11. 6.2005 - La voce del popolo
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11. 6.2005 - La voce del popolo
Rotta verso la Dalmazia Krsto Babić a pagina 8 DEL POPOLO IL PROLOGO di Dario Saftich Dopo l’Istria il mercato immobiliare è in fibrillazione anche in Dalmazia. I prezzi hanno raggiunto ormai livelli da capogiro soprattutto a Ragusa (Dubrovnik), la Perla dell’Adriatico. Nel centro storico gli abitanti autoctoni tendono sempre di più a diventare una minoranza. Pur di migliorare il loro tenore di vita e lo standard abitativo molti ragusei infatti vendono, a peso d’oro naturalmente, i vecchi appartamenti situati entro l’antica cinta muraria e costruiscono case confortevoli in periferia. In tal modo il nucleo urbano tende a spopolarsi e a divenire, in particolare d’inverno, un luogo spettrale come tanti villaggi vacanza spuntati come funghi dopo la pioggia in una miriade di zone costiere del Mediterraneo, a iniziare dalla Spagna. Ma questo è a quanto pare il prezzo da pagare al progresso. Questo spopolamento nella bassa stagione ha anche l’altra faccia della medaglia, in quanto d’estate la situazione cambia e nel perimetro delle possenti fortificazioni medievali la vita “esplode”; la cittadinanza diventa multietnica e multiculturale come ai bei tempi quando la Repubblica di San Biagio era ai suoi massimi fulgori. Gli stranieri apprezzano, eccome, l’atmosfera romantica delle vecchie abitazioni, le rimettono a nuovo investendo fior di quattrini e trasformano delle stamberghe, destinate altrimenti al degrado giacché i proprietari locali non hanno i soldi per restaurarle, in piccoli angoli di paradiso. Ragusa a parte, l’esplosione dei prezzi delle case in Dalmazia, a iniziare dall’area di Zara, è dovuta soprattutto negli ultimi tempi all’ultimazione della “Dalmatina”, l’autostrada che collega la regione alla capitale e più in là alla Mitte- leuropa. Quest’autostrada che lambisce Zara, Sebenico e Spalato e che negli anni a venire dovrebbe proseguire alla volta di Ragusa sta attuando in Dalmazia una sorta di rivoluzione copernicana. Destinazioni turistiche che una volta sembravano lontanissime ora sono raggiungibili comodamente. E quando verrà realizzata la bretella dalla “Dalmatina” alla rete viaria dell’entroterra quarnerino anche i collegamenti con l’Italia diverranno più agevoli e veloci. La corsa al mattone ha anche i suoi risvolti negativi, dovuti al fenomeno della cementificazione selvaggia. Dopo la campagna avviata l’anno scorso dalla “lady di ferro”, ovvero dal ministro dell’Ambiente Marina Matulović Dropulić, con- ce vo /la .hr dit w.e ww Mercato immobiliare dalle mille e una notte dalmazia tro i casermoni che stanno deturpando la coAn sta, ora sembra che la no I•n battaglia all’abusivismo 05 .4•S stia segnando il passo. D’alabato, 11 giugno 20 tronde frenare la marcia dei palazsciarsi zinari d’assalto è tutt’altro che facile. Se cullare dal si vuole evitare che la Dalmazia divenga flusso della memoria. Un po’ come pure una destinazione anonima, simile a lo scrittore italiano di origine spalatitante altre e megari senza gli stessi servizi na Enzo Bettiza. I suoi ricordi plasmae le stesse comodità, la battaglia contro la ti nel libro “Esilio” e ora nel suo nuovo cementificazione va combattuta e vinta. romanzo intitolato “Il libro perduto” ci Prima che sia troppo tardi. fanno riandare però a un’altra DalmaIn caso contrario quelli che vorranno zia non solo non investita da colate di ceparlare ancora della Dalmazia come dei mento, ma anche non deturpata nelle sue tropici alle porte di casa, non potranno caratteristiche culturali e linguistiche più fare altro che struggersi nei ricordi, lagenuine. Autoctone per l’appunto! 2 dalmazia Sabato, 11 giugno 2005 ESULI Mario de’ Vidovich, uno dei «padri» del Comitato d’assistenza ai profughi La fierezza delle origini nell’impegno di una vita ZARA – “Mi chiamo Mario de’ Vidovich e sono nato a Zara il 12 luglio di 92 anni fa”. Lo abbiamo incontrato, questo signore sempre sorridente e cordiale, al cinquantesimo Raduno dei dalmati, circondato dal rispetto dovuto ai protagonisti della storia. Sì perché Mario de’ Vidovich è stato testimone della nascita del Comitato d’assistenza ai profughi dal quale prese poi l’avvio l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia: un “padre” insomma. Ma il suo è anche un racconto di vita con la presenza, forte, della Dalmazia e, un pizzico d’orgoglio, per un’esistenza all’insegna dell’impegno civile e sociale. “I miei genitori erano italiani, nativi di Sebenico, - così risponde al nostro invito di parlare delle sue origini - metto in evidenza il fatto che fossero italiani perché nei loro documenti, - quand’ero ragazzo avevo consultato in particolare quelli di mio padre e la cosa mi aveva incuriosito - , era chiara- EVENTI Dalmati del Montenegro a Venezia Ricordata l’impresa di Alvise Viscovich VENEZIA - Si è svolta la domenica dell’Ascensione a Venezia la “Festa della Sensa”, alla quale era presente una delegazione di Dalmati del Montenegro. La Società Dalmata di Storia Patria-Venezia e il Lyons Club Venezia Lido hanno fatto dono alla città di Venezia di 3 pili portabandiera posti sul sagrato di San Nicolò del Lido e destinati alle bandiere italiana ed europea e al Gonfalone di San Marco. Sul pilo centrale è stata scoperta una lapide in ricordo dell’ultimo fatto d’arme a difesa della Serenissima avvenuto nelle acque antistanti San Niccolò il 20 aprile 1797, quando la galeotta “Annetta Bella” al comando del capitano Alvise Viscovich e con equipaggio di marinai della Bocche di Cattaro arrembò vittoriosamente il vascello francese “Le Liberateur d’Italie”, che tentava di violare il blocco delle lagune proclamato dal Senato. L’alzabandiera è stato curato dagli allievi del Collegio Navale “Morosini”. Ha avuto luogo anche un’esibizione della banda musicale della Città di Cattaro attorniata dai membri della “Marinarezza”, la più antica confraternita marinara del Mediterraneo. Ai presenti è stata distribuita la pubblicazione realizzata per l’occasione dalla Società D.S.P. “Alvise Viscovich e gli ultimi difensori di Venezia” di Nino Agostinetti. CULTURA Concerto della «Lino Mariani» «Da Pola fino a Zara» ZARA – Il 21 maggio 2005 presso la sede della Comunità degli Italiani di Zara si è tenuto il concerto “da Pola fin a Zara” della Società Artistico Culturale “Lino Mariani” della Comunità degli Italiani di Pola. Il complesso di strumenti a plettro ha esguito un programma di 11 pezzi, tra i quali si segnalano “Intermezzo” di Mascagni e “Lazzarella” di Domenico Modugno. In occasione della Festa di Santa Rita, (compatrona d’Italia), la Comunità degli Italiani di Spalato ha ospitato il 23 maggio alle ore 18.00 presso l’Hotel Park del capoluogo dalmata un concerto. L’evento, organizzato con la collaborazione dell’Unione Italiana e dell’Università Popolare di Trieste prevedeva l’esibizione del duo Massimo Favento (violoncello) e Corrado Gulin (pianoforte), che hanno eseguito fantasie su temi d’opera per violoncello e pianoforte di Gaetano Donizetti. La replica dello spettacolo è stata organizzata a Zara il 24 maggio (90.esimo anniversario dell’inizio della I guerra mondiale). mente specificato che erano di cittadinanza e di nazionalità italiana, cose che spesso non si distinguono nei nostri documenti. Sono vissuto