Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera
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Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera
www.corriere.it Venerdì, 27 Settembre 2013 ItalieSicilia L’ECONOMIA, LA CULTURA, I PROTAGONISTI ALL’INTERNO La sfida Un momento della salita al cratere centrale dell’Etna dal versante nord Nel momento più acuto della crisi, la regione cerca di trovare nuove strade per un rilancio che abbia la natura di una rivoluzione culturale RITRATTO D’AUTORE Inafferrabile e paradossale, la regione «esotica» resta un mistero Matteo Collura a pagina 2 L’INNOVAZIONE Silicio, Internet e robot: da Catania a Palermo le stanze del futuro Segantini a pagina 4 LA SFIDA Un tunnel di 8 km impermeabile alle infiltrazioni dell’illegalità Cavallaro a pagina 7 LA SANITÀ Palermo-Usa Ismett e il primato nei trapianti all’avanguardia Corcella a pagina 13 L’ACCOGLIENZA A Lampedusa i sogni migranti incontrano gli eroi quotidiani Traguardi imperdibili Di Stefano a pagina 19 LA POLITICA Rosario Crocetta «Quanto rende la lotta contro la mafia» Cavallaro a pagina 23 DIMENTICHIAMO LA PAROLA POTENZIALITÀ di Alessandro Cannavò ‘‘ Qui il termine rilascia l’amaro di un fallimento. Ma in quelle giovani donne impavide contro il malaffare c’è il senso di una nuova concretezza e c’è un termine che la Sicilia dovrebbe cancellare dal proprio vocabolario, è potenzialità. La parola che indica qualcosa ancora di latente ma capace di svilupparsi, di realizzarsi, qui più che altrove rilascia già nel pronunciarla l’amaro di un’attesa illusoria che si traduce in un fallimento continuo. I dati economici della regione, aggravati dalla crisi, sono non soltanto drammatici ma umilianti nei confronti persino di altre regioni del Sud. E l’isola più grande del Mediterraneo resta, come in queste pagine è raccontato nel ritratto che ne fa Matteo Collura, un sorta di Far West d’Europa dove il diritto di ogni comunità del vivere civile viene messo perennemente in discussione. Appare tuttavia inaccettabile che una regione così ricca di risorse naturali, energetiche, culturali, letterarie, umane annaspi in un stato di perenne, scandalosa arretratezza. I mali atavici di questa terra si conoscono bene e certo la parola-chiave per riassumerli, mafia, così oleografica e così reale, rischia di essere un alibi per sottrarsi alle pro- S prie responsabilità. Al di là delle ingiustizie storiche, fonte di un vittimismo nel quale gli stessi siciliani non si riconoscono più, emerge lampante come questa regione abbia finora dilapidato le sue opportunità, sprecando se non addirittura rubando in quantità inimmaginabili le risorse economiche di cui ha goduto per il privilegio (immeritato) dell’autonomia e per la generosità dell’Europa. Una storia senza fine di assistenzialismo e di clientelismo hanno condotto l’isola sull’orlo del baratro, minando non solo i conti economici ma anche lo spirito della società civile. Ma è proprio in questo scenario sconfortante che la Sicilia, a partire dai suoi amministratori, sembra voler dare una svolta radicale. Accanto al ritorno di nomi protagonisti di stagioni più felici, personaggi del tutto nuovi per età, formazione, mentalità, sono chiamati a scoprire l’immenso marcio e a fare azione di pulizia. Appare paradossale che il governatore passi una parte delle sue giornate alla procura antimafia per denun- ciare le malefatte dei suoi dipendenti, ma questo sembra un passaggio inevitabile per ristabilire uno stato seppur precario di legalità. È una battaglia imponente, da far tremare i polsi, osteggiata dalla politica di sempre e soggetta dunque in ogni momento ad agguati; e non è un caso che in prima linea a tappare il buco nero dei fasulli enti della formazione o a cacciare mafiosi e faccendieri dalle attività produttive, come ci racconta Felice Cavallaro, ci siano alcune giovani donne, tanto esili quanto rocciose e impavide di fronte al malaffare. Ma, l’intento di Italie è di segnalare e raccontare le realtà imprenditoriali positive di ogni regione. E la Sicilia, dove tra gli industriali è in corso da tempo un impegno concreto in difesa della legalità, gli esempi di dinamismo concreto spiccano come la ginestra tra la lava dell’Etna o i gigli bianchi tra le dune di Vendicari. Testimonianze di ottimismo che arrivano in primo piano dal settore enogastronomico, protagonista di una rivoluzione nel nome della qualità. Ma anche il campo del- l’innovazione e dell’hi-tech rivela realtà sorprendenti che coinvolgono anche le università. Come ci racconta Edoardo Segantini, sono spesso storie di giovani che non confidano sui sussidi pubblici ma cercano fondi privati. È questa la Sicilia che senza emigrare vuole liberarsi delle zavorre culturali e sa scrutare orizzonti internazionali. Ma c’è anche un’altra Sicilia giovane, quella dell’impegno civile e solidale, espresso dai ragazzi che gestiscono i beni confiscati alla mafia o da operatori e volontari che quotidianamente affrontano con dedizione e umanità, l’emergenza degli sbarchi, come ci racconta Paolo Di Stefano. La sfida è fare di queste tessere il mosaico di una regione diversa, meno superba e più orgogliosa. Nonostante tutto, la Sicilia gode nel mondo di un brand straordinario (spesso distinto da quello dell’Italia), giocato sui miti e sull’esotismo. E di un amore, da parte di chi la conosce, che va ben oltre i meriti. Tocca, come sempre, alla Sicilia avere più rispetto di sé. © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 2 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Ritratto d’autore Il ricordo Lo scorso 15 settembre, nel ventesimo anniversario della morte di don Pino Puglisi, cerimonia in cattedrale a Palermo (Olycom) Sfuggente a ogni definizione, la Sicilia è sempre stata il Far West d’Europa, spesso cruciale per i destini del Continente e fatale per chi aspira alla legalità e alla giustizia Storia e cronaca La regione esotica resta un mistero di Matteo Collura La terra dei paradossi Un fascino umano, culturale e naturalistico straordinari. E un senso nefasto del vivere civile che ha impedito di tradurre la propria ricchezza in un’economia sana. In mezzo, una letteratura che ha saputo raccontare e indagare questo territorio come nessun altro la più vasta isola del Mediterraneo e la più meridionale delle venti regioni italiane; quasi del tutto priva di tessuto industriale; ha un’economia gracile e assistita, condizionata dal perdurare di un’invasiva criminalità organizzata; ricca di storia e di cultura, continua a dare all’Italia acclamati scrittori. Si potrebbe dire così della Sicilia; sennonché, trattandosi di Sicilia appunto, non c’è definizione che possa pienamente soddisfare, renderne giusta idea. È un mondo a parte, la Sicilia; molti la considerano addirittura un continente, un luogo ancor oggi tutto da scoprire, da decifrare. Perché? Una prima risposta è data dalla geografia che ne ha segnato il destino: l’inizio dell’Europa per gli africani, l’Europa che finisce per scandinavi, britannici, tedeschi... Una frontiera dalla quale passare se si vuole storicamente incidere non soltanto sull’Italia, ma sull’intero Vecchio Continente. Esagerato? Tutt’altro. «Non si sfugge in Sicilia alla storia», ha scritto Denis Mack Smith, e alcuni esempi lo dimostrano. In quest’isola, precisamente su un tratto di costa che va da Messina a Scaletta Zanclea, nell’estate del 1571 prese forma la possente macchina da guerra degli alleati cristiani, che si sarebbe diretta a Patrasso e poi sul mare antistante Lepanto avrebbe mandato a picco la flotta di Mehmet Alì Pascià (se in quella risolutiva battaglia navale le cose fossero andate diversamente, è probabile che tutti noi europei oggi parleremmo e vestiremmo in modo diverso). Su quest’isola, a Marsala, nel maggio del 1860, i volontari di Garibaldi sbarcarono per affrontare e sconfiggere le truppe borboniche, primo atto dell’agognata unificazione nazionale. Su quest’isola, lungo il litorale tra Licata e Siracusa, nel luglio del 1943 (lo sbarco degli Alleati in Normandia sarebbe avvenuto undici mesi dopo) prese terra la più grande spedizione militare mai vista prima d’allora, messa insieme per spazzare via il demone nazista, di cui gli scellerati fascisti erano alleati. Una frontiera, la Sicilia, una sorta di Far West d’Europa, dove si annidano le trappole della storia, dove il diritto — sacrosanto in ogni comunità che merita di essere definita civile — è messo perennemente in discussione, se non umiliato e sconfitto. Una frontiera, la Sicilia, e perciò luogo ideale per tagliagole e furfanti, avventurieri e fuorilegge, materia prima di cui si serve la mafia per esercitare il suo nefasto primato. I siciliani si arrabbiano quando, nel parlare della loro regione, puntualmente si finisce per tirare in ballo la mafia. Ma come si fa a non parlare di mafia, di morti ammazzati, se nella sola Palermo, una strada dopo l’altra, una piazza dopo l’altra, è possibile ritagliarsi un fitto itinerario in cui a decine sono stati abbattuti ca- È CHI È Matteo Collura, nato nel 1945 ad Agrigento, vive a Milano. Giornalista e scrittore, il suo esordio letterario è del 1979 con il romanzo «Associazione indigenti» (Einaudi) su approvazione di Italo Calvino. È autore del best seller «Sicilia sconosciuta» (Rizzoli) e della biografia di Leonardo Sciascia, «Il maestro di Regalpetra». Ha pubblicato «Novecento, cronache di un secolo italiano dal terremoto di Messina a Mani Pulite»; «Alfabeto Sciascia»; «In Sicilia», «Qualcuno ha ucciso il generale», «L’isola senza ponte»; «Il gioco delle parti, vita straordinaria di Luigi Pirandello»; «Sicilia, la fabbrica del mito», tutti Longanesi. Scrive di cultura per il «Corriere della Sera». rabinieri, poliziotti, magistrati, politici, giornalisti? È vero, tuttavia, che questa desolante medaglia ha un’altra, certo meno visibile, faccia: quella dei siciliani onesti, dotati di senso dello Stato e di civiltà nei rapporti sociali. E siccome è legge di natura che a ogni male corrisponda un proprio anticorpo, ecco in Sicilia succedersi i vari Salvatore Carnevale e Peppino Impastato, Rocco Chinnici e Rosario Livatino, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, Pino Puglisi e Pippo Fava... È fatale, la frontiera, per chi aspira alla legalità e alla giustizia, specie se si è sindacalisti, magistrati, carabinieri o poliziotti. Ed è particolarmente feroce con chi rompe le regole di un imposto quieto vivere (il commerciante Libero Grassi che si ribellò al «pizzo») o dice di no al silenzio. Per questo tanti giornalisti uccisi (Mauro De Mauro, Mario Francese, Mauro Rostagno, Giovanni Spampinato, Beppe Alfano). In questa spietata frontiera, per reazione, per necessità, è nata e si è sviluppata una letteratura che continua a stupire per diffusione e tenuta. È un fatto che così come gran parte degli scrittori di lingua inglese nel XIX e XX secolo sono stati irlandesi, buona parte della letteratura italiana dello stesso periodo viene da scrittori e poeti siciliani. Insularità, marginalità, frontiera: forse viene da lì la proverbiale capacità dei siciliani di spaccare il capello in quattro, quel pirandelliano ragionare sul filo della ragione, pericolosamente accostandosi alla follia, l’ideale quando si fa letteratura. Gesualdo Bufalino ci ha lasciato un sapido saggio dell’odiato/amato (e potremmo dire coltivato) disagio degli intellettuali suoi conterranei: «Non so se altri luoghi in pari misura, ma la Sicilia — cau- sa ne sia un eccesso o un difetto d’identità — non fa che investigarsi e discorrere permalosamente di sé. Sofistica, interrogativa, superba, ora si presume nazione e ombelico matematico dell’universo; ora si accascia in una sorta di rancoroso stupore, che solo rompono di tanto in tanto fulmini di bellissima intelligenza». Perché la Sicilia è così condizionante per coloro che vi nascono e vi abitano? Perché, come si legge nel Gattopardo , i siciliani sono convinti di essere creature perfette? Perché sono portati a credere a una simile sciocchezza? Cosa hanno di diverso dai lombardi o dai liguri? Cosa li autorizza a ritenersi diversi — perché ‘‘ Brancati definiva i siciliani come i febbricitanti e la febbre allo stesso tempo, Bufalino sottolineava la superbia e la sofisticheria rotte da fulmini di bellissima intelligenza più intelligenti, a sentir loro, meglio vaccinati contro la violenza della vita — dai toscani o dai piemontesi? La risposta più sensata a queste domande è quella che Vitaliano Brancati ci ha lasciato nel suo diario : «Noi siciliani siamo soggetti ad ammalarci di noi stessi: un male che consiste nell’essere contemporaneamente il febbricitante e la febbre, la cosa che soffre e quella che fa soffrire». Bufalino mostra di essere senz’altro d’accordo con l’autore del Bell’Antonio , quando cesella: «Terra infelice, che ogni mattino a chi ci vive e ne scrive impone lo stesso monotono dubbio: se gli convenga, tappandosi occhi ed orecchie, eleggerla a proprio eroico eliso; o se debba mischiarcisi, inzupparsene, ammalarsene, come innamorato che in un grembo infetto cerca di proposito l’assoluto di un’estasi e d’una morte». Quanta letteratura è sgorgata da questa ambigua fonte, quanto cinema, quanta cronaca. Eppure, resta un mistero, quest’isola. Nessun’altra regione è stata altrettanto indagata, scrutata, raccontata, senza che se ne cavasse mai un veritiero ritratto, un’attendibile sintesi. Nonostante sia di continuo sotto i riflettori della cronaca, la Sicilia resta un arcano. E questo perché dalla sua porta sono entrati, dice Brancati, «gli arabi, i cavilli, le sottigliezze, l’io e il non io, la malinconia e i musaici», ma anche, «i fenici, i greci, la poesia, LE TAPPE DI UNA STORIA Lo sbarco dei Mille L’arrivo degli alleati L’orrore di via d’Amelio In una tela ottocentesca, la Spedizione dei Mille: tra il 5 e il 6 maggio 1860 Garibaldi e i suoi volontari sbarcarono a Marsala, posando la prima pietra dello Stato italiano Uno scatto dell’«Operazione Husky», che vide protagonisti gli alleati durante la Seconda guerra mondiale. Sbarcarono tra Licata e Cassibile il 9 e il 10 luglio 1943 L’attentato, compiuto il 19 luglio 1992 a Palermo, in via d’Amelio. La strage costò la vita al giudice antimafia Paolo Borsellino e alla sua scorta due mesi dopo la strage di Capaci Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 3 IL QUADRO ECONOMICO Muoiono le imprese Ora via alla liquidità e alle infrastrutture di Barbara Millucci la musica, il commercio, l’inganno, la buffoneria, il comico». Insomma, ecco perché Empedocle e Pirandello, Bellini e Verga. E per andare ai giorni nostri, ecco perché i tanti scrittori, da Sciascia a Camilleri. Ha la seduzione dei paesi esotici, la Sicilia, con il vantaggio, per gli europei, di non trovarsi nell’altra parte del mondo. Per questo a partire dal XVIII secolo è stata meta irrinunciabile dei viaggiatori che vi hanno trovato — e vi trovano — un ambiente naturale al limite del delirio e una quantità impressionante di tesori d’arte. Il fascino dell’antica Grecia, dalla quale nacque e si sviluppò la filosofia e tutto ‘‘ Come si fa a non parlare di mafia? Tuttavia la medaglia ha un’altra, certo meno visibile, faccia: quella dei siciliani onesti, dotati di senso dello Stato e di civiltà nei rapporti sociali La lotta all’illegalità Una protesta del Comitato Addiopizzo, il movimento antimafia nato in Sicilia nel 2004 dopo l’uccisione di Libero Grassi ad opera del racket delle estorsioni mafiose quanto è alla base del pensiero di noi occidentali, si ritrova più in Sicilia che nella stessa Grecia. Eppure è un errore considerare la terra di Empedocle come parte di quel dominio. Calabria, Puglia, Campania appartennero a quella realtà, non la Sicilia, che, nei fatti, fu un’entità politica, sociale e militare a sé stante. Ne ebbero rispetto, se non paura, i Greci. E fu nel combattere contro Siracusa che si spezzò la potenza di Atene. Ancor oggi, Scilla e Cariddi sono a guardia di questo mondo a parte. Un mondo a parte in cui è possibile effettuare il «viaggio perfetto», secondo il grande saggista Mario Praz, il quale ne spiega il perché valutando la regione dal punto di vista della varietà del paesaggio e della profondità storica che vi si riscontra. Bagnata dal mare africano, la Sicilia offre alla vista paesaggi montuosi dall’aspetto tipicamente nordico, e ovunque sono visibili i resti di un passato che ha fatto di quest’isola un prezioso deposito della storia. Il teatro greco di Siracusa, la Valle dei templi di Agrigento, la Villa del Casale di Piazza Armerina, e Selinunte, Segesta, Mozia; e i monumenti arabo-normanni di Palermo, Monreale, Cefalù; e il barocco di Catania, Ragusa, Noto. «Il massimo piacere del viaggiare», ne deduce Praz, assegnando il primato alla Sicilia, «si raggiunge quando allo spostamento nello spazio si unisce lo spostamento nel tempo». Tutto questo spinge a chiedersi perché tanto ben di Dio non porti a un’economia sana e fiorente. Forse la risposta è nella mal compresa e mal gestita autonomia politica e amministrativa di questa ineffabile regione. Era il 1969 quando Leonardo Sciascia annotava: «Il fallimento dell’autonomia regionale si può senz’altro attribuire al fatto che è stata intesa e maneggiata come un privilegio, una franchigia, che lo Stato italiano, sotto la pressione del movimento separatista, concedeva alla classe borghese-mafiosa. Questi privilegi, di cui il popolo di fatto non ha mai goduto ma sempre è stato pronto a sollevarsi per difenderli, si sono come cristallizzati in una coscienza giuridica astratta e involuta, alimentando quel gusto per le controversie, quell’acutezza, quella sospettosità e insomma quelle facoltà causidiche e sofistiche che (sembra impossibile) già Cicerone riconosceva ai siciliani». Quarantaquattro anni dopo, sottoscriviamo senza cambiare una virgola. © RIPRODUZIONE RISERVATA PERSONAGGI Giovanni Verga (1840-1922), massimo esponente della corrente del Verismo, ha raccontato la Sicilia in romanzi come «I Malavoglia» o «Mastro don Gesualdo» Mario Praz (1896–1982), uno dei maggiori saggisti del ’900, ha definito quello in Sicilia «il viaggio perfetto», per la varietà dei paesaggi e per la profondità storica Denis Mack Smith (1920), storico inglese, ha scritto: «Non si sfugge in Sicilia alla storia», facendo riferimento alle vicende che hanno segnato i destini dell’Italia e dell’Europa er arrivare in treno da Catania a Palermo ancora oggi s’impiega un’eternità: quasi 3 ore per appena 200 km. Grazie alle nuove arterie che nasceranno non prima del 2020, non ci sarà ancora l’alta velocità, ma almeno si risparmierà una buona mezz’ora di tempo. «Puntiamo a riattivare gli investimenti sulle opere pubbliche, concentrandoci su due grossi progetti infrastrutturali: la linea ferroviaria Palermo-Catania-Messina e la strada che da Gela arriva sul Mar Tirreno — dichiara l’assessore regionale all’Economia, Luca Bianchi —. Utilizzeremo tutti i finanziamenti a disposizione (delibere, Cipe, etc) corrispondenti a circa 850 milioni, con la collaborazione di Anas e FS. Vogliamo poi accelerare l’utilizzo dei fondi strutturali per le piccole opere. E pensiamo di ricorrere, per la Finanziaria 2014, al reddito d’imposta per gli investimenti, un regime di aiuto approvato dalla Regione sul modello nazionale. Saranno 150 milioni di fondi regionali a disposizione delle aziende». Ma la novità che darà una vera boccata d’ossigeno alle imprese è «il via libera arrivato dal ministero dell’Economia per il pagamento dei debiti regionali verso le imprese. È lo sblocco di un miliardo che sarà un importante iniezione di liquidità». Intanto, per il quinto anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno registra un segno negativo. Dal 2008 al 2012 il Sud ha perso oltre il 10% di Pil, quasi il doppio del Centro- Nord (-5,8%). A livello regionale è invece sceso del 2,7%. Per il ricercatore dello Svimez Stefano Prezioso «dopo anni di forte decrescita, finalmente nel 2014 l’isola registrerà una modestissima crescita, nell’ordine dello 0,3%». Un numero equivalente allo zero, ma che fa ben sperare. Secondo l’ultimo rapporto di Bankitalia sulla Sicilia, il settore edile si è contratto per il settimo anno P consecutivo, il numero di compravendite ha registrato un significativo arretramento, mentre il commercio ha risentito della perdurante debolezza dei consumi. «Il problema è che le imprese in Sicilia muoiono e non ne nascono di nuove — continua Prezioso —. I settori che stanno peggio sono: tessile, abbigliamento, calzature ed il mondo che ruota attorno all’edilizia, perché l’80% delle Pmi dipende dal credit crunch». Per quanto riguarda l’export, a livello nazionale, nei primi 6 mesi del 2013, l’isola registra una fles- ma a volte lascia solo un danno ambientale, direi che la situazione non va bene. La Sicilia ha un’agricoltura molto frazionata ed ha difficoltà sui mercati. Alcuni prodotti agricoli di assoluta eccellenza, come il pistacchio, sono purtroppo prodotti di nicchia. Non finiscono nei supermercati classici e richiedono specifiche competenze di esportazione. Il turismo e l’agroalimentare sono invece due settori, su cui si può ancora ben sperare». I flussi turistici, seppure in rallentamento — continua Bankitalia — continuano a crescere: il calo dei soggiorni dei vacanzieri italiani è stato compensato dalla crescita delle presenze straniere. Nota dolente: l’occupazione. Diminuita per il sesto anno consecutivo. «Quattro camere di commercio (Ragusa, Enna, Messina e Catania) su 9 sono commissariate» racconta invece il Segretario Generale della Camera di Commercio di Catania Alfio Pagliaro. «Oltre ad aver soppresso le province, la Regione ha eliminato anche gli organi d’indirizzo politico delle Camere, mentre la parte amministrativa è rimasta». Nel Catanese assistiamo comunque ad una leggerissima ripresa. «Nel primo semestre sono nate più imprese (1.833), rispetto a quelle cessate (1.589). Chi purtroppo soffre sono i piccoli artigiani, dove il numero di esercizi chiusi è maggiore delle attività avviate, con un tasso di sviluppo del -1,6%. Altro dato interessante è la nascita di imprese gestite da giovani». Proprio per i giovani del Sud che vogliono mettersi in proprio e tentare di avviare nuove start up, il Ministero dello Sviluppo Economico ha destinato un fondo di 190 milioni per promuovere la nascita di nuove imprese innovative, che abbiano sede nel meridione. Ad oggi sono arrivati al sito www.smartstart.invitalia.it/ oltre 2 mila progetti. Oltre all’edilizia, in crisi il tessile e ora il petrolchimico da sempre leader per l’export. Benino il turismo, fiducia sull’enogastronomico, anche se nei limiti dei prodotti di nicchia sione del 17,9%, per via del significativo calo delle esportazioni di coke e prodotti petroliferi raffinati. «L'export isolano, anche se piccolo, è dinamico e fino ad oggi ha sempre resistito anche durante tutti i periodi di crisi, con andamenti sempre stazionari o crescenti», continua l’assessore Bianchi. «Questo crollo improvviso, che registriamo per la prima volta, è dovuto al fatto che se il prezzo del petrolio aumenta, cala la domanda. E durante la crisi siriana, la domanda, che era già piuttosto debole, è letteralmente crollata. Il calo dell'export ha interessato solo Siracusa, dove sono concentrate le principali raffinerie d'Italia. Messina e Catania crescono del 3%, Ragusa tiene». In realtà, afferma Pietro Agen, presidente regionale di Confcommercio «se escludiamo il dato del greggio, che non crea ricchezza © RIPRODUZIONE RISERVATA 4 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia L’innovazione GLOSSARIO SICILIANO a cura di Gaetano Basile Abbusivu Categoria che parte dal latino ab uti, usare male, in realtà esercenti di attività non precarie a fini lucrativi, come il commercio ambulante in ore e giorni di chiusura dei negozi o fornitori di servizi, come parcheggiatori o codisti presso sportelli di banche, poste, esattorie, uffici della pubblica amministrazione. Di fascia superiore quelli di stanza in uffici previdenziali, giudiziari o tributari in grado di stilare domandine, autocertificazioni, ricorsi. In ambito edilizio sono in grado di costruire interi quartieri e lungo le coste, in maniera free lance tale da trovare legittimità erga omnes con una sanatoria che dichiarerà legale tutto quanto. TRA CATANIA E PALERMO Silicio, robot, internet Le stanze del futuro Si rilancia l’elettronica di consumo Crescono i droni e i microclip sulla Rete di Edoardo Segantini Moltiplicatori di lavoro St Microlectronics con i semiconduttori; Meridionale Impianti con i pannelli fotovoltaici e i giovani di Mosaicoon con la pubblicità sul web: tre storie che fanno crescere anche l’occupazione gni impresa ruota intorno a una persona. Se questo è vero a qualsiasi latitudine, è tanto più vero in Sicilia, dove l’individuo è al centro del sistema. Per molti anni Pasquale Pistorio è stato l’uomo simbolo di StMicroelectronics (St), l’azienda italo-francese leader nei componenti elettronici che, dopo la vendita di Nokia a Microsoft, resta uno dei pochi baluardi europei nell’high tech. Carlo Bozotti , nel 2005, è subentrato a Pistorio e ha preso la guida del gruppo, ne ha sviluppato la vocazione tecnologica e ha valorizzato il ruolo di Catania, dove lavorano 4 mila persone altamente specializzate. Centro avanzato della Sicilia e del Sud, St fa innovazione e alimenta la collaborazione con i migliori atenei, dal Politecnico di Torino alla Sant’Anna di Pisa all’Università di Catania. «I prodotti nuovi — dice il responsabile del sito Francesco Caizzone — rappresentano il 20% del fatturato. Dalla nostra specialità storica, i dispositivi di potenza, ci siamo allargati ai componenti chiave per l’auto elettrica e gli smartphone». Nel sito St di Catania si consuma tanta energia elettrica come in una città di 100 mila abitanti; e nelle sue camere asettiche in cui si lavora in tuta come astronauti e si producono i componenti di silicio per l’elettronica a 6 e 8 pollici di dimensione, «fette» grandi più o meno come pizze, c’è una pulizia mille volte superiore alle sale operatorie. Intanto si sperimentano e si usano i nuovi materiali che sostituiranno gradualmente il silicio: dal nitruro di gallio al carburo di silicio. Ma torniamo agli individui. Lo sbarco di St nell’elettronica di consumo nasce quando un tecnico, poi promosso vicepresidente, Benedetto Vigna, si mette a cercare l’applicazione giusta per una tecnologia sviluppata all’interno e la trova alla Nintendo, per la console Wii, portando così l’azienda nel cuore dei videogame. Dopo Nintendo arrivano gli smartphone e i tablet. E oggi per Samsung si produce il sensore di pressione che consente di localizzare l’utente O non solo nel punto esatto, ad esempio, del museo che sta visitando, ma anche di indicare a quale piano si trova. Il vento della crisi soffia forte anche sulla valle dell’Etna, dove i casi di aziende eccellenti come la Sielte di Alfio Turrisi (che fa impiantistica per le telecomunicazioni) o la piccola startup Sillogism System di Adamo De Rinaldis non sono molto numerosi. Tanto più grande è stato perciò il sollievo della città e del sindaco Enzo Bianco quando, nel luglio scorso, l’azienda ha annunciato un investimento di oltre 200 milioni di euro. «Catania — dice Carlo Bozotti al Corriere — ha oggi un polo più maturo di semiconduttori a 6 pollici e uno più moderno a 8. Svilupperemo e amplieremo il secondo e la riorganizzazione contribuirà a ridurre i costi di produzione. Il sito di Catania produrrà di più e, soprattutto, accrescerà il valore della produzione, perché sulle «fette» a 8 pollici saranno realizzati prodotti tecnologicamente più avanzati. Questo valore in più ci permetterà di mantenere l’occupazione. Per St si tratta quindi di un impegno molto significativo, indispensabile a mantenere la competitività del sito». Ancora le persone. St è stata il fulcro dello sviluppo di Etna Valley, un distretto produttivo di 90 aziende, che la crisi ha messo in difficoltà. Pur nei tempi difficili, c’è tuttavia chi va bene. Ad esempio Salvo Raffa , presidente del distretto e di Meridionale Impianti, un’azienda cresciuta in pochi anni da zero a 120 milioni di fatturato e a 700 dipendenti. Raffa è chiamato «professore» perché, dopo aver lasciato gli studi di ingegneria, per un po' ha insegnato. Ma lui, soprattutto, è bravo a imparare. Infatti ha imparato tutto da St. Ha investito in ricerca, è cresciuto, è andato all’estero seguendo la scia del grande pesce pilota. Ma nel frattempo ha diversificato, allargandosi ad altri settori come l’illuminazione high tech e i nuovi pannelli fotovoltaici, e oggi dipende da St solo al 50%. Se dalla costa orientale ci si sposta a Palermo, si può incontrare invece un altro tipo di imprenditore. Ugo Parodi Giusino , 31 anni, nel 2010 ha fondato la sua Internet company, sognando di trasferire la Silicon Valley sul lungomare di Mondello. Un’idea di business molto chiara: distribuire microclip pubblicitari sulla Rete e, a ri- LA START-UP NATA DAGLI SCARTI DEGLI AGRUMI «Con la fibra delle arance per rivoluzionare il tessile» di Barbara Millucci shirt al succo e buccia d’arancia che a contatto con la pelle rilasciano vitamina C per idratare la pelle. L’idea ecosostenibile è di due giovani trentenni catanesi, Adriana Santanocito ed Enrica Arena che con la start up Orange Fiber hanno inventato e brevettato una fibra tessile che deriva dagli scarti di agrumi. Si sono conosciute a Milano dove dividevano un appartamento ed ora sono tornate in Sicilia a chiudere accordi con le tante piccole aziende locali che mandano al macero gli scarti delle arance, circa 300 mila tonnellate annue, il 25 per cento della produzione italiana. «Adriana studiava mo- T da all’Afol di Milano — racconta Enrica. La sua tesi sui tessuti naturali è diventata un progetto al Politecnico. Qui ha potuto sperimentare l’idea in laboratorio, appurando che si può estrarre cellulosa dalla buccia e dalla polpa. Lei ora vive a Milano mentre io, dopo la laurea in Relazioni internazionali, sono tornata a Catania e mi occupo della partecipazione a bandi e concorsi». La start up è tra i 10 progetti su 600 selezionati per Changemakers for Expo Milano 2015, il programma di accelerazione di Telecom Italia. «Saremo presenti nei padiglioni No Food e vorremmo trovare un partner produttivo per essere in pas- In cerca di un produttore Le trentenni catanesi Adriana Santanocito ed Enrica Arena serella nelle collezioni 2016-2018. A Catania, invece, grazie all’acceleratore Working Capital, stiamo stringendo rapporti con aziende siciliane interessate nella creazione di un vero e proprio impianto che possa trattare le nanotecnologie e le microcapsule in grado di fissare gli oli essenziali alla stoffa». Li chiamano cosmetotessili ed sono la nuova frontiera che trasforma e ricicla i materiali organici. «In giro ci sono tante sperimentazioni: pensiamo ai jeans all’aloe, all’intimo snellente di Yamamay, i dolcevita idratanti all’olio d’oliva, o le t-shirt antisudore». Nuove formule con cui dovremo imparare a convivere, vista anche la carenza di petrolio da cui derivano le fibre sintetiche. «In Sicilia — continua la giovane imprenditrice — un mese fa ha chiuso il distretto tessile di Bronte, vicino Messina. Quello che osserviamo è che anche nel nostro territorio, nonostante le difficoltà, c’è fermento e voglia di fare. Tra i ragazzi, le idee non mancano». Certo il passaggio formativo milanese ha contribuito. Per ora la società non è ancora costituita, come si dice in gergo, è in fase di seed financing. «Per i venture capital è un progetto ancora troppo rischioso». Ma, visto che l’Italia è anche il secondo produttore europeo di agrumi dopo la Spagna, c’è da esser certi che gli investimenti arriveranno. «Vorremmo recuperare anche la frutta che rimane sugli alberi a marcire, che al Sud non è poca». Vanno bene limoni, pompelmi, mandarini, mapo con le loro infinite fragranze profumate. Tutte Made in Sicily. E visto che dopo 40 lavaggi il rilascio degli antiossidanti e le proprietà nutritive delle vitamine svanisce dai tessuti, si può sempre pensare ad altro. © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 5 Amicizia È il più nobile e alto sentimento che in Sicilia si traduce in profondo ed eterno legame di solidarietà e rispetto. È sentimento prevalentemente maschile, che per la sua intensa forza si espande e si trasferisce in linea orizzontale e in progressione geometrica agli amici degli amici. In verticale ai discendenti diretti e pure ai collaterali, fino a formare famiglie e cosche. Che sono consorterie di grande rilevanza sociale ed economica. Per amicizia si può e si deve fare tutto in Sicilia. Quando tra uomini si parla dell’amico ciràsa, è chiaro a tutti che si allude a persona che è bene non nominare. Ma di cui sono chiari, evidenti, cognome e nome. L’INTERVENTO Così l’università crea tra i giovani una cultura d’impresa di Umberto La Commare nnovazione e imprenditorialità costituiscono un binomio inscindibile per la crescita e la generazione di opportunità di lavoro qualificato. L’innovazione si basa su una gestione efficiente della filiera della conoscenza, l’imprenditorialità sui processi di generazione di valore. L’Università di Palermo si è dotata di strumenti per supportare i giovani nei percorsi di innovazione, per coltivare le loro attitudini imprenditoriali e, in alcuni casi, per avviare attività di imprese innovative. Tra questi la competizione tra idee di impresa Start Cup Palermo, le attività di incubazione d’impresa gestite dal Consorzio ARCA (www.consorzioarca.it) all’interno del Parco d’Orleans, il corso «Imprenditorialità e lavoro nell’economia della conoscenza». La dimostrazione tangibile che giovani, senza un retroterra imprenditoriale, possano fare impresa la danno le oltre trenta imprese avviate nell’incubatore dell’Università di Palermo, le decine di giovani coinvolti che non hanno abbandonato la città e che hanno deciso di scommettere sul loro futuro puntando su se stessi. Un incubatore d’impresa è sostanzialmente un ambiente protetto in cui far crescere e progredire fino ad uno stadio di maturità idee per trasformarle in prodotti e servizi innovativi proponibili, con un giusto profitto, sul mercato. È un luogo che abbassa le barriere per tradurre le idee in azioni, che riduce il rischio di impresa e mette a disposizione un network di relazioni di alto livello, solitamente, al di là della portata di giovani. In alcuni casi aiuta nel reperimento delle fonti di finanziamento. Funziona bene quando i giovani collaborano insieme e quando gruppi di giovani cooperano tra loro. Molti gli elementi della piattaforma educativa sperimentata presso il Consorzio ARCA. I cambiamenti che hanno caratterizzato l’economia negli ultimi anni non sono percepiti ancora con chiarezza dai giovani. È necessario dunque informarli perché riscoprano l’idea del lavoro come atto creativo mettendo a frutto le competenze acquisite nei percorsi di studio. Bisogna poi stimolare nei giovani un atteggiamento imprenditoriale in un ambiente economico che è diventato più competitivo. La cultura d’impresa facilita l’integrazione tra conoscenze acquisite e mercato. Un’impresa mette in connessione conoscenze, tecnologie, risorse, prodotti e servizi, clienti, fornitori, cercando di generare ricchezza. Occorrono anche sostegno ed accompagnamento: I giovani hanno bisogno di sostegni operativi nell’avvio di impresa. L’esperienza di mentoring imprenditoriale maturata all’interno del Consorzio ARCA completa l’azione educativa. Infine è bene non lasciare soli i giovani che vogliono avviare un’impresa. La solitudine genera insuccessi e delusioni, indebolisce. La vicinanza genera fiducia e dà la forza per superare le difficoltà. I Sotto l’Etna Sopra, alcuni membri del laboratorio di robotica della facoltà di Ingegneria di Catania. A lato, Salvo Raffa, presidente del distretto Etna Valley e di Meridionale Impianti. Più a sinistra, il reparto saldatura dell’azienda (foto Antonio Parrinello) Eccellenze A sinistra, in alto, Francesco Caizzone, direttore del sito di Catania di StMicroelectronics (foto Parrinello). Sotto, Ugo Parodi Giusino (primo a destra) con il team della palermitana Mosaicoon (foto Palazzotto). chiesta, produrli. Un’esperienza formativa particolare: studi al Dams di Bologna, poi video arte a Barcellona, infine l’esperienza di video maker. E, in più, una forte determinazione a trovare le risorse finanziarie nel venture capital. Tre anni dopo, Mosaicoon fattura tre milioni, ha 40 dipendenti, uffici a Milano, Roma e Londra, realizza un utile che viene reinvestito, raggiunge 200 milioni di clienti, ha un capitale suddiviso in tre quote uguali, lo stesso Parodi e i fondi d’investimento Vertis e Atlante (di Intesa Sanpaolo) e riceve premi all’innovazione come quello del presidente Napolitano. Apparentemente Salvo e Ugo, imprenditori di due generazioni diverse, non potrebbero essere più lontani. In realtà si assomigliano. Soprattutto nell’atteggiamento di garbata diffidenza verso il «pubblico». Raffa dice chiaramente che in Sicilia non sono i sussidi che mancano, ma semmai le buone idee e la capacità di realizzarle. Parodi la pensa allo stesso modo, tant’è vero che i soldi li ha cercati nella finanza privata. Naturalmente l’eccellenza esiste anche in ambito pubblico, come dimostra l’attività dell’Università di Catania nella robotica, in parte collegata a St e in parte autonoma. Il team di Giovanni Muscato — con cui lavorano, tra gli altri, Luciano Cantelli, Donato Melita, Domenico Longo, Paolo Arena e Luca Patané — realizza i droni e i «multicotteri» teleguidati per sorvegliare i vulcani (l’Etna è vicino), ma anche gli automi che servono a bonificare i campi minati (vedi il progetto chiamato «Tiramisù») e partecipa ai più avanzati programmi internazionali di ricer- ca con università francesi, inglesi e svedesi. Scarsa è invece la cooperazione con gli altri centri robotici italiani, a cominciare dall’Istituto di Tecnologia diretto da Roberto Cingolani e basato a Genova. Muscato lo spiega così: «L’Italia non incentiva i centri di ricerca a collaborare, lo fa semmai l’Europa, che pone la "multi nazionalità" dei team come condizione per partecipare ai progetti e accedere ai finanziamenti. Rispetto ad altri Paesi, però — dice il tecnologo — dobbiamo sopportare il peso della precarietà, che ci impedisce di dare prospettive serie ai nostri collaboratori più bravi». Si, perché anche nel pubblico, come nel privato, sono le persone che fanno l’impresa. esegantini@corriere.it © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA Umberto La Commare è docente al Dipartimento di Ingegneria Chimica, Gestionale, Informatica, Meccanica UN ACCELERATORE CHE AIUTA LA MEDICINA I protoni che battono il tumore all’occhio di Giovanni Caprara a fisica nucleare fa bene alla medicina e quindi alla nostra salute. Il prezioso legame tra due mondi così apparentemente lontani lo si può constatare a Catania varcando la soglia del Laboratori nazionali del Sud dell’Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare). Qui dal 2002 è attiva una macchina unica nel suo genere e straordinaria per trattare con successo i melanomi dell’occhio. Una bella storia del Sud che merita di essere raccontata. Nel 1990 nei laboratori catanesi arrivava un ciclotrone superconduttore, cioè un acceleratore di protoni, realizzato nei laboratori dell’Infn di Milano con la collaborazione di Lucio Rossi che poi al Cern di Ginevra guiderà la costruzione del superacceleratore L Lhc con cui si è scoperto il bosone di Higgs. Quando cinque anni dopo entrava in funzione esplorava i misteri del nucleo atomico ma presto gli scienziati allargavano il suo raggio d’azione ad altre applicazioni. Tra queste, per la prima volta in Italia e con pochi altri casi all’estero, anche alla medicina. Ci si rese conto che il fascio di protoni generato poteva colpire e distruggere i tumori con un’efficacia maggiore della radioterapia tradizionale, soprattutto perché il suo fascio ben concentrato impediva di distruggere i tessuti circostanti. «La potenza del nostro acceleratore — spiega Giacomo Cuttone, direttore dei Laboratori nazionali del Sud — è efficace per curare tumori fino a 3,5 centimetri di profondità e con un diametro che può andare da qualche millimetro fino a quattro centimetri. Ciò lo rende ideale per varie forme tumorali dell’occhio, compresa la palpebra». Così da quando l’acceleratore era predisposto al nuovo compito venivano curati 350 pazienti (due terzi dei quali non siciliani), ottenendo un buon risultato nel 95 per cento dei trattamenti concentra- All’Istituto di Fisica Nucleare un’alternativa ai cicli di radioterapia ti appunto, nella quasi totalità, sui melanomi oculari. Solo più tardi nasceva a Pavia un centro analogo di adroterapia che estendeva la possibilità degli interventi ad altre parti del corpo. «Ogni due mesi — precisa Cuttone — mettiamo a disposizione per una settimana una sala del nostro laboratorio connessa al ciclotrone, al Policlinico di Catania per effettuare le cure di protonterapia». La macchina potrà funzionare ancora per un decennio ma intanto, grazie all’esperienza finora accumulata dai fisici dell’Infn, ne nascerà una cinque volte più potente finanziata dalla Regione Sicilia e dall’Unione Europea. L’esperienza di Catania dimostra come gli strumenti di ricerca possono La macchina Il ciclotrone superconduttore dell’università di Catania (Parrinello) garantire svariati utilissimi impieghi. E oltre la medicina nel cui ambito si sviluppano pure nuove tecniche per radiografare meglio e con minor danno l’interno del corpo umano (imaging avanzato), con il ciclotrone abbinato ad altri strumenti si compiono interessanti ricerche anche nel campo artistico. Qui, ad esempio, si è indagata la Cartula di San Francesco per scoprire se l’avesse scritta in tempi diversi, si è studiata l’autenticità dei rotoli del Mar Morto e pure il tesoro di Misurata, il più ricco d’oro lasciato dal dominio di Roma. La scienza, come di vede, non solo apre finestre della conoscenza ma migliora anche la vita. © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 6 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia A cura della U.O. Informazione Istituzionale del Comune di Palermo informazione pubblicitaria www.palermo2019.it Perchè Palermo Capitale europea della cultura 2019 Moni Ovadia – Simonetta Agnello Hornby Tutte le città italiane che hanno avanzato la loro candidatura a Capitale europea della cultura per il 2019 hanno indiscussi titoli sul piano della ricchezza artistica e dell'eredità culturale, nel senso comune che si dà a questi retaggi. Palermo, da questo punto di vista, non è seconda a nessun’altra città dello stivale per i suoi splendori d'arte e per la maestà delle sue architetture. Ma c'è un primato indiscusso che la capitale siciliana vanta: la sua collocazione. Palermo è una capitale europea nel cuore dell’area mediterraneo-mediorientale ed è capitale mediterraneo-mediorientale nel cuore dell'Europa. La sua collocazione non è solo e non è tanto geografica e spaziale ma intima fibra ideale, culturale e identitaria. La sua prodigiosa storia di convivenze, di meticciati, di incontri e di fertilizzazioni non è solo una fondamentale eredità di un glorioso passato ma pulsa nel suo essere contemporaneo e nell'emergenza del suo futuro. Palermo ha accolto e accoglie tutti e metabolizza le trasformazioni rimanendo sé stessa. Questa capacità di interpretare, in termini di civiltà dell'accoglienza, l'impetuoso e drammatico trasmigrare del paesaggio umano nella culla del mare Mediterraneo e sui limitari delle sue coste si ascolta nelle voci molteplici dei nuovi palermitani germinati dalle varie comunità di emigranti. Essi si sentono a casa propria anche per la possibilità di essere cittadini senza dovere abdicare alle ricchezze dei propri retroterra. Già trent'anni fa, a Palermo, si poteva leggere il nome di molte vie inciso sulla targa in italiano e in arabo, segno di apertura all'altro in quanto tale. Palermo certo è città gravata da problematicità e da criticità ma qual è il senso della cultura, al di là della retorica del fiore all'occhiello, se non quello di affrontare con impegno creativo le contraddizioni e i nodi dolorosi per estrarne energia generativa, forza morale e sogno? Il nome della capitale siciliana e della Sicilia tutta viene ancora associato, nella vulgata da tabloid, alla mafia, ma è proprio per la lotta contro la “Piovra” che Palermo sul campo si è conquistata l'orizzonte di capitale della legalità. Lì donne e uomini straordinari hanno dato le loro vite per affermarne il valore non negoziabile. A Palermo più che altrove, diritti, legalità, pace, giustizia, non sono solo parole ma valori incisi nel vivo della carne, del sangue e dell'anima della città, dei cittadini, degli studenti. Ma il perché decisivo che oggi chiede di scegliere Palermo quale Capitale europea della cultura 2019 è il sommovimento epocale cresciuto nel mondo arabo mediorientale con tutto il suo terribile carico di conflitti irrisolti ma anche di risveglio di coscienze e di speranze. Quale altra città italiana può assumere il ruolo di pilastro dinamico per l'edificazione del ponte di pace nella giustizia sociale e nella dignità meglio di Palermo, che riconosce in sé stessa laicamente le ispirazioni etiche delle tre spiritualità monoteiste? Dove, con più forza che a Palermo, la cultura può svolgere quel ruolo di superamento del cul de sac da cui la politica non riesce ad uscire per ritrovare la sua funzione di servizio alla società dei cittadini? Dove, con più urgenza che a Palermo, l'Europa può ritrovare le ragioni del sogno di un continente di tutti gli europei, perché nutriti dal caleidoscopio di una comune cultura et pluribus unum che fu l'incunabolo della sua nascita? E in quale orizzonte più appropriato di Palermo l'Europa può fare nascere, tramite gli strumenti culturali, una nuova relazione di reciproca accoglienza, collaborazione e riconoscimento con il mondo arabo così strategica per la pace in tutto il pianeta? Hanno finora condiviso: Roberto Alajmo, scrittore e giornalista Roberto Andò, regista e scrittore Filipe Themudo Barata, Direttore del Cidehus – Università di Evora, Lisbona e Direttore della Unesco Chair sul Patrimonio Immateriale Marco Betta, compositore Marella Caramazza, Direttore generale Fondazione ISTUD Antonio Calabrò, giornalista e scrittore Claudio Collovà, regista e Direttore artistico delle Orestiadi di Gibellina Giuseppe Di Piazza, giornalista, Corriere della Sera Hedwig Fijen, fondatrice e direttrice di Manifesta, Amsterdam Emilio Isgrò, artista Luigi Lo Cascio, attore Fernando Mazzocca, storico dell’arte, Università di Milano Beno Mazzone, Direttore artistico Teatro Libero Palermo Luca Mazzone, Direttore artistico Teatro Libero Palermo Antonello Perricone, Presidente NTV (Nuovo Trasporto Viaggiatori) Veronika Ratzenböck, Direttrice del centro di documentazione della cultura, Vienna Vincino, disegnatore satirico Georges Zouain, fondatore e direttore della GAIA – Heritage, Beirut Per eventuali adesioni si può scrivere a info@palermo2019.it Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 7 Amuri È amaru, ma sazìa lu cori, intendendo così manifestare il sentimento che ci domina in assoluto. Più ancora della fame: riusciamo a saziarci d’amore! Per amore quanti suicidi, follie, omicidi; pure per motivi d’onore. Non si contano i ricchi e nobili rovinatisi per amore di continentali bellissime, danzatrici esotiche e sciantose francesi. Amori folli di indigeni giuliette e romei, paole e francesche e decine di baronesse di Carini. Quante corna per amore. Pensate pure a quanta poesia, a quanta letteratura ha creato l’amore in Sicilia. Addirittura una scuola e una lingua: la Scuola poetica siciliana di cui tutti ricordiamo Ciullo (o Cielo) d’Alcamo e la sua rosa… Le opportunità IL TUNNEL CHE DIVENTA UN SIMBOLO Una talpa che scava per la legalità Unirà Agrigento alla Palermo-Catania. Con un protocollo più rigido di quello dell’antimafia di Felice Cavallaro Prove di resistenza Un consorzio storico, la Cmc di Ravenna, e un tunnel di otto km che sia impermeabile alle infiltrazioni di appalti locali poco chiari. In cabina di regia anche un ex componente del Csm ccorrono camion giganti con rimorchi a sedici ruote e centinaia di operai per fare muovere una delle frese più grandi del mondo. Una mastodontica trivella spaccapietre approdata dalla Francia a Porto Empedocle. Divisa in tre parti da assemblare sotto la montagna di Caltanissetta. Per scavare nel cuore della Sicilia un tunnel di otto chilometri. Obiettivo: agganciare all’autostrada Palermo-Catania la statale verso Agrigento e trasformarla in una veloce e sicura arteria a doppia carreggiata. Il più grande appalto Anas degli ultimi anni in Sicilia, ossia 400 milioni di euro. Con una punta da quindici metri di diametro, questa talpa lunga 115 metri a montaggio avvenuto, in ottobre affonderà le lame per realizzare in tre anni un foro da record, sotto il controllo dei tecnici del consorzio guidato dalla CMC di Ravenna. La Cooperativa dei muratori cementisti nacque nel 1901, e sette anni dopo approdò in Sicilia per le prime opere nella Messina del terremoto: da allora è sempre stata impegnata in grandi lavori nel Sud. Ma stavolta con un altro singolare record legato alla sperimentazione dei più rigidi protocolli antimafia. Con un lavoro di monitoraggio quotidiano lungo 63 chilometri di percorso, attraverso filtri, telecamere, vigilantes posti nei 56 ingressi dei cantieri, corsi sulla sicurezza, verifiche continue, il tutto coordinato e seguito da una cabina di regia affidata all’università di Palermo, al Dipartimento di studi penali, il Dems diretto dal professore Giovanni Fiandaca. «Un modello messo a fuoco per difendere una grande azienda dal rischio mafia, dalla contaminazione, da infiltrazioni sempre possibili soprattutto in settori permeabili come il movimento terra e i noli a caldo, quando si viene a contatto con dipendenti di ditte minori», spiega lo stesso Fiandaca, ex componente del Csm, docente di tanti magistrati antimafia, cresciuto O Il cantiere Sopra e in alto, la trivella spaccapietre approdata dalla Francia a Porto Empedocle e gli altri mezzi pesanti (Foto Salvatore Picone) con Falcone e Borsellino, protagonista il mese scorso al Meeting di Rimini di una riflessione sul rapporto impresa e legalità proprio con i massimi vertici di Cmc, dall’amministratore delegato Dario Foschini al presidente Massimo Matteucci. Sono loro con l’ingegnere Pierfrancesco Paglini, il project manager di CMC in Sicilia, ad essersi rivolti a Fiandaca e al suo gruppo coordinato dal professore Costantino Visconti per essere aiutati ad alzare una sorta di paratia refrattaria al contagio locale. Un modello collaudato per la prima volta da Italcementi quando si scoprirono infiltrazioni sospette nei rami periferici di un cantiere a Caltanissetta. Nacque allora l’idea di costituire un comitato pre- sieduto dall’ex Procuratore nazionale antimafia Pier Luigi Vigna con Fiandaca e il docente della Bocconi Donato Masciandaro. Una terna chiamata a fare di una grande impresa un baluardo di legalità nella sfida antimafia. In sintonia con gli stessi magistrati allora impegnati a Caltanissetta nella caccia ai boss e ai manager che non avevano bloccato le infiltrazioni e l’uso di cemento depotenziato nella costruzione di gallerie e viadotti. Una storiaccia con radici in un ambiente rivoltato dal «new deal» di Confindustria Sicilia, da Ivan Lo Bello e Antonello Montante, protagonisti dei primi protocolli antimafia stilati nelle prefetture da imprenditori ed enti appaltanti. Una consuetudine consolidata, ormai. Ma la novità del rapporto fra l’università di Palermo e l’impresa della talpa da 115 metri sta nel fatto che il modello adesso messo a punto fissa regole, norme e codici di comportamento molto più rigidi rispetto a quanto previsto da protocolli e legislazione antimafia. «Perché dobbiamo difenderci da una presenza non immediatamente etichettabile con il timbro della sopraffazione mafiosa, visto che spesso non si manifesta con la forza, ma con l’accattivante messaggio del vantaggio economico», ha spiegato Foschini a Rimini. Perché, insinuanti, emergono a volte personaggi locali pronti a inserirsi, a consigliare, a prospettare benefici concreti, sconti su noli e forniture. Anche questo passa adesso dai filtri di Fiandaca. Ovviamente con controlli che moltiplicano i costi per l’azienda che in questo caso «dei 400 milioni ne investe 20 per la sicurezza», come rivela Paglini. Siamo al 5 per cento. Un tema su cui riflettere anche al vertice della Regione, dove rimbalzano le proteste per i ritardi sull’ultimo lotto da 42 milioni. Come sa il presidente