Febbraio 2014
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Febbraio 2014
Periodico mensile dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia Centro Studi Padre Flaminio Rocchi Giorno del Ricordo 2004 - 2014 ANNO XIX | N. 2 FEBBRAIO 2014 | POSTE ITALIANE SpA | SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE | D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) ART. 1 COMMA 2 DCB - ROMA Giorno del Ricordo, 10 anni di memoria condivisa D ieci anni addietro, nel 2004, veniva promulgata la legge istitutiva del Giorno del Ricordo, che dichiarava il 10 Febbraio - giorno in cui nel 1947 venne firmato a Parigi il trattato di pace che assegnava alla Jugoslavia di Tito l’Istria, il Fiumano e Zara - solennità civile nazionale: l’Art. 1 recita infatti: «la Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del Ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». Un traguardo raggiunto grazie al tenace, strenuo lavoro delle comunità degli Esuli che nei decenni seguiti all’abbandono delle terre natali non hanno mai cessato di operare nella direzione della conservazione della memoria storica e della testimonianza di quanto accadde nei territori orientali nel corso della seconda guerra mondiale e successivamente: tragici eventi per riconoscere i quali si sono dovuti attendere almeno sei decenni prima che, cadute le pregiudiziali ideologiche e le convenienze politiche che li avevano silenziati, venissero finalmente riconosciuti dalla istituzioni e dall’opinione pubblica. Le associazioni dell’esodo non hanno mai ritenuto il Giorno del Ricordo un traguardo, ma un punto di partenza verso una nuova stagione di perseveranza e di impegno. Il decennale che ricorre quest’anno fornirà anche l’occasione di un bilancio, ma la proiezione del ricordo è nel futuro, alla cui dimensione tutta da colmare si dovrà e si vorrà consegnare la vera storia dell’antica italianità adriatica. p. c. h. Regione Friuli Venezia Giulia, un Consiglio straordinario per il decennale del Giorno del Ricordo «C onvocare una seduta straordinaria del Consiglio regionale per celebrare in modo adeguato il decimo anniversario dell’istituzione del Giorno del Ricordo, che commemora le vittime dei massacri delle foibe e dell’esodo-giuliano dalmata, in modo che quella del Friuli Venezia Giulia diventi, di fatto, la seconda celebrazione nazionale dopo quella che viene organizzata in Quirinale». L’istanza è stata presentata dai consiglieri regionali del Friuli Venezia Giulia per Forza Italia Bruno Marini e Rodolfo Ziberna (quest’ultimo vicepresidente nazionale Anvgd) nel corso di una conferenza stampa convocata il 7 gennaio a Trieste, nella Sala Azzurra del Consiglio regionale. Ecco il testo della mozione di richiesta. «Il prossimo 10 febbraio si celebrerà la solennità nazionale del Giorno del Ricordo, istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, di cui ricorre il primo decennale e con cui si commemorano le vittime dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata, nell’ambito della complessa storia del confine orientale. Il Friuli Venezia Giulia senza dubbio è la regione che ha ospitato il maggior numero di esuli (circa 100 mila) dalla terre d’Istria, Fiume e Dalmazia. La legge istitutiva del Giorno del Ricordo è stato un traguardo importante, ma a esso devono seguirne altri, perché dobbiamo ancora combattere contro lo strisciante giustificazionismo che serpeggia in alcuni circoscritti ambiti, per il quale chi ieri negava esodo e foibe oggi, non potendolo più fare, cerca di minimizzarne il dramma e di considerarlo come una comprensibile e quasi giustificabile conseguenza del Ventennio fascista. Il secondo fronte da combattere è ancora quello dell’ignoranza: solo un terzo dell’opinione pubblica nazionale sa di che cosa si parla, infatti, quando si fa riferimento a foibe ed esodo. Considerato il ruolo svolto dal Friuli LA REDAZIONE RISPONDE Subentro nei contratti d'affitto. Condizioni e norme. A cura dell’Avv. Vipsania Andreicich 4 Venezia Giulia nell’accogliere gli esuli giuliano-dalmati, ma anche nello svolgere un’importante funzione di ponte con le realtà d’oltre confine, e visto che quest’anno la legge istitutiva del Giorno del Ricordo traguarderà il suo primo decennio, chiediamo la convocazione di una seduta straordinaria del Consiglio regionale per celebrare in modo adeguato l’evento, al termine della tradizionale manifestazione ufficiale presso la Foiba di Basovizza». d. a. Esilio, «la memoria contro la rassegnazione» Nella ricorrenza del decennale del Giorno del Ricordo riteniamo di riprendere, per la sua immutata attualità e per darne maggiore visibilità, la prefazione di Clara Castelli al libro di Myriam Andreatini Sfilli Flash di una giovinezza vissuta tra i cartoni, pubblicato nel 2000 Clara Castelli segue a pagina 5 Il Collegio “Niccolò Tommaseo” di Brindisi (1946-1951) Storia, esperienze e testimonianze L’Assemblea ordinaria della “Libera Unione Muli del Tommaseo, tenutasi nel settembre 2013, ha rinnovato le cariche sociali e il nuovo Direttivo per il biennio 2013-2015, risultandone nuovo Segretario generale l’ambasciatore Egone Ratzenberger, originario di Fiume. La scelta di Brindisi quale sede del Seminario sul confine orientale 2014 permette di riaprire un capitolo, fra i molti, meno conosciuto della storia dell’esodo e dell’approdo nella Penisola dei profughi dalla Venezia Giulia, ovvero dell’accoglienza in Puglia dei giovani in età scolare, per i quali fu necessario apprestare un collegio, il “Niccolò Tommaseo”, che nell’anteguerra era stato Accademia Marinara dell’Opera Nazionale Balilla. Abbiamo dunque richiesto all’ambasciatore Ratzenberger una memoria di quegli anni in cui fu ospite del “Tommaseo”, unitamente a centinaia di giovani profughi per i quali quell’esperienza fu per tanti versi indelebile e fondamentale. F orse a nome di tutti quei genitori che all’indomani dell’esodo si preoccupavano degli studi dei loro figli e quindi del loro futuro lascerei per un attimo parlare mia madre: «Mi avevano detto che a Roma in via Guidobaldo del Monte presso piazza Euclide vi era un ufficio distaccato della Pubblica Istruzione che si occupava di collocare in un Collegio sito a Brindisi i ragazzi profughi giunti dai nostri territori. Sul W Brindisi, così appare ai nostri giorni la facciata dell’ex Collegio navale mezzo pubblico che mi trasportava chiesi però di piazza Oiclide, lasciando interdetti bigliettaio e passeggeri finché un anziano, probabilmente colto signore interpretò correttamente la richiesta fatta con pronuncia di stile tedesco. E più tardi, un altro signore cortese preposto all’ufficio surriferito chiese che il ragazzo (ero io) partisse immantinente per il Collegio dato che l’anno scolastico era ben avanzato (eravamo a febbraio) e fu così che mi riEgone Ratzenberger segue alle pagine 12 e 13 Our Story deserves a Future W Una suggestiva immagine del monumento eretto sulla Foiba di Basovizza (foto www.sites.google.com) In english language to page 14 Nuestra historia se merece el futuro En lengua española en la página 15 2 Numero 2 | febbraio 2014 FATTI e COMMENTI Referendum sul bilinguismo, la tentazione nazionalistica della Croazia N on accenna ad attenuarsi il duro confronto tra le autorità di Zagabria e gli ambienti nazionalisti croati di Vukovar, città simbolo della «guerra patriottica» degli anni Novanta, nella quale le tabelle bilingui croato-serbe sono state ripetutamente infrante nei mesi scorsi nel corso di manifestazioni e disordini, e dalla quale è partito un referendum volto ad abrogare il bilinguismo nei territori croati. Dopo pochi mesi dall’en- sandar Tolnauer, il deputato della minoranza serba Milorad Pupovac, il deputato della comunità nazionale bosgnacca al Sabor e presidente del gruppo parlamentare delle etnie, Nedžad Hodžić, e due giornalisti, Pierluigi Sabatti di Trieste e Dario Saftich de “La Voce del Popolo”. Dal confronto televisivo è emersa l’inquietudine delle comunità nazionali minoritarie rispetto alle risorgenti derive nazionalistiche. Ma bisogna anche ricordare che i diritti assicurati Q Vukovar, nazionalisti croati intenti a distruggere a martellate una tabella bilingue croatocirillico (foto www. balkaninsight.com) trata nell’Unione Europea della Croazia, il Paese dà segnali preoccupanti di rinnovati rigurgiti di intolleranza, organizzati e indifferenti ai richiami del governo e dello stesso Presidente Josipovic ai valori europei di democrazia e di convivenza. Come se, a fronte di un percorso istituzionale di adesione alla «casa comune» europea, sopravvivesse nella società civile croata l’antica immaturità politica e ideologica, l’ostilità ipernazionalistica contro minoranze e posizioni che non rappresentino la presunta pura croaticità, intesa come sacra e intangibile. Non a caso, è stato osservato dai commentatori, il rigurgito di ostilità e di violenza è ricomparso appena il governo di Zoran Milanovic ha proceduto all’applicazione del bilinguismo a Vukovar, previsto dalla legge costituzionale sui diritti delle minoranze. Di questo clima ha trattato in novembre la trasmissione «Meridiani», diretta da Ezio Giuricin, su Tv Capodistria, nel corso della quale sono intervenuti il presidente dell’Unione Italiana, deputato della Cni al Sabor e presidente della Commissione parlamentare per le minoranze nazionali, Furio Radin, il presidente della Giunta esecutiva dell’Ui, Maurizio Tremul, il presidente del Consiglio nazionale delle minoranze della Repubblica di Croazia, Alek- alle comunità minoritarie sono stati argomento essenziale nelle trattative di adesione della Croazia all’Ue, che ha valutato la rispondenza agli standard comunitari. Radin: situazione in Croazia tesa e pesante F urio Radin ha evidenziato come a questo riguardo la situazione in Croazia sia tesa e pesante. Certo, ha aggiunto, la Comunità nazionale italiana non è esposta a rischi imminenti, i suoi diritti sono definiti da trattati internazionali e dagli statuti delle autonomie locali e regionali, ma nell’opinione pubblica su riscontra un diffuso clima ostile. E allarma la raccolta di firme che da Vukovar è partita e si è conclusa per giungere ad un referendum popolare inteso a limitare le libertà fondamentali delle comunità minoritarie, come il bilinguismo: il 16 dicembre il comitato promotore ha consegnato al Sabor oltre 600 mila firme a fronte della soglia minima di 450 mila necessarie. Il quesito riguarda anche l’uso pubblico delle lingue di tutte le minoranze nazionali presenti in Croazia, e intende elevare al 50% la percentuale minima della popolazione di minoranza presente in una città per avere diritto al bilinguismo. Il governo di centro-sinistra di Milanovic ha ripetutamente ribadito di non condividere l’iniziativa e al cointempo ha avviato una procedura per emendare la Costituzione, con l’obiettivo di impedire che i diritti delle minoranze sul territorio croato possano essere sottoposti a referendum nazionali. A questo riguardo, da segnalare ancora che la municipalità di Parenzo ha negato ai promotori della consultazione popolare il permesso di allestire su suolo pubblico gli stand per la raccolta di firme a sostegno dell’indizione del cosiddetto «referendum sul cirillico». Il sindaco parentino Edi Štifanić ha rivendicato l’elevato grado della tutela dei diritti minoritari in Istria e l’impegno profuso dalle istituzioni cittadine per educare alla tolleranza e alla multiculturalità e preservare le norme statutarie che prevedono per la Comunità nazionale italiana il diritto al bilinguismo. Una presa di posizione importante, se si tiene conto che la consultazione referendaria si prefigge di modificare la norma sui diritti delle minoranze, elevando al 50% la soglia di popolazione minoritaria richiesta per introdurre il bilinguismo nelle amministrazioni locali. A Parenzo la vicepresidente del Consiglio comunale: no al vicesindaco italiano M a proprio a Parenzo si è verificato un episodio spiacevole, quando, nel corso di una seduta del Consiglio cittadino, l’esponente dell’opposizione Maurizio Zennaro ha preso la parola in italiano per stigmatizzare la presa di posizione della vicepresidente del Consiglio stesso, Snježana Mekota, che su Facebook si era dichiarata contraria al diritto della Cni di essere rappresentata da un vicesindaco italiano, considerando che a Parenzo i connazionali superano a malapena il 3 p.c. della popolazione: «un commento pieno di sarcasmo, offensivo e ripugnante» lo ha definito Zennaro mentre la vicepresidente Mekota ha successivamente ribadito la sua contrarietà al principio alle “quote” previste per le minoranze nazionali. red. Josipovic a Roma. Le ferite della storia e le prospettive europee I n visita ufficiale in Italia, la prima della massima carica istituzionale di Zagabria, dal 3 al 5 dicembre scorsi, il presidente croato Ivo Josipović è stato ricevuto dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano e dal premier Enrico Letta. Nell’agenda dei colloqui anche un intervento al Senato con l’Ufficio di presidenza delle Commissioni congiunte III (Affari esteri ed emigrazione) e XIV (Politiche europee) di Palazzo Madama, e III (Affari esteri) e XIV (Politiche europeee) della Camera nel corso del quale Josipović è intervenuto sul tema «La Croazia nell’Ue: nuove prospettive per l’Europa Sudorientale». Della delegazione faceva parte, tra gli altri, il deputato della Comunità nazionale italiana al Sabor e presidente dell’Unione Italiana, Furio Radin. Il colloquio al Quirinale ha riguardato i rapporti bilaterali, la collaborazione europea e regionale. Nel suo saluto all’ospite il presidente Napolitano ha ricordato come «Italia e Croazia guardano ai rapporti bilaterali con grande fiducia, avendo saputo scrivere pagine nuove di vicinanza e amicizia e così superando un passato tragico che, nel secolo scorso, ha purtroppo portato ingiustizie e sofferenze alle nostre popolazioni. Esse tuttavia sono sempre rimaste, anche nei momenti di maggiore tensione, indissolubilmente e profondamente legate da una comunanza di radici W Roma, la conferenza stampa storiche e culturali che partono congiunta dei due Presidenti fin dall’antichità ed arrivano ai (foto Presidenza della Repubblica) giorni nostri. Oggi possiamo rallegrarci del nuovo clima che le nostre giovani generazioni possono respirare in Adriatico grazie alla ritrovata sintonia tra Croazia, Italia e Slovenia». Le minoranze nazionali, un valore aggiunto E d ha proseguito: «la minoranza croata in Italia e quella italiana in Croazia rappresentano un inconfondibile valore aggiunto per lo sviluppo delle relazioni bilaterali tra i nostri due Paesi. La frattura creatasi all’indomani della Seconda Guerra Mondiale tra “Esuli”, “Rimasti” e cittadini croati è ormai rimarginata. In questo spirito rinascono iniziative come il nuovo asilo italiano di Zara, grazie ad un sforzo comune delle Autorità italiane e croate, delle Comunità italiane e delle Associazioni degli Esuli. Si tratta di un esempio lungimirante della collaborazione tra i nostri due Paesi, sempre memore delle lacerazioni del passato, ma profondamente rivolta al futuro delle nuove generazioni». Il Capo dello Stato italiano ha rievocato anche i Concerti del luglio 2010 a Trieste e, «con grande emozione il magnifico incontro e spettacolo del 3 settembre 2011 nell’Arena di Pola, che toccò i cuori non solo dei tanti presenti ma di tutti coloro che sono legati a quelle terre». Dal canto suo Josipovic - come riferito dall’agenzia Hina - ha confermato la volontà del suo Paese di «risolvere con successo le controversie del passato e di rivolgersi agli interessi comuni dell’Unione Europea e del Mediterraneo». «La Croazia e l’Italia sono partner importanti e il nostro governo ha cooperato bene, nei settori dell’economia, della cultura e della cooperazione sulle questioni delle minoranze - ha proseguito il presidente croato -. L’Italia è il primo partner economico della Croazia e questo processo deve continuare per superare i disaccordi e guarire le ferite del passato e sostenere i valori della cultura europea e mediterranea». In un’intervista all’Ansa del 4 dicembre, Josipovic ha affermato come sia «ben noto che durante la seconda guerra mondiale la Croazia ha patito l’occupazione nazista, come è altrettanto ben noto come alla fine del conflitto abbiano sofferto anche gli italiani che vivevano in Istria, molti dei quali furono costretti a lasciare la loro terra sotto le minacce del regime comunista di allora. Il presidente Napolitano ed io - ha soggiunto - riconosciamo le sofferenze di entrambi i popoli». p. c. h. 3 Numero 2 | febbraio 2014 CULTURA e LIBRI La nuova La Dalmazia, presidente della un’entità ideale e spirituale Comunità La Dalmazia in Europa. Italiana L’eredità storica e culturale dei Dalmati italiani, un valore da di Spalato L a Comunità Italiana di Spalato ha recentemente rinnovato le sue cariche sociali, ed ha aletto sua presidente Giovanna Asara Svalina, vicepresidente è stata designata Antonella Tudor Tomas. Il sodalizio è nato sul finire del 1994 ed associa anche connazionali di Sebenico, mentre molto recente è la costituzione della Comunità Italiana di Lesina, della quale è presidente Simeone Fio. Della presenza italiana nella città di Diocleziano ha trattato Luciano Monzali nel suo libro Antonio Tacconi e la Comunità italiana di Spalato, recensito nel 2010 su “la Voce del Popolo” da Ilaria Rocchi: «per secoli multietnica e bilingue - abitata da slavi dalmati, italiani, croati e ebrei - che prima timidamente, alla fine dell’impero asburgico, e poi con violenza dopo la Seconda guerra mondiale - con l'esodo e sotto il regime comunista - subirà una semplificazione e un’omogeneizzazione nazionale, sociale e culturale che ne modificherà drasticamente il volto e le tradizioni. E uno degli aspetti indubbiamente più dolorosi di questa trasformazione/trasfigurazione - e dei tanti cambiamenti intercorsi nel ’900, […]- sarà per l’appunto la lenta “consunzione” di una comunità, quella italiana, che nel corso della bimillennaria esistenza di Spalato era stata uno dei gruppi nazionali che più profondamente hanno segnato la storia della città». Per questa ragione la soppressione nel 2013, da parte del Ministero degli Esteri, del Consolato italiano ha colpito una presenza minoritaria già grandemente esposta e quasi miracolosamente sopravvissuta a decenni di regime titoista e di aggressivo nazionalismo croato. Il nuovo indirizzo mail della Comunità spalatina è: cispalato@gmail.com non dimenticare, questo il titolo dell’intervento di Marino Micich (segretario generale della Società di Studi Fiumani in Roma) pubblicato nel volume VI - Miscellanea degli Studi in onore di Augusto Sinagra edito nell’Ottobre 2013 da Aracne (Roma), pp. 648, € 33,00. Del contributo di Micich pubblichiamo, per gentile concessione, un significativo estratto. Il 1300 fu un periodo avverso ai Veneziani che persero numerose battaglie contro il potente Regno d’Ungheria. […] Nel 1409 Venezia riuscì definitivamente a imporre uno stabile dominio in Dalmazia, acquistandola per centomila ducati d’oro da Ladislao I d’Angiò. […] Dal XV secolo agli inizi del XVIII secolo la storia della regione dalmata rispecchiò le vicende della resistenza contro i Turchi ottomani, ma anche il fiorente sviluppo della civiltà veneta e rinascimentale italiana che influenzò fortemente la lingua e i costumi. […] Tra gli artisti e gli architetti dalmati italiani vanno ricordati Giorgio Orsini da Sebenico, Simone Begna, Elio Lampidrio Cerva, Onofrio delle Cave e i fratelli Laurana. Tra i letterati […] Dalla fine della seconda guerra mondiale in Dalmazia non esiste più la presenza statale italiana, che invece era stata sancita dal Trattato di Rapallo del novembre 1920 con l’assegnazione all’Italia della città di Zara, popolata da una netta maggioranza di italiani, e dell’isola di Lagosta. Rimangono, però, le indelebili tracce del passato antico romano e soprattutto veneziano nella maggior parte delle città costiere e dei borghi dell’entroterra. […] Dopo la caduta dell’Impero romano d’occidente, la Dalmazia fu invasa dagli Ostrogoti (452) e successivamente nel 535 d.C. la parte costiera fu riconquistata dai Bizantini, guidati dall’Imperatore Giustiniano. Nel 600 d.C. i centri dalmati più importanti subirono distruzioni e saccheggi degli Avari federati con alcune tribù slave. Dal 640 in poi si insediarono stabilmente in gran parte della Dalmazia tribù croate e serbe […], anche se nelle città costiere di Zara, Traù, Spalato, Almissa e Ragusa l’elemento neolatino resisteva nonostante le devastazioni degli Avari. Pur pagando un alto prezzo in vite umane i Dalmati latini riuscirono a riedificare i propri centri distrutti e quindi a dare continuità alla cultura e civiltà latina dopo quel lungo periodo di rivolgimenti epocali. La storia medievale dalmata dall’Ottocento all’anno Mille fu caratterizzata dalla presenza dei liberi comuni costieri in mano alle popolazioni italiche (evoluzione dei neolatini), che si batterono sia contro i Croati, che nell’825 fondarono un proprio regno con capitale a Zaravecchia (Biograd), sia contro gli Ungari e i Veneziani. […] Nell’anno 1000 ci fu la memorabile spedizione in Istria e in Dalmazia del Doge Pietro Orseolo II, che con una potente flotta pretese e ottenne la dedizione delle città costiere. […] W Zara, a destra della cartolina il Teatro Verdi (foto www.tzzadar.hr) X Spalato, 1944, partigiani jugoslavi e civili croati ballano il kolo lungo le Rive (foto www.ratnakronikasplita.com) e gli storici ricordiamo il grande patriota Nicolò Tommaso, Pier Alessandro Paravia, Carlo Tivaroni, Vitaliano Brunelli, Giuseppe Praga. […]. Validi contributi alla ricerca scientifica furono dati nel Seicento e Settecento dai matematici Marino Ghetaldi, Antonio Maria Lorgna e l’insigne Giuseppe Ruggero Boscovich. […] L’Austria, subentrata ormai nello scacchiere adriatico a Venezia, dal 1820 al 1848, reclutò dal Lombardo-Veneto funzionari e impiegati da inviare agli uffici governativi della Dalmazia, mentre l’etnia slava rimase ancora senza una adeguata rappresentanza. Quando però nel 1848 scoppiarono i moti insurrezionali antiaustriaci in Italia e in Ungheria, Vienna non poté non considerare gli Italiani con diffidenza. Si ricordi che il famoso letterato, nativo di Sebenico, Nicolò Tommaseo, con altri Dalmati, corse in difesa di Venezia ribellatasi agli Austriaci mentre i fratelli Seismit Doda di Ragusa si batterono assieme ad altri Dalmati e Istriani per la difesa ad oltranza della Repubblica romana. A giovarsi di questa situazione furono i Croati che rimasero fedeli a Vienna […] L’unità ideale degli Italiani dell’Adriatico orientale sotto il mito di Venezia in quegli anni era ancora viva, ma tale aspirazione ad un certo punto si rivolse ai Savoia, che intrapresero nel 1859 e nel 1866 le vittoriose guerre d’indipendenza contro l’Austria. […] per giunta un lungo periodo di intimidazioni e violenze dagli Austriaci. Proprio nel 1866 Vienna emanò per rappresaglia un’ordinanza che limitava l’uso pubblico dell’italiano e obbligava i funzionari ad apprendere il croato; inoltre, nel 1867 a Zara fu introdotto lo studio del croato nel Liceoginnasio cittadino. Nel 1868 ci furono atti di terrorismo contro alcuni autonomisti dalmati e nel 1869 si verificò nel porto di Sebenico il ferimento di ben 14 marinai della regia nave italiana Monzambano ad opera di un gruppo terroristico croato. Nel 1870 ci fu il tentativo di bruciare il teatro Verdi di Zara, tempio dell’arte e della cultura italiana. Dal 1870 al 1882 si realizzò in pieno il progetto austriaco in funzione anti-italiana, poiché vennero gradualmente rimossi i rappresentanti italiani da molti Comuni, dalle scuole e dalle chiese. […] Gli intellettuali Vincenzo Duplancich e Arturo Colautti, dovettero fuggire nella penisola italiana, per sfuggire alle persecuzioni e minacce croate. […] Con l’approssimarsi della prima guerra mondiale, la Dalmazia si trovò drammaticamente a essere terra di frontiera nel senso più stretto del termine. […] Va ricordato che i movimenti jugoslavisti prima dello scoppio della guerra erano già stati molto espliciti avendo votato, nel 1905 a Fiume e nel 1906 a Zara, due Risoluzioni in funzione anti-italiana. […] Un certo numero di Dalmati si arruolò, disertando, nell’esercito italiano, tra i volontari si distinsero Nicolò Luxar- do di Zara e Franco Rismondo di Spalato. Altri Dalmati fuoriusciti in Italia, come Roberto Ghiglianovich, Antonio Cippico e Alessandro Dudan, si prodigarono dando vita a un’attività diplomatica tesa a controbattere le tesi e le simpatie che il «Comitato jugoslavo» aveva riscosso nel frattempo in alcuni importanti circoli politici ed economici francesi, inglesi e addirittura italiani. Alla fine di ottobre del 1918 la guerra era praticamente terminata, il 31 ottobre a Zara si verificò la destituzione delle autorità austriache e l’assunzione del potere da parte della rappresentanza elettiva italiana. […] Da quel momento ebbe inizio un contenzioso tra l’Italia e il Regno dei Serbi, Croati e Sloveni (che ancora non si chiamava Jugoslavia) che coinvolse per alcuni anni le cancellerie delle grandi potenze e che è passato alla storia col nome di «Questione Adriatica». […] Nel luglio del 1920 a Spalato furono uccisi da terroristi slavi il comandante della regia nave Puglia Tommaso Gulli e il motorista Aldo Rossi e furono distrutte le insegne e le vetrine dei negozi italiani. Tale grave fatto portò alle manifestazioni triestine che culminarono poi nell’incendio del Narodni dom sloveno presso l’Hotel Balkan, ma l’antefatto spalatino viene sempre omesso da una certa storiografia di parte, che assegna le colpe degli incidenti di frontiera sempre solo esclusivamente alla parte italiana, dimenticando le responsabilità da parte slava. […] È noto che il Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920 definì le nuove frontiere jugoslave, ma tale atto scontentò le aspirazioni di molti italiani, in quanto Fiume venne dichiarata Stato Libero e l’intera Dalmazia, eccettuate Zara e la piccola isola di Lagosta, come ricordato in apertura di questo saggio, fu consegnata agli Jugoslavi. […] Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Zara, unica enclave etnicamente e politicamente italiana in territorio dalmata, si trovò in prima linea. Dopo l’attacco italiano della Jugoslavia monarchica che iniziò il 6 aprile 1941, la Dalmazia fu annessa nella quasi totalità all’Italia. Ai Croati dello Stato indipendente, sorto dopo la caduta della Jugoslavia e capeggiato da Ante Pavelić furono lasciate, con una decisione poco lungimirante da parte italiana, solo alcune ristrette fasce costiere. […] Dopo la resa italiana proclamata l’8 settembre 1943 e il completo «disorientamento» dei vertici del Regno d’Italia, le conseguenze sulla popolazione italiana dalmata fu- continua ► 4 rono gravissime. Zara fu bombardata dagli anglo-americani ben 53 volte, pur non essendo un obiettivo militare particolarmente importante. Oltre 2.000 i civili uccisi da quelle incursioni, volute da Tito per estirpare l’ultimo segno di italianità dalmata. […] Il 31 ottobre 1944 Zara fu occupata dai partigiani jugoslavi e per gli Italiani, identificati arbitrariamente con il fascismo, rimase solo la fuga e l’esodo, ma molti rimasero vittima dalla dura repressione comunista, tra cui ricordo in particolare gli industriali produttori del maraschino Pietro e Nicolò Luxardo. Dalla fine di ottobre del 1944, dopo quasi duemila anni di storia, iniziò il declino definitivo della presenza dei Dalmati di lingua e cultura italiana in Dalmazia. […] Oltre 300, nella sola Zara, tra fucilati nelle cave di bauxite e di pietra, annegati in mare e infoibati (foiba di Chevina vicino Traù). Al posto di tutelare un popolo, che aveva pur patito gli orrori della guerra e le ingiustizie della politica, la risposta del regime di Tito fu la repressione, il divieto di istruzione nella lingua italiana, l’abolizione delle autonomie locali e di ogni forma di libertà, l’esproprio delle attività economiche… in poche parole furono applicati quasi tutti i postulati della «pulizia etnica». […] La Dalmazia non è solo un territorio europeo bagnato dal Mare Adriatico e che l’Italia ha perso dopo la seconda guerra mondiale; è soprattutto un’entità ideale e spirituale, ricca di valori che non possono essere dimenticati in quanto testimonianza diretta della nostra comune civiltà italiana. […] […]Oggi in Dalmazia sopravvivono circa 500 italiani organizzati in comunità nazionali presenti a Zara, Spalato, Lesina e a Ragusa. Esiste perfino una comunità nella Dalmazia montenegrina. Si tratta di un segnale importante e che l’Italia di oggi deve saper cogliere nell’ambito del processo di unificazione europeo […]. Marino Micich Abbazia e la «riviera austriaca». Quando l’Europa scoprì il mare Adriatico Una mostra nel Museo di Vienna illustra lo sviluppo del turismo d’élite in Istria e in Dalmazia «Q uando i treni cominciarono a correre su un percorso ferroviario recentemente completato tra Vienna e il porto di Trieste a metà del XIX secolo, la regione adriatica dell’impero austriaco venne a trovarsi a più breve distanza dalla capitale. La ridotta durata del viaggio dette avvio ad una sequela di iniziative turistiche in Istria e in Dalmazia, incoraggiate dai medici che elogiavano il clima salubre del litorale, cosicché molti esponenti della dinastia degli Asburgo vollero costruirsi lungo la costa dimore e ville. Abbazia per prima divenne località di villeggiatura, seguita da Porto Rose, Lovran e Lussino nel più tardo XIX secolo. Vennero posti in essere una strategia d’indirizzo nello sviluppo urbanistico e un sostegno finanziario dedicato allo sviluppo di alberghi, passeggiate, centri termali, edifici rappresentativi, mentre gli artisti viennesi trovarono nei spettacolari paesaggi costieri spunti e motivi interessanti». La presentazione al pubblico della Mostra La Riviera austriaca. Vienna scopre il mare (Österreichische Riviera. Wien entdeckt das Meer Sonderausstellung) inaugurata il 14 novembre 2013 e aperta sino al 30 marzo 2014 nelle sale del Museo di Vienna, richiama quell’età d’oro del turismo d’élite tra Ottocento e primi decenni del Novecento che “scoprì” le meravigliose e incomparabili bellezze della regione istriana e dalmata e le preziose qualità terapeutiche del suo mediterraneo clima marino. Il soggiorno sulle riviere istriane e dalmate venne rapidamente di moda attraendo presto ospiti da ogni parte d’Europa e modificando, con il senso estetico del tempo, l’aspetto urbanistico e architettonico di molte cittadine rivierasche. Abbazia, l’intuizione del fiumano Iginio Scarpa S i deve tuttavia al patrizio fiumano Iginio Scarpa l’intuizione delle potenzialità ancora inespresse dalla riviera istriana, quando nel 1844 fece costruire ad Abbazia, in memoria della consorte defunta, la Villa Angiolina che presto divenne un riferimento della migliore società del tempo, e finanche della fami- glia imperiale. Un’evoluzione, quella del turismo sulla costa adriatica orientale, che si avvalse dagli anni Ottanta di quel secolo di significativi interventi nel settore dei trasporti, ferroviari e marittimi, con i rinforzi dei porti di Trieste e di Fiume e nuovi, regolari collegamenti verso le isole e le città costiere istituiti dalle compagnie di navigazione. Attratti dai benefici terapeutici dell’acqua e dell’aria di mare, dal clima mite e dagli splendidi paesaggi, ospiti di ogni provenienza scoprirono le meraviglie delle isole quarnerine e dalmate, dalle quali furono grandi estimatori anche artisti di grido, come i pittori Emil Jakob Schindler, Albin Egger e Egon Schiele. Q La home page del sito del Museo di Vienna, che nella presentazione della Mostra riproduce tutta una bella serie di locandine pubblicitarie d’epoca austro-ungarica, contraddistinte dalla denominazione italiana dei luoghi, come, in questo caso, di Lesina Brancati e il «devoto pellegrinaggio» A bbazia, tra le mete preferite, nel giro di 20 anni si trasformò radicalmente da piccolo centro di pescatori a località turistica di primissimo ordine, grazie allo sviluppo di progetti larga scala nel settore dell’edilizia alberghiera e della costruzione di stabilimenti marini. Ancora negli anni Venti e Trenta del secolo scorso non cessava di trasmettere il suo fascino intatto a nuovi estimatori, tra i quali, per restare nel campo dell’arte, dallo scrittore siciliano Vitaliano Brancati, che dall’elegante cittadina rivierasca, dov’era giunto nell’agosto del 1937 «come per un devoto pellegrinaggio», inviò alla rivista di Leo Longanesi “Omnibus” un réportage assai godibile: «Questi luoghi [...], già li ho visti diventare sacri a Catania, nella severa e triste religione degli scapoli meridionali [...] - scriveva Brancati -. Luoghi santi, dunque, quelli di Abbazia. Il mio amico catanese Paolo T. trascorre venti giorni di tutti i mesi di agosto su questa spiaggia adriatica [...]. Venti giorni: ma i sei mesi, che seguono l’agosto, si passano facilmente raccontando quello ch’è avvenuto nei venti giorni fortunati. [...] Così passano sei mesi. Gli altri cinque vengono dedicati a mettere da parte il denaro per Numero 2 | febbraio 2014 il viaggio, e due a preparare il guardaroba. Singolari fogge di vestiti entrano nella casa del mio amico, ove la madre, togliendoli dal braccio del commesso, spalanca gli occhi in silenzio come all’arrivo di strani forestieri [...]». E di «nostalgia eterna per l’Adriatico» ha scritto, recensendo la mostra viennese, il “Salzburger Nachrichten”, cui ha fatto eco il “Kronen Zeitung” «La storia, che è anche storia culturale, può essere divertente e stimolante, può risvegliare il fascino dei luoghi del desiderio»; e ancora il “Kleine Zeitung”, quotidiano della Carinzia: «Il Wien Museum ci permette di sentire il suono del mare. Una mostra colorata ci racconta della scoperta del mare Adriatico come “riviera austriaca”». Elegante e curato il catalogo dell’esposizione, che si avvale di una serie di contributi storici, dedicati prevalentemente alla nascita e all’evoluzione del costume e del turismo, salvo tre dedicati al sorgere dei conflitti etnici e nazionali, uno a emancipazione e conflitti nazionali in Dalmazia (di Aleksandar Jakir), l’altro alle tensioni nazionali in Istria (di Andrea Gottmans) e il terzo agli studi etnologi di quei territori nel 1900 (di Branka Vojnović Traživuk). p. c. h. LA REDAZIONE RISPONDE Subentro nei contratti d’affitto. Condizioni e norme. A cura dell’Avv. Vipsania Andreicich Vivo con mio padre, che è molto malato, in un appartamento di residenza pubblica a Bologna. Tale alloggio fu assegnato ai miei genitori nel 1972. Desideravo sapere se dopo la morte di mio padre potrò continuare a rimanere nella casa dove ora abito con lui, il cui contratto di affitto è stato sin dall’inizio intestato solo a nome di mio padre. Lettera firmata L a disciplina che riguarda il subentro nei contratti d’affitto degli immobili di residenza pubblica, assegnati alle persone aventi diritto, tra cui la categoria dei profughi giuliano-dalmati, è attualmente di competenza delle legislazione regionale. Ciò significa che ogni Regione può emanare una legge valida sul territorio che disciplini la regolamentazione degli immobili di residenza pubblica e quindi anche le regole da applicare nel caso di richiesta di subentro nei contratti di affitto. Le condizioni per subentrare nella titolarità L a competenza regionale, relativamente a tale materia, era stata stabilita con la Legge 457 del 1978, la quale aveva anche previsto che le leggi regionali dovevano comunque adeguarsi a dei criteri generali che sarebbero stati stabiliti dal Comitato Interministeriale per la Programmazio- ne