di Smallville Tom
Welling. Sono loro i
protagonisti, ben più giovani
rispetto a quelli del film di
Carpenter, così come più
giovane è l’annunciatrice
Fog ieri e oggi.
Accanto una
sequenza
dell’originale
della radio (Selma Blair,
lanciata da Cruel Intentions),
il che permette di inserire
una possibile insidia all’amore
dei due protagonisti. Ci sono
tutti gli ingredienti per un
film giovanile, con tanto di
amico con la battuta pronta a
stemperare la tensione, ma
dovendo raccontare una
storia di spettri, tanto vale
privilegiare il lato thriller
della vicenda. La nebbia e la
notte: Carpenter gioca con le
angosce dell’uomo e semina
terrore. Wainwright realizza
un horror, egualmente pulito.
Però, non confidando più
nella capacità della nebbia di
reggere l’intera storia,
mischia le carte e intreccia i
legami fra i protagonisti, fra
presente e passato,
congegnando un film troppo
ragionato. Tanto il film di
Carpenter era politically
uncorrect, perché i cattivi
erano i buoni riemersi dal
baratro per vendicarsi, così
quello di Wainwright è
politicamente corretto,
perché neutralizza ogni
elemento di rottura
attraverso il filtro del filone
giovanile. Se non si
scorgessero all’orizzonte
prospettive di guadagno, ci si
domanderebbe il motivo di
riesumare Fog dalla storia del
genere horror. La verità è che
si possono acquistare i diritti
di un film, ma il fascino non è
in vendita.
(L. P.)
Giugno 2006 RdC 49
SpecialeHorror > Italia oggi
SBATTI I MOSTRI
IN PRIMA PAGINA
Tramontata l’era di Bava e Argento, Infascelli porta il
nuovo film in edicola. Mentre Puglielli sceglie il dvd
e Segatori sbarca Oltreoceano
di Angela Prudenzi
C’
era una volta l’horror
italiano. C’erano i film di
Bava e Fulci, poi quelli di
Argento, Avati, Massaccesi,
Deodato, Lenzi. C’erano, e non ci
sono più. Due decenni e si è spenta
la fiamma di un genere che tanto ha
brillato. Una realtà impossibile da
spiegare, soprattutto se si pensa a
quanto vendono i noir nelle librerie.
Naturale chiedersi perché a fronte
di un mercato cinematografico
saturo di thriller stranieri che
incassano cifre sorprendenti, la
produzione italiana sia così
stagnante. Pesa la mancanza di idee
in grado di rinverdire il genere, ma
il problema sembra soprattutto
economico. I produttori non sono
più disposti a rischiare, e fortuna
che molti giovani non hanno paura
di battere strade nuove. Alex
Infascelli, forte del successo di
Almost Blue e del Siero delle vanità,
ha scelto di sperimentare una
Antonio Cupo in
Hollywood Flies. Sopra
Alex Infascelli, accanto
Eros Puglielli. Nell’altra
pagina H2Odio
50 RdC Giugno 2006
Arrivederci
orrore, ciao
“Osservare la realtà
per rinnovare il
genere”: l’imperativo
di Michele Soavi
formula inedita, quella del film a
basso budget veicolato
direttamente nelle edicole. Il
risultato, H2Odio, è un horror
dell’anima, visivamente molto
libero. “Questa formula – spiega il
regista – ha permesso di esprimere
appieno le mie intenzioni d’autore.
Non rinnego le esperienze
precedenti, ma stavolta ho
mantenuto intatta la creatività
senza adattare il mio mondo ad
uno già precostituito. Le vendite
stanno andando bene e ciò
dimostra che si può partire da
un’esigenza artistica senza essere
vittime degli incassi. Certo, mi
piace uscire nelle sale, ma se il
Ha avuto per maestro
Massaccesi, ma la sua
ammirazione va a Romero:
“Nei suoi film dietro il
sangue resta sempre
visibile il punto di vista sul
mondo”. Per Michele
Soavi, autore di pellicole di
culto quali Dellamorte
Dellamore, La setta e La
chiesa, “l’horror italiano è
caduto nell’oblio perché
sono mancati personaggi e
storie forti. E’ ora di
rinnovare il genere, ma
con l’occhio alla realtà del
paese”. Quali soluzioni?
“Leggere molto. Non sono
il solo che si butta su ogni
noir pubblicato. Almost
blue ce lo siamo contesi in
tanti”. Una via potrebbe
essere quella intrapresa
con Arriverderci amore,
ciao, che coniuga
l’indagine psicologica con
il thriller-horror. “Nel
romanzo c’era già tutto:
angoscia e morte, delitto
ma non castigo, bene e
male. E’ quest’ultimo che
va cercato nel profondo
dell’animo umano”. Eppure
di recente non sono
mancati i tentativi di
ritrarre il male, che cosa
non ha funzionato? “Molti
registi non smettono mai
di guardarsi. Bisogna
uscire da se stessi e
ricominciare ad avere
occhi per il mondo che ci
(A. P.)
circonda”.
prezzo da pagare è la rinuncia a
una parte di me, allora ben
vengano le edicole. L’importante è
non dimenticare che il cinema è e
resta un’industria. Sono contro il
cinema tra amici, tutti devono
essere pagati, altrimenti si fa un
favore a quei produttori che non
puntano sui giovani”. Dello stesso
parere è Eros Puglielli, che dopo
essersi cimentato nel genere con
Occhi di cristallo, di recente ha
realizzato per il mercato homevideo
AD Project, curioso mix di
fantascienza e horror. Lui, gli
attori, i tecnici, si sono dati un
valore e in proporzione divisi le
quote che arriveranno dalla
distribuzione. “Produrre in libertà
ampiamente ripagato dei costi.
Inutile dire che i distributori
italiani lo hanno ignorato.
Comunque un’esperienza positiva
che ha aperto le porte a un’altra
avventura: Segatori è in partenza
per gli Usa dove girerà Dark Roots,
un horror per stomaci forti. “Non
posso negare di essere deluso –
racconta -, ma la delusione non è
solo personale. Penso al fatto che il
nostro cinema non partecipa più al
mercato internazionale. I film di
genere negli anni ’60 e ’70
riuscivano ad avere delle prevendite
all’estero, oggi i produttori si
preoccupano solo di ripagare i costi
con il mercato interno. La fetta più
grande dell’homevideo, si parla del
significa recuperare una
dimensione simile a quella delle
altre arti – spiega Puglielli -, sei tu e
il tuo progetto e basta. E’ un po’
come andare verso l’imponderabile
e, se si lavora su un soggetto che ha
anche fare con l’inconscio come
AD Project, è molto importante”.
Sulle potenzialità di un recupero
dei temi fantastici propri della
nostra cultura, Puglielli crede
molto: “L’Italia è piena di storie di
superstizione, di fantasmi, ma i
produttori non ne vogliono sapere.
Hanno dimenticato che le stesse
storie fino agli anni ’80 hanno
venduto in tutto il mondo. Oggi
non provano nemmeno a fare lo
sforzo di proporre prodotti che in
America comprerebbero ad occhi
chiusi”. L’oceano lo ha invece
varcato Fabio Segatori, che in
America ha realizzato Hollywood
Flies, apprezzato thriller, da poco
mostrato sul canale Showtime e
che nei blockbuster si è già
60-70%, è strappata dal noir in
tutte le sue sfumature. E noi non
partecipiamo. Eppure io sono la
prova che con un buon soggetto ci
si può far ascoltare anche in
America. Ci tengo ad essere
italiano, sia chiaro, ma qui sento di
non avere interlocutori”. Una
storia, quella di Segatori, che
dovrebbe far riflettere. L’avventura
di un singolo dimostra ciò che
dovremmo conoscere a memoria:
godiamo ancora di un immenso
credito. Perché non approfittarne?
Giugno 2006 RdC 51
È UNA FIRMA, MA È ANCHE MOLTO DI PIÙ.
Per informazioni www.8xmille.it
Ripartizione 8xmille (milioni di euro)
Esigenze di culto e pastorale
Interventi caritativi
Sostentamento del clero
2003 2004 2005
452,0 442,0 471,3
185,0 190,0 195,0
329,5 319,5 315,0
La tua firma è arrivata sui Monti Nuba in Sudan, dove
ha trasformato un miraggio in una scuola fatta di fango
e di amore. In questi anni ha sostenuto anche 39 mila
sacerdoti nella loro missione evangelica. Ha aiutato
Sostentamento dei sacerdoti
Carità in Italia
Carità nel Terzo Mondo
i poveri in Italia e ha reso possibile l'apertura
di nuovi oratori e il restauro di antiche
chiese. In un viaggio di speranza di oltre 6000
interventi, che portano anche il tuo nome.
Culto e Pastorale
Con l’8xmille alla Chiesa Cattolica
avete fatto molto, per tanti.
C.E.I. Conferenza Episcopale Italiana
PERSONAGGI
Meryl
54 RdC Giugno 2006
Q
uasi trent’anni di cinema e 2 Oscar accompagnato l’innocenza e la gioventù di
vinti non sono bastati a Meryl
tutta la mia generazione”. Note e voci che
Streep per reggere all’emozione. “E’ l’hanno seguita da quando frequentava
la magia del cinema”, dice lei sorridendo. E Yale. Con la compagna di classe Sigourney
la magia di Radio America, il film corale
Weaver fantasticava di opera e teatro
con cui il Robert Altman saluta un’epoca e perché, diceva, più del cinema ti fanno
un paese che non ci sono più. Toni
“sentire il pubblico”. Una convinzione che
scanzonati e ritmi country mascherano una il successo non ha cancellato. Tra un ciak e
melanconia che non lascia scampo. Il
un altro del prossimo Il diavolo veste Prada,
ruvido John C. Reilly, lo sboccacciato
la Streep è infatti volata a Londra, per il
Woody Harrelson, perfino la giovane
puro gusto di recitare di fronte agli attoniti
Lindsay Lohan e quel buontempone di
passanti di Hyde Park. “Una sensazione
Kevin Kline se ne sono accorti. Tutti ad
simile – racconta – a quella vissuta sul set
applaudire commossi, mentre Lily Tomlin
di Radio America. E’ stato uno
intonava sul palco una dolorosa cantata su
straordinario lavoro corale. Eravamo
vita, morte e rapporto coi genitori. Tanto è insieme dalla mattina alla sera, come al
bastato perché fra le crepe del mostro sacro cinema capita molto di rado”.
emergesse prepotente la donna. Un pianto
Immaginiamo Kevin Kline, addetto alla
liberatorio in cui Meryl Streep ha messo
sicurezza strappato alle pagine di Raymond
gioia, rimpianti e soddisfazioni di una vita
Chandler, fare le prove davanti allo
intera. Come i trascorsi da cameriera nel
specchio col suo gessato. E immaginiamo
suo New Jersey, le mance messe da parte
anche i cowboy John C. Reilly e Woody
per pagarsi le lezioni di canto. E poi quel
Harrelson ripassare la strofetta country
primo Oscar per Kramer contro Kramer a
dell’elefante all’uomo nudo: “Ehi, carino
confermarle che sì, aveva imboccato la
quel coso! Ma davvero riesci a respirarci?”.
strada giusta. Da allora sono passati 27
Si è divertita un mondo Meryl Streep.
anni, 13 nomination e 4 figli. Grazie a
Anche perché finalmente ha potuto
Cimino, Pakula e Eastwood ha capito che
cantare, come sognava fin da bambina:
al cinema vuole far ridere e piangere. Per
“Quando ho fatto il provino – se la ride
questo sognava da anni di lavorare con
con Altman – mi ha chiesto soltanto di
Altman. “Il suo nome è una garanzia - dice cantare. Non di essere brava!”. Copione in
-. E la prospettiva che ha scelto per
tasca e tanta improvvisazione, come ormai
raccontare l’America lo conferma”. A
può soltanto l’ultima grande signora di
Prairie Home Companion, cioè: il popolare
Hollywood.
show radiofonico, che
dal ’74 a oggi ha
Meryl Streep in Radio
incarnato l’anima del
America. Accanto con la
Lohan, a sinistra in Kramer
paese, raggiungendo
contro Kramer
oltre 35 milioni di
spettatori in tutto il
mondo. Tra i fan più
accaniti, insieme alla
signora Altman a cui
dobbiamo l’idea del
film, anche la stessa
Streep: “Lo ascolto da
sempre e ci sono molto
affezionata. E’ una
trasmissione che ha
FREQUENZE
DISTURBANTI
Il regista di Nashville continua
a graffiare. Nell’etere
81 anni di cinema e vita, in cui
Altman ha cambiato e visto cambiare il
mondo dello spettacolo, senza mai
rinunciare alla sua graffiante zampata.