a Zara dove mi trovavo fortunatamente anche quell’8 settembre del ‘43 - e dico per fortuna, altrimenti non sarei qui a parlare - perché richiamato dal Comando di Divisione. Ma nel dicembre dello stesso anno sono dovuto venire via con la famiglia, moglie e due figli, una valigia e un bastone. Mandato via da Vincenzo Sarentino perché ero in pericolo e perché Zara era stata rasa al suolo”. Come nacque l’idea di fondare un Comitato d’assistenza, Lei ricorda il primo incontro? “Avvenne dopo il 25 aprile - il 29 per la precisione, una data che non si può dimenticare - con Lino Drabeni e altri 4 o 5 amici zaratini ci incontrammo in P.zza Duomo, a Milano, e si decise di fondare il primo Comitato formato soprattutto da Dalmati perché gli istriani erano ancora nelle loro terre, il loro esodo è iniziato qualche anno dopo. Il Comitato Giuliano Dalmato aveva aderito, allora, al Comitato d’Italia. E Lino Drabeni ne è stato sia il fondatore, sia il precursore e soprattutto quello che poteva parlare nella pubblica piazza perché aveva partecipato al Movimento di Liberazione, noi venivamo considerati ancora di parte fascista. Ricordo i comizi svoltisi in quegli anni nelle piazze delle città d’Italia, sempre gremite di gente, con gruppi di comunisti pronti ad attaccarci perché eravamo venuti via dalle terre dell’Adriatico Orientale. Lino Drabeni iniziava sempre ricordando alla folla di aver partecipato alla lotta partigiana”. Ma anche altrove ci si stava muovendo… “Infatti, così è nato il Comitato Nazionale Alta Italia con delle rappresentanze in tutte le province del nord. A Roma, intanto andava formandosi un Comitato Giuliano-Dalmato che operava al centro e al sud dove a Napoli s’era attivato da tempo un Comitato d’assistenza ai profughi. Il 15 febbraio del 1947, a Bologna, i due Comitati si fusero creando l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Zara. Il primo congresso nazionale si tenne a Roma il 20 giugno del 1948 e l’ANVGD cominciò ad operare in tutta Italia con 98 Comitati, e alcune delegazioni”. Su che cosa era incentrata l’attività? “All’inizio ci si occupava principalmente dell’assistenza agli esuli ma senza mai perdere di vista la necessità di continuare a ribadire i nostri principi ideali, spiegare alla gente le motivazioni per cui avevamo deciso di venire via, le ragioni storiche, politiche, religiose che rappresentavano il nostro passato, la nostra storia e quello che eravamo. Questo è importante da ribadire per capire il perché lo facevamo: ne andava della nostra serenità”. I vostri rapporti con Trieste, la città che per prima aveva accolto gli esuli? “A Trieste operava un Comitato Dalmatico per l’assistenza ai profughi zaratini, voluto dal senatore Antonio Tacconi di Spala- Sebenico to, che l’aveva creato già nel ‘44, e questo conferma la spontaneità con cui sorsero in quegli anni questi punti di riferimento per le nostre genti. Io allora ero a Trieste in servizio militare e mi ero attivato all’interno del Comitato stesso che poi ha avuto una diffusione anche a livello nazionale”. Qual era stata la risposta della gente, di adesione immediata? “Il Comitato, per la nostra gente, era la salvezza. Nei primi momenti non eravamo stati accolti a braccia aperte dalla popolazione in Italia; ci sono degli episodi veramente tristi successi a Venezia e a Bologna, di totale rifiuto della nostra presenza. Poi però le cose sono cambiate e abbiamo potuto contare sulla solidarietà degli italiani. A Cremona dove io ho creato il primo Comitato locale abbiamo avuto un’assistenza, da parte del Comune, che ancora si ricorda. Va detto che il campo profughi di Cremona aveva accolto 2.500 profughi dalmati e fiumani nelle strutture di un asilo sul cui edificio è stata apposta recentemente una targa per ricordare il fattivo contributo del Comune ai primi esuli nel ‘44-45 e 46”. Quali erano le finalità dell’Associazione? “Prima di tutto doveva servire a riunirci, poi la seconda cosa era avviare l’assistenza a livello locale e nazionale, realizzare il diritto al lavoro ed alla casa. Nel tempo maturò anche la necessità dell’impegno per la restituzione dei beni abbandonati: all’inizio si trattava di un milione per il risarcimento dei beni mobili, dopo di che si è passati alla battaglia per l’indennizzo degli immobili, che ha visto impegnato in particolare modo padre Flaminio Rocchi con il quale io ho lavorato per cinquant’anni, fianco a fianco. Mi commuove il pensiero che ci abbia lasciati, ma è anche vero che bisogna saperlo ricordare nel giusto modo, testimoniando la sua opera”. Che cosa ha lasciato a Zara la sua famiglia? “I miei avi, a dire la verità, un vero e proprio feudo, ma noi no, giusto la casa per la quale abbiamo percepito un indennizzo”. Quale è stata la sua attività? “Ho cominciato a lavorare a Zara nel 1931 ai sindacati, poi sono diventato direttore del Patronato nazionale dei servizi sociali, nel ‘36 sono stato nominato direttore dell’ufficio di collocamento e nel ‘38 sono passato al Ministero delle Corporazioni come Ispettore del Lavoro. Poi è scoppiata la guerra. Da Zara mi ero trasferito a Trieste, mentre la mia famiglia era nella provincia di Belluno, lontano dai bombardamenti. A Trieste incontrai il generale Giovanni Esposito, Medaglia d’oro, che era stato nel ‘33 comandante di Presidio a Zara e mi chiese di rimanere con lui, così feci fino al ‘44 quando fui trasferito allo Stato Maggiore di Milano e lì conclusi la mia carriera militare. Il Ministero mi mandò a Cremona. Scendo dal treno e al primo passante chiedo di indicarmi una via: si gira, mi guarda e mi sorride. Era uno zaratino, anche lui profugo in quella città. Eh…la vita! Ho ripreso il mio lavoro dopo il ‘45, sempre nello stesso settore, tra Cremona e Mantova, fino al ‘70 quando, approfittando della Legge per i combattenti sono andato in pensione. Da allora mi sono dedicato a tempo pieno all’attività sociale e, soprattutto, alla scrittura che è la mia passione”. La sua famiglia come ha vissuto la lontananza da Zara? “Si sono adattati. Per fortuna io avevo un buon lavoro e questo ci ha dato serenità. E poi, a dire il vero, casa mia s’è trasformata in un ufficio distaccato del Comitato Giuliano-Dalmato per cui hanno seguito da vicino anche questo aspetto della mia attività il che li ha fatti sentire senz’altro più vicini a Zara e alla sua gente con tutti i problemi, i successi, le frustrazioni, le battaglie”. È tornato a Zara? “Dopo la guerra ho cercato di evitare di ritornarci, io ero stato un militare e non ero ben visto dagli jugoslavi contro i quali avevo combattuto. Ma nel ‘58 con altri due amici, abbiamo noleggiato una macchina e siamo partiti. E’ stato dolorosissimo rivedere la Dalmazia. Poi ho superato il disagio e ci torno regolarmente due volte l’anno in occasione del 10 maggio e del 2 novembre”. I suoi figli hanno capito la sua attività, il suo impegno? “L’hanno capito maturando, avevano bisogno di essere guidati, che le cose venissero spiegate, argomentate. Vivendo in Italia, impegnati con l’università prima, la famiglia e il lavoro dopo, era difficile sentissero questo forte legame con Zara. Ma poi, piano piano, hanno sviluppato un certo rapporto con quella realtà, fatta di ricordi nostri e di esperienze loro. Tornano spesso a Zara. Io sono bisnonno e anche i miei nipoti si sentono legati a questo mondo. Capiscono ora