Economica (Cipe). La direttiva Cipe è stata applicata dalla Regione Emilia Romagna, in relazione alla disciplina del subentro, all’art. 27 della Legge 8 settembre 2001 n. 24 il quale dispone che: i componenti del nucleo familiare, purché stabilmente conviventi con la persona assegnataria dell’immobile, subentrano di diritto nella titolarità del contratto di locazione in caso di decesso ovvero di abbandono dell’alloggio. Hanno il diritto di subentro in particolare i componenti originari del nucleo familiare nonché coloro che ne siano venuti a far parte per ampliamento del nucleo familiare stesso, a seguito di sopravvenienza di figli, matrimonio o stabile convivenza, o accoglienza nell’abitazione degli ascendenti o degli affini in linea ascendente, ovvero per affidamento stabilito con provvedimento giudiziario. Riguardo alla stabile convivenza la legge prevede delle precise condizioni affinché si possa avere l’ampliamento della composizione del nucleo familiare ed esse sono: 1.la convivenza instaurata con carattere di stabilità e finalizzata alla reciproca assistenza morale e materiale (convivenza more uxorio); 2.l’avvio della convivenza deve essere comunicato al Comune, il quale verifica la continuità e la stabilità della convivenza per un periodo di almeno quattro anni; 3.la modifica della composizione del nucleo avente diritto deve essere autorizzata dal Comune a seguito delle verifica della convivenza continua e stabile per almeno quattro anni. Criteri normativi È inoltre previsto che nel caso di decesso dell’assegnatario prima della decorrenza 5 ◄ dalla prima pagina ESILIO, «LA MEMORIA CONTRO LA RASSEGNAZIONE» da Alcione Editore, il racconto autobiografico dell’infanzia da profuga cresciuta nei gelidi ambienti dell’ex manifattura tabacchi di Firenze, il convento Sant’Orsola. Nella prefazione l’autrice, esule fiumana già docente di Storia dell’Europa Orientale nell’Università “la Sapienza” di Roma, indaga e definisce l’essenza della condizione di esule e le dinamiche interiori che l’esilio origina nell’anima di coloro che hanno dovuto attraversare la linea del termine di quattro anni, il Comune può concedere al convivente il subentro, in presenza di particolari condizioni di bisogno oggettivamente accertate. Alla luce di quanto stabilito dalla legge regionale dell’Emilia Romagna possiamo trarre il principio generale dell’onere di informare il Comune o l’ente che gestisce gli immobili occupati, di tutti gli ampliamenti del nucleo familiare e solo dopo che siano trascorsi quattro anni dal giorno in cui tale ampliamento è stato riconosciuto si potrà, nel caso di decesso o di abbandono da parte del titolare del contratto di locazione, subentrare nel contratto al posto del conduttore originario che aveva ottenuto l’assegnazione dell’appartamento. Ritengo inoltre rilevante segnalare un’importante disposizione della Legge Regionale della Sicilia (L.R. 22 marzo 1963 n. 26) la quale all’art. 6 dispone che nel caso in cui il titolare del contratto di locazione avesse fatto domanda di cessione in proprietà, i discendenti entro il terzo grado, il coniuge e gli ascendenti conviventi possono confermare tale domanda e subentrare nei diritti spettanti al de cuius, ma ciò deve avvenire entro il termine perentorio di 30 giorni. Gli esempi che ho riportato riguardano solo le regioni indicate, ma tutte le regioni hanno formulato delle leggi ad hoc con precisi termini di decadenza di cui bisogna avere esatta conoscenza per non rischiare di perdere i diritti previsti dalle leggi stesse. Non potendo qui riportare tutte le differenti disposizioni regionali che disciplinano la materia degli alloggi di residenza pubblica, ritengo utile però invitare i lettori a prendere conoscenza dei regolamenti stessi. d’ombra della perdita. Dal bastimento verniciato di bianco ho visto una città sparire lasciando un poco un abbraccio di lumi dell’aria torbida sospesa. Giuseppe Ungaretti, Silenzio (da Il porto sepolto) N el suo celebre quanto discusso libro Il secolo breve 1914-1991: l’era dei grandi cataclismi lo storico inglese Eric J. Hobsbawn osserva come la perdita della memoria storica sia uno dei segni distintivi del secolo trascorso. «La distruzione del passato, o meglio, la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono». Nel caso della vicenda storica dell’esodo forzato della popolazione giuliana dopo il 1945 l’abrasione storica è stata un’operazione politica quasi organizzata a tavolino, sin dal momento del suo compiersi. Troppi erano gli interessi in gioco. La perdita del ricordo di quella tragedia che ha coinvolto trecentocinquantamila di nazionalità, lingua e sentimenti italiani abitanti l’Istria e la Venezia Giulia diventava garanzia e recupero dell’innocenza storica di un intricato coacervo di forze politiche: da parte italiana e jugoslava oltre a quelle delle potenze vincitrici della seconda guerra mondiale. Questo indotto silenzio della storia ha coperto per troppo tempo una vicenda collettiva impastata con il dolore di ogni vita coinvolta. Quelle esistenze estinte per sempre nelle foibe, o disperse in ogni angolo dell’orbe terracqueo, nel vuoto degli antichi e caldi legami di sangue e di amicizie. A quelle vite disperse è stato sottratto il terreno di trasmissione della memoria, costituito dall’integrazione naturale nel luogo natio, nella famiglia d’origine, nella dimensione collettiva e materna del gruppo, nella consolazione del cimitero. Depauperate di quei meccanismi, funzionanti come via di fuga dalla sconfitta, hanno abbracciato la solitudine rifugiandosi nella condizione di vittime. Hanno subito il destino dei vinti cui si nega anche il diritto della connessione interiore di presente e passato. È per questo che una memoria come quella di Myriam Andreatini Sfilli assume il valore di un frammento di quella verità non ancora analizzata nella sua totalità. È uno scorcio di esistenze ferite dalla storia, tracciati di vite ammassate da un fantasioso e bislacco destino in un campo profughi, quella «manifattura tabacchi in disuso nota a Fi- renze con il nome di Sant’Orsola», uno dei tanti rifugi per i fuggiaschi giuliani sparsi per l’Italia, antri di emarginazione in cui posare la propria instabilità e il proprio sradicamento. L’originalità di questo libro sta nella rarità delle testimonianze dirette sulla vita nei campi profughi. Credo che non ne esistano molte così organicamente concepite. Si è detto che esistono due tipi di esilio: quello con le lacrime e quello senza le lacrime. I nostri non sono stati gli esilii dorati di scrittori vezzeggiati come Thomas Mann o Aleksandr Solzenicyn. Né gli esilii di intellettuali alla Joseph Roth o alla Stefan Zweig abbacinati dalla consapevolezza dei meccanismi di disfacimento del «mondo di ieri». I nostri sono stati gli esilii di poveri Cristi buttati nella discarica della storia. A noi appartenevano le lacrime. Le lacrime amare del rimpianto e della lacerazione esistenziale, della consapevolezza di un finito per sempre, della certezza del nonritorno. In quel campo profughi fiorentino, simbolo di tutte le «Sant’Orsole» del mondo, si acquartierarono alla rinfusa esistenze sradicate, destini marginali, genti dalle storie asciutte, stringate, solitudini smarrite. Gente che dietro precari muri di cartone celava l’aspirazione all’innesto, la speranza di futuri imprevedibili, gli spasmi della nostalgia. «Il rischio maggiore per l’esiliato è di ritrovarsi prigioniero della nostalgia», ha scritto Luis Sepúlveda. La nostalgia, questo roditore che arma la memoria contro la rassegnazione, questo ancoraggio al passato senza proiezioni, è la compagna perenne dell’esulità. La finestra con uno scoglio, un lembo di mare e un pino, dipinta sulla parete di cartone che ingabbiava una giovinezza confusa rappresentò per Myriam la via di fuga da una realtà distante e incomprensibile, il rifugio in cui catturare i ricordi, il confine ideale tracciato tra la sicurezza e la precarietà. Il mare è l’archetipo della nostra nostalgia, la particella elementare che ci lega a quella nostra Itaca dove per noi non c’è più «approdo». Se si chiedesse a ogni nostro esule qual è l’essenza della Terra abbandonata, risponderebbe «il mare». Quel mare scoglioso dell’Adriatico orientale, lungo le cui rive si dipanano lambenti i pini, le querce nane, i lauri. Eppure quella falsa finestra marosa dipinta da Myriam diventa il parapetto della vita, il filtro del brusio del mondo, la sfida alla continuità dell’esistenza. Attraverso quel pertugio immaginario passano tutte le tappe del nostro esodo: la difficoltà di dare esistenzialità al proprio sradicamento; una quotidianità avvilita e plumbea, che toglie persino il piacere di farsi un bagno; la reticente vergogna, sentita come colpa, della diversità; la dissociazione della coscienza fino alla rottura dell’equilibrio psichico; le discriminazioni all’esterno, fatte di imbarazzato disdegno o di aperta Numero 2 | febbraio 2014 ostilità fino al lancio dell’epiteto di «fascista» o quello di «zingari provenienti dalla Jugoslavia»; la spasmodica aspirazione alla normalità. [Un esilio che si dispiega in altri esilii come in una scatola cinese. L’esilio di Nency, che ha il colore negro del suicidio e nell’autodistruzione trova il suo “ritorno”. L’esilio nell’esilio del figlio della Rosina, cui la “patria” non sa o non può offrire attracchi costringendolo ad ancorare la propria esistenza nell’ignoto dei “nuovi mondi” d’oltremare. L’esilio amaro del ritorno nella terra natia occupata per sempre da protervi vincitori. Un acquitrino melmoso di destini affogati nella storia che non sanno chiedere «perché?». Eppure una risposta affiora dalla semplicità del pensare di Non- na Rosa: «il fascismo e la sua scellerata guerra sono state le cause della nostra rovina, del nostro esilio, dello smembramento della nostra famiglia». Affermazione senza replica. Un dramma che ha trovato la sua soluzione nella lenta e dolorosa immersione del profugo nell’ambiente che non sempre volenterosamente lo ha accolto, nella conciliazione con un presente talvolta sospeso. «Ma ogni ombra in fondo è anche figlia della luce e solo chi ha potuto sperimentare tenebra e chiarità, guerra e pace, ascesa e decadenza può dire di avere veramente vissuto», ha detto Stefan Zweig. E noi profughi dalla Venezia Giulia possiamo dire di «avere veramente vissuto». Clara Castelli L’Austria in pressing su Zagabria per le restituzioni dei beni espropriati «Q ualcosa si muove a Zagabria sul fronte della restituzione ai cittadini stranieri dei beni nazionalizzati o confiscati all’epoca del regime comunista jugoslavo». Così la notizia su “la Voce del Popolo” del 10 dicembre 2013 relativamente alle pressioni esercitate dall’Austria sulla Croazia affinché proceda nell’approvazione di una normativa che preveda la restituzione ai cittadini austriaci dei beni nazionalizzati dal regime di Tito. La delicata questione è stata oggetto dei colloqui del presidente del Sabor, Josip Leko, con la presidente del Parlamento austriaco, Barbara Prammer. Nel corso della conferenza stampa che ne è seguita il presidente del Parlamento croato ha riferito essere allo studio a Zagabria le modifiche da apportare alla legislazione perché venga introdotto il principio del risarcimento per i beni W Abbazia, palazzi del XIX secolo (foto www.skyscrapercity.com) nazionalizzati o confiscati nei decenni del regime comunista jugoslavo. Molto chiara la dichiarazione della presidente Barbara Prammer, che ha rimarcato che «quando si tratta della restituzione dei beni la cosa più importante è che sia fatta giustizia e che si proceda in maniera leale e corretta». «È il principio della non discriminazione nei confronti dei cittadini stranieri che dovrebbe essere l’elemento di fondo delle modifiche alla legge sul risarcimento per i beni nazionalizzati o confiscati all’epoca del regime comunista jugoslavo, alle quali le autorità croate stanno lavorando ormai da parecchi anni». commenta sul quotidiano di Fiume Dario Saftich. La questione interessa anche gli italiani L a questione interessa molto da vicino anche i cittadini italiani nonché quelli di altri Paesi. Il nuovo dispositivo, che dovrebbe essere approvato dal Sabor, dovrà recepire la sentenza emessa nell’ultimo scorcio degli anni Novanta dalla Corte costituzionale croata, che chiedeva al Parlamento di emendare la normativa allora vigente al fine di consentire ai non croati di riavere i beni nazionalizzati, oppure, in alternativa, di poter accedere ad un risarcimento. Tuttavia, i governi succedutisi dagli anni Novanta si sono ripetutamente premurati di chiarire che la restituzione potrà riferirsi esclusivamente a quei casi non coperti da trattati bilaterali. Con chiari riferimento all’Italia, al trattato di pace del 1947 e di Osimo del 1975 e di Roma del 1983. Le domande di restituzione inoltrate da cittadini di diversi Paesi dal 1991, anno in cui la Croazia ottenne l’indipendenza da Belgrado, sono complessivamente 4.211, mentre gli italiani che hanno avviato la pratica entro il 2003 sono 1034, seguiti dagli austriaci (676 ), da cittadini israeliani (175). 6 Ritrovate le ultime lettere di Nazario Sauro Q Pirano, Teatro Giuseppe Tartini, entusiasti gli applausi al termine della rappresentazione del musical civile di Simone Cristicchi (dalla pagina uff. le Facebook di «Magazzino 18») Pubblicate nel volume del nipote Romano Nazario Sauro, storia di un marinaio C ome in certi romanzi, alcune lettere inedite custodite in una cassaforte murata dietro un divano-letto e rimaste ignote sino ai nostri giorni sono state casualmente rinvenute e raccontano agli stupefatti contemporanei dettagli e vicende ignote di un grande protagonista dell’irredentismo e della Grande Guerra. Si tratta di due missive che il figlio Libero e che Nazario Sauro aveva consegnato all’amico Silvio Stringari nel maggio 1915 perché le recapitasse alla moglie e al figlio, quasi fossero un testamento. In effetti, vennero consegnate alla famiglia nell’agosto 1916, prima che i suoi famigliari apprendes- W Nazario Sauro con alcuni commilitoni istriani a Venezia nel 1916 (foto www.ilpiccolo.it) sero dai giornali veneziani dell’esecuzione già avvenuta due settimane prima. Ora, le lettere insieme con un’ampia e diversa documentazione sono confluite nel corposo volume di Romano Sauro, nipote di Nazario e ammiraglio della Marina militare, dal titolo Nazario Sauro, storia di un marinaio edito da La Musa Talia (Venezia). «Il libro è il risultato dei dieci anni trascorsi a scavare in numerosi archivi, ad ascoltare le testimonianze indirette di chi aveva avuto in quale modo a che fare con mio nonno o con altri suoi commilitoni, a mettere in ordine e a restaurare un gran numero di fotografie di famiglia», ha spiegato Romano Sauro nel corso della presentazione svoltasi lo scorso dicembre presso la Lega Navale di Trieste con lo storico Bruno F. CrevatiSelvaggi. Numero 2 | febbraio 2014 «Magazzino 18» in Istria e a Roma. Entusiasmo e commozione C onsensi entusiastici e minacce, apprezzamenti unanimi da parte della critica musicale e atti di vandalismo: «Magazzino 18», il musical civile di Simone Cristicchi, è diventato un’opera di culto e al contempo il bersaglio degli estremismi nazionalistici di quanti non vogliono riconoscere il volto della storia. Dal trionfo di Trieste alle intimidazioni subite dall’équipe del musicista a Pola - tappa del tour che prevedeva anche Pirano, Umago l’11 e Buie il 12 dicembre -, dove il Partito socialista dei lavoratori - un raggruppamento di ridotto peso politico - si è mosso per denunciare i «pericoli» dello spettacolo. Secondo gli esponenti di quel partito, Cristicchi avrebbe scritto «un recital nel quale gli jugoslavi vengono definiti come violenti usurpatori dei beni abbandonati dagli optanti dell’Istria e della Dalmazia», e per di più realizzato grazie alla forte sponsorizzazione della lobby degli esuli, con evidenti intendimenti irredentistici e revisionistici. Insomma, la vecchia e logora e ormai ridicola propaganda titoista contro il diritto alla libertà di conoscere e di raccontare la storia così come si è vissuta. Il Partito socialista dei lavoratori è giunto finanche a richiedere la proibizione dello spettacolo e, rivolgendosi alla Comunità Italiana, le ha chiesto di spiegare chi abbia interesse a ospitare e un evento «che gli schieramenti fascisti potrebbero usare per i loro loschi fini». Bisogna tuttavia anche registrare l’attenzione che Radio Pola ha dedicato al musicista romano, del quale ha trasmesso un’ampia intervista replicata una seconda volta su richiesta degli ascoltatori. Il debutto a Pirano E ra gremito il Teatro Tartini di Pirano, prima tappa del tour istriano di «Magazzino 18»: un’emozione splendida ha toccato e acceso il pubblico di connazionali accorso ad assistere, ti». «Il Paese se ne disinteressò, considerando quegli eventi funesti come un problema esclusivamente locale. Così proprio non era, una parte del suo territorio fu recisa, una fetta consistente dei suoi abitanti - figli di quella terra - lasciò la regione e riparò nella penisola, Q Il musicista tra le suppellettili del Magazzino 18 del porto vecchio di Trieste (foto www.iteatri.re.it) X Roma, Sala Umberto, 17 dicembre, un autentico trionfo per la “prima” di Cristicchi la sera del 9 dicembre, ad una rappresentazione inedita dell’esodo e della separazione di un’intera collettività tra esuli e non. «Quegli accadimenti - ha commentato su “la Voce del Popolo” dell’11 dicembre 2013 Kristjan Knez -, i drammi vissuti e la fine di un popolo lungo i lidi orientali dell’Adriatico - che da quel momento in poi si ridusse a sparuta minoranza, quasi una reliquia, ma con un cuore ancora pulsante - furono colpiti da una sorta di ostracismo e accantona- una presenza e una cultura inscindibilmente legate ad essa furono spazzate». «Si ricordano le foibe - così descrive Knez la trama del musical -, la carneficina di Vergarolla, la figura del chirurgo Geppino Micheletti che, pur avendo perso i suoi due figli in quella che doveva essere una tranquilla giornata agostana al mare, continuò a prestare la sua opera di soccorso, l’esodo straziante da Pola, con i chiodi che mancano per formare le casse in cui riporre gli averi che prenderanno il mare, il “Toscana”, la cui sirena “sembra il lamento di un capodoglio”, la dura realtà dei campi profughi, la piccola Marinella morta assiderata a un anno d’età nella gelida Padriciano, la difficoltà dell’inserimento nell’Italia ancora pesantemente provata, la nostalgia per la terra natia abbandonata». «Un “foresto” è venuto da noi a proporci il racconto della nostra gente. E ci siamo commossi». Soddisfatto e toccato dall’accoglienza lo stesso Cristicchi: «Alla fine della rappresentazione mi sono fermato a parlare col pubblico, e ho capito che il mio lavoro è stato inteso come un modo diverso di raccontare la storia. Sono anche rimasto stupito dal fatto che tanti, soprattutto giovani, mi hanno raccontato che non sapevano niente della strage di Vergarolla, o ignoravano l’esistenza di figure come quella di Giuseppe Micheletti». A Pola, con qualche tensione rientrata Q ualche preoccupazione a Pola, dove alla vigilia della rappresentazione, il 10 di- cembre, alcune notizie riferivano di manifesti di contestazione affissi per la città e di atti vandalici sui mezzi di trasporto della troupe, in entrambi i casi ridimensionati sia dai diretti interessati, sia dagli esponenti della Comunità degli Italiani. Qualche locandina “ritoccata” con espressioni ingiuriose, come ha successivamente riferito lo stesso Cristicchi, e un pneumatico parzialmente tagliato, forme queste di colpevole intolleranza peraltro del tutto sopravanzate dal trionfo ottenuto nel salone degli spettacoli della Comunità degli Italiani. «Qui a Pola hanno imbrattato alcuni manifesti scrivendoci “spettacolo per fascisti” senza averlo mai visto: non è giusto, ma va bene così», ha liquidato la questione il musicista, festeggiato dal pubblico di connazionali e di esuli provenienti da alcune città italiane. «Mi hanno detto che adesso il mio compito è di fare il loro ambasciatore in Italia. Mi hanno detto: racconti la nostra storia al resto del Paese, faccia conoscere a tutti quelli che non le conoscono le nostre vicissitudini... Un impegno non da poco, ma a questo punto anche un dovere». 