Per questo la scelta di A Prairie Home
Companion, il celebre programma
radiofonico di Garrison Keillor, per cui
il celebre conduttore si è improvvisato
anche sul set e alla sceneggiatura.
Siamo a St. Paul, Minnesota. Sul palco
del Fitzgerald Theater che ospita lo
spettacolo sta andando in onda
l’ultima puntata. Le sorelle Johnson
col volto di Meryl Streep e Lily Tomlin,
il divertentissimo Guy Noir di Kevin
Kline e poi ancora i pirotecnici Lefty e
Dusty interpretati da John C. Reilly e
Woody Harrelson: con la trasmissione
si stanno concludendo un ciclo e tante
amicizie. Confessioni dietro le quinte e
canzoni sul palco parlano di storie di
vita, drammi familiari, radici perdute.
Ma mentre i tempi passano e la barca
affonda, Keillor continua a guardare
avanti. Con un pizzico di malinconia e
grinta da vendere, proprio come il
vecchio caro Altman.
per sempre
Dopo trent’anni di carriera e due Oscar, la Streep realizza un sogno:
cantare alla Radio (America)
DI DIEGO GIULIANI
Giugno 2006 RdC 55
Punto critico: manuale per
sopravvivere alle uscite in sala
VOLVER
Almodóvar poetico ed esemplare. Con una riflessione corale su vita, morte e ritorno alle origini
IN SALA
I fantasmi non piangono,
sostiene Carmen Maura nel
bellissimo finale del film di Pedro
Almodóvar. I fantasmi non possono
versare lacrime. Devono abitare nelle
antiche case e riposarsi nei patii.
Assistono chi si appresta a superare la
soglia della vita per lasciarla
definitivamente. Accudiscono i
morenti. Accompagnano i vivi, li
amano, li seguono discretamente. I
fantasmi conoscono l’arte misteriosa di
trattenere il tempo, di fermarlo, di
fissare quei momenti, per lo più
dolorosi, nei quali le persone e i
personaggi hanno cominciato a
diventare quello che poi saranno per il
resto dei propri giorni. Tutto su mia
madre è un film sull’assenza di un
figlio, sul vuoto assoluto e incolmabile
di un lutto che non si può elaborare, su
un amore materno che non ha
neanche una presenza fantasmatica
alla quale aggrapparsi, una presenza
impalbabile da abbracciare e da
accarezzare con affetto. Volver è un
film su una madre (in realtà più d’una
perché anche la madre di Augustina è
svanita nel nulla da anni) creduta
morta, “scomparsa”, ormai lontana e
presente. Nell’odore che ristagna nelle
stanze e nelle memorie dolenti della
intraprendente e corrucciata Raimunda
(Penélope Cruz). Nell’incertezza dei
ricordi. Il titolo attesta che il ritorno è
inevitabile, è inscritto nel destino
dell’essere umano (polvere che torna
alla polvere). Tornare alla propria
infanzia ferita o felice, al paese
d’origine, La Mancha, battuto e
spazzato dal solano, un vento
incessante che rende folli o stordisce, e
laddove gli incendi devastano la
regione e la vita degli abitanti: in uno di
quegli incendi il padre e la madre di
Raimunda e Sole (Lola Dueñas) sono
morti abbracciati e in amore. Tornare al
passato che, ostinato, irriducibile,
arrogante, pietoso, non passa mai
come ne La mala educación o in Tacchi
a spillo. Tornare per sopravvivere, per
resistere al dolore di un incesto subito
da Raimunda, all’omicidio commesso
dalla figlia (Yohana Cobo) della
protagonista per difendersi, dal senso
di colpa della nonna–fantasma per non
aver capito - come intuisce con
amarezza Anna Magnani nella breve
IL TONO E’ QUELLO DI UNA COMMEDIA DRAMMATICA, ESALTATA
DALLE STRAORDINARIE INTERPRETAZIONI DELLE ATTRICI
scena di Bellissima trasmesso dalla tv quale tragedia domestica avesse
vissuto la figlia. Ci sono molti altri
ritorni, privati e cinematografici, che
riguardano Pedro Almodóvar. I suoi
film non si pongono limiti. Le emozioni
forti e laceranti sono controllate da
uno stile sobrio, asciutto, suadente,
depurato. I materiali narrativi
palpitanti sono svelati da una scrittura
e da una messa in scena che, in questo
caso, ha le cadenze di una commedia
drammatica. La furia e la provocazione
barocca, il gioco paradossale e
postmoderno del melodramma sono
stati smussati e accantonati. Una
trama che i reality-show o i talk-show
morbosi (un modello di tv rifiutata dal
regista in modo esplicito in una scena
e in alcune spiritose e caustiche
battute dei personaggi)
trasformerebbero in volgarità dei
sentimenti, in avvilimento delle umane
sofferenze, in discount dell’emotività,
nelle mani di Almodóvar assume la
dimensione di un cinema che è
“esemplare”, una qualità intrinseca
dell’estetica classica. Già nel magnifico
Parla con lei, il regista si muoveva nella
zona opaca, nello scintillio che separa
la vita dalla morte, lungo la linea di
demarcazione tra la consapevolezza di
esserci e l’assenza di questa
consapevolezza. Volver si apre in un
cimitero, con l’operoso fervore intorno
alle tombe dei propri cari. I vivi che si
prendono cura di chi ci ha lasciato. Il
confine da valicare è lo stesso di Parla
con lei: dialogare con chi non c’è più,
con se stessi, con la propria storia, con
le proprie cadute. Come i fantasmi, le
meravigliose donne almodóvariane (le
interpretazioni sono eccezionali) non
vogliono separarsi dai luoghi in cui
sono state felici e infelici, dai luoghi in
cui tutto è nato, dai luoghi in cui
continueranno a tornare nei sogni, nei
desideri, negli incubi. Stanno lì a
guardare oltre lo scintillio. I fantasmi
non hanno crisi di nervi e non
piangono.
ENRICO MAGRELLI
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
56 RdC Giugno 2006
PEDRO ALMODÓVAR
Penélope Cruz, Carmen Maura
Drammatico, Colore
Warner Bros.
121’
iFilmDelMese
Giugno 2006 RdC 57
iFilmDelMese
10 CANOE
Vera storia di un Eden perduto. Da Rolf De Heer, tra fiaba e antropologia
IN SALA
C’era una volta… Comincia così,
come la più classica delle fiabe, 10
canoe che l’australiano Rolf De Heer
firma insieme alla popolazione della
città di Ramingining. E della fiaba ha
l’andamento leggero, sebbene la
vicenda si tinga anche di sangue.
Ambientato secoli fa, quando i bianchi
non avevano ancora colonizzato il nord
del paese, il film appena presentato
nella sezione Un certain regard del
Festival di Cannes racconta la storia di
Dayindi, giovane appartenente al
popolo Yolgnu, innamorato di una delle
tre mogli del fratello maggiore
Minygululu. Pieno di energie, mal
VITA E TRADIZIONI DEGLI ABORIGENI
AUSTRALIANI DI RAMINGINING
58 RdC Giugno 2006
sopporta di dover aspettare il consenso
degli anziani per potersi sposare, ma la
legge è legge e va rispettata. Perché
non dimentichi gli insegnamenti,
Minygululu approfitta del lungo rito che
accompagna la caccia alle oche, per
narrare una leggenda che si perde nella
notte dei tempi. Protagonista
Yeeralparil, anch’egli desideroso di
conquistare la bella cognata.
Rapimenti, vendette, punizioni e morte
si rincorrono fino a una soluzione
tragicomica che dimostra come l’uomo
debba sempre rispettare le leggi della
convivenza, anche quando terribili.
Costruito a partire da alcune foto
scattate negli anni ’30 dall’antropologo
Donald Thomson, il film è una
ricostruzione della vita dei popoli delle
terre di Arnhem, ma per la correttezza
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
PETER DJIGIRR, ROLF DE HEER
David Gulpilil, Jamie Gulpilil
Drammatico, Colore
Fandango
91’
storiografica, il rispetto delle tradizioni,
l’uso della lingua Ganalbingu, l’utilizzo
di attori aborigeni, finisce per essere
una sorta di documentario su un Eden
che l’arrivo dei bianchi ha corrotto. Un
pensiero che De Heer si guarda bene
dal gridare, lasciando che traspaia dal
racconto, dall’armonia dei paesaggi,
dalla scanzonata ironia dei
protagonisti, dalla forza dei guerrieri,
dalla bellezza delle canoe che
scivolano sulle acque durante la caccia.
Oggi circa 800 discendenti degli
Yolgnu di 15 diverse etnie vivono a
Ramingining, fondata per loro dal
governo nei primi anni ’70. La città è
lontana dalle terre di origine. Difficile
credere che non rimpiangano il loro
paradiso perduto.
ANGELA PRUDENZI
IN SALA
L’ENFER
Tanovic volta pagina e dirige un dramma al femminile fedele a Kieslowski
IN USCTA
CAPPUCCETTO
ROSSO E GLI INSOLITI
SOSPETTI
Rivisitazione postmoderna della celebre
fiaba. In 3D e senza passione
E’ il secondo film di Danis Tanovic,
lanciato dal successo di No Man’s
Land, Oscar per il miglior film straniero
nel 2002. Proprio il precedente suscita
immediata sorpresa: difficile
immaginare due film tanto diversi. Il
primo, girato tutto in esterni, nel clima
infuocato e disperato della guerra dei
Balcani, era quasi privo di presenze
femminili; questo secondo film, invece,
è una storia di interni domestici e
sentimenti nascosti, passioni impossibili
e desideri inconfessabili, popolata
prevalentemente da donne ed
ambientata nella tranquillità di borghesi
appartamenti parigini e della campagna
circostante. Ma se No Man’s Land era
frutto di una sceneggiatura originale di
Tanovic, L’enfer è nato originariamente
come il capitolo di una trilogia
elaborata da Kieslowski e da Piesiewicz,
irrealizzata per la morte del regista
polacco, anche se un altro episodio del
progetto, Le Paradis, è stato portato
sullo schermo da Tom Tykwer.