l’importanza della nostra storia, il ruolo ed il contributo che i dalmati hanno saputo dare in campo religioso, culturale, patriottico, oggi lo sanno, ne sono pienamente consapevoli. Non so se si sentano zaratini, certo non c’è il nostro attaccamento fisico ma partecipano e condividono i nostri sentimenti”. Viviana Facchinetti Rosanna Turcinovich Giuricin dalmazia 3 Sabato, 11 giugno 2005 LETTERATURA Un altro successso Enzo Bettiza e «Il libro perduto» Dopo il grande successo di “Esilio” lo scrittore italiano di origine spalatina Enzo Bettiza è tornato alla carica con un altro romanzo ambientato nella stessa area geografica e nel medesimo periodo storico della precedente saga autobiografica. Stiamo parlando de “Il libro perduto” edito da Mondadori che si trova nelle librerie da alcune settimane. Nell’epilogo di “Esilio” l’autore aveva ammesso, senza peraltro pentirsi affatto, che i ricordi avevano avuto prepotentemente il sopravvento su ogni altra tematica o considerazione, di modo che alla fine era nato un libro diverso da quello che intendeva scrivere inizialmente, anche se non per questo di minor valore, tutt’altro. “Il libro perduto”, invece, si configura come il romanzo che Bettiza avrebbe voluto scrivere già negli anni novanta prima di “soccombere” al flusso della memoria. In “Esilio”, come aveva rilevato lo stesso autore “mancano quelle situazioni e quei motivi che non ritengo secondari nonostante li abbia tralasciati o toccati soltanto in maniera superficiale”; in quest’ultima fatica del giornalista di origine dalmata con vocazione alla letteratura non è stato tralasciato proprio nulla di quello che lo scrittore poteva considerare fondamentale, nemmeno un motivo o una situazione che potesse ritenere essenziale. “Esilio” si lega direttamente alla città natale dell’autore, ossia Spalato. Ne “Il libro perduto” il capoluogo della Dalmazia non viene nemmeno menzionato. Queste differenze hanno fatto sì che i due romanzi, per quanto si integrino a vicenda, mantengano ognuno la propria autonomia. Quello che conta per gli italiani di queste terre è soprattutto il fatto che dopo l’Istria e Fiume che hanno fornito finora parecchi “scrittori di frontiera” anche la Dalmazia possa vantare un autore che le dia lustro e che ne riviva in lingua italiana le memorie e la composita storia culturale. Con “Esilio” e con “Il libro perduto” quello che per l’Istria è stato il compianto Fulvio Tomizza per Spalato e la Dalmazia si avvia ormai a diventare Enzo Bettiza. Il successo anche di questo secondo libro appare scontato, visto che i temi risalenti agli ultimi anni della seconda guerra mondiale e del dopoguerra stanno ritornando prepotentemente alla ribalta oggigiorno e non soltanto in Dalmazia. “Il libro perduto” rappresenta una saga molto di più di quanto non lo fosse il precedente romanzo. Alcuni dei personaggi principali, accanto ad una marea di personaggi secondari, sono presenti praticamente dall’inizio alla fine in tutta la parte centrale della narrazione: Marco Razmilo, un giovane di origine mista come l’autore, il suo coetaneo e amico croato Matej Rendić, assieme a loro Perty detto il Mastro, un pittore di talento non eccelso, ma di grandi pretese rientrano da Parigi, indi tra loro la misteriosa “danubiana” Tasja Nachtigal, interprete presso il comando militare tedesco che lavora per i partigiani e li segue poi sui monti dell’Erzegovina e finisce alla fin fine per convolare a giuste nozze con l’ufficiale di collegamento britannico presso il comando supremo di Tito a Lissa. Nonostante Spalato non venga menzionata, rimane il fulcro del romanzo, il luogo teatro delle azioni. La straordinaria EDUCAZIONE Zara, si insegna l’italiano Il console Nobili in visita all’asilo La riva di Spalato memoria topografica di Bettiza ci conduce nelle ben note vie di una volta e di oggi, nella vicina Salona, nel Peristilio del Palazzo di Diocleziano o vicino alla fontana di Bajamonti. In questa cornice assistiamo al bombardamento tedesco della città, alla capitolazione dell’Italia e al disfacimento dell’esercito di Mussolini, all’arrivo dei partigiani con la conseguente “resa dei conti” e l’interrogatorio nella nota Villa Schiller dove aveva la sua sede la tristemente famosa OZNA. Travolto da questi eventi Marco Razmilo imbocca pure lui la via dell’esilio proprio come Enzo Bettiza stesso: va a Parigi e Londra dove acquisterà chiara fama nel campo della pittura. Il croato Matej Rendić finirà in un campo di concentramento tedesco dopo essere stato denunciato alla Gestapo dall’attraente Tasja su ordine del Partito. Il Maestro Perty diverrà un povero invalido dopo essere stato condannato dal “tribunale popolare” per collaborazionismo con il potere italiano. Si rivela comunque arduo sintetizzare in poche righe il contenuto di un romanzo che si fregia di oltre seicento pagine e nel quale coesistono alcuni romanzi minori abilmente integrati in un robusto insieme che si potrebbe definire epico se non contemplasse tanti passaggi lirici. Lo scrittore definisce Illiria il palcoscenico storico dell’Adriatico orientale nel quale si svolge l’azione: è un termine dai contenuti fortemente evocativi che non fa torto a nessuno dei protagonisti della storia di queste terre. Tornando a Bettiza, da rilevare che il noto scrittore croato Predrag Matvejević si chiede come possiamo inquadrarlo da un’ottica nazionale anche e soprattutto alla luce dei suoi ultimi romanzi. La risposta ce la fornisce lo stesso Matvejević rivelando che lo stesso Bettiza gli ha detto una volta di essere... “uno scrittore dalmata di lingua italiana”. Sottolinea giustamente Predrag Matvejević che nella cultura mondiale che si va globalizzando la questione dell’appartenenza non ha più lo stesso significato e la stessa rilevanza che poteva avere in un’Europa nella quale le letterature erano chiuse negli angusti spazi nazionali. La questione dell’appartenenza del resto è più importante per la nazione (e la politica) di quanto non lo sia per la letteratura e l’arte. Essa non implica in alcun caso un giudizio di valore, in particolare non estetico o poetico, quanto piuttosto una valutazione per l’appunto nazionale o eventualmente politica. In un’epoca in cui il romanzo appare in crisi e non solamente in Italia, Enzo Bettiza - rileva Predrag Matvejević - ha dato un forte impulso in primo luogo alla letteratura italiana. E la letteratura croata - prosegue Predrag Matvejević - può vantarsi del fatto che uno scrittore di simile caratura in qualche modo le appartenga. E qui proprio Matvejević si lascia andare ai flussi della memoria ricordandosi di un suo incontro con il più noto giornalista italiano del secondo dopoguerra, Indro Montanelli, il quale conosceva bene Enzo Bettiza. Ebbene, con un sorriso di simpatia Montanelli disse a Predrag Matvejević che “Enzo ancor oggi parla italiano con accento slavo, anzi egli anche pensa con quell’accento”. Restando ai giudizi di Predrag Matvejević, da sottolineare che egli dice che “Il libro perduto”, di cui è già in corso la traduzione in diverse lingue, forse deluderà parecchi di coloro che sono chiusi nei confini delle proprie patrie, in primo luogo i nazionalisti. Ma questa è una lunga storia: anche Tomizza ha vissuto la stessa parabola, ha deluso molto “duri e puri” da tutte le parti, ma alla fine si è imposto proprio per la sua