Il Management dell`Internazionalizzazione

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Il Management dell`Internazionalizzazione
IL MANAGEMENT
DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
II EDIZIONE
Antonio Di Meo
Laura Carola Beretta
Giorgio Gandellini
A cura:
Ufficio Sviluppo e Comunicazione
Associazione Piccole e Medie Industrie della Provincia di Ravenna
Sede: Piazza Bernini, 6 – 48100 Ravenna – Tel. 0544/280211 – Fax 0544/270210
Delegazione: Via Fiumazzo, 46/4 – 48022 Lugo (Ravenna) – Tel.0545/288700 - Fax 0545/287745
e-mail: apira@pmi-gate.org – sito web: www.pmi-gate.org
Video impaginazione: ABC Srl – http://www.abc.ra.it
Realizzazione: novembre 2008
Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione
Indice
i
Prefazione
iv
Presentazioni introduttive alle diverse parti
1a Parte: Management e pianificazione strategica per l’internazionalizzazione
2a Parte: Opportunità e rischi dell’internazionalizzazione
vi
viii
a
ix
a
4 Parte: Individuazione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
xi
Profilo autori
xii
3 Parte: Punti di criticità del management internazionale
1a parte
Management e pianificazione strategica per
l’internazionalizzazione
Cap. 1 - I princîpi essenziali e le logiche della pianificazione
2
Cap. 2 - Perché è indispensabile pianificare per andare all’estero, e come farlo:
business plan ed export plan
13
Cap. 3 - L’importanza di comprendere i contesti di mercato
20
Cap. 4 - Valutazione delle risorse e delle competenze interne
24
Cap. 5 - Sintetico profilo di un campione di aziende italiane operanti con l’estero:
considerazioni e implicazioni
28
Cap. 6 - L’importanza e l’utilità dei modelli di supporto alle decisioni strategiche
34
Cap. 7 - Modellizzare la strategia: come valutare l’impatto delle caratteristiche del mercato
e delle scelte strategiche sulla performance economico-finanziaria
37
Cap. 8 - Le ricerche di marketing e la scelta dei mercati di sbocco
50
Cap. 9 - Modalità di stima dei potenziali di mercato all’estero
60
Cap. 10 - Impatto del profilo dei Paesi sui fattori di successo
67
Cap. 11 - La scelta delle modalità di ingresso e di presenza
73
Cap. 12 - Strategie e politiche di prezzo
80
Cap. 13 - Strategie di canale
88
Cap. 14 - Scelte organizzative e alleanze
96
Cap. 15 - Impatto dei profili professionali sull’efficienza nell’impiego delle risorse
99
Cap. 16 - Cruscotto aziendale per la gestione strategica ed economico-finanziaria multicountry e
multibusiness
102
Bibliografia e siti consigliati
106
i
Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione
2a parte
Opportunità e rischi dell’internazionalizzazione
Cap. 17 - Le opportunità dell’internazionalizzazione
109
Cap. 18 - I rischi dell’internazionalizzazione
111
Cap. 19 - Il rischio di credito
116
Cap. 20 - La gestione del rischio di credito per le PMI
121
Bibliografia consigliata
122
3a parte
Punti di criticità del management internazionale
Cap. 21 - La pianificazione delle vendite all’estero in un’ottica di Supply chain
124
Cap. 22 - Gli aspetti commerciali
125
Cap. 23 - Gli aspetti contrattuali
129
Cap. 24 - La compravendita internazionale e la Convenzione di Vienna
139
Cap. 25 - Le condizioni generali di vendita
146
Cap. 26 - Argomenti di un contratto di compravendita internazionale
148
Cap. 27 - La distribuzione internazionale
152
Cap. 28 - Il contratto di agenzia
153
Cap. 29 - ll contratto di concessione
154
Cap. 30 - Gli argomenti di un contratto internazionale di agenzia
155
Cap. 31 - Il contratto di joint venture
158
Cap. 32 - Aspetti finanziari e creditizi
167
Cap. 33 - La gestione interna
173
Cap. 34 - L’assicurazione dei crediti all’esportazione
175
Cap. 35 - I servizi offerti dalla compagnia di assicurazione
180
Cap. 36 - Le principali compagnie di assicurazione dei crediti
181
Cap. 37 - La SACE
183
Cap. 38 - Il credito documentario
187
Cap. 39 - La Stand by Letter of Credit
197
Cap. 40 - Le garanzie bancarie
199
Cap. 41 - Lo sconto di titoli con il forfaiting
201
Cap. 42 - Gli aspetti logistici
205
Cap. 43 - Il ruolo del trasporto nel commercio internazionale
208
Cap. 44 - I termini di consegna della merce (gli Incoterms)
212
Cap. 45 - Gli aspetti agevolativi (sostegno finanziario all’internazionalizzazione)
220
Cap. 46 - Il Business plan
224
Bibliografia consigliata
228
ii
Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione
4a parte
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni
doganali: competitività a rischio?
Cap. 47 - Alcune ragioni per un approccio strategico alle operazioni commerciali internazionali:
considerazioni introduttive
231
Cap. 48 - I costi del commercio internazionale di beni: dazi e barriere non tariffarie
233
Cap. 49 - Dazi più bassi?
234
Cap. 50 - Le barriere non tariffarie
237
Cap. 51 - L’indicazione di origine “Made in…”: strumento di promozione dei prodotti
o nuova barriera non tariffaria?
241
Cap. 52 - Gli accordi commerciali preferenziali come opportunità di accesso a nuovi mercati
249
Cap. 53 - L’importanza dell’origine dei prodotti
253
Cap. 54 - Conclusioni
260
Bibliografia consigliata
261
iii
Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione
Prefazione
Siamo particolarmente lieti di presentare la nuova opera multimediale dell’API, Il management
dell’internazionalizzazione – seconda edizione, a cura del Prof. Antonio Di Meo, un cd-rom dedicato al
commercio con l’estero e alla fase della relativa pianificazione strategica.
La collana tematica, che la nostra Associazione dedica dal 2000 all’export, si arricchisce pertanto nel 2008 di
un innovativo strumento: un supporto informatizzato efficace e pratico in un formato che garantisce facilità
di accesso e rapidità di consultazione allo scopo di reperire agevolmente, e in modo estremamente chiaro, le
informazioni sui temi di interesse.
Una rinnovata ed innovativa veste grafica completa questa opera multimediale, che consente altresì di
effettuare ricerche su temi specifici grazie alla possibilità di
utilizzare un motore di ricerca per selezionare rapidamente gli argomenti richiesti.
Alla luce di tutto ciò, riponiamo molta fiducia in questo nuovo strumento informativo, una soluzione versatile
e adatta alle esigenze in costante evoluzione delle nostre imprese, che speriamo possa rappresentare un
valido sostegno alle politiche di internazionalizzazione aziendale.
Renzo Righini
Presidente API Ravenna
iv
Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione
Presentazioni introduttive alle diverse parti
v
Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione
1a Parte a cura di Giorgio Gandellini
“Management e pianificazione strategica
per l’internazionalizzazione”
Qualsiasi azienda, piccola o grande che sia, ha, almeno in teoria, un numero estremamente elevato di
possibili alternative di sviluppo all’estero.
Basti immaginare quante combinazioni si possono creare fra i possibili paesi di sbocco (vogliamo contarne
soltanto una trentina su 220?), le alternative di presenza (almeno due: esportazione diretta o indiretta), le
principali linee di prodotto da proporre al mercato (variabili in funzione dei settori e delle aziende), i diversi
target di clientela (ad esempio, ristoranti o famiglie, grandi o piccole imprese), le diverse combinazioni di
canali distributivi, ecc.
Fra tutte queste possibilità teoriche, ce ne saranno almeno quattro o cinque ragionevolmente
praticabili? (Per inciso, se non ci fossero neppure queste, tanto varrebbe lasciar perdere qualsiasi velleità
di internazionalizzazione!).
D’altro canto, è risaputo che per ottenere risultati all’estero, soprattutto su mercati altamente competitivi
(ormai, una larga maggioranza in molti settori di attività) occorrono tempo e investimenti: in pratica, deve
essere superata la cosiddetta “massa critica” di risorse, al di sotto della quale si finirebbe per perdere
tempo e denaro senza cavare il classico “ragno dal buco”.
Quante aziende possono permettersi il lusso di investire adeguatamente (ossia con successo) in
più direzioni contemporaneamente? Neppure le grandi sono in grado di farlo (ovviamente, in rapporto
agli obiettivi che si pongono), figuriamoci le piccole e medie!
Questa prima parte del volume, nei suoi sedici capitoli, è soprattutto orientata al concreto processo
decisionale che può facilitare la scelta delle opzioni strategiche più promettenti, consentendo una
migliore focalizzazione degli sforzi aziendali e, quindi, una maggiore efficacia e un minore spreco di
risorse preziose.
In particolare, ha l’obiettivo di sensibilizzare il lettore all’importanza di un approccio sistematico alla
strategia d’internazionalizzazione, fornendogli non soltanto gli strumenti concettuali, ma anche
alcuni metodi concreti per rispondere (o almeno prepararsi a rispondere) efficacemente a domande
critiche per il successo aziendale, che elenchiamo di seguito organizzate per capitolo.
Cap. 1:
Quali sono i fattori che influenzano direttamente il successo aziendale in uno specifico mercato
e settore di attività? Quali sono i passi necessari per identificarli e per valutarne le
interrelazioni? Perché è indispensabile pianificare l’impiego delle risorse aziendali?
Cap. 2:
Come e perché sviluppare un piano per l’internazionalizzazione? Quali fonti di informazione
possono alimentarlo?
Cap. 3:
Quali aspetti relativi al contesto ambientale e di mercato è importante considerare per lo
sviluppo del piano?
Cap. 4:
Di quali risorse e competenze è indispensabile disporre per realizzare con successo il piano?
Cap. 5:
Quali sono i “veri” fattori di successo sui mercati esteri? Perché la qualità non basta, e perché è
pericoloso pensare che basti (come purtroppo ritengono molte aziende italiane)?
Cap. 6:
Perché è importante supportare i processi decisionali e la formulazione dei piani con stime
ragionate e modelli operativi che consentano di ridurre il grado di complessità dell’analisi?
Cap. 7:
In particolare, come tradurre in pratica il processo di formulazione della strategia, ossia la logica
di destinazione delle risorse aziendali? Come valutare l’impatto delle caratteristiche del mercato
e delle scelte strategiche sulla performance competitiva ed economico-finanziaria?
Cap. 8:
Come valutare e scegliere i mercati di sbocco all’estero, almeno sulla base delle informazioni
normalmente disponibili gratuitamente? Come stilare una graduatoria di appetibilità dei mercati?
Cap. 9:
Come stimare, almeno a grandi linee e senza svenarsi in costose ricerche di mercato
(comunque regolarmente “snobbate” dalle aziende), i potenziali di mercato nei Paesi di sbocco?
vi
Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione
Cap. 10:
Come stimare l’impatto delle caratteristiche dei Paesi sull’importanza relativa dei fattori di
successo competitivo rilevanti per il settore in cui opera l’azienda?
Cap. 11:
Come identificare le principali alternative di presenza e sviluppo nel Paese prescelto, e come
valutarne vantaggi e svantaggi?
Cap. 12:
Come stabilire prezzi di vendita coerenti con le caratteristiche del mercato e del contesto
competitivo, e con gli obiettivi dell’azienda?
Cap. 13:
Quali alternative di canale distributivo scegliere, e come valutarne l’impatto sulla performance
competitiva, le posizioni di mercato e la redditività aziendale?
Cap. 14:
In base a quali criteri valutare le diverse opzioni organizzative e le eventuali opportunità di
alleanze?
Cap. 15:
Come valutare il possibile impatto dei profili delle risorse umane sul livello di efficienza
nell’impiego delle risorse? Su quali aspetti intervenire per migliorare i profili professionali dei
responsabili dell’attività all’estero?
Cap. 16:
Come articolare il sistema informativo aziendale per tenere sotto controllo la performance
competitiva ed economico-finanziaria nei diversi settori di attività e sui diversi mercati?
Al fine di una migliore comprensione dei diversi temi, è consigliabile leggere prima di tutto, e in
sequenza, i capitoli 1-7: i capitoli successivi, anche se logicamente concatenati, potranno essere consultati
in modo selettivo.
L’orientamento alle decisioni di questa prima parte del libro si concretizza, in particolare, nell’utilizzo di
“modelli logici” di supporto al processo decisionale, tradotti, ove possibile, in schemi su foglio
elettronico dettagliatamente descritti nel testo in modo che possano essere eventualmente riprodotti
concretamente dal lettore interessato a utilizzarli.
Come si vedrà (soprattutto nei capitoli 7, 8, 9, 10, 12, 13 e 15), la logica di tali modelli si ispira soprattutto al
“judgment”, ossia, in pratica, alla capacità di giudizio, al buon senso e, possibilmente, all’esperienza
di settore e di mercato degli imprenditori e dei manager.
Nella realtà aziendale, particolarmente in quella delle PMI, è infatti molto raro che si possa disporre di dati
completi, affidabili e aggiornati sulle caratteristiche dei mercati di interesse, e che, per elaborarli, si possa far
ricorso ai modelli quantitativi proposti dalla letteratura manageriale (v. bibliografia).
È quindi necessario ovviare all’assenza di tali dati, come minimo, con idee chiare sui fattori che
condizionano il successo aziendale e con ipotesi e stime ragionevoli sul loro comportamento
attuale e futuro.
È proprio questo che intendiamo per “judgment”: i modelli logici servono proprio per rendere sistematici,
espliciti e accessibili in qualsiasi momento il know-how e la capacità di giudizio del management,
consentendo altresì di identificare i fabbisogni informativi “critici” e, possibilmente, di colmare le
principali lacune informative con un minimo di ricerca di mercato!
In conclusione, con questa prima parte del libro ci auguriamo di contribuire a colmare, almeno in parte, il
classico (e tristemente noto!), “gap” nella letteratura manageriale e accademica su strategia,
marketing strategico e international business:

da una parte, migliaia di testi e riviste pieni di argomentazioni puramente discorsive e descrittive (=
bla bla), spesso intelligenti e interessanti, ma raramente orientate al concreto processo decisionale

dall’altra, centinaia di testi e “journal” accademici completamente avulsi dalla pratica della grande
maggioranza delle aziende e normalmente infarciti di astruse formule matematiche e statistiche:
o
nella migliore delle ipotesi, utilizzabili per elaborare milioni di dati che soltanto le grandi
aziende sono in grado di procurarsi, ma totalmente inaccessibili ai comuni mortali
o
nella peggiore (e purtroppo più ricorrente), utilizzate per dimostrare allucinanti ovvietà,
evidenti a qualsiasi manager con un minimo di buon senso.
Buona lettura!
vii
Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione
2a Parte a cura di Antonio Di Meo
“Opportunità e Rischio dell’internazionalizzazione”
Nell'era della "globalizzazione" e "dell'accesso" ad Internet, le imprese sono chiamate a pensare non più in
termini nazionali, ma internazionali e a cercare di sfruttare le nuove allettanti opportunità di business che
provengono dai mercati esteri.
La realtà internazionale mostra che questo approccio coinvolge tutte le aree economiche del mondo, specie
quelle industrializzate; si rendono necessarie, quindi, politiche di marketing e strategie sempre più adeguate
per introdursi nei mercati individuati come i più ricettivi per i propri prodotti.
Per affrontare con successo questi limiti, le imprese e gli operatori economici hanno più che mai bisogno di
supporti informativi e di servizi tecnici qualificati, orientati all’operatività internazionale tali da consentire il
pieno sfruttamento delle opportunità offerte dai processi di integrazione economica.
E' evidente, infatti, come l'attività produttiva (industriale, commerciale e di servizi), comporti inevitabilmente
l'assunzione di una serie di "rischi" derivanti dalla negoziazione delle merci, che non sono esclusivi del
commercio con l'estero, ma sono propri di ogni negoziazione di affari.
RISCHIO NELLA PRATICA AZIENDALE SIGNIFICA LA POSSIBILITÀ CHE SI VERIFICHI UN EVENTO DANNOSO PER L'AZIENDA. EVENTO
CHE PUÒ PRECLUDERE IL RAGGIUNGIMENTO DEGLI OBIETTIVI PER I QUALI IL SOGGETTO ECONOMICO OPERA SUL MERCATO.
Con questa 2° Parte del volume, il nostro intento è quello di analizzare i "rischi" cui l'operatore va incontro
nei suoi rapporti con altri operatori residenti all'estero. Rapporti che nascono in un'area ben definita,
identificata con il termine "Mercato", che è il luogo in cui i soggetti economici si incontrano per stringere
accordi e concludere operazioni destinate ad originare quei flussi, sia di beni che di servizi o di mezzi
finanziari, che ne alimentano l'attività e ne giustificano l'esistenza.
E' in quest'area operativa e di incontro degli operatori che ognuno di essi porta le proprie problematiche
interne, che potrebbero essere rappresentate da situazioni aleatorie, cariche di "rischi" per i terzi che
entrano in rapporto con loro, e che comportano impegni finanziari sia per chi vende che per chi compra.
Ulteriore obiettivo del capitolo 19 e 20 della 2° Parte è quello di favorire una valutazione attenta
dell’impegno finanziario di chi vende, caratterizzato dalla decisione di concedere o meno credito ai propri
clienti (se cioè è possibile esporsi, fino a quale importo massimo e per quanto tempo), comporta una serie di
problemi che vanno affrontati in un'ottica complessiva e strategica.
viii
Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione
3a Parte a cura di Antonio Di Meo
“Punti di criticità del Management Internazionale”
Le grandi strategie, come le grandi opere d’arte o le grandi scoperte scientifiche, richiedono la padronanza
degli aspetti tecnici per la loro realizzazione così come l’efficacia delle azioni commerciali e di marketing non
possono prescindere dalla definizione degli aspetti essenziali di una qualsiasi transazione commerciale.
Considerando, invece, che la definizione di un accordo internazionale può rappresentare un
elemento strategicamente importante per essere competitivi sui mercati esteri, con questa 3°
Parte del volume cercheremo di fornire gli strumenti tecnici essenziali (l’ABC) per impostare e condurre
positivamente un contratto con l’estero favorendone una conoscenza delle diverse componenti dello stesso
soffermandosi ad esaminare, i termini di consegna della merce, le soluzioni per affrontare i rischi esaminati
nel capitolo 18 della 2° parte del volume, gli strumenti di pagamento e gli aspetti connessi al trasporto delle
merci convinti, come siamo, che le componenti giuridiche, di pagamento, logistiche, commerciali, la scelta
del contratto, la sua struttura, i suoi contenuti, i soggetti da coinvolgere, le consuetudini esistenti, i risvolti
commerciali e strategici, l’individuazione degli elementi economici del rapporto che si vuole instaurare, gli
scopi che le parti si prefiggono, i paesi con i quali si intraprende una transazione commerciale incidono in
maniera rilevante sulla corretta impostazione della clausola finanziaria nelle transazioni commerciali con un
paese estero.
Gli aspetti contrattualistici e giuridici che saranno esaminati dal capitolo 23 al 31, rivestono, in tale
ambito, un’importanza rilevante per il buon esito di un accordo commerciale e meritano, pertanto, di essere
affrontati almeno fin dal nascere di una trattativa commerciale ponendo attenzione alle singole fasi del
rapporto che si intende instaurare (dalla richiesta, ad esempio, di invio di una offerta fino all’incasso del
prezzo).
Proprio per questo aspetto viene, invece, spesse volte sottovalutato dagli operatori economici al momento
della conclusione di una trattativa, con la conseguenza che, il più delle volte, è la controparte straniera a
disciplinare lo stesso nel modo a lei più favorevole, definendo elementi rilevanti della transazione ci
proponiamo l’obiettivo di favorire delle “attenzioni” da adottare nella negoziazione di un accordo
commerciale con l’estero.
Con i capitoli che vanno, invece, dal 32 al 41, riguardanti gli Aspetti finanziari e creditizi ci
proponiamo, invece, di favorire la conoscenza delle tecniche, delle caratteristiche, dei meccanismi, dei
vantaggi e degli svantaggi delle singole forme di pagamento in uso nel commercio internazionale, lasciando
alle spalle la cultura tradizionale radicata nella pratica di tutti i giorni, per incontrare un modo dove
acquisirai gli “attrezzi” del mestiere relativi agli strumenti di pagamento e alle soluzioni finanziarie per
coprirsi dal rischio di credito, indispensabili per competere con successo sui mercati esteri.
Ci auguriamo che potrai scoprire un mondo affascinante di concetti e conoscenze applicative che consentono
di dare efficacia agli accordi commerciali con controparti estere e che ti aiuterà a capire che l’efficacia delle
azioni commerciali e di marketing non possono prescindere dalla definizione degli aspetti legati alla sicurezza
del pagamento.
Considerando che il trasporto delle merci da sempre fotografa lo stato di salute di un paese e che lo sviluppo
e l’incremento dei traffici da un paese all’altro, l’allargamento degli spazi geografici, l’abbattimento delle
distanze, l’internazionalizzazione dei mercati non avrebbero potuto esserci senza l’evoluzione dello stesso,
che ha mutato l’assetto e i connotati del commercio internazionale sia in termini quantitativi che qualitativi,
cercheremo di sviluppare i capitoli 42 e 43 sugli Aspetti logistici e trasporto, offrendo le conoscenze di
base e le tecniche per aumentare la capacità di condurre una trattativa commerciale, tenendo conto dei vari
aspetti relativi al trasporto internazionale, alle sue interconnessioni con le diverse funzioni aziendali e alle
implicazioni con le altre clausole del contratto di compravendita, in modo da favorirne una gestione ottimale
e salvaguardare la redditività della transazione commerciale.
Con il capitolo 44, dedicato ai termini di consegna delle merci, si vuole favorire la conoscenza dei
singoli termini, di Incoterms le interconnessioni che gli stessi hanno con la fissazione del prezzo e della
condizione di pagamento e l’individuazione, in un’ottica pratico operativa, degli aspetti di criticità per una
applicazione degli stessi senza errori.
ix
Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione
Non poteva mancare un aspetto di fondamentale importanza, connesso soprattutto al Capitolo 31 sui
contratti di Joint Venture, che riguarda gli aspetti agevolativi di sostegno all’internazionalizzazione ed il
Business Plan.
Obiettivo del capitolo 45 è quello di offrire un panorama degli strumenti di agevolazione finanziaria a
disposizione delle imprese italiane fornendo una semplice “intelaiatura” per la preparazione di un “Business
plan” (vedasi capitolo 46) non solo finalizzato all’ottenimento di un finanziamento, ma come strumento
utile per sviluppare e governare qualsiasi processo di investimento all’estero.
x
Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione
4a Parte a cura di Laura Carola Beretta
“Individuazione e Gestione dei Costi nelle Operazioni
Doganali: Competitività a Rischio? ”
L’apertura dei mercati implica opportunità e costi. Un’impresa può utilizzare manodopera qualificata a costi
più contenuti e può contare su nuovi mercati per vendere i propri prodotti. Deve però, allo stesso tempo,
fare i conti con la pressione competitiva dei Paesi emergenti e con uno scenario politico – economico
caratterizzato da relazioni internazionali in continua evoluzione. Le norme e procedure doganali sono, in
gran parte, determinate a riflesso degli indirizzi della politica commerciale, determinata, a sua volta in
relazione all’andamento dei rapporti economici internazionali. Pertanto, come conseguenza dell’apertura dei
mercati, e dell’intensificarsi della corsa competitiva la disciplina doganale si caratterizza in termini di
maggiore complessità e di continua evoluzione.
L’ingresso della Cina nell’Organizzazione Mondiale del Commercio, l’eliminazione delle quote all’importazione
di prodotti tessili, il proliferare di accordi di libero scambio, l’imposizione di norme tecniche sempre più
“esigenti” che condizionano l’importazione ed il commercio di prodotti sia industriali sia alimentari, il ricorso a
misure di politica commerciale difensive quali dazi antidumping e salvaguardie commerciali implicano la
necessità di un approccio strategicamente mirato ad applicare la disciplina doganale in chiave di supporto
alla competitività aziendale. Il capitolo 47 stimola una riflessione sugli aspetti principali responsabili del
cambiamento del contesto commerciale internazionale.
I capitoli da 48 a 50 illustrano i principali costi che si frappongono alle operazioni di import export,
ponendo, in primo luogo, in evidenza come i dazi doganali all’importazione siano elevati costituendo un
ostacolo importante all’accesso ai mercati della maggior parte dei Paesi. Viene in secondo luogo descritta
l’ampia gamma di strumenti di difesa commerciale utilizzati in alternativa ai dazi doganali “classici”.
Il capitolo 51 definisce l’indicazione di origine “Made in…”, analizzando lo stato dell’arte della disciplina
applicabile a livello italiano, europeo e multilaterale, senza perdere l’occasione di proporre i cambiamenti
necessari ed urgenti che andrebbero apportati alla disciplina italiana.
I capitoli 52 e 53, anticipano le conclusioni, spiegando l’importanza degli accordi commerciali preferenziali
e delle regole di origine, strumenti per eccellenza di accesso competitivo ai mercati.
xi
Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione
Profilo autori
Laura Carola Beretta E’ socio fondatore di Intrade Consultants, Milano, una società di consulenza che
opera a livello italiano ed internazionale, annoverando tra i propri clienti associazioni di categoria, gruppi
multinazionali, piccole e medie imprese.
E’ professore a contratto di International Trade Law presso l’Università Bocconi di Milano. Presso la stessa
università ha conseguito il titolo di dottore di ricerca in diritto Internazionale dell’Economia. Svolge inoltre
formazione post-graduate e aziendale in qualità di docente di diritto del commercio internazionale e
management doganale della Scuola di Direzione Aziendale dell’Università Bocconi.
E’ incaricata della consulenza tecnico-giuridica per il ministero peruviano del commercio internazionale
(Ministerio de Comercio Exterior y Turismo – MINCETUR), per conto del quale fa formazione alle camere di
commercio ed associazioni di categoria sparse nel territorio peruviano in materia di compliance doganale,
regole di origine e indicazione di origine. Ha fatto formazione in materia di antidumping, sussidi, indicazioni
geografiche e regole di origine ai negoziatori del Guatemala, Paese che, insieme agli altri Stati
centroamericani, sta negoziando una zona di libero scambio con l’Unione europea. Tiene seminari di
formazione e aggiornamento per le autorità doganali degli stati balcanici per conto della DG Allargamento
della Commissione europea.
E’ autrice di numerose pubblicazioni, anche di rilievo internazionale, di cui 15 relative alle regole di origine e
all’indicazione di origine “Made in…”. Partecipa in qualità di relatore a diversi convegni sia in Italia che
all’estero. Lavora e pubblica in inglese e in spagnolo, oltre che in italiano.
Antonio Di Meo Titolare dello Studio DI MEO, è consulente in regolamenti internazionali per imprese
industriali ed istituti di credito, per Assoservizi - Azienda speciale di Assolombarda di Milano, Confindustria di
Bergamo, Brescia, Rovigo e Treviso, del Centro estero delle CCIAA del Veneto e dell'Unioncamere dell'Emilia
Romagna. Collabora con la sezione italiana della Camera di Commercio Internazionale di Parigi ed è socio di
Credimpex Italia (Associazione che riunisce gli esperti sui crediti documentari).
Professore a contratto presso la Facoltà di Economia dell'Università di Macerata, ha già ricoperto lo stesso
ruolo all’Università di Verona. Docente in master organizzati dai più prestigiosi centri di formazione
manageriale italiani tra cui ICE - Istituto nazionale per il Commercio Estero, SDA Bocconi, Il Sole 24 Ore,
IPSOA, CUOA, al MASCI dell’Università di Padova, al MIB di Trieste e al LogiMaster dell’Università di Verona.
È referente scientifico dell’area “Tecniche del commercio internazionale” nel Master Cor.CE dell’ICE, già
referente scientifico del corso Certificazione Specialisti Estero di UniCredit Corporate Banking. Svolge attività
di formazione presso ABI - Associazione Bancaria Italiana, Camere di Commercio, Associazioni Industriali,
Federazione delle Banche di Credito Cooperativo (BCC) Veneta e Lombarda e direttamente presso Imprese
industriali ed Istituti di credito.
Laureatosi in Scienze Politiche ad indirizzo economico presso l'Università di Padova, ha conseguito il diploma
in Marketing Internazionale "Made in Italy" presso SDA Bocconi di Milano, iniziando la sua esperienza
professionale presso l'ufficio estero della Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo.
Giornalista pubblicista e autore di pubblicazioni specialistiche in materia di pagamenti internazionali e crediti
documentari edite da Ipsoa e Maggioli.
Giorgio Gandellini Professore a contratto di Strategia Aziendale all’Università di Roma Tre (dal 2006),
docente di Marketing Internazionale nel Master “COR.C.E” dell’Istituto Nazionale per il Commercio con
l’Estero (dal 1993) e nel Master in International Business della MIB School of Management di Trieste (dal
2002). È stato docente di Marketing Internazionale (8 anni) ed Economia Internazionale (2 anni)
all’Università di Macerata e in altri programmi Master (Università di Padova e Macerata, ESCP, IFOA, IPSOA).
È stato inoltre Visiting Professor di International Business e Marketing all’Institut de Formation Internationale
di Rouen (8 anni) e nel programma Master del Monterey Institute of International Studies in California (4
anni). Ha una lunga esperienza di gestione accademica di programmi Master in modalità e-learning, e svolge
attività di ricerca in questa area presso la Grenoble School of Management e la Newcastle University.
Laureato in Legge a Milano, ha conseguito un Certificat en Économie de l’Entreprise alla Sorbona e un MBA
alla Columbia University di New York. Senior Partner di Nestplan Europe e Senior Vice President di EMCG
(Londra e New York), ha svolto e svolge attività di consulenza e formazione manageriale per importanti enti
pubblici e aziende multinazionali, in Italia e all’estero, nelle aree della pianificazione e del marketing
xii
Il Management dell'Internazionalizzazione - 2 a Edizione
strategico e internazionale. Qualified Speaker su Blue Ocean Strategy (INSEAD, Fontainebleau), è autore o
coautore di varie pubblicazioni, business game, modelli e strumenti software di supporto alle decisioni
(indirizzati particolarmente a PMI esportatrici), pacchetti multimediali e testi di marketing, fra cui Il Nuovo
Marketing Strategico (6a edizione), Franco Angeli, 2005, Marketing Internazionale (multimediale introduttivo
al tema), IFOA, 1997 e 2001, Export Game (pacchetto informativo e promozionale sui servizi
all’esportazione), ICE, 2002, ed “Ex4Ex” (Export for Experts, business game interattivo di strategie
d’esportazione), ICE, 2002.
xiii
1a Parte
MANAGEMENT E PIANIFICAZIONE
STRATEGICA PER
L'INTERNAZIONALIZZAZIONE
Giorgio Gandellini
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
1.
I princîpi essenziali e le logiche della pianificazione1
I princîpi essenziali cui si ispira questa parte del libro
È utile richiamare brevemente due fondamentali aspetti della vita aziendale, sia che l’azienda operi soltanto
sul mercato domestico, sia che essa intenda espandersi o sia già presente all’estero.
Tali aspetti dovrebbero essere ben noti a tutti, ma spesso vengono grossolanamente sottovalutati nella
pratica aziendale (ci riferiamo ovviamente a contesti orientati al profitto, ma molte delle conclusioni che
trarremo possono facilmente essere estrapolate a settori non-profit):
 dovrebbe essere chiaro a chiunque che l’unica vera fonte della prosperità aziendale è
rappresentata dal mercato: se nessuno comprasse i nostri prodotti o servizi, i finanziatori (noi stessi
come imprenditori e/o gli istituti di credito) se ne guarderebbero bene dal fornirci le risorse indispensabili
per operare
 i ricavi ottenuti vendendo sul mercato devono inoltre consentirci di coprire abbondantemente i costi
sostenuti, creando profitto: senza profitti, prima o poi si chiude.
Tutto ciò sembra ovvio, ma forse non si è sufficientemente consapevoli delle implicazioni di tali concetti dal
punto di vista degli atteggiamenti mentali che dovrebbero conseguirne e dei relativi comportamenti:
 la chiave della strategia aziendale è l’orientamento al mercato: senza un’adeguata attività di
marketing che consenta di acquisire posizioni di mercato significative e redditizie, ossia senza sfruttare
adeguatamente la fonte di finanziamento sopra indicata, non saremo mai in grado di alimentare il
funzionamento delle altre aree di attività aziendale (produzione, logistica, finanza, risorse umane)
 il marketing, correttamente e sinteticamente inteso come “profitable customer satisfaction”
(creazione di profitto attraverso la soddisfazione del mercato), dovrebbe quindi ispirare le principali
decisioni strategiche aziendali ed essere al cuore di qualsiasi progetto di sviluppo (e non, quindi, essere
considerato alla stregua di altre funzioni aziendali o, peggio ancora, limitato alla gestione di uno o più
strumenti quali la pubblicità e le vendite)
 è infine evidente lo stretto collegamento fra decisioni strategiche, posizioni di mercato e
redditività, e quindi quanto sia importante che i responsabili della strategia aziendale (normalmente gli
stessi imprenditori, ma anche coloro che contribuiscono alle principali scelte strategiche) dispongano degli
strumenti conoscitivi necessari per prendere le decisioni, sia sul fronte del mercato che su quello del
profilo economico dell’attività.
Se quindi è vero che il principale obiettivo da raggiungere è una posizione di mercato che ci consenta di
generare profitto, qualsiasi persona di buon senso si dovrebbe porre, come minimo, il problema della
misurazione del suo raggiungimento e, quindi, dell’individuazione di “indicatori” che consentano non soltanto
di definire in modo concreto e operativo l’obiettivo, ma anche di verificare in quale misura l’organizzazione
aziendale è in grado di raggiungerlo.
Gli indicatori sintetici che suggeriamo di utilizzare, almeno in questa parte introduttiva, sono i seguenti:
 per quanto riguarda la redditività, il margine di contribuzione, semplicemente definito come differenza
fra ricavi e costi direttamente e non equivocamente riferibili a una qualsiasi attività, entità o decisione
aziendale (unità di prodotto, linee di prodotto, gruppi di clienti, mercati geografici, funzioni e responsabili
di specifiche attività, specifici piani strategici, ecc.)2;
 per quanto riguarda invece la soddisfazione del consumatore e la posizione di mercato, la quota di
mercato, definita come porzione (generalmente espressa in percentuale) del fabbisogno del
1
Questo capitolo è in buona parte adattato e integrato da “Il Nuovo Marketing Strategico”, di G. Gandellini, S. Garroni e
A. Pace (Franco Angeli, 1998–2005).
2
Vi sono naturalmente altri indicatori di redditività particolarmente significativi (in quanto rapportati all’entità delle
risorse impiegate per produrre il reddito) quali il cosiddetto “ritorno sull’investimento”. Non solo: qui il margine di
contribuzione andrebbe inteso in senso lato, comprendendone anche l’accezione finanziaria di flusso di cassa positivo (se
infatti, entro un dato intervallo temporale, i ricavi non si materializzano ma si materializzano soltanto i costi, l’azienda
rischia evidentemente di fallire). Per ora accontentiamoci comunque degli indicatori più semplici, tradizionalmente riferiti
al solo conto economico aziendale.
2
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
consumatore (e, per esteso, del mercato) soddisfatta dalla nostra azienda, con riferimento a un ben
specifico settore di attività e a un dato intervallo temporale.
A proposito di redditività, noterete che non abbiamo parlato di “profitto”, ma di “margine di contribuzione”:
 il profitto è il risultato di tutte le attività aziendali, e si materializza soltanto dopo aver coperto, grazie alla
somma dei margini di contribuzione prodotti dalle singole attività, i costi di cui esse non sono
direttamente responsabili (ad esempio, la remunerazione dell’imprenditore e del top management, le
spese generali, ecc.)
 se vogliamo capire veramente “da dove arrivano i soldi”, ossia da cosa viene generata la redditività,
dobbiamo riferirci alle sue “cause prime” ed elementari, che non sono altro che le transazioni di mercato
in specifici contesti, indirizzate a specifici clienti attraverso l’offerta di specifici prodotti e/o servizi: sono
queste transazioni che producono ricavi e costi “direttamente” a esse imputabili e, quindi, i cosiddetti
margini di contribuzione.
A proposito di quota di mercato, noteremo che:
 questo indicatore della nostra capacità di competere è importante anche per le piccole e medie imprese
(PMI), purché il mercato in cui esse competono sia correttamente definito e delimitato (il cosiddetto
mercato “pertinente” o raggiungibile)
 sarebbe infatti assurdo misurare la quota, ossia la capacità dell’azienda di competere, con riferimento a
un mercato (definito, per esempio, in termini geografici, come spesso accade nel contesto dell’attività
internazionale) che l’azienda, anche se eventualmente di notevoli dimensioni sul mercato domestico, non
è “fisicamente” in grado di raggiungere 3.
Data quindi l’ovvia importanza di questi indicatori, cercheremo ora di descrivere sinteticamente il tipo di
collegamento che li lega e, attraverso tale descrizione, di identificare le concrete fasi di lavoro che è
importante mettere in atto per gestirne correttamente l’interrelazione.
Commentiamo brevemente, partendo dalla parte superiore della figura che segue, i collegamenti concettuali
fra i principali fattori che condizionano la performance competitiva e la redditività dell’azienda.
Fig. 1.1 - Il “motore” del successo competitivo dell’azienda.
margini
margini
=
costi
costi
ricavi
decisioni strategiche
volumi
mercato
x
x
prezzo
pcpV
quota
quota di
di
mercato
mercato
relazioni dirette
AREA DI
VISIBILITA’
Profilo Competitivo
Percepito in termini di
Valore
(= performance
aziendale sui criteri di
scelta adottati dal
mercato o “Fattori di
Successo” in senso
stretto - KSFs)
relazioni inverse
Adattato da Gandellini, Garroni e Pace.
Un indicatore totalmente diverso è il rapporto fra il mercato che l’azienda è “in grado” di raggiungere (“mercato
pertinente”) e il mercato che “potrebbe” raggiungere (il cosiddetto “mercato effettivo”, un sottoinsieme dei cosiddetti
“mercato teorico” e “mercato disponibile”, normalmente definiti in base a criteri geografici) grazie a una struttura
commerciale più consistente: questo indicatore, che è a maggior ragione significativo nell’attività internazionale, misura
soltanto la dimensione relativa dell’azienda, non certo la sua capacità di soddisfare il mercato meglio dei concorrenti.
3
3
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Innanzitutto vediamo che, come da definizione, il margine di contribuzione è condizionato da ricavi e costi
(come detto sopra, direttamente riferibili all’attività di cui vogliamo valutare il contributo). Sempre per
definizione, i ricavi sono il prodotto del prezzo unitario di vendita per le quantità vendute. A loro volta, le
quantità vendute, ancora per definizione, sono il prodotto della dimensione del mercato per la percentuale di
quota di mercato dell’azienda.
Sin qui pare tutto ovvio: in particolare, sembra evidente il collegamento diretto fra quota di mercato e
profitto, almeno a parità di altre condizioni. Se tuttavia desideriamo “chiudere il cerchio”, dobbiamo
considerare, nella parte destra della figura, i fattori e le relazioni che condizionano lo sviluppo della quota di
mercato.
A nostro parere, semplificando al massimo, il fattore principale è quello che potremmo sinteticamente
chiamare “profilo competitivo percepito in termini di valore” (pcpV), ossia l’insieme delle
caratteristiche che conferiscono valore alla nostra offerta agli occhi del cliente, in rapporto alle caratteristiche
delle offerte concorrenti ossia, in pratica, il “valore relativo” della nostra offerta percepito dal mercato: il
rapporto fra tale valore percepito e il prezzo da pagare4, confrontato a rapporti analoghi proposti dai
concorrenti più significativi, determinerà la scelta in favore o meno della nostra azienda.
In particolare, il realizzarsi della scelta del consumatore a nostro favore è un vero e proprio fenomeno
“fisico”, ossia la concretizzazione, in un modo o nell’altro, dell’atto di acquisto.
Infine, il cerchio si chiude collegando al profilo competitivo5 il fattore principale che lo condiziona,
sinteticamente descritto in termini di costi. Ossia, tutti i costi e gli investimenti che l’azienda deve sostenere
per migliorare il proprio profilo: dalla ricerca e sviluppo alle materie prime e agli impianti produttivi, dalla
forza vendita alla pubblicità, dalla logistica ai canali distributivi e all’assistenza tecnica, ecc.
Inutile dire che questo “pcpV” e il suo collegamento con il prezzo e con la quota di mercato non sono
altrettanto facilmente identificabili e misurabili o stimabili come lo sono tutte le altre variabili e relazioni
descritte in fig. 1.1: se lo fossero, tutti sarebbero capaci di prendere ottime decisioni strategiche e non vi
sarebbe bisogno di libri come questo.
D’altra parte, la fig. 1.1 suggerisce a nostro parere le seguenti considerazioni:
 vi è una forte integrazione fra variabili di mercato e aspetti economico-finanziari: se da un lato
questi sono sicuramente - e fortemente - influenzati da quelle, dall’altro la disponibilità di risorse
finanziarie (in gran parte create, per l’appunto, dall’interazione con il mercato) è alla base della possibilità
di continuare ad agire sul mercato stesso; c’è quindi da chiedersi come un vero “responsabile” aziendale
possa esimersi dal comprendere a fondo e tenere sotto controllo le variabili economico-finanziarie, e c’è
anche da chiedersi come mai la grande maggioranza dei libri di marketing e strategia dedichi a tale tema
uno spazio estremamente marginale;
 la produzione di ricchezza è un problema di equilibrio o, meglio, di compromesso fra obiettivi
talvolta incompatibili: se è vero che la redditività è positivamente influenzata dalla quota di mercato
(a parità di altre condizioni), è altrettanto vero che oltre un certo limite l’acquisizione di ulteriore quota
potrebbe richiedere investimenti marginali (e/o riduzioni di prezzo) più che proporzionali e quindi
deprimere la redditività; ciò è vero soprattutto in settori maturi e fortemente competitivi, in cui
l’acquisizione di punti aggiuntivi di quota da parte di un’azienda comporta inevitabilmente una perdita di
vendite per i concorrenti, con le conseguenti probabili reazioni in termini di guerre di prezzo e
diminuzione di margini per tutti;
 in sostanza, è impossibile massimizzare redditività e quota allo stesso tempo, né si vuol dire che si
debbano perseguire per forza quote di mercato elevate: l’importante è che vi sia un buon equilibrio fra
posizioni di mercato, investimenti necessari per ottenerle e mantenerle, e redditività che tali
posizioni sono in grado di generare;
 tutte le variabili identificate, eccettuato il famigerato “pcpV”, sono immediatamente traducibili e
misurabili in termini numerici: a parte il fatto che anche il “pcpV” può essere tradotto in indici
Si noti anche il collegamento diretto e positivo fra prezzo e valore: in assenza di altre informazioni per il consumatore,
spesso un prezzo elevato può condizionare positivamente il valore percepito e, quindi, non ridurre necessariamente la
propensione all’acquisto.
5
Per semplicità, non inseriamo in figura i fattori che condizionano l’evoluzione della domanda di mercato, in larga
maggioranza esogeni e al di fuori del controllo dell’azienda.
4
4
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
numerici6, è evidente che la prosperità dell’azienda dipende direttamente dal comportamento di fattori
quantitativi; anche a questo proposito, c’è da chiedersi come mai la tradizionale letteratura strategica e di
marketing concentri la propria attenzione quasi esclusivamente sugli aspetti qualitativi e discorsivi della
materia, senza preoccuparsi di fornire strumenti concettuali e metodologici per interpretare e tradurre tali
aspetti in termini di risultati concretamente misurabili o stimabili;
 la retta tratteggiata che attraversa la figura separa nettamente quella che noi chiamiamo l’area di
visibilità (la “punta dell’iceberg”, ossia le variabili normalmente contabilizzate nel sistema informativo
aziendale) dall’area sottostante (l’iceberg vero e proprio, molto più grande e complesso) che è invece,
normalmente e soprattutto nelle piccole e medie imprese, al di fuori del consapevole ed esplicito controllo
aziendale: peccato che sia proprio quest’ultima area che condiziona il comportamento della prima e che,
essendo in grado di vedere soltanto la punta dell’iceberg, l’azienda rischi di andare a sbattere contro la
parte sommersa!
Un’ultima considerazione, non altrettanto evidente dall’esame della fig. 1.1, si richiama a quanto detto sopra
riguardo alla variabile “costi”, che sintetizza l’entità delle risorse aziendali impiegate per migliorare il profilo
competitivo e quindi la posizione di mercato: è chiaro che tali risorse, purché utili ai fini del raggiungimento
dell’obiettivo, possono essere di qualsiasi tipo, anche al di fuori delle aree tradizionalmente riconosciute “di
competenza” del marketing.
Se si è d’accordo sulla definizione di marketing da noi proposta, apparirà ovvia la necessità di forte
integrazione e bilanciamento di tutte le risorse e di tutti gli strumenti aziendali ai fini del successo
sul mercato, e apparirà quindi altrettanto ovvia la conclusione che il titolare dell’impresa, ossia chi ha
l’ultima parola sull’impiego delle risorse, dovrebbe esserne anche il primo vero “responsabile di
marketing”7.
Questa traduzione del “pcpV” in indici numerici sarà, come vedremo, alla base della nostra modellizzazione del
comportamento strategico dell’azienda e del mercato (capitolo 7).
7
V. anche quanto diremo nel capitolo 5.
6
5
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Le implicazioni pratiche dei principi sopra descritti: principali fasi del processo di pianificazione
In attesa di ritornare su alcune delle considerazioni di cui sopra nel seguito di questa parte, riteniamo per
ora possa essere difficilmente contestata la sensatezza dell’estrema sintesi del funzionamento del “motore”
del successo aziendale rappresentata nella fig. 1.1 e la sua rispondenza alla realtà (non dimentichiamo che il
marketing e la strategia sono soprattutto buon senso!). E se questa è la realtà (sia pure estremamente
semplificata), non ci resta che tentare di influenzarne il più possibile il comportamento a nostro favore,
sforzandoci quindi di tenere il “motore” sotto controllo attraverso la nostra attività operativa.
Dall’analisi della fig. 1.1 e delle variabili che vi compaiono derivano le principali domande che dovremo porci
per pianificarne correttamente la gestione. A ognuna di esse corrisponderà quindi un’importante fase del
processo di pianificazione.
Le domande (e le relative fasi di lavoro) sono raggruppabili nelle tre principali categorie qui sotto elencate.
I.
Di che cosa si sta parlando? (Fase di definizione del settore di attività, dell’analisi e della scelta
degli eventuali segmenti prodotto/mercato, nonché della definizione del relativo sistema
informativo).
Questa è la domanda fondamentale, anzi, potremmo dire che è “la” domanda per eccellenza, cui è
spesso difficile rispondere in modo corretto e che viene spesso elusa dando implicitamente per
scontato che si sappia come rispondervi (il che è normalmente falso!).
L’obiettivo della domanda è quello di definire nel modo più preciso possibile l’ambito di riferimento
entro cui le relazioni descritte dalla Fig. 1.1 sopra vista possono aver senso, vale a dire il cosiddetto
“contesto prodotto/mercato” o, ancora, il tipo di “domanda di mercato” cui ci si rivolge e i confini del
“campo di battaglia” in cui ci si dovrà (o potrà, nel caso di business completamente nuovi) misurare
con la concorrenza8.
Se l’ambito o il contesto prodotto/mercato di riferimento non sono abbastanza omogenei perché l’atto
di acquisto a nostro favore si verifichi al confronto fra offerte più o meno comparabili da parte del
consumatore e/o perché possa essere concepita una strategia d’attacco sufficientemente mirata, sarà
probabilmente necessario identificare e distinguere contesti diversi e tentare di rispondere alle
domande che seguono per ognuno di essi.
II.
Come va gestito ogni singolo business? (Fase di gestione strategica mono-business).
Questa fase, che si occupa di far funzionare correttamente i diversi “motori” della prosperità aziendale
e che va ovviamente ripetuta tante volte quanti sono i settori significativi in cui opera l’azienda, si
articola in tre sotto-fasi rispettivamente corrispondenti, grosso modo, alle attività di analisi, presa di
decisione (strategica e organizzativa) e stima/controllo dei risultati.
Come sopra anticipato, non dimentichiamo comunque, checché ne dicano gli esperti di pianificazione
(che dedicano gran parte della loro attenzione all’analisi dei cosiddetti modelli di “portafoglio” di
business), che la prosperità di qualsiasi azienda deriva dalla sua abilità di acquisire posizioni di mercato
remunerative, e che le posizioni di mercato si acquisiscono a livello di singolo business (ossia,
di singolo “motore”): al consumatore, quando è in procinto di scegliere fra noi e un fornitore
alternativo, non potrebbe interessare di meno la nostra eventuale posizione competitiva in altri settori,
a meno che tale posizione non contribuisca a condizionare il nostro profilo competitivo percepito nel
settore specifico di suo interesse.
Per questo motivo, le sotto-fasi di lavoro qui sotto sintetizzate sono quelle cui vale comunque la pena
di dedicare una particolare attenzione.
In breve, le sotto-fasi rispondono alle domande che seguono:
II.a Quanto è appetibile la torta? (Fase di valutazione del mercato – sia esso in Italia o all’estero
– e di definizione del relativo marketing information system).
Nel caso di nuovi business che rispondono a bisogni precedentemente non soddisfatti, vi sarà comunque un confronto
fra alternative da parte del consumatore: l’alternativa estrema, anche in assenza di offerte comparabili, sarà quella di
non comprare affatto il nostro prodotto, di rimandarne l’acquisto o di ripiegare su offerte più tradizionali. In questo caso
si avrebbe, di fatto, una concorrenza fra business (v., in particolare, il capitolo sulla gestione strategica multicountry e
multibusiness), a livello di domanda primaria.
8
6
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Una volta circoscritto l’ambito di riferimento e scelti i segmenti di interesse, sarà importante
capire quali sono, nei segmenti prescelti, le dimensioni e il prevedibile comportamento del
mercato, ossia quanto è interessante la variabile in basso a sinistra della fig. 1.1: quanti sono i
potenziali utilizzatori, quanto è probabile che consumino e per quali motivi, in base a quali criteri
è probabile che scelgano - ove possibile - fra fornitori concorrenti?
Si vede subito quanto sia importante rispondere a tali quesiti, se si desidera conquistare una
posizione di mercato non marginale. Si può anche immaginare quanto sia difficile rispondere se
l’ambito (il contesto prodotto/mercato) di riferimento non è stato correttamente definito e/o è
troppo disomogeneo: se questa ipotesi si rivelasse vera, sarebbe necessario rivedere la “risposta”
alla domanda precedente.
Non solo: nel caso di prodotti che richiedono o che potrebbero richiedere l’intervento di
intermediari commerciali sarà necessario cimentarsi in un esercizio analogo a quello visto sopra
con riferimento al mercato finale: quali e quanti sono i potenziali distributori, quanto è probabile
che acquistino e per quali motivi, in base a quali criteri è probabile che scelgano - ove possibile fra fornitori concorrenti?
II.b Quale fetta di torta saremo in grado di acquisire? (Fase di definizione della strategia e
dell’assetto organizzativo, conseguente stima della quota di mercato ottenibile).
Anche qui (oltre che più sopra, con riferimento alle domande precedenti), di solito, casca l’asino,
nel senso che le aziende normalmente fissano degli obiettivi (se e quando li fissano)
esclusivamente in termini di vendite, trascurando il piccolo particolare che le vendite dipendono
dall’esistenza di una domanda di mercato e che tale domanda potrebbe essere soddisfatta anche
da altri fornitori in concorrenza.
La stima dell’evoluzione del settore (vedi il punto precedente) e/o la stima dell’evoluzione della
propria quota ove esistano fornitori concorrenti, richiedono una precisa definizione delle proprie
strategie e delle scelte organizzative che ne derivano (quali risorse impiegare, in quale misura,
con quale grado di bilanciamento, su quale orizzonte temporale, ecc.) e una valutazione
approfondita del quadro competitivo presente e futuro (quali e quanti concorrenti, quali strategie
e quali comportamenti adottano, quali risultati possono attendersi, ecc.).
In sostanza, qui si tratta di stimare e sforzarsi di controllare la relazione fra le variabili “profilo
competitivo percepito”, “prezzo”, “costi” e “quota di mercato” descritta nella fig. 1.1.
II.c Quanto ci costerà la fetta di torta e, d’altro canto, quanta ricchezza sarà in grado di
produrre? (Fase delle proiezioni economico-finanziarie).
In funzione delle scelte e delle valutazioni di cui sopra, potranno essere definite stime più precise
di costi e ricavi (e quindi di margini di contribuzione), effettuate le proiezioni dei flussi di cassa e
identificate le necessità di finanziamento.
Questa è la parte dell’attività di pianificazione concettualmente più facile, anche perché dipende
direttamente dalle altre. Inoltre, dato il suo carattere tipicamente quantitativo e contabile, è la
parte che meglio si presta alla automatizzazione via computer.
Proprio per le sue caratteristiche di relativa banalità concettuale e di facilità di automatizzazione
(per non parlare del fatto che la cultura contabile è molto più diffusa di quanto non lo sia quella
strategico-organizzativa), il capitolo sulle proiezioni economico-finanziarie è spesso, di fatto,
l’unica vera componente del piano aziendale o di marketing, quando esiste un cosiddetto “piano”:
peccato che, in tal caso, non vengano esplicitate le ipotesi strategiche e organizzative alla base
delle proiezioni, e che quindi non si tratti di un vero e proprio piano con le logiche e i vantaggi di
cui parleremo più oltre.
III. Come vanno gestite le (eventuali) diverse torte (e fette)? (Fase di gestione del portafoglio di
business).
Se il “business” (o “area d’affari”, o settore di riferimento, o segmento prodotto-mercato) in cui opera
l’azienda è sufficientemente omogeneo e può essere trattato come un’unica entità ai fini della
comprensione delle relazioni descritte in fig. 1.1, questa domanda non avrà ragione di essere.
Altrimenti – il che è una situazione molto più frequente – sarà necessario replicare il “motore” della
figura tante volte quanti sono i settori o segmenti particolarmente significativi di riferimento (e quindi,
7
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
come detto, ripetere altrettante volte la fase di lavoro descritta al punto precedente) indicando, in
questa terza fase, in base a quali criteri i vari tipi di risorse (finanziarie, tecnologiche, umane,
organizzative) verranno assegnati ai diversi business: in base alla dimensione degli stessi business, agli
obiettivi complessivi dell’azienda, ai tassi di crescita dei mercati, ai fattori di successo competitivo nei
diversi mercati e all’efficacia relativa degli strumenti strategici, al profilo competitivo dell’azienda e ai
suoi punti di forza e debolezza o a tutti questi aspetti insieme?
Due concetti “chiave”
Prima di discutere i principali motivi per cui si dovrebbe pianificare... e quelli per cui, di fatto, non si pianifica,
è importante integrare quanto detto sopra a proposito della necessità di bilanciare adeguatamente la
posizione di mercato (quota) con l’entità degli investimenti necessari per mantenerla e migliorarla, nonché
con la redditività generata da tale posizione.
La tipica relazione fra investimenti (nel nostro caso, soprattutto investimenti di marketing) e risultati di
mercato (quota) è rappresentabile dalla seguente figura:
Fig. 1.2 – La “curva a S”
risultati
specifici
tetto
(ad es., quota
di mercato)
massa critica
(o “soglia”)
investimenti
specifici
(ad es., investimenti di
marketing)
Questa curva, chiamata anche “curva logistica”, descrive la relazione funzionale fra investimenti in
specifiche risorse e specifici risultati ottenibili con tali investimenti, un concetto essenziale nella
pianificazione strategica, che può essere applicato a qualsiasi tipo di risorsa in grado di produrre
risultati (ad esempio: “esposizione” ai messaggi aziendali prodotta dagli investimenti pubblicitari, ordini
generati dalla forza vendita, incrementi di qualità consentiti dalla ricerca e sviluppo, ecc.):
 fino a un determinato “livello minimo” di investimento (normalmente chiamato “soglia” o “massa
critica”), l’effetto dell’investimento non mostra incrementi significativi e, quindi, l’azienda non ottiene
risultati “visibili” e accettabili
 oltre questo livello, i risultati crescono a un tasso esponenziale, fino a un certo punto (un livello di
investimento ragionevolmente ritenuto “massimo”), chiamato “tetto”
 oltre questo tetto, i risultati possono continuare a migliorare, ma a un tasso decrescente, e quindi
investimenti aggiuntivi non sono particolarmente redditizi.
Ovviamente, la “massa critica” necessaria per competere, e le corrispondenti ampiezza e forma
della curva a S, variano notevolmente in funzione del settore specifico considerato e del contesto
competitivo e di mercato.
Un altro concetto importante, spesso grandemente sottovalutato nella pratica aziendale, è quello di “costo
opportunità”.
8
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Il modello descritto nella figura 1.1, che sintetizza una determinata strategia in un dato contesto di business
(investimenti e livello di prezzo), può prendere in esplicita considerazione i cosiddetti “costi vivi” (fissi,
variabili, diretti e indiretti): tuttavia, nella vita reale è importante confrontare diverse strategie alternative, al
fine di stimare i costi opportunità, ossia i benefici potenziali cui si rinuncia perseguendone una a scapito
delle altre.
Raramente i manager confrontano in modo consapevole ed esplicito strategie alternative, sottovalutando
totalmente il rischio di utilizzare risorse scarse (per definizione) in una data direzione, senza considerare usi
alternativi, e potenzialmente più promettenti, delle stesse risorse.
Come vedremo, il confronto esplicito fra strategie alternative è uno dei potenziali e significativi vantaggi di
una corretta pianificazione.
Perché è importante pianificare… e perché non si pianifica…
Si sarà già intuita, da quanto detto sopra, l’importanza di una sistematizzazione del processo di gestione dei
fattori che condizionano il successo aziendale, nonché della formalizzazione esplicita (ossia, nero su bianco)
del piano di lavoro che si intende realizzare.
Il piano aziendale o business plan, il cui “cuore” è rappresentato dal piano di marketing9, non è altro
che un documento scritto, possibilmente supportato da strumenti software (come esemplificato nei capitoli di
questa prima parte che descrivono modelli di supporto alle decisioni), in cui viene analizzato il contesto di
mercato e competitivo, vengono indicati gli obiettivi, spiegate le logiche strategiche e operative
delle diverse fasi di lavoro e stimati esplicitamente, quantificandoli, i risultati di mercato ed economicofinanziari previsti in un lasso di tempo di almeno qualche anno.
Non si tratta quindi, soltanto, di un insieme di proiezioni e/o di obiettivi economico-finanziari, ma soprattutto
di un’organica presentazione della situazione di contesto (ambiente, mercato, concorrenza, caratteristiche e
risorse aziendali) nell’ambito di uno o più settori o segmenti di attività specifici, di una serie di scelte
strategiche (relative, quindi, alla destinazione delle risorse disponibili) in funzione del raggiungimento di
determinati ed espliciti obiettivi e, infine, della organizzazione (strutture, sistemi e risorse umane) e delle
azioni necessarie per la realizzazione di tali strategie.
Le proiezioni economico-finanziarie, che rappresentano solitamente l’ultima parte del piano e che non
devono necessariamente essere dettagliate come in un vero e proprio budget (che è sostanzialmente un
programma di costi e ricavi articolato analiticamente su brevi periodi, normalmente l’anno), non sono altro
che la conseguenza stimata delle scelte strategiche e delle azioni ipotizzate.
L’utilità di un piano e di una programmazione esplicita e formalizzata delle proprie attività per un
periodo il più possibile protratto nel tempo sembra ovvia se soltanto si facciano le seguenti considerazioni:
 gli investimenti aziendali (di qualsiasi tipo essi siano) hanno normalmente un effetto diluito nel
tempo: i risultati che tali investimenti determinano non si verificano istantaneamente ed è quindi
importante prevederne l’evoluzione per poi poterla tenere sotto controllo
 una volta deciso l’impiego di una risorsa, non è sempre agevole tornare sui propri passi: meglio quindi
valutare a priori e in modo il più possibile esplicito gli effetti di tale impiego a fronte di utilizzazioni
alternative, anche e soprattutto tenendo presenti gli elevati “costi opportunità” (ossia il mancato
sfruttamento di opportunità di guadagno alternative dovuto al fatto che le risorse disponibili non possono
contemporaneamente essere utilizzate in più direzioni) presenti in qualsiasi decisione aziendale e
sistematicamente ignorati nella pratica
 il sistema ambiente/mercato (compresa l’azienda inserita in tale sistema) evolve nel tempo, ed è
quindi opportuno non farsi prendere in contropiede da cambiamenti inattesi: è chiaro che non tutto può
essere previsto, anzi, ma un serio sforzo di previsione può grandemente ridurre il livello di incertezza e le
sorprese
 il comportamento del consumatore è in gran parte condizionato da esperienze pregresse e le posizioni
già eventualmente acquisite dai concorrenti diretti o indiretti (e, sperabilmente, acquisibili in futuro
anche dalla nostra azienda) possono rappresentare importanti punti di forza: è quindi essenziale
Il vero e proprio “business plan” si differenzia dal piano di marketing (che comunque ne rappresenta la struttura
portante) soltanto per un’enfasi relativamente maggiore sugli aspetti finanziari, patrimoniali, societari e organizzativi.
9
9
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
“leggere” la situazione di mercato in prospettiva dinamica e con l’ottica lungimirante che soltanto
l’abitudine all’impostazione di piani organici e formalizzati può sviluppare.
A maggior ragione il piano è essenziale quando si tratta di intraprendere nuove iniziative e non c’è una
“storia” che possa dare qualche indicazione sulla probabile evoluzione futura del settore, del mercato e
dell’azienda.
I vantaggi del piano sono numerosi ed evidenti, ma vale la pena elencarli esplicitamente, non fosse altro
per confortare il lettore di questo libro che, a quanto pare, si è preso la briga di affrontare il tema della
pianificazione in modo serio e relativamente sofisticato:
 innanzitutto, il piano costringe a identificare e definire obiettivi specifici, quantificati e misurabili. Se
così non fosse, non avrebbe infatti senso parlare di piano: si tratterebbe, più che altro, di una
dichiarazione di intenti che difficilmente potrebbe tradursi in linee guida meno che generiche
 secondariamente, costringe a identificare e descrivere in modo esplicito le caratteristiche del settore
di attività (tipo di infrastrutture, caratteristiche, tendenze e comportamento della domanda,
comportamento dei fornitori, dei concorrenti e dei canali distributivi), ossia le principali opportunità da
sfruttare e le eventuali minacce cui far fronte
 consente quindi di valutare sistematicamente i punti di forza su cui far leva e i punti di debolezza che
l’azienda deve sforzarsi di ridurre o eliminare, proprio in funzione di tali opportunità e minacce
 la formalizzazione del piano consente, fra l’altro, di meglio identificare i fabbisogni informativi e
verificare il grado di completezza dell’analisi: sono stati considerati tutti gli aspetti importanti sopra
elencati?
 con un piano scritto è inoltre molto più facile valutare la sistematicità e coerenza delle decisioni
ipotizzate e la sensatezza delle stime (ove, come spesso accade, manchino dati oggettivi su fenomeni
rilevanti), rettificando eventualmente il tiro (cosa che altrimenti è spesso lasciata all’intuizione e al caso)
 a proposito di stime, l’elaborazione del piano facilita la formulazione di previsioni a medio e lungo
termine, grazie soprattutto all’esplicita presa di coscienza del fatto che le decisioni di investimento
avranno un impatto diluito nel tempo
 e ancora, soprattutto se per l’elaborazione del piano si utilizzano strumenti software anche molto
semplici, quali un foglio elettronico da predisporre ad hoc (secondo la logica che esemplificheremo più
oltre), è facile effettuare analisi di sensitività (ossia valutare come e quanto possano cambiare, o quanto
siano sensibili, i risultati attesi al variare di ipotesi sull’andamento di alcuni importanti fattori che li
condizionano) e confrontare con poco sforzo e molto velocemente l’appetibilità di diverse alternative
decisionali: ciò è ancora più rilevante in ottica internazionale, se si tiene conto dell’elevata probabilità di
significativi “costi opportunità” se le risorse aziendali vengono utilizzate in determinate direzioni (ad
esempio, specifici paesi) a scapito di alternative potenzialmente più promettenti
 in pratica, il piano rappresenta un’esplicita guida all’azione, ossia una specie di bussola che consente
di identificare meglio la rotta da seguire per raggiungere gli obiettivi, e che altrimenti sarebbe
difficilmente visibile se restasse nascosta nella testa dell’imprenditore o del responsabile di marketing
(spesso confusa, la testa, da una serie di problemi, preoccupazioni e urgenze)
 grazie a tale bussola, sarà quindi più agevole focalizzare meglio gli sforzi e aumentare quindi l’efficacia
della propria azione sul mercato
 in particolare, sono state identificate (in qualità e quantità) tutte le risorse necessarie, finanziarie,
tecnologiche e umane, per il raggiungimento degli obiettivi?
 grazie ovviamente anche ai vantaggi sopra indicati, il piano consente di ridurre il livello di incertezza
delle stime e quindi i rischi inerenti alle decisioni di investimento...
 ...e inutile dire che una maggior focalizzazione degli sforzi e una maggiore coerenza aiutano anche a
ridurre gli sprechi di risorse aumentando non soltanto l’efficienza del loro impiego..
 …ma anche rinforzando l’efficacia di cui si parlava sopra: il risparmio di risorse è quindi convogliabile in
direzioni più promettenti facilitando il raggiungimento della massa critica necessaria nei vari contesti
di mercato
 grazie al piano, è inoltre più agevole disporre di una visione integrata e bilanciata del portafoglio di
attività dell’azienda…
10
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
 …agevolando quindi l’identificazione di responsabilità e l’assegnazione di obiettivi specifici ai vari
livelli della struttura manageriale…
 …e permettendo di conciliare il più possibile obiettivi ed esigenze spesso contrastanti: ad esempio,
le richieste di standardizzazione da parte della produzione sono spesso conflittuali con quelle di
personalizzazione da parte della forza vendita, che a sua volta tende ad applicare lunghe dilazioni di
pagamento, in contrasto con i vincoli posti dalla finanza, ecc.
 il piano rappresenta anche un’indispensabile traccia per la formulazione di programmi operativi che
identifichino specifiche attività da svolgere, ruoli, responsabilità e scadenze …
 … e un importante termine di riferimento per verificare e controllare (non necessariamente in modo
fiscale) se, in quale misura e perché quanto era stato previsto, pianificato e programmato si è verificato,
al fine di introdurre eventuali misure correttive
 per non parlare del fatto, spesso sottovalutato, che il piano aiuta a pianificare (!), ad accumulare e
capitalizzare nel tempo le esperienze e a guardare lontano, sviluppando gradualmente la capacità di
formulare previsioni sensate, realistiche e quantificate in funzione di scelte esplicite, ragionate e
organiche
 le esperienze maturate nel processo di pianificazione, anziché rischiare di andare perdute o di essere
“depositate” nella testa di una o poche persone, con tutti i rischi che ne conseguono, vengono
consolidate e rappresentano un’insostituibile base di conoscenze e un know-how accessibile in
qualsiasi momento e da chiunque possa avere interesse a informarsi e/o a contribuire
 strettamente legata all’accessibilità del know-how cristallizzato nel piano è la possibilità di
comunicazione dei suoi contenuti e delle sue logiche fra tutti coloro che, all’interno dell’azienda o in
contatto diretto con la stessa (si pensi agli agenti di vendita), possono o debbono contribuire a
svilupparlo e realizzarlo, il che ne facilita grandemente la comprensione, contribuendo al miglioramento
della qualità del lavoro svolto da ognuno...
 ....ma comunicare e comprendere sono la premessa di una maggiore e più diffusa condivisione, non
soltanto delle informazioni ma anche e soprattutto degli obiettivi e dei vincoli aziendali, il che
favorisce e rinforza ulteriormente la loro conciliazione con gli obiettivi e le esigenze individuali di cui si
parlava sopra ...
 ...ed è inutile dire che comunicazione e condivisione non possono che facilitare una migliore
motivazione, dando a tutti gli interessati un senso esplicito di missione, appartenenza e “ragion
d’essere” (il che non è poco) ...
 ...ma anche aiutando a sviluppare una migliore consapevolezza, da parte di tutti, dell’esigenza
dell’integrazione degli sforzi e del lavoro di team, consapevolezza solitamente assente o poco diffusa
nella grande maggioranza delle aziende
 naturalmente, l’esistenza di un piano esplicito rende possibile anche una migliore comunicazione fra
l’azienda e il contesto esterno10, facilitando ad esempio la realizzazione di alleanze con altre imprese
e potenziali partner (sotto forma di accordi industriali o commerciali, joint-venture, fusioni e
acquisizioni).....
 ...per non parlare della possibilità di creare o migliorare i rapporti con la stampa (generica, finanziaria
o di settore) e lo sviluppo di azioni di pubbliche relazioni, sicuramente alla portata anche di piccole e
medie imprese che abbiano qualcosa di nuovo e interessante da dire
 a quest’ultimo punto è anche direttamente o indirettamente collegata la possibilità di attirare, grazie a
una migliore immagine aziendale, risorse professionali “chiave”, che si lasciano più facilmente sedurre
da un piano specifico e promettente, ma che sono soprattutto sensibili a sistemi di pianificazione e
gestione avanzati
 infine, last but not least (e siamo al ventottesimo punto!), la disponibilità di un piano credibile e ben
articolato consente di accedere più facilmente, a parità di altre condizioni, a finanziamenti esterni (e/o
Ovviamente, questa possibilità verrà gestita dall’azienda con le dovute cautele, per evidenti motivi di riservatezza, ma
la riservatezza esasperata, anche su aspetti essenziali che la controparte deve conoscere per poter collaborare
efficacemente, si trasforma spesso in un boomerang. Per non parlare del fatto che un buon 80% delle informazioni che
le aziende vorrebbero tenere segrete (ad esempio, i costi variabili di produzione) è normalmente alla portata di
chiunque sia seriamente intenzionato a informarsi e abbia un minimo di esperienza del settore di interesse.
10
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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
di ottenere migliori condizioni, a parità di finanziamento), sia sotto la forma dei tradizionali prestiti bancari
(mutui e affidamenti) che, eventualmente, anche sotto quella di partecipazioni in venture capital da parte
di società finanziarie o banche d’affari: non è da escludere che questo tipo di partecipazioni, consistenti
nell’acquisizione di quote di minoranza da parte del finanziatore a fronte del conferimento, da parte dello
stesso, della maggioranza del capitale necessario e in previsione di una forte crescita del valore di
mercato della partecipazione medesima, si possa prima o poi sviluppare anche in Italia, come è avvenuto
in tutti i Paesi avanzati11.
A fronte di tutti gli indubbi vantaggi di una corretta pianificazione sopra visti (che, oltre a essere numerosi,
sembrano anche di notevole importanza), è quasi incredibile notare come la grandissima
maggioranza delle piccole e medie imprese, non soltanto in Italia, se ne guardi bene dall’adottare
sistemi di pianificazione formali e organici, e che piani aziendali o piani di marketing degni di questo
nome si vedano molto raramente anche nell’ambito di nuove iniziative imprenditoriali e di progetti di
espansione all’estero che presentano, quasi per definizione, livelli di rischio elevati.
L’unica spiegazione plausibile di tale fenomeno (oltre, ovviamente, alla scarsa propensione alla riflessione e
alla raccolta sistematica di informazioni da parte degli imprenditori, molto più portati a decidere e ad agire
senza preoccuparsi troppo di stimarne in modo articolato le conseguenze 12) è che pianificare non è facile,
affatica le meningi, costa un sacco di tempo e spesso anche di denaro.
D’altra parte, paradossalmente, sono proprio le nuove imprese (di solito piccole per definizione) e, più in
generale, le piccole e medie imprese (ossia quelle che, a parità o quasi di settore d’attività, dispongono di
risorse relativamente più scarse rispetto alle grandi, che non sono protette da nessuno e si trovano in balìa
del mercato e di concorrenti spesso agguerriti, e che raramente dispongono di qualcuno con la
professionalità e il tempo necessari per sviluppare un piano), che non potrebbero e non dovrebbero
permettersi, per l’appunto, di non avere un piano.
È infatti facile che, senza un piano, si sprechino risorse per eccessiva dispersione, scarsa focalizzazione,
scarsa comunicazione interna e unità di intenti, e che quindi si innestino circoli viziosi che possono mettere
l’azienda in gravi difficoltà.
Non vi sono molte soluzioni a questo paradosso. In attesa che si sviluppi anche in Italia una maggiore e
migliore cultura manageriale anche a livello dei titolari di impresa (proprio quelli che dovrebbero incarnare
meglio di tutti i principi strategici e di marketing sopra descritti), l’unica via percorribile è quella della
semplificazione, automatizzazione e facilitazione (sia pure con qualche investimento iniziale,
soprattutto di tempo) del processo di pianificazione: si tratta, insomma, di mettere il titolare dell’impresa
o chiunque lo assista da vicino nella conduzione aziendale in grado di sviluppare almeno uno schema di
piano utilizzabile e “presentabile” (all’interno e all’esterno dell’azienda) senza troppa fatica e senza eccessivi
investimenti in consulenza o in risorse dedicate.
È proprio in quest’ottica che, dopo aver approfondito alcuni aspetti della pianificazione più specificamente
connessi all’internazionalizzazione, proporremo alcuni esempi di come possano essere modellizzati (in
pratica, semplificati e automatizzati) importanti processi di analisi e decisionali sui seguenti temi:
 concreta valutazione dei collegamenti fra valore percepito dal mercato, prezzi e posizioni di mercato (v. il
“motore della redditività aziendale” sopra descritto)
 ottimizzazione dell’impiego delle risorse aziendali in vista di specifici obiettivi di mercato e/o di redditività
(vedi, ancora, il “motore della redditività aziendale”)
 individuazione dei mercati esteri di sbocco maggiormente appetibili, in funzione di diversi parametri
 stima dei potenziali di mercato all’estero
 valutazione dell’impatto delle caratteristiche dei Paesi sull’importanza relativa dei fattori di successo
 definizione dei prezzi di vendita
 valutazione dell’impatto delle scelte di canale distributivo sulla competitività e sui margini
 valutazione dell’impatto dei profili professionali sull’efficienza nell’impiego delle risorse aziendali.
In proiezione futura, l’accesso a finanziamenti in venture capital in altri Paesi dovrebbe comunque diventare sempre
più facile.
12
Inutile dire che queste caratteristiche imprenditoriali rappresentano talvolta un punto di forza; ma quanto spesso
rappresentano una debolezza?
11
12
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
2.
Perché è indispensabile pianificare per andare all’estero, e come farlo:
business plan ed export plan13
Le difficoltà aggiuntive create dal contesto internazionale
Portare la propria azienda su uno o più mercati esteri è un processo di complessità paragonabile
all’inizio di una nuova attività d’impresa.
Ammettiamo pure che la vostra azienda abbia raggiunto una posizione soddisfacente sul mercato domestico:
 siete conosciuti dal mercato e ormai conoscete tutti i segreti del mercato e della concorrenza
 i vostri prodotti quindi rispondono in modo soddisfacente alle esigenze dei vostri clienti e avete una
posizione consolidata nell’ambito della catena distributiva
 la struttura organizzativa è perfettamente adeguata e la vostra capacità produttiva è dimensionata sulle
esigenze del vostro mercato.
Nessuna di queste considerazioni sarà più necessariamente vera quando andrete su un mercato
estero, soprattutto per la prima volta:
 nessuno vi conosce: siete nuovi, gli ultimi arrivati, i clienti non vi conoscono e neppure i distributori;
quanto avete impiegato a “farvi un nome” in Italia?
 non sapete nulla dei clienti: chi sono, quali sono le loro abitudini, i loro bisogni, le loro preferenze?
Nulla garantisce che siano uguali e neppure vagamente simili a quelle dei clienti italiani
 i vostri prodotti sono adeguati? Se non sapete nulla dei clienti, non potete sapere se i vostri prodotti
siano adatti a soddisfarne le esigenze
 non conoscete i concorrenti: non sapete chi siano, non sapete quanto siano forti, non sapete cosa
aspettarvi da loro
 non avete distributori: non sapete a chi affidarvi, le modalità, i rapporti, le abitudini dei vostri futuri
interlocutori potrebbero essere completamente diverse.
 ecc. ecc.
Proprio per la sua complessità e per l’impatto che ha sull’intera struttura aziendale, senza un’attenta e
adeguata attività di pianificazione vi sono molte probabilità che il progetto di
internazionalizzazione rischi di fallire. In ottica di internazionalizzazione, e a integrazione di quanto già
detto riguardo ai motivi per cui è importante pianificare, aggiungeremo le seguenti considerazioni:
 i risultati degli investimenti all’estero si realizzano ancor più lentamente rispetto a quanto
avviene sul mercato domestico: occorre raccogliere informazioni, attivare contatti, prevedere spese di
viaggio nei paesi esteri, eventualmente adattare i prodotti e i servizi offerti alle esigenze dei mercati
locali, ecc. Conquistare quote di mercato dove non siamo mai stati presenti è difficile, richiede costanza,
tenacia e investimenti costanti: è quindi a maggiore ragione importante prevedere l’evoluzione dei fattori
più rilevanti per poterla tenere almeno parzialmente sotto controllo
 è chiaro che non tutto può essere previsto, anzi, ma un serio sforzo di previsione può grandemente
ridurre il livello di incertezza, i rischi e le sorprese, specialmente nell’ambito di mercati di cui non
abbiamo esperienza diretta e per i quali risulta ancora più importante e delicato cercare di interpretare i
segnali di cambiamento e di evoluzione
 soprattutto le aziende che entrano in un mercato per la prima volta, partono da una situazione di
svantaggio nei confronti dei concorrenti già presenti su tale mercato: è quindi di fondamentale
importanza individuare i possibili punti di forza su cui far leva in relazione a particolari condizioni di
mercato, caratteristiche dei clienti potenziali e punti di debolezza dei concorrenti, fattori che devono
essere analizzati prima di impegnare risorse finanziarie e umane. Tali punti di forza costituiranno gli
elementi fondanti della strategia d’ingresso, massimizzando le probabilità di successo del progetto.
Questo capitolo e i due successivi sono tratti, con leggeri adattamenti, da D. Possati, Percorso Tematico “Prepararsi a
Esportare”, sviluppato per il Portale Italia Internazionale, Aree Sviluppo Servizi e Informazioni Telematiche, ICE, 2005.
13
13
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Non si potrebbe cogliere soltanto qualche occasione qua e là?
Moltissime PMI realizzano una frazione irrisoria del proprio fatturato all’estero con vendite più o meno
occasionali generate da partecipazioni a fiere, contatti personali e altri canali sporadici e informali. È
ragionevole chiedersi perché l’apertura dell’azienda ai mercati esteri non possa essere condotta
attraverso lo sviluppo di questi contatti seguendo le occasioni che mano a mano si presentano.
Sebbene vi siano indiscutibilmente casi di successo tra le aziende che hanno seguito questa strada, ci sono
almeno due tipologie di ragioni serie che sconsigliano di perseguirla come regola:
 la prima è che può essere estremamente rischiosa. Vendere all’estero richiede tutta una serie di
competenze e di cautele la cui importanza tende a emergere prepotentemente soltanto nel momento in
cui ci si accorge – troppo tardi – di esserne privi. Mezzi di pagamento inadeguati espongono al rischio di
insoluti, clausole contrattuali possono rivelarsi impugnabili per la legge del paese straniero, la scelta
incauta dei mezzi di spedizione può esporci a richieste di risarcimento da parte dei clienti. I rischi
aumentano poi esponenzialmente nei rapporti commerciali con i paesi in via di sviluppo (dove peraltro
tende a concentrarsi la maggioranza delle opportunità). Sull’onda dell’entusiasmo, le aziende che
sviluppano la propria attività di esportazione in maniera opportunistica e non sistematica,
tendono a sottovalutare tali rischi e a non sviluppare un’organizzazione e delle competenze
adeguate per affrontarli
 la seconda è che può essere estremamente inefficiente. Anche nel caso in cui l’azienda si dotasse
delle risorse e dell’organizzazione necessarie per proteggersi dai rischi legati alle attività di esportazione,
non c’è nulla che garantisca che le occasioni e le opportunità che si presentano in modo sporadico siano
le più adatte a sfruttare i punti di forza dell’azienda, ovvero che risultati migliori non possano essere
ottenuti su altri mercati, con altre strategie, a parità di impiego di risorse. Inoltre, sembra illogico che –
una volta sviluppate le competenze interne – queste non debbano essere sfruttate in modo sistematico
rivolgendosi ai mercati più promettenti attraverso la definizione di un progetto di internazionalizzazione
supportato da un piano.
Sfruttare i vantaggi dell’internazionalizzazione
Intraprendere un’attività di internazionalizzazione consente di cogliere una serie importante di
opportunità di sviluppo e prosperità per l’impresa. Alcune sono facilmente individuabili e riguardano i
risultati ottenibili nel breve e medio periodo in termini di volume d’affari e contribuzione. Altre sono meno
immediate, ma altrettanto importanti: si riferiscono allo sviluppo dell’azienda sul medio–lungo periodo,
all’aumento della sua competitività e della possibilità di costruire barriere nei confronti della concorrenza.
Ecco una lista parziale dei vantaggi dell’internazionalizzazione, che possono essere sfruttati al meglio con un
adeguato piano:
 aumento del giro d’affari: è il vantaggio più ovvio e immediato; le vendite della vostra azienda
dipendono sia dalla competitività dell’azienda stessa, sia dalla dimensione del mercato a cui essa si
rivolge, intraprendere un’attività di internazionalizzazione consente quindi all’impresa di allargare la
propria base di mercato
 aumento dei profitti: se l’entità delle vendite aggiuntive ottenibili sui mercati esteri è tale da non
incidere significativamente sui costi fissi, tali vendite incrementeranno la redditività complessiva
dell’impresa
 economie di scala ed esperienza produttiva: quando l’attività all’estero cessa di essere una parte
marginale dell’attività complessiva dell’impresa, questa intraprende un processo di crescita in termini di
dimensioni, supportato dalla crescita della base di mercato, che le consente di accedere a nuove risorse
finanziare e di sfruttare i vantaggi di costo legati alla dimensione e all’esperienza (economie di scala e di
gamma, maggiore visibilità e forza contrattuale nei confronti del mercato e dei fornitori, ecc.)
 diversificazione del rischio: l’attività internazionale riduce la dipendenza dell’azienda da un unico o da
pochi mercati, consentendole di superare eventuali periodi di recessione che dovessero colpire singole
aree di mercato
 possibilità di accedere a nuove idee e nuove esperienze: operare su mercati diversi consente di
venire a contatto con nuove realtà, nuovi modi di operare, nuove idee di successo che possono essere
recepite e utilizzate sia sul mercato italiano, sia sugli altri mercati di riferimento
14
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
 risposta alla globalizzazione: la crescente globalizzazione dei mercati fa sì che nessuna azienda possa
permettersi di rimanere chiusa nel proprio mercato; se non siamo noi a competere sui mercati esteri,
prima o poi saranno le imprese straniere a venire a farci concorrenza sul mercato italiano. L’esperienza
della competizione sul mercato internazionale, accuratamente progettata e gestita nelle migliori
condizioni, consente alle aziende di costruirsi i mezzi finanziari e le competenze manageriali, per
competere con i concorrenti stranieri anche sul mercato domestico.
 aumento della competitività sul mercato interno: come già detto, le vendite dipendono sia dalla
dimensione del mercato di riferimento, sia dalla competitività dell’azienda nei confronti dei concorrenti; le
caratteristiche necessarie alle aziende per competere sui mercati internazionali, l’esperienza, le
competenze e le risorse acquisite, andranno a costituire un vantaggio competitivo importante nei
confronti di quelle aziende che limitano la loro area di attività al mercato italiano.
I rischi
A fronte delle opportunità e dei vantaggi citati, l’impresa internazionalizzata deve tenere presente e
affrontare una serie di rischi aggiuntivi.
 rischio d’impresa: è la tipologia di rischio che caratterizza ogni attività d’impresa; come già detto, sui
mercati esteri tale rischio è aggravato dalla minore conoscenza del mercato, dei concorrenti, della
distribuzione, ecc., oltre che dalla posizione di sostanziale svantaggio che l’azienda si trova a dover
affrontare nella fase iniziale
 rischio economico: è il rischio legato all’andamento della domanda sui mercati internazionali, alcuni dei
quali – specialmente quelli caratterizzati dai maggiori tassi di crescita e, come tali, più appetibili – sono
caratterizzati da un alto grado di incertezza e di volatilità, che possono portare a improvvisi e importanti
eventi di contrazione della domanda
 rischio monetario: dato che il prezzo e la moneta in cui dovranno essere effettuati i pagamenti sono
stabiliti al momento del contratto, in presenza di dilazioni di pagamento significative, l’azienda si troverà
esposta al rischio di riduzione del valore della transazione dovuto alla svalutazione della moneta estera
rispetto all’euro
 rischio politico: operando all’estero, l’impresa italiana è sottoposta alle leggi del paese straniero; se nei
paesi occidentali la possibilità di intervento dei governi nell’economia è ormai relativamente limitata,
almeno per quanto riguarda le transazioni internazionali, non altrettanto si può dire per la maggioranza
dei paesi emergenti (Est europeo, America latina, Cina, ecc.), nei quali manovre protezionistiche
improvvise, innalzamento dei dazi, svalutazione della moneta, sono tutt’altro che infrequenti.
Il piano per l’internazionalizzazione deve considerare tutti questi rischi e delineare strategie di
difesa sia preventivamente che in risposta al verificarsi degli eventi. Nelle parti successive di questo testo
troverete molte informazioni su come proteggere l’azienda da questi rischi, in funzione dei paesi nei quali
essa opera o desidera operare.
Cos’è il piano per l’internazionalizzazione
Ribadendo quanto in buona parte anticipato nel primo capitolo, il piano per l’internazionalizzazione è un
documento scritto in cui vengono riepilogate le caratteristiche salienti dell’azienda (inclusi gli
aspetti rilevanti della sua storia), indicati gli obiettivi, spiegate le logiche strategiche e
operative delle diverse fasi del progetto di internazionalizzazione e stimati esplicitamente,
quantificandoli, i risultati di mercato ed economico-finanziari previsti in un lasso di tempo di
almeno qualche anno.
Vale la pena ripetere che non si tratta quindi, soltanto, di un insieme di proiezioni e/o di obiettivi economicofinanziari, ma soprattutto di un’organica presentazione di un’analisi della situazione di contesto
(ambiente, mercato, concorrenza, intermediari, caratteristiche e risorse aziendali) nell’ambito di uno o più
settori o segmenti di attività specifici, di una serie di scelte strategiche (relative, quindi, alla destinazione
delle risorse disponibili o procurabili) in funzione del raggiungimento di determinati ed espliciti obiettivi e,
infine, della organizzazione (strutture, sistemi e risorse umane) e delle azioni necessarie per la
realizzazione di tali strategie.
15
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Gli stessi obiettivi e la medesima struttura logica del piano sono ovviamente applicabili anche a
tutte le altre tipologie di strategia di ingresso che verranno sinteticamente discusse più oltre:
varieranno soprattutto i contenuti dei diversi capitoli.
Per semplicità, e per non appesantire eccessivamente la trattazione, nei paragrafi seguenti ci limiteremo a
illustrare in dettaglio gli elementi di un piano export.
La struttura del piano
Di seguito proponiamo una possibile struttura per il piano export. Abbiamo preferito articolare lo schema con
il maggior dettaglio possibile, affinché potesse davvero rappresentare una guida alla definizione di un piano
aziendale concreto. Ovviamente tale struttura dovrà essere in parte adattata alle esigenze e alle
caratteristiche specifiche delle singole aziende.
Background
La parte introduttiva del piano riassume i fatti dell’azienda evidenziando come questi siano alla base della
decisione di internazionalizzazione e del suo successo.
1. Introduzione
a. Breve storia dell’azienda
b. Mission e Vision
c.
Le ragioni dell’internazionalizzazione
2. Obiettivi
a. Obiettivi strategici aziendali
b. Obiettivi di mercato dell’internazionalizzazione
c.
Obiettivi strategici di breve e medio termine dell’internazionalizzazione
3. Prodotti e servizi
a. Descrizione dei prodotti e dei servizi dell’azienda
b. Analisi dei punti di forza in ottica export
c.
Analisi dei punti di debolezza in ottica export
Analisi dei mercati esteri14
Come sono stati selezionati i paesi obiettivo? Quali sono le caratteristiche principali dei paesi prescelti in
relazione al settore di attività dell’impresa? E – soprattutto – quali sono le caratteristiche fondamentali della
competizione sui mercati scelti? Questa sezione del piano è di fondamentale importanza per la raccolta,
l’analisi e la condivisione delle informazioni necessarie per la definizione della strategia competitiva.
4. Selezione dei paesi
a. Criteri utilizzati per la valutazione dell’attrattività dei mercati esteri
b. Selezione del paese o dei paesi obiettivo
5. Analisi dei paesi
a. Fattori infrastrutturali legati al settore di attività dell’impresa
b. Contesto politico, economico e culturale
c.
14
Percentuale di mercato occupata dalle importazioni
V. approfondimenti su questo tema nei capitoli 7-11.
16
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
d. Barriere tariffarie e non tariffarie
e. Tendenze e prospettive di sviluppo
6. Analisi dei mercati
a. Segmentazione del mercato
b. Criteri di scelta del mercato e fattori di successo competitivo
c.
Valutazione dei potenziali di mercato
d. Principali concorrenti
Definizione della strategia competitiva e dell’assetto organizzativo
Il cuore del piano è la definizione della strategia competitiva dell’impresa sui mercati esteri. Particolare
attenzione dovrà essere posta nella definizione delle leve di marketing in relazione alle caratteristiche dei
segmenti di mercato individuate nella sezione precedente.
7. Strategie e modalità di ingresso sul mercato
a. Identificazione dei segmenti obiettivo
b. Analisi competitiva sui segmenti scelti
c.
Individuazione della modalità di presenza
d. Individuazione di possibili partner locali
e. Posizionamento dei prodotti e dei servizi ed eventuale adattamento alle esigenze dei mercati
esteri
f.
Strategie di prezzo
g. Definizione delle condizioni di vendita e di pagamento
h. Strategia di comunicazione
i.
Strategia di distribuzione
j.
Strategie di sviluppo della forza vendita
k.
Descrizione degli intermediari
8. Articolazione dell’assetto organizzativo
a. Determinazione e coinvolgimento della proprietà e del management
b. Esperienze e conoscenza aziendali in tema di esportazione
c.
Rapporti tra l’esportazione e le altre attività dell’impresa
d. Definizione dello staff export
e. Questioni riguardanti il mercato del lavoro
9. Pianificazione temporale
a. Definizione dei tempi di accesso per ogni mercato
b. Redazione di un piano d’azione trimestrale per le aree geografiche prioritarie
c.
Redazione di un Master plan che comprenda tutte le attività del piano
10. Strategie di difesa dai rischi
a. Rischi legati al mercato
b. Rischi di credito e di cambio
c.
Rischi politici
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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Pianificazione economico-finanziaria
Dopo avere analizzato i mercati e definiti gli obiettivi e la strategia di ingresso e di presenza sui mercati,
occorre valutare l’iniziativa dal punto di vista economico e finanziario. È importante considerare un orizzonte
temporale che permetta di valutare l’evoluzione e il consolidamento dell’iniziativa al di là delle difficoltà che
inevitabilmente l’azienda incontrerà durante le prime fasi di inserimento sui nuovi mercati.
11. Pianificazione economico-finanziaria
a. Previsione dei ricavi a 3 – 5 anni
b. Determinazione dei costi di avvio dell’iniziativa
c.
Determinazione dei costi a 3 – 5 anni
d. Individuazione delle fonti di finanziamento
e. Prospetti economici a 3 – 5 anni
f.
Prospetti finanziari a 3 – 5 anni
g. Budget dettagliato dei ricavi e dei costi per il primo anno
Valutazione di percorsi alternativi
Non è affatto detto che tutto vada come nelle previsioni. Occorre individuare gli elementi che, con maggiore
probabilità, possono provocare situazioni inaspettate e impreviste che possono compromettere il
perseguimento degli obiettivi stabiliti e individuare piani alternativi che consentano di far fronte a tali
eventualità.
12. Contingency plan
a. Esame dei punti sensibili del piano (trigger points)
b. Definizione di contromisure e piani alternativi
c.
Definizione di prospetti economico finanziari alternativi alla soluzione standard
13. Conclusioni
a. Riassunto dei punti principali del piano
b. Analisi dell’impatto dell’iniziativa sulla situazione attuale dell’impresa
c.
Suggerimenti e raccomandazioni
d. Ringraziamenti al personale che ha contribuito alla stesura del piano
Il controllo dei risultati
Una volta redatto, il piano costituisce il principale punto di riferimento per la gestione
dell’iniziativa di internazionalizzazione. Rilegato con una bella copertina di pelle gialla e dimenticato in
bella mostra nella libreria dell’ufficio del presidente, sarà ben poco utile se i contenuti non verranno condivisi
con tutti coloro che dovranno essere coinvolti nel progetto.
In particolare è fondamentale che l’andamento del progetto sia monitorato in modo continuo e
costante, così da evidenziare tempestivamente gli scostamenti che dovessero emergere rispetto agli
obiettivi e alle previsioni e orientare adeguatamente le decisioni. È appena il caso di notare che tale controllo
sarebbe impossibile senza la “rotta” tracciata nel piano in termini di obiettivi – sia economici che strategici –
risorse, strategie, metodologie, ecc.
18
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Dove cercare aiuto
La difficoltà di redigere un piano così articolato può apparire scoraggiante. Non è obbligatorio tuttavia
che facciate tutto da soli! Anzi, è assolutamente sconsigliabile. Sono molti i servizi cui potete accedere
per essere supportati nella vostra iniziativa, alcuni dei quali gratuiti, tutti – comunque – con un costo
assolutamente non paragonabile ai costi che vi potreste trovare a sostenere affidandovi
all’improvvisazione. Ricordiamo soltanto alcune delle fonti a cui rivolgersi15:
 L’Istituto Nazionale per il Commercio con l’Estero (ICE)
 Le associazioni di categoria
 Le aziende speciali delle Camere di Commercio
 Unioncamere
 Risorse on line.
In alcuni casi, poi, vale la pena di valutare la possibilità di collaborare con professionisti e consulenti
esterni, che possono rappresentare un valido supporto per tematiche e attività specifiche, purché vengano
adeguatamente selezionati (ad esempio, valutando più alternative, verificando le referenze, ecc.) onde
evitare gli indubbi rischi di brutte sorprese.
Le piccole e medie imprese sono in genere molto preoccupate dei costi che questo approccio può
comportare, tuttavia l’investimento necessario dovrebbe essere valutato in base ai benefici conseguibili. In
particolare: quanto costerebbe all’azienda sviluppare internamente le competenze necessarie? I consulenti,
purché professionalmente preparati e deontologicamente corretti (aspetti ovviamente da verificare
con cura) mettono a disposizione delle aziende un livello di esperienza e di competenza a cui queste non
potrebbero altrimenti avere accesso in alcun modo. Inoltre, trasferiscono le loro conoscenze alle risorse
interne all’azienda, incrementando sensibilmente la velocità d’apprendimento del personale aziendale e
consentendo all’azienda stessa di ridurre gradualmente proprio la necessità di ricorrere alla consulenza! 16
Peraltro molto poco utilizzate dalle aziende, come vedremo nel capitolo 5.
Soprattutto se i consulenti assistono l’azienda nello sviluppo di strumenti in parte automatizzati di supporto al processo
di pianificazione, sul tipo di quelli che discuteremo nei capitoli 7-10.
15
16
19
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
3.
L’importanza di comprendere i contesti di mercato
Nel commercio con l’estero, vi sono alcuni aspetti particolarmente critici e rilevanti. Dalla
struttura del piano sopra descritta si è visto quanto sia importante la raccolta di informazioni sugli specifici
contesti di mercato.
Qui desideriamo soltanto fornire un breve elenco dei temi a cui è indispensabile porre la massima attenzione,
dal momento che costituiscono una possibile fonte di rischio (e – per converso – di successo, quando siano
affrontati correttamente ed efficacemente) e caratterizzano in modo particolare il commercio internazionale
rispetto all’attività commerciale sul mercato interno. Ad alcuni di questi aspetti verranno dedicati ulteriori
approfondimenti nelle parti successive di questo libro.
L’attenzione alle differenze culturali
Alla base di ogni rapporto commerciale vi sono la costruzione e il mantenimento di una rete di
relazioni personali. Sottolineare l’importanza dell’attenzione agli aspetti culturali potrebbe sembrare
banale, poco rilevante e non particolarmente urgente, tuttavia è un punto assolutamente fondamentale
proprio perché – come abbiamo appena detto – i rapporti commerciali si concretizzano praticamente sempre
attraverso relazioni tra persone. E le persone provano simpatia, rispetto e antipatia; possono offendersi ed
essere insomma condizionate nelle loro scelte da tutta una serie di elementi di carattere prettamente
emotivo.
Se non siete convinti di questo aspetto, pensate: andreste mai a un appuntamento con un cliente in tuta da
ginnastica? Raccogliereste il sugo dal piatto con il pane a una cena di lavoro? Vi rivolgereste
immediatamente con il tu al vostro interlocutore? Vi presentereste a casa di qualcuno che vi ha invitato a
cena con un mazzo di crisantemi?
Partite dal presupposto che le vostre abitudini e i vostri comportamenti potrebbero essere
inadeguati – se non addirittura offensivi – nel paese estero in cui vi trovate. Non pensate che la cultura e
gli usi di un paese siano assurdi o antiquati: le persone in genere sono orgogliose della proprie radici
culturali e ritengono le critiche a tali aspetti e le inosservanze relative una grave mancanza di rispetto e
un’inaccettabile forma di arroganza. Ovviamente nessuno pretenderà che sappiate tutto e vi conformiate
completamente, ma il rispetto, il desiderio di conoscere e un’attitudine di apertura verso le diversità, sono
atteggiamenti sempre molto apprezzati che possono fare la differenza tra la chiusura o meno di una
trattativa (oltre che costituire una fonte innegabile di arricchimento personale).
La conoscenza degli aspetti legali
La conoscenza del quadro normativo di riferimento per le vostre attività nel paese in cui operate è un
aspetto di importanza fondamentale. Trascurare una differenza culturale e assumere un
comportamento sbagliato può essere molto imbarazzante, trascurare un aspetto normativo può generare
conseguenze che vanno dalla perdita irrimediabile di denaro alla galera. Ponete attenzione agli aspetti
seguenti:
 quando vi trovate in un paese estero adeguatevi alle leggi di quel paese
 norme presenti nella legge italiana potrebbero non esserlo nella legislazione straniera e viceversa
 contratti e titoli di credito con lo stesso nome in Italia e nel paese estero potrebbero far riferimento a
quadri normativi completamente diversi
 potrebbe essere molto difficile far valere i propri diritti in una controversia con un soggetto locale davanti
a un tribunale estero
 atti legali in Italia potrebbero non esserlo nel paese estero
 reati di rilevanza soltanto civile in Italia potrebbero avere rilevanza penale all’estero
 ecc.
Per tutte queste ragioni risulta evidente che dovrete fare in modo di essere assolutamente tranquilli e
protetti per quanto riguarda gli aspetti legali e contrattuali. Il consiglio è quindi di farvi assistere da
un professionista.
20
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
La scelta dei mezzi e delle condizioni di pagamento
In alcuni paesi il rischio di insoluto è molto elevato. Inoltre può risultare estremamente difficoltoso (e
costoso) recuperare un credito detenuto nei confronti di un’azienda straniera.
Tuttavia le condizioni di pagamento, in particolare i tempi di dilazione dello stesso rispetto al
momento della fornitura, costituiscono una leva di marketing che può risultare fondamentale
per il successo dell’iniziativa di esportazione.
Alcune aziende rinunciano alla possibilità di utilizzare questa leva accettando dai clienti esteri soltanto
pagamenti anticipati. Altre – accampando discutibili ragioni di mercato – si piegano completamente alle
richieste dei clienti e concedono pagamenti dilazionati e posticipati senza alcuna forma di protezione del
credito.
Entrambi questi estremi paiono ingiustificati, dal momento che esiste la possibilità di proteggere il
credito attraverso l’utilizzo di mezzi di pagamento e clausole assicurative adeguati. L’azienda
dovrà quindi definire i mezzi di pagamento che intende adottare e utilizzarli sistematicamente e senza
eccezioni.
La criticità dei trasporti
Come è facilmente intuibile, il trasporto è un elemento determinante per il successo delle attività di
esportazione. Ci preme qui soltanto sottolineare gli elementi di criticità che determinano l’importanza del
trasporto nel commercio internazionale:
 il trasporto è percepito dal cliente come un servizio: come tale può costituire un vantaggio competitivo o
trasformarsi in un punto di debolezza per l’impresa; l’importanza di tale servizio – e dunque la sensibilità
del cliente a questo aspetto – è amplificata dalla distanza fisica tra venditore e acquirente, dalle difficoltà
di comunicazione, dai rischi di danneggiamento della merce, ecc.; occorre inoltre considerare che
l’azienda potrebbe essere in una situazione di svantaggio nei confronti di concorrenti locali e di altri
concorrenti esteri in situazione più favorevole quanto a distanza dal mercato di riferimento
 il trasporto rappresenta un costo: trasportare le merci ha un costo che va a incidere sui margini del
venditore o sul prezzo di vendita (o su entrambi, naturalmente); è ovvio che le maggiori distanze che
occorre coprire nel commercio internazionale e le maggiori difficoltà dovute a fattori politici, geografici e
infrastrutturali, tendono ad aumentare tali costi e a incidere quindi sulla competitività dell’offerta
 il trasporto espone le merci a rischi di vario genere: dalla perdita – totale o parziale – al
danneggiamento, al deterioramento, si noti che la fase di trasporto ha come peculiarità di essere il solo
momento in cui la merce non è in possesso né del venditore, né dell’acquirente17: sorge quindi anche un
problema di determinazione della responsabilità contrattuale, cioè del soggetto che si deve accollare i
rischi derivanti dal trasporto.
Gli elementi citati non sono diversi da quanto si dovrebbe tenere in conto per il trasporto sul territorio
nazionale. La differenza sta nella difficoltà – molto maggiore per il trasporto internazionale – di conciliare
opportunamente le esigenze di efficacia, economicità e sicurezza del trasporto. Occorrerà quindi
che l’impresa consideri le scelte riguardanti i trasporti in ottica strategica:
 dovrà innanzitutto valutare il trasporto dal punto di vista dell’impatto che esso può avere sulla
competitività della propria offerta, valutando in particolar modo l’importanza che questo può avere
nelle scelte del cliente e il confronto con i concorrenti in relazione alle altre componenti del valore
dell’offerta
 dovrà poi informarsi adeguatamente sulle alternative esistenti, sui costi e sui servizi, esaminando in
modo approfondito anche le possibilità meno immediate e scontate
 dovrà infine affidarsi a professionisti e a imprese di provata capacità ed esperienza, con i quali
creare un rapporto di fiducia reciproca e collaborazione continuativa.
Esclusi ovviamente i casi – piuttosto rari nel commercio internazionale – in cui la merce sia trasportata direttamente
dal venditore o dall’acquirente.
17
21
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Il problema della documentazione
È un aspetto incautamente sottovalutato specialmente dalle piccole imprese abituate a operare
prevalentemente attraverso contatti diretti e in modo informale: il commercio con l’estero tende a generare
una mole di documentazione che finisce per avere un impatto negativo sull’organizzazione e
sull’efficienza dell’ufficio commerciale estero. Possiamo classificare per chiarezza tutta la carta che si produce
in tre gruppi principali:
a) corrispondenza commerciale: tutti i contatti con il cliente prima, durante e dopo l’acquisizione
dell’ordine (richieste d’offerta, offerte, conferme, contratti, cataloghi, listini, ecc.); questi documenti non
sono dissimili da quelli che dovrebbero essere utilizzati per l’attività commerciale in Italia, tuttavia
tendono ad aumentare di numero per ragioni facilmente intuibili: necessità di traduzioni, conversioni
monetarie, maggiore difficoltà di contatti diretti, ecc.
b) documentazione legale e commerciale: tutta la documentazione richiesta dai diversi soggetti che
intervengono nella transazione (dogane, spedizionieri, banche, assicuratori, ecc.); a differenza di quella
precedente, tale documentazione deve essere obbligatoriamente prodotta in modo ineccepibile, pena
l’interruzione della transazione e/o eventuali sanzioni
c) rapporti e comunicazioni interne, intendendo con questo tutte le relazioni tra l’ufficio estero e le
altre funzioni aziendali.
A titolo esemplificativo, citiamo un elenco – parziale e incompleto – di documenti che devono essere prodotti
e gestiti nel corso di una singola transazione, raggruppati per utilizzatore:
 Documentazione richiesta dal cliente estero
 Offerta o fattura proforma
 Conferma d’ordine
 Bill of lading (via aerea o mare)
 Polizza o certificato d’assicurazione
 Packing list/bolla accompagnamento
 Documentazione richiesta dal fornitore o fabbricante che esporta
 Corrispondenza commerciale primo contatto
 Ordine d’acquisto
 Lettera di credito, rimessa o ricevuta di pagamento bancario accettati
 Documentazione richiesta dallo spedizioniere o trasportatore
 Lettera d‘istruzioni della spedizione
 Bill of lading (inland)
 Packing list
 Bolla d’accompagnamento
 Copia originale lettera di credito
 Documentazione richiesta dai governi
 Certificato d’origine
 Bolla/fattura doganale
 Certificato consolare
 Dichiarazione conformità prezzi
 Documenti speciali (sanitari, sicurezza ecc.)
 Documentazione richiesta dalla banca dell’esportatore
 Bolla export/Export draft
22
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
 Fattura commerciale
 Dichiarazione consolare
 Polizza o certificato assicurazione
 Bill of lading
Tutti questi documenti costituiscono gli strumenti amministrativi indispensabili per completare le transazioni
commerciali di merci: l’azienda deve quindi essere in grado di gestirli in modo efficiente e sistematico.
23
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
4.
Valutare le risorse e le competenze interne
La vostra azienda è pronta per l’internazionalizzazione? I rischi e le difficoltà insiti nel processo di
internazionalizzazione possono precludere il raggiungimento degli obiettivi che l’azienda si è prefissata. Per
questo è essenziale che l’imprenditore o i manager effettuino un’analisi approfondita delle condizioni interne
ed esterne all’azienda, in modo da valutare criticamente il grado di preparazione dell’azienda stessa al
commercio internazionale, le possibilità di successo e le prospettive di sviluppo, al fine di migliorare gli
aspetti in cui questa dovesse risultare inadeguata o impreparata. Per ognuno dei principali criteri di
valutazione che seguono forniamo anche una breve griglia per facilitare l’analisi.
Analisi delle risorse umane
In questo capitolo abbiamo cercato di enfatizzare il più possibile l’importanza delle risorse umane come
fattore determinante per il successo del progetto di internazionalizzazione. Specialmente per le
imprese più piccole, tale successo dipende, più che da ogni altra cosa, dalla preparazione, dalla convinzione,
dall’impegno e dalla perseveranza dei responsabili aziendali18.
Commitment
Convinzione, tenacia, perseveranza. Poche sono le scelte o decisioni veramente cruciali che un’azienda
effettua nel tempo e l’internazionalizzazione è senza dubbio una di queste. Tali scelte determinano un
“impegno irreversibile” e l’obbligo di persistere con coerenza in una linea strategica. Ora, un aspetto
importante della questione è che tale commitment interviene anche in una fase di gran lunga precedente alle
eventuali difficoltà in cui si incorre inevitabilmente nel corso delle singole transazioni commerciali con
l’estero: le fasi di preparazione all’internazionalizzazione di cui si è trattato finora (dalla definizione degli
obiettivi, alla selezione dei mercati, degli intermediari e dei partner, alla definizione delle condizioni di
vendita, ecc.) richiedono investimenti che difficilmente una proprietà o un management che non siano
profondamente convinti dell’importanza strategica del progetto di internazionalizzazione saranno disposti a
sostenere, dal momento che tenderanno a essere visti come evitabili.
Competenze tecniche ed esperienza
Oltre all’impegno e alla convinzione, è importante che l’impresa possa contare su risorse dotate delle
competenze tecniche e dell’esperienza necessarie. È estremamente importante che l’impresa
riconosca l’eventuale mancanza di tali caratteristiche (situazione che sarà ovviamente più frequente nelle
imprese che si stanno affacciando per la prima volta sui mercati internazionali).
Tale mancanza può essere ovviata attraverso il ricorso a risorse di diverso tipo, come eventi di formazione,
utilizzo dei servizi messi a disposizione dai diversi enti (ICE, associazioni di categoria, aziende speciali delle
Camere di Commercio, ecc.), ricorso a consulenti e professionisti esterni, fino all’assunzione di personale
esperto.
Questa può essere anche l’occasione per assumere giovani che – pur privi di esperienza – abbiano
una preparazione specifica sulle tematiche di marketing e commercio estero (neolaureati che
abbiano frequentato un corso di specializzazione sul tema, ad esempio): affiancati a professionisti e
consulenti, ne facilitano e alleggeriscono il lavoro, potendo svolgere gran parte del lavoro operativo,
riducendo i costi per l’azienda dell’intervento di consulenza, e sviluppando nel contempo competenze e
capacità professionali che diventano parte del patrimonio aziendale.
Brevissimo check-up delle risorse umane
 La proprietà e il management
internazionalizzazione?
sono
convinti
dell’importanza
strategica
del
progetto
di
 Sono disposti a effettuare gli investimenti necessari per preparare l’azienda al commercio internazionale?
 Sono coscienti della necessità di avvalersi di risorse esterne per lo sviluppo delle competenze necessarie
alla gestione dei mercati esteri?
18
V. anche quanto diremo alla fine del capitolo che segue e nel capitolo 15.
24
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
 L’azienda dispone di persone dotate delle necessarie doti di professionalità, flessibilità, capacità di
adattamento, apertura mentale, capacità di osservazione ed entusiasmo?
 L’organizzazione aziendale è tale da essere in grado di rispondere tempestivamente alle richieste dei
clienti?
 ... e di approntare tutta la documentazione tecnico–amministrativa necessaria?
 Il personale è in grado di trattare correttamente in inglese con i diversi soggetti che intervengono nella
transazione?
 ...è in grado di utilizzare senza problemi almeno le più comuni tecnologie elettroniche?
Analisi delle capacità di marketing
Avere capacità di marketing, significa riuscire a conciliare i bisogni e i desideri dei clienti con le
esigenze di economicità dell’impresa. Le capacità di marketing di un’azienda si estrinsecano in un
processo articolato in quattro fasi principali:
1. La comprensione delle aspettative e delle esigenze del mercato
2. La definizione delle specifiche dell’offerta
3. La realizzazione e la gestione del progetto, comprendente ovviamente la gestione di tutte le risorse
aziendali, incluse quelle umane e di comunicazione con il mercato
4. Il controllo delle attività intraprese e dei risultati relativi.
Come è facile intuire, tali fasi sono le stesse sia per affrontare un mercato interno, sia per affrontare un
mercato estero; tuttavia, in anni di attività, sul mercato interno tendono a essere date per scontate o
considerate implicite da molte aziende.
Come già detto nella parte dedicata alla definizione della strategia, l’azienda non conosce a priori le
caratteristiche del mercato estero – né può dare per scontato che siano analoghe a quelle dei clienti italiani –
e non è conosciuta dal mercato.
Per affrontare l’ingresso in un mercato estero, è dunque fondamentale che sia in grado di conoscere le
caratteristiche del mercato, di definire un’offerta prodotto–servizio adeguata, di gestirla in
maniera efficace ed economicamente conveniente ed efficiente, nonché di comunicare al
mercato stesso il valore dell’offerta stessa.
In questo processo sono ovviamente avvantaggiate le imprese che utilizzano sistematicamente tale
approccio anche per la gestione e lo sviluppo del mercato interno e non devono quindi svilupparlo ex novo
per l’ingresso nei mercati stranieri.
Di nuovo, ecco un breve check–up per l’analisi delle capacità di marketing attuali della vostra azienda:
 avete un’idea precisa degli elementi e delle condizioni che hanno decretato il successo della
vostra azienda sul mercato italiano?
Breve pausa di riflessione: spesso risulta difficile per le aziende rispondere a questa domanda (come
vedremo nel capitolo che segue, tendono infatti spesso a liquidare la questione con un generico “Un buon
prodotto a un prezzo concorrenziale” – che non spiega assolutamente nulla). Eppure, essere coscienti delle
ragioni del successo della propria attività è fondamentale per valutare se tali ragioni e condizioni sono
ripetibili su altri mercati e su altri paesi.
Vediamo come “siete messi” su questi altri aspetti:
 conoscete le caratteristiche e le esigenze dei vostri clienti sul mercato interno?
 in particolare, conoscete i criteri di scelta che i clienti utilizzano per la scelta dei prodotti e l’importanza
che attribuiscono a ciascuno di essi?
 disponete di un sistema di raccolta delle informazioni sui clienti che possa essere applicato anche
all’estero?
25
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
 in particolare, avete l’abitudine di raccogliere informazioni sul potenziale, la solidità, la solvibilità e la
redditività dei clienti?
 sapete chi sono i vostri concorrenti sul mercato locale? Disponete di qualche informazione su di essi, e in
particolare del rapporto valore/prezzo delle loro offerte?
 potete stimare la quota della vostra azienda sul mercato con cui essa è in grado di entrare in contatto,
almeno con riferimento ai settori di attività più importanti?
 siete abituati a definire obiettivi di vendita specifici e ragionevoli, in funzione del rapporto valore/prezzo
della vostra offerta, delle caratteristiche del mercato e della concorrenza, e a valutare i risultati in base al
raggiungimento di tali obiettivi?
 nella definizione degli obiettivi, considerate anche il mix e la redditività delle vendite oppure vi basate
esclusivamente sui volumi e/o sul fatturato?
 siete abituati a selezionare la forza vendita in modo professionale, a guidarla con obiettivi precisi, a
incentivarla in funzione del raggiungimento degli obiettivi e del contributo da essa dato alla raccolta delle
informazioni sul mercato?
 predisponete abitualmente un minimo di pianificazione, comprendente i budget di ricavi e di costi?
Utilizzate tali strumenti come supporto alla gestione?
 definite i prezzi di vendita in base alle caratteristiche del mercato, del comportamento dei concorrenti e di
specifici obiettivi a breve e a medio-lungo termine (immagine aziendale, quota di mercato, fatturato,
redditività), oppure applicate senza correttivi il metodo del cost-plus?
 avete una politica di sconti ben definita?
 avete una politica di personalizzazione dell’offerta ben definita, in base alle esigenze del cliente? O siete
completamente rigidi? O vi piegate a qualunque richiesta del cliente?
 considerate la selezione degli intermediari e dei distributori un elemento chiave di rilevanza strategica o
avete piuttosto un atteggiamento opportunista o addirittura passivo?
 utilizzate le dilazioni di pagamento come leva di marketing o vi adattate passivamente alle abitudini del
settore?
 vi preoccupate di mantenere un livello di servizio alla clientela che risponda alle sue aspettative e
possibilmente superi gli standard di settore?
 disponete di una brochure aziendale aggiornata, almeno in inglese e realizzata professionalmente?
 disponete di materiale illustrativo sui prodotti e sui servizi dell’azienda, almeno in inglese e realizzati
professionalmente?
 la vostra azienda ha un sito internet aggiornato, almeno in inglese e realizzato professionalmente?
Analisi delle risorse finanziarie
Per quanto i risultati possano in un tempo non eccessivamente lungo superare abbondantemente e far
dimenticare i sacrifici e gli sforzi finanziari e organizzativi profusi, è indubbio che lo sviluppo di un progetto di
internazionalizzazione richiede investimenti e impieghi di risorse che incidono significativamente sul
fabbisogno finanziario normale dell’azienda. È impensabile e rischioso “ritagliare” le risorse necessarie dalla
gestione ordinaria. Molto meglio – anzi: indispensabile – effettuare un’accurata pianificazione del fabbisogno
finanziario del progetto di internazionalizzazione, individuando con precisione l’entità delle risorse necessarie
e le relative fonti, sia che tali fonti siano interne all’azienda (utilizzo di riserve, apporti di capitale, ecc.), sia
che siano esterne (indebitamento).
A questo punto, dovrebbe risultare sempre più evidente la necessità di un piano completo,
sistematico e dettagliato, che risulta uno strumento di comunicazione (e di persuasione) indispensabile
per tutti i possibili soggetti finanziatori dell’iniziativa, sia interni che esterni all’impresa.
Potete inizialmente fare riferimento a questo mini check-up:
 avete stimato dettagliatamente e approfonditamente le risorse necessarie per la realizzazione del
progetto di internazionalizzazione?
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Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
 avete formalizzato le stime in un piano?
 la vostra azienda dispone di riserve finanziarie commisurate all’entità del progetto?
 avete un rapporto di collaborazione e di fiducia con la vostra banca?
 potete reperire le risorse finanziarie necessarie all’iniziativa presso istituti di credito o altri soggetti
finanziatori?
 avete definito le politiche di copertura dei rischi finanziari legati ai mercati esteri?
 avete individuato i soggetti che possono supportarvi nella gestione degli aspetti giuridici e fiscali?
 avete definito condizioni generali di vendita che vi mettano al riparo dai rischi di insoluto?
 siete in grado, se necessario, di gestire le transazioni in valute diverse dall’euro?
 avete preso le misure necessarie per proteggere la proprietà intellettuale dei vostri prodotti anche
all’estero?
Analisi delle risorse tecniche
La vostra azienda deve essere materialmente in grado di mettere in atto le strategie e le politiche che ha
definito, di progettare e realizzare gli eventuali adattamenti di prodotto, di imballare le merci
adeguatamente, ecc. Deve insomma possedere tutte quelle caratteristiche di carattere tecnico, tecnologico e
organizzativo che occorrono per far fronte alle diverse esigenze dei nuovi mercati di sbocco, in termini sia di
caratteristiche dell’offerta, che di domanda aggiuntiva.
Come nei casi precedenti, suggeriamo una lista parziale di elementi di analisi:
 occorre apportare delle modifiche ai prodotti della vostra azienda per renderli conformi alle esigenze dei
clienti esteri o alle normative vigenti nei paesi di sbocco?
 siete in grado di apportare tali modifiche, se necessario?
 potete soddisfare eventuali richieste di personalizzazione dei prodotti e dei servizi, se opportuno?
 qual è la durata di conservazione del vostro prodotto? Il tempo di trasporto potrebbe incidere
negativamente su tale durata?
 l’imballaggio è adeguato ai mezzi di trasporto scelti? Potete modificarlo agevolmente, se necessario?
 il vostro prodotto è accompagnato da una documentazione particolare? Tale documentazione è conforme
alle normative dei paesi in cui intendete esportare?
 avete tradotto il materiale d’accompagnamento nella lingua dei paesi nei quali esporterete?
 il vostro prodotto deve essere assemblato in loco da personale qualificato? Se sì, come pensate di
reclutarlo?
 i vostri servizi necessitano di un’assistenza post-vendita? Eventualmente, come intendete fornire tale
assistenza?
 siete in grado di far fronte alla domanda aggiuntiva generata dai mercati esteri?
 in caso di aumento della domanda sul mercato interno, sareste ancora in grado di far fronte alla
domanda sui mercati esteri (e viceversa)?
27
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
5.
Sintetico profilo di un campione di aziende italiane operanti con l’estero:
considerazioni e implicazioni
Alla luce di quanto detto nel capitolo precedente, è interessante dare un’occhiata al profilo di un campione di
aziende italiane operanti con l’estero, per capire in particolare il loro orientamento nei confronti di
aspetti importanti dell’attività di internazionalizzazione.
La ricerca non è recentissima19, ma una buona parte delle sue conclusioni (soprattutto riguardo alle opinioni
sui fattori di successo competitivo) è stata ampiamente confermata da nostre rilevazioni successive condotte
su svariati gruppi di aziende.
Il campione, riferito all’Italia del Nord e a svariati settori di attività, dovrebbe rappresentare, almeno in
teoria, una “popolazione” di aziende abbastanza “evolute”, ma vedremo che alcuni risultati dell’indagine
deludono tale aspettativa.
Fig. 5.1 – Entità della presenza all’estero e paesi di sbocco
% di esportazione su vendite totali
4%
Paesi di sbocco
9%
11%
47%
90%
100%
80%
90%
70%
80%
60%
frequenze
50%
concentrazione
40%
30%
11-20%
21-30%
31-50%
10%
0%
0%
>50%
SA
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6-10%
20%
10%
EU
<=5%
30%
20%
U
24%
60%
50%
40%
5%
70%
Come si nota dalla figura, più del 70% delle aziende genera all’estero almeno il 30% del proprio
fatturato, e la gamma dei paesi di sbocco è abbastanza variegata, anche se vi è una discreta
concentrazione dell’attività nei paesi più avanzati (Europa Unita e Stati Uniti rappresentano da soli il 50% dei
fatturati complessivi).
Ovviamente, il tipo di presenza all’estero20 di gran lunga preferito è l’esportazione diretta (90%
delle aziende) e indiretta (ossia, attraverso trading companies: quasi il 20%)21, mentre le altre modalità sono
decisamente marginali (v. Fig. 5.2).
In ogni caso, nonostante la propensione all’attività all’estero (sia pure quasi esclusivamente attraverso
l’esportazione) sia abbastanza elevata, vediamo subito dalla figura successiva che le idee in merito alle
opportunità offerte dall’internazionalizzazione non sono del tutto chiare.
La “espansione della quota di mercato” è addirittura citata come principale ragione della decisione di andare
all’estero dal 60% delle aziende, mentre è ovvio che, aggiungendo i mercati esteri al mercato domestico, il
mercato di sbocco diventa inevitabilmente molto più ampio, ed è praticamente impossibile (per definizione)
non soltanto aumentare, ma addirittura mantenere la propria quota di mercato complessiva, almeno sul
breve e medio termine.
Sintesi adattata da C. Guerini, Export Marketing, Egea 2002. Trattasi di un campione di 109 PMI con meno di 250
dipendenti e vendite inferiori a 40 milioni di euro, su 1.900 contattate via posta, su una popolazione di 17.500 aziende in
43 province di 6 regioni.
20
Affronteremo più in dettaglio il tema delle strategie di presenza nel capitolo 11.
21
La somma delle percentuali è superiore a 100, dato che più aziende adottano contemporaneamente diverse modalità.
19
28
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 5.2 – Strategie di presenza preferite
esportazione diretta
esportazione indiretta
joint-ventures commerciali
joint-ventures produttive
acquisizioni
consorzi export
1
licensing produttivo
piggyback
nuovi stabilimenti
esportazioni temporanee
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Non solo: è ampiamente risaputo (e confermato da nostre numerose rilevazioni su centinaia di aziende) che
la grande maggioranza delle PMI (almeno il 95%) non ha la più pallida idea di quale sia la propria quota di
mercato neppure sul mercato domestico, e con riferimento ai settori di attività più importanti per l’azienda,
né sa come stimarne l’entità.
Fig. 5.3 – Perché le aziende vanno all’estero
espansione quota di mercato (?)
crescita dei mercati esteri
limitatezza mercato nazionale
bassa crescita mercato nazionale
caduta di barriere agli scambi
diversificazione dei rischi
svalutazione monetaria
omogeneità clientela
1
basso costo mano d'opera
sinergie nei costi trasporto
stagionalità vendite
basso costo materie prime
ordini inattesi
incentivi finanziari invest.
emulazione concorrenti
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
eccedenze di magazzino
incentivi finanziari all'export
Questa rilevazione22 rappresenta sicuramente un’ulteriore conferma della scarsa abitudine a pianificare e
a prendere decisioni sulla base di considerazioni realistiche sulle caratteristiche dei mercati.
22
Probabilmente influenzata anche dal modo inappropriato con cui è stata posta la domanda relativa agli intervistati: se
all’intervistato si chiede di scegliere fra una lista di possibili risposte, anziché lasciargli libertà di espressione, può
accadere che la risposta sia condizionata dall’inconscio desiderio di “fare bella figura” con l’intervistatore, scegliendo
quindi le opzioni “apparentemente più intelligenti”!
29
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Le conclusioni che emergono dalla figura che segue sono ancor più preoccupanti, riguardo alla capacità di
identificare i fattori rilevanti per il successo aziendale (v. anche quanto detto nel capitolo precedente).
È infatti evidente che il fattore ritenuto di gran lunga più importante, se non addirittura l’unico
importante, per il successo competitivo, è la qualità, mentre altri fattori essenziali quali il servizio e
l’immagine (tramite la comunicazione) vengono praticamente ignorati.
Ora, è dimostrato che la qualità (intesa come insieme delle caratteristiche di un prodotto o servizio che ne
condizionano la capacità di soddisfare esigenze specifiche), a lungo andare, paga. Forse non c’era bisogno di
dimostrarlo, visto che è abbastanza ovvio che sia più facile soddisfare il consumatore dandogli maggiore
qualità e, quindi, valore, e chiedere un prezzo più elevato per un valore maggiore. Non è tuttavia così banale
capire il rapporto fra qualità intrinseca (che esprime qualcosa di abbastanza “oggettivo”) e qualità percepita,
che è l’unica che conti se si è veramente orientati al mercato.
Fig. 5.4 – Percezione delle principali ragioni del successo all’estero, in funzione della strategia di presenza
qualità
90%
80%
70%
60%
comunicazione
ampia gamma prodotti
50%
esportatori di prodotti
standardizzati (24%)
40%
30%
esp. di prodotti parzialmente
adattati (68%)
20%
10%
esp. di prod. adattati in modo
sensibile (8%)
0%
immagine italiana
prezzo
design
servizio
Il consumatore potrebbe anche non “vedere” che un dato tipo e livello di qualità può essere in grado di
soddisfare le sue esigenze, e quindi potrebbe non attribuire a tale qualità alcun valore, oppure potrebbe
perfettamente apprezzare la qualità intrinseca del prodotto, ma non esserne interessato, avendo altre
esigenze.
La qualità va quindi vista, ricercata e misurata in rapporto a esigenze specifiche, e non va dimenticato che
ciò che interessa veramente al consumatore è il rapporto fra valore e prezzo: soprattutto se si è
abituati (sbagliando) a fissare i prezzi basandosi sui costi23, è facile che un incremento di qualità,
comportando costi maggiori, alteri sfavorevolmente, e inutilmente, l’equilibrio di tale rapporto.
Non solo: è necessario valutare il complesso delle esigenze del consumatore per valutare la capacità del
prodotto o servizio di soddisfarle. Qualità non significa quindi necessariamente o soltanto eccellenza tecnica
e funzionale, ma anche capacità di soddisfare bisogni di altra natura (ad esempio, psicologici o logisticoorganizzativi, ove questi siano rilevanti per il consumatore nel caso specifico).
Per non parlare del fatto che la qualità, di per sé e rafforzando quanto detto sopra, non è detto che sia
decisiva a fini competitivi: senza qualità non si va da nessuna parte (almeno nella grande maggioranza
dei settori e dei mercati mondiali), ma avere un prodotto o un servizio “di qualità” non è che il
“biglietto di ingresso” nell’arena competitiva (quindi, una condizione necessaria, ma non sufficiente), per
almeno due motivi:
23
Come vedremo nel capitolo 12.
30
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