7 A Roma. «Io sono lo spirito delle loro masserizie» U n successo anche la “prima” romana, il 17 dicembre presso la Sala Umberto nella centralissima Via della Mercede (repliche sino al 22), accorsa anche una nutrita rappresentanza di esuli giuliano-dalmati residenti nella Capitale. Una vera standing ovation ha siglato la prémiere nella gremitissima sala del Teatro capitolino. E non poteva essere altrimenti, vista la profonda carica emotiva dello spettacolo: «Sono venuto a cercare mio padre in una specie di cimitero, tra masserizie abbandonate e mille facce in bianco e nero. Tracce di gente spazzata via da un uragano del destino, quel che rimane di un esodo ora riposa in questo magazzino» è il testo della canzone con la quale il musical civile si chiude. Il Magazzino 18 dell’ex Porto di Trieste, è rievocato anche con l’ausilio delle immagini elaborate da Valentina Zagovich, un insieme di sedie e tavoli ed armadi accatastati, fotografie ingiallite e storie di vite sospese, abbandonate per non essere più rivendicate. E la scena di chiusura è ben suggestiva: l’attore ripone sul palco, una ad una, le sedie vuote, un tempo posate davanti le porte delle case, divenute ormai simboli del vuoto lasciato da chi non può più rendere testimonianza. Per sollecitare a non dimenticare. Ma la Cnj: «Cacciatelo dall’Anpi» G iunge invece scontato l’anatema della Cnj, associazione filo-jugoslava, che avrebbe raccolto molte adesioni di partigiani e loro eredi per invitare l’Anpi ad espellere Cristicchi perché alimenterebbe «a livello mediatico e diffusivo a mezzo web una propaganda politica antipartigiana». Peraltro, il quotidiano il manifesto ha recensito lo spettacolo, dapprima con forte carica critica, successivamente stemperando i toni, infine apprezzando lo spettacolo. «La tessera - chiarisce Cristicchi al riguardo - mi è stata donata dall’Anpi stessa nel 2010 come attestato si riconoscenza per lo spettacolo con il Coro dei Minatori di Santa Fiora». «La polemica e gli attacchi di alcuni sedicenti “antifascisti” e “difensori della democrazia” - ha dichiarato al quotidiano romano “Il Tempo” - non mi colpiscono più di tanto. Da artista libero, sono ormai abituato agli attacchi di chi non vuol vedere i chiaroscuri della storia. Con “Magazzino 18” penso di aver fatto il mio dovere di artista, raccontando una pagina dolorosa e poco nota, e aver reso agli esuli istriani fiumani e dalmati ciò che spettava loro da 60 anni. La dignità della memoria d. a. Numero 2 | febbraio 2014 DAI COMITATI Comitato di Bologna La presentazione de L’Isola che non c’è Benvenuti e la sua Istria duri seguiti all’esilio, il campione ha considerato come un evento doloroso (la perdita di tutto, l’esilio), si sia trasformato in un’opportunità. Proprio a Bologna ha trovato l’opportunità di crescere era una volta Isola, nella sua disciplina sportiva, inanzi, per essere più contrando persone significative. I precisi Isola d’Istria, una picco- duri allenamenti lo hanno portala cittadina che si protendeva to ai livelli che tutti conosciamo. sull’Adriatico: casette ordinate, «Sono stato fortunato» ha detto il Duomo del XVI secolo, una diverse volte Benvenuti, ripercorbella piazza. Quando ancora era rendo alcune tappe salienti della Italia, qui è nato il grande pugi- sua carriera. Bologna ancora si ricorda del le Nino Benvenuti. Isola adesso si chiama Izola ed è in Slovenia. campione olimpico e lo ha accolAlla fine della seconda Guerra to con molto affetto. Tra gli ascolMondiale, Benvenuti se n’è an- tatori numerosi i suoi fan che dato, come la maggior parte degli hanno richiesto autografi e foto italiani, ma non ha dimenticato. ricordo che forse non conoscePassati i settant’anni, ha pensato vano le origini del pugile. Adesso di raccontare questa parte della sanno che viene da Isola, Isola che sua vita, quella prima dei successi non c’è più, ma che Benvenuti internazionali, in un libro intito- porta sempre nel cuore. Pagina dopo pagina si snodalato L’Isola che non c’è. Il mio esodo dall’Istria scritto con Mauro Gri- no i ricordi più intimi e dolorosi maldi (Libreria Sportiva Eraclea). del campione. Per una volta le Sabato 23 novembre, nella sue imprese sportive rimangono Sala Marco Biagi, in via S. Ste- sullo sfondo (le troviamo nella fano, a Bologna, a cura del Co- seconda parte). In primo piano mitato provinciale Anvgd, di ci sono l’uomo, la famiglia, la fronte ad un pubblico numeroso, sua città e le vicende politiche il libro è stato presentato dagli che hanno attraversato l’Istria dopo la fine della seconda guerra mondiale. C’è Nino con i fratelli Eliano, Alfio, Dario e la sorellina Mariella. Ci sono i suoi genitori: il papà, commerciante di pesce a Trieste, e la mamma casalinga. Una vita fatta di piccole cose e il calore di una famiglia unita: «La sera, tutti intorno al camino, riprendevamo a fantasticare di fronte a un piatto di patate in tecia, una ricetta della nostra tradizione». Qui sono le sue radici: «Isola era il mare azzurro. La gente forte. I volti dei pescatori bruciati dalla salsedine. L’odore acre del sudore, dopo una giornata di pesca. Gli sguardi curiosi dei bambini sul molo. I miei sogni di bambino iniziano e finiscono qui, in questo W Bologna, momenti della presentazione del piccolo borgo di pelibro di Nino Benvenuti scatori di una terra autori. Ha introdotto Marino Se- contesa e martoriata». Dopo l’otto settembre del gnan, presidente del Comitato, 1943, tutto cambia. L’Istria, liricordando come Venezia Giulia, Istria e Dalmazia abbiano dato i berata dai nazisti, è occupata natali a numerose personalità an- dall’esercito di Tito e, qualche anno dopo, annessa alla Federache del mondo sportivo. «Isola è stata la mia palestra, tiva Jugoslava. Iniziano le persesportiva e di vita. È qui che ho cuzioni, gli espropri, gli arresti di iniziato a tirare pugni. Non a innocenti. Molti abbandonano fare boxe, ma a tirare pugni» ha la loro terra per trasferirsi nella raccontato Nino Benvenuti. Ri- vicina Trieste spesso guardati con cordando le sue origini, e gli anni sospetto dagli italiani stessi. Tut- C’ to questo viene raccontato nelle pagine de L’Isola che non c’è. Il resoconto della carriera pugilistica si ferma alle Olimpiadi del 1960, con la vittoria di Nino Benvenuti sul russo Yuri Radonyak. Un successo che ha un sapore particolare e che all’epoca significò molto di più di un incontro di pugilato e di un titolo, seppure olimpico: «Quel giorno sul ring avevo mille motivi per vincere e l’ho fatto. Tra le urla del pubblico, la gente che mi abbracciava, ho visto scorrere, in un attimo, il film della mia vita. L’arresto di mio fratello. Le coste dell’Istria che si allontanavano. I miei amici scomparsi. Il volto di mia madre. Si, avevo un po’ di conti da regolare…». Il volume, iniziativa promossa dal Comitato provinciale bolognese è stato presentato sabato 23 novembre nella Sala Marco Biagi, via S. Stefano 119, a Bologna, alla presenza degli autori. Nella ricorrenza dei defunti, inoltre, il Comitato ha curato la celebrazione di una Messa, celebrata dall’assistente spirituale della comunità degli esuli in Bologna mons. Lino Goriup, e il 14 dicembre un concerto di Natale della Corale San Michele in Bosco - Anvgd. *** Comitato di Genova La partecipazione all’incontro di Recco A Recco, ridente cittadina della Riviera genovese di Levante, si è svolto il 7 dicembre il rituale appuntamento per la scambio dei doni tra i fiumani. E l’abbiamo scoperta una nipote orgogliosa delle proprie radici fiumane: Simona Schiaffino, arrivata dalla vicina Camogli e nipote della nostra Insegnante Natalìa Descovich. E per restare in campo marittimo, era anche presente al pranzo Paolo Persich, nipote del Comandante Giulio Zagabria, nato a Fianona d’Istria e diplomato a 25 anni nell’Accademia Nautica di Fiume, allora Corpo Separato dell’Ungheria. Tra gli altri presenti al San Nicolò recchese, il vertice Anvgd della Liguria tra cui il prof. Claudio Eva, Emerico Radmann e Fulvio Mohoratz, il dott. Sandro Pellegrini, emerito storico giuliano e ligure, e Rudy Demark, che ha guidato i cori dei canti dialettali dei nostri tempi. Qualcuno amaramente ha ricordato il San Nicolò 1945 quando a Fiume tutti gli studenti fecero «oculize» per festeggiare il 6 dicembre allora che la guerra era finita, e quel gesto di libertà venne interpretato come sciopero reazionario contro l’interesse del Popolo Lavoratore. Per tale motivo gli operai del Cantiere intervennero con spranghe di ferro per cacciare gli studenti a fare il loro dovere. Fortunatamente non furono usate le spranghe di ferro, e dal “Vinas” e nel Campetto dei Tre Pini sopra Santa Caterina - dove una moltitudine di ragazze e di ragazzi festeggiavano San Nicolò al suono della fisarmonica - la festa ebbe termine pacificamente. Per altri malcapitati studenti, che si erano recati a giocare le boccine al Caffè Panciera in Viale Camice Nere o nel Bar sopra la Gelateria Fontanella in Piazza Regina Elena, le cose andarono peggio. rudi decleva *** Comitato di Imperia La memoria si rinnova A Sanremo gli esuli della Venezia Giulia e della Dalmazia hanno festeggiato il 15 dicembre 2013 i loro Patroni su iniziativa del Comitato di Imperia, guidato da Pietro Chersola. San Tommaso e tutti i Patroni delle comunità che componevano la provincia istriana, sono stati commemorati nel corso della S. Messa celebrata presso la Chiesa dei Padri Cappuccini di Sanremo. «Una celebrazione a ringraziamento della loro intercessione presso il Signore - ha dichiarato Luciano Damiani, vicepresidente provinciale dell’Anvgd -, che ha concesso agli esuli una vita dignitosa e ricca di nuovi affetti e amicizie». «Gli esuli sono stati la conseguenza del trattato di pace firmato nel 1947 a conclusione di una inutile sanguinosa guerra, per cui l’Italia dovette cedere alla Jugoslavia i territori dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia. La popolazione dovette optare se mantenere la cittadinanza italiana oppure no: coloro che furono favorevoli dovettero abbandonare tutto, terre, case, aziende, chiese, cimiteri e monumenti, che da millenni facevano parte della Nazione e cultura romana, veneziana e quindi italiana, e rientrare nei nuovi confini dello Stato Italiano. Furono coinvolte 350.000 persone, corrispondenti al 90% della popolazione di cultura italiana. Esse vennero accolte in parte in Italia, ma molte si sparsero in vari Stati del mondo, che accettarono di ospitarli». «È impegno dell’Associazione - ha concluso Damiani - mantenere vivo il ricordo di eventi che hanno pesato in modo rilevante sul popolo italiano e che oggi, con scelte non condivisibili fatte dai nostri Governi, vengono spesso dimenticati e sminuiti nei loro valori e valenze sociali». continua ► 8 Comitato di Latina Due immagini per la storia dell’esodo nel capoluogo pontino I l presidente del Comitato pontino, Benito Pavazza, ci invia due fotografie d’epoca, che ritraggono gli esuli insediati nel dopoguerra nel capoluogo laziale. Le immagini, non datate, appartengono alle figlie dell’ex presidente dello stesso Comitato, Livio Salvioli. Anche la fotografia “fa” la storia, e con questa convinzione volentieri le pubblichiamo. Forse qualcuno si riconoscerà? della Regione litoraneo-montana e di quella Istriana, del Comitato provinciale di Roma dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, dei due Consigli cittadini per la minoranza italiana». Così ha presentato “la Voce del Popolo” la performance artistico-teatrale proposta dal Comitato capitolino dell’Anvgd lo scorso novembre, dal titolo «Dantescamente». Il 29 del mese nella Chiesa dell’Assunzione della Beata Vergine del capoluogo quarnerino e sabato 30 nella sede della Ci di Pola, la performance, realizzata su ideazione e progetto di Marco Comitato di Torino Esuli per Cristicchi U n nutrito gruppo di Esuli, di simpatizzanti e di dirigenti del Comitato Anvgd ha assistito allo spettacolo «Magazzino 18» di Simone Cristicchi venerdì 15 novembre al Teatro “Il Mulino” di Piossasco (Torino). La rappresentazione teatrale di Cristicchi racconta la storia dei confini orientali, la vicenda della popolazione autoctona italiana, le persecuzioni delle quali fu vittima, le foibe e l’esodo, l’esilio nei campi profughi, l’oggi ed il domani. Una rappresentazione che ha soddisfatto ampiamente il competente pubblico di esuli, che hanno espresso la speranza e l’auspicio di poterlo ospitare anche a Torino al più presto, per poter raccontare, ancora una volta, una storia che oggi da alcuni è ignorata o, ancor peggio, negata o giustificata. Le scuse agli Esuli dell’amministrazione comunale P W Le due immagini d’epoca della comunità giuliano-dalmata di Latina *** Comitato di Roma Fiume e Pola, letture dantesche «F iume e Pola accomunate dal Sommo Poeta, citate nella sua Divina Commedia come terra che dell’Italia “chiude, e i suoi termini bagna”. Tutto grazie all’iniziativa che vede il sostegno delle rispettive Comunità degli Italiani, del Consolato Generale d’Italia a Fiume, delle due Municipalità, Occhipinti per la regia di Paolo Pasquini si è animata dei dialoghi di Maria Grazia Chiappori e Donatella Schürzel, mentre Matteo Cirillo e Caty Barone hanno letto brani del grande fiorentino. La performance artistico-teatrale è stata dunque accompagnata dall’illustrazione di passaggi rilevanti tratti da diversi canti ed è stata accompagnata dall’esposizione di rari cimeli filatelici. L’evento, già presentato a Roma, ha lo scopo di sottolineare e valorizzare aspetti meno noti della biografia e dell’opera dantesca, soprattutto per ciò che la lega alla storia delle genti dell’Istria, di Fiume, e della Dalmazia. ossibilmente ignorati, se nel caso calpestati o anche peggio. Questo è ancora il destino dei diritti degli Esuli, cittadini italiani nati su suolo italiano, anche se la pubblica amministrazione da anni, troppi oramai, ignora quanto sancito dalla legge dello Stato italiano, la n. 54 del 15 febbraio 1989. Tant’è che molti Esuli girano da anni con la fotocopia in tasca per fare valere i loro diritti. A Torino stanno arrivando a tutti in queste settimane le scuse dell’amministrazione comunale, rea di aver inviato la Tares a cittadini mai nati in Montenegro, Serbia, Kosovo ed altro ancora. Grazie all’intervento del Comitato Anvgd sono arrivate le scuse e la correzione, sempre tardiva... Ma avremo modo di approfondire ancora la questione in vista delle celebrazioni del 10 Febbraio. Ricordiamo cosa prevede la Legge 54 del 1989: «L’art.1 della Legge 15.02.1989, n. 54, prevede che tutte le pubbliche amministrazioni «nel rilasciare attestazioni, dichiarazioni, documenti in genere a cittadini italiani nati in Comuni già sotto la sovranità italiana ed oggi compresi nei territori ceduti ad altri Stati, ai sensi del trattato di pace con le potenze alleate ed associate, hanno l’obbligo di riportare unicamente il nome italiano del Comune di nascita, senza alcun riferimento allo Stato cui attualmente appartiene». L’art.2 della stessa legge prevede, altresì, che le pubbliche amministrazioni «hanno l’obbligo, anche su richiesta orale dello stesso cittadino, di adeguare il documento alle norme della pre- Numero 2 | febbraio 2014 sente legge». Ricordiamo inoltre la normativa italiana punisce l’ignoranza. Anche quella dello stesso Stato. *** Comitato di Udine Chi ricorda il campo profughi di via Pradamano? A nche quest’anno si è celebrato a Udine, il 15 dicembre, il Natale dell’esule. La