capacità di non vedere le vicende storiche e umane da un’unica angolatura, ma di considerarle in tutta la loro pluriforme valenza. “Il libro perduto” è nello stesso tempo permeato di tristezza e nostalgia, ma è anche romantico alla maniera - rileva Predrag Matvejević - italiana e slava. È un romanzo che narra le vicende del passato, rivolto tutto al futuro, proprio come compete alle autentiche opere d’arte. E come tale è destinato a imporsi e a resistere. In ultima analisi persino il premio Nobel Ivo Andrić e il suo “Ponte sulla Drina” si sono ritrovati, secondo alcuni privi di una precisa “patria” di riferimento dopo la dissoluzione della ex Jugoslavia. Eppure dopo essere stati visti con sospetto nei primi anni novanta perché non si inquadravano nei “nuovi schemi” sono stati “riscoperti” da quelle parti delle letterature nazionali meno portate a rinchiudersi nei propri gusci. Se Predrag Matvejević ha dei dubbi sulla reale appartenenza letteraria di Bettiza c’è da dire che dopo l’uscita di “Esilio” e dopo che il presidente Stipe Mesić gli ha concesso l’Ordine della Danica con l’effige di Marko Marulić, un giornalista croato della caratura di Inoslav Bešker non ha avuto dubbi nel definire Bettiza uno scrittore della minoranza italiana in Croazia. Un giudizio che può forse far discutere, ma che è sicuramente innovativo e si inserisce nel filone degli sforzi per riannodare i fili fra la letteratura della diaspora e quella dei rimasti. Dario Saftich ZARA - Accompagnato dalla presidente della CI zaratina Rina Villani, il console italiano a Spalato Marco Nobili ha recentemente visitato l’asilo di Zara nel quale ai bambini viene insegnata la lingua italiana. Le insegnanti, dopo avere illustratato al console le attività svolte nell’istituto, hanno presentato uno spettacolo (recita e canzoni) eseguito dai piccoli allievi, che hanno anche donato al diplomatico un quadro da loro realizzato. Tra le iniziative più recenti dell’asilo si segnala l’apertura dell’istituto anche durante il periodo estivo (a partire già dalla stagione turistica entrante) ed il servizio di baby sitting, che consentirà agli utenti di lasciare in mani sicure i propri piccoli per periodi determinati. Per quanto riguarda la fondazione di una istituzione per l’educazione prescolare in lingua italiana a Zara, l’Unione Italiana ha recentemente inviato alla Commissione interministeriale permanente incaricata di verificare l’attuazione del Trattato tra le Repubbliche di Italia e Croazia una comunicazione in cui si invita a sollecitare il Governo croato a dare il necessario segnale politico di appoggio (richiesto dalla municipalità zaratina) all’apertura dell’asilo. 4 dalmazia Sabato, 11 giugno 2005 CASE Sabato, 11 giugno 2005 Quotazioni da capogiro a Ragusa, salgono inesorabilmente i prezzi a Zara e Spalato Vanno a ruba gli immobili in Dalmazia Ragusa (Dubrovnik) di Krsto Babić Spalato Un miliardo di kune: è questa l’incredibile cifra (kuna più, kuna meno) alla quale ammonta il giro d’affari del mercato immobiliare nell’area di Ragusa (Dubrovnik). Un importo impressionante, che indubbiamente non lascia indifferente nessuno, ma che non deve stupire. Sono moltissimi i vip e le star hollywoodiane che hanno espresso il desiderio di possedere un immobile all’interno delle monumentali mura di quella che un tempo fu la principale rivale della potente Venezia dei dogi. Nella cittavecchia il prezzo delle case è tale da superare con disinvoltura i 5.000 euro al metro quadrato. Divenuti ormai dei veri e propri status symbol a livello internazionale, gli appartamenti che si affacciano sullo “Stradun” e sulle altre vie lastricate in pietra del centro storico si rivelano essere il vero tormentone dell’alta società europea e Nordamericana. Tra i potenziali acquirenti primeggiano quelli di madrelingua inglese e gli scandinavi. Le bellezze di Ragusa sono però tali da essere riuscite a fare breccia anche tra la crema delle classi abbienti italiana, tedesca e francese. Gli esperti del settore rilevano, tuttavia, che il vero jet set mondiale non è prettamente interessato al centro storico di Ragusa nel senso stretto della parola. Questa categoria di acquirenti sembrerebbe, invece, interessarsi alle sontuose residenze estive che i patrizi e i ricchi commercianti ragusei si erano fatti costruire nei pressi della città o sulle vicine isole. Si narra che persino Silvio Berlusconi (presidente del Consiglio dei ministri italiano nonché uno degli uomini più ricchi al mondo), abbia perso la testa per una proprietà situata sull’isola di Giuppana (Šipan) e che gli attuali proprietari si ostinano a non volergli cedere. A prescindere dal caso di Ragusa, sembra proprio che il “vecchio continente” sia stato contagiato da un virus che obbliga gli europei ad acquistare immobili in Dalmazia. Nonostante nella maggior parte dei casi le quotazioni di case e terreni non abbiano ancora raggiunto i valori registrati in Istria e nelle principali isole del Quarnero, le medesime hanno subito negli ultimi anni un’impennata non indifferente. Ciò non deve stupire: la Dalmazia è una regione che trasuda di bellezze naturali uniche al mondo oltre ad essere ricca di storia e cultura. Basti pensare che circola la voce che i cosmonauti russi e gli astronauti statunitensi, abbiano indicato proprio nei pressi del Parco nazionale delle Isole Incoronate il punto nel quale il mare, ammirato dallo spazio, appare più blu. A favore dei prezzi ha giocato ovviamente anche la moderna autostrada che poco alla volta sta “accorciando” la distanza che separa Zagabria, nonché la Slovenia, l’Austria, la Germania, la Svizzera... dalla Dalmazia. Sebbene non possano essere ancora paragonati con quello di Ragusa, anche i mercati immobiliari di Spalato e Zara stanno cavalcando l’onda. La città di San Doimo sta sfruttando al meglio le proprie carte. Imponendo all’estero la storia del centro urbano sorto dal palazzo dell’imperatore romano Diocleziano (Gaius Valerius Aurelius Dioclecianus) gli spalatini sono riusciti ad attirare l’interesse di numerosi stranieri. In vendita si trovano soprattutto le case del centro storico, una zona per la quale i residenti hanno perso l’interesse. I palazzi versano spesso in stato di abbandono, mentre la rete idrica e quella fognaria sono inadeguate. A causa di questi, ma anche di un’intera serie di altri inconvenienti, gli spalatini preferiscono vivere in quartieri più moderni. Agli occhi degli stranieri questi disagi non appaiono tanto gravi, anzi spesso assumono un aspetto romantico. Infatti, la maggior parte di loro è semplicemente alla ricerca di uno spazio nel quale trascorrere le vacanze e brevi periodi di relax. Un ruolo importante lo gioca anche il prezzo, che si aggira attorno ai 1.000 euro al metro quadrato. Ovviamente in zone più “attraenti”, come le pendici del Monte Mariano, le quotazioni sono ben maggiori. A Zara, al contrario di quanto sta avvenendo a Spalato, è proprio il centro storico, ossia l’area della penisola a rappresentare il fiore all’occhiello dell’offerta immobiliare. In quella zona i prezzi oscil- lano tra i 1.500 e i 2.500 euro al metro quadrato. Si stima però che queste quotazioni siano destinate ad aumentare notevolmente. La municipalità sembra, difatti, intenzionata a realizzare una serie di progetti (vedi l’esempio dell’organo marino, l’unico