i principali concorrenti mondiali sono abbastanza allineati in termini qualitativi (basti pensare alle
certificazioni richieste in gran parte dei settori di attività), per cui la qualità non è un vero elemento di
differenziazione dell’offerta

il cliente finale e gli intermediari distributivi spesso non sono in grado di valutare differenze
qualitative non macroscopiche, per cui una migliore qualità non viene necessariamente percepita.
Per vincere sui mercati mondiali ci vuole quindi ben altro, “in aggiunta” alla qualità: un’immagine
quanto meno credibile, capacità di personalizzare e articolare (ove necessario) l’offerta, ma, soprattutto,
elevati livelli di servizio, sia nei confronti dei mercati finali che in quelli dei mercati intermedi
(evidentemente spesso indispensabili per soddisfare i primi).
Peccato che la maggior parte degli imprenditori e dei manager sia ancora convinta che un “buon” prodotto
sia sufficiente per avere successo (nulla di più falso!), e che quindi eviti di investire negli strumenti
indispensabili per gestire altre importanti componenti del valore.
D’altra parte, è anche interessante notare che gli intervistati del campione sono consapevoli dell’esistenza di
numerosi ostacoli all’internazionalizzazione, che non possono certo essere superati soltanto con una buona
qualità del prodotto.
Fig. 5.5 – Percezione degli ostacoli al successo delle aziende sui mercati esteri
scarsa protezione credito
tasse all'importazione
scarsa conoscenza mercato
scarsa con. regolamenti
barriere distributive
difficoltà reperimento personale
alti costi di trasporto
1
distanze psicologiche
mancanza competenze
scarsa con. serv. all'export
scarsa con. servizi supp. produzione
rischi di cambio
risorse finanziarie insufficienti
avversione al rischio
0%
10%
20%
30%
Si nota che i principali ostacoli “percepiti” sono soprattutto di carattere esogeno, ossia non dipendenti dalle
caratteristiche aziendali: a parte il fatto che il problema ritenuto più importante (“scarsa protezione del
credito”) può essere affrontato in modo sistematico e praticamente annullato da adeguate precauzioni
assicurative e contrattuali (come abbiamo parzialmente anticipato e come vedremo nelle parti successive di
questo libro), vediamo che ben poche aziende riconoscono di avere scarse conoscenze (poco più del
10%) e competenze (neppure il 10%).
Infine, vediamo in quale misura le aziende, a fronte della consapevolezza dei problemi sopra descritta
(peraltro non molto diffusa!), siano a conoscenza dell’esistenza di servizi per l’internazionalizzazione
che possono aiutarle a farvi fronte, e quanto se ne avvalgano (v. Fig. 5.6).
31
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
È subito evidente che:

il grado di utilizzazione dei servizi è decisamente più basso rispetto alla consapevolezza della
loro disponibilità: tale fenomeno è ancora più netto per i servizi di consulenza e promozione

l’ICE e, in qualche misura, le Camere di Commercio in Italia, sono “relativamente” meglio posizionati
di altri enti più o meno pubblici (il cui ruolo sembra abbastanza irrilevante) su entrambi gli aspetti24.
Fig. 5.6 – Conoscenza e utilizzazione dei servizi per l’internazionalizzazione
servizi di consulenza e promozione
100%
100%
90%
90%
80%
80%
70%
70%
uso effettivo
uso effettivo
servizi informativi
60%
ICE
50%
40%
CCIAA locale
30%
20%
40%
ICE
20%
CCIAA locale
CCIAA estera
10%
SIMEST
0%
0%
0%
50%
30%
CCIAA estera
10%
60%
20%
40%
60%
80%
0%
100%
20%
40%
60%
80%
100%
conoscenza
conoscenza
Sicuramente, una migliore qualità dei servizi offerti (spesso gratuiti o quasi, ma non sempre efficaci)
potrebbe stimolare un loro maggiore utilizzo, ma d’altra parte sarebbero importanti anche attività di
sensibilizzazione delle aziende sull’importanza di pianificare e di rendersi conto di quali servizi
potrebbero essere meglio utilizzati, nonché della loro potenzialità.
Purtroppo, la grande maggioranza degli enti che potrebbero contribuire in modo significativo allo sviluppo
dell’internazionalizzazione e della competitività delle aziende italiane sui mercati mondiali sottovaluta in
modo clamoroso l’importanza di investimenti in sensibilizzazione, finalizzati a modificare e
migliorare gli atteggiamenti mentali dei titolari delle aziende sull’improrogabile esigenza di una
maggiore managerialità di approccio alla strategia e alla gestione.
Senza un adeguato atteggiamento mentale che predisponga favorevolmente nei confronti delle
indispensabili iniziative di formazione, queste iniziative (peraltro abbastanza diffuse) otterranno ben
pochi risultati significativi.
Raramente infatti i titolari delle aziende, che, accentrando gran parte delle decisioni di investimento
importanti, dovrebbero essere i veri “responsabili di marketing internazionale” delle proprie organizzazioni
(come già detto nel primo capitolo), partecipano a corsi di formazione, preferendo delegare tale
partecipazione ai propri collaboratori, con il risultato che il know-how da questi acquisito difficilmente viene
incorporato nella cultura aziendale.
In pratica, chi decide veramente in azienda:

continua imperterrito a non possedere il know-how manageriale necessario per migliorare il
processo decisionale e gli strumenti metodologici per utilizzarlo

non solo: ciò che è ancora più preoccupante è che, a quanto pare, non si rende conto di non
possedere tale know-how e di averne un grande bisogno!
Non abbiamo neppure riportato i nomi di alcuni degli enti menzionati dagli intervistati, dato il loro posizionamento
irrilevante in figura. La ricerca non faceva tuttavia riferimento ai servizi forniti da Associazioni industriali e di categoria,
con cui spesso le aziende intrattengono rapporti abbastanza stretti.
24
32
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Ecco perché, sulla base di trentennali esperienze con centinaia di PMI e con gli enti preposti ad assisterle,
siamo assolutamente convinti che i maggiori investimenti pubblici per il miglioramento della
competitività del paese sui mercati mondiali dovrebbero soprattutto essere indirizzati, attraverso massicce
iniziative di sensibilizzazione (pubblicità, pubbliche relazioni, convegni, concorsi a premi, e chi più ne ha più
ne metta...), allo sviluppo dell’indispensabile consapevolezza dell’importanza di una cultura
manageriale all’altezza di quella dei nostri concorrenti, prima ancora che a quello della cultura
stessa.
Per apprendere veramente qualcosa e incorporarlo nel nostro modo di pensare e agire, occorre infatti, prima
di tutto, che siamo convinti della sua utilità: in caso contrario, possiamo partecipare a decine di corsi di
formazione (ma chi ce lo farebbe fare?) senza veramente rinnovarci e migliorare.
33
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
6.
L’importanza e l’utilità dei modelli di supporto alle decisioni strategiche
Prima di affrontare più in dettaglio il contenuto delle analisi e delle decisioni strategiche relative
all’internazionalizzazione, e in particolare, le scelte dei paesi di sbocco, le metodologie di stima dei potenziali
di mercato e le modalità di presenza all’estero, riteniamo utile introdurre, con questo capitolo, il tema della
modellizzazione del processo decisionale.
Nel capitolo successivo forniremo esempi di come possa essere tradotto in modelli concreti, in particolare, lo
schema concettuale e le relative problematiche decisionali descritte più sopra nella figura 1.1.
Perché è importante supportare il processo decisionale con dei modelli
Ribadendo in parte quanto già detto riguardo alla complessità del contesto in cui devono essere prese le
decisioni strategiche, soprattutto in ottica internazionale, osserviamo che proprio i fenomeni di mercato
che devono essere presi in considerazione per poter formulare stime sensate e attendibili a supporto della
pianificazione, presentano – rispetto, ad esempio, a quelli tipici della produzione – una serie di
caratteristiche, fra loro in gran parte connesse, che rendono tale esercizio particolarmente arduo, se non
affrontato in modo approfondito e sistematico:

non linearità: il rapporto fra investimenti (ad esempio, spese pubblicitarie o numero di venditori) e
risultati (ad esempio, percentuale di consumatori esposti al messaggio o numero di ordini) non segue un
andamento costante e lineare, ma è soggetto a fluttuazioni e “virate” difficilmente prevedibili (risultati
meno che proporzionali rispetto agli investimenti al di sotto di una certa “soglia” e al di sopra di un certo
“tetto” di investimento, oppure più che proporzionali all’interno di tali limiti – v. la “curva a S” nella figura
1.2 del primo capitolo)

accumuli e ritardi: i risultati dell’anno in corso sono spesso dovuti all’accumulo dei risultati di
investimenti passati, e i risultati attesi dagli investimenti correnti si materializzeranno soltanto a distanza
di tempo

degrado: le reazioni del mercato alle proposte dei fornitori tendono a perdere, nel tempo, dinamismo e
intensità, se non continuamente sollecitate

molteplicità di fattori causali: le vendite, sia a livello di settore nel suo complesso che di singola
azienda, dipendono da un complesso di fattori di diversa natura ed efficacia (ad esempio, l’investimento
pubblicitario, da solo, non può produrre vendite, ma deve essere “mirato” al giusto target attraverso
messaggi e mezzi appropriati, e integrato da un’adeguata presenza del prodotto sui canali distributivi)

interattività di tali fattori: ad esempio, l’immagine di marca è fortemente condizionata dalla
performance aziendale sugli altri cosiddetti “fattori di successo competitivo” (qualità, prezzo, servizio,
ecc.), ma a sua volta condiziona la percezione di tale performance (ad esempio, un’immagine forte e
prestigiosa “anestetizza” la sensibilità della domanda di mercato al prezzo)

variabilità, instabilità e difficoltà di misurazione delle reazioni del mercato: le motivazioni e il
comportamento dei consumatori sono spesso mutevoli e difficilmente prevedibili, soprattutto in presenza
di mutate condizioni di contesto

molteplicità di fattori casuali: proprio le condizioni di contesto possono mutare sensibilmente a
causa del verificarsi di eventi puramente casuali e difficilmente prevedibili

variabilità, instabilità e difficoltà di stima del comportamento dei concorrenti, le cui strategie e
reazioni non sempre sono basate su considerazioni di carattere razionale e oggettivo: qualsiasi strategia
competitiva, per quanto intelligente e ponderata, potrebbe quindi produrre scarsi risultati a fronte di
reazioni della concorrenza particolarmente aggressive e altrettanto intelligenti, o addirittura incongrue e
totalmente imprevedibili

specificità e diversità delle situazioni di contesto, che rendono difficili, se non spesso impossibili,
generalizzazioni sufficientemente semplici di metodi e strumenti manageriali

cultura prevalentemente qualitativa dei management: soprattutto in Italia, i manager provengono
spesso da studi umanistici e sono orientati e avvezzi ad analisi e valutazioni qualitative, “verbali” e
inevitabilmente opinabili, piuttosto che ad approcci rigorosi e sistematici basati su dati di fatto
relativamente oggettivi e quantificabili.
34
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
A tutto ciò si aggiunga la difficoltà di elaborare stime sui mercati internazionali, ossia con riferimento a
contesti geografici normalmente molto meno noti rispetto a quello “domestico”.
Utilità dei modelli e delle stime
A fronte di tale complessità delle problematiche interpretative del contesto in cui vanno prese le decisioni, i
modelli logici, intesi come rappresentazioni sintetiche, semplificate e astratte della realtà (nel
nostro caso, realtà di mercato e aziendale) hanno proprio l’obiettivo di identificare e descrivere le
principali variabili rilevanti ai fini della previsione, il loro comportamento e le loro
interrelazioni, al fine di rendere il processo decisionale relativamente più esplicito e comprensibile.
I principali vantaggi dei modelli sono sintetizzabili come segue:

costringono a chiarirsi le idee sul comportamento della realtà e la natura dei problemi, obbligando a
ragionare in modo sistematico e strutturato, indipendentemente dall’esistenza o meno di dati
esaustivi e affidabili

sono espliciti e “trasparenti”, soprattutto se sviluppati su foglio elettronico25, e possono essere
condivisi, discussi e negoziati, al fine di un loro continuo miglioramento

rappresentano una base di conoscenze permanente, accessibile da qualsiasi interessato e
trasferibile nel tempo e nello spazio, anziché essere “nascosti” e non formalizzati nella mente di pochi
esperti

non si “ammalano” e non soffrono interferenze psicologico-emotive

consentono di identificare e tenere sotto controllo aspetti che richiedono analisi più
approfondite: ad esempio, segnalando la necessità di raccogliere dati più attendibili e “critici” ai fini
decisionali

forniscono una base logica per quantificare e misurare i fenomeni aziendali e di mercato

sono uno strumento insostituibile per il controllo dei risultati delle decisioni e per il loro
aggiornamento

un loro utilizzo sistematico e formalizzato consente di arricchire nel tempo la base di conoscenze,
di identificare benchmarks e best practices, di effettuare analisi statistiche, costruire casi di studio,
facilitare diagnosi e rilevare tendenze.
È intuitivo che, quanto più i modelli sono articolati e complessi, tanto più necessitano (o necessiterebbero) di
essere alimentati da informazioni e dati completi, aggiornati e affidabili.
Tuttavia, anche in assenza di una corretta “alimentazione”, gran parte dei vantaggi sopra
elencati non viene meno: nella peggiore delle ipotesi, si avranno modelli esclusivamente alimentati da
stime, che avranno comunque il pregio di essere formulate in modo organico e sistematico, nel contesto di
schemi di riferimento trasparenti, leggibili e interpretabili.
Come vedremo, la necessità di formulare stime e di ricercare dati più completi e attendibili
emergerà, nel caso degli esempi presentati più oltre, in continuazione (proprio a causa dell’estrema
variabilità e complessità dei contesti di riferimento, nonché della normale incompletezza e genericità di gran
parte dei dati disponibili per analisi a tavolino), e rischierà di dare l’errata impressione di una scarsa
utilità e affidabilità dei modelli.
D’altra parte, se riflettiamo un istante, qual è l’alternativa all’uso dei modelli e delle stime che li
possono alimentare, in assenza di dati oggettivi?
Dovremmo forse rinunciare a fare delle previsioni, a formulare piani e prendere delle decisioni, in attesa
della manna dal cielo o di qualcuno che venga in nostro soccorso? Non prendiamo forse decisioni, più o
meno importanti, tutti i santi giorni, e non intraprendiamo le azioni che ne derivano, spesso senza il
supporto di valutazioni oggettive?
L’uso dei modelli e delle stime non fa altro che rendere il nostro processo di previsione e
decisionale più sistematico ed esplicito e, soprattutto, meno basato su intuizioni e sensazioni del
momento.
25
Come già anticipato, ne vedremo alcune esemplificazioni più oltre.
35
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
I destinatari del nostro business plan o del nostro piano di marketing internazionale (il consiglio
d’amministrazione, i potenziali finanziatori, i nostri collaboratori e venditori, noi stessi, ….) non potranno che
apprezzare il fatto di poter entrare nel merito del processo decisionale da noi adottato e delle stime da noi
formulate: possiamo stare certi che, a fronte di proiezioni articolate, argomentate e supportate da
un approccio sistematico e coerente, sarà in ogni caso molto più difficile per chiunque
azzardarsi a mettere in dubbio le nostre valutazioni e conclusioni, cosa che invece sarebbe
relativamente facile se ci limitassimo, come abbiamo sempre fatto in passato, a “sparare” semplicemente un
10 o 15% in più di ricavi per l’anno a venire, non si sa bene se giustificati da una crescita del mercato, dalla
sparizione di un concorrente, da un’accresciuta capacità competitiva della nostra azienda, da una crescita
generalizzata dei prezzi, o da due o più di questi fattori messi insieme…
Ciò non vuol dire, ovviamente, che potremo “sparare”, anziché un’unica previsione, una serie di stime non
suffragate da un minimo di approfondimento, soprattutto per quanto riguarda la valutazione dei
modelli che, nel caso degli esempi che discuteremo, e tenuto conto della disponibilità (o non disponibilità)
di dati oggettivi, meglio si prestano a supportare le nostre stime e a produrre conclusioni relativamente
ragionevoli.
È vero che, come dicevano nel lontano 1971 due dei massimi esperti mondiali di teoria delle decisioni 26, “…
the effort required to build models for increasingly complex cases frequently goes up faster than the
advantages to be gained vis-à-vis intuition.” … ma noi, soprattutto in Italia, non corriamo certamente il
pericolo di costruire modelli troppo complessi e di sottovalutare l’intuizione, soprattutto per i seguenti motivi:

gli imprenditori e i manager hanno poca familiarità con tecniche quantitative sofisticate

alimentare modelli complessi richiede un’elevata completezza e attendibilità dei dati (quand’anche si
fosse in grado di guidare una Ferrari di Formula 1, non si andrebbe lontano se al posto della benzina ci
mettessimo del vino!).
In assenza di tali condizioni (elevate capacità di analisi quantitativa e dati adeguati) è quindi molto meglio:

semplificare le ipotesi sulle relazioni fra le variabili rilevanti

accontentarsi di stime sul comportamento di tali variabili, piuttosto di sforzarsi di usare dati precisi su
variabili irrilevanti.
È esattamente ciò che suggeriremo di fare, usando quindi il buon senso, l’intuizione, l’esperienza e le
capacità di giudizio, con i modelli più oltre descritti.
26
David Miller & Robert Starr, Operations Research, Prentice-Hall, 1971.
36
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
7.
Modellizzare la strategia: come valutare l’impatto delle caratteristiche del
mercato e delle scelte strategiche sulla performance economicofinanziaria27
Come “alimentare” i modelli
Le decisioni manageriali (ovviamente includendo le decisioni strategiche) sono prese da individui (non
dalle aziende!), e gli individui spesso basano le loro scelte sull’esperienza, opportunità
contingenti, intuizioni e sensazioni, anziché ricercare le informazioni appropriate e/o integrare la scarsa
qualità delle informazioni disponibili (in termini di rilevanza, specificità, affidabilità, precisione, completezza e
tempestività) con adeguate ipotesi e stime.
Ciò che è peggio, normalmente non esplicitano il proprio processo decisionale: è quindi difficile, se
non impossibile, capitalizzare le esperienze decisionali precedenti, né è possibile condividere, discutere e
migliorare le loro logiche sottostanti.
I modelli su foglio elettronico discussi in questo e in altri capitoli non hanno un fondamento
“scientifico”: hanno soltanto l’obiettivo di supportare, e rendere esplicito e sistematico, il
processo logico adottato dal decision maker nell’analizzare un determinato contesto di business e nel
prendere le decisioni che ne conseguono.
Come in parte anticipato nel capitolo precedente, indipendentemente dalla probabile cattiva qualità dei dati
disponibili nella vita reale, rimane intatta l’importanza di un approccio sistematico nell’affrontare i
problemi manageriali: la mancanza di dati appropriati che possano alimentare il processo decisionale
dovrà essere compensata da ragionevoli ipotesi e stime, che potranno essere successivamente verificate
e migliorate sulla base dei risultati effettivamente ottenuti grazie alle decisioni prese28.
Soprattutto per questa ragione, la maggioranza degli input proposti nei modelli su foglio
elettronico che commenteremo più oltre rappresenta stime o ipotesi ragionevoli, che potrebbero
essere sostituite da dati appropriati e specifici basati su adeguate ricerche di mercato (cosa che peraltro
succede molto raramente nella vita reale!).
Tuttavia, anche in quest’ultimo caso, le stime sarebbero rimpiazzabili dai risultati delle ricerche soltanto se
l’obiettivo dell’analisi fosse quello di interpretare il comportamento passato o attuale del settore o del
mercato. Altrimenti, se le conclusioni delle ricerche descrivessero un probabile comportamento futuro, in
vista di decisioni tattiche o strategiche, si tratterebbe pur sempre di stime: le decisioni sono prese per il
futuro, e dati precisi e attendibili sul futuro non esistono per definizione, specialmente nel
management! 29
Nei modelli su foglio elettronico più oltre descritti, le celle evidenziate su fondo retinato chiaro
identificano gli input numerici (stime, o, ove applicabile, dati reali) inseriti dal decision maker che
effettua l’analisi, mentre le celle su fondo bianco o con tonalità più scure di grigio contengono le formule che
sintetizzano le relazioni fra le variabili rilevanti.
Relazioni fra valore percepito, prezzo e quota di mercato
La prima parte del modello che commenteremo è più “descrittiva” che “prescrittiva”, dato che propone una
specie di “istantanea” di una situazione di mercato attuale o passata: tuttavia, può essere utilizzata per
prevedere una situazione futura, assumendo cambiamenti significativi nelle variabili di input.
Facciamo riferimento, in particolare, alla parte in basso a destra della figura 1.1 vista nel primo
capitolo: vediamo che la quota di mercato è direttamente e positivamente condizionata dal cosiddetto pcpV,
Questo capitolo è tradotto e adattato da G. Gandellini, “Translation of the most relevant parts of the ‘engine of an
organization’s wealth’ graphical model into simple mathematical functions entered in a spreadsheet”, dispense di
supporto al corso di Strategia d’Impresa all’Università degli Studi di Roma Tre, 2006.
28
Come ribadiremo anche nel capitolo 10, esistono comunque tecniche di ricerca (peraltro non utilizzate dalle aziende!)
che consentono di supportare le stime con dati relativamente oggettivi e “scientifici”.
29
Persino nell’ambito di discipline relativamente “scientifiche” quali la meccanica e l’elettronica, il comportamento futuro
di un qualsiasi oggetto o strumento (ad esempio, la potenza generata da un motore di Formula 1) non può essere
previsto con assoluta certezza e precisione.
27
37
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
mentre è direttamente ma negativamente condizionata dal prezzo, che peraltro può condizionare
positivamente (almeno in determinate situazioni) la percezione di valore.
Sappiamo anche che il pcpV, ossia il profilo competitivo dei fornitori (in termini di valore) percepito dal
mercato, è il risultato complessivo della loro performance sui cosiddetti “fattori chiave di successo
competitivo” (in breve, KSFs, o “key success factors”) che, in pratica, rappresentano i criteri adottati dai
clienti nel scegliere fra fornitori alternativi e decidere l’acquisto: tali criteri ovviamente variano, in termini sia
di contenuto che di importanza relativa, in funzione dei settori di attività considerati.
Nel modello su foglio elettronico estremamente semplificato rappresentato nella figura che segue traduciamo
tali concetti e relazioni (con l’unica aggiunta della variabile “elasticità della domanda”) in concrete e
“operative” funzioni matematiche, ipotizzando di fare riferimento al segmento di mercato “ruote industriali
di piccola dimensione per applicazioni speciali nel settore dell’arredamento d’ufficio”.
Il modello si propone di mostrare come la performance di tre ipotetici concorrenti (A, B e C) in questo
segmento, con riferimento ai criteri adottati dal mercato nella decisione d’acquisto, possa influenzare la
“probabilità” che ogni concorrente acquisisca quota di mercato (notiamo che questo è un modello
“statico”, nel senso che non prende in considerazione l’impatto potenziale sulla futura quota di posizioni di
mercato pregresse, né di eventuali reazioni competitive 30):
Fig. 7.1 – Relazioni fra quota di mercato, valore percepito e prezzo (=1)
fattori di successo e loro
performance di 3 concorrenti
A
B
C
importanza per il mercato
prezzo ($)
10%
4,0
2,0
8,0
qualità
11%
6
8
5
immagine di marca
20%
5
4
8
gamma prodotti
10%
7
6
7
personalizzazione
servizio di consegna
24%
25%
8
6
7
3
8
8
100%
6,2
4,9
7,6
13
12
15
48
41
50
139
34,2%
29,5%
36,3%
100%
valore percepito
prezzo ($)
complement
0,0
rapporto valore/prezzo (x 100)
quote di mercato
indicatore di "elasticità"
1,0
intervallo prezzi nel
min
11
settore
max
16

nella parte in alto a sinistra della figura vediamo l’elenco dei KSFs e la loro importanza relativa
stimata per il mercato (un’altra ipotesi semplificatrice è che tutti questi KSFs siano indipendenti l’uno
dall’altro31): il “prezzo” è incluso in questo elenco in qualità di “contributore” positivo al valore percepito
dal mercato (vedi ulteriori commenti più oltre)

la matrice nella parte in alto a destra della figura contiene una valutazione quantitativa, su una
scala da 0 a 10, della performance dei concorrenti in relazione a tali fattori: come si può
notare, le valutazioni numeriche sono inserite come input, con l’eccezione della performance sul prezzo
(come contributore positivo al valore percepito), che è il risultato di una standardizzazione, sempre su
una scala da 0 a 10, dei prezzi effettivi ($) praticati dai concorrenti e riportati nella seconda riga sotto la
matrice32
30
Tuttavia, questa limitazione può essere facilmente rimossa includendo le “quote di mercato” o il “profilo competitivo
precedente” come componenti del valore, e collegando insieme modelli multipli, ognuno rappresentando i risultati
ottenuti alla fine di un determinato periodo di pianificazione (normalmente, l’anno).
31
Ciò significa che non vi sono sinergie potenziali fra i vari fattori, e che la performance di un concorrente su uno di essi
non influenza la sua performance su un altro fattore. Ciò non è necessariamente vero nella vita reale (per esempio, un
buon livello di servizio può influenzare positivamente l’immagine di marca dell’azienda), ma questa restrizione può essere
rimossa con un modello relativamente più sofisticato.
32
La standardizzazione è necessaria, al fine di calcolare un “valore percepito” medio ponderato che includa il prezzo
come componente: a questo fine, i livelli di prezzo effettivi devono essere espressi con la medesima unità di misura
adottata per le altre componenti del valore. Il “trucco” è confrontare i livelli di prezzo effettivi dei concorrenti all’intervallo
38
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

sulla base di tali valutazioni (peso relativo dei KSFs e performance dei concorrenti), possiamo calcolare il
valore percepito complessivo (pcpV), ossia la competitività di ogni concorrente in termini di valore
(vedi la seconda riga sotto la matrice), che non è altro che la media ponderata della sua performance sui
diversi fattori:
pcpV= [(f1 * w1) + (f2 * w2) + … + (fn * wn)]/(w1 + w2 + … +wn)
ove i simboli f1, f2,…, fn rappresentano i “voti” meritati dai concorrenti in relazione ai diversi fattori, e
w1, w2,…, wn il peso relativo dei medesimi fattori33

sulla base della (ragionevole) ipotesi che il mercato scelga un fornitore in funzione di un
confronto fra i rapporti valore/prezzo proposti dai fornitori disponibili e raggiungibili,
possiamo quindi calcolare tali rapporti per i tre concorrenti (vedi la prima riga nella parte inferiore della
figura: il rapporto è moltiplicato per 100 al fine di eliminare i decimali): in pratica, il significato di tali
rapporti può essere interpretato come “la quantità di valore offerta da ogni fornitore per un dollaro”

può quindi essere ragionevole ipotizzare che la proporzione fra il rapporto valore/prezzo proposto da un
qualsiasi fornitore e la somma dei rapporti valore/prezzo proposti da tutti i fornitori nel settore di
interesse rappresenti la probabilità, per un qualsiasi fornitore, di acquisire una quota corrispondente
della domanda di mercato (seconda riga nella parte inferiore della figura)34.
Tuttavia, questo ragionamento presuppone implicitamente che il mercato sia ugualmente sensibile al valore
e al prezzo (un incremento di prezzo può essere compensato da un aumento “proporzionale” del valore, e
viceversa), ma ciò non è detto avvenga in molte situazioni di mercato:

in settori di attività relativamente più sensibili al costo, il mercato potrebbe non essere disposto a pagare
un prezzo elevato, anche se il valore offerto fosse proporzionalmente elevato

in settori sensibili allo “status symbol”, il mercato potrebbe non essere disposto ad accettare un valore
modesto, anche se il prezzo d’acquisto fosse particolarmente basso.
Per prendere in considerazione tale problema, includiamo quindi, nel rapporto valore/prezzo, la
considerazione della “elasticità della domanda al prezzo”, aggiungendo una specie di “indicatore di elasticità”
(), per semplificare, come esponente del denominatore della frazione (in questo modo, un’elasticità
maggiore di 1 incrementerà più che proporzionalmente il valore del denominatore riducendo quindi il
rapporto V/P): V/P
Nella figura 7.1,  è uguale a 1 (elasticità neutra), e ipotizziamo quindi che il mercato sia sensibile in uguale
misura al valore e al prezzo35.
Tuttavia, nel nostro settore “ruote industriali di piccola dimensione per applicazioni speciali nel settore
dell’arredamento d’ufficio”, potrebbe darsi il caso che il mercato fosse relativamente più sensibile al valore
percepito (domanda inelastica: <1), e quindi, a parità di altre condizioni, i rapporti valore/prezzo proposti
dai concorrenti potrebbero cambiare leggermente a favore del concorrente C (figura 7.2).
di prezzi riscontrato nel settore (righe in basso a destra della figura), ponendo il prezzo minimo uguale a 0 e il prezzo
massimo uguale a 10. Una spiegazione più dettagliata della procedura di standardizzazione è riportata nella parte
successiva di questo capitolo.
33
In questo caso specifico, dividere per la somma dei pesi sarebbe ridondante, dato che tali pesi sono espressi in
percentuale, ma potrebbe essere necessario se la somma dei pesi fosse diversa da 1.
34
Se il mercato disponesse di “informazione perfetta” riguardo alle offerte disponibili, la sua scelta razionale sarebbe
evidentemente quella di privilegiare soltanto il fornitore migliore (il concorrente C, nel nostro caso), ipotizzando anche
“costi di transazione” comparabili per raggiungere i vari fornitori: tuttavia, tali condizioni (informazione perfetta,
razionalità ed equivalenza o assenza di costi di transazione) è difficile che si verifichino tutte insieme nella vita reale.
35
È noto che un vero indicatore di “elasticità” può variare fra concorrente e concorrente e in funzione dei livelli di prezzo
iniziale considerati. Tuttavia, al fine di mostrare che il prezzo può essere più o meno importante del valore in contesti di
mercato specifici, e che alcuni concorrenti potrebbero essere avvantaggiati o penalizzati da questo aspetto, pensiamo
che l’uso di questo semplice indicatore possa facilmente “rendere l’idea”, senza troppe sofisticazioni analitiche.
39
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 7.2 – Relazioni fra quota di mercato, valore percepito e prezzo (<1)
fattori di successo e loro
performance di 3 concorrenti
A
B
C
importanza per il mercato
prezzo ($)
10%
4,0
2,0
8,0
qualità
11%
6
8
5
immagine di marca
20%
5
4
8
gamma prodotti
10%
7
6
7
personalizzazione
servizio di consegna
24%
25%
8
6
7
3
8
8
100%
6,2
4,9
7,6
13
12
15
79
67
87
233
34,0%
28,8%
37,2%
100%
valore percepito
prezzo ($)
complement
0,0
rapporto valore/prezzo (x 100)
quote di mercato
indicatore di "elasticità"
0,8
intervallo prezzi nel
min
11
settore
max
16
Otterremmo un risultato diverso con un’elasticità maggiore di 1 (ad esempio, 1,2): gli incrementi di quota di
mercato andrebbero a favore dei concorrenti A e B.
Esistono modelli più sofisticati che descrivono in modo più realistico lo sviluppo delle quote di mercato in un
dato settore di attività (ossia, riproducendo le interazioni uno-a-uno fra acquirenti e fornitori, anziché
ripartendo una data domanda di mercato fra i concorrenti, e calcolando le preferenze del mercato in termini
di “distanze euclidee” in uno spazio multidimensionale – rappresentato dai KFSs – fra le aspettative
individuali e i profili delle diverse offerte), o che formalizzano in modo più preciso la relazione contraddittoria
fra il prezzo come denominatore del rapporto valore/prezzo (più elevato è il prezzo, minore è la domanda) e
il suo contributo positivo alla percezione di valore (più è elevato il prezzo, maggiore è il valore percepito).
Tuttavia, ai nostri fini (mostrare in pratica le relazioni logiche fra alcune variabili rilevanti), riteniamo che
anche un modello “semplicistico” come quello appena descritto possa essere sufficiente.
Quale potrebbe essere l’utilizzazione pratica di questo modello per un qualsiasi concorrente (ad esempio, il
concorrente A)?
Potrebbe, in particolare:

identificare debolezze competitive in aree che sono relativamente più importanti per il
mercato (nel caso del concorrente A, immagine di marca e servizio), al fine di focalizzare l’impiego delle
risorse disponibili su tali aree

valutare la misura in cui un miglioramento dei “voti” dell’azienda in tali aree potrebbe
migliorare la performance competitiva complessiva.
Questo tema sarà l’oggetto delle considerazioni che seguono.
Relazioni fra investimenti (“costi”) e valore percepito (“pcpV”)
Nelle pagine precedenti abbiamo descritto le relazioni fra pcpV, prezzo e quota di mercato, inserendo i “voti”
di tre ipotetici concorrenti con riferimento ai KSFs, insieme ai prezzi da essi praticati, come input del modello
(essendo l’output intermedio rappresentato dal pcpV, e l’output finale rappresentato dalla quota di mercato).
Vediamo ora una possibile modalità di descrizione di come i “voti” e, quindi, il pcpV di un dato
concorrente “A” possa essere influenzato dalle sue decisioni strategiche in termini di investimenti
(identificati come “costi” nella figura 1.1): in questo caso, gli input saranno rappresentati da stime e
decisioni di investimento, e l’output sarà rappresentato dai “voti” dei concorrenti con riferimento ai vari
KSFs e dal loro profilo competitivo complessivo (il pcpV).
L’obiettivo di questa parte del modello è quindi più “prescrittivo” che “descrittivo”, dato che si propone di
identificare e valutare scelte di investimento alternative, al fine di supportare la scelta dell’alternativa
migliore.
40
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Da un punto di vista logico, le decisioni di investimento (entità delle risorse da impiegare e loro
distribuzione) dovrebbero essere effettuate al fine di raggiungere un determinato obiettivo (nel nostro caso,
un dato livello di pcpV): tuttavia, la nostra finalità in questa sede è quella di affrontare in modo particolare il
tema della “allocazione” (distribuzione) delle risorse, vale a dire il problema di come destinare un
determinato livello di risorse limitate a diversi strumenti aziendali, al fine di massimizzare
l’obiettivo di pcpV.
Una volta compresi la logica e i criteri sottostanti la decisione, nulla ci impedirà di affrontare il problema al
contrario, ossia di definire un obiettivo complessivo (un dato livello di pcpV) e decidere sia l’entità che la
ripartizione delle risorse che consentono di raggiungerlo.
1° step
Ipotizziamo, per semplicità, che:

le uniche componenti del pcpV, contrariamente a quanto prospettato nelle figure precedenti, siano la
qualità, l’immagine aziendale e il servizio, e che la loro importanza relativa per il mercato sia
rispettivamente del 20, 35 e 45%: questi “pesi” rappresentano un input del modello (stime), già
considerati (anche se in relazione a un diverso insieme di KSFs) nei modelli sopra visti

gli unici strumenti disponibili per migliorare la performance competitiva dell’azienda con riferimento
a tali KSFs siano quelli elencati nella figura che segue: ricerca e sviluppo, pubblicità, forza vendita,
materie prime e componenti, logistica e margini concessi ai canali distributivi

sia i KSFs e gli strumenti rappresentino variabili “indipendenti”, ossia non si influenzino a
vicenda, e non vi siano effetti sinergici fra loro.
Le prime due restrizioni possono agevolmente essere rimosse aggiungendo semplicemente altri KSFs e
strumenti, la terza può essere rimossa con un’integrazione relativamente semplice del modello, ma i criteri
base e la metodologia per affrontare il problema della allocazione delle risorse non cambierebbero.
Altre restrizioni semplificatrici saranno introdotte più oltre.
Fig. 7.3 – Impatto stimato degli strumenti disponibili sui KSFs e importanza relativa di questi ultimi per il
mercato
KSFs
importanza relativa dei KSFs per il mercato
--------------------------->
qualità
20%
immagine
35%
servizio
45%
strumenti (risorse disponibili)
unità di
misura
impatto stimato degli
strumenti sui KSFs
ricerca & sviluppo
pubblicità
forza vendita
materie prime/componenti
logistica
margini ai canali
K $
K $
%
$/kg.
K $
%
60%
70%
30%
totale
100%
15%
30%
40%
30%
25%
100%
100%
100%
Riteniamo che, ancora in assenza di dati oggettivi, sia ragionevole attendersi che un manager possa (e
debba) formulare una valutazione esplicita dell’impatto relativo dei diversi strumenti elencati in
figura su ognuno dei KSFs: i pesi percentuali inseriti nelle colonne nella parte destra della figura
rappresentano quindi dei nuovi input del modello (stime) e, per ogni colonna, la loro somma è pari al
100%, dato che, per definizione, non disponiamo di altri strumenti (vedi sopra).
Possiamo facilmente vedere che, come nella vita reale, un singolo strumento può avere un impatto su
più KFSs, e anche che un singolo KSF può essere gestito con (o influenzato da) più strumenti. È
altrettanto ovvio che, per un determinato strumento, il medesimo livello di investimento può avere un
impatto, contemporaneamente, su più KFSs (vale a dire, non è necessario “moltiplicare” l’investimento per il
numero di KFSs che si desidera gestire).
41
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Nel semplice esempio qui proposto, vediamo che la qualità e l’immagine sono entrambe influenzate da due
diversi strumenti, mentre il livello di servizio è gestito da quattro diversi strumenti (due di questi influenzano
anche l’immagine).
Ancora una volta, enfatizziamo il fatto che questo tipo di modelli non ha un fondamento “scientifico”: ha
soltanto l’obiettivo di supportare, rendendolo esplicito e sistematico, il processo logico adottato
dal decisore nell’analizzare un determinato contesto di mercato e nel prendere le decisioni che
ne conseguono.
2° step
Prima di decidere l’entità delle risorse che “dovrebbero” essere destinate ai diversi strumenti al fine di
massimizzare il profilo competitivo dell’azienda su qualità, immagine e servizio, dati certi vincoli in termini di
disponibilità di budget, dobbiamo stimare, almeno approssimativamente, quante risorse “potrebbero”
essere destinate a ogni strumento.
Il nostro suggerimento è quello di identificare, per ogni strumento (ad esempio, ricerca e sviluppo – R&D), la
“massa critica” o “soglia” di investimento al di sotto della quale non otterremmo alcun risultato significativo
o “visibile”, nonché il “tetto” di investimento oltre il quale i risultati potrebbero ulteriormente migliorare, ma
a un tasso decrescente (sprecheremmo quindi risorse: vedi quanto detto sopra a proposito della “curva a S”
– figura 1.2).
Anche a questo proposito, riteniamo che manager professionalmente preparati dovrebbero essere in grado
di formulare tali valutazioni sulla base dell’esperienza nel gestire gli strumenti di propria competenza, la
conoscenza del settore e dei concorrenti, nonché il semplice buon senso.
Le valutazioni formulate sul minimo e massimo livello “ragionevole” di investimento36 nel settore dei
“componenti industriali” sopra descritto, da parte di un ipotetico manager, sono sintetizzate nella parte a
destra della figura che segue: questi sono gli ultimi input di questa parte del modello, e rappresentano
le stime formulate dal decision maker.
Possiamo vedere che questi “investimenti” sono raggruppabili nelle seguenti categorie:
Fig. 7.4 – Stima dei livelli di investimento min-max considerati “ragionevoli”
KSFs
importanza relativa dei KSFs per
il mercato ------------>
aualità immagine servizio
20%
35%
45%
strumenti (risorse
disponibili)
unità di
misura
impatto stimato degli
strumenti sui KSFs
ricerca & sviluppo
pubblicità
forza vendita
materie prime/comp.
logistica
margini ai canali
K $
K $
%
$/kg.
K $
%
60%
70%
30%
min
15%
30%
40%
30%
25%
100%
100%
(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.