Crocetta, pronto alla verifica con il segretario generale Patrizia Monterosso e ad assicurare: «C’è un’intesa con l’Anas. Tutto sbloccato. È questione di giorni». E coincideranno con i giorni della talpa. IVAN LO BELLO, VICEPRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA Catanese Ivanhoe (questo il suo vero nome) Lo Bello è nato a Catania nel 1963. Laureato in Giurisprudenza, ha rivestito, tra l’altro, l’incarico di Presidente di Confindustria Sicilia. È presidente della Lo Bello Fosfovit srl «Per i giovani start up andata e ritorno Studi a Milano, poi il lavoro a Catania» di Dario Di Vico on si può certo negare che una larga parte del nostro Sud mostri una base industriale molto debole e un’altrettanto carente qualità civile. Ma attenzione, all’interno delle varie regioni esistono realtà vive. Penso in Sicilia al triangolo Catania-Siracusa-Ragusa che concentra gran parte del valore aggiunto industriale della regione». Ivan Lo Bello, imprenditore, «temporaneamente vice presidente della Confindustria», come si è autodefinito sul suo profilo twitter, invita a evitare «letture superficiali» della realtà meridionale. «Lo sviluppo non è affatto omogeneo ma non mancano le sorprese e c’è anche un interessante ricambio dentro il mondo imprenditoriale». Gli esempi sono quelli del polo della raffinazione tra Augusta e Gela o dell’alimentare biologico tra Siracusa e Ragusa. Le zone di eccellenza industriale dell’isola hanno rapporti stretti con i sistemi produttivi del Nord? «No, non sono significativi. In realtà «N dove c’è una base industriale le reti di queste aziende sono lunghe e vanno direttamente sui mercati internazionali. È chiaro che si tratta di fenomeni che si concentrano su due-tre province ma sarebbe sbagliato sottovalutarli». E il sistema creditizio come interagisce con queste realtà siciliane? «Non ci sono grandi differenze con le altre regioni. Il sistema bancario si è modernizzato e non mi sono mai sentito colonizzato dai grandi istituti di credito che sono arrivati. Prevale il merito. E del resto le vecchie corsie preferenziali hanno por- ‘‘ Bisogna puntare sull’innovazione sociale. La banda larga è più importante di qualsiasi autostrada tato l’economia siciliana al disastro, fecero saltare la Sicilcassa e indebolirono il Banco di Sicilia. Quindi pure con le attuali difficoltà di accesso al credito non rimpiango certo il passato». Esiste in Sicilia una rete di competenze manageriali sufficientemente diffusa? «Nelle associazioni territoriali di Confindustria, per fare un esempio concreto, la classe dirigente è espressione di aziende di mercato. A Catania c’è da registrare un fermento di start up tecnologiche condotte da molti imprenditori di prima generazione. Molti giovani che studiano fuori, alla Luiss come alla Bocconi, poi tornano. Del resto il mondo si è rimpicciolito, i ragazzi possono vivere tranquillamente a Siracusa come a Milano. L’importante è garantire loro una finestra sul mondo. Scambi di visite con Stanford o Berkeley, solo per riferire due casi concreti». Quindi pur dentro la Grande Crisi lei è ottimista sul rinnovamento della struttura economica sicilia- © RIPRODUZIONE RISERVATA na? «In verità sono preoccupato sui tempi del cambiamento. Non possiamo portarci dietro la zavorra, solo se acceleriamo possiamo contare davvero una classe dirigente moderna e innovativa. I siciliani sono imprenditori italiani, non c’è una chiusura campanilistica». Come si può dall’esterno supportare questa discontinuità? «Innanzitutto raccontando di più questo Sud che fa innovazione sociale. Non credo invece a strumenti ad hoc. O stiamo sul mercato o qualunque strumento viene distorto dal ‘‘ Il mio non è un liberalismo ideologico penso che servano degli incentivi, ma diversi dal passato continuismo. Il mio non è un liberalismo ideologico e quindi penso che servano degli incentivi, ma diversissimi dal passato. Vorremmo la banda larga più che le autostrade, dobbiamo usare i fondi comunitari per costruire un’infrastruttura digitale pari a quella dei Paesi più avanzati per stare dentro la scommessa tecnologica del nostro tempo e attrarre investimenti. E poi penso al sistema universitario». Le recente classifiche delle università italiane vedono però gli atenei siciliani tristemente in coda... «Proprio per questo penso che uno sforzo particolare debba essere riservato all’università. Non bastano l’Etna o il barocco di Siracusa per conquistarsi un posto nel mondo di domani dobbiamo puntare sull’education come elemento vero di capacità competitiva, anche e soprattutto in Sicilia. E dobbiamo anche cancellare la vergogna di una formazione professionale che è stata la sinecura di alcuni politici». © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 8 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Arancina Ovvero un antico risotto profumato di zafferano reso da asporto. Bastò farne una palla a forma di arancia che ne agevolasse il trasporto una volta fritta. Quando si partiva per il nord con il treno del sole e la valigia di cartone legata con lo spago, non mancò mai la delicata arancina. Assieme al pecorino, alle uova sode, alle olive nere o verdi. Ma non si mangiò mai in viaggio. Solo all’arrivo: perché dentro quella palla di riso c’era intatto il ricordo dei profumi di casa e del lavoro delle donne che l’avevano preparata. Oggi si trova nel mondo intero forse per far sentire i siciliani emigrati meno soli offrendo, se possibile, gli odori di casa. Le infrastrutture L’AEROPORTO DI CATANIA Forse si vola verso il futuro Inversione di tendenza Il presidente Sac, Gaetano Mancini: «Impiegheremo 600 milioni di euro». Lo scalo, tra i primi italiani, ora persegue il sogno intercontinentale Tagli di costi e nuovi investimenti Fontanarossa diventa ambizioso di Daniele Lo Porto a carrozzone politico ad azienda gestita secondo i rigidi criteri privatistici di efficienza, efficacia ed economicità. Gaetano Mancini, 51 anni, ingegnere, numero uno di Confcooperative in Sicilia e vice presidente nazionale, dal 30 novembre del 2007, a parte una brevissima «vacatio», è alla guida, prima come presidente, poi come amministratore delegato, della Sac, Società Aeroporto Catania, che gestisce i servizi dello scalo etneo di Fontanarossa. Respingendo le pressioni delle varie parti politiche, la Sac è riuscita a porsi e raggiungere obiettivi importanti, come la riduzione del personale dipendente, passando da oltre 400 unità a poco più di 100, tramite l’esternalizzazione delle attività meno redditizie, riducendo al minimo il ricorso agli stagionali, grazie ad un’accorta gestione del personale. Forte di una concessione quarantennale, ottenuta proprio nel 2007, la Sac ha in programma investimenti, tramite autofinanziamento, per 600 milioni di euro, dei quali 110 D nei primi quattro anni. I progetti più immediati riguardano la struttura sopraelevata e coperta del Posteggio P4 e la ristrutturazione della vecchia «stazione Morandi», da destinare alle compagnie low cost, in modo da poter accogliere in più 2,5 milioni di transiti l’anno. «Abbiamo una stima prudente dell’aumento dei passeggeri pari al 3% annuo, crisi permettendo — sottolinea Mancini —. Solo nel 2012 abbiamo registrato un dato negativo, ma ampiamente giustificato da tre elementi oggettivi: la contrazione dei passeggeri su scala mondiale; la chiusura di Windjet e l’inagibilità della pista per lavori di manutenzione, con il conseguente trasferimento di numerosi voli su Palermo. Il dato complessivo è di circa 540.000 transiti in meno. Ma già quest’anno, da aprile in poi, la tendenza registra un saldo attivo considerevole». A parte di Hub di Roma Fiumicino e Milano Malpensa, l’aeroporto catanese resta uno dei primi in Italia, con una quota di circa 7 Crescita costante L’aeroporto Vincenzo Bellini di Catania. Lo scalo, il quinto in Italia con 7 milioni di transiti, punta ora anche al low cost mentre si profila una sinergia con il nuovo scalo di Comiso (foto A. Parrinello) milioni di transiti annui, perché ha tutte le caratteristiche di un importante scalo regionale con un’utenza proveniente da sette province su nove e ben il 78% di transiti da destinazioni estere. «Siamo la quinta società di gestione aeroportuale in Italia, dal 2007 abbiamo aumentato produttività e redditività in modo graduale», sottolinea Mancini, che allunga lo sguardo fino a Comiso, nel lontano sud est siciliano, area a forte vocazione turistica. Il 7 agosto scorso lo scalo di Comiso è diventato finalmente operativo: collegamenti diretti con Ciampino, Londra, Bruxelles, velivoli sempre pieni. Tra i due aeroporti è assolutamente necessaria una sinergia, che già esi- ste in termini societari. «L’unica possibilità per lo sviluppo di Comiso è la massima integrazione con Sac. Siamo pienamente coscienti e convinti che Comiso debba essere un pezzo del sistema aeroportuale della Sicilia orientale », conclude Mancini. L’aeroporto di Catania, intanto, non ha abbandonato l’idea di diventare intercontinentale, ma la pista dovrà essere di 3.100 metri, a fronte di quella esistente di 2.500 metri. Esiste un progetto di fattibilità che prevede interventi per circa 80 milioni (interramento di parte della tratta ferroviaria, stazione intermodale e collegamenti), di competenza di Rfi. © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 9 Arma È l’anima, entità spirituale che comprende tutte le facoltà del sentire e del ragionare. Normalmente poco compresa, portàti come siamo alla corporalità e alle cose concrete. Esattamente come Dio si riconosce nelle sue opere, i siciliani, la riconoscono in certe forme di gastrite che si dicono bruciori a la vucca di l’arma, alla bocca dell’anima, giacché lì abbiamo finito per riporla. Pure nelle strazianti raffigurazioni dei corpi che stanno tra le vampe delle Anime Purganti. Pur ignorando di averne una, siamo posseduti dall’anima, esattamente come i personaggi de Gli anni perduti di Brancati o come il La Ciura di Lighea di Tomasi di Lampedusa. CONTRACCOLPI Merci e passeggeri, languono i porti A Palermo calano i crocieristi, ma la crisi peggiore la vive il traffico dello Stretto di Isidoro Trovato In mezzo a due fuochi Spietata concorrenza non solo degli scali del Nord ma anche di quelli della costa africana. L’isola paga duramente la recessione in questo settore può salvarsi solo con importanti scelte politiche n una terra completamente circondata dal mare il porto dovrebbe essere una risorsa primaria per l’economia e i trasporti. In Sicilia questo è vero solo in parte, la grande crisi economica ha creato un contraccolpo davvero forte ai grandi scali isolani: Palermo, Catania, Messina e Augusta nel 2012 hanno fatto segnare una contrazione in linea con i porti del resto del Paese ma in una situazione di maggiore difficoltà territoriale. «Stare lontani dal cuore dell’Europa penalizza i porti siciliani specie in una fase così delicata per l’economia — afferma Paolo Ferrandino, segretario generale di Assoporti — a ciò si aggiunga la spietata concorrenza dei porti del Nord Africa che possono garantire prezzi più competitivi a causa del costo del lavoro molto più basso. È evidente che i nostri porti escono con le ossa rotte da confronti così impari, specie se a ciò si aggiunge la fase recessiva del mercato interno. Un contesto che diventa ancor più complesso in tutto il nostro Meridione dove scarseggiano le realtà industriali in grado di sostenere il traffico merci portuale». Proprio analizzando i dati di Assoporti si capisce quanto la crisi economica si sia specchiata nelle dinamiche dei grandi porti siciliani. Andando nel dettaglio, nel 2012 a Palermo il traffico di quello che in gergo si chiama «rinfuse solide» (cereali, derrate alimentari, carbone, prodotti metallurgici, fertilizzanti e prodotti chimici) è sceso del 33,1 per cento. Una flessione per nulla compensata dal flusso dei container che pure ha fatto segnare un più 1,7 per cento. Preoccupante anche l’area del movimento passeggeri che cala del 10,9 per cento: si tratta di 200 mila passeggeri in meno che sono transitati dal capoluogo isolano. Lascia perplessi che il calo provenga quasi interamente dal traffico crocieristico che pure negli ultimi anni aveva rappresentato una risorsa importante per lo scalo palermitano. Nel 2012 invece i passeggeri delle crociere sono stati 212 mila in meno, solo lievemente compensati dai passeggeri dei traghetti che sono aumentati di 25 mila unità. Discorso parzialmente diverso a Catania dove le rinfuse solide hanno fatto segnare un precipizio addirittura peggiore che a Palermo (meno 40,98 per cento) e anche i container hanno registrato una flessione del 4,98 per cento. Come se fosse l’esatto contrario del capoluogo isolano, la città dell’elefante ha proprio nelle crociere l’unica voce veramente attiva del bilancio 2012. L’anno scorso infatti i croceristi in I In attesa Una veduta del porto di Palermo: nel 2012 meno 33,1% il traffico di rinfuse solide transito dalla città etnea sono stati 243 mila, quasi 55 mila in più rispetto all’anno precedente. Un dato benedetto come manna dal cielo visto che il generico transito passeggeri aveva fatto segnare un meno 13,58 per cento. Il bilancio peggiore dei tre grandi porti siciliani è probabilmente quello che riguarda Messina dove lo scalo merci non è in gravissima crisi in termini di tonnellate: si registra un calo del 3,8 per cento. Ma il problema è che la città dello Stretto non ha nel traffico merci il suo punto di forza ma nel traffico passeggeri, proprio quello che ha fatto segnare la flessione più preoccupante. Basti pensare che lo scalo peloritano l’anno scorso ha visto addirittura 1 milione e 365 mila passeggeri in meno. Di questi 1 milione e 290 mila sono quelli che hanno rinunciato a utilizzare il passaggio dello Stretto e 62 mila sono crocieristi. Dunque lo scenario non è confortante (e non potrebbe essere diversamente) ma è altrettanto chiaro che il rilancio dell’isola passa anche (forse soprattutto) dal rilancio delle infrastrutture. «Si potrebbe percorrere la strada di partnership pubblico-privato — ricorda Ferrandino —. Però non bisogna dimenticare che per supportare la funzionalità di un porto servono strade di collegamento, piano regolatori efficienti, una rete di personale e servizi all’altezza delle realtà più competitive dell’Europa centrale. Ma a questo non possono pensare i privati, serve un intervento pubblico che indirizzi le risorse verso le aree che possono garantire un ritorno economico e occupazionale. Solo allora i nostri porti potranno diventare appetibili anche per i grandi investitori internazionali che operano nel settore». In tempi di vacche magre tocca alla politica fare le proprie scelte e puntare sui comparti capaci di accendere volani di crescita. In un’isola piazzata al centro del Mediterraneo, il mare (e i suoi porti) potrebbe rappresentare una scommessa su cui varrebbe la pena puntare. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’ATTIVITÀ DA DIPORTO Diportismo «congelato» ora si spera in Siracusa F ino alla vigilia della grande crisi economica la Sicilia rappresentava la nuova frontiera del diportismo turistico con tassi di crescita tra i più elevati a livello nazionale. Poi la tempesta economica ha creato un contraccolpo che ha gelato gli investimenti e provocato un esodo di imbarcazioni. Eppure l’offerta di porti turistici isolani è ancora importante: il Villa Igiea e il Motomar di Palermo, il Marina di Riposto, il Marina boat service di Trapani, il Porto turistico delle Eolie di Salina, il Marina di Porto Rosa a Milazzo e il Porto Rossi a Catania. «Senza la grande crisi — spiega Roberto Perocchio, presidente di Assomarina Federturimo — oggi avremmo già il porto turistico di Licata con i suoi mille posti barca. Ma sono tantissimi i progetti aperti: da Capo d’Orlando a Balestrate, da Cefalù a Marsala. Per non parlare del progetto più ambizioso, quello del porto di Siracusa: lì si è arenato il Marina di Archimede ma sta andando avanti il Marina Cala del sole che potrebbe dar vita al porto turistico più importante dell’isola». In molti altri settori, compreso quello turistico, sono gli stranieri a rappresentare la vera alternativa a un mercato nazionale in piena fase recessiva. Nel settore Il Marina Cala del sole potrebbe dar vita al porto turistico più importante dell’isola della diportistica invece non è esattamente così. «Inutile nascondere che a livello internazionale — continua Perocchi — si è diffusa la voce che in Italia ci sono troppi controlli in mare, troppa burocrazia e troppe regole. Si rischiano multe salate e chi può sta alla larga dalle nostre acque territoriali. Inoltre gli investimenti sulle strutture sono bloccati dal potenziale aumento dei canoni demaniali annunciato dalla Regione Sicilia e per ora bloccato». Malgrado tutto, non bisogna dimenticare le potenzialità di questo comparto: i dati Censis dicono che ogni euro investito nei porti turistici ne porta 6 di ricavi e ogni posto di lavoro creato nella nautica ne crea nove nell’indotto. Numeri che una realtà come quella siciliana non può certo ignorare. I. Tro. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL NUOVO WATERFRONT SCACCIA IL DEGRADO Ma Palermo riconquista il suo mare Concerti e passeggiate dove spadroneggiavano inquinamento e malavita di Salvo Toscano accontano che fino a qualche anno fa da quelle parti, tra l’eternit e i cattivi odori, ci si poteva imbattere in cani da combattimento o cavalli per le corse clandestine. Oggi, la Cala, l’antico porto palermitano utilizzato per la nautica da diporto, con la sua rinascita simboleggia la voglia della città che i greci battezzarono «tutto porto» di riappropriarsi di quel mare negato per decenni da incuria e illegalità. Il processo di recupero e bonifica del waterfront della città vecchia, che abbraccia l’area della Cala e del Castello a mare, ha cambiato volto negli ultimi anni alla costa. E là dove trionfavano abusivismo, discariche e degrado, R oggi nelle estati palermitane si gode degli spettacoli di Sting o Roberto Bolle. Guidato dall’autorità portuale di Palermo, con al timone l’ingegnere e docente Nino Bevilacqua, il percorso di rinascita del waterfront cittadino ha restituito alla città un pezzo dimenticato della sua storia, quel Castello a mare a lungo abbandonato, oggi al centro di un’area archeologica che ospita eventi artistici di primo piano, ma anche un ristorante à la page, gestito dallo chef Natale Giunta, fresco di denuncia dei suoi estorsori, anche lui, a suo modo, immagine della voglia di voltare pagina della città. Accanto al Castello a mare, ecco la Ca- la. Relitti, liquami, eternit e svariate forme di illegalità la facevano da padrone. Un’imponente opera di bonifica e riqualificazione, terminata nel 2011, l’ha resa fresca di prati e di pietra bianca, quella dell’ampio viale pedonale realizzato tra la banchina e il ciglio della strada. Gli arredi urbani e l’illuminazione hanno reso fruibile una fetta di città per anni off limits. E passeggiando per l’emiciclo della Cala rinata, si scopre anche un piccolo gioiello: un «lapino» bianco (la motoape insostituibile strumento di lavoro nelle borgate cittadine) progettato da Andrea Di Marco, virtuoso artista palermitano scomparso nel 2012 a soli 42 anni. La festa Le Frecce tricolori sorvolano il Castello a mare (foto Mike Palazzotto) Il recupero della costa palermitana prosegue. Più in là, spostandosi in direzione di Sant’Erasmo (dove il prossimo progetto prevede la nascita di un porto turistico da 272 posti barca), il Foro Italico, fino a un decennio fa occupato dalle giostre che impedivano la vista del mare, è con il suo prato meta quotidia- na di giovani, bambini, turisti. Molto, insomma, si muove tra Palermo e il suo mare. Tanto da portare negli ultimi mesi a un braccio di ferro tra Comune e Autorità portuale per la gestione del nuovo waterfront. Ma questa è un’altra storia. © RIPRODUZIONE RISERVATA 10 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 11 Azzizzàri Transitivo per adornare, acconciare. Lo usarono le donne siciliane che si azzizzàvano facendosi belle, meglio ancora splendide, visto che viene dall’arabo azìz, cioè splendido. Viene da lì la Zisa, lo splendido palazzo palermitano di re Guglielmo. Quale dei due? Tutti e due, giacché fu iniziato dal padre e finito dal figlio. Un concentrato di splendori orientali, di profumi di harem da Mille e una notte, che ha ancora il potere d’incantare i visitatori. Ricorda gli ultimi bagliori della civiltà arabo-normanna. Poi invasori nordici e frati spagnoli tenteranno di occidentalizzarci. Degli antichi costumi sovente libertini non tutto andrà perduto. L’energia PORTO EMPEDOCLE Rigassificatore, cantieri (forse) al via Dopo vent’anni di polemiche, sembra prossimo l’inizio dei lavori per la realizzazione di Gabriele Dossena Le (infinite) vie del gas L’impianto metterebbe fine al viaggio del gas proveniente dalla Nigeria che viene fatto transitare nel Nord della Francia, con un costo aggiuntivo tra i 150 e i 170 milioni di euro sulla nostra bolletta n travaglio lungo dieci anni. Adesso, però, sembra arrivata la volta buona: il 2013 potrebbe segnare l’apertura dei cantieri per la realizzazione del rigassificatore di Porto Empedocle, a una manciata di chilometri da Agrigento. Un progetto che, tra mille veti e dopo aver superato un percorso a ostacoli che pare infinito, quando sarà ultimato (54 mesi previsti, la durata dei lavori per costruire i due serbatoi interrati da 160mila metri cubi e rendere operativo l’impianto) avrà una capacità di 8 miliardi di metri cubi l’anno (circa il 10% del mercato italiano). A dire il vero, dall’inizio dell’anno sono già state avviate alcune opere, quelle indispensabili all’apertura del cantiere vero e proprio (che, tra l’altro, prevede un’occupazione di circa 500 persone, con punte fino a 900): dalle verifiche belliche a quelle archeologiche, fino alla sistemazione dell’area, che versava in uno stato precario (per usare un eufemismo) tanto da richiedere interventi di bonifica e ripristino. In soldoni: 10 milioni di euro di interventi «propedeutici», a fronte di un investimento complessivo superiore agli 800 milioni da parte della Nuove Energie, la società (99,25 % Enel, tramite la controllata Enel Trade) artefice del progetto. Anche se l’avvio dell’iter autorizzativo risale al 2004 (e ha ottenuto pareri favorevoli dall’assessorato regionale ai Beni culturali e ambientali, dalla Sovrintendenza di Agrigento, Sovrintendenza del mare, il nulla osta di fattibilità ex legge Seveso e dalla commissione Via del ministero dell’Ambiente; l’approvazione dal ministero dei Beni culturali e il parere favorevole finale all’unanimità della Conferenza dei Servizi delle Regione Siciliana), la vicenda del rigassificatore di Porto Empedocle ha origini ancora più lontane. Risale addirittura al maggio 1992, quando l’allora presidente dell’Enel Franco Viezzoli firmò un accordo con la Nigeria per la fornitura di 3,7 milioni di gas liquefatto l’anno per 25 anni a partire dal 1996: una maxi-operazione destinata, originariamente, ad alimen- U Lo scenario futuro Sopra, un rendering per il progetto del rigassificatore di Porto Empedocle. I cantieri per l’intervento potrebbero partire entro la fine dell’anno. A destra, la casa natale di Luigi Pirandello nei pressi del sito industriale tare la centrale di Montalto di Castro in sostituzione dell’impianto nucleare. Da lì cominciò però il balletto dei veti, da parte delle autorità locali e degli ambientalisti, che poi si moltiplicò in tutti gli altri siti individuati in alternativa per accogliere il gas nigeriano: da Monfalcone a Brindisi a Taranto. Fino a quando l’Enel individuò nell’ex area industriale di Porto Empedocle, in degrado, la possibile locazione. Per inciso, finora il gas proveniente dalla Nigeria (pena il pagamento di una multa equivalente a 20mila miliardi di lire, prevista dall’accordo con il governo di Abuja) viene fatto transitare nel Nord della Francia, con un costo aggiuntivo tra i 150 e i 170 milioni di euro l’anno sulla bolletta degli italiani. Nella primavera del 2009, nonostante il terminale avesse già ottenuto tutte le necessarie autorizzazioni regionali e nazionali, il Comune di Agrigento decise di promuovere un referendum consultivo tra gli abitanti in merito alla realizzazione o meno dell’impianto. Consultazione alla quale partecipò solo il 14,6% degli aventi diritto e che in ogni caso aveva co- munque un valore puramente simbolico, dal momento che il terminale non sorgerà ad Agrigento ma sul territorio del comune di Porto Empedocle. E proprio con il Comune l’Enel si è impegnata a versare un contributo una tantum pari a 12 milioni, oltre alla quota annuale prevista nel corso dell’opera di 1,8 milioni di euro indicizzati. Ancora più esplicito sulle ricadute locali è il sindaco di Porto Empedocle Lillo Firetto. Lo scorso gennaio ha annunciato i dettagli del «bonus energia» di cui potranno usufruire circa 2mila famiglie empedocline, in pratica un contributo annuale parametrato in base al numero dei componenti del nucleo familiare: 63 euro fino a 2 persone; 81 euro da 3 a 4; 139 da 5 componenti in su. E non è tutto. A livello provinciale l’Enel attiverà una serie di interventi, dalla riqualificazione dell’illuminazione della Valle dei Templi, a miglioramenti della viabilità oltre a un insieme di impegni economici e strutturali valutabili in circa 50 milioni di euro, a cui si sommeranno circa 6 milioni l’anno per tutta la vita dell’impianto. Sul destino di quest’opera, che qualcuno ha accomunato a una commedia pirandelliana, ora incombe un’altra minaccia: la crisi del mercato del gas, con una domanda fortemente ridimensionata rispetto ai valori che hanno supportato l’avvio del progetto. E che ora potrebbe rimetterlo in discussione. gdossena@corriere.it © RIPRODUZIONE RISERVATA RICONVERSIONI Dal patto tra energia e territorio nasce il nuovo modello ecologico Il solare termodinamico ha trovato nell’isola la sua culla ideale hanno battezzata la «Carta del Sole». È un patto per l’energia tra il territorio e l’industria. E racchiude l’impegno che coinvolge tutte le forze sociali, economiche e produttive della Sicilia per creare un nuovo modello, valido per l’Italia e per tutto il Mediterraneo. Suggellata dal governo nel settembre dello scorso anno, tramite l’allora ministro dell’Ambiente Corrado Clini, ha il suo punto di forza nel solare termodinamico, una tecnologia tutta italiana, ideata dal premio Nobel Carlo Rubbia in collaborazione con l’Enea, e che ha trovato nella Sicilia la sua culla ideale. Così, mentre l’Eni avvia un piano di rilancio della raffineria di Gela, che entro quattro anni dovrebbe rivoluzionare l’attività dello storico impianto voluto da Mattei mettendo sul piatto un investimento per 700 milioni di euro, trasformandolo in una fabbrica ecocompatibile e più competitiva, concentrata sulla produzione del diesel ed eliminando quella di benzine e polietilene (entro il 2017 è previsto il ritorno all’utile, dopo che dal 2009 a oggi questa raffineria ha accumulato perdite pari a un L’ terzo di quelle dell’intero sistema di raffinazione Eni). E a Priolo la Lukoil (maggiore compagnia petrolifera russa e seconda al mondo dopo Exxon Mobil) annuncia un progetto per la trasformazione nell’arco di due anni dei processi produttivi dello stabilimento Isab (impianto acquisito dalla Erg per 1,95 miliardi di euro, attraverso fasi successive a partire dal 2008 e di cui controllerà il 100% entro fine anno), il polo petrolchimico siciliano si appresta a imboccare nuove strade. E punta sull’energia solare. A Catania sorge infatti la più grande fabbrica italiana per la produzione di pannelli fotovoltaici: Enel Green Power, la giapponese Sharp e l’italiana StMicroelectronics hanno costituito una joint L’Eni investe 700 milioni a Gela e la Lukoil a Priolo punta sull’energia pulita Idee antiche e moderne Gli impianti della centrale solare Enel-Enea di Priolo Gargallo (Sr) che utilizza un complesso sistema di specchi parabolici per produrre energia (foto Antonio Parrinello) venture per la produzione degli innovativi pannelli a film sottile multi giunzione (i moduli si realizzano depositando atomi di silicio su un supporto che può essere di plastica, lamiera o vetro). Ma all’ombra dell’Etna, c’è anche il laboratorio dove la ricerca Enel mette alla prova le tecnologie fotovoltaiche per Enel Green Power: un centro che rappresenta il punto di riferimento dell’energia solare in Italia e in Europa. Anche se oggi il dibattito sul fronte energetico è sempre più dominato dal solare, pochi sanno che questa tecnologia ha una lunga storia. Nel 1981, per esempio, l’Enel diede vita ad Adrano, vicino a Catania, al progetto «Eurelios», conquistando un doppio primato, aprendo al pianeta le porte dello sfruttamento dell’energia del sole. Adrano (ritenuto il sito più assolato d’Europa) rappresenta anche la prima centrale solare a concentrazione del mondo e la prima a immettere in rete energia elettrica prodotta dal sole. Da Adrano, in poco più di un’ora di macchina, si arriva a Priolo Gargallo: una sorta di viaggio nel tempo, da «Eurelios» si passa ad «Archimede», la tecnologia Enel-Enea capace di produrre energia dal sole a qualunque ora del giorno e della notte attraverso un com- plesso sistema di specchi parabolici. L’impianto, primo al mondo, utilizza i sali fusi come fluido termovettore al posto dell’olio. La quantità delle emissioni di Co2 è pari a zero, l’impatto sul territorio nullo. Un impianto innovativo che si rifà a un’idea con più di duemila anni di storia. Non a caso il nome di «Archimede» è anche un omaggio al grande fisico e matematico che nel 212 a.C., durante la seconda guerra punica, con i suoi specchi ustori incendiò le navi romane salvando Siracusa dall’assedio nemico. G. Dos. © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 12 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Bèlice Da gennaio ’68 con quell’accento, a causa di radio e tivvù calati per il sisma. Si chiama esattamente Belìce, Bilìci in siciliano. Un fiume, quasi un torrente, che quando è in piena travolge ogni cosa. Motivo per cui i saraceni lo chiamarono con il nome del diavolo, in arabo balìs. Nessuno ha mai provato a rivolgere un invito a non storpiare quel nome così come avviene per Caltanissetta, ben fornita di due esse, ma alleggerita in Caltanisetta, con una sola esse. Al pari di Cìnisi, luogo dell’attentato a Falcone che diventa nell’oralità giornalistica Cinìsi, cioè cinesi in siciliano. Che suscita ilarità visto che di cinesi da quelle parti non ce n’è neppure uno. L’industria I MARCHI LJ PHARMA E FARMITALIA Affrontare la crisi con i farmaci giusti La spinta dal passato «L’obiettivo: rilanciare Farmitalia, conosciutissimo all’estero, con capitali italiani e riportarlo all’importanza della sua storia, iniziata nel 1935» Scaccia e la «nicchia» di ginecologia e ostreticia di Daniele Lo Porto avanti alla crisi il quesito è da quiz: lascia o raddoppia? Fabio Scaccia ha scelto, senza dubbi, di raddoppiare. E così, nell’aprile di quest’anno, ha inaugurato il suo nuovo stabilimento per la produzione di farmaci per la ginecologia e l’ostetricia, un segmento di nicchia, ma importante. Il nuovo edificio, 2 mila metri quadri per laboratori e deposito, 750 mq per gli uffici, è incastonato tra le maestose rocce laviche della zona industriale di Piano Tavola, testimonianze della devastante eruzione dell’Etna del 1669. Ma su quei banchi di pietra nera, sorsero paesi e città più belli e moderni, fiorì l’elegante e sfarzoso tardo-barocco catanese. È quasi una scelta simbolica: ricostruire dove c’è stata la distruzione. «Dobbiamo guardare avanti, andare oltre le avversità, spingere l’ottimismo più avanti del coraggio», afferma Scaccia, imprenditore che in un recente passato ha ricoperto importanti incarichi, da presidente regionale della piccola industria (2003) a presidente di Confindustria D Catania (dal 2005 al 2008), da membro della Giunta nazionale di Confindustria (2007-08) a presidente della Banca di sviluppo economico (2009-10) a presidente della Camera arbitrale e di conciliazione della Camera di commercio di Catania. «L’azienda cresce — spiega —: dai 25 milioni di fatturato del 2012 prevediamo di arrivare ai 27 alla fine di quest’anno, abbiamo acquistato nuovi prodotti che ci consentiranno di arrivare a 30 milioni. Contiamo 145 dipendenti, dei quali cento sono informatori medico-scientifici. Investiamo un milione di euro l’anno nella ricerca e siamo l’unica impresa privata che fa parte del Consorzio Catania ricerche, che ha tra gli altri partner l’Università di Esperimenti I laboratori Pharma e l’ad Fabio Scaccia (foto Parrinello) Un milione di euro all’anno per la ricerca: anche così la fabbrica di Piano Tavola copre un segmento remunerativo Catania, l’Istituto di fisica nucleare, Il CNR e la Camera di commercio. Nel nuovo stabilimento completiamo la parte produttiva dei nostri farmaci con il marchio LJ Pharma e Farmitalia. Quest’ultimo è un marchio che abbiamo acquistato un anno fa perché è uno di quelli storici del "made in Italy" nel settore farmaceutico nel mondo, dopo che alcune multinazionali avevano fatto sparire il brand. Il mio obiettivo è di rilanciare il marchio, conosciutissimo all’estero, con capitali italiani e riportarlo all’importanza della sua storia, iniziata nel 1935». Dai rimedi per le infezioni vaginali ai più moderni anticoncezionali, vengono prodotti nello stabilimento di Piano Tavola, vicino Belpasso, a 15 chilometri da Catania. «Puntiamo molto all’innovazione e alla ricerca per produrre farmaci unici di no- stra concezione o equivalenti di altri. Abbiamo conquistato un’importante nicchia di mercato e superato la crisi grazie ai prodotti che sono risultati vincenti perché innovativi, graditi e con un ottimo rapporto qualità-prezzo», aggiunge Scaccia. Può sembrare strano, secondo stereotipi ormai anacronistici, ma l’eccellenza in Sicilia si manifesta anche nell’industria farmacologica. «Nel Sud tutto è più difficile, per l’inadeguatezza delle infrastrutture, per la lontananza dai mercati di produzione delle materie prime, per il contesto ambientale che ha difficoltà, ma riusciamo a riequilibrare con il fattore umano. Altissime professionalità, dedizione, fantasia e spirito di sacrificio ci hanno permesso di colmare le distanze e scavalcare gli ostacoli». © RIPRODUZIONE RISERVATA Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 13 Cabbasisi Grazie a Camilleri gli italiani sanno cosa s’intende. A farceli scoprire furono gli arabi che con habb-bacca e aziz-splendida indicavano i frutti del Cyperus esculentus, un arbusto che fruttifica con tuberi ovoidali ricoperti di fitta peluria. E ci siamo. Il riferimento offerto dalla natura fu servito bell’e pronto agli occhi speculativi degli antichi. Il termine sembrava riservato agli esperti di botanica. Invece quelle bacche finirono sulla bocca di tutti. Un nobile siciliano spiritoso ne piantò un paio nel posto ombreggiato dove era solito leggere e fumare il sigaro. Trovò così un modo elegante per dichiarare di non rompergli i cabbasisi. La medicina IL CENTRO CHIRURGICO DI PALERMO Sicilia-Usa, trapianto d’eccellenza Il primato dell’Ismett nata dalla partnership tra Regione e Università di Pittsburgh di Ruggiero Corcella Avamposto della salute Un fiore all’occhiello incastonato nella struttura del Policlinico. Il sistema di cartella clinica elettronica è uno dei più avanzati; e ancora, laboratori cellulari Gmp, un Centro di simulazione, personale in continua formazione el cielo sopra Palermo, nuvole soffici e gonfie si alzano in verticale come quinte di un teatro fantastico. Sotto, il quartiere Montegrappa - Santa Rosalia stringe la cittadella ospedaliera e universitaria in un abbraccio all’apparenza pigro e tranquillo. Zona di chiare origini arabe, testimonia lo storico ed erudito settecentesco Marchese di Villabianca. E in effetti, il colpo d’occhio da via Tricomi con i suoi palazzoni a dieci piani potrebbe far pensare a un miraggio in pieno deserto: dietro un’oasi di fusti di palme e prati all’inglese, la facciata austera dell’Ismett (Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione) spunta con il suo ingresso da grand hotel. Il moderno dell’Ismett, inaugurato nel 2004, incrocia l’antico dell’ospedale Civico e del Policlinico. Contaminazioni di stili architettonici, di mondi e di culture ovunque. Forse solo in questo humus avrebbe potuto nascere, crescere e svilupparsi un progetto tanto singolare: un centro di eccellenza a metà tra Stati Uniti e Sicilia. Tra Pittsburgh in Pennsylvania, per la precisione e Palermo. Nella patria americana e mondiale del trapianto di fegato, alla scuola del Premio Nobel Thomas Starzl, si sono formati il 70-80% dei chirurghi specializzati nella branca. Tra questi il primo direttore di Ismett, Ignazio Marino, e l’attuale direttore Bruno Gridelli. A metà degli anni ’90, in Sicilia all’ospedale Cervello c’era un gruppo di epatologi tra i migliori d’Italia e d’Europa diretto dal professor Luigi Pagliaro. Ma non esistevano centri trapianti. I pazienti siciliani che avevano bisogno di un organo nuovo dovevano rivolgersi ad altri centri in Italia oppure all’estero. Di qui l’esigenza di crearne uno a Palermo. L’Upmc (University of Pittsburgh Medical Center , una delle più grandi organizzazioni sanitarie al mondo) stava invece cercando un «avamposto» in Europa. Domanda e offerta, per così dire, si incontrarono. Grazie poi alla legge di riforma sanitaria italiana del 1992, che ha introdotto le sperimentazioni gestionali, il progetto dell’Ismett ha preso corpo. È una partnership tra Regione Sicilia, attraverso le aziende ospedaliere Civico e Cervello di Palermo, e Università di Pittsburgh. La Regione pensa ai finanziamenti. Upmc cura gli aspetti gestionali e fornisce il suo sapere tecnico e scientifico. Qualche numero su Ismett: 78 posti letto; 700 dipendenti in stragrande maggioranza siciliani, età media fra i 35 e i 45 anni, il 51% donne; 1.400 trapianti di fegato, rene, pancreas, cuore e polmone effettuati; un servizio di assistenza ai pazienti dall’estero che scelgono di farsi curare a Palermo o che rientrano in programmi di medici- N Le tre facce Sopra, un intervento di trapianto. A destra dall’alto, laboratorio di ricerca sulle staminali e una lezione di tirocinio (foto Mike Palazzotto) na umanitaria. L’Ismett è un concentrato di tecnologia avanzata, gestione informatizzata all’avanguardia (il sistema di cartella clinica elettronica è uno dei più avanzati al mondo), laboratori cellulari Gmp, un Centro di simulazione, personale in continua formazione, e continuamente impegnato a valutare il proprio lavoro e a imparare dagli errori. Il risultato della collaborazione tra pubblico e priva- to, un modello americano non calato dall’alto ma adattato alla realtà siciliana e portato avanti con orgoglio da professionisti siciliani, è questo luogo incredibile dove, contro ogni stereotipo sul Meridione, tutto sembra funzionare e ognuno sembra motivato al massimo e inserito in una squadra perfettamente oliata. «Non dovrebbe sembrare incredibile — chiosa Gridelli — ma la normalità. È quel- A CARINI E nel 2017 la sfida della biomedica A Carini, poco lontano dall’aeroporto Falcone e Borsellino, sorgerà un grande centro di ricerche biomediche «targato» Ismett. «La ricerca biomedica che poi sfocia nelle biotecnologie è un settore in continua crescita anche in questo momento di crisi — spiega Bruno Gridelli —. Quindi è un’attività che ha un grande potenziale e proprio per questo è molto importante per una regione come la Sicilia. In più è un’attività che produce salute, nuovi farmaci, nuovi vaccini, cioè dei beni che hanno un valore molto alto». È stata quindi creata la Fondazione Ri.Med (Ricerca nel Mediterraneo) che vede impegnate la presidenza del Consiglio dei ministri e la presidenza della Regione Sicilia, il Cnr, l’Università di Pittsburgh e University of Pittsburgh Medical Center (Upmc). Alla fondazione è stato assegnato un finanziamento di 300 milioni di euro. A regime, il centro darà lavoro a circa 600 persone e creerà un indotto enorme. «Dovremmo riuscire a completare la gara per la costruzione l’anno prossimo — aggiunge Gridelli —. La posa della prima pietra dovrebbe avvenire a fine 2014 inizi 2015. I lavori dovrebbero durare tre anni, quindi speriamo nel 2017 di riuscire ad aprire le porte». Nel frattempo, Ismett sta reclutando e formando i giovani ricercatori. Adesso sono sparsi ad imparare tra l’Ismett, l’Università di Pittsburgh, e in altri centri di ricerca universitaria europei e italiani. © RIPRODUZIONE RISERVATA, lo a cui penso aspiriamo tutti. Il nostro ospedale è nel vero senso della parola un centro di medicina accademica, in cui la cura del paziente, l’educazione e la ricerca sono molto integrate tra di loro e pur essendo in Sicilia abbiamo l’accesso al know how di un’organizzazione straordinaria come Upmc. Ma soprattutto penso che il nostro potrebbe e dovrebbe essere un modello esportabile anche al di fuori della Sicilia e dell’Italia». Eliminiamo anche il «sembra» allora. Al di là di quanto sia possibile vedere e capire visitandolo, l’Ismett ha superato la selezione della Joint Commission International, il sistema di accreditamento più prestigioso e selettivo per gli ospedali, basato sul rispetto di 323 standard di qualità. In Italia, sono solo 15 gli ospedali accreditati e Ismett è l’unico del Centro-Sud. «Sono palermitana e mio padre lavorava in un ospedale pubblico — racconta Barbara Ragonese, responsabile dell’Unità operativa Accreditamento e Qualità —. Non voglio parlare male di altri ospedali, ma ricordo ancora i suoi racconti e il rammarico di non capire perché le cose non funzionassero. Mancava un sistema di gestione. Per me invece è molto bello lavorare in un posto dove le cose riescono progressivamente ad andare avanti e ad essere migliorate con l’impegno di tutti». © RIPRODUZIONE RISERVATA LA CASA DI CURA DI BAGHERIA La nuova vita di Villa Santa Teresa Dalla gestione giudiziaria allo sviluppo. E 85 posti al Rizzoli di Bologna di Vincenzo Marannano i tempi di Michele Aiello — e della sanità gestita direttamente da Cosa nostra — i pazienti destinati a Villa Santa Teresa viaggiavano come onorevoli, un piccolo esercito di 25 autisti li raccoglieva da tutta la Sicilia per portarli a Bagheria e per le prestazioni legate, ad esempio, a un tumore alla prostata, oggi pagate mediamente 8 mila euro a paziente, la Regione ne sborsava anche 143 mila. «È bastato passare alla gestione commissariale — spiega Andrea Dara, amministratore giudiziario della Casa di cura bagherese — e di colpo i rimborsi sono passati dai 55 milioni di euro del 2003 ai 6 milioni del 2004». A Bagheria, città delle ville, un A tempo dépendance della nobiltà palermitana, tutti ricordano l’ingegnere Michele Aiello, ras dell’edilizia e della sanità, che prima della «disgrazia» (è così che definiscono il carcere o le condanne) dava lavoro a 400 persone. «Immaginate quanto sia stato difficile far digerire un’amministrazione giudiziaria», sorride amaro Dara, mentre prova a ricordare il numero esatto di attentati, minacce, telefonate intimidatorie e sabotaggi ricevuti direttamente o, indirettamente, dagli uomini a lui vicini. Da quando si sono insediati, nel 2004, hanno dovuto lottare innanzi tutto «contro i sabotaggi dei fedelissimi dell’ingegnere» (una trentina), «contro le rinunce di chi è andato via», una decina in tutto, e contro la resistenza di chi, «la maggioranza, ci guardava con scetticismo». Oggi l’universo del Gruppo Aiello è composto da 15 società, tra imprese edili e strutture sanitarie, per un valore complessivo di circa 800 milioni di euro, 350 tra impiegati, quadri e dirigenti e un fatturato consolidato annuo di 50 milioni di euro. Villa Santa Teresa, in particolare, ha un «valore di produzione» che nel 2011 ha sfiorato i 13 milioni di euro, 141 dipendenti e una media annua di circa 12.000 pazienti. «Grazie all’opera di risanamento avviata dal 2004 — spiega ancora Dara — la Regione è tornata a darci fiducia, abbia- Risanata L’ingresso della clinica, 12 mila pazienti nel 2011 (foto F. Lannino/ Studio Camera) mo chiuso ben 31 contenziosi con l’Asp e anche le banche credono nel nostro piano di sviluppo. Tanto che Unicredit ci ha concesso un mutuo di 28 milioni». La svolta però è arrivata nel 2011, con una convenzione che concede 82 posti letto al Rizzoli di Bologna per l’attivazione di un Centro regionale di eccellenza in Ortopedia. Questa firma alla Regione costerà 14 milioni di euro in 9 anni, «ma è stato calcolato — conclude Dara — un risparmio sensibile legato ai rimborsi extraregionali per i cosiddetti viaggi della speranza, per i quali l’assessorato avrebbe speso 25 milioni». © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 14 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Camurrìa Indica fastidio, importunità. Il termine è impiegato in senso traslato. Dal basso latino camoria-cimurro, o dall’antico francese chamoire? E se fosse il greco kammonie, persistenza? Considerate che in italiano è la gonorrea o blenorragia, fastidiosa malattia venerea contagiosa localizzata nell’apparato genitale. È chiaro che con il termine camurrùsu o camurriùsu si indica colui che arreca fastidio, il noioso importuno. Anche telefonico. Soprattutto se nelle ore del riposino postprandiale. Malattia una volta assai diffusa come fastidio dei maschietti frequentatori di case chiuse; oggi non se ne parla più perché si cura in pochi giorni con gli antibiotici. La lotta per la legalità I TRENTENNI DI ADDIOPIZZO E L’AGRICOLTURA VIRTUOSA DI LIBERA Vino e pasta dalle terre della mafia Anche centri ippici, cantine e agriturismi sui 700 ettari confiscati ai boss di Vincenzo Marannano Una rivoluzione culturale La «resistenza» di giovani e studenti che puntano sull’eccellenza dei loro prodotti. E c’è perfino chi ha lasciato un posto fisso in una banca del Nord per venire a lavorare nelle campagne di Corleone vevo già un posto fisso — racconta oggi Valentina mentre controlla le nuove etichette del vino Centopassi e il packaging della pasta commercializzata da Libera —. Poi è arrivata pure la chiamata da una banca che mi avrebbe assunto a tempo indeterminato. Provate a immaginare la faccia dei miei genitori quando, era il 2006, dissi che avrei mollato tutto per tornare in Sicilia e fare la volontaria nelle campagne di Corleone». Valentina Fiore ha 35 anni, palermitana doc, laurea in Economia e commercio, master in Responsabilità sociale di impresa e, fino a qualche anno fa, una carriera spianata in una società di consulenza di Bologna. Oggi è direttore del consorzio che raggruppa le sei cooperative siciliane di Libera, duecento persone tra soci-lavoratori e stagionali, 300 mila bottiglie di vino ogni anno, 100 mila chili di arance rosse e 800 mila confezioni di pasta, solo per citare alcuni numeri, per un fatturato che nel 2012 ha toccato i cinque milioni di euro (+25 per cento rispetto al 2011). La sua è una storia come poche da queste parti. «Perché normalmente — spiega Umberto Di Maggio, che di Libera è presidente regionale — è più facile partire che restare e scommettere in una regione soffocata dalla mafia». Solo nella provincia di Palermo, la Dia stima infatti la presenza di 2.230 affiliati a Cosa nostra, suddivisi in 15 mandamenti e 78 famiglie. Basta alzare un ponteggio o affittare un locale commerciale per ricevere la visita dell’esattore del pizzo. In mezzo a tante connivenze e a chi subisce in silenzio, negli ultimi anni si è fatta avanti una sorta di «resistenza» avviata da un manipolo di studenti, oggi quasi tutti fra i 30 e i 35 anni. I ragazzi di Addiopizzo hanno iniziato tappezzando Palermo di adesivi contro il racket e adesso «scortano» commercianti e imprenditori accompagnandoli verso la denuncia. Il loro quartier generale è un appartamento confiscato a Tommaso Spadaro, boss della Kalsa «A Gioco di squadra Da sinistra, Valentina Fiore, direttrice del Consorzio Libera Terra Mediterranea, con Laura Speziale, Elio Cutrona, Francesca Massimino e Vincenzo Salerno. A destra, la cantina Centopassi nel territorio di Monreale (foto Franco Lannino/Studio Camera) sepolto adesso in carcere col 41 bis e spogliato di tutti i beni. «Ormai — precisa il prefetto Giuseppe Caruso, direttore dell’agenzia nazionale per i beni confiscati — è stato dimostrato che l’arresto e la condanna danneggiano il mafioso, ma sino a un certo punto. Per questo bisogna puntare al portafogli». Dei quasi 13 mila beni confiscati in tutta Italia, più di 5.500 (il 43%) si trovano in Sicilia e 3.637 solo nella provincia di Palermo. «Se ogni euro tolto alla mafia viene investito per bonificare le realtà territoriali, che per anni sono state violentate e depauperate, per il cittadino sarà più facile capire da che parte è giusto stare». In Sicilia la battaglia è innanzi tutto culturale. Lo sa bene Di Maggio, 35 anni, laurea in Sociologia alla Sapienza e una grande passione per i libri di Gesualdo Bufalino. Per lui la «chiamata» è arrivata nel 2006: «Avevo appena deciso di tornare in Sicilia, o almeno volevo provarci. Affittai un furgone per il trasloco e appena infilate le chiavi squillò il cellulare. Era un ami- co di Libera che si stava occupando delle selezioni per una delle cooper ative. Aveva bisogno di una persona con il profilo simile al mio. Gli dissi di non fare altre telefonate e di aspettarmi: "tra 12 ore sono da te"». Libera oggi gestisce più di mille ettari di beni confiscati in tutta Italia, di cui 700 in Sicilia. Oltre ai campi coltivati, sono stati messi in piedi un centro ippico, una cantina e due strutture ricettive: l’agriturismo Terre di Corleone, in una masseria confiscata a Totò Riina, e l’agriturismo Portella delle Ginestre, ricavato in uno dei feudi di Giovanni Brusca, un tempo signore incontrastato di San Giuseppe Jato. E proprio da questo paese di 8.600 anime arriva una delle storie più forti di questa ribellione, quella di Francesca Massimino, «tre volte svantaggiata», ironizza lei, perché oltre ad essere donna e ad essere nata a San Giuseppe, è pure costretta a lottare contro lo strapotere mafioso muovendosi su una carrozzina a causa di un’atrofia muscolare spinale. Oggi è responsabile amministrativa della coop Placido Rizzotto ed è presidente di una squadra di hockey, i Leoni Sicani, che ha fondato nel 2010 e che lo scorso anno è stata promossa in A1. Sogna di vincere lo scudetto e intanto analizza costi e ricavi: «Se ho paura? Per fortuna non hanno mai minacciato nessuno. Certo, hanno rubato un trattore, dato fuoco a un campo di grano. Ma finché non toccano le persone, questi li chiamo scherzetti...». «Un giorno — profetizza Umberto Di Maggio — la mafia sarà sconfitta e sarà la regola avere sul mercato prodotti "sani" anche dal punto di vista etico. Quindi bisogna andare oltre, puntare sull’eccellenza». Alla qualità si dedica soprattutto Gianluca Faraone, anche lui palermitano. Nel 2001 cominciò come agronomo alla «Placido Rizzotto», adesso è l’amministratore delegato di Libera Terra Mediterraneo, una rete che raggruppa sei cooperative e che esporta prodotti in tutta Italia e in almeno una decina di Paesi tra cui Giappone, Stati Uniti, Brasile e Germania. Ognuno di questi ragazzi è riuscito nell’impresa di capitalizzare il proprio percorso universitario: agronomi, tecnici, commercialisti, botanici accomunati dal desiderio di un’economia sana e pulita. E, credeteci, ascoltando le loro storie sembra che convenga veramente. © RIPRODUZIONE RISERVATA A PATERNÒ La battaglia del contadino Emanuele «Ho paura, ma non lascio la mia terra» Nonostante le intimidazioni, lavora alla sua oasi avifaunistica nel Simeto di Daniele Lo Porto i siete mai chiesti perché da tre settimane scrivo i miei post la notte? Avete guardato bene la mia faccia ogni giorno sempre più scavata? Avete idea di quello che sogno non appena provo a chiudere gli occhi un attimo? Sapete che la persona che amo sopra ogni cosa mi ha lasciato probabilmente per paura? Io non sono un eroe per caso, io sono un uomo che sogna continuamente la morte! Danza intorno a me e interloquisce rabbrividendomi! Io sono un uomo che ha paura e nonostante tutto questo cerco disperatamente di rimanere attaccato alla vita (...)». Così si è descritto su Facebook Emanuele Feltri, dopo la più recente cruenta intimidazione che ha subito: una delle sue pecore sventrata e buttata davanti la porta di casa, nella campagna di contrada Sciddicuni, a Paternò. Forse è solamente testardo. Testardo nella decisione di voler fare «V l’agricoltore, il suo sogno fin da bambino. Da vendere la casa di Catania e investire il ricavato in 5 ettari di terreno. Da tenere testa ad «amici» che sono venuti prima a consigliarlo, poi a cercare di