strumento musicale al mondo in grado di tradurre in suono il moto del mare) volti a favorire il rilancio della città. Un altro dei grandi centri urbani della Dalmazia è Sebenico. In quella che è definita la più antica città fondata dai croati il prezzo degli immobili è assai contenuto, di regola inferiore ai 1.000 euro al metro quadrato. Il motivo si cela nelle precarie condizioni nella quale versa l’economia di quell’area. Avendo però la città conservata gran parte della sua fisionomia dei tempi passati, assicurandosi in tale modo un grosso potenziale dal punto di vista turistico, si stima che tra non molto i valori delle case dovrebbero iniziare a salire al punto di raggiungere valori pari a quelli in auge in località attualmente più in voga. Un discorso a parte è riservato per le isole dell’arcipelago dalmata. A parte alcune eccezioni tipo Lesina (Hvar) e Brazza (Brač), i prezzi sono inversamente proporzionali alle bellezze che la natura offre (in media si deve sborsare 800-1.200 euro per un metro quadrato). Ciò è dovuto alla carenza di collegamenti con la terraferma. L’handicap delle comunicazioni non deve però essere considerato unicamente sotto l’aspetto negativo. Può essere visto anche alla pari di un sistema di difesa messo in pratica dalla natura stessa. Infatti, sulle isole più facilmente raggiungibili, ad esempio Puntadura (Vir) e Murter, si sono verificati casi di abusivismo estremo, che hanno deturpato in modo osceno il patrimonio paesaggistico. D’altro canto sulle isole più lontane dalla terraferma l’ambiente si è conservato praticamente intatto. A Lissa (Vis), addirittura non è ancora approdato neppure il turismo di massa. In questo caso, il motivo non va ricercato tanto nella distanza che separa l’isola dalla costa, ma nel fatto che in passato, all’epoca della ex Jugoslavia, l’accesso era proibito a causa della presenza di una base militare. 5 L’altra faccia della medaglia L’altra faccia della medaglia dell’interesse dimostrato non soltanto dai cittadini croati, ma anche dagli stranieri, per l’acquisto di immobili in Dalmazia, è rappresentata dall’abusivismo edilizio. Nuovi caseggiati non lontano dal mare spuntano come funghi dopo la pioggia. A volte le autorità chiudono purtroppo un occhio, altre volte dimostrano sufficiente volontà politica per dare una lezione ai palazzinari d’assalto che non sempre rispettano i piani regolatori, già di per sé carenti. E quando parte l’ordine di demolizione, nulla ferma più le ruspe... (ds) 6 dalmazia Sabato, 11 giugno 2005 ONDA BLU Viaggio sulle stupende isole dell’arcipelago della Dalmazia centrale Le battaglie per l’Adriatico di Giacomo Scotti Sono passati circa quattro secoli dalla pacificazione di Ottaviano quando cominciano le prime irruzioni barbariche: i Sarmati, gli Unni, i Visigoti, gli Eruli, gli Ostrogoti… Con la divisione dell’Impero in occidentale ed orientale (anno 395 d.C.) la Dalmazia con gli arcipelaghi resta nell’Impero occidentale, ma Bisanzio punta gli occhi sull’Adriatico, riesce ad impossessarsi della Dalmazia nel 410, la perde, la riconquista con Teodosio II nel 430, e poi… Poi è un susseguirsi di dominazioni diverse, da Odoacre a Teodorico, e fino a Giustiniano che nel 536 riunisce la regione all’Impero romano d’oriente. Importante è notare: nonostante l’avvicendarsi dei dominatori, resistono le basi dell’amministrazione romana, i principi economici, le conquiste culturali e il diritto romani. Così succede che in Dalmazia, sulla terraferma e sulle isole, ogni famiglia continua a considerare come propri veri governanti unicamente gli imperatori di Costantinopoli. E se è vero che più non ci sono le legioni romane, sostituite dalle soldatesche barbariche, è anche vero che l’avvocato e il burocrate romano, l’artigiano e il costruttore, resistono ai colpi del destino e continuano a imprimere il timbro alla vita sociale. Ed è sintomatico che, a differenza di quanto avviene nella Gallia e nella Spagna, qui in Dalmazia non si notano aspirazioni all’emancipazione, al distacco: le città dalmate, con le isole, continuano ad essere tenacemente attaccate a quanto rimane dell’Impero romano, calamitate verso l’oriente romano, verso la santa incalzato i Longobardi. Numerose città fiorenti vengono una dopo l’altra assalite, saccheggiate, alcune rase al suolo. Dalla costa decine di migliaia di abitanti trovano rifugio sulle isole. Gli Slavi, a differenza degli antichi Illiri, non si romanizzano; determinante è la loro preponderanza numerica; ma nemmeno le oasi romane si slavizzano, continuando anzi a irradiare la loro cultura. E tuttavia un mondo e un’epoca tramontano proprio con l’arrivo degli Slavi. Il martirio della Dalmazia invasa viene scolpito verso il 660 su una lapide a Brazza. Verso il 614-616 le tribù slave insediatesi sulla costa meridionale dell’Adriatico orientale costruiscono imbarcazioni ricavate da grossi tronchi d’alberi (monoxili), sicchè sembra essere tornati all’età della pietra, ma in pochi anni anche gli Slavi diventano bravi navigatori e raggiungono le isole. Già nel 641, stando alla cronaca longobarda di Paolo Diacono, questi stessi Slavi passano l’Adriatico sbarcando presso Siponto (Manfredonia) “cum multitudine navium”. Sconfitti, tornano sulla sponda orientale e riprendono le scorrerie. Verso la fine del secolo, l’intera costa orientale fino al fiume Cetina cade sotto il dominio di Carlo Magno, ovvero di suo figlio Pipino: la potenza dei Bizantini va tramontando, sul mare corseggiano le navi dei Croati e dei Narentini che, uscendo dalle loro basi lungo la costa dalmata e sulle isole, fermano le navi veneziane pretendendo il pagamento di un tributo per la libera navigazione. A sua volta l’imperatore bizantino Nicefero manda in Adriatico una Stari Grad a Lesina Costantinopoli. Ancora oggi, nella parlata dalmatica, il termine “Got” (Goti) è sinonimo di barbaro, di saccheggiatore, di eretico. E quando Giustiniano caccia i Goti e, nutrendo l’idea di ripristinare l’antico grande impero della romanità, comincia proprio dalla Dalmazia, ovunque si diffonde la radiosa speranza di un ritorno all’epoca dello splendore e della pace. Purtroppo, comincia una nuova era di irruzioni. Nel 568, sotto la pressione dei Longobardi che dalla Pannonia passano in Italia, gli abitanti di dodici comuni lagunari decidono di riunirsi in una comunità che sarà Venezia, la città-Stato che detterà legge nell’Adriatico e soprattutto in Dalmazia per lunghi secoli. Verso la fine del secolo si precipitano sulla Dalmazia Avari e Slavi, anch’essi provenienti dalla Pannonia, gli stessi che avevano grossa flotta per cacciare le navi di Venezia, la quale, al servizio dei Franchi, ha imposto la propria tutela sulle città dalmate. La flotta veneziana viene sconfitta (anno 806), il potere bizantino nominalmente ripristinato e quindi riconosciuto con la pace stipulata (812) fra Carlo Magno e l’imperatore bizantino Michele, i più potenti sovrani del mondo a quest’epoca. Potere nominale, quello bizantino, si diceva, perchè le varie città costiere e insulari si amministrano in autonomia con attributi sempre più spiccati di città – stato. Inoltre, nel territorio a Nord della foce della Narenta, viene a crearsi il Principato Narentino che comprende anche le isole di Brazza, Lesina, Curzola e Meleda. Regnando l’imperatore Michele II (820-828), la Dalmazia