Contrariamente alla scelta del collega
tedesco, Tanovic è rimasto fedele allo
spirito della sceneggiatura e al cinema
di Kieslowski. L’enfer è imperniato su
una materia incandescente, ma
raccontata con uno stile freddo,
volutamente sommesso, che evita le
grida e risulta tanto più vero ed
emozionante. Descrivendo una grande
tragedia, Tanovic punta l’attenzione
sulle piccole cose, con una regia
raffinata, di grande eleganza formale,
che evidenzia una estrema padronanza
nella direzione degli attori, tutti
particolarmente convincenti. Nella
storia si ritrovano molti dei temi cari al
cinema di Kieslowski: l’inevitabilità del
destino, il dovere della responsabilità, la
contraddittorietà dei sentimenti, lo
svelamento di una verità sconosciuta e
imprevedibile. E l’idea che l’inferno
faccia parte della vita di tutti i giorni,
senza bisogno di essere immersi in una
tragedia come quella dei Balcani. Forse
proprio questa è stata la molla che ha
spinto Tanovic a realizzare il film. Al
centro del racconto tre sorelle e la loro
madre; la vita della quattro donne è
stata segnata, determinata da un
dramma del passato: il suicidio del
rispettivo padre e marito, colpito da
un’infamante accusa di pedofilia. Come
nel tentativo di cancellare il ricordo di
quella tragedia, le tre sorelle, ormai
adulte, hanno interrotto ogni contatto
fra loro. Immerse in una comune
infelicità, solo affrontando finalmente il
passato le tre sorelle si liberano dai
sensi di colpa.
FRANCO MONTINI
Tragedia
familiare dal
regista di No
Man’s Land.
L’inferno del
titolo è
quello della
normalità
Afflitto da cronica carenza
inventiva, il cinema
contemporaneo saccheggia questa
volta il repertorio fiabesco, mettendo
le mani su Cappuccetto Rosso. Per
dissimulare il rapimento, ovvero per
dichiararne la marginalità poetica, gli
sceneggiatori e registi Cory e Todd
Edwards e Tony Leech inoculano a
trama e personaggi una buona dose
di post-moderno sulla scia di altre
animazioni quali Shrek e Shark Tale.
Cappuccetto Rosso, la Nonna, il
Taglialegna e il Lupo assumono
connotazioni altre e stereotipate: la
prima alterna canzoni melense a
colpi di kung-fu; la vecchiarda
miscela buoni consigli e sport
estremi; il boscaiolo è massiccio e
stolido venditore di schnitzel; lo
spauracchio della fiaba originale si
palesa quale investigatore drop-out.
Su tutti, poi, si spande l’aura
politically correct da eco-guerrieri in
lotta per la salvaguardia del bosco.
Sancita la propria ortodossia
ideologica, il film realizzato in
computer grafica 3D può alzare le
mire e sconvolgere l’intreccio: il
celebre climax tra il Lupo e
Cappuccetto apre il film, revisionato
dall’intervento di Nonna e
Taglialegna. Toccherà al detective
Nicky Flippers, una rana dandy, fare
ordine tra gli insoliti sospetti,
innescando una serie di flashback
che echeggiano Rashomon. Prodotto
medio, ma pretenzioso, Cappuccetto
Rosso non riesce ad appassionare.
Ancor più per un’animazione che si
vuole indirizzata a grandi e piccini, il
verdetto non è assolutorio.
FEDERICO PONTIGGIA
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
DANIS TANOVIC
Emmanuelle Béart, Carole Bouquet
Drammatico, Colore
01 Distribution
98’
REGIA
Genere
Distr.
Durata
CORY e TODD EDWARDS, TONY LEECH
Animazione, Colore
01 Distribution
88’
Giugno 2006 RdC 59
iFilmDelMese
CROSSING THE
BRIDGE
La Turchia tra passato e presente, in un bel
documentario musicale
Diretto da Fatih Akin, regista del
film Orso d’Oro a Berlino La sposa
turca, il documentario Crossing the
Bridge – The Sound of Istanbul è un
trascinante percorso etnico-musicale
all’interno della cultura musicale turca.
Documentando il viaggio del rocker
tedesco Alexander Hacke, Fatih Akin
coglie l’occasione per raccontare la
Turchia di oggi attraverso i suoi suoni,
le sue musiche, le sue passioni vecchie
e nuove, nonché le sue contraddizioni.
Un film intenso che tra passato e
presente, tra vecchie e nuove glorie
della musica popolare locale, tra
l’eredità ascetica di Mevlana e le
trasgressioni dell’Hip hop, conduce lo
REGIA
Genere
Distr.
Durata
ANTEPRIMA
spettatore alla scoperta delle bellezze
della città divisa geograficamente e
talora lacerata culturalmente tra
Europa ed Asia, tra Occidente e Oriente.
Un’occasione per partire idealmente da
Istanbul e arrivare fino ai confini del
Kurdistan e della Cappadocia tra
toccanti canzoni in lingua curda e
l’ipnotica eleganza della danza dei
dervisci. Un viaggio emotivo all’ombra
dei minareti sulla riva del Bosforo che
FATIH AKIN
Documentario, Colore
Fandango
90’
guida lo spettatore in un universo
umano in fermento, espressione sociale
di un paese alla ricerca di una nuova
identità culturale capace di guardare al
futuro nel rispetto della tradizione. Un
film interessante e appassionato in
grado di arricchire lo spettatore con
una costruzione cinematografica simile
a quella del celebre Buena Vista Social
Club.
MARCO SPAGNOLI
IMAGINE ME & YOU
Colpo di fulmine ai piedi dell’altare. Ma è un romanticismo déjà vu
Basta incrociarsi con uno
sguardo, a volte, e la vita cambia
per sempre. Lo sa bene Ol Parker,
sceneggiatore inglese che nel suo
primo lungometraggio racconta
l’innamoramento quale scintilla dalle
conseguenze incontrollabili: Rachel
(Piper Perabo) sta per convolare a
nozze con Heck (Matthew Goode), che
prima di essere amato è soprattutto il
suo “miglior amico”. Fatalità vuole che,
un attimo prima di raggiungere l’altare,
la ragazza sfiori con gli occhi quelli della
bella fiorista nuziale Luce (Lena
Headey). La celebrazione del
matrimonio non è messa in pericolo,
ma di lì a poco i pensieri di Rachel
prenderanno un’unica direzione…
Operazione che dà il meglio di sé nella
prima metà, Imagine Me & You (titolo
non casuale, strofa di partenza di
Happy Together che torna nel finale del
film) non tradisce i canoni della classica
commedia romantica “british style”,
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
OL PARKER
Piper Perabo, Matthew Goode
Commedia, Colore
20th Century Fox
94’
60 RdC Giugno 2006
ANTEPRIMA
ben calibrata sui tempi e sui movimenti
di una recitazione corale di alto livello. A
non convincere pienamente è il modo in
cui viene gestito il tragitto della
protagonista - costretta a scegliere fra
cosa “è giusto” e ciò che le suggerisce il
cuore – verso l’apogeo definitivo.
L’innamoramento fra Rachel e Luce è
trattato così brillantemente da rendere
quasi marginale il fatto che siano
entrambe donne: dove risiederebbe,
allora, l’originalità di un soggetto
simile? Di amori che nascono in
prossimità di un altare non ne
sentivamo la mancanza.
VALERIO SAMMARCO
iFilmDelMese
ANCHE LIBERO VA BENE
Felicissimo esordio in regia per Kim Rossi Stuart. Che evita stereotipi e manicheismi
IN SALA
Anche libero va bene... come
accade su un campo di calcio,
dove il libero inventa, crea, affonda,
forgia l’assist giusto per andare in gol.
Così l’undicenne Tommi (Alessandro
Morace), nel felicissimo esordio alla
regia di Kim Rossi Stuart, è uno che
tenta di volare, di librarsi leggero sui
tetti di una capitale asfittica, di
gettare le zavorre di una vita troppo
pesante per essere ancora così
acerba, di suggerire rimanendo
inascoltato. Perchè il suo padrepadrone Renato (Kim Rossi Stuart),
genitore frustrato, abbandonato dalla
moglie Stefania (Barbora Bobulova)
STRAORDINARIO IL PICCOLO
PROTAGONISTA ALESSANDRO MORACE
62 RdC Giugno 2006
che non riesce ad essere neanche
madre, vuole recuperare nel figlio, più
che nella primogenita Viola (Marta
Nobili), il terreno e la vita da lui stesso
perduti.
Il dramma adolescenziale si consuma
tra le quattro pareti di una casa
modesta, sciatta, sporca,
abbandonata anch’essa; tra i banchi di
una scuola dove Tommi sceglie come
compagno di banco un ragazzo
disturbato, bisognoso di sostegno,
come lui. In questo eterno specchiarsi
senza riuscire a trovarsi e a trovare la
giusta risposta dell’altro, Tommi
paradossalmente fin dall’inizio
incarna il perno sul quale ruota
l’esistenza di chi lo circonda. E non è
un caso che venga subito alla mente il
De Sica de I bambini ci guardano
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
KIM ROSSI STUART
Barbora Bobulova, Kim Rossi Stuart
Drammatico, Colore
01 Distribution
108’
perché in Anche libero va bene
proprio gli sguardi si ergono a
protagonisti del racconto. Una sorta di
angolazione esistenziale, una
soggettiva dell’anima. Occhi colmi di
lacrime o stretti nel sorriso, timorosi e
sperduti nel vuoto, sguardi fissi nella
follia di istanti che non vogliono
mettere a fuoco. Kim Rossi Stuart
regista riesce a divincolarsi da
qualsiasi stereotipo e a sdoppiare la
sua spasmodica, profonda attenzione
per la vita interiore di generazioni
diverse, quelle dei padri e dei figli
senza il manicheismo dei buoni e
cattivi. Straordinaria, per intensità e
naturalezza, la prova del piccolo
Alessandro Morace. Ne risentiremo
parlare.
LEONARDO JATTARELLI
IN SALA
MY FATHER - RUA ALGUEM 5555
L’incubo nazista nel confronto tra Mengele e il figlio. Teso e complesso
IN SALA
BITTERSWEET
LIFE
Dalla Corea con furore. Ultraviolenza e
formalismi nel noir di Kim Ji-woon
Da Mosè e Ben Hur a Josef
Mengele. Dai profeti e gli eroi
dell’ebraismo al genetista criminale del
nazismo e di Auschwitz, antisemita e
freddo esecutore della “selezione per
l’igiene razziale”. E colpevole di
esperimenti disumani ai danni di
gemelli, nani e donne incinte. Un
paradosso per l’anziano Charlton
Heston, una delle leggende di
Hollywood. Curiosamente, anche
Gregory Peck ha vestito i panni di
Mengele nel fantathriller I ragazzi
venuti dal Brasile (1978). Heston l’ha
scelto Egidio Eronico per il film My
Father - Rua Alguem 5555, tratto dal
romanzo Papà del tedesco Peter
Schneider. Si ricostruisce l’unico
incontro avvenuto nel 1977 in una
favela di Manaus, in Brasile, fra
Mengele (il nome non è mai citato) e
suo figlio Rolf, avvocato, che non aveva
mai conosciuto il padre, fuggito in
Sudamerica dal 1949. Herman (il nome
usato nel film) decide di raggiungere il
genitore per convincerlo a costituirsi o
per denunciarlo alle autorità. Ma come
figlio vorrebbe almeno capire perché
quell’uomo ha agito da mostro. Vuole
ascoltare la versione del padre, che
invece di esprimere dubbi o pentimenti
ostenta sicurezza teutonica. E ancora
delira lucidamente su teorie “darwinsocialiste”: lotta per la sopravvivenza,
dominio dei più forti, disprezzo
dell’amore per il prossimo e della
sacralità della vita. Significativa la
scena in cui il padre guarda
compiaciuto un arcadico film tedesco di
montagna, emblema della propaganda
ariana. Ma il figlio interrompe il
fuorviante sogno di “purezza” e gli
mostra un video con i cadaveri di
Auschwitz, che il “dottore” rifiuta.