livelli di investimento
tipici nel settore
totale
100%
100%
tot.
500
50
5
2
50
20
600
max
3000
500
12
5
100
45
3600
costi variabili, che ovviamente saranno pagati dalle vendite: le provvigioni pagate alla forza vendita,
le materie prime e i componenti ($ per chilogrammo37) e i margini percentuali sul prezzo finale di vendita
concessi ai canali distributivi (questi sono, di fatto, costi opportunità o “virtuali”, dato che non vengono
sottratti ai ricavi, ma riducono soltanto l’ammontare dei ricavi che si sarebbe potuto realizzare vendendo
direttamente all’utilizzatore finale)
Da un punto di vista strategico, chiamiamo l’ammontare di risorse assegnate a questi strumenti “investimenti”, anche
se di fatto rappresentano dei costi di periodo (vedi note successive).
37
Per semplicità, assumiamo che i costi variabili di produzione siano limitati alle materie prime e ai componenti, ma
ovviamente ciò non è vero nella vita reale.
36
42
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

costi fissi (migliaia di dollari: K$), che verranno pagati all’inizio dell’anno o durante l’anno,
indipendentemente dall’entità delle vendite, da un determinato budget38: ricerca e sviluppo (ossia,
manutenzione e aggiornamento di impianti e attrezzature, stipendi), pubblicità (fiere e convegni, riviste
di settore, cataloghi e letteratura tecnica), e logistica ( affitto di magazzini, stipendi, manutenzione dei
mezzi di trasporto).
3° step
Ora dobbiamo decidere quanto “spendere” nei diversi strumenti al fine di massimizzare il profilo
competitivo dell’azienda su qualità, immagine e servizio (e, quindi, il suo pcpV complessivo), sulla base
dell’analisi di cui sopra e tenendo conto di uno specifico vincolo di budget.
È più facile affrontare questo problema se focalizziamo l’attenzione sui costi fissi pagati dal budget,
assumendo di poter spendere il massimo nei costi variabili (pagati dalle vendite). Questa restrizione
sarà facilmente rimossa più oltre.
Inoltre, per rendere il ragionamento che stiamo per fare più chiaro (?!), assumiamo, per ora, che l’unica
componente del valore percepito per il mercato sia la qualità: dalla figura di cui sopra sappiamo che
gli unici strumenti disponibili per migliorare la qualità sono la ricerca e sviluppo (importanza relativa del
60%) e le materie prime e i componenti (importanza relativa del 40%).
Avendo ipotizzato di poter spendere il massimo ragionevole in materie prime e componenti (i costi variabili),
dobbiamo quindi stabilire soltanto quanto spendere in ricerca e sviluppo.
Quale sarà l’impatto della nostra decisione sulla qualità?
Ovviamente, se potessimo spendere il massimo ragionevole anche in ricerca e sviluppo, la nostra
performance in termini di qualità sarebbe la migliore possibile, sulla base delle ipotesi sull’efficacia
degli strumenti considerati e dell’assunto che, per migliorare la qualità, siano disponibili soltanto questi
strumenti.
Tuttavia, come stimare l’impatto congiunto sulla qualità delle materie prime e componenti, e della
ricerca e sviluppo, se, per vincoli di budget, non possiamo spendere il massimo in ricerca e
sviluppo (vedremo facilmente che questo problema è significativo quando considereremo anche gli altri
KSFs e gli altri strumenti)?
Dato che l’investimento in ricerca e sviluppo è espresso in K$ e che il costo delle materie prime è espresso in
$ per chilogrammo39, al fine di valutare l’impatto “congiunto” di questi “investimenti”, tenuto conto della loro
importanza relativa per la qualità, dobbiamo utilizzare unità di misura omogenee.
La soluzione è quella di tradurre e standardizzare tutti i livelli di investimento in una scala o in un
indicatore omogenei: per esempio, assegnando convenzionalmente il valore 1 (che consentirebbe di
ottenere il risultato minimo possibile sul KSF di interesse) al minimo livello di investimento in ogni
strumento, e il valore 10 (che consentirebbe di ottenere la migliore performance sul KSF di interesse) al
massimo livello di investimento in ogni strumento40.
Se quindi consideriamo, come esempio, l’investimento in ricerca e sviluppo, la semplice formula che
standardizza tale investimento su una scala da 1 a 10 è graficamente rappresentata nella figura alla pagina
seguente.
Sempre per semplicità, assumiamo che anche questi costi saranno pagati, dal budget, durante il periodo di
pianificazione (l’anno), in modo da evitare la complicazione dell’ammortamento dell’attivo: tuttavia, la logica sottostante
le decisioni di destinazione delle risorse non cambia.
39
Anche se i valori fossero espressi con le stesse unità di misura (ad esempio, K$), l’intervallo di variazione di tali valori e
le relative scale potrebbero essere significativamente diversi: nel nostro esempio, $ 100.000 spesi in logistica (il
“massimo” livello ragionevole nel settore di interesse) non avrebbero lo stesso peso di $ 100.000 spesi in pubblicità
(importo vicino al livello “minimo”).
40
Potrebbe essere utilizzato qualsiasi tipo di scala numerica: da 1 a 5, da 10 a 100, ecc. In ogni caso, e almeno nella
situazione qui descritta, dovremmo assegnare un valore positivo anche all’investimento minimo, altrimenti non avrebbe
senso spendere neppure tale ammontare di risorse: tuttavia, anche questa restrizione potrebbe essere rimossa in una
versione relativamente più complessa del modello, in cui il manager potrebbe decidere addirittura di non investire in
determinati strumenti, focalizzandosi soltanto su strumenti selezionati.
38
43
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Come possiamo vedere dal grafico, la curva che va dall’angolo in basso a sinistra (intersezione degli assi)
all’angolo in alto a destra ricorda una curva a S (in questo caso, le “code” a sinistra e a destra non sono così
evidenti, ma potrebbero essere molto più lunghe e pronunciate nella realtà) che descrive la relazione fra gli
investimenti effettivi in ricerca e sviluppo e il loro livello relativo sulla scala standardizzata. Data la difficoltà
di stimare i parametri di una “vera” curva a S, il nostro (legittimo) suggerimento è quello di approssimare
qualsiasi curva che possa essere stimata nella vita reale con una linea retta (la retta con maggiore
spessore nel grafico) fra i due punti di flesso (nei quali la curva a S cambia direzione).
Le coordinate di questi due punti (A e B) corrispondono, rispettivamente, al minimo e massimo ammontare
dell’investimento (asse delle X) e ai livelli relativi sulla scala standardizzata (asse delle Y): A (500;1) e B
(3.000;10).
In tal modo, otterremo una funzione lineare, e sarà molto più facile standardizzare su una scala omogenea
tutti gli importi investiti nei vari strumenti.
Fig. 7.5 – Standardizzazione su scala 1-10 dei livelli di investimento in R&D
standardized
investment
level (index)
10
9
B
5.4
4.4
A
1
0
0
500
1730
3000
investments
in R&D (k$)
1230
2500
In pratica, nell’esempio della ricerca e sviluppo descritto in figura, l’ampiezza dell’intervallo di
variazione dell’investimento fra i “ragionevoli” limiti minimo e massimo è di K$ 2.500 (3.000 – 500),
mentre il livello di spesa aggiuntiva in ricerca e sviluppo rispetto al minimo, avendo deciso di
investire K$ 1.730, è pari a K$ 1.230 (1.730 – 500): dato che K$ 500 corrispondono a un livello pari a 1
sulla scala standardizzata, il corrispondente livello di investimento in ricerca e sviluppo sulla stessa
scala è di 5,4. Infatti:

il rapporto fra l’importo aggiuntivo rispetto al minimo e l’intervallo fra massimo e minimo
(1.230/2.500) è di circa il 49%

moltiplicando questa percentuale per 9 (l’intervallo corrispondente fra 1 e 10 sulla scala
standardizzata), otteniamo circa 4,4

a questo 4,4 dobbiamo aggiungere 1, che rappresenta il livello, sulla scala standardizzata, ottenibile
con il minimo investimento di $ 500: 4,4 + 1 = 5,4.
Se chiamiamo “X” l’ammontare di denaro speso in un determinato strumento (o qualsiasi altro livello di
risorse investite in un dato strumento, come ad esempio la provvigione per i venditori), il suo valore
standardizzato sarà calcolato con la seguente formula elementare:
xstd = (x – xmin)/(xmax – xmin)*9+1
44
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Tornando alla stima dell’impatto congiunto sulla qualità dei nostri investimenti in materie prime e
componenti, e R&D, avendo speso il massimo nel primo strumento (sulla base della convenzione adottata,
un indice di 10 sulla scala standardizzata), ma soltanto K$ 1.730 nel secondo (un indice di 5,4 – vedi sopra),
potremo ponderare tali indici in funzione dell’importanza relativa degli strumenti relativi (rispettivamente, 40
e 60%) per il miglioramento della qualità.
L’indice ponderato di efficacia dei nostri investimenti in qualità (Qi) e, quindi, la nostra performance su
questo KSF, potrà essere calcolato come segue (valori arrotondati):
Qi = 10*0.4 + 5.4*0.6 = 7.3
A questo punto, il medesimo approccio può essere adottato per tutti gli altri strumenti e KSFs (vedi la figura
che segue), assumendo che il massimo budget complessivo spendibile in costi fissi sia soltanto
pari a K$ 2.160 (manteniamo l’ipotesi di spendere il massimo in tutti i costi variabili).
Fig. 7.6 – Impatto stimato sul pcpV degli investimenti nei diversi strumenti
KSFs
importanza relativa dei KSFs per il
mercato ------------>
strumenti (risorse
disponibili)
unità di
misura
ricerca & sviluppo
pubblicità
forza vendita
materie prime/comp.
logistica
margini ai canali
K $
K $
%
$/kg.
K $
%
qualità immag. servizio
20%
35%
45%
impatto stimato degli
strumenti sui KSFs
min
60%
70%
30%
15%
30%
40%
30%
25%
100%
100%
(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.
pcpV (scala 1-10) (dipende dalle
decisioni di investimento)
livelli di investimento
tipici nel settore (1)
totale
100%
7,3
7,9
tot.
100%
8,5
8,0
500
50
5
2
50
20
600
max
3000
500
12
5
100
45
3600
max budget
disponibile per i costi
fissi ---->
decisioni di
"investimento" (1)
effettive
indice
(110)
1730
350
12
5
80
45
2160
5,4
7,0
10,0
10,0
6,4
10,0
2160
Come possiamo vedere, nella prima colonna a destra della figura, tutte le decisioni (“investimenti
effettivi”) elencate nella colonna adiacente sono tradotte in indici sulla scala 1-10: queste decisioni (non
più “stime”) rappresentano l’ultimo input del modello, insieme alla decisione sul vincolo di budget
(cella in basso a destra della figura).
È facile identificare gli indici di 5,4 e 10,0, che corrispondono alle decisioni su R&D e materie prime e
componenti e producono un indice di performance (“voto”) di 7,3 in fondo alla colonna della
qualità (riga alla base della figura): per inciso, il foglio elettronico moltiplica tutti gli indici relativi al livello di
investimento per tutti i pesi percentuali della colonna sotto “qualità”, ma ovviamente soltanto i pesi degli
strumenti appena menzionati vengono presi in considerazione, dato che gli altri strumenti non hanno
un’influenza significativa (almeno in questo esempio elementare) sulla qualità percepita.
Esattamente gli stessi calcoli vengono effettuati per gli altri KSFs (immagine e servizio): la colonna
degli indici di investimento viene moltiplicata per i “pesi” nelle colonne corrispondenti, producendo un “voto”
medio ponderato per ogni KSF (rispettivamente, 7,9 e 8,5 per immagine e servizio).
Avendo così ottenuto una stima della performance competitiva con riferimento alle tre componenti rilevanti
del valore percepito dal mercato, possiamo calcolare il pcpV complessivo dell’azienda, in funzione
dell’importanza relativa delle tre componenti per il mercato di interesse (riga in alto nella figura): in questo
caso, il pcpV medio ponderato è quindi pari a 8,0.
Possiamo ottenere un risultato migliore, con il medesimo budget?
Sempre ipotizzando di spendere il massimo su tutti i costi variabili (ma tale ipotesi potrebbe ovviamente
essere incompatibile con l’obiettivo di redditività, come vedremo ben presto), possiamo tentare di identificare
altre combinazioni di investimento nei costi fissi (dato il vincolo di budget) che possano migliorare il pcpV.
Qui abbiamo due alternative:
45
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

o adottiamo un approccio per tentativi (cosiddetto “trial & error”, talvolta scherzosamente chiamato
“error & error”!), che consiste nel provare molte combinazioni differenti fino a trovare la migliore, dato
che, apparentemente, non può essere superata con ulteriori tentativi: ciò è fattibile quando il numero di
combinazioni possibili è relativamente ridotto, come nel caso sopra discusso, ma può rivelarsi
praticamente impossibile in casi più complessi

oppure ricorriamo alla “programmazione lineare”, uno strumento della ricerca operativa (ben noto
agli ingegneri) che affronta in modo specifico problemi di ottimizzazione in presenza di obiettivi e vincoli
ben definiti, ove l’uso alternativo di risorse limitate sia collegabile al raggiungimento dell’obiettivo tramite
funzioni lineari (come nel nostro caso). Il foglio elettronico Excel calcola facilmente la routine di
programmazione lineare con il cosiddetto “risolutore”:

si specifica la cella che dovrà contenere il valore dell’obiettivo da massimizzare (nel nostro
caso, l’indice pcpV): ovviamente, tale cella conterrà la formula che calcola il valore dell’obiettivo
stesso

si specifica la cella (o l’intervallo di celle) che conterrà (o conterranno) gli input (nel nostro
caso, le decisioni su quanto investire nei diversi strumenti)

infine si specificano i vincoli che devono essere rispettati (nel nostro caso, i minimi e massimi
livelli di investimento per ogni strumento, nonché il budget disponibile), e il “risolutore”
immediatamente calcola la migliore combinazione di investimenti che massimizza l’obiettivo.
In altri casi, la routine di programmazione lineare può essere utilizzata per minimizzare un obiettivo (ad
esempio, i costi) o per ottenere un determinato valore come obiettivo: ad esempio, nel nostro caso, invece
di massimizzare l’obiettivo di pcpV rispettando un determinato vincolo di budget, potremmo valutare quanto
dovremmo spendere in ogni strumento per ottenere un dato valore di pcpV, in funzione delle nostre stime
sui ragionevoli intervalli di variabilità degli investimenti.
In linea di principio, quest’ultimo approccio sarebbe il modo più appropriato per affrontare il problema del
raggiungimento degli obiettivi (v. quanto detto all’inizio di questo capitolo), ma potremmo scoprire che
l’investimento complessivo necessario è eccessivo rispetto alle risorse disponibili.
In ogni caso, data la disponibilità del “risolutore”, vediamo se è possibile migliorare il pcpV con il
medesimo budget sopra indicato (K$ 2.160). Il risultato abbastanza sorprendente di questo approccio
è sintetizzato nella figura che segue (ma attenzione: talvolta càpita che, in modo assolutamente
inatteso e inesplicabile, la routine di Excel non funzioni41).
Fig. 7.7 – Miglioramento dell’impatto sul pcpV grazie a una diversa distribuzione degli investimenti
KSFs
importanza relativa dei KSFs
per il mercato ---->
strumenti (risorse
disponibili)
unità di
misura
ricerca & sviluppo
pubblicità
forza vendita
materie prime/comp.
logistica
margini ai canali
K $
K $
%
$/kg.
K $
%
qualità immag. servizio
20%
35%
45%
impatto stimato degli
strumenti sui KSFs
min
60%
70%
30%
15%
30%
40%
30%
25%
100%
100%
(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.
pcpV (scala 1-10) (dipende dalle
decisioni di investimento)
livelli di investimento
tipici nel settore (1)
totale
100%
6,9
10,0
tot.
100%
10,0
9,4
500
50
5
2
50
20
600
max
3000
500
12
5
100
45
3600
max budget
disponibile per i costi
fissi ---->
decisioni di
"investimento" (1)
effettive
1560
500
12
5
100
45
2160
indice (110)
4,8
10,0
10,0
10,0
10,0
10,0
2160
Al fine di ridurre il rischio di sgradevoli sorprese, è consigliabile esprimere anche i valori percentuali con il formato
“numero”: ad esempio, 15%=15 (vedi la parte destra della figura che contiene l’indicazione dei livelli di investimento).
41
46
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Possiamo facilmente vedere che il nuovo pcpV è molto vicino al massimo teorico di 10, e che, al fine
di ottenere questo risultato rispetto al precedente, è stato sufficiente incrementare l’investimento in
pubblicità e logistica (che hanno un impatto significativo su componenti importanti del valore) e ridurre
di conseguenza (ma in modo minore, relativamente parlando) l’investimento in R&D (che ha un
impatto significativo su una componente del valore che, tuttavia, è relativamente meno importante per il
mercato).
In effetti, vediamo che, con gli stessi soldi, l’azienda ottiene il massimo risultato su immagine e servizio (10,0
in rapporto a 7,9 e 8,5, rispettivamente, con la soluzione precedente), e un risultato leggermente inferiore
sulla qualità (6,9 rispetto a 7,3): data la chiara preferenza del mercato per immagine e servizio (peso
complessivo dell’80%), questa performance si traduce in un pcpV stimato molto migliore del precedente
(+18%).
Chiudiamo il cerchio fra investimenti, pcpV, rapporti Valore/Prezzo, quota di mercato, domanda
di mercato, e contribuzione
Finora abbiamo supposto di poter spendere il massimo in tutte le risorse esprimibili in termini di costi
variabili, usando nel modo migliore il budget disponibile per i costi fissi, con l’obiettivo di massimizzare il
pcpV e quindi, a parità di altre condizioni (in particolare, a parità di prezzo), la quota di mercato.
Tuttavia, siamo sicuri che questo sia il modo migliore per guadagnare?
Se l’obiettivo è la redditività, piuttosto che la quota di mercato, dovremmo probabilmente riconsiderare,
almeno in una certa misura, le decisioni di investimento sopra descritte.
Torniamo alla situazione in cui operano tre concorrenti (vedi le figure 7.1 e 7.2 più sopra) e assumiamo per
ora, ancora per semplicità, che:

il concorrente A, investendo come descritto nella figura 7.7, abbia ottenuto un pcpV di 9,4

anche i concorrenti B e C abbiano migliorato il loro pcpV, ottenendo rispettivamente 7,5 e 8,0

i prezzi praticati dai concorrenti siano costanti (sempre per semplificare, non approfondiamo in questa
sede il tema della relazione fra prezzo, quota e contribuzione, a un dato livello di pcpV)

la dimensione del mercato sia di 8.000.000 di unità, e non venga influenzata significativamente
dagli investimenti dei concorrenti (freccia pcpV --> mercato nella figura 1.1).
Sulla base di queste ipotesi, e dei dati sopra visti, saremo quindi in grado di considerare l’impatto finale delle
decisioni del concorrente A sul suo conto economico (in particolare, la contribuzione).
Questa situazione è descritta nella figura seguente, in cui possiamo facilmente vedere che, con un pcpV di
9,4, la quota di mercato è del 38,3% e la contribuzione è circa $ 1.795.000 (angolo in basso a
destra della figura).
Tuttavia, se l’obiettivo del concorrente fosse quello di massimizzare la contribuzione, con il “risolutore” (o
anche con poche simulazioni manuali what-if) potrebbe scoprire che, a parità di altre condizioni, la
riduzione del pcpV a 7,2 e la diminuzione corrispondente della quota di mercato a 32,2% produrrebbe
una contribuzione stimata di $ 17.326.000 (vedi la figura 7.9 in fondo a questo capitolo), circa dieci volte
tanto quella ottenibile con la massimizzazione della quota di mercato (grazie a una drastica riduzione degli
investimenti in ricerca e sviluppo – un risparmio di $ 1.060.000 – margini ai canali e materie prime, ma
mantenendo il massimo investimento in forza vendita)!
In pratica, e osservando nuovamente la figura 7.8, il possibile obiettivo di massimizzare la quota di
mercato (da 32,2 a 38,3%) “costerebbe” all’azienda più di $ 2.500.000 per ogni punto di quota:
(17.326–1.795)/(38,3–32,2).
Ovviamente, come sopra anticipato, questo modello soffre di alcune serie limitazioni, dato che non prende
in considerazione:

le potenziali sinergie e interazioni fra strumenti42: per esempio, elevati margini ai canali
potrebbero facilitare il lavoro (e, quindi, l’efficacia) della forza vendita, e viceversa nel caso opposto
Tuttavia, questa limitazione potrebbe facilmente essere eliminata con un algoritmo che considerasse l’interazione fra
strumenti: nel nostro caso, vedremmo subito che un investimento minimo in alcuni di essi non sarebbe molto sensato.
42
47
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 7.8 – Quota di mercato e contribuzione associate a un pcpV di 9,4
KSFs
importanza relativa dei KSFs per il
mercato ---->
strumenti (risorse
disponibili)
unità di
misura
ricerca & sviluppo
pubblicità
forza vendita
materie prime/comp.
logistica
margini ai canali
K $
K $
%
$/kg.
K $
%
qualità
20%
immag. servizio
35%
45%
impatto stimato degli
strumenti sui KSFs
40%
30%
25%
6,9
elasticità della domanda al prezzo
tot.
100%
10,0
- concorrente A
indice (110)
1560
500
12
5
100
45
2160
4,8
10,0
10,0
10,0
10,0
10,0
2160
conto economico concorrente A (K$)
0,8
profili competitivi
3000
500
12
5
100
45
3600
max budget
disponibile per i costi
fissi ---->
9,4
10,0
effettive
max
500
50
5
2
50
20
600
15%
30%
100%
100%
(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.
pcpV (scala 1-10) (dipende dalle
decisioni di investimento)
min
60%
70%
30%
decisioni di
"investimento" (1)
livelli di investimento
tipici nel settore (1)
totale
100%
e
quote
13
120
38,3%
pcpV
prezzo
9,4
V/P
- concorrente B
7,5
12
103
32,6%
- concorrente C
8,0
15
92
29,1%
dimensione mercato (vendite totali - milioni di unità)
8,0
vendite (milioni di unità)
fatturato virtuale
- margini ai canali
fatturato effettivo
- costi variabili
1° margine di contribuzione
- costi fissi
2° margine di contribuzione
3,1
39.794
17.908
21.887
17.932
3.955
2.160
1.795

gli effetti “cumulati” degli investimenti nel tempo, né la potenziale accelerazione dei risultati di
mercato grazie alle quote di mercato acquisite in periodi precedenti (si tratta infatti di un modello
statico)

la dinamica dei cambiamenti di prezzo

il comportamento non lineare delle relazioni di interesse, ….
Fig. 7.9 – Quota di mercato e contribuzione associate a un pcpV di 7,2
KSFs
importanza relativa dei KSFs
per il mercato ---->
strumenti (risorse
disponibili)
unità di
misura
ricerca & sviluppo
pubblicità
forza vendita
materie prime/comp.
logistica
margini ai canali
K $
K $
%
$/kg.
K $
%
qualità
immag. servizio
20%
35%
45%
impatto stimato degli
strumenti sui KSFs
elasticità della domanda al prezzo
profili competitivi
- concorrente A
min
60%
70%
30%
15%
30%
40%
30%
25%
100%
100%
(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.
pcpV (scala 1-10) (dipende dalle
decisioni di investimento)
typical investment
levels in the business
(1)
totale
100%
1,0
10,0
tot.
100%
7,2
7,8
max
500
50
5
2
50
20
600
"investment"
decisions (1)
effettive
3000
500
12
5
100
45
3600
max budget disponibile
per i costi fissi ---->
500
500
12
2
100
20
1100
indice (sc.
1-10)
1,0
10,0
10,0
1,0
10,0
1,0
2160
conto economico concorrente A (K$)
0,8
e
quote
13
92
32,2%
pcpV
prezzo
7,2
V/P
- concorrente B
7,5
12
103
35,8%
- concorrente C
8,0
15
92
32,0%
dimensione mercato (vendite totali - milioni di unità)
8,0
48
vendite (milioni di unità)
fatturato virtuale
- margini ai canali
fatturato effettivo
- costi variabili
1° margine di contribuzione
- costi fissi
2° margine di contribuzione
2,6
33.493
6.699
26.794
8.368
18.426
1.100
17.326
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Tuttavia, il nostro obiettivo in questo capitolo era quello di supportare, in concreto, le seguenti conclusioni:

vi sono forti interrelazioni fra la performance economico-finanziaria di un’azienda e la sua
posizione di mercato: entrambe devono essere prese in considerazione, e tali interrelazioni vanno
comprese a fondo

non possiamo massimizzare, allo stesso tempo, redditività e quota di mercato: tuttavia, pur
essendo ovvio che, sul breve periodo, l’acquisto di quote di mercato può essere costoso (v. sopra, nel
nostro modello “statico”), sul medio-lungo periodo è risaputo che la redditività è positivamente
associata alla quota (maggiori dimensioni ed economie di scala, maggiore forza contrattuale nei
confronti del mercato e dei fornitori, ecc.)

in conclusione, i risultati aziendali dipendono da un’adeguata definizione degli obiettivi, e da
un’allocazione di risorse selettiva e coerente con tali obiettivi.
Queste considerazioni sono ancor più valide in ottica internazionale, data la maggiore complessità del
contesto in cui si muove l’azienda, rispetto a quella – pur sempre elevata – che contraddistingue le attività
sul mercato domestico.
49
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
8. Le ricerche di marketing in ambito internazionale: un modello per la scelta
dei mercati di sbocco43
L’oggetto dell’analisi
Nel capitolo precedente abbiamo proposto un modello che consentisse di collegare in modo logico i principali
fattori di impatto sui risultati aziendali.
Tale modello può evidentemente essere adattato a specifiche caratteristiche di settore e aziendali, ma le
logiche su cui si basa sono sostanzialmente applicabili a qualsiasi contesto, sia sul mercato domestico che su
quelli internazionali, anche se su questi ultimi il tipo e il numero di variabili descrittive del contesto
renderanno l’analisi un po’ più complessa: ad esempio, dovranno essere presi in considerazione eventuali
tassi di cambio, eventuali tasse di importazione, ecc.
In ogni caso, si è visto che, per alimentare il modello, è stato necessario introdurre una serie di input relativi
al valore delle variabili rilevanti: alcuni di questi input possono essere rilevati in modo relativamente
oggettivo (ad esempio, i costi di produzione), mentre altri devono essere stimati (ad esempio, il peso relativo
attribuito dal mercato alle componenti del valore).
L’utilità del modello, da questo punto di vista (e a parte gli altri vantaggi di cui si è parlato), sta proprio nel
fatto che consente di identificare in modo sistematico quali sono le variabili rilevanti sui cui, anche in assenza
di dati oggettivi e facilmente rilevabili, sarebbe utile informarsi al fine, come minimo, di formulare stime a
ragion veduta.
Le ricerche di marketing hanno proprio l’obiettivo di costruire il supporto informativo necessario
per alimentare il processo di pianificazione, attraverso la raccolta e l’interpretazione delle informazioni
relative alle caratteristiche, al comportamento e alla probabile evoluzione dei fattori che possono avere
impatto sulle strategie aziendali e quindi sul tipo e sull’entità della presenza dell’azienda sui mercati, nonché
sui costi che sarà necessario sostenere per mantenere e sviluppare tale presenza.
Fra l’altro, il modello visto al capitolo precedente, estremamente semplificato, presupponeva che la
dimensione del mercato fosse una costante, mentre evidentemente tale variabile è influenzata da una serie
di fattori esogeni (fenomeni ambientali che possono avere un impatto su qualsiasi settore) ed endogeni
(andamento dei consumi e comportamento dei concorrenti nel settore di interesse).
Se operando all’interno del paese di origine alcuni di questi fattori possono essere dati per scontati, dal
momento che tutti riteniamo (spesso a torto) di avere una comprensione sufficiente del contesto in cui ci
troviamo ad agire, quando ragioniamo in termini internazionali queste sicurezze dovrebbero essere messe in
discussione. Non farlo può essere il primo errore della vostra strategia di internazionalizzazione.
In questo capitolo cercheremo di delineare gli elementi da prendere in considerazione per valutare lo
scenario internazionale e il suo impatto sul business dell’azienda e sulle sue prospettive.
Più in particolare, tenteremo di sviluppare un metodo che vi consenta di seguire, almeno in una certa
misura, l’evoluzione dei mercati esteri e degli scenari internazionali per poter cogliere
tempestivamente eventuali modifiche del contesto ambientale, della domanda e delle concorrenza e
riconoscere:

eventuali opportunità di espansione o consolidamento dell’attività aziendale

potenziali minacce dalle quali difendersi predisponendo, se necessario, adeguate misure di reazione.
Prima ancora di prendere in considerazione l’importante tema della scelta dei paesi target, varrà la pena
valutare se le condizioni esterne sono tali da poter dire che il vostro progetto di internazionalizzazione nasce
sotto una buona stella oppure no.
Come per tutte le cose, infatti, anche per portare la vostra azienda all’estero possono esistere momenti più o
meno favorevoli, a prescindere da altre considerazioni, come ad esempio le caratteristiche dell’azienda
stessa o il successo che sta ottenendo sul mercato nazionale.
43
Questo capitolo è in buona parte adattato da A. Pace, Percorso Tematico “Selezionare il Mercato”, sviluppato per il
Portale Italia Internazionale, Aree Sviluppo Servizi e Informazioni Telematiche, ICE, 2005, e da G. Gandellini, Country
Attractiveness Assessment, capitolo del testo in preparazione su “International Marketing: a Knowledge Management
Approach”.
50
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Esistono molte metodologie per l’analisi dell’influenza dei fattori di contesto sullo sviluppo di un business, ma
si può dire che tutte derivino più o meno dalla cosiddetta “analisi PEST” (acronimo per Political Economic
Social & Technological) e che ne costituiscano delle varianti più o meno articolate.
L’analisi PEST
L’analisi PEST, che consiste in una semplice check-list di fattori da prendere in considerazione, ha il merito di
fornire al manager che si trova di fronte al problema di sintetizzare le caratteristiche di un determinato
contesto uno schema di riferimento molto semplice e diretto.
Evidentemente, trattandosi di una check-list, non si potrà avere la pretesa che sostituisca l’attività di
diagnosi: starà al manager interpretare correttamente il significato delle informazioni relative ai temi
identificati da questo acronimo e valutarne le possibili implicazioni per il settore e l’azienda di interesse.
In pratica, si prenderà in considerazione il contesto da analizzare sotto i seguenti principali punti di vista.

ambiente politico (e legale) – tipo di governo, maturità del sistema, stabilità e/o litigiosità politica,
livello di burocratizzazione e di corruzione, ... ma anche sistema e legislazione fiscale, grado di
protezione dei consumatori e dei lavoratori, leggi a tutela della concorrenza, protezione dell’ambiente,
livello di apertura al commercio internazionale, ….

ambiente economico (e infrastrutturale) – PIL, sua composizione e tasso di crescita, tassi di interesse e
politica monetaria, tassi di cambio e inflazione, livello di spesa del governo e relative priorità, sistema di
tassazione e “ammortizzatori sociali”, livello di fiducia delle imprese e dei consumatori, infrastrutture
rilevanti (sistema dei trasporti, sistema finanziario, sistemi di comunicazione, sistema distributivo, sistemi
sanitario e scolastico, ecc.)

ambiente sociale – distribuzione del reddito e sue variazioni, variabili di tipo demografico, mobilità
sociale, stili di vita prevalenti e relativi cambiamenti, atteggiamenti nei confronti del lavoro e del tempo
libero, educazione, salute, condizioni di vita in genere …

ambiente tecnologico – spese in ricerca e sviluppo, politica industriale, numero di innovazioni e
scoperte, velocità del trasferimento di tecnologia, tasso di obsolescenza tecnologica, utilizzo e costo
dell’energia, sviluppi nella scienza dei materiali, livello di penetrazione di Internet e delle tecnologie
dell’informazione, ecc.
Queste sono le macro categorie nelle quali sono raggruppati gli elementi che contribuiscono a definire il
quadro generale entro cui i diversi attori economici si devono muovere, e cioè le “regole del gioco”.
Di solito le aziende non possono influenzare direttamente tali elementi, ma non possono nemmeno
trascurarli, dal momento che essi hanno un’influenza spesso decisiva sulle variabili di interesse strategico
(settore e/o segmenti, opportunità e minacce, punti di forza e di debolezza, ecc.) e quindi sulle strategie e
sui risultati di mercato ed economico-finanziari.
Prendendo in considerazione queste quattro categorie si è ragionevolmente sicuri di poter svolgere un’analisi
sufficientemente completa. Nel seguito del capitolo vedremo dove possiamo procurarci queste informazioni.
Le fonti di informazione
Le informazioni necessarie per svolgere l’analisi di cui sopra e altre importanti attività che vedremo in
seguito, possono essere ottenute in modo molto semplice e, di solito, poco costoso (v. anche quanto detto
nei capitoli 3 e 5, che qui in buona parte ribadiamo per completezza di esposizione e comodità di
consultazione).
Esiste, infatti, una serie di istituzioni, nazionali e internazionali, che pubblicano periodicamente dati
economici e statistici su paesi e gruppi di paesi e basta abituarsi a consultare con una certa regolarità i siti
web o le pubblicazioni di tali istituzioni per costruire un sistema di indicatori costantemente aggiornati e
praticamente a costo zero.
Le principali fonti sono raggruppabili come segue:

prima di tutto le Organizzazioni Internazionali
(Nazioni Unite, Banca Mondiale, IMF, FAO, WTO, ILO, OECD, Unione Europea) che pubblicano
una serie di interessanti rapporti sulle materie di loro competenza ma anche, e soprattutto, mettono a
51
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
disposizione (gratuitamente) sui rispettivi siti Internet molte informazioni di carattere generale
(soprattutto dati macroeconomici e sociodemografici).

in secondo luogo, le istituzioni nazionali
come le banche centrali, i ministeri economici, gli istituti centrali di statistica, l’ICE (che ha
uffici in diversi paesi e che, ad esempio, mette a disposizione sul proprio sito schede Paese per un buon
numero di Paesi), le camere di commercio italiane all’estero, le varie associazioni industriali,...,
che tuttavia spesso erogano i loro servizi a pagamento, e a volte soltanto per gli operatori nazionali.


in terzo luogo, alcune società private che si occupano della redazione di rapporti sia sui paesi che sui
mercati esteri:

ad esempio, l’Economist Intelligence Unit pubblica, a prezzi abbastanza accessibili, approfonditi
rapporti su tutti i paesi del mondo

per approfondire invece la conoscenza dei vari business esistono delle società come la Dun &
Bradstreet e Databank che realizzano rapporti su moltissimi settori industriali44.
infine, le banche dati su Internet o su CD-Rom in cui, oltre alle informazioni di carattere
macroeconomico, vengono spesso riportati, organizzati per area geografica, settore di business, classe
dimensionale, ecc., i nomi e i dati principali relativi ad aziende che potrebbero essere o diventare clienti,
concorrenti o partner commerciali della vostra azienda. Per quanto riguarda i dati di carattere
prevalentemente macroeconomico e sociodemografico, la tabella che segue riporta l’elenco di alcuni siti
web di particolare interesse (di alcuni viene dato un sintetico profilo in fondo a questa parte).

http://www.ice.gov.it/

http://exportsource.ca

http://www.cia.gov/

http://www.tradecompass.com

http://www.fao.org/

http://www.countrydata.com

http://www.stat.fi/

http://www.imf.org

http://www.exporthotline.com

http://www.worldbank.org

http://globaledge.msu.edu

http://www.eiu.com
Perché un modello per la selezione dei mercati
Selezionare i mercati di sbocco, insieme alle decisioni sulle modalità di ingresso e di presenza sui mercati
stessi è una delle prime e più importanti decisioni della vostra strategia di internazionalizzazione.
Non soltanto le aziende che per la prima volta si affacciano sui mercati internazionali, ma anche quelle che
già hanno una presenza all’estero, possono essere trovarsi a dover risolvere i seguenti problemi:

come espandere la presenza internazionale: in quali mercati entrare

come valutare la presenza attuale, con l’obiettivo di rilanciare l’attività internazionale e di destinare le
risorse aziendali ai mercati più promettenti: su quali mercati focalizzare gli sforzi, da quali
mercati eventualmente ritirarsi al fine di liberare risorse da investire sui target selezionati (v. anche
quanto detto nel primo capitolo a proposito dell’importanza di valutare i “costi opportunità”).
Nel seguito del capitolo proponiamo un approccio sistematico per affrontare tali problemi in modo esplicito e
coerente, avvalendosi delle informazioni e delle fonti sopra descritte, anche al fine di evitare i seguenti rischi:

ignorare paesi (o gruppi di paesi) che offrono un buon potenziale per i nostri prodotti
Da valutare con una certa cautela, in quanto non tutti i rapporti presentano uno stesso grado di aggiornamento,
attendibilità, accuratezza ed esaustività.
44
52
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

perdere troppo tempo nell’analisi di paesi (o gruppi di paesi) che, invece, non presentano
buone prospettive.
Ovviamente, anche la scelta dei business con cui affrontare i paesi esteri (ossia, gli specifici target di
utilizzatori e la gamma di prodotti o servizi da proporre)45, nonché quella delle modalità di ingresso e
presenza, sono di importanza critica e strettamente collegate a quella dei paesi in cui operare, ma
affronteremo questi temi più oltre, nel capitolo sulle modalità di ingresso e in quello sulla gestione
multibusiness & multicountry.
Tutte queste decisioni (scelta dei business, dei paesi e delle modalità di ingresso e di presenza) presentano
le caratteristiche tipiche di gran parte delle problematiche di internazionalizzazione:

numero significativo di alternative rilevanti

necessità di massa critica con riferimento a ogni alternativa

risorse limitate per perseguire più alternative contemporaneamente

costi opportunità significativi, se le risorse sono utilizzate in modo sub-ottimale.
È quindi essenziale, soprattutto per le PMI, essere molto selettivi e focalizzare le risorse limitate sui
target più promettenti: scelte corrette da questi punti di vista rappresentano un requisito critico per il
successo.
La figura alla pagina seguente propone una sequenza logica semplificata di fasi di lavoro che dovrebbero
essere condotte per identificare e valutare alternative strategiche fattibili in termini di combinazioni businesscountry-entry-partner, ed è chiaro che tali decisioni sono strettamente collegate.
Focalizzando l’attenzione sulla selezione preliminare a tavolino (desk) dei paesi target (la decisione finale
potrà essere presa soltanto a seguito di un’indagine approfondita, sul campo, delle caratteristiche della
domanda e della concorrenza nel paese o nei paesi più promettenti dopo questa preselezione), queste sono
le tematiche che affronteremo in questo capitolo:

quali metodi sono più appropriati per identificare una rosa ridotta di paesi candidati?

quali criteri si dovrebbero preferibilmente adottare per utilizzare tali metodi e pervenire a una
decisione?

quale approccio dovrebbe essere logicamente e tecnicamente adottato per elaborare le informazioni
raccolte?
L’output finale di questo processo, grazie all’uso di un apposito modello, sarà l’identificazione di una
rosa ristretta di paesi (ad esempio, da uno a tre) in cui condurre indagini più approfondite (v., ad
esempio, il capitolo che segue, sulla stima dei potenziali di mercato).
Le principali fasi della nostra attività di ricerca desk sono identificate dai riquadri su fondo scuro nella figura
alla pagina seguente.
Step 1: prima scrematura dei mercati
Ipotizziamo, per semplicità, che abbiate già selezionato il business di interesse per l’internazionalizzazione e
che l’esportazione sia la vostra strategia di ingresso preferita. Entrambe le scelte sono ovviamente soggette
a ulteriori valutazioni approfondite, basate anche sui risultati delle vostre analisi preliminari: ad esempio, le
caratteristiche di un paese appartenente alla rosa ristretta che avrete identificato potrebbero suggerirvi di
prendere in considerazione anche strategie alternative.
Almeno in linea di principio, ci sono più di 200 paesi verso cui potreste esportare: è quindi ovvio che
l’obiettivo di questa prima fase di lavoro sarà quello di ridurre drasticamente il numero delle possibili
alternative da prendere in considerazione nelle fasi successive.
Il buon senso suggerisce quindi di essere molto selettivi, eliminando gran parte dei paesi che, sulla base
dell’esperienza e di conoscenze pregresse, non sembrano essere particolarmente interessanti. L’importante è
essere espliciti riguardo ai criteri adottati, e consapevoli delle loro implicazioni: per esempio, rinuncia a
specifiche opportunità per aver escluso gruppi di “candidati” potenzialmente promettenti.
In questa sede, per semplicità, presupporremo che la decisione relativa ai business in cui operare sui mercati esteri sia
già stata presa.
45
53
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 8.1 – Sequenza delle fasi di ricerca di marketing per la selezione dei Paesi
no
business
sector
confirm
assumptions?
entry strategy
assumptions
company
profile
pre-screening (desk)
no
data collection (desk)
yes
yes
need a
partner?
confirm
assumptions?
no
analysis, and screening
of short-listed
candidates (desk)
yes
market &competitive
analysis (desk + field)
partner
evaluation
assessment of alternatives:
business/country/entry/(partner)
A tal fine si possono utilizzare metodi diversi, più o meno sofisticati:

impostare un sistema di livelli soglia, scegliendo un numero limitato (3 o 4) di variabili e definendo,
per ciascuna di esse, un livello minimo, al di sotto del quale un determinato paese viene escluso dalle
fasi di analisi successive (ovviamente si dovranno scegliere variabili opportune in funzione delle
caratteristiche del business in cui opera l’azienda)46; questo è sicuramente il metodo più sistematico, se
non “scientifico”, in quanto è basato su un approccio matematico e consente di non escludere a priori
dei target potenzialmente interessanti: se i paesi candidati devono soddisfare, contemporaneamente, più
di una condizione, e se il livello delle soglie è relativamente elevato (in rapporto al valore medio delle
variabili considerate), sarà facile verificare che il numero di “sopravvissuti” scenderà drasticamente a non
più del 10% del totale dei paesi

sfruttare le esperienze precedenti che l’azienda può aver maturato su certi mercati, o perché vi ha
venduto altri prodotti, o perché tali esperienze possono essere state maturate dagli attuali dirigenti in
occasione di precedenti attività, o perché possono essere estese a un mercato sconosciuto le conclusioni
cui si è pervenuti tramite l’esperienza diretta su mercati ritenuti simili

imitare il comportamento di altre aziende, che possono essere concorrenti dirette o vendere
prodotti simili, dando per scontato il fatto che queste aziende abbiano condotto analisi per conto proprio
e che le scelte fatte siano corrette; d’altra parte, è evidente che la presenza di una forte concorrenza
può ridurre le vostre probabilità di successo, tanto più che la vostra azienda non potrebbe godere del
vantaggio di essere entrata per prima nel mercato di interesse: in ogni caso, nella fase di
approfondimento sarà molto importante raccogliere informazioni appropriate sui concorrenti,
analizzandone le strategie di internazionalizzazione e identificando i motivi dei loro successi o insuccessi

circoscrivere l’attenzione su “gruppi di paesi” che hanno realizzato o stanno perfezionando dei
percorsi di integrazione, come ad esempio l’Unione Europea, il Nafta47 o il Mercosur48. Questa scelta può
essere sensata dal momento che:
Per adottare questo metodo potrà essere utile anticipare la costruzione del database prevista per lo step successivo.
North American Free Trade Association, un’area di libero scambio tra Stati Uniti, Canada e Messico
48
Mercato Comune del Cono Sud, un mercato comune che unisce Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay, costruito sul
modello dell’Unione Europea
46
47
54
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

una volta entrati in uno dei paesi che fanno parte del gruppo è generalmente più semplice
vendere i propri prodotti anche negli altri (spesso c’è anche una zona di libero scambio)

si realizzano economie di scala su importanti attività come le ricerche di marketing,
l’adattamento dei prodotti e la logistica.
Sebbene privi di solide basi scientifiche, questi metodi vengono largamente utilizzati e possono portare ottimi
risultati se impiegati con intelligenza e buon senso.
Il risultato di questa analisi sarà un elenco di 10-20 paesi che hanno superato la fase di prima scrematura e
che rappresenteranno i mercati esteri potenzialmente più interessanti per l’azienda.
Step 2: raccolta di dati analitici su più variabili
Come abbiamo visto all’inizio di questo capitolo, le fonti di dati sui diversi paesi sono molto numerose: sarà
quindi possibile costruire un database che includa dati abbastanza aggiornati, relativi ai paesi
precedentemente identificati, su un numero elevato di variabili.
A parte casi eccezionali, è evidente che queste variabili saranno abbastanza generiche, ossia non “business
specific” (relative allo specifico settore o segmento di interesse), come ad esempio il numero e la forza dei
concorrenti diretti.
Tuttavia, si potranno comunque identificare variabili ragionevolmente correlate ai potenziali di mercato nei
settori di interesse: ad esempio, è certo che la “popolazione” e il “reddito pro-capite” possono essere
indicatori relativamente utili per molti prodotti di consumo, mentre la “produzione industriale” è
normalmente correlata in modo significativo alla dimensione di molti settori industriali in molti paesi.
Step 3: analisi dei dati e costruzione di un indice di attrattività
La terza fase del processo che proponiamo prevede la costruzione di un indice di attrattività il cui valore
sia tanto più alto quanto più il paese rappresenta una promettente alternativa di internazionalizzazione, al
fine di ridurre ulteriormente il numero di paesi selezionati nella prima fase a una short-list (da 1 a 3 o 4
paesi, in funzione delle risorse aziendali disponibili e dei vincoli di tempo) che consenta di approfondire
l’analisi con indagini sul campo.
Le sotto-fasi di lavoro che proponiamo a tal fine sono le seguenti:

definire, il più precisamente possibile, il settore di interesse, in termini sia di clientela finale
(utilizzatori)49 che di prodotti o servizi

identificare le variabili che, in base all’esperienza, alla conoscenza del settore e al buon senso,
possono ritenersi maggiormente correlate (in senso positivo o negativo) alla dimensione del
mercato nel settore di interesse: ad esempio, un’azienda che vende capi di abbigliamento di elevata
qualità e indirizzati a un pubblico giovane può essere interessata a fattori come la struttura per età della
popolazione, il reddito pro-capite, la spesa per consumi pro-capite, ecc.
La nostra esperienza suggerisce che un massimo di 10 variabili (e anche meno) può essere largamente
sufficiente50: tali variabili possono rappresentare sia dati oggettivi (v. quelli appena citati) che dati
relativamente soggettivi (come la distanza culturale e/o fisica fra il paese di origine dell’azienda e i
diversi paesi di sbocco), ma è comunque necessario che tali dati siano misurabili (espressi in valori
assoluti, percentuali o indici)

valutare, per ciascuna delle variabili scelte, il “verso” della correlazione: vi sono infatti variabili al
crescere delle quali cresce l’attrattività del mercato preso in considerazione (pensate ad esempio alla
popolazione o al reddito pro-capite) e variabili che si comportano esattamente nel modo opposto
(pensate al numero dei concorrenti o ai dazi)
Errori molto frequenti sono quello di definire il business soltanto in termini di prodotto o servizio, senza precisare il
target cui ci si riferisce e il relativo posizionamento agli occhi del mercato, e quello di fare riferimento, più o meno
esplicito, a distributori o dettaglianti in quanto rappresentativi del target.
50
Si potrebbe obiettare che la scelta delle variabili è inevitabilmente soggettiva. Ciò è vero, ma non influenza
assolutamente l’utilità di questo approccio: le decisioni sono sempre soggettive per definizione, e l’alternativa sarebbe
quella di decidere comunque, con un approccio tutt’altro che sistematico. Fra l’altro, nel caso qui considerato sarebbe
praticamente impossibile contare su dati di correlazione effettivi, data la frequente (ossia, quasi sempre!) assenza di dati
sulla dimensione effettiva della domanda nello specifico settore di interesse (ossia, la variabile “dipendente” cui correlare
le altre), che è proprio il dato da stimare tramite l’approccio proposto.
49
55
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

fra queste variabili, preferire quelle per cui sono disponibili dati relativamente aggiornati e attendibili
per tutti i paesi considerati: in pratica, verrà creato un piccolo database (ad esempio, 20 paesi per 6/8
variabili), pronto per le successive elaborazioni e analisi

evitare di prendere in considerazione variabili che sembrano fra loro molto correlate (ossia, il cui
comportamento è simile, nel senso che variano in proporzione diretta l’una con l’altra), dato che in tal
caso verrebbero praticamente considerati più volte i medesimi fattori51: ad esempio, il reddito pro-capite
è evidentemente correlato con il cosiddetto “Indice di Sviluppo Umano”, dato che quest’ultimo è
costituito da un “paniere” di indicatori che include proprio il reddito pro-capite

valutare il “peso” delle variabili, ovvero la loro importanza relativa all’interno del vostro progetto di
internazionalizzazione: in pratica, a ciascuna delle variabili individuate dovrà essere attribuito un valore
crescente (ad esempio, in percentuale) al crescere della sua importanza nel sistema di valutazione che
state costruendo52

standardizzare i valori assunti dalle variabili considerate per trasformarli in numeri “puri” e
omogenei, svincolandoli dalle rispettive unità di misura: in caso contrario, sarebbe praticamente
impossibile il confronto fra i diversi valori e una loro elaborazione congiunta;
per ricollegarci all’esempio precedente, la struttura per età della popolazione è espressa con un valore
percentuale, mentre il reddito e la spesa per consumi pro-capite sono espressi in unità monetarie. Uno
dei metodi di standardizzazione più utili in questo caso è quello rispetto al campo di variazione
della variabile. Per applicarlo basta prendere il valore che vogliamo standardizzare, sottrargli il valore
più basso che la variabile assume e dividere il risultato ottenuto per il campo di variazione (valore
massimo – valore minimo) della variabile stessa:
xstd = (x – xmin)/(xmax – xmin)
qui occorre fare attenzione alle considerazioni fatte in merito al verso della correlazione con il livello di
attrattività del mercato citato in precedenza. Qualora la variabile in questione fosse correlata
inversamente all’attrattività, la formula appena vista diventa la seguente:
xstd = 1-[(x – xmin)/(xmax – xmin)]
In questo modo trasformeremo tutti i valori in numeri compresi tra 0 e 1 (o fra 0 e 100, se preferiamo
liberarci dei decimali moltiplicando i diversi valori per 100)

calcolare, sulla base delle considerazioni precedenti, un numero indice ponderato che fornisca un
giudizio sintetico sull’attrattività di ognuno dei 10-20 paesi considerati con riferimento al vostro
specifico progetto di internazionalizzazione. Il numero indice ponderato si ottiene applicando, per ogni
paese considerato, la seguente formula
Ia = [(x1 * p1) + (x2 * p2) + … + (xn * pn)]/(p1 + p2 + … +pn)
dove Ia rappresenta l’indice di attrattività, i simboli x1, x2, …, xn rappresentano le n variabili considerate
e p1, p2, …, pn i pesi percentuali delle variabili stesse.
Tutte queste operazioni possono essere impostate in modo molto semplice tramite un foglio elettronico.
Alla fine avrete attributo a ogni paese un indice di attrattività, costruendo così una graduatoria, nella
quale troverete ai primi posti i paesi relativamente più attraenti: basterà selezionare i primi 3-5 che quindi
passeranno alla fase di analisi approfondita sul campo.
È peraltro importante notare che il medesimo approccio può essere facilmente applicato anche a
casi più complessi, e anche per questo motivo riteniamo particolarmente utile descriverlo a fondo con
un’esemplificazione concreta nelle pagine che seguono.
Si pensi, ad esempio, alle seguenti problematiche, molto ricorrenti nella pratica aziendale:
51
Ciò è ancor più evidente se si pensa che non tutte le variabili hanno la stessa importanza, e che quindi è utile
attribuire loro pesi distinti (v. punto successivo). Se, ad esempio, la variabile A è fortemente correlata all’attrattività del
mercato per il settore di interesse, e la variabile B è fortemente correlata ad A, il risultato dell’analisi sarà praticamente il
medesimo se si utilizza soltanto la variabile A o soltanto la variabile B, evitando di “pesare” due volte il medesimo
aspetto.
52
Anche qui, sarà preferibile formulare delle stime, possibilmente basate sul buon senso e la conoscenza del mercato,
piuttosto che tentare (invano!) una misurazione dei “pesi” effettivi attraverso analisi di regressione multipla (v. note
precedenti).
56
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

analisi e classificazione della gamma prodotti (anche le PMI hanno infatti spesso un elevato
numero di prodotti a catalogo, a livello di qualche centinaio), sulla base di variabili quali fatturato,
margine di contribuzione unitario, lotto minimo, capacità di trascinamento di altri prodotti, contributo
all’immagine aziendale, ecc.

analisi e classificazione dei clienti (spesso dell’ordine di qualche centinaio), sulla base di variabili
quali fatturato, potenziale complessivo, redditività, tempi di pagamento medi, ecc.
Un modello esemplificativo
A fini esemplificativi, proponiamo un modello molto semplice, che produrrà una classificazione di 5 paesi
sulla base di 4 variabili.
L’obiettivo sarà quello di identificare il paese o i paesi più interessanti, su cui concentrare le risorse aziendali
al fine di approfondirne la conoscenza con ricerche sul campo: soprattutto per le PMI, non è infatti
proponibile condurre indagini approfondite in diversi paesi contemporaneamente.
Ipotizziamo il seguente caso:

il settore di interesse è “pellicce sintetiche di moda per giovani donne di reddito medio-alto”

i 5 paesi “superstiti” dopo aver condotto la fase di preselezione (v. sopra), le 4 variabili (l’ultima,
“temperatura media”, è negativamente correlata all’attrattività di mercato), i corrispondenti valori
effettivi di ogni variabile su ogni paese, e i dati statistici che utilizzeremo per standardizzare tali
valori (v. oltre), sono quelli descritti nella figura che segue53

l’importanza relativa stimata delle variabili è descritta, in termini percentuali, nella parte in alto
della figura.
Fig. 8.2 – Database di origine (ipotetici valori effettivi
variables
stats
countries
units of measurement
variables' weight
Brazil
Slovakia
Japan
Germany
Turkey
max
min
range
per capita
young women
GDP
$ 000
%
40%
25%
5
25%
4
22%
30
13%
22
18%
3
15%
30
25%
3
13%
27
12%
54
)
population
millions
15%
170
5
120
80
70
170
5
165
average
temperature
C°
20%
25
5
10
8
15
25
5
20
Al fine di calcolare l’attrattività complessiva di questi paesi, dobbiamo prima di tutto tradurre i valori
effettivi delle variabili che li caratterizzano in una scala omogenea, svincolata dalle unità di misurazione
originali.
Il nostro obiettivo è evidentemente quello di discriminare il più possibile fra i paesi, al fine di evitare il
rischio di considerare ugualmente attrattivi paesi che sono, di fatto, diversi.
Utilizzando il metodo sopra descritto, sarà quindi sufficiente sottrarre, per ogni variabile, dal valore effettivo
riscontrato per ogni paese (ad esempio, 80 milioni di abitanti per la Germania), il minimo valore rilevato nel
database per questa variabile (5 milioni in Slovacchia) e dividere il risultato (80 – 5 = 75) per l’intervallo fra
il massimo e il minimo valore della stessa variabile (170 in Brasile, meno 5 in Slovacchia = 165), ottenendo
53
Come consuetudine, vengono evidenziate le celle di input, mentre le altre contengono i valori calcolati dal modello con
le formule appropriate.
54
I valori sono forniti come esempio, ma non sono necessariamente reali.
57
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
il valore standardizzato di 0,45 (che, per comodità di visualizzazione, viene moltiplicato per 100, ottenendo
45)55.
Per le variabili inversamente correlate all’attrattività (in questo caso, “temperatura media”: più alta la
temperatura, meno attrattivo il mercato), considereremo il complemento a 1 del calcolo sopra descritto, e
moltiplicheremo il risultato per 10056.
I risultati di queste elaborazioni del database originario, facilmente prodotti da un qualsiasi foglio elettronico,
sono sintetizzati nella figura 8.3: si nota facilmente che, grazie al metodo di standardizzazione adottato,
avremo sempre, per ogni variabile, almeno uno “0” (il paese meno interessante) e almeno un “100” (quello
più appetibile).
Infine, sulla base dei dati standardizzati e dell’importanza relativa delle variabili, possiamo calcolare, nella
figura successiva (8.4), un indice medio ponderato, che fornisce una valutazione sintetica
dell’attrattività (A) di ogni singolo paese.
Per esempio, per calcolare l’appetibilità complessiva della Germania, moltiplichiamo il suo “voto” di 70 sul
reddito pro-capite per 40% (l’importanza relativa di questa variabile), ottenendo 28, il suo voto di 42 su
“giovani donne” per 25% (ottenendo circa 10), quello di 45 sulla “popolazione” per 15% (ottenendo circa
7) e quello di 85 su “temperatura media” per 20% (ottenendo circa 17): sommando questi quattro prodotti
(28+10+7+17), otteniamo l’indice medio ponderato di 62, che rappresenta l’indice di attrattività di questo
paese. Mantenendo (ovviamente) costante il peso delle diverse variabili, calcoliamo nello stesso modo
l’indice degli altri paesi.
Fig. 8.3 – Dati standardizzati
countries
variables
Brazil
Slovakia
Japan
Germany
Turkey
per capita
GDP
young women
7
4
100
70
0
population
100
75
0
42
17
average
temperature
100
0
70
45
39
0
100
75
85
50
Fig. 8.4 – Indici di attrattività (A) e graduatoria dei paesi
variables
countries
variables' weight
Brazil
Slovakia
Japan
Germany
Turkey
per capita
young women
GDP
40%
25%
7
100
4
75
100
0
70
42
0
17
population
15%
100
0
70
45
39
average
temperature
20%
0
100
75
85
50
A
index
43
40
65
62
20
rank
3
4
1
2
5
Come si vede nella colonna a destra della figura 8.4, il foglio elettronico calcola anche la graduatoria dei
cinque paesi, sulla base del loro indice di attrattività: nel nostro esempio semplificato, il Giappone e la
Germania sono di gran lunga i paesi più interessanti per ulteriori approfondimenti di indagine.
Se dovessimo prendere una decisione, unicamente basata su questi dati, sul paese che merita di essere
ulteriormente esplorato con ricerche ad hoc e più “business specific”, probabilmente sceglieremmo il
Giappone. Tuttavia, come in molti altri problemi decisionali affrontati con l’ausilio di modelli, sappiamo che
l’obiettivo dei modelli stessi è soprattutto quello di aiutarci a chiarire in modo esplicito i ragionamenti alla
base delle nostre decisioni, identificando anche aree o aspetti che meritino maggiori approfondimenti.
V. i valori in grassetto in figura. Sempre per facilitare la visualizzazione, tutti i valori sono arrotondati.
Per esempio, sottraendo i 5 gradi centigradi della Slovacchia (il valore minimo) dai 10 gradi del Giappone (= 5) e
dividendo il risultato per 20 (la differenza fra i 25 gradi del Brasile e il valore minimo), otteniamo 0,25: il complemento a
1 è 0,75 (o 75). Questo è il valore standardizzato del Giappone per la temperatura media, relativamente alto dato che, in
questo settore, un mercato con una temperatura media bassa (10 C°) è preferibile.
55
56
58
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Per esempio, nel caso appena descritto è evidente che i due paesi più interessanti (Giappone e Germania)
hanno ottenuto un indice di attrattività molto simile, ma sappiamo benissimo che sono molto diversi da altri
punti di vista: l’aggiunta di ulteriori variabili all’analisi (per esempio, la distanza fisica e/o culturale rispetto al
paese esportatore, che comporta elevati costi operativi e di marketing) potrebbe facilmente modificare le
nostre conclusioni.
Passi successivi
Una volta scelto il paese, o scelti i paesi che meritano approfondimenti di indagine, le analisi cominceranno a
richiedere molte risorse (almeno in linea di principio57): tuttavia, grazie al lavoro sopra descritto, dovremmo
essere ragionevolmente sicuri del fatto che ne valga la pena.
Per l’analisi in profondità si “dovrebbero” infatti raccogliere due tipi di informazioni:

informazioni aggiuntive di carattere secondario, chiamate in questo modo perché sono state già
raccolte da altri enti e per altri scopi. Tali informazioni riguarderanno soprattutto la situazione del
mercato e la congiuntura economica in generale, il settore specifico dell’azienda e le sue dinamiche,
barriere o supporti all’ingresso sul mercato, caratteristiche culturali del mercato stesso, ecc.

informazioni di carattere primario, chiamate in questo modo perché vengono raccolte ad hoc
direttamente dall’azienda (o da qualcuno da essa incaricato), dal momento che sono molto specifiche. Si
tratta, in pratica, di vere e proprie ricerche di mercato che prenderanno in considerazione il livello della
domanda, le aspettative dei clienti, la presenza e la forza relativa dei concorrenti, le caratteristiche e la
struttura dei canali distributivi, ecc.
Queste informazioni rappresenteranno in pratica la base per lo sviluppo del piano di internazionalizzazione
dell’azienda, la cui struttura è stata discussa precedentemente.
Monitoraggio continuo dei mercati
È sotto gli occhi di tutti il fatto che il mercato mondiale è in continua evoluzione: è quindi ragionevole
supporre che paesi ritenuti non interessanti o attraenti in seguito a una prima analisi possano trasformarsi in
alternative praticabili in breve tempo.
Il consiglio è quindi quello di non “dimenticarsi” dei paesi che sono stati scartati a seguito delle fasi di lavoro
sopra descritte: il tipo di analisi che abbiamo proposto andrebbe dunque ripetuto a intervalli regolari di
tempo per confermare ed eventualmente aggiornare i risultati e le conclusioni relative.
Soltanto in questo modo si potranno gettare le basi per far sì che le scelte relative al processo di
internazionalizzazione acquisiscano un respiro strategico e non si risolvano unicamente nella concretizzazione
occasionale di particolari opportunità.
Diciamo “in linea di principio”, dato che molto raramente le aziende si prendono il disturbo di investire in ricerche di
marketing serie: il risultato è evidentemente, come minimo, un’elevata incertezza sui potenziali risultati, nonché un
rischio elevato di insuccesso.
57
59
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
9.
Modalità di stima dei potenziali di mercato all’estero
L’importanza della stima dei potenziali di mercato e le difficoltà intrinseche a tale esercizio
La stima dei potenziali di mercato è una delle attività di pianificazione più importanti, difficili e
complesse: da tale stima dipende infatti la capacità dell’azienda di formulare obiettivi di quota di mercato
ragionevoli e raggiungibili e, quindi, obiettivi e previsioni di vendita affidabili.
Dagli obiettivi di vendita, data una certa strategia di marketing (livelli qualitativi, prezzi e sconti,
canali distributivi e di vendita, comunicazione, livelli di servizio), dipende inoltre una serie di importanti
decisioni strategiche e operative:

dimensionamento della capacità produttiva e dei volumi di produzione

approvvigionamento di materiali e componenti

dimensionamento della forza lavoro, sia nell’area produttiva che in quella commerciale

definizione dei fabbisogni di cassa per mettere in atto tali decisioni.
In pratica, è evidente che un’adeguata stima dei potenziali di mercato è la conditio sine qua non e il
principale punto di partenza per la formulazione delle proiezioni di ricavo, che sono alla base di
qualsiasi business plan e, in particolare, del piano di marketing che rappresenta il “cuore” di ogni
business plan che si rispetti.
A tutte le difficoltà di valutazione dei fenomeni di mercato descritte nel capitolo 5, si aggiunge nel nostro
caso la difficoltà di elaborare stime sui mercati internazionali, ossia con riferimento a contesti geografici
normalmente molto meno noti rispetto a quello “domestico”.
Non c’è quindi da stupirsi se la parte più delicata e attaccabile di qualsiasi business plan e piano di
marketing, soprattutto in ottica internazionale, sia spesso quella relativa alla stima dei ricavi, da cui
dipende la grande maggioranza delle previsioni di redditività e di flussi di cassa, e che dipende a sua volta
da una stima della dimensione del mercato (tema affrontato in questa sede) e da quella della
posizione competitiva dell’azienda (cui accenniamo soltanto brevemente qui sotto).
A proposito di posizione competitiva, molte aziende (soprattutto PMI) non prendono in esplicita
considerazione, né tengono sotto controllo, la propria quota di mercato58: pensano che il mercato sia
troppo grande perché tale indicatore sia significativo, e/o che sia troppo difficile e costoso stimarne le
dimensioni.
Si tratta, in entrambi i casi, di ipotesi in buona parte errate:

nel primo caso, è evidente che dovrebbe essere preso in considerazione soltanto il mercato cosiddetto
pertinente o “raggiungibile” (e non il mercato totale delimitato dai confini geografici del Paese), e quindi
non è affatto detto che la quota acquisibile o acquisita sia necessariamente marginale

nel secondo caso, senza bisogno di effettuare costose ricerche di mercato, è spesso sufficiente investire
risorse relativamente modeste nella raccolta di stime sistematiche del potenziale complessivo di
consumo o di utilizzo (o di acquisto, nel caso dei distributori) di ogni singolo cliente con cui l’azienda
entra in contatto, con riferimento al segmento prodotto/mercato di interesse.
Quest’ultimo metodo, che presuppone ovviamente un buon sistema informativo di marketing e adeguati
sistemi di guida, coordinamento, incentivazione e controllo della forza vendita che siano in grado di
alimentarlo, offre sicuramente il migliore rapporto risultati/costi (rispetto, ad esempio, a periodiche ricerche
di mercato quantitative), ma può essere messo in atto, sul campo e non semplicemente a tavolino, soltanto
da aziende che operino già sul mercato di interesse.
Nel nostro caso, ipotizzando di stimare la dimensione della domanda in mercati su cui l’azienda non è ancora
presente, e non essendo spesso praticabile l’opzione di intraprendere costose ricerche quantitative ad hoc (a
meno che, per pura combinazione, non siano già state effettuate su settori e Paesi specifici, e siano anche
disponibili e aggiornate, a costi contenuti)59, non possiamo che ricorrere a uno o più dei metodi desk proposti
V. anche quanto detto nei primi capitoli di questa parte.
È ampiamente risaputo che la percentuale di aziende italiane abituate a condurre ricerche di mercato è assolutamente
irrisoria, e non soltanto nell’ambito delle PMI.
58
59
60
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
più oltre, meno precisi della stima cliente-per-cliente e meno esaustivi rispetto a indagini estensive sul
campo, ma sicuramente molto a buon mercato e, comunque, in grado di fornire – purché adeguatamente
utilizzati – stime di ordini di grandezza sufficientemente realistici.
Obiettivi e limiti dei modelli proposti
Data l’estrema complessità e diversità delle possibili situazioni di mercato (tipo di prodotti, tipo di utilizzatori
o di acquirenti, tipo di intermediari, ecc.), i modelli più oltre sinteticamente descritti non hanno la pretesa di
fornire risposte precise, ma hanno soprattutto l’obiettivo di far riflettere sui principali fattori che
possono condizionare la dimensione della domanda nei vari Paesi, nonché – come già detto in più
occasioni – quello di abituare alla formulazione di stime, anche in assenza di dati attendibili ed esaustivi
sui contesti di riferimento.
Dal punto di vista tecnico, tali modelli dovrebbero facilitare, almeno in qualche misura, la stima di “ordini
di grandezza” dei potenziali di mercato, con riferimento a specifici settori di attività e a
determinati contesti geografici (paesi esteri), prendendo in considerazione alcune delle principali
configurazioni (evidentemente, non tutte) che possono assumere i seguenti fattori:

natura/contenuto delle variabili da considerare: esterne (ambientali o di mercato) o interne
(aziendali)

tipo di variabili da considerare: generiche (ad esempio, variabili socioeconomiche e demografiche) o
specifiche di settore (ad esempio, consumi di determinati beni)

tipo di business e di utente finale

tipo di intermediari distributivi, ove applicabile e appropriato

tipo di dati relativi a tali variabili: di carattere primario (dati raccolti ad hoc in funzione degli obiettivi
specifici dell’analisi in corso) o secondario (dati già disponibili, inizialmente prodotti per i motivi più
diversi e dalle fonti più disparate, non necessariamente legati all’analisi in corso)

tipo di fonti che forniscono i dati (enti pubblici italiani e stranieri, associazioni di categoria, forza
vendita aziendale)

livelli di potenziale: teorico, disponibile, effettivo, pertinente (v. seguito)

livelli di domanda: intermedia (distributori) o finale

tipo di unità di misura: quantità (in numero di pezzi o a peso o a volume) o valori monetari, valori
assoluti o percentuali o indici

livelli di aggregazione delle unità di misura: valori unitari o totali

componenti elementari dei volumi o dei valori totali: numero di consumatori o utilizzatori (o di
intermediari) e consumi o utilizzi (o acquisti) pro-capite

unità temporale di riferimento per la stima dei consumi: giorno, settimana, mese, anno

periodo di riferimento, soprattutto qualora i dati eventualmente disponibili come base di partenza per
le stime risalgano a un anno precedente rispetto a quello di riferimento.
Per gran parte di tali fattori, dovrà essere presa in considerazione la disponibilità o non disponibilità di
dati più o meno specifici in funzione dei settori di interesse, che dovranno comunque essere integrati
dalla formulazione di stime.
In sostanza, quanto qui proposto non può avere la pretesa di risolvere esaurientemente e definitivamente il
problema della stima dei potenziali per qualsiasi settore di attività e in qualsiasi contesto di mercato, ma si
propone soprattutto di fornire, attraverso modelli esemplificativi, un metodo di lavoro per
affrontare tale problema in modo consapevole e sistematico, consentendo anche agli utilizzatori
(imprenditori, manager, consulenti) di evidenziare le principali aree di debolezza dell’analisi e le eventuali
necessità di raccolta di informazioni integrative.
Prima di addentrarci nell’esame delle principali tipologie di modelli disponibili per una stima desk dei
potenziali di mercato, cercheremo però di limitare almeno in parte la complessità del tema mettendo alcuni
necessari “paletti”.
61
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
È infatti incontestabile che sarebbe impossibile prevedere a priori tutte le particolarità dei diversi settori di
attività economica, con le relative innumerevoli eccezioni dovute alle specificità dei contesti aziendali e di
mercato.
Si pensi, ad esempio, che il famoso “guru” Philip Kotler (2002), facendo soltanto riferimento a tre dimensioni
base (“product, space, and time”), ossia prima ancora di considerare i diversi livelli di potenziale (da lui
classificati nelle quattro categorie “potential, available, served, penetrated” – quelle da noi proposte saranno
concettualmente simili, anche se non esattamente le stesse), identifica 90 (novanta!) possibili combinazioni
di “demand estimates”.
Ipotesi semplificatrici
A fini operativi e di (relativa) semplicità di approccio al problema, quanto sopra detto impone di delimitare
l’ampiezza delle possibili opzioni e del campo di indagine con alcune ipotesi semplificatrici:

i modelli proposti suggeriscono di utilizzare, in ottica desk (ossia, a tavolino), prevalentemente o
esclusivamente, dati di carattere secondario (ossia, già disponibili e provenienti da fonti di diverso
tipo quali, soprattutto, banche dati sui Paesi, accessibili da web) e stime (eventualmente formulate sulla
base di rilevazioni ad hoc a cura degli utilizzatori), ma non supportano la progettazione di ricerche, la
raccolta, l’elaborazione e l’analisi di dati attraverso indagini specifiche (quantitative, a campione o
addirittura “a tappeto” ove possibile, o qualitative tipo Delphi), che presuppongono il ricorso a specialisti
di ricerche di marketing e, per lo più, investimenti significativi, né possono surrogare l’auspicabile attività
sistematica di raccolta di informazioni sui clienti che le aziende interessate potranno svolgere una volta
entrate nei mercati target

le previsioni riguardano soltanto l’ambito manifatturiero, e non viene quindi considerato il settore dei
servizi, che presenta caratteristiche di variabilità e di bassa standardizzazione ancora più spinte rispetto
a quelle che contraddistinguono il settore dei prodotti

entro tale ambito, i modelli proposti a titolo esemplificativo riguardano prevalentemente il settore dei
beni non durevoli (ad esempio, alimentari, cosmetici, ecc.), forniti dalle aziende interessate,
direttamente o indirettamente (attraverso distributori), ai consumatori finali (individui o famiglie); con
i dovuti “distinguo”, i modelli sono tuttavia applicabili, almeno in parte, anche ad altri settori (beni
durevoli, B2B)

le previsioni riguardano la “domanda finale”, sia pure eventualmente “filtrata” da distributori, e non i
livelli di domanda a monte di tale stadio nella filiera produttiva60

si suppone che la dimensione stimata del mercato, con riferimento al periodo prescelto, sia una
costante, non influenzata o influenzabile dall’attività e dagli investimenti di marketing dell’azienda
interessata che, quindi, potrà realizzare le proprie vendite soltanto “ritagliandosi una fetta” di tale
“torta”, a scapito dei concorrenti61.

i modelli proposti non considereranno l’ipotesi delle vendite dirette al consumatore finale in
contesto B2C e, in particolare, quella dell’e-commerce, dato che soprattutto in quest’ultimo caso la
dimensione del mercato raggiungibile da parte delle aziende è eccessivamente variabile in funzione degli
investimenti previsti (tipo ed entità) e della loro ripartizione fra vari mezzi62; è invece possibile, con uno
dei modelli, stimare almeno in parte il potenziale di vendite dirette a utilizzatori finali in contesto B2B.
Nei settori “business to business” (produzione e/o vendita di materie prime, semilavorati, componenti, prodotti finiti,
servizi, attrezzature, macchinari o impianti ad aziende o operatori), potrebbero evidentemente essere considerati livelli di
domanda sia a monte che a valle di quello direttamente o indirettamente servito dalle aziende interessate: nel primo
caso (domanda a monte) la stima del potenziale di mercato potrebbe essere effettuata con riferimento al valore aggiunto
del prodotto di interesse rispetto ai materiali necessari per produrlo (ove sia nota la domanda di questi ultimi), mentre
nel secondo (domanda a valle) si potrebbe adottare l’approccio inverso (sempre che sia nota la domanda dei prodotti cui
contribuisce quello di interesse).
61
Questa limitazione potrà evidentemente essere rimossa in fase di pianificazione, quando si tratterà di prevedere le
vendite aziendali, eventualmente realizzabili, almeno parzialmente, grazie all’acquisizione di clientela attualmente non
facente parte del mercato di riferimento.
62
In teoria, potrebbe essere utilizzato il metodo “bottom-up” (v. oltre), ma riteniamo che in questo caso il livello di
aleatorietà delle stime sarebbe eccessivo. Fra l’altro, si andrebbe contro l’ipotesi semplificatrice appena formulata del
mercato “costante”. Tale metodo prende tuttavia in considerazione la possibilità di vendite dirette a clientela finale
rappresentata da operatori (ad esempio, nel caso dei prodotti alimentari, ristoranti, mense, comunità, ecc.).
60
62
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Infine, diamo ovviamente per scontato che gli approcci qui proposti possano essere di qualche utilità
soltanto nel caso, peraltro estremamente probabile, in cui non esistano già dati pertinenti, attendibili,
aggiornati ed esaustivi sulla dimensione dei mercati di interesse.
I principali metodi di stima dei potenziali di mercato e le caratteristiche dei modelli proposti
La letteratura sui metodi di stima dei potenziali è estremamente vasta: nella figura alla pagina seguente
abbiamo classificato i principali metodi proposti, integrando lo schema con un maggiore dettaglio
relativamente alla tipologia di metodi desk (“judgmental”) che ispira i modelli più oltre descritti63.
Come sopra in parte anticipato, ai nostri fini non sono scarsamente praticabili i metodi “field” (costi elevati,
tempi lunghi e/o necessità di presenza operativa sul mercato), mentre per quanto riguarda quelli “desk”
dobbiamo escludere quelli che presuppongono la disponibilità di un numero elevato di dati specifici
(relativamente al settore di interesse), attendibili ed esaustivi:

il metodo basato sull’estrapolazione di tendenze passate (extrapolation) richiede la disponibilità di serie
storiche relative ai parametri di interesse (ad esempio, consumi effettivi nel segmento e nel Paese target)
per diversi anni a ritroso e, normalmente, per frazioni di anno (in genere, il trimestre)

quello basato sulla probabile relazione causa-effetto (causative) fra una o più variabili indipendenti e una
variabile dipendente, presuppone, evidentemente, che si disponga di dati relativi all’andamento di tali
variabili, cosa piuttosto difficile, almeno per quanto riguarda i consumi effettivi nel segmento target
(variabile dipendente).
Restano quindi disponibili per una modellizzazione, e soprattutto per prevedere a tavolino i potenziali di
mercato in Paesi nuovi per le aziende, i metodi sostanzialmente basati sulle stime e sulle “valutazioni”
(judgment) dell’utilizzatore, possibilmente applicati a un certo numero di dati – per lo più relativamente
generici (ossia, non specifici per il segmento target) – raccolti da fonti di carattere secondario.
Fra questi metodi, non consideriamo tuttavia quelli che non richiedono una particolare modellizzazione, e che
sono quindi estremamente banali, come ad esempio quello che parte dai dati di consumo (eventualmente
disponibili per il Paese target), relativi a macro categorie merceologiche che comprendono i prodotti di
interesse, e stima l'incidenza relativa di questi ultimi sul totale: in questo caso, si tratterebbe infatti soltanto
di stimare la percentuale di incidenza e moltiplicarla per i consumi della macrocategoria di interesse.
Qui di seguito sintetizziamo le caratteristiche principali dei metodi “judgmental” che riteniamo valga la pena
considerare64:
A.
Bottom-up
Parte dalla stima del numero di distributori e/o utenti (operatori) nel mercato o nell’area di interesse,
ripartiti nelle categorie target (ad esempio, supermercati, dettaglio tradizionale, ristoranti, ecc.) e del
loro consumo/utilizzo/acquisto pro-capite (mercato effettivo, sia pure in buona parte a livello di
intermediario).
Sulla base di tali stime, vengono poi indicati i target di clientela da contattare (mercato pertinente),
compatibilmente con la struttura dell’organizzazione commerciale prevista dall’azienda (numero di:
clienti da visitare su base anno, visite medie per cliente, visite/venditore/giorno, giornate medie/anno di
lavoro sul campo per venditore, venditori da assegnare al mercato). A questo proposito, è quindi
comunque utile per una verifica della coerenza delle stime sull’articolazione della struttura
commerciale.
Eventualmente integrabile da altre stime sul tasso di copertura e penetrazione della clientela, si presta
agevolmente a proiezioni di quota di mercato.
63
I nomi assegnati a tali metodi sono nostri, in quanto la letteratura non entra normalmente in dettagli metodologici,
almeno per quanto riguarda l’utilizzo di stime.
64
Questi tre metodi sono stati concretamente tradotti in modelli su foglio elettronico come supporto alle attività di
assistenza fornite alle PMI dai consulenti dell’Istituto Nazionale per il Commercio con l’Estero (ICE).
63
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 9.1 – Principali metodi di stima dei potenziali di mercato
extrapolation
(es. serie
temporali)
desk (a
tavolino)
causative (es.
regressione
multipla)
judgmental
(basati
prevalentemente
su stime)
metodi di
previsione
field (sul
campo)
quantitative
(es. indagini
campione, mkt
tests)
bottom-up
benchmark
top-down
qualitative
surveys (es.
Delphi, scenari)
mixed (es.
schede clienti)
B.
Benchmark (analogico)
Parte dal potenziale eventualmente noto di un’area di mercato benchmark (ad esempio, paese, regione
o provincia) e stima il potenziale del mercato target attraverso un confronto fra i profili dei due mercati
con riferimento a un certo numero di variabili socio-economico-demografiche considerate rilevanti (ad
esempio, popolazione, consumi pro-capite di determinati beni, incidenza percentuale della produzione
industriale sul prodotto lordo, ecc.):

i dati dell’area target, per le variabili prescelte, vengono rapportati ai dati corrispondenti per l’area
benchmark, ricavando dei moltiplicatori o demoltiplicatori (a seconda che il dato target sia
rispettivamente superiore o inferiore a quello benchmark)

se la variabile considerata è inversamente correlata al potenziale di mercato (ad esempio, tasso di
disoccupazione), il rapporto fra i dati viene invertito (ossia, il numeratore diventa denominatore, e
viceversa)

i moltiplicatori o demoltiplicatori così ricavati vengono ponderati in funzione dell’importanza relativa
assegnata alle variabili cui si riferiscono: l’indice medio ponderato così calcolato viene moltiplicato
per la dimensione del mercato benchmark, ottenendo una stima dell’ordine di grandezza del mercato
target.
Questo metodo richiede un numero di stime inferiore rispetto ai metodi A e C, ma si presta meno di
questi a essere integrato con proiezioni di quota di mercato.
C.
Top-down
Parte dalla stima del numero teorico di consumatori/utenti che appartengono presumibilmente al
segmento prodotto/mercato di interesse e arriva, attraverso filtri successivi basati su stime percentuali,
al numero di consumatori/utenti “disponibili”, “effettivi” e “pertinenti” per l'azienda; presuppone anche,
per questi tre ultimi livelli, la stima dei consumi pro-capite.
Anche questo metodo può prestarsi a essere integrato con proiezioni di quota di mercato, soprattutto in
contesto B2B.
64
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Un’indicazione di massima65 dell’applicabilità dei modelli in funzione, soprattutto, della disponibilità di dati da
parte dell’utilizzatore, è fornita dalla seguente figura:
Fig. 9.2 – Indicazioni di massima sulla scelta del modello da utilizzare
Start
sei in un
settore di beni non
durevoli di consumo,
prevedi di servire
direttamente grossisti e/o punti
vendita e/o Ho.Re.Ca. e
puoi stimare in modo
analitico n. di operatori
e acquisti
medi?
no
disponi di dati
sulla dimensione del
mercato in Italia (a quantità)
per il settore e segmento
specifico di tuo interesse e puoi avvalerti di
parametri
socio-economici e demografici per i mercati
esteri?
no, dovrò
avvalermi
esclusivamente
di stime macro
sull'end-user
si
si
benchmark
bottom-up
top-down
Volendo tuttavia “tirare le somme” sul probabile livello qualitativo delle proiezioni che i tre modelli
sono in grado di consentire, al fine di individuare possibili direzioni di miglioramento, riteniamo utile
collocarli, insieme a un’ipotetica “situazione ottimale”, nello spazio a due dimensioni descritto nella figura che
segue.
Fig. 9.3 – Probabile livello qualitativo delle proiezioni consentite dai modelli
Diciamo “di massima”, dato che, con gli opportuni distinguo ed eventuali adattamenti, i tre metodi (in particolare,
“benchmark” e “top-down”, più generalizzabili di “bottom-up”) sono sostanzialmente applicabili alla grande maggioranza
dei settori di attività.
65
65
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Come si può notare, la curva immaginaria su cui si trovano i modelli (rappresentativa, in un certo senso, di
uno dei possibili livelli qualitativi delle proiezioni, in questo caso piuttosto basso), è alquanto lontana dalla
situazione ottimale, anche se i modelli ai due estremi della curva non sono “messi male” su entrambe le
dimensioni (mentre lo è “top-down”): “benchmark” è in grado di utilizzare dati molto probabilmente
disponibili, anche se non sufficientemente specifici, mentre “bottom-up” è sufficientemente analitico e
specifico, ma è improbabile che siano facilmente disponibili dati attendibili che lo alimentano.
A nostro parere, il management dovrebbe preferibilmente sforzarsi di migliorare il proprio bagaglio
informativo (ossia, la disponibilità di dati attendibili) con riferimento a dati il più possibile specifici, e
l’approccio suggerito da “bottom-up” è quello che ci sembra più vicino a questa logica (la lunghezza delle
frecce punteggiate sta a indicare, sempre a nostro parere, il grado relativo di fattibilità di un avvicinamento
alla situazione ottimale).
66
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
10. Impatto del profilo dei Paesi sui fattori di successo
Una volta stimato il potenziale di mercato per i segmenti prodotto/mercato di interesse nel Paese target, è
ovviamente importante valutare in quale misura l’azienda sarà in grado di ritagliarsene una fetta.
Come abbiamo ampiamente visto nel capitolo 7, la capacità dell’azienda di acquisire una quota della porzione
del mercato che sarà materialmente in grado di raggiungere dipende direttamente dalla sua capacità di
soddisfare i criteri di scelta adottati dal mercato (fattori di successo competitivo in senso stretto) almeno un
po’ meglio di alcuni concorrenti, proponendo quindi un rapporto valore/prezzo relativamente più competitivo.
È quindi abbastanza essenziale cercare di capire quali siano i criteri di scelta adottati dal mercato di
sbocco e quale sia la loro importanza relativa per i consumatori target. Anche su questo tema,
l’ideale sarebbe poter condurre adeguate ricerche di mercato (possibilmente di carattere quali-quantitativo),
ma sappiamo benissimo quanto le aziende siano poco abituate a investire in tali attività66.
Mettendoci quindi nei panni dei responsabili di un’azienda media o medio-piccola che desidera chiarirsi le
idee sulle caratteristiche della domanda e sui criteri di scelta da essa adottata, sulla base soprattutto di un
po’ di esperienza (meglio se in mercati simili a quello target), di intuizione e di buon senso, cercheremo di
proporre uno schema di valutazione relativamente coerente, finalizzato a stimare in quale misura alcune
caratteristiche socio-demografiche ed economico-industriali del paese target possano alterare
l’importanza relativa dei criteri di scelta riscontrata, ad esempio, nel paese di origine (o in
qualsiasi altro mercato noto).
Si presuppone quindi che il responsabile aziendale conosca, come minimo e in modo abbastanza
approfondito, il proprio mercato, e sia in grado di valutare in modo sensato i parametri esterni che possono
condizionare la sensibilità della domanda alle componenti del valore (vale a dire, ai criteri di scelta adottati
dalla clientela).
La logica del modello proposto è sintetizzata nella figura che segue: prenderemo in esame, passo per passo,
le varie parti dello schema, con il supporto di semplici elaborazioni su foglio elettronico, il cui risultato verrà
presentato nelle pagine che seguono.
D. Tipo (direzione)
delle relazioni fra
parametri e KSFs
A. Valore dei parametri
rilevanti per i Paesi
benchmark e target
dati reali
stime
input
Fig. 10.1 – Logica del modello di valutazione
calcoli/
output
B. Peso relativo dei
KSFs nel Paese
noto (benchmark)
E. Rapporti fra i
valori dei Paesi
target e quello del
Paese benchmark
Fc. Peso di
ogni KSF
nei Paesi target
C. Impatto relativo
dei parametri sulla
sensibilità del mercato
ai KSFs
Fa. Media ponderata
dei rapporti per tutti i
parametri e per ogni KSF
in ogni Paese
Fb. Media ponderata dei
rapporti per tutti i KSFs
in ogni Paese target
Esistono tecniche di ricerca abbastanza recenti e molto potenti, quali la “conjoint analysis”, che consentono proprio di
stimare con buona approssimazione l’importanza relativa dei criteri di scelta adottati dal mercato e la sensibilità al prezzo
dei potenziali clienti (v. anche il capitolo 12 sul pricing).
66
67
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Come si è detto in altri capitoli di questa parte del libro, l’obiettivo principale del modello è soprattutto quello
di far riflettere sul tipo e l’importanza delle variabili che possono condizionare i risultati aziendali e le loro
relazioni: nel caso specifico, vogliamo valutare la sensibilità del mercato alle offerte dei fornitori nel mercato
target.
Il riquadro in alto a destra della figura indica il tipo di operazione previsto in ogni fase di sviluppo concreto
del modello logico:

il rettangolo centrale in alto identifica la prima fase del lavoro, consistente nella raccolta di dati di input
relativi al paese noto e al paese di sbocco, con riferimento a parametri socio-demografico-economici
ritenuti rilevanti per il settore di interesse

gli altri tre rettangoli identificano invece le stime formulate dal decisore (input), sulla base della propria
esperienza e sensibilità, in merito all’impatto di tali parametri e alle caratteristiche del mercato noto

i riquadri ad angoli smussati descrivono l’output dei calcoli effettuati dal modello sulla base degli input di
cui sopra.
Dati e stime di input
Nella figura che segue sono presentati, a titolo puramente esemplificativo, alcuni dati di input iniziali:

nella parte a sinistra (tabella A), i valori oggettivi delle variabili esogene ritenute rilevanti dal
decisore per lo sviluppo del business di interesse: anche qui, quindi, c’è la componente soggettiva della
scelta delle variabili (come del resto abbiamo visto nel capitolo 8)

nella parte a destra (tabella B), la stima dell’importanza relativa dei criteri di scelta adottati dalla
clientela nel mercato “noto”, preso come benchmark.
Anche a questo proposito, ribadiamo che, almeno in teoria, la scelta delle variabili potrebbe essere effettuata
sulla base di dati specifici di settore (utilizzando, ad esempio, la tecnica della regressione multipla), purché
esistessero dati attendibili ed esaustivi sul valore delle variabili indipendenti (i parametri descrittivi dei paesi)
e la variabile dipendente (ossia, ad esempio, la dimensione del mercato nel settore di interesse): peccato
che, nella realtà, tali dati siano molto raramente disponibili! 67
Fig. 10.2 – Dati oggettivi relativi ai paesi di interesse e stima dell’importanza dei criteri di scelta nel paese
noto, utilizzato come benchmark (esempio)68
A. parametri rilevanti
1 population
2
3
4
5
6
gdp/head
quality of life
econ freedom (2)
area
literacy rate
7 % serv/gdp
8 % mass distrib.
X
200
Y
80
bench (1)
120
10000
18000
12000
60
4
5000
65
80
2
1500
50
50
3
6000
55
10
10
35
45
15
15
B. stima dei pesi dei KSFs
per il Paese benchmark
price brand qual
20% 10% 25%
serv
45%
(1) Valori del Paese preso come riferimento (benchmark).
(2) Indice inversamente correlato alla libertà economica.
Ovviamente, nella realtà, i parametri prescelti per descrivere i Paesi potranno (e dovranno) variare in
funzione degli specifici settori di interesse.
La figura che segue presenta invece le ipotetiche stime effettuate dal decisore su:

67
68
impatto relativo dei parametri descrittivi dei paesi sulla sensibilità del mercato alle diverse
componenti del valore (tabella C a sinistra della figura): ad esempio, si ritiene che la dimensione
della popolazione abbia un possibile effetto (anche se marginale) soltanto sulla sensibilità al servizio, e
nessun effetto sul resto
V. anche quanto detto nella nota precedente riguardo alla valutazione dell’importanza relativa dei criteri di scelta.
Per semplicità, in questo caso il prezzo viene implicitamente considerato come componente negativa del valore.
68
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

direzione dell’impatto (tabella D a destra della figura), vale a dire: il parametro di interesse (ad
esempio, il reddito pro-capite) ha un impatto inversamente proporzionale sulla sensibilità al prezzo e un
impatto direttamente proporzionale sulla sensibilità alla marca (v. i due valori evidenziati).
Fig. 10.3 – Stime dell’impatto relativo dei parametri descrittivi dei paesi sulle componenti del valore, nonché
sulla direzione dell’impatto (esempio)
C. Importanza relativa parametri
price
0%
20%
15%
20%
0%
20%
15%
10%
100%
brand
0%
10%
20%
20%
5%
20%
15%
10%
100%
qual
0%
30%
20%
15%
0%
20%
10%
5%
100%
D. Direzione dell'impatto *
serv
10%
15%
10%
15%
20%
10%
10%
10%
100%
price
1
2
3
4
5
6
7
8
population
gdp/head
quality of life
econ freedom
area
literacy rate
% serv/gdp
% mass distrib.
* 1= diretta
brand
-1
-1
1
1
1
-1
-1
-1
1
-1
1
-1
1
-1= inversa
qual
serv
1
1
1
1
1
-1
-1
1
1
1
1
1
1
1
0= neutrale
Output intermedi e finali calcolati dal modello
Ora che abbiamo esaminato gli input necessari, non ci resta che vedere come il modello li trasformerà in
output intermedi e finali.
Innanzitutto, i valori delle singole variabili sopra viste per il Paese target (presentati più sopra nella
tabella A della figura 10.2), del quale si vuole stimare la sensibilità relativa alle componenti del valore,
vengono rapportati a quelli corrispondenti per il Paese noto, ottenendo dei moltiplicatori o
demoltiplicatori, a seconda che i numeratori del rapporto siano superiori o inferiori ai denominatori (v. figura
che segue).
Se la variabile di interesse è ritenuta inversamente correlata a una specifica componente del valore (v.
tabella D nella figura precedente) il rapporto fra i valori dei Paesi verrà invertito, dividendo il valore relativo
al Paese benchmark per quello del Paese target.
Fig. 10.4 – Rapporti fra i valori di due paesi target e il paese benchmark, con riferimento ai parametri di
interesse e in funzione della direzione dell’impatto
E
1
2
3
4
Paese X
price brand
qual
1,20
0,83
0,83
0,83
1,33
1,20
0,75
1,20
0,75
5
1,20
Paese Y
serv price brand qual serv
1,67
0,67
0,83 0,67
1,50 1,50 1,50
1,20
0,75
0,63
0,67
0,83
1,60
1,50
4,00
1,60
1,50
1,60
1,50
0,25
6
7
0,85
1,50
1,18
0,67
1,18
0,67
1,18
0,67
1,10
0,43
0,91 0,91 0,91
2,33 2,33 2,33
8
1,50
0,67
0,67
0,67
0,33
3,00 3,00 3,00
Se prendiamo come esempio il Paese X e il parametro n. 2 (reddito pro-capite), notiamo quindi che (valori
evidenziati in figura):

essendo la sensibilità al prezzo inversamente correlata al reddito (v. tabella D nella figura
precedente), rapportiamo il valore del reddito del Paese benchmark ($ 12,000) a quello del Paese target
($ 10.000), ottenendo 1,20
69
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

d’altra parte, essendo la sensibilità al “brand” direttamente correlata al reddito, rapportiamo il
valore del reddito del Paese target ($ 10,000) a quello del Paese benchmark ( $ 12,000), ottenendo 0,83.
In sostanza, possiamo per ora dire che, considerando soltanto il reddito pro-capite, il Paese target
ha una maggiore sensibilità al prezzo (+20%) e una minore sensibilità al brand (-17%) rispetto al
Paese benchmark.
Ma “quanto contano” (ossia, quanto sono importanti) queste proporzioni, se vogliamo valutare
complessivamente la sensibilità del Paese target al prezzo e al brand (la medesima valutazione verrà
evidentemente fatta per la qualità e il servizio) relativamente al Paese benchmark?
Nella figura che segue vediamo che, per ognuna delle componenti del valore, i diversi moltiplicatori o
demoltiplicatori calcolati nel modo di cui sopra per tutti i parametri di interesse (tabella E) vengono ponderati
in funzione della loro importanza relativa precedentemente stimata (tabella C).
Fig. 10.5 – Ponderazione dei rapporti precedentemente calcolati, in funzione dell’importanza relativa stimata
dei parametri cui si riferiscono (Paese X vs. Paese benchmark)
E
1
2
3
4
5
6
7
8
F (X)
price
1,20
0,83
1,33
0,85
1,50
1,50
1,18
Paese X
brand
qual
0,83
1,20
0,75
1,20
1,18
0,67
0,67
0,83
1,20
0,75
1,18
0,67
0,67
serv
1,67
0,83
1,20
0,75
0,83
1,18
0,67
0,67
0,94
0,94
0,94
population
gdp/head
quality of life
econ freedom
area
literacy rate
% serv/gdp
% mass distrib.
C. Importanza relativa parametri
price
brand
qual
serv
0%
0%
0%
10%
20%
10%
30%
15%
15%
20%
20%
10%
20%
20%
15%
15%
0%
5%
0%
20%
20%
20%
20%
10%
15%
15%
10%
10%
10%
10%
5%
10%
100%
100%
100%
100%
medie ponderate
Prendendo come esempio il brand, vediamo quindi che il Paese X è mediamente meno sensibile
rispetto al Paese benchmark, e così via per le altre componenti del valore e l’altro Paese target.
Possiamo allora calcolare un moltiplicatore medio complessivo per i due Paesi target, ponderando i
moltiplicatori appena trovati in funzione dell’importanza relativa delle componenti del valore nel Paese
benchmark (v. figura che segue).
Fig. 10.6 – Moltiplicatori o demoltiplicatori medi per i due Paesi target
F (x)
Paese X
1,18
0,94
0,94
0,94
F (y)
0,99
Paese Y
0,68
1,80
1,56
1,35
1,31
B. stima dei pesi dei KSFs per il
price
Paese benchmark
brand qual
serv
20%
10%
25%
45%
Si può notare che, rispetto al profilo del Paese benchmark, il Paese X è mediamente allineato (la media
ponderata dei moltiplicatori si discosta di pochissimo da 1), mentre il Paese Y se ne distanzia mediamente in
modo significativo.
70
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Tuttavia, questi risultati derivano, per l’appunto, da una media ponderata di moltiplicatori abbastanza diversi,
soprattutto per il Paese Y. Se vogliamo stimare il peso relativo di tali moltiplicatori sulla media e, quindi, in
quale misura l’importanza relativa delle singole componenti del valore si modifica nei Paesi
target rispetto alla situazione riscontrata nel Paese benchmark (v. figura che segue), possiamo:

rapportare il moltiplicatore relativo a una singola componente del valore alla media dei moltiplicatori per
un dato Paese target: prendendo questa volta come esempio il Paese Y e la sensibilità al brand, avremo
quindi 1,80/1,31=1,37

moltiplicare tale risultato per il peso della componente di interesse nel Paese benchmark:
1,37*10%=14% (arrotondando).
Altrettanto verrà fatto per le altre componenti del valore nei due Paesi target.
In pratica, la proporzione fra il singolo moltiplicatore e il moltiplicatore medio enfatizza (come nel caso
appena visto) o de-enfatizza l’importanza relativa della componente del valore considerata nel Paese target
rispetto a quella del Paese benchmark.
Possiamo quindi interpretare i pesi stimati delle componenti del valore per i Paesi target, rispetto a quelli del
Paese benchmark, nel modo seguente (parte destra della figura 10.7):

il Paese X è probabilmente più sensibile al prezzo e relativamente meno alle altre componenti

il Paese Y è probabilmente molto meno sensibile al prezzo e relativamente molto più sensibile a
brand e qualità.
Fig. 10.7 – Calcolo dei pesi delle componenti del valore per i Paesi target
1° step
2° step
Paese X
1,18
0,94
Paese X
0,94
0,94
0,99
1,18
0,94
0,94
0,94
0,99
24%
9%
24%
43%
100%
0,68
1,80
1,56
1,35
1,31
10%
14%
30%
46%
100%
Paese Y
0,68
1,80
Paese Y
1,56
1,35
1,31
*
1,37
B. stima dei pesi dei KSFs per
il Paese benchmark
price brand qual
serv
20%
10%
25%
45%
In conclusione
Il modello qui proposto potrà sicuramente sembrare un po’ artificioso e teorico 69. D’altra parte, in assenza
di dati più attendibili raccolti attraverso ricerche di mercato approfondite e inevitabilmente costose
(situazione molto diffusa, soprattutto nell’ambito delle PMI), l’approccio appena descritto presenta,
come minimo, i seguenti vantaggi:

costringe a fare mente locale sui fattori di successo competitivo nel settore di interesse e sulla loro
importanza relativa, quanto meno sul mercato domestico
69
Non ci dilunghiamo quindi su possibili sofisticazioni del modello (standardizzazione dei valori dei parametri socioeconomico-demografici sulla base di “range” modificabili) che consentirebbero di renderlo più flessibile e adattabile in
funzione dell’eventuale disponibilità di informazioni più attendibili raccolte di volta in volta sui mercati di interesse,
migliorando così le sue capacità “predittive”.
71
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

fa riflettere sui parametri socio-economico-demografici che possono condizionare e alterare il
profilo di tali fattori in un qualsiasi mercato estero

fa riflettere sull’importanza relativa di tali parametri per il settore di interesse

costringe a raccogliere dati aggiornati e attendibili sui valori di tali parametri nei mercati oggetto di
analisi

come tutti i modelli di questo tipo (basati sostanzialmente su stime), è sistematico ed esplicito, e si
presta a essere discusso, rettificato e aggiornato.

consente di alimentare in modo altrettanto sistematico il modello di supporto alle decisioni di
destinazione delle risorse visto nel capitolo 7

richiede soltanto un po’ di lavoro e di fatica mentale.
Per contro, è ovviamente impreciso, e il livello di sensatezza delle sue conclusioni dipende direttamente
dalla professionalità, esperienza e sensibilità di chi lo utilizza.
D’altra parte, quali sono le possibili alternative a questo approccio?

o si fanno ricerche di mercato serie sul profilo e il comportamento della clientela potenziale (ordine di
grandezza degli investimenti nel 2008: da 20 a 80.000 euro, in funzione dei settori e dei mercati
geografici), ottenendo comunque indicazioni con inevitabili margini di errore

oppure si decide in ogni caso la destinazione delle risorse (come del resto si è sempre fatto!) senza
esplicitare la logica delle proprie decisioni e senza poter alimentare nel tempo, grazie a continui confronti
fra previsioni, decisioni e risultati effettivi, una base di conoscenze accessibile e condivisibile, utile a
migliorare il processo decisionale e le capacità di pianificazione.
72
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
11. La scelta delle modalità di ingresso e di presenza
Nei capitoli precedenti abbiamo affrontato i temi della scelta dei paesi di sbocco, della stima dei potenziali di
mercato nell’ambito dei Paesi prescelti e della stima dell’importanza relativa dei criteri di scelta adottati nella
decisione di acquisto in funzione delle caratteristiche dei settori e dei Paesi.
Inutile dire che, al fine di prendere la decisione strategica fondamentale sulle modalità di ingresso e di
presenza sul mercato, tali valutazioni dovrebbero essere integrate, come minimo, da ulteriori
approfondimenti sui seguenti aspetti:

caratteristiche e comportamento dei principali concorrenti, tendenze previste

ove applicabile, caratteristiche e comportamento dei potenziali fornitori e dei canali distributivi

caratteristiche, obiettivi, strategie di fondo e risorse dell’azienda.
Abbiamo già trattato una parte di questi temi, sia pure superficialmente, tenuto conto delle finalità di questa
prima parte del testo, orientata a una panoramica complessiva sulle problematiche strategiche in ottica di
internazionalizzazione, e tratteremo il tema dei canali nel capitolo 13.
Per ulteriori approfondimenti, rinviamo soprattutto a testi di strategia e marketing, marketing internazionale
e ricerche di mercato, assumendo in questa sede che, in vista della decisione sulle modalità di ingresso in un
Paese, le problematiche sopra elencate siano già state tutte adeguatamente affrontate.
Le principali alternative
Le principali strategie di presenza all’estero sono classificabili in base alle dimensioni descritte nella figura
che segue:

luogo della produzione: nel paese di origine (con esportazione all’estero), nei mercati di sbocco o in
altri mercati (dai quali si esporterà poi nei paesi di sbocco o addirittura nel paese di origine)

grado di coinvolgimento societario e/o contrattuale all’estero.
Dall’angolo in alto a sinistra della figura (esportazione semplice) a quello in basso a destra
(produzione diretta e integrata all’estero) aumentano, almeno tendenzialmente, il grado di commitment
da parte dell’impresa (con i conseguenti impegni finanziari e organizzativi) e le probabilità di rispondere
efficacemente alle esigenze del mercato.
Nelle pagine che seguono ci riferiremo in particolare, più o meno esplicitamente, al caso di aziende
manifatturiere (e non di servizi), alle produzioni di serie (e non su commessa), nonché alle ipotesi di
presenza autonoma, rinviando alcuni cenni al tema delle alleanze al capitolo successivo.
Al fine di meglio esplicitare concretamente un possibile approccio alla scelta fra le varie alternative,
concentreremo l’attenzione su alcune di queste opzioni, con riferimento a un ipotetico settore di attività,
mentre non considereremo fra queste il “private labeling” (produzione per conto di un’azienda cliente – ad
esempio, una catena di supermercati – che commercializza il prodotto sotto il proprio marchio), il franchising
commerciale (la formula di franchising più diffusa e ben nota a chiunque) e il “piggybacking” (sfruttamento
dell’organizzazione commerciale di un’azienda già presente sul mercato, che aggiunge il prodotto dell’azienda
interessata alla propria gamma di offerte e lo commercializza insieme ai propri prodotti).
Le principali alternative nell’ambito della strategia di esportazione
Come già osservato nel capitolo 5, la strategia di esportazione è sicuramente quella più diffusa,
anche se in alcuni settori sta diventando sempre più inadeguata a fronteggiare efficacemente le minacce
concorrenziali, che ormai provengono da tutte le parti del mondo, da aziende sempre più sensibili alle
esigenze di “massa critica”, più facilmente ottenibile attraverso investimenti diretti.
I testi di marketing internazionale si limitano, molto semplicisticamente, a identificare due ipotesi estreme di
strategia export: quella diretta (gestita dall’azienda) e quella cosiddetta “indiretta” (gestita da
un’organizzazione indipendente, come la trading company, nel Paese di origine dell’azienda stessa).
73
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 11.1 – Principali alternative di presenza all’estero
Grado di coinvolgimento all ’estero (proprietà
O altri accordi di collaborazione)
ubicazione attività produttiva
Altri
Paese
Paese
d’origine
di sbocco
Paesi
nessuno
franchising
alleanze
e accordi
joint-ventures
acquisizioni
export
franchising
commerciale
private
labeling
piggybacking
franchising
produttivo
licensing *
contract manufacturing
assemblaggio
altre
modalità
produzione integrata
“greenfield”
* Da non confondersi con il licensing di nomi, marchi, disegni.
A nostro parere le alternative significativamente diverse sono molto più numerose, sia dal punto
di vista della loro efficacia sul mercato, sia da quello del loro profilo economico (in particolare, rapporto fra
costi fissi e costi variabili), sia infine da quello della gestione amministrativa e fiscale.
Ciò è soprattutto dovuto al fatto che l’attività di esportazione può assumere configurazioni molto diverse a
seconda della combinazione fra scelte di canale distributivo e scelte di tipologia di organizzazione di vendita,
temi per i quali rinviamo a testi di marketing e marketing internazionale.
Limitiamoci quindi a identificare le principali combinazioni elementari, sulla base di due criteri di
analisi:

chi fattura dal paese d’origine ed è responsabile della vendita?

a chi è intestata la fattura nel paese di sbocco, e da chi compra?
Grazie all’incrocio di tali criteri possono essere identificate almeno sedici alternative elementari di
modalità di esportazione (v. figura alla pagina seguente), senza contare le diverse tipologie di distributori
indipendenti che possono effettuare il primo acquisto (importatori in senso stretto, dealer/concessionari,
grossisti, grande distribuzione, dettaglianti indipendenti), né l’esame delle possibili diverse strutture
distributive nel paese di sbocco (a valle della prima fatturazione Italia-estero).
È sicuramente una situazione po’ più complessa di quella descritta dalla letteratura tradizionale in materia,
che si limita a identificare due o tre alternative generiche!
Da quanto vedremo ben presto sarà evidente che, in funzione dell’alternativa prescelta, potrà
cambiare in modo molto significativo il profilo di performance di mercato ed economico-finanziaria
dell’azienda.
Comunque, sarà meglio che, a tal fine, cerchiamo di semplificare l’analisi selezionando al massimo due o tre
incroci particolarmente significativi e diversi l’uno dall’altro, ad esempio:
74
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 11.2 – Possibili configurazioni base della strategia di esportazione
9
10
con
agenti
2
7
12
3
8
13
trading
company
nessun
intermediario
distributivo
almeno un
intermediario
11 14 15
almeno due
intermediari
16
* con esclusione del pyggibacking
da agenti
locali
6
1
filiale locale
da venditori
diretti
5
con
forza
vendita
diretta
da agenti
locali
direttamente
dall’origine
4
distributore
indipendente
da venditori
diretti
da agenti
locali
franchisee
(distributore)
direttamente
dall’origine
utente finale
da venditori
diretti
la nostra
azienda
Paese
d’origine: chi
gestisce la
vendita e la
fatturazione?
organizzazione esterna
direttamente
dall’origine
Paese di sbocco:
chi compra per
primo e
da chi?
non applicabile
o irrilevante

alternativa 1: esportazione con forza vendita diretta italiana (ad esempio, l’export manager o il direttore
vendite) direttamente all’utilizzatore, senza intermediari distributivi70

alternativa 13: esportazione tramite una trading company in Italia a un distributore indipendente
all’estero (ad esempio, un dealer), quindi con almeno due intermediari distributivi

alternativa 14: esportazione a un dealer all’estero tramite forza vendita diretta in loco, che risponde in
Italia all’export manager o al direttore vendite di cui sopra, quindi con almeno un intermediario
distributivo.
Le principali alternative nell’ambito della strategia di produzione all’estero
Ma, prima di affrontare il tema della valutazione delle diverse alternative, vediamone alcune altre,
nell’ambito non più dell’esportazione, ma della scelta di produrre nel mercato di sbocco. Le
alternative elementari sono quelle elencate qui sotto in ordine più o meno crescente dal punto di vista
dell’entità dell’impegno diretto da parte dell’azienda interessata:

licensing di produzione

franchising di produzione

contract manufacturing

assemblaggio

produzione completamente integrata all’estero (greenfield).
70
Per “intermediario distributivo” intendiamo “chi compra per rivendere” (con il passaggio del titolo di proprietà):
evitiamo quindi di considerare la forza vendita come “intermediaria”, anche qualora si trattasse di agenti indipendenti (la
cui attività esclude normalmente l’acquisto, a meno che non svolgano “anche” il ruolo di distributori). La grande
maggioranza dei testi di marketing e marketing internazionale parla di “intermediari” accomunando e confondendo sotto
tale concetto sia i distributori che gli agenti, come se si trattasse di scelte di canale alternative, anziché, come spesso
accade, complementari (e, comunque, con profili strategico-economico-contrattuali totalmente diversi).
75
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Si va infatti dalla semplice cessione della licenza di produzione a un’azienda straniera (che commercializzerà i
prodotti in nome proprio) al coinvolgimento totale dell’azienda interessata con uno o più stabilimenti di
produzione integrata.
Inutile dire che queste alternative comportano gradi di complessità molto variabili, anche e soprattutto dai
punti di vista organizzativo e contrattuale.
Inoltre, a valle delle scelte di produzione, restano evidentemente percorribili diverse scelte in termini di
canali distributivi e di vendita, temi già in parte visti precedentemente.
In ogni caso, anche qui semplificheremo e valuteremo in particolare licensing, contract manufacturing
(attività di produzione effettuata da un’azienda sul mercato estero per conto dell’azienda italiana interessata,
che poi gestirà direttamente la commercializzazione in nome proprio71) e assemblaggio, che sono fra l’altro
le modalità relativamente più diffuse, a parte il franchising di produzione 72.
Aggiungendo ora a queste alternative le tre precedentemente selezionate nell’ambito delle possibili modalità
di esportazione, abbiamo la lista delle sei alternative che potremmo ritenere teoricamente plausibili
in un caso specifico, ad esempio se operassimo nel settore delle attrezzature e macchine per il
giardinaggio:

esportazione diretta all’utilizzatore

esportazione indiretta, tramite trading company, che rivende a dei dealer

esportazione diretta ai dealer

licensing di produzione

contract manufacturing

assemblaggio
Approfondimenti sull’international licensing di marchi, nomi, personaggi
Prima di procedere è opportuna una precisazione. Il licensing è una delle alternative di presenza produttiva
all’estero appena viste: solitamente viene descritto con riferimento a prodotti e tecnologie e, come tale, è
motivato essenzialmente da considerazioni strategiche “difensive” e di ripiego (è infatti appetibile, in
particolare, per aziende che non dispongono di risorse sufficienti per intraprendere iniziative più aggressive
quali l’investimento diretto all’estero).
Vi sono però altre forme di licensing molto più innovative e propositive, che non riguardano
l’attività manifatturiera o di servizio delle aziende, ma altre entità quali marchi, nomi, immagini o
personaggi che, grazie alla popolarità acquisita sul mercato nel proprio settore di appartenenza (ad
esempio, il marchio Ferrari nell’automobilismo, quelli dell’Inter o del Manchester United nel calcio), diventano
occasioni di business, sia in Italia che all’estero, in un’ampia gamma di settori alternativi (ad esempio,
utilizzo dei marchi appena citati per la produzione di magliette, berretti, accendini, orologi, occhiali, ecc.
ecc.).
È chiaro che, per assumere il ruolo di licensor (l’azienda che cede l’utilizzo del marchio, del nome, ecc.)
bisogna che l’oggetto della cessione abbia una notorietà molto elevata, cosa evidentemente non
proponibile per la grande maggioranza delle PMI.
Invece può essere molto più fattibile assumere il ruolo di licensee, “attaccando” ai propri prodotti
qualche nome o marchio di risonanza globale, oppure addirittura creando nuove linee di prodotto o servizio
che sfruttino tale opportunità.
È tuttavia abbastanza evidente che quest’ultima alternativa è perseguibile soltanto a determinate condizioni:

innanzitutto, è proponibile soprattutto per aziende operanti nel settore consumer, anche se vi
possono essere possibilità di utilizzo di marchi nel settore business-to-business, particolarmente al fine di
Evidentemente, questa formula di “outsourcing” della produzione è applicata anche sul mercato domestico.
Il franchising di produzione è tipico del settore dei servizi, in cui ovviamente il servizio (ad esempio, quello di
ristorazione) non può essere “commercializzato” attraverso la distribuzione, ma deve essere prodotto contestualmente
alla sua erogazione (vi sono rari esempi di franchising di produzione di beni, ad esempio quello adottato da Coca Cola).
71
72
76
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
sviluppare la notorietà di marca presso, ad esempio, responsabili di uffici acquisti (si pensi ad agende o
ad altro materiale personalizzato73)

inoltre, se gestita in modo serio e con obiettivi ambiziosi, va comunque abbinata a strategie di
presenza di tipo tradizionale, finalizzate ad affermare i prodotti che sfruttano il nome, il marchio o
l’immagine di cui si è ottenuta la licenza.
La valutazione delle alternative
L’approccio metodologico che proponiamo per valutare, in generale, alternative decisionali e, in
particolare, le sei “finaliste” sopra descritte per il settore delle attrezzature e macchine per il giardinaggio, è
quello sinteticamente descritto nella figura che segue.
funzionale,
tecnica,
organizzativa,
societaria
profilo del
Paese e
dell’ambiente
profilo
dell’azienda
profilo del
settore
“peso” dei criteri
alternative
criteri di valutazione
configurazione
alternative
Fig. 11.3 – Modello logico per la scelta fra alternative di presenza all’estero sulla base di più criteri
“voto”
delle
alternative
in rapporto
ai criteri
performance stimata delle alternative
Da un punto di vista logico, il modello proposto è praticamente identico a quello che avevamo discusso nel
capitolo 8, a proposito della scelta fra i paesi di sbocco:

al posto dei paesi ora abbiamo delle alternative di ingresso su un dato paese

al posto delle variabili descrittive dei paesi ora abbiamo dei criteri di scelta fra le alternative

al posto del “peso” assegnato alle variabili ora avremo un “peso” assegnato ai diversi criteri

al posto dei valori delle variabili descrittive di ogni paese ora abbiamo i “voti” da assegnare alle
diverse alternative con riferimento ai criteri adottati.
La principale differenza rispetto al caso della scelta fra i paesi, in cui le caratteristiche dei medesimi erano
descritte da dati oggettivi, nel caso della scelta fra strategie di ingresso tutto è molto più
soggettivo e ancor più influenzato dai profili del settore e dell’azienda di interesse, oltre che da quello del
paese prescelto.
Tuttavia, ciò che soprattutto conta, come in tutti i casi in cui si debbono prendere decisioni fra diverse
alternative sulla base di molteplici criteri, è infatti l’esplicitazione sistematica del nostro modo di
ragionare e delle ipotesi sottostanti la scelta finale.
73
In questo caso, è evidente che si sconfina nel campo della promozione vendite e dei supporti pubblicitari, ma nulla
impedirebbe di commercializzare prodotti di questo tipo (qualora fossero particolarmente innovativi e utili all’acquirente),
al di là dell’utilizzo puramente promozionale (basti pensare alla vita autonoma e al valore di mercato che ha ormai
acquisito il calendario Pirelli).
77
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
L’alternativa sarebbe quella di scegliere comunque, in modo più o meno intuitivo e quasi mai
esplicito e formalizzato, come infatti finiscono per fare le aziende quando, come nel caso in esame,
decidono le proprie modalità di presenza all’estero.
Vediamo ora, a titolo esemplificativo, come applicare concretamente questo modello logico allo
specifico caso delle sei “finaliste” (modalità di ingresso) sopra viste per il settore delle
attrezzature e macchine per il giardinaggio.
Presupponiamo quindi che un’ipotetica azienda operante in questo settore abbia identificato tali modalità
come plausibili: ovviamente, per poterle valutare, dovrà averle precisate in modo concreto da uno o più dei
seguenti punti di vista, ove applicabili: funzionale, tecnico, organizzativo, societario.
Ad esempio, quale profilo di dealer o di trading company per le alternative di esportazione? È evidente che le
caratteristiche specifiche di tali interlocutori possono essere molto diverse e consentire risultati di
penetrazione sul mercato drasticamente diversi (dal successo all’insuccesso): si vede quindi come anche
questa scelta preliminare (l’identificazione delle alternative) possa essere estremamente soggettiva. Qui
ipotizzeremo una buona conoscenza delle alternative disponibili e della situazione di contesto in cui ogni
alternativa potrebbe calarsi.
Per quanto riguarda i criteri di valutazione, proponiamo i seguenti:

entità degli investimenti produttivi e/o commerciali (di struttura e discrezionali)

rischio di perdita totale degli investimenti

possibilità di conoscenza del mercato

possibilità di controllo delle risorse aziendali e, in particolare, degli strumenti di marketing

rapidità di ingresso sul mercato

posizione di mercato raggiungibile a medio termine

economie di scala e sinergie ottenibili

redditività ottenibile a medio termine

certezza degli incassi

rischio di concorrenza.
I criteri sono autoesplicativi, salvo forse l’ultimo, che si riferisce alla possibilità di crearsi, proprio a causa
della strategia di presenza prescelta, un concorrente in più. Tale rischio è tipico del licensing: il licenziatario,
una volta acquisito il know-how dalla nostra azienda, potrebbe diventare un nostro concorrente su mercati
diversi da quello di interesse (o addirittura sul nostro mercato nazionale).
Ovviamente, chi decide dovrà assegnare ai diversi criteri un “peso” relativo (ad esempio, come
consuetudine, in percentuale), in funzione degli obiettivi aziendali, dei propri valori e del proprio modo di
pensare e di “sentire” (ad esempio, propensione ad assumere rischi): non dimentichiamo, infatti, che le
decisioni vengono prese dalle persone, non dalle aziende!
Infine, ognuna delle alternative (nel nostro caso le sei diverse modalità identificate) dovrà essere
“votata” in funzione dei diversi criteri.
Nel caso specifico, possiamo ipotizzare, per semplicità, che a ogni alternativa venga assegnato un “voto” da
0 a 10 su ogni criterio. Nella realtà, ci si dovrebbe sforzare di arrivare a un voto basato il più
possibile su analisi approfondite e su dati un po’ più oggettivi rispetto alle semplici
“sensazioni”: ad esempio, sviluppando una bozza, sia pure abbastanza approssimativa, di piano strategico
ed economico-finanziario per ognuna delle alternative considerate, che consenta di quantificare almeno le
stime di quote, ricavi, costi, tempi e probabilità di successo o insuccesso (alcuni parametri, quali “conoscenza
del mercato” e “grado di controllo”, saranno comunque difficili da quantificare).
La figura che segue sintetizza una possibile ipotesi di confronto fra le alternative identificate, sulla base delle
considerazioni di cui sopra.
78
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 11.4 – Valutazione esemplificativa di sei alternative di ingresso all’estero per un’azienda del settore
“attrezzature e macchine per il giardinaggio”
export
diretta a diretta a
criteri
n. descrizione
peso
user
dealer
produzione
trading
licensing
contract
assembly
1 investimenti (1)
5%
7
4
9
10
8
2
2 rischio (1)
5%
7
5
8
8
8
4
3 conoscenza mercato
12%
8
6
1
0
4
7
4 controllo risorse
12%
9
5
1
0
6
8
4%
6
5
7
4
5
3
6 quota di mercato
23%
6
6
7
5
7
8
7 economie di scala
4%
7
7
7
0
3
6
18%
6
5
4
3
6
7
10%
7%
5
9
7
7
8
6
6
3
8
5
8
10
100%
6,9
5,7
5,2
3,6
6,2
7,1
5 rapidità
8 redditività
9 certezza incassi (2)
10 concorrenza (1)
voto complement
medio ponderato
(1) Voto inversamente proporzionale al livello stimato di investimenti, rischio e concorrenza.
(2) Le alternative "contract" e "assembly" presuppongono una successiva vendita ai dealer.
Da questa ipotetica analisi sembra che abbia una certa prevalenza l’ipotesi della produzione locale con
assemblaggio, sicuramente perché è stato dato un peso maggiore, ad esempio, alla quota di mercato (su
questo criterio l’assemblaggio in loco ha il voto più alto) e un peso relativamente inferiore agli investimenti e
al rischio (in cui l’assemblaggio è svantaggiato rispetto a tutte le altre alternative).
Quale alternativa sceglieremo? La prima e l’ultima sono molto vicine come punteggio, per cui dovremo
come minimo porci tre o quattro domande:

abbiamo correttamente identificato e definito le alternative più interessanti?

abbiamo considerato tutti i criteri più importanti per valutarle?

abbiamo attribuito i voti alle diverse alternative considerando correttamente le caratteristiche di
ognuna e del contesto di paese e di mercato in cui si calerebbe se venisse prescelta?

siamo sicuri che l’importanza relativa dei criteri per la nostra azienda sia quella espressa dalle
percentuali della tabella?
Se l’analisi verrà condotta in modo accurato e se queste domande otterranno risposte approfondite,
qualsiasi decisione venga presa sarà, quanto meno, una decisione ponderata, basata su una
logica e su criteri espliciti e sistematici. Chi prenderà la decisione potrà sicuramente sbagliarsi, e
probabilmente sbaglierà, ma ciò non sarà certo dovuto a superficialità e improvvisazione.
79
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
12. Strategie e politiche di prezzo
Il tema della definizione dei prezzi, presupponendo di aver preliminarmente individuato i segmenti
prodotto/mercato più appetibili nel Paese di sbocco e aver definito la configurazione dell’offerta di valore da
proporre alla clientela potenziale (per questi temi rinviamo ai migliori testi di strategia e marketing
strategico), anche in funzione delle modalità di ingresso e di presenza trattate più sopra, è particolarmente
critico in una prospettiva internazionale.
È infatti elevato il rischio che l’inevitabile incremento di alcuni costi operativi (fissi e variabili:
strutture di vendita, comunicazione, viaggi, trasporti, assicurazioni, tasse di importazione, ecc.) condizioni
la formazione dei prezzi e, spesso anche a causa dell’allungamento dei percorsi distributivi (v. oltre),
finisca per mettere l’offerta aziendale fuori mercato.
Riteniamo quindi utile, prima di affrontare il tema specifico dell’international pricing, cercare di chiarire
quanto sia errata la diffusa abitudine di far dipendere la determinazione dei prezzi dal calcolo dei costi,
richiamando poi brevemente le logiche cui le aziende dovrebbero invece ispirarsi in qualsiasi mercato,
compresi ovviamente quelli internazionali.
Come sbagliare i prezzi basandosi sui costi
I risultati di una ricerca condotta in Italia74 mostrano che almeno il 70% delle aziende intervistate decide i
prezzi, almeno in prima battuta, sulla base dei costi del prodotto (costi “pieni”, comprendenti il costo
variabile e una quota dei costi fissi ripartiti in base alle unità prodotte).
Riteniamo sia a tutti ovvio che l’acquirente di qualsiasi bene o servizio effettua le sue scelte (fra le
alternative eventualmente disponibili, e nel contesto di specifiche esigenze) sulla base di un confronto (più o
meno consapevole) dei rapporti fra il valore percepito delle diverse offerte e le contropartite economicofinanziarie richieste dai fornitori (i prezzi e le condizioni di pagamento).
Visto dalla parte del fornitore che vuole produrre ricchezza per la propria azienda attraverso il
soddisfacimento delle esigenze del mercato (e se non riuscisse a soddisfare tali esigenze non venderebbe
nulla, ma venderebbero i suoi concorrenti!), il meccanismo può essere sintetizzato come si è visto nella
figura 1.1 proposta all’inizio di questa parte del libro.
Crediamo sia evidente che il modello concettuale rappresentato in figura identifica relazioni causa-effetto
reali e “fisiologiche”, e non elucubrazioni puramente teoriche o semplici convenzioni. A parte l’ovvia relazione
fra margini, ricavi e costi e quella altrettanto ovvia fra quantità, prezzo e ricavi:

le quantità vendute presuppongono l’esistenza di una qualsiasi domanda di mercato (comunque
generata) e la capacità dell’azienda di acquisirne una quota

l’acquisizione di una quota della domanda presuppone che il rapporto fra valore percepito dal mercato e
prezzo da questi pagato sia soddisfacente e “competitivo” rispetto alle alternative disponibili

il livello di prezzo è inversamente proporzionale, a parità di altre condizioni, alla propensione all’acquisto,
ma è spesso direttamente proporzionale – contemporaneamente – al valore percepito

il valore che il mercato percepisce dipende in larga misura dagli investimenti (in senso lato), e quindi dai
costi, che l’azienda sostiene per produrlo

gli stessi investimenti aziendali possono contribuire all’espansione del mercato (ad esempio, acquisendo
nuovi consumatori per il settore attraverso campagne di comunicazione), ma resta sempre valida la
logica dell’acquisizione di una “fetta” della “torta” disponibile, a scapito dei concorrenti (comunque si sia
sviluppata la torta).
C’è forse una qualsiasi relazione “fisiologica” e automatica di causa-effetto, nella realtà di
mercato, fra costi (o investimenti) e prezzo? No di certo: se i costi influenzano il prezzo è soltanto
perché qualcuno decide – come vedremo, scorrettamente – in tal senso.
Abbiamo mai deciso un acquisto valutando preventivamente i costi (in particolare quelli fissi!) sostenuti dal
fornitore? … e allora, perché dovrebbe farlo il nostro cliente con riferimento alla nostra offerta?
La ricerca non è molto recente (V. Valdani, Pricing, Etas Libri, 2000), ma riteniamo che i suoi risultati siano, nella
sostanza, ancora attuali.
74
80
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
A parità di altre condizioni, dato uno specifico incrocio prodotto-mercato, una specifica situazione
competitiva (ossia, un nostro profilo competitivo in termini di valore offerto) e all’interno di un intervallo di
variazione del prezzo ben definito, la propensione del mercato ad acquistare dalla nostra azienda
(ossia, a riconoscerci una “fetta” della “torta” dei consumi complessivi) è direttamente collegata al
livello di prezzo.
Questo tipo di relazione viene solitamente descritto dalla famosa “curva di domanda” (relativa, in questo
caso, alla nostra azienda) descritta nella figura che segue (lasciamo perdere per semplicità la considerazione
del potenziale effetto positivo di livelli di prezzo crescenti sul valore percepito, che di fatto muterebbe di
volta in volta il contesto analizzato).
Come si noterà dalla figura, abbiamo evitato di adottare l’approccio degli economisti (prezzo sulle ordinate e
quantità sulle ascisse), per una serie di buoni motivi:

non stiamo parlando di commodities, ma delle vendite della nostra azienda in un determinato contesto
competitivo

è evidente che, dato tale contesto, l’entità della “fetta di torta” da noi acquisita dipende, ovviamente a
parità di altre condizioni, dal prezzo, e non viceversa (freccia punteggiata ad angolo retto nella figura)!

le quantità vendute dipendono, a loro volta, dalla nostra capacità di acquisire una “fetta”, data una certa
dimensione della “torta”: queste ultime (la torta e la fetta) sono le vere variabili che, nella realtà di
mercato, condizionano direttamente le quantità, mentre il prezzo ha soltanto un impatto indiretto (per
l’appunto, attraverso la “fetta”).
Fig. 12.1 – La “curva di domanda” della nostra azienda
curva di domanda
dell’azienda,
dato un livello
specifico di
profilo competitivo
percepito dal
mercato
quota di
mercato Y
fette
di torta
0
prezzo X
prezzi
Si sarà anche notato il muretto che abbiamo tentato di disegnare sopra la curva. Indica che la curva di
domanda è un dato oggettivo e quanto mai reale e concreto, contro il quale si rischia di scontrarsi se
non si è in grado di percepirlo o quanto meno di stimarlo:

il mercato “vede” il nostro prezzo (a parità di valore relativo percepito): se lo alziamo la nostra “fetta” si
riduce, se lo abbassiamo si incrementa

il mercato non è minimamente interessato ai nostri costi!
Il cosiddetto metodo del cost-plus pricing (sintetizzato dalla tristemente nota frase: “Il prezzo del mio
prodotto deve coprire tutti i costi e consentirmi un margine di profitto”) è quindi intrinsecamente illogico
e incongruente, e cercheremo di dimostrarlo con un semplice modellino.
Nella figura che segue sono evidenziati in grassetto corsivo i valori oggettivi, e su fondo retinato i valori
stimati o fissati come obiettivo, mentre il resto è calcolato dal modello):

il costo variabile unitario (cella C4) è ovviamente un dato di fatto
81
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione

per attribuire (in modo, peraltro, totalmente arbitrario) all’unità di prodotto una “responsabilità” di costo
fisso (cella C5) dobbiamo invece prendere i costi fissi totali (altra variabile oggettiva, cella F3) e dividerli
per le quantità che riteniamo di poter vendere (cella F4) o, peggio ancora, per le quantità che decidiamo
di produrre!
Fig. 12.2 – Come (non) funziona il cost-plus pricing
B
C
D
3
costi fissi tot.
4 costo variabile unitario
40
5 costo fisso unitario
20
6 costo "pieno" unitario
60
7 margine desiderato sul prezzo
8 prezzo fissato
E
140
vendite stimate
F
600,000
30,000
70%
200

sommiamo quindi questi due costi unitari e otteniamo il cosiddetto “costo pieno” unitario (cella C6)

se vogliamo un margine del 70% sul prezzo (cella D7), calcoliamo il prezzo (cella C8) dividendo il costo
pieno unitario per [1 meno il margine].
Se si riproduce questo modellino su foglio elettronico, ci si posiziona sulla cella C8 cliccando tre volte di
seguito sull’icona “individua precedenti” della barra “verifica formule” (o analogo strumento in altre versioni
del foglio elettronico), appariranno le frecce evidenziate in figura, dalle quali si vede benissimo che, in ultima
analisi, si è fatto dipendere il prezzo dalle quantità, ossia esattamente il contrario di ciò che
succede nella realtà di mercato!
Ma vediamo perché questo approccio, oltre che “contro natura” da un punto di vista concettuale, rischia di
farci prendere decisioni sbagliate:

cosa faremmo se, nel corso dell’anno, ci accorgessimo che la nostra previsione di vendite (30.000 unità)
era pessimistica e che, al prezzo di 200, potremmo vendere praticamente il doppio?

evidentemente, dovremmo come minimo mantenere il prezzo, ammesso di essere in grado di produrre
60.000 pezzi, o possibilmente aumentarlo in caso contrario

questo comportamento, perfettamente ragionevole (che infatti viene adottato anche da chi abbia usato
inizialmente il metodo del cost-plus), smentisce evidentemente in modo clamoroso l’utilità del metodo
descritto in figura: se infatti inserissimo nella cella F4 del modellino la nuova previsione (60.000), il
prezzo “suggerito” crollerebbe addirittura a 167!
Viceversa, ovviamente, se ci accorgessimo di non riuscire a vendere, a un prezzo di 200, più della metà delle
quantità stimate: il modellino vi “suggerirebbe” di alzare il prezzo addirittura del 33%! Vi immaginate dove
andrebbero a finire le vendite? Non è, quindi, inserendo i costi fissi nella composizione del prezzo
(esercizio inevitabilmente artificioso e senza alcun riscontro reale), che si risolve il problema, anzi:
possiamo star certi che, a meno di colpi di fortuna, con questo metodo perderemo vendite o margini, e
sarebbe difficile ritoccare successivamente i prezzi (soprattutto verso l’alto) in tempi ragionevolmente brevi e
senza scontentare il mercato.
Ricordiamoci, infatti, che il costo fisso unitario non esiste in natura, ma è il risultato di una pura
elaborazione contabile: non si vede quindi che senso abbia usare tale parametro per prendere decisioni che
hanno, invece, un impatto reale sul comportamento del mercato.
In conclusione, è evidente che i costi fissi dovranno essere coperti. Ma questa incombenza dovrà
essere assolta dalla contribuzione totale [ossia, (prezzo – costo variabile unitario) x quantità vendute],
non dal prezzo, che è proprio il fattore che condiziona le quantità vendute attraverso la variabile “fetta di
torta”, data una certa dimensione della “torta”.
Se l’azienda non è in grado di elaborare (e mettere in atto!) scelte strategiche (che si traducono
concretamente in costi variabili, costi fissi e prezzi) in grado di produrre una contribuzione totale che
copra abbondantemente i costi fissi, c’è qualcosa che non va (scelta del segmento? posizionamento
82
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
competitivo? costi variabili sproporzionati rispetto al valore presumibilmente percepito dal mercato? prezzo
incoerente? costi fissi esagerati e non adeguatamente mirati o addirittura insufficienti e sotto massa critica?
ecc.), e non è certo una modifica del prezzo attraverso una ripartizione dei costi che risolverà il problema,
anzi è quasi certo che lo peggiorerà75.
L’approccio corretto alla determinazione dei prezzi
Ammesso, almeno per ora, che il principale obiettivo dell’azienda sia quello di massimizzare la
contribuzione, il problema, riformulato, sarà quindi soprattutto quello di valutare quanto segue:

quale sarà l’impatto di cambiamenti di prezzo sulle quantità richieste dal consumatore?

quale sarà la differenza, in termini di contribuzione netta (in più o in meno) di tali cambiamenti?
Ricordando che il termine “contribuzione”, in generale, si riferisce alla differenza fra benefici e costi
direttamente imputabili a una determinata entità o decisione aziendale e limitandoci a considerare in questo
caso i costi pertinenti, ossia quelli variabili76, sintetizziamo due possibili alternative, in termini di strategia di
prezzo, nella figura che segue.
Fig. 12.3 – Relazione fra prezzi, quantità e contribuzione
b
P
P
A
b’
P’
B
Costo var.
unitario
0
Q
Q’
Q
Le aree dei due rettangoli principali (PbQ0 e P’b’Q’0) rappresentano i fatturati nelle due ipotesi di
prezzo, ossia il prodotto fra i prezzi (questa volta, sull’asse delle ordinate per meglio evidenziarne i diversi
livelli) e le quantità (sull’asse delle ascisse), mentre la linea tratteggiata delimita verso il basso la porzione
dei due rettangoli corrispondente al costo variabile (la linea incontra infatti il livello del costo variabile
unitario sulle ordinate).
L’area tratteggiata in scuro rappresenta la parte di contribuzione (ricavi meno costi variabili)
comune alle due ipotesi, mentre i due rettangoli A e B rappresentano rispettivamente la parte di
contribuzione aggiuntiva riferibile alla prima (prezzo P, più elevato) e alla seconda ipotesi (prezzo P’, più
ridotto).
Nel caso in cui il prezzo che si prevede massimizzi la contribuzione totale presupponga la vendita di quantità molto
superiori alle attuali, con la necessità di incrementare i costi fissi di produzione, la valutazione delle alternative di
contribuzione dovrà evidentemente essere effettuata al netto dell’eventuale incremento dei costi fissi, ma senza per
questo ripartire tali costi in proporzione ai volumi.
76
Evidentemente, vi potrebbero essere anche diversi costi “fissi” (il cui ammontare totale non varia proporzionalmente ai
volumi) direttamente associati a diverse strategie di prezzo (forza vendita, pubblicità, ecc.): tali costi fissi dovrebbero
quindi essere presi in considerazione nel valutare l’impatto delle strategie stesse, ma non certo per fissare il prezzo.
75
83
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Nel caso specifico, la riduzione di prezzo da P a P’ comporta quindi la perdita della contribuzione “A”,
compensata tuttavia dal guadagno della contribuzione “B”. In termini strettamente economici, le due ipotesi
sono equivalenti, dato che le aree “A” e “B” sono più o meno uguali; se invece l’incremento di quantità
dovuto alla diminuzione di prezzo qui descritta fosse superiore, la seconda ipotesi sarebbe vincente, e
viceversa in caso contrario.
In particolare, se si misurassero le grandezze descritte in figura, si vedrebbe che, sempre nel caso specifico,
una riduzione di prezzo di circa il 27% dovrebbe essere compensata da un aumento di vendite del 50%: si
dovrebbe quindi contare su un’elevata elasticità della domanda per il prodotto dell’azienda (attorno a “-2”) 77.
Si vede quindi subito quanto sia importante valutare in modo il più possibile corretto gli effetti di modifiche di
prezzo sulle quantità richieste dal mercato.
È utile ribadire che, per semplicità, si è per ora ipotizzato che il principale parametro di confronto fra
strategie di prezzo alternative fosse quello economico. In realtà, il criterio economico va evidentemente
integrato da altri criteri più “strategici” quali, ad esempio, quello della quota di mercato: un aumento
di quantità vendute, a parità di mercato di riferimento, comporta ovviamente un miglioramento della quota
di mercato, e tale miglioramento può essere eventualmente, e consapevolmente, ottenuto – almeno a brevemedio termine – al prezzo di sacrifici dal punto di vista strettamente economico (v. anche quanto detto nel
capitolo 7).
Più in generale, e indipendentemente dalla gerarchia di obiettivi specifici definiti dall’azienda
(massimizzazione di quota, fatturato/cash-flow, contribuzione, immagine), l’obiettivo dell’analisi alla base
della definizione del prezzo sarà innanzitutto quello di identificare una fascia di variabilità del prezzo
“ragionevole” e relativamente contenuta, entro cui scegliere il livello più coerente con gli obiettivi
aziendali.
A tal fine, le fasi del lavoro di analisi, diagnosi e decisione che riteniamo più appropriate sono quelle descritte
nella figura che segue.
Fig. 12.4 – Fasi di lavoro per la determinazione del prezzo
(ri)definire
la proposta
di valore
(ri)definire il
posizionamento
prodotto/mercato
identificare
obiettivi
e vincoli
decidere il
livello di prezzo
vs. obiettivi
identificare le
componenti
del valore
stimare la
propria curva
di domanda
stimare il peso
relativo delle
componenti
definire un
range di prezzo
appropriato
valutare i
rapporti
valore/prezzo
valutare il
posizionamento
competitivo
Come si può notare dalla figura, si tratta di un processo iterativo e circolare, anche perché le condizioni di
mercato e competitive possono variare nel tempo e richiedere correzioni e aggiustamenti.
La principale “chiave”, presupponendo di aver correttamente definito il proprio posizionamento nei confronti
della concorrenza attraverso una valutazione dei rispettivi rapporti valore/prezzo, è proprio l’identificazione di
una fascia di prezzi entro cui stimare la propria curva di domanda, ad esempio identificando quanto
Cambiamento % di vendite = - (cambiamento % di prezzo)/(margine di contribuzione % + cambiamento % di prezzo)
x 100. Si noti il segno negativo che precede il rapporto fra le variabili.
77
84
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
meno i livelli di quantità realizzabili al prezzo massimo e al prezzo minimo della fascia e interpolando poi i
due punti estremi sulla base dell’esperienza e del buon senso.
Sarebbe ovviamente opportuno, soprattutto su mercati poco noti come quelli esteri, condurre un minimo di
ricerca di mercato, almeno di carattere qualitativo (senza svenarsi con costose ricerche quantitative), ma è
risaputo quanto tale pratica sia poco diffusa soprattutto fra le piccole e medie imprese.
La figura che segue mostra, nella parte a sinistra, un esempio di stima delle quote di mercato ottenibili a
diversi livelli di prezzo in tre diversi segmenti di mercato, presupponendo che il prodotto, e quindi il relativo
prezzo, non siano differenziabili per segmento e che vi sia trasparenza fra i segmenti (l’esempio si riferisce a
un contenitore di prodotti alimentari freschi con particolari caratteristiche innovative dai punti di vista di:
stabilità, riutilizzabilità, leggerezza, impermeabilità e peso): in questo caso, si presume che la percezione
del valore dell’offerta aziendale in rapporto al prezzo e alle offerte della concorrenza sia diversa
fra segmento e segmento e che, ad esempio, le caratteristiche del prodotto siano più vantaggiose per il
segmento del pesce piuttosto che per quelli del pollame e della frutta e verdura.
Fig. 12.5 – Quote di mercato stimate per segmento (prodotto indifferenziato) e relativi risultati economici a
diversi livelli di prezzo (esempio)
estimated results
estimated shares in the three segments
100%
1.800
90%
1.600
80%
1.400
shares
60%
50%
thousand euros
70%
chicken
fish
fruits
40%
30%
20%
revenues
1.000
contribution
800
600
400
10%
0%
0,00
1.200
200
0,25
0,50
0,75
-
1,00
0,00
prices
0,25
0,50
0,75
1,00
prices
Nella parte destra della figura si vede invece la proiezione dei risultati ai diversi livelli di prezzo, in funzione
delle quote e della dimensione stimata dei mercati nei tre segmenti: si può facilmente notare che, se
l’azienda avesse come obiettivo la massimizzazione della quota e/o del fatturato (o del cash-flow,
assumendo pagamenti rapidi da parte della clientela), dovrebbe fissare il prezzo al livello più basso, mentre
se desiderasse massimizzare la contribuzione sarebbe più consigliabile il livello intermedio fra i due estremi78.
Alcune particolarità del pricing in ottica internazionale
Anche la definizione dei prezzi sui mercati esteri dovrebbe evidentemente ispirarsi alle logiche viste sopra,
evitando di farsi condizionare dai probabili maggiori costi operativi.
Tuttavia, proprio a causa dei maggiori costi, potrebbe essere a maggior ragione utile, prima di stabilire i
prezzi, riconsiderare la configurazione dell’offerta e altre scelte strategiche che possono condizionarne
l’entità, soprattutto per quanto riguarda i costi variabili.
Con il foglio elettronico Excel è facile tradurre le stime della curva di domanda in funzioni matematiche e quindi
calcolare con precisione i livelli di prezzo che, date tali premesse, massimizzano gli obiettivi di volta in volta stabiliti.
78
85
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 12.6 – Valutazione dell’impatto sui prezzi finali di diverse combinazioni di tasse di importazione e scelte
di canale distributivo
livelli di prezzo stimati
ricarichi complessivi,
in funzione delle
scelte di canale
ipotetica area
di fattibilità
tasse di importazione
(in funzione delle strategie adottate e della configurazione dell’offerta)
La figura qui sopra esemplifica concettualmente le alternative perseguibili in funzione di diverse modalità di
presenza all’estero:

i segmenti verticali del rettangolo che delimita quella che abbiamo chiamato “area di fattibilità”
indicano due livelli estremi di tasse di importazione, in funzione del fatto che il prodotto (in questo
caso, biancheria intima femminile in fibra naturale di fascia qualitativa alta, venduta sul mercato USA)
venga proposto come finito e branded (e destinato direttamente alla consumatrice) oppure come
semilavorato destinato a trasformatori

i segmenti orizzontali delimitano i livelli di prezzo massimo e minimo considerati ragionevoli in
funzione delle caratteristiche del mercato (il range di variabilità è molto ampio, proprio perché le diverse
configurazioni dell’offerta potrebbero giustificare un’escursione molto significativa)

la fascia di rette indica invece la stima degli incrementi di prezzo al variare delle tasse di
importazione in tre diverse ipotesi di scelte di canale (di cui parleremo anche nel capitolo
successivo): come si vede, la retta superiore (canale lungo, con almeno due ricarichi intermedi)
precluderebbe la possibilità di vendere il prodotto finito e branded (tasse di importazione alte) con
qualche probabilità di successo.
In base a un’analisi di questo tipo, l’azienda dovrebbe essere in grado di effettuare una scelta ragionata delle
alternative perseguibili (considerando eventualmente anche l’ipotesi di approvvigionarsi o addirittura
produrre all’estero), integrando lo schema di valutazione delle alternative presentato nel capitolo
precedente79.
Un altro tema di qualche interesse, soprattutto per aziende che vendono prodotti noti su mercati
relativamente vicini e a utilizzatori abituati a confrontare i prezzi sui diversi mercati (ad esempio, in settori
B2B quali la componentistica industriale, ma anche in settori B2C quale quelli dell’auto e di alcuni prodotti
farmaceutici) è quello dell’eccessiva differenziazione dei prezzi fra mercato a mercato (dovuta, ad esempio, a
diverse politiche di canale), che potrebbe creare turbative e stimolare il fenomeno delle importazioni
parallele.
Nel caso specifico qui presentato, l’azienda aveva preso in considerazione addirittura otto possibili modalità di ingresso
e di presenza sul mercato.
79
86
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 12.7 – Differenziazione dei prezzi e importazioni parallele
% della domanda
estera sul mercato X
servita da importazioni
parallele
50
40
30
20
10
importazioni parallele
0
0
10
20
30
40
50
60
differenze di prezzo fra i mercati X e Y (in % del prezzo sul mercato X)
Dalla figura, si nota facilmente che l’incidenza delle importazioni parallele può crescere in modo molto
significativo al crescere delle differenze di prezzo. Le aziende dovranno quindi trovare un accettabile
equilibrio fra differenziazione o personalizzazione e armonizzazione dei prezzi praticati:

la personalizzazione dei prezzi in funzione dei vari mercati e delle specifiche scelte di canale può
migliorare vendite e profitti (in quanto i prezzi sono maggiormente “mirati” agli specifici diversi
contesti), ma crea le condizioni per le importazioni parallele e può generare caos nei canali

l’armonizzazione dei prezzi fra i vari mercati consente di evitare il fenomeno delle importazioni
parallele, ma può ridurre significativamente l’efficacia dell’azienda sul mercato e la redditività.
Come suggeriscono Dolan & Simon80, si tratterà di trovare un ragionevole compromesso fra questi due
possibili obiettivi, cercando di contenere il grado di differenziazione dei prezzi entro un “corridoio”
relativamente stretto (esemplificato nella parte destra della figura che segue, riferita a un caso reale di
prodotti farmaceutici da banco).
Fig. 12.8 – Compromesso fra differenziazione e armonizzazione dei prezzi fra mercato e mercato
80
Robert J. Dolan & Hermann Simon, Power Pricing, The Free Press, 1996.
87
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
13. Strategie di canale
La logica di gestione dei canali distributivi all’estero non è diversa da quella che dovrebbe ispirare le scelte di
canale sul mercato domestico. Tuttavia, la maggiore complessità della gestione dei canali all’estero impone
un breve “ripasso” di alcuni concetti base, applicabili, mutatis mutandis, al contesto internazionale.
È tipico che le aziende esportatrici scelgano i canali distributivi prima di aver definito i necessari
aggiustamenti dei prezzi di vendita, o addirittura decidano questi ultimi indipendentemente dalle scelte di
canale. È invece ovvio che sia prioritario definire il pacchetto di offerta valore/prezzo (v. i capitoli
precedenti) e che, in funzione di tale decisione, si valutino scelte di canale compatibili, salvo
rivedere la configurazione dell’intera offerta qualora l’azienda si rendesse conto dell’impossibilità di conciliarla
con le alternative di canale disponibili in un dato contesto di mercato.
A loro volta, le scelte di canale (ossia, di come far arrivare i prodotti al cliente finale, sia dal punto di vista
fisico e logistico che da quello dei passaggi intermedi di proprietà) condizioneranno le decisioni relative
all’organizzazione di vendita che dovrà “attivare” i canali stessi (anche a questo proposito, le aziende
spesso invertono la sequenza logica delle decisioni!).
Le decisioni da prendere e i criteri di scelta
Abbiamo visto nel capitolo 11 che le possibili combinazioni canale/forza vendita nell’attività di esportazione
sono molto numerose. Qui approfondiremo il tema dei canali distributivi, rinviando a testi specialistici quello
della gestione della rete di vendita81.
Le principali decisioni da prendere sono riconducibili al seguente elenco:
•
tipo (ruoli e caratteristiche strutturali) di distributori: quali (anche in termini di livello qualitativo e di
importanza relativa di ogni distributore nell’ambito di ogni tipologia: importatori, grossisti, grande
distribuzione, catene di dettaglianti, dettaglio indipendente e specializzato, ecc.82) e quanti
•
mix di canale: importanza relativa dei diversi canali, soprattutto in termini di quantità e qualità dei
prodotti da gestire
•
grado di copertura e presenza geografica
•
obiettivi, criteri e modalità di gestione della presenza: in particolare, politiche di prodotto, strategie
e politiche di prezzo, sconti e termini di pagamento, politiche di co-marketing
•
logistica, sistemi di trasporto e deposito, in funzione dei livelli di servizio desiderati.
Queste decisioni dovranno essere prese in funzione di un certo numero di criteri, ricordando che, a maggiore
ragione in contesto internazionale, sarà importante considerare, oltre alla prospettiva aziendale, anche quella
del cliente finale e del distributore stesso:
•
prospettiva di mercato:
• quali sono i livelli di prezzo accettabili (v. capitolo precedente)?
• quale scelta consente la maggiore facilità di accesso al prodotto dell’azienda e la migliore rapidità di
consegna?
• a quale gamma di offerta è interessato il cliente finale?
• quale scelta consente il miglior servizio pre e post-vendita?
•
prospettiva del distributore:
• qual è il profilo dei fornitori cui è maggiormente interessato?
A questo proposito, è utile ribadire quanto detto nel capitolo 11: “distribuzione” e “vendita” sono aspetti strettamente
connessi che vanno gestiti in modo coerente, ma le logiche manageriali che li ispirano sono abbastanza diverse, dato
che con il distributore (che, a sua volta, svolge anche funzioni di vendita) vi è un passaggio di proprietà dei beni, cosa
che non accade con gli agenti o con i venditori diretti.
82
Per “distributore” intendiamo, in generale, chiunque acquisti dei prodotti per rivenderli, contrariamente alla prassi
anglosassone che identifica con il termine “distributor” soprattutto gli importatori e i grossisti (ossia, chi a sua volta
vende ad altri operatori della distribuzione).
81
88
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
• quali sono le sue opportunità di vendita e di guadagno con i prodotti dell’azienda?
• qual è il livello di servizio (consulenza, consegne, ecc.) cui è abituato?
• cosa si aspetta in termini di iniziative di marketing congiunte?
•
prospettiva aziendale: quali scelte consentono …
• un’adeguata copertura del mercato?
•
prezzi competitivi per il cliente finale?
•
adeguati volumi di vendita e quote sul mercato servito dal distributore?
•
margini unitari confortevoli?
•
livelli di investimento ragionevoli?
•
l’acquisizione di informazioni sul mercato?
•
un adeguato controllo del marketing-mix?
•
un impatto positivo sull’immagine aziendale?
•
un’elevata coerenza strategica e operativa con le altre decisioni di marketing?
La figura che segue riassume la logica che dovrebbe ispirare la scelta fra possibili alternative di canale, in
funzione della configurazione delle alternative ritenute ragionevoli e dell’importanza relativa assegnata ai
criteri appena visti.
Fig. 13.1 – Schema logico per la valutazione delle alternative distributive
c
peso
dei
criteri
criteri
di valutazione
componenti
delle scelte
distributive
b
potenziali
configurazioni
dei canali
alternative decisionali
A
B
C
d
f
....................................
criterio 1
performance
(“voti”)
delle alternative
g
prospettiva
aziendale
prospettiva di
mercato/canale
a
e
fattori
rilevanti
criterio n
Media ponderata
h
100%
Nell’ambito della (o delle) alternativa/e base prescelta/e, sarà importante, ove possibile, valutare i
potenziali candidati sulla base di ulteriori criteri più specifici, anziché limitarsi, come spesso si fa, a
tentare di concludere accordi di distribuzione con i “primi venuti”:
 tipo di clientela del distributore: ad esempio, serve soprattutto grossisti, dettaglianti o clientela finale?
 qual è la sua copertura del mercato in rapporto alle potenzialità del Paese, della regione o della città in
cui opera?
89
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
 quali marche e prodotti gestisce, quali possono rappresentare una concorrenza diretta?
 quali sono i suoi ricarichi tipici?
 qual è la sua immagine e reputazione sul mercato?
 ha sufficienti capacità manageriali e supporti gestionali?
 ha sufficienti capacità di marketing e vendita, come gestisce le attività di comunicazione?
 quali sono – ove applicabile – l’ubicazione, il layout e l’apparenza esterna del punto vendita?
 è disponibile a destinare risorse a nuovi prodotti e marche?
 è disponibile a collaborare, condividendo informazioni sul mercato e attività di co-marketing, ecc.?
 di quali risorse dispone (spazio, attrezzature, personale, finanza)?
 quali sono le sue politiche di acquisto e di pagamento?
Soprattutto nei mercati internazionali più evoluti, è inoltre essenziale cercare di mettersi il più possibile nei
suoi panni, sapendo che, a sua volta, il distributore adotta, più o meno consapevolmente, la
maggior parte dei criteri sotto elencati per scegliere i fornitori. Sarà quindi opportuno, nel dossier di
presentazione dell’azienda destinato al distributore, enfatizzare una buona parte delle caratteristiche
dell’offerta che questi probabilmente apprezza (ovviamente, se corrispondenti alla realtà e alle politiche
aziendali):
 politiche di vendita snelle e veloci
 favorevoli condizioni di vendita (sconti, premi, termini di pagamento)
 esclusiva territoriale
 consegne complete e tempestive, possibilmente anche di piccole quantità
 ampia scelta di prodotti
 buona reputazione e referenze
 forza vendita professionale e amichevole, basso turnover
 capacità di rispondere tempestivamente a richieste di assistenza pre e post-vendita
 buona conoscenza del mercato e della concorrenza, capacità di pianificazione e programmazione
 disponibilità a condividere informazioni sul mercato
 assistenza e consulenza sulle migliori modalità di gestione del prodotto offerto
 fornitura di materiale pubblicitario e promozionale
 disponibilità a ritirare l’invenduto
 disponibilità a contribuire a iniziative pubblicitarie e promozionali, dimostrazioni, ecc.
Gli aspetti su cui, di solito, “casca l’asino”, sono quelli relativi alla conoscenza del mercato e
della concorrenza, alla capacità di pianificazione e programmazione (inclusa la regolarità delle
consegne) e all’assistenza sulle modalità di gestione del prodotto. Soprattutto i distributori più
evoluti (ad esempio, importanti catene di supermercati e grandi magazzini) richiedono all’azienda fornitrice
garanzie almeno sui primi due punti, e apprezzano chi è in grado di fornire informazioni e linee guida sulla
gestione ottimale del prodotto.
Non dimentichiamo, infatti, che anche il distributore è particolarmente sensibile alla redditività della
gestione: informazioni relative alla prevista performance dei prodotti con riferimento ad alcuni indicatori tipici
dell’attività di distribuzione (v. figura alla pagina che segue) possono influenzare molto positivamente la
scelta del fornitore.
90
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 13.2 – Principali indicatori di performance dell’attività di distribuzione
X
net sales
inventory (I)
X
=
GMROI
inventory (I)
feet2 (S)
gross
margin (GM)
X
net
sales
=
net sales
feet2 (S)
X
GMROS
=
feet2 (S)
labor (L)
=
X
net sales
labor (L)
gross margin
inventory (I)
gross margin
feet2 (S)
GMROL
=
gross margin
labor (L)
L’azienda fornitrice potrà soprattutto contribuire a un buon rapporto fra margine lordo e magazzino (GMROI:
gross margin return on inventory investment) e fra margine lordo e spazio (GMROS: gross margin return on
square foot), mettendo il distributore in condizione di vendere il prodotto velocemente e con una buona
redditività.
Un modello di supporto alle decisioni sui canali all’estero
Come abbiamo visto, uno dei principali criteri adottati sia dagli operatori che dal consumatore è
quello economico:
 l’azienda e il distributore vogliono guadagnare e prosperare
 il consumatore vuole pagare prezzi ragionevoli in rapporto al valore ricevuto.
È quindi ovvia l’importanza di stimare in quale misura le scelte aziendali consentiranno di ottenere un buon
compromesso fra queste esigenze, normalmente contrapposte.
Assumendo che l’azienda abbia svolto i necessari “compiti a casa” prima di contattare distributori potenziali,
ossia abbia analizzato il mercato di sbocco e la struttura dei canali, potremmo ipotizzare che il risultato delle
sue analisi sia, ad esempio, quello sintetizzato nella figura alla pagina seguente.
Come si può notare, le percentuali all’interno dei riquadri indicano i ricarichi praticati dai diversi
operatori sul proprio prezzo d’acquisto (il costo variabile unitario di produzione per i produttori), mentre
quelle all’esterno indicano la proporzione di flussi quantitativi che transita attraverso i vari percorsi:
dal percorso più breve (vendite dirette dai produttori ai consumatori, ad esempio attraverso l’e-commerce) a
quello più lungo (dal produttore al consumatore attraverso importatori, grossisti e dettaglianti).
Nell’esempio, partendo da un costo variabile unitario di 200, si arriva a un prezzo medio pagato dai
consumatori di 938, ponderato in funzione del mix di flussi quantitativi ai diversi livelli di prezzo intermedi.
91
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 13.3 – Esempio di struttura dei canali in un dato mercato
10 manufacturers (u.v.m.c. * = 200)
200% 100%
130%
150%
5%
50%
30%
100%
15%
20 importers
55% 33% 25%
15%
10% 25%
% =volume flows
100 wholesalers
60%
40%
30%
15%
% = markups
2.000 retailers
80%
70%
300.000 consumers
(unit weighted average price paid = 938)
100%
* Unit variable manufacturing cost for the manufacturers.
La figura rappresenta il profilo complessivo del mercato (ricavabile, ad esempio, da valutazioni incrociate da
diverse fonti: studi di settore, articoli su riviste specializzate e su web, indagini ad hoc nel corso di fiere,
rilevazioni effettuate da responsabili estero, ecc.), ma la struttura distributiva decisa dell’azienda dovrà
ovviamente essere più mirata e selettiva.
Per poter meglio stimare in quale misura possibili decisioni aziendali potranno avere un impatto
sui parametri economici precedentemente descritti, nel contesto di questa struttura
distributiva, è utile innanzitutto trasferire i dati riportati in figura su foglio elettronico: in questo modo
potranno essere calcolati i passaggi intermedi, con i diversi prezzi di vendita fra un operatore e l’altro e i
relativi margini unitari (v. figure alla pagina seguente).
Osservando la figura 13.4, si può notare che le prime due tabelle contengono gli input provenienti dalla
figura precedente, mentre nella terza tabella vengono calcolati, sulla base di tali input, i prezzi medi
praticati e pagati dai diversi operatori e i relativi margini di contribuzione unitari (in assoluto e in
percentuale).
Nell’ultima riga viene infine calcolata la quota del prezzo medio pagato dai consumatori che resta “in tasca”
dei distributori83: è sicuramente un indicatore utile di “lunghezza media” dei canali (e del ruolo dei
canali) nel Paese, soprattutto se confrontato a quello di altri Paesi.
Per un’analisi più completa (dei volumi complessivi, dei ricavi e dei margini totali e unitari per operatore)
basterebbe aggiungere al modello pochi input aggiuntivi (numero di operatori per tipologia e dimensione
stimata del mercato), ma riteniamo sia sufficiente, al fine della comprensione dell’impatto delle scelte
distributive su alcuni parametri economici, limitarci a considerare l’ipotetica (e tipica) decisione
aziendale di appoggiarsi esclusivamente a un importatore nel mercato appena descritto (v. figura
13.5).
Facendo la differenza fra il prezzo medio ponderato (in funzione dei flussi quantitativi) pagato dagli utilizzatori e il
prezzo medio ponderato incassato dai produttori, e rapportandola al prezzo pagato dagli utilizzatori.
83
92
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 13.4 – Impatto della struttura dei canali su prezzi e margini unitari nel mercato di sbocco (esempio)
200
unit variable manufacturing cost
quantitative flows
to ---->
from:
manufacturers
importers
wholesalers
retailers
Total
importers
wholesalers
retailers
50%
30%
15%
15%
25%
30%
50%
45%
70%
users
total
5%
10%
15%
70%
100%
100%
50%
45%
70%
markups
to ---->
from:
manufacturers
importers
wholesalers
retailers
importers
wholesalers
100%
130%
25%
retailers
users
150%
33%
40%
average
200%
55%
60%
80%
122%
35%
47%
80%
prices
to ---->
from:
manufacturers
importers
wholesalers
retailers
Avg price paid
importers
wholesalers
retailers
400
460
500
500
532
663
400
473
581
avg price
users
600
620
757
1046
938
contribution
%
charged absolute
443
243
55%
540
140
26%
694
221
32%
1046
465
44%
Average proportion of channels' margins on the end-user price
53%
Fig. 13.5 – Impatto della scelta aziendale di appoggiarsi all’importatore A nel mercato sopra descritto
220
unit variable manufacturing cost
quantitative flows
to ---->
from:
manufacturer
importer
wholesalers
retailers
Total
importer
wholesalers
retailers
100%
0%
20%
0%
80%
20%
100%
20%
100%
users
0%
0%
0%
100%
100%
total
100%
100%
20%
100%
markups
to ---->
from:
manufacturer
importer
wholesalers
retailers
importer
wholesalers
retailers
users
100%
25%
33%
40%
80%
average
100%
31%
40%
80%
prices
to ---->
from:
manufacturer
importer
wholesalers
retailers
Avg price paid
importer
wholesalers
retailers
440
440
550
585
770
550
622
Average proportion of channels' margins on the end-user price
End-user price difference vs. average market price
93
avg price
contribution
%
charged absolute
440
220
50%
578
138
24%
770
220
29%
1120
1120
498
44%
1120
users
61%
19%
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Come si può notare dalla figura:
 il costo variabile unitario di partenza dell’azienda è superiore del 10% rispetto a quello medio
dei produttori sul mercato (il che può essere ampiamente giustificato, ad esempio, da una migliore
qualità, da un packaging migliore e da un imballaggio più accurato);
 l’importatore A, che è l’unico cliente dell’azienda (il 100% delle vendite aziendali transita attraverso A),
vende 4/5 dei suoi acquisti a dettaglianti e 1/5 a grossisti;
 ipotizzando che i ricarichi dei vari operatori siano uguali a quelli medi di mercato, il prezzo medio
stimato di vendita all’utilizzatore finale dei prodotti dell’azienda è di circa il 20% superiore a
quello medio di mercato (è evidente che la lunghezza media del percorso seguito dai prodotti è maggiore
rispetto a quella media di mercato: il 61% del prezzo medio finale va ai canali).
È quindi probabile che, per mettere l’importatore in condizione di vendere quantità ragionevoli del prodotto
di interesse, sia necessario un aggiustamento dei ricarichi, magari facendo uno sconto all’importatore e
negoziando con lui una piccola riduzione, a sua volta, dei ricarichi usuali (fatta salva, ovviamente, una
verifica del rapporto valore/prezzo offerto al mercato ai livelli di prezzo ipotizzati).
Ma vediamo cosa succederebbe se l’azienda, anziché rivolgersi ad A, cercasse di concludere una vendita
all’importatore B che, come si vede dalla figura che segue, ha un mix di vendite opposto rispetto ad A
(4/5 venduti a grossisti).
Fig. 13.6 – Impatto della scelta aziendale di appoggiarsi all’importatore B nel mercato sopra descritto
220
unit variable manufacturing cost
quantitative flows
to ---->
from:
manufacturer
importer
wholesalers
retailers
Total
importer
wholesalers
retailers
100%
0%
80%
0%
20%
80%
100%
80%
100%
users
0%
0%
0%
100%
100%
total
100%
100%
80%
100%
markups
to ---->
from:
manufacturer
importer
wholesalers
retailers
importer
wholesalers
retailers
users
100%
25%
33%
40%
80%
average
100%
27%
40%
80%
prices
to ---->
from:
manufacturer
importer
wholesalers
retailers
Avg price paid
importer
wholesalers
retailers
440
440
550
585
770
550
733
avg price
contribution
%
charged absolute
440
220
50%
557
117
21%
770
220
29%
1319
1319
586
44%
1319
users
Average proportion of channels' margins on the end-user price
67%
End-user price difference vs. average market price
41%
Come si vede, il prezzo medio stimato che dovrebbe essere pagato dall’utilizzatore finale, è addirittura
del 41% più caro rispetto a quello medio di mercato (l’incidenza dei margini ai canali sul prezzo finale è
addirittura di 2/3!).
Inutile dire che, in questa situazione, sarebbe ben difficile trovare un accettabile compromesso che
consentisse all’importatore di vendere quantità ragionevoli dei prodotti dell’azienda: ammesso
che l’azienda riuscisse a concludere una vendita iniziale senza abbassare eccessivamente il proprio margine
94
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
(ma comunque guadagnando meno), l’importatore finirebbe per rendersi conto di dover svendere il prodotto
per liberarsene, guadagnando quindi un margine di contribuzione ancora più basso rispetto a quello stimato
in figura (già inferiore a quello stimato per l’importatore A nella figura precedente) e se ne guarderebbe
bene dal riacquistare i prodotti dell’azienda.
In conclusione, dovrebbe essere evidente da questo esempio (anche se molto parziale e limitato all’analisi di
prezzi e margini unitari) quanto sia importante ponderare adeguatamente la scelta dei partner distributivi:
una scelta sbagliata può addirittura “bruciare” l’azienda nel mercato di sbocco per periodi significativi,
considerando anche il fatto che spesso i distributori richiedono un’esclusiva di zona o addirittura nazionale
per almeno un anno.
95
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
14. Scelte organizzative e alleanze
La scelta delle modalità di ingresso sui mercati esteri, trattata precedentemente, è normalmente
propedeutica alla definizione delle strategie di gestione delle diverse risorse aziendali, con particolare
riferimento a quelle di marketing: definizione della gamma e delle caratteristiche dei prodotti (valutando in
quale misura siano o meno opportuni adattamenti specifici), definizione delle scelte di canale distributivo e di
vendita, dei livelli di prezzo e di sconto, delle condizioni di pagamento, delle politiche di comunicazione e
promozione, ecc.
Rinviando ai testi di marketing per una trattazione delle politiche di gestione del prodotto, della vendita e
della comunicazione, le cui logiche sono esattamente le stesse in qualsiasi contesto (in ottica internazionale
cambieranno ovviamente i parametri di mercato, ma non i criteri decisionali), qui accenneremo ad alcune
delle problematiche organizzative che si devono affrontare in ottica internazionale, a integrazione di quanto
detto nel capitolo 4 sulla valutazione delle risorse e delle competenze interne.
Discuteremo inoltre brevemente l’ipotesi di alleanze e joint-ventures fra aziende (assetto organizzativo
“allargato”, in vista di specifici obiettivi non perseguibili – o difficilmente perseguibili – da una singola
azienda, mentre dedicheremo l'ultimo capitolo al tema del controllo strategico in contesto internazionale.
Le strutture organizzative in contesto internazionale: alternative e criteri di scelta
L’analisi delle più recenti evoluzioni degli assetti organizzativi, consentite (anche alle PMI) dall’incessante
sviluppo delle tecnologie dell’informazione, richiederebbe approfondimenti che vanno al di là degli obiettivi di
questo testo.
Ci limiteremo quindi a discutere alcune delle forme organizzative “classiche” adottate dalle aziende che
operano sui mercati internazionali, evitando peraltro di dilungarci sull’ipotesi di struttura “non dedicata”, cui
ricorrono molte PMI che gestiscono l’attività di esportazione in modo marginale e residuale: il titolare, o il
Direttore Commerciale, o il Direttore Vendite si occupa un po’ di tutto, esportazione compresa.
L’evoluzione più naturale di tale scelta, nel senso di una maggiore attenzione ai mercati esteri, consiste
nell’assegnare responsabilità specifiche a specialisti export o addirittura a entità organizzative
relativamente autonome (divisione export o simili), senza alterare tuttavia l’assetto complessivo
dell’organizzazione aziendale.
Se invece l’attività internazionale è parte integrante della strategia aziendale, anche la struttura organizzativa
deve rispecchiare tale orientamento. In tale caso, i principali criteri per l’individuazione di livelli gerarchici e
l’assegnazione di responsabilità sono riconducibili alle seguenti alternative:

per funzione

per prodotto, linea di prodotto, marchio, area d’affari o tipologia di clientela

per mercato geografico

una o più combinazioni di tali criteri (strutture miste, a matrice, ibride).
Nel primo caso, normalmente “comandano”, nelle rispettive aree di competenza (commerciale, produzione,
finanza), i diversi responsabili funzionali: ad esempio, le eventuali dilazioni di pagamento offerte alla clientela
vengono definite dal responsabile finanziario (quando ce n’è uno) o addirittura dal titolare,
indipendentemente da chi abbia, in azienda, la responsabilità del paese di sbocco e della vendita di prodotti
specifici.
Nel secondo caso, l’eventuale responsabile di linee o gruppi di linee (o, meglio ancora, di business) decide le
strategie da adottare nei diversi paesi, indipendentemente da chi possa essere, ad esempio, responsabile dei
mercati di sbocco.
Nel terzo caso, “comanda” il responsabile del paese, indipendentemente da chi possa essere, ad esempio,
responsabile di funzione o di business.
Infine, soprattutto nell’ambito di aziende di una certa dimensione, presenti con molte linee di business su più
mercati, sono di solito prescelte soluzioni composite o ibride, tipo quella descritta nella figura che segue in
cui, ad esempio, i brand manager o responsabili di marchio rispondono sia ai responsabili di business che al
direttore marketing dell’area geografica di riferimento.
96
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Nell’ottica di questo capitolo, riteniamo sia soprattutto importante fare mente locale sui criteri di scelta fra
le varie alternative ragionevolmente ipotizzabili. Criteri significativi potrebbero essere, ad esempio, i
seguenti:

coerenza con gli obiettivi e le strategie aziendali

caratteristiche specifiche dei mercati di sbocco e dei concorrenti da affrontare

flessibilità e velocità di reazione

massa critica

profilo economico (costi fissi e variabili)