e le regioni ad oriente della Cetina si scrollano di dosso anche il formale dominio bizanti- Lesina no. Nello stesso periodo le popolazioni slave si convertono al cristianesimo per opera di missionari franchi. Venezia Nell’836 il doge veneziano Pietro Trandenico, al comando di una flotta, muove verso le coste della Dalmazia, ma viene fermato dalle navi dei Croati e Narentini. Nell’Adriatico fanno la loro prima comparsa anche i pirati Saraceni. Nell’839 Trandenico arma una nuova flotta, deciso a sconfiggere una volta per sempre Croati e Narentini, ma ancora una volta, di fronte a un avversario numeroso e potente, evita di entrare in battaglia, chiede ed ottiene di stipulare un patto di pace con i rispettivi principi Mislav e Drusacco. L’anno seguente, su richiesta di Bisanzio, lo stesso doge invia una flotta di sessanta navi contro i Saraceni: le navi veneziane subiscono una dura sconfitta e si ritirano. Come se non bastasse, i Narentini calpestano il trattato stipulato l’anno prima e Trandenico – armata una flotta veramente potente – decide di punirli. Lo scontro fra le due flotte avviene nelle acque delle isole di Lesina, Brazza e Curzola, terminando con la vittoria dei Narentini. A questo punto Venezia, con la mediazione di Bisanzio, ottiene dall’imperatore romano, il tedesco Lotario, la promessa che le città marinare italiche, in caso di bisogno, mettano a disposizione le loro navi nella lotta contro le “tribù slave”. Nell’841 ricompaiono i Saraceni che si spingono fino all’Adriatico settentrionale, attaccando, saccheggiando e distruggendo varie città costiere e insulari. Nell’865, il doge Urso Patriziaco, muove alla volta della Dalmazia per regolare i conti con i Croati ora capeggiati da Domagoj, “pessimus Sclavorum dux”. Costui, ignorando le ammonizioni del papa e le minacce di Venezia, ha ripreso le piraterie sul mare. Stavolta la pace viene stipulata evitando la battaglia, ma la pirateria nell’Adriatico continua. Il papa Giovanni VIII, rivolgendosi al non più “pessimo” ma “glorioso principe” Domagoj, gli chiede di prendere provvedimenti contro i pirati che, facendosi scudo del suo nome, aggrediscono le navi cristiane. La lettera è dell’887.Domagoj muore due anni dopo e, succedutogli al trono il principe Zdeslavo, fedele di Bisanzio, le cose cambiano: i Croati non riconoscono il potere dell’imperatore franco e si dichiarano fedeli all’imperatore bizantino Basilio I, riconosciuto anche dai Veneziani; pace quindi con Venezia, la quale accetta di pagare un “tributum pacis” in cambio della libera navigazione. Passano due anni e Zdeslavo viene ucciso dai suoi in un’insurrezione. Lo sostituisce il capo degli insorti Branimir, che riceve la benedizione e la corona dal papa Giovanni VIII. In tal modo vengono poste le basi di uno Stato croato indipendente dai supremi poteri bizantino e franco. Venezia, sempre per assicurarsi la libertà di navigazione, rinnova con Branimir il patto di pace. I Croati se ne stanno buoni, accontentandosi del tributo, ma i Narentini riprendono la pirateria. Nell’agosto dell’880 il doge Pietro Candiano arma dodici navi e muove guerra ai pirati, riuscendo quella dei Kacici, passa il fiume Cetina, si stabilisce ad Almissa e ne fa un covo di pirati. Un nuovo capitolo di storia comincia nel 925 quando il principe croato Tomislav si proclama re, stipula un’alleanza con Bisanzio e ne ottiene il dominio sulle isole fra cui Brazza, Lesina e Lissa. In realtà il re riscuote dei simbolici tributi perchè proprio in quest’epoca le città dalmate ottengono o si attribuiscono autonomia di governo nello svolgimento della vita interna e nelle relazioni con l’esterno e, malgrado la volontà di principi, di re e imperatori che su esse pretendono di avere dominio, si reggono a comune con propri statuti, mentre Venezia praticamente non riconosce alcuna signoria. Ciò non toglie che il regno di Croazia, esteso a una buona fetta della Dalmazia litoranea e insulare, sia uno Stato forte. Stando all’imperatore Costantino Porforigeneto, mantiene un esercito di circa 60 mila cavalieri e 100 mila fanti e tiene sul mare 80 sagine e 100 condure, le prime con 40 uomini di equipaggio ciascuna e le seconde con dieci-venti. L’imperatorestorico scrive in proposito che le Penisola di Prirovo (Lissa) a catturare nel primo scontro cinque navi avversarie. Incoraggiato dal successo, sbarca con l’esercito sulla costa, ma qui viene sorpreso dai Narentini, sconfitto e ucciso. Come se non bastasse, una tribù croata non sottoposta a Branimir, navi croate “non muovono guerra contro nessuno, a meno che non vengano attaccate, ma con quelle navi i mercanti croati navigano di porto in porto nella regione della Nerenta e nel Golfo di Dalmazia fino a Venezia”. dalmazia 7 Sabato, 11 giugno 2005 La potenza dello Stato croato, anche sul mare, continua con i successori di Tomislav, Terpimiro e Crescimiro; però morto quest’ultimo nel 945 in una guerra civile, si indebolisce. Nel 946 il doge veneziano Pietro Candiano III decide di muovere guerra ai Narentini che, svincolatisi dal regno croato, hanno continuato a pirateggiare sul mare. Alla testa di una flotta di 33 grandi navi pone Urso Badovario e Pietro Rosolo i quali, di fronte a una flotta pirata composta da imbarcazioni leggere, agili, ed equipaggiate da uomini abili e coraggiosi, sono costretti a ritirarsi. Nello stesso anno la flotta veneziana, con un numero uguale di navi, ritorna nelle acque dei Narentini che sono costretti a stipulare un patto: in cambio di un tributo annuo, libera navigazione. La romanità si conservò nell'area costiera Interrompendo per un attimo la cronologia, ci sembra utile a questo punto chiarire che, con il dila- fatto, però, ebbe come conseguenza l’inizio di un’accesa lotta fra le diocesi cosiddette “latine” e quelle croate, fra i “Latini” da una parte e dall’altra i “Goti” come venivano chiamati in senso dispregiativo, gli Slavi; questa lotta si estese dal campo ecclesiastico e culturale a quello politico per durare nei secoli, fino a ieri si può dire. E Venezia? La Serenissima fu tollerante; alla repubblica marinara non importavano le questioni etniche, linguistiche e culturali, ma il commercio e il dominio politico per il commercio. E con questa politica – facendo perfino guerre contro italianissimi genovesi, pisani e napoletani – riuscirà col tempo ad avere negli “Schiavoni” il nerbo migliore e più fedele di combattenti e di marinai. Se molti Slavi, arricchitisi o elevatisi socialmente in vari modi, passarono la barriera etnica, egualmente ci furono Veneziani e Italiani dalmati che col tempo si slavizzarono per svariati motivi. Inizialmente, Venezia riconosce il supremo governo bizantino senza però subirne le pressioni Una delle splendide spiagge di Curzola gare degli Slavi sulla costa orientale dell’Adriatico, scomparvero tutti gli insediamenti delle popolazioni romaniche o romanizzate nell’interno, la romanità nel senso etnico-linguistico si conservò invece sulle innumerevoli isole da Veglia e Cherso fino a Lissa e Lacroma nel sud e nelle città litoranee fortificate quali Zara, Spalato, Traù, Ragusa, Cattaro ed altre, circondate peraltro da una campagna interamente slava. Gli Slavi crearono a loro volta nuove città, come Sebenico, o si stabilirono in antichi centri abbandonati quali Senia (Segna), Nona, Zaravecchia, Ragusavecchia ed