Durante la convivenza, il figlio è agitato
dal contrasto stridente fra l’anziano che
ride di Charlot assieme ai bambini della
favela e lo scienziato sadico che i
sopravvissuti e la Storia hanno
raccontato (e che riemerge negli incubi
del giovane). La coscienza di Herman è
spaccata fra il dovere (storico, civile,
morale) e il legame filiale. Tenta
d’innestare il corso della giustizia, ma
fallisce. Tutto ciò egli confessa
all’avvocato ebreo nell’85. Un’intervista
che racchiude il lungo flashback ed
anche ricordi di Herman bambino e
studente, boicottato per quel cognome
infamante e impronunciabile. My
Father è un bel dramma teso e
complesso, che rivela quanto la vita del
figlio di un tale criminale sia stata
segnata pesantemente, come se anche
la generazione innocente dovesse
subire l’ereditarietà della colpa.
MASSIMO MONTELEONE
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
EGIDIO ERONICO
Charlton Heston, Thomas Kretschmann
Drammatico, Colore
AB Film
100’
L’ereditarietà
della colpa
secondo
Egidio
Eronico. Con
il criminale
Charlton
Heston
Direttore di un albergo di lusso e
braccio destro del boss Kang,
Sunwoo è elegante, solo e senza
scrupoli. Verrà incaricato dal capo di
sorvegliare i movimenti della sua
giovane amante, Heesoo, con il
mandato di ucciderla se dovesse
scoprirla con qualcuno. Ma quando
preferirà risparmiarla, Sunwoo
scatenerà le ire di Kang, il quale,
tradito dall’uomo in cui riponeva
maggior fiducia, deciderà di lasciarlo
in balia dei suoi scagnozzi. Subirà le
peggiori torture, Sunwoo, ma riuscirà
a tener salva la vita. Per spenderla al
servizio di una vendetta spietata.
Gangster movie e noir si fondono
nell’ultimo lavoro di Kim Ji-woon,
regista conosciuto per Two Sisters.
Presentato fuori concorso allo scorso
festival di Cannes, Bittersweet Life
trova nello stesso assunto che ha
fatto le fortune del recente cinema
coreano (ci riferiamo alla
straordinaria “trilogia sulla vendetta”
di Park Chan-wook) il nesso portante
della sua struttura. Ma se a
sorprendere, in Park, era prima di ogni
cosa la capacità di amalgamare
decostruzione narrativa, poetica visiva
e violenza, qui il tutto sembra limitarsi
a un più che soddisfacente esercizio di
forma, lineare e senza grandi sussulti.
Certo, “l’estetica dell’ultraviolenza”
non ne risente, adagiata sulle superfici
riflettenti di una Seul quanto mai
affascinante, ma da qui al rapimento
sensoriale c’è ancora tanta strada da
affrontare. E non basta un finale
soavemente onirico.
VALERIO SAMMARCO
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
KIM JI-WOON
Byung-Hun, Min-A Shin
Thriller, Colore
Lucky Red
120’
Giugno 2006 RdC 63
iFilmDelMese
LA CASA DEL DIAVOLO
Ritorna la famiglia assassina di Rob Zombie:
un horror pretenzioso
Sequel del truculento con stile La
casa dei 1000 corpi, Devil’s
Rejects (per gli italiani La casa del
diavolo: boh?) di Rob Zombie ritorna a
inquadrare la famiglia Firefly: il clown
Captain Spaulding (Sig Haig, sottratto
alla pensione da Tarantino con Jackie
Brown), Mother Firefly (Leslie
Easterbrook, clone di Faye Dunaway) e i
figli Otis (Bill “capello bisunto” Moseley)
e Baby (Sheri Moon Zombie, moglie del
regista e sogno erotico per gli altri).
Come prima, più di prima, la sadica
famigliola è impegnata a seviziare e
assassinare chiunque capiti sotto mano,
tanto da riempirne uno scantinato. Ma
un bel giorno la casa degli orrori è
circondata dagli uomini dello sceriffo
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
IN SALA
Wydell (William Forsythe): segue
inevitabile conflitto a fuoco e
fuga/caccia, con il decremento
demografico del caso. Già design artist
di riviste porno, editor di una collana
per bambini, frontman del gruppo
death-metal White Zombie, Rob Zombie
aveva firmato un capitolo importante
del genere horror con la prima Casa.
Acquistata la seconda, attesta di
essere un parvenu: si schermisce
ROB ZOMBIE
Sid Haig, William Forsythe
Horror, Colore
Eagle Pictures
101’
meta-cinematograficamente (il critico
che blatera su Groucho Marx e la
battuta “I miei standard sono talmente
bassi che mi deludo difficilmente”),
stoppa le immagini, si trastulla al
montaggio e si compiace - ai danni del
povero Cameron Crowe - di saper
utilizzare le musiche, Lynyrd Skynyrd
su tutti. In breve, fa le pentole ma non i
coperchi.
FEDERICO PONTIGGIA
OCCUPATION: DREAMLAND
Pubblico e privato di un plotone americano a Falluja. In una rigorosa testimonianza dal fronte
Falluja, Iraq. Gennaio 2004. Una
divisione dell’esercito americano
occupa un’area abbandonata ai margini
della città. Missione: mantenere
l’ordine e prevenire l’insurrezione nel
vicino centro abitato. Come un’ombra,
la macchina da presa di Ian Olds e
Garrett Scott tallona i soldati sul
campo e nel privato. Se non fosse tutto
terribilmente vero, potrebbe essere il
seguito ideale di Jarhead: paure e
illusioni sono le stesse del Golfo
Persico. Alle immagini di donne e
bambini terrorizzati durante le irruzioni
notturne si alternano i disarmanti
identikit di queste giovani reclute.
Ragazzi con mogli a carico e burrascosi
trascorsi scolastici, che nell’esercito
hanno trovato il miraggio di un futuro
possibile. La parola d’ordine diventa
presto disillusione: quello che vedono è
un groviglio di interessi economici e
strategie di palazzo. La sensazione,
dicono, è quella di essere abbandonati
a se stessi: una goccia nell’oceano
REGIA
Genere
Distr.
Durata
IAN OLDS, GARRETT SCOTT
Documentario, Colore
Fandango
79’
64 RdC Giugno 2006
IN SALA
incapace di rispondere
all’esasperazione della gente. Il primo
compito è convincerli che sono lì per
portare la pace. Vecchi e bambini si
aggrappano alla telecamera per
interrogare il mondo: “E l’acqua,
l’elettricità, la democrazia che ci avete
promesso?”. Le domande si ripetono
sotto le bombe. Il tempo passa. E
mentre l’82ª divisione lascia il campo
ai Marines, infuria la più violenta
offensiva americana. Quando Falluja
cade, nel maggio 2004, il bilancio è di
42 militari e oltre 1000 civili rimasti sul
campo.
DIEGO GIULIANI
ANTONIO, GUERRIERO DI DIO
Il Santo di Padova contro povertà e usura. Con lo sguardo intenso di Jordi Mollà
IN USCITA
Nell’Europa del Milleduecento
era facile svegliarsi guerrieri. La
famiglia spediva a conquistare terre, la
Chiesa a difendere dottrine, i banditi a
compiere malversazioni, tutti erano
rivestiti di fervore e di corazze. Il
sangue si versava facilmente; la vita
aveva un valore diverso da quello che
noi le attribuiamo. Ma la vita, agli occhi
di Dio, era sacra allora come oggi. E se
una guerra si doveva combattere, i
santi capivano che necessaria era
quella per insegnare l’amore di Dio,
per tutelare gli ultimi, accogliere gli
oppressi, perdonare i peccatori.
Antonio, il Santo, combatte per Dio:
UN BIOPIC NEL NOME DELLA FEDE
NARRATO DA UN LADRO CONVERTITO
con la parola, la lingua, il gesto, la
volontà e la fede. Travolge, con il suo
insaziabile desiderio di giustizia e
Vangelo, lui, travolto, invece, dalla
sofferenza, dalla debolezza. In un
mondo sconquassato da eroismi e
brutalità, da pietà nascoste e crudeltà
manifeste, Antonio si prodiga, in poco
meno di quarant’anni, a far conoscere
Dio, la notizia più bella del mondo. Il
film che Antonello Belluco, scrittore e
regista, dedica al Santo, a Padova, ai
fedeli, è pieno di questa fede, di gioia e
di dolore, dei chiaroscuri dell’“età del
ferro”. Scopriamo che la storia del
“guerriero” è raccontata da un ladro
convertito e frate a sua volta, il quale
all’inizio e alla fine prega sulla sua
tomba, prefigurando una devozione
plurisecolare. Molti personaggi
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
ANTONIO BELLUCO, SANDRO CECCA
Jordi Mollà, Arnoldo Foà
Biografico, Colore
01 Distribution
110’
s’incontrano e scontrano col Santo che
proprio a Padova si scaglia contro la
piaga dell’usura. Donne e uomini,
bambini e sacerdoti, nessuno è
indenne da quella parola che l’attore
spagnolo Jordi Mollà assume e
proietta con accento volutamente
portoghese (terra d’origine d’Antonio)
e balenare di occhi profondi. Il suo
incontro con Francesco ad Assisi è
viscerale e toccante; quello con Papa
Gregorio IX, interpretato dal
carismatico Arnoldo Foà, solenne e
problematico. Alcune pittoresche
intrusioni non lasciano il segno; non
tanto quanto fa, invece, l’onnipresente
musica di Pino Donaggio che “il
guerriero” sarebbe certamente
riuscito a moderare.
LUCA PELLEGRINI
Giugno 2006 RdC 65
iFilmDelMese
POSEIDON
Il remake di Petersen con Richard Dreyfuss supera il catastrofico originale
IN SALA
“Ogni pellicola con Ernest
Borgnine può essere rifatta
senza vergogna”. E’ una crudele
massima che gira tra i critici Usa. Ora
sappiamo uno dei motivi per cui
Poseidon di Wolfgang Petersen può
essere superiore rispetto all’originale
L’avventura del Poseidon (1972) di
Ronald Neame, primo successo del
genere catastrofico inventato dal
produttore Irwin Allen. Ernest
Borgnine era una delle star che
cercava di uscire da quel gigantesco
transatlantico capovolto da un’onda
mastodontica durante la notte di fine
anno. Borgnine, poliziotto
ossessionato dal passato da ex
TRA I PUNTI FORTI, EFFETTI SPECIALI
REALISTICI E FISICITA’
66 RdC Giugno 2006
prostituta della moglie, scalava il
Poseidon capovolto seguendo il prete
visionario Gene Hackman. Ma questo
non è più il catastrofico anni ’70 con
“grandi distruzioni e grandi star” bensì
un remake le cui star sono solo le
“grandi distruzioni”. 160 milioni di
dollari di budget per devastare
l’interno della nave, creare esplosioni e
allagamenti ma non pagare alti cachet.