dissuaderlo, infine a dirgli, senza giri di parole, che lì, tra quelle colline d’argilla, non c’è spazio per lui. Non è gradito, insomma. Emanuele Feltri, invece, il suo progetto di vita lo vuole sviluppare proprio lì, in quel deserto di zolle sterili, a pochi metri da un’oasi di canneti immersi nel Simeto: la riserva avifaunistica di Ponte Barca. «Istituita nel «Mi hanno bruciato l’agrumeto, poi ucciso le pecore. Con me solo gli amici» 2009, ma abbandonata a se stessa: nessuna recinzione, se non quelle abusive di pastori e bovari; nessuna indicazione, nulla che faccia capire che si tratta di un’area protetta — sottolinea Emanuele —. Lì c’è il supermarket dei tombaroli. Ci sono i resti di un insediamento sicano, poi siculo. Nel 2012 fu istituito un parco archeologico, "cancellato" mesi dopo. Vanno in cerca di reperti da vendere sul mercato nero». Emanuele, 33 anni, studi in Scienze politiche, da sempre attivista politico, contro il Muos di Niscemi e la TAV, impegno ambientalista, sta scuotendo l’immobilismo della rassegnazione cristallizzato in decenni di assuefazione alla mafia rurale, ai sensali che impongono il prezzo perché le arance possono essere vendute solo a loro. «Mi hanno danneggiato l’impianto di irrigazione, bruciato l’agrumeto, poi ucciso le pecore, ma io non cedo. Ho sempre denunciato subito Inflessibile Emanuele Feltri, 33 anni, con due degli animali che alleva (Parrinello) tutto. La risposta è stata una grande mobilitazione, con il sindaco di Paternò in testa, poi le assicurazioni del presidente Crocetta, che mi ha mandato gli agenti del Corpo forestale, ma solo per una settimana hanno vigilato, poi, "per carenze di organico" il servizio è stato sospeso e mi ritrovo solo, senza protezione, in una campagna dove non c’è neanche l’energia elettrica e l’unica strada sterrata viene resa impraticabile da una pioggia appena più intensa». Non è solo, però: gli amici che non lo lasciano un minuto sono la sua «scorta». Vogliono costituire una cooperativa agricola, vendere i loro prodotti biologici sul mercato ecosolida- le, diffondere l’idea di un agricoltura pulita. Il primo passo è rendere percorribile «la strada del grano», una ex regia trazzera, che collegava i campi dell’ennese ai mulini ad acqua di Paternò. Il tracciato, devastato dai mezzi pesanti e dalle piogge torrenziali, serve decine di aziende agricole. «Abbiamo costituito l’associazione Valle del Simeto (www.valledelsimeto.it) per ottenere adesioni e finanziare dal basso la manutenzione della strada, 18 mila euro per il primo tratto. Rendere agibile quel sentiero avrebbe una valenza, non solo simbolica», conclude Emanuele, mentre accarezza l’asina Pasqualina. © RIPRODUZIONE RISERVATA Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 15 Cannòlo C’è qualcuno che non conosce il cannolo siciliano? Nacque nel Cinquecento come scherzo di carnevale. Infatti uno strumento cilindrico fatto con un pezzo di canna serviva come rubinetto nelle fontane o abbeveratoi di campagna. Lo scherzo consistette nel fare uscire, invece dell’acqua, la ricotta raddolcita. «Sono dolci conditi in maniera diversa» recitano i dizionari siciliani. Infatti quello palermitano si distingue per scorza d’arancio messa di traverso e lo zucchero a velo, quello catanese per le ciliegine alle estremità e la graniglia di pistacchi, quelli del trapanese per la loro dimensione esagerata... Resta un peccato di gola. Veniale però. IL PROCURATORE DI CALTANISSETTA SERGIO LARI Falcone e Borsellino, maestri di vita «Amicizia, dedizione, rigore. Lavoro duramente senza cercare il falso consenso» di Felice Cavallaro Amarezza e speranza «Giornalisti e uomini politici hanno espresso dubbi sulla fondatezza della nostra posizione diciamo così "laica", di attenzione professionale, di vaglio critico. Qualcuno ci ha mostrato al Paese perfino come un’Armata Brancaleone, ma non ci abbattiamo» ra gli eredi dei grandi magistrati che si sono sacrificati sulla trincea antimafia spicca la figura di Sergio Lari, il procuratore di Caltanissetta cresciuto nella peggiore stagione di Palermo accanto a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Cioè fra i bersagli designati delle stragi di Capaci e via D'Amelio di cui Lari si occupa da cinque anni per competenza territoriale nella roccaforte giudiziaria al centro della Sicilia. Da loro sembra avere mutuato il metodo e l’approccio umano. Rapporti indelebili. A cominciare da Giovanni Falcone, come racconta questo magistrato di 65 anni, moglie e tre figli, il basket per passione, vita blindata, la giornata in ufficio, la sera alloggio in caserma, i weekend ritirato a casa a Palermo: «Una amicizia profonda. Giovanni ha tenuto in braccio mia figlia Claudia. Li rivedo una sera in pizzeria, al club dove andavamo, il Telimar. Lui la alza in alto, con affetto paterno, un grande sorriso specchiato in quello della piccola. Poi la stringe a sé e la bacia. Ma con uno sguardo in cui l’allegria mi sembrò velata dal rammarico, forse, di non avere provato la gioia della paternità, come aveva deciso, come ripeteva per non mettere al mondo un orfano». Un’amicizia che negli anni Ottanta portò Lari nella vita associativa della magistratura: «Per scelta di Falcone, io divenni segretario del "Movimento per la giustizia". Anni di lavoro duro. Mi ha lasciato il senso del rigore. Quando antepongo il lavoro ad ogni altra cosa, ad ogni affetto, penso a lui. Prima di conoscere Giovanni non ero così. In questo posso dire che mi ha cambiato la vita». E Paolo Borsellino? «Colpiva la sua grandissima umanità. Non poteva prescindere dal rapporto fisico. Il braccio in spalla, la pacca, il sorriso, la complicità, la battuta confidenziale sul proprio vissuto. Questa la ragione per cui tutti erano disposti a fare tutto per lui. Eravamo su fronti opposti in associazione. Io con i Movimenti, lui "monarchico". Indimenticabile l’ultimo incontro in tribunale, dopo la morte di Giovanni. Si parlava di una possibile candidatura alla Superprocura e, senza pensare ai nostri diversi schieramenti, gli dissi: "Se decidi di concorrere, il mio gruppo ti appoggia". Mi ringraziò, con un sorriso amaro. Capii che non avrebbe accettato, deciso a rimanere in Procura a Palermo fino all’ultimo». Queste le immagini che Lari si porta appresso in una prima linea dove avverte d’essere esposto «a temporali continui», indifferente alle polemiche accese sulla cosiddetta «trattativa» Stato-mafia, sugli imputati eccellenti, sui testimoni esaltati da altri uffi- F Vita blindata Sergio Lari, 65 anni, dice: «Il magistrato che vuole accertare la verità deve accettare di essere solo» (foto Contrasto) ci come accadde l’anno scorso per Massimo Ciancimino, quando Antonio Ingroia era ancora magistrato. Temporali? «Avvertiamo spesso ventate impopolari di chiacchiere infondate sul nostro lavoro, con notizie false o commenti deviati. In una certa area culturale dell’antimafia so di non trovare sostegno e compiacenze, ma non importa e non le cerco». Un’amarezza che somiglia a quella di Falcone, lasciato solo da tanti amici che lo riscoprirono dopo Capaci. E Lari, cosciente, non si lascia fuorviare dalle chiacchiere: «Il magistrato che vuole accertare la verità, deve accettare di essere solo. Senza cercare popolarità. Incassando critiche da chi non è d’accordo, da chi secondo i suoi teoremi vorrebbe che noi certificassimo per esempio, anche senza prove, l’esistenza di mandanti esterni alle stragi. Ovviamente se ne può parlare, si può ragionare su tutto. Ma mi rifiuto di considerare Riina come un esecutore di un mandante esterno, senza prove granitiche. Così, noi andiamo per la nostra strada. Anche controcorrente. Come è accaduto quando si esaltava il profilo di alcuni personaggi, vedi Massimo Ciancimino, e non condividevamo le politiche giudiziarie di una parte della Procura di Palermo». Esplicito il riferimento alle polemiche sorte sulle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza: «Alcuni giornalisti e uomini politici hanno espresso dubbi sulla fondatezza della nostra posizione diciamo così "laica", di attenzione professionale, di vaglio critico. Abbia- mo provato disorientamento davanti alle iniziative e alle sbandate di certa stampa. Qualcuno ci ha mostrato al Paese perfino come un’Armata Brancaleone incapace di vedere la famosa Agenda Rossa di Borsellino, sbandierata dopo vent’anni da una foto scattata fra le macerie di via D’Amelio. Per scoprire, dopo affannate indagini, che si trattava di un reperto insignificante, il lembo di un parasole. Ma per giorni e giorni siamo stati crocifissi ai titoloni di prima pagina come inetti. E non si fermano. Qualcuno è riuscito ad accusarci perfino di essere "trattativisti", come se fossimo noi a difendere la famosa e discussa "trattativa" fra Stato e mafia. Un’idiozia aggiunta allo sgomento di essere accusati di avere perfino occultato un "colloquio investigativo" fatto da Piero Luigi Vigna a Gaspare Spatuzza». Preferisce citare i dati concreti, Lari. A cominciare dai 7 boss che, lavorando su nuovi elementi, il suo ufficio è riuscito a fare arrestare per Capaci: «Compreso Cosimo D’amato, il fornitore dell’esplosivo militare recuperato dalle bombe trovate nei fondali del mare di Porticello, 1.300 chili di esplosivo utilizzato pure per gli attentati di Milano, Firenze e Roma». E su via D’Amelio, dopo tre processi sbagliati: «Scoperte da noi 11 condanne inflitte a innocenti. Scarcerate 8 persone, 7 delle quali condannate all’ergastolo. Salvate invece 32 condanne. E rinviati a giudizio per calunnia aggravata i quattro falsi collaboratori di giustizia responsabili delle ingiuste condanne. Abbiamo fatto uscire dal carcere chi non aveva commesso il reato di strage, individuando 5 nuovi soggetti corresponsabili prima sfuggiti alle indagini. Individuando anche 4 persone coinvolte nella fase esecutiva come Giuseppe Graviano, già condannato come mandante, il boss del telecomando di via D’Amelio». È la rivendicazione di risultati raggiunti in questa città dove con Antonello Montante cominciò la «primavera» degli industriali siciliani: «La lotta al racket e la rivoluzione di Confindustria scattarono qui, dalle prime reazioni degli imprenditori di Gela, dal sequestro dei beni dell’ex presidente degli industriali. Fino al nuovo corso. Ma ci vuole anche altro. Ci vuole una condivisione di Confcommercio, di ogni categoria produttiva». Mentre spesso scattano veleni pronti ad ammorbare l’aria: «Il rischio è una campagna di delegittimazione da parte di centri occulti che vogliono screditare chi fa vera antimafia, come le associazioni antiracket della Fai, Confindustria, e Addiopizzo». L’ESPERIENZA VENTENNALE DELLA SORELLA DEL GIUDICE Testimone A sinistra, Maria Falcone durante un incontro sulla mafia con gli studenti all’auditorium San Francesco di Chiavari (Ge) (foto Olycom Fototre): oltre 900 le scuole che partecipano ai progetti educativi della Fondazione Falcone Gli studenti fanno rivivere Giovanni Con loro penso che la mafia si batte di Maria Falcone a prima impressione entrando nelle stanze che ospitano la Fondazione Giovanni e Francesca Falcone è quella di essere dentro a una galleria caotica e vivace. Convivono migliaia di libri, quadri, oggetti dalle sembianze infantili, riconoscimenti internazionali ed istituzionali di vario genere. Sono i doni e i ricordi dedicati a Giovanni, a Francesca e alle nostre attività nei vent’anni che ci separano dalle stragi del ’92. Tra questa babele di oggetti fantasiosi, realizzati per lo più dalle scuole, quello più caro si trova nella mia scrivania. È un pupazzetto di carta delle di- L mensioni di un soldatino. Raffigura Giovanni Falcone. Sotto c’è scritto: «Grazie Giovanni. Ci ha dato il coraggio per continuare la tua impresa». Mi è stato donato da un bambino di Cagliari. La frase può sembrare retorica ma per noi della Fondazione, che a Palermo abbiamo visto crescere un vero movimento culturale antimafia senza precedenti, è la sintesi più reale del lavoro svolto nelle scuole. La Fondazione Giovanni e Francesca Falcone è nata alla fine del 1992. L’adesione delle scuole di tutta Italia ai nostri progetti di educazione alla legalità è stata inarrestabile. Siamo parti- ti con una manciata di studenti e professori. Oggi oltre 900 scuole partecipano ogni anno alle nostro progetto educativo arrivando il 23 maggio a Palermo alla commemorazione delle stragi di Capaci e Via D’Amelio. Si aggiungono le delegazioni di studenti stranieri. Arrivano in Italia con i progetti europei da noi promossi. Vengono per conoscere la storia umana e professionale di Giovanni Falcone. È un’opportunità di confronto su tanti temi, non solo sul fenomeno mafioso italiano. Se dovessi tracciare un bilancio, pensando alle generazioni con le quali interloquisco oggi, sento una ten- © RIPRODUZIONE RISERVATA sione etica ed una dettagliata conoscenza dei fatti e della figura di mio fratello da renderlo contemporaneo e vivente. I ragazzi che incontro nelle scuole sono consapevoli e mi colpisce come Giovanni sia riuscito a penetrare nel loro immaginario. A metterli in contatto con i valori più sani che lui rappresenta. Vent’anni fa la disperazione era tale che dentro di me non risiedeva più la speranza di un futuro migliore per Palermo, per la Sicilia, per l’Italia. Sono state ancora una volta le parole di Giovanni a farmi capire che non potevo dimenticare il suo lavoro. Il contrasto alla mafia doveva con- tinuare non solo nei tribunali ma col sostegno della società civile. Il testamento morale di mio fratello è racchiuso in una frase che ha lasciato agli italiani quando poco prima della sua morte, che presagiva vicina, disse ad un giornalista: «Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini». Questa frase è stata il sostegno che mi ha guidato e spinto a costituire una fondazione rivolta alle nuove generazioni; unica via salvifica per riabbracciare la speran za. © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 16 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Canziàtu Participio passato del verbo canziàri, mettere da parte. In Sicilia il canziàtu è colui che viene ricercato e si è dato alla latitanza. L’aria dell’isola pare favorisca questo tipo di isolamento volontario dato che annoveriamo canziàti da Guinness con 30 e fino a 40 anni di latitanza senza che le forze dell’ordine abbiano potuto scoprire alcunché. A creare il mito fu Ade, il cui nome, in origine, stava per invisibile. Latitò in una grotta dalle parti di Pergusa, vicino Enna. Fu il rapitore di Persefone, con la prima fuitìna. D’altronde, mettiamoci nei panni della madre, la povera Demetra: voi le avreste dato per marito uno che era canziàtu? Il personaggio ANTONIO PRESTI, ETERNO RIBELLE «La bellezza contro mafia e antimafia» Il mecenate solitario che ha creato la «Fiumara d’Arte» denuncia i riti ambigui della politica di Enzo Basso Poche parole e tante opere Le opere di land art sulla costa messinese, l’hotel «costruito» dai poeti, il coinvolgimento degli studenti per un «muro» artistico nel quartiere di Librino: tutto a spese sue, pur di non cedere a certe lusinghe e è vero che il destino di ogni uomo è scritto nelle stelle, «io ho preferito i "riti della luce" a quelli "oscuri della politica"». Antonio Presti, 56 anni, mecenate dell’arte, impegnato nell’inaugurazione dell’equinozio d’autunno, la manifestazione di archeoastronomia «la Piramide 38˚ Parallelo» che si svolge a settembre sotto la Piramide in acciaio corten dell’artista Mauro Staccioli, sulle alture di Motta d’Affermo, spiega così il rifiuto della carica di assessore regionale ai Beni culturali della Regione Sicilia. Ad insistere perché accettasse, Rosario Crocetta. Il governatore della Sicilia, per i mesi precedenti alla sua elezione, è stato ospite all’Atelier sul Mare, 40 camere d’albergo d’arte dove si sono espressi poeti come Dario Bellezza ne «La stanza del Profeta», dedicata a Pier Paolo Pasolini, e brigatisti in licenza premio come Renato Curcio, che ha fermato sulle pareti di Castel di Tusa, borgo marinaro a metà strada tra Palermo e Messina, i suoi «Sogni tra i Segni». All’Atelier sul Mare il governo Crocetta è nato. E i riti, le trattative serrate, le «pupiate» che hanno preceduto la formazione del governo, hanno convinto Presti a dire no. Anzi. Alla proposta di entrare in giunta ha risposto con un fax nel quale rifiutava gli ottantamila euro l’anno che il bilancio regionale destinava per la manutenzione ordinaria delle opere del parco «Fiumara d’Arte», le sculture disseminate sui Monti Nebrodi che hanno tenuto Presti per vent’anni sotto processo, con l’accusa di abuso edilizio. Due forze contrapposte nei tribunali: «La creazione positiva dell’arte» sul demanio pubblico, contro il "non finito siculo", l’abusivismo edilizio privato, dilagante». Ora, come un cerchio che si chiude, le parti si ribaltano. E sono i potenti della Sicilia a venire in processione all’Atelier sul Mare, ospiti di questo personaggio a briglie sciolte che risponde: «Le lusinghe non mi interessano. Il mio sentire è per una Sicilia diversa, votata alla bellezza. Non ai riti della mafia e dell’antimafia: qui ho visto tanti personaggi ambigui che hanno offeso e continuano a umiliare la Sicilia». Un percorso travagliato quello di Antonio Presti, nato trent’anni fa, come atto di ribellione. Era da morto da poco suo padre, imprenditore edile di successo, che finanziava la squadra di calcio del Messina, quando, impreparato al ruolo di successore, si ritrovò a respirare «la volgarità delle mazzette». Anziché dedicarsi all’arte della revi- S Firmato dai bambini Presti davanti alla «Porta della Bellezza» a Catania (foto Fabrizio Villa) sione prezzi, alla memoria del padre Angelo, sul greto di un torrente, riservò una monumentale opera in cemento armato dello scultore Pietro Consagra: «La materia poteva non esserci». Da lì la definitiva rivolta di Presti, «contro il sistema che macina con i commi di legge il codice della bellezza». A Pettineo ha fatto dipingere dagli artisti una tela lunga un chilometro tagliata poi a «pezzi d’arte» per finire nelle case dei mille abitanti, la prima esperienza nazionale di Domestic Art. Nel difficile quartiere di Librino SCULTURE Cammino sano di un mecenate Fiumara d’arte, l’essenza di vita La «Finestra sul Mare» di Tano Festa è la prima delle sette opere scultoree della «Fiumara d’Arte» cui il viaggiatore si imbatte sulla statale «113», all’uscita della autostrada Messina-Palermo, prima di addentrarsi nella valle di Tusa. La seconda opera, sulla strada è «La Materia poteva non esserci» di Pietro Consagra. Inoltrandosi per i Nebrodi, in direzione Pettineo, appare «una curva gettata nel vento» di Paolo Schiavocampo. Il cammino del turista può poi proseguire per Castel di Lucio, dove isolata su un colle c’è «Arianna», il labirinto di pietre di Italo Manfredini. In direzione Mistretta, poi, ci si imbatte nel «Muro di Ceramica» firmato da quaranta artisti. Il giro, a zig zag sui monti, si conclude poi a Motta d’Affermo, dove si erge l’onda blu di «Energia Mediterranea» di Antonio Di Palma. Tappa d’obbligo, è poi l’Atelier sul mare, a Castel di Tusa. a Catania, definito dai paesaggisti «un non luogo a procedere», ha impegnato dodici artisti a decorare la «Porta della Bellezza». Da Librino nel 2001 è poi partito «Il treno dei poeti». Ragazzi e viaggiatori anonimi si mischiavano in «conversazioni in Sicilia» con poeti come Edoardo Sanguineti, Luciano Erba, Franco Loi. «L’Offerta della Parola» contro il vaniloquio della «dell’antimafia e della mafia». «La bellezza della Costituzione» l’hanno raccontata al vento, sul rettifilo che porta i viaggiatori all’aeroporto di Catania, le 500 bandiere con le scritte-slogan dei ragazzi. Un movimento di pensiero ripreso poi nella manifestazione per le acque del fiume Oreto a Palermo che ha radunato 140 scuole e che ha affascinato Danielle Mitterand. Prima di morire la first lady francese ha voluto impegnarsi nella «Stanza dei Pittori d’acqua». Ma ora che i soldi, «miliardi di vecchie lire» sono volati via, come pensa Presti di chiudere il suo personale ciclo? «Conferirò tutto il mio patrimonio, almeno quello che resta, per fare una Accademia di Fiumara d’Arte, perché possa crescere davvero il seme di una Sicilia diversa, con una devozione alla bellezza...» © RIPRODUZIONE RISERVATA TERZO SETTORE Il volontariato nell’isola che adesso c’è Grazie alla Fondazione «Con il Sud» avviati laboratori per ragazzi autistici e disagiati di Minnie Luongo l Sud non è un Paese per volontari. Ciò valeva fino a pochi anni fa, quando il non profit era di casa soprattutto nelle regioni settentrionali. Ora la fotografia del Terzo settore appare cambiata. Molto lo si deve a realtà come Fondazione CON IL SUD, ente non profit privato nato nel novembre 2006 dall’originale alleanza tra le fondazioni di origine bancaria e il mondo del Terzo settore. Per educare i ragazzi alla legalità e contrastare la dispersione scolastica, valorizzare giovani talenti e attrarre i cervelli al Sud, tutelare i beni comuni (patrimonio artistico-culturale, ambiente, riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie), integrare gli immigrati. In totale, sono state lanciate oltre 470 iniziative, assieme a tre prime «fondazioni di comunità» meridionali (Saler- I no, Messina e Napoli), coinvolgendo 5.500 organizzazioni fra Terzo settore e volontariato, scuole, enti pubblici, privati e migliaia di cittadini, specie giovani, ed erogando oltre 104 milioni di euro. Per quanto riguarda la Sicilia, commenta Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione: «Questa regione — grazie a 130 progetti approvati, alla salda Fondazione di Comunità di Messina, assieme alla costituenda Fondazione di Comunità della Val di Noto e al progetto di sviluppo locale in via di sperimentazione a Castelbuono (Pa) — rappresenta un territorio dove, pur nei limiti imposti da un’insufficiente disponibilità di risorse, la nostra Fondazione ha raggiunto risultati di un certo rilievo. Ed è importante che, proprio attraverso i progetti da noi sostenuti, si rafforzi la dimensione No profit Tra sport e natura molti sono i volontari impegnati nella Fondazione che ha avviato dal 2006 circa 470 progetti di rete tra le importanti esperienze di Terzo settore presenti nell’isola». Tra le esperienze più significative avviate in Sicilia e sostenute dalla Fondazione, vale la pena ricordarne almeno due. La prima è «Il laboratorio dei talenti», rivolta a 50 minori del Comune di Palermo e provincia affetti da autismo, con l’attivazione di più laboratori: artistici, sportivi e di orticoltura. Così i ragazzi possono dedicarsi al dragon boat (attivi- tà remiera che facilita il senso di appartenenza ad un gruppo), o impegnarsi in altri sport nei mesi invernali. Mentre si lavora già per le attività dell’estate 2014: ippoterapia ed escursioni. La seconda iniziativa è «Mandarinarte», partita nel dicembre 2010 con una fase di valorizzazione di un bene confiscato alle mafie: un immobile immerso in un mandarineto nell’area agricola di Ciaculli. «Il progetto — sottolinea Bor- gomeo — può essere definito paradigmatico dell’approccio e della strategia della Fondazione CON IL SUD. Da una parte promuove attività rivolte a definire solidi ed innovativi percorsi di inclusione sociale; dall’altra, utilizza a tal fine un bene confiscato, restituendo al territorio un simbolo prima di disperazione e di morte, oggi di speranza e di futuro». © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 17 Carcaràzza È il Corvus pica, la gazza, l’uccello bianco e nero che affolla le piazze dei paesi siciliani. E pure i templi dell’agrigentino. Karakàksa dissero i nonni greci forse per via di quel suo verso sgraziato. Parlare come la carcarazza si dice ancora per le donne sguaiate e dalla voce poco gradevole. «Mamà, li carcarazzi…», urlò una domenica mattina di molti anni fa una deliziosa bambina vestita a festa. A Milano, davanti al Duomo. Era la figlia di uno dei tanti emigrati sbarcati dal treno del sole. Lei non aveva mai visto i colombi al suo paese, ma solo gazze. E furono in molti a girarsi stupefatti per quell’urlo infantile che non potevano capire. L’amministrazione UN ASSESSORE A CACCIA DI CORSI INUTILI Nelly va alla guerra degli enti fantasma La Scilabra combatte l’imbroglio della Formazione. «Hanno rubato il denaro a noi giovani» di Felice Cavallaro Una giovane speranza L’hanno ribattezzata «bulldozer» perché, senza remore ideologiche, sta smantellando il diffuso clientelismo che spreca 287 milioni l’anno. Ma il suo impegno nella giunta regionale va oltre e mira al varo di un piano per il lavoro giovanile ei lo ammette di non essere mai stata «una studentessa modello», ma anche se fuori corso a Giurisprudenza, adesso che Rosario Crocetta le ha spalancato di botto il portone della politica affidandole «la guerra ai ladri della Formazione», Nelly Scilabra, con i suoi trent’anni, ha deciso di diventare «assessore modello», anzi «assessore bulldozer». Una sorta di commissario straordinario, di condottiero deciso a smantellare «un imbroglio grande 287 milioni di euro all’anno finiti nelle casse di 500 enti quasi tutti inutili». Un profilo mediterraneo, il corpo di una modella, grandi occhi neri, vita privata top secret, fidanzato non esposto, se c’è, Nelly marcia spedita verso la sua rivoluzione. Nel terrore di chi ha affondato le mani nei fondi regionali e europei della Formazione. Controlla, scopre, licenzia, denuncia, sale in tribunale e cambia squadre da un ufficio all’altro senza guardare in faccia potenti e pseudo amici. Come tanti ne ha trovati pure nell’area dove è cresciuta, quando pensava alla rivoluzione in facoltà, quella del Partito democratico. Primo suo approdo politico già alle letture giovanili, alle prime frequentazioni di amministratori e intellettuali di sinistra fra i vicoli di Burgio, la città della ceramica, il suo amato paese della provincia di Agrigento raggiunto da pendolare nei fine settimana, adesso sempre più lontano, costretta com’è a girare come una trottola da una parte all’altra della Sicilia a caccia di enti fantasma. Ogni volta scoprendo il peggio, subito accusata di essere troppo «giovane», come sentenziano tanti suoi avversari caricando il termine con un accento obliquo. E lei risponde con sorrisi determinati parlando di sua madre: «A 30 anni era già sposata con due figli. Mi sputino pure addosso quel "giovane". Ma è forse una colpa? È meglio essere vecchi e ciechi, come tanti signori smascherati con le mani sporche di denaro rubato ai giovani?». Una rivoluzione che qualcuno vorrebbe frenare, magari con un «rimpasto» suggerito a Crocetta per cambiare assessore. E lei, decisa a non cedere: «È stato terribile scoprire che il mio partito, è inutile negarlo, aveva le mani affondate in questa "manciugghia" (mangia, mangia), come dice il mio presidente, Crocetta. Ah, non lo sapevi?, m’interrogano, prendendomi per ingenua. No che non sapevo. Si, potevo sospettare. Ma non fino a questo punto. Scopro le porcherie e per accusarmi di non capire niente senten- L Trentenne Nelly Scilabra, Assessore alla Formazione della regione Sicilia (foto G. Gerbasi/ Contrasto) ziano: è giovane! Mettiamo le cose in chiaro. Io un capello bianco non l’ho mai avuto. E m’è spuntato adesso. L’ho mostrato a Crocetta e gliel’ho detto: si chiama "Formazione". Cresciuto di botto. Come sono cresciuta di botto io». Quando è scattata la sua rivoluzione, Nelly s’è guardata indietro e non ha visto nessuno: «Mi è mancato il sostegno del partito in cui sono stata allenata a comizi e campagne elettorali. E adesso guardano non me, la mia poltrona. Perché ho scoperto tanti big di partito invischiati negli enti fasulli di Messina. Cosa rimprovero a loro e ad altri? Potevano razionalizzare una spesa spaventosa di 287 milioni di euro all’anno. E non riesco nemmeno a immaginare cosa siano 287 milioni moltiplicati per dieci, quindici anni, forse di più. No, io non me la prendo la responsabilità di tradire la mia generazione. Come hanno fatto loro, gli uomini della vecchia politica che ci hanno governato fino a 9 mesi «È stato terribile scoprire che anche il mio partito, il Pd, aveva le mani in questa "mangiucchia"» fa, cioè ex assessori, presidenti di gruppo, deputati, spesso con la tessera del mio partito in tasca. Insomma mi sento Davide contro il Golia». E il futuro? Al di là della provocazione di Crocetta che respinge le richieste di rimpasto e candida Nelly alla segreteria regionale del Pd? «Il futuro è il "piano giovani" che sto per varare...». E anticipa il provvedimento: «Duecento milioni per i giovani. Ai ragazzi l’invito a costituirsi in cooperative di massimo 6 soci per ottenere a fondo perduto 10 mila euro a testa e fare partire piccole startup di impresa. Una piccola azienda agricola, una società di gestione per un bene confiscato alla mafia, un’attività turistica, insomma lavoro vero, non assistito, una spinta da 60 mila euro a iniziativa per cominciare a produrre e poi continuare da soli». Un modo per voltare pagina, mentre scardina «il sistema dei 500 enti in cui Formazione faceva rima con clientelismo»: «Mi sono rifiutata di incontrare i dirigenti degli enti, mentre parlo con i lavoratori, 7.800, tanti, troppi, assurdo. Come è assurdo che sulla carta avessero 37 mila allievi, la stragrande maggioranza dei quali iscritti, spesso solo sulla carta, a corsi completamente inutili. Quando mi sono ritrovata davanti al corso per "esperto in abbronzatura artificiale" sono andata su tutte le furie. E il presidente dell’ente: "Ma, assessore, i ragazzi si divertono". E io: "Vuole creare disoccupati-divertiti?"». Di qui la necessità di un aggiornamento della mappa, come spiega l’assessore-buldozer: «Fatemi vedere l’elenco degli enti, chiesi appena arrivata. No, l’ultimo Albo risaliva a 16 anni fa. Così, per mesi ho dovuto giocare a mosca cieca. Senza sapere nemmeno dove finivano quei 287 milioni. Ecco la decisione di allontanare impiegati e funzionari impegnati nella materia. Con la rotazione di tutti, cambiandoli, si interrompeva la catena di collegamento con i dirigenti degli enti, soprattutto di quelli fasulli, corrotti e trasformati in pozzi senza fondo. Eseguita la ricognizione, abbiamo scoperto che gli enti avevano continuato ad assumere fuori da ogni norma di contenimento della spesa. Repubbliche autonome. Assunzioni a non finire, tutte in campagna elettorale». E adesso? «Proviamo a correre ai ripari con 45 milioni destinati ai prepensionamenti per snellire il bacino». Un modo per rimettere i conti a posto, come sembra possa riuscire a fare solo uno studente-assessore modello. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL COMMENTO L’età dell’innocenza sparita in un mare nemico di Alfio Caruso el grande mare dell’ambiguità di Catania continua a esistere un mare dell’innocenza. È verso Sud, in direzione di Siracusa: spiagge di sabbia tenera, acqua opaca, fondali bassissimi pieni di telline. Le mamme ci portano i bambini perché hanno lo spazio per giocare a pallone, perché trovano compagnia adeguata, perché difficilmente annegano (l’unico pericolo sono le fosse scavate dai pescatori per coltivare le telline). Da quelle spiagge siamo passati tutti: i pediatri ne magnificano le virtù curative. Nei sei mesi di sole a picco, di caldo opprimente, di afrori carnali che si mescolano ai profumi delle granite, delle brioche calde, della schiuma di zabaglione gelata, nei sei mesi della lunga estate, che incomincia il 1˚ maggio e finisce il 31 ottobre, si scorgono fili di bimbi N sdraiati sulla sabbia, i più obbedienti accettano perfino di esserne ricoperti. Fanghi rudimentali, che nelle raccomandazioni di nonne e mamme sono l’antidoto più efficace alle influenze e alle tonsilliti invernali. Il gran privilegio di nascere e di vivere in Sicilia. Ci abbiamo creduto noi, ci hanno creduto i nostri padri, ci hanno creduto i nostri figli. Chissà se ci credono ancora i nostri nipoti. Oggi come ieri viene ripetuto che la Sicilia è un paradiso naturale senza eguali, che è stata creata da Dio in un mo- ‘‘ mento di particolare altruismo. E forse tocca appellarsi all’opera divina per non parlare dello scempio quotidianamente compiuto da chi la abita. Ci siamo inventati un’inesistente età dell’oro: da noi è sempre stato il tempo delle iene e degli sciacalletti, i gattopardi sono soltanto figli della fantasia di Tomasi di Lampedusa. Questa Sicilia che dicono essere amata, desiderata, invidiata in tutto il mondo pare non essere apprezzata soltanto dai siciliani, che da secoli la deturpano e la violentano, che l’han- Questa Sicilia che dicono amata in tutto il mondo pare non essere apprezzata solo dai siciliani no trasformata in un’enorme prigione a cielo aperto. Noi in Sicilia viviamo in cattività circondati da un mare a parole coccolato, nella realtà vissuto come un nemico. Dal mare, infatti, sono giunti gl’invasori, che comandavano, depredavano, figliavano: fenici, greci cartaginesi, romani, longobardi, bizantini, arabi, normanni, angioini, aragonesi, borbonici, piemontesi, americani. Essendo, dunque, il più strabiliante frullato di etnie sul pianeta, abbiamo inventato il delitto d’onore e il familismo. Non casualmente nella straordinaria produzione letteraria mai ha visto la luce un’epopea marinara: i due capolavori che hanno il mare quale soggetto — I malavoglia e Horcynus Orca — raccontano tragedie e disastri, sogni traditi e sbeffeggiati dalla Natura. Il massimo profeta del fasullo indi- pendentismo siciliano, il controverso professor Antonio Canepa, arrivò a teorizzare che il mare serviva soltanto a rimarcare la separatezza dell’isola: «. Ecco spiegato il motivo per il quale chi conosce umori e viscere dei siciliani ha sempre saputo che il ponte non sarebbe stato costruito. Abbiamo sperato nell’italianizzazione della Sicilia senza accorgerci che non eravamo una variabile impazzita del sentimento nazionale. Eppure Sciascia l’aveva già detto nelle pagine finali de Il giorno della civetta allorché fa pronunciare al capitano Bellodi la fatidica frase che la linea della palma avanza di cinquecento metri l’anno. Era il 1960: immaginiamoci dove sia arrivata. Così dopo tremila anni di storia amara oggi sappiamo soltanto che cosa non siamo. E l’isola invasa da tutti e vinta da nessuno, dove i viceré hanno sempre scorazzato più dei re, dove il fottere è sempre stata la principale prerogativa del comandare, sprofonda verso un futuro che fa più paura del presente. © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 18 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 19 Catanesi Gente tosta. «La principale meraviglia è il fatto che esistano ancora», scrisse un giornalista americano del Fodors Modern Guide nel 1954. La città fu ricostruita nove volte e sempre nello stesso posto. Nel 476 a.C. fu distrutta dal siracusano Gerone, nel 121 a.C. da una eruzione, nel 1169 da un terremoto, nel 1194 da Enrico VI di Svevia, nel 1232 da Federico II che vi edificò il castello Ursino. Nel 1669 da una eruzione, nel 1693 dal catastrofico terremoto che distrusse città e paesi della Sicilia orientale, nel 1818 da un altro terremoto e nel corso dell’ultima guerra dai bombardamenti aerei alleati. Cocciuti questi catanesi e sempre fiduciosi. L’accoglienza L’AVVOCATO PAOLA LA ROSA Lampedusa, isola dei sogni migranti «Non siamo eroi. Il Nobel per la pace andrebbe dato alla Capitaneria di Porto» di Paolo Di Stefano La solitudine «vincente» Per migliaia di profughi questo lembo di terra nel Mediterraneo è la porta d’ingresso per l’Europa. Nonostante l’indifferenza della politica, un’intera comunità affronta con dignità un problema che richiederebbe ben altro impegno delle istituzioni u letteralmente uno sbarco quello che nel luglio 1943 portò le truppe angloamericane a occupare la Sicilia. Ma oggi, quando sentiamo parlare di sbarchi, il nostro immaginario guarda altrove. Sono quelli che quasi quotidianamente occupano le cronache dei nostri giornali e che raccontano di naufragi, di barconi stipati, di cadaveri di uomini, donne e bambini. Sono quelli delle carrette che da anni arrivano a Lampedusa e nelle coste orientali della Sicilia. Ma parlare di sbarchi è improprio. Paola La Rosa è un avvocato di Palermo che da un paio d’anni ha lasciato la professione e da un decennio vive a Lampedusa, dove ha aperto con suo marito un B&B. Attivista di Legambiente, che sull’isola siciliana dal maggio 2012 vanta un sindaco, Giusi Nicolini, determinato a derubricare dal territorio la parola «emergenza» e a riportare la normalità: scuole a norma, legalità, depuratori funzionanti e ambiente pulito. Non si contano le intimidazioni e le minacce di cui è destinataria. Ultima, all’inizio di settembre, una busta con la scritta «antrace», piena di polvere bianca. Ma intanto, Paola La Rosa ci dice perché parlare di «sbarchi» non ha senso: «Il termine evoca invasione, disordine, pirateria. Quelli dei migranti non sono sbarchi, sono recuperi fatti al largo — 50, 60, 70, 100 miglia — dalla Guardia costiera, con una fatica immane. E ancora più inesatto è parlare di clandestini. Lampedusa è la porta d’ingresso dei profughi richiedenti asilo». Somali, eritrei, etiopi, nigeriani, sudanesi, ghanesi, tunisini... Vedere le persone che arrivano in condizioni disperate, conoscerle una ad una, come è capitato a La Rosa, che li ospita quando tornano (magari per un tirocinio formativo in alcune aziende locali), dopo anni dal primo approdo in Italia, cambia la vita: «Non sono più numeri, ma sono Joseph, Adam, Joussuf, Abu, Abdi... Conoscerli ti dà la percezione di che cosa significhi l’altro, il fratello, l’essere umano, il bambino, la donna... Tutte parole che attraverso l’esperienza diretta acquistano una sostanza, ti fanno scoprire un universo di storie diverse le une dalle altre. Tragiche? La vera tragedia è stata per tutti quella del viaggio, sia per le cose viste che per le cose vissute». Le cosiddette primavere arabe hanno aumentato gli arrivi, 50 mila nel 2011. Per i migranti che fuggono dalla Siria, Lampedusa è fuori rotta: per questo, negli ultimi tempi si sente tanto parlare anche di Siracusa. Ma il Centro di Prima Accoglienza di Lampedusa è sempre sovraffollato di ospiti: «Per legge dovrebbero rimanere al massi- Emergenza continua Lo sbarco di 75 clandestini nel porto di Siracusa. La costa orientale della Sicilia è la nuova meta degli sbarchi per coloro che sono in fuga dall’Egitto e dalla Siria. (foto Fabrizio Villa) A sinistra Cettina Nicosiano, responsabile dell’associazione I Girasoli di Mazzarino e Paola La Rosa con Adam e Abu, due profughi africani F mo tra le 48 e le 96 ore, invece rimangono per settimane, nell’indifferenza generale, perché il sistema di seconda accoglienza in Italia è decisamente sottodimensionato: la politica se ne disinteressa e Lampedusa è diventato il tappeto sotto cui nascondere la polvere, senza preoccuparsi del fatto che la polvere è fatta di esseri umani. Qui non è cambiato nulla, appena il tempo lo consente i barconi vengono individuati e Accoglienza Sopra, Paola La Rosa (a destra) con Cettina Nicosiano, responsabile dell’Associazione I Girasoli di Mazzarino (Cl), che accoglie i minori stranieri non accompagnati le persone vengono portate in salvo, ma il vero problema è il ritardo nei trasferimenti, perché sono ingiustificati». E l’immagine turistica dell’isola ne soffre: «In questi anni però, — dice Paola La Rosa — i grafici di affluenza del turismo segnalano una crescita». Senza dire che il sogno dei migranti non è più quello di rimanere in Italia: «La maggior parte vorrebbe andare altrove, perché sa benissimo che la crisi economica italiana non garantisce la sopravvivenza. Però restano prigionieri da noi, vittime dei trattati europei: in altri Paesi avrebbero una casa, potrebbero frequentare dei corsi di lingua e verrebbero avviati a un mestiere, mentre in Italia sui migranti non si investe». In questa situazione i cittadini del posto come reagiscono? C’è chi vorrebbe assegnare alla popolazione di Lampedusa il Nobel della Pace: «Non siamo eroi, siamo come gli altri italiani: a Lampedusa c’è il razzista che addebita ai migranti la colpa di un ipotetico calo turistico e li accusa persino della pioggia e c’è, invece, la persona molto sensibile. Il vero Nobel lo meriterebbero gli uomini della Capitaneria di Porto, che sono coraggiosi e infaticabili. Quel che è di- verso è il fatto che l’esperienza spesso aumenta la solidarietà, che qui non è un sentimento teorico ma vissuto nella pratica. Il passaggio dei migranti non influisce particolarmente nella vita comune della cittadinanza, anche perché i profughi vengono subito chiusi nel Centro e raramente circolano per il paese; il loro passaggio incide però nella vita interiore delle singole persone che hanno avuto modo di assistere agli arrivi. Il lampedusano reagisce come reagirebbe, nelle stesse condizioni, un bergamasco. Un’altra differenza, semmai, è che qui c’è lo spirito tipico della gente di mare e un legame ancestrale con l’Africa...». La Tunisia è vicinissima, più vicina dell’Italia: molti nonni di lampedusani sono sepolti lì. Le parole di papa Francesco sono state una svolta? «Premesso che io sono agnostica, — dice Paola — per noi quelle parole sono state una ventata di verità, un sostegno a chi ripete da anni che bisogna provvedere ai diritti dei migranti per legge oltre che per spirito di umanità. Francesco ha pronunciato le frasi che la politica e l’informazione non hanno mai sentito il bisogno di dire. Dopo la visita del Papa molti hanno aperto gli occhi». © RIPRODUZIONE RISERVATA Informazione pubblicitaria ISMETT, ECCELLENZA AL CENTRO DEL MEDITERRANEO L’Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione (ISMETT) nasce da una partnership internazionale fra la Regione Siciliana e l’University of Pittsburgh Medical Center (UPMC). L'Istituto – che ha sede a Palermo - ha iniziato la sua attività clinica nel 1999, con l’avvio del programma di trapianto di fegato. Oggi presso la struttura palermitana si eseguono tutti i trapianti di organi solidi (fegato, cuore, rene, polmone e pancreas) e tutte le terapie necessarie per la cura delle insufficienze terminali d’organo. Sono, ad esempio, attivi programmi di radiologia interventistica, chirurgia addominale e cardiochirurgia, programmi per la cura dello scompenso cardiaco o del diabete. Il Centro costituisce un modello sanitario del tutto innovativo. Si tratta di una struttura ospedaliera inserita nel Sistema Sanitario Regionale della Sicilia, ma gestita in tutti i suoi aspetti (clinici ed amministrativi) dal Centro Medico dell’Università di Pittsburgh. ISMETT è, quindi, un ospedale pubblico organizzato, però, come una realtà sanitaria americana. Un connubio che ha permesso all’Istituto di raggiungere in poco tempo alti livelli di qualità paragonabili agli standard di cura erogati dalle migliori strutture europee e nord americane. E’ significativo, inoltre, rilevare come l’offerta terapeutica di sia diventata un punto di riferimento nazionale e internazionale: sono sempre di più i pazienti non siciliani e spesso di altre nazioni che si rivolgono al Centro trapianti di Palermo. Formazione e ricerca In ISMETT l'assistenza sanitaria è intesa come atto finale dell'integrazione tra ricerca clinica e sperimentale e formazione. Gli eventi formativi e i corsi di aggiornamento, destinati a professionisti operanti nel settore sanitario, sia interni che esterni all'azienda, si svolgono a ritmo costante. E’ attivo anche il Centro di Simulazione “Renato Fiandaca” che offre la possibilità di mettere in atto procedure ad alto rischio in un ambiente sicuro e permette di studiare rari ma complicati casi clinici. Il Centro ha, infatti, in dotazione dei manichini molto sofisticati che manifestano reazioni fisiologiche (respiro, tosse, pianto) quasi esattamente come un essere umano. Le reazioni simulate vengono gestite tramite un software applicativo in grado di riprodurre vari tipi di scenari clinici, ricreando anche complicazioni inaspettate. La simulazione è utilizzata non solo per il training medico, ma anche ai fini di ricerca. L’obiettivo di trovare la cura più adatta per ogni paziente, ottimizzandone il conseguente percorso di cura, spinge gli specialisti di ISMETT a confrontarsi quotidianamente con la sperimentazione e la ricerca. Presso l’Istituto sono in corso diversi studi per trovare nuove cure e sperimentare nuovi protocolli terapeutici. Nel prossimo futuro, lo scopo è quello di riuscire a riparare gli organi danneggiati anziché sostituirli. Sarà possibile, ad esempio, infondere cellule staminali in un cuore infartuato o epatociti fetali in un fegato malato. ISMETT crede molto in questo approccio, tanto da aver realizzato una delle Cell Factory più grandi e avanzate d’Europa. Un centro hi-tech Conformemente all’impostazione di UPMC secondo la quale l’uso di strumenti informatici contribuisce a migliorare la qualità dell’assistenza ai pazienti, ISMETT si avvale delle tecnologie più avanzate nel campo della diagnostica per immagini, della radiologia interventistica e della gestione informatizzata di tutti i dati clinici. Fin dalla sua apertura, l’Istituto si è dotato di una cartella clinica elettronica che gestisce in maniera integrata i dati raccolti da tutti i sistemi dipartimentali. La cartella clinica elettronica è solo uno degli anelli della catena informatica di ISMETT. Il sistema, infatti, si interfaccia direttamente con altri sistemi ospedalieri, dal monitoraggio dei pazienti all'anestesia, alle macchine per la ventilazione assistita, fino alle attrezzature di laboratorio. In questo modo viene eliminato il rischio di errore umano, perché i dati sono trascritti direttamente dalle macchine. Inoltre, un sistema evoluto di backup e di disaster recovery azzera il rischio di perdere dati preziosi su esami, interventi o altre informazioni cliniche che riguardano il paziente. 20 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia SISTEMA CONFCOMMERCIO CATANIA Associazione Antiracket Confcommercio IGEA Srl Tante iniziative, tutte per essere ancora più vicini al mondo delle imprese Da oltre 30 anni sempre a fianco dei nostri imprenditori SE VIVI UN MOMENTO DI DIFFICOLTA’ CONFIDI COFIAC PUO’ AIUTARTI CON IL FONDO PER LA PREVENZIONE DELL’USURA! I MIGLIORI TASSI, LA MIGLIORE GARANZIA, SEMPRE! VUOI ACQUISTARE L’IMMOBILE PER LA TUA ATTIVITA’ COMMERCIALE? VUOI AMMODERNARE O RISTRUTTURARE LA TUA AZIENDA? CONFIDI COFIAC CONFIDI COFIAC E’ AL TUO FIANCO! NON TI LASCIA MAI SOLO! I MIGLIORI TASSI, LA MIGLIORE GARANZIA, SEMPRE! HAI UN’ESIGENZA IMPREVISTA PER LA TUA AZIENDA HAI BISOGNO DI FINANZIAMENTI PER L’ACQUISTO SCORTE? CONFIDI COFIAC CONFIDI COFIAC E’ CON TE! PUO’ AIUTARTI! Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 21 Ciaùla È la cornacchia, ma tutti la conoscono per la novella di Pirandello. È un carusu che si diverte come può imitando il verso delle cornacchie ed ecco perché lo chiamano così. Ormai trentenne, ha passato la sua grama vita in una miniera, maltrattato, deriso per la sua magrezza e la sua semplicità. Una notte è costretto a portare all’aperto un carico più pesante del solito e resta incantato appena sbucato all’aperto. Grande, placida, gli stava di faccia la luna. Estatico, cade a sedere sul suo carico davanti la buca. E si mette a piangere senza volerlo, per il conforto, per la dolcezza di quella visione consolatoria che era una sorta di scoperta. L’istruzione LA SCOMMESSA DEL QUARTO ATENEO DELL’ISOLA Un campus nel cuore della Sicilia L’Università Kore di Enna: il 90% dei fondi arriva dalle tasse degli studenti di Federica Cavadini Laurea, master e dottorati Il rettore, Giovanni Puglisi, guida anche lo Iulm di Milano. «Gestione più snella rispetto agli istituti statali e capacità di attrarre fondi europei e privati» nna con il suo castello, la Rocca di Cerere, il Duomo. Enna con l’autodromo di Pergusa e le industrie nella valle del Dittaino. Adesso anche Enna città universitaria, sede di Kore, ateneo privato fondato otto anni fa, a due secoli di distanza dalle altre università statali di Sicilia, da Palermo, Catania, Messina. Intitolata a una dea della primavera nella mitologia greca, Kore oggi conta più di settemila studenti, che arrivano o si fermano nel cuore della Sicilia per laurearsi in ingegneria, architettura, economia, giurisprudenza, psicologia. Corsi tradizionali e nuovi nel giovane ateneo, da Archeologia del Mediterraneo a Scienze della difesa (e adesso, il via libera ieri, parte Scienze della formazione primaria). Laurea, master e dottorati. Rette fisse da tremila euro, finanziamenti statali e regionali. Campus moderno e in crescita, fra raddoppio della biblioteca e nuovi centri di ricerca. Sfida siciliana recente, quella di Kore. Un quarto polo universitario, non avevano osato né Trapani, né Caltanissetta o Ragusa e Siracusa, già sedi di corsi statali. Ci crede Enna, che parte da zero. È il 2006. Ente promotore è la Provincia (che nello stemma ha la dea Cerere, appunto madre di Kore). Bocciata la richiesta di farne un ateneo statale, si costituisce una Fondazione. E il progetto parte (con parere contrario delle altre università ma con il sì E Doppio rettore A sinistra, un’aula dell’Università Kore di Enna, che oggi conta oltre 7 mila studenti e quasi 200 docenti. Sopra, Giovanni Puglisi, rettore dell’ateneo dal dicembre 2011, guiderà anche lo Iulm di Milano fino al 2015 del Comitato di valutazione e l’autorizzazione del ministero). Otto anni dopo. Un primo bilancio, dall’interno. «Intanto abbiamo superato a pieni voti la doppia valutazione dell’Anvur prevista per i nuovi atenei», è la premessa del rettore Giovanni Puglisi (già alla guida di un’altra università privata, la Iulm di Milano). «Le matricole quest’anno sono 1.300. E dalle tasse degli studenti arrivano il 90% delle risorse». Poi ci sono i finanziamenti statali. «Un obolo», ironizza Puglisi. E i fondi regionali. «Come gli altri atenei». «E la presenza dell’università a Enna è un volano per l’economia», sostiene il rettore. Palermitano («nato per caso a Caltanissetta»), Puglisi è stato chiamato alla fine del 2011 a guidare l’ateneo. A Enna «come un commissario straordinario», ha ridisegnato la mappa dei corsi. «La formula è quella dei giovani atenei privati. Gestione più snella rispetto alle grandi università statali, servizi, laboratori e abilità nell’attrarre fondi europei e privati per la ricerca». Obiettivi vicini e lontani. Ampliare il campus «a partire dalla biblioteca». E un nuovo centro di ricerca: «Con finanziamenti europei apriremo una stazione per misurare le ondulazioni telluriche». Poi l’operazione faculty: i docenti. A Kore sono quasi duecento e sette su dieci sono ricercatori. «Mancano i professori, ordinari, associati. L’obiettivo è far crescere i giovani ma anche inserire nomi affermati. Il reclutamento però è bloccato, si punta sui trasferimenti ed Enna è ateneo di periferia, qui non è facile come a Milano o Roma». Strategie per Kore. «Abbiamo razionalizzato l’offerta dei corsi. Evitando duplicati inutili, con proposte nuove». Puglisi cita il corso di Architettura e Restauro, «fra i pochi riconosciuti dall’Unione europea», quello di Ingegneria aerospaziale, che «da Napoli in giù è solo qui», quello di Scienza della difesa e della sicurezza, «solo a Pisa e Bergamo». E adesso Scienza della formazione, «appena promossa». Federica Cavadini © RIPRODUZIONE RISERVATA IL NUOVO CORSO DI PALERMO «Molti tagli per risanare ma i servizi sono intatti» di Salvo Toscano rima di tutto i conti. Risanati e portati in avanzo. Un’impresa, di questi tempi. Il rettore dell’Università di Palermo, Roberto Lagalla parte proprio dai bilanci per raccontare il nuovo corso dell’ateneo. «Avevamo 29 milioni di disavanzo nel 2009 — ricorda —. A cui nel tempo di sono aggiunti oltre 30 milioni di tagli statali. In quattro esercizi finanziari abbiamo prodotto una manovra che da circa 60 milioni di euro». Il tutto salvaguardando i servizi agli studenti, tiene a precisare. Oggi l’Università di Palermo, con i suoi 52 mila iscritti, tra mille difficoltà legate ai tagli statali, guarda al futuro con ottimismo. E con qualche sogno: come quello di realizzare un campus con tanto di piscina in un mega hotel vista mare confiscato alla mafia. Ma la vera sfida è arrestare «la fuga dei cervelli, favorita dalla fragilità del tessuto socio-economico — osserva Lagalla —. Se ne vanno in 20 mila all’anno. Portarli dalla materna alla laurea costa a Stato e famiglie circa 200 mila euro a testa. Una perdita intollerabile». Quali riforme tra quelle adottate ritiene più significative? «Abbiamo introdotto il mandato unico del rettore prima che lo facesse la legge Gelmini. Abbiamo tagliato il 22 per cento dei corsi di laurea, quelli non corroborati dal gradimento degli studenti. I dipartimenti sono passati da 81 a 20. E in questi giorni abbiamo definitivamente trasformato le 12 facol- P La visita Un momento della lezione di Jovanotti all’Università di Palermo tà in cinque macro scuole». Non c’è il rischio che alla fine il prezzo dei tagli lo paghino gli studenti? «No. Abbiamo rimodulato la tassazione, ma mai è stata ridotta nei bilanci la quota dei servizi destinati agli studenti. Abbiamo lavorato sull’automatizzazione, consentito l’accesso degli studenti alla biblioteca digitale, aperto le aule studio fino alle 22. E ci siamo impegnati nel recupero dei fuori corso, portandone 4 mila alla laurea negli ultimi due anni». Merito, internazionalizzazio- «La vera sfida è arrestare la fuga dei cervelli, oggi favorita dalla crisi» ne, sinergia con le imprese: tre sfide cruciali per gli atenei. A che punto è Palermo? «Sul primo punto, abbiamo introdotto agevolazioni per gli studenti meritevoli e di basso reddito. E criteri più stringenti nella selezione dei docenti. Per il progetto Erasmus siamo tra i primi 100 atenei d’Europa per mobilità. Abbiamo in corso progetti di cooperazione universitaria con Paesi in via di sviluppo: Cambogia, Territori palestinesi, Libano, Etiopia. Abbiamo organizzato un corso di autoimprenditorialità per educare gli studenti a un’idea diversa da quella del posto fisso. Abbiamo un incubatore con 30 imprese che ha ricevuto il Premio nazionale Innovazione 2012. Tre sono state destinatarie di interventi di venture capital. Non male qui al Sud». © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 22 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Ciòspi Istituzioni tipicamente catanesi. Sono chioschetti esagonali senza finestrature, tempietti in muratura innalzati in onore della bibita, sparsi in tutta Catania. Acqua e anice, acqua e limone, acqua e amarene, bibite alla mandorla, alla menta, al tamarindo, orzate, latte di mandorla, spremute di agrumi, tutta roba da centellinare per un sano slow drink. Si sorseggia, si fuma, si discetta, gettando indiscrete occhiate tecniche alle signore di passaggio, in attesa di improbabili appuntamenti alla siciliana. Sono aperti giorno e notte: è questo l’altro lato misterioso. Ciòspa, al femminile, sta per donna di malaffare. Ma non se lo ricorda più nessuno. Le interviste IL PRESIDENTE DI CONFINDUSTRIA MONTANTE Dalla cultura alle infrastrutture Cinque settori clou per rinascere «Occorre concentrare le risorse dove possiamo, e dobbiamo, raggiungere il top» di Stefano Righi Retaggi e prospettive «Veniamo da 30 anni in cui si è distrutto il concetto stesso di mercato. E hanno prevalso logiche antimerito Ora però ci sono segnali positivi. La Sicilia si sta mettendo in gioco. Non serve il ponte di Messina, occorrono strade e supporti logistici» all’aprile 2012 Antonello Montante guida Confindustria Sicilia, in un disegno di continuità con il predecessore Ivan Lo Bello, con il quale ha ideato il codice etico della confederazione. Industriale meccanico di terza generazione — la Cicli Montante venne fondata negli anni Venti dal nonno Calogero — oggi guida anche la Msa, che produce ammortizzatori. Presidente, l’industria in Sicilia presenta una situazione deteriorata. «Veniamo da 30-40 anni di massacro del concetto stesso di mercato, un periodo in cui hanno prevalso politiche antimerito e si è diffusa una simpatia per forme di imprenditoria assistenzialistica, che trovava nel pubblico il suo naturale sbocco. Un periodo nel quale non si è mai riusciti ad attrarre investimenti». E adesso cosa si può fare? «Molto. La Sicilia si sta mettendo in gioco, i segnali positivi ci sono, appaiono evidenti i segnali politici volti a rinnovare e a rompere i vecchi meccanismi». Parole. I fatti quali sono? «Su tutti la legge di Sviluppo regionale. Su proposta di Confindustria è stato messo a punto un piano industriale per la Sicilia. Individuato macro-aree, deciso i settori sui quali concentrare le risorse. Un piano di largo respiro, ma che inciderà da subito». In cosa consiste? «Abbiamo deciso cinque settori su cui investire prioritariamente per dare sviluppo all’isola: turismo, beni culturali, agroalimentare, energia e infrastrutture minime. E in questi settori vogliamo arrivare a posizioni di leadership . In Sicilia ci sono eccellenze che non vengono valorizzate». Cosa sono le infrastrutture minime? «Non certo il Ponte di Messina, ma strade e supporti logistici per rendere rapidamente raggiungibile ogni angolo dell’isola…». Presidente, ma l’aeroporto di Comiso è la dimostrazione contraria. Un’infrastruttura esistente, non sfruttata, che rischia di trasformarsi nell’ennesima cattedrale nel deserto. D CICCIO LIBERTO CHI È Il calzolaio dei piloti amato da Hollywood Antonello Montante è nato a San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, nel 1963. L’azienda di famiglia, il Gruppo Montante, è stato fondato dal nonno Calogero Montante negli Anni Venti del Novecento Montante è presidente di Confindustria Sicilia dall’aprile 2012, sostituendo Ivan Lo Bello «Comiso è percepito come un concorrente dello scalo di Catania. Così non è, questo è essere miopi. Comiso è una piccola struttura con grande valenza strategica: un’opportunità da sfruttare, che può arricchire l’isola. Dobbiamo essere aperti al mercato, non ciechi e chiusi in noi stessi. La nostra vision è vedere la Sicilia come un’azienda…». A proposito. Edison vuole raddoppia- ‘‘ «Stiamo avviando aperture verso partnership estere Sono ottimista» re il progetto di estrazione petrolifera Vega nel mare davanti a Pozzallo, costruendo una seconda piattaforma. Qual è la posizione di Confindustria Sicilia al riguardo ? «Siamo favorevoli a tutto quello che rappresenta l'attrazione di interessi e di investimenti internazionali e, nel rispetto delle regole e dell’ambiente, siamo disposti a valutare ogni tipo di intervento moderno». Il rapporto con il mondo del credito è tesissimo. Le aziende sono in difficoltà, aumentano le sofferenze, si restringe l’erogazione del credito. «Il nodo sono i rating e i vincoli di patrimonializzazione delle banche. Sui rating abbiamo cercato di intervenire, agendo sul parametro relativo al rischio settoriale di impresa, che dei tre parametri considerati (gli altri sono il bilancio e l’andamento a tre anni) è il più soggettivo. Su mia proposta abbiamo introdotto il Rating di legalità , che dal marzo 2013 è legge e vede l’intervento dell’Autorità Antitrust che si esprime al riguardo del settore in cui opera l’impresa. Un’azione che mette le aziende in condizioni di farsi rivedere il rating dalla banca…». Il quadro rimane cupo. La situazione pesante. Se l’Italia chiuderà l’anno con un pil in calo dell’1,8 per cento, la situazione peggiora in Sicilia. Come se ne esce? «Io sono ottimista e convinto che l’isola ce la possa fare. Stiamo avviando un processo di apertura al mercato e alle partnership con l’estero che vuole interrompere l’epoca dell’assistenzialismo. Le possibilità ci sono, sono convinto che sapremo coglierle». @Righist L’ASCESA DI RANDAZZO ATTIVO DA CINQUE GENERAZIONI prattutto al nord. Per questo, Randazzo investe in formazione (4.000 ore erogate e 170 ottici «diplomati» nel 2012) e ha avviato un programma di reclutamento per chi si trasferisce al nord (alloggio gratis per il primo mese e incentivo economico per tre anni). Lenti per tutti: l’anno prossimo riprenderà l’iniziativa benefica che nel 2012 ha distribuito occhiali da vista a 9,90 euro ai possessori di social card. Dalla Sicilia a Milano. «L’anno scorso un americano entrò nel mio atelier chiedendomi di realizzare un paio di scarpe da corsa su misura come quelle che, negli anni Settanta, cucivo per il pilota Niki Lauda. Alla mia età non prendo martello e lesine per il primo che entra in negozio ma mi fu simpatico e in 24 ore le stava calzando. Mai avrei immaginato che quel signore…». Ciccio Liberto, 77 anni portati con disinvoltura, è abituato al pellegrinaggio di appassionati di automobilismo nel suo atelier di Cefalù, a due passi da Palermo. Qui, negli anni Sessanta, inventò e realizzò le calzature da pilota su misura: leggere, comode e uniche al mondo. Tanto uniche che, negli anni Settanta, la Ferrari lo volle come fornitore ufficiale dei suoi campioni come Clay Regazzoni e Niki Lauda. Le «opere» di Ciccio oggi sono esposte in otto musei fra cui quello della Ferrari a Maranello e della Porsche a Stoccarda. «Quel signore — riprende Ciccio — era uno dei produttori del film Rush che narra l’epico duello nel 1976 tra Lauda e Hunt per la vittoria del campionato di Formula uno. Il regista Ron Howard lo aveva inviato in Sicilia perché voleva che l’attore Daniel Brühl (che interpreta nel film Lauda ndr) indossasse le mie scarpe. Howard voleva essere sicuro che fossi ancora in grado di lavorare. Figuriamoci!». Non si entra nel mito facilmente. «Ho chiesto consiglio al presidente del Cavallino, Luca Cordero di Montezemolo e — conclude — solo dopo il suo via libera mi sono messo all’opera». Per Ciccio, la professionalità e l’amicizia vengono prima di Hollywood. Alessio Ribaudo © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA Gioco di squadra I fratelli Paola, Agostino e Marina Randazzo Cresce l’ottica «verde» e solidale di Caterina Ruggi d’Aragona enti per guardare al futuro. Lenti di ingrandimento per non perdere il contatto con il territorio, le persone, il passato. Si potrebbe sintetizzare così l’attività del gruppo Randazzo, 132 anni di storia, seconda catena di ottica nazionale: 189 negozi a gestione diretta di cui 102 a marchio Optissimo e 87 a marchio Corner Optique, concentrati al centronord. Il cuore dell’azienda, però, è rimasto in Sicilia. «Le aziende che per comodità si ricollocano a Milano o a Roma — spiega il direttore generale del gruppo Luca Sacilotto — impoveriscono il territorio sottraendo indotto e occupazione». Che l’impronta di Angelo Ran- L dazzo fosse diversa si intuiva dall’origine. Era il 1880 quando avviò un centro di fotografia nel centro di Palermo. Nel 1929 il primo punto vendita a Roma. A Palermo, nel 1960, il primo megastore di ottica e fotografia, progettato dallo studio di architettura Banfi, Balgiojoso, Peressutti e Rogers. L’espansione accelera tra il 1995 e il 2004 con la costituzione della società Optissimo e Nuovi eco-store e occhiali a 9,90 per chi ha la social card l’acquisizione della catena Ottica Romani «Un processo continuato — dice Luca Sacilotto, in azienda dal 2008 — adeguando tutti i punti vendita a un unico modello». Nel frattempo, la gestione aziendale è alla quinta generazione: Agostino, presidente; Paola, vicepresidente; Marina, consigliere delegato e direttrice Marketing. Tre fratelli e una passione: il mare. Guarda caso, Agostino, Cavaliere del Lavoro, è anche presidente del Circolo Vela Sicilia, sotto le cui insegne Luna Rossa ha gareggiato per l’America’s Cup. Mediterranea è anche la loro apertura verso l’umanità, che si traduce in attenzione alle risorse umane, rispetto ambien- tale, impegno sociale. Un circolo virtuoso premiante. Sono confermate dieci nuove aperture all’anno per i prossimi dieci anni: tutti eco-store, con una riduzione dei consumi di energia elettrica tra il 25 e il 50% rispetto a un negozio tradizionale e fino a 12mila euro di risparmio. Un progetto partito nel 2010 che ha «risparmiato» 12mila tonnellate di CO2 (pari a una foresta di 18 milioni di mq). Altre buone notizie. Ogni anno, saranno assunti tra 50 e 60 ottici, una professione che manca, so- Griffe Ciccio Liberto, 77 anni. Sopra, Brühl-Lauda nel film Rush Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 23 Ciràulu Dal greco keraules, colui che suona la trombetta, e phluaros, che sarebbe il ciarlatano. Insomma un suonatore di tromba pure ciarlatano. In pratica uno come il pifferaio di Hamelin o come tanti imbonitori televisivi, di quelli che promettono miracoli con un sorriso, futuro radioso, posti di lavoro e niente tasse. Pensate a quanti ciràuli ci circondano, ora che siamo adulti. I nostri antichi ci misero sull’avviso: vero, autentico ciràulu è colui che nasce nella notte del 29 giugno oppure in quella tra il 24 e il 25 di gennaio. Tra le sue virtù c’è pure quella di indovinare il futuro e predire la morte di qualcuno. Diffidate dagli imitatori. IL PRESIDENTE DELLA REGIONE ROSARIO CROCETTA «Lottando contro mafia e corruzione abbiamo due miliardi e mezzo in più» «Alta velocità e rinnovabili: tra 5 anni saremo ai vertici d’Europa con 20 mila posti di lavoro» di Felice Cavallaro Nomine e battaglie «Mi accusano di aver insediato come assessore la mia segretaria? Dicano se la Stancheris è brava o no. I contrasti politici nascono sulla "manciugghia", sul magna magna. Abbiamo revocato 35 grandi appalti a imprese mafiose» opo i disastri politici e giudiziari di Cuffaro e Lombardo, si presentò l’anno scorso come il «governatore della rivoluzione». Ma Rosario Crocetta, gay dichiarato, comunista e cattolico osservante, espressione di una Sicilia lontana dagli stereotipi letterari e cinematografici, rischia al suo primo anniversario di finire logorato da una guerra interna alla maggioranza della giunta di centro sinistra. Ama descriversi con un paio di scarpe da tennis, zainetto in spalla e megafono. Appunto il «Megafono» che lo accusano di avere trasformato da escamotage elettorale in un partito parallelo al Pd. «Menzogne», replica lui, fiero di quanto fatto: «Continue azioni di pulizia, seguite da denunce presentate nelle procure antimafia. Tagliamo così gli interessi di malaffare, corruzione e mafia». Eppure le rimproverano di essere specializzato solo in proclami. «Altra menzogna. All’assessorato al Territorio trovammo 3.500 vecchie pratiche bloccate. Ne restano mille da completare. Finanziate le zone franche urbane. Come il patto per le energie rinnovabili: in 5 anni la Sicilia diventerà la regione più avanzata in Europa, con 20 mila posti di lavoro. Fatto l’accordo sull’Alta velocità. Compresi i collegamenti di Catania e Palermo con i loro aeroporti. Aperto Comiso e salvato Trapani. Finanziamenti ad alberghi, porti turistici, edilizia scolastica...». Su cosa esplodono i contrasti politici? «Sulla "manciugghia", sul magna magna. Abbiamo revocato 35 grandi appalti a imprese mafiose. Una trentina le denunce in settori chiave come la Formazione, vedi i disastri di un pozzo senza fondo come il Ciapi. E ancora il comparto comunicazione con le ruberie smascherate su "grandi eventi" e Beni culturali. Partecipate rivoltate scoprendo bilanci falsi. La lotta alla corruzione ha già portato un risparmio di bilancio di 2 miliardi e mezzo di euro». Lombardo cominciò a cadere quando Monti premier, recependo l’allarme lanciato attraverso il «Corriere» da Ivan Lo Bello su una Regione a rischio fallimento, minacciò il commissariamento. Si parlò di bilanci falsi con po- D ste inesigibili... «Infatti ho trovato una Regione al limite del default, sull’orlo del precipizio. Stiamo lentamente uscendo da una fase di terribile criticità. Un anno non basta. Ma ci riusciremo, nel rigore». C’è chi farebbe carte false per chiudere la sua esperienza di governatore. Anche tra chi la sostenne. «Si riferisce al mio partito, il Pd? In que- ‘‘ sta vicenda è irrazionale. Dice di non considerarsi al governo. Come se il presidente della Regione fosse altra cosa rispetto al Pd e come se diversi assessori non fossero stati concordati o indicati da loro». Crocetta è nato sotto Bersani e con Epifani prevale freddezza? «Sono passato da un Bersani che in campagna elettorale mi diceva di voler fare come la Sicilia, anche nel rapporto con i ‘‘ Revocati 35 Il Pd afferma grandi di non appalti alla mafia. Una considerarsi al governo? trentina le denunce per È un atteggiamento del la Formazione tutto irrazionale grillini, ad un Pd che oggi mi tratta come fa Berlusconi con Letta. Vogliono dettare l’"agenda"». Mentre lei vuole imporla a loro? «L’agenda si concorda, persino con l’opposizione. Figurarsi con la maggioranza. Ma nel rispetto della diversità di ruolo fra il governatore e un segretario di partito». Gli attacchi più duri le arrivano dai big. «E io che sono meno big di loro?». Le ricordano che a votarla è stato anche il popolo degli enti di formazione, quelli delle ruberie... «Io sono stato eletto dai voti dei cittadini, promettendo linea dura contro il malaffare. E una volta eletto cosa dovrei fare, scordarmi l’impegno, pur scoprendo cose terrificanti, perché qualche "big" froda la Regione?». Com’è cambiato tutto da quando, in primavera, lei sbandierava nei talkshow il CHI È Rosario Crocetta ha lavorato per anni al Petrolchimico di Gela prima della scalata al Comune della sua città che, da sindaco, ha fatto diventare l’avanguardia del movimento antiracket. Minacce e attentati sventati. Poi la candidatura al Parlamento europeo in sintonia con big politici. Da governatore il conflitto con il Pd, è stato sempre più acuto e nei giorni scorsi il partito gli ha revocato il sostegno cosiddetto «modello Sicilia», rinnegato dagli stessi grillini. Quante critiche ai suoi «pizzini» sul web, inseguiti dai loro video su YouTube... «Non sopportano che possa essere loro concorrente sul loro stesso terreno, il web. Ma io discuto con la gente. Facciano tutti i video che vogliono. Come spesso succede in politica, attaccano le persone che sono più vicine alle loro idee temendo la concorrenza». Dicono di sentirsi traditi da posizioni come la «revoca della revoca» all’installazione delle antenne Usa del Muos di Niscemi. «Avevo revocato perché mancava il parere sanitario. È arrivato. È la legge. Cancelleri, il capogruppo, in Aula mi ha chiesto di bloccare comunque. Come si può invitare il presidente a commettere un reato?». L’accusano di avere nominato la sua segretaria assessore al Turismo, di aver fatto il suo medico primario a Villa Sofia... «Mi dicano se l’assessore Stancheris è brava o no, se ha titoli, come lavora. E un medico perché mi è amico non ha diritto alla carriera? Dicano se io sono intervenuto. Mai». Le rimproverano (sottovoce) la scelta di Antonio Ingroia come commissario della Sicilia e-Servizi, anche se poi non entra... «Entra, entra. Questione di giorni. Farà pulizia anche lui». Il suo assessore all’Energia, il magistrato Nicolò Marino, si è scontrato con uno dei vice presidenti di Confindustria, Giuseppe Catanzaro, per il tema rifiuti. Un rapporto a rischio rottura? «Assolutamente no. È stata un incomprensione di Marino, non informato su mie scelte recenti. Mentre Confindustria esalta l’opera di legalità da noi praticata». Aleggiano anche le critiche di chi descrive lei e Confindustria come partner di una lobby. «Quando ero sindaco, dicevano che avevo fatto la lobby dell’antiracket. Adesso siamo la lobby della legalità? Beh, ci ritroviamo protagonisti di una lotta comune contro pizzo e malaffare per la trasparenza. Embè?». © RIPRODUZIONE RISERVATA IL GRUPPO ORIENT EXPRESS E I «GIOIELLI» DI TAORMINA «Il Timeo, la nostra scommessa made in Italy» di Isidoro Trovato ra dai tempi dei gran tour di Goethe e Maupassant che la Sicilia non era tanto deduttiva nei confronti degli stranieri. In palio adesso non ci sono citazioni letterarie ma business e progetti di sviluppo per l’isola. La questione è ormai nota: le bellezze di Trinacria potrebbero tramutarsi in un’industria che offre lavoro e benessere a tutta la Sicilia che invece affonda nella disoccupazione e nella perdita di realtà industriali. Eppure negli ultimi anni sono stati parecchi i player stranieri a scommettere sulle potenzialità dell’isola più grande del Mediterraneo. Lo ha fatto un operato- E re del lusso come Kempinsky che ha aperto il suo cinque stelle a Trapani, seguito da un colosso come la Rocco Forte Hotels (una collezione di 13 alberghi di lusso e resort) che ha creato il suo «Verdura resort» a Sciacca: «La Sicilia ha cultura, clima, bellezze naturalistiche e una grande cucina — afferma sir Rocco Forte —. Avrebbe tutti gli ingredienti per diventare un laboratorio unico al mondo e dare lavoro e benessere a tutti i Storico Il Timeo è un hotel a ridosso del Teatro greco, proprio nel cuore di Taormina suoi abitanti. Ma se poi chi, come me, vuole fare impresa, deve attendere sette anni per una concessione e poi fronteggiare ogni tipo di contrattempo, inefficienza e ostruzionismo, è costretto a rinunciare. Io non l’ho fatto per passione e per sfida ma non tutti ragionano così». Malgrado le lacune e le inefficienze, la Sicilia rimane una destinazione tra le più complete e affascinanti del mondo, i grandi player internazionali lo sanno e, adesso che il mercato è particolarmente fluido, investono. È quello che ha fatto un grande operatore internazionale come Orient Express che solo qualche anno fa ha rilevato dalla fa- miglia Franza due autentici gioielli di Taormina: l’hotel Timeo e Villa Sant’Andrea. «È una scommessa importante di cui andiamo fieri — spiega Maurizio Saccani, vice president di Orient Express Italia — a tutt’oggi il nostro investimento è pari a 150 milioni di dollari ma siamo assolutamente convinti della validità dell’operazione. La nostra è una clientela lusso che ama la cultura, l’arte, la gastronomia e la Sicilia è davvero una destinazione ideale per tutti questi aspetti. Per questo da 15 anni cercavamo l’occasione giusta che ci si è presentata nel 2010. I nostri clienti abituali hanno risposto con entusia- smo: Villa Sant’Andrea è una residenza ottocentesca piena di tesori e adagiata sul mare, il Timeo è un hotel a ridosso del Teatro greco proprio nel cuore di Taormina. È evidente che si tratta di "armi" competitive con tutti gli altri concorrenti del Mediterraneo». Ma l’interesse di Orient Express non sembra fermarsi per il futuro alla sola Taormina «Noi guardiamo a tutta l’isola — conferma Saccani — confesso che più volte abbiamo pensato a creare un percorso per uno dei nostri treni storici che possa far vedere ai turisti una summa dei tesori siciliani. È ancora un progetto, ma non è detto che rimanga un sogno». Un po’ come quello del fondo del Qatar che più volte si è interessato a diverse strutture nell’area del catanese. Segnali importanti che potrebbero cambiare il futuro dell’isola. © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 24 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Corleonesi Sono i Bagarella, Provenzano, Riina citati negli atti processuali come semianalfabeti, con cervello da gallina, di mestiere pecorai. Latitanti da decenni, avrebbero dovuto gestire grandi capitali a livello mondiale, traffici intercontinentali di armi e droga, fare e disfare governi regionali e nazionali, sapere chi fossero i Georgofili, intrattenere rapporti con la Cia americana… In realtà servirono a pseudo imprenditori per disporre di capitali da investire e procurare voti per arrivare al potere. Che fossero quelli i capi mafiosi non ci credette mai nessuno, ma i loro processi rassicurarono gli italiani che ci videro il trionfo della Giustizia. I sindaci IL PROGRAMMA DI «RICOSTRUZIONE» DI CATANIA ATTESO ALLA PROVA DEI FATTI «Qui serve daccapo pulizia, ovunque» Enzo Bianco: «All’inizio mi malediranno, ma poi saranno dalla mia parte» di Alfio Sciacca Un aggancio con l’Expo «Ho preso accordi con Milano perché voglio fare della città una delle sedi secondarie collegate all’Expo. Qui si dovrà arrivare per brevi periodi di permanenza, con la possibilità di visitare l’Etna, Taormina o Siracusa» impresa più ardua sarà «cambiare la testa ai catanesi». Ma lui ritiene di farcela, anche se la città sembra rimasta quella dei Vicerè. Da sempre i catanesi preferiscono affidarsi a uomini della provvidenza da osannare e poi demonizzare nel breve volgere di una stagione, delegare piuttosto che partecipare, demolire invece di costruire... «No, questo no, perché il catanese alla fine si autta (si stufa ndr). Dopo aver demolito tutto si autta e pensa che sia tempo di ricostruire. Visto che veniamo da 14 anni di devastazione credo che i catanesi ora vogliano ricostruire». Parla di «devastazione» il neo ed ex sindaco Enzo Bianco tornato a Palazzo degli Elefanti grazie a un’alleanza che va dall’estrema sinistra a pezzi della vecchio centro-destra, più alcune liste civiche. Lui parla di «miracolo, visto che il centro-sinistra partiva da percentuali tra le più basse d’Italia», anche se ora è atteso alla prova dei fatti. Dunque sono i catanesi la vera incognita sulla via del cambiamento? «In un certo senso sì, ma ritengo che saranno dalla mia parte. Anche se all’inizio mi malediranno. Per quel che farò contro l’abusivismo commerciale, per mettere fine a tante illegalità, alle auto in terza e quarta fila. Quanto ai Vicerè non ne ho le caratteristiche, anche fisiche. Scommetto invece sulla mia capacità maieutica di tirar fuori dal catanese la parte migliore». Crede veramente di riuscire a cambiare Catania e i catanesi? «Ci proverò, altrimenti posso anche chiudere dignitosamente la mia esperienza. Altrettanto farò se dovessi sentire il peso di compromessi inaccettabili». Di chi? «Per esempio dei poteri forti della città». Che a ben vedere sono già all’opera. «Se si riferisce al progetto di recupero delle vecchie aree di Corso dei Martiri dico che il risanamento è necessario anche se va rimodulato. Non hanno senso altri centri commerciali e cemento nel cuore della città, pretenderò più verde e una dimezzamento delle cubature previste». Catania forse non è mai stata la Milano sud, ma sicuramente è stata parte dell’Etna Valley. Un sogno che sembra svanito. «E invece tutto ripartirà. Il capo della St Microelectronics Bozotti ha già annunciato 260 milioni di dollari di investimento a Catania con la produzione delle fette di silicio da 8 pollici». Non mi dica che è bastato il suo arrivo per far tornare quella stagione... «Non è solo il ritorno di Bianco ma tutto un contesto favorevole, anche a livello di gover- L’ Enzo Bianco, 62 anni, una figlia, avvocato, cresce politicamente nel Pri. Sindaco di Catania la prima volta nel 1989. E poi dal ’93 fino al 2000, quando viene chiamato da D'Alema a guidare il ministero dell’Interno. Le sue passioni sono la musica classica e la cucina. (Nella foto di Alfio Musarra, la festa con un giro in Vespa il giorno delle elezioni) no. Ho poi chiesto al vecchio capo di St, Pasquale Pistorio, di presiedere un’agenzia, la "Vulcano", per attrarre investimenti». Intanto Catania ha livelli di disoccupazione insopportabili, illegalità diffusa, è sporca, ha un traffico impazzito. Crede di avere la bacchetta magica? «Occorreranno anche i miracoli e io penso di averne fatto già qualcuno. Fino a due mesi fa, per esempio, dai garage dell’azienda trasporti la mattina uscivano 67 bus, con tempi di attesa anche di 80 minuti. Con il solo cambio di management siamo riusciti a recuperare mezzi fermi per piccoli guasti facendone uscire il doppio. La pulizia, poi, la farò in tutti i sensi. Ho la sensazione che in comune ci siano gravi compromissioni che hanno tollerato illegalità nella raccolta e smaltimento. Ho disposto indagini e an- «Adotto la linea dura contro il traffico: ho già raddoppiato i bus e sbloccato i cantieri del metro» «Riapriamo la città al mare e con aeroporto e porto penso al 2015: saremo collegati all’Expo» drò fino in fondo, anche con l’aiuto della magistratura. Per il traffico, invece, occorrono soluzioni radicali. Ho già fatto sbloccare i cantieri di tre tratte della metropolitana». Anche la metropolitana? Ma non è competenza della Fce? «Sì, ma un sindaco può far tanto per sbloccare i cantieri. C’è di più. Abbiamo lavorato anche con le ferrovie per far partire un collegamento veloce con la zona Jonica. Oggi dobbiamo fare i conti con ben 70 mila vetture che ogni mattina si riversano in città dall’hinterland. Il problema del traffico si risolve solo grazie a un efficiente sistema di trasporto pubblico». Oggi chi arriva dall’aeroporto o dal porto resta comunque sconcertato nel vedere una città caotica, sporca, con troppe sacche di microcriminalità. Non pensa siano pessimi biglietti da visita? «Certo. Anche su questo ci stiamo scommettendo. Con le forze dell’ordine abbiamo attivato delle squadre miste che già stanno garantendo più sicurezza, contenendo accattonaggio e microcriminalità. Il porto invece si deve specializzare. Oggi ha una vocazione commerciale, deve diventare prevalentemente turistico. Con aeroporto e porto vogliamo esser pronti a offrire un’immagine totalmente diversa della città entro il 2015. Ho infatti preso contatti col sindaco di Milano per fare di Catania una delle sedi secondarie collegate all’Expo. Qui si dovrà arrivare per brevi periodi di permanenza, con la possibilità di visitare l’Etna, Taormina o Siracusa». Catania, nonostante sia città di mare, continua a voltare le spalle al mare. Perché questa resta una risorsa negata? «In poco tempo abbatteremo la recinzione attorno al porto che sarà limitata solo all' area doganale. La città dovrà definitivamente aprirsi al mare, come Genova o Trieste. Con le ferrovie abbiamo poi raggiunto l’intesa per liberare quell’area dalla cintura ferroviaria. La linea ferrata verrà interrata nella zona del porto e gli archi della marina, sui quali attualmente passano i binari, diventeranno area pedonale e ciclabile» A suo tempo lei lasciò l’incarico di sindaco per accettare quello di ministro. Molti catanesi si sentirono traditi. Se tra qualche anno un ipotetico governo Renzi la chiamasse ancora cosa farebbe? «Fare il sindaco della mia città è l’esperienza più bella che ho svolto nella mia attività politica. All’epoca accettai perché ero quasi alla fine del mandato e comunque continuai a lavorare per la mia città. In ogni caso non ho dubbi su quel farei: sceglierei Catania» © RIPRODUZIONE RISERVATA Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 25 Curnutu È stato tradotto, con eleganza, in «colui al quale la moglie fece fallo»! Aggettivo biforcuto che colpevolizza la vittima e non la rea del misfatto. È offesa tipicamente sicula anche se quella che riscuote maggior successo ai giorni nostri è il più infamante «curnutu e sbirru» che, in pratica, riassume tutti i mali da cui può essere afflitto un siciliano comme il faut. Ricordiamoci che i cornuti in Sicilia sono una categoria dello spirito: quelli che lo sono e quelli che lo diventeranno; ci sono cornuti scapoli, vedovi cornuti, cornuti di moglie, di madre, di sorelle, di cugine e perfino i cornuti di cognate. E la cornuta? …resta sempre una buttana. PERCHÉ TARDA A SBOCCIARE LA NUOVA PRIMAVERA DI PALERMO «Sono il leader di una minoranza culturale» Leoluca Orlando: denuncio l’inciviltà di molti miei concittadini per convincerli a cambiare di Giuseppe Di Piazza el tempo libero, Leoluca Orlando indossa un caftano blu che lo rende, da una certa distanza, indistinguibile da un commerciante del souk di Tunisi. Ha la stessa pelle bronzo scuro, gli occhi che sono braci contornati da borse, ormai tasconi, per quanto il tempo le ha rese profonde. D’altronde l’uomo, che ha festeggiato da poco i 66, è sulle breccia da quasi un quarantennio. Rientrato a metà degli anni Settanta in Italia dopo una lunga formazione in Germania e in Inghilterra, il rampollo dell’avvocato Salvatore Orlando Cascio si diede da subito anima e corpo alla politica, quell’angolo di politica buona che a Palermo, in quel tempo, era incarnata dal presidente della Regione Piersanti Mattarella. Democrazia Cristiana anomala, tanto anomala che Cosa Nostra nel giro di due anni la fece cessare con il piombo. Orlando allora andò dai giudici e accusò tutto l’establishment democristiano del delitto Mattarella. Ed era solo il buongiorno. Poi fondò la Rete e divenne per tre volte sindaco: ’85, ’93, 2000. La chiamarono «primavera di Palermo». Da poco più di un anno, separati i destini prima da Rutelli poi da Di Pietro, è sindaco per la quarta volta, eletto con il 74 per cento dei voti, non sostenuto dal Pd. «La mia potente coalizione ha preso il 14 per cento. Io 60 punti di più. Sarei un sindaco di centro sinistra? Ma su. Il mio partito si chiama Palermo. Come il partito di Pizzarotti si chiama Parma e quello di Tosi si chiama Verona. Aggiungerei anche Marino, la cui tessera — mi sembra — sia soltanto Roma. Siamo sindaci che vanno oltre gli schemi dei partiti». La sua città, quella della primavera, mi sembra però che stia vivendo un autunno profondo: immondizia, disoccupazione, disordine edilizio… «Palermo ha vissuto dieci anni di barbarie. Questa città è un bene comune, ma tornando a fare il sindaco, ho scoperto che non esiste più la comunità palermitana. Io sto cercando di ricostruire tutto, di convincere la gente che dopo l’inverno torna la primavera». Su uno dei viali che portano a Mondello, ad agosto, di notte, c’era una montagna di immondizia alta tre metri e lunga dieci. Sembrava un’istallazione d’arte contemporanea. Sarebbe questa la speranza di una primavera? «Passo il tempo a denunciare l’inciviltà di molti miei concittadini. E le confesso una cosa, che oggi ho capito perfettamente: io sono una minoranza culturale che ha otte- N La quarta volta Leoluca Orlando, 66 anni, palermitano, è sindaco per la quarta volta. La prima fu nel 1985, l’ultimo mandato è iniziato il 21 maggio 2012, con una vittoria netta (74% dei voti), non sostenuto né dal Pd, né dal centrodestra. Studi giuridici in Germania e Inghilterra, Orlando ha cominciato la propria attività politica nella Dc, come consigliere dell’allora presidente della Regione Piersanti Mattarella, nuto una maggioranza elettorale. Col cavolo che chi mi ha votato la pensa come me!». Ma che fa l’azienda dei rifiuti? «Fallita. Da meno di un mese, della raccolta si occupa direttamente il Comune». È vera la storia dei 450 figli assunti in un solo giorno all’Amia, la vecchia azienda? «Verissima. Qualche anno fa, a ridosso delle elezioni comunali, il sindaco di allora (Diego Cammarata, ndr) e i suoi collaboratori chiamarono 450 dipendenti dell’Amia, offrendo loro uno scivolo e un pensionamento anticipato. In cambio avrebbero assunto "per concorso" i loro figli. Tutti accettarono e i ragazzi vennero assunti: la commissione in un solo giorno disse di sì. L’indomani vennero promossi ucciso nell’80 dalla mafia. Nel ’91 ha fondato la Rete, poi è entrato nei Democratici di Prodi e in seguito nella Margherita. Nel 2006 ha aderito all'Italia dei Valori, da cui è poi uscito. Più volte deputato, è consigliere dei presidenti colombiano e messicano per le strategie di lotta ai narcos. Tra le svariate cariche, è anche presidente della Federazione italiana di Football americano. Sposato, ha due figlie e cinque nipoti. tutti e 450 dalla prima alla seconda categoria». Come intende correggere quella che lei chiama «l’inciviltà» di certi suoi concittadini? «A Palermo troppa gente si è abituata a essere incivile. Ma tutti devono capire che qui non è cambiato il direttore, è cambiata la musica. È anche cambiato il direttore (sorride), certamente, ma devono cambiare le abitudini. Ho disposto per la prima volta nella storia di questa città che dieci pattuglie in borghese di vigili urbani girino armati di videocamere e fotocamere per documentare e sanzionare l’inciviltà di chi butta rifiuti ovunque. Le stesse pattuglie controlleranno anche che i dipendenti comunali facciano il loro lavoro di «Centrosinistra? Il mio partito si chiama Palermo, come quello di Pizzarotti si chiama Parma e quello di Tosi si chiama Verona» Questa città è un bene comune. Tutti devono capire che qui non è cambiato soltanto il direttore, ma è cambiata la musica raccolta come stabilito dalle tabelle che pubblichiamo sul sito del Comune». Direbbe a un suo figlio di restare a Palermo a studiare, a lavorare? «Purtroppo le mie due figlie, i loro mariti e i miei tre nipoti sono andati tutti all’estero. Per l’esattezza: fu-ggi-ti all’estero. Non potevano rassegnarsi a questa città e alla sua cultura dell’appartenenza». Scusi, ma lei è il sindaco di Palermo. Come ha accettato che la sua famiglia «fuggisse»? «L’ho accettato perché io sono rimasto qui, a battermi per dare ai giovani un futuro. Vorrei che da Palermo i ragazzi andassero via, ma solo per scelta. Non per necessità. E chi volesse restare, qui dovrebbe trovare opportunità, rispetto, lavoro». Si ricorda il dialogo tra lei e una delle sue figlie quando le ha annunciato che andava a vivere all’estero? «Certo. È venuta e m’ha detto: papà, noi ci trasferiamo a Quebec City. Io ho pensato, da padre autoritario e siciliano, che una domanda avrei dovuta fargliela. Allora le ho chiesto: andate via Montreal o via Toronto?. È una battuta? «No. Mi dica lei: che cosa potevo obiettare?». Mi spiega la cultura dell’appartenenza? «Se volevi un lavoro, al Nord ti chiedevano: che cosa sai fare? Al Sud: a chi appartieni? Purtroppo devo dire che da un po’ di anni questa cultura dell'appartenenza ha invaso anche il Nord». Qual è lo slogan per questo suo mandato? «Palermo pulita. E stop al pizzo di strada». Che cosa intende? «I parcheggiatori abusivi. Quindici anni fa ti chiedevano un obolo e se non lo davi, si rassegnavano. Ora no: fanno parte di una specie di racket». S’è accorto che davanti a quest’albergo di Mondello dove la sto incontrando c’è un parcheggiatore abusivo 16 ore su 24? «Sì. Ma almeno noi li multiamo». Lei, Renzi, Letta, Alfano. Tutti ex democristiani o ex popolari… «La prego, io sono democratico e cristiano (sorride)». Va bene. Ma è possibile che in Italia ce la possano fare solo gli ex dc? «Beh, finché gli ex comunisti non la pianteranno con il complesso che loro non possono governare...». © RIPRODUZIONE RISERVATA RENATO ACCORINTI, PRIMO CITTADINO DI MESSINA «Per la mia città viaggio in treno e mangio panini» di Nino Luca al trionfo alle critiche. Ma a Messina il «mito» Renato Accorinti resiste. A 90 giorni dal clamoroso successo elettorale con la sua lista civica Cambiamo Messina dal basso, Renato e basta (come gli piace farsi chiamare), deve fare i conti con le «malelingue» messinesi. Gli attacchi piombano addosso a questo ex professore di educazione fisica di 60 anni, dal fronte interno e da quello esterno. Lui non perde il sorriso, gli ormai famosi sandali e la maglietta con slogan incorporato. «Ne ho un macello. Con la scritta "Free Tibet" almeno una dozzina. Ora però la gente me le regala: ne ho 40». Fare il sindaco è come lo immaginava? «Dico sempre che sono il sindaco D di Hiroshima. Però non di oggi ma del 7 agosto del 1945. Lavoro sulle macerie…» Paragone irriguardoso ... «Intendo metaforicamente , nel senso che è un disastro tutto». E i messinesi a cui chiedeva il voto e, soprattutto, di agire? «In 500 si sono messi a rimuovere i rifiuti dalle spiagge. La gente dei villaggi pulisce le proprie strade. Un «Sono arrivati pochi soldi. E quei pochi sono andati ai lavoratori» gruppo di avvocati ha messo in ordine i giardini del tribunale, di domenica. Più partecipazione di così» Veniamo alle critiche. Cominciamo dal trasporto urbano. «Ci sono cose che con centinaia di milioni di euro di deficit non si possono fare in fretta. Bus non se ne possono comprare? Bene, con 25mila euro ne ripariamo 15 e li mettiamo sulla strada». E gli stipendi ai dipendenti Atm? «Dallo Stato e dalla Regione sono arrivati pochi soldi. E quei pochi sono subito per i lavoratori. Io vado ai dibattiti in treno in seconda classe, da solo. Sono stato a Palermo per parlare con Crocetta e ho mangiato solo un panino. Ho speso in tutto meno di tre euro e a co- sto mio». Messina è ultima tra le città italiane per raccolta differenziata. Ferma al 7 %. E un terzo dei cittadini non riceve neanche i bollettini per pagarla. «Vero. Anzi, credo che sia ferma al 3%. Ma sta partendo una campagna di sensibilizzazione. Entro un anno contiamo di superare il 30%». Una sua consigliera l’avrebbe definito un «pupazzo» manovrato (frase però smentita, ndr ) «da una regia tecnica, politica e sindacale». «Ho parlato con la mia consigliera, le voglio bene ma anche se dice che quella parola non l’ha mai pronunciata, mi offende tutto il suo ragionamento: io non sono "sotto scopa" di alcuno. Si tratta poi di una nomina a costo zero» La pioggia che sta per arrivare, la preoccupa? «Il ricordo dei morti di Giampilieri è indelebile. Stiamo lavorando su torrenti e tombini, organizzando un tavolo per la prevenzione con la Protezione civile e con la Forestale». Che pensa di Renzi che vorrebbe dividersi tra la segreteria del Pd e la poltrona di sindaco? «Ho dovuto rinunciare all’insegnamento. Rimanga inter nos: non vedo i miei amici da 80 giorni. Certe volte riesco ad andare in bagno solo alle 5 del pomeriggio. Per 70 giorni ho saltato il pranzo. Se non è un atto d’amore questo...» © RIPRODUZIONE RISERVATA Informale Il sindaco di Messina, Renato Accorinti. Sopra, con un collaboratore; nel tondo, i suoi sandali e, accanto, la maglietta come divisa di lavoro Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 26 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia XXI Concorso Internazionale Vini di Montagna Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 27 Due Sicilie Un regno nato nel 1816 con la Restaurazione, che mise assieme i regni di Napoli e Sicilia. Non fu da poco per re Ferdinando di Borbone, che era IV di Napoli e III di Sicilia: ora divenuto I delle Due Sicilie. A un ignoto poeta poco benevolo nei confronti del nasuto sovrano quelle numerazioni ispirarono un feroce epigramma: «Fosti quarto, fosti terzo, or ti titoli primiero; se continui nello scherzo finirai per esser zero». Quando ai Borbone succedettero i napoleonidi e poi quando tornarono dopo la sconfitta di Napoleone, in Sicilia si disse: «Tanta guerra e tanto male per cambiare una vocale: un Borbone in un birbone, un birbone in un Borbone». Le battaglie civili LA BATTAGLIA DELL’ASSESSORE REGIONALE LINDA VANCHERI, AFFETTA DA SCLEROSI MULTIPLA «Per la mia terra vincerò la malattia» È nata tra Enna e Caltanissetta, dove le miniere hanno creato un disastro ambientale di Felice Cavallaro L’ipoteca del passato Una terra violata da anni d’incuria ecologica che, in alcune zone, hanno prodotto conseguenze drammatiche sulla salute degli abitanti. Adesso si cerca di mettere riparo ai danni del passato ricucendo il futuro con il filo della speranza desso che, da assessore alle Attività produttive, deve cacciare dai Consorzi industriali mafiosi e faccendieri, scoperchiando le pentole maleodoranti di un apparato messo su per fregare 300 milioni di euro alla Regione, «sembra passato un secolo» a Linda Vancheri da quando, ancora una ragazza, cominciò a frequentare Gela come volontaria per il sostegno ai malati di sclerosi multipla. Scattarono allora, quindici anni fa, la simpatia e l’amicizia con Rosario Crocetta. Rafforzate quando l’attuale governatore divenne sindaco della città del Petrolchimico. Saldate l’anno scorso con l’ingresso in giunta di questa bella trentaseienne, inarrestabile, vulcanica, il sorriso ironico, i tratti mediterranei, due calamite agli occhi, magnetica nel suo profilo, divertita quando le dicono che sembra la sorella di Sabrina Ferilli. Corre in bici o motorino, come faceva da funzionaria di Confindustria a Caltanissetta, con la disinvoltura di una studentessa. E spesso il lunedì prende la corriera per Palermo o aspetta il passaggio di un amico perché all’auto blu ha rinunciato. Ecologista e in prima linea sui temi ambientalisti, pronta a svelarsi con una rivelazione choc, mentre rilancia un grido di battaglia contro aria inquinata e amianto, le miniere pattumiera della sua provincia, impegnata nella guerra alle scorie nucleari: «Sì, la sclerosi multipla è la mia malattia. Anzi, è la mia vita». Sono passati 12 anni da quando Linda Vancheri ha scoperto che un male s’era annidato fra le sue ossa. Aveva 24 anni ed era convinta di potere spaccare il mondo. Poi la diagnosi. «Fu terribile. Per me. Per i miei genitori. Improvvisamente tutto si rallentò. Mi sentii annientata per due anni. Ma sono riuscita a trasformare questo mostro in forza combattiva. Con la malattia, se ce l’hai, devi convivere. Diventa la tua coinquilina. E noi due abitiamo insieme. Dovevamo pur metterci d’accordo. Lei c’è. Ma ci sono pure io, da tre anni in cura sperimentale con un farmaco che sequestra i linfociti dei linfonodi e ne blocca il cammino verso il sistema nervoso centrale». Scopre il disastro a San Cataldo, il grosso produttivo centro a due passi da Caltanissetta, dove Linda torna ogni volta che può. Dalla mamma, Maria Amico, casalinga, sempre preoccupata, e dal papà, Giuseppe, una vita in fabbrica tra manufatti d’amianto, costretto giovanissimo al prepensionamento, colpito da asbestosi, grossi problemi respiratori, ma da Linda defi- A LE INCHIESTE Risoluta L’assessore regionale alle Attività produttive Linda Vancheri, classe 1977 (Foto G. Gerbasi/Contrasto) nito «un uomo fortunato» perché «molti suoi colleghi non ci sono più, credo tutti». Siamo al tema della malattia e di un’area a rischio su cui Linda Vancheri accende i riflettori, forte del sostegno di Lucia Borsellino, la figlia del giudice, scelta da Crocetta come assessore alla Salute. Parla del cuore della Sicilia bucato dalle miniere dei paesi amati: «Noi viviamo fra Enna e Caltanissetta, fra valli e monti con migliaia di ragazzi malati di sclerosi multipla, di leucemia, di tiroide, un disastro mai studiato a fondo, effetto dei misteri annidati nelle viscere delle miniere di Monte Capodarso, di Serradifalco, di altre tappate con rifiuti tossici arrivati da tutto il mondo, come finalmente conferma qualche pentito di mafia. A San Cataldo sono 200 i malati di sclerosi, mille in provincia di Caltanissetta, cifre spaventose. Sono quasi tutti ragazzi nati fra il 1974 e il 1977, qualcuno anche nel 1980. Ammalati per quello che mangiano o respirano, o per quello che hanno dalla nascita». Non parla di sé, ma quando i suoi occhi si rattristano perché indica gli amici ammalati è automatico pensare alla sua pena. Ed eccola infine rendere pubblica la sua sfida: «Per accendere speranze». Non con parole vuote. Offrendo la propria esperienza. «Perché la malattia si può combattere», assicura. Come? «Intanto, dimostrando a me stessa che si può vincere. Senza abbattersi. Abbattendo quella malintesa sensazione di vergogna... Sì, si arriva al punto da vergognarsi della malattia. Un pool di magistrati di Caltanissetta coordinati dal procuratore aggiunto Lia Sava segue l’inchiesta sull’inquinamento ambientale, sul rischio di contaminazioni radioattive provenienti da miniere abbandonate dagli anni 70 fra Caltanissetta e Enna. Siti forse utilizzati dalla criminalità per riempirle in parte di scorie e prodotti ad alto rischio. Nell’aprile del 2011 fu l'ex governatore Raffaele Lombardo a riferire che in una di queste miniere, a Pasquasia, era stata stata rilevata «una sorgente radioattiva a 300 metri di profondità». I rilievi eseguiti finora non hanno prodotto certezze. Ma il registro dei tumori ha permesso ai volontari di «Cittadinanza attiva» di denunciare una pericolosa incidenza nei comuni del Vallone, fra le due province. Il rischio di contrarre un tumore in comuni agricoli come Serradifalco sarebbe del 43% rispetto al 12% di Gela E invece no. Deve essere considerata una opportunità. Perché aiuta a capire, a relativizzare, a dare peso reale solo alle cose importanti, a sorvolare sul resto. Insomma, combattere e vincere. Vorrei poter dire ai malati come me: "Tu sei avvilito, depresso? Guarda me! Possiamo farcela!". Voglio diventare testimone di tutto questo per far capire come vivere un problema così grande e come cercare le vie d’uscita. A cominciare dalle attività di promozione per la bonifica dell’aria e della terra in cui viviamo». È questa la corsa di Linda. Già, lei corre su una bici disegnata dagli ingegneri per ottenere il massimo equilibrio. Una corsa che ha come obiettivo «quello di arrivare, non solo di vincere, perché arrivare è la vittoria». Lo diceva a Gela quando non la conosceva nessuno e l’ha ripetuto come testimonial al Giro d’Italia del 2008, con l’appendice che chiamò «la corsa della libertà». Un’avventura pensata dopo aver letto lo straordinario racconto di Andrea Camilleri sulla sua corsa del ’43, quando su una bici Montante lo scrittore volò da Serradifalco alla sua Porto Empedocle fra le macerie della guerra. E Linda Vancheri quell’anno si mise in contatto con il famoso Tony Lonero, l’ex campione italo americano di baseball che, grazie alla bicicletta, era riuscito a vincere la sua corsa contro la sclerosi: «La sua vita sembrava finita. Ma era ricominciata proprio su una bici. Donata dalla madre nel 2001, l’anno delle Torri gemelle. "L’America deve rialzarsi, e così devi fare tu, figlio mio". Grande madre. Decisi allora che con Lonero avremmo fatto qualcosa di grande. E riuscii a convincere la Rcs, la Gazzetta dello Sport, a organizzare una corsa parallela al Giro». L’azienda di Antonello Montante, oggi presidente di Confindustria Sicilia, aveva distribuito le bici a norma per il malato di sclerosi grazie a un attento studio ingegneristico e la Vancheri riuscì a coinvolgere lo stesso Camilleri: «Ci diede una mano. Nacque così la "corsa della libertà". Tanti malati arrivarono da Bergamo, Milano, Torino... Eravamo cinquanta, tutti in bici, più quelli che si sono aggiunti da Serradifalco a Porto Empedocle. Per rifare la stessa corsa del ’43. Dimostrando che non ci sono barriere fisiche capaci di bloccarci. Nella vita, nella malattia, nel governo. Appunto, "Ride to finish", come dicevamo e continuiamo a ripetere ...». Chiosa finale per un parallelo che sfocia in una sorta di protocollo contro malanni e malaffari. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL PARADOSSO DI ARTURO LICATA, 111 ANNI L’uomo più vecchio del mondo e i misteri dell’Area 51 siciliana di Giuseppe Farkas veva già sei anni quando la terrà tremò come non succedeva più da secoli e il terremoto cancellò quella città che s’affacciava sul mare dello Stretto e quasi tutti i suoi abitanti. Anche la sua casa di Enna, lontana centinaia di chilometri da quel disastro, tremò. Il ricordo di quella notte è uno di quelli che il tempo non ha mai cancellato. E di tempo ne ha visto trascorrere davvero tanto Arturo Licata, 111 anni lo scorso 2 maggio, l’uomo più vecchio del mondo. Arturo Licata è il paradossale simbolo della longevità di un territorio che da qualche tempo si interroga sul perché dell’aumento dell’incidenza di malattie A tumorali e neurodegenerative. Nato nel 1902, Arturo Licata era troppo giovane per andare al fronte nella prima guerra mondiale e non più arruolabile quando scoppiò il secondo conflitto mondiale. Ma per tre anni, durante il Ventennio, fini per tre anni a «servire la Patria» in Africa. Poi, al ritorno, lo hanno ricompensato trovandogli un lavoro nella miniera di Pasquasia. Zolfo e Sali potassici lo hanno accompagnato per vent’anni. Poi ha trovato posto come infermiere nel dispensario di Enna. Nel tempo libero suonava la chitarra e scriveva poesie. Mai una malattia e solo due volte in ospe- dale Aveva ancora «solo» 85 anni e, al netto del patrimonio genetico, anche un ottimo livello di vitamina D nelle ossa. Eppure su Pasquasia oggi sono puntati gli occhi di chi teme di non poter neppure lontanamente sfiorare il record di longevità dell’illustre conterraneo. La miniera è stata una grande e storica risorsa per la Sicilia. Poi, nel 1992, l’improvvisa quanto misteriosa chiusura nel totale disinteresse e nel silenzio delle istituzioni nonostante fosse un’essenziale fonte di occupazione per un altissimo numero di lavoratori delle province di Enna e Caltanissetta. Solo qualche anno dopo cominciarono a prendere corpo strani scenari. Nel corso di un convegno a Washington sullo stoccaggio di combustibile nucleare, la miniera di Pasquasia venne citata come uno dei depositi in funzione in Europa occidentale. Dalla storia alla scoria il passo fu brevissimo ma il mistero restò impenetrabile. Anche quando a cinque anni dalla chiusura un controllo dell’Usl accertò presenza di Cesio 137 e l’Arpa ha più di recente confermato la presenza di tracce di radioattività... Pasquasia è una specie di Area 51 della Sicilia. Non solo è inaccessibile ma si continuano a non avere, nonostante gli sforzi negli anni di alcuni esponenti politici siciliani, informazioni certe. Adesso ci riprova, con un’interrogazione presentata in questi giorni al ministero dell’Ambiente, la deputata nissena del Movimen- Un uomo simbolo di longevità in una terra con un’alta incidenza di malattie to 5 Stelle, Azzurra Cancelleri. Di Pasquasia, all’uomo più vecchio del mondo, resta solo un ricordo lontano. In una vita non solo lunga, ma anche arricchita di musica e poesia. E forse questo è uno dei veri segreti della sua longevità. © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 28 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - Codice cliente: 2748686 29 30 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 31 Etna per tutti, Mongibello per i siciliani. Che è un misto di latino mons e gebel arabo, ma tutti e due stanno per montagna. Per Pindaro la colonna del cielo. Un serbatoio di meraviglie perché non è un vulcano, ma un agglomerato di vulcani assai giovane, sorto dal mare solo cinquecentomila anni fa, assieme all’apparato vulcanico delle Eolie. Cerca di non disturbare riversando le lave nell’immensa Valle del Bove che è un enorme squarcio lavico con un perimetro di 22 chilometri. Si ritiene che in epoca preistorica ci sia precipitato dentro il vulcano originario. È il simbolo della Sicilia. Una immensa mammella che esce dal mare in tutta la sua maestosità. Il turismo I PROGETTI DELL’ASSESSORE REGIONALE AL TURISMO «La mia Sicilia guarda oltreoceano» Michela Stancheris: sono bergamasca e amo quest’isola. Malgrado la spazzatura di Francesco Battistini Il rilancio e il rammarico «A me piacerebbe, che so, valorizzare l’entroterra di Mussomeli che è bellissimo. O chiedere a Dolce e Gabbana di restaurare Selinunte. Ma come faccio, se poi intorno rimangono i rifiuti?» a presente Gravity , l’ultimo film con George Clooney e Sandra Bullock?». Veramente no... «Inizia con la Terra dall’alto. E sa qual è la prima immagine? La Sicilia. Io l’ho visto alla Mostra di Venezia e con la mia faccia di bronzo sono andata subito a salutare Cuaròn, il regista: vieni a osservarla da vicino, la Sicilia... Ecco, bisogna ampliare la prospettiva, chiamare queste persone, lavorare sull’emozione, dare all’isola l’internazionalità che merita. Abbiamo appena fatto un documentario su Frank Zappa, che aveva i parenti a Partinico. E adesso, se vado a Hollywood...». Hollywood? «Sì, il Dipartimento di Stato mi ha invitato in America a sue spese. Incontri con la cultura, l’imprenditoria. E anche il cinema. Là c’è già Tornatore che fa il suo. Ma a me piacerebbe importare i grandi artisti americani con radici siciliane. Coppola sarebbe il massimo. O Lady Gaga, che aveva i bisnonni di Naso. L’ho conosciuta a New York, l'avevo già contattata per la campagna elettorale di Crocetta. Chissà...». Teatrino biondo. Tutti parlarono di Franco Battiato, quando diventò assessore siciliano al Turismo. Qualcuno già chiacchiera di Michela Stancheris, la biondina trentunenne della Val Seriana che ne ha preso il posto. Un po’ perché era dall’epoca dei Mille che i bergamaschi non sbarcavano alla conquista dell’isola: «In Sicilia, c’ero venuta solo due volte in vacanza...». Molto perché l’hanno liquidata, subito, come la segretaria di Crocetta che quadruplicava lo stipendio: «La stampa è stata cattiva: più che la segretaria, in Europa facevo l’assistente parlamentare. Non ho protezioni, semplicemente condivido quel che fa Rosario. Sono sicura delle mie capacità. M’accusano d’essere troppo "tecnica"? Credo sia giusto esserlo, di questi tempi». Bergamo-Bruxelles-Palermo, atterraggio turbolento. «Dal bianco al nero, con qualche coltellata. Qui c’è da ristrutturare completamente. I problemi «H L’identikit Michela Stancheris è stata nominata assessore al Turismo da Rosario Crocetta dopo le dimissioni di Franco Battiato. Una sorpresa per Spettacolare La rocca di Mussomeli (Caltanissetta) con il castello incantato il mondo politico siciliano che conosceva questa giovane laureata proveniente da una famiglia di imprenditori di Bergamo come la «segretaria» del presidente. A Bruxelles, da eurodeputato, Crocetta l’aveva assunta come assistente esclusivamente sulla base di un curriculum, lasciando fuori tutti i raccomandati sono tantissimi, il più grosso sono 90 milioni di buco creati fra il 2007 e il 2013. Ci siamo bruciati i fondi Ue. Bisogna sanare il bilancio e intanto rilanciare il servizio, con una mano tenere su il muro e con l’altra giocare la palla. Ricostruire sulla base del diritto, che è stato un po’ dimenticato. I colpevoli devono pagare, ho mandato tutto alla Corte dei conti. Una cosa è certa: rispet to al passato, non si ruba più un euro». Si dà due anni, per i primi risultati: «Guai a chi mi parla ancora di "vocazione turistica", basta con le formule vuote. Questa regione ha la "fortuna" d’essere rimasta un po’ indietro, non ha raso al suolo la sua cultura e non s’è fatta colonizzare. Però dà troppo per scontata la sua bellezza. S’accontenta d’avere l’Etna patrimonio dell’Unesco: averlo non basta, bisogna pulirlo, facilitarne l’accesso, farne una meta del turismo di lusso... Vedo grandi sprechi. La mafia che certo non aiuta. E imprenditori che alla fine se ne vanno. A me piacerebbe, che so, valorizzare l’entroterra di Mussomeli che è bellissimo. O chiedere a Dolce e Gabbana di restaurare Selinunte. Ma come faccio, se poi intorno rimane la spazzatura? Prenda anche l’idea della "Strada degli scrittori" a Racalmuto: in 30 km ci sono i luoghi natali di Sciascia, Pirandello e Camilleri, c’è un paesino col castello e la chiesa che è già un brand , l’opportunità d’intercettare i turisti che vanno alla Valle dei Templi o alle terme di Sciacca. La gente però non si rende conto di questo tesoro. Io adoro l’ironia di Sciascia, a Racalmuto la si respira ancora: sa ‘‘ Vorrei far tornare qui i grandi artisti americani con radici siciliane, da Coppola a Lady Gaga che il giornale locale si chiama Malgrado tutto? Mi fa ridere, potrebbe essere il motto della nostra giunta...». Malgrado tutto, la giovane Stancheris ci prova: bioturismo e rilancio delle Eolie («tra aerei e aliscafi ci metti un giorno intero: assurdo»), il Nobel per la pace ai lampedusani e l’azzardo di costruire due casinò, malgrado la mafia... «Tanto turismo americano, israeliano cerca anche i casinò. Altrimenti sceglie Malta. Capisco le cautele, ma è una battaglia di principio: perché la Sicilia non può averli come le altre regioni transfrontaliere?». Qualche settimana fa, in visita a Bergamo, Crocetta ha buttato lì che Michela sarebbe un buon sindaco pure per la Città dei Mille... «In Sicilia sto benissimo. La Lega Nord me ne ha cantate di tutti i colori: "la bergamasca esportata"... Qui è diverso, accolgono tutti. Anzi: prevede una foto con questo articolo?». Probabile... «Allora la scelga bella: vorrei trovare un fidanzato». LO SCRITTORE ROBERTO ALAJMO Scrittore siciliano Roberto Alajmo è l’autore di «Il primo amore non si scorda mai, anche volendo» edito da Mondadori e di «L’arte di annacarsi» (Laterza) «Porto amici e parenti in giro perché così godo del loro stupore» di Luca Mastrantonio l luogo simbolo delle promesse mancate della Sicilia, per Roberto Alajmo, scrittore siciliano, è il cimitero degli inglesi a Palermo: «Un luogo storico, dove venivano seppelliti i viaggiatori che, principalmente nell’800, arrivavano nell’isola sperando di trovare clima e condizioni che lenissero le loro malattie polmonari; ma poi vivevano in case riscaldate male e d’inverno morivano come mosche». Qui prima che chiudesse al pubblico, Alajmo ha portato il figlio, all’epoca di soli quattro anni, all’insaputa della madre, francese: «Per noi siciliani il rapporto con la morte è qualcosa di molto familiare», spiega. Poi, è stata la volta del Trionfo della morte a Palazzo Abatellis, sempre a Palermo: «Un affresco spettacolare che potrebbe aver ispirato Guernica di Picasso»; infine, le Catacombe dei Cappuccini, perché — spiega — «volevo che mio figlio scoprisse che c’è qualcosa di più macabro del suo mondo fatto di film I e videogiochi splatter, violenti». Ora il figlio ha 17 anni e Alajmo continua a fare il turista in patria, portando in giro parenti e amici: «Condurli nei miei luoghi preferiti mi rassicura sul fatto che sia tutto come prima — racconta l’autore di Il primo amore non si scorda mai, anche volendo (Mondadori) — e allo stesso tempo mi fa godere del loro stupore». Di fronte alle cave di Cusa, per esempio, «da dove venivano estratti i blocchi per costruire il tempio di Selinunte. C’è una strada ‘‘ Il problema è il raffinamento del nostro turismo. Ma nessun rimpianto per l’Eden perduto molto suggestiva, lungo la quale venivano trasportati i "rocchi", blocchi cilindrici come ciambelloni per fare le colonne; ce ne sono alcuni semilavorati, non finiti, come se fossero stati abbandonati lì poco tempo fa. E nel frattempo la natura si è ripresa buona parte dello spazio, facendo dialogare natura e cultura, come in un altro luogo che adoro, Noto Antica. Assomiglia al Machu Picchu, perché è una città abbandonata dove la vegetazione anima i ruderi: è il monumento a come muore una civiltà, dopo un terremoto». Il problema principale del turismo culturale per Alajmo è il raffinamento. In senso figurato e letterale: «La Valle dei Templi ha molti turisti, ovviamente, ma con la gestione privata della NovaMusa gli incassi non venivano poi girati a dovere alla Regione: c’erano spese senza vere entrate. Se la bellezza è metaforicamente petrolio, lo raffiniamo male». E, fuor di metafora, © RIPRODUZIONE RISERVATA il petrolio non ha portato bellezza: «Hanno trivellato un po’ ovunque, ma in posti come Gela il danno, con le raffinerie, non è stato solo paesaggistico e sanitario, ma antropologico, urbano; l’improvviso arricchimento ha deformato la città. La cosa più bella di Gela è il cimitero, tutto colori pastello, spiritoso». Nessun rimpianto di un Eden perduto, però, da parte di Alajmo. Solo un po’ di logica: «Prendiamo Termini Imerese. Capisco il grande sogno dell’industrializzazione, ma che senso aveva costruire una fabbrica in riva al mare, visto che le macchine viaggiavano su gomma? Si pensava che questo genere di risorse paesaggistiche fosse infinito. E si è devastata una costa, tutta sabbiosa, di oltre 15 chilometri, ormai irrecuperabili. Era meglio conse- gnarsi al mito turistico di Rimini e riminimizzare la costa». Infine, l’export-import: «Un grave danno, cui si sta ponendo rimedio, è l’esportazione a perdere di opere d’arte. Prendiamo solo la zona di Trapani: fino all’anno scorso venivano portate fuori contemporaneamente opere come l’Efebo di Selinunte, il Satiro danzante di Mazara del Vallo e l’Auriga di Mozia. I politici li usavano come scatole di cioccolatini, mazzi di fiori per tenere buoni rapporti. Li davano a musei stranieri, certo, in cambio di opere altrui con cui fare mostre in Sicilia. Ma poiché le spese sono a carico di chi ospita e la Sicilia ha problemi di risorse, quelle opere chieste ad altri non arrivavano mai: prestavamo qualcosa in cambio di nulla». © RIPRODUZIONE RISERVATA» Codice cliente: 2748686 32 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Fastuca In italiano fa pistacchio. Riassunto di tanta storia passata tra quei rami: pistacchio dal greco pistachion; fastuca dall’arabo fustuqa: cresce nell’agrigentino e pure sull’Etna. La capitale è Bronte, che era un ciclope figlio di Urano. Il più zotico fu Polifemo, pessimo ospite con Ulisse, come sapete. Dovette divertirsi un mondo re Ferdinando di Borbone quando offrì quella ducea a Nelson, che era monocolo. Come un ciclope. Bronte merita una visita per il gelato al pistacchio, e i seducenti dolcetti di crema di pistacchio. Ma non è da meno Agrigento, che incanta con il cous cous di pistacchio fatto dalle suore di Santo Spirito. Verde islam, naturalmente. Il tempo libero DIVAGAZIONI SPORTIVE Sui campi da golf, non solo d’estate L’isola sta valorizzando le strutture che diventano una risorsa per il turismo di Silvia Nani Investimenti sul territorio Sono cinque oggi in Sicilia i campi attivi, tutti ubicati in aree diverse. Ma altri due stanno sorgendo nel comprensorio tra Taormina, Catania e Siracusa con distanze comprese tra i 30 minuti e poco più di un’ora di percorrenza stradale Q uando Luchino Visconti girò una delle scene iniziali del Gattopardo davanti alla settecentesca Villa Airoldi, dimora nobile palermitana, di certo non si sarebbe mai immaginato il parco adiacente trasformato in uno scenografico campo da golf. «Lasciato il frastuono delle auto, un percorso che si snoda tra le fontane e una cava di tufo. Il solo campo in Italia ubicato nel centro storico di una città», è orgoglioso Giorgio Trupiano, 33 anni, presidente del Golf Club Villa Airoldi, 21 ettari di oasi naturale su cui si estendono 9 buche nate a Palermo dalla riqualificazione di un’area che rischiava il degrado. Contesti unici e soprattutto diversi tra loro: i campi da golf in Sicilia sono diventati non a caso materia di riflessione in tema di sviluppo del territorio da parte delle istituzioni e di chi in queste realtà ha un coinvolgimento diretto. «In Italia si stima che il turismo alimentato dall’interesse per il golf muova quasi due milioni di presenze, che quasi raddoppiano contando chi ha soggiornato con altre motivazioni ma ha approfittato per praticarlo», chiarisce Franco Chimenti, presidente della F.I.G.-Federazione Italiana Golf, fautore del binomio tra questo gioco e il turismo come opportunità per il territorio. «L’impulso che deriva all’occupazione è diretto e indiretto: un campo da golf genera in media cento posti di lavoro ma i benefici si estendono a tutto l’indotto, dall’ospitalità alberghiera all’enogastronomia, l’offerta culturale e l’artigianato locale», spiega. Una cosa è certa: il golfista, secondo i dati di una ricerca condotta da Protiviti in collaborazione con la F.I.G. spende circa il doppio di un turista tradizionale. E ama spostarsi sul territorio e giocare sui campi a poca distanza: «Nel golf la concorrenza non esiste, anzi: le nuove aperture creano un circuito e favoriscono l’afflusso anche in quelle preesistenti», sottolinea Chimenti. Sono cinque oggi in Sicilia i campi attivi, tutti ubicati in aree diverse. Ma altri due stanno sorgendo, precisa Salvatore Leonardi, delegato regionale della F.I.G: «Entrambi nel comprensorio tra Taormina, Catania e Siracusa, con distanze tra i 30 minuti e poco più di un’ora di percorrenza stradale. Assieme al Picciolo e ai Monasteri, posti alle pendici dell’Etna, a breve potranno diventare un circuito golfistico di tutto rispetto». Parallelamente sono nate iniziative per «fare sistema», come il consorzio Sicily Golf Destination che raggruppa i cam- pi esistenti per promuovere la Sicilia come meta golfistica internazionale: «Attraverso workshop, la comunicazione presso fiere all’estero, eventi: il prossimo nel 2014, un torneo sui green italiani con finale in Sicilia», spiega Leonardi. Certo, le attrattive dei singoli campi sono al primo posto, ma per tutti vale la possibilità di poterli frequentare in ogni stagione: «D’estate l’ubicazione a 650 metri di quota e la vicinanza con il mare mitigano il clima. D’inverno, grazie al terreno vulcanico, il percorso non gela e il gioco è sempre piacevole», spiega Giuseppe Leonardi, presidente del Picciolo, 18 buche tra noccioleti e vigneti con vista sull’Etna, primo campo nato in Sicilia nel 1989. Un valore, questo, soprattutto per gli stranieri, giocatori e in- vestitori, come dimostrano due delle ultime aperture in terra siciliana, nel 2010 — il Donnafugata Golf Resort e il Verdura Golf & Spa Resort — entrambe di gruppi alberghieri esteri. «La scelta nasce da una delle nostre società, specializzata in resort golfistici, che ha individuato la Sicilia come regione a elevato potenziale. E il Ragusano in particolare», spiega Marco De Rossi, ad del Donnafugata, gestito dagli spagnoli di NH Hoteles, 36 buche tra olivi e carrubi e una struttura con un nucleo ricavato da un vecchio borgo. Certo, bellezza e tecnicità dei campi sono l’attrattiva principale ma si punta anche sulla valorizzazione del comprensorio: «Ai clienti diamo una guida con 101 cose da fare, dalla visita alle cantine alla scoperta del barocco di Senza handicap A sinistra, un golfista sul green del Golf Club Villa Airoldi; in alto, una vista del Picciolo, primo campo nato in Sicilia: 18 buche tra noccioleti e vigneti. Sopra, un concorrente impegnato nel torneo internazionale Sicilia Open senior Noto. Senza dimenticare la spiaggia: la prossima stagione avremo la nostra, in un’oasi naturale a pochi minuti dal resort». Il mare, un valore anche nel gioco, come sottolinea Luca Nardi, presidente del golf al Verdura (gruppo Rocco Forte Hotel), ben 3 campi a bordo acqua alle porte di Sciacca: «Non è un semplice affaccio ma fa parte degli ostacoli naturali. Un contesto spettacolare, tra gli elementi forti per cui siamo scelti per le finali dei più importanti trofei internazionali». Turisti giocatori ma anche famiglie: «Un 30 per cento sono golfisti, il resto viene per la ricercatezza della struttura, la Spa, la cura dei ristoranti. Molti stranieri, tedeschi, francesi ma anche svedesi, svizzeri e austriaci». Se il Verdura può beneficiare dello scalo internazionale di Palermo, la criticità dei collegamenti è oggi il vincolo più forte all’incremento del turismo golfistico: «L’apertura dell’aeroporto di Comiso per noi farà la differenza. Al momento i voli sono da Roma, Bruxelles e Londra, aspettiamo Milano e Francoforte», dice De Rossi del Donnafugata. Mentre il Villa Airoldi punta sui crocieristi inglesi e tedeschi: «Navi piccole, un turismo invernale. Siamo a 5 minuti dal porto, è facile concedersi un paio d’ore sui green», dice Trupiano che però punta anche sui palermitani: «Abbonamenti combinati con tre palestre e il circolo nautico Compagnia della Vela, nella riserva marina di Capo Gallo. Siamo partiti nel 2009 con 50 soci, oggi ne abbiamo 200». Turismo e non solo: in Sicilia la pallina va in buca anche «oltre» il green. © RIPRODUZIONE RISERVATA SICILY BY CAR COMPIE CINQUANT’ANNI Le nozze d’oro dell’autonoleggio «low cost» Dragotto: «Crescere senza abbandonare questa terra». La carta delle tariffe concorrenziali di Alessio Ribaudo cruta il mare dell’economia italiana ma ancorato saldamente alla sua terra: la Sicilia. Tommaso Dragotto, fondatore di Auto Europa — Sicily by car che quest’anno compie 50 anni, è da sempre un uomo di mare. Dopo il diploma di capitano di lungo corso macchinista, intraprende la carriera di ufficiale nella marina mercantile. Il «battesimo del mare» avviene con un imbarco da 14 mesi consecutivi. «Poche ore prima dello sbarco definitivo, il comandante della nave mi salutò affettuosamente e mi disse che mi attendeva per il prossimo viaggio — racconta Dragotto, 75enne dal fisico asciutto e sportivo — ma io risposi che non mi avrebbe visto più perché non ero adatto a ricevere ordini ma ero bravo solo a darli». Una scelta coraggiosa quella di rinun- S ciare a una prospettiva di carriera brillante e ben remunerata. «Scesi dalla nave con più di 2 milioni di lire in tasca (circa 50 mila euro di oggi. ndr) — ricorda — e piuttosto che godermeli pensai ad aprire un negozio di autonoleggio. Così, nel 1963, fondai la mia azienda con cinque dipendenti e una sola 1300 amaranto usata, targata PA94582». Una sorta di amuleto come il cent di zio Paperone. «La conservo ancora quell’automobile — dice divertito il presidente — malgrado oggi abbia 14 mila auto in azienda». Risultati maturati in 50 anni di lavoro vissuti con entusiasmo servito anche a superare la distanza dalle grandi aziende e dai grandi scali del Nord. «Sono caparbio e nel 1980 le auto in parco erano diventate 800 — ricorda Dragotto — ed erano dislocate in tutta la Sicilia. Fondatore Tommaso Dragotto, titolare della società di autonoleggio Sicily by car, che può contare su un parco-auto di 14 mila vetture Così decisi che era ora di sfidare i colossi dell’autonoleggio nel resto del Paese e aprii uffici ovunque con il marchio Italy by car». Una bella sfida vista l’imponenza delle flotte delle multinazionali del settore. «Le scommesse non mi hanno mai spaventato e io se sono convinto divento un kamikaze — spiega — e sino al 1997 ho proseguito quell’avventura ma poi decisi di tornare al mio vecchio amore della Sicily by Car. Ripartendo con la grinta di sempre». Una scelta dettata dal cuore più che dalla logica imprenditoriale. «Non si può abbandonare questa terra — dice — e delle difficoltà geografiche me ne frego. La tecnologia oggi aiuta e dalla mia sede di Villagrazia di Carini, a un passo dall’aeroporto palermitano "Falcone e Borsellino", possiamo gestire in modo eccellente un’azienda con un fatturato annuo che sfiora i 100 milioni di euro e i 500 dipendenti in tutta Italia». Dragotto ha fatto delle tariffe concorrenziali la sua filosofia imprenditoriale. «Siamo i low cost per eccellenza — analizza — ma senza rinunciare all’alta qualità dei servizi, a un parco auto di prim’ordine». La Sicily by Car è una società composta da molti giovani. «Amo il loro entusiasmo e do loro la massima fiducia e Un fatturato annuo che sfiora i 100 milioni di euro e 500 dipendenti per questo motivo — prosegue — sto per formalizzare con il rettore dell’Un iversità di Palermo cinque borse di studio per giovani talentuosi. A chi mi chiede consiglio, dico di viaggiare, imparare le lingue, acquisire competenze ma poi li invito a tornare nella nostra terra, perché torni allo splendore di un tempo con il loro contributo». © RIPRODUZIONE RISERVATA Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 33 Ferribbotte Sicula traduzione di Ferryboat: traghetto per far capire che siamo isola tra Europa e Africa, staccati dal continente italiano. Ricordate «uora uora arrivau u ferribbotte»? Dichiara l’inesistenza in siciliano del passato prossimo sostituito dal passato remoto. Pure per indicare fatti accaduti un attimo prima. Per i siciliani fugit inreparabile tempus e ciò che è successo un attimo fa è già passato. Tomasi di Lampedusa disse che i siciliani sono «dei, signori del tempo, senza passato prossimo e senza futuro». Sono padroni del loro presente? Non sempre. Fu la 'nciuria di Tiberio Murgia ne «I soliti ignoti». Restò attaccata a lui che era sardo. La letteratura DA RACALMUTO A PORTO EMPEDOCLE Quei trenta chilometri di scrittura Un progetto regionale per valorizzare la strada dei grandi romanzieri siciliani di Felice Cavallaro Montalbano oppure Bellodi Ai luoghi sacri di Pirandello si affiancano la passeggiata di Camilleri, la marina di Vigata e la Scala dei Turchi. Il progetto prevede visite culturali e incursioni nella cucina locale, ma anche spettacoli teatrali e musicali hanno denominata la «Strada degli scrittori» per richiamare l’attenzione sui trenta chilometri che vanno da Racalmuto a Porto Empedocle, passando per Agrigento, toccando, oltre i Templi e il giardino della Kolymbetra, le case natali, i luoghi frequentati, le strade e le statue, i castelli e i teatri amati da Sciascia, Pirandello e Camilleri. Perché qui sono nati lo scrittore che sfondò il muro della mafia in letteratura con Il giorno della civetta e l’ironico drammaturgo di Uno, nessuno e centomila . E qui può capitare di incrociare l’autore del Commissario Montalbano per una granita al bar Vigata. Trenta chilometri dove arricchire l’anima, divertirsi e mangiare bene, stando al progetto che diventa occasione culturale e allettante proposta di viaggio. Un’idea rafforzata a metà settembre da un primo tavolo tecnico aperto con operatori locali nel paese di Sciascia, nelle sale del Castello Chiaramontano, da cinque assessori del governo Crocetta: Michela Stancheris (Turismo), Mariarita Sgarlata (Beni culturali), Mariella Lo Bello (Territorio), Nelly Scilabra (Formazione), Linda Vancheri (Attività produttive). Cinque donne determinate nel condividere un percorso zeppo di soste in cui trasformare gli interessi culturali in attrazione, occasione di riflessione, relax, piacere. Con gruppi di giovani chiamati a scortare il turista dall’«eden» di Contrada Noce, cinque minuti da Racalmuto, fra i vigneti e i pini dove Sciascia scrisse gli ultimi libri, alla Scala dei Turchi, la meraviglia di marna bianca che degrada sul mare turchino esaltato da Pirandello. Appunto, i trenta chilometri di un tratto che per Michela Stancheris, l’assessore arrivato da Bergamo, «diventerà il nostro cammino di Santiago». Un’immagine pragmatica perché cultura e turismo producano lavoro non assistito in attività produttive, trattorie, artigianato, alberghi e B&B, filiera agroalimentare e così via, moltiplicando i (pochissimi) 700 mila visitatori della Valle dei Templi, spesso ignari delle occasioni offerte tutt’intorno. Come spiega il presidente dell’Assemblea regionale Giovani Ardizzone che con Francesco Forgione, il neodirettore dell’ente culturale di Palazzo dei Normanni, la Fondazione Federico II, crede nel progetto di «biglietteria unica» perché il turista possa scegliere e decidere con un Sciascia, biblioteca e pinacoteca con vista mozzafiato su tetti, miniere e parrocchie di Regalpetra. Qui è atteso Bray. E da qui può cominciare il viaggio suggerito a intere scolaresche, ai cultori degli scrittori, a chi vuole addentrarsi in un dedalo letterario scoprendo i luoghi dei romanzi, i film, le rappresentazioni teatrali, le trattorie, i circoli, i personaggi raccontati, i «carusi» e gli amici che hanno conosciuto i tre autori. Un gioiello dell’Ottocento il Teatro comunale in cui Sciascia mise in scena una prima opera, il Circolo Unione dove si custodisce la sua poltrona, la stessa tomba in cui è sepolto, il Castello Chiaramontano, il Castelluccio, la miniera di sale legata alle cronache delle «Parrocchie», i proprietari pronti ad aprirne un tratto per i turisti, uno spettacolo, 60 chilometri di bianche gallerie in cui i camion corrono notte e giorno fino a mille metri di profondità. Uno stimolo per confrontare le cronache sui «carusi» e la vita dei tecnici oggi al lavoro. Tutte mete da aggiungere all’oasi verde di Contrada Noce, il luogo più strettamente legato al ricordo di Sciascia, il suo buen retiro dove scrisse romanzi e pamphlet, saggi e articoli. Un percorso unico che, L’ L’assessore Michela Stancheris annuncia: «Diventerà il nostro cammino di Santiago» Nel tragitto culturale i luoghi amati da Sciascia, Pirandello, Camilleri e le loro case click online di visitare i Templi e le tappe della «Strada degli scrittori». Di qui l’interesse di imprenditori come Giuseppe Catanzaro, vicepresidente di Confindustria Sicilia, dei sindaci di Agrigento e Porto Empedocle, Marco Zambuto e Lillo Firetto, dei comuni vicini, da Grotte a Canicattì, tutti al tavolo con le assessore di Crocetta per tradurre gli spunti in un piano da definire a fine ottobre con il ministro dei Beni culturali Massimo Bray, pronto a fare sua l’iniziativa, deciso a indicare quest’area per un progetto pilota in cui coinvolgere istituzioni culturali, università, scuole. Appuntamento nella sede della vecchia centrale Enel di Racalmuto, svuotata dalle turbine e trasformata nella Fondazione per una fortunata coincidenza, sarà sempre più facile raggiungere perché sulla «Strada degli scrittori» si lavora al raddoppio. Buona notizia per autisti, guide, interpreti, un indotto di piccoli e grandi operatori, tutti chiamati ad accompagnare il turista fino al «giardino degli dei», come i volontari del Fai chiamano i bucolici sentieri della Kolymbetra, al Kaos con la casa natale di Pirandello, al mare con la restaurata Torre di Carlo V. E, ancora, la passeggiata di Camilleri, la marina di Vigata, la Scala dei Turchi, gustando piatti e cibi del Commissario Montalbano o del Capitano Bellodi. Ogni sera assistendo a rappresentazioni teatrali, concerti, film tratti da un pezzo di Sicilia che è romanzo. © RIPRODUZIONE RISERVATA L’AVANGUARDIA DELL’EDITORIA I «nipoti» di Sellerio guardano all’Europa Se :duepunti pubblica Foucault, nel catalogo di rueBallu spicca Brook di Ida Bozzi na grande vivacità di iniziative innovative insieme a una ricchezza intellettuale profonda e secolare, che guarda all’Europa: è la «cultura amena», come la definì Leonardo Sciascia, che ci sembra ispirare l’editoria siciliana, specialmente negli ultimi anni e spesso in linea con manifestazioni di impegno civile. Il faro dell’editoria sicula, per vari motivi esempio virtuoso per la gran parte dei piccoli e medi editori d’Italia, è certamente Sellerio. La creatura di Elvira Giorgianni ed Enzo Sellerio nasce nel 1969 con l’ispirazione di due intellettuali come l’antropologo Antonino Buttitta e appunto Sciascia, e da subito costituisce un esempio di proposta di narrativa «alta» ma non per questo meno dilettevole: pubblica lo U stesso Sciascia, Gesualdo Bufalino, Antonio Tabucchi, e con i libretti blu della collana «Memoria» celebra appunto la propria vocazione colta ma anche «amena», sancita dal lancio di autori come Lucarelli, Camilleri, Marco Malvaldi, e degli stranieri Manuel Vázquez Montalbán, Margaret Doody o Alicia Giménez-Bartlett. L’editoria siciliana più interessante si caratterizza comunque per la sua apertura al grande pensiero internazionale, e alle riflessioni all’avanguardia nei campi della letteratura, dell’estetica e dell’intreccio tra le diverse discipline: ad esempio, nata a Palermo nel 2004, :duepunti edizioni si richiama apertamente all’identità culturale europea e pubblica testi di Michel Foucault o di Jean-Marie Gusta- ve Le Clézio (prima del Nobel), e testi di saggisti e critici come Yves Citton, Andrea Cortellessa, Domenico Scarpa. Non disdegna opere non meno impegnate, ma più lievi, come la narrativa della collana «Zoo — Scritture animali» diretta da Giorgio Vasta, in cui gli scrittori italiani, da Genna a Mozzi, propongono racconti dedicati a un bestiario letterario vero o fantastico di gatti, cani, ragni e cammelli. E si sta rivolgendo al digitale. Ancora con un respiro internazionale, dedicato stavolta alle Muse, anzi alla Musica, il catalogo della palermitana rueBallu Edizioni, che pubblica volumi dedicati a Yehudi Menuhin, Celia Cruz, Lili Boulanger, Francis Jammes, Peter Brook, con prefatori come Manlio Sgalambro e Moni Ovadia: Indipendenti Un momento della rassegna «Una marina di libri» 2013 a Palermo l’intento è anche divulgativo della cultura artistica, come dimostra la collana «Jeunesse ottopiù», dedicata ai ragazzi, e che pubblica il volume L’ultima Fuga di Bach di Chiara Carminati, Premio Andersen 2012. Apertura verso l’Europa ma con radicamento nel Mediterraneo: un luogo di scambi e di culture che da metafora diventa realtà nel festival letterario «Una marina di libri», prima fiera del- l’editoria indipendente a Palermo, promosso proprio da un editore, Navarra edizioni, nato prima a Marsala e poi a Palermo. Con un catalogo di impegno civile e sociale, propone il saggio di Concetto Prestifilippo sulle Parole contro il potere di Vincenzo Consolo, accanto al memoriale Passaggio di testimone. Undici giornalisti uccisi dalla mafia e dal terrorismo . © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 34 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Fistinu È il momento più alto della vita palermitana. Un immenso ex voto popolare per santa Rosalia la Santuzza; per grazia ricevuta. Fu lei a salvare i palermitani sopravvissuti alla peste del 1624. Quasi ventimila morti senza che si trovasse un rimedio. Morì pure il viceré Emanuele Filiberto di Savoia e fu segno del Cielo! Si ritrovarono delle ossa in cima al Monte Pellegrino e cessò la peste: certo, dovevano essere quelle di Rosalia. Ed esplose la festa fatta di luci, di caldo, di colori, di sfarzo e di grandi abbuffate per strada. Una grande festa barocca per ricordare a tutti la dignità regale della città. Quella santa è ancora la grande speranza. L’escursione IN CIMA ALL’ETNA I respiri segreti della «muntagna» Il fascino di un’ascesa tra sbuffi di fuoco, fumarole e «fantasmi» di Roberta Scorranese Sopra il vulcano Presenza familiare e imponente, rumorosa e umorale. Scandisce i ritmi della zona, muta il suo paesaggio: ecco perché i siciliani amano questa vetta è qualcosa di profondamente irrazionale in questa collina che, poco alla volta, ha rinunciato al suo verde e si è lasciata rivestire di spessa lava nera rappresa; o negli sparuti greggi di pecore che hanno imparato a mangiare le spine dell’astragalo, fiore d’altura vulcanica; c’è qualcosa di irrazionale negli uomini e nelle donne che abitano le pendici, usi a convivere con «la voce» del vulcano, quel brontolio cupo e lontanissimo, simile al lamento di un vecchio parente da tempo recluso nella sua stanza. E non è razionale lo scheletro dell’albergo sommerso dalla furia lavica del 2002, lasciato lì sotto, con il tetto ancora integro che sbuca dalla terra nera; o il cimitero di rami morti, bianchissimi, adagiati sul fondovalle come geroglifici vegetali fossilizzati. Ma i resti di vita travolta che punteggiano qua e là la montagna dell’Etna non hanno l’aspetto severo dei moniti: sono piuttosto parte del paesaggio, l’estensione naturale di un ecosistema che muta al mutare del vulcano, che cresce con le sue vite, che si rinnova dopo ogni eruzione. «Lui sta là», dice semplicemente Ugo Esposito, una delle guide vulcanologiche più conosciute. «Lui» è «a’ muntagna», come qui chiamano l’Etna. Presenza familiare e imponente, rumorosa e umorale; forse più vicina ai suoi trascorsi mitologici che al suo presente reale. Mano a mano che ci si inerpica sul versante nord, infatti, la montagna si annera cupa e, all’alba, filtra bagliori rossastri. Sembra l’antro di Efesto, rumoroso per i colpi dei Ciclopi che, secondo Omero, dentro l’Etna forgiavano le saette di Giove. Ai fianchi della strada, distese immense di lava sedimentata, stratificata da anni, ricoperta di sabbia color antrace, residui di lapilli. Un mondo bruno che, all’improvviso, si illumina di decine di cuscini di fiori giallo vivo, come un mare nero punteggiato da tante ninfee di Monet. «Pensare che ad appena quin- C’ L’IDENTIKIT Morfologia L’Etna, il più alto vulcano attivo d’Europa, domina la provincia di Catania con i suoi 135 km di perimetro e i 3.340 m di altezza. È costituito dal Cratere centrale (Voragine e Bocca Nuova), dal cratere di Nord-Est (1911) e dal cratere di Sud-Est (’71) Storia L’Etna si è formato nel periodo Quaternario, 600 mila anni fa. L’eruzione più lunga a memoria storica è quella del luglio 1614: dieci anni. L’ultima attività molto intensa risale al 2002, quando il magma arrivò fino a molti paesi della fascia orientale della provincia catanese, come Zafferana Etnea e Santa Venerina Escursioni e sport Ci sono percorsi d’accesso sia da Nord-Est che da Sud. Importante la scelta della guida per gli itinerari più arditi sui crateri sommitali. Per chi fa trekking, sul sito guidetnanord.com ci sono dei consigli. Per piste e impianti sciistici si può consultare il sito etnasci.it o funiviaetna.com dici chilometri da qui c’è il mare — dice Esposito — e, a valle, il parco dell’Etna, con la sua roverella e i suoi larici». Ma «a’ muntagna» rimarca, passo dopo passo, la sua decisione di bastare a se stessa e ammette una vegetazione selezionata: la saponaria, per esempio, un delicatissimo fiore color lavanda stinta; o i licheni frondosi, che furono tra i primi ad avere l’ardire di colonizzare un suolo lavico. Si sale a piedi verso il Cratere di nord est, che supera i tremila metri d’altezza, seguendo il suono della pancia del vulcano, un rumore appena percettibile mentre fende l’aria e ricorda, a tratti, il lamento di Didon e abbandonata (che Virgilio fece vivere qui). Poi si cambia. Ad un certo punto il paesaggio nero lascia il posto a una distesa lunare, argentata. La sabbia lavica mista agli ossidi improvvisa uno scenario alla Georges Méliès, interrotto solo, a tratti, da «isole» floreali color miele. La piana delle Concazze si snoda in una serie di fosse che negli anni il vulcano ha disegnato seguendo chissà quale fantasia geologica. Così come si può attraversare la Bottoniera, una fila di venticinque crateri formatisi durante l’eruzione del 2002, quelli che hanno distrutto Piano Provenzana. Ma i catanesi stanno attenti alle parole e non amano che si parli di «distruzione» quando si fa riferimento all’attività del vulcano. Per loro, l’Etna sta semplicemente «parlando», sta modificando il paesaggio che poi riprenderà a vivere a suo tempo. L’eruzione è uno dei tanti cicli vitali. E, soprattutto, questa terra va condivisa con «lui», con «a’ muntagna». Ecco perché, proseguendo nella salita, non si distingue più ciò che è razionale e ciò che appare incredibile e ci si abitua anche a questa distesa di pietre grigio-rosa, sassi che i minerali della montagna si sono divertiti a dipingere con tonalità pastello. Vicini al cratere detto Bocca Nuova (del 1968) si possono incontrare le «bombe» vulcaniche, «gocce» di roccia ardente alle quali l’improvviso raffreddamento ha donato un leggero aspetto bombato, levigato. Pietre ovunque e di colori che avrebbero sedotto persino Empedocle, il filosofo che, si dice, sia morto cadendo nel cratere nel V secolo e qui, da questa altezza variegata, ci si crede. Si può credere a tutto mentre si lambisce il bordo del cratere con le sue fumarole (sospiri gassosi) e l’aria si fa solforosa. Si tossisce ma ci si sforza a tenere gli occhi aperti perché quello che si para davanti adesso è un pascolo marziano: una distesa verdastra con pietre rosa. È lo zolfo, concime per un terreno che sì, sarà pronto tra duecento anni, ma che importa? Il Cratere centrale si al- SEI LUOGHI DA SCOPRIRE MAZARA DEL VALLO MODICA PANTALICA Il Satiro beffardo che incanta il mondo intero Ecco il museo che celebra la civiltà contadina Itinerari in bici tra gli oliveti e antiche tombe I capelli agitati dal pathos della danza orgiastica; il corpo inarcato all’indietro, flesso sul fianco destro, scomposto dall’ebbrezza di una forza innaturale. È un incontro ravvicinato con l’estasi quello che promette la visita al «Satiro danzante» (nella foto), il capolavoro attribuito a Prassitele, lo scultore vissuto ad Atene tra il 375 e il 330 a.C., artista devoto a Dioniso, dio greco delle orge e del vino. Niente a che vedere con l’energia dei Bronzi di Riace, guerrieri in posa, statici testimoni della loro atletica presenza. O con la composta e imponente bellezza del Giovinetto di Mozia : la mitica statua bronzea conservata nel museo del Satiro Danzante di Mazara del Vallo (Chiesa di Sant’Egidio, piazza Plebiscito) ha orecchie diaboliche a punta, un foro destinato all’attacco di una coda equina e danza. Danza disubbidendo alle leggi della gravità, sforbiciando le gambe e liberandosi nell’aria a braccia spalancate, i capelli disordinati e divisi a ciocche, un’espressione inquietante e beffarda. Satirica, appunto. Ironico, il suo destino: dopo più di 2000 anni è riemerso dagli abissi del Mediterraneo ripescato dalle reti di un peschereccio. Oggi manda in estasi il mondo intero. È un viaggio nella memoria contadina quello all’interno del Museo delle arti e tradizioni popolari di Modica (nella foto). Visitarlo, significa capire che cos’è una masseria: non solo una casa rurale, ma il centro del lavoro agricolo e delle attività artigianali. Una casa di campagna, dunque, con un bagghiu (atrio), una carrittaria (per il ricovero dei carretti), a stadda (la stalla), a casa ri manira (la cucina rustica), a casa ri stari (l’ambiente da abitare) e a stanza ro travagghiu, per i lavori di tessitura. E poi le botteghe, quella dello scarparu (calzolaio), nel cui banco si trovano scarpine e scarponi, e del firraru-fer- raschecchi, il fabbro in grado di forgiare il ferro e di trasformarsi in maniscalco. Altre botteghe? Quelle del cannizzaru, il lavoratore della canna, abile tessitore di cesti e gerle, e del milàru, il mielaio apicoltore. Non può mancare, in questa straordinaria ricostruzione della vita contadina, il regno del durcieri, maestro nella preparazione della cioccolata modicana, che oggi si ritrova alla Casa Don Puglisi (fate un salto al laboratorio in Largo XI Febbraio, 15). E se amate impastare il pane in casa, tappa al Molino Giorgio Roccasalva (via Marchesa Tedeschi 119) per ceci e fava secca cottoia. C ome le celle di un alveare, Pantalica, l’antichissima Hybla, ha nel ventre 5000 tombe scavate nel tufo (nella foto) che si stagliano sul fiume Anapo delineando suggestivi scorci naturalistici. È uno dei luoghi più interessanti dei monti Iblei: una necropoli dell’età del bronzo e del ferro (cioè tra il XIII e l’VIII sec. a.C.) e il più grande complesso tombale della Sicilia. Sono rovine megalitiche, Patrimonio Unesco, con i ruderi dell’Anaktoron, il palazzo del Principe e le tracce delle capanne circolari dove abitavano i sudditi, esponenti di una cultura isolana capace di forgiare metalli e produrre al tornio raffinati vasi in argilla rossa (affidatevi alle guide dell’Ente Fauna Siciliana). Vi si arriva dal paesotto di Sortino, alle spalle di Siracusa. Il mare è vicino (le spiagge bianche e le acque cristalline di Vendicari sono un’oasi di pace) ma quella dei monti Iblei è una Sicilia diversa: terra sassosa, campagne rigate dai muretti a secco, oliveti e maestosi alberi di carrubo che guardano il Mediterraneo. E poi, all’improvviso, l’altopiano. Abbondano itinerari per la bici e lo scarpone. Il consiglio è di arrivarci dopo aver letto «Le pietre di Pantalica» di Vincenzo Consolo, struggente metafora del cammino dell’uomo. Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 35 Fitùsu Sta per puzzolente, lercio, sudicio, fetente. Fu la massima ingiuria tra gente per bene; si poteva anche pronunciare in casa senza tema di beccarsi uno schiaffone. Oggi fa ridere e si usa quando si vuole scimmiottare la parlata siciliana al cinema o alla tivvù. Ci giunge dal latino phoetora. E pensare che la Santa Chiesa disse dei Normanni che erano «phoetora et stercora mundi». Non a torto, giacché quei guerrieri violentavano, rubavano, uccidevano, davano alle fiamme città e villaggi. Poi, a Sicilia conquistata, finì per concedere loro la Apostolica Legatia, cioè il diritto di nomina dei vescovi nel loro regno. Eh, la politica sempre cosa fitusa fu... IL SUD-EST SICILIANO Così Siracusa sfida l’Europa Candidata con il Sud Est a Capitale della Cultura di Fausta Chiesa Manifesto Una barca utilizzata dai migranti, arenata sulle spiagge. È l’immagine scelta per Frontiere d’Oriente a valle. E, prima di arrivare al piazzale, si para davanti una foresta bianchissima di alberi morti, come fantasmi vegetali che sopravvivono alle bocche di fuoco. «Ecco — conclude Esposito — è il segno che il vulcano non distrugge, ma cambia il territorio. Noi cambiamo insieme a lui. Noi siamo a’ muntagna». na barca malandata, con scritte arabe sui fianchi, arenata su una spiaggia infinita e deserta che si confonde tra cielo e mare. Con questa immagine evocativa degli sbarchi, Siracusa e il Sud-Est della Sicilia hanno presentato al ministero dei Beni culturali italiano la candidatura a Capitale della Cultura Europea nel 2019. Assieme a Siracusa partecipano altri 18 Comuni che si trovano nelle Province di Ragusa, di Catania e di Enna. Il tema scelto è Frontiera d’Oriente. «Si tratta di un tema fortemente legato al territorio — spiega Alessio Lo Giudice, neoassessore alla Cultura del Comune di Siracusa — perché il Sud-Est siciliano coincide con le coste interessate dagli sbarchi e rappresenta per gli immigrati la frontiera dell’Europa. Il progetto vuole interpretare culturalmente questo concetto in senso positivo, guardando al presente ma anche al futuro. L’idea è quella provocare l’Europa per farle capire che cosa succede nei luoghi in cui si presenta agli altri». «La frontiera si fa capitale» è lo slogan scelto. Il margine, per una volta, diventa centro. Sono 17 le città italiane candidate, tra queste anche Palermo per cui si prefigura un derby siciliano. Il responso arriverà l’anno prossimo. Su quali progetti punta Siracusa per vincere? Il piano prevede un programma culturale di oltre 130 progetti, ideati anche grazie alle proposte di quanti hanno aderito alla campagna online del Comune di Siracusa «Partecipa con la tua idea». Alcuni progetti sono il consolidamento di alcune iniziative già esistenti, come il Festival del Cinema di Frontiera di Marzamemi, le rappresentazioni classiche dell’Istituto nazionale Dramma Antico e la Biennale della Ceramica di Caltagirone. «La novità — spiega Lo Giudice — è che ci mettiamo in rete e li rappresentiamo all’interno di un'offerta culturale unica, declinata su un singolo tema». Così come si farà rete per proporre ulteriori eventi e manifestazioni internazionali, come il Premio Europa per il Teatro che nel 2019 si svolgerà a Siracusa. E nella città di Archimede non poteva mancare un tributo al matematico che qui nacque e morì nel III sec. a.C.: una mostra sui testi archimedei ospiterà un codice di pergamena originale scritto nel X secolo a Costantinopoli. «Il piano d’azione si muove su due ambiti — spiega ancora Lo Giudice, che ha anche la delega per le Infrastrutture —. Oltre a quello culturale c’è anche quello infrastrutturale: ci saranno progetti per rendere fruibili e accessibili i beni culturali e gli eventi, dalla riqualificazione del porto di Siracusa al finanziamento dell’autostrada per il tratto che arriverà fino a Modica. «Anche Comiso aderisce all’iniziativa e quindi gli aeroporti che intervengono nella candidatura sono due, Catania e Comiso e non sono tante le candidate che possono mettere a disposizione due aeroporti», dice Lo Giudice. Settanta le personalità del mondo della cultura, dello spettacolo e della scienza che hanno voluto far parte del Comitato d’Onore. Fra questi diversi stranieri, tra cui Jonathan Mills direttore del Festival del Teatro di Edimburgo. © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA U Distese argentee si alternano a foreste bianchissime di «alberi morti» larga alla vista come una rumorosa promessa magmatica e vengono in mente le parole di Adriano nelle celebri Memorie tracciate da Marguerite Yourcenar «Stabilii di intraprendere l’ascensione di quella montagna; passammo dalla regione delle vigne a quella della lava, poi della neve». Neve. Quella che capita di incontrare sotto le distese di sabbia lavica, come delle bocche bianchissime che improvvisamente si aprono in uno scenario che mescola calore eterno e freddo perenne, silenzio e voci dal sottosuolo. Si corre giù per la discesa, verso l’Osservatorio Vulcanologico a Pizzi Deneri. Poi si svolta e si può arrivare ai crateri più recenti, come quello scavato nel 2002. Si costeggia il bordo e si ridiscende a cura di Carlotta Lombardo GINOSTRA MADONIE SANT’ANGELO MUXARO Niente strade Solo sentieri, silenzio e fondali Quelle vette che incantarono anche Goethe L’antica capitale Sicana ora brilla come il presepe A lle spalle, il respiro del gigante; dinanzi, il mare aperto, capriccioso, non di rado in tempesta. Tra acqua e fuoco Ginostra, sul versante sud-occidentale di Stromboli, si avvista avvicinandosi all’isola da Lipari. Una manciata di case aggrappate al fianco del vulcano e un porto, il Pertuso, piccolissimo (nella foto). La luce elettrica, in questa perla delle Eolie, è storia recente, come pure l’attracco per navi e aliscafi: per mettervi piede bisognava ricorrere al rollo, un traghetto a remi che faceva la spola dalle navi alla banchina. Anche oggi a Ginostra, l’«isola nell’iso- la», si arriva solo via mare: la Sciara del Fuoco impedisce qualsiasi avvicinamento via terra. Niente strade, ma scalinate e sentieri che portano alle case in stile eoliano, con vecchi forni a cupola, cisterne, palmeti e terrazzi. Non c’è molto da fare, né di giorno né di sera. Qui si viene per vedere il tramonto e per chiacchierare con gli abitanti (una cinquantina e qualche asino, unico mezzo di trasporto) cresciuti sotto una pioggia di lapilli, con il vulcano a ricordare che tutto può sparire in un attimo. E per godere del silenzio, immenso e straniante. Oltre Punta Lazzaro grotte, anfratti e fondali tra i più belli d’Italia. Q uando Goethe arrivò nelle Madonie notò le «rocce di calcare tufaceo» e il trifoglio rosso. Europa e Africa si ritrovano in questo territorio che si estende dalla valle del fiume Pòllina all’Imera settentrionale a testimoniare come la Sicilia non fu solo un crocevia di popoli ma anche della natura. Sono montagne di rara bellezza e di grande interesse botanico e geologico, tanto da meritare i vincoli di un parco naturale regionale: le Madonie, che ora s’alzano in pizzi acuminati, ora si distendono in verdi altipiani, il secondo massiccio montuoso siciliano dopo l’Etna. La punta di Pizzo Carbonara s’innalza fino a 1979 metri; attorno doline e inghiottitoi che hanno creato forme spettacolari tra cui la Grotta del Vecchiuzzo, a Petralia Sottana. Il paesaggio è vario, con piante rare (l’abete dei Nebrodi) e inaspettati tesori d’arte, come la cappella di Sant’Anna a Castelbuono, un tripudio di puttini di stucco. O il trittico di scuola fiamminga nella chiesa Madre di Polizzi Generosa (nella foto), una delle cittadine più belle (insieme a Geraci), con case e chiese distese su uno sperone proteso sulla valle del fiume Imera. Suggestivi i trekking con le guide del parco. P rima dei Greci, furono i Sicani a fornire alla Sicilia creatività e operosità. Il loro re fu il leggendario Kokalos; la capitale, una cittadella che oggi gli studi identificano con Sant’Angelo Muxaro (nella foto). Ma la leggenda dice anche che qui era Kamikos, la reggia del re che ospitò Dedalo fuggiasco da Creta e che qui fu assassinato il re Minosse, sepolto in queste campagne di mandorli, ulivi e pistacchi a macchiare, oggi come allora, le vaste terre dell’antica Sicania. Si respira aria di mito arrivando a Sant’Angelo Muxaro, piccolo comune di 1500 anime appollaiato su una rupe sco- scesa. Scendendo lungo la valle dei Platani a pochi chilometri dalla costa e lungo la strada che da Agrigento si spinge nell’entroterra il borgo appare all’improvviso. Il picco gessoso è disseminato di tombe sicane e grotte scavate sui fianchi della collina come solo a Micene se ne vedono. La più grande è la grotta di Sant’Angelo: una camera circolare con volta a cupola di nove metri di diametro, testimone di un’antica necropoli. Cenate lungo la via a base di muffoletti (panini rotondi) e ricotta di pecora che la storica Sagra del 6 gennaio celebra da 55 anni e aspettate la notte. Col buio, la rupe si illumina come un presepe. Codice cliente: 2748686 36 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Fricandò - fricassè Fu piatto classico, importante, della cucina dei Monsù. Quella dei Palazzi dove si parlava francese e spagnolo. È un brasato di vitello steccato di lardo e prosciutto con tante erbe e aromi: fricandeau da frire et casser, cioè friggere e spezzare. Il suo participio passato, fricassée, è riferito, invece, a carni bianche o di volatili, tagliate a piccoli pezzi (spezzatino) stufate con una squisita salsa di uova e succo di limone. Si faceva anche con il delicato capretto, talvolta con l’agnellino da latte. In Belgio con lo stesso nome s’intendono le uova al tegamino con pezzetti di lardo. Negli Stati Uniti è soltanto una salsa… Mah! La cultura IL PRESIDENTE E IL RILANCIO DEL TEATRO DI PROSA «Avanti, ma nel segno del passato» Milazzo: la gloriosa tradizione dello Stabile di Catania per raccontare le nuove realtà di Giuseppina Manin Il dovere dell’attualità «Oggi ogni frontiera è costantemente valicata Arroccarci dietro trincee identitarie sarebbe deleterio La nostra memoria deve vivere ma diventare stimolo per il presente e il futuro» «Q uesto è il teatro di Mario Giusti e di Turi Ferro. Il teatro di autori come Martoglio, Pirandello, Verga, Musco, Brancati... Un teatro modello, che esportava i suoi spettacoli nel mondo. Questo era lo Stabile di Catania». Nino Milazzo, intellettuale catanese capace di coniugare rigore morale ed eleganza di modi, ricorda con emozione alcune delle figure che hanno percorso quella fucina d’arte con storia gloriosa alle spalle e un avvenire incerto davanti. Per questo Milazzo, giornalista di lungo corso, già vicedirettore del «Corriere della Sera» e condirettore de «La Sicilia», ha accettato la nomina a presidente del Cda dell’Ente. «Per quella pulsione morale comunemente nota come spirito di servizio — dice —. Una grande responsabilità che intendo onorare con tutte le mie energie per cercare di ridare prestigio al nostro Stabile». Il suo progetto di rinnovamento punta da un lato a tener salda la grande tradizione siciliana e dall’altro a spalancarsi al mondo. «Viviamo in tempi in cui ogni frontiera è costantemente valicata. Arroccarci dietro assurde trincee identitarie sarebbe deleterio. La nostra memoria deve vivere ma diventare stimolo per il presente e il futuro». Un’idea su come concretizzare tutto ciò Milazzo ce l’ha già. «Penso a uno dei grandi misteri del 900 che proprio qui affonda le sue radici: la scomparsa di Ettore Majorana, geniale scienziato catanese, dissolto nel nulla alla vigilia della Seconda guerra mondiale. Una vicenda dai molti risvolti problematici già oggetto di un bellissimo libro di Sciascia. Mi piacerebbe una nuova rilettura per la scena, stimolo di riflessioni attualissime sul nucleare e le sue IL RICORDO Turi Ferro (1921-2001) è stato tra i maggiori protagonisti della scena teatrale italiana, tra i fondatori dello Stabile di Catania Vincenzo Cerami (1940-2013), è stato scrittore e autore teatrale. A lui