altre sul mare. Il rapporto numerico (preponderanza degli Slavi) ebbe come conseguenza la non assimilazione o romanizzazione dei nuovi abitanti; ed anche quando questi passarono al cristianesimo, conservarono tenacemente la propria lingua e cultura. D’altra parte, nonostante l’esiguità numerica, le forti radici culturali delle popolazioni romaniche superstiti permisero loro di resistere all’alluvione: non si slavizzarono. O meglio, il processo di slavizzazione ebbe bisogno di secoli per progredire, e praticamente si concluderà appena con la fine della seconda guerra mondiale. Fu dunque lento, rallentato anche dalla cultura che sarà portata dal dominio della Repubblica di Venezia, come vedremo, ma purtroppo inevitabile. Ancora fino alla seconda metà dell’XI secolo potè sembrare che la romanità etnico-linguistica fosse indistruttibile; le popolazioni neolatine, ovvero le città da esse abitate, dipendevano direttamente dagli imperatori bizantini; per gli Slavi quelle città erano “estero” nel senso politico-territoriale. Inoltre, sul piano ecclesiastico, dall’inizio del X secolo l’intera Dalmazia rientrò nella giurisdizione del papato romano. Questo – data la lontananza – e ricevendone invece carta bianca per il “servizio di polizia” nell’Adriatico. Ben presto il “vassallo-poliziotto”, conquistato il potere sul mare, lo trasforma in potere politico e, guerreggiando contro i pirati arabi (Saraceni), non risparmia i pirati Slavi della Croazia e Narenta, come si è visto. Verso la fine del millennio, esattamente nel 991, diventa doge di Venezia un uomo energico e di grande ingegno: Pietro Orseolo II, il primo grande della storia veneziana, il vero fondatore del libero stato indipendente. Allaccia legami di parentela e stipula accordi commerciali con Bisanzio e con l’impero romano-germanico; con una “Bolla d’oro” ottiene per le navi e i mercanti veneziani notevoli privilegi nel commercio con l’Oriente; promettendo di fornire aiuti ai bizantini nella lotta contro i Saraceni, conduce tenacemente la politica del rafforzamento della marina mercantile e militare di Venezia. Cinque anni dopo, ritenendosi abbastanza potente, cessa di pagare qualsiasi tributo ai Croati e Narentini; e quando questi riprendono ad attaccare le navi veneziane, manda contro di loro una flotta al comando di Badovario Bragadin che sconfigge la flotta croata, attacca l’isola di Lissa, la conquista, la saccheggia e trae prigionieri a Venezia uomini e donne in gran numero. L’imperatore bizantino concede a Venezia l’amministrazione delle città e delle isole della Dalmazia. Comincia così una nuova pagina di storia per l’arcipelago e per il litorale orientale. Il dominio del leone Mentre in Croazia, ulteriormente indebolita, scoppiano nuove lotte dinastiche, il doge veneto – sempre Orseolo – vieta agli Zaratini di pagare ulteriormente il tributo della pace ai re croati. Siamo al 997. Nel 998 i Narentini attaccano Zara, prendono in ostaggio quaranta cittadini. Zara chiede protezione e aiuto a Venezia ed invita le altre città dalmate a seguire l’esempio. Il 9 maggio dell’anno Mille il doge Orseolo si mette personalmente alla testa di una potente flotta per prendere possesso delle città ed isole cedute a Venezia dai bizantini. Via facendo, raccoglie in Istria e ad Ossero altri uomini in grado di impugnare le armi, quindi punta su Zara i cui cittadini prestano il giuramento di fedeltà, come già fatto, a nome delle rispettive comunità, dai vescovi e priori delle isole di Veglia ed Arbe, e come faranno quelli di Zaravecchia, Traù e Spalato. Da Spalato il doge raggiunge e occupa Curzola e quindi Lesina, costringendo i pirati che qui hanno uno dei loro covi più potenti a chiedere la pace. Successivamente sbarca sull’isoletta di Maisan ad oriente di Curzola e qui riceve l’omaggio e l’atto di sottomissione dell’arcivescovo di Ragusa e del suo seguito, che giurano fedeltà. Con l’impresa di Pietro Orseolo, acclamato Dux Dalmatiae, Venezia è diventata la dominante assoluta sulla Dalmazia e il suo arcipelago, quindi sull’intero Adriatico. E per quanto diverse signorie formali e nuove invasioni le genti del litorale e delle isole dovranno ancora subire, i loro legami con Venezia non si spezzeranno mai. Un cancro antico, che nemmeno Venezia riuscirà ad estirpare definitivamente, è la pirateria. Intorno al Mille, gli Almissani scorazzano sul litorale fra i fiumi Cetina e Narenta, spingendosi anche sulle isole di Brazza e Lesina. A loro volta i sovrani croati, approfittando della morte del doge Pietro Orseolo nel 1009, si preparano alla riconquista del litorale e del mare. Crescimiro III lancia diversi attacchi, suscitando l’immediato intervento del doge Otto Orseolo che nel 1018 arriva con la sua flotta e ricaccia dalle acque dalmate le navi croate. Crescimiro III, però, non si dà pace. Continua gli attacchi alle città dalmate, sottomette Spalato, Meleda ma interviene l’imperatore bizantino Basilio II che manda una nutrita flotta, cattura e deporta a Costantinopoli la moglie e il figlio del re croato e ripristina il diretto dominio imperiale sulla Dalmazia nel 1027. Con le isole la situazione non è chiara. Venezia è sempre presente, le autonomie comunali sono sempre più forti, ma si ha pure notizia – risale al 1050 – della presenza del signore narentino Berigoj sulle isole di Biševo (Busi) e di Lissa. Nel 1069 Bisanzio cede al re croato Crescimiro IV l’amministrazione della Dalmazia con Zara, Spalato, Traù e le isole di Lesina, Curzola, Lagosta e Lissa, Crescimiro si proclama perciò Rex Croatiae et Dalmatiae. È un’epoca oscura, questa, anche per l’apparizione dei Normanni che, dalle coste dell’Italia meridionale attaccano le navi veneziane e intralciano il commercio fra Venezia e Bisanzio (in ciò sostenuti dal papa Gregorio VI), scorazzano nell’Adriatico. Venezia reagisce: nel 1075 il doge Domenico Silvio si presenta nelle acque dalmate con una forte flotta, costringe i Normanni a ritirarsi dalle città del litorale orientale e impone, di fatto, la supremazia veneziana. Nel frattempo, nelle città romaniche della Dalmazia, nasce e si rafforza l’idea, caldeggiata dal papato, di un’unione della Croazia con l’Ungheria (divenuta cattolicissima con re Stefano il Santo) per eliminare la dinastia croata, peraltro dilaniata da lotte per la successione. Abbozzato a Spalato nel 1091, il progetto trova sostenitori anche a Zara, e ben presto vi aderiscono anche alcuni nobili croati in dissidio con il loro re, per cui chiamano in Croazia il re magiaro Colomanno per offrirgli la corona. Colomanno si mette in viaggio, sgomina l’esercito del re croato Pietro, che cade ucciso in battaglia nel 1097, e raggiunge nello stesso anno l’Adriatico. Nel 1102 i capi delle tribù croate riconoscono Colomanno “rex Croatiae et Dalmatiae” e lo incoronano a Zaravecchia. (2 e continua) Navi militari italiane in visita A luglio la «Palinuro» a Spalato SPALATO – Durante la stagione estiva 2005 è prevista la presenza a Spalato di unità della Marina militare italiana. La “Comandante Foscari” P 493 arriverà nella seconda decade di giugno. La nave scuola “Palinuro” nell’ambito della campagna d’istruzione 2005 nel Mediterraneo centro-occidentale è attesa per la fine del mese di luglio. 