Nell’originale c’erano cinque Oscar per
dieci protagonisti: Hackman, Borgnine,
Red Buttons, Shelley Winters, Jack
Albertson. Qui otto protagonisti e un
solo attore Oscar: il redivivo Richard
Dreyfuss, architetto gay con tendenze
suicide. Accanto a lui Kurt Russell, ex
pompiere che vuole spegnere i fuochi
sessuali della figlia, lo scommettitore
Josh Lucas e una serie di attori
televisivi tra cui spicca Kevin Dillon, il
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
WOLFGANG PETERSEN
Kurt Russell, Richard Dreyfuss
Drammatico, Colore
Warner Bros.
97’
fratello “meno tutto” di Matt. Eppure il
nuovo Poseidon è più bello
dell’originale. Gli effetti speciali sono
realistici. Petersen ha voluto poco
computer e molta fisicità, tanto che il
povero Josh Lucas ne è uscito con le
ossa letteralmente rotte. La
sceneggiatura di Mark Protosevich
cerca l’essenziale (97 minuti rispetto ai
117 dell’originale). La regia di Petersen
si esalta con l’essenziale. Il cineasta
tedesco rende il massimo quando non
vede il cielo come nel suo capolavoro
U-Boot 96, tutto ambientato in un
sommergibile tedesco. Dunque,
“Legge Borgnine” ma non solo per il
nuovo Poseidon. E comunque… sta
arrivando il remake de Il mucchio
selvaggio. Indovinate chi era uno degli
attori?
FRANCESCO ALÒ
ANTEPRIMA
THE SENTINEL
Michael Douglas agente segreto in gran spolvero. Il risultato non è all’altezza
ANTEPRIMA
L’ISOLA
DI FERRO
Una città galleggiante come metafora
dell’Iran. Poetico e paradossale
L’agente dei servizi segreti Pete
Garrison ne ha fatta di carriera.
Dopo essersi beccato un po’ di
pallottole destinate al presidente
Ronald Reagan, vent’anni più tardi è
capo della sorveglianza della First
Lady. O meglio, la sua guardia del
corpo a marcatura stretta: lo studio
“orale” non è solo prerogativa
maschile di clintoniana memoria, qui è
la prima donna Kim Basinger a tradire
il marito, che non può competere con
un Michael Douglas in gran spolvero.
Fin qui i vizi privati, ma le pubbliche
virtù non mancano: Garrison e
compagni sono completamente votati
alla sicurezza di presidente e consorte.
Controlli minuziosi, registrazioni video
pervasive, pianificazioni puntigliose,
perlustrazioni approfondite, bonifiche
capillari: tutto perfetto, ma il problema
è atavico, chi controlla i controllori?
Una mela marcia si nasconde tra gli
agenti e, verremo a sapere, da più di
vent’anni lavora per il KGB, anche se
nel frattempo l’organizzazione
spionistica è andata in pensione con
l’URSS… A imbruttire le acque il
malanimo tra Garrison e il collega
David Beckenridge (Kiefer Sutherland),
grandi amici messi ko dalla presunta
tresca tra Pete e la - ormai ex - moglie
di David, mentre il sereno ha il volto di
Eva Longoria, matricola ai servizi di
David per esplicito consiglio
dell’istruttore Pete. Insieme, ovvero
individualmente, toccherà a loro
scoprire di chi è la mano che trama
nell’ombra, sperando che in manette
non finisca un innocente, per esempio
Pete. Film triangolare in varie ed
eventuali accezioni, The Sentinel è
scritto dallo sceneggiatore di Ocean’s
Twelve George Nolfi e diretto da Clark
Johnson – anche interprete – alla
seconda regia cinematografica dopo
S.W.A.T. Scelto per aprire il Taormina
Film Festival, The Sentinel è ben girato
ma non è bello, ha spunti interessanti
ma una sceneggiatura in libera uscita,
attori in forma per ruoli imbolsiti. In
breve, delude, ma con un certo stile.
Stile politico, quando con toni blasfemi
nell’America post-11 settembre rivela,
anzi suggerisce e basta (sic!), che il
Male è interno e non out there, ovvero
esotico, ovvero mediorientale; quando
mostra un presidente a cui basterebbe
negare il dono della parola per
retrocederlo compiutamente nel regno
animale, dalle parti dei cani o giù di lì;
quando, infine, rileva come a Echelon
non sfuggano nemmeno i suoi
propugnatori. Altolà, chi va là?
FEDERICO PONTIGGIA
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
CLARK JOHNSON
Michael Douglas, Kim Basinger
Thriller, Colore
01 Distribution
108’
La Casa
Bianca tra
vizi privati e
pubbliche
virtù: chi
controlla i
controllori?
Intelligente e raffinata metafora
della moderna condizione
dell’Iran, presentata lo scorso anno
alla Quinzaine des Realisateurs di
Cannes. Surreale fin dalle premesse, il
film del giovane Mohammad Rasoulof
sceglie come microcosmo simbolico
quello di una petroliera in dismissione
nelle acque del Golfo Persico. A bordo
una vera e propria città: un popolo di
sfollati e senza patria, che fra grandi e
piccini si è organizzato per
provvedere a istruzione, cibo e lavoro,
proprio come in qualsiasi altro angolo
di terra ferma. E come in qualsiasi
angolo di terra ferma, in questo
francobollo di Iran galleggiante si
riproducono però le stesse dinamiche
che governano tutto il paese. Il prezzo
dell’apparente normalità è la cieca
fede nel capitano Nemet, paterno
dittatore che riecheggia il Nemo del
Nautilus e trasforma la nave nell’Isola
di ferro del titolo: una prigione dorata,
in cui non tardano a manifestarsi tutti
i meccanismi legati all’organizzazione
sociale e alla convivenza forzata.
Nemet dispensa consigli, amministra
la comunità, dispone su vita e morte
di tutti i suoi membri. Il tutto
accompagnato da uno sguardo
leggero e profondo, che si sofferma
discreto sull’ordinaria poesia della
quotidianità a bordo: dalle domande
dei bambini, che interpellano il
maestro chiedendogli se sono “nel
mondo”, alla parabola del piccolo
“pesce-bimbo”, così chiamato perché
appartiene all’acqua e all’acqua dovrà
tornare.
DIEGO GIULIANI
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
MOHAMMAD RASOULOF
Ali Nasirian, Hossein Farzi-Zadeh
Drammatico, Colore
Lucky Red
85’
Giugno 2006 RdC 67
iFilmDelMese
ILCODICE DAVINCI
Verboso e troppo fedele all’originale. L’azione non
salva l’adattamento di Ron Howard
Scortato passo passo fino
all’inaugurazione del festival di
Cannes da misteri e polemiche, Il
Codice Da Vinci annega nelle
chiacchiere che lo hanno preceduto. Il
libro, che raccontava di delitti e misteri
sullo sfondo di intrighi politico-religiosi,
era noto per la sua fantasiosa
ricostruzione del passato. Il film non lo
migliora in niente, seguendo
pedissequamente la pagina scritta,
inventandosi flashback storici che nella
fattura ricordano quelli televisivi di
Quark, propinandoci battute che
destano in sala ilarità irrefrenabili (vedi
Hanks che dice alla Tautou: “Allora vuol
dire che tu sei la discendente di Gesù
Cristo”). Verboso e pretenzioso nello
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
IN SALA
spiegare sommariamente ciò che
viene annunciato come “la verità” (in
questo senso, la mancanza di rispetto
non sta tanto nel contraddire le
versioni ufficiali, ma nel farlo
“autoritariamente”, secondo il modo di
Hollywood, senza lasciare al pensiero il
tempo di elaborare), il film si presenta
come una lunga ed estenuante caccia
al tesoro, densa di quiz da Settimana
enigmistica; anche se poi il ritmo
RON HOWARD
Tom Hanks, Audrey Tautou
Thriller, Colore
Sony Pictures
152’
dell’azione, senza un attimo di tregua,
copre i difetti di credibilità, grazie
all’efficacia e al mestiere di un regista
come Howard. Il problema è che
l’abilità della manipolazione fa sentire
lo spettatore come l’ingenuo passante
alle prese con il gioco delle tre carte: si
è affascinati dal movimento delle mani,
ma la sensazione predominante è
quella di essere caduti in un imbroglio.
LUCIANO BARISONE
X-MEN: CONFLITTO FINALE
Filosofia, etica e umorismo per teenager. Non manca niente all’ultimo capitolo della saga Marvel
Difficile ragionare su un prodotto
commerciale che usufruisce della
classica leggerezza con cui l’americano
medio mescola Einstein, etica,
scazzottate e umorismo da action
movie. Divertirsi sarebbe d’obbligo, ma
se si mira in alto con presunti crucci
filosofici, il risultato non può che essere
deludente. X-Men 3 – La sfida finale,
l’apocalisse, il giorno del giudizio. La
novella da cui è tratto il film è l’atto
conclusivo della saga a fumetti Marvel,
dove di nuovo c’è che una sinistra casa
farmaceutica ha scoperto un rimedio
per eliminare il gene che differenzia il
mutante dagli esseri umani. La
questione più volte ribadita è: usufruire
delle possibilità medico-sanitarie, farsi
roccia in un nano-secondo, oppure
rimanere normali, con tutti gli
inconvenienti del caso (emarginazione
sociale e isolamento psicologico)?
Insomma, controllare il superpotere o
REGIA
Con
Genere
Distr.
Durata
BRETT RATNER
Hugh Jackman, Halle Berry
Action, Colore
20th Century Fox
104’
68 RdC Giugno 2006
IN SALA
farsi controllare da esso? Magneto e
Charles Xavier la pensano in maniera
opposta e con loro i relativi mutanti che
hanno fatto una “scelta di campo”. Solo
lo scontro finale deciderà le sorti del
mondo. Ciò implica una proliferazione
di personaggi e una parcellizzazione
delle sequenze che introducono nuove
e vecchie conoscenze. Ma è
l’appiattimento della drammaturgia a
farla da padrone per Brett Ratner,
regista dell’improbabile Red Dragon: la
fattura estetica è quella del cinema da
teenager, gli attori fanno a gara per
sentirsi uno più identico all’altro.
DAVIDE TURRINI
Ogni giorno film, prime visioni esclusive, lungometraggi e cortometraggi, scelti tra le migliori
produzioni di tutto il mondo. Magazine, documentari, backstage e tutto ciò che ruota introno al
cinema. È il canale che racconta tutti i più importanti festival italiani e internazionali. RaiSat
Cinema World. Un viaggio intenso come il cinema.
CANALE 322 -
OK
Telecomando
Homevideo, musica, industria e letteratura: novità e bilanci dal cinema
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
BERSAGLIO
MOBILE
Quando eravamo pistoleri. Da
Un detective a Il giustiziere sfida
la città, ritorna in dvd il cinema
con la canna che scotta
Giugno 2006 RdC 71
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
di Alessandro Scotti
Keira Knightley
da romanzo
L’attrice fra balli e gossip, nella moderna rilettura di Orgoglio e pregiudizio.