lo Stabile di Catania dedicherà presto un omaggio In scena A sinistra, una foto tratta da «Erano tutti miei figli» prodotto dal Teatro Stabile di Catania (foto Antonio Parrinello). In alto, Nino Milazzo (1930), giornalista e attuale presidente del Teatro Stabile di Catania conseguenze. Si potrebbe coinvolgere anche l’università, organizzando in parallelo un seminario sul tema». Perché il teatro si intreccia sempre con la vita. «La crisi colpisce ovunque e in Italia colpisce in primis la cultura», avverte amaro ricordando i continui tagli ai contributi allo Stabile. Il recente, pur se lodevole, finanziamento straordinario di 200 mila euro deciso dal presidente della Regione Crocetta certo non basta. «I sacrifici sono e saranno inevitabili, dovremo ridurre il numero delle produzioni ma mai la qualità. Il teatro fa parte del nostro patrimonio culturale, risorsa prima di un nuovo sviluppo economico legato al turi- smo». In ogni caso, tra gli obiettivi c’è il risanamento finanziario del teatro e l’obbligo alla parità di bilancio da inserire nello statuto. Che Milazzo intende rinnovare anche in un altro punto. «Sull’esempio del Piccolo di Milano, penso sarebbe giusto separare le responsabilità amministrative da quelle artistiche». Due ruoli finora convogliati su una sola persona, l’attuale direttore Giuseppe Dipasquale. Infine i rapporti con l’altro Ente cittadino, il Teatro Massimo «Vincenzo Bellini». «La crisi non risparmia nessuno, quindi sarebbero utili sinergie per entrambi i teatri. Le convergenze virtuo se possono essere molte e magari consentirebbero di pensare a nuovi progetti comuni. Per esempio, un evento che faccia capo al simbolo primo di Catania, l’Etna. Un parco naturale che comprende 40 comuni. Da coinvolgere in un festival capace di intrecciare drammaturgia e musica. Con le migliori risorse culturali della Sicilia, in testa Franco Battiato e Manlio Sgalambro. Tutti a confrontarsi con l’Etna e il suo mito, da Omero alla Fata Morgana». Tra tante idee, una già fissata a tempi ravvicinati: «Un omaggio a Vincenzo Cerami che a dicembre vedrà sul nostro teatro a rendere omaggio alla sua memoria il compositore Nicola Piovani. E forse, chissà… Roberto Benigni». © RIPRODUZIONE RISERVATA I NUOVI PROTAGONISTI DI UN’ARTE ANCORA VIVA Noi, «cuntastorie» nell’era di Facebook comunichiamo tutto, dai baci al calcio Pugliares: «Sogno di fare l’Odissea in siciliano, la lingua che mi dà forza» di Livia Grossi ieni che ora te cunto un cunto... Fino a una quarantina di anni fa le mie sere le passavo così, con i nonni che riunivano la famiglia e raccontavano. E ogni volta la magia si ripeteva, sul marciapiede davanti a casa, quelle sedie in cerchio diventavano le poltrone di un teatro dove le storie, vere o inventate, si trasformavano in realtà». Domenico Pugliares, 46 anni, cuntastorie di Augusta (Catania), il cunto ce l’ha nel sangue. «V Una tradizione antica dall’origine incerta (tra il 700-l’800) nata dalla necessità di raccontare tutto ciò che bisognava sapere, una sorta di giornale detto a voce che tra parole e respiri dal ritmo sincopato, narrava con ritmo incalzante epiche battaglie cavalleresche, fatte di principesse, draghi e spade, ma anche pagine di Storia, dall’Unità d’Italia alle imprese del bandito Giuliano. Un’importante eredità narrativa che il grande puparo Mimmo Cuticchio dalle Palcoscenici trasversali In alto,a destra Domenico Pugliares in «Uora ve lo cunto, ovvero il re Topo fa alla guerra»; sopra, Davide Enia (foto Gianluca Moro) e a sinistra Tindaro Granata, il più giovane (classe 1978) che, con lo spettacolo «Antropolaroid» ha vinto il Premio della Critica 2011 strade ha portato in teatro. Dopo di lui Gaetano Lo Monaco Celano, Salvo Piparo, Vincenzo Pirrotta, Enzo Mancuso, ed ora una nuova generazione di attori, pronti a raccontare il nostro tempo. Altri cunti, altre storie. «Il calcio, questa è l’epica di oggi, dai Pupi al pallone», dichiara Davide Enia (39 enne di Palermo), autore e interprete del vorticoso «Italia-Brasile 3 a 2», in cui i calciatori della gloriosa partita del 1982 diventano moderni paladini. Ogni scena un respiro, fino all’apice dell’azione, il corpo detta il ritmo. «Il cunto è la traduzione fisica di un’emozione, di un pensiero» sottolinea Enia, «con questa tecnica si può raccontare di tutto, dal primo bacio, alla ricetta della caponata». L’attore pluripremiato per le sue pièce («Maggio 43» e «Scanna»), si sta rivelando un talento anche sul fronte letterario; il suo primo romanzo «Così in Terra» (2012, ed. Dalai) — finalista al Premio Strega e Premio Selezione Bancarella — è stato venduto in 18 Paesi ancor prima della sua uscita in Italia. Racconti spezzati dal ritmo musicale, cadenze inventate, ma anche scioglilingua, filastrocche e ricordi della propria infanzia. Se Domenico Pugliares è partito da qui per il suo primo monologo «Uora ve lo cunto, ovvero il re Topo fa alla guerra», metafora sulla stupidità dell’uomo raccontata da una tribù di ani- mali domestici (coautore Renato Sarti), nel suo secondo cunto è la realtà a diventare protagonista. «6% Cca na vota era tutta campagna», l’autore pone al centro della vicenda, la questione ambiente e salute. «Il petrolchimico siracusano ha causato la nascita di bambini con difetti congeniti allarmanti, nel 2000 erano il 5,6%». Un attore apprezzato (a gennaio debutta al Piccolo Teatro di Milano con «Il Pantano» regia di Renato Sarti), che ama la sua terra. «Il mio sogno è fare l’Odissea in siciliano, la lingua che mi dà la forza di improvvisare inventando ogni volta nuove storie». A chiudere il trittico degli inno- Dall’epica del pallone di Enia alla corruzione raccontata dal giovane Tindaro Granata vatori del cunto, Tindaro Granata, il più giovane (classe 1978); uno straordinario autodidatta che dopo il successo di «Antropolaroid», («Premio della Critica» 2011) dove, solo in scena e in dialetto, dava vita a tutti personaggi della sua famiglia, torna ora sul palco con un nuovo spettacolo. Un altro cunto, un’altra storia, «Invidiatemi come io ho invidiato voi». «Questa volta parto da un fatto di cronaca, un atto di pedofilia», spiega l’autore, «qui, la bimba vittima della violenza diventa il simbolo del nostro Paese stuprato dalla disonestà». Un nuovo lavoro, altre modalità. «È un cunto a più voci, in italiano, con cinque personaggi che parlano contemporaneamente, mescolando accenti diversi». Nuove frontiere del cunto dunque, ma nell’era di Internet questa antica tecnica che futuro può avere? «Facebook arriva in tutto il mondo, il cunto a poche persone, ma la sua qualità di comunicazione è centomila volte più potente. Andrò dai Maestri a raffinare la tecnica». © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 37 Fuitina Istituzione matrimoniale tipicamente isolana. È spesso ratto di minorenne non consenziente. Ma erano consenzienti i genitori e tanto bastava: si evitavano le spese matrimoniali dall’abito al trattenimento. I due giovani andavano presso parenti per 48 ore: tempo per far pensare al «disonore». Poi c’era il matrimonio riparatore per la gioia di tutti. Il diminutivo fa parte della buona usanza siciliana a minimizzare le cose: una strage fu sempre un’ammazzatina, una tagliata di faccia con sfregio permanente una firitina, una grandiosa festa un Fistinu. Ricordate «Matrimonio all’italiana» di Pietro Germi? È un piccolo capolavoro di antropologia. IL POLO CULTURALE VOLUTO DA FONDAZIONE SICILIA Branciforte rinato (nel segno di Gae) La bellezza offerta a tutti «L’arte non è un santo che sta sull’altare Se è invisibile oppure se è inavvicinabile non serve. Adesso qui l’assunto è: la bellezza viene offerta a tutti» Lo storico palazzo restaurato da Aulenti di Roberto Puglisi è un aneddoto che rappresenta bene la leggenda di Palazzo Branciforte, antica dimora palermitana disseppellita dalle macerie e restituita alla città, grazie a un’opera di mecenatismo che ha coinvolto la compianta Gae Aulenti. La storiella si sussurra tra le ali dell’edificio, riadattato come museo e centro di scambi culturali: al termine dell’esibizione nell’auditorium, alcuni musicisti «autoctoni» commentarono così: «Che meraviglia, che pulizia, che grazia. Sembra quasi di stare a Helsinki o a New York». Parabola dal doppiofondo evidente. Si racconta lo stupore di chi ha visto fiorire l’armonia come un inatteso prodigio, nella capitale della mancanza di lavoro, dell’abbondanza di pattume. Si tratteggia, al tempo stesso, una natura incline alla rassegnazione, l’incanto di chi scopre che un miracolo si è appena manifestato a due passi. «È così — spiega Gianni Puglisi, presidente della Fondazione Sicilia, artefice del restauro del luogo —. Noi palermitani siamo abituati alle cartoline del disastro. E quando ci capita C’ una cosa buona tra i piedi, rimaniamo sorpresi». Cos’è dunque Palazzo Branciforte? La trama è inscritta nell’almanacco delle buone novelle siciliane. Questo palazzone nobiliare cinquecentesco regge la testimonianza di un legame indissolubile tra Gae Aulenti e i segmenti sopravvissuti di una decadenza rimessa a nuovo. Fu Gae (chiamata dalla Fondazione Sicilia e da Puglisi) a restaurare Palazzo Branciforte. Un intervento di cucito più che di taglio, capace di rispettare Contaminazioni A destra, una parte della collezione di palazzo Branciforte con le figure della tradizione siciliana; sotto, una statuetta della collezione e, in basso, preziose anfore la memoria e di consegnare la struttura all’inaugurazione, il 23 maggio del 2012, alla presenza di Giorgio Napolitano. Da allora qui è nata una vivace attività di mostre, visite e percorsi. Ci sono tesori: collezioni archeologiche, maioliche, collezioni filateliche e numismatiche, sculture, biblioteca che preserva circa cinquantamila volumi. In chiave simbolica è una sinergia riuscita. Anche nella Sicilia delle decalcomanie in nero, paradigma dell’immobilismo, gli eventi possono mutare il loro corso? «L’arte non è un santo che sta sull’altare — commenta Gianni Puglisi — Se è invisibile o inavvicinabile non serve. Lo spirito che ci ha spinto alla missione per Palazzo Branciforte segue l'assunto. La bellezza viene offerta a tutti». E tutti come l’hanno accolta? Ennesimo sospiro. «Nel corso del primo anno — puntualizza Puglisi — abbiamo registra- to un buon numero di visitatori, 20 mila circa. Poi, le medie sono scese. Forse, qui, ma non solo qui, piace ciò che è gratis. La nostra idea è ambiziosa. Costruire un’identità contaminata tra innovazione e prospettiva storica». La mano di Aulenti ha aggiunto e sistemato, senza smembrare, con delicatezza e precisione. Palazzo Branciforte ha un cuore di legno: il residuo del Monte dei Pegni di Santa Rosalia che per una lunghissima stagione ebbe sede nella dimora. Passeggiando nel labirinto tra gli scaffali, i palchetti, i ballatoi, ci si lascia suggestionare dalle biografie probabili delle anime che si susseguirono in processione per lasciare un oggetto familiare. Palazzo Branciforte: una macchina del tempo, agghindata di tecnologia, nascosta nel ventre di una città dall’attenzione intermittente. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL FESTIVAL DI SAN VITO LO CAPO I RESTAURATORI DELLA VAL DI NOTO Il cous-cous cibo che unisce Pietra su pietra riaffiora il bello di Luca Bergamin di Ivana Zambianchi zie usate - è sortito così un senso di fratellanza e di accoglienza che soltanto qualche chilometro di terra o miglia di acqua più avanti pare una chimera. Forse perché impastato da tante mani contemporaneamente, accompagnato dai canti delle donne che mentre sminuzzano e appallottolano la pasta indossano gli abiti tradizionali durante la lunga fase di preparazione, anche solo cucinarlo il seksu diventa un momento di scambio. Il suo significato di piatto dell’unione e dell’apertura è rafforzato in questa edizione dalla partecipazione alla competizione per la prima volta in assoluto degli Stati Uniti d'America rappresentati dallo chef di Washington, Maziar Farivar, scelto anche da Hillary Clinton per l’AmeriRicetta del Mediterraneo Una fase della can Chef Corps, il lavorazione durante il Cous-cous Festival gruppo di cuochi geria, la Tunisia, arrivando per- che viaggia per il mondo utilizsino in Mauritania, Siria e addi- zando il cibo come mezzo di dirittura in Malì. Per sbarcare an- plomazia tra popoli diversi. Fariche in Sicilia, precisamente a var «sfiderà» Costa d’Avorio, Francia, Israele, Marocco, SeneSan Vito Lo Capo. E proprio qui, in questo borgo gal, Tunisia e Italia, rappresendella Sicilia occidentale, il cous tata dalla sanvitese Antonella cous è diventato il collante tra Pace. A giudicare il cous cous civiltà diverse ma unite appun- più buono e scenografico saranto dal flusso di genti, lingue, tra- no la giuria popolare e quella dizioni, religioni, culture e ga- tecnica presieduta dal giornalistronomie che usava il Mediter- sta del Corriere della Sera, Roraneo come «strada» per spo- berto Perrone. Molto attesi anstarsi e incontrarsi. Nel nome che i concerti di Francesco De del gusto - il palato viene esalta- Grogeri il 24 settembre e di Max to dalla genuinità dei sapori, e Gazzè il giorno successivo. stuzzicato dall’intrigo delle spe© RIPRODUZIONE RISERVATA estaurare un edificio e architetti conservatori. «Il nonon significa solo "ri- me è un omaggio alla pietra calpararlo": significa ri- carea, il materiale con cui sono spettare quei valori e quei vin- stati costruiti gran parte dei mocoli che il passato ci ha conse- numenti, ma esprime anche gnato. È, prima di tutto, un’ope- l’obiettivo per cui è nata, cioè razione culturale e richiede co- valorizzare e promuovere in prinoscenza e sensibilità, oltre a mo luogo quegli antichi mestieri in via di estinzione che ruotauna grande abilità manuale». Artigiano restauratore a Noto, no attorno all’edilizia». Primo gioiello barocco in provincia di fra tutti, quello dell’intagliatore lapideo. A quest’arte l’AssociaSiracusa, Giovanni Masuzzo, 42 anni, da 17 si dedica al recu- zione dedica ogni anno un Simposio: una gara di maestria, nelpero del patrimonio monumentale della città e della sua Valle. la quale i migliori artigiani danÈ grazie al suo intervento che chiese, conventi e palazzi nobiliari che nel 2002 l’Unesco ha messo sotto tutela, hanno ritrovato la bellezza delle origini. «Molti degli scempi cui assistiamo quando si tratta di recuperi architettonici e artistici di- A lavoro Una specialista dello scalpello pendono dalla ca- all’opera sulla pietra renza di professionalità adeguate. Mancano mae- no sfoggio alla loro abilità misustri artigiani che sappiano pa- randosi con forme della tradidroneggiare le tecniche del pas- zione: dai capitelli in stile tardosato. Come la scialbatura, per barocco disegnati oltre 300 anesempio, una particolare finitu- ni fa da Rosario Gagliardi, l’arra che da queste parti è stata uti- chitetto protagonista della ricolizzata fino all’inizio del Nove- struzione settecentesca di Nocento, e conferiva ai muri degli to, alle metope, realizzate duedifici una velatura dorata, olrante il Simposio del 2012 e che tre a preservarli dall’acqua». Masuzzo, che è stato fra gli arte- arriveranno a Tokyo, dove verfici della rinascita della Catte- ranno esposte all’Istituto italiadrale semidistrutta dal crollo no di cultura. «Facciamo sensidel marzo 1996, ha dato vita bilizzazione nelle scuole, dalle nel 2011 all’Associazione Bian- elementari agli istituti superioco Pietra, nella quale ha riunito ri, con corsi sperimentali». tecnici specializzati in restauro © RIPRODUZIONE RISERVATA la festa di un piatto «clandestino» questo Cous Cous Fest che, giunto alla sua sedicesima edizione, dal 24 al 29 settembre celebra appunto il seksu, come lo chiamano le popolazioni berbere del Maghreb, costituito da granelli di semola di grano duro serviti con verdure cotte al vapore, legumi, pesce o carne. Un piatto senza frontiere come il Mediterraneo, sul quale, portato dai pescatori, ha navigato tra l’Andalusia Musulmana, il Marocco, l’Al- È «R 38 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Giustizia Parola cancellata dal dizionario di un vecchio saggio agrigentino. Perché non esiste, disse. «Fari giustizia a manico di mola» sta per amministrare giustizia in maniera grossolana e sbrigativa, anche perché si ricorda che coloro che hanno amici e denari non debbono avere timore dei suoi rigori! Si insiste sul concetto antico che «la legge è uguale per tutti, ma cu havi dinari si nni futti»; e non è forse vero che «la furca è fatta pri lu poviru»? Quanti sono i ricchi e potenti spediti in galera? Da sempre chi cerca di sfuggire alla legge è «prusicùtu di giustizia», perseguitato. La lezione pare sia stata ripresa anche dai nati in continente. I riti A PALERMO Canti e balli, risorge la Festa dei morti L’antica ricorrenza Dal 31 ottobre al 3 novembre ai Cantieri Culturali della Zisa la «Notte di Zucchero», protagonisti, attori musicisti e intellettuali L’antropologo: «Rito pagano di valore culturale» di Livia Grossi na grande festa popolare con canti, balli e concerti in piazza, ma anche spettacoli teatrali, mostre fotografiche, percorsi sensoriali e chilometri di bancarelle piene di dolci, giocattoli e gioia, per ricordare i nostri cari che non ci sono più. L’attrice Giusi Cataldo, (l’amatissima Matilda nella soap «Centrovetrine») è entusiasta. Il suo sogno di ridare vita alla Festa dei Defunti, si è realizzato. Per quattro giorni dal 31 ottobre al 3 novembre i Cantieri Culturali della Zisa di Palermo diventano il quartier generale della «Notte di Zucchero, una festa di morti, pupi e grattugie». «Da tempo desideravo che la città si riappropriasse di una delle tradizioni più antiche e radicate della nostra storia», dice subito l’attrice che, con Geraldina Piazza, ha fondato per l’occasione un’associazione culturale. «La Festa dei Morti messicana è patrimonio dell’Unesco», ricordano le organizzatrici, «e noi, che l’abbiamo sempre considerata la nostra ricorrenza principale, ancora più importante del Natale, ce la dobbiamo far divorare da Halloween?». «U Due donne determinate, dall’entusiasmo contagioso, che in breve tempo hanno messo in pista una grande festa dal programma davvero serrato. Il primo giorno è dedicato ai bambini e ai Pupi, l’anima dei morti; tra corsi di teatro, trucco e costume, lezioni di disegno e pittura, anche un attesissimo laboratorio di pasticceria; «i più piccoli impareranno a costruire le tradizionali ossa dei morti, nonché la Grande Pupa di Zucchero, per l’occasione abbiamo chiamato i migliori pasticceri della città. Abbiamo intenzione di partecipare al Guiness dei primati». Il secondo giorno, la notte diventa degli attori, moltissimi gli artisti e intellettuali qui L’attrice Giusi Cataldo anima di una kermesse per rivitalizzare una tradizione tipicamente siciliana Protagoniste Le pupe di zucchero (Parrinello) e sotto l’attrice Giusi Cataldo chiamati a leggere e interpretare brani ad hoc; tra gli altri il regista Roberto Andò, l’autrice Cetta Brancato e i cuntisti Giovanni Lo Monaco, Salvo Piparo, Costanza Licata, sul fronte giornalistico Giuseppe Di Piazza e Gianni Riotta. Sul palco testi e letture in loop per una serata dove tra musica popolare, rock e jazz ci sarà posto anche per «La festa dei morti in Iran», raccontata da Jussif Latif Jarallah. E se il 2, il giorno dei Morti, la Grande Pupa di zucchero, come da tradizione, verrà fatta a pezzi e mangiata da adulti e bambini, è interessante ricordare cosa significa tutto ciò per chi avesse perso la memoria. «Come tutte le feste religiose pagane, anche la Festa dei Morti, ha significati ambigui», dichiara l’antropologo Antonino Buttitta, «da una parte è una festa in cui s’invitano le anime dei morti (i Pupi), a cena, dall’altra sono gli stessi morti che vengono a cenare con i vivi». Importante anche il suo valore artistico. «I Pupi sono i cavalieri, un ponte tra il mondo epico e l’aldilà». Per chiudere una curiosità: «Il 2 novembre da noi è il giorno delle grattugie» spiegano le organizzatrici, «la sera prima è tradizione nasconderle perché si pensa che i defunti vengano a grattare i piedi a chi si è comportato male». E se «ricordare il passato significa rifondare il futuro», come sottolinea Buttitta, citando un detto africano, è importante che questa festa diventi l’occasione per un gesto di solidarietà. Giusi Cataldo: «Tradizionalmente il 2 novembre i bimbi ricevono in dono dolci e giocattoli (armi per i maschi e bambole per le femmine), oggi vorremmo che ogni bambino portasse un regalo a un altro meno fortunato». © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 39 Jòppolo Giancaxio Si pronuncia Ioppolo Giancascio. Perché la X in siciliano sta per «sci». Questo piccolo centro a due passi da Agrigento fu fondato nel 1696 dal nobile Calogero Colonna che lo chiamò Jòppolo dal cognome di sua moglie Rosalia. Il resto venne dal fatto che il terreno in cui sorse era appartenuto a tale Giovanni Caxio. Si pose il problema di come chiamare i suoi abitanti. E mediando giudiziosamente si optò per Joppolesi. Che sono un migliaio circa, dipendendo dall’emigrazione. O dalle malannate, come si dice. Infatti vivono di povera agricoltura fatta di campi di grano e fave, dominati dalla mole del settecentesco castello e dalla chiesa Madre. La musica LA «RIVOLUZIONE» MUSICALE Sicilia, l’isola che va a tutto jazz Una nuova passione tra pubblico e musicisti. E arrivano gli artisti internazionali di Stefano Landi Quelle note di provincia In provincia di Ragusa vivono per suonare i gemelli Cutello. E a Palermo c’è l’unica fondazione jazzistica d’Europa, «The Brass Group» che, nonostante la penuria di fondi, quest’anno ha aumentato gli iscritti del 70 per cento l rinascimento del jazz che fa della Sicilia la New Orleans d’Italia. Un’isola (musicalmente) felice, dove crescono talenti come funghi, il jazz si suona per strada da Catania a Gela o sugli infiniti palchi dei sempre più numerosi festival che nascono in luoghi piccoli ma bellissimi. Festival che calamitano talenti che cercano di guadagnarsi un futuro nel mondo. Dove a Palermo c’è l’unica fondazione jazzistica d’Europa, «The Brass Group» che, nonostante la penuria di fondi, quest’anno ha aumentato gli iscritti del 70 %. Una rivoluzione gridata dal sax totale di Francesco Cafiso, il ragazzino che con il suo contralto stregò Wynston Marsalis a 13 anni e oggi è l’ambasciatore italiano del jazz. «Si diventa migliori solo incrociando la propria musica con quella di altri artisti, giocando, divertendosi nascono le cose migliori» racconta lui, oggi novello compositore con un triplice disco ispirato alla sua Sicilia che uscirà a fine anno. Cafiso, a 24 anni, è anche direttore artistico di due dei festival che d’estate fanno suonare la Sicilia. A Vittoria, dove vive nonostante la musica lo porti sempre più lontano, ha messo in piedi un evento di un mese. «Come altrove siamo partiti da zero, oggi i manager di grandi artisti stranieri ci chiedono di partecipare» racconta. Piazza nel centro storico, didattica e seminari la mattina, concerti di sera, jam session di notte. Il Vittoria Jazz Festival è parte di un network di eventi dove il talento medio fa paura: «Il jazz è una democrazia perfetta, ti costringe ad ascoltare tutti: arrivano ragazzi con il loro strumento in valigia, il palco non si nega a nessuno e anche gli artisti più importanti non si tirano indietro quando c’è da fare un pezzo insieme» spiega. Molti ragazzi sono attratti anche dalla politica dei concorsi che i festival organizzano. In palio oltre a premi in denaro, ci si guadagna rispetto e visibilità per suonare altrove. L’ultimo nato è il «Marsala Wine Jazz». A cavallo tra luglio e agosto si prende il centro di Siracusa «Ortigia Jazz» con un itinerario tra eventi musicali che culmina coi concerti al tramonto alla fontana Aretusa. Da una ventina d’anni è un’istituzione anche «Canicattini Bagni». Basta una strada: il palco, il jazz club, la gente. Rino Cirinnà, 49 anni, una vita da sassofonista culminata a Berkeley alla corte di Tony Bennet, oggi promuove artisti nel tacco della Sicilia. «L’onda jazz è nel nostro dna: anche nel mondo del pop, penso I a Battiato o Carmen Consoli, gli artisti sono splendidamente contorti, hanno una prospettiva diversa, una curiosità introspettiva — spiega —. Creando un network di eventi riusciamo ad abbattere i costi e sostenere un movimento di talenti» dice Cirinnà. L’Italia (del jazz) non è un paese per vec- Cirinnà: «L’onda jazz è nel nostro dna; si ritrova anche in Franco Battiato e in Carmen Consoli» chi. Sull’onda del successo di Cafiso, dalla nicchia in cui per scelta (o colpa) dei mass media ce l’avevano cacciato, escono artisti giovanissimi capaci di stregare il pubblico con poche note. In provincia di Ragusa vivono per suonare i gemelli Cutello che già da due anni, con tromba e sax, hanno «colpito» gli addetti ai lavori. Seri, umili, una dedizione totale al jazz. Non esistono pc o playstation. Timidi, quasi non parlano: suonano. Prima di rispondere alle domande si consultano tra di loro. Poi c’è il sax contralto di Francesco Patti, 18 anni, palermitano, autodidatta totale. Un orecchio da fuoriclasse e la facilità educata di affiancare i mostri sacri. Giuseppe Cucchiara, 18 anni, figlio d’arte di Enna, è arrivato al contrabbasso dopo essere pas- Virtuosismi Da sinistra, in senso orario: gli Ottoni animati, famosi per scendere dal palco e suonare ballando fra la gente; We Kids Trio, con Giuseppe Cucchiara (contrabbasso), Francesco Patti (sax), Stefano Bagnoli (batteria) Francesco Cafiso, 24 anni (foto Arturo Safina) sato da sax e pianoforte. «Mi piace la responsabilità ritmica che devo prendermi: a gennaio andrò a studiare a Boston, ma conto di tornare qui, i legami e i rapporti che si creano nella mia terra sono unici per crescere» racconta. Un’esplosione generazionale aperta dal talento di altri musicisti, che passati i 30 anni sembrano veterani. La tromba lirica del catanese Dino Rubino, il contrabbasso di Marco Panascia, 36 anni, detto «il motore», la chitarra di Francesco Buzzurro, 40 anni di Agrigento, definito da Morricone tra i migliori al mondo. Poi ci sono band che hanno deciso di viaggiare insieme: Urban Fabula, Tinto Brass o gli Ottoni Animati, che piacerebbero a Bregovic per l’abitudine a scendere dal palco per suonare mescolandosi alla gente. «I contrasti di questa terra sono la chiave di questa continua rinascita: l’orecchio musicale della gente è predisposto» racconta Alfredo Lo Faro, che con la sua etichetta «Music Made in Sicily» scopre, segue e produce artisti siciliani. «Voglio creare un ponte per aiutare i musicisti a misurarsi con l’estero senza dover lasciare la loro terra». Andare a un concerto jazz in Sicilia oggi è diventato un evento importante. La gente si prepara, si veste bene, come dicono da queste parti, si «azziza». Un ritorno al futuro con radici antichissime. La tradizione bandistica, il primo momento per i giovanissimi per misurarsi con certi strumenti. In Sicilia ci sono 398 comuni e 1177 bande censite. Sarà pure l’ennesimo contrasto ma da queste parti ha un suono bellissimo. © RIPRODUZIONE RISERVATA IL SUCCESSO DELLA NUOVA «SCUOLA SICILIANA» I cantautori «volano». Ma per restare Nei testi l’Etna e Vendicari: «Non andremo al Nord. Scommettiamo su di noi» di Raffaella Oliva rrivano dalla Sicilia, sono nati negli anni 80, hanno da poco esordito sul mercato discografico, scrivono canzoni dal gusto pop, in italiano, non in dialetto, ricche di riferimenti alla loro terra. Antonio Di Martino, Colapesce, Nicolò Carnesi, Oratio: eccoli i quattro assi di quella che gli addetti ai lavori hanno iniziato a definire «la nuova scuola cantautorale siciliana». L’espressione richiama alla mente la scuola genovese di De André, la milanese di Gaber e Jannacci o, pensando a tempi più recenti, la romana di Daniele Silvestri e Niccolò Fabi. La domanda è: rappresentano davvero una «scuola»? Tra i diretti interessati il termine suscita perplessità. «C’è fermento, ma non ufficializzerei nulla, tutto è nato in modo spontaneo», afferma il palermitano Di A Maestro e allievi Cesare Basile, classe 1964, capofila della rinascita della musica siciliana (foto C.L.Vasquez) Nella foto grande, il siracusano Colapesce alias Lorenzo Urciullo, 30 anni, Targa Tenco 2012. Nel riquadro, Antonio Di Martino. Martino, 31 anni. «Parlare di scuola è ghettizzante e precoce: magari tra un decennio… », ribatte il siracusano Colapesce alias Lorenzo Urciullo, 30 anni. Eppure si ammette una comunanza d’intenti, stili, sguardi. «Siamo tutti della provincia», osserva Di Martino. «Io e Carnesi di Misilmeri e Villafrati, fuori Palermo: ci conosciamo fin da bambini. Ma anche Oratio e Colapesce sono cresciuti in paesini di poche anime e questo può aver creato una poetica comune. Nei nostri testi ricorre una visione dell’universo come qualcosa che sovrasta: vivere in un’isola ti fa sentire piccolo». Non meno importante è l’attaccamento alle radici: se Oratio ha scritto «Etna gigante», Colapesce nel primo album «Un meraviglioso declino», Targa Tenco nel 2012, canta di vulcani e riserve naturali (quella di Vendicari ha ispirato la sua «Satellite»). «Il nostro immaginario è legato alla terra, ascoltandoci si potrebbe fare una mappatura della Sicilia», fa notare il songwriter di Solarino. Insomma, scuola o no, un fil rouge esiste. E la premessa è la volontà di non emigrare nel Nord regno della discografia. «Andarsene - sostiene Colapesce - significherebbe darla vinta ai soliti quattro politicanti che della cultura se ne fregano». Lo sa bene Cesare Basile, classe 1964, un po’ il padre di questa rinascita del cantautorato siciliano. Tornato nella sua Catania dopo anni vissuti a Milano, il cantautore è tra i fautori de L’Arsenale: «Una federazione di musicisti, attori, registi fondata su un'idea: in Sicilia si può restare solo unendo le forze». L’esperienza al momento è in stand-by, ma ha portato, spiega Basile, «all'occupa- zione di tre teatri, il Garibaldi a Palermo, il Coppola a Catania, il Pinelli a Messina: luoghi di conflitto sociale che promuovendo concerti e spettacoli mettono indirettamente sotto processo le istituzioni che non investono in cultura e hanno convinto ragazzi come Carnesi e altri a non scappare». Non è un caso che sia proprio in quegli spazi dove è in atto «una piccola rivoluzione", come la chiama Di Martino, che tra un paio di settimane Co- lapesce chiuderà il suo tour. Se esiste una nuova scuola cantautorale siciliana? Forse la risposta più corretta è quella di Basile: «Non saprei, di sicuro esiste una nuova generazione di artisti che non si fa intimidire dal fatto di vivere ai margini dell’impero, che anziché fuggire reagisce, che nonostante le difficoltà ha voglia di scommettere su una cosa: la propria arte». © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 40 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 41 Juncu È il giunco che ricorda il motto «mi spezzo, ma non mi piego». Ai nostri nonni dovette apparire assolutamente stupido perché metteva in pericolo la vita stessa dell’individuo. E così ne coniarono un altro più adatto alle nostre necessità di sopravvivenza: «càlati juncu ca passa la china», perché è meglio abbassarsi quando passa la piena del fiume piuttosto che farsi trascinare o spezzare. È definito «salvamento di vita». Forse perché fare l’eroe da queste parti rende veramente poco. Nella simbologia cristiana il giunco rappresenta passione e morte di Cristo. Noi che di spirito greco siamo, preferiamo vederlo come simbolo di Platone: armonia e musica. La creatività LA FABBRICA DI BICICLETTE NEI PRESSI DI TRAPANI Con i Lombardo a «ciclo» continuo Crescita esponenziale Nell’84 le prime biciclette per bambini, poi quelle da passeggio, da donna, quelle elaborate col cambio, un tempo la produzione era di 100 al giorno oggi è di 500 «In Italia siamo tra le prime dieci aziende» di Stefano Landi ell’estate del ’52 in Sicilia il traffico era diverso da oggi. La famiglia Lombardo lavorava duramente in bottega, martellando ferri di cavallo. Nelle ore libere Gaspare, l’allora giovane di casa, appena poteva riparava le (poche) biciclette che passavano da quelle parti. Freni a bacchetta, cerchi larghi. Su due ruote ci si caricava la merce. «Ricordo le foto in bianco e nero di mio padre che portava la mamma in canna sulla bicicletta» racconta Emilio Lombardo, 35 anni, il più giovane dei tre fratelli che oggi portano avanti l’azienda lanciata da papà nei primi Anni 50. «Ha iniziato per gioco, oggi siamo tra le prime dieci aziende italiane nel settore del ciclo, la prima da Bologna in giù». Agli inizi si facevano 100 bici l’anno, oggi 500 al giorno. Quando il signor Gaspare ha messo le mani sulla prima bici, il lavoro era più che mai artigianale: montava freni e telai, le verniciava con le bombolette spray. «Con i miei fratelli maggiori, Giuseppe, 49 anni, e Franco 44, andava in Veneto a comprare i pezzi di ricambio» ricorda Emilio, oggi amministra- N STILISTI/1 QUELLI CHE SONO RIMASTI tore delegato dell’azienda. Nell’84 le prime biciclette per bambini, poi quelle da passeggio, da donna, quelle elaborate col cambio. Seguendo le mode del momento, quindi, ovviamente le Bmx con lo sbocciare degli Anni 80. Sempre nuovi modelli: oggi sono 110 quelli realizzati. «Per confermare il marchio nostrano ognuna ha il nome di una città italiana» dice Emilio. Sui pedali Lombardo si muove il sindaco di Roma Ignazio Marino. Altri fedelissimi sono Enrico Brignano, Vanessa Gravina e, da siciliano doc, Michele Riondino, il «giovane Montalbano». Cicli Lombardo sorge ancora nella zona della vecchia bottega, a Buseto Palizzolo, tra Trapani e la strada che scende al mare di San Vito lo Capo (lombardobikes.com). Sul sellino La famiglia Lombardo con il fondatore Gaspare e i tre figli. Emilio, ad dell’azienda, (a sinistra) ricorda che con i suoi fratelli, Franco (dietro al padre) e Giuseppe (a destra) andavano in Veneto a comprare i pezzi di ricambio Dal 2007 c’è la filiale in Germania. Il 43% della produzione finisce all’estero in oltre 26 Paesi, Australia compresa Era un buco di 30 metri quadrati, oggi un capannone di 25 mila, in fase di ampliamento (a breve verranno inaugurati nuovi 10 mila metri quadri). Nel 2007 ha aperto la filiale in Germania, a Stoccarda, dato che il 43 per cento delle bici prodotte finisce all’estero, in oltre 26 Paesi, persino in Australia. O in Belgio, terra di ciclo dipendenti, che ne importa 13 mila l’anno. «Percepiscono la forza del dettaglio, le geometrie dei telai, la qualità dei montaggi: il made in Italy è il segreto del nostro successo, abbiamo resistito quando ci proponevano di comprare bici prefabbricate in Cina» spiega Emilio che già a cinque anni d’estate montava pedali e gonfiava gomme. Un azienda più che mai orgoglio locale. Ci lavorano una sessantina di dipendenti, tutti provenienti da questo angolo di Sicilia. Età media trent’anni, 40 per cento donne. «La Informazione pubblicitaria Di Maria: «Qui ho le mie radici» di Sofia Catalano torno a Modica». A dar man forte è infatti rientrata anche da figlia Anna, che collabora con la mamma. Certo abitare in città sature di storia, bellezze architettoniche, luce e colori stimola la creatività. «Sono fiera ed orgogliosa di vivere e lavorare a Palermo — sottolinea Francesca di Maria —. Qui c’è la storia della mia famiglia, del mio atelier, qui è nata la mia moda. Tra gli ori, i fasti, le suggestioni di un passato che sento vivo e mi ispira continuamente». Francesca guida infatti l’atelier che fu della nonna e che vanta ben di 106 anni di attività. Incredibile l’archivio di tessuti, ma soprattutto quello di cappelli protagonisti della Mostra «Tanto di cappello» che continua a girare il monA Palermo Francesca di Maria nel suo do. Si unisce al coatelier nella centralissima via della Libertà ro Loredana Roccasuti e vernici, sperimenta e salva, ancora da Modica, vircrea in una ex fabbrica di capo- tuosa artigiana del mix tra Couture e prêt-à-porter, espresso nata. I suoi patchwork d’autore sono soprattutto negli inconsueti poi rifiniti dalle fidate lavoran- abiti da sposa che in questi ti. Gli fa eco Ottavia Failla: «So- giorni sono di scena a New no rimasta in Sicilia perché qui York. «Sono contenta di essere la manodopera è unica — dice rimasta in Sicilia perché ho la creatrice di frizzanti borse e messo su famiglia, se avessi rinaccessori, piccolo showroom a corso solo la fama forse non ci Milano, in via della Spiga e ven- sarei riuscita. E poi sono afflitta dite in tutto il mondo —. Seguo da malattia di isolitudine , che, personalmente le mie sarte, al- come diceva Gesualdo Bufalile quali non rinuncerei mai, an- no, induce una continua nostalgia della propria terra in chi che se mi sobbarco centinaia la lascia». di chilometri per raggiungerle nelle loro case di campagna in© RIPRODUZIONE RISERVATA casa ma nel mondo. Magari a piccoli passi, limitando ambizioni e aspirazioni, ma con unica certezza: restare in Sicilia, non abbandonare origini e tradizioni. «Se se ne vanno via tutti, chi rimane a dare speranza a questa isola, così bella, ma così martoriata? Forse ho sbagliato, ma qui rimango, tra le mie cose». Le ha chiamate così, le sue creazioni, Eugenio Vazzano, eclettico stilista di Melilli (Siracusa) amato anche in Giappone, che, tra tes- A Obiettivo Operativo 4.1.1.4 – I Azione PROGETTO Mediterranean Center for Human Health Advanced Biotechnologies (Med-CHHAB) (Codice Identificativo Progetto: PONa3_00273 Avviso MIUR D.D. n. 254/Ric del 18/05/2011) Il nome è Med-Chhab, sigla che sta per Mediterranean Center for Human Health Advanced Biotechnologies. Un nome che nasconde una scommessa sulle biotecnologie per la salute che porterà alla creazione a Palermo di un centro unico in Europa e nel Mediterraneo in grado di fornire servizi d’eccellenza al settore pubblico e privato. E di dare una spinta poderosa al sistema industriale della Sicilia e del Sud Italia, mettendo a disposizione attrezzature d’avanguardia. La sfida è dell’Università di Palermo, che ha ottenuto un finanziamento da 23 milioni all’interno del Pon (programma operativo nazionale). Responsabile del progetto è Giulio Ghersi, docente dell’Ateneo esperto in Enzimologia, che pochi anni fa ha brevettato un sistema per generare enzimi purissimi per i trapianti di cellule e di tessuti. Adesso la nuova sfida, quella della creazione di un Centro tecnologico-scientifico da 3000 metri quadrati all’Università di Palermo, attraverso il quale diverse competenze (di biotecnologi, ingegneri, chimici, medici) possano svilupparsi sinergicamente per produrre conoscenze di elevato valore tecnologico, e quindi generare dei prodotti altamente competitivi per il mercato a livello regionale, extraregionale, nazionale, europeo e internazionale. Investimento previsto, 23 milioni di euro, il 70 per cento dei quali da utilizzare per l’acquisto e il collaudo di attrezzature e macchinari, tra cui un acceleratore di particelle B, unico in tutto il Sud Italia. bici ispira un messaggio positivo, la nostra è anche una sfida etica: in azienda ci sono un asilo nido e una palestra per i dipendenti». Il fascino della bici cresce nelle grandi città, ma la crisi di portafogli si fa sentire. In un mercato che cala dell’8%, resistono solo le bici ben fatte. «Investire nella qualità paga, come andare incontro alle esigenze di chi vuole pedalare nel futuro». Oggi Gaspare ha 79 anni. Quando ha riemp ito il primo capannone di attrezzature gli davano del matto, dieci anni fa è stato nominato Cavaliere della Repubblica. La scommessa vinta è doppia, dato che la Sicilia non è mai stata una terra portata a muoversi su due ruote. «Il suo grande orgoglio è che il passaggio generazionale sia riuscito». La famiglia Lombardo continuerà a pedalare nella storia. © RIPRODUZIONE RISERVATA STILISTI/2 QUELLI CHE SE NE SONO ANDATI Puglisi: «Porto l’isola dentro» È la festa del mandorlo in fiore che ha ispirato la collezione donna di Dolce & Gabbana per la prossima estate. Ancora Sicilia, sullo sfondo della Valle dei Templi, in una sorta di «rito pagano» dedicato soprattutto ai turisti a coloro che «vengono apposta per vedere la Sicilia. E la capiscono. E la fanno riscoprire soprattutto a noi che siamo andati via» dice Domenico Dolce, espatriato da Polizzi Generosa, ormai tanto tempo fa. D’altro canto si dice nell’isola «Cu nesci arrinesci» ovvero chi va via ce la fa, riesce, si realizza. «È inevitabile. Se pensi in grande, se hai una visione internazionale del tuo lavoro, se miri in alto, se guardi lontano non puoi non andar via» sottolinea Fausto Puglisi, stilista partito da Messina che non solo è arrivato a sfilare a Milano Moda Donna, ma da due stagioni è direttore creativo della Maison Ungaro e sfila a Parigi. Oltre ad avere vestito personaggi come Madonna, Jennifer Lopez, Michelle Pfeiffer. Già a cinque anni sognava la moda, appena raggiunta la maggiore età parte per gli Stati Uniti e lì immagazzina ogni sorta di suggestione che gli permetterà, una volta rientrato in Italia, di esprimere la sua creatività, supportato dall’artigianalità sicula, e dai suoi maestri e amici Dolce & Gabbana. Il suo stile è riassumibile in tre parole: forza, potere, sensualità «Che identificano anche la mia terra». L’ultima collezione vede protagoniste le palme «Quelle di Miami — precisa lo stilista — ma anche quelle sici- liane» stampate o ricamate in metallo dorato e cristalli tridimensionali su gonnelle a ruota o sexy abiti lunghi. Della Sicilia porta con sé soprattutto il barocco invece Daniele Carlotta, altro emergente, proveniente da Modica, residenza: «il mondo». Daniele è uno che ha cominciato nel negozio di tessuti di mamma, incoraggiato proprio da lei che ancora lo segue, ed è arrivato a vestire Belén Rodríguez per il Da Modica Fausto Puglisi, 37 anni, direttore creativo di Ungaro suo matrimonio. «Ogni tanto devo rientrare nella sartoria di famiglia, per ritrovare emozioni e atmosfere che mi ispirano». Nelle sue creazioni il barocco si mischia con gli orientalismi «che ho scoperto anche alla Palazzina Cinese di Palermo» in abiti che sono una mescolanza di fregi dorati, grafismi e mosaici su tessuti preziosi, esaltati da linee pure. S. Cat. © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 42 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia La Mérica «Fu la sfurtuna mia», cantavano gli emigranti. I siciliani ci andarono nei primi del 900 e subito dopo la guerra. Disse un amico italo americano di spirito che gestirono il tempo libero degli indigeni con imprese di svaghi, in locali sicuri e lungo i marciapiedi. Poi commercianti nel settore alcolici. Dal secondo dopoguerra specializzati in spezie e coloniali, roba da drogheria, come si dice. Tutte queste attività divennero praticamente «Cosa loro». Precisava sempre il mio amico che imporsi negli Usa non fu tanto difficile per i siciliani, perché i «Miricani» non hanno la fantasia, la furbizia e l’intraprendenza dei mediterranei. È tutto chiaro? Il credito IL FINANZIAMENTO ALLE AZIENDE DEL TERRITORIO Piccole eccellenze (da sovvenzionare) Tradizione e innovazione Le imprese trovano fiducia negli istituti. I grandi gruppi sono presenti ma in molti centri isolani le Bcc sono le uniche vie d’accesso al credito E a Regalbuto ci pensa la banca «La riscossa» di Stefano Righi li anglosassoni usano dire: numbers never lie, i numeri non mentono mai. Possono essere amari o irritanti, ma rappresentano la realtà e la loro analisi è necessaria. La più recente l’ha svolta la Banca d’Italia, dove viene evidenziato come, nel 2012, il valore aggiunto dell’industria in senso stretto, si è ridotto in Sicilia del 4,2 per cento in termini reali, con un calo complessivo di oltre il 20 per cento nel quinquennio 2008-2012. Il Pil — ovvero il Prodotto interno lordo, l’insieme della produzione di beni e servizi — è risultato nel 2012 in calo del 2,4 per cento sull’intero territorio nazionale, mentre in Sicilia ha toccato il -2,7 per cento, con le maggiori difficoltà riscontrate nei settori dell’industria e dell’edilizia. Il tutto con una pericolosa tendenza ad accelerare, visti i riflessi sul credito: «alla fine del 2012 circa la metà dei finanziamenti presentavano anomalie nei rimborsi». I grandi gruppi bancari nazionali sono presenti da sempre sull’isola, da Intesa Sanpaolo a Unicredit, che racchiude in se l’eredità G del Banco di Sicilia. Altre datano più recentemente la loro presenza, come il Monte dei Paschi di Siena e il Banco Popolare. Sono però le Bcc, le Banche di credito cooperativo che in molti piccoli centri rappresentano l’unica via di accesso al credito. Una presenza discreta, vicina ai territori e alle popolazioni per vocazione statutaria, vista la loro essenza di cooperative mutualistiche. I numeri, anche in questo caso, non mentono e narrano di una presenza che si sostanzia in 25 banche, con 168 sportelli in 132 comuni e oltre 900 dipendenti diretti. La vicinanza al territorio, poi si sostanzia in una presenza radicatissima. A Regalbuto, 7.400 abitanti in provincia di Enna, la Banca locale ha un nome che non lascia dubbi Agricoltura Addetti impegnati nella raccolta di carciofi alla ditta Sole di Sicilia Le banche di Credito cooperativo affiancano gli incubatori di imprese e collaborano con gli atenei sulla sua funzione di stimolo all’economia: La Riscossa di Regalbuto. La Banca ha iniziato a operare nel 1922, in favore dei reduci della Prima guerra mondiale sostenendo l’attività degli agricoltori e degli artigiani. Addirittura il logo, rimasto uguale nel tempo, raffigura le spighe di grano, un’incudine e una vanga, richiamando una vocazione agricola e artigianale. Eppure è una banca proiettata in avanti, tanto che in accordo con la locale diocesi di Troina, le 14 agenzie della Bcc La Riscossa hanno messo a punto un piano di finanziamenti a favore dei giovani a tassi convenienti per incentivare l’imprenditorialità locale. «Le Bcc sono state le uniche, assieme a Unicredit — spiega Nicola Culicchia, direttore della Federazione siciliana delle Bcc — ad aderire al progetto lanciato dalla Regione per finanziare famiglie e imprese in difficol- tà. Un modo concreto di essere vicini ai nostri clienti. Da sempre poi lavoriamo con la Caritas, con cui condividiamo la grande preoccupazione per la crescente disoccupazione giovanile». Al riguardo le Bcc sono passate dalle parole ai fatti, affiancando l’Università di Palermo e il suo incubatore di imprese Arca (27 aziende, 3 milioni di fatturato, 120 posti di lavoro): «stiamo puntando sull’imprenditorialità giovanile — conclude Culicchia — sviluppando tre progetti nelle sedi distaccate dell’università: ad Agrigento nel settore turistico, a Trapani nel marittimo e a Caltanissetta nel biomedicale, mentre a Termini Imerese, dopo la partenza di Fiat, stiamo riconvertendo il comune al turismo». @Righist © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RUOLO DELL’IRVOS «INTESA» CON IL FAI Sostegno e ricerca per vini e oli al top Scala dei Turchi gioia ritrovata di Fabrizio Carrera di Chiara Vanzetto cifra complessiva che supera i quattro milioni. E tra queste anche incontri mirati B to B per conquistare sempre più sbocchi commerciali». E da qualche tempo si è aggiunta una nuova mansione per l’Irvos (che sta per Istituto regionale Vini e Olii di Sicilia) la certificazione dei vini a Doc. E con il varo della Doc Sicilia che si aggiunge a quelle preesistenti il lavoro non manca. E così l’Irvos nel solo 2013 ha già rilasciato circa 700 certificati di idoneità impegnando varie commissioni di assaggio. Mentre sono stati effettuati oltre 900 controlli su vigneti a doc e igt e partiranno piu di cento ispezioni per vinificatori e imbottigliatori. «Tutto un lavoro — aggiunge il nutrizionista Giorgio Calabrese, attuale commissario dell’Irvos — che è una garanzia per i consumaEstero Una degustazione di oli siciliani a Oslo tori sia sul versante organizzata dall’Irvos nel febbraio scorso della qualità che delnon solo enologiche (l’ultima è la provenienza territoriale del proquella dei vini senza solfiti) ma an- dotto». Calabrese da quando è alche in campo microbiologico. Poi la guida dell’Irvos ha avviato anl’internazionalizzazione che con che un programma, col benestare il varo dei fondi comunitari per la dell’assessore regionale all’Agripromozione sta assumendo sem- coltura Dario Cartabellotta, che guarda con piani ambiziosi al tepre più importanza. E oggi se il brand Sicilia comincia ma più articolato della sicurezza ad essere conosciuto il merito va alimentare. Grazie anche all’acascritto anche a queste missioni quisizione dei moderni laboratori commerciali. «Consentiamo la di un istituto ormai soppresso, l’Apartecipazione delle aziende sici- sca, l’Irvos amplierà i propri comliane a una ventina di fiere in tut- piti e partirà presto anche con to il mondo, dal Vinitaly a Shan- una serie di iniziative a sostegno dell’olio extravergine made in Sighai, da Bordeaux a Dusseldorf — racconta Lucio Monte, diretto- cily. re dell’Irvos — impegnando una © RIPRODUZIONE RISERVATA eri erano i Chigi, i Medici, Quattro in Sicilia gli interventi i Davanzati. Oggi sono i conclusi o in atto, ma, assicura grandi istituti di credito Ranieri, la collaborazione è dead ereditare dai banchieri del stinata a proseguire. A Strompassato il ruolo di mecenati. In boli, gennaio 2013, è stata restituita alla comunità isolana la prima fila Intesa Sanpaolo, che tra le sue priorità ha sem- chiesa di San Bartolomeo, copre posto la valorizzazione del struita dagli stessi abitanti nel patrimonio storico artistico ita- XVIII secolo e chiusa nel 2002 liano e l’ampliamento della per le lesioni di una scossa sisua fruizione. Da qui la colla- smica. A Palermo si è concluso nello stesso mese il restauro borazione a livello nazionale con Fai, Fondo Ambiente Ita- dell’edicola marmorea del Geliano, nell’operazione «I luo- nio di piazza del Garraffo, gioghi del cuore»: censimento an- iellino nel cuore della Vuccinuale che rivela i siti monumentali, più o meno noti, prediletti dagli Italiani. Spesso siti degradati o dimenticati, invece degni di riscatto. In questo riscatto si impegna Banca Intesa anche nella Regione Sicilia. «Abbiamo in comune Candida La splendida Scala dei Turchi (Ag), con Fai l’obiettivo uno dei 4 interventi di recupero in Sicilia di diffondere il rispetto del patrimonio d’arte e ria; ora si progetta la riqualificazione dell’intera piazzetta. A natura e vogliamo contribuire a valorizzare le peculiarità del Trapani si cerca da anni di nostro Paese — racconta Alber- sbloccare l’iter burocratico che impedisce il recupero del to Ranieri, direttore dell’Area Sicilia di Intesa Sanpaolo —. Il Castello della Colombaia, antiprogetto I luoghi del cuore ca isoletta fortificata all’imboccrea conoscenza intorno ai be- co del porto. A Realmonte, zoni cosiddetti "minori", che in- na Porto Empedocle, si lavora vece hanno enorme valore. alla bonifica della Scala dei Perché rappresentano l’espres- Turchi, una candida falesia a sione delle identità socio cultu- picco sul mare su cui gli agenti atmosferici hanno scolpito rali locali». L’istituto fiancheggia il Fai nell’impegno econo- una gradinata naturale. Siti mico, nella promozione diret- unici e straordinari, l’Italia che amiamo. ta presso i clienti, nell’azione concreta. © RIPRODUZIONE RISERVATA nico nel suo genere in Italia. È l’Irvos, un ente regionale che si occupa della ricerca e della internazionalizzazione del vino siciliano. Nato nel 1950 come Istituto regionale della vite e del vino per dare un sostegno concreto alla vitivinicoltura che era una delle coltivazioni più diffuse, oggi quest’ente con sede a Palermo e cantine sperimentali e laboratori sparsi in più province vive una fase di rinascita. Tre i punti cardine delle attività. La ricerca con varie sperimentazioni U I Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 43 Liòtriu È l’elefante di pietra lavica simbolo di Catania. Sulle sue origini si sono versati fiumi d’inchiostro. È, probabilmente, un talismano d’epoca bizantina per tenere lontani terremoti ed eruzioni. Funzionò poco e lui stesso ne uscì spesso malconcio. E poi, troppo poco per i catanesi che ci hanno costruito mille storie deliziose. Per loro quel nome è la corruzione di Eliodoro, un mago arso vivo in quel sito da san Leone, che era vescovo della città, solo perché faceva ridere i fedeli durante le funzioni. Quell’elefante rappresenta pazienza e saggezza, virtù coltivate da sempre dai catanesi. Vi pare niente vivere con l’Etna dietro la porta di casa? L’enologia IL PASSATO E IL PRESENTE La nuova vita delle botti siciliane Grandi aziende e piccoli vignaioli che riscoprono le radici autoctone dei vitigni di Luciano Ferraro Un esercito di giovani leve La Sicilia è la regione in cui l’aumento del consumo di vino è maggiore rispetto al resto