efficienza

grado di complessità (per la gestione e il controllo).
È praticamente impossibile definire a priori quali siano le soluzioni organizzative più adeguate
ad affrontare i diversi possibili contesti di business e di mercato geografico. Si può soltanto dire, in generale,
che quanto più il centro decisionale sarà lontano dal contatto con il mercato (ad esempio, con strutture
funzionali molto centralizzate), tanto meno sarà possibile reagire con prontezza all’evoluzione della domanda
e del contesto competitivo: d’altra parte, tale soluzione richiederà normalmente investimenti inferiori rispetto
a quella, ad esempio, della struttura per mercato geografico, con un responsabile residente in ogni mercato.
Tutto dipenderà anche dai sistemi e dai meccanismi operativi adottati per far funzionare la struttura: in
particolare, dal sistema informativo di marketing (che potrebbe consentire, se ben strutturato, un
soddisfacente livello di controllo anche a distanza) e da quello premiante (che potrebbe facilitare un buon
coordinamento delle attività anche fra funzioni e ruoli con obiettivi in parte conflittuali).
In ogni caso, anche a questo proposito potrà essere utile adottare un approccio decisionale analogo a quello
visto per la scelta delle modalità di ingresso sul mercato.
Fig. 14.1 – Esempio di struttura a matrice
general manager
Europa Ovest
settore A
produzione
marchio A
Europa dell’Est
marketing
settore B
marchio B
altre regioni o
altri Paesi
Paesi/regioni
altri
marchi
altre funzioni
funzioni
marchi
altri
settori
prodotti
e segmenti
In questa ipotesi, sarà particolarmente cruciale (e anche relativamente complesso) identificare in modo
sufficientemente preciso quali alternative organizzative valga la pena prendere in considerazione,
valutandole poi in base ai criteri sopra indicati.
97
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Alleanze e partnership
Abbiamo già accennato all’importanza di alleanze e accordi e ne abbiamo già velocemente descritte alcune
forme: ad esempio, parlando di franchising produttivo e distributivo, di piggybacking, di licensing e di
contract manufacturing che, di fatto, rappresentano accordi di collaborazione con partner esterni.
A dire il vero, gli accordi di collaborazione di questo tipo e le alleanze in genere non rappresentano soltanto
modalità organizzative per operare sui mercati, ma sono soprattutto il risultato di importanti scelte
strategiche, che dipendono a loro volta da una serie di buoni motivi, tutti peraltro riconducibili al puro buon
senso, per cui sarebbe estremamente opportuno, praticamente per qualsiasi azienda, cercare di ricorrere ad
alleanze.
Gran parte di tali motivi può essere riassunta, in generale, nell’esigenza di migliorare la propria
performance competitiva nei confronti di clienti attuali o potenziali, soprattutto tenendo conto del fatto
che il livello di massa critica per operare su mercati sempre più globali si sta alzando pericolosamente, e
che le risorse disponibili all’interno sono quindi sempre più inadeguate.
È sotto gli occhi di tutti che il numero di accordi fra imprese di grandi dimensioni è in continua crescita:
figuriamoci se non è a maggior ragione importante che le piccole e medie imprese si attrezzino per
aumentare la loro capacità di fuoco.
Al di là delle specifiche forme di collaborazione sopra citate, con il termine “alleanze” ci si riferisce, più in
generale, ad accordi fra aziende relativamente paritetici, con esclusione delle semplici acquisizioni (in
cui chi comanda è l’azienda acquirente).
Nella figura che segue sintetizziamo le principali modalità formali che possono assumere gli accordi fra
imprese. È chiaro che, se tali accordi prevedono partecipazioni azionarie di vario tipo, le decisioni relative
non possono che essere prese dai titolari delle imprese, ma è altrettanto certo che anche i suoi stretti
collaboratori dovrebbero essere in grado di individuare e proporre opportunità di partnership.
Fig. 14.2 – Tipi di alleanze: aspetti formali e societari
accordi
operativi su
base
contrattuale
no
joint-ventures
informali
no
con
partecipazioni
societarie?
organizzazioni
indipendenti?
si
si
nuove
entità?
no
si
partecipazioni
di
minoranza
joint-venture
formali
Fra l’altro, gran parte delle alleanze o accordi che funzionano veramente non presuppongono interscambi
societari (v. il riquadro in alto a sinistra nella figura), ma si limitano a formalizzare modalità di
collegamento e collaborazione di tipo operativo, che anche i responsabili commerciali sono
perfettamente in grado di mettere a punto e realizzare: si pensi, ad esempio, ad accordi di esclusiva con
distributori, basati su contratti che prevedono determinate prestazioni da parte del fornitore, a fronte di
obiettivi e di impegni a medio e lungo termine assunti dalla controparte.
98
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
15. Impatto dei profili professionali sull’efficienza nell’impiego delle risorse
Approfondendo il tema dell’organizzazione, e ricollegandoci anche a quanto detto nel capitolo 4 riguardo alla
valutazione delle risorse e delle competenze interne, riteniamo utile evidenziare, con un semplice modello,
quanto sia importante disporre di risorse professionali all’altezza del compito di gestire la
presenza aziendale sui mercati esteri: la medesima logica vale evidentemente anche sul mercato
domestico, ma il livello di complessità del contesto internazionale rende ancor più significative le
considerazioni che seguono.
Ricorderete senz’altro il modello di supporto alle decisioni di investimento presentato nel capitolo 7:
per comodità di consultazione, riportiamo nella figura che segue l’ipotesi già vista in quella sede (figura 7.7),
in cui si stimava che le decisioni di “investimento” (in costi fissi e variabili) consentissero di ottenere una
performance molto elevata in termini di valore percepito dal mercato (9,4/10) e, quindi, di capacità
competitiva.
Fig. 15.1 – Impatto delle decisioni di “investimento” sul profilo competitivo
KSFs
importanza relativa dei KSFs
20%
per il mercato --->
livelli di
qualità immagine servizio
35%
45%
strumenti (risorse
units
impatto stimato degli
disponibili)
ricerca e sviluppo
of
K $
strumenti sui KSFs
60%
pubblicità
K $
%
$/kg.
K $
%
forza vendita
materie prime/comp.
logistica
margini ai canali
70%
15%
30%
30%
totale
investimento tipici
100%
nel settore (1)
min
40%
30%
25%
100%
100%
tot.
100%
max
decisioni di
"investimento" (1)
effettive
500
3000
1560
50
5
2
50
20
500
12
5
100
45
500
12
5
100
45
600
3600
2160
indice (sc.
1-10)
4,8
10,0
10,0
10,0
10,0
10,0
(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.
pcpV (scala 1-10), (dipende dalle
decisioni di investimento)
max budget
6,9
10,0
10,0
9,4
disponibile per i
2160
costi fissi ---->
Tuttavia, tale stima presupponeva implicitamente che le risorse oggetto dell’investimento venissero gestite al
meglio dai rispettivi responsabili: vale a dire, si prescindeva dalle eventuali inefficienze gestionali
dovute a differenze fra il profilo ideale dei manager e il loro profilo professionale effettivo (in termini di
conoscenze, capacità e atteggiamenti).
Se invece si introduce la considerazione delle possibili inefficienze, è facile rendersi conto dell’esistenza di un
possibile “gap” fra entità delle risorse impiegate ed efficacia reale di tale impiego sul mercato.
Ad esempio, si può ipotizzare, per semplicità, che le risorse sopra descritte vengano gestite esclusivamente
da tre manager (General, Export e Resident Manager) e che i loro profili professionali possano essere
complessivamente valutati sulla base di un indice su scala 0-10 (risultante da valutazioni più specifiche dai
punti di vista delle conoscenze, delle capacità e degli atteggiamenti).
Nella misura in cui ogni manager è responsabile della gestione delle diverse risorse, si può notare dalla
figura alla pagina seguente che c’è uno scostamento fra il livello di efficienza “ideale” (del 100%,
corrispondente ai profili ottimali: 10/10) e il livello di efficienza “effettivo” (variabile a seconda dello
strumento gestito, corrispondente ai profili reali dei tre manager: rispettivamente, 8.1, 9.7 e 7.8)84.
Le percentuali nelle colonne a destra della figura, per ogni strumento, vengono calcolate come media ponderata dei
profili (ideale ed effettivo) in funzione del “peso” relativo dei tre manager nella gestione dello strumento.
84
99
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 15.2 – Efficienza stimata nell’impiego delle risorse da parte di tre manager
misura in cui ogni strumento è gestito
livelli di efficienza,
dalle diverse posizioni manageriali
sulla base dei profili
strumenti (risorse
General
Export
Resident
disponibili)
ricerca e sviluppo
Mngr
Mngr
Mngr
pubblicità
forza vendita
95%
5%
30%
55%
5%
40%
ideale
effettivo
100%
100%
81%
15%
100%
100%
89%
55%
100%
100%
86%
100%
materie prime/comp.
logistica
90%
10%
30%
50%
20%
100%
100%
100%
82%
88%
margini ai canali
10%
45%
45%
100%
100%
87%
profili professionali dei 3
manager (scala 0-10)
10,0
10,0
8,1
9,7
10,0 ideale
7,8 effettivo
Combinando quindi queste nuove valutazioni con il modello precedente (figura 15.1), possiamo ritenere che
il “gap” in termini di efficienza riduca proporzionalmente l’impatto delle decisioni di
investimento in ogni strumento: in sintesi, come si nota dalla figura che segue, gli indici di investimento
“reale” (ottenuti moltiplicando gli indici teorici per le percentuali di efficienza effettiva) riducono la
performance stimata sulle componenti del valore (5.6, 8.8 e 8.7 anziché 6.9, 10 e 10, rispettivamente per
qualità, immagine e servizio), riducendo quindi di conseguenza il profilo competitivo complessivo
(8.1 anziché 9.4).
Fig. 15.3 – Impatto delle inefficienze sul profilo competitivo
corrispondenti
decisioni di "investimento" (1)
effettive
indice (scala 1-10)
teorico
reale (2)
livelli di
investimento
effettivo,
misura in cui ogni strumento è gestito
livelli di efficienza,
dalle diverse posizioni manageriali
sulla base dei profili
General Export Resident
considerando
Mngr
Mngr
ideale
Mngr
effettivo
1560
4,8
3,9
l'efficienza
1310
R&D
95%
5%
100%
100%
81%
500
10,0
8,9
445
pubb.
30%
55%
15%
100%
100%
89%
12,0
10,0
8,6
10,9
vendita
55%
100%
100%
86%
5,0
100
10,0
8,2
100%
100%
82%
10,0
8,8
45,0
10,0
8,7
4,4 mat. prime
93 losgistica
41
2160
canali
5%
40%
90%
10%
30%
50%
20%
100%
100%
88%
10%
45%
45%
100%
100%
87%
1849
(1) I valori in grassetto corsivo identificano costi fissi.
(2) Aggiustato, considerando l'efficienza effettiva
qualità
immagine
servizio
20%
35%
45%
5,6
8,8
8,7
profili professionali dei 3
manager (scala 0-10)
8,1
10,0
8,1
100
10,0
9,7
10,0
7,8
ideale
effettivo
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
In pratica, si può ritenere che vi sia, a causa dei profili professionali non ottimali dei tre manager, una
“dispersione” complessiva di risorse pari a circa il 13% (differenza fra 8.1 e 9.4): è come se
l’azienda, anziché investire 2.160 in costi fissi, avesse di fatto investito 1.849 (- 14%)85.
Ovviamente, anche questo modello, come altri proposti in questa parte del libro, può sembrare piuttosto
teorico e difficilmente applicabile nella pratica aziendale (a meno che non si disponga di un sistema analitico
di valutazione dei profili professionali e di controllo strategico dei risultati degli investimenti), ma il suo
obiettivo è soprattutto quello di far “toccare con mano” quanto sia critica l’importanza delle risorse
umane nella gestione degli investimenti e, quindi, di adeguate politiche di selezione, formazione e
incentivazione del personale per lo sviluppo di conoscenze, capacità e atteggiamenti all’altezza della
complessità dei mercati.
Ciò è ancor più vero sui mercati esteri, se si tiene conto dei seguenti fattori:

difficoltà di superamento della “massa critica” necessaria per competere e, quindi, necessità di non
disperdere neppure una “goccia” delle risorse investite;

frequente autonomia operativa dei manager, spesso lasciati a se stessi nella gestione di tali risorse.
Si può calcolare la corrispondente dispersione di risorse sui costi variabili (circa 12%), tenendo conto dell’incidenza
degli strumenti relativi, rispetto a quelli contraddistinti da costi fissi, sulla gestione delle componenti del valore (v. figura
15.1).
85
101
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
16. Cruscotto aziendale per la gestione strategica ed economico-finanziaria
multicountry e multibusiness
Obiettivi, tipo di decisioni e chiavi di lettura
Abbiamo più volte ribadito che il principale obiettivo aziendale è pur sempre quello di creare ricchezza
attraverso la soddisfazione del consumatore e, quindi, attraverso posizioni di mercato il più possibile
significative.
Il problema è perseguire tale obiettivo nel contesto di un’elevata complessità di situazioni, sia dal punto di
vista dei business che da quello dei mercati geografici in cui l’azienda opera, e tenendo presente le necessità
di “massa critica” per ottenere risultati soddisfacenti a fronte di una concorrenza sempre più agguerrita.
Le risorse aziendali, per definizione limitate, vanno quindi focalizzate e gestite con la massima
selettività, sia in termini di allocazione ai diversi business e mercati che in termini di distribuzione fra i
diversi strumenti di marketing disponibili nell’ambito dei business e dei mercati.
Alcune importanti chiavi di lettura, con riferimento ai principali parametri quantitativi di controllo strategico,
possono essere le seguenti:

quote di mercato ed evoluzione dei mercati nei vari contesti;

rendimento delle risorse: da una parte, margini di contribuzione ai vari livelli del conto economico
(costi variabili di prodotto, altri costi variabili, costi fissi diretti), dall’altra entità degli investimenti
direttamente finalizzati ad acquisire posizioni di mercato, che dovrebbero essere sotto il controllo del
responsabile commerciale (crediti e scorte);

ripartizione degli investimenti, soprattutto di marketing (intesi in senso lato86 , e comprendendo
anche le risorse “accaparrate” dai canali distributivi, che sono un buon indicatore del ruolo relativo
giocato dai canali stessi per arrivare ai mercati di interesse).
Le due figure alla pagina seguente esemplificano possibili modalità di controllo con riferimento ai primi due
punti.
Come si può notare dalla figura 16.1, si ipotizza che l’azienda di interesse riesca a mantenere le medesime
quote di mercato in due settori di attività e in due diversi paesi nel corso di tre anni di attività.
Eppure, si può anche notare che, se si considera congiuntamente la posizione complessiva dell’azienda nei
due paesi (riquadro in basso a sinistra della figura) oppure nei due settori (riquadro in basso a destra),
l’azienda perde, mediamente, posizioni di mercato dal secondo al terzo anno, cedendo quindi opportunità di
sviluppo e di guadagno ai propri concorrenti.
A cosa può essere dovuto tale fenomeno, apparentemente in contrasto con il fatto che l’azienda ha
mantenuto le proprie quote nelle singole combinazioni settore/Paese? Evidentemente, alla diversa
evoluzione relativa dei rispettivi mercati nel tempo: in pratica, e nel caso specifico, è segno che
l’azienda ha mantenuto quote di mercato più significative su mercati in relativo declino rispetto ad altri in cui
l’azienda stessa ha quote inferiori (la quota di mercato media ponderata dell’azienda ne ha quindi sofferto).
La figura successiva (16.2) mostra invece un possibile quadro di controllo del rendimento delle risorse
impiegate nei due paesi e nei due settori con riferimento a un qualsiasi periodo di attività.
Il rendimento viene misurato con il rapporto fra i margini di contribuzione lordi generati dall’attività
aziendale nei quattro diversi contesti di mercato e l’ammontare dell’attivo gestito dai responsabili
commerciali (crediti e scorte, al lordo dei debiti verso fornitori, normalmente non di competenza di tali
responsabili).
Fermo restando il denominatore del rapporto (attivo gestito), il numeratore (margini lordi) viene calcolato a
tre livelli di contribuzione:

86
al primo livello vengono sottratti al fatturato dei singoli settori e paesi soltanto i costi variabili di
prodotto;
Da un punto di vista strettamente contabile si tratta infatti, soprattutto, di costi spesati nel periodo di riferimento.
102
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Fig. 16.1 – Quadro di controllo della performance di mercato
Fig. 16.2 – Quadro di controllo del rendimento delle risorse

al secondo livello vengono sottratti anche i costi variabili di marketing (ad esempio, trasporti e
provvigioni) e finanziari (oneri figurativi imputabili a scorte e crediti);

al terzo livello vengono infine sottratti al fatturato anche i costi fissi direttamente imputabili alle
combinazioni settore/paese (ad esempio, pubblicità a una specifica linea di prodotto in un dato paese).
Come si può facilmente notare, la presenza nel paese “b” sembra decisamente più redditizia rispetto a quella
nel Paese “a”, mentre il rendimento del settore 1 appare senz’altro inferiore a quello del settore 2 in
entrambi i Paesi: in particolare, mentre il “ritorno sull’attivo lordo” dei due settori è (relativamente parlando)
il medesimo fino al secondo livello di margine di contribuzione, quello del settore 1 peggiora decisamente al
terzo livello (ciò significa che tale settore richiede maggiori attenzioni dell’altro in termini di costi fissi diretti,
discrezionali o di struttura).
103
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Si può quindi concludere che l’azienda dovrebbe lasciar perdere il primo settore e ritirarsi dal Paese “a”?
Evidentemente, per prendere simili decisioni occorrerà valutare una serie di altri fattori, quali gli obiettivi
aziendali a medio-lungo termine, la tendenza passata degli indicatori qui considerati, lo sviluppo previsto dei
mercati e della concorrenza, ecc.
Come si vede, “pilotare” un’azienda sui mercati internazionali non è affatto banale, soprattutto
tenendo conto del fatto che, normalmente, il numero di combinazioni settore/Paese in cui le aziende
operano è molto superiore a quello qui sopra considerato a titolo esemplificativo.
Uno schema quali-quantitativo integrato
I parametri quantitativi e relativamente oggettivi sono una gran bella cosa ma, per capire meglio il “perché”
di certi risultati è spesso utile individuare le componenti qualitative dei fenomeni, anche se poi, al fine di
facilitare l’analisi e il controllo, si finisce per tradurre tali componenti con indicatori numerici.
Il “cruscotto” di controllo integrato proposto più oltre si sforza di considerare in modo sufficientemente
compatto e sintetico una serie di fattori abbastanza articolati e riconducibili alle seguenti classi:

fattori di attrattività dei settori in cui opera l’azienda;

fattori di attrattività dei paesi di interesse;

importanza relativa per l’azienda di ogni combinazione settore/Paese;

posizionamento competitivo dell’azienda con riferimento a tale combinazione (comprendente,
ovviamente, anche i parametri di quota e di redditività visti sopra).
La logica è quella di:

esplicitare in modo formale i criteri di valutazione adottati dal decisore e le sue valutazioni
specifiche sui vari aspetti di interesse;

tenere sotto controllo la dinamica, nel tempo, del portafoglio multicountry e multibusiness
aziendale al fine di individuare eventuali aree di possibile miglioramento e, quindi, di intervento.
Nella figura alla pagina seguente abbiamo quindi cercato di considerare congiuntamente le quattro
dimensioni sopra indicate, posizionando l’azienda in rapporto a tali dimensioni e nel tempo.
La posizione aziendale con riferimento all’attrattività dei settori e dei paesi in cui opera è sintetizzata
dalla lunghezza, su scala 0-10, dei lati del quadrato al centro della legenda (che quindi può assumere forma
rettangolare): da un anno con l’altro, l’attrattività dei settori e dei paesi potrebbe infatti cambiare.
La definizione dei rispettivi indici di attrattività potrebbe derivare, ad esempio, dalla ponderazione di
indicatori elementari, sempre su scala 0-10, con riferimento ai seguenti parametri:

per i settori: numero di clienti potenziali, consumi pro-capite, tassi di sviluppo, numero e forza dei
concorrenti, importanza del servizio e/o di altre componenti del valore (in cui l’azienda ha dei punti di
forza), margini di contribuzione tipici, ecc.

per i paesi: popolazione entro determinate fasce d’età, tassi di sviluppo, stabilità politica, incentivi,
potenziali sinergie con altri paesi, ecc.
A seconda dell’importanza relativa attribuita dall’azienda ai singoli indicatori, potranno quindi variare la forma
e la dimensione del piccolo riquadro all’interno del cruscotto.
A sua volta, il riquadro interno si posizionerà con riferimento ad altre due dimensioni che delimitano la griglia
principale del cruscotto: il posizionamento competitivo aziendale e l’importanza relativa, per l’azienda,
della combinazione settore/paese.
In questo caso, la collocazione dell’azienda potrà derivare dalla ponderazione di indicatori elementari,
sempre su scala 0-10, con riferimento a parametri quali:

per la posizione competitiva: copertura della clientela finale e/o intermedia, penetrazione relativa,
performance nel servizio e/o in altre componenti del valore rilevanti per il mercato, margini unitari, flussi
di cassa, competenze e abilità specifiche, ecc.

per la rilevanza nel “portafoglio” di business aziendale: percentuale dei ricavi, dei volumi e dei
margini di contribuzione, ritorno sull’attivo gestito, potenziali sinergie, contributo all’immagine, ecc.
104
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
10
LEGENDA
C,D,E: Paesi
3,4: settori
C3
10
attrattività
Paese
indice di importanza nel portafoglio di business
Fig. 16.3 – Il “cruscotto” per il controllo strategico multicountry & multibusiness
E4
D3
C4
0
0
10
attrattività
settore
anno 0
anno n
0
0
indice di posizione competitiva
10
Nulla impedirà, evidentemente, di eliminare alcuni indicatori o di aggiungerne altri, di eliminare o
sostituire una dimensione, di modificare la posizione relativa delle dimensioni stesse: ad esempio, ispirandoci
a una classica matrice proposta dalla letteratura manageriale, potremmo utilizzare l’asse delle X per indicare
il posizionamento competitivo aziendale e quella delle Y per sintetizzare l’attrattività dei settori e/o dei paesi,
descrivendo ad esempio con delle “bolle” di diversa dimensione all’interno della matrice l’importanza relativa
dei diversi business.
Il cruscotto non è altro che un’esplicitazione formale delle logiche adottate dai responsabili
dell’azienda per prendere, nel tempo, decisioni correttive o migliorative in modo sistematico ed
esplicito. Il fatto che la scelta degli indicatori e la loro ponderazione siano attività di carattere soggettivo è
assolutamente irrilevante: l’alternativa, purtroppo molto frequente nella pratica aziendale, è quella di non
utilizzare alcun indicatore esplicito e di prendere comunque decisioni importanti e rischiose sulla base di un
po’ di esperienza (talvolta insufficiente e poco significativa) e dell’intuizione del momento.
105
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Bibliografia consigliata

Robert J. Dolan & Hermann Simon, Power Pricing, The Free Press, 1997
Uno dei più completi e analitici testi sul pricing in ottica aziendale.

Economist, The World in Figures, The Economist Books, 2008
Un’utile raccolta, pubblicata ogni anno, di dati socio-economico-demografici relativi a 220 paesi.

Financial Times, Mastering Global Business, Pearson Education, 1999
Raccolta di articoli di vari autori sui principali temi di international business.

Giorgio Gandellini, Marketing Internazionale, IFOA e Wales University, 1996-2002
Workbook e introduzione multimediale al marketing internazionale, adottati nel Master a Distanza in
Marketing, Vendite e Commercio Internazionale.

Giorgio Gandellini, Massimo Manzoni, Davide Possati e Alfonso Pace, Perfectum: la formula del
successo aziendale in 99 concetti … e altre storie, Franco Angeli, 2007
Raccolta di spunti di riflessione sulle principali tematiche manageriali, con particolare enfasi sugli
atteggiamenti mentali utili per affrontarle.

Giorgio Gandellini, Simone Garroni e Alfonso Pace, Il Nuovo Marketing Strategico, Franco Angeli,
1992-2005
Testo di marketing strategico, corredato di un pacchetto integrato su foglio elettronico, di supporto
alla pianificazione di marketing.

Jean-Pierre Jeannet & H. David Hennessey, Global Marketing Strategies, Houghton Mifflin, 2004
Uno dei più completi testi anglosassoni sul tema (con i pregi e i difetti tipici dell’approccio qualitativodescrittivo), utilizzato nei programmi MBA di molte business school internazionali, corredato di
interessanti case histories.

Thomas T. Nagle & John Hogan, The Strategy and Tactics of Pricing: a Guide to Growing More
Profitably, Pearson Prentice Hall, 2005
Probabilmente il migliore testo sul tema: tratta il pricing in un’ottica concreta e applicativa, nel
contesto dell’intera strategia di marketing.

Anne Coughlan, Erin Anderson, Louis W. Stern & Adel I. El-Ansary, Marketing Channels, PrenticeHall International Series in Marketing, 2006
Panoramica molto completa delle caratteristiche delle principali tipologie di canale distributivo e delle
strategie più appropriate per sfruttarne la potenzialità.

John Tennent & Graham Friend, Guide to Business Modelling, The Economist Books, 2005
Introduzione, chiara e accessibile, allo sviluppo e all’uso di modelli quantitativi di supporto alle
previsioni e alle decisioni aziendali: presuppone tuttavia, contrariamente all’approccio basato sul
“judgment” adottato nella prima parte di questo libro, la completa disponibilità di dati che possano
alimentare i modelli stessi.

Wayne L. Winston, Microsoft Excel: Analisi dei Dati e Modelli di Business, Mondadori
Informatica, 2004
Testo fondamentale, di taglio non tecnico e molto concreto, utile a chi voglia sviluppare la capacità di
tradurre in modelli interpretativi e di supporto alle decisioni, su foglio elettronico (simili a quelli trattati
nella prima parte di questo libro), i problemi manageriali di proprio interesse, in qualsiasi area
funzionale.
106
Management e Pianificazione Strategica per l'Internazionalizzazione
Siti consigliati

http://www.worldbank.org
Sito della Banca Mondiale, ricco di pubblicazioni, ricerche e statistiche sui diversi Paesi

https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook
Pubblicazioni statistiche della Central Intelligence Agency, altrettanto ricco di dati e informazioni

http://www.ice.it
Sito dell’Istituto Nazionale per il Commercio Estero, ricco di informazioni, link e servizi per
l’esportatore italiano

http://canadabusiness.ca/gol/cbec/site.nsf
Sito del Governo canadese, con ampi servizi informativi per gli imprenditori

http://www.eiu.com
Sito dell’Economist Intelligence Unit, “the world leader in global business intelligence” (molti servizi
informativi sono a pagamento)

http://www.prsgroup.com
Political Risk Group: fornisce informazioni, dati e servizi sul rischio politico nei principali Paesi

http://www.imf.org
Sito del Fondo Monetario Internazionale: fornisce, oltre ad assistenza finanziaria e tecnica ai Paesi in
crisi, un’ampia gamma di ricerche e dati statistici

http://globaledge.msu.edu
Sito della Michigan State University, fornisce, oltre a numerosi servizi informativi, alcuni interessanti
strumenti diagnostici per l’elaborazione delle informazioni
107
2a Parte
OPPORTUNITA’ E RISCHI
DELL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Antonio Di Meo
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
17. Le opportunità dell’internazionalizzazione
L’internazionalizzazione rappresenta, per ogni impresa di qualsiasi dimensione e settore, un aspetto a cui
non è possibile sottrarsi e che può riservare grandi opportunità per mantenere o sviluppare livelli di
competitività e di presenza sui diversi mercati.
Prima, però, di illustrare i vantaggi che derivano dalle opportunità offerte dall’internazionalizzazione, è
importante sottolineare due condizioni fondamentali (errori da evitare) che l’imprenditore non dovrebbe
mai sottovalutare ai fini del successo:
1. non considerare le esportazioni come un’attività episodica, senza destinare le necessarie risorse per
il suo successo o, ancora, considerarla come occasione per superare difficoltà sul mercato
domestico;
2. non affrontare i mercati esteri allo stesso modo con cui si affronta il mercato domestico senza
considerare le diversità esistenti.
Intraprendere un’attività di internazionalizzazione permette, infatti, di cogliere importanti opportunità di
sviluppo alcune delle quali riguardano i risultati ottenibili nel breve e medio periodo e che si concretizzano
nell’aumento dei volumi di vendita, altre, invece, sono meno immediate ed evidenti ma possono permettere
all’impresa un posizionamento sul mercato duraturo nel tempo.
Lo scenario in cui viviamo è, infatti, caratterizzato da una crescente interdipendenza di tutti gli attori del
mercato globale: lo spazio si restringe, il tempo si contrae i confini scompaiono legando tutti i diversi
soggetti in maniera più profonda, più intensa e più immediata di quanto sia mai successo prima.
I collegamenti tra i vari Paesi e i vari attori pubblici e privati sono sempre più stretti e sempre più influenzati
dagli eventi che si verificano in ogni angolo del mondo sotto diversi aspetti, dall’economia alla cultura, dalla
tecnologia alla governance. Tutto ciò può offrire grandi opportunità per l’impresa se si opera all’insegna di
una pianificazione strategica e di un controllo globale e razionale.
VANTAGGI DELL’EXPORT
Esaminiamo alcuni dei più rilevanti vantaggi che possono favorire la scelta dell’internazionalizzazione:
•
•
•
•
•
•
•
•
•
allargamento del mercato che da regionale o nazionale, diventa internazionale favorendo, così,
l’aumento del giro d’affari ed il relativo fatturato;
diminuzione del rischio d’impresa dovuto alla ripartizione geografica delle vendite e all’aumento di
mercati di sbocco che permette di sopportare meglio eventuali situazioni di crisi che si manifestano
sui mercati. L’esportazione infatti, permette di ridurre la dipendenza dell’azienda da un unico
mercato, consentendole di superare periodi di recessione che dovessero colpire i singoli mercati;
superamento dei problemi legati alla stagionalità di alcuni prodotti grazie alla diversificazione dei
mercati, che assicura una maggiore stabilità produttiva;
allungamento del ciclo di vita di un prodotto che, diventato obsoleto sul mercato domestico può,
invece, essere considerato ancora innovativo e rispondente alle necessità di un mercato meno
sviluppato industrialmente;
riduzione dei costi fissi e, grazie alle esportazioni, produzione su vasta scala;
aumento della produttività come conseguenza di quanto sopra e dell’ampliamento di impieghi del
prodotto;
possibilità di realizzare economie di scala non solo produttive ma anche sui costi di marketing
(pubblicità, distribuzione, ecc.);
sviluppo di un processo di crescita in termini di dimensioni, supportato dalla crescita della base di
mercato, che consente di accedere a nuove risorse finanziarie e di sfruttare i vantaggi di costo legati
alla dimensione (economie di scala). Tutto questo quando l’attività all’estero cessa di essere una
parte marginale dell’attività complessiva dell’impresa;
aumento dei profitti nel caso in cui l’entità delle vendite aggiuntive ottenibili sul mercato estero è
tale da non incidere significativamente sui costi fissi, tali vendite incrementeranno la redditività
complessiva dell’impresa;
109
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
•
•
•
•
•
•
•
accesso a nuove idee e a nuove esperienze dovute al contatto con nuove realtà, nuovi modi di
operare, nuove idee di successo che possono essere recepite, utilizzate o adattate sia sul mercato
domestico che sugli altri mercati in cui si è presenti;
miglioramento dell’immagine presso i fornitori, i clienti, le banche, il sistema socio-politico grazie alla
possibilità di sfruttare la visibilità internazionale derivante dall’attività di esportazione;
aumento della competitività sul mercato interno nei confronti di quelle aziende che circoscrivono la
propria area di mercato soltanto in ambito domestico. L’esperienza, le competenze e le risorse
acquisite sui mercati internazionali costituiranno un vantaggio competitivo sul mercato interno;
possibilità per le aziende di costruirsi competenze manageriali e mezzi finanziari in misura altamente
maggiore rispetto a chi opera solo sul mercato domestico. L’esperienza della competizione sul
mercato internazionale, impone alle aziende la massima efficienza sotto qualsiasi aspetto dell’attività
aziendale e, se ben pianificata e gestita, permette alle aziende evidenti benefici anche sul mercato
interno in quanto, dovendosi organizzare al meglio, riduce il rischio che imprese straniere possano
farci concorrenza sul mercato italiano;
nuovi e continui stimoli generati dal contatto con la concorrenza internazionale, permettono di
migliorare le tecniche di produzione, di marketing e di commercializzazione del prodotto;
raggiungimento di livelli di flessibilità più elevata dovuti alla numerosità delle “aree mercato”;
fonti alternative di approvigionamento di beni (materie prime, semi lavorati, componentistica, ecc.),
grazie alla presenza di nuovi mercati diversi fra di loro che ne favorisce la ricerca con possibilità di
verificare condizioni di acquisto più favorevoli.
110
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
18. I rischi dell’internazionalizzazione
Negli scambi internazionali i molteplici rischi derivanti dalla negoziazione delle merci e dei servizi acquistano
un maggior rilievo rispetto a quelli presenti sul mercato interno, per effetto delle diversità economico-sociali
legate a fattori di diversa natura che l’impresa si trova ad affrontare e che vanno dalla gestione delle risorse
umane, finanziarie e tecniche, agli aspetti commerciali e di marketing, agli aspetti produttivi, organizzativi e
logistici, a quelli di natura contrattualistica, finanziaria e creditizia, alla pianificazione dei costi e alla
delocalizzazione produttiva, commerciale o di processo. Tutto questo in un contesto più grande di quello a
cui si era abituati fino a qualche anno addietro, inserito in una logica di mercato che spazia oltre i confini
nazionali.
Nel linguaggio corrente il termine “rischio” indica una situazione di incertezza, o la possibilità che possa
verificarsi un evento indesiderato, il cui accadimento può procurare un danno per l’azienda che lo subisce e
precludere, così, il raggiungimento degli obiettivi per i quali il soggetto economico opera sul mercato. Se ci
riferiamo, ad esempio, al rischio di credito, osserviamo che il danno in questione è rappresentato dalla
possibilità di subire un “pregiudizio” patrimoniale conseguente all’inadempimento della controparte: la
mancata
riscossione
del
credito
a
causa
dell’insolvenza
del
debitore
acquirente.
L’impegno finanziario di chi vende, ad esempio, che è caratterizzato dalla concessione di credito ai propri
clienti (se cioè è possibile esporsi, fino a quale importo massimo e per quanto tempo), comporta, infatti, una
serie di problemi che vanno affrontati in un’ottica complessiva e strategica che andremo a sviluppare nel
presente capitolo quando parleremo del rischio di credito.
SE L’ELEMENTO “RISCHIO” È CERTAMENTE UNA CARATTERISTICA DELLE OPERAZIONI CON L’ESTERO, SI PUÒ RIDURRE, SE NON
ADDIRITTURA, IN TALUNI CASI, ELIMINARLO, UTILIZZANDO GLI STRUMENTI ESISTENTI
È opportuno, al riguardo, considerare che, quando un operatore economico si rivolge ad un mercato estero
(per esportare, importare o per un investimento produttivo o commerciale), entra in relazione di affari con
un soggetto residente in una realtà geopolitica diversa dalla propria, dove i rapporti economici assumono
una ben diversa portata nei loro contenuti a rischio, in quanto si sviluppano in un ambiente caratterizzato
dalla “diversità” e dalla “mancanza” di un quadro di riferimento certo ed uniforme.
A fronte delle opportunità e dei vantaggi citati nel capitolo 17, l’impresa internazionalizzata dovrà, pertanto,
affrontare una serie di rischi aggiuntivi, per affrontare i quali è necessario conoscere gli aspetti che
caratterizzano i mercati esteri che proviamo ad elencare per punti nel riquadro che segue.
111
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
Aspetti che caratterizzano i mercati esteri
•
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•
•
•
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•
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•
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•
•
Diversità di cultura, di lingua e di costumi
Diversità di usi e di consuetudini
Diversità nelle tecniche di negoziazione delle trattative commerciali e nelle business practices
Diversità di risorse economiche e finanziarie (indicatori economici, prodotto interno lordo, reddito procapite, ecc.)
Diversità di forme e di politiche governative (politiche economiche e sociali, piani di sviluppo, politiche
di investimento)
Diversità di regime valutario e di regime doganale all’importazione
Diversità di moneta con possibilità di incorrere in rischi aggiuntivi (rischio cambio)
Diversità nei sistemi di trasporto e di comunicazione
Diversità del sistema bancario e delle modalità di pagamenti internazionali
Diversità della legislazione e delle normative che regolano i contratti e le relazioni commerciali
Possibile diverso significato attribuito ai termini commerciali in uso
Diversità di sistema giudiziario
Mancato pagamento dovuto a motivi legati al sistema Paese (rischio politico), piuttosto che al
compratore (rischio commerciale)
Maggiore difficoltà nel reperire tutte le informazioni necessarie ad una buona conoscenza del mercato
in cui si entra
Necessità di adattare il prodotto, la sua presentazione e l’imballaggio a standard di qualità e norme
specifiche del paese d’importazione
Difficoltà a far valere le proprie ragioni nel caso di controparti non corrette
Diversità delle norme che regolano i contenuti tecnici e di sicurezza dei prodotti
Difficoltà nella gestione della documentazione più articolata e complessa rispetto a quanto si è soliti
produrre e gestire sul mercato interno
Costi addizionali nel breve termine e necessità di un impegno elevato e non occasionale per sviluppare
relazioni efficaci e durevoli con i clienti e con i partners esteri
Presenza di tipologie di rischio non riscontrabili nelle relazioni d’affari con controparti italiane e
comunitarie come il rischio paese (politico) che si aggiunge al rischio commerciale
Necessità di trovare soluzioni adatte al contesto internazionale circa la definizione di strategie di
marketing, di prodotto, di distribuzione, di promozione di prezzo, contrattuali, di pagamento,
finanziarie, creditizie e logistiche
Se la “conoscenza” degli aspetti caratterizzanti l’internazionalizzazione diventa elemento strategicamente
importante, al fine di prevedere il possibile verificarsi dei rischi connessi ad una presenza internazionale, al
fine di ricercare soluzioni, approcci, strumenti adeguati ad un contesto che non è il contesto “Domestico”,
l’imprenditore che decide di internazionalizzarsi dovrà definire quali e quante risorse (finanziarie, tecniche,
umane) destinare al progetto di sviluppo sui mercati esteri.
Per poter cogliere le opportunità di business dell’internazionalizzazione, l’impresa dovrà essere competitiva,
attraverso la qualità del prodotto e/o del servizio offerto, attraverso una adeguata organizzazione distributiva
e di vendita, con politiche promozionali e strumenti contrattuali adeguati ad un mercato più vasto e diverso
da quello domestico, che, se da un lato presenta notevoli vantaggi, dall’altro comporta il sorgere di “rischi”
maggiori rispetto a quelli che si presentano con clienti “nazionali”.
112
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
Rischi nelle vendite verso l’estero
• Revoca delle commesse o mancato ritiro delle merci
• Mancato pagamento dovuto a motivi legati al sistema paese (rischio politico), piuttosto che al
compratore (rischio commerciale)
• Oscillazione sfavorevole del cambio
• Divieti all’importazione e/o all’esportazione, contingentamenti, regole anti dumping
• Identificazione dell’origine delle merci ai fini dell’applicazione dei dazi e della pianificazione dei costi
• Interpretazioni diverse del significato attribuito ai termini d’uso commerciale
• Legislazione e normative diverse dalle nostre ed impossibilità ad applicare le clausole nei contratti
italiani
• Continui cambiamenti di normative, procedure e, soprattutto, del quadro politico e socio economico
• Incomprensioni dei termini utilizzati dovuti alla diversità della lingua
• Costi aggiuntivi e variazione dei prezzi
• Impossibilità al trasferimento valutario
• Escussione arbitraria delle garanzie/fideiussioni;
• Impossibilità nell’intraprendere una qualsiasi azione atta a recuperare il proprio credito
• Modalità di trasporto e di aspetti logistici inseriti in un contesto globale e non locale;
• Onerosità dei costi processuali in caso di controversie
• Atti di pirateria nel trasporto marittimo delle merci;
• Corruzione
• Attendibilità delle informazioni
• Gestione delle problematiche tributarie e di fiscalità internazionale
• Adempimenti doganali e relativa documentazione
Per ridurre, se non addirittura eliminare i “rischi” connessi ad una transazione commerciale con l’estero, è
importante che l’operatore economico sia in grado di conoscere le situazioni che potrebbero influenzare
negativamente il buon esito di una operazione commerciale, per essere così in grado di operare in anticipo
scelte alternative oppure attivare meccanismi che lo pongano al riparo da eventi dannosi.
A tal fine diventa importante la messa a punto di un “Piano di internazionalizzazione” caratterizzato dalla
definizione dei prezzi, da una pianificazione dei costi e dei processi di investimento, dei processi logistici che
tengano conto di tutte le variabili sopra citate, e che siano in grado di gestire in modo snello ed efficace tutti
i flussi in entrata ed in uscita sia di merci che di servizi, di sviluppare una strategia finanziaria e commerciale
capace di rendere redditizio il processo di sviluppo e di presenza sui diversi mercati, attraverso l’affronto ed
una “governance” dei principali rischi, tra i quali merita una sottolineatura il rischio di credito.
È evidente, quindi, che la presenza nei mercati esteri, comporta il sorgere di rischi aggiuntivi e di difficoltà
(vedi tabella “Rischi nelle vendite verso l’estero), ulteriori rispetto a quelli che si presentano sui mercati
“Domestici”.
Rischi che gli operatori incontrano nell’intraprendere una qualsiasi attività nei confronti dell’estero e di cui ne
elenchiamo alcuni, che riteniamo rilevanti, e che più sotto illustreremo brevemente:








rischio d’impresa;
rischio economico;
rischio di sospensione o di revoca della commessa e rischio di mancato ritiro della merce;
rischio di escussione arbitraria delle garanzie;
rischio di variazione dei costi di produzione;
rischio monetario e rischio di cambio;
rischio finanziario e rischio di tasso;
rischio di credito.
L’ultimo punto dell’elenco di cui sopra, il rischio di credito, sarà trattato con particolare attenzione in quanto
è importante non considerare la clausola finanziaria e di pagamento dal punto di vista esclusivamente
113
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
amministrativo ma, al contrario, determinante strategicamente, per valutare la convenienza economica di
una transazione commerciale con l’estero.
RISCHIO D’IMPRESA
È la tipologia di rischio che caratterizza ogni attività d'impresa. Sui mercati esteri è aggravato dalla minore
conoscenza del mercato, dei concorrenti, della distribuzione, delle normative, delle consuetudini, delle
tecniche, ecc. oltre che dalla posizione di sostanziale svantaggio che l'azienda si trova a dover affrontare
nella fase iniziale.
RISCHIO ECONOMICO
È il rischio legato all'andamento della domanda sui mercati internazionali, alcuni dei quali - specialmente
quelli caratterizzati dai maggiori tassi di crescita e, come tali, più appetibili - sono caratterizzati da un alto
grado di incertezza e di volatilità, che possono portare a improvvisi e importanti eventi di contrazione della
domanda stessa.
RISCHIO DI SOSPENSIONE O DI REVOCA DELLA COMMESSA E RISCHIO DI MANCATO RITIRO DELLA MERCE
Tale rischio riguarda la possibilità che il compratore estero possa revocare un ordine di acquisto di un bene
già in lavorazione, oppure, addirittura, possa non ritirare la merce spedita, che rimane in giacenza nei
magazzini, in attesa di essere sdoganata (nel caso di transazioni extra Cee). L’esportatore dovrà, in tal caso,
sostenere i costi per riportare la merce nel proprio paese in aggiunta a quelli relativi al periodo di sosta della
merce stessa, al trasporto, all’assicurazione e, ovviamente, a quelli sostenuti per produrla oppure, in
alternativa, a seconda dei casi, tentare di svenderla in loco affidandosi ad un intermediario. Questi rischi
potrebbero verificarsi nel momento compreso tra la firma del contratto e la consegna della merce. Per
evitarlo occorre prendere sempre informazioni sulla serietà della propria controparte commerciale, sulla
situazione generale del paese estero, del sistema giudiziario e sul livello di corruzione esistente definendo nel
contratto tutti gli elementi essenziali della transazione, nonché il tribunale (statale o privato) a cui è
sottoposto il contratto. Infine, è opportuno, concordare come forma di pagamento, una tecnica che sleghi il
pagamento della merce dalla possibilità che il compratore possa non pagare in quanto non ritiri la merce
stessa (come ad esempio il credito documentario), oppure ricorrere ad una copertura assicurativa.
RISCHIO DI ESCUSSIONE ARBITRARIA DELLE GARANZIE
Si tratta del rischio dovuto alla possibilità che l’importatore richieda pretestuosamente alla propria banca di
escutere, cioè di farsi pagare, l’importo della garanzia bancaria che l’esportatore aveva disposto, tramite la
propria banca, a favore dell’importatore per partecipare, ad esempio, ad una gara di appalto (bid bond),
oppure per la buona esecuzione di una fornitura o il buon funzionamento di un impianto (performance bond)
o, infine, a garanzia della restituzione di un importo rappresentante il pagamento anticipato (in tutto o in
parte) di una fornitura (advance payment bond).
RISCHIO DI VARIAZIONE DEI COSTI DI PRODUZIONE
È il rischio che può verificarsi successivamente alla fissazione contrattuale del prezzo, a seguito di aumenti
nei costi di produzione dovuti, ad esempio, all’aumento dei costi delle materie prime. È possibile
salvaguardarsi da questo rischio solo inserendo nel contratto appropriate clausole di revisione del prezzo,
oppure coprendosi con contratti che, generalmente, coprono la differenza tra il prezzo contrattuale e il
prezzo effettivo. La possibilità di instaurare tali coperture è praticabile solo a certe condizioni rivolgendosi
agli Istituti di credito disposti a mettere in piedi tali operazioni.
RISCHIO MONETARIO E RISCHIO DI CAMBIO
Dal momento che il prezzo e la moneta in cui dovrà avvenire il pagamento sono stabiliti al momento del
contratto, in presenza di dilazioni di pagamento significative, l'azienda si troverà esposta al rischio di
riduzione di valore della transazione dovuto alla svalutazione della moneta estera rispetto all'euro.Il rischio di
cambio, in particolare, si presenta quando una transazione commerciale viene regolata in una moneta
diversa dalla unità di conto (euro) e deriva dall’incertezza circa la quantità di unità di conto (euro) che si
114
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
dovranno utilizzare per effettuare un pagamento in valuta estera (dollaro usa, franco svizzero, yen, ecc.) o la
quantità di unità di conto (euro) che si incasserà quando si riceve un pagamento a proprio favore espresso
in moneta estera. Il rischio di cambio rappresenta, quindi, una situazione di aleatorietà sia per il venditore,
che fattura in una moneta diversa dall’unità di conto, sia per il compratore che dovrà pagare una fattura
emessa a suo carico espressa in valuta estera. Rispetto agli altri “rischi”, comunque, il rischio di cambio non
implica necessariamente un evento sfavorevole, ma piuttosto una situazione d’incertezza che potrebbe
trasformarsi sia in un evento dannoso per l’operatore che in uno favorevole. L’introduzione della “moneta
unica europea” ha eliminato il rischio di cambio nei crediti e debiti che le imprese sopportavano nei confronti
dei loro clienti o fornitori residenti in paesi UEM.
RISCHIO FINANZIARIO E RISCHIO DI TASSO
Il rischio finanziario si aggiunge al rischio di cambio che abbiamo esaminato più sopra e al rischio di tasso,
cioè, al rischio generato dal differenziale di tassi di interesse praticati dal mercato e i tassi concessi alla
clientela estera per finanziare i loro acquisti. Tassi, questi ultimi, che sono fissi e agevolati e che vengono
denominati tassi CIRR (Commercial Interest Rates of Reference), mentre quelli praticati dalle banche,
soggetti all’andamento di mercato, vengono denominati tassi Euribor o Libor. La differenza di tassi genera un
aumento del rischio finanziario che necessita di una particolare attenzione nella gestione interna della
tesoreria dell’impresa.
115
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
19. Il rischio di credito
Una transazione commerciale il cui pagamento è successivo alla esecuzione di una fornitura di beni o di
servizi, genera sempre un rischio di credito, indipendentemente dal paese di residenza della controparte
acquirente e dalla dilazione di pagamento concessa.
Il rischio di credito è rappresentato dall’eventualità che il venditore di beni e/o di servizi, non venga pagato
del suo credito, vantato nei confronti di un debitore, a causa di un mancato adempimento dell’obbligo a
pagare da parte dello stesso o a causa di un inadempimento del sistema paese in cui risiede il compratore o,
anche, a causa di un evento generatore di un sinistro che impedisca l’assolvimento del debito da parte del
compratore o del paese.
La valutazione del rischio di credito nei confronti di controparti estere è sicuramente più difficile rispetto a
quella compiuta nei confronti di compratori italiani o comunitari per la presenza di variabili e fattori di rischio
maggiori, o non presenti, in ambito domestico a cui deve aggiungersi la difficoltà ad avere accesso a fonti di
informazione attendibili.
L’eventuale verificarsi, inoltre, del mancato pagamento della fornitura di beni o di servizi rende difficile in
moltissimi casi qualsiasi azione di recupero del credito a causa di una difficoltà ad intraprendere qualsiasi
azione legale o di ottenere il riconoscimento, da parte delle autorità locali, di qualsiasi sentenza disposta da
un tribunale pubblico o privato.
Ecco, quindi, in aggiunta alle tipologie di rischio esaminate nel precedente capitolo e al di là delle difficoltà e
degli aspetti caratterizzanti lo sviluppo di una presenza sui mercati esteri, che l’esportatore si trova a
rispondere alla domanda se è possibile esporsi nei confronti della propria clientela senza correre alcun rischio
di mancato pagamento e, se la risposta è affermativa, fino a quale importo e per quanto tempo. Questa
tipologia di rischio (il rischio di credito appunto), che si presenta in ogni trattativa commerciale che preveda
un pagamento successivo alla data di spedizione, implica innanzitutto l’identificazione della sua natura se,
cioè, trattasi di un rischio solo di natura commerciale o anche di natura politica, dopodiché occorre
affrontarlo e governarlo con soluzioni adeguate ai diversi casi specifici. Possiamo, pertanto, affermare che il
rischio di credito si caratterizza in:
 un rischio di natura commerciale;
 un rischio di natura politica.
Indipendentemente dalla tipologia del rischio di credito individuata se, cioè, trattasi di rischio solo
commerciale o anche politico, occorre ricordare come l’impegno finanziario di chi vende, caratterizzato dalla
decisione di concedere o meno credito ai propri clienti, comporta una serie di problemi che vanno affrontati
in un’ottica complessiva e strategica.
In quest’ottica, è opportuno che l’esportatore, prima ancora di concordare la forma tecnica di pagamento
effettui sempre, tre fondamentali verifiche:



la valutazione del livello di rischio del paese del compratore;
la verifica di solvibilità del compratore;
l’efficienza del sistema giudiziario del paese del compratore.
Soltanto alla luce delle verifiche sopra indicate, si potrà decidere a quali condizioni stipulare il contratto con
la controparte estera e quale il mezzo di pagamento più adatto a quella transazione commerciale, tenendo
conto che la scelta di una particolare forma di pagamento rispetto ad altre può influire positivamente o
negativamente sul livello di rischio di credito.
RISCHIO COMMERCIALE
Il rischio commerciale consiste nel rischio che il compratore (debitore) di un bene o di un servizio non
assolva, anche solo in parte, il debito assunto nei confronti del venditore (creditore).
Quando il debitore non è in grado (o non vuole) far fronte ai propri debiti nei confronti del creditore siamo,
pertanto, in presenza di un rischio commerciale.
L’ inadempienza (insolvenza) della controparte può essere causata da:
-
insolvenza di diritto quando, procedure concorsuali analoghe a quelle esistenti nel nostro paese,
quali ad esempio, la bancarotta, il fallimento, il concordato giudiziale o stragiudiziale,
116
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
-
l’amministrazione controllata e/o straordinaria, la liquidazione coatta amministrativa; accertano
giudizialmente e definitivamente, l’insolvenza del debitore;
insolvenza di fatto, quando l’insolvenza del debitore (avente sempre carattere definitivo) viene
accertata senza che siano intervenute le procedure accertate giudizialmente di cui sopra.
La scelta di concedere una dilazione di pagamento ad un cliente estero non può essere casuale ma,
conseguente, ad una attenta valutazione della situazione economica, patrimoniale e finanziaria (sia attuale
che prospettica) dell’azienda stessa.
La scelta del mezzo di pagamento più adeguato, sarà condizionata dall’esame che l’esportatore dovrà fare
sul potenziale cliente circa: gli obiettivi che quest’ultimo si pone, la coerenza tra gli stessi, la strategia
impostata dall’ azienda, e la capacità di perseguire gli obiettivi prefissati.
Affinché l’impresa che si accinge ad aprire una trattativa commerciale con la controparte estera, possa
delinearne un profilo attendibile, può richiedere informazioni sul potenziale cliente, a organismi istituzionali
come l’ICE-Istituto nazionale per il Commercio con l’Estero oppure a organismi privati come “Dun &
Brandstreet”, “Kompass”, “Lince” ed altri.
Si tratta di società presenti nei principali paesi del mondo che censiscono rischi paese e una miriade di rischi
su operatori privati in tutto il mondo. La più famosa e capillarmente presente è Dun & Brandstreet (D&B).
RISCHIO PAESE
Il rischio paese, anche detto “rischio politico”, si verifica quando una serie di eventi, non imputabili
direttamente al comportamento della controparte, producono il mancato pagamento di un debito da parte di
un debitore privato o di un debitore pubblico. È connesso alla probabilità che le autorità del paese estero
non siano in grado di controllare le condizioni politiche, economiche e sociali del paese stesso al punto da
pregiudicare la capacità o la volontà del debitore (sia esso sovrano o non) di far fronte agli obblighi contratti
verso il creditore italiano, oppure all’impossibilità di un determinato paese di far fronte agli impegni di
pagamento assunti dai propri residenti nei confronti dei non residenti per mancanza di mezzi finanziari o per
altre cause.
Il rischio politico si caratterizza come un rischio originato essenzialmente da fattori di natura socio-politica,
originati da eventi quali guerre, conflitti interni ed esterni, rivoluzioni popolari, colpi di stato o atti di
terrorismo, o anche, da tensioni sociali dettate da motivi etnici, religiosi, ideologici o di classe.
Rientrano in questa categoria anche decisioni unilaterali del governo come espropri e nazionalizzazioni. A ciò
si possono aggiungere gli atti di ostilità nei confronti degli operatori stranieri, come i sabotaggi, i
danneggiamenti agli impianti e ai processi produttivi e le minacce al personale. La presenza di questi rischi è
da valutare opportunamente nelle decisioni riguardanti gli investimenti diretti all’estero.
È il caso di tutti i paesi non industrializzati dove la possibilità che si verifichi un’insolvenza, causata dal
mancato rimborso dei crediti, dipende dai vari fattori di natura politica, economica, bancaria o catastrofica
che vengono denominati con il nome di Eventi Generatori di Sinistro (EGS), che possono avere natura
commerciale o politica.
Il concetto di Rischio paese è piuttosto ampio e non presenta una definizione univoca. I suoi contorni, infatti,
sono definiti in modo diverso a seconda della prospettiva di chi esegue l’analisi, che potrà definire un indice
di rischiosità del paese che differisce da quello attribuito da altri analisti a seconda che l’analisi sia effettuata,
ad esempio, da una Banca internazionale, interessata ad un’emissione di titoli di debito del paese, o una
Export Credit Agency (ECA) che deve valutare la rischiosità di una operazione di esportazione.
Possiamo suddividere il rischio paese in due diverse tipologie:
1. Il rischio sovrano che riguarda l’incapacità o la non volontà di un debitore sovrano (lo stato, un
ente statale, un’impresa pubblica ecc.) di soddisfare i propri impegni di pagamento verso
controparti estere. In questo caso il rischio sovrano può, a sua volta, essere determinato da una
delle seguenti cause:
- il prenditore di fondi non paga il debito perché non vuole pagare o perché non ha la possibilità di
farlo (default);
- il debitore non riconosce il debito (repudation);
- il debitore chiede condizioni più favorevoli, quali tassi inferiori, rinuncia alla restituzione di una
parte del capitale o dilazioni di pagamento più lunghe, anche attraverso minaccia di un ripudio
del debito. In tali casi il creditore riceve pagamenti inferiori a quanto era stato originariamente
pattuito (rinegoziazione del debito);
117
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
-
-
nel caso in cui il creditore sia una banca, l’insolvenza può manifestarsi come ristrutturazione del
debito, nelle forme di rifinanziamento a copertura del debito precedente (refinancing). La banca
erogherà un prestito d’importo pari al debito in scadenza, di solito a condizioni più onerose di
quelle originarie per compensare il suo maggiore impegno;
il debitore ottiene un riscadenzamento del debito (rescheduling), qualora ci sia un
prolungamento delle scadenze connesso alla diminuzione delle rate di ammortamento o ad un
periodo di sospensione dei rimborsi.
2. Il rischio di trasferimento e convertibilità si riferisce ai rischi legati alle decisioni del governo
che impone restrizioni o limiti tali da rendere impossibile il trasferimento del denaro al creditore o
alla sua convertibilità (transfer risk). Si ritiene opportuno far presente che, quanto detto, si riferisce
solo a quei casi che riguardano enti ed imprese private, poiché la mancanza di valuta sufficiente per
il trasferimento o la convertibilità, da parte dello Stato, rientra nel punto precedente.
MISURAZIONE DEL RISCHIO PAESE
Questi istituti utilizzano diversi metodi per determinare il rischio paese, combinando analisi quantitative e
qualitative che tengono conto di fattori politici, economici e finanziari. Come risultato, ai paesi vengono
attribuiti diversi punteggi, da cui dipende la loro inclusione in differenti classi di rischio.
È bene ricordare che da questo giudizio sono esclusi i paesi più industrializzati e i paesi di prima categoria
OCSE, che vengono assunti a rischio zero.
Per descrivere il processo di attribuzione del rating prendiamo a riferimento il procedimento seguito
dall’OCSE, su cui si basano le valutazioni delle agenzie nazionali di assicurazione all’esportazione. Il metodo
di classificazione del rischio paese, in ambito OCSE, si prefigge di misurare il rischio di credito del paese, cioè
la probabilità che il debitore sovrano non onori il servizio del debito estero.
I paesi sono suddivisi in 8 categorie che vanno dalla categoria 0 alla categoria 7, assumendo un rischio
crescente da 0 (rischio nullo) a 7 (rischio massimo).
Ad esclusione dei paesi a più alto reddito, che rientrano in automatico in categoria zero, le analisi sono
ripetute almeno una volta all’anno per ogni paese. Questa classificazione è ottenuta attraverso una
metodologia basata su due fasi principali, una quantitativa e una qualitativa.
La fase di analisi quantitativa prevede l’applicazione di un modello statico, il Country Risk Assessment
Model (CRAM). A differenza di altri modelli usati per stabilire il rating, il CRAM, oltre ai classici indicatori
economico-finanziari, considera anche variabili che stimano l’esperienza di pagamento pregressa, il track
record.
Gli indicatori economici includono variabili come il tasso di crescita del PIL (assoluto e pro-capite), i tassi di
risparmio e investimento, il tasso di inflazione, il saldo del bilancio pubblico, la condizione della bilancia dei
pagamenti, oltre al grado di dipendenza dalle materie prime, dal fabbisogno energetico e dalla dipendenza
degli aiuti internazionali per coprire il proprio fabbisogno finanziario. Gli indicatori finanziari tengono conto
della posizione debitoria (debito estero in rapporto al PIL e alle esportazioni, rapporto tra servizio del debito
e debito estero) e delle riserve valutarie (in valore assoluto e in rapporto alle importazioni).
Ad ogni indicatore viene assegnato un punteggio, che può variare all’interno di intervalli predeterminati; in
seguito gli indicatori sono combinati in modo da determinare due punteggi, economico e finanziario, in un
intervallo da 0 a 100. Questi punteggi vengono ulteriormente ponderati in modo da ottenere un unico score,
che può essere visto come una prima stima dell’ability to pay del paese.
L’analisi seguente riguarda l’esperienza di pagamento del paese. Si considera l’esposizione verso le ECA, data
da impegni in essere, arretrati e indennizzi, nonché la posizione debitoria e il rispetto degli impegni assunti
nei confronti di altre istituzioni finanziarie come il FMI e la Banca Mondiale; si tiene conto, tra l’altro, di
episodi di ristrutturazione, della puntualità dei pagamenti e degli eventuali scostamenti tra importi pagati e
dovuti.
Una volta determinato anche il punteggio relativo all’esperienza di pagamento, questo score viene
confrontato con quello economico-finanziario e il risultato finale viene determinato in base al peggiore dei
due punteggi. L’ultimo step dell’analisi quantitativa sarà la conversione del punteggio ottenuto in categorie di
rischio da 0 a 7.
118
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
Questo risultato viene poi corretto in base ad un aggiustamento qualitativo, che serve a tenere conto di
tutti i fattori non inclusi nel precedente modello, perché difficilmente misurabili. Tra questi vengono
considerati fattori di natura politica, come il tasso di democrazia, la struttura istituzionale, la presenza di
conflitti all’interno del paese o nelle aree circostanti; sono poi presi in esame fattori relativi al quadro legale e
amministrativo, alla situazione sociale e al sistema bancario e finanziario. L’aggiustamento può determinare
un miglioramento del rating, limitato solitamente a una sola categoria; in caso di downgrading questo può
essere potenzialmente illimitato.
Il risultato finale ha una valenza pratica immediata: sulla base di esso è valutato il tasso premio minimo cui
le ECA sono soggette per assicurare i crediti all’esportazione dei propri clienti nazionali.
L’operatore italiano, oltre ai rischi di cui sopra, deve valutare con prudenza, anche i rischi di natura
catastrofica, collegati a “circostanze di forza maggiore”, oltreché, visti i tempi, il rischio di attentati
terroristici.
Eventi Generatori di Sinistro (EGS)
I rischi di natura commerciale (EGS commerciali) riguardano:
- insolvenza di diritto o di fatto del debitore privato e, se del caso, del suo garante;
- inadempimento del debitore privato e, se del caso, del suo garante.
I rischi di natura politica (EGS politici), riguardano, invece:
- la decisione di un Paese estero intendendosi con tale locuzione ogni atto, comportamento o decisione del
governo di un Paese diverso dal Paese dell’assicuratore, compresi atti, comportamenti o decisioni di enti
pubblici equiparati ad interventi del governo, che ostacolino l’esecuzione del contratto commerciale;
- la moratoria generale disposta dal governo del Paese del debitore;
- il mancato trasferimento valutario causato da eventi politici o problemi economici sopraggiunti fuori
dell’Italia, oppure da disposizioni legislative o amministrative adottate all’estero che impediscano o
ritardino il trasferimento delle somme versate a titolo del contratto commerciale ad altro titolo discendente
dall’esecuzione dell’operazione assicurata;
- le disposizioni legali adottate nel Paese del debitore che conferiscano efficacia liberatoria ai versamenti
effettuati dai debitori del Paese stesso anche se tali versamenti, convertiti nella valuta del contratto
commerciale, non raggiungono più, a causa delle fluttuazioni dei tassi di cambio, l’importo del debito al
momento del trasferimento;
- le decisioni dell’Italia o di organismi internazionali (Unione Europea, Organizzazione delle Nazioni Unite,
ecc.), concernenti gli scambi commerciali tra uno Stato membro e Paesi terzi, ad esempio, un divieto di
esportazione sempre che il Governo italiano non si faccia carico dei relativi effetti;
- le circostanze di forza maggiore che si verifichino fuori dall’Italia, quali guerra, guerra civile, rivoluzione,
sommossa, tumulti civili, terrorismo, sabotaggio, ciclone, inondazione, terremoto, eruzione vulcanica,
maremoto o incidente nucleare, purché i relativi effetti non siano altrimenti assicurati.
Il rischio paese è sempre presente, seppure a livelli diversi, tutte le volte che un esportatore entri in rapporti
commerciali con soggetti residenti in paesi diversi dai paesi industrializzati, classificati nei paesi originari
dell’UE e nei paesi di prima categoria OCSE: Australia, Austria, Belgio, Canada, Francia, Germania, Giappone,
Gran Bretagna, Lussemburgo, Nuova Zelanda, Norvegia, Olanda, Spagna, Stati Uniti e Svizzera.
VALUTAZIONE DEL RISCHIO PAESE: IL RATING
Se la valutazione del rischio di credito, generato dai singoli nominativi, si presenta complessa e difficile, è
pur sempre possibile, attraverso la raccolta di informazioni ed un attento esame di tutte le componenti
dell’impresa (bilanci, conti economici, età dell’azienda e sua operatività, eventuali protesti, profilo della
proprietà, ecc.), delineare un profilo quanto più attendibile possibile.
L’impresa internazionalizzata non può, invece, valutare il rischio paese in modo autonomo, ma dovrà
avvalersi di supporti informativi altamente qualificati, in grado di “fotografare” la realtà politica – economica
del paese con cui si sta per relazionarsi.
119
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
Un sistema di reporting, contenente la valutazione del paese da un punto di vista politico, economico,
finanziario e assicurativo, è offerto dalle Agenzie di analisi del rischio paese, dalle società internazionali di
rating, dalle agenzie di rating commerciale, dalle società di assicurazione dei crediti, dalle grandi banche
internazionali.
È facile, pertanto, intuire come sia importante per chi tiene delle relazioni economiche con paesi stranieri
comprendere e poter valutare il rischio aggiuntivo che deriva dallo sviluppo di una presenza sui mercati
internazionali. A questo fine esistono diversi soggetti, pubblici e privati, che svolgono attività di analisi e
monitoraggio e predispongono dei report in cui è definita una misura di sintesi della rischiosità di ogni paese
e una descrizione della situazione attuale, storica e revisionale. Da questi giudizi deriva anche una
definizione del prezzo di mercato del rischio (come il costo del debito o l’entità dei premi assicurativi).
Si possono annoverare tra le principali Agenzie di rating le seguenti:
-
Moody’s: Moody’s Corporation, New York, London
S & P: Standard and Poor’s, New York, London
Fitch: Fitch Ratings, London, New York
JCR: Japan Credit Rating Agency Ltd, Tokyo
Oltre alle Agenzie di reporting sopra indicate dobbiamo ricordare i seguenti organismi istituzionali
nazionali ed internazionali che, tra le altre cose, forniscono un sistema di reporting dei diversi paesi. Tra
questi segnaliamo:
o
o
o
o
o
l’OCSE sulle cui classificazioni si basano le valutazioni delle ECA come l’italiana SACE (vedasi parte
…, capitolo a cui si rimanda);
il FMI, Fondo Monetario Internazionale;
l’ICRG, International Country Risk Guide;
il Political Risk Service;
alcune tra le principali banche internazionali.
I report delle principali agenzie di rating, costituiscono un valido riferimento per i principali protagonisti del
mercato, essendo basati su uno standard internazionale che permette di dare dei “voti” o “pagelle” espresse
con delle lettere dell’alfabeto dalla A alla D.
120
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
20. La gestione del rischio di credito per le PMI
La gestione del rischio di credito, sia nelle grandi imprese sia nelle PMI, si estrinseca in una attenta
valutazione del rischio stesso, che si può decidere di tenere oppure eliminare/trasferire, perché lo si
considera troppo elevato, attraverso operazioni assicurative e finanziarie.
La prima tappa, nella gestione del rischio di credito, è il trasferimento dello stesso, da una controparte
generalmente ritenuta troppo rischiosa ad una il cui rischio sia “accettabile” da un punto di vista
assicurativo,o
“vendibile”
ad
una
banca,
in
un’operazione
di
smobilizzo
del
rischio.
Il rischio di credito, tuttavia, non può essere eliminato completamente e l’esportatore si trova a trasferire il
rischio ad un altro soggetto che lo garantisce.
In un credito documentario confermato, vi è trasferimento del rischio dall’acquirente, (l’ordinante del credito
documentario) alla banca garante (l’emittente del credito), alla banca dell’esportatore (la banca
confermante). In base al credito documentario, il solo rischio dell’esportatore, è che la propria banca di
fiducia non onori i suoi obblighi, eventualità remota.
L’impresa, che intende tutelarsi dal rischio di mancato pagamento, può attivare una strategia di tipo
finanziario o assicurativo.
Una banca può acquistare il credito con un’operazione di forfaiting o lo concede direttamente con la
conferma di un credito documentario nel breve periodo, o con un credito acquirente nel medio termine.
Se il debitore, o il suo garante, sono ritenuti troppo rischiosi per un’operazione di finanziamento bancario, si
deve tentare di coprire il rischio sull’acquirente o sul garante con una polizza assicurativa, cercando di
smobilizzare in seguito il credito, che migliora dopo la copertura assicurativa.
121
Opportunità e Rischi dell'Internazionalizzazione
Bibliografia consigliata

AA. VV., Manuale del Commercio Internazionale, 3ª ed., Ipsoa, Milano, 2008.

Di Meo A., Manuale Pratico del Commercio Internazionale, Maggioli Editore, Rimini, 2007.

Di Meo A., Garioni G., Soluzioni Finanziarie per l’Export, Banca e Impresa, Banco Popolare di
Verona Novara, Verona, 2006.

Lombardi L., Guida Pratica per l’Esportatore, 14ª ed., Franco Angeli, Milano, 2006.
122
3a Parte
PUNTI DI CRITICITA’ DEL
MANAGEMENT INTERNAZIONALE
Antonio Di Meo
Punti di Criticità del Management Internazionale
21. La pianificazione delle vendite all’estero in un’ottica di Supply chain
Le politiche commerciali di marketing e le strategie di penetrazione nei mercati internazionali richiedono
all’impresa l’adozione di politiche aziendali mirate e coerenti, che coinvolgano contemporaneamente le varie
aree organizzative, come quella commerciale, finanziaria, amministrativa e logistica.
Se questo è vero dobbiamo considerare che le grandi strategie, come le grandi opere d’arte o le grandi
scoperte scientifiche, richiedono la padronanza degli aspetti tecnici per la loro realizzazione, così come
l’efficacia delle azioni commerciali e di marketing non possono prescindere dalla definizione degli aspetti
essenziali di una qualsiasi transazione commerciale.
In tale ambito, una importanza rilevante per il buon esito di un accordo commerciale e, soprattutto, per
l’ottimizzazione dei risultati aziendali, non può prescindere da un’attenta valutazione degli aspetti
commerciali, contrattualistici, creditizi, finanziari e logistici di una qualsiasi azione di internazionalizzazione.
Diverse sono le funzioni aziendali coinvolte per il raggiungimento degli obiettivi di “posizionamento” sul
mercato internazionale che ogni azienda non può non identificare e definire, sviluppando processi snelli e
lineari capaci di ottimizzare la propria logistica, di affrontare il rischio di credito con soluzioni e strumenti
strategicamente efficaci, di definire i punti essenziali ed accessori di qualsiasi accordo commerciale,
favorendo l’incontro tre le diverse esigenze delle controparti.
Pianificare quanto sopra in un’ottica di Supply chain, rende necessaria la focalizzazione di alcuni punti di
criticità che rappresentano degli “snodi” importanti per ottimizzare e valorizzare lo sforzo dell’impresa di
internazionalizzarsi fin dal momento dell’avvio della negoziazione di qualsiasi accordo commerciale.
PRINCIPALI PUNTI DI CRITICITÀ
Tra i punti di maggiore criticità (snodi), ci soffermeremo su quelli che di seguito elenchiamo, andando ad
analizzarli singolarmente, coscienti, però, che tutti hanno un’importanza strategica che necessita di
affrontarli, gestirli e governarli in un’ottica d’insieme in quanto si influenzano a vicenda potendo, a seconda
di come sono affrontati e assemblati, portare a situazioni positive o negative, aumentando o riducendo i
livelli di rischio che qualsiasi impresa incontra nel suo processo di sviluppo sui mercati esteri.
I punti di criticità che analizzeremo riguardano i seguenti aspetti:




Gli
Gli
Gli
Gli
aspetti
aspetti
aspetti
aspetti
commerciali
contrattualistici
creditizi e finanziari
logistici e trasportistici
Supponiamo il caso di un'azienda vicentina che produca beni per i quali l'imprenditore abbia valutato
l'opportunità o la possibilità concreta per sviluppare le vendite fuori dal territorio nazionale. Quali sono le
considerazioni che dovrà fare prima di prendere una decisione così importante: quella cioè di
internazionalizzarsi? E come affrontare con successo la vendita verso i mercati esteri?
Riteniamo che la cosa più importante da fare sia quella di non sottrarsi ad alcune regole fondamentali:
1. Sviluppare una precisa politica di marketing.
2. Mettere a punto strategie adeguate per introdursi stabilmente nei mercati individuati come i più
ricettivi per i propri prodotti.
3. Possedere informazioni.
4. Conoscere le principali tecniche riferite alle vendite all'estero.
Nella realtà sono poche le imprese che non seguono queste regole ma sono molte quelle che fanno fatica a
mantenere nel tempo determinati flussi commerciali, a mantenere i margini di profitto e quindi un vantaggio
competitivo.
Ogni imprenditore è ben consapevole che per puntare veramente sui mercati esteri occorra possedere
alcune doti necessarie:
COSTANZA, SACRIFICIO, IMPEGNO, PREPARAZIONE, COMPETENZE, COMPRENSIONE DELLA DIVERSITÀ DELLE REGOLE DEL GIOCO,
CREATIVITÀ, NONCHÉ CAPACITÀ DI ATTENDERE I RISULTATI.
124
Punti di Criticità del Management Internazionale
Iniziamo, ora, ad analizzare gli aspetti di criticità richiamati più sopra iniziando con gli Aspetti Commerciali:
22. Gli aspetti commerciali
L’imprenditore che abbia deciso di internazionalizzare la propria impresa dovrà, sulla base delle analisi
effettuate circa le risorse umane, finanziarie e tecniche, porsi alcune domande:



quali i mercati su cui esportare;
quali i criteri di scelta per entrare sui mercati esteri;
come esportare, cioè quali sono i canali di entrata nei mercati esteri.
Per vendere all’estero è importante, infatti analizzare attentamente se concentrarsi su pochi mercati
piuttosto che su tanti mercati, individuando quale/i il/i mercato/i ritenuto/i più interessante/i. La selezione
dei nuovi mercati avverrà per fasi successive che permetteranno di identificare quali sono quelli che
presentano un maggior potenziale, per poi effettuare un’analisi accurata sui mercati individuati più
interessanti, rispetto ai tanti selezionati. Solo successivamente si potrà procedere con una ricerca più
approfondita sui mercati che si ritengono i più convenienti e i più suscettibili di successo.
Vendere all’estero comporta, inoltre, per ogni impresa la definizione, in base alle proprie risorse (sia quelle
tecniche, che finanziarie, che umane), degli obiettivi fattibili e raggiungibili in un arco di tempo fissato,
secondo una strategia di marketing che possiamo tradurre e sintetizzare come segue.
il mercato estero rappresenta una parte marginale del proprio fatturato e quindi l’impresa non
ritiene di investire in modo significativo;
 il mercato estero può e deve rappresentare una parte significativa del proprio fatturato e quindi
l’impresa ritiene di investire in tal senso.