cerimonia religiosa è stata officiata da mons. Ottavio Bonfio nell’Oratorio della Purità, fino alla fine dei loro giorni. Per qualcuno che è morto, don Tarcisio ha dovuto celebrarne con affetto il funerale. In città chi si ricorda di questo popolo dell’esodo? La risposta è di quelle che piace a don Tarcisio, perché una scuola di Udine si è ricordata dei primi bombardamenti subiti da Zara nel novembre 1943. È dello scorso 15 novembre, infatti, l’anteprima del Laboratorio di Storia dell’Istituto Statale d’Istruzione Superiore “Bonaldo Stringher”. L’incontro si svolto nella stessa Udine nella sala del Q Udine, il coro del Centro smistamento profughi di Via Pradamano in una fotografia del 1959 (foto www.friulionline. com) accompagnato dall’“Aquileiensis Chorus”, diretto dal maestro Ferdinando Dogareschi. È seguito il pranzo sociale organizzato dal Comitato di Udine, coronato da un breve intrattenimento teatrale in dialetto istriano e dalmata, grazie alla compagnia di Gianfranco Saletta, che ha messo in scena «Xe più giorni che luganighe», uno spettacolo incentrato sulla gastronomia di Friuli Venezia Giulia, Istria e Dalmazia. Le testimonianze T ra gli esuli si è parlato anche dei campi profughi, oltre che dell’esodo istriano. Nel Centro di Smistamento Profughi di via Pradamano, attivo dal 1947 al 1960, passarono oltre cento mila persone in fuga dalle violenze titine, dopo la seconda guerra mondiale. Si pensi che i preti dell’esodo celebravano la Messa dentro il Campo Profughi. Erano figure come don Mario Stefani, don Luigi Polano, don Elio Comuzzo, don Abramo Freschi e don Leandro Comelli. Nella Cappella del Campo Profughi di via Pradamano si tenevano le funzioni religiose accompagnate dai canti delle donne di Pola, della gente di Fiume e di Zara. Organista e direttore del coro era Angelo Larice (1913-1992). Era stato costituito persino il coro per le celebrazioni liturgiche del Campo e, nell’archivio parrocchiale di San Pio X, si è trovata una vecchia fotografia, del 1959, che ritrae i coristi. Negli ultimi decenni del Novecento altri preti sono stati molto vicini al mondo degli esuli riparati a Udine. Si tratta di don Giulio Vidulich e don Giovanni Nicolich. Anche don Tarcisio Bordignon, parroco di San Pio X, ricorda alcuni di questi profughi con piacere. «Gente brava che si dava da fare - dice - e non stava con le mani in mano». Devoti alla «ciesa» e grandi lavoratori, Museo Etnografico del Friuli. «Abbiamo deciso di dedicare tale appuntamento al 70.mo anniversario dei bombardamenti su Zara - ha detto Anna Maria Zilli, Dirigente scolastico dello Stringher - per mantenere la memoria di tali eventi storici». Il 2 novembre 1943 ha avuto inizio, infatti, il primo dei 54 bombardamenti angloamericani sulla città dalmata, allora appartenente al Regno d’Italia. Per le distruzioni subite è stata definita la «Dresda dell’Adriatico». Per tale occasione c’è stato come testimone d’eccezione l’ing. Silvio Cattalini, esule da Zara e presidente del Comitato provinciale Anvgd. Cattalini ha raccontato, in modo toccante, i ricordi personali di quelle terribili giornate. «Il primo bombardamento - ha detto - ha provocato 163 morti e 270 feriti, oltre a decine di case distrutte o danneggiate; molte persone stavano riparate in un rifugio para-schegge… che impressione, ho visto intere famiglie morte bruciate». All’evento nel Museo Etnografico erano presenti anche l’ing. Sergio Satti, esule da Pola e vice presidente dell’Anvgd udinese e il dott. Giorgio Gorlato, esule da Degnano d’Istria. L’anteprima è proseguita a cura dei professori della scuola, con l’illustrazione del progetto «Il ‘900 in Friuli Venezia Giulia», che gode del contributo della Fondazione Crup. Altre iniziative del Laboratorio di Storia sono state predisposte a cura del referente, il prof. Giancarlo Martina, come previsto per il giorno 8 febbraio 2014, in occasione del Giorno del Ricordo, in riferimento all’esodo istriano dalmato e su altri fatti vicini alla seconda guerra mondiale, come la Resistenza e la nascita della Costituzione. Elio Varutti (articolo apparso anche su www. friulionline.com 23 dicembre 2013 9 Numero 2 | febbraio 2014 Padova: il dialogo Anvgd - Anpi è possibile D ichiarava anni fa Giampaolo Pansa, in occasione della pubblicazione del suo libro Prigionieri del silenzio: «La storia non è un oggetto fabbricato una volta per tutte e da mettere sotto una campana di vetro». Parole di un coraggioso uomo di sinistra che toglieva il velo a tabù fino ad allora non rimossi, in quel caso la tragedia dei comunisti italiani sopravvissuti al Goli Otok e al rientro in patria costretti dal Pci al silenzio. W Pola, febbraio 1947, camion con le masserizie in fila per l’imbarco sulla motonave “Toscana” (foto Archivio Anvgd) Scrivevo a giugno sulle pagine di questo stesso periodico di un’esperienza vissuta dal mio Comitato Anvgd di Padova, quando la presidente Giacca ed io, invitate in occasione del Giorno del Ricordo ad una serata organizzata da una locale sede dell’Anpi, inizialmente incredule, ascoltammo interventi che ci toccarono il cuore riconoscendo la verità del nostro dramma, verità da noi tenacemente rivendicata, ma in seno all’Anpi rivisitata sempre in chiave giustificazionista. Fino a quella sera. Per noi, personalmente, quella sera uomini di buona volontà, dimostrarono capacità di autocritica; in particolare il presidente regionale Anpi del Veneto, prof. Maurizio Angelini, attraver- Che fine farà la Legge del Ricordo dell’esodo e delle foibe? L’allarme lanciato dalla Società di Studi Fiumani D i «nuove discriminazioni contro gli esuli fiumani» si legge nel comunicato stampa emesso in questi giorni dalla Società di Studi Fiumani alla notizia del rigetto da parte del Governo Letta degli emendamenti presentati dal sen. Aldo Di Biagio (Lista Civica Monti) e dall’on. Fabio Rampelli (Fratelli d’Italia) a favore dell’Archivio Museo Storico di Fiume, che come noto ha la sua sede nel Quartiere Giuliano-Dalmata della Capitale.. so una sintesi storica delle foibe e dell’esodo, giunse a riconoscere l’errore di valutazione commesso per decenni nei nostri confronti e dichiarò che noi 350.000 eravamo italiani incolpevoli in fuga dal regime autoritario di Tito. Fu il primo seme gettato di un dialogo tra Anvgd e Anpi di Padova, continuato con altri incontri, segno di una volontà di confrontarsi, fino a giungere al convegno svoltosi in una sala del Comune il 29 novembre 2013 e intitolato Ci chiamavano fascisti, ci chiamavano comunisti; siamo italiani e crediamo nella Costituzione. Eravamo presenti tutti noi che auspichiamo una nuova prospettiva dialettica, in primis la presidente Giacca, per l’Anpi la presidente provinciale Rizzetto e quello regionale Angelini, Mario Grassi ed io del Comitato Anvgd di Padova, il prof. Basalisco, esule da Pola e socio Anpi. Liberazione»; che i morti, sotto la nuda terra, sono «tutti ugualmente degni di rispetto»; che a noi che abbiamo abbandonato la nostra terra «hanno insegnato a saper non odiare, ma coltivare memoria» perché ai giovani sia di monito che «la follia omicida scaturita dai totalitarismi sfrenati […] è orrore da qualsiasi parte provenga, orrore assoluto, e la nostra potrà dirsi vera civiltà e vera democrazia quando questo concetto sarà condiviso, per comportava anche l’eliminazione violenta di chi non condividesse l’obiettivo». Analogamente, l’eccidio di migliaia di persone in maggioranza italiane con le foibe del 1943 e della primavera del ’45, nonché con i campi di concentramento jugoslavi, era stato ricondotto dall’Anpi alla «reazione inevitabile, magari violenta ed eccessiva, ad altra violenza subìta dai fascisti»; pur confermando che la snazionalizzazione fasci- roprio questa mutata atmosfera di «colloquio e di confronto» è stata messa in risalto dalla presidente Rizzetto nel suo intervento introduttivo. A sua volta la presidente Giacca ha evidenziato come sia avvenuto che dal «guardarci in cagnesco» si sia arrivati a darci la mano: perché «rielaborare l’amor proprio senza rinunciare a se stessi è arduo, ma fa crescere e allarga l’orizzonte», mentre «la mancanza di dialogo porta a chiusura sterile», perciò occorre puntare su denominatori comuni. E, citando due interventi del presidente onorario Toth, ha ribadito che «tutti crediamo nei valori di libertà e democrazia, valori su cui è fondata la Costituzione, nata dalla lotta di «La legge del Giorno del Ricordo - prosegue la nota - purtroppo stabilisce dall’anno scorso contributi minimi di euro 35.000 all’Archivio Museo storico di Fiume della Società di Studi Fiumani. Una legge che doveva sin dall’origine destinare euro 100.000. Fra due anni non si sa che cosa verrà ancora stabilito...probabilmente l’azzeramento dei fondi. […] Tali emendamenti richiedevano un ripristino totale dei fondi originari che sin dal 2008 non sono più quelli (o almeno parziale, come è stato chiesto al capo di gabinetto del ministro Bray dalla nostra Società di Studi Fiumani per giungere almeno a 60.000 Euro)». Per fare qualche confronto, il comunicato cita alcuni contributi recentemente approvati dall’Esecutivo a favore di enti diversi: 1 milione e 476 mila euro destinati dal Viminale all’Associazione na- «L’errata valutazione del fenomeno dell’esodo» «M «Coltivare memoria» P sta e l’invasione della Jugoslavia del ’41 restano «sanguinose responsabilità», Angelini ha affermato che esse «non spiegano perché vennero eliminati dagli jugoslavi non solo fascisti, ma anche antifascisti, membri del Cln e a Fiume i dirigenti del movimento autonomista […] perché nell’Istria settentrionale nell’estate ’45 vennero sciolte autorevoli sezioni del Pci». giungere al bene assoluto, la pace attraverso la giustizia». Il presidente regionale dell’Anpi Angelini ha esordito esprimendo la volontà di compiere un’opera di critica e di autocritica dei testi che costituiscono la “vulgata” per le due rispettive associazioni e attraverso un’ampia e insieme sintetica relazione ha passato in rassegna alcune tappe fondamentali della nostra vicenda, partendo dalla valorizzazione eccessiva del movimento di liberazione jugoslavo da parte dell’Anpi, arrivato solo negli ultimi anni a riconoscerne la finalità rivoluzionaria di presa di un potere «dittatoriale che zionale vittime civili di guerra; autorizzata anche la spesa di quattro milioni di euro (di cui un milione per l’anno 2013 e tre milioni per l’anno 2014) quale contributo per la prosecuzione dei lavori di realizzazione della sede del Museo nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah e Museo della Shoah a Ferrara, di cui alla legge 17 aprile 2003, n. 91; ben 2 milioni sono stati inoltre destinati alle Anpi. Ed ancora, il contributo in favore del “Centro Pio Rajna” in Roma (Centro di studi per la ricerca letteraria, linguistica e filologica) per 1.500,000,00 euro in tre anni; 227 mila euro a beneficio dell’Associazione nazionale perseguitati politici italiani antifascisti; 67.950 euro a favore dell’Associazione nazionale combattenti e reduci; e 57.800 euro per la Federazione italiana Volontari della Libertà. (fonte Società di Studi Fiumani 10 gennaio 2014) W Partigiani jugoslavi nel 1945 (foto www.gore-ljudje.net) X Il labaro del Tigr, presente ai nostri giorni alle manifestazioni dei filo-jugoslavi sloveni (foto www.24ur.com) olti di noi dell’antifascismo di sinistra», ha continuato Angelini, «abbiamo ignorato colpevolmente in questi anni» la volontà del partito comunista che egemonizzava il movimento di liberazione jugoslavo di costruire una società gestita in modo autoritario da un partito unico; «abbiamo accettato colpevolmente l’equazione anticomunismo = fascismo […] facendo nostra la categoria del nemico del popolo applicata anche ed antifascisti. L’analisi sbagliata» ebbe come conseguenza «l’errata valutazione del fenomeno dell’esodo come la fuga di fascisti giustamente repressi» o di italiani vittime della propaganda della Dc, ma la «coralità» del fenomeno, l’esodo pressoché totale degli italiani, e anche di migliaia di sloveni, dimostra che alla base c’era il «rifiuto fondato di un regime autoritario e illiberale», di persecuzioni religiose, di controlli polizieschi. Un confronto franco con gli esuli non può prescindere dal «riconoscimento di errori di valutazione e del dolore e della lacerazione irreparabile nella generazione che lo ha continua ► Strage di Vergarolla, Garavini «scoprire la verità su questa tragedia» «D opo decenni di silenzio qualcosa finalmente si sta muovendo per fare luce sulla morte violenta di decine di italiani a Pola nell’estate del 1946. Apprezzo la disponibilità della viceministro agli Esteri ad istituire con urgenza, come da me proposto insieme all'onorevole Ettore Rosato, una commissione di esperti col compito di chiarire le cause di una delle più gravi stragi di connazionali del dopoguer- ra». Lo ha dichiarato poco prima delle festività natalizie Laura Garavini, deputata eletta nella Circoscrizione Estero Europa, commentando la risposta della viceministro Marta Dassù ad una sua interrogazione sull’eccidio di Vergarolla. «È molto positivo che ci sia la disponibilità del Ministero a sostenere un progetto scientifico da finanziarsi sulla base della Convenzione triennale appena rinnovata fra il Ministero dei beni e le attività culturali, il Ministero degli Esteri, e la Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati» ha aggiunto Garavini: «adesso bisogna passare ai fatti, facendo tutto il possibile per scoprire la verità su questa tragedia. Lo dobbiamo alle vittime e ai loro parenti». 10 subìto […] nonché della dignità politica dell’esodo per quella ricerca di libertà in esso presente». La parola d’ordine «morte al fascismo, libertà ai popoli» dunque realizzò solo la prima metà, non la seconda. Dopo questa onesta autoanalisi, Angelini è passato ad esaminare l’atteggiamento della pubblicistica degli esuli sulla vicenda che ci riguarda e qui ha espresso la critica sul giudizio espresso nel nostro mondo sugli slavi, visti come «barbari assetati di sangue» calati dopo l’8 settembre 1943 a distruggere il paese perfetto in cui vivevamo in un «rapporto pacifico di convivenza». Tale lettura a suo dire suona come un’assoluzione del fascismo, colpevole invece di aver accumulato l’odio, imponendo un «presupposto razzista» che negò dignità agli slavi, impedendone la crescita sociale e causando il rancore che esplose tragicamente alla fine della guerra. Anche il tema del mancato o peggio ostile accoglimento degli esuli in Italia, per cui «noi di sinistra dobbiamo chieder scusa di quella viltà e quella volgarità», andrebbe integrato con il riconoscimento che si verificarono casi di accoglienza e umanità anche in città governate dalla sinistra, come Milano, Torino, Venenzia e Bologna. Il grave errore fu nel dare «copertura ideologica all’ostilità per il profugo fascista che veniva a portar via il lavoro». Il punto d’incontro possibile, nel rispetto delle memorie di entrambe le associazioni, è per Angelini nella comune appartenenza ad un’Italia costituzionale e antifascista, come suggerito dal titolo del dibattito. L’unicità della vicenda giuliano-dalmata N el mio intervento esordendo ho sottolineato che il nostro dialogo poteva essere agevolato dal fatto che noi siamo i figli di quei padri che hanno sofferto quella temperie storica e quindi forse capaci di parlarci con maggior pacatezza, nel rispetto del dolore altrui, ma anche con il presupposto intellettuale di una reciproca conoscenza. Ho scelto di analizzare il tema della snazionalizzazione, anzi delle snazionalizzazioni che si sono susseguite nella storia del confine orientale, cercando di trasmettere la condizione anche psicologica di noi gente di frontiera, abituata dagli eventi a conoscere una realtà multietnica, multiculturale, ma anche ad acquisire il senso della precarietà. Abbiamo imparato soprattutto con Venezia il valore della convivenza pacifica, interrotta nella seconda metà dell’Otto- cento dalla politica antitaliana e filoslava dell’Austria, per i motivi a noi ben noti, che innescò lo scontro etnico e ne ho elencato gli interventi di snazionalizzazione in tutti i settori. Ho ricordato la reazione all’armistizio del 1918 da parte di popolazioni slave inglobate nel Regno d’Italia, gli atti terroristici del Tigr [acronimo di Trst-Istra-Gorica-Reka, l’organizzazione clandestina rivoluzionaria attiva tra le due guerre, ndr], il deposito d’armi del Balkan, il primo esodo dalla Dalmazia successivo al Trattato di Rapallo. Non ho taciuto la fase della snazionalizzazione operata dal fascismo di frontiera, citandone gli interventi repressivi, ma anche ricordando con Marina Cattaruzza, storica al di sopra di ogni sospetto per l’Anpi, che si trattò di un maldestro tentativo di italianizzazione forzata delle popolazioni slave, non di una pulizia etnica, come confermano i dati dei censimenti di quel periodo, e come invece accadde per noi. L’accusa poi rivoltaci di essere tutti fascisti stride con il fatto che la guerra voluta e perduta dal fascismo impose il prezzo più caro della sconfitta proprio a noi, unici a subire la cessione delle terre natali e, in ogni caso, non tutti i fascisti italiani si “annidavano” solo sul confine orientale, in un ventennio in cui tutta l’Italia era sostanzialmente fascista. Noi, caso mai, eravamo più attaccati alla madrepatria, proprio per la nostra marginalità, quindi più patriottici. Terza snazionalizzazione, subìta, non attuata, dagli italiani come già sotto l’Austria, fu quella di Tito, quella che ci tolse noi stessi, colpendoci a tutti i livelli, costringendoci all’esodo: ne ho dato testimonianza anche con l’apporto di vicende familiari e con ampi riferimenti che a noi esuli sono ben noti, ma ho sottolineato l’unicità della nostra vicenda: noi siamo gli unici italiani ad aver fatto esperienza, oltre che del fascismo, anche del