d’Italia. Tra il 2007 e il 2012 il dato è cresciuto del 5%. La parabola di un successo raccontata da Diego Planeta e Nino Barraco Q uando iniziò ad occuparsi di vino, Diego Planeta aveva 18 anni e un giorno. C’era molto da fare in Sicilia, nella zona di Menfi, dove le vigne venivano abbandonate e un quarto degli abitanti era emigrato. «Le uve si pigiavano ancora con i piedi», raccontò il fondatore di una delle più grandi cantine sociali, la Settesoli. Bisognava cambiare la mentalità di una regione, almeno dal punto di vista agricolo. Far capire ai contadini che l’uva poteva diventare un piccolo tesoro. Cinquantacinque anni dopo, la Sicilia sta vivendo ora una seconda rivoluzione. Alle grandi aziende che hanno avuto la forza di far uscire dall’isola le bottiglie migliori, si è aggiunto un nutrito drappello di vignaioli, spesso sotto i 40 anni di età, artigiani delle viti, scopritori di nuove strade nel mondo per gli autoctoni siciliani. Dall’Etna, da Ragusa, da Marsala e da altre zone ancora. La Sicilia produce 5,1 milioni di ettolitri di vino e mosti (dati Istat 2012), in ripresa dopo due anni di calo dovuto all’espianto dei vigneti (gli ettari ricoperti da viti risultano 107 mila (ma il dato è fermo al censimento del 2010). Il 44,7% è vino bianco, il 42,4% rosso, il resto è mosto. Nel 2005 la produzione era di 7,2 milioni di ettolitri. La Sicilia è la regione in cui l’aumento del consumo di vino è maggiore rispetto al resto d’Italia. PROTAGONISTI Nino Barraco (a sinistra) 38 anni, laureato in Scienze politiche, nei suoi 10 ettari (nei pressi di Marsala) coltiva vitigni di Catarratto, Nero d’Avola, Pignatello, Grillo. Diego Planeta (a destra) ha 73 anni ed è stato presidente di Settesoli. Ora Alessio, Francesca e Santi Planeta guidano l’azienda di famiglia a Menfi, 6 tenute, 363 ettari di viti, un grande oliveto e un resort Mentre nel quinquennio 2007-2012 il Piemonte ha registrato un calo del 12% della popolazione che consuma vino, in Sicilia il dato è salito del 5%. Nonostante l’incremento, rimane la penultima regione della classifica, con il 44% della popolazione che consuma abitualmente vino e il 22,9 che lo consuma sporadicamente. La storia della vite in Sicilia è andata nei secoli di pari passo con quella dei popoli dominanti: diffusa da fenici, greci, romani, normanni, aragonesi e spagnoli, frenata da barbari e musulmani. Fino al 1880, quando i 320 mila ettari di viti vennero quasi dimezzati dalla filossera. Nel Dopoguerra sono state le cantine sociali a ridare fiato all’agricoltura siciliana. Planeta, l’ex presidente dell’Istituto regionale della Vite e del Vino, è stato uno dei protagonisti di quella fase. Ha 73 anni e 17 generazioni alle spalle legate alla terra. Oggi l’azienda Planeta è formata da 6 tenute per un totale di 363 ettari di viti, un grande oliveto (e un resort), con alla guida Alessio, Francesca e Santi. Ha raccontato Alessio a Francesco Annibaldi del blog Cucchiaio d’argento sul ruolo di Diego: «A metà degli anni Ottanta, con il mercato dello sfuso in crisi a causa della tragedia del metanolo, chiamò Scienza per la parte agronomica, Tachis per quella enologica e Giampaolo Fabris per capire il pub- blico. Fu un salto in avanti impressionante, soprattutto di mentalità, in un periodo nel quale quasi tutte le cantine sociali ricorrevano ai contributi per la distillazione». Così il vino siciliano è sbarcato, decennio dopo decennio, nelle altre regioni prima, poi in tutto il mondo. «Quello è stato un periodo orientato anche al marketing. Ora si è affiancato un altro mercato, quello delle piccole o piccolissime aziende, con target molto differenti, sia come gusto sia come prezzi di vendita». A dirlo è Nino Barraco, 38 anni, laureato in Scienze politiche, con un master in marketing del vino. In dieci anni è passato («lentamente») da 10 mila a 20 mila bottiglie. Nei suoi 10 ettari alleva vitigni di Catarratto, Nero d’Avola, Pignatello. Il Grillo è il vino, con personalità e longevità, che lo ha fatto conoscere. È uno dei nuovi vignaioli siciliani, assieme ad Arianna Occhipinti con il Frappa- La regione produce 5,1 milioni di ettolitri di vino e mosti, in ripresa dopo due anni di calo to, a Alice Bonaccorsi sull’Etna, a Giovanni Scarfone con il suo Faro («un grande esempio di come con poca vigna si possa lavorare bene»)e ad altri che hanno raccolto l’eredità paterna, come Renato De Bartoli, figlio di Marco. «È una nuova epoca — spiega Barraco — in cui contano il legame con il territorio, il carattere e identità dei vini, ovviamente con numeri diversi di quelli delle grandi aziende. Io e gli altri come me non possiamo parlare a un pubblico ampio. Ci avevo provato all’inizio ma ho fatto subito marcia indietro, mi rivolgo a chi è in grado di capire il mio vino, non tutto è per tutti. Negli anni Settanta e Ottanta aziende come Tasca d’Almerita hanno faticato ad aprire una via nazionale al vino siciliano. Ora le nostre piccole aziende continuano a fianco delle grandi, puntando su mercati diversi. Possiamo essere un modello di sviluppo siciliano, costituito da tante piccole aziende, in modo da fare distretto». Che si scontra però con lentezze e burocrazie. «Non possiedo una cantina di proprietà — si lamenta Barraco — non riesco ad ottenere i permessi. Marsala era ricchissima di cantine nei garage di casa, come in Piemonte, in Trentino Altro Adige, in Emilia. Chi inizia, deve avere la possibilità di provarci». (divini.corriere.it) © RIPRODUZIONE RISERVATA L’ENOSTORICO PASQUALE HAMEL Ricordi Le costruzioni delle botti nelle cantine Florio di Marsala. IN basso, Pasquale Hamel Così Marsala ritrova gli antichi fasti «Il territorio è tornato faro di sviluppo grazie alle valorizzazione del vino» di Maurizio Di Gregorio arsala — accenna l’enostorico Pasquale Hamel — è legata indissolubilmente alla memoria garibaldina. Qui sbarcò l’eroe, nel 1860, avviando la conquista del Regno meridionale. Marsala, Mars-Allah in arabo, fu porta occidentale aperta alle rotte di invasori ma anche a quelle dei commerci. E qui altra ragione della sua fama, l’avere legato il nome ad un vino liquoroso, appunto il Marsala che gli inglesi apprezzarono e affinarono. Proprio la presenza inglese nell’isola ne consentì la conoscenza e la diffusione a livello internazionale. In questa storia si inserirono i Florio, l’unica vera dinastia imprenditoriale siciliana, che nel 1838, ruppero il «M monopolio inglese. Il Marsala Florio, "sangue siciliano" come indicava un’etichetta, divenne il simbolo stesso della "buona cena"». Ora Marsala, Città Europea del Vino 2013, dà il benvenuto agli appassionati di questo straordinario nettare. Gli appuntamenti di novembre il 9 (Convegno Vino e Salute), 10 e 11 (Giornata Europea dell’E- noturismo) e 15 - 17 (1˚ Forum Internazionale dell’economia e del mercato vitivinicolo) che renderanno finalmente giustizia di un vino Immortale. Ma a filarselo sono purtroppo in pochi. Troppo pochi. Perché proprio quest’anno si celebra il cinquantesimo anniversario della legge che attribuisce un’identità specifica a questo vino tracciandone caratteristiche, È la Città Europea del vino 2013. A novembre appuntamenti, convegni e le giornate dell’enoturismo storia, territorio e così via. Ovvero la Denominazione di origine controllata (il noto marchio Doc). Cioè quanto basta per aver creato un modello, un esempio di vitivinicoltura che affonda le radici nella storia e nel mito. «Oggi Marsala dopo un lungo periodo di decadenza — conclude Hamel — e il territorio trapanese, grazie anche al vino, sono tornati ad essere faro di sviluppo, offrendo un’alternativa seria di crescita eco- nomica e sociale rispetto a quella parassitaria che, da molti anni, l’Autonomia regionale persegue. La speranza è che, finalmente, si possa chiudere una pagina di storia non molto edificante per aprirne un’altra che, valorizzando i punti di forza della Sicilia, consenta di dare speranza ai giovani per farli tornare a credere in quella "terra impareggiabile" purtroppo divenuta, suo malgrado, matrigna». © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 44 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Lupa In siciliano si usò in senso più dispregiativo di cagna per indicare la donna dai grandi appetiti sessuali, la ninfomane. Dal latino lupa, meretrice, prostituta, la stessa che allattò i gemelli fondatori di Roma. Da quella voce viene il lupanare, il postribolo. Chi inventò i «figli della lupa» dello scorso regime non ebbe idee molto chiare in proposito. Giovanni Verga ci scrisse una bellissima novella, La lupa appunto. Una storia d’amore tutta siciliana, la cui protagonista è una donna «mai sazia d’uomini». Nanni, il genero, tentato dall’ingorda suocera, finisce per ammazzarla. Ne furono tratti film diretti da Alberto Lattuada, Franco Zeffirelli (con la Magnani) e Gabriele Lavia. L’enologia AL FEMMINILE «Così faccio suonare il mio vino» José Rallo (Donnafugata) unisce musica e cantine. Aumentano le donne nelle aziende di Marisa Fumagalli Il successo «rosa» Oltre a Rallo, ci sono Lilly Fazio della cantina omonima; Carolina Cucurullo, della Masseria del Feudo; Francesca Curto, sommelier, attiva nell’antica azienda agraria di famiglia; e la trentenne Arianna Occhipinti n una terra maschilista, ho la fortuna di avere un padre femminista», dice, sorridendo, Josè Rallo. Signora del vino, innanzitutto. Ma anche appassionata cantante jazz. È la sua marcia in più per coinvolgere clienti e fan di Donnafugata, uno dei marchi siciliani, importanti, diventati nell’arco di vent’anni i portabandiera del vino di qualità, esportato in tutto il mondo. «Papà ha sempre creduto nel ruolo delle donne in azienda — spiega — cominciando dalla moglie Gabriella, cioè da mia madre, ex insegnante di inglese. Una pioniera della vigna. Poi è toccato a me. In verità, ciò che qui mi preme mettere in evidenza è tutta la nostra squadra di lavoro, ad alta rappresentanza femminile. L’ha voluta così mio padre. Lui si fida delle donne e della loro serietà». Lui è Giacomo Rallo, il capo dell’impresa di famiglia, che spazia da Marsala a Contessa Entellina e Pantelleria. «Il rapporto fiduciario padre-figlia è abbastanza diffuso in Sicilia — chiarisce Josè — Voglio dire che altre donne della mia condizione sono valorizzate. È più difficile, invece, che le aziende assumano da fuori personale femminile. Le donne hanno dovuto lottare parecchio per rompere il muro della diffidenza». Ciò premesso, nell’isola si è guadagnato molto del tempo perduto. Rallo cita una ricerca fatta da Irvos (Istituto Regionale Vini e Oli di Sicilia), che, mappando 137 aziende vinicole (familiari e non, cooperative escluse), ne segnala 43 al femminile, dove le donne sono imprenditrici o ricoprono funzioni direttive. «Sono colleghe preparate, con un’ottima scolarizzazione, parlano più lingue. Adatte ad avere rapporti con il mercato, con i consumatori, i media. La ricerca, inoltre, rileva che la distribuzione femminile è omogenea nei 17 territori vinicoli censiti in Sicilia. Infine, la nostra età media è più bassa rispetto a quella degli uomini». Sicilia in rosé, dunque. Rappresentata da una pattuglia sempre più numerosa di signore sui quarant’anni, fortemente motivate e intraprendenti. Qualche nome, senza far torto alle altre: Lilly Fazio, responsabile commerciale dell’omonima Cantina, i cui vigneti incorniciano il monte Erice. Considera i suoi vini «unici per la profonda passione mista a impegno». Carolina Cucurullo, che si divide tra due amori, la famiglia e la Masseria del Feudo, nel cuore della Sicilia, in provincia di Caltanissetta. Francesca Planeta, esperta di marke- ta), la Sicilia e il mondo intero. Donne dentro la contemporaneità di una professione che, tuttavia, evoca sentimenti matriarcali. «L’amore per la terra, la pianta che cresce e dà frutti, i profumi, i sapori, sono elementi congeniali alla natura femminile di ieri e di oggi — ammette Rallo — Filo rosso che riannoda i valori antichi della tradizione». Tant’è. La figlia di Giacomo Rallo, che non finisce si sorprendere, tiene in serbo la sua carta vincente. Musica e canto, al centro di un intenso interesse, condiviso con il marito Vincenzo Favara. Da tempo a Marsala, nella cantine Donnafugata, vengono ospitati regolarmente concerti. Ma il bello è che lei stessa, Josè, voce solista, dopo aver fondato nel 2002 Donnafugata Music&Wine Live, in collaborazione «I Sono 43 le aziende condotte da donne. E la signora del Donnafugata è anche una cantante jazz ting e comunicazione, è un punto di riferimento dell’azienda di Menfi (Agrigento), con vigneti in tutta l’isola. Scendendo a Sud Est, in provincia di Ragusa, ecco Francesca Curto, sommelier, attiva nell’antica azienda agraria di famiglia, con sede ad Ispica. Di Arianna Occhipinti (trentenne) si è scritto molto, anche per il suo libro di successo Natural Woman . La regina di Valle dell’Acate (zona di Vittoria, terra del Cerasuolo) è Gaetana Jacono, sempre in viaggio tra Milano (dove abi- Musica José Rallo con Vincenzo Toscano nel corso di una degustazione di vini abbinata a un concerto jazz IL «CASO» COTTANERA Una super squadra sotto l’Etna Donne, soltanto donne, in vigna. La vendemmia e la cura delle piante è affidata a una squadra esclusivamente femminile: madri e figlie, una trentina in tutto, che, mantenendo eccezionalmente viva un’antica tradizione dell’Etna caduta in disuso, si dedicano all’attività di raccolta per volere di Mariangela Cambria, 37 anni, vicepresidente di Assovini Sicilia, responsabile marketing e comunicazione di «Cottanera». È l’azienda della sua famiglia, la più grande nel territorio vinicolo alle pendici del vulcano. Per inciso, i vini dell’Etna stanno vivendo un momento magico. L’aspirazione di Mariangela Cam- bria, laureata in Scienze Politiche, era la carriera diplomatica. Poi il destino ha preso un’altra piega. Era in Irlanda a perfezionare l’inglese quando il padre Guglielmo le chiese di rientrare in Sicilia ad occuparsi dell’impresa familiare. Lei è tornata ed è diventata una vignaiola di punta, nel rilancio della tradizione. Così a Cottanera, il cuore e il motore del vigneto sono le donne. Anche durante la vendemmia, che viene fatta rigorosamente a mano. La più anziana della squadra è Maria Cannone, 60 anni; Maria Destro, 32, la più giovane. (m. fum.) © RIPRODUZIONE RISERVATA con una band di amici appassionati di jazz e musica brasiliana, si mette in gioco e in scena, proponendo dal palco un’esperienza multisensoriale che abbina ad ogni vino un brano musicale, il cui andamento ritmico sottolinea le sensazioni della degustazione. Non è tutto. Da un paio d’anni, accompagnata da clarinetto e violoncello, Josè registra nella barricaia i video delle «Degustazioni in jazz». È un nuovo modo per vivere e condividere con gli amici i vini di Donnafugata. Signora del vino pirotecnica. Testimonial internazionale. Il papà «femminista» può davvero essere soddisfatto. Ma quanto influiscono le donne del vino siciliane sulle scelte d’impresa? «Nelle aziende piccole incidono molto — risponde — In quelle più grandi, il peso femminile cala. O meglio, c’è il rischio della settorializzazione. Succede, allora, che il prodotto vino come tale sia materia per uomini. Alle donne si riservano le funzioni creative: l’etichetta delle bottiglie, il packaging. Penso che sarebbe più utile un maggiore equilibrio di genere all'interno dei rami aziendali». © RIPRODUZIONE RISERVATA UN’ATTRAZIONE FATALE Il sogno dei «colonizzatori» di vigneti Successo degli investimenti fatti dagli «stranieri» Zonin, Mezzacorona e Giv di Mauro Remondino atto primo porta il nome di Nero d’Avola. Il secondo di Nerello Mascalese. Terzo incomodo Cerasuolo. Insieme ai bianchi Carricante, Catarratto, Insolia questi vitigni hanno più che mai confermato quella nota attrattiva che fece dire alla nobilità siciliana «siamo terra di conquista e di sbarchi». Per il vino è stato così e lo è ancora. Il fascino dell’isola, del mare, del vulcano. Sono arrivati i colonizzatori, tutti stregati dal sogno di possedere un vigneto. Così il vicentino Zonin è approdato nel 1997 con il suo Feudo Principi di Butera nella provincia di Caltanissetta. Circa 180 ettari coltivati a vigna. Gli anni del Nero d’Avola, rosso complesso e robusto. Ma oggi in clima di cambiamenti Francesco Zonin punta sicuro su L’ Insolia, bianco autoctono. Come il Gruppo trentino Mezzacorona con il feudo Arancio a Sambuca di Sicilia e più recentemente Acate, nel ragusano, terra del Cerasuolo, circa mille ettari di proprietà. Una conquista o quasi: dieci Igt, tre bianchi, un passito, cinque rossi. Quasi una missione per il Giv, Gruppo italiano vini, che ha investito nella tenuta Rapitalà, in arabo «fiume di Allah», 225 ettari di vigna sulle colline che da Camporeale scivolano verso Alcamo. Dove con i bianchi Grand Cru e Casalj, quest’ultimo Catarratto in purezza, voluto dal fondatore e ora socio, il francese Laurent Bernard de la Gatinais, si fa sfoggio di qualità. E ancora i produttori toscani Mazzei e Antonio Moretti con il Feudo Maccari, a Noto, nel siracusano. Ma la vera svol- ta arriva con il vino del vulcano. Acquisizione recente di vigne abbandonate. Tra i primi l’italo americano Marc De Grazia, distributore in America di vini d’eccellenza italiani. Ha comprato alle falde dell’Etna, tra i comuni di Castiglione e Randazzo tra le contrade di Calderara e Guardiola ai confini con Passopisciaro. Un meraviglioso e curato anfiteatro di vigne nella Tenuta delle Terre Nere dove è possibile trovare viti Prephylloxera in produzione. Tutto nel nome del Nerello Mascalese, un vitigno che origina un vino, elegante, fine, molto vicino ai rossi di Borgogna. Sono arrivati dal continente: Federico Curtaz e Silvia Maestrelli, Paolo Caciorgna, Frank Cornelissen, Andrea Franchetti che dice senza mezzi termini: «L’unico territorio, insie- Vicepresidente Francesco Zonin in Sicilia con Feudo Principi di Butera (Caltanissetta) me al Piemonte, per il quale ha senso parlare di cru». Terreni lavici, stratificati dalle colate avvenute nel tempo e in quota, di fronte al mare. Nell’Ottocento i vigneti si coltivavano sino a mille metri, la zona era ricca, con il porto vicino a Giarre di Riposto. Poi la crisi e adesso la nuova corsa all’Eldorado. Soprattutto da parte dei siciliani che si sono visti anticipare. Le grandi griffe, Tasca d’Almerita, Firriato, Cottanera, Planeta, sono corse ai ripari acquistando. Tutti meno uno, Giuseppe Benanti. Uno che aveva visto lungo e da li non si è mosso continuando a fare, a Rovittello, un Nerello Mascalese d’eccellenza e superandosi con un bianco, il Pietramarina, da uve Carricante. Dando così nuovi stimoli a tutti e un «fratello» al rosso per eccellenza del vulcano. © RIPRODUZIONE RISERVATA Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 45 Lupara Non è un fucile da caccia a canne mozze, come si crede. E, peggio ancora, si scrive. Il dizionario recita chiaramente che è la carica per fucili da caccia costituita da pallettoni, usata per sparare a lupi o cinghiali. Si tagliavano le canne della doppietta per aumentare le velocità dei proiettili, per allargare subito la rosa dei pallettoni e per dare, così, prova di coraggio dovendosi avvicinare il più possibile all’animale. Finì per essere l’arma preferita per le esecuzioni mafiose. Il termine, impiegato nella maniera errata, risale al 1956. E non c’è stato verso di correggerlo. È bianca quando c’è la sparizione del cadavere reso introvabile. IL «GATTOPARDO» DEL VINO La storia del «conte vignaiolo» Lucio Tasca d’Almerita, maestro di stile, e i cigni che ricordano Wagner di Luciano Ferraro L’evoluzione del passato Villa Tasca è la casa, che nell’800 era attorniata dai vigneti; il cuore dell’azienda è Regaleali, la tenuta di famiglia dal 1830. Ma quest’uomo che stupì Jackie Kennedy con la sua dimora è molto più giovane dei suoi 73 anni ieni Tristano». Il cigno nuota nel laghetto di Villa Tasca, seguito da una sua simile, Isotta. Il conte Lucio Tasca d’Almerita, lancia un pezzo di foglia e spiega la dieta dei suoi due candidi coinquilini. I nomi sono un omaggio a Wagner, che qui passeggiava, dopo aver litigato con l’albergatore del Des Palmes, di cui scrisse: «È l’unico brigante che abbia conosciuto in Sicilia». Qui Wagner completò la partitura del Parsifal , lasciando a Palermo un vasto repertorio di aneddoti sul suo soggiorno, come quello sul musicista travestito da giardiniere per non farsi notare a Villa Tasca. Il laghetto è del conte Lucio, come il lungo filare di palme che stupì Jacqueline Kennedy, come il parco immenso, che si percorre nell’auto guidata dal padrone di casa. Sua è la cinquecentesca dimora, con un appartamento da settecento metri quadrati per il conte. Sue le tazzine di porcellane in cui una cameriera d’altri tempi, con veste azzurra, serve il caffè nel salone fresco e colorato, con tre divani alla fine di un maestoso scalone. A fianco ci sono le stanze che, per sostenere le spese dei restauri, vengono affittate a chi vuole smarrirsi nel verde in centro a Palermo. Con un facile stereotipo il conte viene talvolta definito l’ultimo dei Gattopardi siciliani, come fu per il padre Giuseppe, scomparso nel 1998, e come sarà in futuro per i figli Giuseppe e Alberto. In realtà Lucio è un imprenditore molto più giovane dei suoi 73 anni, più moderno di molti suoi colleghi del vino. Non usa il titolo nobiliare, e se per sbaglio si presenta con quello, arrossisce. Ha il viso segnato di un attore della Hollywood in bianco e nero, impeccabile quando indossa lo smoking, come alla serata di gala del Premio Grandi Cru d’Italia all’ultimo Vinitaly. Villa Tasca, che nell’Ottocento era attorniata dai vigneti, è la casa; il cuore dell’azienda è Regaleali, la tenuta di famiglia dal 1830. Regaleali è stato un esempio di trasformazione da vecchia a nuova azienda agricola in Sicilia. Il professor Scifò «V LA STORIA Villa Tasca (nella foto sotto: il laghetto) a Palermo è la residenza di Lucio Tasca d’Almerita. Il laghetto, in cui vivono i cigni Tristano e Isotta, ispirò Wagner che Stile Sopra, il conte Lucio Tasca e a destra il laghetto che ispirò Wagner (foto Francesco Lastrucci) scrisse sul Lucio, primo conte d’Almerita, avo dell’attuale: «Oltre alla fortuna, aveva ereditato il talento ad occuparsi, a pubblica utilità di una vasta impresa rurale». «Qui negli anni Sessanta si produceva solo vino da vendere sfuso — racconta Lucio Tasca — poi mio padre decise di imbottigliarlo per farlo diventare il primo grande vino di Sicilia esportato nel mon- do». Ad esempio la Riserva Rosso del Conte, bandiera di Regaleali. Negli anni Ottanta la decisione di puntare sui vitigni internazionali, Chardonnay, Cabernet Sauvignon e Pinot nero. Poi il ritorno alle origini, con una maggiore valorizzazione dei vitigni autoctoni. E dal 2000 un piano di espansione che ha portato l’azienda ad acquistare «nel vasto continente siciliano», compose parte del «Parsifal». Il conte guida Regaleali, l’azienda di famiglia dal 1830 e altre 5 tenute (con due resort) in Sicilia. In totale 600 ettari di vitigni internazionali e autoctoni. Il vino-bandiera è il Rosso del Conte come lo chiama Tasca, tenute a Salina, nell’isola di Mozia, sull’Etna e a Camporeale. Un impero di 600 ettari, 5 tenute, due resort, Ora la crisi morde «ma noi manteniamo le vendite in Italia - dice Tasca - anzi abbiamo fatto un piccolo passo avanti nell’ultimo anno, mentre l’export in settanta Paesi è cresciuto ancora». Lucio Tasca, studi in un collegio svizzero, laurea in Economia, olimpionico di equitazione nel 1960, non si tira indietro, continua a iniettare energia su Villa Tasca e Regaleali e sulle altre tenute. Sia che si debba sconfiggere il punteruolo rosso che rischiava di sterminare le 150 palme del parco («Ho usato una ricetta segreta, con un giardiniere egiziano, ma ora una pianta si è ammalata e sto per intervenire con un metodo mio»), sia che si tratti di lanciare uno dei quattro nuovi vini: il Tascante Buonora, il migliore tra i nuovi bianchi d’Italia secondo il critico americano James Suckling, il Grillo e il Catarratto senza solforosa di Regaleali, e il Didyme, una Malvasia, della Tenuta Capodifaro di Salina. «Tutti già venduti», dice il vignaiolo siciliano. Centocinquanta anni dopo, Lucio può definirsi fortunato come il suo avo? «Sì, sono un uomo fortunato. Certo, sono stato anche capace di prendere le decisioni giuste per l’azienda e di condurla bene», spiega Tasca d’Almerita in versione «piena vendemmia» («Non è male, ma neppure fantastica»). «Ho sempre fatto un lavoro che mi è piaciuto, non mi sono mai annoiato. E ho due figli ancora più bravi di me, Alberto e Giuseppe. Se non è fortuna questa...». (divini.corriere.it) © RIPRODUZIONE RISERVATA L’ANNIVERSARIO Florio, 180 anni per una rivincita Il vino «improprio», più vicino allo Sherry che non al Barolo tenta un’operazione di rilancio: in ottobre «verticale» di annate storiche dal 1903 di Mauro Remondino entottanta anni, per la storia, per la Florio, per il Marsala. Per questo vino improprio, più vicino allo Sherry che non al Barolo. Ma ugualmente valido nel cammino enologico. Passato, presente, futuro in bottiglie che hanno tenuto per mano l’evoluzione storica d’Italia dalla fondazione nel 1833 anche se Vincenzo Florio costruì la prima cantina in pietra di tufo a Marsala nel 1832. Tutto questo trent’anni prima dello sbarco di Garibaldi in Sicilia e dell’avvio del processo di unificazione nazionale e della saga della famiglia del principe Don Fabrizio Salina, narrata ne Il Gattopardo da Tomasi di Lampedusa. Un vino «pesante», fortificato, imbottito di alcol, sin dall’epoca delle famiglie inglesi Ingham e Woodhouse, precursori sull’isola e pronti a spedire via mare i barili che dovevano resistere al viaggio e al tempo. «Immortale» ha sintetizzato un produttore siciliano nonostante un corrosivo disamore da parte degli stessi C isolani. Così questo vino, dolce da dessert, ammirato e contestato, con una presenza alcolica che arriva anche a 18 gradi, ha iniziato un tortuoso percorso. Tuttavia, nelle versioni più autorevoli, un vino godibile a ta- vola, con antipasti di pesce, maiale, anatra, come ha avuto modo di dire Carlo Casavecchia, enologo ed ex direttore generale, andatosene dalla Florio sbattendo la porta dopo anni di appassionata gestione. Si sa la passione a volte non basta, anche se l’enologo tra il 2002 e il 2005 è riuscito a creare un portafoglio di 150 ettari di vigneto a Riesi e all’Etna. Sino ad allora, qualche anno fa in fondo, la Florio si avvaleva soltanto delle uve dei conferitori. Non soltanto, ma Casavecchia è riuscito in un momento drammatico e confuso per la «destinazione d’uso» del Marsala, a far escludere gli aromatizzati dal riconoscimento della Doc. Passi giusti, processi e polemiche che ancora resistono. Fine, Vergine, Ruby... 28 tipologie in tutto, una esagerazione, qualità al ribasso e prodotto poco di moda, per via di quella forte presenza alcolica, il Marsala tenta oggi, con questo fardello, di rialzare la testa. Anche se va detto che c’è chi ci crede con furore, come il produtto- Automobilismo A sinistra, Don Vincenzo Florio con il pilota Renato Balestrero in una Targa Florio del 1926; in basso una pubblicità del Marsala Florio re Renato De Bartoli, figlio del non dimenticato Marco, che per sconfiggere le Cassandre ha organizzato, per fine ottobre, una verticale di annate storiche dal 1903. Una prova di forza per scrollare l’apatia che avvolge i produttori siciliani e alla faccia di chi vuole il Marsala sugli scafali dei drugstore americani accanto all’aceto balsamico e alla maionese. Vino immortale dunque creato con uve a bacca bianca: Grillo, Damaschino, Grecanico. Anche per la Ilva di Saronno della famiglia Reina, che ha accorpato nella nuova proprietà la Florio insieme ad altre due cantine storiche, Corvo e Duca di Salaparuta. Un impero di bottiglie, circa venti milioni: rossi, bianchi, bollicine, malvasie e passiti realizzati a Salina e Pantelleria. E per festeggiare i primi centottanta anni di Florio è stato allestito un percorso sensoriale, al buio, nella cantina d’antan con i video che fanno scorrere immagini accattivanti e di fascino su quanto è stato e quanto, si presume, sarà. E per la circostanza l’immancabile bottiglia «limited edition». Selezione di uve Zibibbo maturata in piccole botti dove in precedenza sono state affinate grandi riserve di Marsala Vergine del 1963. Una demi-bouteille incastonata di gemme preziose: rubino, smeraldo, topazio, ametista. Quest’ultima, simbolicamente, per rafforzare il concetto di sogno. © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 46 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 47 Mafia Viene dall’arabo ma' fy: non c’è. Quando si dice, o si scrive, che non c’è significa che è dappertutto. Nel 1838 un procuratore trapanese, spedì «in riservatezza» al ministro una nota in cui si parlava di mafia. Rimase riservata e mai uscì dai cassetti ministeriali. Diventati sabaudi, un prefetto ne scrisse, ma con due effe: maffia. Con poco successo perché il testo era politico. Noi siciliani sappiamo fin dalla nascita che mafia e politica sono sempre andati a braccetto e, essendo cittadini precari, abbiamo bisogno delle amicizie per sopravvivere. Per scuotere le nostre coscienze ci sono voluti tanti morti. Sperando che la lezione sia servita. L’enologia L’AZIENDA MILAZZO «Addio alle armi Meglio le bollicine» La passione per la qualità Il produttore di vino di Campobello di Licata aveva fondato a Brescia la Armsud. Poi, frequentando la Franciacorta tutto è cambiato «Prima i fucili, ora produciamo spumanti» di Maurizio Di Gregorio pensare che avevo cominciato costruendo armi». Così, spiazzante come sua abitudine, Giuseppe Milazzo, il produttore di vino di Campobello di Licata, che più ha scommesso sullo spumante, racconta i suoi inizi. «Negli anni sessanta avevo fondato a Brescia la Armsud, ma poi ho conosciuto dei produttori di spumanti in Franciacorta ed è nata la passione per le bollicine». La sua azienda non è solo quello, perché si producono tra le quasi 300 mila bottiglie, anche bianchi e rossi. Ma sei versioni di spumante sono un primato. «Oggi — accenna — si fa presto a dire bollicine. Noi li produciamo da tempo, tutti metodo classico con lunghi affinamenti in bottiglia e procedure più costose per garantire maggiore qualità». Il metodo ricorda da vicino fasi di produzione simili a quelle utilizzate per gli Champagne. A proposito dei vini francesi l’azienda Milazzo può fregiarsi di aver vinto nell’aprile di quest’anno a Bordeaux al Challenge international du vin la medaglia d’oro con il Federico II millesimato '03 e a maggio del 2013 a Bruxelles al Concours mon- «E dial sempre la medaglia d’oro con l’Excellent rosato metodo classico. «Sono stati dei premi che ci hanno onorato, se poi arrivano dai francesi che sappiamo essere un tantino sciovinisti... hanno ancora più valore. Fare spumanti alle nostre latitudini non è così semplice e loro lo hanno capito». Ma che l’eccellenza di questa cantina passi per le bollicine, lo testimonia il fatto che alcuni mesi fa è uscito un nuovo spumante, il sesto, che è ottenuto senza l’aggiunta del liquido zuccherino che addolcisce tutti gli altri tipi di spumanti rendendoli più morbidi e bevibili. Un cosidetto «dosaggio zero», per l’appunto, che, come sanno gli intenditori, è uno spumante per pochi, quegli amanti del vino mol- Dettagli Giuseppe Milazzo, nella cantina di Campobello di Licata. Il fondatore dell’azienda è attento ai particolari: «I nostri clienti in Sicilia e Calabria vengono riforniti di spumante con furgoni a temperatura costante» «Le medaglie d’oro ci hanno onorato, se arrivano dagli sciovinisti francesi... hanno ancora più valore» to esperti a cui piace assaggiare vini taglienti, con un’acidità spiccata che privilegia soprattutto la qualità della materia prima. Quest’azienda che della raccolta manuale delle uve e della certificazione biologica fa un ulteriore motivo di vanto, conduce una battaglia anche su un’aspetto che generalmente trascurano molte aziende: il trasporto del vino. Tutti i clienti vengono riforniti con furgoni che garantiscono la temperatura di cantina, perché, conclude Giuseppe Milazzo «il vino è materia viva e non si può trasportare in Sicilia o Calabria in un furgone a 40 gradi». Ora la sfida è quella di consolidare l’export. Al momento solo 15 bottiglie su cento varcano i confini e quindi «ci sono ampie prospettive di crescita — ammette il genero Saverio Lo Leggio che con la moglie Giuseppina gestiscono la cantina insieme con il fondatore — e partecipiamo alle fiere più importanti in Cina, Ame- rica e Canada, senza trascurare l’Europa dove oltre alla Francia vogliamo rafforzare la nostra presenza nel Benelux e nel Nord Europa». Lavorare sul terroir e sui vitigni autoctoni è una delle carte vincenti dell’azienda Milazzo. «La nostra forza è la tipicità — conclude Saverio Lo Leggio —. A parte lo Chardonnay che ci è servito negli anni per le nostre basi spumante non abbiamo mai fatto ricorso ad altre varietà internazionali. E lo abbiamo fatto fin dall’inizio quando tutti erano attratti dai vari Cabernet Sauvignon e Merlot. Il tempo ci ha dato ragione e oggi tutti inseguono le varietà autoctone. Uniche. E non replicabili in altre parti del mondo». E pensare che Giuseppe Milazzo tra uno sparo e un’esplosione di un tappo di bottiglia ha preferito il secondo. Che gioia! © RIPRODUZIONE RISERVATA IL PASSITO ABRAXAS A PANTELLERIA COOPERATIVA SETTESOLI E l’uva «riposa» distesa al sole Mosaico di vigne tra 2.300 «amici» di Fabrizio Carrera rossi, tre delle sette etichette complessive. E Bukkuram dove lo stenditoio fa bella mostra e nascono i due passiti. In tutto 140 mila bottiglie. Gioie e dolori. Gioie, quelle procurate dai tanti sodali che hanno aiutato la nascita di questa cantina come Attilio Scienza, Giacomo Tachis e Mario Fregoni, tre nomi che col vino si danno del tu come pochi. Dolori, come quello dello scorso dicembre quando in un attentato, i cui autori sono ancora sconosciuti, sono stati gettati via circa quattrocento ettolitri di vino delle ultime tre vendemmie. «Un fatto terribile. E ancora oggi aspetto risposta dalle autorità inquirenti per sapere chi è stato», dice con una punta di polemica Mannino. Ancora gioie, come quelle degli importatori giapponesi Shuji Stenditoio La terrazza dell’azienda Abraxas dove Shimizu e Hiro l’uva Zibibbo attende i raggi benefici del sole Okawa che hanno triconosciuti lungo il suo percorso plicato gli ordini dopo essersi inistituzionale. Mannino è stato ginocchiati, in segno di rispetto e parlamentare ma anche ministro di stupore, davanti all’uva stesa dell’Agricoltura negli anni 80. Og- al sole. «Pantelleria è sole, difficolgi a 74 anni si appassiona di sto- tà, vento e vini unici al mondo — ria e di filosofia, di Tocqueville e spiega Mannino — peccato che di Aristotele magari mentre ac- la viticoltura stia quasi scomparendo. Dai seimila e 500 ettari di compagna i suoi clienti giapponesi a guardare lo stenditoio dove cinquant’anni fa siamo passati ai in questo periodo l’uva prende il 600 di oggi». Mannino resiste. E sole per appassirsi. La storia di punta anche ai vini bianchi. Aromatici e avvolgenti. Come quel Abraxas comincia nel 1997. Oggi è una cantina che vedrà pre- Kuddia del Gallo, Zibibbo secco e Viognier, che il grande Luigi Vesto un importante ampliamento e che vanta 27 ettari di cui venti- ronelli definì nel 2002 «un alsaziatrè vitati in due delle zone più bel- no di Pantelleria». le: Mueggen dove nascono i vini © RIPRODUZIONE RISERVATA winelover lo sappiano. Per fare un grande passito di Pantelleria servono almeno 5-7 chili di uva. E forse, in annate in cui il tenore zuccherino è più basso del solito come in questa strana vendemmia 2013, anche nove. Tantissimo. Questo è il credo di un’azienda che dell’identità culturale di un territorio ha fatto il suo punto di forza. Come Abraxas, la cantina, il marchio, i vini, di Calogero Mannino. Vigneron per passione. Folgorato sulla via di Bacco per i tanti amici I Villa Santa Teresa Diagnostica per Immagini e Radioterapia S.r.l. e il Centro di Medicina Nucleare San Gaetano S.r.l. costituiscono un centro ambulatoriale sanitario accreditato con il Sistema Sanitario Regionale. Il gruppo si è sempre più specializzato nelle seguenti aree mediche: DIAGNOSTICA • RADIOTERAPIA • MEDICINA NUCLEARE diventando, negli ultimi anni, un punto di riferimento di assoluta rilevanza nell’erogazione di servizi sanitari tenuto conto anche del fatto che le prestazioni erogate si caratterizzano per un’elevata specialità e possono contare su un parco attrezzature elettromedicali moderno, tecnologicamente avanzato e continuamente aggiornato alla luce della progressiva evoluzione della tecnologia elettromedicale. VILLA SANTA TERESA DIAGNOSTICA PER IMMAGINI E RADIOTERAPIA S.R.L. Direttore Sanitario: Dott. Tommaso Angileri, medico specializzato in Radiologia, Radiodiagnostica e Scienze delle Immagini. Sede Legale: Via Ing. G. Bagnera n.14 - Bagheria AMBULATORIO DI RADIOTERAPIA Responsabile del Servizio di Radioterapia: Dott. Domenico Oliveri Aperto dal Lunedì al Venerdì dalle ore 8.00 alle ore 20.00. Sede Operativa: Via Ing. G. Bagnera n.14 - Bagheria Tel.091 960035; Fax 091 969650 AMBULATORIO DI DIAGNOSTICA PER IMMAGINI Responsabile del Servizio di Diagnostica per Immagini: Dott. Tommaso Angileri Aperto dal Lunedì al Venerdì dalle ore 7.00 alle ore 20.00. Sede Operativa: SS113 – km 246 - Bagheria Tel.091 92 92 111; Fax 091 92 92 728 CENTRO DI MEDICINA NUCLEARE SAN GAETANO S.r.l. Direttore Sanitario: Dott. Bartolomeo Candela, medico specializzato in Medicina Nucleare. Sede Legale :Via Ing. G. Bagnera n.14 - Bagheria AMBULATORIO DI RADIOTERAPIA Responsabile del Servizio di medicina Nucleare: Dott. Bartolomeo Candela Aperto dal Lunedì al Venerdì dalle ore 7.00 alle ore 17.30 Sede Operativa: Strada statale 113 al Km 246 (Ex Hotel A Zabara) Tel. 091 9292111 Fax 091 9292728. di Clara Minissale olline lambite da filari di di forza — afferma Vito Varvaro, ulivi, piccoli orti e giardi- Presidente di Cantine Settesoli, ni, vecchie cascine, case di cui Mandrarossa è il marchio rurali, contadini intenti a lavora- di punta — e il nostro obiettivo re la terra e greggi che pascola- è quello di massimizzare il valono intorno. Benvenuti a Menfi, re delle uve facendo conoscere i in provincia di Agrigento, dove vini Mandrarossa e il territorio la vite trova condizioni ideali di Menfi ad un pubblico sempre per la sua coltivazione e dove na- più vasto e sempre più internascono i vini Mandrarossa. Vini zionale». In questo territorio così vocato e di grande personalità, espressiovariegato, Mandrarossa ha così ne di territori particolarmente vocati, che sono il risultato della realizzato una intensa attività di cura estrema del vigneto da par- sperimentazione in vigna, che ha consentito di impiantare vitite di ogni singolo viticoltore, che è parte di una più grande comunità, quella di Settesoli, che conta 2.300 soci conferitori e una superficie vitata di 6 mila ettari. Il clima secco e i venti che arrivano dal mare — le fresche brezze in estate e lo scirocco in inverno — mitigano le tem- Vigna Agostino Alagna è uno dei anziani soci perature, rendendodella cooperativa Settesoli (2300 associati) le ideali per la viticolgni autoctoni, ma soprattutto intura. Il paesaggio è caratterizzato dalla compresenza di diffe- ternazionali, che qui si presentarenti microclimi, ideali per l’alle- no con un carattere distintivo e vamento delle diverse cultivar e delle eccellenti rese qualitative. da un mosaico di vigne, un sus- Così, a fianco dei più classici neseguirsi di piccoli vigneti curati ro d’avola e grecanico, si coltivacome gioielli di famiglia dall’an- no con risultati sorprendenti gli tica sapienza contadina, la cui internazionali merlot, syrah, cacultura qui è rimasta ancora in- bernet sauvignon, cabernet tatta. Una comunità sana, tipica- franc, chardonnay, ed i più spemente agricola, fondata su valo- rimentali viogner, fiano, sauviri e tradizioni autentiche, che si gnon blanc, chenin blanc, petit preservano immutate nel tem- verdot, alicante bouschet, che po, così come la bellezza incon- solo in questa parte della Sicilia taminata dei luoghi in cui vivo- trovano le condizioni ideali per la loro coltivazione. no. «La viticultura è il nostro punto © RIPRODUZIONE RISERVATA C Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 48 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Milena È in provincia di Caltanissetta, ma si chiamava Milocca. Nel 1933 divenne Littoria Nissena, quindi Milena che fu il nome della regina del Montenegro, madre della regina Elena. La cosa non interessò mai nessuno. Come il coraggio delle sue donne, contadine analfabete. Nel 1893, all’epoca delle lotte contadine, assaltarono la caserma dei reali carabinieri per liberare i loro uomini. Questi, però, timorosi delle conseguenze, erano restii a fuggire e non si mossero dalle loro fetide celle. Furono allora le donne a caricarseli sulle spalle portandoli via a forza. Poi, giunti i rinforzi, furono arrestate e condannate. Peccato che non si sappia in giro. L’enogastronomia LA PASTICCERIA DI BELPASSO Gli ingredienti di un dolce successo Condorelli: «Il grande territorio dell’Etna, le mandorle e i pistacchi ben dosati» di Fabrizio Carrera Export e fatturato «Bene il mercato interno, ma ora è il momento di pensare all’estero». I torroncini da soli rappresentano oltre il 50% del fatturato. Ogni anno la Condorelli lavora circa 500 tonnellate di mandorle e circa 200 quintali di pistacchi andorle e pistacchio. Sono tra i punti di forza di una Sicilia che in fatto di dolci ha pochissimi rivali. Naturale anche che uno dei nomi più importanti tra le aziende agroalimentari dell’Isola evochi subito qualcosa di dolce. E di qualità. È il caso di Condorelli, marchio di successo, quel made in Sicily che un po’ di mondo ci invidia. Intanto per un motivo fondamentale. La Condorelli è una sintesi ben riuscita di un prodotto artigianale che non disdegna le dinamiche industriali. Ecco le ragioni di questo successo attraverso il racconto di Giuseppe Condorelli, l’ottantenne titolare dell’azienda. La Condorelli nasce a Belpasso, in provincia di Catania. A poca distanza dalla cittadina di Bronte il cui nome è legato in modo indissolubile alla produzione di pistacchi, oggi a marchio Dop, tra i migliori al mondo. Poi le mandorle, che è una delle coltivazioni più diffuse in tutta la Sicilia Orientale con varietà uniche per qualità e versatilità. Tutto comincia da qui. Dal territorio. Poi arriva l’uomo. E in questo caso Francesco Condorelli, il papà dell’attuale titolare, che nel 1933, a 21 anni, decide di aprire una piccola pasticceria nel cuore di Belpasso, in corso Vittorio Emanuele III. Il resto è una storia di torroncini e altre leccornie che percorrono in lungo e in largo prima la Sicilia, poi il resto d’Italia e il mondo. L’azienda si espande nel dopoguerra e i torroncini diventano un prodotto che piace. Non ci sono segreti ma solo l’alta qualità della materia prima e la capacità di assemblare bene i prodotti perché per essere buono, rivela Giuseppe Condorelli, «è necessario dosare bene gli ingredienti. E allora il 50% è mandorla e solo meno del dieci per cento è pistacchio, tanto quanto basta a creare un sapore unico». Un anno di svolta per quest’azienda, che oggi vanta cinquanta dipendenti e si appresta ad aumentare la sua quota di export, è anche il 1983 quando Pippo Baudo, in un bel momento della sua straordinaria carriera, propone a Francesco Condorelli di diventare sponsor fisso per tutte le puntate di Domenica In sulla Rete Uno (si chiamava così allora) della Rai. «Mossa azzeccata. Il costo non fu indifferente — ricorda Giuseppe — ma il successo fu strepitoso. Proiettò il nostro marchio in una dimensione nazionale. La qualità del prodotto c’era e i consumatori apprezzarono». Ancora oggi la rigorosa selezione delle materie prime, le mandorle di provenienza mediterranea, il miele d’arancio TRE IDENTITÀ M Cucina-crocevia Dai Monsù al cibo di strada di Gaetano Basile A Distesa golosa Un vasto assortimento di dolci nello stabilimento catanese di Condorelli (foto Parrinello) molto profumato e i pistacchi siciliani, fanno il resto. E ancora oggi, a fronte di un numero enorme di prodotti dolciari — oltre 160 se annoveriamo le tante varianti proposte ai consumatori — i torroncini da soli rappresentano oltre il 50 per cento del fatturato. Ogni anno la Condore lli lavora circa 500 tonnellate di mandorle e circa 200 quintali di pistacchi. E di questi tempi il ritmo del lavoro cresce a dismisura perché incombono le feste natalizie, il momento più propizio. Tanto che l’azienda è obbligata a rinforzare i propri ranghi incrementando le unità lavorative. La voglia di crescere non si è comunque fermata. L’anno scorso l’azienda ha lanciato una nuova linea di tavolette di cioccolato per il canale «Guardiamo alle Americhe ma anche ai Paesi arabi. Il sogno? Aprire negozi monomarca sul territorio italiano» commerciale «normal», ovvero bar, pasticcerie e negozi gourmet. Un fondente al 50 per cento con arancia candita. E poi un’altra con mandorle pralinate, e un’altra ancora con cioccolato bianco e pistacchio verde di Bronte. E all’orizzonte c’è l’altra scommessa, quella di incrementare la quota di export. Spiega lo stesso Condorelli: «Anche noi sentiamo i morsi della crisi, come tutti coloro che si rivolgono a un mercato di nicchia. Oggi l’estero rappresenta meno del 10% del fatturato. Troppo poco. Stiamo cercando di consolidare l’Italia ma stiamo rivolgendo lo sguardo oltre il confine. All’estero si hanno molte soddisfazioni anche se devi spiegare bene un prodotto che spesso chiamano genericamente bon bon. Guardiamo alle Americhe ma anche ai Paesi arabi con i quali abbiamo qualcosa in comune. In fondo la cubaita, altro dolce storico siciliano, nasce con loro». E ancora: il sogno di aprire negozi monomarca sul territorio italiano. Torroncini e affini. Il futuro è dolce per Condorelli. glioso del riconoscimento — spiega — perché ho dimostrato che occorre premere sulla nostra offerta culturale per attrarre il turismo che conta e poi si sono rinsaldati i rapporti storici con Mosca». Dino Papale non ha guardato solo a Est. Lo scorso novembre è volato in Florida e ha favorito il gemellaggio con Sunny Isles Beach, una meta esclusiva. Un gemellaggio che ha ridato smalto all’immagine di Taormina negli Usa. Con buona pace di chi pensa che la cultura non produca reddito. con ingredienti poveri, spesso miserabili. Nacquero così i grandi piatti della cucina popolare: le sarde a beccafico, le sarde a linguata, la parmiciana (persiana) di melanzane, il falso magro, la caponata, la zucca rossa servita a mo’ di prezioso fegato. La pasta vide la luce attorno al X sec. a Trabia, a pochi chilometri da Palermo dove si creò il primo impianto per l’itria, lo spaghetto, fatto con la semola di grano duro... La carne non fu certo la specialità isolana: abbondarono i surrogati venduti per strada: frattaglie bollite o arrostite, oppure milza e polmone dentro una pagnottella fatta dagli ebrei per i cristiani. Ereditammo l’halal e il kasher di musulmani ed ebrei con le fisime sul maiale, crostacei e molluschi. Imparammo a usare lo zafferano per dare colore, odore e sapore ai piatti. Ma pure quella salsa economica fatta soffriggendo l’aglio nell’olio d’oliva, base di tanti piatti; e quelle miserabili polpettine dove era più il pangrattato che la carne. Non mancarono le dolcezze di gelati, paste di mandorle e di pistacchi, torroni, e tutti quei dolci con il sapore antico del miele. Antichi perché nati prima dell'arrivo dello zucchero. Imparammo a sognare. Il sogno dei poveri fu la vigna dietro la casa, quello dei nobili la vigna importante per dare lustro al casato. E così è ancora oggi. © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA Taormina, i russi «zar» del turismo di Alessio Ribaudo «C presenza di statunitensi (+22%) e russi (+35%) a sancire il ritorno della città del Minotauro fra le mete d’élite. Non a caso solo gli alberghi da 3 a 5 stelle hanno avuto un segnale positivo. I successi dell’estate 2013 però vengono da lontano perché questa «invasione», specialmente di russi e statunitensi, è figlia di alcune iniziative culturali che hanno rilanciato negli ultimi tempi l’immagine di Taormina. Come il premio «Taormina Media Award W.Goethe» riservato al migliore articolo sulla cittadina messinese pubblicato sui giornali di tutto il mon- Ad agosto, con il progetto cultura, +7% degli stranieri rispetto al 2012 Dalle sarde a beccafico al falso magro, ecco i piatti indimenticabili © RIPRODUZIONE RISERVATA BOOM DI PRESENZE INTERNAZIONALI i dispiace ma siamo al completo». Una frase ripetuta all’infinito come un mantra. Chiunque abbia provato quest’estate a trovare un albergo a Taormina, in provincia di Messina, ha ricevuto questa risposta al telefono. Un vero e proprio boom che ha riportato la perla dello Ionio ai fasti del passato quando il jet set internazionale era di casa nella cittadina siciliana e trascorreva le estati fra le rappresentazioni al Teatro antico e le trasgressioni notturne alla Giara. A dare conferma di questo sono i dati ufficiali. A luglio, si sono superate le 165mila presenze con un +4,58% rispetto allo stesso periodo del 2012. Analizzando i numeri emerge chiaramente il ritorno di fiamma del turismo internazionale. Sono stati oltre 116mila (+7%) gli stranieri a soggiornare, con punte significative di ucraini (+153%), norvegesi (67+%), brasiliani (+43%), argentini (+27%), australiani (+18%), tedeschi (+6%). Soprattutto è la metà strada tra Europa e Africa, la Sicilia fu crocevia obbligato, punto d’incontro e di scambi tra culture. Anche la cucina è giacimento culturale, frutto di mescolanza di genti, luogo di introspezione delle civiltà che si sono succedute. Viaggiare in questa cucina diventa una divertente e intrigante chiave di lettura delle società che l’usarono come sistema di comunicazione. Scrisse Claude Lévi-Strauss, il noto antropologo francese, che le abitudini alimentari sono il tratto più resistente di una cultura: si perdono più facilmente i codici linguistici che quelli alimentari. Sono poche le cucine che possono vantare la varietà e la ricchezza di quella siciliana. Esiste una cucina siciliana? In pratica ce ne sono tre. Quella patrizia o dei Monsù, quella popolare o di reinvenzione spiritosa e quella di strada o dei buffittieri. La cucina più antica è nata nel «Thermopolion» delle città greche di Sicilia, roba che si mangia ancora per le strade. Oltre duemila anni di civiltà da mangiare ancora con le mani. Più tardi, mentre i Monsù celebravano nei piani nobili dei Palazzi, cernie e sogliole, lepri e capponi, a quelli di sotto, abitanti di vicoli e vanelle, arrivavano gli odori o le descrizioni meravigliose fatte dalla servitù. Con fantasia e ingegno quei piatti furono reinventati Strategie Dino Papale (grandi eventi del Comune) e la serata animata di corso Umberto do. Oppure nel 2011 la premiazione del concorso letterario Italo-Russo «Raduga» a Taormina. Senza voler considerare la posa del busto dello zar Nicola II, nel giugno del 2012, nel giardino pubblico di Taormina alla presenza di autorità russe. Un evento ripreso da tutti i media moscoviti tanto da indurre il governo di Putin a conferire la massima onorificenza culturale al suo ideatore: l’avvocato Dino Papale che è esperto a titolo ai grandi eventi del Comune di Taormina («come riconoscimento al contributo dato ai rapporti fra il Sud Italia e la Russia»). «Sono orgo- Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 49 Nobiltà come Alliata. A Palermo dal XIV sec. con i titoli di principe di Villafranca, principe di Valguarnera, principe di Gravina, duca di Salaparuta, signore di Gangi, di Rosetti ed Erbebianche, di Vicarello, Artesinella, Canali e Mandra del Piano, barone di Buzzetta e Marcato del Fagotto, marchese di Santa Lucia, principe di Ucrìa, principe di Montereale, principe di Buccheri, principe di Castrorao, principe di Trecastagne, duca di Saponara, barone di Mastra, barone di Pedara, barone di Consorto, barone di Vicaretto, barone delli Sollazzi di Salomone, signore di onze 40 sopra i porti e le marine di Sicilia, barone di Santa Domenica, barone di Morbano ecc... FIASCONARO PASTICCERI ARTIGIANALI Il panettone che «parla» siciliano «Mandorle di Avola e pistacchi di Bronte. Così è cambiato il dolce milanese» di Alessio Ribaudo Tempo e qualità Il laboratorio di Castelbuono sforna un milione di pezzi e li esporta nei bar di tutto il mondo. «Per realizzare uno dei nostri prodotti impieghiamo ben tre giorni di lavoro, non diventeremo mai degli industriali» fornare un milione di panettoni artigianali in Sicilia e