Frivola e leggera, come la borghesia inglese del XVIII secolo
Inghilterra secolo XVIII. Nella
rigida società britannica
Jane Austen descrive dall’interno
quella media borghesia di cui è
parte, senza le pretese
moralistiche dei suoi colleghi,
semmai con una ironica
consapevolezza delle tensioni
esistenti fra spontaneità e
convenzione, fra valori morali e
ideali di status sociale. Fra le
Regia Joe Wright
Con Keira Knightley, ambizioni fondamentali c’è,
inevitabilmente, il matrimonio, in
Brenda Blethyn,
Rosamund Pike,
vista del quale ruotano balli, visite
Donald Sutherland, di cortesia, gossip, shopping,
Simon Woods
speranze e timori di tutte le
Genere
famiglie. Questo il materiale grezzo
Sentimentale
che la vivace scrittrice tratta come
Distr. Uip
un microcosmo della vita nei suoi
aspetti sociali. Scrive e riscrive le
sue opere prima di darle alla
Bravo il regista Joe Wright:
riesce a mantenere vivacità e stile
di personaggi e ambientazioni
72 RdC Giugno 2006
stampa; e questa è anche la genesi
del suo secondo romanzo, Orgoglio
e pregiudizio, pubblicato nel 1813,
riscrittura di First Impressions, che
l’editore si rifiutò di pubblicare. Di
Pride and Prejudice la stessa
Austen disse: “E’ un po’ troppo
leggero, e luminoso, e frizzante: ha
bisogno di ombra”. Ma proprio
nella vivacità dello stile e dei
personaggi, nell’azione corale sta
la forza del romanzo, del resto
molto apprezzato dal pubblico del
tempo. Lo stesso tono è
mantenuto nella versione
cinematografica di Joe Wright,
particolarmente aderente alla
versione letteraria, dove la coralità
di personaggi ben caratterizzati fa
da collante fra smorfie e moine:
bella e gentile d’animo Jane,
affascinante Bingley, orgoglioso
Darcy, galante Wickham, ciarliera e
un po’ comica Mrs. Bennet, arguta
Elizabeth. La signora Bennet ha
cinque figlie da maritare: Elizabeth
(detta Lizzie), Jane, Lydia, Mary, e
Kitty. E’ l’inizio di balli e balletti di
pretendenti che chiedono la mano
di una e finiscono per impalmare
un’altra, come nel caso di Mr.
Collins, che propone il matrimonio
a Lizzy ma metterà l’anello al dito
della sua migliore amica, Charlotte,
la quale non può lasciarsi sfuggire
l’ultima occasione che la porrà al
riparo da un triste zitellaggio.
L’unica a non voler ballare è
proprio Elizabeth; lei ha una
visione più ampia della sua vita,
libera dagli orgogli e i pregiudizi
che invece, come una linfa,
animano la società che le danza
attorno. Affresco di un’epoca
adatto ad amanti del ricamo e
palati zuccherini.
Colonne sonore
Giugno 2006 RdC 73
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
(Tele) visioni
COWBOY BEPOP
La prima volta di Malle
Esordio in grande stile fra noir e dramma. Sulle
note di Miles Davis, in Ascensore per il patibolo
Regia Louis Malle
Con Georges
Poujouly, Maurice
Ronet, Jeanne
Moreau
Genere Giallo
Distr. Dolmen
Louis Malle coniuga con misura machiavellica gli
elementi del thriller con il dramma della passione.
Il risultato che riesce a confezionare è un noir anni ’50
che divenne un classico. Ispirato al romanzo di Noël
Calef, questo film d’esordio del regista di Arrivederci
ragazzi è la storia di un amore sbagliato, quello per una
donna sposata; l’unione degli amanti sarebbe
impossibile a meno che non si ricorra al rimedio
estremo, il delitto. Tutta la vicenda ruota intorno alla
costruzione di un triangolo perfetto fra lo stesso Malle e
i protagonisti Maurice Ronet e Jeanne Moreau. Il
secondo si trasforma in assassino, pur di liberare l’amata
Florence dal vincolo che la separa da lui. Al momento di
lasciare l’appartamento, dopo il delitto, accade però
l’imprevedibile: l’uomo rimane intrappolato in ascensore.
Quando riesce a uscirne viene a conoscenza di altri due
omicidi: dei teppisti hanno assassinato una coppia di
turisti. Dulien viene accusato di un crimine che non ha
commesso e a scagionarlo sarà proprio l’amante. Ma il
destino non lascia scampo e per i due amanti scrive un
finale ben diverso da quello agognato. L’intreccio è
incalzante e la messinscena si regge su un sapiente
gioco di atmosfere, il tutto armonizzato dalle note jazz di
Miles Davis e da un sottotesto di spessore.
Sullo sfondo la politica post-coloniale della
Francia a cui tutti i protagonisti sono più o
meno direttamente legati, Malle sembra col
loro destino voler sottolineare un impietoso
giudizio su guerra e colonialismo.
Intreccio incalzante e
messinscena reggono
un efficacissimo
gioco di atmosfere
74 RdC Giugno 2006
Riedizione integrale
della serie cult di
anime, andati per la
prima volta in onda
nel ‘98. In 4 dischi la
versione restaurata
dei 26 episodi
televisivi, che hanno
poi ispirato un film e
due cicli di manga.
Sofisticata ideazione
di Shinichito
Watanabe, Cowboy
Bebop è fin dal titolo
un tributo alla musica
jazz, che tanta parte
ha nella storia. Le
puntate, non a caso
chiamate sessions,
ricostruiscono le
scorribande nel
sistema solare di un
cacciatore di taglie e
i suoi compagni. La
grandissima cura
nelle scenografie
alterna ambientazioni
futuristiche ad
affascinanti
ricostruzioni dal
gusto retrò anni ’30.
IL PIANETA
DELLE SCIMMIE
Sul finire degli anni
‘60 la suggestione
dell’apocalisse
nucleare si tinse di
fantasociologia,
ipotizzando la
regressione
dell’homo sapiens a
schiavo delle
scimmie. Sull’onda
del film di Franklin
J. Schaffner, una
serie televisiva in 14
episodi nel ’74 ne
ricalca liberamente
la trama, ma con un
impianto
particolare: ad
esclusione
dell’episodio pilota,
che costituisce
l’antefatto, gli altri
sono del tutto
indipendenti fra di
loro. Il 13° venne
trasmesso dalle tv
americane solo
negli anni ’90. Il
cofanetto raccoglie
tutta la serie.
Freschi di sala
LA GUERRA DI MARIO
Sottratto a una famiglia segnata dal disagio
sociale, il piccolo Mario viene affidato a una coppia
borghese e benestante. I due mondi che si
incontrano generano incomprensione e malessere,
e per il bambino la soluzione è il rifugio in un
mondo fantastico.
CACCIATORE DI TESTE
Malessere sociale al centro dell’ultimo film di
Costa-Gavras. Un affermato manager si trova
improvvisamente disoccupato e con la famiglia a
carico. Per trovare un nuovo impiego, escogita un
diabolico piano: eliminare uno ad uno tutti i
potenziali concorrenti.
I SEGRETI DI BROKEBACK MOUNTAIN
L’amore fra due cowboy sotto cappello e stivali da
mandriano. Ang Lee racconta con pudore il
dramma di Ennis Del Mar e Jack Twist nel
contesto della provincia americana anni sessanta.
La loro condizione è un marchio infamante e la
passione sfocerà in tragedia.
Vai col tango
Vengo!, lo Shall We Dance? giapponese
e non solo: il cinema a passo di danza
La danza. Non come disciplina artistica, ma
come espressione collettiva di emozioni e
veicolo di significati culturali radicati. I ritmi dei
gitani dell’Andalusia esaltano il dolore e la rabbia,
abbacinanti come il bianco infuocato delle strade e
dei muri inondati dalle note viscerali del flamenco.
Alla macchina da presa c’è lo tzigano Tony Gatlif e il
titolo del film è Vengo! Demone Flamenco. Nelle
scuole di New York un gruppo di bambini si sfidano
in gare di ballo sulle note di ritmi latinoamericani: nel
documentario Siamo tutti in ballo, la regista Marilyn
Agrelo indaga il potenziale della danza come
collante sociale per ragazzini provenienti da aree
metropolitane disagiate. Dagli USA al Giappone: un
uomo di mezza età, una vita dedicata al lavoro,
sembra che ormai non ci sia più niente che stuzzichi
l’entusiasmo di Shohei Sugiyama... fino al giorno in
cui conosce un’incantevole insegnante di danza: la
donna e il ballo risveglieranno passioni insattese.
Con Vuoi ballare? Masayuki Suo si guadagnò, nel ’77,
il Japanese Academy Award.
Vecchie glorie
LA STANGATA
La storia è quella del
criminale navigato
gabbato da un piccolo
truffatore. Il primo è
Doyle Lonnegan, re
della mala della
Chicago anni ’30, il
secondo è Redford nei
panni di un ambizioso
delinquente che si
allea all’imbroglione
Paul Newman per
vendicare l’assassinio
di un compare. La
squadra di Butch
Cassidy mette a
segno uno dei film più
vivaci prodotti da
Hollywood: fortunato
melange di comicità e
suspense abilmente
accompagnata dal
rag time di Scott
Joplin. L’impresa
fruttò nel ’73 ben
sette premi Oscar, fra
cui quello per il
miglior film. Fra gli
extra note di
produzione e
filmografie.
SUSANNA TUTTA
PANNA
Commedia degli
equivoci di chiara
marca anni ‘50, il film
di Steno esce con
chicche da pasticceria,
menù interattivi e
animati. Susanna
gestisce a Milano una
pasticceria il cui fiore
all’occhiello è una
speciale torta alla
panna. La ricetta si
tramanda con gran
segretezza di
generazione in
generazione per via
femminile, Susanna
ne è l’attuale
depositaria.
Innamorata e vessata
da un fidanzato
geloso, decide di
passargli la ricetta
come prova d’amore.
Ma il pacco finisce fra
quelli destinati alla
vendita e solo dopo
peripezie ed equivoci
l’eredità di famiglia
sarà di nuovo in salvo.
JOHNNY BELINDA
Nuova Scozia, anni
’40. Una giovane
sordomuta subisce
violenza carnale da
parte di un marinaio.
La ragazza rimane
incinta e dà alla luce
un figlio. Scopertolo,
il padre cercherà di
portarle via il
bambino. Finora
vittima passiva, lei
non è però disposta a
cedere: l’amore
materno le dà la
forza di lottare. La
vicenda culmina
nell’omicidio, ma
l’assoluzione è vicina.
Il melodramma di
Jean Negulesco, che
prende le mosse da
una pièce teatrale di
Elmer Harris, venne
acconto nel ’48 con 11
nomination all’Oscar.
Chi incassò la
statuetta fu però
Jane Wyman per la
sua interpretazione
della protagonista.
Schizzi d’autore
Il mistero di Picasso
Arte e vita del pittore di Guernica
Cronaca di un
incontro felice:
quello fra il cineasta
Henri-Georges
Clouzot e il genio
della pittura Pablo
Picasso. Due uomini
e due modi diversi di
esprimersi: la
cinepresa esplora le
fasi del processo
creativo in tempo
reale, duetta con il
pennello del maestro
in una chicca del
cinema anni ’60.
Montaggio, luci e
musica sono al
servizio della pittura
come mezzo
espressivo in grado
di fare proprio il
processo creativo. Il
documentario è
parte del film Notte e
nebbia, inedito in
Italia e vincitore a
Cannes del Premio
Speciale della Giuria.