totalitarismo comunista, che noi soli abbiamo provato sulla nostra pelle. Noi siamo stati di conseguenza costretti ad un esodo biblico. Ho rivendicato il diritto che ormai degli esuli si parli non più per fomentare il giustificazionismo o il negazionismo, ma con onestà intellettuale e ho concluso citando il nostro presidente Ballarin, quando il 25 aprile ha dichiarato tra l’altro che «la consapevolezza della perdita irrimediabile non ha impedito agli esuli di sentirsi parte attiva […] di una comunità nazionale con la quale hanno condiviso e condividono gli alti valori di libertà, di democrazia, di progresso civile, valori dei quali, con la scelta dolorosissima dell’esodo, hanno reso a favore dell’intero popolo italiano una testimonianza unica». Il negazionismo non si elimina negando il confronto M ario Grassi ha a sua volta affrontato il tema delle foibe, spiegando che il termine «infoibamento» è riduttivo, perché comprende varie forme di eliminazione fisica, come deportazioni, campi di concentramento e ricordando che gli eccidi colpirono non solo l’Istria, ma anche la Dalmazia. Ha sottolineato che tra le due fasi delle foibe, settembre 1943- maggio 1945, ci fu comunque uno stillicidio continuo di prelevamenti notturni e di infoibamenti da parte dei titini. Pur riconoscendo le responsabilità della politica repressiva del fascismo, ha individuato i fattori scatenanti della violenza in una visione più articolata, cioè nello scontro «nazionale, tra italiani e slavi; socioeconomico, tra città e campagna; politico-ideologico, tra fascismo e comunismo». Ha analizzato vari aspetti della tematica, in particolare l’ardua quantificazione. È seguita poi una serie di interventi da parte del pubblico: esuli che hanno recato il loro apporto personale - non soci dell’Anpi, sulla cui assenza mi sono interrogata. Al prof. Basalisco, esule da Pola, socio Anpi, spettava la conclusione del dibattito, per tirare le fila del discorso e interpretare il significato dell’esperienza, ma egli ha privilegiato un ulteriore excursus della vicenda giuliano-dalmata focalizzato sulla snazionalizzazione fascista, già presa in esame da Angelini e da me, anche attraverso una lunga citazione del nazionalista sloveno Boris Pahor, tanto che Fausto Biloslavo, presente al dibattito, scriveva su “ Il Giornale” dell’1 novembre 2013 che sembrava colto dalla sindrome di Stoccolma. Quali le conclusioni? Sicuramente positive per l’instaurata capacità di dialogo, per il riconoscimento da parte di esponenti dell’Anpi della vergogna delle foibe e dell’esodo, per il risarcimento morale da noi ricevuto, per la constatazione di una onesta� volontà di parlare di noi con noi, non, e speriamo non più, con personaggi come una Kersevan, le cui strabiche tesi sono già state demolite dalla storiografia ufficiale a 360°. Una breccia importante è stata aperta; solo parlando potremo continuare a documentare che le radici dell’odio risalgono a tempi precedenti il fascismo, senza negare le responsabilità di questo. Il negazionismo non si elimina negando il confronto. Sempre nel libro di Pansa citato all’ inizio, in copertina si legge: «Ben vengano le polemiche e gli anatemi. Se la verità non fa male, che verità è?». Adriana Ivanov Consigliere Comitato Anvgd di Padova Numero 2 | febbraio 2014 Quando la «Venezia del nord» incoronò l’Isola del sud Celebrato a Isola d’Istria l’Oro olimpico del 1928 ad Amsterdam «…6,31no fa più nissun! Amsterdam, Amsterdam!» Ricorrevano gli 85 anni dell’Oro olimpico conquistato dal «quattro con» della Società Nautica “Giacinto Pullino” d’Isola d’Istria alle Olimpiadi di Amsterdam del 1928. Per l’occasione la Comunità degli Italiani “Dante Alighieri”di Isola ha organizzato una serata celebrativa nelle sale di Palazzo Manzioli, per celebrare «un oro di Isola, degli Isolani di ieri e di oggi», come ha dichiarato Maurizio Tremul, presidente della Giunta Esecutiva dell’Unione Italiana. Presente, tra gli altri, anche Emilio Felluga, anch’egli nativo di Isola ed esule a Trieste, per lunghi anni presidente del Coni regionale Fvg e ora suo presidente onorario, che ci invia la cronaca che segue e della quale lo ringraziamo. P er anni i canottieri della Società Nautica “Giacinto Pullino” hanno cantato quest’inno, ricordando che con 6,31 avevano battuto gli svizzeri W L’equipaggio della “Pullino” ad campioni olimpici uscenti, sul Amsterdam canale di Sloten attiguo ad Am(foto www.canottaggio.org) sterdam, dove si erano svolte le Olimpiadi del 1928. X Isola, Palazzo Manzioli, la consegna del gagliardetto della “Pullino” L’equipaggio era composto da Valerio Perentin, Giliante Deste, Nicolò Vittori, Giovanni Delise (tutti «isolani») e dal timoniere presidente Renato Petronio (piranese), fondatore della Società nel 1925. Sono trascorsi 85 anni da quell’agosto del 1928 che fu per Isola d’Istria un evento che entrò nel Dna degli Isolani. La “Pullino” nel “4” con fu grande protagonista negli anni Trenta: il dopoguerra e la successiva occupazione jugoslava, nel 1951, la costrinsero a cambiare il suo nome che ricordava il sommergibile di Nazario Sauro, in “Giovanni Delise”, olimpionico del 1928 deceduto qualche anno prima. La pulizia etnica costrinse la società a chiudere l’attività nel 1955, quando ormai quasi tutta la popolazione italiana aveva scelto l’esilio. Sulla scorta dell’entusiasmo della vittoria di Nino Benvenuti (Isolano anch’egli) alle Olimpiadi di Roma del 1960 i vecchi dirigenti decisero di far rinascere la società; dopo dieci anni di peregrinazioni tra le varie società triestine, che generosamente le avevano dato ospitalità, trovò a Muggia, cittadina a pochi chilometri da Trieste, la sua nuova sede nel 1967. Nel 1981 costruì la sua bella canottiera che successivamente acquistò sotto la presidenza di Franco Degrassi. Essa è ormai muggesana, anche se sono ancora molti i dirigenti di origine isolana. «Oh bell’Istria che lungo il tuo lido vai scorrendo sul placido mar...»: con le note dell’inno all’Istria, in un clima di grande commozione, si è aperta ad Isola la celebrazione in ricordo dell’85.mo anno della conquista olimpica. Promotrice la Comunita degli Italiani “Dante Alighieri” di Isola, nella sala del Palazzo Manzioli. Oltre alle tante autorità erano presenti i figli dell’olimpionico Nicolo Vittori, Mariucci e Gianfranco ed i loro famigliari ed amici. La “Pullino”, a mezzo del suo presidente Fabio Vascotto ed Emilio Felluga, membro dell’Accademia Olimpica nazionale italiana, hanno regalato alla Comunità una targa raffigurante la pagina del quotidiano “Il Piccolo” di Trieste del 19 agosto 1928 con le foto dei cinque olimpionici, dopo che due ragazze «le fie de fontana fora» avevano cantato «eviva el mar» W Particolare della mostra documentaria e l’inno della “Pullino”. Uno splendido sottofondo musicale, allestita in Palazzo Manzioli realizzato da Dragan Sinozic, ha accompagnato la proiezione di tante immagini risalenti a quegli anni, mentre nell’atrio gli ospiti potevano ammirare una bella mostra storica. «Tra i tanti eventi che abbiamo organizzato - ha detto la presidente della “Dante”, Amina Dudine - questo sicuramente è stato il più significativo per tanti motivi, e credo che per le emozioni che ha suscitato rimarrà impresso per molto tempo nelle nostre memorie». Emilio Felluga 11 Numero 2 | febbraio 2014 Steffè e la “Libertas” di canottaggio Dall’argento olimpico del 1948 con i colori della società capodistriana all’esodo in Italia N ell’ottobre 2007 si è svolta a Genova, organizzata dal Comitato Regionale Liguria del Coni, la cerimonia di consegna delle onorificenze agli atleti liguri che presero parte alle Olimpiadi di Berlino, Londra, Helsinki, Melbourne e Roma. Il conduttore della manifestazione - il giornalista Alfredo Provenzali - si soffermò in particolare sul- Steffè che è ricordato per il suo lavoro al porto di Fiume». Ma, tornando alla storia sportiva - che comunque si intreccia con la storia collettiva nel 1947 Giovanni Steffè con Aldo Tarlao (al timone Alvino Grio), conquistarono a Pallanza, ancora con i colori della “Libertas” di Capodistria, il titolo italiano nelle categorie junior e senior. Il successo fu Vigile del Fuoco era tanto intrisa di sangue che ha arrossato totalmente l’acqua del mastellone in cui si lavavano i panni». A Venezia la Canottieri “Bucintoro” lo affiliò alla Federazione Canottaggio permettendogli così di ricostituire un «due con». Ai campionati nazionali del 1949, Tarlao e Steffè si ritrovarono a Abdon Pamich socio onorario dell’Associazione Nazionale Sociologi L o scorso 16 dicembre 2013, presso l’Università degli Studi di Roma “la Sapienza” - Facoltà di Scienze Politiche, Sociologia e Comunicazione, si è svolto il convegno nazionale dell’Associazione Nazionale Sociologi. In quella occasione è al merito della Repubblica Italiana, alla presenza del presidente nazionale dell’Associazione Pietro Zocconali, della presidente del Dipartimento Lazio Anna Maria Coramusi, e del presidente del Dipartimento Umbria Evimero Crisostomi, promotore del W Roma, fine anni Cinquanta, Pamich si allena (foto www.sportivamentemag.it) stata conferita la tessera di socio onorario al dott. Abdon Pamich, campione olimpico ed europeo, Commendatore Ordine W Da sin., Giovanni Steffè, Emilio Felluga e Aldo Tarlao. A Genova nel 2007 (foto www.raid.informare.it) la vicenda sportiva ed umana di Giovanni Steffè e Aldo Tarlao, che con il timoniere Alberto Radi (scomparso) conquistarono per l’Italia un argento a Londra 1948. Ma le vicende che travolsero l’Istria in quel tempo costrinse Steffè all’esodo a Genova, cessando l’impegno sportivo, mentre Tarlao si rifugiò a Trieste e, ancora con il «2 con», conquistò tre titoli europei e il quarto posto ai giochi di Helsinki. Da quel lontano anno, funestato dalle note vicissitudini del confine orientale, i due campioni olimpici non ebbero più notizie l’uno dell’altro. Il loro incontro nel 2007 chiuse una parentesi durata ben 58 anni, grazie all’impegno, tra gli altri, di Emilio Felluga, già canottiere dell’istriana “Pullino” e past president del Coni Friuli Venezia-Giulia. Il commovente incontro ci viene ricordato dalla sorella di Giovanni Steffè, signora Marina, che richiama alla memoria anche il padre, Giovanni Steffè, capo dei Vigili del Fuoco di Capodistria «che ha costruito, per ben due volte, il ponte di collegamento tra l’isola Capodistria e la terraferma come i “veci” ben ricorderanno», e il nonno, «Piero confermato l’anno successivo, a Milano, risultando campioni d’Italia con al timone il veneziano Radi. Il che consentì all’equipaggio di puntare alle Olimpiadi di Londra, nel cui bacino di Henley conquistarono una meravigliosa medaglia d’argento, dietro la forte Danimarca. L’addio a Capodistria e alla “Libertas” I tragici rovesci che si accanirono sull’Istria in quei mesi suggerirono a Giovanni di non rientrare a sfidarsi sotto insegne diverse, e quella circostanza fu l’ultima in cui si videro. Per la cronaca, la “Libertas” di Tarlao batté la “Bucintoro” di Steffè. Nell’ampio servizio dedicato il 27 ottobre 2007 dal “Secolo XIX” di Genova alla cerimonia promossa dal Comitato Regionale Liguria del Coni per festeggiare i grandi olimpici “liguri”, la storia di Steffè viene ampiamente narrata e il racconto si avvale della sua preziosa testimonianza. E in un’intervista a Claudio Loreto, il campione istriano ha ricordato come nel febbraio 1947 gli jugoslavi irruppero nella sede della Società Q Londra 1948, bacino di Henley,la gara di «2 con» (foto www.theguardian. com) Capodistria, dove peraltro il padre era stato appena oggetto delle “attenzioni” dei partigiani jugoslavi: «una brutale aggressione titina - la ricorda bene la signora Marina -. Quando arrivò a casa con la testa ferita, la sua divisa di “Libertas” e la saccheggiarono, trasferendo tutte imbarcazioni su un peschereccio con destinazione ignota. Cessò quel giorno una gloriosa e generosa attività sportiva e agonistica iniziata nel 1888. D. A. riconoscimento. Alla cerimonia erano presenti sociologi e docenti universitari provenienti da tutta Italia. Ulderico Sergo, ricordo del pugile fiumano Oro olimpico I l 4 luglio 1913 nasceva a Fiume quello che sarebbe diventato uno dei migliori pugili italiani: Ulderico Sergo. Conquistò la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936 battendo lo statunitense Jackie Wilson ai punti. Fu campione europeo nei Pesi gallo a Budapest nel 1934, Berlino 1936 (titolo conseguente alla vittoria olimpica), Milano 1937 e Dublino 1939, vincitore per quattro volte del Guanto d’oro a Chicago dal 1935 al 1939. Ebbe comunque l’occasione di misurarsi con i migliori Pesi gallo e Pesi piuma dell’epoca quali Gino Bondavalli, Guido Ferracin, Gino Cattaneo e Alvaro Cerasani. Conquistò il campionato italiano, sempre nei pesi gallo per tre volte: Ferrara 1933, Napoli 1934, Parma 1938. Fece parte della Nazionale italiana per 24 volte dal 1932 (a Praga) al 1939 (a Trieste). Pugile dalla straordinaria carriera dilettantistica, raccolse soddisfazioni molto minori tra i professionisti, tra i quali iniziò a combattere ad un’età non più giovanissima. Esule da Fiume, si fermò inizialmente a Trieste dove fu anche allenatore di Nino Benvenuti. Poi si stabilì definitivamente negli Stati Uniti, a Cleveland (Ohio). Qui morì tragicamente nel 1967, a soli 54 anni, per aver mangiato funghi avvelenati che egli stesso aveva inavvertitamente colto. I figli Ulderico jr. e Livia vivono tuttora a Cleveland. red. Q La premiazione di Ulderico Sergo, Oro alle Olimpiadi di Berlino del 1936 12 ◄ I dannati di Tito. Pubblicato un elenco dei deportati a Goli Otok «S edicimila prigionieri, quattrocento morti, le stime minime. Sono numeri, non inediti, che descrivono un abisso, l’abisso di Goli Otok. Ma scrivere 16mila, scrivere 400, non rende l’idea dell’orrore e della violenza cui assistette l’Isola Calva, tra il 1949 e il 1956». «Ma adesso anche per il gulag di Tito, nel quale finirono a migliaia dopo la rottura del 1948 tra il Partito comunista jugoslavo e Mosca - solo perché “cominformisti” o per vendette personali ed errori burocratici e giudiziari - i nomi ci sono». Così Stefano Giantin su “Il Piccolo” dell’8 gennaio 2014 (Prigionieri nel lager di Tito Esce la lista dei 16mila nomi) dà notizia della pubblicazione, sulla rivista politico-culturale croata “Novi Plamen”, di una lista di 16.101 persone rinchiuse nel lager di Tito tra il 1946 e il 1956. Lista, a quanto risulterebbe, compilata negli anni Sessanta dall’Udba, i servizi di sicurezza di Tito, e che contiene date di nascita, di arresto e di rilascio, un codice numerico - per gli italiani il 33 - che stava ad indicare la nazionalità del prigioniero. “Novi Plamen” aveva già pubblicato, a fine novembre, un elenco comprensivo di nomi e cognomi di quanti, fra sedicimila «informbirovci» [i comunisti fedeli a Mosca, ndr] deportati nell’isola per essere “rieducati” a Numero 2 | febbraio 2014 dalla prima pagina IL COLLEGIO “NICCOLÒ TOMMASEO” DI BRINDISI (1946-1951) forza di violenze e lavori forzati, non sopravvissero, ovvero oltre 440. Novi Plamen” ha giustificato la pubblicazione della lista con l’intento di far tacere le «speculazioni» sul numero dei detenuti e dei morti nell’isola, proseguite per decenni con il W Lager di Goli Otok, ancora visibili gli slogan incensanti Tito (foto www.kurir-info.rs) fine, precisa il giornale di «screditare l’intera epoca del socialismo jugoslavo». Fra i sopravvissuti, ricorda Stefano Giantin, «molti ebbero remore a parlare dell’esperienza del lager, dopo esserne usciti, anche dopo la fine della Jugoslavia e dopo il termine del loro isolamento in libertà, spiati da polizia e servizi perché non rivelassero l’esistenza dei lager di Tito». Finanche i dati sui decessi pongono allo storico contemporaneo dei legittimi dubbi, giacché, come asserisce Zorica Marinkovic, ricercatrice serba e organizzatrice di una mostra documentaria sulla repressione e i crimini del regime in Serbia e Jugoslavia commessi tra il 1944 e il 1953, «la cifra potrebbe essere leggermente superiore, dato che le persone morte a Goli Otok venivano sepolte in luoghi sconosciuti o gettate in mare», ovviamente per occultare le prove della repressione operata dal regime titoista, una delle sue tante vergogne. Red. trovai due giorni dopo, doverosamente accompagnato da mia madre, a scivolare con il treno nella ferace Puglia fra immensi alberi d’olivo dalle foglie argentate splendenti al sole - la giornata infatti era bella - circondati da un dialetto musicale, borbottato, enunciato, scandito da tanta gente che dopo Foggia scendeva e saliva con forte vocio, ciò che faceva spicco dopo il silenzio della notte. Eravamo infatti partiti da Roma a mezzanotte e cinque con un treno “diretto” che non ho mai capito se fosse l’ultimo convoglio della sera o il primo della mattina (era l’ultimo) e che si disfaceva a Foggia del troppo moderno locomotore elettrico per ostentare nelle Puglie una onesta locomotiva a vapore, il cui fumo, se ti affacciavi, era pregno di frammenti di carbone a cui piaceva annidarsi sotto le vesti, infilarsi nei capelli o, meglio ancora, negli occhi. Mentre a Brindisi ci dirigemmo poi al collegio con una inusitata carrozzella. Un arrivo come si deve. Ma da quello che ho sentito ad esempio dai “muli” Sedmak e Faraguna abbastanza frequente. Mentre i primi anni gli arrivi erano più spartani come vedremo. Arrivare al collegio di Brindisi era tornare un po’ a casa, perché superata la barriera dei dirigenti e degli istitutori si passava subito all’idioma ufficiale che era ovviamente il nostro dialetto veneto, si ritrovavano atteggiamenti e comportamenti delle nostre terre, si incontravano anche antichi compagni di scuola. Ma si facevano subito anche nuove amicizie, soprattutto nel campo sportivo che era per tutti estremamente importante tanto che i campioncini (di calcio o di atletica che