affermarsi nei migliori bar di tutto il mondo. A partire da quelli di Milano che è la patria del dolce natalizio per eccellenza. Detta così sembrerebbe un sogno o la vendita del ghiaccio agli esquimesi. Eppure la pasticceria Fiasconaro è riuscita a trasformare un sogno in realtà. Una realtà oggi solida che da Castelbuono, una cittadina medievale in provincia di Palermo, fa lievitare di anno in anno numeri e mercati esteri conquistati dando occupazione a cento dipendenti e un fatturato, lo scorso anno, di 10 milioni di euro. Ma guai a pronunciare la parola industria. «Siamo e restiamo pasticceri artigianali nel segno della continuità di mio nonno e mio padre che nel 1953 — spiega Nicola Fiasconaro, 49 anni, che con i fratelli Fausto e Martino continua la tradizione di famiglia — aprirono il primo piccolo bar. Dopo qualche anno si spostarono nella piazza principale dove sino a oggi ci sono i nostri negozi e un laboratorio. Papà Mario cominciò come gelatiere. Poi hanno iniziato con la pasticceria e il catering. Io ero affascinato dalla manualità dei nostri pasticceri e più che a studiare pensavo a giocare in laboratorio con la pasta sfoglia e il cioccolato». La passione di Nicola fu assecondata dal padre che in lui vide la terza generazione di pasticcere. «Mi lasciò andare a Messina a trovare mio zio don Fedele che era parroco di San Giuliano e davanti la sua Chiesa c’era una grande pasticceria — continua Fiasconaro — che aveva una cinquantina di lavoranti. Capii che era il mio mestiere e iniziai a frequentare i laboratori di tutta la mia isola, di Napoli, di Roma sino a Torino e Milano». Al Nord Italia arriva l’intuizione per la produzione dei panettoni che oggi hanno reso la pasticceria Fiasconaro fra le più apprezzate d’Italia. «Negli anni Ottanta ero andato a Chioggia Sottomarina, in provincia di Venezia, per seguire un corso all’Istituto superiore di Arti culinarie "Boscolo-Etoile" — prosegue — e per caso origliai in un’altra aula la lezione del maestro Teresio Busnelli sulle paste acide». Una folgorazione e la coraggiosa idea di creare il panettone born in Sicily . «Rientrato a Castelbuono spiegai a papà Mario che dovevamo produrlo anche noi — racconta — rivisitandolo con le materie prime siciliane dalle mandorle di Avola ai pistacchi di Bronte sino all’uvetta aromatizzata al Marsala... Fui preso per folle ma poi mi assecondò perché in fondo noi siciliani siamo abituati alle diversità culturali. Gre- S I FRATELLI FIANDACA Nel cuore di Palermo un ristorante da premio Ospitalità L’attrice Maria Grazia Cucinotta tra Giuseppe e Fabio Fiandaca U Qualità Nicola Fiasconaro, nel suo laboratorio di Castelbuono. Il pasticcere, 49 anni, continua la tradizione di famiglia con i fratelli Fausto e Martino. «Siamo e restiamo pasticceri artigianali nel segno della continuità di mio nonno e mio padre» ci, romani, arabi, normanni o i francesi e gli spagnoli hanno lasciato tracce anche nella cucina». Un lampo di genio che oggi si concretizza in un milione di panettoni sfornati per le tavole di tutti i continenti. «I miei sono artigianali e per farne uno impiego tre giorni di lavoro — dice — e io non diventerò mai un industriale. Spero che altri producano con le vere materie prime della nostra terra in modo rigoroso». Per questo è nato il «Distretto del dolce tipico siciliano». «Sono il coordinatore e credo che occorra immediatamente regolamentare le nostre tradizioni alimentari con disciplinari rigorosi studiati con le Università che — analizza Fiasconaro — proteggano i consumatori garantendo l’uso di prodotti locali certificati. Quelle leccornie si trovano sulle tavole di Papa Francesco, degli sceicchi del Qatar e di Bruce Springsteen Non si possono usare le mandorle o i pistacchi non locali e spacciare poi i dolci per prodotti della tradizione siciliana. Di questi non hanno neanche l’odore! Per vincere la sfida dei mercati bisogna fare sistema e studiare». Uno dei problemi per i pasticceri siciliani è che per diplomarsi devono lasciare l’isola. «Sogno di creare un’accademia scientifica di arti culinarie — afferma — tra le colline di Castelbuono dove farei insegnare i miei amici chef. Da Heinz Beck a Davide Oldani sino ai migliori pasticceri del mondo». È proprio lo studio e la professionalità che ha portato i dolci di Fiasconaro sulle tavole di Papa Francesco, degli sceicchi del Qatar o di cantanti come Bruce Springsteen. Per il Boss è stata riprodotta l’inseparabile chitarra Fender Telecaster utilizzando il cioccolato di Modica Igp. Fiasconaro però ha un sogno più grande rispetto alla gloria personale. «Vorrei che il Gattopardo non abitasse più in Sicilia — conclude — e che mio figlio Mario già bravo in laboratorio resti nella sua terra per tutta la vita». na cucina Mediterranea rivisitata, presentazioni curate, materia prima d’eccellenza. È anche grazie a questo biglietto da visita che Il Ghiottone Raffinato, ristorantino nel cuore del salotto palermitano, si è guadagnato quest’anno il «Premio Ospitalità italiana» di Unioncamere e Isnart con le Camere di Commercio italiane e quelle in rappresentanza all’estero. Un riconoscimento che premia le dedizione dei fratelli Giuseppe e Fabio Fiandaca, da qualche anno a capo anche di una società di catering in fase di ampliamento. I punti di forza della loro cucina stanno nella giusta mescolanza di forma e sostanza. «La prima digestione inizia nel piatto, ci dicono gli esperti — afferma Giuseppe — e noi, fedeli a questo principio, curiamo molto ogni aspetto di ciò che serviamo ai clienti». Dalle confetture auto prodotte, alle erbe aromatiche, dalla scelta degli agrumi alla valorizzazione di alcune pietanze popolari. Tra i piatti il risotto agli agrumi e scampi, diventato uno dei cavalli di battaglia, i busiati al ragù di pesce con pangrattato tostato aromatizzato alla vaniglia, la mousse di baccalà con confettura di Clementina piccante. Ma anche antipasti della tradizione, a la mode del Ghiottone, però, come «Antica Palermo», un piatto che in realtà ne assembla quattro: polpette di sarde con pomodoro e mentuccia, zucca in agrodolce, caponata di melanzane o di pesce e insalata di arance, finoc(c.m.) chi e aringhe © RIPRODUZIONE RISERVATA © RIPRODUZIONE RISERVATA IL RECUPERO DEL SUINO DEI NEBRODI Il prosciutto nero amato dal Principe di Peppe Aquaro prima vista potrebbe apparire come una nuova Arca di Noé. In Sicilia, sul Parco dei Nebrodi, culla della biodiversità della regione, esistono diverse razze autoctone di animali da preservare. Dalla capra Cinesana all’asino Pantesco, dal cavallo Sanfratellano al purosangue orientale. Esempi che si ritrovano solo qui, dove, far vivere allo stato brado l’animale, vuole dire «non stressarlo e nutrirlo con ciò che trova in natura», osserva Luigi Liotta, ricercatore del dipartimento di Scienza veterinaria dell’università di Messina. Liotta, seguendo le intuizioni del professor Luigi Chiofalo, ha focalizzato l’attenzione su una razza in particolare, il suino nero dei monti Nebrodi, già oggetto d’indagine nell’Ottocento. Perché Nicola Chicoli, prendendosi la briga, nel 1870, di individuare le razze di suino presenti nelle diverse province siciliane, aveva intuito che su questo picco- A lo suino si sarebbe potuto fare un ragionamento a parte sulla trasformabilità e la prelibatezza delle sue carni. Nel corso del tempo, la diminuzione delle zone boschive ha reso la vita difficile al suino nero. Occorreva dunque un ritorno al passato, oltre che una nuova consapevolezza scientifica. Nel 1987, nel simposio di Ajaccio dedicato ai suini mediterranei, si è tornati a parlare del «Nero» dei Nebrodi. «Da salvare, rimodellando intorno l’ecosistema originario e realizzando un registro anagrafico per ren- derlo un prodotto di eccellenza», ricorda il rappresentante dell’unità di Produzioni animali del dipartimento di scienze veterinarie. Un prodotto di eccellenza che oggi è sulle tavole del mondo intero sotto forma di prosciutto, ultimo step della filiera e trasformazione più celebre del suino nero. Settemila pezzi l’anno, stagionatura di venti mesi, per un prezzo che va dai 50 ai 60 euro al chilo. È infatti con numeri e qualità che si combatte la sfida del Consorzio di tutela del suino nero dei Nebrodi, sorto dieci anni fa, in collaborazione con «Negli ultimi anni si è scoperta l’importanza nutrizionale. Si punta alla certificazione doc» Territorio I suini neri allevati all’aperto; sopra, Luigi Liotta, ricercatore di Scienza a Messina; in basso, Cesarò l’università di Messina. Un riferimento per gli allevatori del posto, i quali sembrano aver ritrovato nel disciplinare un nuovo modo di fare impresa, grazie anche a un programma di sviluppo rurale europeo su un patrimonio da 110 allevamenti, 3.500 soggetti coinvolti e 800 scrofe. «Il nostro prosciutto è finito nel piatto del principe Carlo d’Inghilterra e in quello del console russo in Italia; l’attrice Maria Grazia Cucinotta, poi, ogni volta che viene a trovarci, se ne va via con una cesta-regalo di insaccati», ricorda Luisa, moglie di Agostino Sebastiani della macelleria La Paisanella, a Mirto, cuore dei Nebrodi. «Vent’anni fa, il suino nero non lo al- levava nessuno, considerandolo anti-economico; poi si è capita l’importanza nutrizionale dell’animale», dice Antonino Borrello, il quale, nel suo bosco, a Sinagra, alleva col metodo «plein air» le sue cinquanta scrofe, libere di procreare in modo naturale. «Le scrofe preferiscono sgravare all’interno di capannine in pietra, dette zimme, integrate col paesaggio circostante», spiega Liotta. Che, da buon studioso, sa bene quale sia il prossimo passo: la Denominazione d’origine controllata, «ricercando quelle molecole che rafforzino ancora di più il legame del suino nero con i Nebrodi». © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 50 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Tunnàra È il sistema architettonico subacqueo di reti che consente la cattura dei tonni. Non è certo la struttura costiera definita volgarmente tonnara. Quella si chiama bagghiu se è chiusa a difesa delle attrezzature oppure camparìa come luogo dove si lavorano le carni dei tonni. Con il termine duecentesco marfaràggiu s’indica il luogo dello scarico dei tonni e pure gli immobili adiacenti. La tonnara, è fatta da una serie di compartimenti comunicanti l’ultimo dei quali, detto camera della morte, consente, con il sollevamento della rete di fondo, la cattura dei tonni affioranti. Spettacolo sempre cruento la mattanza, con il mare che si tinge di sangue. L’enogastronomia ROSARIA, LE «ROSSE» DELL’ETNA Le arance siciliane sfidano il Marocco Ottimizzare il raccolto «Produciamo circa 28 milioni di chili di agrumi, ma non buttiamo nulla, perché quelle piccole diventano succhi di frutta» Pannitteri: «Puntiamo sull’alta qualità» di Simone Fanti rossa, succosa e italiana. È figlia della tradizione agricola siciliana e ha successo nei supermercati e ancor di più sul web dove da tre anni viene venduta. Il nome di battesimo è Rosaria, agrume di Sicilia da tre generazioni. «Se per un attimo fate mente locale vi accorgerete che in Italia sono solo cinque o sei i prodotti delle terra che hanno un nome — spiega Aurelio Pannitteri, titolare dell’omonima società che possiede il marchio di arance Rosaria —. Ci sono le mele Melinda del Trentino, le banane Chiquita... e da qualche anno anche le arance di Sicilia Rosaria. Non un agrume qualunque, ma il nome identifica una provenienza ed evoca la peculiarità di queste arance ovvero il loro colore rosso acceso figlio degli sbalzi di temperatura tra giorno e notte alle pendici dell’Etna». A favorire il successo di questo prodotto anche alcune ricerche scientifiche pubblicate su riviste internazionali che hanno dimostrato come siano presenti in grandi quantità alcune sostanze, come le antocia- È nine, che portano benefici alla salute. Oltre a potenziare l’effetto della vitamina C sul sistema immunitario, queste sostanze hanno un potere antiossidante che aiuta combattere gli effetti dell’invecchiamento. «Un plus — commenta Pannitteri — che ha riacceso l’interesse sui nostri prodotti rispetto a quelli provenienti da Spagna e dal Maghreb». Il frutto del lavoro di un gruppo di coltivatori che dal 2008 sono riuniti in un consorzio che porta a 1500 gli ettari della piana di Catania (tra Ecologico Aurelio Pannitteri, titolare dell’omonima società che possiede il marchio di arance Rosaria nel 2012 ha investito per attivare 7.400 metri quadri di pannelli fotovoltaici capaci di soddisfare la richiesta energetica LA RETE PRODUTTIVA Fare sistema non è solo uno slogan. Per i produttori di agrumi siciliani diventa un must per aggredire un mercato sempre più complesso. Mentre la produzione della stagione 2013-2014 torna ai livelli degli anni precedenti si ragiona sugli interventi da attuare per vincere la concorrenza. «Bisogna che i produttori si alleino per fare massa critica soprattutto nella commercializzazione del prodotto — spiega il vicepresidente nazionale di Confagricoltura, Salvatore Giardina — ed è necessario che si introducano varietà di arance capaci di resistere più tempo sulla pianta». (s.f.) Paternò e Scordia) coltivati. «I tempi sono molto cambiati da quando mio padre Giuseppe Pannitteri fondò questa impresa, e io e mio fratello Salvatore abbiamo provato ad allargare il business ad altri 40 produttori aiutandoli nella coltivazione, aggiornandoli sulle ultime tecnologie». Nel 2012 l’azienda di famiglia ha investito per attivare 7.400 metri quadri di pannelli fotovoltaici capaci di soddisfare la richieste energetica. «L’energia in eccesso la vendiamo — prosegue Pannitteri che si occupa del marketing e delle attività commerciali —. Qui non si butta via niente, produciamo circa 28 milioni di chili di arance che vogliamo vendere. Il nostro veicolo commerciale sono al 99% le grandi catene di distribuzione che però ci danno dei vincoli di pezzatura e dimensione della frutta. Così quella troppo piccola la indi- rizziamo alla trasformazione e alla spremitura producendo succhi di frutta con il brand Rosaria». L’istinto imprenditoriale della famiglia (stanno entrando in azienda i figli, la terza generazione), ha portato a scelte innovative. Come l’idea di vendere le arance via Internet. «Le campagne pubblicitarie ci hanno concesso una certa notorietà — conclude Aurelio — ma per vincere sul web è necessario che il prodotto sia di eccellente qualità. In quel mondo funziona il passaparola. In tre-quattro anni dal lancio del portale siamo passati da 8 mila a oltre 100 mila cassette da dieci chili acquistate via internet. E pensare che noi avevamo messo in piedi il commercio online per servire zone non raggiunte dalla grande distribuzione e ora ci troviamo a spedire le nostre arance all’estero». © RIPRODUZIONE RISERVATA IL FORMAGGIO RITROVATO IL PROGETTO «KHIRAT» Con la Tuma Persa cacio e meditazione Grazie al carrubo Menfi riscopre l’oro di Clara Minissale di Alessandro Luongo dai canoni di quelle casearie tradizionali — spiega Passalacqua — perché la Tuma Persa nasce praticamente nella stagionatura e, dopo essere stata messa in forma, viene «abbandonata» per 8/10 giorni, prima di intervenire per la prima volta, quando viene lavata in maniera grossolana la muffa creatasi. La forma è poi «riabbandonata» per altri 8/10 giorni prima di essere finalmente salata, dopo averla lavata e spazzolata molto accuratamente. Una forma, che pesa sette chili, deve stagionare otto mesi a cinque metri sotto terra in locali creati appositamente con conci di tufo alle pareti, prima di essere consumata». Questo formaggio dal sapore leggerRicordi Una vecchia immagine di una rivendita mente piccante ma mai salato, che ladi formaggi negli anni Cinquanta a Palermo scia in bocca un stronovo di Sicilia, in provin- marcato sentore di dolcezza, compatto ed equilibrato, procia di Agrigento, ha recuperato con pazienza e mestiere. Og- dotto esclusivamente da latte gi è lui l’unico a produrlo. È un delle vacche dei Monti Sicani, formaggio a pasta pressata ri- nell’agrigentino, ha incontrato cavato da latte vaccino, al qua- il gusto non solo dei consumale Passalacqua è giunto dopo tori di casa nostra, ma pure di americani e inglesi e di grandi anni di studi e sperimentazioni. Il risultato ottenuto è stato chef che lo usano spesso antalmente interessante da far che per mantecare paste o ripartire nel 2001 il progetto di sotti. Ma è anche un ottimo fine pasto, «un formaggio da merecupero di questa produzione e, parallelamente, anche ditazione», come ama definirl’interesse di Slow Food, che lo lo Passalacqua, il cui successo sul mercato è in costante asceinserito tra i suoi presidi. sa. «La tecnologia di produzione di questo formaggio esce fuori © RIPRODUZIONE RISERVATA n complesso ecosostenibile di otto appartamenti, con vista campagna e mare, inaugurato la scorsa primavera, che sarà ampliato di altre unità provviste di tetti verdi; una piscina naturale; l’accesso alla pista ciclabile Menfi-Porto Palo; un country sporting club; un’area ristorazione; ma, soprattutto, dolci e gastronomia dalla farina di carrubo. È il progetto cultural-imprenditoriale della società Khirat di Menfi (Agrigento), dei fratelli Napoli (Francesca, insegnante e imprenditrice; Ignazio, consulente in strategie aziendali; e Nicola, ispiratore del progetto, imprenditore e consulente gastronomico, fiduciario Slow Food del territorio). «Il termine Khirat è di origine araba e significa seme di carrubo», spiega Nicola Napoli. «Nella lingua italiana è tradotto con il termine di carato. Gli arabi avevano compreso che i semi del carrubo hanno un peso costante, 1/5 di grammo, e così li utilizzavano come unità di misura, in particolare per pesare gemme e i preziosi». L’albero, diffuso in tutto il Mediterraneo, con i suoi semi facili da recuperare rappresentava pertanto un’unità di misura, certificata dalla natura, che travalicava popoli, lingue e culture. «Per risalire al nome è stata compiuta una ricerca storica, eseguita in parte su materiale d’archivio della nostra famiglia, del nonno Nicolò, attento cronista. Ha lasciato varie annotazioni che hanno fatto riemergere una situazione socio-economica ormai sopita nella memoria degli abitanti di Menfi». Un viag- ersa perché la sua produzione era stata totalmente dimenticata. Persa perché il processo di lavorazione prevede una serie di passaggi in cui il formaggio viene abbandonato e poi ripreso. Persa in omaggio al vecchio nome che pare fosse tuma perduta. La Tuma Persa è un formaggio ricco di storia, il cui processo di produzione risale agli anni trenta del secolo scorso e che Salvatore Passalacqua, casaro per passione di Ca- P U gio a ritroso nel tempo, che ha mostrato che, sin dalla fine del ’700, nell’area in cui oggi sorge il Khirat, i declivi e parte della vallata erano ricchi di alberi di carrubo. Un arbusto sempreverde dall’apparato radicale possente, alto anche fino a dieci metri. «La popolazione menfitana — prosegue Nicola — era prettamente dedicata all’attività agricola e una porzione di questa economia, ma anche di sostentamento, era ricavata dai frutti del carrubo. Dai quali si ottiene una farina Macina Nicola Napoli conta di avviare nel 2014 il primo molino del carrubo utilizzata in cucina e impiegata come additivo di marmellate, cotognata, biscotti, per la preparazione di mostaccioli con vino cotto e addensante nei dolci. Altre volte era impiegata per la panificazione, la pasta e la nfigghiulata. Il piano di recupero del carrubo è partito nel 2006. Nel 2014 la famiglia Napoli conta anche di avviare il primo molino specifico per la macina del carrubo; un frantoio e un laboratorio per le elaborazioni gastronomiche. L’investimento globale previsto è di 15-16 milioni di euro. © RIPRODUZIONE RISERVATA Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - 51 Gaetano Basile Autore del Glossario siciliano di questo inserto, è palermitano doc, giornalista ed autore di testi teatrali, enogastronomo e narratore. Ha alle spalle un’intensa attività giornalistica televisiva come divulgatore di tutto ciò che è cultura siciliana. Ha scritto di Sicilia e di Palermo, di cucina e di cavalli, di Storia e storie. I suoi libri sono pubblicati da Dario Flaccovio Editore e da Edizioni Kalòs di Palermo. Ha diretto la rivista di etnoantropologia Il Pitré, collabora con numerose testate nazionali ed estere. IL CONSORZIO DI TUTELA Niente imitazioni il pomodorino è Igp Tecnica e gusto «I coltivatori della zona di Pachino hanno saputo sfruttare al meglio territorio e tecniche colturali per ottenere piante con pochi frutti molto saporiti» I prezzi bassi frastornano il consumatore di Clara Minissale una delle gemme di cui è ricca la Sicilia. Ha un colore brillante e un gusto inconfondibile. Ma diffidate dalle imitazioni. Perché il vero pomodoro di Pachino è solo quello a marchio Igp, Indicazione Geografica Protetta, tutelato e garantito dal Consorzio che, dal 2001, si batte per far conoscere il proprio prodotto e per difenderlo dalla concorrenza sleale di pomodori a basso costo provenienti da altri paesi dalle fascia mediterranea. Sotto il marchio del Consorzio, tutelate dal disciplinare del Pomodoro di Pachino IGP, sono classificate quattro diverse tipologie, tutte con caratteristiche differenti. C’è il tondo liscio, verde scuro, dal gusto deciso; quello a grappolo o snocciolato, verde o rosso; quello costoluto, di grandi dimensioni, dalle coste marcate, verde scuro brillante, che sostituisce il tondo insalataro nel periodo invernale e, infine, il ciliegino, forse il più conosciuto, caratteristico per l’aspetto «a ciliegia», con frutti tondi, piccoli, dal colore rosso acceso. «Una delle imprese titaniche del Consorzio È — spiega Paolo Meli, responsabile della Comunicazione — è stata ed è ancora quella di far capire ai consumatori che il pomodoro Pachino non è sinonimo di ciliegino. Ma che con questa definizione si identifica tutto il pomodoro prodotto nella nostra zona, circa 2 mila ettari nella provincia di Siracusa, nell’estrema punta sud orientale della Sicilia, con caratteristiche ben precise che ne determinano il gusto e le proprietà organolettiche». Ciò che fa la differenza, infatti, è il microclima nel quale il prodotto cresce. Semia- Lavorazione Selezione dei pomodorini ciliegini Igp Pachino secchi in una un’azienda specializzata in prodotti biologici che ha coniugato l’antica tradizione contadina siciliana e l’innovazione tecnologica I NUMERI Sono trentacinque le aziende associate nel Consorzio di tutela e la produzione di pomodoro a marchio degli associati (2012) arriva a 50 mila quintali. La percentuale di produzione a marchio rispetto l’intera produzione di pomodoro locale: 25% e l’estensione in ettari del comprensorio Igp Pachino è di 2.000 ettari di S.A.U. (Superficie Agricola Utilizzata). Il prezzo medio dal consumatore varia tra i cinque e i sei euro al chilo, mentre il prezzo pagato al produttore è tra un euro e un euro e cinquanta centesimi al chilo. rido, con precipitazioni inferiori rispetto ad altre zone della Sicilia, con il sole che splende tutto l’anno facendo di Pachino il comune più soleggiato d’Italia. «Questa combinazione tra luce, acque di falda salate e terreno fertile, dà prodotti estremamente dolci con il giusto grado di salinità, che possono essere consumati anche senza condimenti e che risultano eccellenti anche cotti — afferma Meli — e la differenza con altri pomodori è evidente. Inoltre, i coltivatori della zona hanno saputo sfruttare territorio e tecniche colturali per ottenere piante con pochi frutti molto saporiti». Oggi la produzione si attesta sui 50 mila quintali tra ciliegino e insalataro. Ma nonostante, negli anni, il pomodoro di Pachino si sia affermato ritagliandosi una sua nicchia di mercato, utilizzato anche da grandi chef, la crisi non lo ha risparmiato e oggi il Consorzio pensa ad un rilancio del comparto anche attraverso una politica di promozione del territorio. «Purtroppo il consumatore finale non ha molti strumenti per riconoscere il vero Pachino e cede alle lusinghe dei prezzi più bassi di un prodotto dalle caratteristiche ben diverse dal nostro, cosa che ci penalizza molto — sostiene il responsabile della Comunicazione del Consorzio —. Per questo abbiamo scelto di commercializzarlo in confezioni sigillate con il marchio del Consorzio ed è pressoché impossibile trovarlo sfuso sui banchi del mercato, perché la maggior parte dei produttori fa capo al Consorzio. Il nostro obiettivo — conclude — è quello di rilanciare il pomodoro attraverso il rilancio di Pachino come area dalla forte vocazione turistica, che può offrire ai visitatori spiagge, mare e sole, con il valore aggiunto dei prodotti di qualità». © RIPRODUZIONE RISERVATA L’AZIENDA DI ENRICO RUSSINO L’ASSOCIAZIONE DI CHEF E ALBERGATORI Le aromatiche da esportazione E il Grand Tour lo disegna Ulisse di Valentina Gravina di Maurizio Di Gregorio dei profumi più tipici della Sicilia: la satra (timo selvatico), la nepetella e il finocchietto selvatico indispensabili in cucina. «L’idea di puntare sugli aromi è nata per caso e in controtendenza rispetto alla vocazione ortofrutticola della zona», racconta il titolare Enrico Russino. «Volevamo creare qualcosa di nuovo ed era assurdo che proprio in Sicilia non ci fosse una sola azienda specializzata in piante aromatiche». Oggi la famiglia Russino punta anche all’incoming, invitando i clienti direttamente in azienda per offrire loro un percorso multisensoriale alla riscoperta di profumi, sapori e ricordi del passato. E così accade che una serra, in una collina affacciata sul mediterraneo, si trasformi in un Didattica Una scolaresca ascolta la lezione loft esclusivo per un del «prof» Russino «aromaperitivo» al sformati come nel paté di cappe- tramonto, in cui odori, colori, fori, ma anche in vaso per orti e od e fashion creano un’atmosfegarden design. Prodotti amati ra irripetibile. anche all’estero, come Stati Uni- Un’azienda con tale fervore non può non proiettarsi nel futuro. ti, Canada, Olanda e Germania, che fanno della Sicilia crocevia Concreta l’idea di occuparsi anche dell’estrazione di olii essennel mercato degli aromi. L’azienda negli anni si è trasfor- ziali per offrire percorsi benessemata in un luogo sensoriale ca- re ancora più completi, e di ampace di offrire un’esperienza oli- pliare la coltivazione di piante stica a 360 gradi, con percorsi ol- non endemiche, come quelle tropicali. Da 2 anni sono in corfattivi e didattici, degustazioni, corsi di cucina e cooking show. so, infatti, sperimentazioni per Si fa presto a dire «ravioli burro poter gustare mango, avocado, e salvia» finché non si scopre carambola, litchis e papaya rigoche esistono almeno 1200 tipi di- rosamente «made in Sicily». versi di pianta. Per non parlare © RIPRODUZIONE RISERVATA ristoranti soprattutto, da Mosca, oggi l’associazione ragquelli affidati ai giovani ta- gruppa ben trentuno ristoranti lenti a quelli con tanto di e venti hotel toccando in pratistelle Michelin da sfoggiare sul ca tutte le province siciliane. camiciotto bianco. E poi gli al- Ed infatti torna prepotente, berghi, quelli di charme che proprio per desiderio di La Rosanno coccolarti senza fronzo- sa che è il segretario de Le Soli ma con molta sostanza. Tutti ste di Ulisse, l’idea del Grand Tour Sicilia, quello che a partiinsieme. Un caso di individualismo collettivo. Scusate il pa- re dal ’700 portò in Sicilia fior radosso linguistico ma è la mi- di scrittori e filosofi da tutta Eugliore espressione per definire ropa attratti da un contesto, quello dell’Isola, unico al mon«Le Soste di Ulisse», l’associazione che raggruppa tra i mi- do. E poi quel nome, Ulisse, gliori ristoranti e hotel della Si- che forse dice tutto. Di diverso cilia. Tutti insieme chef, ristoratori e albergatori con lo sguardo benevolo e munifico di alcune tra le cantine più trendy dell’Isola. Da undici anni questo circuito virtuoso che ispira cose buone e relax lavora insieme nel nome della Stellato Pino Cuttaia nel suo ristorante la Sicilia. Ognuno Madia a Licata fa parte delle Soste di Ulisse non rinuncia a produrre nel proprio regno, che aggiunge l’attuale presidente sia una cucina o un albergo, dell’associazione Enrico Briguma poi insieme fanno rete, glio, patron di «Casa Grugno» stampano cataloghi da dare al- e «Duomo» a Taormina, c’è la clientela, partecipano alle che oltre alle bellezze naturali fiere del lusso, consigliano ai e culturali la Sicilia oggi può ofpropri avventori gli altri colle- frire ristoranti e hotel d’eccellenza. ghi del circuito e si scambiano informazioni e fornitori di ma- Nel nome di una regione che non finisce di stupire per ricteria prima. Nata undici anni fa per una fe- chezza di luoghi da vedere e lice intuizione di Giuseppe La cose buone da mangiare. L’elenco completo dei ristoranRosa, patron de «La Locanda di Don Serafino» di Ragusa ti e degli alberghi che fanno Ibla e dell’allora chef del «Muli- parte di questo circuito è sul sinazzo» di Villafrati Nino Gra- to www.lesostediulisse.it. ziano da alcuni anni ormai a © RIPRODUZIONE RISERVATA ndare per campi, riscoprire il profumo delle erbe, annusare il benessere della natura. Un sogno per molti ma un piacere per pochi. Da questa idea nasce a Scicli (Rg) l’azienda «gli Aromi» della famiglia Russino, fiore all’occhiello siciliano nel settore delle aromatiche, produttrice di erbe officinali e profumi commercializzati in tutto il mondo. Aromi come l’origano, la stevia, il basilico, sono disponibili in mazzetti freschi, essiccati o tra- A I Codice cliente: 2748686 52 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Lo sport IL PRIMATO DELLA PALLANUOTO FEMMINILE Quando le calottine dominano il mondo Ci vuole forza e abnegazione L’Orizzonte Catania nella sua storia, ormai trentennale, ha vinto tantissimo: 19 scudetti assoluti, 8 Coppe dei Campioni, 1 Supercoppa Malato: «Al top per anni, ora faccio la mamma» di Giovanni Tomasello a pallanuoto, sport eternamente amato nell’Isola dove le «calottine» hanno sempre ricambiato il calore dei siciliani mietendo successi a ripetizione. Gli uomini per prima e le donne più tardi, ma solo perché il primo campionato femminile si disputò nel 1985 quando nacque anche quel Dopolavoro ferroviario Catania che già l’anno successivo balzerà in serie A dove presto si chiamerà Orizzonte. Inizia così una leggenda dello sport. La società è fondata da Gino Pizzuto ed Enzo Aidolà con un drappello di ragazze dotate tecnicamente e animate da una straordinaria carica agonistica: Flavia Villa, Elena Bacchelli, Claudia Vinciguerra, Sabrina Barresi tanto per ricordare qualche campionessa di allora, ma soprattutto Giusi Malato, il simbolo dello strapotere della pallanuoto femminile siciliana in Italia e in Europa, forse la «calottina» più forte di tutti i tempi. L’Orizzonte nella sua storia ormai trentennale ha vinto tutto quello che c’è da vincere: 19 scudetti assoluti, 8 Coppe dei Campioni, 1 Supercoppa e ci fermiamo qui perché l’elen- L co delle altre conquiste «minori» sarebbe veramente troppo lungo. Attualmente vice campione d’Italia, il sette catanese si è rinnovato negli anni sfornando campionesse in rapida sequenza, ma nessuno ha finora emulato la sua capitana storica e per anni pure allenatrice Giusi Malato, medaglia d’oro alle Trascinatrice Sopra, Giusi Malato nelle vesti di allenatrice dell’Orizzonte Catania e, sotto, quando giocava Olimpiadi con la nazionale azzurra e vincitrice della «calottina d’oro» 2003, un riconoscimento che viene assegnato alla migliore atleta nel mondo. La campionessa catanese s’emoziona ancora oggi pensando a quei momenti e sembra impossibile che dopo tanti trionfi non faccia più parte dell’Orizzonte neanche come dirigente. «Trent’anni fa — confessa Malato — cominciammo quasi per scherzo, poi non ci fermò più nessuno e abbiamo anche permesso alle ragazzine di crescere e affermarsi perché la pallanuoto l’avevamo nel sangue. In fondo la pallanuoto è nata con noi. Non sono più nell’Orizzonte? I legami a volte si spezzano, anche quelli forti e c’è perfino poca riconoscenza. Adesso faccio comunque la «Cominciammo quasi per scherzo, poi non ci fermò più nessuno» mamma». Cosa ci si attende dalla pallanuoto siciliana? «Che anche gli uomini dopo la retrocessione dall’A1 dell’Ortigia Siracusa possano riconquistare subito la massina serie. Ci sono ben quattro squadre siciliane in A2 e bisogna insistere». E l’Orizzonte per la prima volta quest’anno non sarà il solo «sette» catanese in A1: a farle compagnia la neopromossa Blu Team che si è anche assicurata Emmuky Greenwood, classe 91, una forte universale statunitense proveniente dall’Ucla. A Catania c’è già la febbre della stracittadina e soprattutto la voglia di dominare anche in Europa. Nel settore maschile persa l’A1 per un soffio l’Ortigia si ritroverà in A2 con due catanesi «purosangue» — la storica Nuoto Catania e i Muri Antichi — la TeLiMar Palermo società forti fra l’altro un vivaio fiorente che fa sperare in un futuro più esaltante per i pallanotisti che vantano una lunga tradizione risalente agli anni Trenta quando già le sfide in piscine, spettacolari e seguitissime, esaltavano i siciliani facendo loro dimenticare gli atavici problemi dell’Isola. © RIPRODUZIONE RISERVATA LA SCHERMA ARTI MARZIALI L’isola di spade (da cento anni) Judo e karate: scuola di talenti B di Lorenzo Magrì Londra 2012 e ai Mondiali di Budapest 2013 dopo aver conquistato il bronzo individuale ai Mondiali di Catania 2011. A Catania, dopo i cicli aperti dall’indimenticabile Angelo Arcidiacono e da Mino Ferro, oro e bronzo ai Giochi di Los Angeles, la tradizione continua e, così, nel 2011 è arrivato l’oro iridato di Paolo Pizzo nella spada, mentre in azzurro svettano ormai in maniera stabile gli acesi Enrico e Daniele Garozzo e Marco Fichera e le due spadiste etnee Rossella Fiamingo e Alberta Santuccio. Ma la vivace scuola schermistica siciliana si arricchisce anche grazie a numerosi giovanissimi talenti che svettano nei vari tornei e che hanno già vestito l’azzurro in manifestazioni internazionali come l'etneo Giacomo Top Giorgio Avola, 23 anni, ha vinto l’oro nel Scalzo e l’acese Gafioretto a squadre ai Giochi di Londra 2012 briele Risicato, mentre anche a livello master contigento nel fioretto. E la tradizione continua ancora nua a fare bene Mino Ferro che, con successo a Catania e nella oltre a portare punti nel torneo sua provincia e, da qualche an- di Serie A con il Cus Catania, no, anche a Modica, la cittadina svetta nelle gare internazionali amatori. E oltre al Cus Catania ragusana patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, dove, grazie che ha avuto in azzurro un nutrianche a Giorgio Scarso, attuale to numero di azzurri, in Sicilia riflettori sono puntati anche sul presidente della Federscherma (modicano doc), continuano a Club Scherma Acireale, la Conad Scherma Modica e il Mare venire fuori grandi campioni. Fra questi spicca Giorgio Avola, Azzurro Acireale. E così, spada, 23 anni, che ha iniziato a calca- fioretto e sciabola continuano a re le pedane proprio con il mae- regalare grandi soddisfazioni alstro Scarso. Avola, fiorettista az- la Sicilia e all’intero movimento zurro di razza, ha vinto l’oro nel azzurro. fioretto a squadre ai Giochi di © RIPRODUZIONE RISERVATA elle trenta edizioni dei Giochi Olimpici fino ad ora disputati, la Sicilia ha vinto 37 medaglie (7 ori, 10 argenti e 19 bronzi) e ben 13 (8 ori, 3 argenti e 5 bronzi) sono arrivate dalla scherma. Nell’isola esiste, infatti, da sempre una grande scuola schermistica, una tradizione che ha antiche radici, basti pensare che la prima medaglia siciliana ai Giochi arrivò alle Olimpiadi di Stoccolma nel 1912 e porta la firma del palermitano Pietro Speciale, ar- N en settecento società e siracusano Luigi Busà, leader nel kumite a livello internaziooltre 10 mila i tesserati. Ecco in Sicilia i numeri nale. delle arti marziali, la discipli- Nello judo la Sicilia può conna sportiva che raccoglie lot- tare sul giovane più interesta, judo e karate in una unica sante del panorama internafederazione, la Fijlkam, e che zionale, il messinese Elios è il fiore all’occhiello dello Manzi, 17 anni, allievo di Corrado Bongiorno, capace di sport isolano. Un primato non solo per il nu- vincere il titolo europeo nella categoria 55 kg e conquistare mero di atleti alle Olimpiadi (sono stati 15 nella storia con l’argento ai Mondiali e sul Catania e Palermo leader) suo compagno di allenamenma per i successi in campo in- ti Angelo Pantano, oro agli Europei cadetti nella categoria ternazionale che confermano come queste discipline siano 50 kg. Sono questi due ragazzi mescosì radicate profondamente sul territorio. Nella lotta le sinesi, insieme ai catanesi Anscuole di Catania e Palermo continuano a sfornare talenti e, oltre ai successi a livello assoluto con Daniele Ficara, campione italiano nella categoria 120 kg, che nel 2012 ha sfiorato la convocazione olimpica che manca alla Fijlkam sici- Finanziere Il karateka palermitano Luca liana dal 2004, gio- Valdesi (28 anni) è campione del mondo vani emergenti come Andrea Sorbello e Salvo gelo Lanzafame, Mario StrazMannino, affiancati dal paler- zeri e Luca La Fauci il futuro mitano Carmelo Lumia, conti- dello judo siciliano che adesnuano a dominare la scena so, oltre alle scuole di Catania nazionale e non solo. e Messina, vede affermarsi alIl karate non è specialità olim- tre realtà nella provincia di pica, ma c’è un palermitano, Ragusa, con Scicli in primo Luca Valdesi (28 anni ispettopiano. re della Guardia di finanza) A conferma della bontà della che non conosce rivali a livello internazionale e, anche scuola siciliana di arti marziaquest’anno, è arrivato sul tet- li, la Fijlkam ha istituito a Catania un centro federale diretto del Mondo. Parte della gloria la divide col to con successo dall’ex olimpionico di lotta, Salvo Campapadre, suo unico maestro, (l.m.) che lo segue da quando ave- nella. va otto anni. Lo ha imitato il © RIPRODUZIONE RISERVATA Codice cliente: 2748686 Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - Inaugurazione A sinistra, il taglio del nastro dell’impianto Torre del Grifo, la casa dei rossazzurri. Costato 60 milioni di euro oggi vale più del doppio, ed è all’avanguardia in Europa: una struttura aperta al pubblico con piscine, palestre, parrucchiere, wellness e bar. Quattromila i soci 53 Indotto Da quando il Palermo ha perso la serie A quello che ruota attorno ai weekend del pallone ha subito una flessione: alberghi, bar, ristoranti, taxi segnano un meno 40%. Un hotel di lusso dove andavano in ritiro le 5 o 6 squadre più blasonate lamentava mancati incassi per centinaia di migliaia di euro LA CRESCITA CHE IL CALCIO HA PORTATO ALLE DUE CITTÀ econdo un vecchio ragionamento sociologico, il livello di una squadra di calcio esprime e sintetizza il grado di evoluzione del suo territorio. Non sempre questo racconta tutta la verità e anzi quello che l’esperienza siciliana ci spiega è semmai il contrario. Laddove la realtà sportiva ha anticipato i tempi, andando quindi oltre i limiti della sua città, può aiutare a crescere ed evolversi l’intero universo urbano che gli gira intorno. Del resto se prendiamo Palermo e Catania che più o meno da un decennio abitano o abitavano nel massimo palcoscenico del calcio italiano, è facile capire che i due capoluoghi isolani, per qualità della vita, non sono certo da serie A, come del resto ci dicono tutte le classifica di vivibilità. Però la squadra rosanero e quella rossazzurra hanno dato una mano alle loro città che in tutto questo tempo sono migliorate e cresciute. Per capire meglio il fenomeno, entriamo proprio dentro il derby, la sfida per antonomasia della Sicilia calcistica. Il primo anno che le due squadre si sono affrontate in serie A, il Cibali fu teatro della più brutta pagina dello sport siciliano: gli incidenti fuori dallo stadio che portarono alla morte dell’ispettore di Polizia, Filippo Raciti. Per mesi, anzi anni, l’intera città fu vista di malanimo, la squadra mal S Catania e Palermo come pensare da serie A di Francesco Caruso sopportata e fu quasi un miracolo se alla fine di quella stagione completata lontana dal proprio stadio (giustamente squalificato) il Catania — quarto in classifica al momento del derby — riuscì ad evitare la retrocessione. Da allora molto è cambiato, ma sono stati necessari diversi anni e molti derby interdetti alla tifoseria ospite prima di tornare alla normalità. E comunque quella lezione — sebbene pagata ad un prezzo spropositato — è servita. Oggi le Curve dei 2 principali stadi siciliani non sono più quell’inestricabile groviglio di turbolenza che erano. Merito anche delle due società, capaci di educare senza mai porgere il fianco alla violenza. Il Palermo del friulano Zamparini è retrocesso quest’anno dopo 9 anni filati di A, il Catania del catanese Pulvirenti è all’ottava stagione consecutiva nella massima serie e un altro lascito della prolungata presenza nel campionato maggiore è che entrambi hanno saputo creare un’indipendenza da tifo. Ovvero i 2 capoluoghi di una regione storicamente abituata a soggiacere alla dominazione di tutti, si sono liberati dall’assedio dei grandi club. Se fino a qualche anno addietro i ragazzini che giocavano a pallone erano soliti indossare le maglie di Juve, Inter e Milan, oggi non è più così: girando per oratori e strade di Palermo e Catania vedrete solo rosanero e rossazzurro. Ma non solo per questo sarebbe necessario che Palermo tornasse al più presto nel campionato maggiore e che Catania ci restasse: d’accordo tener vivo l’entusiasmo e la passione delle generazioni più giovani, ma è anche importante continuare ad alimentare quel circolo virtuoso che il calcio dei massimi sistemi tiene vivo. Ad esempio l’indotto che ruota attorno ai weekend del pallone: alberghi, bar, ristoranti, taxi. Ci diceva qualche giorno addietro un tassista di vecchia conoscenza che la retrocessione del Palermo ha ri- dotto del 30-40 per cento i suoi introiti. Il direttore di un hotel di lusso dove andavano in ritiro le 5 o 6 squadre più blasonate lamentava mancati incassi per centinaia di migliaia di euro a causa dell’inevitabile defezione. Ecco cosa vuol dire perdere la serie A. E però il risvolto più importante è quello delle strutture sportive. In questo senso Palermo non ha ereditato ancora nulla, da anni Zamparini si batte per la realizzazione del nuovo stadio ma dell’ambizioso progetto per ora sono rimaste solo chiacchiere e il video di un bellissimo progetto virtuale, l’unica costruzione che è stata consentita al presidente rosanero è la Conca d’Oro, un centro commerciale nel quartiere dello Zen. Diversamente a Catania la serie A ha già prodotto una perla: Torre del Grifo, centro sportivo polivalente che non è solo la casa del club rossazzurro (4 campi di calcio con tribune, di cui 2 in erba sintetica, spogliatoi, ristoranti, sala benessere, reparto di medicina riabilitativa, club house, albergo) ma anche una struttura aperta al pubblico (piscine, palestre, parrucchiere, wellness, bar eccetera). Un impianto costato 60 milioni di euro che oggi vale più del doppio, all’avanguardia in Europa e che fa leva su 4 mila soci. Nessun gol potrebbe valere di più. © RIPRODUZIONE RISERVATA PALERMO - Via Salvatore Vigo, 3 (angolo via Principe di Belmonte) Info e Prenotazioni: Tel. 0912514744 - Cell. 3357676349 - Cell. 3486893955 www.ilghiottoneraffinato.it Codice cliente: 2748686 Codice cliente: 2748686 54 - Venerdì 27 Settembre 2013 - Corriere della Sera - Italie/Sicilia Italie/Sicilia - Corriere della Sera - Venerdì 27 Settembre 2013 - L’ultima parola 55 Nato a Palermo nel 1959, Roberto Andò (foto) ha firmato opere cinematografiche e teatrali. Ha studiato filosofia e ha collaborato, agli inizi, con registi come Francesco Rosi e Federico Fellini. Tra i film che ha diretto, ricordiamo «Il manoscritto del Principe» (in cui narra le ultime fasi della vita di Giuseppe Tomasi di Lampedusa), «Viaggio segreto» (2006) liberamente tratto dal romanzo «Ricostruzioni» di Josephine Hart. Nel 2013 ha firmato «Viva la libertà», con Toni Servillo, tratto dal romanzo dello stesso Andò «Trono Vuoto», edito da Bompiani. Con questa pellicola, un racconto di potere e vita personale di un politico, Andò ha vinto diversi premi, tra cui il «Sergio Leone» al Festival di Annecy e L’Efebo d’Oro di Agrigento. Voce tra teatro e cinema d’autore DA LEGGERE Un legal thriller rurale nelle terre di Siracusa La mattina del 6 ottobre 1954, le campagne di Avola (Siracusa) si tingono di giallo: scompare Paolo Gallo, mezzadro che aveva portato le bestie al pascolo. Inizia così «Giallo d’Avola», di Paolo Di Stefano, un legal thriller in terra contadina che ha vinto Premio letterario Viareggio-Rèpaci 2013. Paolo Di Stefano, «Giallo d’Avola», pp. 340, Sellerio L’epoca di Pirandello per immagini e ricordi ROBERTO ANDÒ «Molte parole, pochi fatti Nostra forza (e debolezza)» Il regista palermitano: «Alla concretezza preferiamo la letteratura» di Roberta Scorranese Ogni cosa è metafora «Qui ogni rivoluzione ha il retrogusto di una finzione. Ma non per malafede: perché viene percepita così, poco concreta e molto teatrale, simbolica» a grande debolezza della Sicilia? Surrogare il fare con il dire. La grande forza della Sicilia? Surrogare il fare con il dire. Non è una contraddizione: è una strada senza uscita». Roberto Andò, 54 anni, uno dei registi più interessanti degli ultimi tempi, fresco vincitore dell’Efebo d’Oro di Agrigento con «Viva la libertà!» — racconto di paura e potere con Toni Servillo. Siciliano di Palermo, raffinatissimo conoscitore della cultura sicula, già amico di Sciascia e studioso di Tomasi di Lampedusa. Intriso di quel sapere antico e forbito, profondo e votato alla continua autocoscienza. «Ecco perché dico che il surrogare il fare con il dire è al tempo stesso la nostra forza e la nostra debolezza — continua Andò —. Debolezza perché questa tendenza a dire, parlare, argomentare, difficilmente ci fa trasformare le cose in progetti concreti; forza perché è da qui che nasce una straordinaria tradizione letteraria e teatrale; è da qui hanno origine Pirandello, Consolo, Sciascia, Bufalino e Camilleri». Non è casuale che le radici culturali di Andò siano letterarie, prima ancora che teatrali e cinematografiche: la collaborazione con Sciascia, il passaggio alla sceneggiatura, il rapporto (che lui considera molto importante) con Francesco Rosi, la messa in scena di una favola filosofica scritta da Italo Calvino. E, in quella immaginaria lotta tra «vittoriniani» e «gattopardiani», lui sta con il Gattopardo, almeno d’istinto. «Ci riferiamo — sorride — a quando Elio Vittorini, negli anni d’oro della Einaudi, "rifiutò" Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa (per la verità, lo consigliò alla Mondadori, ndr) definendolo, in una lettera, "vecchiotto". Bene, ma oggi il romanzo di Tomasi di Lampedusa continua a essere un long seller , mentre i libri di Vittorini, anche se bellissimi, sono letti da un numero di persone certamente inferiore». La Sicilia, dunque, è quella nostalgica e vetero-aristocratica del principe Salina e non quella metaforica di Uomini e no? «Nella sua intuizione di un mondo che si muove restando immobile — spiega «L ItalieSicilia Supplemento della testata 4 del 27 settembre 2013 — credo che Tomasi di Lampedusa abbia intuito il vero carattere dei siciliani, rivestendo i suoi personaggi di una modernità unica, capace di scavalcare tutte le avanguardie. Perché noi siamo così: abbiamo bisogno di parlare, spiegare, scavare, raccontare. Così facendo, non agiamo. Andate a vedere Via Castellana Bandiera , il film di Emma Dante. La storia di due auto che si incrociano in una viuzza e che, per decidere quale delle due debba fermarsi per far passare l’altra, ingaggiano una specie di duello western. Ecco, noi siamo questi». Il suo «Viva la libertà!» è un film tratto da un romanzo dello stesso Andò, Il trono vuoto (Bompiani, Premio Campiello Opera prima 2012), in cui il tema del doppio raggiunge un raffinato parossismo pirandelliano: il segretario del principale partito di opposizione, contestato dalla base, decide di «sparire» e il suo posto viene preso dal fratello, somigliante a lui nell’aspetto ma molto più brillante e fantasioso, nonostante abbia delle turbe psichiche. «Ecco — dice ancora il regista — noi siciliani siamo affetti da un individualismo di fondo che ci porta a essere unici nelle personalità, ma incapaci di trovare una forma comune, una chiave di lettura univoca. Altro elemento letterario, importante nel produrre cultura, ma un freno nel passaggio all’azione. E sapete un’altra cosa? Quando osservo il giusto comportamento di politici e uomini delle istituzio- ‘‘ Ci vorrebbe una forte volontà ad agire, qualcosa che trasformasse i progetti in azione. Ecco, io dico: facciamolo! Direttore: FERRUCCIO DE BORTOLI Condirettore: LUCIANO FONTANA Vicedirettori: ANTONIO MACALUSO DANIELE MANCA GIANGIACOMO SCHIAVI BARBARA STEFANELLI ni, che dichiarano guerra alla mafia o che, lodevolmente, si mettono in gioco per un reale rinnovamento, da una parte mi sento sollevato e felice, ma dall’altra resta sempre un’ombra. Un dubbio: qui ogni rivoluzione ha il retrogusto di una finzione. Ma non per malafede: perché viene percepita così, poco concreta e molto teatrale, simbolica. La Sicilia è una grande, infinita, bellissima metafora». Andò però non rinuncia ad un ottimismo che si concilia con le numerose, recenti ondate di rinnovamento politico ed istituzionale sull’isola. Ma al tempo stesso auspica una volontà politica forte e coesa, che non si fermi ai proclami. «Quando vedo i giovani impegnati in azioni forti di protesta — spiega — sono molto felice e fiducioso. Penso al movimento attorno a Addiopizzo. O alla cosiddetta Protesta dei lenzuoli bianchi. Ma poi mi chiedo: dove vanno se non sono sorretti da un’azione politica adeguata? Dove vanno se la politica non li aiuta con iniziative concrete, dando un senso alla teatralità delle loro azioni? Noi siciliani abbiamo una grande risorsa che è l’istintiva capacità di pensare in grande. Basti guardare alla nostra storia: tante volte abbiamo immaginato cose apparentemente impossibili e le abbiamo realizzate. Ci vorrebbe una forte volontà ad agire, qualcosa che trasformasse i progetti in concretezza. Facciamolo!». Pochi i suoi film dedicati strettamente alla Sicilia, ma Andò anticipa un progetto: «Mi piacerebbe raccontare la straordinaria avventura del giornale L’Ora di Palermo. Storie di persone che hanno avuto il coraggio, per la prima volta, di usare la parola "mafia"; che hanno imbastito un progetto quello sì rivoluzionario, con l’autentico desiderio di cambiamento. La Sicilia ha bisogno di queste svolte, ha bisogno di parole che si trasformino in fatti, di cose che mutino davvero. Lo realizzerò? Non so, di certo ci sto pensando da tempo e vorrei che questo diventasse il mio vero racconto siciliano». © RIPRODUZIONE RISERVATA Art director: Gianluigi Colin In redazione: Alessandro Cannavò (caporedattore) Maria Luisa Villa (caporedattore) Enzo d’Errico (vicecaporedattore) Maurizio Di Gregorio, Carla Mondino (grafico), Marcello Parilli, Roberta Scorranese Marco Vinelli Nell’album fotografico «I Pirandello. La famiglia e l’epoca» sfila il tempo del grande autore Premio Nobel per la Letteratura 1934. Un racconto per immagini che restituisce, come dietro un vetro, la fotografia nitida di un’epoca. Nella vita dello scrittore si legge un secolo. Sarah Zappulla Muscarà e Enzo Zappulla, «I Pirandello», pp. 230, La Cantinella Il viaggio sentimentale di uno scrittore (a sud) Un viaggio sentimentale, quello che Giuseppe Culicchia compie, in «Sicilia, o cara». I ricordi dell’infanzia, il ritorno in luoghi che hanno ormai il sapore di un tempo andato. Palermo, Trapani e le carezze degli zii, il dialetto e i dolci. Un’isola da ritrovare nelle parole e nelle sensazioni che furono bambine. Giuseppe Culicchia, «Sicilia, o cara», pp. 134, Feltrinelli Il destino dell’uomo chiuso in un ritratto Tutto parte da un ritratto, l’affascinante ed enigmatico uomo vestito di nero di Antonello da Messina (foto: un dettaglio). Attorno a esso ruotano le vicende del Risorgimento siciliano, tra Lipari e Palermo, Messina e Cefalù, luoghi specchio della condizione dell’uomo. Vincenzo Consolo «Il sorriso dell’ignoto marinaio» pp. 175, Mondadori Un uomo di successo ma dal passato oscuro Sari De Luca è un cinquantenne di successo, alla guida del più importante gruppo editoriale italiano. Ma le sue radici siciliane lo inseguiranno fino a Milano, dove ha costruito la sua vita. In «Un uomo molto cattivo», Giuseppe Di Piazza ritrae una Sicilia «trapiantata» al Nord. Giuseppe Di Piazza, «Un uomo molto cattivo», pp. 288, Bompiani © 2013 RCS MEDIAGROUP S.P.A. 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