Giugno 2006 RdC 75
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
UN ATTIMO, UNA VITA
Un pilota automobilistico in crisi e
una donna colpita da un male
incurabile. L’incontro è un attimo,
ma sufficiente a far scoppiare una
passione profonda. Sydney Pollack
cavalca il soggetto basandosi
sull’impianto comunicativo con cui
sviluppa intreccio e storia d’amore: il
discorso diretto lascia il posto al non
detto, alle allusioni, alla sottile
tecnica dell’intuizione. Il raffinato
esercizio dell’autore sui meccanismi
verbali e non verbali ha la meglio
sulla caratterizzazione dei
personaggi e sulla tipologia della
storia. Il dvd contiene brevi scene in
versione originale inglese
sottotitolate in italiano.
Italia Calibro 9
Hollywood chiama, Cinecittà risponde. Con otto polizieschi d’autore
Regia Giuseppe
Colizzi
Con Bud Spencer,
Terence Hill
Genere Western
Distr. 01 Distribution
Otto film polizieschi, tutti
italiani e tutti prodotti
nell’arco degli anni ‘60-‘70. Romolo
Guerrieri firma, nel 1969, Un
detective, storia di un commissario
corrotto con finale indimenticabile.
Corleone di Pasquale Squitieri
(1978) si ispira alla vicenda di due
amici le cui vite prendono strade
diverse: uno diventa sindacalista
dall’etica impeccabile, l’altro boss
mafioso. E di mafia si parla anche
in La legge violenta della squadra
anticrimine (1976), come nel film di
Domenico Paolella, Gardenia, il
giustiziere della mala, dove un boss
delle case da gioco rifiuta di
entrare nel nuovo business della
droga. Ira Furstenberg, William
Berger ed Edwige Fenech nel film di
Mario Bava 5 bambole per la luna
d’agosto (1969). Frick Hangel,
inventore di una nuova resina
sintetica, viene invitato nella villa di
un industriale, soltanto per carpirgli
la preziosa formula finché una serie
di omicidi insanguinerà la vacanza.
Nel 1971 Lucio Fulci dirige Una
lucertola con la pelle di donna:
thriller con spunti psicoanalitici.
Sergio Martino dirige invece nel ’75
il poliziesco a sfondo politico La
polizia accusa, il servizio segreto
uccide. E’ dello stesso anno anche Il
giustiziere sfida la città, di Umberto
Lenzi con Tomas Milian. Un’intera
stagione del cinema nostrano con
una lunga carrellata di tutti i suoi
interpreti da Laura Antonelli a
Franco Nero, da Florinda Bolkan a
Adolfo Celi, passando per Giuliano
Gemma, Michele Placido, Claudia
Cardinale, Rosanna Fratello,
Antonella Lualdi e Lino Capolicchio.
STATI DI ALLUCINAZIONE
Atipica rivisitazione del binomio
scienziato-mostro, diretta dal regista
visionario di Tommy. La vicenda è
quella di un giovane psicofisiologo,
ossessionato dall’idea di registrare i
cambiamenti del proprio
elettroencefalogramma mentre
galleggia in una vasca di isolamento.
Alle immersioni iniziali seguirà
un’esperienza sciamanica in Messico
e la contaminazione dell’originale
esperimento con un concentrato di
funghi allucinogeni. William Hurt (al
debutto come attore) regredirà fino
allo stato embrionale per essere
salvato dalla moglie.
Extra-Ordinari a cura di Marco Spagnoli
OGNI COSA E’ ILLUMINATA
Scene inedite e doppia
lingua originale
rendono ancora più
esilarante la versione
dvd, grazie alle
sfumature che
replicano il lavoro dello
scrittore Jonathan
Safran Foer.
76 RdC Giugno 2006
M, IL MOSTRO DI
DUSSELDORF
Doppia possibilità
offerta dal dvd: vedere
uno dei capolavori di
Fritz Lang in versione
originale e integrale,
senza i tagli di alcune
delle edizioni
precedenti.
L’AVVENTURA DEL
POSEIDON
Occasione imperdibile
per rivedere
l’originale del 1972 in
contemporanea al
remake di Wolfgang
Petersen. Per la prima
volta in inglese e con
un lungo making of.
Ringraziamo
BINOVA
Techno Logical Kitchens,
CLASS EDITORE
con Capital,
Milano Finanza,
Luna e Class CNBC,
CAIRO EDITORE
con Diva e Donna,
FERRARELLE,
MONDADORI
con Panorama
Travel,
LUDOVICO MARTELLI
con Proraso,
INDESIT COMPANY
con Scholtès,
RADIO KISS KISS,
che hanno scelto
il
Product Placement
con
Via Durini, 28
20122 Milano
Tel. 02.776961
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
ECONOMIA DEI MEDIA DI FRANCO MONTINI
La guerra dei cloni
Pochi film e sempre più simili. E’ il paradosso Italia: dove aumentano gli schermi
e a contendersi le sale sono pochi grandi
Per una curiosa
combinazione del destino,
nello stesso giorno, lo scorso 3
maggio, si sono verificati due
piccoli eventi cinematografici,
che da prospettive
completamente opposte,
testimoniano di un disagio.
Il 3 maggio è stato messo in
vendita in edicola H2Odio, un
thriller inedito di Alex Infascelli,
proposto al pubblico saltando il
tradizionale passaggio su
grande schermo. La stessa sera
Gianluca Arcopinto ha
ufficialmente e polemicamente
annunciato la morte della
Pablo, la più indipendente,
coraggiosa e anomala casa di
distribuzione del cinema
italiano. Tutto ciò accade in un
mercato che negli ultimi anni
ha fatto registrare una
78 RdC Giugno 2006
significativa crescita nel ramo
dell’esercizio. Il paradosso è
evidente: la moltiplicazione
degli schermi che avrebbe
dovuto favorire una
diversificazione dell’offerta, ha
invece provocato un effetto
esattamente contrario. “Nel
1998 - ha sottolineato
Arcopinto - anche se a Roma
c’erano un centinaio di schermi
in meno, era ancora possibile
trovare spazi per prodotti di
nicchia e di qualità. Oggi questi
spazi sono fortemente ristretti
e anche l’asservimento è
cresciuto con la complicità di
tutti. Soltanto il calcio è più
marcio del cinema e, come nel
calcio, servirebbe uno Zeman
che avesse il coraggio di dire le
cose come stanno: viviamo in
un paese in cui è inconcepibile
fare un film senza passare per
Rai e Mediaset. La situazione,
sotto gli occhi di tutti, si è
legittimata grazie al complice
silenzio dell’intero mondo dello
spettacolo. Produttori,
esercenti, registi: pochissimi i
nomi veramente indipendenti.
Nessuno si è sottratto a questa
logica e così facendo ha finito
per avallarla”. Difficile dargli
torto. La chiusura della Pablo e
l’uscita in edicola di H2Odio
sono risposte diverse al
medesimo problema: in sala c’è
sempre più spazio solo per
pochissimi prodotti. Questa
omogeneità di offerta, oltre a
impoverire culturalmente il
pubblico, è dannosa anche da
un punto di vista economico. La
mancata crescita di presenze in
sala non dipenderà anche da
questo? Solo un mercato libero
da monopoli e oligopoli è
destinato alla crescita. Nel
cinema italiano sta accadendo il
contrario e presto a soffrirne
sarà l’intero mercato. Anzi, a
ben guardare, il fenomeno si
sta già verificando. Lo
conferma una recente indagine
realizzata dal periodico Box
Office, che ha monitorato gli
L’omologazione sta uccidendo il cinema.
Prepariamoci a veder sparire sempre
più operatori e case di distribuzione
incassi di tutti i film distribuiti
nelle sale italiane nelle ultime
cinque stagioni. Dei 1983 titoli
distribuiti dal 1° dicembre 2000
al 30 novembre 2005, ben 875,
il 44,13%, hanno incassato
meno di 100mila euro. Quasi la
metà dei film non ha cioè
coperto neppure il costo per il
lancio e la stampa delle copie.
Qualsiasi settore merceologico
dove la metà del prodotto
venisse rifiutata dai
consumatori sarebbe destinato
a rapida estinzione. Il cinema è
un mercato molto particolare,
dove è sufficiente il successo di
un solo film per ripianare le
perdite di molte produzioni e,
tuttavia, la quantità di pellicole
rifiutate dal pubblico appare
francamente eccessiva.
Inevitabile porsi qualche
domanda: il flop di così tanti
titoli dipende dal fatto che si
distribuiscono troppi film? O
dall’insufficiente “lanciamento”
di troppe pellicole, a cui
neppure le distribuzioni
credono? O ancora la sala non è
che una vetrina utilizzata per il
successivo sfruttamento nel
segmento tv, homevideo e
quant’altro? Oppure, più
semplicemente, il sistema
cinematografico Italia,
ingessato, illiberale, privo di
normative antitrust, in grado di
favorire lo sviluppo di una libera
concorrenza, non funziona e
non può funzionare? Cercare di
rispondere a queste domande
significherebbe cominciare ad
individuare i problemi e, di
conseguenza, a ipotizzare
anche qualche risposta. In caso
contrario prepariamoci alla
sparizione di tante altre
distribuzioni e case di
produzione. Risolvere le
contraddizioni ricorrendo a
forme di consumo alternativo,
come nel caso del film di
Infascelli, non può essere la
soluzione. L’esperimento
H2Odio deve continuare ad
essere, come appare sia stato,
una scelta alternativa, non un
ripiego obbligato per i film che
non riescono a trovare visibilità
sul grande schermo.
CAST & CREW DI MARCO SPAGNOLI
Previsioni di mercato
Marco D’Andrea
Distribuire con la palla di vetro. Trucchi e segreti del direttore commerciale
La Uip è la joint venture
distributiva di tre grandi major
americane: Universal, Paramount e
DreamWorks. Tra i suoi film, solo in
questa stagione, titoli come Munich,
Wallace & Gromit e Mission:
Impossible. Direttore commerciale è
Marco D’Andrea, uno dei professionisti
più stimati dell’industria
cinematografica italiana.
In cosa consiste il lavoro del
direttore commerciale?
Insieme al direttore marketing e al
direttore generale segue le strategie
distributive occupandosi della parte
commerciale, ovvero il rapporto con
gli esercenti, la scelta delle date di
uscita, il numero di copie. In più c’è la
supervisione e il controllo dei punti
vendita sul territorio italiano.
Dove?
A Roma e Milano abbiamo due uffici,
mentre a Padova e a Bologna ci
appoggiamo su due agenzie. Altre
società, invece, hanno undici punti
vendita in tutto il territorio nazionale.
ISTRUZIONI PER L’USO
Noi siamo convinti che da Roma non si
possa seguire tutta l’Italia, mentre le
altre major fanno ognuna in una
maniera differente.
Quali sono le difficoltà principali?
L’avvento dei multiplex ci obbliga a
una maggiore attenzione. Ci sono così
tanti schermi che ad uscire con troppe
copie si rischia di bruciare le
potenzialità di un film. La difficoltà è
poi scegliere la data di uscita e
“Uscire con troppe copie brucia le
potenzialità di un film”
gestire il prodotto quando è in sala. In
Italia viviamo in un mercato
schizofrenico dove ci sono, forse,
troppe uscite.
Essere un cinefilo la aiuta nel
lavoro?
Assolutamente sì. Andare al cinema,
avere a che fare con la gente è
fondamentale per capire gusti e
reazioni degli spettatori.