fossero) godevano un giusto prestigio che altri potevano solo sognare e certamente non ne godevano quegli sciocconi dei “bravi a scuola”. Mi si perdonerà se dico che le mie valutazioni nel collegio crebbero nell’estate quando fu accertato che nuotavo molto bene. Il Collegio non era esclusivamente nostro e ciò nel senso che venivano accettati anche ragazzi indisciplinati o pigri della Puglia del sud ma anche di Roma, nonché ragazzi profughi provenienti dalla Grecia, dalla Francia o dalle Colonie. Alcuni di essi avevano trascorso tutta la guerra ospitati in qualche convitto. Come nacque il Collegio C ome nacque il Collegio? Roma si era già posto il problema di come provvedere all’istruzione dei figli dei profughi che sempre più numerosi affluivano in Italia coi loro genitori. Da varie parti si pensava di creare un’apposita istituzione perché le famiglie non potevano provvedere alle rette scolastiche e alle relative spese attinenti all’istruzione. Esse dovevano lottare per sopravvivere, cosa abbastanza fattibile date le qualificazioni dei nostri capifamiglia d’allora, ad esempio se abitavano a Tortona che è vicina a Torino e Milano, a Chiavari prossima a Genova ma non certo a Laterina, a Tirrenia, a Gaeta, a Chieti, a Catania dove la fantasia del Ministero degli Interni e del relativo ministro, aveva ben pensato a confinare i profughi senza darsi alcun pensiero dell’occupazione dei padri. Però essi non nutrirono W Il Collegio come appariva in un’immagine degli anni Trenta del Novecento rancori. Eravamo pur sempre nella nostra Italia, eravamo liberi e si parlava qui quella preclara lingua che tanto commuove il cuore con i suoi suoni e con le ardenti cadenze dei suoi poeti. Si narra anche che l’iniziativa dell’apertura fu presa in prima battuta dall’ex-direttore del seminario di Fiume, don Tamburini, coadiuvato da un altro ex e cioè il professore del liceo scientifico della città liburnica Troili, incaricato in seguito della direzione del Collegio. Gli inizi furono difficili perché il Collegio che come edificio faceva parte della Gil dimagrita nel frattempo a Gi (Gioventù Italiana) riceveva fondi assai scarsi per le necessità dell’Amministrazione anche perché l’Accademia Navale di Livorno che dal 1943 in poi aveva soggiornato in quelle mura aveva lasciato in loco 22 inservienti che occorreva pagare; e ciò avveniva a carico dei 5 milioni messi a disposizione dallo Stato e che però dovevano eziandio bastare per il cibo. A questo proposito va considerato che i convittori erano pur sempre ragazzi compresi fra i quindici e i vent’anni ed oltre ed alcuni avevano avuto esperienze militari ed un difficile dopoguerra e pertanto il loro appetito dopo gli anni del conflitto e quelli susseguenti era robusto assai. Dicono che i menù si incentrassero molto sui ceci, sconosciuti nelle nostre lande e, ahimè, spesso guardati con sospetto. Mentre, come sapete, sono eccellenti leguminose che, sebbene in misura minore, spadroneggiarono altresì nei tempi miei (1950-1952). I primi passi Q uali furono i primi passi del Collegio? Fu costruito appunto come collegio navale della Gil ed edificato, bisogna pur dirlo, in uno stile moderno ed arioso; le palazzine di abitazione e che contenevano altresì una ampia sala riunioni e una palestra costituivano piuttosto dei corpi laterali a guisa di ali per riversarsi sull’ampio cortile che a sua volta si lanciava verso la pineta e il mare. Sul finire della guerra venne, come si diceva, adibita ad Accademia Navale che non ci lascerà solo i 22 inservienti di cui sopra ma anche attrezzi e suppellettili che ci furono di grande utilità. Ci lasciarono anche un capocameriere che dicevano avesse qualche anni prima servito il re e la regina rifugiatisi, come noto, nella città pugliese. Uomo di grande distinzione, dava un certo tono alla nostra mensa. Il nome scelto per il Collegio fu appunto quello di Niccolò Tommaseo di Sebenico che con il Dizionario della Lingua Italiana ed altre pubblicazioni, oggi un po’ trascurate, è senz’altro il più illustre scrittore delle nostre terre, almeno nell’Ottocento. Un uomo geniale, diviso tra alti momenti etici e forti pulsioni carnali. Mentre si può dire invece che nel Novecento viene Svevo. Le testimonianze C ome arrivarono i primi allievi? Lascio parlare Lallo Cosatto (anni 88!): «Ero fra i primi trenta che andarono a Brindisi accompagnati dal prof. Troili. Par- 13 timmo dal Collegio Aricci di Brescia dove ci avevano collocato; a Milano - era fine settembre - ci misero in un vagone tutto nostro e sbarcammo a Brindisi ventisette ore più tardi. Il motivo di un tale ritardo? Vi erano interruzioni e difficoltà un po’ dappertutto ma soprattutto laddove si era attestata la linea Gotica e cioè a Ortona. Arrivati a Brindisi alle undici di sera dovemmo ancora scarpinare per tre km fino al Collego; fu nostra fortuna il fatto che i bagagli erano ben leggeri, il che era dovuto alla povertà dei tempi. Nei giorni successivi aiutammo Troili a sistemare un po’ il collegio e le camerate coadiuvati dagli inservienti mentre le guardarobiere si dichiaravano pronte a cucire e a mettere in ordine i nostri abiti che però non c‘erano o erano davvero sdruciti. Tu mi chiedi se ci furono delle proteste per il vitto e indubbiamente se ne registrarono alcune ma i convittori mangiavano in quel torno di tempo certamente meglio della maggior parte degli italiani». Cosatto che ha avuto esperienze di combattimento e di campo di prigionia ritiene che il cibo fosse certamente accettabile anche se in parte scarso in relazione alla nostra età e alle nostre abitudini ma ben presto - aggiungo io - le nostre famiglie cominciarono ad inviare ai loro rampolli dei pacchi, le cui derrate venivano in gran parte spartite, talora anche sottratte con audaci spedizioni notturne, ma che comunque nutrivano il lontano figlio. Un altro episodio di quegli anni è dovuto al fatto che molti convittori avevano ancora la loro famiglia oltrecortina e pertanto non sapevano dove recarsi in estate e pertanto il Troili organizzò nella Sila un campo estivo che funzionò molto bene, salvo il fatto che un fulmine colpì due ragazzi di cui uno si rimise abbastanza rapidamente mentre l’altro rimase purtroppo offeso ad una gamba e perse quasi la vista. Mentre il Collegio cominciava a funzionare con tranquilla regolarità qualche problema sorse invece con la direzione, affidata, come si diceva, al prof. Troili amatissimo dai convittori, e che fu invece rivendicata per i maggiori titoli in suo possesso, da un certo prof. Prandi. Sembra che il Prandi fosse di carattere puntiglioso e vendicativo e che non gradisse troppo l’atmosfera aperta ed informale che si era instaurata al Niccolò Tommaseo. Si finì col registrare delle vive tensioni con tentativi di allontanamento da Brindisi di qualche collegiale, tensioni poi attenuatesi con l’ottenimento del diploma da parte di parecchi convittori anziani che se ne andarono e col trasferimento del Prandi ad una consimile istituzione sorta a Grado e trasferitasi poi a Gorizia e cioè il Collegio Fabio Filzi. Il suo successore prof. Prosperi era invece persona prudente e riservata. Non parlava molto con gli allievi e lasciava volentieri questo compito all’apparentemente iracondo vicerettore prof. Pagliari che curava la disciplina e la faceva rispettare, ma senza calcare la mano, anche perché amava e praticava lo sport e pertanto si sentiva legato ai ragazzi giuliani che quasi tutti eccellevano in qualche disciplina. Gli allievi nel mondo N el Collegio erano ospitate come scuole l’Istituto Nautico da cui sono usciti fior di nostri comandanti che ben presto si disseminavano nel mondo (a quel tempo come giovani ufficiali, si capisce), e che mandavano ai loro amici in collegio splendide cartoline da Panama o ad esempio dal Giappone e che facevano il giro del Collegio. Si apriva così per noi l’ampio mondo. Il cortile centrale, sede dei nostri dopocena, dove si udivano i canti nostrani oppure, dall’altoparlante, le canzoni popolari italiane del sud nonché il parlottio di vari crocchi di amici, sembrava ampliarsi a dismisura riempiendo la corte di effluvi esotici. Quest’aura di paesi lontani dava però un ulteriore prestigio agli allievi del Nautico che sovente noi denominavamo i «Signori del Nautico» e che erano inquadrati dagli istitutori più autorevoli come Decleva e come Callochira che senza motivo i titini avevano tenuto in carcere per cinque anni. Nel Collegio c’erano comunque allievi di tutte le scuole, delle medie, delle magistrali, dei licei classico e scientifico. Quest’ultimo fu ospitato nel collegio fino a giugno 1950 e si trasferì poi al centro di Brindisi. Forse nel collegio lo Scientifico (che era la mia scuola) per certi aspetti stava meglio come ad esempio per gli spazi, per l’aria e la luce. Nell’intervallo si andava sull’ampio campo sportivo e si percepiva nel cielo il ronzio degli apparecchi militari di addestramento. Volavano ben alto sulle nostre teste, credo per scrutare appunto il futuro che si celava dietro l’orizzon- te. Avranno visto molte cose che si conobbero solo dopo. Nel 1951 il Collegio Tommaseo fu disperso e gli allievi che abitavano al nord andarono a Gorizia e Trieste mentre quelli del centro erano dirot- Numero 2 | febbraio 2014 tati sui Convitti Nazionali del Centro Italia. Ma il Collegio non fu chiuso e funzionò ancora per qualche anno anche se gli eventuali ragazzi profughi venivano dirottati altrove e le Puglie sembravano avere L’inaugurazione dell’asilo italiano “Pinocchio” di Zara La cronaca di una giornata memorabile N el mese di ottobre 2013, il 12, è stato inaugurato a Zara, finalmente l’asilo italiano, presenti il viceministro degli Affari Esteri italiano, Marta Dassù, una delegazione composta dall’Ambasciatore d’Italia in Croazia, Emanuela D’Alessandro, dal Console Generale d’Italia in Fiume, Renato Cianfarani, dal Ministro plenipotenziario. Francesco Saverio De Lugi, dal presidente del Comitato di Coordinamento per la Minoranza italiana in Croazia e Slovenia; dal presidente dell’Unione Italiana (Ui), Furio Radin, ed infine dal presidente della Giunta Esecutiva dell’ Ui, Maurizio Tremul. All’incontro era presenti, per la Regione del Veneto, l’assessore al Bilancio e Relazioni Internazionali Roberto Ciambetti; per le associazioni degli esuli Renzo Codarin, presidente della FederEsuli; Antonio Ballarin, presidente nazionale dell’Anvgd; Manuele Braico presidente dell’Associazione delle Comunità Istriane; Elio Ricciardi, Guido Crechici e Giorgio Varisco rappresentavano l’Adim (Dalmati Italiani nel Mondo). Per l’Univesità Popolare di Trieste erano presenti il vicepresidente Fabrizio Somma e il direttore Generale Alessandro Rossit. Ad accogliere la delegazione la presidente della Ci di Zara, Rina Villani. Dopo il saluto della presidente Villani, la signora Bevanda ha letto un testo tratto da alcuni scritti di Caterina Fradelli, suscitando nei presenti viva commozione, condivisa anche dal viceministro Dassù che confermato l’impegno dell’Italia a favore della minoranza oltre Adriatico, malgrado la chiusura del Consolato d’Italia a Spalato. All’inaugurazione hanno partecipato anche una rappresentante del Ministero della Scienza, Educazione e Sport della Croazia, il presidente della Contea di Zara, il sindaco ed il vicesindaco della Città di Zara. L’incontro W Zara, inaugurazione dell’asilo italiano: in prima fila l’ambasciatore italiano a Zarabria, Emanuela D’Alessandro, e il viceministro degli Esteri Marta Dassù, alle loro spalle si riconosce il presidente nazionale Anvgd Ballarin (foto www.10febbraiodetroit. wordpress.com) era aperto ai media. Ricco il programma della cerimonia, che ha visto, tra l’altro, gli interventi del sindaco di Zara, Božidar Kalmeta, la cui presenza non era stata annunciata, mentre si è notato l’attuale vicesindaco Zvonimir Vrancic, già sindaco nella precedente legislatura comunale, proprio colui che aveva ripetutamente detto e scritto che il Comune di Zara non avrebbe dato e fatto nulla a favore dell’asilo italiano. Il sindaco Bozidar Kalmeta ha detto tra l’altro che l’apertura dell’asilo è un successo per la città di Zara [sic] ed ha promesso che provvederà al pagamento del personale dell’asilo per l’anno 2014. A nome delle associazioni degli Esuli è intervenuto il rappresentante dell’Adim, Giorgio Varisco, il quale ha sottolineato come si sia trattato di evento storico di grande significato, perché significa che «questa, consentitemi, ‘nostra’ città, ha fatto un passo avanti sulla strada della democrazia e della libertà». «Per secoli a Zara persone e famiglie di origine diversa hanno scelto se essere italiani o croati. La scelta della nazionalità è un diritto inalienabile della persona in tutte le costituzioni del mondo e nel diritto inter- meno ragazzi sfaticati. Poi il Collegio fu chiuso davvero ed è rimasto lì abbandonato ciò che a noi dispiace molto. E nessuno sa decidersi a fare qualcosa. Egone Ratzenberger nazionale. Per questo non ho paura di parlare di una “nostra Zara”, come altri hanno diritto di chiamarla “Zadar naš”» ha aggiunto Varisco. Il viceministro degli Affari Esteri, Marta Dassù ha ricordato la storica presenza italiana a Zara, i meriti che l’Italia ha guadagnato in questi anni nei confronti della Croazia soprattutto a favore della sua entrata in Europa; e, ricordando che l’italiano è la quinta lingua al mondo più studiata, ha concluso che l’apertura dell’asilo è solo un primo passo a cui seguiranno inevitabilmente l’apertura di una scuola elementare, media ed un liceo italiano. Alla fine, dopo il rompete le righe, mi sono permesso di ricordare in privato alle autorità zaratine che gli italiani di Zara esuli in Italia attendono sempre che la municipalità cittadina li inviti ad una visita ufficiale alla loro città; affermando in tal modo il principio che noi siamo dalmati autoctoni e non turisti di passaggio, successivamente si potrebbe programmare insieme un incontro simile e diverso di uno dei nostri raduni. Non mi è stato risposto di no, traduceva l’interprete del Comune che conosciamo da molti anni, qualcuno ha affermato che il “Libero Comune di Zara in Esilio” … avevano un tempo impedito un avvicinamento, ma che ora … non lo si escludeva … Importanti anche i successivi colloqui intercorsi con Maurizio Tremul con riguardo ai futuri rapporti da intrattenere insieme in collaborazione con Ui ed Adim col Comune di Zara, in particolare con riguardo ai programmi culturali su cui discutere ed in prospettiva da presentare come richieste alle autorità della città dalmata. Se in futuro si confermeranno le premesse evidenziate negli interventi del viceministro Dassù e del sindaco Kalmeta il 12 ottobre 2013 rappresenterà un punto di partenza per un futuro migliore per gli italiani e per la cultura italiana in Dalmazia. Giorgio Varisco 14 Numero 2 | febbraio 2014 ENGLISH Day of Remembrance: 10 years of shared memory T en years ago, in 2004, the Italian national law establishing the Day of Remembrance was enacted: this law declared February 10th - the day on which, in 1947, the Paris peace treaty assigning Istria, Zara and Fiume to Tito’s Yugoslavia was signed to be a national day of civic solemnity. Article 1, in fact, states that: “The Republic recognizes February 10th as ‘Day of Remembrance’ in order to preserve and renew the memory of the tragedy of the Italians and all the victims of the Foibe, the Exodus from their lands of Istria, Fiume and Dalmati after World War II, and the complex history W Crema: in this city of Italy’s of Italy’s eastern border”. Lombardy region, as in This was a goal achieved hundreds of cities around thanks to the tenacious, tireless Italy, you can find a plaque work of the community of Excommemorating the exodus iles in the decades that followed and the foibe victims the abandonment of their native lands. They have never ceased to work towards the preservation of historical memory of, and witness to, all that happened in the eastern territories during the Second World War and its aftermath. They have always worked towards the recognition of the tragic events which they remembered in silence for six decades until, in the lessening of the ideological prejudices and political expediency that had silenced them, were finally brought to light by state institutions and public opinion. The associations of the exodus have never felt this Day of Remembrance to be a goal, but rather a starting point for a new season of perseverance and commitment. The tenth anniversary which falls this year will also provide the opportunity of a look back to measure how far we have come, but the true projection of memory is to be found in the future, and its dimensions will be filled by all who care about the history of the Italian Adriatic. p. c. h. (traduzioni di Lorie Simicich Ballarin) Our Story deserves a Future Reflections by Antonio Ballarin, Anvgd National President O ur Story deserves its Future. And “the best way to predict the future is to create it” (Forrest C. Shaklee). To create the future, you must have a road map, one that is truly original and does not follow usual geographic boundaries, topography and the usual beaten track, but rather one that goes looking for guidance as firmly founded on History and Tradition, as new and generating in its method and movement. Our history truly is important enough - not just for us - to merit the Future. And to say “Future” is to draw on new possibilities and horizons never before crossed, and perhaps not even considered yet. History is a great laboratory for experimental research, and woe to anyone who wants to turn it into a kind of city of the living dead. We live in history because we, as historical beings, we always desire something more than what we have today; we aspire, that is, to further horizons and expectations and, at the same time, we are already living through