8 dalmazia Sabato, 11 giugno 2005 COLLEGAMENTI D’estate sono oltremodo numerose le linee traghetti Tutte le rotte della Dalmazia SPALATO – Navigare neccese est. È un antico detto latino del quale i popoli che abitano le terre che si affacciano al mare amano servirsi per illustrare ai forestieri l’importanza che ricopre nella loro vita la navigazione. Saper andar per mare per molti abitanti della costa dalmata e delle sue isole fino a non tanto tempo fa era un requisito indispensabile. Oggi l’arte marinara è diventata per lo più un diletto, uno svago al quale dedicarsi nel tempo libero, e sono relativamente in pochi ad avventurarsi quotidianamente in mare poter procurarsi il pesce per sfamarsi o da poter rivendere al mercato per arrotondare lo stipendio o la pensione. Oggi i grandi pescherecci hanno rubato il lavoro alle vecchie barche di legno. Servendosi degli ultimi ritrovati della moderna tecnologia un equipaggio composto da una mezza dozzina di uomini è capace di catturare più pesce che non un’intera flotta di vecchi pescatori che per prender pesci ricorrono “solo” alle tecniche tradizionali. Sistemi di pesca che a differenza di quelli attuali hanno acconsentito per secoli, anzi per interi millenni, alla fauna sommersa del Mare Adriatico di conservarsi. Da tempo immemorabile la pesca alla sardella ha permesso di sfamato intere generazioni di dalmati. Ora, invece, in pochi anni, a se- guito di una pesca intensiva e “indiscriminata” le riserve di questa specie è diminuita drasticamente. Nonostante ciò, l’Adriatico, la risorsa di maggior valore tra quelle di cui dispone la Croazia, fino ad ora è stato benevolo è ha sempre donato ai pescatori quantità di pesci sufficienti allo sostentamento delle loro famiglie. Saper andar per mare per chi risiedeva sulle isole o lungo la costa era di fondamentale importanza pure per un altro semplice motivo. Chi non era in grado di farlo era tagliato fuori dal mondo. Se ci pensate bene i grandi traghetti a motore sono un’invenzione alquanto recente, che fino alla seconda metà del secolo scorso costituivano un privilegio riservato solo a poche comunità insulari. Per le altre questo “lusso” rimaneva un lontano miraggio. Da allora ad oggi ne è passata di strada. Ormai non esiste praticamente nessuna delle isole croate abitate (una settantina in tutto) che non disponga almeno di un paio di collegamenti alla settimana con la terraferma o con le principali isole che si trovano nelle sue vicinanze. Le isole che si trovano più vicine alla costa sono addirittura state collegare alla terraferma per il tramite di ponti. Un vantaggio che però con il tempo ha presentato anche molti lati negativi (uno fra tutti la cementificazione selvaggia). Leggendo le righe che seguono, riferite ai collegamenti maritti- ta di letargo. Sui percorsi di linea lungo costa Fiume-Zara-SpalatoStari Grad (isola di Lesina/Hvar)Curzola (Korčula)-Sobra (isola di Meleda/Mljet)–Ragusa (Dubrovnik), la bassa stagione è iniziata il 25 maggio. Durante questo periodo sono previste quattro partenze alla settimana (lunedì, mercoledì, venerdì e sabato) da Fiume verso Spalato, Stari Grad (Lesina), Curzola e Ragusa (Dubrovnik). L’alta stagione estiva per i percorsi di linea lungo costa prende il via il 26 giugno per concludersi il 15 settembre, quando inizia nuovamente la bassa stagione (fino al 2 ottobre). Durante l’alta stagione estiva, i percorsi lungo costa saranno intrapresi quattro volte alla settimana con le navi-traghetto più grandi, ossia la Marko Polo e la Dubrovnik. I ferry boat salperanno da Fiume verso Spalato, Stari Grad e Curzola. Due volte alla settimana si spingeranno fino a Ragusa (Dubrovnik) e fino a Bari sulla costa italiana. Nelle giornate di lunedì, mercoledì, venerdì e domenica le navi salperanno dal capoluogo del Quarnero alle 20. La novità nell’itinerario di navigazione per l’estate 2005 è l’introduzione della linea SpalatoCurzola-Meleda-Ragusa (Dubrovnik)-Bari, con la quale saranno collegate fra di loro le isole di Cur- volte alla settimana, mentre nel corso dell’alta stagione (21 luglio – 13 settembre) si svolgeranno quotidianamente. Da Ancona le unità della Jadrolinija salperanno il lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì (2 partenze) e la domenica. Nei giorni di martedì, mercoledì e venerdì, le navi partite dal porto di Ancona faranno scalo a Stari Grad (Cittavecchia di Lesina) e il mercoledì pure a Curzola. Questa linea sarà coperta dalle navi più grandi: Marko Polo, Dubrovnik e Ivan Zajc. Durante l’alta stagione il collegamento tra Bari e Ragusa (Dubrovnik) si svolgerà sei volte alla settimana con le navi Dubrovnik, Marko Polo e Liburnija. Per quanto riguarda le linee locali, la stagione estiva è iniziata il 25 maggio e si concluderà il 2 ottobre (l’alta stagione dal 17 giugno al 11 settembre). Nel periodo che va dal 2 luglio al 27 agosto, il catamarano Silba, collegherà lo scalo fiumano alle isole di Selve (Silba), Premuda e Ulbo (Olib). Nel distretto di Zara e Sebenico, oltre alle linee marittime di traghetto e navi classiche, continuerà pure il trasporto con le imbarcazioni veloci su numerose linee per le isole: Premuda, Selve, Ulbo, Ist, Molat, Zverinac, Sestrunj e Rivanj. Nel distretto mi gestiti dalla principale compagnia armatoriale croata specializzata nel trasporto di passeggeri, la Jadrolinija di Fiume, potrete crearvi un’idea di come sia divenuta capillare la rete di rotte che collegano le isole dalmate al continente. Purtroppo avrete anche modo di accorgervi anche che spesso questi servizi assumono proporzioni adeguate solo durante i mesi caldi, quando questi lembi di paradiso sono letteralmente presi d’assalto da migliaia di turisti, soprattutto stranieri (italiani, tedeschi, austriaci, sloveni, svizzeri, cechi...). Nel resto dell’anno queste località, loro malgrado, sono condannate, invece, a spegnersi in una sor- zola e Meleda. Verrà, inoltre, offerto un collegamento migliore tra i porti di Spalato, Ragusa (Dubrovnik) e Bari. Durante la bassa stagione i collegamenti internazionali tra Ancona e Zara possono contare su quattro partenze dalla costa italiana e altrettante da quella croata. Nel periodo di alta stagione (15 luglio – 11 settembre) saranno sette le partenze settimanali da Ancona (lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato e domenica), e da Zara (martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato 2 volte, e domenica). Le linee internazionali da Ancona verso Spalato, durante la bassa stagione sono presenti sei di Spalato e Ragusa (Dubrovnik) oltre alle consuete linee marittime di traghetto, navi e linee veloci di catamarano, in caso di necessità, durante l’alta stagione, saranno introdotti collegamenti supplementari. Nell’organizzare i propri spostamenti bisogna tenere conto che oltre alla Jadrolinija anche altre compagnie armatoriali assicurano collegamenti tra la terraferma e le isole dell’arcipelago dalmata, come pure tra le località costiere. Inoltre, specialmente durante l’estate alle unità degli armatori croati si aggiungono pure quelle dei loro colleghi italiani. Krsto Babić Anno 1 / n. 4 11 giugno 2005 “LA VOCE DEL POPOLO” - Caporedattore responsabile: Errol Superina IN PIÙ, supplementi a cura di Errol Superina, progetto editoriale di Silvio Forza edizione: DALMAZIA Redattore esecutivo: Dario Saftich / Art director: Daria Vlahov Horvat Collaboratori: Krsto Babić, Giacomo Scotti. Redattore grafico: Saša Dubravčić