Indirizzi e raccomandazioni, per provarci senza fare una brutta fine
ISTRUZIONI D’AUTORE
Altro che blockbuster! Gli
ultimi due film visti da Marco
D’Andrea al momento
dell’intervista: Le particelle
elementari di Oskar Roehler e
il documentario Il grande
Nord di Nicolas Vanier.
SPERANZE AL BOTTEGHINO
Dal 1° gennaio al 30 aprile
2006, il box office italiano è
aumentato del 5% rispetto
all’anno precedente. Circa
dieci milioni di presenze in
più, che confermano una
timida ripresa.
MADAGASCAR, CHE BINGO!
Ricordate Madagascar, il film
d’animazione con i quattro
simpatici pinguini mafiosi?
D’Andrea ne ha posizionata
l’uscita a settembre. Incasso
previsto dieci milioni di euro.
Incasso ottenuto: ventidue.
Giugno 2006 RdC 79
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
di Francesco Bolzoni
Nella fabbrica dei sogni
Burton come Kafka
Filosofia di un genio che non ha mai letto un libro
Schermi
sloveni a
Gorizia. Block
notes di uno
spettatore
Alberto Pesce,
1981-2000,
Kinoatelje,
Gorizia 2006
L’imperfezione
della bellezza:
Nora Gregor
a cura di Igor
Devetak
Kinoatelje,
Gorizia 2005
Tim Burton.
Anatomia di un
regista cult
Marco Spagnoli
Memori, Roma
2006
“Il cinema sloveno, 75
film in 35 anni per poco
meno di due milioni di
abitanti, comprese parecchie
decine di migliaia inglobati
all’estero, con l’Austria, con
l’Italia, è meravigliosamente
autonomo, non ghettizzato, è
frutto di mediazione anche
quando reca impronta
d’autore. E’ servizio-filtro tra
culture di diversa qualità
struttura e spettatori, senza
cercare il consumo facile”,
così scriveva su questa rivista
Alberto Pesce nel 1982.
Pesce, critico
cinematografico del Giornale
di Brescia, dal 1981 al 2000
ha seguito la rassegna “Film
video monitor” tanto da
trarne un’esauriente
informazione relativa al
cinema e alla televisione in
Schermi sloveni a Gorizia
dove, oltre a film mai diffusi
da noi, si parla anche di
registi noti come Kusturica e
Franco Giraldi (di origine
goriziana) e di un’attrice
recuperata dall’oblio, Nora
Gregor. All’interprete di film
di Dreyer e di Jean Renoir,
attiva in Gemania e negli
Stati Uniti, Igor Devetak
dedica una bene informata
biografia, un’analisi criticostorica illustrata da foto
rarissime e ben riprodotte. E’
difficile, molto difficile,
ricostruire un percorso
umano e divistico quando i
testimoni sono scomparsi; è
relativamente facile ritrarre
un artista del presente come
Tim Burton come fa
egregiamente Marco
Spagnoli, che ha avuto
occasione di intervistarlo più
volte e di incontrare alcuni
dei suoi collaboratori. Più che
i singoli film (almeno quattro
capolavori : il primo Batman,
Ed Wood, Big Fish, La
fabbrica di cioccolato e il
delizioso La sposa cadavere)
Spagnoli descrive, e bene,
l’uomo Burton. Burton è un
personaggio spiritoso, che
ha scelto di vivere in Gran
Bretagna dato che non
apprezza Bush. Dice che i
mostri del 2000 sono “i
produttori esecutivi delle
case di produzione. Ogni
volta che li devo incontrare
divento molto nervoso. E’
qualcosa che peggiora di
anno in anno”. Sottolineiamo
alcune delle sue
affermazioni: “Il cinema è
una forma dispendiosa di
psicoterapia. […] La
fantascienza e il fantastico
mi hanno sempre parlato a
un livello molto realistico. […]
La forza del cinema sta tutta
nell’analizzare i sogni
offrendo a ciascuno
spettatore aspetti diversi in
cui riconoscersi
maggiormente”. Sembra di
ascoltare Kafka. E poi Burton
dice di essere cresciuto
senza avere mai letto un
libro.
Da non perdere a cura di Giorgia Priolo
L’ARMATA BRANCALEONE
A cura di Stefano Della Casa, Edizioni Lindau
Associazione Philip Morris Progetto Cinema, € 25,00
In occasione del restauro del capolavoro di Mario Monicelli,
curato da Giuseppe Rotunno e finanziato da Philip Morris
Progetto Cinema, viene pubblicata in volume la
sceneggiatura desunta di Age Scarpelli e Monicelli stesso.
Con i suoi irresistibili dialoghi che mischiano latino maccheronico, italiano
antico, espressioni desuete, dialettismi, anacoluti, sgrammaticature e
bizzarri neologismi si legge d’un fiato come una travolgente e
intramontabile novella comica. Impreziosiscono il volume molte illustrazioni
a colori e diversi saggi delle migliori penne della critica cinematografica.
80 RdC Giugno 2006
CINEMA & GENERI 2006
A cura di Renato Venturelli, Editore Le Mani, € 12,00
Prosegue l’analisi nella storia e nell’attualità del cinema di
genere. I saggi di quest’anno parlano di neo-peplum (dal
Gladiatore ad Alexander passando per Troy e sfiorando con
una critica illuminante La Passione di Cristo), della nuova
commedia americana, del thriller (da The Village a
Collateral) e del nuovo horror coreano. Non mancano interviste esclusive
(Walter Hill, Stephen Chow, Shishido Jo) e approfondimenti monografici
come il bel saggio su Chabrol e il “polar”. Come sempre il volume a cura di
Venturelli offre una panoramica interessante sul cinema internazionale che
riesce a coniugare risultati commerciali e qualità.
AMO LA VITA
Gérard Depardieu con Laurent Neumann, Sperling &
Kupfer Editore, € 16,00
Che Gérard Depardieu ami la vita non è una novità:
conosciamo la sua passione per donne, alcol, avventure,
sappiamo che è a suo agio con il registro comico e quello
drammatico. Uno dei più grandi interpreti della storia del
cinema, artista puro in bilico tra genio e sregolatezza, in questo bel libro
Depardieu si mette a nudo e mette in scena se stesso. Senza pudori
racconta, da La capra di Veber a 36, Quai des Orfevres di Olivier Marchal,
tutti i film, i registi e le bellissime attrici che hanno segnato la sua carriera.
Perché, dice lui: “Facendo cinema io non lavoro… io vivo!”
PAPA WOJTYLA E LA “NUOVA” CULTURA
MASSMEDIALE
Nazareno Taddei, Edizioni EDAV, € 25,00
Il concetto di “nuova” cultura lanciato da Papa Wojtyla
con l’enciclica Redemptoris Missio sostiene l’impianto del
nuovo libro del gesuita padre Taddei, docente
universitario e studioso di cinema. Sulle orme della sua
celebre lettura strutturale, approccia criticamente i media per rintracciare
le cause del disagio sociale e proporre possibili soluzioni. Per Taddei,
recentemente premiato per il suo impegno dall’Ente dello Spettacolo, il
contemporaneo scenario mass-mediale richiede nuove tecniche
comunicative, di cui fornisce una trattazione chiara e approfondita.
Giugno 2006 RdC 81
telecomando
DVD
Inside Cinema
Libri
Colonne sonore
di Ermanno Comuzio
Visto da vicino
INSIDE MAN
Regia Spike Lee
Musica Terence Blanchard
In un film pieno di doppi fondi, musica a
fondi quadrupli. Voglio dire: Terence
Blanchard, il veterano della “black
music” e compositore fisso di Spike Lee
dal 1991, sa rendere flou l’atmosfera del
racconto, un cocktail sfaccettato tra una
(presunta) rapina in banca attuata nel
presente, una indagine intercalata ai fatti
attuali ma svolgentesi nel futuro, e i
fantasmi del passato,
invano “rimossi”.
Abbiamo così, nella
colonna sonora, un rock
duro, addirittura urlato,
per i momenti d’azione,
con accordi aspri e
perentori, ma anche –
nelle pieghe della
narrazione, quando
entrano in campo le
ambiguità del presidente della banca
“rapinata” e la potente mediatrice senza
scrupoli tra le forze in campo – suoni
oscuri e “morbidi”. E impasti dissonanti
di ottoni, sempre nelle tinte basse, tali da
avvolgere la vicenda in una definizione
desolata, cui ci si deve arrendere infine
con la più grande amarezza (non tanto e
non solo per quanto è accaduto in
passato – i crimini di guerra – ma per la
corruzione del presente). Meglio, allora, i
“rapinatori”, visti coma una specie di
vendicatori e, a loro modo, idealisti: ed è
proprio la musica a definirne l’essenza
segreta con dolorose perorazioni e, a
volte, circondandoli di una solennità che
arriva a sembrare una aureola sonora
quasi mistica.
L’efficace mix
di rock duro
e ottoni esalta
le atmosfere
del racconto
Per tutti i gusti
Senza senso
LA FAMIGLIA OMICIDI
IL REGISTA DI MATRIMONI
Riccardo Giugni, dopo L’ ora
di religione e Buongiorno
notte è ora alle prese con
l’ultimo Bellocchio. Anche con
composizioni originali, ma per
lo più dandoci dentro con le
citazioni: opera lirica, classica,
melodie popolari, canzoni del
passato, contemporanei vari.
Anche questo, eccome, vuol
dire essere buon musicista
per il cinema.
82 RdC Giugno 2006
LA VITA SEGRETA DELLE PAROLE
Non è detto che quando non è
indicato il nome del musicista
manchi la musica. Qui c’ è,
soprattutto “realistica”, ma
anche quella che lega
momenti della vita della
piattaforma petrolifera e
quella di commento. Poi ci
sono le parole, che la
protagonista (sorda) non
sente, ma che hanno una loro,
intensa, vita segreta.
MATER NATURA
Lino Cannavacciuolo è
violinista, sperimentatore e
arrangiatore per risultati
musicali e teatrali di Beppe
Barra, Pino Daniele e molti
altri. Le musiche di Mater
Natura, pur non essendo state
composte per il film,
funzionano perché sono in
tono: siparietti comici ma con
qualche momento di
commozione verace.
Regia Niall Johnson
Musica Dickon Hinchliffe
Usare il fagotto per
sottolineare il personaggio
soavemente assassino di
Maggie Smith è un po’ troppo
facile. Dickon Hinchliffe, dei
Tindersticks, non appare un
campione di originalità.
Gariboldi & Associati
Uno spot è pubblicità.
Uno spot al cinema è spettacolo.
Il cinema ha qualcosa in meno della televisione. Il telecomando. Perché l’unico programma è il grande spettacolo.
Opus lo sa bene, in quanto concessionaria di spazi pubblicitari leader in Italia rappresentando oltre un terzo del
mercato sia per numero di spettatori che di schermi (quasi 700 certificati Cinetel). In queste sale la pubblicità dà spettacolo
sia dentro il grande schermo, sia fuori. Cinedomination permette di integrare la comunicazione tradizionale con soluzioni inedite e coinvolgenti: maxi affissioni, allestimenti ad alta visibilità, personalizzazione dei biglietti, serate di anteprima riservate
e tanto altro. Se anche voi siete tra i 27 milioni di persone che ogni anno entrano nelle nostre sale, preparatevi a farvi stupire.