experiences that lead us, pulsing with life, toward new adventures. Our History deserves the Future, and we are seeking to deliver it even now, as we tailor space and language to our growing expectations. For us, to live every day is to expect the miracle of life, as we were taught by our Grandparents and our Fathers, our Mothers, and our witnesses and martyrs, as our beloved Norma Cossetto, Gold Medal Honoree for Civil Merit - these people as well, overflowing with life and courage - for how they dealt with the harsh difficulties of history, which always has its brutal aspects, and is sometimes almost unbearable: these honored people indeed ask even more, much more, from us. They require much more, instead of mere resistance or revenge, to claim sacred rights to which we hold perhaps more than many radicals of the past decades -; much more than simply the need to remember (which is, of course, a a basic necessity in its own right). They require much more: but what, exactly? ro-sum game. On the contrary, we need to create a community of “equals”, meaning men and women looking to the future; a community able to create the future. Able, that is, to grasp the true signals of History. I will mention two in particular: one is a “macro” reference, and X Pola, February 1947, belongings and citizens await their turn to board the motor ship Toscana (photo: ANVGD Archives) tion, and future - is the recent show created by Simone Cristicchi, titled “Magazzino 18”. It is a piece of art and linguistic creativity, second to no other work of its kind in terms of civic witness and, at the same time, a message from an artist who was born in Rome, and therefore under no suspicion of being connected with the political-cultural sphere of at least some part of our world. Creating the Future: History asks more from us I t is a simple step but by no means an easy one, we admit it, and perhaps we would like to explain it by using as our own the words those of the great Romanian philosopher, writer and essayist Emil Cioran, creator of striking aphorisms, including the following: “We’re all comedians: we outlive our problems”. Aphorisms are used to describe a paradox to which we have all been chained for decades, but then we turn it inside-out much as e do a sock. In fact, Cioran, in his work, takes for granted that all men are somade in this way, and so live and die in the end, an inescapable destiny. In fact, however, it is not so, because we are free, and we are capable, in fact, of molding our future: we should stop thinking of ourselves merely as custodians of our own dead and our very private memories, and look beyond, to the wider picture. History requires more from us than simple personal memory, if we are to “deserve” the Future, that could be our common base. Our people have always been hardworking and creative, with optimism and a love for life. This optimism must be the base for our attitude now as we look to the future, because we have to avoid going the way of “historical losers”: we do not want to apply the method of deadly historical existence: we are not of those who need “to punish others to be happy themselves”, in a ze- W Basovizza (Trieste), the banners of the Istrian Communities and Exiles’ Associations at the annual ceremony paying homage at the Foiba, on the Day of Remembrance, February 10th the other is, so to speak, “micro”, but very “macr” in its germination and development. Our game is played on a wider field T he “macro” reference is clear to all: Croatia has entered the European Union. And we, today, converse with Croatia with the open awareness of our Association, ready to seize the historic opportunities that this event gives us - at every level: human rights, social, economics - knowing that our game is played on the larger and more significant that is, of course, Europe itself. That “micro” reference - in fact, “macro” interms of management, capacity for genera- Still, this sensitive and culturally-advanced artist, who has already sent broken ground in uncommon ways in the field of music, has found a place within our history, and he finds himself there with the humble curiosity of any Italian citizen who is open to a piece of his country’s history. This is the method: shared application. People feel lonely when when no one shares in their hearts’ deepest matters. That’s why we have lived so much loneliness, and why it has fed a climate of isolation. Let’s be filled with wonder, therefore, at our history, and not take any of it for granted, because the real “return” is the opening of the gates of the soul of those who, though not having been born in Istria, feel a deep sharing in those memories of pain and strength, capable of new creativity and new human candor. Antonio Ballarin Anvgd President 15 Numero 2 | febbraio 2014 ESPAÑOL Nuestra historia se merece el futuro Día del Recuerdo, 10 años de memoria compartida La reflexión del Presidente nacional Anvgd Antonio Ballarin N H ace diez años, en el 2004, fue promulgada la ley institucional del Día del Recuerdo, que declaraba el 10 de Febrero - día en el cual en 1947 fue firmado en París el tratado de paz que asignaba a la Yugoslavia de Tito Istria, el Fiumano y W Torino, los estandartes de la Anvgd y de las Provincias cedidas siempre presentes en las ceremonias conmemorativas del Día del Recuerdo (foto Comité Anvgd de Torino) Zara - solemnidad civil nacional: el Art. 1 dice en efecto: «la Republica reconoce el 10 de febrero como “Día del Recuerdo” para conservar y renovar la memoria de la tragedia de los italianos y de todas las víctimas de las foibe, del éxodo de sus tierras de los istrianos, fiumanos y dalmatas en la segunda posguerra y del más complejo suceso del confín oriental». Una meta alcanzada gracias al tenaz y extenuante trabajo de las comunidades de los Desterrados que en los años siguientes al abandono de las tierras natales no han dejado nunca de trabajar en la dirección de la conservación de la memoria histórica y del testimonio de lo ocurrido en los territorios orientales en el trascurso de la segunda guerra mundial y sucesivamente: trágicos eventos que han tenido que esperar al menos 60 años antes de que, caídos los prejuicios ideológicos y las conveniencias políticas que los habían silenciado, fueran finalmente reconocidos por las instituciones y por la opinión pública. Las asociaciones del éxodo no han considerado nunca el Día del Recuerdo como una meta, sino como un punto de partida hacia una nueva época de perseverancia y de compromiso. El décimo aniversario que celebramos este año proporcionará también la ocasión para hacer balance, pero la proyección del recuerdo está en el futuro, a cuya dimensión que esta por colmar se tendrá y se querrá trasmitir la verdadera historia de la antigua italianidad adriática. p. c. h. uestra historia se merece el Futuro. Y «la mejor manera de predecir el futuro es crearlo» (Forrest C. Shaklee). Para crear el futuro, hace falta tener un roadmap, un mapa que sea de verdad original y no siga los normales contornos geográficos, la solita topografía y los normales itinerarios, sino que vaya en busca de una orientación sólidamente fundada en la Historia y en la Tradición, y sea nueva y generativa en el método y en el movimiento. Nuestra Historia es tan importante - no solo para nosotros -, que se merece el Futuro. Y decir «Futuro» equivale a abrir posibilidades nuevas y horizontes no atravesados hasta ahora y quizás ni siquiera imaginados. La Historia es un grande laboratorio de investigación experimental y que tenga cuidado quien quiera convertirla en una especie de ciudad de muertos vivientes. Se vive en la Historia porque nosotros, como seres históricos, deseamos siempre algo más de lo que tenemos hoy; es decir, aspiramos a otros horizontes de esperanza y, al mismo tiempo, vivimos ya espacios de experiencia que empujan, palpitantes, hacia nuevas siembras y nuevas aventuras. Nuestra Historia se merece el Futuro y nosotros se lo estamos entregando desde ahora, creando laboratorios y lenguajes a medida de nuestras expectativas crecientes. Porque para nosotros vivir es esperar cada día el milagro de la Vida, como nos han enseñado nuestros Abuelos y nuestros Padres, nuestras Madres y nuestros testigos y mártires, como nuestra amada Norma Cossetto, Medalla de Oro por el Mérito Civil a la Memoria también estas personalidades, desbordantes de vida y coraje -, por cómo han afrontado las duras dificultades de la Historia, que tiene siempre aspectos brutales y a veces casi insoportables, nos piden más, mucho más. Mucho más respeto a la resistencia o al revanchismo, a la reivindicación de sacrosantos derechos - que nos importan tanto o más que a otros que los exaltan desde hace años, creando solo un ejército de perdedores radicales -; mucho más respeto al necesario Recuerdo (deberíamos, Q Pola, febrero1947, ciudadanos y sus bienes esperando embarcarse en la motonave “Toscana” (foto Archivio Anvgd) más bien, implicarnos cada vez más y fundar una idea fuerte de la Memoria: es un trabajo para compartir); mucho más: y ¿qué? Crear el futuro, la Historia nos pide más Nuestro partido se juega en un campo más grande E l “macro” está a la vista: Croacia está en Europa. Y nosotros, hoy dialogamos con Croacia con conciencia de Asociación abierta y preparada para acoger las ocasiones históricas que este evento nos trae - en cada nivel: derechos, socialización, economía -, sabiendo que nuestro partido se juega en un U n paso simple pero no por esto fácil, lo admitimos, que queremos explicar haciendo nuestras las palabras del grande filósofo, escritor y ensayista rumano, Emil Cioran, creador de fulgurantes aforismos, entre los cuales el siguiente: «Somos todos comediantes: sobrevivimos a nuestros problemas». Nosotros cogemos el aforismo para indicar una paradoja a la que hemos sido encadenados durante decenios, pero después le damos la vuelta como un calcetín. En efecto, Cioran, en su trabajo, da por hecho que todos los hombres sean así y así vivan y mueran, al final, un destino ineludible. En realidad, no es así, porque nosotros tenemos la libertad y podemos, de hecho, crear nuestro futuro: basta dejar de creernos los custodios de las memorias del subsuelo, de nuestros muertos y de nuestros privadísimos recuerdos, elevados a fetiches de la Historia, mucho más grande y mucho más pretenciosa. La Historia que nos pide más y a la que tenemos que dar más, justo para meritarnos el Futuro, que nuestros Padres quieren que sea nuestra casa común. El optimismo y el amor a la vida de nuestra gente, desde siempre laboriosa y creativa, debe ser la aptitud y el comportamiento orientado, ya desde ahora, al futuro, porque tenemos que evitar ser perdedores radicales y “gafes” por connotación natural, porque nosotros no queremos aplicar el método mortífero a la existencia histórica; nosotros no somos de aquellos que “para castigar a los otros por ser más felices que nosotros, les inoculamos, a falta de algo mejor, nuestras angustias”. Al contrario: tenemos que crear una comunidad de “pares”, es decir, de hombres y mujeres orientados al futuro, capaces de crear el futuro. Capaces de captar las verdaderas señales de la Historia. Citamos dos en particular, uno “macro”, el otro (por decir de alguna manera) “micro”, pero muy “macro” en la germinación y en el desarrollo. W Basovizza (Trieste), los estandartes de los Municipios istrianos y de las asociaciones de los Desterrados en la consueta ceremonia de homenaje a la Foiba en el Día del Recuerdo, 10 deFebrero campo más grande y significativo que es la misma Europa. El “micro” - en realidad, “macro” por gestación, generatividad y futuro - y el espectáculo de Simone Cristicchi, «Magazzino 18». Una obra de arte y de creatividad lingüística como ninguna otra obra teatral de testimonio civil y, al mismo tiempo, un mensaje proveniente de un hombre, su autor, nacido en Roma, y por tanto no sospechoso de contigüidad con el retro tierra político-cultural de al menos una parte de nuestro mundo. Además, este sensible y culto artista, que ya ha mandado mensajes no comunes y fuera de los esquemas también en campo puramente musical, está dentro de nuestra Historia y está con la humilde curiosidad de quien se abre a un pedazo de su historia personal de italiano y de ciudadano. Este es el método: la pregunta compartida. Se está solo cuando nadie comparte la pregunta que urge en tu corazón. Por eso hemos vivido tanta soledad y hemos alimentado este clima convirtiéndolo en aislamiento. Asombrémonos, por tanto, de nuestra Historia y no la demos por hecho, porque el verdadero “retorno” es la apertura de las puertas del alma de quien, no habiendo nacido en tierra istriana, se siente inervado en aquellas memorias de fuerza y dolor, capaces de nueva creatividad y nuevo candor humano. Antonio Ballarin Presidente Anvgd (traduzioni di Marta Cobian) 16 Venezia Giulia e Dalmazia. Storia di pietre, di acque e di uomini Un convegno di studi a Ca’ Foscari L’ Università Ca’ Foscari di Venezia ospita, il 6 febbraio 2014 alle ore 15.00, nell’Auditorium Santa Mar- nali del medesimo Ateneo. Introde i lavori il prof. Antonio Trampus, vicedirettore della Scuola di Relazioni Inter- di Bruno Crevato-Selvaggi, Società Dalmata di Storia Patria. Il convegno gode dei patrocini di: Università Ca’ Foscari Numero 2 | febbraio 2014 Periodico mensile dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia Centro Studi Padre Flaminio Rocchi Direttore responsabile Patrizia C. Hansen Editore: ASSOCIAZIONE NAZIONALE VENEZIA GIULIA E DALMAZIA Via Leopoldo Serra, 32 | 00153 Roma tel.: 06.58 16 852 | fax: 06.62 20 79 85 | www.anvgd.it | info@anvgd.it Iscritta nel Registro degli Operatori di Comunicazione n. 20154/25.10.2010 Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 91/94 dell’11 marzo 1994 Con il contributo della Legge 193/2004 e successive modificazioni e integrazioni Grafica e stampa: Eurolit Srl Via Bitetto, 39 | 00133 Roma tel. 06.20 15 137 - fax 06.20 05 251 | eurolit@eurolit.it Contributi a sostegno di “Difesa Adriatica”: € 30 contributo Ordinario | € 50 contributo Sostenitore € 100 contributo di Solidarietà A fronte del contributo la rivista (11 numeri) verrà inviata tramite servizio postale È previsto anche l’invio tramite E-mail (contributo € 10) Per versamenti tramite bonifico: C/C Difesa Adriatica presso Poste Italiane Codice Iban IT34 N076 0103 2000 0003 2888 000 Codice BIC/SWIFT BPPIITRRXXX Spedizione in abbonamento postale di Roma Finito di stampare il 28 gennaio 2014 W Cittanova d’Istria, architetture veneziane nel mare Adriatico (fotowww.travelblog.it) gherita, il convegno di studi Venezia Giulia e Dalmazia. Storia di pietre, di acque e di uomini. L’assise si apre con i saluti del prof. Carlo Carraro, Rettore dell’Università Cà Foscari e del prof. Rolf Petri, direttore della Scuola di Relazioni Internazio- nazionali. Seguiranno gli interventi dei professori Giovannella Cresci Marrone, docente di Storia Romana, Lorenzo Calvelli, docente di Epigrafia Latina, e di Diego Vecchiato, responsabile Relazioni Internazionali della Regione Veneto e Dipartimento di Studi Umanistici, Dipartimento di Studi Linguistici e Culturali Comparati, Scuola di Relazioni Internazionali. (fonte Società Società Dalmata di Storia Patria 10 gennaio 2014) Trieste, dal Museo Sartorio alla Villa Sartorio, i quadri istriani cambiano sede R estaurato nel 2006 dopo due anni di restauri e adeguamenti, il Civico Museo Sartorio di Trieste rivela alcune criticità, ovvero infiltrazioni di acqua piovana attraverso le pareti di pietra con conseguente umidità e temperature non adeguate alle opere d’arte conservate: nella fattispecie, si sono scoperti a rischio i «quadri istriani», ovvero i 21 capolavori provenienti dalle chiese istriane e custodite negli ambienti sotterranei che ospitano i 21 quadri della collezione di proprietà del Ministero dei Beni Culturali che in regime di convenzione sono stati affidati «temporaneamente» al Museo Sartorio. Ve r i f i c a t a la pericolosità dell’esposizione all’umido, la direttrice dei Civici Musei Maria Masau Dan ha deciso di trasferire i 21 dipinti nelle sale dell’antica Villa Sartorio, e di predisporre un allestimento nuovo «prima delle festività natalizie» grazie alle quattro ditte ingaggiate «per affrontare Q Una sala del precedente allestimento della collezione istriana nel Museo Civico Sartorio (foto www. ilpiccolo.it) in tempi estremamente rapidi un progetto così complesso di trasferimento di collezioni straordinariamente preziose e fragili, il cui valore può essere stimato in almeno 5 milioni di euro», come ha dichiarato la dirigente. Lega Nazionale, rinnovate le cariche L a Lega Nazionale ha proceduto al rinnovo delle cariche sociali per il prossimo triennio. Alla Presidenza è stato confer- mato, per acclamazione, l’avv. Paolo Sardos Albertini, che presiede il Sodalizio dal 1988. L’Assemblea dei delegati ha inoltre eletto il Consiglio Direttivo Centrale, composto da 24 consiglieri nonché, quali membri di diritto, dai Presidenti delle Sezioni INFORMATIVA PRIVACY PER GLI ABBONATI Il D.lgs. n. 196 del 30 giugno 2003 («Codice in materia di protezione dei dati personali», di seguito solo Codice) prevede la tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali. La nostra Associazione tratta i dati nel rispetto del Codice Privacy. Proponiamo di seguito l’informativa secondo quanto previsto dalla citata normativa. Finalità del trattamento Tutti i dati registrati saranno trattati esclusivamente per l’esecuzione del servizio di abbonamento, somministrazione dei giornali richiesti e finalità strumentali alla gestione abbonamento stesso. Comunicazione dei dati I dati personali pervenuti e utilizzati per la gestione degli abbonamenti non saranno in alcun modo diffusi. 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