La scelta di una delle due strategie ha delle conseguenze sull’organizzazione della rete di vendita che deve
essere adeguata per un ingresso vincente/soddisfacente sui mercati esteri. Si rende quindi necessaria la
definizione di schemi organizzativi che, essendo diversi in base alle esigenze, implicano un maggior o minore
grado di coinvolgimento dell’esportatore:
1. una presenza all’estero senza una propria organizzazione, quindi in modo occasionale in base agli
ordini che si ricevono a seguito, ad esempio, di una partecipazione ad una Fiera internazionale o
all’invio di un mailing, cioè l’offerta dei propri prodotti ad un determinato numero di nominativi esteri
(canale indiretto);
2. una presenza all’estero attraverso una organizzazione altrui che collabori con l’esportatore, al fine di
sviluppare le vendite di un prodotto su di un determinato territorio (canale diretto);
3. una presenza all’estero con una propria struttura (canale diretto o concertato).
La scelta di uno degli schemi organizzativi descritti, che riportiamo nella tabella “Canali di entrata sui mercati
esteri”, implica la instaurazione, con la controparte e/o il partner estero, di rapporti commerciali diversi che,
comunque, spingeranno l’imprenditore ad elaborare un “piano di internazionalizzazione” adeguato agli
obiettivi da perseguire e alle risorse a disposizione.
125
Punti di Criticità del Management Internazionale
Canali di entrata sui mercati esteri
CANALE INDIRETTO
L’impresa
lascia
ad
altre
organizzazioni
l’iniziativa
di
vendere all’estero affidandosi a
grandi importatori (intermediari).
Si tratta di imprese che non
dispongono
di
una
propria
organizzazione di vendita all’estero.
CANALE DIRETTO
L’impresa prende direttamente
contatti con il sistema della
distribuzione dei mercati esteri
attraverso la propria forza di
vendita o con altre forme (ad
esempio, reti di distributori).
CANALE CONCERTATO
L’entrata è fatta attraverso altre
imprese non intermediarie, con
particolari accordi. Le forme più
diffuse sono il franchising, i
consorzi tra imprese, le jointventures, la cessione di know how.
Vantaggi:
 Bassi costi
 Impiego di limitate risorse umane e finanziarie
 Espansione quote di mercato nel breve periodo
Svantaggi:
 L’impresa non ha contatti diretti e pertanto non
controlla il mercato
 L’impresa fornitrice può essere sostituita
 Obiettivi degli intermediari in contrasto con quelli
dell’impresa
Vantaggi:
 Contatti diretti con la clientela e con gli
intermediari
 Formulazione di politiche a medio e lungo termine
 Controllo di mercato
 Sviluppo di competenze professionali
 Si creano le condizioni per passare dalla fase di
esportazione a quella di internazionalizzazione
Svantaggi:
 Alti costi di investimento iniziale
 Ricerca di personale qualificato
Vantaggi:
 Velocità di penetrazione e riduzione costi di
vendita
 Utilizzo capacità organizzative e finanziarie di altre
imprese
 Maggior assistenza post-vendita
 Risparmi nelle spese di marketing
Svantaggi:
 Si legano le sorti del prodotto a quelle dell’impresa
con la quale si fa l’accordo
 Cambiano gli interessi del partner
126
Punti di Criticità del Management Internazionale
Il piano di internazionalizzazione dovrà prendere in considerazione, elementi di natura: commerciale, di
marketing, organizzativi, logistici, produttivi e finanziari. In particolare gli aspetti commerciali e di marketing
dovranno essere definiti tenendo conto di quanto di seguito indichiamo:















Valutazione del mercato di riferimento in cui si svilupperà il progetto
Analisi del contesto economico, sociale, politico e normativo
Individuazione del target di clienti e loro analisi
Analisi del sistema competitivo
Descrizione del prodotto o del servizio
Definizione dell’offerta
Individuazione del prezzo e del canale promozionale
Definizione della rete distributiva
Formulazione della strategia aziendale
Individuazione di eventuali alleanze
Verifica delle competenze necessarie e delle risorse umane da coinvolgere nel progetto
Individuazione del project manager e dello staff di progetto
Definizione delle strutture necessarie e delle loro caratteristiche
Individuazione di dove localizzare le diverse attività (uffici, produzione, ecc.)
Suddivisione dei compiti e dei tempi per realizzare il progetto
Tenendo conto di quanto appena descritto, se consideriamo, ad esempio, la negoziazione di una
compravendita, osserviamo che da sempre ed ovunque le parti (compratore e venditore) hanno convenienza
a che sia la controparte a dare esecuzione per prima, all’obbligazione contrattuale principale che le compete,
riservandosi di dare esecuzione alla propria solo a seguito dell’adempimento della controparte.
Il compratore, pertanto, cercherà sempre di posticipare il più possibile il pagamento del prezzo rispetto alla
consegna della merce; a ciò egli è spinto soprattutto da ragioni di carattere finanziario (miglioramento della
situazione di liquidità generata dalla gestione corrente) oltre che dalla necessità di porre rimedio al rischio di
ricevimento di merce non rispondente, non conforme o difettosa. Per il venditore, per contro, la situazione
ottimale si ha quando il pagamento della fornitura è anticipato rispetto alla sua spedizione; in tale situazione
il rischio di mancato pagamento si annulla e migliora la liquidità aziendale.
Accade normalmente che quando il venditore italiano instaura un rapporto commerciale con un acquirente
estero, per le prime forniture di merce, a causa della mancata conoscenza della controparte estera, egli
riesca ad ottenere una forma di pagamento contestuale (COD) o assai sicura, come l’apertura di un Credito
documentario, oppure, indipendentemente dal mezzo di pagamento, il rilascio di una garanzia bancaria a
prima domanda, anche nella forma di una Stand by Letter of credit.
Successivamente, con il consolidarsi del rapporto commerciale, soprattutto se le forniture avvengono
nell’ambito di un contratto di distribuzione commerciale, è prassi che l’acquirente richieda una forma di
pagamento per lui meno onerosa, oppure meno impegnativa sul piano finanziario in termini di affidamenti
bancari utilizzati, oppure ancora non contestuale ma posticipata al fine di ottenere, così, un finanziamento a
costo zero, quale, ad esempio, una “rimessa diretta” a mezzo bonifico bancario con pagamento a 60 o 90
giorni dalla data della fattura o della spedizione della merce.
Il pagamento del prezzo delle forniture mediante bonifico bancario con scadenza nel breve termine
rappresenta, infatti, il mezzo di pagamento più utilizzato dai nostri esportatori nelle vendite ai Paesi europei
ad “economia matura” (Paesi dell’UE dei quindici e altri Paesi europei e non dell’area OCSE di prima
categoria, quali Svizzera, Islanda, Norvegia, Australia, Giappone, Stati Uniti).
Nelle esportazioni italiane verso gli altri Paesi dell’area OCSE invece, la forma di pagamento più utilizzata è il
Credito documentario, così come nei Paesi dell’Est Europa (anche in quelli recentemente entrati nell’UE) e,
soprattutto, nei Paesi ad economia non industrializzata.
Ma che fare, ad esempio, se a richiedere il regolamento posticipato nella più semplice forma tecnica del
bonifico bancario è un’impresa cliente residente, ad esempio negli Stati Uniti o nella Repubblica Ceca o in
Polonia? In questi casi, l’esportatore italiano che intenda mantenersi competitivo nei mercati esteri deve
disporre di tutti gli strumenti che gli consentano:
di valutare con professionalità e non a semplice “intuito” il grado di affidabilità e solvibilità del
cliente, nonché del Paese in cui questi risiede;
 di analizzare la sostenibilità finanziaria delle proprie politiche commerciali di concessione di credito
alla clientela estera, in termini di impatto sulla propria liquidità aziendale;

127
Punti di Criticità del Management Internazionale

di conoscere e saper utilizzare strumenti quali (almeno per i crediti export di breve termine), il
ricorso a forme di copertura assicurativa
Utilizzando tali strumenti in modo professionale l’esportatore italiano è in grado di valutare con cognizione di
causa, se e fino a dove egli può spingersi per andare incontro alle esigenze, sia di finanziamento che di
utilizzo di mezzi di pagamento snelli ed economici, dei propri clienti esteri, senza tuttavia “azzardare”,
pregiudicando la propria redditività e stabilità finanziaria.
La necessità di sviluppare tali strumenti e capacità aziendali valgono non solo per la clientela già acquisita e,
quindi, per il mantenimento delle proprie quote di mercato ma diventano fondamentali anche come
strumenti di marketing commerciale per acquisire nuovi clienti e sviluppare la propria attività sui mercati
esteri
La competitività delle imprese sui mercati esteri, in modo particolare nei cosiddetti “mercati maturi”, tende
sempre più a basarsi non solo su elementi tradizionali di qualità e prezzo della merce compravenduta, servizi
di post-vendita, azioni promozionali ma anche sulla capacità di definire, proporre, e saper gestire aspetti
inerenti alle condizioni contrattuali che possono costituire un quid pluris, un ulteriore vantaggio per le
imprese importatrici acquirenti. Elementi di vantaggio possono riguardare molteplici aspetti commerciali:
dalle condizioni di resa della merce, alle condizioni di pagamento.
Soprattutto in realtà come quella italiana in cui per moltissime imprese la leva del prezzo difficilmente può
essere utilizzata come strumento di aggressività commerciale sui mercati esteri, in considerazione dei bassi
margini operativi e dell’attuale posizione di forza dell’euro, ecco che allora conoscere il mercato
dell’assicurazione dei crediti all’esportazione e utilizzare strumenti di copertura assicurativa dei propri crediti
export può dare un forte slancio alla competitività delle imprese italiane esportatrici.
Queste, infatti, forti della garanzia assicurativa possono concedere condizioni di pagamento che più si
confanno alle esigenze della controparte acquirente, accordando maggiori dilazioni di pagamento e/o
accettando mezzi di pagamento più snelli dal punto di vista operativo.
È pertanto, importante sottolineare che l’assicurazione dei crediti all’esportazione, oltre ad offrire gli specifici
servizi assicurativi ed accessori inerenti alla polizza assicurativa, può fornire all’esportatore, per le
considerazioni sopra fatte, notevoli vantaggi competitivi, consentendogli di adottare strategie commerciali
altrimenti difficili o eccessivamente rischiose.
128
Punti di Criticità del Management Internazionale
23. Gli aspetti contrattuali
Se è di fondamentale importanza adottare una strategia commerciale e finanziaria adeguata alla realtà dei
mercati in cui si è presenti o si intende essere presenti, lo stesso vale per la definizione della strategia
contrattuale, che l’esportatore dovrà attentamente pianificare per potersi posizionare sui mercati individuati
come i più interessanti.
Gli aspetti contrattuali rappresentano, infatti, uno dei punti di maggiore criticità di una qualsiasi negoziazione
di un accordo commerciale con l’estero, sia che trattasi di una compravendita di merci o di servizi, sia che
trattasi di un accordo commerciale di cessione di Know how o di creazione di una società mista (Joint
venture) o la costituzione di una società di diritto estero con capitale proprio. In questo capitolo proveremo
ad analizzare gli aspetti più salienti che caratterizzano la negoziazione di un contratto internazionale per poi
soffermarci sul contratto di compravendita internazionale, su quello di distribuzione e, infine, sul contratto di
Joint venture, con la consapevolezza che tutti gli aspetti contrattuali possono, essere utilizzati come una
leva di marketing e, se correttamente gestiti, consentono all’esportatore di presentarsi sui mercati esteri in
modo più efficace.
Soltanto con la formulazione di un contratto che tenga conto di tutti gli aspetti che regolano il rapporto
commerciale, è possibile, se non eliminare, almeno ridurre in modo significativo i rischi di mancato o
ritardato pagamento (come nel caso ad esempio, di una compravendita o in un accordo di distribuzione) che
possono riservare danni economici per l’impresa tali da impedire, in alcuni casi, la competitività o la presenza
su certi mercati.
Per questo è di fondamentale importanza dare forma scritta all’intero accordo negoziale, utilizzando, ove
possibile, testi standard di contratto che potranno essere adattati, di volta in volta, alle singole operazioni,
tenendo conto di tutti gli aspetti riguardanti l’accordo commerciale specifico.
DIVERSITÀ DI SISTEMI GIURIDICI
La stipula di un contratto (sia esso di compravendita o di altro tipo) nel commercio internazionale presenta
aspetti multiformi tanto da essere sottoposto a numerose variabilità di natura giuridica, valutaria, finanziaria,
logistica e commerciale, che incidono in misura rilevante sulla corretta impostazione del rapporto con la
controparte estera.
La scelta del “tipo” di contratto,
cambio, i risvolti commerciali e
elementi economici del rapporto
paesi con i quali si intraprende
forza contrattuale.
la sua struttura, i suoi contenuti, la valutazione del rischio di credito e/o di
strategici e le precauzioni da adottare derivano dalla individuazione degli
che si instaura con la controparte estera, dagli scopi che ci si prefigge, dai
la trattativa commerciale, dal settore merceologico di appartenenza, dalla
Aspetti che non possono prescindere dal contesto in cui si sviluppa una transazione commerciale con l’estero
caratterizzata dalla diversità di sistemi giuridici, dalla diversità di norme, di consuetudini, di significato
attribuito a termini di uso comune.
Proprio in considerazione di quanto sopra illustrato, quando si definisce un accordo commerciale con una
controparte estera, è importante regolare nel modo più chiaro e completo tutti i punti essenziali dello stesso
non lasciando alla controparte l’iniziativa totale di redigere il contratto. Se questo non è possibile, quanto
meno, è fondamentale comprendere la portata e le implicazioni delle proposte fatte dalla controparte.
SISTEMA DI COMMON LAW E DI CIVIL LAW
Occorre sottolineare, inoltre, che in ambito internazionale, esistono due grandi famiglie di diritto che
hanno un approccio diverso in materia di contrattualistica e la cui non conoscenza può produrre spiacevoli
sorprese tali da compromettere la redditività di un affare con l’estero:
-
il sistema giuridico di “Common Law” (tipico dei paesi anglosassoni), dove, contrariamente a quanto
accade in Italia, non esistono codici scritti a cui riferirsi per disciplinare la materia che si basa su
precedenti casi analoghi e dove, di conseguenza, è necessario prevedere il più possibile nel contratto
sottostante divenendo lo stesso “legge” per le parti contraenti;
-
il sistema giuridico di “Civil Law” (adottato dai paesi europei), dove i contratti, sottostanno, invece,
alla legge codificata (codice civile) e non possono esserci deroghe a clausole o disposizioni imperative.
129
Punti di Criticità del Management Internazionale
LA STIPULA DI UN CONTRATTO INTERNAZIONALE RICHIEDE, PERTANTO, PARTICOLARE ATTENZIONE E NON DEVE ESSERE
TRASCURATA, MA È DI FONDAMENTALE IMPORTANZA, DEFINIRE IL QUADRO GIURIDICO IN CUI SI SVILUPPA E A CUI È
ASSOGGETTATO IL RAPPORTO COMMERCIALE.
NEGOZIAZIONE DI UN CONTRATTO INTERNAZIONALE
Quale legge regolerà il rapporto commerciale? Quella italiana o quella della controparte straniera? Esistono
delle Convenzioni internazionali? E, se esistono, cosa dispongono? Possono rispondere alle esigenze delle
imprese? In caso di controversie cosa succede? A chi ci si può rivolgere per risolverle?
Queste sono soltanto alcune domande che l’operatore economico deve porsi quando inizia una trattativa
commerciale con una controparte estera.
È necessario, allora, avere alcune linee-guida che riteniamo utili per la corretta negoziazione di un
contratto internazionale e che, nel contempo, aiutino a comprendere il significato degli elementi base e a
facilitare la negoziazione di qualsiasi rapporto commerciale sia che trattasi di semplici contratti di vendita o di
agenzia, sia che trattasi di contratti più complessi, come, ad esempio, la costituzione di una joint-venture, un
contratto di licenza o la fornitura di opere chiavi in mano.
Occorre sottolineare, inoltre, che un “buon contratto” non dipende dal numero delle pagine (tante o poche)
che lo compongono ma, al contrario, dipende da come vengono definiti tutti gli argomenti dello stesso che
dovranno tener presente il significato attribuito ad alcuni termini che potrebbe essere diverso da quanto
viene attribuito dalla controparte estera così come la diversità della lingua, degli aspetti culturali, sociali e
consuetudinari esige che il testo sia il più semplice possibile.
Criteri per redigere un buon contratto






Chiarezza con la quale si individua, preventivamente, tutto ciò che potrebbe creare problemi o
conflitti non lasciando spazio a equivoci e interpretazioni diverse da quanto effettivamente voluto
dalle parti.
Semplicità dell’linguaggio affinché sia comprensibile a tutti quelli che nel futuro saranno chiamati
ad utilizzare lo strumento contrattuale. Talvolta è opportuno sottolineare il significato di termini
che possono prestarsi a molteplici interpretazioni.
Coerenza in quanto non basta che le clausole siano esposte in modo chiaro, ma è necessario che
facciano parte di uno schema ordinato e coerente. Non devono esserci contraddizioni tra una
clausola e l’altra.
Completezza con la quale si regolano, nei limiti del possibile, tutti i punti oggetto del contratto
stesso (legge applicabile, foro competente, arbitrato, lingua, sono soltanto alcuni degli aspetti
fondamentali di qualsiasi rapporto contrattuale che vanno sempre concordati e previsti
esplicitamente nei contratti internazionali).
Armonia e giusto equilibrio tra le clausole che tutelano le parti contraenti: venditore e
compratore (nella compravendita), fabbricante e agente e/o concessionario (nella distribuzione).
Corretta formulazione delle clausole contrattuali.
QUADRO GIURIDICO
Innanzitutto è fondamentale, come già evidenziato sopra, informarsi sul quadro giuridico in cui il contratto si
inserirà, individuando l’esistenza o meno di eventuali vincoli imposti dalle leggi vigenti nel paese della
controparte, che potrebbero rendere inefficace la scelta della legge italiana (nel caso si optasse per questa)
nel Paese della controparte.
Occorre, pertanto, valutare sempre in anticipo quale sia la legge da applicare all’accordo commerciale con
una controparte estera. In assenza di una legge in tal senso sarà il giudice chiamato a dirimere una
controversia che si baserà sulle norme di diritto internazionale privato del proprio Paese.
130
Punti di Criticità del Management Internazionale
FORMA DEL CONTRATTO
Pur non essendo necessaria la forma scritta, affinché un contratto possa considerarsi garante della volontà
delle parti, è opportuno, comunque, che l’accordo con controparte straniera sia sempre regolato in forma
scritta.
È errata l’opinione, peraltro diffusa presso molti operatori economici, secondo la quale, non regolando in
forma scritta il rapporto commerciale, si evita di assumere un vincolo giuridico. È esattamente il contrario
con la differenza che, così facendo, non si conoscono i vincoli a cui il contratto è assoggettato.
LINGUA DEL CONTRATTO
Per quanto riguarda la lingua da usare è importante specificare nel testo del contratto quale sia la lingua alla
quale attribuire il valore ufficiale del contratto, evitando che in presenza di traduzioni in più lingue, i cui
termini sono simili, ma possono dare adito a molteplici interpretazioni, sorgano contenziosi relativi alle
disposizioni del contratto. Al riguardo val la pena adottare una lingua “neutra” come potrebbe essere
l’inglese, vista la diffusione e la conoscenza della stessa in campo internazionale, per mettere le parti sullo
stesso piano.
FUNZIONE DEL CONTRATTO
La forma scritta di un contratto è, peraltro, importante perché permette all’operatore economico di:
 impostare le principali clausole in modo chiaro al fine di lasciare il minimo spazio a possibili
controversie e/o discussioni circa l’interpretazione di alcuni punti;
 tradurre la volontà delle parti;
 affrontare un’eventuale controversia da una posizione di forza in quanto, l’assenza di un contratto
scritto, potrebbe comportare delle spiacevoli sorprese con il rischio di affrontare le difficoltà di un
processo in un paese lontano con risultati diversi da quanto ci si attendeva;
 ridurre i rischi di non adempimento da parte della controparte estera, rispetto a quanto
concordato;
 offrire un’immagine positiva e trasparente di sé, attraverso la definizione dei punti essenziali che
regoleranno il rapporto commerciale.
L’ASSENZA DI UN CONTRATTO SCRITTO O LA SUA FORMULAZIONE IN MODO NON COMPLETA E/O IMPRECISA NON DIMINUISCE I
RISCHI MA, ANZI, LI AUMENTA. IL COMPORTAMENTO DELLE PARTI, INFATTI (SCAMBIO DI CORRISPONDENZA, SPEDIZIONE DELLE
MERCI, RITIRO DELLA MERCE, ECC.), DIMOSTRA E COMPROVA, L’ESISTENZA DI UN CONTRATTO, INDIPENDENTEMENTE DALLA SUA
FORMA.
SCELTA DELLA LEGGE APPLICABILE
La scelta della legge applicabile per l’operatore economico non è semplice.. E’ più opportuno assoggettare il
contratto alla legge italiana o alla legge del paese della controparte oppure a quella di un paese terzo o,
addirittura, ricorrere alla cosiddetta Lex mercatoria, cioè ai principi generali ed agli usi diffusi nel
commercio internazionale ed accolti dalla maggior parte dei sistemi giuridici.
In tale contesto la scelta di una legge piuttosto che di un’altra può incidere notevolmente sui diversi effetti
che il rapporto contrattuale produrrà sulle parti e sui contenuti del contratto stesso, sia che gli stessi non
siano stati espressamente regolati, sia, al contrario che lo siano stati.
Per l’operatore economico italiano la legge italiana costituisce la scelta maggiormente seguita, tuttavia,
potrebbe incontrare dei vincoli, quali ad esempio clausole inderogabili previste dall’ordinamento giuridico
della controparte estera, che impediscono la possibilità di optare per la legge italiana.
In certi casi l’esportatore potrebbe anche scoprire che alcuni istituti giuridici del paese estero risultano a lui
più favorevoli rispetto a quanto regolato dalla legge italiana.
131
Punti di Criticità del Management Internazionale
E’ importante sottolineare che non esistono norme “sovranazionali” applicabili alle transazioni commerciali tra
soggetti residenti in paesi diversi, il riferimento rimane sempre la norma nazionale del singolo paese.
La libertà delle parti di scegliere la legge applicabile al contratto incontra due soli limiti:
1. il primo limite è costituito dalle c.d. “norme imperative o di applicazione necessaria” (es. norme di
ordine pubblico, leggi tributarie, regolamentazioni amministrative non opponibili dalle parti, ecc.), che
per legge di un determinato paese devono trovare applicazione anche se il contratto è sottoposto ad una
legge straniera;
2. il secondo limite alla libera scelta delle parti è rappresentato dalle norme inderogabili proprie della
legge di quel paese al quale si riferiscano tutti gli “altri” dati del contratto (es. luogo dell’adempimento
dell’obbligazione, della consegna del bene, dove viene effettuato il pagamento dei corrispettivi, ecc.).
Scelta della legge applicabile
Legge scelta
Vantaggi
Svantaggi
Italiana
Legge conosciuta o comunque
facilmente accertabile che
permette una standardizzazione
dei contratti con controparti di
Paesi diversi.
Potrebbe non essere gradita alla
controparte; in alcuni casi
potrebbe risultare eccessivamente
onerosa.
Paese della controparte
Normalmente gradita alla
controparte che tende ad imporla
laddove la sua forza contrattuale
sia maggiore.
Normativa non conosciuta: più
difficile da gestire. Possibilmente
da evitare.
Paese terzo
Mette ambedue le parti sullo
stesso piano. Appare opportuna
solo qualora le parti non riescano
ad accordarsi.
Normativa non conosciuta: più
difficile gestire.
Lex mercatoria
Evita l’applicazione di leggi
Contenuti scarsamente prevedibili.
nazionali che potrebbero contenere
Funziona solo con arbitrato.
principi incompatibili con le
esigenze del commercio
internazionale.
CONVENZIONE DI ROMA
Quanto sopra detto è stato supertao in ambito comunitario grazie alla Convenzione di Roma del 1980
sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, anche conosciuta come “trattato di Roma”.
L’art. 4 della Convenzione prevede che, in assenza di scelta della legge applicabile, sarà applicata la legge
del Paese con cui il contratto ha il collegamento più stretto e che si presume essere quella del
Paese in cui risiede la parte che deve fornire la cosiddetta prestazione caratteristica.
Le norme contenute nella Convenzione di Roma trovano applicazione non soltanto nei contratti di
compravendita, ma anche nei contratti di agenzia.
Nel contratto di agenzia, ad esempio, la prestazione caratteristica non avente carattere “monetario o
pecuniario” è quella che deve essere contrattualmente eseguita dall’agente (attività di promozione delle
vendite dei prodotti del fabbricante) e da ciò deriva che, in caso di mancata indicazione nel contratto della
legge applicabile, dovrà trovare applicazione la legge del paese dove l’agente/persona fisica ha la sua sede,
mentre nella compravendita la prestazione caratteristica considerata prevalente è quella del venditore.
132
Punti di Criticità del Management Internazionale
È necessario, quindi, scegliere la legge da applicare al contratto, dopo aver valutato i vari aspetti e
le varie implicazioni che questo comporta con l’aiuto (magari) di un esperto di comprovata e
riconosciuta esperienza in materia, non dimenticando mai che non esistono norme “sovranazionali”
applicabili alle transazioni commerciali tra soggetti residenti in paesi diversi. il riferimento rimane
sempre la norma nazionale del singolo paese.
MODI DI RISOLUZIONE DELLE CONTROVERSIE
L’esportatore, oltre a definire quale sarà la legge applicabile ad un contratto commerciale internazionale,
dovrà anche precisare se, in caso di controversia, ci si presenterà davanti ai giudici del paese della
controparte oppure davanti ai propri giudici (rimettendo, così, la soluzione della controversia ad un Tribunale
statale) oppure ad arbitri privati.
Giurisdizione ordinaria (Foro competente)
La via più semplice per la risoluzione di eventuali controversie, soprattutto quando il valore del contratto è
modesto, è sicuramente la scelta del tribunale statale - quindi il ricorso alla giurisdizione ordinaria stabilendo il foro competente (quello cioè del proprio paese o del paese della controparte).
La scelta del Foro competente del proprio paese è quella che l’operatore italiano preferisce, anche se non
sempre questa scelta è la più opportuna, in quanto è necessario sapere quali sono le possibilità di ottenere il
riconoscimento di una eventuale sentenza nel paese della controparte estera.
Tale riconoscimento è facile ottenerlo nel caso di contratti con parti residenti nei paesi UE, che hanno
sottoscritto delle convenzioni sul reciproco riconoscimento di tali sentenze. Non bisogna, però, dimenticare
quanto segue :
le Convenzioni stesse prevedono alcuni vincoli circa l’organo giurisdizionale (il tribunale)
competente a risolvere le eventuali controversie, che possono essere superati attribuendo ad un
giudice quelle competenze che, altrimenti, non si potrebbero avere ed escludendo, nel contempo,
la competenza di altri giudici;
 i giudici di paesi diversi da quelli comunitari difficilmente riconoscono sentenze emesse da giudici
di altri paesi come nel caso, ad esempio, degli Stati Uniti d’America dove i giudici dei singoli Stati
tendono a non considerare le sentenze emesse da giudici di qualsiasi Paese diverso dagli Stati
Uniti.

LA SCELTA DEL FORO COMPETENTE COME MODO DI RISOLUZIONE DI EVENTUALI CONTROVERSIE È UNA SOLUZIONE
ECONOMICA VALIDA SOPRATTUTTO QUANDO IL VALORE DEL CONTRATTO È DI VALORE MODESTO
Arbitrato internazionale
Si può scegliere, in alternativa al tribunale statale, l’arbitrato internazionale soprattutto se il contratto è di
una certa importanza e valore, per cui è preferibile affidare la soluzione di controversie a legali competenti
che svolgono la funzione di “arbitri” per risolvere con “equità” una lite sorta tra le parti contraenti.
La scelta della clausola arbitrale implica, però, che il Paese della controparte abbia aderito alla
Convenzione di New York del 1958 - di cui fanno parte circa 100 paesi - nella quale si è stabilito di:


accettare le risoluzioni arbitrali emesse dall’arbitro;
riconoscere e dare esecuzione alle sentenze arbitrali.
Tuttavia, se questa è una condizione necessaria, non sempre è una condizione sufficiente, in quanto occorre
che l’ordinamento giuridico del paese della controparte non ponga limiti all’applicazione dell’arbitrato che
renderebbero prive di effetto le sentenze arbitrali.
133
Punti di Criticità del Management Internazionale
Pertanto, prima di scegliere l’arbitrato internazionale per la risoluzione di eventuali controversie, è necessario
verificare:
a) l’adesione alla Convenzione di New York da parte della controparte e/o del partner;
b) l’esistenza di eventuali limitazioni all’applicazione dell’arbitrato.
Esistono due forme di arbitrato:
 “l’arbitrato ad hoc”, che regola dettagliatamente tutti i punti dell’eventuale arbitrato;
 “l’arbitrato amministrato” che si affida al regolamento di un organismo specializzato in tal senso
come, ad esempio, la Camera di commercio internazionale (CCI).
Le parti dovranno prevedere espressamente in forma scritta la clausola arbitrale, formulandola in modo
appropriato secondo formulazioni di clausole compromissorie suggerite (ad esempio) dalla CCI, indicando,
inoltre, qual’è la Camera arbitrale a cui rivolgersi. Tra le Camere arbitrali di più lunga tradizione si segnalano:
Francoforte, Ginevra, Londra, Lugano, Milano, New York, Parigi, Stoccolma, Vienna, Zurigo.
Ricorrere all’arbitrato internazionale, se da una parte costa di più, assicura rapidità, informalità del
procedimento e una sentenza definitiva. Di contro tale istituto non è opportuno per singole operazioni di
valore modesto, pertanto non è consigliabile inserirlo nel contesto di condizioni generali di vendita per
l’estero in quanto, nel caso si rendesse necessario, avrebbe un costo sproporzionato rispetto al valore della
singola operazione. Ricorrere all’arbitrato internazionale vuol dire che, in caso di controversia, il contratto
sarà sottoposto al giudizio di un organismo privato e non ad un tribunale statale.
ELENCO DEI PAESI SOTTOSCRITTORI
DELLA CONVENZIONE DI NEW YORK 1958
Stato
Data di ratifica del
trattato
Stato
Data di ratifica del
trattato
Afghanistan
30 novembre 2005
Albania
27 giugno 2001
Algeria
7 febbraio 1989
Antigua e Barbuda
2 febbraio 1989
Argentina
14 marzo 1989
Armenia
29 dicembre 1997
Australia
26 marzo 1975
Austria
2 maggio 1961
Azerbaigian
29 febbraio 2000
Bahamas
20 dicembre 2006
Bahrain
6 aprile 1988
Bangladesh
6 maggio 1992
Barbados
16 marzo 1993
Bielorussia
15 novembre 1960
Belgio
18 agosto 1975
Benin
16 maggio 1974
Bolivia
28 aprile 1995
Bosnia-Erzegovina
1 settembre 1993
134
Punti di Criticità del Management Internazionale
Botswana
20 dicembre 1971
Brasile
7 giugno 2002
Brunei
25 luglio 1996
Bulgaria
10 ottobre 1961
Burkina Faso
23 marzo 1987
Cambogia
5 gennaio 1960
Camerun
19 febbraio 1988
Canada
12 maggio 1986
Repubblica Centrafricana 15 ottobre 1962
Cile
4 settembre 1975
Cina
22 gennaio 1987
Colombia
25 settembre 1979
Costa Rica
26 ottobre 1987
Costa d'Avorio
1 febbraio 1991
Croazia
26 luglio 1993
Cuba
30 dicembre 1974
Cipro
29 dicembre 1980
Repubblica Ceca
30 settembre 1993
Danimarca
22 dicembre 1972
Gibuti
14 giugno 1983
Dominica
28 ottobre 1988
Repubblica
Dominicana
11 aprile 2002
Ecuador
3 gennaio 1962
Egitto
9 marzo 1959
El Salvador
26 febbraio 1998
Estonia
30 agosto 1993
Finlandia
19 gennaio 1962
Francia
26 giugno 1959
Gabon
15 dicembre 2006
Georgia
2 giugno 1994
Germania
30 giugno 1961
Ghana
9 aprile 1968
Grecia
16 luglio 1962
Guatemala
21 marzo 1984
Guinea
23 gennaio 1991
Haiti
5 dicembre 1983
135
Punti di Criticità del Management Internazionale
Città del Vaticano
14 maggio 1975
Honduras
3 ottobre 2000
Ungheria
5 marzo 1962
Islanda
24 gennaio 2002
India
13 luglio 1960
Indonesia
7 ottobre 1981
Iran
15 ottobre 2001
Irlanda
12 maggio 1981
Israele
5 gennaio 1959
Italia
31 gennaio 1969
Giamaica
10 luglio 2002
Giappone
20 giugno 1961
Giordania
15 novembre 1979
Kazakistan
20 novembre 1995
Kenya
10 febbraio 1989
Corea del Sud
8 febbraio 1973
Kuwait
28 aprile 1978
Kirghizistan
18 dicembre 1996
Laos
17 giugno 1998
Lettonia
14 aprile 1992
Libano
11 agosto 1998
Lesotho
13 giugno 1989
Liberia
16 settembre 2005
Lituania
14 marzo 1995
Lussemburgo
9 settembre 1983
Macedonia
10 marzo 1994
Madagascar
16 luglio 1962
Malesia
5 novembre 1985
Mali
8 settembre 1994
Malta
22 giugno 2000
Isole Marshall
21 dicembre 2006
Mauritania
30 gennaio 1997
Mauritius
19 giugno 1996
Messico
14 aprile 1971
Moldavia
18 settembre 1998
Monaco
2 giugno 1982
136
Punti di Criticità del Management Internazionale
Mongolia
24 ottobre 1994
Montenegro
23 ottobre 2006
Marocco
12 febbraio 1959
Mozambico
11 giugno 1998
Nepal
4 marzo 1998
Paesi Bassi
24 aprile 1964
Nuova Zelanda
6 gennaio 1983
Nicaragua
24 settembre 2003
Niger
14 ottobre 1964
Nigeria
17 marzo 1970
Norvegia
14 marzo 1961
Oman
25 febbraio 1999
Pakistan
14 luglio 2005
Panamá
10 ottobre 1984
Paraguay
8 ottobre 1997
Perù
7 luglio 1988
Filippine
6 luglio 1967
Polonia
3 ottobre 1961
Portogallo
18 ottobre 1994
Qatar
30 dicembre 2002
Romania
13 settembre 1961
Russia
24 agosto 1960
Saint Vincent e
Grenadine
12 settembre 2000
San Marino
17 maggio 1979
Arabia Saudita
19 aprile 1994
Senegal
17 ottobre 1994
Serbia
12 marzo 2001
Singapore
21 agosto 1986
Slovacchia
28 maggio 1993
Slovenia
6 luglio 1992
Sudafrica
3 maggio 1976
Spagna
12 maggio 1977
Sri Lanka
9 aprile 1962
Svezia
28 gennaio 1972
Svizzera
1 giugno 1965
Siria
9 marzo 1959
137
Punti di Criticità del Management Internazionale
Tanzania
13 ottobre 1964
Thailandia
21 dicembre 1959
Trinidad e Tobago
14 febbraio 1966
Tunisia
17 luglio 1967
Turchia
2 luglio 1992
Uganda
12 febbraio 1992
Ucraina
10 ottobre 1960
Emirati Arabi Uniti
21 agosto 2006
Regno Unito
24 settembre 1975
Stati Uniti d'America
30 settembre 1970
Uruguay
30 marzo 1983
Uzbekistan
7 febbraio 1996
Venezuela
8 febbraio 1995
Vietnam
12 settembre 1995
Zambia
14 marzo 2002
Zimbabwe
26 settembre 1994
Fonte: Ministero degli Affari Esteri, archivio Trattati internazionali.
Sito: http://itra.esteri.it/visualizza.asp?id=47279 aggiornato a giugno 2008
138
Punti di Criticità del Management Internazionale
24. La compravendita internazionale e la Convenzione di Vienna
La compravendita internazionale rappresenta la tipologia di rapporto contrattuale più diffusa negli scambi
internazionali tanto da richiedere un quadro di riferimento uniforme per le parti, capace di superare le
differenze di legislazione e favorire una maggiore certezza.
La soluzione è stata trovata attraverso l’UNCITRAL (United Nations Commission on International Trade Law),
che ha predisposto una normativa sulla vendita internazionale di beni mobili (beni di largo consumo, beni
strumentali, macchinari, ecc.), adottati dai Paesi che hanno aderito alla Convenzione di Vienna del 1980,
in vigore dal 1° gennaio 1988.
La Convenzione di Vienna, che ha visto la sottoscrizione di Paesi appartenenti ad aree geografiche diverse e
con diverso grado di sviluppo, presenta una caratteristica importante che la contraddistingue rispetto ad
altre convenzioni.
LA CONVENZIONE DI VIENNA COSTITUISCE LA LEGGE NAZIONALE APPLICATA ALLA VENDITA INTERNAZIONALE DI BENI MOBILI PER GLI
STATI CHE VI HANNO ADERITO
CARATTERISTICHE DELLA CONVENZIONE DI VIENNA
Al fine di offrire un quadro giuridico universalmente riconosciuto e applicabile alla compravendita
internazionale, la Convenzione di Vienna ha cercato di raggiungere un compromesso tra sistemi giuridici
diversi (quelli di Civil law e quelli di Common law).
Questo comporta per le imprese alcune attenzioni da non trascurare:
1. la valutazione delle differenze rispetto alle soluzioni a cui si è abituati in ambito interno evitando di
dare per scontata l’applicazione di principi generalmente accettati nelle vendite tra operatori italiani;
2. il ricorso a termini che il nostro codice civile determina con precisione (ad esempio gli otto giorni
per contestare vizi sulla merce), ma che la Convenzione, dovendo considerare diversi sistemi
giuridici, rimanda a criteri di ragionevolezza più flessibili ed elastici (ad esempio gli otto giorni
potranno risultare troppo pochi o, anche, troppi);
3. il fatto che, pur trattandosi di una legge nazionale, in quanto ratificata ed inserita nell’ordinamento
giuridico degli Stati che vi hanno aderito, si deve tener conto del suo carattere internazionale;
4. il tener ben presente che la Convenzione non disciplina tutti i problemi che possono presentarsi nel
contesto di un accordo commerciale, lasciando alcune materie alla disciplina delle legge nazionale.
Di conseguenza, occorre sottolineare che la Convenzione di Vienna non può essere considerato un
testo normativo autosufficiente a disciplinare tutti gli aspetti di un contratto di vendita. È
importante, pertanto, prevedere da quale legge saranno regolati gli Istituti non disciplinati dalla
Convenzione.
È OPPORTUNO, DEFINIRE SEMPRE CON PRECISIONE I TERMINI E LE DEFINIZIONI CHE POTREBBERO DARE ORIGINE A MALINTESI E/O
INTERPRETAZIONI DIVERSE DA QUELLE CHE SI VOLEVA ATTRIBUIRE
AMBITO DI APPLICAZIONE DELLA CONVENZIONE
La Convenzione di Vienna si applica alle vendite internazionali quando, cioè, le due parti contraenti una
compravendita di beni mobili risiedono in paesi diversi. I contratti di compravendita tra parti contraenti dello
stesso paese, saranno, pertanto, disciplinate dalle norme nazionali. Nel caso dell’Italia dalle norme del codice
civile.
Per favorire l’individuazione dell’ambito di applicazione della Convenzione presentiamo due casi con cui
l’esportatore può identificarsi:
139
Punti di Criticità del Management Internazionale
a) se l’esportatore italiano conclude un contratto con un’acquirente estero residente in un paese che ha
aderito alla Convenzione di Vienna, non è necessario che nel contratto di compravendita le parti
stabiliscano quale sarà la legge a cui è sottoposto il contratto in quanto, in caso di controversie, sarà
applicato quanto sancito nella Convenzione. L’applicazione è, pertanto, automatica;
b) se, invece, l’importatore estero risiede in uno Stato che non ha aderito alla Convenzione, quest’ultima si
applicherà solo se le norme di diritto internazionale privato consentono l‘applicazione della legge di un
paese contraente.
Istituti non disciplinati dalla Convenzione
Gli istituti non disciplinati dalla Convenzione e che rimangono regolati dalle norme nazionali dei singoli Stati
sono i seguenti:







la vendita per uso personale, familiare e domestico;
la vendita di beni all’asta, di valori mobiliari, di titoli di credito e di denaro;
la vendita di navi, imbarcazioni, veicoli a cuscino d’aria e aeromobili;
la validità del contratto e delle singole clausole;
gli effetti prodotti dal contratto sul trasferimento della proprietà delle merci;
la responsabilità del fabbricante per danni arrecati a causa della merce venduta;
le garanzie in caso di mancato pagamento.
Non disciplinando tutti i problemi che possono sorgere in una compravendita internazionale (salvo
quelli relativi alla formazione del contratto e agli obblighi del venditore e del compratore) è
opportuno, anche nei casi di contratti tra contraenti di Stati aderenti alla Convenzione, provvedere
sempre alla scelta della legge applicabile al contratto di vendita al fine di concordare la normativa di
riferimento per le materie non coperte dalla Convenzione.
OBBLIGHI DEL VENDITORE NELLA CONVENZIONE DI VIENNA
Con la stipula del contratto di compravendita, i principali obblighi del venditore sono:
a. consegnare la merce nel luogo concordato, secondo i termini di consegna definiti in base agli
Incoterms 2000 della Camera di commercio internazionale di Parigi;
b. consegnare la merce alla data di consegna pattuita nel contratto e/o determinabile in base al
contratto oppure entro un periodo di tempo ragionevole o determinato;
c. consegnare la merce secondo le modalità di trasporto definite nel contratto (via mare, via aerea, via
terra o con trasporto intermodale), con mezzi di trasporto adeguati stipulando, se tenuto,
un’assicurazione sulla merce trasportata, fornendo tutte le informazioni necessarie al cliente per il
ritiro della merce;
d. consegnare la merce conforme alle caratteristiche (quantità, qualità, tipo) previste nel contratto;
e. consegnare la merce libera da diritti e/o pretese di terzi, a meno che il compratore non abbia
acconsentito a ricevere la merce gravata da tali diritti o pretese altrui;
f. consegnare la merce libera da diritti sulla proprietà industriale e/o intellettuali secondo la legge del
paese del compratore o del paese di destinazione;
g. consegnare i documenti relativi alla merce nel momento concordato, nel luogo e nella forma prevista
dal contratto;
h. trasferire la proprietà della merce alle condizioni previste dal contratto in base alla legge nazionale
applicabile al contratto non essendo l’Istituto della proprietà disciplinato dalla convenzione di Vienna.
OBBLIGHI DEL COMPRATORE NELLA CONVENZIONE DI VIENNA
I principali obblighi del compratore sono, invece, quelli di:
a. pagare il prezzo fissato nel contratto nella moneta contrattuale pattuita, secondo le modalità
concordate e, cioè, a mezzo bonifico bancario, assegno bancario, incasso documentario o semplice o
a mezzo credito documentario nel luogo e nei tempi previsti (in via posticipata e/o anticipata),
rispetto alla spedizione della merce e/o contestualmente al ricevimento della stessa;
140
Punti di Criticità del Management Internazionale
b. pagare il prezzo fissato contrattualmente nel luogo definito che può essere, a seconda dei casi,
presso una banca nel Paese del venditore e/o nel Paese dello stesso compratore e/o in un Paese
terzo, oppure nel luogo di rimessa dei documenti presentati per l’incasso o per l’utilizzo;
c. prendere in consegna la merce mettendo il venditore nelle condizioni di effettuare la consegna e
adempiere alle formalità necessarie per il ritiro della merce.
RIMEDI A FAVORE DEL COMPRATORE IN CASO DI INADEMPIMENTO DEL VENDITORE
In caso di inadempimento del venditore la Convenzione di Vienna prevede i seguenti rimedi a tutela del
compratore:

la sostituzione della merce non conforme se trattasi di un adempimento essenziale;

la riparazione della merce sempre ché ciò sia economicamente ragionevole, tenuto conto delle
circostanze;

l’adempimento da parte del venditore delle obbligazioni non completamente realizzate;

la riduzione del prezzo in proporzione al minor valore della merce consegnata;

la risoluzione del contratto in caso di inadempimento essenziale o di mancata consegna della
merce entro un termine prorogato rispetto a quello originariamente pattuito;

il risarcimento del danno subito in seguito all’inadempimento del venditore comprensivo anche del
mancato guadagno.
Clausole contrattuali a tutela dei diritti del compratore

Clausole penali predefinite per entità volte a sanzionare il venditore in caso di mancato
adempimento di alcune obbligazioni (mancata consegna, vizi sulla merce, ecc.)

Clausole di eccessiva onerosità che prevedono una revisione del prezzo a causa, ad esempio, di un
apprezzamento della valuta di pagamento rispetto alla valuta del Paese del compratore.

Il rilascio di una garanzia di buona esecuzione del contratto (performance bond) da parte del
venditore a favore del compratore al fine di permettere a quest’ultimo di escutere l’importo della
garanzia nel caso in cui il venditore non rimedi ad una fornitura non conforme a quanto previsto
contrattualmente.

Il rilascio di una garanzia di restituzione del pagamento anticipato (advance payment bond) nel
caso di non spedizione della merce da parte del venditore.
RIMEDI A FAVORE DEL VENDITORE IN CASO DI INADEMPIMENTO DEL COMPRATORE
In caso di inadempimento del compratore che, generalmente, riguarda il mancato pagamento del
corrispettivo, la Convenzione di Vienna prevede i seguenti rimedi a salvaguardia del venditore:

la messa in mora del compratore fissando un termine ulteriore (proroga) del pagamento per
adempiere, all’obbligazione di pagare, fermo restando il diritto del venditore di richiedere il
risarcimento del danno subito per il ritardato pagamento;

la risoluzione del contratto per inadempimento del compratore se considerato essenziale;

il risarcimento del danno per inadempimento di qualsiasi obbligazione contrattuale comprensivo del
mancato guadagno.
141
Punti di Criticità del Management Internazionale
Clausole contrattuali a tutela dei diritti del venditore

L’eccessiva onerosità sopravvenuta che mira a prevedere una revisione del prezzo della merce in
caso di significativi aumenti del costo (ad esempio), di materie prime impiegate per la produzione.

Le condizioni sospensive che subordinano l’entrata in vigore del contratto al verificarsi di
determinate condizioni come, ad esempio, l’emissione del credito documentario alle condizioni
concordate con il compratore, oppure il ricevimento di una garanzia bancaria (payment guarantee)
o di una Stand by Letter of credit con cui la banca emittente si impegna al pagamento nel caso in
cui l’ordinante/compratore risulti inadempiente o, ancora, al ricevimento di un bonifico bancario
per un importo calcolato in percentuale del prezzo di vendita quale acconto.

La riserva di proprietà che permette al venditore di rimanere il legittimo proprietario della merce
fino al suo pagamento integrale.

La clausola di forza maggiore che specifica eventi (catastrofi naturali, scioperi, ecc.) non
prevedibili e non imputabili al venditore al momento della conclusione del contratto, che
impediscano allo stesso di adempiere ai suoi obblighi assunti nei confronti del compratore.

Gli interessi di mora per ritardato pagamento.
Con il prossimo capitolo (il capitolo 25) parleremo della Condizioni generali di vendita illustrando poi al
capitolo 26 quali sono gli argomenti che è opportuno definire in un contratto di compravendita
internazionale.
142
Punti di Criticità del Management Internazionale
Obblighi delle parti nella compravendita internazionale secondo la Convenzione
di Vienna
Venditore
Compratore
Consegnare la merce
Quando
- Alla data fissata
- Entro un periodo di tempo determinato
- Entro un termine ragionevole
Dove
-
Nel luogo definito secondo gli Incoterms
2000
della
Camera
di
Commercio
Internazionale
Come
-
Secondo le modalità di trasporto definite nel
contratto
Con mezzi di trasporto adeguati
Fornendo le informazioni al cliente
Stipulando, se tenuto, un’assicurazione sulle
merci
Conforme
- Senza difetti
- Conforme alle caratteristiche (qualità,
quantità, tipo, imballaggio) definite
- Idonea all’uso a cui è destinata (normale o
particolare)
- Imballata e/o confezionata adeguatamente
- Corrispondente
al
campione
modello/prototipo visionato
Libera da diritti di terzi
- Libera da pretese altrui
- Libera da diritti su proprietà industriale e/o
intellettuale
Consegnare i documenti
Fattura, documento di trasporto, packing list
certificati vari ecc.:
- Nel luogo e alla data concordata
- Nella forma prevista dal contratto
Trasferire la proprietà
- Alle condizioni previste dal contratto
- In base alla legge nazionale applicabile
143
Pagare l'imorto
Prezzo
- Nella misura determinata nel
- Comprensivo o meno dei
trasporto, all’assicurazione
dogana
- Nella moneta contrattuale
USD, YEN …)
contratto
costi relativi al
merci e della
pattuita (EUR,
Dove
-
Nel paese del compratore
Presso la sede d’affari del venditore
Nel luogo della rimessa della merce o dei
documenti
Presso la banca indicata
Come
-
A mezzo bonifico bancario
A mezzo assegno di conto corrente bancario
o circolare
A mezzo incasso documentario o semplice
A mezzo incasso elettronico
A mezzo credito documentario
Modalità
- Via Swift
- Contro ritiro dei documenti commerciali
Quando
- In base a quanto determinato nel contratto
- In via anticipata rispetto alla spedizione della
merce
- In via posticipata rispetto alla spedizione
della merce
- Contestualmente al ricevimento della merce
Prendere in consegna la merce
- Mettere il venditore nelle condizioni di
effettuare la consegna
- Ritirare la merce
- Adempiere alle formalità necessarie per il
ritiro della merce
Punti di Criticità del Management Internazionale
Rimedi in caso di inadempimento secondo la Convenzione di Vienna
A favore del venditore
A favore del compratore
•
Messa in mora del compratore
•
Sostituzione della merce non conforme
•
Risoluzione del contratto se l’inadempimento
è essenziale
•
Riparazione della merce
•
Riduzione del prezzo
•
Risarcimento del danno
•
Richiesta di pagamento degli interessi
•
Risoluzione del contratto se l’inadempimento
è essenziale
•
Risarcimento del danno subito
144
Punti di Criticità del Management Internazionale
ELENCO DEI PAESI SOTTOSCRITTORI
DELLA CONVENZIONE DI VIENNA
Stati
Argentina
Australia
Austria
Belarus
Belgio
Bosnia Erzegovina
Bulgaria
Burundi
Canada
Cile
Cina
Cipro
Colombia
Croazia
Cuba
Danimarca
Equador
Egitto
Estonia
Entrata in vigore
1 gennaio 1988
1 aprile 1989
1 gennaio 1989
1 novembre 1990
1 novembre 1997
6 marzo1992
1 agosto 1991
1 ottobre 1999
1 maggio1992
1 marzo 1991
1 gennaio 1988
1 aprile 2006
1 agosto 2002
8 ottobre 1991
1 dicembre 1995
1 marzo 1990
1 febbraio 1993
1 gennaio 1988
1 ottobre 1994
Stati
Italia
Kyrgyzstan
Lesotho
Lettonia
Lituania
Lussemburgo
Mauritania
Messico
Mongolia
Norvegia
Nuova Zelanda
Paesi Bassi
Perù
Polonia
Rep. Araba di Siria
Repubblica Ceca
Repubblica di Corea
Repubblica di Moldavia
Romania
Entrata in vigore
1 gennaio 1988
1 giugno 2000
1 gennaio 1988
1 agosto 1998
1 febbraio 1996
1 febbraio 1998
1 settembre 2000
1 gennaio 1989
1 gennaio 1999
1 agosto 1989
1 ottobre 1995
1 gennaio 1992
1 aprile 2000
1 giugno 1996
1 gennaio 1988
1 gennaio 1993
1 marzo 2005
1 novembre 1995
1 giugno 1992
Federazione Russa
1 settembre 1991
1 ottobre 2001
Finlandia
Francia
Gabon
Georgia
Germania
Ghana
1 gennaio 1989
1 gennaio 1988
1 gennaio 2006
1 settembre 1995
1 gennaio 1991
firmato l’11 aprile 1980
ma non ratificato
1 febbraio 1999
1 febbraio 1992
1 novembre 2003
1 aprile 1991
1 giugno 2002
1 febbraio 2003
Saint Vincent e
Grenadines
Serbia e Montenegro
Singapore
Slovacchia
Slovenia
Spagna
Stati Uniti
Svezia
Svizzera
Ucraina
Uganda
Uruguay
Uzbekistan
1
1
1
1
1
1
Grecia
Guinea
Honduras
Iraq
Islanda
Israele
Fonte: sito web: http://www.uncitral.org
145
27 aprile 1992
1 marzo 1996
1 gennaio 1993
25 giugno 1991
1 agosto 1991
1 gennaio 1988
gennaio 1989
marzo 1991
febbraio 1991
marzo 1993
febbraio 2000
dicembre 1997
Punti di Criticità del Management Internazionale
25. Le condizioni generali di vendita
Il buon esito di una trattativa commerciale in ambito internazionale, richiede molta attenzione da parte
dell’operatore economico, non soltanto sugli aspetti produttivi o commerciali ma anche su tutti gli altri
aspetti che concernono l’accordo commerciale con l’estero.
L’esportatore, pertanto, dovrà affrontare tutti gli aspetti essenziali del contratto, cercando di regolare i
diversi punti che determineranno obblighi e diritti delle parti, con clausole che tengano conto delle esigenze
reciproche e che riducano al massimo difformi interpretazioni o malintesi.
La risposta a tale esigenza si trova impostando proprie Condizioni Generali di Vendita per l’estero da
utilizzare come “base” per la trattativa commerciale per poi integrarle, di volta in volta, con le condizioni
particolari contenute nella Conferma d’ordine o nella Fattura proforma.
Le condizioni generali di vendita possono essere considerate come un contratto c.d. “normativo”, attraverso
cui si pongono le “regole generali” che verranno applicate ad una serie di ulteriori, autonomi rapporti (le
varie forniture) che saranno, quindi, disciplinati in conformità con quanto stabilito dal suddetto contratto
“normativo”.
Attraverso le condizioni generali si può costruire un rapporto continuativo di fornitura di beni, impostando
“l’intelaiatura contrattuale minima” ossia il “cuore” del rapporto contrattuale voluto dalle parti.
Gli aspetti “accessori”, spesso a torto tralasciati, sono invece, di fondamentale importanza in una
compravendita, ragion per cui si consiglia di adottare le condizioni generali di vendita in quanto
regolamentano anche questi aspetti.
L’utilizzo (o il divieto di utilizzo) del marchio del fabbricante, la legge applicabile ai rapporti tra le parti, la
scelta di un Foro competente, l’eventuale riserva di proprietà dei prodotti venduti, sono alcuni degli aspetti
accessori regolamentati dalle condizioni generali.
146
Punti di Criticità del Management Internazionale
Vantaggi per l’esportatore che adotti le condizioni generali di vendita







Impostare il “sistema operativo” di riferimento per tutte le transazioni commerciali che
perfezionerà con i singoli clienti
Tradurre in formulazioni chiare e comprensibili i principali elementi che potrebbero dare
luogo a discussioni lasciando il minimo spazio a possibili “controversie” e/o “appigli” su cui si
basano le osservazioni della controparte
Regolamentare aspetti “accessori” di fondamentale importanza che spesso vengono
tralasciati quando ci si limita a perfezionare una singola compravendita
Ridurre il rischio di “pretesti” che i propri clienti potrebbero sollevare al fine di lucrare dei
vantaggi dal sottostante rapporto instaurato
Consentire di gestire in modo pratico ed uniforme il rapporto nella sua fase fisiologica
cautelandosi da “sorprese” sgradite
Permettere di affrontare un’eventuale controversia da una posizione di forza
Offrire un’immagine positiva e trasparente di sé favorendo il rapporto commerciale che si
instaura con la parte compratrice
Nel predisporre le condizioni generali di vendita l’esportatore dovrà considerare:
a)
l’importanza di comprendere il significato e le conseguenze operative delle varie soluzioni e la
necessità di rispettare gli accordi definiti con la controparte;
b)
la necessità di liberarsi da falsi pregiudizi e/o credenze in base alle quali proporre le proprie condizioni
di vendita potrebbe rappresentare un ostacolo alla conclusione positiva di un accordo commerciale;
c)
il fatto che la stipula delle “condizioni generali”, di per sé, non produce gli obblighi di vendere i
prodotti e pagarne il prezzo: detti obblighi, infatti, insorgeranno, soltanto in seguito ad un successivo,
specifico accordo tra le parti;
d)
gli obblighi di vendere i prodotti e pagarne il prezzo sorgeranno, con l’accettazione da parte del
fabbricante di un ordine trasmesso dal cliente. Accettazione che, di solito, si perfeziona con l’invio di
una conferma d’ordine e/o di una fattura proforma;
e)
la conferma d’ordine o la fattura proforma, rappresentano, così, le “condizioni particolari di
vendita”, aventi la funzione di definire la volontà delle parti sugli aspetti specifici dell’accordo
commerciale descrivendone i punti essenziali che vanno, così, a completare e ad integrare quanto
regolato nelle condizioni generali di vendita;
f)
la redazione corretta dell’accordo commerciale con una controparte estera implica per l’esportatore la
definizione di alcuni argomenti “minimi” che si ritengono essenziali per la preparazione del testo di
“condizioni generali di vendita” impostato con l’ausilio dei modelli esistenti predisposti dalla Comunità
internazionale al fine di superare le differenze di Istituti legislativi, favorire una maggiore certezza e
uniformare la prassi contrattuale.
MODELLI DI CONDIZIONI GENERALI DI VENDITA
A livello internazionale sono stati elaborati diversi modelli contrattuali che possono essere utilizzati dagli
esportatori per predisporre le proprie condizioni generali di vendita facendo presente, però, che gli stessi
vanno considerati come “guida” che permette di impostare i principali problemi dell’accordo commerciale.
Essi rappresentano, infatti, condizioni standard che devono essere “personalizzate” caso per caso e non
potranno mai essere considerate “il contratto” pronto per tutte le situazioni, ma, al contrario, vanno adattati
alle specifiche esigenze delle parti.
Tra i Modelli di Condizioni generali di vendita ricordiamo i seguenti:




il Modello CCI di contratto di vendita internazionale della Camera di Commercio Internazionale;
il Modello ECE/ONU di condizioni generali di vendita per la fornitura all’esportazione di impianti e
macchinari elaborato sotto gli auspici della Commissione economica per l’Europa dell’ONU;
il Modello ORGALIME (Organisme de Liaison des Industries Mettaliques Europeennes) integrativo
delle condizioni generali ECE/ONU;
il Modello UCIMU di condizioni generali di contratto di macchine utensili per l’export.
147
Punti di Criticità del Management Internazionale
26. Argomenti di un contratto di compravendita internazionale
In un contratto di compravendita internazionale, sia nel caso di disposizioni particolari, che nel caso di
disposizioni standard, è importante che l’esportatore conosca i punti essenziali che dovrebbero essere
espressamente regolati nello stesso.
Parti contraenti
Indicare esattamente le parti e i rispettivi legali rappresentanti.
Premesse e allegati
Specificare l’attività esercitata dalle parti, le ragioni che hanno indotto le stesse a sottoscrivere l’accordo e
indicare il significato che verrà attribuito ai termini commerciali usati nella transazione commerciale
sottostante.
Obblighi del compratore e del venditore
Precisare la ripartizione delle obbligazioni delle parti.
Prodotti
Specificare la merce oggetto del contratto con indicazione della natura, delle caratteristiche, delle specifiche
tecniche, dell’uso a cui è destinata, di eventuali tolleranze, ecc..
Prezzo contrattuale
Definire la moneta e l’importo in cifre ed in lettere.
Termini di consegna
Indicare il termine di consegna della merce al fine di identificare chi deve sopportare i costi del trasporto
della merce, dell’assicurazione della stessa, dello sdoganamento (ove dovuto) in uscita ed in entrata e
quando avviene il passaggio dei rischi e delle responsabilità tra venditore e compratore. Si raccomanda di
rifarsi agli Incoterms 2000 della Camera di commercio internazionale.
Tempi di consegna
Indicare la data o il periodo (ad esempio settimana o mese) in cui, o entro cui, il venditore è tenuto ad
adempiere all’obbligo di consegna della merce con riferimento all’Incoterm pattuito.
Imballaggio
Evitare indicazioni generiche del tipo: imballaggio standard, come al solito, ecc. precisando, invece, le
caratteristiche dell’imballaggio.
Documenti
Stabilire quali documenti occorre produrre per permettere al compratore di ritirare la merce considerando gli
eventuali vincoli e/o limiti all’importazione (ad esempio divieti all’importazione, contingentamenti, analisi
effettuate su particolari prodotti, visti e/o dichiarazioni varie, ecc.), oppure la possibilità di usufruire di
agevolazioni daziarie all’import di beni originari da Paesi UE.
Condizioni di pagamento
Specificare il mezzo di pagamento, usando una terminologia appropriata in uso negli scambi con l’estero,
indicare la data di pagamento e la banca presso cui lo stesso dovrà essere eseguito, specificando gli
eventuali vincoli alla spedizione, la ripartizione delle spese e commissioni bancarie e le coordinate bancarie.
Riserva di proprietà
Inserire tale istituto, chiamato anche “patto di riservato dominio”, nei casi in cui lo si ritenga opportuno e
necessario, in quanto, così facendo, consente all’esportatore di beni non di largo consumo, di restare il
legittimo proprietario degli stessi fino a quando la merce non sia stata pagata totalmente.
Garanzie sulla merce
Indicare le garanzie offerte sulla qualità della merce e/o sul buon funzionamento della stessa, la durata della
garanzia offerta, che cosa è escluso dalla garanzia, le modalità e i tempi per avanzare eventuali reclami,
limitando la responsabilità del venditore per i danni indiretti subiti dal compratore (ad esempio, danni causati
da arresto della produzione).
148
Punti di Criticità del Management Internazionale
Forza maggiore
Indicare tutte quelle circostanze non previste o, comunque, non imputabili alle parti (es. sciopero, incendio,
serrata, guerra, ecc.), che comportano l’impossibilità di onorare le obbligazioni contrattuali, con conseguente
esonero di responsabilità della parte che non possa dare esecuzione al contratto a causa di tali eventi.
Responsabilità per ritardata consegna
Precisare che la responsabilità del venditore per danni conseguenti a ritardata consegna è limitata ad un
importo, calcolato in percentuale, rispetto al prezzo dei prodotti consegnati in ritardo, oppure calcolato con
importo fisso.
Limitazione di responsabilità per non conformità
Indicare come verrà accertata la legittimità di eventuali reclami ed i rimedi a favore del compratore nel caso
di danni provati, specificando il limite massimo (in percentuale) di risarcimento dovuto dal venditore al
compratore in caso di danni accertati derivanti da non conformità della merce, limitando, altresì, la
responsabilità del venditore per i danni indiretti (es. derivanti da perdita di produzione, ecc.).
Risoluzione contrattuale
Indicare i casi di risoluzione contrattuale, in caso di inadempimento della controparte o al verificarsi di eventi
(es. fallimento del compratore, mancato pagamento della fornitura, ecc) che pregiudicano la capacità di
adempiere alle future obbligazioni.
Durata
Prevedere una proroga tacita delle relazioni contrattuali dopo la scadenza originariamente pattuita, a meno
che una delle parti decida di recedere nel rispetto di un termine minimo di preavviso (es. tre-sei mesi).
Lingua
Precisare, nel caso il testo sia redatto in più lingue, quale sarà considerato l’unico testo autentico ai fini della
loro interpretazione.
Legge applicabile
Specificare che il contratto di vendita è regolato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sulla vendita
internazionale di merci (Convenzione di Vienna) indicando, inoltre, qual’è la legge applicabile con
riferimento alle materie non disciplinate da tale Convenzione.
Risoluzione delle controversie
Indicare l’autorità giudiziaria competente a dirimere eventuali controversie che dovessero insorgere tra le
parti con riferimento alla validità, all’interpretazione e all’esecuzione del contratto.
149
Punti di Criticità del Management Internazionale
Check List di una compravendita internazionale
•
Parti contraenti
•
Premesse (attività svolta dalle parti)
•
Definizione dei termini ed eventuali allegati
•
Prodotti e oggetto del contratto
•
Obblighi del compratore e del venditore
•
Prezzo contrattuale
•
Termini di consegna della merce (Incoterms)
•
Tempi di consegna della merce
•
Imballaggio
•
Documenti
•
Condizioni di pagamento
•
Riserva di proprietà
•
Garanzie sulla merce
•
Forza maggiore
•
Responsabilità per ritardata consegna
•
Limitazione di responsabilità per non conformità
•
Risoluzione contrattuale
•
Durata
•
Lingua
•
Legge applicabile
•
Risoluzione delle controversie
Altri punti importanti che possono essere inseriti in un contratto di compravendita internazionale, soprattutto
nel caso in cui l’oggetto della fornitura riguardi beni strumentali e/o impianti, sono:


la responsabilità del fabbricante rispetto ai danni arrecati a beni e/o persone in conseguenza dei
difetti del prodotto venduto (problema questo di particolare rilievo nei contratti di sub-fornitura,
quando, cioè, il prodotto fornito viene incorporato nel prodotto finito);
la previsione di garanzie sulla merce rilasciate dalle banche a favore dell’importatore. Facciamo
riferimento ai performance bond con l’accorgimento di concordare con l’intermediario, soprattutto
nel caso in cui il contraente sia un importatore dei paesi dell’area araba, di adoperarsi al termine del
periodo di garanzia, presso l’importatore/beneficiario della medesima, per la consegna alla banca
garante di lettera di manleva autorizzante a considerare chiusa ed estinta la garanzia medesima
Fra gli aspetti di maggiore rilevanza nella negoziazione di una vendita verso l’estero indicati
precedentemente, un’attenzione particolare va rivolta alla determinazione:
della condizione di resa della merce che assume risvolti di carattere giuridico, commerciale, di
rischio e di pagamento che, a volte, vengono trascurati dagli operatori economici e che, invece, se
ben valutati, possono determinare un miglior controllo della merce e una riduzione del rischio di
problemi nella gestione delle operazioni di movimentazione credito documentario scelte come
pagamento della fornitura;
 della condizione di pagamento che rappresenta un aspetto importante per definire la clausola
finanziaria che assicuri il pagamento della fornitura e, almeno nei casi di forniture rilevanti
destinate a Paesi terzi, offra alla parte acquirente la possibilità di adempiere all’obbligo di
pagamento finanziando tale pagamento a costi estremamente vantaggiosi rispetto a quelli che
sosterrebbe nel proprio Paese.

Si suggerisce, pertanto, all’operatore economico di predisporre le condizioni generali di vendita, al fine di
esprimere la “filosofia” della propria azienda, definendo successivamente le condizioni particolari di vendita
che, si esplicano nella conferma d’ordine o nella fattura proforma.
150
Punti di Criticità del Management Internazionale
Nel caso, invece, di contratti che si esauriscono con una singola fornitura (ad esempio, la fornitura di una
macchina, di un impianto o la fornitura di un bene con relativa posa in opera, le condizioni “standard”
possono rappresentare l’intelaiatura di base da completare con le indicazioni specifiche (condizioni
particolari) riferite a quel contratto di compravendita.
Suggerimenti operativi e punti di attenzione










È opportuno che l’accordo tra venditore e compratore e/o la controparte straniera sia sempre
regolato in forma scritta, al fine di evitare interpretazioni difformi su quelli che erano gli
accordi originariamente pattuiti o il subentro di nuove circostanze non previste dalle parti e in
grado di compromettere l’originario equilibrio delle prestazioni contrattuali
È importante specificare nel testo del contratto quale sia la lingua alla quale attribuire il
valore ufficiale del contratto (preferibilmente l’inglese, vista la sua diffusione), evitando così
che in presenza di traduzioni in altre lingue, sussistano rischi di equivoci e di malintesi
nell’interpretazione dei due testi quando la corrispondenza tra gli stessi non sia perfetta
Scegliere la legge applicabile (legge italiana, legge del paese della controparte, legge di un
paese terzo o ricorso alla lex mercatoria), attraverso la previsione di un’espressa clausola
contrattuale
Definire la condizione di resa della merce secondo quanto indicato dagli Incoterms 2000 della
CCI, determinando, quindi, chi dovrà sostenere i costi di trasporto della merce, di
assicurazione e di sdoganamento
Concordare la condizione di pagamento tenendo conto del rischio di credito (rischio
“commerciale” e/o rischio “paese”) e, nel caso di pagamento a mezzo lettera di credito,
predisporre un formulario “ad hoc” per il compratore, contenente gli elementi essenziali
dell’articolazione della lettera di credito
Non trascurare di scegliere il modo di risoluzione di una eventuale controversia, rimandando,
cioè, ad un tribunale statale (del proprio paese o del paese della controparte) oppure ad un
lodo arbitrale
Ricordarsi che ogni offerta richiede, per arrivare alla formalizzazione di un contratto,
un’accettazione incondizionata, pena il configurarsi quest’ultima come controproposta, alla
quale l’originario offerente può decidere di aderire oppure no. In mancanza, ci si baserà solo
sui fatti “concludenti” come, ad esempio, la presa in consegna della merce
Nel caso di rapporto ripetitivo, vale la pena concordare alcuni punti essenziali del contratto
(ad esempio prezzo, quantità, qualità e termini di consegna) e rinviare per il resto a delle
condizioni generali, richiamate in tale sede. In tal caso occorrerà prestare la massima
attenzione per ottenere l’espressa approvazione delle stesse dalla controparte
Poiché le condizioni generali di contratto sono per definizione strumenti non flessibili,
eventuali modifiche, aggiunte o integrazioni da apportare dovranno essere concordate nelle
condizioni particolari del contratto
È opportuno, inoltre, verificare se vi siano, nel paese la cui legge regola il contratto, che può
essere il paese della controparte, norme che richiedano particolari adempimenti per l’efficacia
delle condizioni generali: ad es. in Italia esiste l’obbligo della cd. “doppia firma” delle clausole
vessatorie, inefficaci se non espressamente approvate
151
Punti di Criticità del Management Internazionale
27. La distribuzione internazionale
L’esportatore che stia avviando una presenza sui mercati esteri o che voglia ampliare il mercato su scala
internazionale e non abbia ancora una propria organizzazione di vendita (filiale) può vendere i propri prodotti
attraverso intermediari di commercio (agenti o concessionari) che organizzeranno stabilmente la
distribuzione dei prodotti attraverso una propria struttura in conformità alle disposizioni dell’esportatore.
Quest’attività di intermediazione può svilupparsi in due modi:
attraverso agenti, rappresentanti, procacciatori d’affari, ecc. i quali promuovono la conclusione di
contratti in cambio di un compenso provvisionale;
 attraverso concessionari, importatori, ecc che, invece, acquistano i prodotti per poi rivenderli. Il
loro compenso è dato dalla differenza tra il prezzo di acquisto ed il prezzo di rivendita.

In questo contesto ci limitiamo a parlare brevemente del contratto di agenzia (Capitolo 28) e del contratto
di concessione (Capitolo 29), elencando, successivamente, al Capitolo 30 gli argomenti di un contratto di
agenzia.
152
Punti di Criticità del Management Internazionale
28. Il contratto di agenzia
L’attività dell’agente di commercio consiste nel promuovere per conto dell’azienda mandante, (il Fabbricante
o il Preponente), ma in nome proprio, la conclusione di contratti in modo continuativo con la potenziale
clientela ubicata in un determinato territorio. L’agente, quindi, si preoccupa di sollecitare ordini da clienti in
un dato territorio, dietro pagamento di un corrispettivo (provvigione) che, normalmente, matura con la
conclusione o l’esecuzione (c.d. “buon fine”) dell’affare procurato dallo stesso.
L’attività dell’agente che viene svolta, come sopra accennato, in maniera stabile, non va confusa con l’attività
di intermediazione svolta dai cosiddetti procacciatori d’affari ed altri intermediari occasionali e/o con
quella del rappresentante che promuove le vendite in un dato territorio ma in nome e per conto del
Fabbricante e non, quindi, in nome proprio.
LA DIRETTIVA DELLA COMUNITÀ ECONOMICA EUROPEA
In ambito europeo la Comunità Economica Europea ha emanato una direttiva (n. 86/653 del 18 dicembre
1986) relativa al coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali
indipendenti, ratificata dall’Italia con decreto legislativo n. 303 del 10 novembre 1991.
Tale direttiva ha definito l’agente come intermediario indipendente, al quale deve essere riconosciuta
un’autonomia operativa, senza che sussista alcun vincolo di sottoposizione gerarchica alle direttive del
preponente; qualora non fosse così, il rapporto tra preponente ed agente assumerebbe i tratti distintivi tipici
del lavoro subordinato.
Proprio per queste ragioni, tenendo conto del fatto che non sempre l’agente straniero possiede lo status
giuridico di lavoratore autonomo, in considerazione, inoltre, che in alcuni paesi europei, ci sono tradizioni
giuridiche secondo cui l’agente/persona fisica è equiparato ad un lavoratore dipendente (con tutti gli oneri e
le conseguenze che questo comporta), se da un lato l’agente è obbligato ad attenersi alle istruzioni del
preponente, dall’altro il contenuto di quest’ultime dovrà essere tale da non privare l’agente di un qualche
ambito di autonomia. L’esportatore/preponente deve tener conto, infatti, che la direttiva comunitaria non
affronta alcune problematiche lasciando ai singoli Stati ampia libertà di introdurre normative più favorevoli
all’agente come, ad esempio, l’indennità di fine rapporto e il risarcimento danni.
L’esportatore, quindi, non deve assolutamente lasciare al caso la definizione dei punti essenziali del contratto
d’agenzia, né formularli pensando che la legge italiana sarà la fonte regolatrice del contratto in quanto, pur
assoggettando il contratto alla legge italiana, ciò non esclude l’applicazione delle norme inderogabili della
legge del Paese dell’agente.
È necessario, pertanto, che l’esportatore si informi circa il trattamento di fine rapporto e/o del
risarcimento danni spettante all’agente straniero che, essendo considerato come la parte più debole
del contratto, può essere protetto dalle singole norme nazionali in misura diversa da quanto accade
in Italia. La normativa belga o francese o tedesca, sui contratti di agenzia, ad esempio, protegge
maggiormente l’agente riconoscendogli indennità di fine rapporto maggiori a quanto previsto da
quella italiana.
153
Punti di Criticità del Management Internazionale
29. Il contratto di concessione
Il contratto di concessione è caratterizzato dalla presenza di un concessionario/importatore responsabile di
un territorio stabilito, che acquista per poi rivendere in nome e per conto proprio i prodotti del fabbricante
normalmente con un diritto di esclusiva.
Il concessionario/importatore, quindi, promuove ed organizza le vendite dei prodotti di un fabbricante in un
determinato territorio, distinguendosi dall’agente in quanto, mentre l’agente promuove la conclusione di
contratti, il concessionario/importatore acquista e rivende.
Da un punto di vista commerciale, con l’agente l’esportatore invia la merce direttamente agli effettivi
utilizzatori, mentre con la concessione l’esportatore vende la merce e la invia al concessionario il quale, a sua
volta, la venderà agli effettivi utilizzatori.
È importante quindi, per concludere, che il rapporto di agenzia e/o di concessione sia sempre
definito per iscritto, concordando la legge applicabile al contratto e affrontando con chiarezza tutti
gli elementi che potrebbero generare dei malintesi e, in particolare, nei contratti di agenzia,
verificare sempre lo status giuridico dell’agente/persona fisica e la possibilità reale di sottoporre il
contratto alla legge italiana. Cosa, questa, non sempre possibile.
154
Punti di Criticità del Management Internazionale
30. Gli argomenti di un contratto internazionale di agenzia
Si elencano gli argomenti che dovrebbero essere espressamente disciplinati dai contraenti nella
predisposizione di un contratto di agenzia.
Parti
Indicare esattamente le parti e i loro legali rappresentanti specificando che le stesse saranno in seguito
denominate rispettivamente “il Preponente” o “il Fabbricante” e “L’Agente”.
Premesse e allegati
Specificare l’attività economica esercitata dalle parti e le eventuali circostanze che possano fornire elementi
utili in sede di interpretazione del contratto.
Prodotti e territorio
Specificare la nomina dell’Agente a promuovere la vendita dei “Prodotti” nel “Territorio” contrattuale,
indicando la “zona” (Territorio) di esercizio dell’attività promozionale e quali sono i “Prodotti” oggetto
dell’attività promozionale dell’Agente.
Esclusiva
Prevedere espressamente la clausola di esclusiva specificando se la stessa si intende a carico del Preponente
e/o dell’Agente:
-
nel caso sia a carico del Preponente, questo comporta il divieto di concedere a terzi il diritto di
promuovere le vendite o di distribuire i prodotti contrattuali nel territorio assegnato all’agente; sono
possibili eventuali deroghe per clienti speciali (da identificare precisamente in apposito allegato) con
espressa esclusione o riduzione della provvigione dell’agente;
-
nel caso sia a carico dell’agente, questo comporta il divieto di svolgere attività commerciali che
abbiano ad oggetto la commercializzazione di prodotti suscettibili di entrare in concorrenza con quelli
contrattuali, così come di intrattenere relazioni d’affari con concorrenti del Preponente.
Compiti dell’agente
Specificare chiaramente l’obbligo dell’agente di seguire le istruzioni del preponente comprese le modalità di
raccolta e di trasmissione degli ordini acquisiti presso la clientela e di informare periodicamente lo stesso
sull’andamento dell’attività di promozione delle vendite e sulle condizioni di mercato. Infine l’obbligo di
riservatezza e di non concorrenza.
Compiti del preponente
Specificare chiaramente l’obbligo del preponente di fornire all’agente informazioni sui prodotti e sulle
condizioni di pagamento dei prodotti stessi e di informare l’agente sull’accettazione o sul rifiuto degli ordini
mettendolo nelle condizioni di svolgere al meglio la propria attività.
Solvibilità dei clienti
Prevedere l’obbligo dell’agente di informare il preponente sulla solvibilità dei clienti. In casi eccezionali solo
se espressamente previsto, nel rispetto delle condizioni stabilite all’art. 1746, comma 3° del codice civile,
l’agente può assumere anche l’obbligo di garanzia per il mancato pagamento dei prodotti da parte del
cliente. In tal caso, però, l’agente ha diritto al riconoscimento di un “apposito corrispettivo”. La garanzia
assunta non deve, però, prevedere un esborso più elevato della provvigione cui l’agente avrebbe avuto
diritto.
Sub-agenti
Indicare se l’Agente possa avvalersi o meno di sub-agenti e, nel caso sia ammesso, se è necessaria la
preventiva accettazione del preponente per la nomina di ogni sub-agente designato dall’agente. Và, inoltre,
precisato che l’agente rimane l’esclusivo responsabile nei confronti del preponente in merito all’operato dei
sub-agenti.
155
Punti di Criticità del Management Internazionale
Incasso delle vendite ai clienti
Specificare se l’agente ha il potere di ricevere i pagamenti dei clienti e l’eventuale obbligo di darne
tempestiva informazione al preponente.
Provvigioni
Prevedere l’ammontare, (calcolato in percentuale sul prezzo di vendita effettivo), delle provvigioni dovute per
le vendite andate a buon fine, i termini di pagamento e il momento in cui matura il diritto all'incasso delle
stesse da parte dell’agente. Occorre, inoltre, prevedere l’importo delle provvigioni eventualmente dovute per
gli affari conclusi dall’agente al di fuori del territorio contrattuale e per gli affari conclusi dopo la risoluzione
del contratto ma promossi dall’agente in pendenza del contratto.
Risoluzione anticipata del contratto
Specificare i casi in cui è consentito risolvere anticipatamente il rapporto, come, per esempio, nei seguenti
casi:




fallimento o assoggettamento di una delle parti a una procedura concorsuale o di liquidazione;
trasferimento dell’azienda e/o della maggioranza delle partecipazioni sociali rappresentative il
patrimonio o il capitale sociale di una delle parti, se queste ultime sono costituite in forma societaria;
violazione da parte dell’agente dell’obbligo di non concorrenza; uso illecito da parte dell’agente dei
marchi, dei segni distintivi, dei brevetti e degli altri diritti di proprietà industriale del preponente;
condanne penali per reati particolarmente gravi di cui si sia resa autrice una delle parti, tale da
pregiudicare il buon nome e l’immagine commerciale dell’altra parte.
Forza maggiore
Indicare le circostanze, indipendenti dalla volontà delle parti, al verificarsi delle quali l’inadempimento di una
delle parti risulta giustificabile.
Minimi garantiti
Stabilire le conseguenze del mancato rispetto da parte dell’agente dei minimi garantiti (esempio: risoluzione
del contratto o riduzione del territorio in esclusiva); definendone l’entità in modo ragionevole.
Relazione tra le parti
Specificare che l’agente non è un lavoratore subordinato e che tra agente e preponente non sussiste un
vincolo di natura societaria, associativa o di cointeressenza. Và, inoltre, specificato se l’agente è “con
rappresentanza” o “senza rappresentanza”.
Marchio
Precisare le modalità di utilizzo da parte dell’agente dei marchi e degli altri segni distintivi del preponente e
le modalità che deve seguire nell’assistere il preponente e/o la clientela in caso di atti di contraffazione a
danno del marchio del preponente.
Effetti della risoluzione del contratto
Non trascurare di precisare che l’agente non può più qualificarsi come tale sul mercato e che non può più
avvalersi dei segni distintivi e del materiale pubblicitario del preponente.
Indennità di fine rapporto
Specificare l’ammontare dell’indennità di fine rapporto spettante all’agente in caso di scioglimento del
contratto. Tale indennità (indennità contrattuale) potrà, così, sostituire qualsiasi indennità cui l’Agente abbia
diritto in base alla legge applicabile al contratto, sempre che questo sia, però, reso possibile dalla legge
applicabile. Se, tuttavia, la legge applicabile non consente ciò, l’agente avrà diritto all’indennità calcolata
secondo i criteri fissati dalla legge applicabile.
156
Punti di Criticità del Management Internazionale
Durata del contratto
Scelta tra un contratto a tempo determinato o uno a tempo indeterminato; con eventuale previsione di un
periodo di prova.
Testo autentico
Indicare la lingua cui fare riferimento, come testo autentico, per l’interpretazione del contratto.
Clausola compromissoria (se applicabile) o foro competente
Prevedere eventualmente una procedura di conciliazione informale da esperire prima di iniziare la causa o di
adire il giudizio arbitrale; qualora venga localizzato in Italia il foro competente, è bene lasciare alla parte
italiana la facoltà di adire le vie legali davanti al giudice dove ha sede la parte straniera.
Legge applicabile
Deve essere individuata espressamente e per iscritto tenendo conto della reale applicabilità, ad esempio,
della legge italiana in materia di agenzia, ai contratti stipulati con agenti residenti in alcuni Paesi europei e in
molti Paesi extra europei dove sono presenti norme inderogabili.
Suggerimenti operativi e punti di attenzione













È opportuno che l’accordo sia sempre regolato per iscritto, predisponendo delle clausole
contrattuali chiare, affinché non vi sia spazio a possibili malintesi e interpretazioni difformi
Occorre scegliere la legge applicabile, tenendo conto della normativa locale e dell’atteggiamento
della giurisprudenza in merito alla modalità di applicazione pratica di tale normativa
Occorre, altresì, definire il foro competente
Tener presente che, ove si optasse per la legge italiana, prevedendolo espressamente nel testo
con richiamo in esso del riferimento al trattamento di fine rapporto, questo non esclude
l’applicazione di eventuali norme inderogabili nel paese dell’agente
Non trascurare di definire i compiti dell’agente in modo non generico, identificando con
precisione quelle attività che possono rivelarsi essenziali, fissando degli obiettivi minimi di
vendita all’agente
Determinare le provvigioni tenendo conto dei prevedibili costi connessi con la risoluzione del
rapporto e valutando l’opportunità di prevedere delle provvigioni differenziate a seconda dei
volumi di vendita effettivamente promossi dall’agente
Non dimenticare di fissare l’indennità di fine rapporto e le clausole che possono determinare
una interruzione del rapporto
Prevedere i possibili casi di “interferenze” da parte del preponente o di altri agenti nell’attività,
nel territorio riservato all’agente
Verificare, sempre e comunque, con le eventuali norme di legge che disciplinano la fattispecie
del contratto di agenzia nella nazione dove risiede l’agente
Valutare in via preliminare, eventuali implicazioni a livello antitrust, in particolare per quegli
accordi che presentano implicazioni comunitarie
La definizione degli obiettivi minimi di acquisto e/o di vendita, precisando se un’obbligazione di
mezzi, per cui il concessionario si attivi per il raggiungimento di meri obiettivi di vendita
prefissati e concordati con il concedente sulla base di un’analisi del mercato
Prevedere le modalità di ripartizione del rischio dell’invenduto dei prodotti col tempo diventati
obsoleti
Nel definire il contratto di concessione di vendita si consiglia di utilizzare il modello CCI
destinato ad essere utilizzato per la redazione di contratti internazionali non a uso domestico,
nei quali il concessionario agisca come acquirente/rivenditore
157
Punti di Criticità del Management Internazionale
31. Il contratto di joint venture
Il contratto di joint-venture riguarda una collaborazione strategica tra due o più imprese, attivata con
l’obiettivo di costituire una nuova società in un settore di interesse comune o per lo svolgimento in comune
di una qualche attività di carattere imprenditoriale.
La sua funzione è quella di permettere a soggetti appartenenti a Paesi diversi di avviare una collaborazione
strutturata, al fine di trarre reciproci benefici derivanti dalla collaborazione stessa, con il compito di realizzare
un’attività comune. Con la joint-venture, il partner occidentale può far fronte in misura più efficace alla
elevata concorrenza internazionale aumentando la propria redditività, diminuendo i costi ed i rischi connessi
all’espletamento della propria attività commerciale sui mercati esteri, potendo “reclutare” come partner degli
operatori con conoscenza specifica del mercato locale.
CARATTERISTICHE DELLA JOINT VENTURE
Una nozione giuridica di joint venture non è reperibile in nessun ordinamento giuridico nazionale, nemmeno
nei Paesi anglosassoni. L’espressione joint venture è stata ed è frequentemente utilizzata, soprattutto in
Italia, per indicare un numero molto vasto di forme di collaborazione tra imprese estremamente eterogenee
per contenuti economici e per disciplina giuridica: il consorzio di diritto italiano, il consorzio internazionale
per l’esecuzione di un appalto, l’associazione temporanea di imprese, il Gruppo Europeo di Interesse
Economico (GEIE), i contratti di ricerca e sviluppo, le società miste nei Paesi in via di sviluppo, le società tra
soci di Paesi diversi. È, tuttavia, difficile individuare quale siano i tratti comuni, nella disciplina legale, nel
trattamento fiscale e nella prassi contrattuale, delle forme di collaborazione sopra indicate. Dal punto di vista
pratico tale confusione è accresciuta dall’uso indifferenziato del termine.
La globalizzazione dei mercati e la pressione concorrenziale spingono le imprese ad espandere e potenziare
le proprie strutture ovvero a ricercare sinergie per mantenere ed ampliare la propria quota di mercato. Gli
accordi di collaborazione sono strumenti di crescita molto vantaggiosi per le imprese che permettono loro di
sviluppare delle relazioni economiche durature, che superano la tradizionale impostazione dei rapporti basati
sui contratti di distribuzione e di vendita.
Caratteristiche della joint venture




Gli obiettivi comuni e la ripartizione dei compiti tra i singoli ventures, finalizzati al
raggiungimento di tali obiettivi
La gestione comune della joint-venture durante lo svolgimento della sua attività
La ripartizione tra i ventures dei rischi e dei benefici
Le cause di scioglimento della joint-venture
FINALITA DELLE JOINT VENTURES
Tale tipologia d’accordo, allorché sia attivato nel mercato domestico, normalmente ha il fine di associare più
individui o imprese che abbiano interesse a gestire in comune uno specifico affare di breve durata. In un
contesto internazionale, invece, esso connota una relazione d’affari più sostanziale e di lungo termine. Nella
joint-venture si ha la presenza di due o più entità economiche che si uniscono per sfruttare un nuovo
mercato, sviluppare un nuovo prodotto, offrire un nuovo servizio, commercializzare le proprie merci o servizi,
produrre beni o eseguire appalti. Si instaura, dunque, una collaborazione tra imprese che mettono in
comune le proprie esperienze per uno scopo unitario ma che può scaturire da esigenze differenti.
Questa scelta è tanto più giusta quanto più l’imprenditore è in possesso di un adeguato know-how,
condizione senza la quale diventa improponibile affrontare tappe significative di sviluppo e di presenza su
nuovi mercati competitivi.
158
Punti di Criticità del Management Internazionale
Quali sono, allora, i reali interessi che spingono ad optare per questa decisione? Di certo sono tanti,
solitamente di carattere commerciale, finanziario o operativo.
L’operatore economico che sottoscrive un contratto di joint-venture intende:










raggiungere nuovi mercati di riferimento;
realizzare economie di scala e conseguente contenimento dei costi;
sviluppare maggiore flessibilità;
prolungare il ciclo di vita di impianti e macchinari;
avviare nuovi progetti, quali ad esempio: appalti, trasferimenti di tecnologia, distribuzione in
mercati non serviti in precedenza, costituzione di una società commerciale che consenta di gestire
meglio la presenza sui mercati esteri dell'azienda produttrice o una società finanziaria che controlli
altre società di produzione situate in Paesi diversi, permettendo, nel contempo e nel rispetto della
normativa vigente, una migliore e più efficace pianificazione fiscale;
relazionarsi con il governo locale;
avere accesso a nuovi mercati di sbocco;
usufruire di agevolazioni consentite solo “associandosi” con determinati partner;
creare una società locale per superare restrizioni governative, fiscali, doganali, ecc.;
disporre di un buon network di relazioni commerciali e dimestichezza con la macchina burocratica
e giuridica del paese in cui si costituirà la joint venture, mettendo a disposizione del co-venturer
locale, tecnologie avanzate e/o moderne tecniche di marketing e di vendita.
Il contratto di joint-venture, tra un’azienda situata in un paese in via di sviluppo ed un’impresa straniera di
un paese industrializzato, consente ad entrambe di trarre benefici. Il partner locale, infatti contribuisce con
la conoscenza del proprio mercato, dei meccanismi del proprio sistema amministrativo e burocratico, del
mercato del lavoro locale e dei sostegni economici e fiscali, se esistenti, alle iniziative produttive impiantate
nel territorio. Il partner estero, dal canto suo, offre conoscenze tecnologiche e produttive avanzate,
esperienze manageriali ed accesso a mercati di sbocco dei prodotti più ricchi ed esigenti.
Gli interessi che i venturers intendono perseguire possono, anche essere diversi, ma certamente si tratterà di
intenti complementari, ovverosia di propositi che possono attuarsi proprio attraverso la sinergia messa in
atto con tale collaborazione.
In sostanza, le motivazioni che spingono i soggetti della partnership ad unirsi possono essere differenti ma
dovranno essere chiare ai partner della potenziale joint enture, affinché la struttura di quest’ultima
rappresenti una risposta di equilibrio tra i diversi interessi ed esigenze dei suoi co-venturers.
Le imprese possono decidere di dar vita a rapporti di collaborazione con altre imprese straniere gestendo in
comune una parte di attività, per esempio la ricerca e lo sviluppo o certe fasi di produzione, al fine di
ridurre i costi che entrambe, in ogni caso, avrebbero dovuto separatamente sostenere, permanendo
l’autonomia economica e giuridica dei co-venturers.
Come già affermato, questi rapporti di collaborazione di solito avvengono tra imprenditori d’aree
economicamente sviluppate e controparti che hanno sede in paesi in via di sviluppo. Molte economie
emergenti hanno regolamentato queste joint-venture, ma non con il fine di dettarne la disciplina giuridica (si
tratta infatti di fattispecie atipiche), quanto piuttosto con lo scopo di regolare gli aspetti della collaborazione
tra i due partner per proteggere gli interessi del socio locale, nonché per assicurare un controllo sugli
investimenti stranieri, subordinandone l’operatività alla preventiva autorizzazione delle autorità governative
del posto.
L’impresa che intende dare vita ad una joint-venture deve aver chiaro il progetto che intende implementare
e/o incrementare, avendo anche ben definito quale sarà il suo apporto a tale progetto e quali sono le
aspettative che ripone nei partner dell’ iniziativa. La creazione di un business plan concreto e dettagliato,
quindi, è la via migliore e consigliabile per redigere un buon accordo di joint-venture.
FASI DELLA NEGOZIAZIONE IN UN RAPPORTO DI JOINT VENTURE
L’operazione di joint venture è composita in quanto si realizza attraverso una serie di accordi collegati tra di
loro delineandosi una transazione complessa che si attua normalmente in più fasi.
Non esiste un contratto predefinito di joint venture , la sua struttura dipende dalla volontà delle parti che ne
definiscono condizioni ed elementi.
159
Punti di Criticità del Management Internazionale
La negoziazione di un contratto di joint venture si può suddividere in tre fasi principali:
1. Verifica delle condizioni del mercato in cui la joint venture opererà
In questa fase si verificheranno le condizioni del mercato, considerando gli aspetti relativi alla normativa
applicabile agli investimenti stranieri, alle normative fiscale e doganale, alla normativa del lavoro, al
sistema bancario, ai principi contabili, alla normativa “industriale”, agli indicatori economici.
2. Fattibilità economica (Feasibility study) dell’operazione
Individuazione dei concorrenti, dei prodotti da essi commercializzati, delle condizioni di vendita e del
sistema distributivo adottato.
3. Trattativa con la controparte
Quest’ultima fase prevede la predisposizione di documenti pre-contrattuali, finalizzata alla formazione
progressiva del consenso tra i partner. Si tratta nello specifico di:
- Accordi di segretezza. Garantiscono la segretezza delle informazioni scambiate, tutelandole da un
utilizzo diverso da quello per cui vengono scambiate, ossia l’accordo di joint venture.
- Lettere di intenti. Hanno lo scopo di organizzare la trattativa, fissando le linee della successiva
negoziazione. Identificano, inoltre, i principi sulla base dei quali le parti potranno giungere ad un
accordo e definiscono la tempistica della negoziazione.
Aspetti da valutare in sede di accordo preliminare e di accordo generale
di joint venture













La struttura organizzativa che dovrà gestire la realizzazione del progetto.
L’individuazione delle persone che dovranno assumere le responsabilità tecniche e di
sviluppo e i conseguenti poteri che dovranno essere attribuiti a ciascuna delle parti.
Le modalità di controllo nell’assolvimento reciproco degli impegni e degli obblighi
preordinati allo sviluppo delle intese e alla realizzazione del progetto.
L’apporto-contributo di ciascun partner al patrimonio o al fondo sociale comune.
Le modalità e gli obblighi per la identificazione del personale e del management da inserire
nel progetto.
I modelli giuridici dei contratti da stipulare con il personale e il management.
Gli accordi in materia di accesso al mercato interno e internazionale.
Le delimitazioni territoriali e i limiti alla concorrenza tra partner.
La contabilità e le scritture contabili, previsione dell’obbligo di predisporre una contabilità
parallela in lingua italiana e/o elaborabile dal partner italiano.
Le condizioni sospensive per la realizzazione dell’investimento: autorizzazioni di organi
locali, concessione di finanziamenti ecc..
Le clausole di forza maggiore, le clausole di hardship, le modalità e conseguenze per la
risoluzione anticipata del rapporto, la legge applicabile e la risoluzione delle controversie tra
co-venturer.
La procedura di conciliazione e procedura arbitrale.
La strutturazione e lingua del contratto.
Riportiamo di seguito alcuni degli accordi più caratteristici:



Accordo quadro per la realizzazione della joint venture. Le parti definiscono i termini
generali e fissano gli adempimenti necessari da porre in essere entro la c.d. closing date.
Shareholders’ agreement – Business agreement , Entrambi dettano le regole che i partner
dovranno seguire per la gestione della joint venture. In particolare, il primo conterrà le pattuizioni
riguardanti i profili societari, il secondo le disposizioni sulla gestione economica della joint venture.
I due accordi possono confluire nell’unico contratto joint venture agreement.
Statuto della società comune, Contiene le norme relative all’organizzazione interna della
società, le quali si differenziano da quelle applicabili per legge.
160
Punti di Criticità del Management Internazionale

Accordi collaterali. Variano notevolmente da un caso all’altro a seconda degli obiettivi economici
perseguiti dai partner con la joint venture
La costituzione di una joint venture, affinché possa essere gestita in modo ottimale: prevede che si abbia la
conoscenza:





della legislazione in materia societaria;
delle norme e delle procedure circa la costituzione, l’attività, i rapporti tra i soci e gli adempimenti
della costituenda società;
della legislazione locale sugli investimenti esteri ed il loro trattamento;
della normativa di natura fiscale, valutaria, doganale, proprietaria, di trasferimento degli utili e di
investimento;
degli aspetti di tipo organizzativo, di assistenza tecnica, di formazione del personale, contributiva.
Aspetti da valutare in sede di costituzione e regolamentazione societaria







La durata della Società Mista: è importante stabilire una durata iniziale limitata,
successivamente rinnovabile.
I conferimenti in natura dei partner: impianti, materie prime tecnologie, formazione,
assistenza tecnica, marchi, brevetti, know-how, ecc..
Le previsioni in materia di futuri aumenti di capitale.
La disciplina del trasferimento di quote e azioni.
I patti di prelazione e clausole di gradimento.
Le ipotesi che richiedono l’approvazione a maggioranze rinforzate: modifiche allo studio,
costituzione di riserve, emissione di obbligazioni, alienazione di beni sociali, costituzione di
garanzie reali, aumenti di capitale, nuovi investimenti, ecc..
La previsione di organi e meccanismi di controllo (Auditors Committee.Ispettori) e sanzioni
relative alle inadempienze
Altro momento fondamentale nella negoziazione di una joint venture è la definizione dei requisiti e delle
caratteristiche del partner, dei reciproci interessi e degli obiettivi comuni e condivisibili; dei compiti
all’interno della società.
È indispensabile, inoltre, l’attenta valutazione degli obiettivi economici e di mercato, e del rischio
dell’investimento.
Come successiva tappa nella costituzione di una joint venture è necessario verificare l’esistenza di
eventuali accordi sulle doppie imposizioni, l’esistenza di agevolazioni fiscali o la possibilità di accedere
a finanziamenti e contributi previsti da programmi nazionali e/o comunitari.
Tappe per la costituzione della joint-venture
Definizione
Valutazione

dei requisiti e delle
caratteristiche del partner

degli obiettivi economici e
di mercato

dei reciproci interessi e
degli obiettivi comuni e
condivisibili

del rischio
dell’investimento

del partner locale

dei rispettivi apporti

dei compiti all’interno
della società
161
Verifica

dell’esistenza di eventuali
accordi sulle doppie
imposizioni

dell’esistenza di
agevolazioni fiscali

della possibilità di accedere
a finanziamenti e contributi
previsti da programmi
nazionali e/o comunitari
Punti di Criticità del Management Internazionale
CLASSIFICAZIONE DEI CONTRATTI DI JOINT VENTURES
La joint-venture è un istituto non regolato dal nostro legislatore. Riflette realtà operative e formali spesso
molto variegate tra loro e alcuni autorevoli autori esprimono forti perplessità circa la possibilità di una loro
concreta regolamentazione nel nostro Paese, considerando che la fattispecie in questione si avvicina a
fenomeni economici previsti e disciplinati nel nostro ordinamento
Nell’ordinamento italiano l’istituto di joint venture non è regolato ma sono disciplinate alcune ipotesi di
collaborazione tra imprese come ad esempio i consorzi che nascono tra più imprese operanti nello stesso
settore, le quali decidono di coordinarsi e di non farsi concorrenza. L’organizzazione consortile regola la
produzione e/o gli scambi fissando il prezzo dei prodotti o il contingente di produzione spettante a ciascuna
impresa consorziata. Un’altra ipotesi disciplinata dal legislatore italiano è quella prevista nel caso di più
imprese che singolarmente non avrebbero i mezzi tecnici e finanziari per partecipare all’appalto di grandi
opere pubbliche e per questo si accordano tra loro al fine di presentare un’offerta comune e portare a
termine il lavoro congiuntamente in caso di aggiudicazione dell’appalto.
Si tratta quindi di un accordo limitato ad un solo affare tramite cui si regolano solamente i diritti e gli obblighi
reciproci con riguardo alla collaborazione riferita a quel singolo affare.
MODALITÀ DI COSTITUZIONE DELLE JOINT-VENTURES
Più in particolare e guardando alle diverse modalità di costituzione, si distinguono:


le joint-venture corporation (o societarie)
contractual joint-venture (o uncorporated)
Le joint venture corporation o societarie prevedono la nascita di una nuova impresa (impresa
congiunta), solitamente sotto la veste giuridica di società di capitali, costituita mediante contributi in termini
di capitale di due o più imprese, le quali assumono nella stessa, quote partecipative, che possono essere
partitetiche o meno a seconda ovviamente degli obiettivi, della forza contrattuale dei soci e di altre variabili.
La responsabilità, pertanto, è limitata.
Le imprese che danno luogo al nuovo complesso aziendale non rinunciano, però, alla conservazione della
loro autonomia giuridica ed economica, continuando ad operare in maniera distinta rispetto alla costituenda
società. La società viene costituita seguendo le procedure del Paese in cui la società legale viene istituita. Più
raramente la joint-venture corporation prende corpo, non già con la costituzione di un’impresa ex-novo, ma
mediante l’incremento delle quote partecipative in società già esistenti. Tale formula costitutiva tende a
perseguire politiche di alleanze stabili e durature miranti allo sviluppo e all’attuazione di progetti complessi e
sofisticati che richiedono l’impiego di risorse specializzate da sfruttare congiuntamente. All’interno della jointventure societaria esiste il Consiglio di Amministrazione che opera tutte le scelte di coordinamento e
controllo.
La contractual joint-venture, invece, non prevede un intervento diretto di capitali, ma la presenza di un
contratto di tipo associativo che detta le condizioni e le modalità di realizzazione dell’attività comune,
senza creare una nuova struttura giuridica. La sua natura contrattuale la rende uno strumento flessibile,
che si presta ad attività temporanee. Si caratterizza per il regime di responsabilità non limitata,
comportando di conseguenza maggiori rischi.
Ciò che distingue una joint-venture corporation da una contractual joint-venture è solo lo strumento
utilizzato per il perseguimento dell’obiettivo unitario, essendo, la costituzione di una società, lo strumento
utilizzato nel primo caso e la stipulazione di un negozio contrattuale nel secondo.
TIPOLOGIE DI JOINT- VENTURES
La prassi economica statunitense distingue le joint-ventures in:


joint-ventures operative
joint-ventures strumentali
Le joint ventures operative si propongono come unico scopo lo svolgimento di un’attività in comune,
svincolata da qualsiasi forma di committenza esterna. In quelle strumentali, invece, l’aggregazione
rappresenta solo il veicolo, lo strumento appunto, per l’esecuzione di un’opera definita nei suoi tratti
caratteristici secondo le richieste formulate dal committente. In questo caso la joint-venture è commissionata
162
Punti di Criticità del Management Internazionale
da un preciso interlocutore che manifesta un altrettanto preciso “bisogno”, di realizzazione del progetto
specifico.
E’ tendenza consolidata procedere ad un’ulteriore classificazione delle joint-ventures in:



joint-ventures produttive, che costituiscono un fondamentale strumento nell’ambito del processo
di internazionalizzazione delle imprese, allo scopo di sfruttare le convenienti condizioni esistenti
nei mercati esteri (basso costo della manodopera e delle fonti di approvvigionamento, abbondanza
di risorse ecc.);
joint-ventures commerciali, che presentano l’indubbio vantaggio di favorire la penetrazione diretta
in nuovi mercati, nazionali e non, frazionando e contenendo il rischio dell’investimento;
joint-ventures di ricerca, con le quali si realizza lo sviluppo dell’attività di ricerca di base ed
applicata, posta in essere a supporto delle unità associate. Le imprese aderenti alla joint-venture
possono decidere di cedere a terzi il risultato della ricerca cedendone la proprietà o il diritto di
utilizzazione. La ricerca di base è volta ad agevolare l’attività produttiva o la ricerca applicata
stessa, al fine di trarne vantaggio economico.
La modalità seguita nel procedimento costitutivo si riflette sull’esercizio del potere di controllo e sulla
gestione operativa dell’impresa congiunta, dando vita alle seguenti tipologie di joint-venture:



indipendente
joint-venture a gestione comune
joint-venture dominata
La joint-venture indipendente è quella che gode di autonomia decisionale ad ampio raggio, non
essendo prevista alcuna possibilità di interferenza delle imprese partners nella definizione e attuazione delle
linee strategiche dell’impresa congiunta.
Nella joint-venture a gestione comune, invece, il livello delle decisioni strategico-operative risulta
condiviso tra gli amministratori delle imprese partners e quelli dell’impresa congiunta, secondo forme ed
indirizzi definiti il più delle volte in accordi contrattuali.
Nella joint venture dominata, infine, le imprese partners si riservano il diritto di impartire direttive,
orientamenti strategici, svolgendo il ruolo di guida e di centro propulsore delle iniziative che coinvolgono la
gestione operativa dell’impresa congiunta.
Le joint-venture perseguono generalmente anche una strategia di differenziazione e a tal fine è bene definire
anche la distinzione tra joint-ventures orizzontali e joint-ventures verticali. Le prime si differenziano nella
stessa attività produttiva e negli stessi mercati. Il prodotto differenziato consente di ampliare il proprio
raggio di mercato. Le joint-ventures verticali coinvolgono le imprese in settori diversi, spesso per aggirare le
barriere all’ingresso di un nuovo mercato.
163
Punti di Criticità del Management Internazionale
Elementi essenziali di una joint venture contrattuale

Identificazione delle parti e del progetto

Il ruolo di ciascuna delle parti nella realizzazione del progetto

Le tempistiche del progetto

L’individuazione degli obiettivi comuni e la ripartizione dei compiti per il perseguimento di tali
obiettivi

Il progetto comune durante lo svolgimento della sua attività

La ripartizione dei costi/investimenti richiesti per la realizzazione del progetto

La ripartizione di profitti e perdite

La ripartizione dei rischi e dei benefici tra i venturers, nonché dei diritti di eventuale
proprietà intellettuale e loro sfruttamento

Le garanzie a terzi

L’esclusività e non concorrenza

La durata, le cause di scioglimento dell’accordo di joint-venture, la risoluzione anticipata e
quella per inadempimento e forza maggiore

La modalità di risoluzione delle controversie e la legge applicabile
ATTENZIONI NELLA COSTITUZIONE DI UNA JOINT-VENTURE
L’imprenditore che si appresta a costituire una joint-venture deve essere consapevole che non potrà adottare
decisioni in via autonoma ma dovrà condividerle con gli altri partners.
Inoltre, per la buona riuscita della collaborazione, le imprese partecipanti devono obbligarsi a non competere
con l’attività della joint-venture e con l’attività degli altri associati, con la conseguente preclusione ad operare
su certi mercati o l’impossibilità di avviare future possibili collaborazioni con altri partner potenziali. Per
questi motivi la chiarezza dei propri obiettivi e la successiva fase di negoziazione della joint-venture sono
molto importanti per la riuscita dell’operazione.
Il rischio che questa forma di collaborazione fallisca è elevato, in quanto diversi sono gli elementi di
instabilità che possono verificarsi per le seguenti ragioni:


ciascuna organizzazione coinvolta nell’accordo potrebbe pretendere di far prevalere il suo punto di
vista, in termini di definizione degli obiettivi, formulazione delle strategie, progettazione della
struttura organizzativa, ecc.;
sono troppo ampie le differenze nella cultura, nei metodi e negli stili manageriali fra le imprese
partecipanti di diversa nazionalità.
Affinché un’operazione di joint-venture abbia successo è necessario che si realizzino le seguenti condizioni
di base:






necessità di definire precisi e comuni obiettivi;
ricerca di competenze che si integrino vicendevolmente;
necessità di stabilire in anticipo i ruoli di ciascun partner e le modalità di risoluzione delle
controversie;
esistenza di una sincera volontà dei partner di collaborare;
condivisione di una cultura d’impresa, favorevole al reciproco scambio di conoscenze e di risorse;
reciproca fiducia nei comportamenti del partner.
Si verifica una situazione di stallo, che viene spesso indicata con l’espressione di origine anglosassone:
deadlock situation, quando vi è una situazione in cui non si raggiunge un accordo su alcuni aspetti focali
della partnership che si è creata.
La mancata approvazione del budget o le difficoltà nella nomina del soggetto/dei soggetti che dovranno
effettivamente gestire l’attività nella joint-venture o, ancora, l’impossibilità del consiglio di amministrazione di
approvare all’unanimità il piano aziendale, costituiscono alcuni casi di deadlock situation.
164
Punti di Criticità del Management Internazionale
Per essere in grado di risolvere una situazione di deadlock il modo migliore è quello di prevedere, al
momento della negoziazione e costituzione della joint-venture tutti i possibili scenari che si potrebbero
delineare tra i soci, inserendo così nel contratto, clausole specificamente dedicate alla soluzione interna di
eventuali situazioni di stallo.
Sono tre le possibili soluzioni da adottare nel caso in cui si verifichi una situazione di deadlock:
-
Coinvolgimento di un terzo (arbitro o esperto) nella decisione della vicenda
Uscita di uno dei soci dalla joint-venture, mediante vendita delle relative azioni all’altro socio
Scioglimento della joint-venture company, attraverso la sua liquidazione
Test preliminare alla costituzione di una società estera







Forma giuridica più conveniente
Esame del diritto societario applicabile
Luogo di insediamento della sede della società
Ammontare del capitale sociale
Capitali in denaro o con conferimenti in natura
-
possibilità di costituire una società di capitali con socio unico e sue conseguenze
-
modalità di nomina degli organi sociali
termini per il versamento del capitale sociale
termini massimi di legge per la durata della società
organi sociali previsti dalla legge: assemblea dei soci, consiglio di amministrazione, direttore
generale, sindaci e rispettive competenze
lingua di lavoro degli organi societari
Autorizzazioni necessarie per:
-
l’attività della impresa in sé (es. autorizzazioni sanitarie, ecologiche, licenze di produzione ecc.)
-
il rimpatrio del capitale investito
la creazione della società
la partecipazione e il controllo della società da parte di soggetti stranieri
la cessione di tecnologie
il soggiorno e i permessi di lavoro del personale straniero eventualmente trasferito
l’importazione di prodotti (esistono contingentamenti o altre restrizioni alle importazioni? Sono
previste eccezioni per macchinari e materie prime importate da imprese locali?)
il rimpatrio degli utili ricavati
l’ottenimento di finanziamenti e prestiti in favore della società
l’esportazione dei salari del personale estero
il trasferimento all’estero delle royalties
Costi delle autorizzazioni in parola e altre condizioni per ottenerle
165
Punti di Criticità del Management Internazionale
Suggerimenti operativi e punti di attenzione
















La valutazione degli obiettivi sia di mercato che economici della costituenda società mista
L’impostazione in modo corretto della struttura della ipotizzata joint-venture e la successiva
collaborazione tra le imprese partecipanti, tenendo conto dell’evolversi dei mercati internazionali e
considerando fin dall’inizio i problemi e le limitazioni che sono implicati in questa strategia commerciale
La valutazione attenta della tipologia contrattuale da adottare, in relazione al business che si intende
realizzare, ai partners con i quali si intende sviluppare un accordo e al paese con cui si desidera operare
La verifica circa l’esistenza di agevolazioni di natura fiscale e la possibilità di poter accedere ad
agevolazioni di natura finanziaria previste da programmi comunitari e nazionali
La scelta del partner (requisiti e caratteristiche), il quale deve essere in grado non solo di apportare alla
joint-venture un contributo specifico, ma anche una cultura imprenditoriale compatibile con quella della
società che si andrà a formare
La definizione attenta e precisa dei compiti e dei ruoli di ognuno dei partners
La valutazione degli aspetti di tipo organizzativo, di assistenza tecnica, di formazione del personale,
contributiva, ecc.
L’individuazione dei potenziali rischi cui si può incorrere nella prospettata collaborazione e la verifica che
gli stessi siano correttamente ripartiti tra tutti i partecipanti
La verifica, prima di iniziare la negoziazione, delle eventuali limitazioni che vengono imposte
all’autonomia negoziale delle parti dall’esistenza di norme locali che disciplinano la fase di costituzione e
di gestione della joint-venture. E’ importante, dunque, conoscere la legislazione locale in tema di
investimenti esteri e loro trattamento, la legislazione in materia societaria, la normativa di natura
fiscale, valutaria, doganale, proprietaria, di trasferimento degli utili e di investimento
La valutazione, dell’impatto fiscale della joint-venture, modificandone l’impostazione, qualora
necessario, specie in ordine alla detenzione di quote sociali di maggioranza da parte di soci stranieri
La conoscenza delle norme e delle procedure circa la costituzione, l’attività, i rapporti tra i soci e gli
adempimenti della società costituenda o partecipata
La verifica circa l’esistenza di eventuali vincoli sulle quote, sul loro valore e sulla disponibilità delle
stesse
La gestione della formalità burocratiche e amministrative, la burocrazia esistente (e/o talvolta la
corruzione) e la quantificazione dei costi
La verifica, in corso di negoziazione, della profittabilità economica del progetto
La valutazione circa la stabilità della normativa vigente e del Rischio paese al fine di non compromettere
la profittabilità economica dell’intervento
La definizione di un piano operativo
166
Punti di Criticità del Management Internazionale
32. Aspetti finanziari e creditizi
La capacità dell’esportatore di offrire condizioni di pagamento particolarmente convenienti alla controparte
acquirente costituisce un elemento di vantaggio competitivo, rilevante soprattutto quando si opera in mercati
occidentali ad economia matura, dove la competitività internazionale è particolarmente alta.
Su tali mercati, di norma, l’impresa esportatrice italiana non ha la forza contrattuale per imporre condizioni di
pagamento a sé più favorevoli (quali il pagamento anticipato della fornitura oppure il Credito documentario,
ecc.) ma deve uniformare la forma di regolamento delle forniture a quelle praticate dai concorrenti e, anzi,
deve essere in grado di spingersi oltre, cercando mezzi e termini di pagamento più vantaggiosi per gli
acquirenti rispetto a quanto normalmente praticato.
Proprio per questo la valutazione degli aspetti finanziari gioca un ruolo rilevante che induce ad effettuare
tutta una serie di considerazioni e a valutare problematiche che vanno affrontate in un’ottica complessiva e
strategica.
Occorre, innanzitutto, determinare quale, fra le diverse forme di pagamento in uso nel commercio
internazionale, possa rappresentare la soluzione più adeguata in base a diversi fattori quali il grado di
conoscenza della controparte, la valutazione della sua affidabilità e solvibilità, il rapporto instaurato, la
tipologia dell’accordo commerciale, la forza contrattuale, il settore di appartenenza, la distanza, gli usi, le
consuetudini e le normative all’import dei singoli Paesi, il regime valutario del Paese del compratore, la
situazione di “rischio” del Paese della controparte, la possibilità di essere sostituiti con altri fornitori, il volume
delle singole forniture e la possibilità, poi, di attivare una copertura assicurativa del rischio commerciale e/o
politico.
Forme di pagamento nel commercio internazionale
Il bonifico bancario (Swift transfer o transmission)
L’assegno bancario (check o cheque)
L’assegno circolare emesso, cioè, da banche (international money order)
 L’incasso documentario (documents against payment o cash against documents, anche conosciuti
con le sigle D/P o CAD)
 L’incasso semplice di cambiali pagherò, di cambiali tratte e/o di ricevute bancarie (clean collection)
scadenti nel breve/medio/lungo termine
 L’apertura di credito documentario (documentary credit)



Non è infrequente, il caso di operatori che spediscono la merce in Paesi extra Europa, concordando un
pagamento mediante incasso documentario. L’operatore crede di avere motivo di essere tranquillo circa il
pagamento della propria fornitura in quanto ritiene che l’acquirente, per ritirare la merce, abbia bisogno del
documento rappresentativo della stessa (polizza di carico marittima) che potrà avere soltanto pagandone il
relativo importo. Ma nei Paesi del centro-sud America, del bacino del Mediterraneo o in Asia il compratore
spesso riesce ad entrare in possesso della merce senza aver ritirato il documento rappresentativo e, quindi,
senza averne pagato il prezzo.
Ma anche quando viene concordata la forma di pagamento che offre all’esportatore le maggiori garanzie di
incasso del credito commerciale, quale il Credito documentario, che soprattutto nei Paesi del Medio Oriente,
del Centro-sud America, dell’Africa e dell’Asia costituisce la forma di pagamento più utilizzata, molte volte si
lascia piena discrezionalità alla controparte circa il suo contenuto limitandosi spesso a chiedere che l’apertura
del Credito sia irrevocabile, magari con conferma, lasciando, poi, alla stessa controparte la determinazione di
tutte le condizioni da fornire alla banca per la successiva emissione.
LA CONOSCENZA DELLE DIVERSE FORME TECNICHE DI PAGAMENTO È FONDAMENTALE PER POTER ASSUMERE IN SEDE NEGOZIALE
UN ATTEGGIAMENTO PROPOSITIVO, AL FINE DI PRESENTARE ALLA CONTROPARTE UN VENTAGLIO DI SOLUZIONI POSSIBILI, UN
QUADRO DI ALTERNATIVE IN CUI SI POSSANO MEDIARE LE CONTRAPPOSTE ESIGENZE.
Spesse volte, invece, viene lasciata l’iniziativa di definire la condizione di pagamento totalmente
all’acquirente estero con il risultato che, a volte, l’impresa si vede costretta a rinunciare alla fornitura non
167
Punti di Criticità del Management Internazionale
trovando la proposta sufficientemente cautelativa senza, peraltro, riuscire a proporre soluzioni a sé più
soddisfacenti che, però, in pari tempo non penalizzino la parte acquirente.
la forma tecnica
di pagamento
la data di
pagamento
il modo in cui sarà
trasferito l’importo
(swift)
Definizione della condizione
di pagamento
il luogo di
pagamento
la moneta di
pagamento (Eur,
Usd, ecc.)
le banche che
interverranno nel
pagamento
In sede negoziale la forma tecnica deve essere definita in modo coerente insieme a tutti gli altri elementi che
determinano la condizione di pagamento e che hanno un impatto rilevante sulla liquidità e sulla redditività
aziendale, quali, innanzitutto, il tempo di regolamento del prezzo.
La dilazione di pagamento, i termini dei rimborsi, il tasso di interesse implicito o esplicito applicato sulle
dilazioni concesse devono essere definite in considerazione della forma di pagamento adottata ed in perfetta
coerenza con le strategie finanziarie aziendali, in modo da non pregiudicare l’equilibrio finanziario
dell’impresa.
La scelta, poi, della moneta (valuta) in cui il prezzo di vendita sarà espresso sarà importante anche in
considerazione delle strategie aziendali in materia di tecniche di copertura del rischio di cambio.
La clausola di pagamento deve, inoltre, definire quali saranno le banche coinvolte nell’operazione di
regolamento, decisione, questa, di rilevanza fondamentale, quando le banche sono chiamate a svolgere un
ruolo attivo di garanzia del pagamento, sia nel caso in cui il regolamento della fornitura avvenga mediante
Credito documentario, sia qualora venga pattuito il rilascio di una garanzia bancaria a prima domanda, anche
nella forma di una “Stand by letter of credit”, da parte dell’acquirente. Deve inoltre essere indicato il modo
utilizzato dalla banca per il trasferimento valutario o per il rilascio della garanzia (ad esempio Swift) e dovrà
essere indicato come le parti intendono regolare la ripartizione dei costi bancari per spese e commissioni
relative al regolamento dell’operazione.
Occorre, infine, prestare attenzione alla individuazione del luogo di pagamento, definendo con precisione
dove il pagamento dovrà essere effettuato (nel Paese del venditore, nel Paese dell’acquirente o in un Paese
terzo).
Tutti questi elementi che compongono la clausola di pagamento (forma tecnica, dilazione di pagamento,
moneta di regolamento della fornitura, banche coinvolte e ripartizione dei relativi oneri, modalità di
trasferimento valutario, emissione di garanzie bancarie, luogo di pagamento) devono essere formulati in
modo preciso, indicati per iscritto usando una terminologia appropriata ed evitando l’uso di termini generici,
168
Punti di Criticità del Management Internazionale
in modo da evitare che possano crearsi malintesi e/o divergenze interpretative nel corso dell’esecuzione del
contratto.
Una gestione dei pagamenti che tenga conto di quanto sopra esposto e che ricerchi una pianificazione degli
stessi a date certe, utilizzando, (ove possibile), i conti accentrati presso banche estere intestati alle banche
italiane, oppure veicolando i pagamenti attraverso sistemi elettronici di incasso come, ad esempio, l’LCR (in
Francia) o il IEF (in Spagna) o, ancora, il Lastschriften (in Germania) e/o gestendo correttamente pagamenti
a mezzo crediti documentari o assistiti da garanzie bancarie può favorire l’ottimizzazione dei risultati
economici, migliorando il rapporto con le banche circa la concessione di linee di credito, soprattutto in
considerazione di quanto stabilito con “Basilea 2” e, nel contempo, favorendo l’eventuale assicurabilità dei
propri crediti verso clienti esteri.
169
Punti di Criticità del Management Internazionale
Regole per definire la condizione di pagamento

Informarsi circa l’affidabilità e la solvibilità della controparte estera e/o del proprio partner

Non lasciare alla controparte estera piena discrezionalità di scegliere e definire la condizione di
pagamento

Andare alla trattativa con la controparte estera già preparato circa le possibili soluzioni di
pagamento

Definire in modo preciso la forma tecnica di pagamento, usando una terminologia appropriata, ed
evitando, in particolare, l’uso di espressioni e termini generici quali, ad esempio, pagamento a
mezzo “rimessa diretta” o, anche, nella terminologia consuetudinariamente adottata “RD” o,
ancora, “RD a 30/60 DFFM”

Concordare, nel caso di credito documentario, il contenuto/articolazione dello stesso e la data
entro cui dovrà essere notificato

Concordare la data entro cui dovrà pervenire l’eventuale garanzia bancaria e/o la Stand by Letter
of credit ed il loro contenuto

Fissare il tempo (la scadenza) in cui il pagamento dovrà essere effettuato e la modalità del relativo
trasferimento valutario

Indicare la banca presso cui dovrà pervenire il pagamento dall’estero precisandone le coordinate
bancarie (IBAN, BIC Code, ecc.)

Informarsi circa la banca che l’acquirente estero utilizzerà per il trasferimento

Precisare chi dovrà pagare le spese e le commissioni bancarie (banca italiana e banca estera)
relative all’operazione oggetto della trattativa

Valutare la moneta contrattuale per gestire, poi, l’eventuale rischio di cambio

Ricordarsi che, nel caso in cui la transazione sia espressa in valuta estera, la stessa sarà negoziata
dalla banca al cambio del giorno di negoziazione

Dare forma scritta agli accordi presi utilizzando testi standard da adottare di volta in volta alle
singole operazioni
Nella definizione della clausola di pagamento, occorre tenere in debito conto l’interrelazione che esiste tra le
diverse clausole contrattuali, l’influenza che ogni elemento negoziale determina su altri elementi dell’accordo,
i quali dovranno trovare una disciplina coerente nel contratto stipulato. Ad esempio la condizione di
pagamento presenta strette implicazioni nella determinazione delle condizioni di resa della merce (EXW,
FOB, CIF, ecc.) e dei documenti richiesti nei regolamenti documentari (Crediti e incassi documentari).
Se l’esportatore intende, inoltre, avvalersi della copertura assicurativa sui crediti all’esportazione dovrà
prestare attenzione al rispetto di tutte le condizioni contrattuali che la polizza assicurativa considera quali, ad
esempio, i tempi di pagamento del credito, l’eventuale previsione e il contenuto della clausola
compromissoria (lodo arbitrale), la produzione della documentazione per la liquidazione dell’indennizzo
assicurativo, ecc.
Le soluzioni che l’impresa esportatrice può adottare al fine di tutelarsi dal rischio di credito (rischio di
mancato pagamento totale o parziale o di pagamento tardivo) nelle vendite internazionali dovranno tenere
conto di quanto illustrato al cap. 19, Parte 2° dove abbiamo sottolineato l’importanza per l’impresa di
identificare con precisione la tipologia di Rischio di credito.
Se, cioè, trattasi di un rischio circoscritto esclusivamente al proprio cliente (Rischio commerciale) o se,
piuttosto il rischio è anche di natura politica.
Questo è importante per valutare la strategia da affrontare nel caso di clientela residente in mercati dove
non è presente il Rischio Paese, rispetto a quella da seguire, con clienti residenti, invece, in Paesi dove il
Rischio Paese è presente.
Le soluzioni finanziarie che l’impresa può adottare sono diverse e dovranno tenere conto di tutti gli aspetti di
diversità che caratterizzano l’internazionalizzazione, oltre che della tipologia dell’accordo commerciale,
sottostante, del settore merceologico e del posizionamento dell’azienda sul mercato.
170
Punti di Criticità del Management Internazionale
Diverse, comunque, possono essere le soluzioni che possono essere adottate dall’impresa e che elenchiamo
nella tabella “Soluzioni per tutelarsi dal rischio di mancato pagamento nelle vendite internazionali”.
Soluzioni che possono essere adottate anche in modo diversificato. Ad esempio, chiedendo un pagamento
anticipato ai clienti di nuova acquisizione, concedendo un pagamento posticipato a clienti consolidati,
accompagnato da un’attenta gestione interna della situazione “rischio”, decidendo di mettere in copertura
assicurativa i propri crediti vantati verso clienti italiani o verso clienti esteri. Facendosi pagare, invece, da
clientela di determinati paesi con crediti documentari o con bonifici bancari assistiti da garanzia bancaria o
da Stand by Letter of Credit e, nei casi di forniture con pagamento dilazionato nel medio/lungo termine,
concordando pagamenti rateizzati a mezzo cambiali da presentare poi ad un Forfaiter (vedasi cap. 38) per lo
sconto pro soluto.
Il rilascio di garanzie bancarie a prima domanda, anche nella forma di una Stand by Letter of Credit, trova
normalmente applicazione, stante l’onerosità per l’acquirente soprattutto in termini di fido impegnato, solo
quando le condizioni di effettiva maggiore rischiosità del mercato di riferimento e/o la rilevanza del credito le
richiedono e giustificano.
Considerazioni simili valgono riguardo alla soluzione costituita dalla definizione dell’apertura di un Credito
documentario quale mezzo di pagamento che offre le maggiori garanzie di sicurezza quanto all’incasso del
corrispettivo; tuttavia tale soluzione difficilmente può trovare applicazione nelle vendite internazionali nei
Paesi dell’Europa occidentale, dove la prassi commerciale è ormai consolidata su forme tecniche più semplici
ed economiche per l’acquirente e la competitività tra imprese è assai elevata.
Quando la soluzione rappresentata dall'apertura di un Credito documentario, quale forma tecnica di
pagamento, non è possibile, così come non è possibile ottenere il rilascio di garanzie bancarie a prima
domanda, l’assicurazione dei crediti all’esportazione può rappresentare sicuramente la soluzione più valida
per garantire l’impresa dal rischio di credito nelle vendite internazionali a breve termine.
Una ulteriore soluzione, esistente in alcuni Paesi, è quella di inserire, previo accordo con il cliente, i propri
crediti in circuiti elettronici di incasso che riducono notevolmente il rischio di mancato o tardivo pagamento:
la Lettre de change relevé (LCR) in Francia, l’Incaso Electronico de Efecto in Spagna e la Lastschriften in
Germania e Austria.
Soluzioni per tutelarsi dal rischio di mancato pagamento
nelle vendite internazionali








Un pagamento anticipato, in tutto o in parte, del valore della fornitura
Una gestione interna accurata del credito, basata sulla raccolta di informazioni, sul controllo ed
aggiornamento continuativo dei dati in possesso, sul monitoraggio dell’andamento del rapporto
instaurato, nonché sull’accantonamento di congrue quote di svalutazione crediti in bilancio
Una copertura assicurativa dei propri crediti presso una compagnia di assicurazione dei crediti
all’esportazione
La richiesta al cliente del rilascio di una garanzia bancaria a prima domanda (payment
guarantee) da parte dell’acquirente a tutela del mancato pagamento oppure l’emissione di una
Stand by Letter of Credit
L’apertura di un Credito documentario irrevocabile con o senza conferma quale mezzo di
pagamento concordato
Lo smobilizzo dei propri crediti con la cessione “pro soluto” ad un factor
Lo sconto “pro-soluto” dei titoli rappresentativi di un proprio credito con la tecnica del forfaiting
La possibilità di accedere a operazioni di buyer’s credit (credito acquirente) o di supply credit
Esaminiamo ora alcune soluzioni riportate nella tabella e, in particolare, le seguenti:


La gestione interna
l’assicurazione dei crediti
171
Punti di Criticità del Management Internazionale




il credito documentario
la Stand by Letter of credit
le garanzie bancarie
lo sconto di titoli con il forfaiting
172
Punti di Criticità del Management Internazionale
33. La gestione interna
Lo strumento fondamentale di cui l’impresa deve dotarsi al fine di tutelarsi dal rischio di mancato o tardivo
pagamento dei propri crediti commerciali derivanti da vendite sui mercati internazionali è costituito da un
sistema di procedure interne di gestione del credito. Tale sistema deve fornire un supporto sistematico nel
processo decisionale dell’imprenditore relativo alla concessione credito all’operatore estero: vale a dire, fino a
quale limite è possibile esporsi nella concessione di credito al potenziale acquirente, cioè fino a quale importo
massimo e per quanto tempo, quale il mezzo di pagamento, al fine di non incorrere nel rischio di mancato
incasso del credito stesso?
Per poter svolgere questo ruolo di valido ausilio nel processo decisionale relativo alla concessione del credito,
il sistema di supporto interno deve essere in grado di raccogliere quante più informazioni possibili sul Paese
della controparte, in particolar modo sulle condizioni di solvibilità del Paese (informazioni inerenti il rischio
politico), nonché le informazioni necessarie a tracciare un profilo attendibile della controparte con la quale si
intende iniziare un rapporto commerciale, al fine di valutarne la serietà, la correttezza, il grado di affidabilità
e solvibilità (informazioni inerenti il rischio commerciale).
INFORMAZIONI SULLE CONDIZIONI DI SOLVIBILITÀ DEL PAESE DEL COMPRATORE
Fonte di informazioni circa le condizioni di solvibilità del Paese di residenza del potenziale acquirente estero
possono essere la stampa internazionale, le schede Paese (reperibili su Internet, presso qualunque Camera
di Commercio, presso l’Istituto nazionale per il Commercio con l’Estero) ma, soprattutto, informazioni
importanti sono reperibili sui siti web di SACE e di SIMEST.
In particolare, esplorando il sito di SACE (www.sace.it) è possibile accedere ad una pagina (dalla
“Homepage”, si entra in “Rischi e Politica Assicurativa” e da qui si clicca su “Analisi Paese” da qui, scegliendo
“Condizioni di Assicurabilità” si apre una pagina web da cui è possibile dalla, “Tabella Paesi”, cliccare la
lettera del Paese che interessa) in cui per tutti i Paesi del mondo viene fornita una classificazione sulla
situazione di rischio Paese.
INFORMAZIONI SULLE CONDIZIONI DI SOLVIBILITÀ DEL COMPRATORE
Per quanto riguarda la verifica da effettuare circa lo stato di solvibilità del compratore, la raccolta di
informazioni sul compratore deve riguardare in modo particolare:










gli obiettivi di crescita che il potenziale cliente si pone e per il cui raggiungimento esso opera;
la possibilità che lo stesso possa rivolgersi ad altri fornitori;
la coerenza tra gli obiettivi e la strategia impostata ed attuata per raggiungerli;
la capacità dell’azienda acquirente di perseguire nel tempo quanto stabilito;
la strategia globale al fine di considerare l’insieme delle politiche poste in essere nei vari aspetti
gestionali;
le sue condizioni di liquidità e la sua affidabilità commerciale;
il posizionamento sul mercato e la tipologia della sua clientela;
il suo patrimonio ed il suo giro di affari;
come è propenso a pagare i creditori;
le cause, i sequestri, le procedure fallimentari eventualmente in corso nei suoi confronti.
I dati informativi sopra indicati riguardano il fatturato o il volume d’affari del soggetto con cui si entra in
contatto, la situazione patrimoniale e finanziaria (sia attuale che prospettica), le banche con cui intrattiene
rapporti, i bilanci degli ultimi esercizi, la quota di mercato detenuta, i nominativi degli amministratori e dei
legali rappresentanti e le informazioni sul loro conto, l’ammontare e il numero di eventuali insoluti e/o
protesti. È importante, inoltre, non prescindere da una valutazione delle risorse aziendali di natura tecnica
(attrezzature ed impianti) e personale (numero degli addetti e loro requisiti) e della “storia” dell’azienda
stessa.
Tali dati possono essere richiesti ad organismi istituzionali come l’ICE-Istituto nazionale Commercio con
l’Estero, oppure ad organismi privati di comprovata serietà tra i quali, a titolo puramente esemplificativo,
possiamo ricordare la Dun & Brandstreet, la Kompass, Lince ed altri.
173
Punti di Criticità del Management Internazionale
INFORMAZIONI ULTERIORI SUL PAESE DEL COMPRATORE
Una verifica importante da effettuare riguarda l’efficienza del sistema giudiziario del Paese del
compratore o, in ogni caso, la possibilità, per il venditore, di ottenere un riconoscimento, in quel Paese, di
una sentenza o di un lodo arbitrale emesso in un altro Paese (ad esempio il nostro). L’efficienza riguarda:






la cultura giuridica dei giudici, il loro livello di specializzazione, i loro pregiudizi nei confronti dello
straniero;
i tempi medi di durata della causa;
il costo della causa;
la possibilità di ottenere dal giudice provvedimenti che anticipino la sentenza definitiva, quale, ad
esempio, il sequestro (a titolo cautelativo e conservativo) dei beni del debitore;
la sottoscrizione della Convenzione di New York del 1958 sull’arbitrato internazionale;
l’eseguibilità effettiva della sentenza o del lodo arbitrale.
Le informazioni relative al Paese del compratore dovranno essere finalizzate a valutare anche una
molteplicità di aspetti relativi a quel particolare Paese non meno importanti nella ponderazione del livello di
rischio di mancato pagamento e, dunque, rilevanti nel processo decisionale relativo alla concessione del
credito. In particolare occorre valutare anche i seguenti aspetti:









la cultura, la lingua, gli usi e i costumi;
le risorse economiche e finanziarie (indicatori economici, PIL, reddito pro capite, ecc.);
la forma di governo;
le politiche governative (politiche economiche e sociali, piani di sviluppo, politiche di
investimento);
la moneta avente corso legale;
i sistemi di trasporto e di comunicazione;
il livello di sviluppo del sistema bancario;
il sistema legislativo e normativo che regolamenta i rapporti commerciali;
il significato attribuito ai termini commerciali in uso.
Soltanto alla luce di tutte le informazioni raccolte, di cui quelle sopra indicate costituiscono le principali, il
venditore potrà decidere se stipulare il contratto definitivo, pattuire con il compratore il mezzo di
pagamento più adatto a quella transazione commerciale (tenendo conto dello stretto rapporto tra scelta
della forma di pagamento e il livello di rischio di mancato pagamento) e decidere riguardo all’affidamento
e alla dilazione di pagamento che può essere tranquillamente accordata alla controparte.
Il sistema di gestione interna del credito deve, poi, nel prosieguo del rapporto commerciale, assicurare
l’aggiornamento continuo dei dati originari raccolti nonché monitorare l’andamento del rapporto commerciale
instaurato in modo che l’imprenditore possa modificare in modo tempestivo e coerente le proprie decisioni in
materia di concessione credito all’operatore estero, al variare del livello di rischio del credito stesso.
Il sistema di gestione interna è deputato, inoltre, della corretta valutazione dei crediti commerciali in
esportazione in bilancio. Pertanto, a fronte di perdite per inesigibilità totale o parziale dei crediti stessi che
possono essere ragionevolmente previste, conformemente alle norme civilistiche in materia, dovranno essere
stanziate congrue quote di accantonamento al Fondo svalutazione crediti.
174
Punti di Criticità del Management Internazionale
34. L’assicurazione dei crediti all’esportazione
Quando nelle vendite internazionali non è possibile ottenere un pagamento a mezzo Credito documentario o
altra forma di pagamento comunque garantita, l’unica soluzione che permette al venditore di tutelarsi in
modo efficace dal rischio di credito è costituita dall’assicurazione dei propri crediti verso l’estero.
Il rischio di credito, infatti, al pari di altri rischi che caratterizzano l’attività d’impresa, può essere oggetto di
assicurazione, ai sensi degli articoli 1882 e seguenti del Codice civile.
Il ricorso all’assicurazione dei propri crediti verso l’estero non ha avuto un grande sviluppo nel nostro Paese,
contrariamente a quanto accade negli altri Paesi comunitari, ma in questi ultimi anni le cose stanno
cambiando ed il ricorso a questo strumento è sempre più diffuso presso gli operatori economici italiani.
Maggiore flessibilità, nuove polizze assicurative sempre più rispondenti alle esigenze degli operatori, costi più
ridotti rispetto al passato, accordi tra le compagnie di assicurazione, le banche e le associazioni di categoria,
rendono tale soluzione assai più interessante per gli esportatori italiani.
A ciò si deve aggiungere la presa di coscienza, da parte degli operatori del settore, degli indubbi vantaggi
che l’assicurazione dei crediti all’export è in grado di offrire agli esportatori italiani; in termini di maggiore
aggressività competitiva sui mercati esteri.
A tale riguardo l’assicurazione crediti assume un ruolo strategico, consentendo all’esportatore, grazie alla
garanzia assicurativa, di spingersi ben oltre a quanto altrimenti potrebbe fare nel concedere alla controparte
estera forme di pagamento alternative, meno impegnative e, quindi, più gradite. Forte, infatti, della
copertura assicurativa, l’esportatore può accettare tali forme di pagamento senza vedere aumentare il rischio
di mancato pagamento con conseguente difficile recupero del credito e, quindi, senza pregiudicare la propria
redditività.
Ulteriori vantaggi dell’assicurazione crediti sono riconducibili agli effetti positivi sulla situazione di liquidità
dell’azienda. La copertura assicurativa favorisce, infatti, il ricorso al finanziamento bancario mediante
anticipo su fatture con la formula pro solvendo, e ciò a condizioni finanziarie più favorevoli, in termini di tassi
di interesse applicati e/o di importo del fido utilizzabile. Questo è possibile in quanto l’esportatore può, in
relazione ai crediti all’esportazione anticipati salvo buon fine, cedere alla banca i diritti di polizza.
Tale vantaggio di carattere finanziario determina, di riflesso, un miglioramento della competitività
dell’esportatore. Questi, infatti, può a sua volta concedere una maggiore dilazione di pagamento
all’acquirente estero, ovviamente nei limiti di durata dei crediti assicurabili previsti dalla polizza assicurativa,
senza effetti negativi sulla propria liquidità, grazie appunto alla possibilità di ottenere più agevolmente il
finanziamento del corrispondente credito export.
Possiamo, pertanto, affermare che l’assicurazione dei crediti all’esportazione consente un più ampio margine
di manovra all’esportatore nella concertazione degli elementi che determinano la condizione di pagamento,
permettendogli di concedere alla controparte estera soluzioni a questa più favorevoli, soprattutto per quanto
attiene la forma tecnica e i tempi di pagamento.
La copertura assicurativa permette, infatti, all’esportatore (come già esaminato nei capitoli precedenti) di
definire mezzi di pagamento meno garantisti e più flessibili, senza incorrere in rischi di mancato pagamento
con grave pregiudizio per la propria redditività consentendo, così, di concedere migliori condizioni di
pagamento alla clientela estera senza che ciò si traduca in un corrispondente aumento del proprio
fabbisogno di liquidità, grazie alla possibilità di accedere più agevolmente (come visto sopra) al
finanziamento bancario mediante anticipazione salvo buon fine dei crediti export.
175
Punti di Criticità del Management Internazionale
Vantaggi dell’assicurazione crediti















Ampliamento del proprio mercato, in Italia e all’estero, vendendo ad acquirenti anche
sconosciuti sapendo che il rischio di mancato pagamento è coperto.
Vendite ai propri clienti in “open account”, concedendo, così, forme di pagamento
alternative meno impegnative e, quindi, più gradite.
Maggiore aggressività commerciale consentendo all’esportatore, grazie alla copertura
assicurativa, di spingersi ben oltre quanto potrebbe fare nel concedere alla controparte
dilazioni di pagamento.
Utilizzo di risorse aziendali esclusivamente sul fronte dello sviluppo commerciale,
dell’innovazione e della gestione finanziaria;
Ottenimento dalla banca del finanziamento dei propri crediti commerciali in modo più
agevole.
Selezione preventiva, attraverso il servizio di informativa, della solidità e della solvibilità
della clientela.
Prevenzione del rischio di insolvenza attraverso la selezione della clientela.
Beneficio di un monitoraggio costante sulla solvibilità della clientela affidata dalla
Compagnia di assicurazione.
Attuazione di un’efficace programmazione commerciale che consenta importanti vantaggi
gestionali;
Detrazione fiscale del pagamento dei premi assicurativi;
Riduzione notevole dell’onere amministrativo dovuto alla gestione dei crediti non pagati;
Copertura della perdita, totale o parziale, dei crediti derivanti dall’insolvenza del debitore
(rischio commerciale) e/o della perdita derivante da eventi di natura politica, assicurativa,
ottenendo così il recupero dei crediti, nella misura pattuita contrattualmente, in caso di
insolvenza del debitore.
Indennizzo della perdita subita;
Miglioramento della competitività grazie all’offerta di condizioni contrattuali più favorevoli
per l’importatore.
Eliminazione della posta attiva “creditizia verso clienti” in tempi ridotti dovuti all’indennizzo
della quota percentuale del credito assicurato in caso di insolvenza.
Per cogliere meglio le possibilità offerte dalle polizze assicurative riguardanti il rischio di credito è importante
definire il significato di “assicurazione” e analizzare alcuni concetti e termini propri dell’assicurazione crediti,
fondamentali per conoscere il “linguaggio” e favorirne la comprensione.
ASSICURAZIONE DEI CREDITI
E’ un contratto di assicurazione, che trova disciplina legislativa agli articoli 1882 e seguenti del Codice civile.
In base al contratto di assicurazione dei crediti, l’Assicuratore e, quindi, la compagnia assicurativa
specializzata nel ramo crediti, a fronte del pagamento di un premio, si obbliga a rivalere mediante indennizzo
l’Assicurato, cioè l’impresa esportatrice, nei limiti e alle condizioni convenute nella polizza assicurativa, del
danno derivante dal prodursi di un sinistro, nel caso rappresentato dal mancato pagamento in via definitiva,
in tutto o in parte, del credito derivante dalla vendita di beni e/o servizi da parte del debitore. Per soggetto
debitore deve intendersi normalmente l’acquirente importatore; in caso di pagamento assistito da garanzia
bancaria oppure da effettuarsi a mezzo di Credito documentario, per debitore si intende la banca obbligata al
pagamento.
Di conseguenza il contratto di assicurazione crediti è sempre stipulato dal creditore (Assicurato) nel proprio
interesse (e non dal debitore nell’interesse e per conto del creditore).
Il contratto di assicurazione deve essere stipulato per iscritto, a fini semplicemente probatori (art. 1888 Cod.
Civ.) ed è attestato dalla polizza assicurativa.
176
Punti di Criticità del Management Internazionale
TERMINE COSTITUTIVO DI SINISTRO
Conosciuto con la sigla TCS, è il momento in cui il sinistro si intende realizzato, cioè il momento in cui si può
dire che il mancato pagamento del credito si è verificato e, quindi, la perdita del credito può considerarsi
avvenuta in maniera definitiva. È da tale momento che, considerandosi convenzionalmente conseguita la
perdita del credito, l’Assicurato ha diritto all’ottenimento dell’indennizzo da parte della compagnia di
assicurazione.
FIDO O LIMITE DI CREDITO O MASSIMALE
È l’importo limite di credito, il massimo importo entro cui la compagnia di assicurazione accorda la propria
garanzia per ciascun debitore dell’Assicurato, dopo aver preso, per ogni debitore, le informazioni commerciali
attraverso quella che viene chiamata, in gergo tecnico, l’informativa.
FUNZIONE INFORMATIVA
Il limite di fido accordato potrà essere pari al massimale richiesto dall’esportatore, potrà essere inferiore, o,
al limite, pari a zero. La copertura assicurativa varrà, pertanto, entro tale limite. A seguito della
presentazione del modulo di proposta, la compagnia di assicurazione effettua un’analisi approfondita, in base
alle informazioni fornite dall’assicurando e soprattutto in base alle informazioni che la compagnia stessa è in
grado di reperire attraverso propri canali, volta alla valutazione del/i nominativo/i segnalato/i dall’assicurando
(debitore/i, garante/i), al fine di accertarne il grado di affidabilità e di solvibilità.
Tale valutazione è finalizzata a determinare il limite di fido concedibile per ciascun debitore
RISCHIO GARANTITO O ASSICURABILE
È garantito o assicurabile soltanto il rischio di mancato pagamento causato direttamente ed esclusivamente
dal verificarsi di uno o più Eventi Generatori di Sinistro. Nel caso di coperture riferite a pagamenti con
scadenza nel breve termine (con pagamenti entro 6 mesi o entro un massimo di 12 mesi), la garanzia
assicurativa è operativa per la vendita di beni di consumo, di beni strumentali, di macchine e per le vendite
rateali.
Sono escluse di fatto dalla copertura assicurativa e, quindi, non soggette al pagamento del premio le
seguenti operazioni:






Vendite a clienti a cui la Compagnia di Assicurazione non abbia concesso fido o dopo la
cancellazione dello stesso.
Vendite contro documenti con pagamento a vista o con Lettera di credito irrevocabile.
Vendita a Paesi non assicurabili.
Vendite con pagamento anticipato o alla consegna (in contanti o assegno circolare).
Vendite con pagamento posticipato assistito da garanzia bancaria o da Stand by Letter of credit.
Vendite ad aziende controllate o controllanti l’Assicurato.
COPERTURE E PERCENTUALI ASSUNTI IN GARANZIA
È assunto in garanzia il mancato pagamento per:


Insolvenza di diritto: fallimento, concordato, atti di sequestro conservativo, ecc.;
Insolvenza di fatto: situazioni che dimostrano, di fatto, l’impossibilità del debitore di far fronte ai
propri impegni, ovvero il non ancora avvenuto pagamento decorsi indicativamente 80 giorni dalla
data dell’ultima scadenza originaria o prorogata del credito.
FUNZIONAMENTO

L’assicurato fornisce i nominativi dei propri clienti, indicando per ognuno l’esposizione prevista. La
copertura assicurativa deve essere applicata a tutte le vendite effettuate in Italia e/o all’estero
(per queste ultime polizze è possibile una globalità limitata ad uno o più Paesi).
177
Punti di Criticità del Management Internazionale
La Compagnia effettua le verifiche necessarie e assegna a ogni nominativo un “limite massimo
assicurabile” (LMA), che costituisce l’importo massimo per ciascun nominativo assicurato.
 La Compagnia può se così previsto in appendice di polizza concedere, caso per caso, uno scoperto
di polizza previo pagamento di un sovrappremio.

PERCENTUALE DI COPERTURA ASSICURATIVA O VALORE ASSICURABILE/INDENNIZZO LIQUIDABILE
È la misura, calcolata in percentuale, applicata alla perdita indennizzabile a norma di polizza per
determinare l’importo del risarcimento.
Tale valore non rappresenta mai il 100% del valore nominale del Credito non incassato, cioè della perdita
realizzata, in quanto qualsiasi compagnia di assicurazione non può coprire il mancato guadagno derivante
da un’insolvenza. L’assicurato deve partecipare sempre al rischio nella sua veste di imprenditore, ai sensi
di quanto previsto dalle disposizioni di legge. La percentuale di copertura assicurativa varia, in genere, a
seconda del tipo di polizza e/o del Paese interessato e si aggira, a puro titolo esemplificativo, intorno
all’80-85%, se il compratore risiede in Paesi di 1ª Categoria, e intorno al 70-75% nel caso di Paesi di 2ª
categoria.
MASSIMO INDENNIZZO
Rappresenta l’importo massimo degli indennizzi che la compagnia di assicurazione è disposta a liquidare
all’Assicurato nell’arco di ogni annualità assicurativa.
PREMIO ASSICURATIVO
È il corrispettivo della prestazione assicurativa. Il tasso di premio da applicare è determinato da una serie
di variabili che tengono conto delle dimensioni dell’azienda proponente (fatturato), del numero e della
tipologia dei suoi clienti, delle dilazioni accordate e delle esposizioni medie e massime, del settore
merceologico, della storicità di perdite e contenziosi, del sistema interno di gestione dei crediti e altro
ancora. A titolo indicativo si va da un minimo dello 0,35 per cento ad un massimo dell’1,20 per cento sul
valore del volume delle forniture assicurate.
MINIMO DI PREMIO
È il corrispettivo minimo dovuto dall’Assicurato per ogni annualità assicurativa. Normalmente ammonta a
circa 5 mila euro, salvo accordi e/o convenzioni particolari da definire caso per caso.
GLOBALITÀ
È il principio su cui si basa l’assicurazione dei crediti. In linea generale, in base a tale principio l’assicurato
deve dichiarare alla compagnia di assicurazione la globalità dei propri crediti commerciali, derivanti dall’intero
suo volume d’affari. Tale principio è suscettibile di deroghe.
Sono esclusi i crediti il cui pagamento è garantito da Stand by Letter of credit, da garanzia bancaria a prima
domanda oppure regolati da credito documentario o da incassi documentari. In altri casi è possibile derogare
al principio di globalità prevedendo di assicurare solo i crediti derivanti dalla vendita di uno specifico
prodotto, o di una data linea di prodotti, di uno specifico settore di attività. La deroga che ricorre più
frequentemente si ha quando oggetto dell’assicurazione sono solo i crediti derivanti da vendite effettuate
solo in uno o in più Paesi esteri individuati specificamente.
TIPOLOGIE DI POLIZZA
La polizza è Globale quando vengono assicurati tutti i crediti commerciali all’export oppure solo i crediti, ma
tutti quelli ivi compresi, derivanti dalla vendita di un prodotto specifico, o di una linea di prodotti, da uno
specifico settore di attività o dalle vendite realizzate in determinati Paesi. In questo caso l’assicurato specifica
i Paesi per i quali intende assicurare i crediti.
La polizza è Singola quando l’assicurato indica quali sono i crediti esteri per cui si vuole assicurare.
178
Punti di Criticità del Management Internazionale
GESTIONE DELLA POLIZZA
Affinché la compagnia di assicurazione possa formulare un’offerta, è necessario che il potenziale assicurato
compili un “modulo di proposta” sottopostogli dalla compagnia di assicurazione. Trattasi di un questionario
nel quale sono richiesti, oltre ai dati anagrafici ed al settore in cui opera l’azienda, indicazioni sia sulla
clientela (quali Paesi del cliente, dilazioni e modalità di pagamento concesse, elenco dei principali clienti,
ecc.), sia sul fatturato realizzato negli ultimi anni e previsto per quello in corso.
SVILUPPO DEL RAPPORTO ASSICURATIVO
Il rapporto assicurativo si sviluppa in una molteplicità di fasi di cui alcune precedono la conclusione del
contratto di assicurazione e si realizzano in fase di trattativa al fine di addivenire alla stipula della polizza più
confacente all’Assicurato, altre, invece, attengono lo sviluppo del rapporto assicurativo a seguito della stipula
della polizza. Tali punti sono suscettibili di modifiche in base alla specifica polizza assicurativa stipulata. In
linea generale, comunque, le fasi che caratterizzano un’operazione di assicurazione sono riassumibili nella
Tabella “Iter di un’operazione di assicurazione del rischio commerciale”.
CONTRATTO DI ASSICURAZIONE
Sulla base del questionario, l’assicuratore avanza una proposta di assicurazione che, se accettata per
iscritto, porta alla conclusione del contratto di assicurazione e al rilascio della polizza di assicurazione (art.
1888 c.c.).
La polizza di assicurazione ha durata annuale e si rinnova tacitamente alla scadenza, salvo disdetta nei
termini contrattuali stabiliti.
Per ogni anno devono essere indicate la percentuale effettuata a dilazione, le perdite e gli importi in
sofferenza e le principali aziende debitrici.
Iter di un’operazione di assicurazione del rischio commerciale


















Scelta, da parte del potenziale assicurato, della tipologia di polizza più confacente alle sue
esigenze: se polizza globale o polizza singola
Segnalazione da parte del potenziale assicurato dei nominativi dei debitori alla compagnia di
assicurazione
Valutazione dei nominativi da parte della compagnia di assicurazione per accertare il grado di
affidabilità e di solvibilità dei singoli debitori, al fine di determinare il limite di credito (fido)
concedibile ai singoli nominativi segnalati (cosiddetta funzione informativa)
Concessione del fido per ciascun nominativo da parte della compagnia di assicurazione
Determinazione del tasso di premio da parte della compagnia di assicurazione
Conclusioni del contratto di polizza assicurativa tra Compagnia di assicurazione e Assicurato con
rilascio della polizza assicurativa
Pagamento del sevizio di informativa da parte del potenziale assicurato
Pagamento del premio assicurativo da parte dell’assicurato
Notifica a fine mese da parte dell’assicurato di tutte le operazioni a credito con inoltro della distinta
delle fatture di vendita emesse
Esame del caso da parte della compagnia di assicurazione e verifica dell’esistenza o meno della
situazione di insolvenza
Monitoraggio su ciascun nominativo assicurato effettuato dalla compagnia di assicurazione
Comunicazioni di eventuali situazioni di sofferenza del nominativo da parte dell’assicurato
Comunicazione del mancato pagamento alla scadenza del credito da parte dell’assicurato
Sollecito di pagamento attraverso azioni monitorie
Inizio di azione legale nei confronti del debitore
Rimborso della perdita nella percentuale definita (liquidazione dell’indennizzo)
Cessione del credito da parte dell’assicurato
Procedura di recupero del credito
179
Punti di Criticità del Management Internazionale
35. I servizi offerti dalla compagnia di assicurazione
L’attività delle principali compagnie di assicurazione dei crediti, pur essendo caratterizzata da polizze che
possono differire tra loro, si sviluppa attraverso l’erogazione dei seguenti servizi:
Servizio assicurativo in senso stretto. In caso di mancato pagamento del credito in via
definitiva, totale o parziale, la compagnia di assicurazione eroga la somma prevista a titolo di
indennizzo. Tale servizio presenta riflessi positivi anche dal punto di vista delle politiche
commerciali adottabili dall’azienda, la quale può, concedere ai propri clienti dilazioni di pagamento
(al massimo quelle consentite dalla polizza sottoscritta), grazie alla possibilità per l’esportatore di
ottenere più agevolmente il finanziamento dei crediti commerciali.
 Servizio di assistenza legale per il recupero crediti in sofferenza (azioni bonarie e legali). In
base a tale servizio la compagnia di assicurazione gestisce l’eventuale tentativo di recupero del
credito.
 Servizio di informativa. Attraverso la valutazione commerciale dei nominativi al fine di
determinare il limite di fido concedibile per il singolo debitore, l’assicurato riceve importanti
informazioni circa la solvibilità e affidabilità dei propri clienti, ottenendo così un servizio di
prevenzione delle insolvenze degli acquirenti. Si tratta di un servizio importantissimo che può
rappresentare un utile strumento commerciale in quanto attribuisce all’impresa una maggiore
aggressività commerciale sui mercati esteri che si realizza attraverso:

-
l’ampliamento della propria quota di mercato, grazie alla possibilità di vendere ad acquirenti
anche sconosciuti, senza incorrere in rischi di mancato pagamento;
-
la possibilità di vendere ai propri clienti in “open account”, cioè concedendo forme di pagamento
alternative, meno impegnative (e quindi più gradite) rispetto al Credito documentario.
Servizi offerti dalla compagnia di assicurazione
1. Servizio assicurativo in senso stretto. In caso di mancato pagamento del credito in via definitiva,
totale o parziale, la compagnia di assicurazione eroga la somma prevista a titolo di indennizzo.
2. Servizio di informativa. Attraverso la valutazione commerciale dei nominativi al fine di determinare il
limite di fido concedibile per il singolo debitore, l’assicurato riceve importanti informazioni circa la
solvibilità e l’affidabilità dei propri clienti, ottenendo così un servizio di prevenzione delle insolvenze
degli acquirenti.
3. Servizio di assistenza legale per il recupero crediti in sofferenza (azioni bonarie e legali). In base a
tale servizio la compagnia di assicurazione gestisce l’eventuale tentativo di recupero del credito.
CONVENZIONI CON LE BANCHE
Le compagnie di assicurazione hanno attivato una serie di collaborazioni con alcuni Istituti di credito,
sottoscrivendo con gli stessi, a seconda dei casi:
-
una polizza contraente, che consiste in una polizza sottoscritta dalla banca per conto dei clienti
che sono assicurati. Tale polizza prevede la totale gestione dei contratti attraverso gli uffici della
banca;
una polizza diretta, che prevede, invece, la sottoscrizione della stessa direttamente dalla
compagnia di assicurazione e il cliente, venendosi così a creare un rapporto diretto tra l’assicurato
e la compagnia stessa.
Agli Istituti di credito, in forza di tali accordi, viene generalmente assegnato il compito di promuovere il
prodotto, segnalando all’agenzia assicurativa territorialmente più vicina e alla quale rimane, comunque,
demandata la cura di tutta la successiva fase gestionale (trattativa, stipula e gestione del contratto
assicurativo), i nominativi di coloro che, in possesso dei requisiti per l’assicurabilità, manifestino interesse
ad una copertura dei propri crediti verso l’estero.
Tale operatività si è dimostrata efficace, poiché la complessità del servizio, sia in fase di proposizione che
di gestione quotidiana, richiede la presenza di professionisti specializzati.
Oltre che con alcuni Istituti di credito, tali accordi/convenzioni sono state attivate anche con altre
compagnie di assicurazione e con Associazioni o Organismi industriali territoriali e di categoria.
-
180
Punti di Criticità del Management Internazionale
36. Le principali compagnie di assicurazione dei crediti
Esistono due tipologie di compagnie che operano nel mercato dell’assicurazione del credito commerciale, in
quasi tutti i Paesi industrializzati:


le compagnie di estrazione pubblica;
le compagnie di estrazione privata.
In Italia, è presente un solo assicuratore pubblico: SACE, mentre diverse sono le compagnie di estrazione
privata.
L’offerta di polizze assicurative per la copertura del rischio commerciale è variegata ed
soddisfare la maggior parte delle esigenze di tutela da tale rischio, da parte dell’azienda.
è in grado di
Le polizze assicurative offerte dalle compagnie private hanno ad oggetto:
la copertura del rischio commerciale (la copertura del rischio politico è meno frequente);
la copertura del rischio commerciale con dilazione nel breve termine (la maggior parte delle
polizze offre copertura per dilazioni di pagamento entro i 6 mesi, massimo 12 mesi);
 la copertura sull’intero fatturato.


A differenza di SACE che contempla la possibilità di copertura del rischio singolo (o singola fornitura), le
compagnie private solitamente, basano le proprie polizze sul principio della globalità (ossia riferito a tutti i
debitori dell’Assicurato o almeno a gruppi omogenei di essi) salvo ipotesi eccezionali.
Tre sono comunque le società leader di questo mercato:
Euler Hermes: è il primo gruppo mondiale dell’assicurazione crediti ed uno dei maggiori
operatori nel mercato delle cauzioni, presente in Italia con una rete di vendita e assistenza alle
imprese distribuita su tutto il territorio nazionale. La sede è in Via Raffaello Matarazzo, 19 – 00139
Roma (indirizzo web: http://www.eulerhermes.com/).
 Atradius nata dalla ristrutturazione azionaria del gruppo Gerling NCM, avvenuta nel 2003, con
sede centrale a Colonia (Germania). In Italia la sede è a Roma presso SIC, Società Italiana
Cauzioni, in Via Crescenzio, 12 (indirizzo web: http://www.atradius.com/it/) presente, anch’essa
su tutto il territorio nazionale con una rete periferica di Agenzie.
 Coface, Assicurazioni, Compagnia francese nata nel 1949, parte del network mondiale
CreditAlliance, è leader mondiale nella gestione crediti. Presente in Italia dalla fine degli anni
ottanta con il nome di Viscontea, ha la propria sede centrale a Milano in Via Giovanni Spadolini, 4
- 20141 Milano (indirizzo web: http://www.viscontea.it/) ed una rete di sedi e filiali su tutto il
territorio nazionali.

Le compagnie di estrazione pubblica, altrimenti denominate ECA’s (acronimo di Export Credit Agencies),
sono presenti in tutti i Paesi industrializzati con lo scopo di assolvere principalmente ad una funzione di
sostegno all’internazionalizzazione delle aziende residenti nello Stato. In particolare favoriscono
principalmente:
 lo sviluppo dell’economia del Paese di appartenenza;
 l’esportazione di beni e servizi verso acquirenti posti in Paesi generalmente ad elevato rischio
politico e/o commerciale. Rischi, spesso, non sopportabili altrimenti da parte dell’azienda
esportatrice.
I rischi che le ECA’s (vedi sito internet: http://www.eca-watch.org/eca/index.html) assumono, per conto
dell’azienda, sono garantiti dallo Stato e spesso, per entità, tali rischi non sarebbero sopportabili oppure
sarebbero economicamente non redditizi, se assunti da compagnie assicurative private o, se contrari ad
alcuni principi assicurativi, quali la globalità.
L’attività pubblica di sostegno alle esportazioni, regolata da norme interne, di cui riportiamo in tabella il
quadro normativo esistente in Italia, è armonizzata da regole stabilite a livello europeo per garantire una
sorta di trattamento paritetico da parte delle varie ECA’s dei Paesi membri nei confronti delle aziende ivi
residenti ed evitare una concorrenza basata non sulla capacità imprenditoriale ma, bensì, sul diverso
sostegno statale. Tutto questo è stato regolamentato da norme in sede Ocse (Organizzazione per la
181
Punti di Criticità del Management Internazionale
cooperazione economica e lo sviluppo)87 denominate Consensus, le cui disposizioni, previste da tale
accordo si applicano solo se la dilazione massima di pagamento è uguale o superiore a 2 anni. Esse
succintamente riguardano:
-
un acconto minimo di pagamento. L’acquirente deve pagare in acconto non meno del 15% del
valore della fornitura pagabili al più tardi alla data del punto di partenza del credito;
-
la dilazione massima di pagamento. Dipende dal Paese di residenza dell’acquirente. Al riguardo i
vari Paesi sono divisi in due Categorie: la categoria 1, con dilazione massima concedibile fino a 5
anni (eccezionalmente 8,5) e la categoria 2, con dilazione massima concedibile fino a 10 anni.
-
il tasso di interesse minimo. Alle dilazioni di pagamento non si può applicare un tasso di interesse
inferiore al cosiddetto CIRR (tassi definiti mensilmente dall’OCSE);
-
i rimborsi del credito. Il rimborso deve avvenire a rate con scadenza massima semestrale, con
quota capitale costante e quota interessi decrescente.
Consensus
Il Consensus è un accordo siglato il 4 aprile 1978 tra tutti i paesi dell’OCSE che stabilisce precise regole
riferite alla concessione di dilazioni di pagamento, alle modalità e ai tempi di rimborso, nonché il tasso
minimo di interesse da applicare in esecuzione di contratti il cui rimborso va oltre i 24 mesi. Questo
accordo è stato stipulato per evitare distorsioni di concorrenza tra imprese dei Paesi aderenti, che
esportano in determinati stati che beneficiano del soggetto pubblico e prevede la fissazione di tassi di
interesse minimi per le diverse monete (Dollaro USA, Euro, Sterlina inglese, Yen e Franco svizzero) a
seconda dei Paesi classificati in diverse categorie, con decorrenza il 15 di ogni mese fino al 14 del mese
successivi.
La nostra compagnia di Assicurazioni Pubblica è SACE costituita nel 1977 come Sezione speciale dell’INA, in
rispetto ai dettami della legge n. 227 del 24 maggio 1977 altrimenti conosciuta come “Legge Ossola”, dal
nome del ministro che allora firmò il decreto istitutivo della Sace.
Quadro normativo del sostegno pubblico all’internazionalizzazione
• Decreto Legislativo n. 143 del 31/03/1998 che ha sostituito, innovandola, la legge n. 227 del 24
maggio 1977. Accanto al menzionato decreto legislativo esistono altre due leggi: la legge n. 394 del
29 luglio 1981 e la legge n. 304 del 20 ottobre 1990;
• Decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003 (convertito con modificazioni nella legge n. 326 del 24
novembre 2003) con il quale è stata disposta la trasformazione, a decorrere dal 1° gennaio 2004,
dell’“Istituto per i Servizi Assicurativi del Commercio Estero – SACE”, in Società per Azioni con la
denominazione di “SACE S.p.A. – Servizi Assicurativi del Commercio Estero”.
L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione economica e lo sviluppo) è un organismo sopranazionale
composto dai seguenti 30 Paesi industrializzati:
Australia, Austria, Belgio, Canada, Corea del Sud, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone,
Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Messico, Olanda, Norvegia, Nuova Zelanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito,
Repubblica Slovacca, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria.
87
182
Punti di Criticità del Management Internazionale
37. La SACE
SACE, costituita nel 1977, è la nostra compagnia di Assicurazioni Pubblica. I prodotti e servizi assicurativofinanziari offerti dal gruppo SACE rendono più sicura ogni transazione commerciale con l’estero attraverso
garanzie contrattuali e coperture del credito e degli investimenti.
Per guidare le imprese all’estero SACE inoltre, fornisce consulenza e assistenza durante tutte le fasi
dell’internazionalizzazione dell’impresa. E’ attiva in oltre 150 Paesi.
Dal 2004 SACE è Società per Azioni ed è partecipata al 100% dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
SACE BT opera al fianco di SACE per la copertura dei rischi di credito a Breve Termine (fino a 24 mesi) sia in
Italia che all’estero.
La trasformazione in società per azioni si è resa necessaria in seguito ai mutamenti nel sistema finanziario e
assicurativo internazionale.
SACE assume in assicurazione e riassicurazione le garanzie sui rischi di carattere politico, catastrofico,
commerciale, di cambio, ai quali sono esposti gli operatori nazionali verso l’estero.
Essa assume quindi, oltre il rischio di natura politica anche il rischio commerciale, sia isolatamente, sia
congiuntamente con il rischio politico.
SACE riporta sul proprio sito internet (www.sace.it), le condizioni di assicurabilità di quasi tutti i paesi del
mondo, per molti dei quali viene riportata anche una Scheda Paese.
CLASSI DI ASSICURAZIONE
Essa classifica i paesi del mondo in quattro classi, dalla A alla D, (classi di assicurazione), a ciascuna viene
assegnato un punteggio decrescente da cui dipende la concessione delle coperture assicurative, la
percentuale di copertura e il tasso di premio. Esaminiamo nel dettaglio le quattro classi:
- classe A: in questa classe sono compresi tutti i paesi industrializzati e i paesi emergenti che non
presentano particolari aspetti di rischiosità, per i quali non esistono problemi di copertura
assicurativa;
-
classe B: nella classe B sono inseriti la gran parte dei paesi che troviamo riportati nelle categorie
di rischio che vanno dalla 2 alla 6 per i quali si adatta un atteggiamento prudente di copertura con
restrizioni. Ovviamente, mentre per alcuni paesi (2° e 3° categoria) non esistono particolari
problemi di copertura, per quelli appartenenti alle categorie 4, 5, 6 potrebbero esserci restrizioni
che riguardano le controparti, a seconda che siano sovrane, private, bancarie o enti pubblici. Gli
importi, possono essere complessivi, riguardando così, il plafond concesso al paese oppure
individuali con riferimento al massimale concesso per singola operazione;
-
classe C: riguarda i paesi per i quali è prevista o è stata realizzata la cancellazione del debito
(legge 209/2000) e per i quali SACE adotta un atteggiamento prudente nella concessione delle
coperture assicurative limitandole soltanto ad alcune operazioni;
-
classe D: comprende i paesi in sospensiva o per i quali non è possibile alcuna copertura
assicurativa se non in casi del tutto particolari.
CATEGORIE DI RISCHIO
Dal 1° gennaio 2006, le categorie di rischio sono otto, dalla n. 0 alla 7 con rischio crescente dalla
categoria 0 alla settima. Nella categoria 0 troviamo tutti i paesi a rischio zero e, cioè, Australia, Austria,
Belgio, Canada, Corea del Sud, Repubblica Ceca, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Grecia,
Irlanda, Italia, Lussemburgo, Messico, Olanda, Norvegia, Nuova Zelanda, Polonia, Portogallo, Regno Unito,
Repubblica Slovacca, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Turchia, Ungheria. Man mano che si sale di
categoria troviamo paesi con tipologie di rischio crescenti, cosa questa che determina un pagamento di
premi più elevati, percentuali di copertura minore e, soprattutto, maggiore difficoltà nell’ottenimento della
copertura assicurativa, fino ad arrivare ad una chiusura totale o ad una sospensiva per i paesi di categoria
settima. Le categorie SACE sono, di fatto, salvo qualche rara divergenza, le medesime di tutte le Compagnie
di assicurazione di estrazione pubblica (le ECA’s), in quanto approvate in sede OCSE.
In base alla categoria di Consensus tutti i paesi del mondo vengono suddivisi in due categorie (paesi di 1°
e di 2° categoria) sulla base del reddito lordo pro capite annuo. Rientrano nei paesi di 1° categoria quelli il
cui reddito lordo pro capite supera una determinata soglia fissata in sede OCSE, mentre i paesi al di sotto
183
Punti di Criticità del Management Internazionale
della soglia rientrano nella 2° categoria. I paesi di 2° categoria potranno beneficiare di dilazioni di
pagamento superiori rispetto ai paesi di 1° categoria. Solitamente fino ad otto anni e mezzo aumentabili
anche a dieci in determinati casi.
PRODOTTI ASSICURATIVI SACE
SACE è chiamata oggi a competere sul mercato globale spostando sempre più l’attenzione sul rischio
commerciale e dando priorità alle Piccole e Medie Imprese attraverso una maggiore diversificazione del
portafoglio.
Prevalgono, tra le tipologie di prodotto, le operazioni di credito fornitore e di finanza strutturata, le polizze
multiexport per dilazioni di pagamento a breve, il credit insurance concesso a favore delle banche per i
crediti alle imprese.
La SACE offre alle aziende la possibilità di competere sui mercati internazionali consentendo una gestione
“senza rischi” delle transazioni commerciali di carattere internazionale, attraverso la garanzia parziale o
totale delle esportazioni italiane o delle attività ad esse collegate (es. esecuzione lavori).
I prodotti assicurativi variano in base:
-
alla dilazione concessa al cliente/debitore (fino a 24 mesi oppure oltre i 24 mesi);
al destinatario della copertura, se cioè l’assicurato è lo stesso esportatore contraente la polizza
assicurativa oppure una banca;
alla tipologia dello strumento che può essere solo di tipo assicurativo, oppure abbinato ad un
finanziamento.
TIPOLOGIE DI POLIZZE SACE E SACE BT
L’impresa internazionalizzata deve concepire l’assicurazione dei crediti export come una strategia aziendale
capace di rendere l’impresa stessa più competitiva sul mercato estero. L’impresa potrà scegliere la polizza
più confacente alla propria attività che le consentirà di proporre pagamenti dilazionati più vantaggiosi per la
controparte estera ed una maggiore liquidità oltrechè certezza del credito.
Presentiamo di seguito alcuni prodotti assicurativi offerti da SACE:
-
la Polizza Credito Fornitore
la Polizza Lavori
la Polizza Investimenti
la Polizza Fideiussioni
la Polizza Credito Acquirente
Polizza credito fornitore
La “Polizza Credito Fornitore” è lo strumento con cui le imprese esportatrici italiane possono garantirsi contro
uno o più rischi derivanti dall’esecuzione di un singolo contratto (esportazione di merci, prestazione di
servizi, studi e progettazioni all’estero).
Le imprese produttrici ed esportatrici di impianti e macchinari spesso si avvalgono di questo prodotto
assicurativo.
La Polizza Credito Fornitore assicura le vendite all’estero dal rischio di mancato incasso e revoca del
contratto. Copre, inoltre, l’assicurato, dal rischio di indebita escussione delle fideiussioni rilasciate nell’ambito
delle attività di esportazione nonché dal rischio di distruzione e confisca dei beni esportati.
Tra i vantaggi, che la sottoscrizione della Polizza Credito Fornitore offre all’operatore economico, vi è senza
dubbio una maggiore competitività conseguente alla concessione di migliori condizioni di pagamento alla
controparte estera; una migliore liquidità attraverso lo smobilizzo anticipato del credito con lo sconto prosoluto dei titoli di credito presso una banca - voltura della polizza; la sicurezza derivante dalla certezza
dell’incasso anche in caso di insolvenza del debitore.
L’esportatore, contraente la Polizza credito fornitore, può cedere i benefici della polizza a favore di una
banca a cui trasferire tutti i diritti derivanti dalla stessa, in questo modo si ha la Voltura della polizza
credito fornitore.
184
Punti di Criticità del Management Internazionale
La polizza di assicurazione con “voltura” SACE nasce nell’aprile del 2002 per soddisfare l’esigenza, sempre
più frequente, di offrire, ai produttori di beni strumentali e agli acquirenti esteri, dilazioni di pagamento nel
medio/lungo periodo, senza che gli stessi debbano ricorrere al sistema bancario per il rilascio di garanzie di
pagamento e/o l’emissione di lettere di credito documentarie.
La polizza di assicurazione “volturabile” SACE consente, infatti, agli esportatori (soprattutto di beni
strumentali) di disporre di uno strumento che permette di scontare pro soluto (ovvero senza la possibilità di
rivalsa), almeno per la parte coperta dall’assicurazione, i crediti vantati nei confronti delle imprese
importatrici. Tali crediti dovranno essere rappresentati da cambiali pagherò (promissory notes), senza che le
stesse siano avallate e/o garantite da primarie banche.
Polizza Lavori
La Polizza Lavori assicura l’impresa, impegnata in lavori civili, o nella realizzazione di forniture con posa in
opera, contro i rischi che potrebbero verificarsi nel corso di esecuzione della commessa o nel periodo di
pagamento a seguito di eventi politici e/o commerciali. Si rivolge ad imprese italiane di costruzioni o di
impiantistica o loro controllate/collegate estere, che eseguono lavori o fornisco impianti chiavi in mano.
La Polizza Lavori offre i seguenti vantaggi:
- minimizzazione dei rischi connessi alla realizzazione di lavori/impianti all’estero;
- copertura di cash-flow negativo che potrebbe verificarsi durante l’esecuzione del progetto;
- copertura del rischio di produzione, tramite indennizzo dei costi sostenuti, a seguito di un’eventuale
revoca del contratto;
- copertura del credito.
Polizza Investimenti
La polizza investimenti è una polizza che permette di assicurare gli investimenti compiuti all’estero dalle
imprese italiane, realizzati direttamente ma anche indirettamente mediante società costituite all’estero
purché controllate dall’impresa nazionale.
Si rivolge ad imprese italiane che costituiscono o partecipano al capitale di società estere. La Polizza
Investimenti si applica anche all’investimento realizzato da una controllata estera di una impresa o banca
italiana.
L’impresa italiana che sottoscrive una Polizza Investimenti può sentirsi sicura poiché l’investimento sarà
protetto dal rischio politico, inoltre, attraverso la cessione dei diritti di polizza ad una controparte bancaria
avrà migliori condizioni di finanziamento e sarà più competitiva sui mercati ad alto potenziale.
Polizza Fideiussioni
SACE con la Polizza Fideiussioni controgarantisce le garanzie (Bonds) emesse per conto dell’esportatore a
favore di importatori esteri senza che vengano intaccate le linee di credito e di affidamento
dell’assicurato/ordinante la garanzia.
Le garanzie oggetto della richiesta di copertura sono le seguenti:
- garanzie di partecipazione a gare d’appalto (bid bonds);
- garanzie di restituzione di anticipi (advance payment bonds);
- garanzie di buona esecuzione della commessa (performance bonds);
- garanzie di svincolo delle ritenute (money retention bonds).
Questo tipo di polizza si rivolge a Banche e a Compagnie di assicurazione che emettono fideiussioni per
conto di aziende italiane che effettuano forniture, lavori, servizi ed investimenti all’estero.
L’esportatore che sottoscrive una Polizza Fideiussioni potrà disporre di risorse finanziarie non venendo
intaccate le linee di credito dell’ordinante.
Polizza Credito Acquirente
La polizza credito acquirente consente all’esportatore di limitare i rischi legati ad una controparte di un paese
poco affidabile.
Una singola banca o un pool di banche erogano un finanziamento all’importatore di un paese estero per il
pagamento a vista di esportazioni, prestazioni di servizi, studi e lavori effettuati da imprese italiane all’estero.
Questa operazione conosciuta anche con il termine inglese buyer’s credit., viene costruita “su misura” per
finanziare importanti forniture italiane di beni durevoli o impianti a committenti, di norma pubblici, di paesi
185
Punti di Criticità del Management Internazionale
terzi che, per vari motivi, non possono o non vogliono regolare in contanti.
Si rivolge a Banche italiane o estere che finanziano direttamente una controparte estera (Stato, banche,
imprese private o enti pubblici).
La polizza credito acquirente consente all’importatore di dilazionare il pagamento con rate costanti e
semestrali, a tassi fissi o variabili e di contro, permette all’esportatore italiano di ricevere il corrispettivo, della
fornitura che, generalmente, prevede dilazioni dai 5 ai 10 anni nell’arco di pochi mesi.
Tra i prodotti offerti da SACE BT vi sono:
Polizza Multiexport
La polizza Multiexport, gestita da SACE BT S.p.A., è uno strumento assicurativo la cui caratteristica è la
rotatività del fido concesso, particolarmente indicata per gli esportatori che effettuano forniture a clienti
esteri, residenti in uno o più Paesi, con carattere di ripetitività.
Per rotatività del fido concesso si intende che, il massimale di credito che SACE BT attribuisce a ciascun
cliente dell’assicurato, si reintegra sulla base dei pagamenti effettuati dal debitore alle scadenze dovute,
rendendosi automaticamente disponibile per i crediti relativi alle forniture successive.
La polizza Multiexport , per le sue peculiarità, risponde alle esigenze di piccole e medie imprese (PMI), oltre
che di imprese di grandi dimensioni (GI) che effettuano forniture sui mercati esteri a uno o più clienti abituali
con dilazioni di pagamento non superiori ai 12 mesi.
Polizza Multimarket
SACE BT oltre alla polizza Multiexport, offre come prodotto assicurativo anche la polizza Multimarket Globale.
La Multimarket permette di assicurare il fatturato dilazionato (massimo 12 mesi) concesso sia a compratori
esteri che a compratori italiani (Polizza Multimarket Globale). Copre il rischio di mancato rimborso dei crediti
causato direttamente ed esclusivamente dal verificarsi di uno o più degli Eventi Generatori di Sinistro di
natura politica e commerciale. Ha carattere di globalità non permettendo una selezione dei rischi da coprire
anche se è ammesso il principio della globalità limitata per classi omogenee di rischio.
186
Punti di Criticità del Management Internazionale
38. Il credito documentario
Il credito documentario è senza dubbio la forma di pagamento più sicura per l’impresa che vende all’estero,
poiché l’impegno ad eseguire il pagamento a favore del venditore (beneficiario) è assunto da una banca che,
su ordine del proprio cliente (ordinante) e contro presentazione di documenti conformi, promette al
beneficiario del credito di onorare lo stesso, pagando, cioè, a vista o ad una certa data differita, nel caso di
credito utilizzabile per pagamento a vista o differito o accettando una tratta scadente a vista o ad una certa
data impegnandosi poi a pagarla alla scadenza, nel caso di crediti di accettazione.
Con il credito documentario è la banca che diviene debitrice nei confronti del venditore/beneficiario del
credito stesso, sostituendosi al compratore (ordinante del credito) nell’impegno alla prestazione.
In questo modo il venditore si sente rassicurato circa l’incasso del proprio credito, in quanto ha la certezza di
ricevere, da parte della banca, il pagamento della fornitura oggetto del contratto stipulato con il compratore
qualora (spedita la merce), presenti i documenti richiesti nel credito rispettando i termini e le condizioni
prescritte nello stesso.
Il compratore/ordinante il credito, di contro, in virtù del mandato conferito alla banca, si aspetta di essere
addebitato solo quando i documenti relativi alla spedizione giungeranno alla banca emittente e risulteranno
conformi alle condizioni e ai termini pattuiti con il venditore e prescritti nel testo del credito.
La banca in modo diretto ed autonomo assume l’impegno di effettuare la prestazione (pagamento a vista o
differito, o accettazione di tratte scadenti a vista o ad una certa data o negoziazione) a favore del
beneficiario, senza alcuna restrizione imputabile dall’ordinante, eseguendo, così, il mandato conferitole dallo
stesso di verificare la correttezza dei documenti prima di qualsiasi prestazione.
IL CREDITO DOCUMENTARIO SI BASA ESCLUSIVAMENTE SUI DOCUMENTI E NON SULLE MERCI, SERVIZI O ALTRE PRESTAZIONI
OGGETTO DEL RAPPORTO CONTRATTUALE.
Questo strumento di pagamento rappresenta, quindi, una soluzione di sicuro vantaggio per il venditore che,
con l’emissione del credito documentario a suo favore, vede superato il “rischio commerciale” essendo la
banca emittente ad impegnarsi irrevocabilmente ad onorare la prestazione promessa alle scadenze prescritte
nel testo del credito. Per non vanificare tale sicurezza circa il pagamento, è indispensabile che il venditore
abbia molta cura nella redazione dei documenti da presentare.
NORME ED USI UNIFORMI RELATIVI AI CREDITI DOCUMENTARI (NUU)
Questa forma di pagamento che, come abbiamo visto, si basa su presentazione di documenti dei quali solo
la banca ne deciderà la conformità e, quindi, in ultima analisi, se eseguire o meno la prestazione promessa,
è diventata - negli ultimi decenni - la più usata nelle transazioni commerciali internazionali, soprattutto con
quei Paesi dove il “rischio paese” è elevato.
Proprio per la diffusione e l’importanza che da sempre ha rappresentato e per favorire uniformità nella
pratica, si è sentita, a livello internazionale, la necessità di avere delle norme che regolamentassero questa
operazione.
Si arrivò, così, ad opera della Camera di Commercio Internazionale (CCI), ad elaborare le Norme ed Usi
Uniformi relative ai crediti documentari, conosciute con la sigla NUU (in inglese UCP), che entrarono in
vigore per la prima volta nel lontano 1933 con il nome di “regole di Vienna” essendo state, approvate, per
l’appunto a Vienna. Seguirono, nel corso degli anni varie revisioni, la cui ultima versione è stata approvata a
Parigi nel mese di ottobre del 2006 con la pubblicazione n. 600, in vigore dal 1° luglio 2007. Scopo delle
NUU relative ai crediti documentari, adottate dalla stragrande maggioranza dei paesi nel mondo è, dunque,
quello di favorire uniformità nella pratica di questa forma di pagamento e di garantire una interpretazione
uniforme nella valutazione dei documenti presentati ad utilizzo dello stesso.
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Punti di Criticità del Management Internazionale
CARATTERISTICHE DEL CREDITO DOCUMENTARIO
Per una efficace gestione del credito documentario è importante conoscere la natura giuridica di tale
operazione, caratterizzata dai principi di Autonomia – Astrattezza – Formalismo.
Autonomia
L’operazione è per sua natura totalmente indipendente (autonoma) dal contratto di vendita (o da altri
contratti), da cui trae origine. Quando la banca si impegna nei confronti del beneficiario, sia essa la banca
emittente o la banca confermante, assumendo la veste di obbligato principale, dà vita ad una obbligazione
diretta ed autonoma in favore del medesimo indipendentemente dallo status giuridico del compratore e, se il
credito è confermato, della banca emittente.
Astrattezza
Il carattere dell’astrattezza deriva dalla mancanza di qualsiasi connessione del credito documentario con il
contratto sottostante, tanto da esserne totalmente svincolato e di avere vita propria, motivo per cui le
banche non possono sollevare eccezioni e/o eccepire obiezioni se non derivanti dai documenti. Eventuali
divergenze devono essere regolate al di fuori del credito documentario, direttamente tra il compratore e il
venditore. L’art. 1530 del codice civile stabilisce che sono soltanto tre le eccezioni opponibili da parte
delle banche:



l’incompletezza dei documenti;
l’irregolarità dei documenti;
l’inosservanza, da parte del beneficiario, delle condizioni, dei modi e dei termini stabiliti dalla
banca per l’esecuzione del proprio impegno.
Formalismo
Le banche chiamate ad esaminare i documenti del credito documentario, si baseranno esclusivamente
sull’aspetto formale degli stessi e non sul loro valore sostanziale o sulle merci e/o servizi che questi
rappresentano.
FORMA DEL CREDITO DOCUMENTARIO
Con la pubblicazione n. 600, in vigore dal 1° gennaio 2007, il credito documentario sarà emesso soltanto in
forma irrevocabile con assunzione dell’impegno assunto nei confronti del beneficiario che non potrà essere
disatteso, salvo nei casi in cui la presentazione dei documenti richiesti ad utilizzo del credito, dovesse
risultare non conforme.
Quando la fornitura del bene e/o del servizio è destinata ad un importatore residente in un paese
industrializzato, classificato da SACE in categoria 0 oppure 1, vuol dire che si è in presenza di un rischio di
credito di natura solo commerciale e, di conseguenza, è sufficiente per l’esportatore concordare un
pagamento a mezzo credito documentario emesso in forma irrevocabile non confermato.
Se, invece, le forniture sono destinate in Paesi che presentano livelli di rischio di credito più o meno
accentuati (Paesi classificati da SACE in classe B e C ed in categoria dalla 2 in poi, che non sono di natura
solo commerciale ma soprattutto politica), non basta l’emissione di un credito irrevocabile non confermato
che permette di chiudere il solo rischio commerciale ma è necessario prevedere la conferma del credito
stesso.
Con la conferma del credito, all’impegno della banca emittente a favore del beneficiario/esportatore, va ad
aggiungersene uno autonomo ed irrevocabile da parte di un’altra banca, detta “banca confermante”.
La conferma del credito da parte di altra banca permette, quindi, al venditore/beneficiario di coprire il
“rischio paese” ed il rischio “banca emittente” in quanto è la banca confermante che, generalmente, è la
banca indicata dallo stesso venditore o, se non possibile, un’altra banca italiana oppure, comunque, una
banca primaria di un paese occidentale che si assume l’impegno ad eseguire la prestazione
indipendentemente ed autonomamente rispetto all’impegno assunto dalla banca emittente, sempre che,
ovviamente, i documenti presentati entro i termini di validità del credito risultino perfettamente conformi ai
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Punti di Criticità del Management Internazionale
termini e condizioni del credito stesso secondo quanto sancito dalle Norme ed usi uniformi relative ai credito
documentari.
FORMA DEL CREDITO
DOCUMENTARIO
Senza
designazione
Con
designazione
Senza
conferma
Senza
conferma
Con
conferma
PROTAGONISTI DEL CREDITO DOCUMENTARIO
Le parti che intervengono in una operazione di credito documentario sono:








l’ordinante (applicant) è l’acquirente che, concluso il contratto con il venditore, darà istruzioni alla
propria banca circa l’emissione del credito documentario;
la banca emittente (issuing bank) è la banca che, su incarico dell’ordinante, emette il credito
documentario a favore del venditore/beneficiario impegnandosi ad eseguire una prestazione che
riguarderà il pagamento, l’accettazione o la negoziazione;
la banca avvisante (advising bank) è la banca su cui viene appoggiata l’apertura del credito
documentario e che, a sua volta, avvisa il beneficiario dell’emissione del credito, allegando copia
dello stesso;
la banca designata (nominated bank) è la banca autorizzata dal credito ad effettuare la
prestazione secondo le modalità indicate dalla banca emittente. Di solito è la stessa banca
avvisante che, pur non avendo alcun obbligo ad effettuare la prestazione, salvo il caso in cui se
richiesto, confermi il credito, può, al momento dell’utilizzo, o in un momento successivo eseguire
la prestazione prevista dal credito stesso a favore del beneficiario;
la banca confermante (confirming bank) è la banca che, su richiesta o autorizzazione della banca
emittente, aggiunge il proprio impegno ad effettuare la prestazione;
il beneficiario (beneficiary) è il venditore a favore del quale viene emesso il credito e che riceverà
la prestazione solo quando consegnerà alla banca, nel luogo prescritto e conformemente a quanto
indicato, i documenti richiesti dal credito;
la banca rimborsante (reimbursement bank) è la banca che provvederà, su istruzioni della banca
emittente, a rimborsare la banca che ha effettuato la prestazione;
la banca trasferente (transferring bank), è la banca designata, la stessa banca emittente o una
banca espressamente autorizzata dalla banca emittente che, su richiesta del primo beneficiario del
credito documentario, emesso in forma trasferibile, trasferisce il credito originariamente emesso a
favore di uno o più secondi beneficiari.
ARTICOLAZIONE DEL CREDITO DOCUMENTARIO
L’operazione del credito documentario presenta un’articolazione piuttosto complessa e si caratterizza per una
forte interattività tra le parti interessate che sono chiamate ad operare sinergicamente, affinché l’intero
189
Punti di Criticità del Management Internazionale
processo giunga correttamente a conclusione.
In dettaglio, l’operazione si sviluppa come segue:
















il compratore e il venditore, concluso il contratto di vendita, dovranno concordare tutti gli elementi
che saranno oggetto dell’emissione del credito documentario ed entro quando lo stesso dovrà
essere notificato al venditore;
il compratore (ordinante), in conformità agli accordi stipulati nel contratto di vendita, darà
istruzioni alla propria banca di emettere il relativo credito documentario a favore del venditore
(beneficiario);
la banca che riceve la richiesta, prima di dar seguito al mandato ricevuto, esaminerà l’operazione
sotto l’aspetto fiduciario. Soltanto in presenza di apposite garanzie (precostituzione dei fondi) sarà
disposta ad aprire il credito. L’accettazione di questo impegno da parte della banca è l’assunzione
di una obbligazione autonoma rispetto a quella del compratore nei confronti del venditore;
la banca dell’ordinante/compratore (banca emittente) apre il credito documentario a favore del
venditore/beneficiario inviandolo via swift alla banca indicatagli dall’ordinante e che, normalmente,
si trova nella località in cui risiede il venditore;
tale banca corrispondente (banca avvisante), ricevuto il testo dell’apertura di credito
documentario, provvede a trasmetterlo al venditore dopo averne, comunque, esaminata
l’autenticità (controllo firme e/o chiavi);
nel caso il credito lo richieda e sempre che sia disposta a farlo, la banca avvisante potrà
confermare il credito documentario assumendosi anch’essa l’impegno irrevocabile ad eseguire la
prestazione a favore del beneficiario;
al ricevimento del testo del credito il venditore/beneficiario controllerà che il credito sia stato
emesso secondo gli accordi presi con il compratore e se è in grado di rispettare tutti i termini e le
condizioni fissate nel credito;
se da tale controllo risulta che non è in grado di rispettare anche una sola condizione o che la
stessa non corrisponde a quanto pattuito, dovrà contattare immediatamente il compratore e
chiedere di apportare una modifica al credito documentario;
se, invece, il credito documentario è stato emesso conforme al contratto di compravendita e se le
condizioni in esso contenute possono essere rispettate, il venditore preparerà la merce e la spedirà
al compratore;
a spedizione avvenuta, il venditore provvederà a riunire i documenti richiesti e a consegnarli alla
banca indicata nel credito entro la data di validità del credito per il relativo utilizzo;
la banca che riceve i documenti, se ha aggiunto la “conferma” al credito, avrà tempo CINQUE
giorni lavorativi, successivi al giorno di ricevimento, per esaminarli ed accertare la loro conformità;
nel caso accetti i documenti, in quanto conformi ai termini e alle condizioni previste nel credito,
potrà eseguire e/o impegnarsi ad eseguire (a seconda dei casi) la prestazione a favore del
venditore/beneficiario;
la banca, dopo aver eseguito – se del caso – la prestazione a favore del beneficiario, a seconda
dei casi, invierà i documenti alla banca emittente;
la banca emittente avrà tempo anch’essa CINQUE giorni lavorativi successivi alla data di ricezione
dei documenti per esaminarli e controllarne la conformità. Li consegnerà, quindi, all’ordinante
addebitandogli l’importo a vista o a scadenza (a seconda dei casi);
il compratore con i documenti si recherà in dogana e potrà, così, sdoganare e ritirare la merce;
nel caso in cui i documenti esibiti dal beneficiario presentino delle irregolarità significative rispetto
a quanto prescritto dal credito, la banca è tenuta a comunicare al beneficiario le irregolarità
riscontrate e a chiedere autorizzazione all’invio dei documenti sotto riserva, venendo così meno
all’impegno assunto, causa la non conformità dei documenti.
FASI DEL CREDITO DOCUMENTARIO
L’operazione di credito documentario si sviluppa attraverso fasi successive conseguenti alla transazione
commerciale instaurata tra venditore e compratore e che esaminiamo una ad una al fine di comprendere
meglio il loro significato ed il linguaggio delle banche.
190
Punti di Criticità del Management Internazionale
L’accordo fra le parti
Quando il pagamento è un credito documentario, risulta essenziale concordare con la controparte ogni
aspetto dell’accordo commerciale ed in particolare occorre definire tutti i punti in cui si articolerà il credito
stesso. Non è consigliabile, infatti, lasciare alla controparte piena libertà circa le istruzioni che dovrà fornire
alla propria banca per l’emissione del credito stesso.
È importante, quindi, magari con l’aiuto di formulari appositamente predisposti, indicare:
a) gli elementi essenziali oggetto dell’apertura del credito documentario;
b) entro quando il credito documentario dovrà essere notificato al beneficiario affinché lo stesso
possa dare esecuzione all’ordine ricevuto (ad esempio, produrre e spedire la merce) entro i
tempi accordati oppure vincolare la consegna della merce a decorrere dalla data di
ricevimento della notifica del credito documentario.
Fasi del credito documentario









L’accordo fra le parti
L’incarico del compratore alla propria banca per l’emissione
L’emissione del credito documentario
La notifica del credito documentario
L’eventuale conferma del credito documentario
Le eventuali modifiche
L’utilizzo del credito documentario
L’esame dei documenti
Il regolamento del credito documentario
L’incarico del compratore alla propria banca per l’emissione
Il compratore, in conformità agli accordi presi con il venditore, darà istruzioni alla propria banca per
l’emissione del credito documentario a favore del beneficiario.
Soltanto se il compratore/ordinante sarà in grado di offrire adeguate garanzie per la costituzione dei “fondi”,
la banca sarà disposta ad emettere il credito documentario.
L’emissione del credito documentario
L’emissione del credito documentario corrisponde al momento in cui una banca, su istruzione del compratore
(ordinante), emette il credito a favore del venditore (beneficiario), dandone avviso ad una banca nella piazza
del venditore.
Anche se il credito documentario viene a volte ancora emesso per posta, ormai le banche di tutto il mondo
utilizzano il sistema swift ed, in particolare, il formato Swift MT 700 che riguarda la fase di emissione.
Ricordiamo che, con l’emissione del credito documentario, la banca emittente si assume un impegno
inderogabile ad onorare il credito a condizione, però, che i documenti presentati ad utilizzo dello stesso siano
conformi ai termini e alle condizioni del credito, secondo quanto stabilito dalle NUU.
La notifica (avviso) di un credito documentario
La notifica di un credito documentario corrisponde al momento in cui la banca, che riceve il messaggio di
apertura del credito, informa il beneficiario dell’avvenuta emissione del credito documentario a suo favore,
inviandogli una copia. La notifica del credito può avvenire:
 senza alcun impegno e responsabilità da parte della banca; in tal caso la banca notificante ha il
solo obbligo di dare avviso, senza ritardo, al beneficiario dell’avvenuta emissione, dopo aver
accertato l’autenticità del messaggio ricevuto; se, però, la banca emittente designa detta banca ad
operare per conto suo e quest’ultima accetta la designazione, potrà, su autorizzazione ricevuta,
verificare la conformità dei documenti e, se del caso, eseguire la prestazione per conto della banca
emittente;
 con impegno irrevocabile ed autonomo a pagare, ad accettare o a negoziare nel caso in cui, su
richiesta della banca emittente, aggiunga la conferma del credito.
191
Punti di Criticità del Management Internazionale
Emissione del credito documentario
VENDITORE
ESPORTATORE
(Beneficiary)
1
conclusione di contratto
di fornitura
avviso dell’avvenuta
emissione del credito con
eventuale conferma
(Advising/nominated
and/or confirming
bank)
2
incarico di
aprire il credito
documentario
4
BANCA
AVVISANTE
ACQUIRENTE
IMPORTATORE
(Applicant)
3
emissione del credito
BANCA
EMITTENTE
(Issuing bank)
La conferma di un credito documentario
Come già visto, la conferma di un credito corrisponde al momento in cui una banca, diversa dalla banca
emittente, su richiesta ed autorizzazione della stessa, si impegna direttamente nei confronti del beneficiario
ed autonomamente rispetto all’impegno assunto dalla banca emittente, ad eseguire la prestazione (il
pagamento, l’accettazione o la negoziazione), sempre che i documenti presentati siano conformi ai termini e
alle condizioni del credito.
Le condizioni che devono verificarsi per avere la conferma sono quattro:
1. che la stessa sia espressamente richiesta dalla banca emittente, con frasi del tipo «confirm» o
semplicemente «with» oppure con “may add”;
2. che la banca, a cui la conferma è richiesta, sia disposta a farlo; sarà disposta a farlo se il Paese
della banca emittente risulta “assicurabile”, se cioè SACE, altre compagnie di assicurazione o
gruppi bancari internazionali hanno concesso linee di credito aperte su quel Paese e, quindi, sono
disposte a fornire la copertura assicurativa, oppure se la stessa banca a cui è richiesta la conferma
abbia concesso linee di credito alla banca emittente;
3. che la banca emittente, che richiede la conferma, risulti essere “gradita”, cioè affidabile e solvibile;
4. che il credito risulti essere “utilizzabile” sulle casse della banca cui è richiesta la conferma.
Un credito documentario confermato è consigliabile nel caso di Paesi a “rischio”, che non offrono
adeguate garanzie circa il mantenimento della promessa alla prestazione contenuta nel testo del credito.
Nel caso in cui non sia possibile la conferma del credito perché, ad esempio, il Paese in cui risiede la banca
emittente è un Paese considerato non assicurabile, le soluzioni alternative che si possono adottare
potrebbero consistere:
1. nell’apertura del credito documentario da parte di una banca appartenente ad un paese diverso da
quello in cui risiede il cliente: questa possibilità sussiste nel caso in cui il cliente stesso intrattenga
rapporti di conto con banche di paesi non ritenuti “a rischio” e possa disporre di linee di credito
attive presso le stesse;
2. nella possibilità di canalizzare l’emissione del credito documentario su di una banca in un paese
diverso dall’Italia disposta ad assumersi l’impegno alla prestazione. Ad esempio, per una fornitura
in Sudan, difficilmente un esportatore troverà una banca italiana disposta a confermare il credito
emesso da una banca sudanese mentre, al contrario, potrà trovare, ad esempio, una banca
tedesca o svizzera disposta a farlo che provvederà, poi, a comunicare l’emissione e la conferma
attraverso una banca italiana;
192
Punti di Criticità del Management Internazionale
3. nell’esistenza di “linee di credito”, chiamate open concesse dallo Stato italiano a favore dello Stato
in cui risiede il compratore e nella possibilità che le stesse possano essere utilizzate. Il credito
documentario potrà, in tal caso, essere emesso a valere su tale linea di credito, offrendo al
venditore la sicurezza circa l’incasso;
4. nella possibilità di scontare “pro soluto”, con la tecnica del forfaiting, la lettera di credito che
dovrà, comunque, prevedere un utilizzo per accettazione di tratta a scadenza;
5. nell’opportunità da parte della propria banca, di rilasciare a favore del beneficiario una Silent
Confirmation un impegno, cioè, al di fuori della Lettera di credito, a pagare il credito documentario
in caso di insolvenza della banca emittente o del paese in cui risiede la banca emittente oltre il
rischio tecnico dei documenti.
La modifica di un credito documentario
Modificare un credito documentario vuol dire cambiare uno o più termini del credito stesso a causa, ad
esempio, dell’impossibilità del compratore e/o del venditore di rispettare una o più condizioni fissate nel
credito originario.
Perché la modifica produca gli effetti voluti, occorre che ci sia l’accordo di tutte le parti che intervengono
nell’operazione (beneficiario - ordinante - banca emittente - banca designata e/o confermante - banca
avvisante - eventuali altre parti che dovessero intervenire nell’operazione) e che venga notificata per iscritto
dalla banca avvisante, direttamente al beneficiario.
L’utilizzo di un credito documentario
Utilizzare un credito vuol dire presentare i documenti richiesti al fine di ottenere la prestazione prevista dal
credito e, cioè, il pagamento o l’accettazione o la negoziazione.
I documenti richiesti devono essere presentati dal venditore/beneficiario entro la “data di scadenza” del
credito nel “luogo” indicato nel testo del credito che può essere:
-
presso la banca avvisante, designata o confermante, oppure;
presso qualsiasi banca nella piazza del venditore, oppure;
presso la banca emittente.
Qualora il luogo di consegna corrisponda ai primi due casi, il venditore si troverà in una situazione
preferenziale, perché potrà adempiere alla prestazione presentando i documenti entro i termini prescritti dal
credito alla propria banca o ad una banca qualsiasi sulla piazza del venditore (solo per i crediti di
negoziazione) che potrà eseguire, se così previsto e se riterrà di poterlo fare, la prestazione prescritta. In
questo caso è la banca designata e/o confermante che è chiamata a pagare (a vista o a scadenza), ad
accettare tratte (a vista o a scadenza), emesse su sé stessa o a negoziare i documenti presentati ad utilizzo
del credito. Il rischio “viaggio” (smarrimento) dei documenti è a carico dell’ordinante.
Se, invece, è la banca emittente che deve ricevere i documenti entro la data di scadenza del credito (utilizzo
presso le casse della banca emittente), questi dovranno essere consegnati alla banca avvisante con notevole
anticipo, per poter dar modo a quest’ultima di farli pervenire alla banca emittente entro la scadenza del
credito. I documenti, in quest’ultima ipotesi, viaggiano a rischio del beneficiario. È assolutamente da evitare
un accordo che preveda questa modalità di utilizzo, in quanto ciò comporta che i documenti debbano
arrivare, entro la data di scadenza, presso le casse della banca del compratore, con rischio di ritardi e di
smarrimenti.
Se un credito documentario deve sempre indicare una “data” ed un “luogo” di scadenza, esso deve anche
precisare la “modalità” di utilizzo che può essere, a seconda dei casi:
a) per pagamento (by payment): quando impegna la banca emittente, la banca confermante o la
banca incaricata ad effettuare un pagamento (designata) che può essere: a vista (at sight), se da
effettuarsi all’atto stesso del ritiro dei documenti in regola, o differito (by deferred), se da
effettuarsi posteriormente al ritiro dei documenti in regola ad una certa data prefissata;
b) per accettazione (by acceptance): quando la banca emittente o confermante e/o designata
appone la sua firma d’accettazione sulla tratta (scadente a vista o ad una certa data) che il
beneficiario presenta unitariamente ai documenti prescritti dal credito. Le banche italiane, tuttavia,
sono solite rilasciare una lettera con la quale si impegnano ad effettuare la prestazione alla
scadenza prevista senza che sia necessario presentare la tratta
c) per negoziazione (by negotiation): quando prescrive, per l’utilizzo, la presentazione di
documenti accompagnati o meno da tratte scadenti a vista emesse dal beneficiario sulla banca
emittente o su una terza banca, con possibilità, per il beneficiario, di negoziarle presso qualsiasi
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Punti di Criticità del Management Internazionale
banca di suo gradimento disponibile a negoziare (credito di libera negoziazione) oppure presso
una banca espressamente determinata (credito a negoziazione ristretta).
L’esame dei documenti nel credito documentario
La fase relativa alla presentazione dei documenti è molto importante perché dal controllo che le banche
effettueranno, per accertarne la conformità formale alle prescrizioni del credito, dipende l’accettazione o il
rifiuto degli stessi e, quindi, di conseguenza, l’effettuazione della prestazione promessa. Pertanto, per evitare
di perdere gli effetti che derivano da questo mezzo di pagamento, occorrerà prestare particolare attenzione
alla redazione dei documenti stessi.
È importante, inoltre, ricordare che tale operazione è soggetta alle NUU che sanciscono, tra le altre cose, il
principio che la conformità formale dei documenti sarà accertata secondo quella che viene denominata «la
prassi bancaria internazionale», in sigla PBIU. A tal riguardo è opportuno ricordare che:
gli adempimenti richiesti dal credito sono sempre prioritari rispetto a quanto sancito dalle NUU e
dalle Regole di cui sopra;
 non è possibile prevedere le situazioni che si possono incontrare ma, seguendo i principi fissati
nelle NUU, rifacendosi alla prassi bancaria, “International Standard Banking Practice” (ISBP),
contenente i criteri uniformi per il controllo dei documenti, tenendo conto delle procedure interne
di ogni banca e delle eventuali norme statali, è possibile per l’impresa presentare i documenti in
forma corretta e per l’esaminatore trattare gli stessi con successo.

Le eccezioni che le banche sollevano circa la non conformità dei documenti alle condizioni e ai termini del
credito sono frequenti e rappresentano, in molti casi, la regola. Questo dà origine alle:
riserve interne, se trattasi di irregolarità di lieve entità che non andranno segnalate alla banca
emittente ma soltanto al beneficiario;
 riserve esterne, se trattasi di irregolarità gravi che andranno, invece, segnalate alla banca
emittente e che impediscono la prestazione alla banca di adempiere all’impegno di onorare il
credito.

Il beneficiario di un credito, per evitare che questo accada, deve, come già sottolineato:
esaminare con molta cura ogni singolo documento nel contesto delle altre attestazioni documentali
al fine di non pregiudicare l’esito di tutta l’operazione mercantile;
 presentare tutti i documenti privi di possibili irregolarità e/o contraddizioni tra di loro riguardo al
contenuto.

Il rimborso del credito documentario
Tutti i crediti documentari contengono le istruzioni impartite dalla banca emittente alla banca confermante
e/o alla banca designata circa le modalità in cui avverrà il rimborso dell’importo da riconoscere al
beneficiario.
Al fine di porre delle regole uniformi circa i rimborsi che avvengono tra banche a valere sulle Lettere di
credito, la CCI ha elaborato delle norme applicabili a tutti i Paesi: la pubblicazione n. 525 relativa alle
«Uniform rules for bank-to-bank reimbursement under documentary credits», in sigla URR in
vigore dal 1º luglio 1996.
Gli aspetti innovativi ed importanti per gli operatori riguardano quanto segue:
1. il fatto che la banca rimborsante che, su richiesta della banca emittente, accetta l’incarico di
rimborso, si assume un impegno irrevocabile ad onorare la richiesta di rimborso nei confronti della
banca indicata nell’autorizzazione al rimborso, cioè la banca del beneficiario;
2. la banca rimborsante avrà un ragionevole periodo di tempo che non dovrà eccedere i tre giorni
lavorativi successivi al giorno di ricezione del reclamo per effettuare il rimborso
CONCLUSIONI E SUGGERIMENTI
Da quanto esaminato, il credito documentario se da una parte risulta essere senza dubbio la forma di
pagamento più articolata fra quelle esistenti, nel contempo però, è quella che offre al venditore le maggiori
garanzie circa la sicurezza dell’incasso e al compratore la certezza di pagare solo a presentazione dei
documenti conformi a quanto ordinato.
Per sintetizzare i vantaggi che derivano da questa operazione, possiamo dire che le parti godranno di:
194
Punti di Criticità del Management Internazionale
certezza di pagamento nei termini: il venditore ha la certezza di essere pagato nei termini
convenuti, qualora presenti tutti i documenti richiesti secondo le modalità stabilite; il debitore non
potrà ostacolare o bloccare il pagamento, poiché è la banca il soggetto deputato al pagamento;
 programmazione della produzione: il venditore ha il vantaggio di poter predisporre la merce
solo dopo che gli sia stata notificata l’apertura del credito; ciò gli consente di programmare la
produzione in anticipo e di non stravolgere i piani aziendali;
 sicurezza per il compratore: il compratore ha la certezza che la banca pagherà solo dopo la
spedizione della merce e solo se i documenti sono conformi a quanto pattuito.

Affinché l’esportatore/beneficiario di un credito documentario goda dei benefici sopra elencati è di
fondamentale importanza che non trascuri alcuni aspetti dell’operazione che elenchiamo nella Tabella “Check
list per una gestione pratico operativa” e di cui elenchiamo alcuni suggerimenti da seguire:
1. Definizione degli accordi in fase contrattuale: tutte le condizioni devono essere formulate in
modo chiaro. L’origine dei problemi relativi ad un credito documentario è normalmente legata ad
accordi poco chiari o difficili da rispettare. È il venditore che deve dare istruzioni precise - prima
che il credito sia aperto - circa l’articolazione del credito, circa le condizioni ed i tempi che
dovranno essere rispettati e circa i documenti da presentare in fase di utilizzo.
Dovrà, inoltre, indicare al proprio cliente/compratore entro quale data il credito dovrà essergli
notificato al fine di poter eseguire l’ordine ricevuto nei tempi e nelle modalità concordate.
2. Gestione del trasporto offrendo al compratore una quotazione CFR/CIF oppure CPT/CIP, a
seconda dei casi, come da Incoterms 2000, in modo da poter incaricare uno spedizioniere di
fiducia che si occuperà di tutte le fasi del trasporto e ottenere più facilmente la documentazione
relativa al trasporto da consegnare in banca ad utilizzo del credito.
3. Conferma: se il venditore vuole che la sua banca confermi il credito, prima di accordarsi con il
compratore, deve verificare la disponibilità della propria banca a confermare crediti emessi da
banche del Paese del compratore. In particolare, dovrà farsi dire quali sono le banche di cui la
propria banca è disposta a confermare un credito e a quali condizioni economiche. Nel caso non
fosse disposta, è opportuno valutare soluzioni alternative.
4. Spedizione e scadenza del credito: la data di scadenza del credito indica il momento entro cui
devono essere presentati i documenti. Il venditore deve tener conto, nell’indicare la data di
scadenza, del tempo che occorrerà per preparare la merce, per spedirla, per entrare in possesso di
tutti i documenti e per presentarli alla banca incaricata. È importante, perciò, che tale data decorra
dal momento della notifica dell’emissione del credito e non dall’ordine o dalla firma del contratto.
In questo modo si evita il rischio di ricevere la notifica dell’apertura di credito e di non poter
rispettare i tempi pattuiti per la spedizione e per la presentazione dei documenti.
5. Luogo di utilizzo del credito: deve essere specificato quale è il luogo (quale, cioè, la banca)
presso il quale il beneficiario, presentando i documenti, ha diritto ad ottenere la prestazione
prevista dal credito (pagamento, accettazione o negoziazione). Nel caso di credito “confermato” il
luogo di utilizzo sarà, sempre e comunque, la banca confermante, ma, indipendentemente dal
fatto che il credito sia emesso “con conferma” o “senza conferma”, è sempre opportuno che il
luogo di utilizzo sia, possibilmente, presso le casse della banca avvisante al fine di evitare il
“rischio viaggio” dei documenti che, in caso contrario, sarebbe a carico del beneficiario.
6. Documenti: il venditore deve avere l’assoluta certezza di poter entrare in possesso di tutti i
documenti richiesti nella forma prescritta e di poterli presentare in tempo utile. Ciò assume un
significato particolarmente importante soprattutto con riferimento al documento di trasporto. Il
venditore, inoltre, per essere sicuro di poter entrare in possesso dei documenti, dovrà far sì che
l’ottenimento degli stessi dipenda esclusivamente da se stesso, evitando che siano necessarie
azioni o comportamenti del compratore (per esempio, il rilascio di un Final Acceptance Test - FAT
o di certificato di collaudo, ecc.) o di altri soggetti nominati dallo stesso (agenti, rappresentanti,
ecc.).
La fase relativa alla presentazione dei documenti è molto importante, perché dal controllo che le
banche effettueranno per accertarne la regolarità formale alle prescrizioni del credito, dipende
l’accettazione o il rifiuto degli stessi e, quindi, l’effettuazione della prestazione, che consiste nel
pagamento a vista, nell’assunzione di un impegno al pagamento differito, nell’accettazione e
successivo pagamento (a vista e/o a scadenza) o nella negoziazione.
7. Verifica delle condizioni richieste: al ricevimento del credito documentario, il venditore deve
controllare accuratamente che siano state rispettate tutte le istruzioni che aveva dato al
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Punti di Criticità del Management Internazionale
compratore per l’emissione del credito: importo, scadenza, luogo di utilizzo, modalità di utilizzo,
termini di resa, natura del credito, eventuale richiesta della conferma, esattezza dei dati aziendali,
possibilità di rispettare le condizioni richieste dal credito riguardo alla merce e ai documenti,
assoggettamento dell’operazione alle “Norme ed Usi Uniformi sui Crediti Documentari”. Nel caso in
cui si verificassero delle difformità rispetto a quanto pattuito per l’emissione, ciò va subito
notificato al compratore, con richiesta di modifica del credito.
8. Correttezza dei documenti e concordanza: al momento della presentazione dei documenti
deve essere controllata la completezza e l’esattezza degli stessi, la conformità con quanto richiesto
dal credito e la concordanza dei documenti tra loro (la ragione sociale, l’indirizzo, e tutti gli altri
dati devono essere gli stessi su tutti i documenti).
9. Gestione del credito documentario: per gestire efficacemente l’operazione di credito
documentario, l’operatore dovrà quindi seguire alcune regole ben definite che riportiamo nella
tabella che segue.
Check list per una gestione pratico-operativa
del credito documentario
 Contattare la propria banca per conoscere in via preventiva se è possibile ottenere la conferma del
credito e a quali condizioni
 Verificare con l’operatore di trasporto la modalità di trasporto per conoscere, sempre in via












preventiva, come verrà spedita la merce (mezzo, luogo, tragitto, eventuali trasbordi, documento relativo,
ecc.)
Fornire al compratore/ordinante tutte le istruzioni che lo stesso dovrà dare alla banca emittente
su come deve essere emesso il credito ed entro quando dovrà essere notificato
Farsi inviare dal compratore, in alternativa a quanto sopra, la domanda di richiesta d’apertura del
credito documentario per verificare la possibilità di rispettare le condizioni richieste
Esaminare il testo del credito non appena si riceve la notifica da parte della banca, utilizzando magari
una lista di controllo
Evitare di accettare richieste di documenti la cui esibizione dipenda dall’ordinante e accertarsi che i
documenti richiesti possano essere prodotti nella forma e secondo i contenuti prescritti
Richiedere le eventuali modifiche nel caso in cui non si sia in grado di ottemperare anche ad una
sola condizione prescritta dal credito
Predisporre la merce per tempo con contemporaneo avviso allo spedizioniere per il ritiro della stessa,
entro i termini previsti per la spedizione
Preparare i documenti previsti dal credito secondo quanto indicato nel credito stesso nel rispetto delle
norme internazionali in materia di crediti (le NUU 600)
Controllare che tutti i documenti – quelli predisposti dal venditore e quelli predisposti da altri
(documenti di trasporto, di assicurazione e altri certificati) – siano conformi a quanto indicato nel credito
e che i dati contenuti in essi non contrastino tra di loro
Presentare i documenti alla banca (emittente o confermante o designata) entro i termini di validità
del credito stesso
Non dimenticare che l’impegno alla prestazione assunto dalla banca emittente e/o dall’eventuale banca
confermante decade quando il beneficiario non adempia anche ad una sola delle condizioni prescritte dal
credito
Considerare che la banca emittente, designata e/o confermante controllerà i documenti a loro
presentati secondo i termini e le condizioni stabilite nel credito, basandosi esclusivamente sull’apparente
conformità formale degli stessi e sulla “prassi bancaria internazionale” richiamata dalle NUU pubbl. n.
600, codificata nella pubbl. n. 681 (PBIU) della CCI
Non sottovalutare mai i rischi che comporta un accredito “salvo buon fine” (SBF) e “sotto riserva”
196
Punti di Criticità del Management Internazionale
39. La Stand by Letter of Credit
CARATTERISTICHE DELLA STAND-BY
La lettera di credito “Stand by” è una forma particolare di credito documentario che non costituisce,
diversamente dal credito documentario stesso, un impegno diretto della banca (emittente e/o confermante)
a pagare, accettare o negoziare ma una garanzia di pagamento che la banca rilascia al beneficiario,
impegnandosi irrevocabilmente ad eseguire la prestazione promessa nel caso di inadempimento
dell’ordinante.
La banca, pertanto, con la Stand by assume un impegno di tipo passivo, in quanto si attiva solo qualora il
compratore/ordinante la Stand by, non paghi regolarmente secondo gli accordi contrattuali.
Rispetto al credito documentario classico, la Stand by semplifica di gran lunga la gestione dell’operazione
poiché, nel caso di regolare adempimento da parte del debitore, la sua funzione non viene attivata e non
devono essere presentati tutti quei documenti che sono, invece, indispensabili per ottenere il pagamento
nelle normali operazioni di credito documentario (e che, spesso, sono fonte di contestazioni).
In altre parole, una volta che la lettera di credito Stand by è aperta, i rapporti continuano ad essere
intrattenuti direttamente tra compratore e venditore, con il ricorso, per il pagamento, ad un normale bonifico
bancario. Se l’accordo sul pagamento prevede, per esempio, una dilazione di 30 giorni dalla data della
fattura (o dalla bill of lading), la merce può essere spedita ed il compratore la può ritirare senza attendere la
consegna, da parte della sua banca, dei documenti rappresentativi che, diversamente dal credito
documentario, gli vengono spediti direttamente dallo stesso venditore o dallo spedizioniere (evitando, così, il
rischio che la merce arrivi prima dei documenti e debbano essere pagate le spese di sosta o di
immagazzinamento).
Alla data di scadenza del pagamento, se il debitore è inadempiente, il venditore presenta alla banca copie
dei documenti previsti dalla Stand by, fra i quali una dichiarazione di mancato pagamento, e gli viene
riconosciuto l’importo della fornitura. Ma se il debitore paga regolarmente (come si spera succeda nella
maggior parte dei casi), la Stand by non viene attivata e l’operazione si chiude perciò senza ulteriori
adempimenti (non va presentato alcun documento) e con un sensibile contenimento in termini di costi e di
commissioni bancarie.
L’esportatore che voglia essere garantito circa il pagamento dei crediti derivanti da qualsiasi tipo di
obbligazione potrà considerare la Stand by come un utile strumento per tutelarsi in caso di inadempienza
della controparte.
Nel caso di forniture singole o distanti nel tempo, è preferibile l’emissione di un credito documentario.
Qualora il rapporto con la controparte estera è consolidato e continuativo, o meglio, vi siano forniture
ripetitive (un ordine aperto), può essere conveniente utilizzare la Stand by, il cui importo sarà pari alla
massima esposizione dell’esportatore (vedi caso di Stand by).
ESEMPIO DI UN CASO DI STAND-BY
Nel caso di un ordine di USD 1.000.000 che preveda 10 forniture da eseguire mensilmente, per un valore di
USD 100.000 cadauna, pagabili con bonifico bancario a 60 giorni dalla data di spedizione della merce, il
compratore che richiede alla propria banca l’emissione di una Stand by impegnerà il proprio fido, presso la
banca emittente, per un importo prudenzialmente di circa 300.000 dollari, che rappresenta il massimo della
sua esposizione nei confronti del venditore. Se avesse disposto l’apertura di una lettera di credito avrebbe
impegnato il fido per il totale della fornitura, pari, cioè, a USD 1.000.000.
Inoltre, avrebbe sostenuto dei costi riguardanti le commissioni fideiussorie per l’utilizzo del fido e le
commissioni per l’apertura del credito documentario calcolate sempre sull’importo totale dell’utilizzo (vale a
dire USD 1.000.000), anziché sui 300.000 USD della Stand by.
ORIGINE E NORME DI RIFERIMENTO
L’origine della lettera di credito Stand by è stata giustificata dalla necessità di compensare una carenza
giuridica negli USA, che non permette agli Istituti di credito di rilasciare garanzie bancarie come negozi
giuridici accessori ad altri rapporti. L’evoluzione del commercio internazionale ha imposto, quindi, la
necessità di trovare uno strumento tecnico sostitutivo della fideiussione, che ne mantenesse le stesse
caratteristiche, ma di totale autonomia rispetto al rapporto sottostante. Si diffuse, così, lo strumento della
197
Punti di Criticità del Management Internazionale
Stand by Letter of Credit, che venne poi riconosciuta a livello internazionale e fatta rientrare nella normativa
uniforme sui crediti documentari, fin dal 1984, con la pubblicazione 400, affinché fosse chiaro che lo
strumento adottato negli USA presentasse le caratteristiche dell’autonomia e dell’astrattezza proprie del
credito documentario e che la valutazione dei documenti si basasse su una normativa comune conosciuta a
livello internazionale.
La diffusione di questo strumento negli USA, di carattere soprattutto finanziario, e lo sviluppo di norme
nazionali, che si sono aggiunte a quanto codificato con le NUU, ha portato alla elaborazione di norme
internazionali per le lettere di credito stand by, che sono sfociate nella pubblicazione n. 590 della CCI
chiamata “International Stand by Practice” (ISP 98), approvata il 6 aprile 1998 ed in vigore dal 1º
gennaio 1999.
L’approvazione di queste nuove norme, che regolano la materia della Stand by, ha sviluppato un acceso
dibattito nel settore bancario in considerazione del fatto che il contenuto delle stesse va molto nei dettagli,
trattando situazioni normative in modo molto analitico e specifico e non fissando principi di carattere
generale e regole di condotta secondo quanto avviene nel sistema giuridico italiano e di altri Paesi
occidentali.
L’impressione degli addetti ai lavori è che tutto ciò potrebbe provocare inevitabilmente una serie di problemi
a cui occorre fare attenzione:
il primo è che siamo di fronte a due fonti normative per lo stesso strumento, il che pone il
problema di quale sistema normativo adottare in caso di emissione della Stand by, cioè
assoggettarla alle Nuu pubblicazione 600 o alle ISP 98 pubblicazione 590. Nel caso, invece, la
Stand by viene ricevuta, probabilmente la si dovrà solo accettare;
 il secondo problema è relativo alla conoscenza di queste nuove norme che, nascendo in ambiente
di Common Law, presentano dei contenuti tecnici estremamente precisi e dettagliati non esistendo
in USA un testo normativo generale di riferimento, come invece accade nel nostro Paese o in altri
Paesi occidentali (Germania, Francia, ecc.).

CONCLUSIONI E SUGGERIMENTI
Gli esportatori dovranno fornire precise istruzioni al compratore circa l’emissione della Lettera di credito
Stand by, magari con l’aiuto di formulari standard.
È importante che gli operatori economici contattino in via preventiva la propria banca per conoscere se è
possibile ottenere la conferma della Stand by e a quali condizioni nel caso questo si rendesse necessario.
È opportuno concordare con la controparte contrattuale come si desidera che la Stand by sia aperta dalla
banca emittente, precisando tutti gli elementi essenziali che saranno oggetto della richiesta di emissione
dell’apertura della Lettera di Credito Stand by.
Si consiglia, inoltre, di predisporre un formulario standard da considerare parte integrante del contratto
stesso (pro-forma invoice, order confirmation, altro) contenente tutte le istruzioni che l’ordinante dovrà dare
alla propria banca per l’emissione della Lettera di credito Stand by.
198
Punti di Criticità del Management Internazionale
40. Le garanzie bancarie
CARATTERISTICHE DELLE GARANZIE BANCARIE
Le garanzie bancarie o garanzie contrattuali, comunemente chiamate anche con il termine di fideiussione
bancaria, rappresentano un impegno, assunto da una banca, ad eseguire una prestazione a favore di un
beneficiario, qualora l’obbligato principale non adempia ai suoi impegni fissati contrattualmente e richiamati
nella garanzia stessa.
Nelle operazioni internazionali hanno assunto sempre maggiore importanza, in quanto l’acquirente di una
merce, il committente di un servizio ed il fornitore di una merce a seconda dei casi si assicurano
l’adempimento di un obbligo contrattuale assunto dalla controparte. Il nostro Codice Civile all’art. 1936
definisce chi presta una garanzia, cioè, il fideiussore, come “… colui che obbligandosi personalmente verso il
creditore, garantisce l’adempimento di una obbligazione altrui”.
In campo internazionale, però, la garanzia bancaria, così come regolata dal nostro legislatore e da quello di
altri paesi occidentali, si è rilevata uno strumento poco adatto che ha portato allo sviluppo di garanzie
cosiddette “autonome”, cioè svincolate dall’obbligazione principale instaurata tra le parti, cosicché le garanzie
possono assumere due diverse caratteristiche, essere cioè: autonome oppure fideiussorie.
A differenza dell’apertura di credito documentario e della Stand by Letter of credit, le garanzie non sono
regolamentate da una specifica disciplina internazionale o, più precisamente, la pubblicazione elaborata dalla
Camera di Commercio Internazionale, ed in particolare la n. 458 “Le norme uniformi per domande di
garanzia” del 1992, non rappresentano ancora una disciplina uniforme che possa essere accettata a livello
internazionale.
GARANZIE FIDEIUSSORIE
Le garanzie “fideiussorie” sono impegni “accessori” assunti dalle banche che dipendono dal contratto da cui
traggono origine, seguendone le sorti in quanto non hanno vita propria. Sono, pertanto, caratterizzate
dall’accessorietà rispetto all’obbligazione principale, dal legame con i rapporti sottostanti instaurati dalle
parti, cioè tra il beneficiario della garanzia e l’ordinante, hanno tutte una data di validità conseguente alla
scadenza dell’obbligazione principale e rappresentano un impegno monetario del garante (il fideiussore)
esteso anche ad oneri accessori e spese dell’obbligazione principale.
GARANZIE AUTONOME
Le garanzie “autonome” sono impegni indipendenti ed astratti rispetto al contratto sottostante da cui
traggono origine.
La differenza, dunque, tra la garanzia bancaria “autonoma” e quella “fideiussoria” consiste nel fatto che con
la prima è possibile escutere, cioè farsi pagare dalla banca a prima e semplice richiesta scritta, mentre con la
seconda occorre dimostrare di aver adempiuto ai propri obblighi contrattuali, presentando una serie di
documenti che saranno richiesti nella fideiussione bancaria.
TIPOLOGIE DI GARANZIE BANCARIE
Le garanzie si distinguono in base all’obbligo che viene assicurato. Le più usate, oltre alla “Stand by Letter of
credit”, sono:
La garanzia di pagamento (payment guarantee)
Con la garanzia di pagamento la banca dell’acquirente, su sua richiesta, si impegna in prima persona, per un
determinato periodo di tempo, ad eseguire il pagamento al venditore/beneficiario a semplice richiesta dello
stesso e per il tramite della banca presso cui è stata aperta la garanzia, nel caso in cui l’acquirente non
adempia al pagamento della fornitura nei tempi stabiliti.
199
Punti di Criticità del Management Internazionale
La garanzia di restituzione dell’acconto (advance payment bond)
La garanzia di restituzione dell’acconto viene rilasciata dalla banca del venditore, su sua richiesta, a favore di
un committente che paga generalmente, in percentuale sul valore del contratto, assicurandogli, così, la
restituzione dell’importo anticipato se la fornitura non venisse eseguita.
La garanzia dell’offerta (Bid bond)
La garanzia dell’offerta viene richiesta in relazione ad un bando di concorso per l’aggiudicazione di contratti
di fornitura di merci o servizi, di impianti o per l’esecuzione di lavori commissionati per lo più da enti statali.
Rappresenta, di fatto, la garanzia sulla serietà dell’offerta, garantendo il committente sulla buona fede e
sulla solvibilità delle imprese partecipanti alla gara d’appalto.
La garanzia di esecuzione della fornitura (performance bond)
Con il performance bond la banca emittente si impegna, su incarico del fornitore, a pagare al
committente/beneficiario l’importo garantito, qualora il fornitore non dovesse adempiere i propri impegni
contrattuali. In particolare che la fornitura sarà effettuata nei termini previsti dal contratto sottostante e che
gli obblighi contrattuali riguardanti il buon funzionamento e/o la buona esecuzione siano stati eseguiti
correttamente. In caso contrario il committente potrà rivalersi chiedendo la restituzione dell’importo che,
solitamente, rappresenta una percentuale (5/10/15 per cento) del valore della fornitura.
La garanzia sostitutiva di depositi cauzionali (retention money bond)
Con questa garanzia è possibile svincolare subito importi che, generalmente, sono all’ordine del 5/10
percento dell’importo del contratto, il cui pagamento è vincolato al compimento di eventuali collaudi o al
completamento di lavori.
200
Punti di Criticità del Management Internazionale
41. Lo sconto di titoli con il forfaiting
Il più diffuso strumento di finanziamento a medio termine delle esportazioni è rappresentato dal forfaiting
con cui si indica lo smobilizzo pro-soluto di un credito fornitore all’esportazione.
Attraverso il forfaiting un Istituto finanziatore (il forfaiter), una banca italiana o una banca estera, acquista
un credito incorporato in titoli di credito, generalmente di natura cambiaria, corrispondendo all’esportatore
l’importo degli stessi al netto del tasso di sconto. Con questa tecnica l’esportatore può smobilizzare il proprio
credito, derivante dall’esportazione di beni e/o di servizi, vantato nei confronti di un debitore al quale è stata
concessa una dilazione nel pagamento.
Per il legislatore italiano lo sconto è il contratto con il quale la banca, previa deduzione dell’interesse,
riconosce al cliente l’importo di un credito verso terzi non ancora scaduto, mediante la cessione, salvo buon
fine, del credito stesso (Art. 1858 del codice civile).
L’operatore italiano, per poter scontare i titoli con la tecnica del forfaiting, necessita di una linea di credito
(fido) concessagli dalla banca sulla base delle garanzie offerte ed utilizzabili, appunto, per operazioni di
sconto.
CARATTERISTICHE DEL FORFAITING
L’esportatore, nel caso di transazioni commerciali con l’estero espresse in valuta estera e/o in euro, può
smobilizzare il proprio credito scontando gli effetti cambiari o altri titoli rappresentativi del credito stesso, in
via “pro soluto” o senza ricorso (without recourse) nel qual caso lo sconto consiste nell’acquisto, da parte
di banche o finanziarie di titoli di credito di natura sia cambiaria che non, senza alcuna possibilità di rivalsa
nei confronti dell’esportatore che gli ha ceduto i predetti titoli nel caso di mancato pagamento degli stessi.
Questo vuol dire, che il forfaiter che subentra nel credito si assume tutti i rischi senza possibilità, così, di
rivalsa nei confronti dell’esportatore/cedente nel caso di mancato pagamento. Non è possibile, quindi,
richiedere all’esportatore/cedente la restituzione dell’importo accreditatogli.
Il forfait o forfetizzazione consente all’esportatore di ottenere un finanziamento dei crediti
all’esportazione con pagamento dilazionato, attraverso la cessione di titoli cambiari o altri titoli di credito non
ancora scaduti, a favore di un istituto finanziario, detto forfaiter, in cambio dell’accredito dell’importo dei
titoli stessi, previa deduzione di un tasso di sconto fisso.
Con il termine forfaiting, che deriva dall’espressione “à forfait”, si definisce un moderno metodo di
smobilizzo “pro-soluto” dei crediti derivanti da esportazioni aventi regolamento con dilazioni oltre il breve
termine.
Le piazze internazionali dove si è maggiormente diffusa questa tecnica e che si sono specializzate in questo
tipo di operazioni finanziarie sono quelle di Zurigo, di Londra, di Francoforte e di Parigi.
OGGETTO DELLO SCONTO
Lo sconto può avere ad oggetto titoli di credito sotto forma di:
pagherò cambiario (promissory notes) emessi dall’importatore all’ordine dell’esportatore;
cambiali tratte accettate (accepted bill of exchange) emesse dall’esportatore all’ordine proprio
e accettate dall’importatore;
 lettere di credito (Letter of credit) emesse in forma irrevocabile da primaria banca su incarico
dell’importatore e a favore dell’esportatore;
 lettere di credito stand by (stand by letter of credit) emesse in forma irrevocabile da primaria
banca, su incarico dell’importatore e a favore dell’esportatore.


Lo sconto cambiario costituisce la parte preponderante delle operazioni di forfaiting dovuto a una maggiore
semplicità e snellezza operativa oltre che della possibilità di trasferire i titoli cambiari con l’apposizione della
firma di girata.
201
Punti di Criticità del Management Internazionale
PARTI DEL FORFAITING
Le parti che intervengono nell’operazione di forfaiting sono le seguenti:
 il forfaiter che è l’intermediario finanziario, in genere istituti bancari o società finanziarie, che
accetta i titoli allo sconto “pro soluto” riconoscendo all’esportatore/cedente il netto ricavo
dell’importo. Praticamente, l’istituto scontante compera i titoli e li presenta al debitore principale
per il pagamento alla scadenza. L’istituto scontante può a sua volta cedere i predetti titoli ad altro
istituto dando, così, vita ad un mercato secondario dei medesimi;
 il cedente che è l’esportatore che girerà i titoli di credito emessi all’ordine proprio, a favore del
forfaiter ricevendone in cambio il netto ricavo dell’importo;
 il ceduto che è l’importatore/acquirente che, in questo modo, può ottenere una dilazione di
pagamento del proprio debito nei confronti del cedente/esportatore, firmando per traenza le
promissory notes oppure accettando le bills of exchange oppure disponendo l’emissione di una
lettera di credito documentaria o di una Stand by Letter of credit;
 il garante che di solito è la banca estera che interviene a fianco del ceduto/importatore
garantendo l’obbligazione assunta dal proprio cliente con la firma dei titoli cambiari oppure con
l’emissione del credito documentario o della Stand by Letter of credit.
CONDIZIONI DEL FORFAITING
Il forfaiter, per porre in essere un’operazione di forfaiting, chiederà il rispetto di alcune condizioni
essenziali ossia:
1. la natura cartolare dei crediti incorporati in un titolo di credito che dovrà essere rappresentato da
pagherò cambiari (promissory notes) oppure da tratte accettate (accepted bill of exchange)
oppure da crediti documentari irrevocabili con regolamento differito;
2. gli effetti cambiari e/o le lettere di credito presentate allo sconto “pro soluto” devono essere di
importo significativo, altrimenti l’istituto scontante (il forfaiter) difficilmente li accetta. Le
operazioni accettate partono, generalmente, da importi minimi di 200.000 euro, anche se, in taluni
casi, vengono accettate anche per importi inferiori;
3. i titoli di credito devono essere espressi in valute cosiddette forti, come ad esempio il dollaro
statunitense, l’euro, il franco svizzero, la lira sterlina o lo yen giapponese, a causa della maggior
liquidità ed efficienza di queste divise sui mercati internazionali e dei minori costi di provvista
fondi;
4. le garanzie che assistono il credito, a seconda dello strumento usato, possono essere l’avallo o la
lettera di garanzia sugli effetti cambiari rilasciati da parte di primarie banche del paese importatore
o di altro paese. In alternativa all’avallo o alla lettera di garanzia è possibile, per l’esportatore,
valutare il ricorso alla garanzia assicurativa SACE, cedendo i benefici della polizza a favore
dell’Istituto scontante (il forfaiter);
5. i titoli cambiari devono essere redatti sui formulari internazionali;
6. il credito deve essere trasferibile liberamente per dare modo al forfaiter di rivendere, a sua volta, i
titoli.
VANTAGGI E SVANTAGGI DEL FORFAITING
La tecnica del forfaiting consente indubbi vantaggi sia all’esportatore che all’importatore, in quanto è una
forma di finanziamento dei crediti che permette di concedere dilazioni di pagamento nel medio lungo termine
all’importatore, mentre l’esportatore può scontare i propri crediti rappresentati da cambiali pagherò, da
cambiali tratte accettate, da Lettere di Credito o da stand by, presso un forfaiter incassando subito
l’importo.
Il forfaiting è uno strumento che consente alle imprese che esportano macchine, beni strumentali e
impianti o realizzano grandi opere, di procurarsi liquidità a breve termine, attraverso lo smobilizzo pro soluto
di un credito con pagamento differito
L’impresa, inoltre, che ricorre ad un forfaiter per lo sconto di titoli vedrà migliorare la propria solidità
finanziaria, con conseguente alleggerimento della posta di bilancio “crediti verso clienti”.
Ulteriori vantaggi per l’operatore che ricorre al forfaiting sono:
202
Punti di Criticità del Management Internazionale
 trasferimento di tutti i rischi (di credito, di cambio, di interesse, di trasferimento fondi) sul forfaiter
e, perciò, definitività dell’incasso;
 incremento della capacità di indebitamento dell’impresa, in quanto non vengono intaccate le linee
di fido bancario;
 possibilità di accesso all’agevolazione pubblica offerta tramite l’intervento Simest Spa che
permette, a determinate condizioni, una notevole diminuzione del costo dell’operazione;
 semplicità e velocità dell’operazione, in quanto la documentazione contrattuale richiesta si riduce
ad uno scambio di lettere fra forfaiter ed esportatore che contengono le condizioni dello sconto e i
diritti e gli obblighi delle parti.
Lo svantaggio più rilevante legato ad un’operazione di forfaiting è rappresentato dal costo dell’operazione
stessa che, per Paesi considerati “a rischio”, può risultare relativamente elevato.
ARTICOLAZIONE E SUGGERIMENTI PRATICO - OPERATIVI
Con la tecnica del forfaiting l’esportatore ha la possibilità di concedere un finanziamento al compratore
ottenendo, nel contempo, l’incasso immediato del proprio credito. E’ importante, però, che l’esportatore
conosca la complessità di tale mercato che obbedisce a regole precise, dove viene data la massima
attenzione alle garanzie bancarie, alla possibilità che i crediti siano trasferibili, alla moneta che deve essere
“forte”, all’importo, alla durata, al rischio “paese” del debitore.
Il mercato del Forfait, inoltre, consente all’esportatore di equiparare i vari termini ed elementi del contratto
con quelli della concorrenza straniera, con il ricorso agli interventi agevolativi previsti dalla Legge 143/98 (Ex
legge Ossola 227/77) che permette un abbattimento dei costi che scaturiscono dallo sconto.
L’intervento agevolativo prevede, inoltre, un contributo sugli interessi pagati dall’esportatore, che va a
coprire la differenza esistente tra il tasso di sconto ritenuto “congruo” da Simest ed il tasso minimo praticato
dall’esportatore all’importatore secondo quanto stabilito dal “Consensus”, cioè il tasso CIRR reso noto
dall’ExUfficio Italiano dei Cambi. Condizione per il ricorso all’intervento agevolativo è una dilazione di
pagamento non inferiore ai 24 mesi ed un pagamento anticipato per almeno il 15% del valore della
fornitura.
L’esportatore che voglia perfezionare un’operazione di sconto “pro soluto”, prima ancora di stipulare il
contratto con l’importatore, deve sondare la disponibilità del forfaiter ad acquistare dei titoli di credito che
verranno emessi in esecuzione del contratto di compravendita. A tal fine l’esportatore fornirà alla società di
forfaiting tutti i dati riguardanti i soggetti coinvolti nella operazione di fornitura, l’oggetto dell’operazione,
l’importo, le scadenze, le modalità di esecuzione della fornitura e chiederà alla stessa di formulare una
proposta (offerta) che riassuma le condizioni dell’eventuale forfetizzazione ed il termine entro il quale
l’offerta avrà validità (generalmente da uno a sei mesi).
Il forfaiter, prima di inviare la propria offerta all’esportatore con tutte le condizioni per eseguire
l’operazione, esaminerà i dati ricevuti valutando attentamente il contratto sottostante, il valore della
fornitura, la durata della dilazione, la moneta contrattuale, il nome del compratore, il paese in cui esso
risiede, il tipo di garanzia prestata.
Successivamente, viene stipulato il contratto fra il forfaiter e l’esportatore, indicante tutte le condizioni del
contratto, la validità dello stesso, il tasso di sconto, le commissioni, i dettagli del pagamento (parte
anticipata, parti dilazionate, ecc.).
Sulla base del contratto di forfetizzazione, l’esportatore stipulerà il contratto di fornitura con l’importatore
definendo nello stesso la condizione di pagamento.
L’importatore rilascerà presso la banca intermediaria gli effetti cambiari in trust deposit debitamente firmati e
avallati o garantiti da una primaria banca gradita al forfaiter oppure farà emettere una lettera di credito a
favore dell’esportatore per un importo comprensivo di capitale ed interessi.
L’esportatore consegnerà al forfaiter tramite la banca a cui ha affidato l’operazione tutta la documentazione
richiesta che, generalmente, riguarda:
-
gli originali dei titoli cambiari debitamente girati con la clausola “without recourse”, nel caso di
regolamento con titoli di natura cambiaria;
203
Punti di Criticità del Management Internazionale
-
la lettera di cessione del credito emessa dall’esportatore a favore del forfaiter (nel caso di
smobilizzo di crediti documentari);
la lettera di notifica di cessione del credito emessa dall’esportatore alla banca emittente il credito;
la dichiarazione di autenticità delle firme del debitore o garante;
la copia dei documenti rappresentativi della merce;
la copia della fattura commerciale.
Ricevuti i documenti richiesti, verificato che tutto sia conforme al contratto stipulato e alle condizioni
proposte, il forfaiter accrediterà il netto ricavo a favore dell’esportatore presso l’istituto di credito
nazionale
L’importatore pagherà quindi l’importo dei titoli direttamente al forfaiter alle relative scadenze.
204
Punti di Criticità del Management Internazionale
42. Gli aspetti logistici
IL TRASPORTO COME SISTEMA ORGANICO INTEGRATO
L’impresa italiana internazionalizzata ha l’esigenza, in un mercato globale, di cercare sbocchi commerciali in
mercati sempre più lontani, ponendo in primo piano il problema del trasporto che, da funzione aziendale
marginale, quale era a torto considerata fino ad un recente passato, viene ad assumere oggi un ruolo
sempre più determinante nel processo di crescita del nostro sistema economico.
CON UNA GESTIONE RAZIONALE, ECONOMICA E PROFESSIONALE DEL TRASPORTO IN AMBITO INTERNAZIONALE, L’IMPRESA PUÒ
OTTENERE NUMEROSI VANTAGGI IN TERMINI DI COMPETITIVITÀ
Lo scenario in cui si trovano ad operare le nostre imprese è caratterizzato da un mercato fortemente
competitivo dove si commercializzano prodotti di ogni genere a prezzi sempre più allineati e spesso a scarsa
caratterizzazione, che rende necessario, per essere competitivi, un miglioramento del servizio offerto alla
controparte estera, attraverso la rapidità di risposta al mercato, la precisione delle consegne e un efficace
sistema distributivo.
Il trasporto nel commercio internazionale, con le sue regole e i suoi vantaggi, costituisce oggi un elemento
determinante per migliorare la competitività dell’impresa, proprio in considerazione delle scelte della
clientela, legate non solo alla qualità e al prezzo del prodotto, ma anche alla rapidità di consegna.
La funzione del trasporto costituisce un anello della catena industriale che congiunge l’approvvigionamento
alla commercializzazione, con il compito di mantenere efficiente il complesso sistema distributivo e logistico
sottoposto alle vantaggiose regole del just-in-time che privilegia la riduzione delle scorte di magazzino a
favore di spedizioni più esigue e perciò più ravvicinate e veloci.
Una buona politica dei trasporti rende l’impresa più competitiva anche in fase contrattuale quando si devono
stabilire le modalità di perfezionamento della consegna che dovrà essere economica, rapida e soprattutto
sicura, salvaguardando gli interessi delle parti nella fase delicata del trasferimento del possesso, e a volte
della proprietà, delle merci in viaggio.
Creare “valore per il cliente” attraverso l’organizzazione di un efficiente ed efficace sistema logistico,
rappresenta l'arma vincente per essere competitivi sui mercati esteri, non essendo più sufficiente solo una
strategia produttiva o di marketing.
L'organizzazione e gestione dei flussi fisici ed informativi costituenti un sistema logistico va realizzata
"trasversalmente" rispetto alle tradizionali funzioni aziendali, attraverso un approccio logistico sistematico
che abbandoni la tradizionale gestione "per funzioni" (trasporto, magazzinaggio, scorte, ecc.). Non bisogna
dimenticare, infatti, che i costi logistici pesano sui prezzi di vendita del prodotto in media per il 20%, ragion
per cui è necessario valutare le diverse opzioni legate alla gestione delle attività di logistica e di trasporto
concependo l'impresa in un'ottica di sistema all'interno del quale è necessario integrare ed ottimizzare tutti i
flussi dal momento dell'approvvigionamento al momento della distribuzione del prodotto/servizio allo scopo
di aumentare la competitività.
Il sistema logistico e di trasporto, finalizzato all'ottimizzazione dei flussi fisici ed informativi come fattori di
competitività, può riferirsi al sistema delle funzioni aziendali (cioè all'interno dell'azienda) ovvero al sistema
delle relazioni tra le funzioni aziendali e le altre imprese con cui l'azienda sviluppa dei rapporti strategici
(fornitori, clienti, operatori logistici, ecc.), in un'ottica di integrazione esterna.
SUPPLY CHAIN MANAGEMENT
La funzione logistica si sta evolvendo attraverso diversi livelli di “integrazione”, per cui attualmente si parla
non solamente di gestione delle attività logistiche interne all’azienda ma anche di Supply Chain Management.
L’evoluzione manageriale della logistica e del trasporto richiede un’attenta analisi del lato “offerta”, ossia
delle problematiche gestionali di quei soggetti che offrono professionalmente i servizi logistici e di trasporto
necessari all'impresa per la sua competitività. Attualmente infatti, si sta sviluppando sempre più il fenomeno
205
Punti di Criticità del Management Internazionale
del c.d. outsourcing, ossia la terziarizzazione di una serie sempre più completa di funzioni logistiche e di
trasporto ad operatori specializzati.
Si stima che il settore della logistica integrata per conto terzi stia crescendo del 15-20% all’anno nei Paesi
industrializzati. Questo processo è ulteriormente accelerato dallo sviluppo dell’e-commerce. E' evidente che
con la terziarizzazione si accentua l'esigenza da parte delle imprese di conoscere e soprattutto valutare la
performance dei servizi logistici richiesti, per essere in grado di "negoziare" con l'impresa di servizi logistici e
di trasporto, un modello organizzativo che sia strutturato ad hoc. Per una gestione integrata e ottimale delle
funzioni aziendali, è importante che l’impresa conosca le caratteristiche sia tecniche che economiche nonché
di sicurezza e qualità del sistema logistico..
Nell’attuale ottica della Supply Chain Management è necessario che ci sia un buon funzionamento di tutti gli
anelli della catena logistica, in modo che la funzione logistica stessa possa rappresentare la leva strategica
per essere più competitivi sui mercati esteri.
La funzione aziendale del trasporto accompagna il prodotto prima ancora che nasca, mediante la fornitura
delle materie prime necessarie per la lavorazione, mediante l’eventuale trasferimento dei semilavorati da
uno stabilimento all’altro in conseguenza del diffuso decentramento all’estero di parte del processo
produttivo ed infine nella fase della consegna del prodotto finito all’intermediario o direttamente al
compratore finale.
LOGISTICA E FUNZIONI AZIENDALI
Considerando l’importanza che il trasporto riveste in ambito aziendale, si comprende l’importanza di una
gestione integrata che coinvolga le varie attività (acquisti, produzione, marketing, finanza) al fine di far
pervenire il prodotto giusto nel posto giusto, nel tempo più breve e al minor costo possibile.
Sono numerose le zone di confine tra la logistica e le altre funzioni aziendali:
-
le esigenze di marketing richiedono ampia disponibilità di prodotti finiti in magazzino al fine di
disporre sempre del prodotto nel momento in cui viene richiesto, offrendo in questo modo un
miglior servizio al cliente;
-
le esigenze della finanza premono verso il contenimento dei livelli di giacenze dei prodotti finiti e
affinché il trasporto principale sia compreso nel prezzo di vendita finale, per contenere
l’esposizione finanziaria;
-
la produzione richiede di non uscire dai programmi produttivi previsti per non compromettere il
raggiungimento di economie di scala;
-
l’area magazzino esige di trattenere il meno possibile le merci in giacenza, riducendo al minimo i
tempi di spostamento delle stesse dalla fabbrica alla destinazione convenuta, usando un
imballaggio adeguato;
-
l’area commerciale esige di non lasciare la gestione del trasporto alla clientela, per avere il
controllo e la disponibilità delle merci in viaggio, soprattutto nel caso di pagamenti con lettere di
credito documentario;
-
la gestione degli approvvigionamenti nell’area acquisti, costituisce un elemento strategico per ogni
impresa competitiva;
-
l’area spedizioni, uno degli ultimi anelli della catena, si occupa di ottimizzare le attività connesse
alle esportazioni, gestendole in stretta connessione con le altre funzioni aziendali, in modo che le
informazioni possano girare velocemente e chi si occupa del trasporto sia informato sui tempi di
consegna all’acquirente e la destinazione per poi stabilire il modo di trasporto più efficace e il
conseguente tipo di imballaggio.
Le imprese sono sempre più consapevoli dell’importanza che il trasporto riveste in un mercato globale dove
spesso si richiedono consegne rapide e “door to door”, per cui l’esportatore non può non considerare
l’attività di trasporto come elemento strategico per il proprio successo.
206
Punti di Criticità del Management Internazionale
Importanza strategica del trasporto





L’integrazione delle economie dei Paesi europei ed extraeuropei spinge le imprese verso
mercati sempre più lontani
La globalizzazione dei mercati richiede una valutazione e una gestione attenta del
trasporto per contenerne i costi e garantirne sicurezza e qualità
Una gestione razionale ed efficace del trasporto si tramuta in elemento competitivo per le
imprese
La fornitura di servizi, oltre che di beni, è sempre più richiesta da numerosi compratori che
chiedono al venditore la consegna della merce “door to door” (cioè, dall’impresa del
venditore direttamente all’impresa del compratore), per cui è il venditore che deve farsi
carico dell’organizzazione e della gestione di tutte le fasi del trasporto
L’esportatore non può evitare di considerare che, per raggiungere i migliori “risultati
globali”, è necessario ottimizzare l’attività di trasporto all’interno delle diverse funzioni
aziendali coinvolte.
207
Punti di Criticità del Management Internazionale
43. Il ruolo del trasporto nel commercio internazionale
Il buon esito di ogni transazione commerciale dipende in modo rilevante dal modo in cui si effettua il
trasporto, se si pensa poi, che con esso si realizza il passaggio fisico e, sovente, anche sostanziale della
merce dal venditore al compratore nel punto e nel momento stabilito contrattualmente dai termini di
consegna, è chiara l’importanza che esso riveste in ogni operazione di import-export.
Nel trasporto internazionale, essendoci un trasferimento fisico dei beni, oggetto del contratto di
compravendita, da un luogo situato in uno stato ad un luogo situato in un altro stato, vi sono una serie di
momenti che occorre considerare, come parte integrante del trasporto stesso e che riguardano
l’attraversamento dei confini territoriali di più paesi, le operazioni di carico, stivaggio, fissaggio e scarico, il
deposito delle merci presso magazzini pubblici o privati, l’uso dei mezzi idonei a trasportare il bene oggetto
di una compravendita e il rischio che, durante il trasporto, le merci possano subire danni.
Proprio in considerazione della complessità del trasporto in ambito internazionale, è opportuno che
l’esportatore, fin dalle prime trattative commerciali, affronti gli aspetti concernenti la sicurezza delle merci
trasportate, i rischi, le responsabilità delle parti contraenti il contratto di compravendita, la scelta di chi
eseguirà il trasporto e a chi affidare il mandato di spedizione.
Aspetti del trasporto internazionale









Il controllo delle merci
Le responsabilità contrattuali
I rischi: sicurezza di consegna, integrità delle partite, incolumità delle merci
I costi
Gli obiettivi: economia, velocità, sicurezza
Lo svolgimento operativo
Le connessioni con altri aspetti dell’import-export
La logistica d’impresa (scorte, circolante, immobilizzo di capitale, ecc.)
L’incidenza dei costi sulle quantità, sul valore delle merci trasportate, oltre che sui
tempi e la sicurezza del trasporto
OBIETTIVI DEL TRASPORTO MERCI
Il trasporto di merci si pone gli obiettivi dell’economicità, velocità e sicurezza, che di volta in volta
saranno combinati in modo diverso a seconda delle esigenze dell’esportatore e della controparte estera (i
tempi di consegna, la richiesta di prestazioni accessorie/speciali, oppure la riduzione dei costi) preferendo,
ad esempio, in alcuni casi, la velocità a discapito dell’economicità.
La scelta del mezzo di trasporto più adeguato sarà condizionata dal tipo di merce da esportare, dal suo
valore intrinseco, dal volume e dal peso, dalla distanza, dalla celerità con cui deve giungere a destinazione.
L’esportatore valuterà essenzialmente tre elementi prima di scegliere la modalità del trasporto ossia:
 il costo visto in chiave strategica per la realizzazione di una ottimale politica all’esportazione; esso
comprende il prezzo del nolo e le spese accessorie;
 la rapidità, in quanto in un mercato globale è richiesto sempre di più il rispetto dei tempi di
consegna pattuiti, evitando penali per ritardi nell’esecuzione del contratto;
 la sicurezza, in quanto le merci durante il trasporto possono incorrere nel rischio dovuto a danni
di avaria, distruzione o perdita totale o parziale. La consapevolezza, che durante il trasporto si
possono verificare eventi che compromettono la sicurezza della consegna, l’integrità e l’incolumità
della merce, deve indurre l’esportatore ad affrontare con attenzione i rischi legati al trasporto
della merce, al fine di ridurre la possibilità che si verifichino eventi dannosi e, qualora si
verificassero, essere in grado di individuare precisamente il momento del loro manifestarsi, le
responsabilità dell’accaduto e la possibilità del risarcimento.
208
Punti di Criticità del Management Internazionale
SCELTA DEL TRASPORTO
Scegliere una modalità di trasporto piuttosto che un’altra implica sostanziali differenze, in termini di tempi di
resa, costi e rischi. E’, pertanto, importante conoscere i pro e i contro dei vari modi di trasporto avendone
una panoramica completa e cercando di soddisfare le esigenze del cliente estero.
Se la priorità della controparte è la consegna della merce in tempi brevi, l’esportatore dovrà considerare i
tempi del trasporto via mare o via ferrovia; così come dovrà evitare, ove possibile, il trasporto via aereo o via
camion se il cliente desidera contenere i costi.
Più si intersecano le esigenze del cliente, più complessa diviene la gestione del trasporto, evidenziando
quanto importante sia per l’esportatore seguire le varie fasi del trasporto fino alla consegna della merce a
destino, al fine di rendere efficace la trattativa commerciale, cercando di ottimizzare i risultati aziendali.
Il trasporto intermodale, non disponibile su tutte le tratte, è l’unico modo di trasporto che soddisfa gli
obiettivi di cui sopra (rapidità, sicurezza ed economicità). Questa soluzione cumula le differenti modalità di
trasporto (via mare, via strada, via ferrovia e via aereo) in un unico contratto, abbassando notevolmente i
costi. Le caratteristiche di tale trasporto sono: velocità, assenza di rotture di carico (prese intermedie) e di
traffico (soste), unico contratto di trasporto con unico vettore, minori possibilità di danni, certezza sui tempi
di partenza e di arrivo.
L’esportatore, che voglia effettuare la scelta della modalità di trasporto più opportuna, per soddisfare le
proprie esigenze e quelle della controparte estera, dovrà effettuare le seguenti considerazioni:
chi deve pagare il trasporto (spesso è colui che sceglie anche le modalità);
come e quando la merce perverrà a destino;
a chi affidare la spedizione delle merci;
quali le caratteristiche dell’imballaggio;
 quale il documento di trasporto, da cui può dipendere il pagamento, qualora, ad esempio, viene
richiesto, insieme ad altri documenti, per la negoziazione di un credito documentario irrevocabile;
 quali i servizi forniti dallo spedizioniere.




Poiché la scelta del trasporto è condizionata dal costo, dal tempo di consegna e dal rischio danni, le
varie modalità di trasporto non sono intercambiabili indifferentemente, in quanto presuppongono differenze,
nella combinazione dei tre fattori di cui sopra.
L’esportatore, pertanto, prima di effettuare qualsiasi scelta legata al trasporto, dovrà considerare il valore
della merce che se è basso veicolerà la scelta su un tipo di trasporto poco costoso, in caso contrario, il
fattore costi è meno stringente.
La destinazione geografica è un altro elemento che condizionerà notevolmente la scelta dell’esportatore
circa il mezzo di trasporto più adeguato, in quanto si deve tenere conto delle infrastrutture e dei servizi dei
paesi di destinazione delle merci per cui una determinata modalità di trasporto potrebbe non essere
confacente
Il modo di trasporto sarà diverso in base al peso/volume, infatti per colli molto voluminosi e pesanti si
deve considerare che il trasporto aereo penalizza la merce pesante (a meno che non si tratti di alto valore).
La scelta del modo di trasporto più rapido (aereo e/o camion) o meno rapido, ma più economico (treno e/o
nave), dipenderà dai tempi di consegna.
Inoltre, se la quantità di merce da trasportare è grande, è bene optare per un carico/trasporto completo
(Full Container Loaded – FCL), ossia utilizzare in esclusiva tutto lo spazio di cui sono capaci uno o più mezzi
di trasporto, o scegliere di utilizzare in esclusiva una o più unità di carico (container o casse mobili). Nei casi,
invece, di piccole quantità di merce ci si rivolge ad un operatore di trasporto che pratichi il groupage (Less
Container Loaded – LCL).
L’intensità del flusso commerciale, rende più facile il reperimento del carico di ritorno per l’operatore di
trasporto, con ulteriori abbassamenti di costo, per cui maggiore è il flusso di merci sulle rotte scelte, minore
è il prezzo.
209
Punti di Criticità del Management Internazionale
MODALITÀ DI TRASPORTO
Le varie modalità di trasporto sono le seguenti:





Il trasporto via mare: le caratteristiche principali di questo tipo di trasporto sono: lentezza (anche
se, ormai, lo sviluppo della tecnologia permette di utilizzare navi veloci che permettono di
compiere, ad esempio, la tratta Cina-Italia in 20/30 giorni), variabilità della data di partenza e di
arrivo, costi bassi di trasporto, costi alti di imballaggio (tranne che nel caso di containers), alta
possibilità di danni;
Il trasporto via strada: il trasporto via strada si distingue per velocità, possibilità del door to door,
costi di trasporto relativamente alti, basso rischio di danni (a patto di imballaggi adeguati), ampia
disponibilità di vettori;
Il trasporto via ferrovia: questo tipo di trasporto ha come caratteristiche la lentezza, la difficoltà
nel reperire carri ferroviari, la formazione dei convogli, l’incertezza sul tempo di partenza e di
arrivo, una discreta possibilità di danni, ma, in compenso, costi bassi;
Il trasporto via aereo: velocità e bassissimo rischio di danni sono i suoi punti forti. È
particolarmente adatto per merci fragili, di valore o urgenti, anche se i costi sono alti;
Il trasporto intermodale: questa soluzione, cumulando le differenti modalità di trasporto in un
unico contratto, permette un abbassamento dei costi. Le sue caratteristiche, inoltre, sono:
velocità, assenza di rotture di carico (prese intermedie) e di traffico (soste), unico contratto di
trasporto con unico vettore, minori possibilità di danni, certezza sui tempi di partenza e di arrivo. È
indicato per tratte lunghe, richiede l’utilizzo di unità di trasporto intermodali (UTI), ossia containers
o casse mobili. È disponibile solo su tratte fisse.
DOCUMENTI DI TRASPORTO
Se la consegna della merce non avviene regolarmente e/o se vengono riscontrati degli ammanchi e/o dei
difetti al momento del ritiro della stessa, difficilmente l’acquirente sarà disposto ad effettuare il pagamento
dovuto, soprattutto se consideriamo che è molto più diffuso il pagamento posticipato. Nel caso di pagamento
a mezzo credito documentario, lo stesso avverrà con la presentazione (tra i vari documenti richiesti) del
documento di trasporto da consegnare entro i termini e alle condizioni prescritte nel credito documentario.
Pertanto, i documenti comprovanti l’avvenuta spedizione della merce sono molto importanti, soprattutto se
utilizzati con una forma di pagamento, come il credito documentario, che vincola il pagamento stesso alla
presentazione in banca dei documenti strettamente conformi. Sulla base della tipologia di trasporto adottata,
è necessario considerare se si tratta di semplici documenti dimostrativi, come, ad es. le lettere di vettura
aerea, camionistica o ferroviaria, oppure di documenti rappresentativi della merce nel caso della polizza di
carico marittima.
Per ogni modalità di trasporto viene, quindi, emesso un documento che è una “lettera di vettura”, se il
trasporto avviene su strada, su ferrovia oppure via aerea, (oppure, in taluni casi, anche via mare). Le lettere
di vettura sono caratterizzate dal fatto che, generalmente, viaggiano assieme alla merce e sono documenti
di legittimazione che dimostrano l’esistenza di un contratto di trasporto.
Se il trasporto avviene via mare e/o via acque fluviali, sarà emessa una “polizza di carico” che,
generalmente, viaggia sempre separata dalla merce, è titolo rappresentativo della stessa, negoziabile,
permettendo, così, al legittimo portatore di entrare in possesso della merce in cambio, appunto, della
consegna del documento (titolo) debitamente firmato per girata.
In considerazione dell’importanza che i documenti assumono nel trasporto internazionale, l’esportatore deve
effettuare le scelte più opportune circa la modalità di trasporto e l’operatore a cui affidare l’organizzazione e
l’esecuzione del trasporto stesso. È lui che emetterà o farà emettere il relativo documento che dovrà
rispettare tutti i termini e le condizioni pattuite contrattualmente circa l’invio della merce e che permetterà,
nel caso di pagamenti a mezzo crediti documentari, di poter ottenere il pagamento dell’importo, se conforme
ai termini e condizioni prescritte nel credito documentario.
SPEDIZIONE E TRASPORTO
Nell’ambito del trasporto internazionale, è di fondamentale importanza distinguere la figura dello
spedizioniere da quella del vettore, in quanto ognuna presenta peculiarità diverse e, di conseguenza, anche
regole e responsabilità differenti. Occorre, inoltre, considerare che nell’ambito del trasporto internazionale, si
210
Punti di Criticità del Management Internazionale
sono affermate nuove figure che affiancano quelle tradizionali che rispondono alle esigenze di un traffico
merci che si sta evolvendo verso destinazioni sempre più lontane, con la conseguente esigenza di usare
mezzi diversi per far pervenire la merce a destino.
Spedizioniere internazionale
Lo Spedizioniere internazionale è l’intermediario che organizza l’intera spedizione, ossia stipula a nome
proprio e per conto dell’azienda un contratto di trasporto con un vettore ed esegue le operazioni accessorie
della spedizione (dogana, ove dovuta, ecc...). Lo spedizioniere risponde solo del proprio operato e, quindi,
non del risultato finale del trasporto. L’operato dello spedizioniere internazionale è disciplinato dalle
condizioni generali dell’associazione di categoria degli spedizionieri internazionali di cui fa parte.
Vettore
Il Vettore è colui che esegue il trasporto con mezzi propri o altrui (anche noleggiati) e risponde dell’integrità
e della consegna delle merci a destino. L’operato del vettore internazionale è disciplinato dalle convenzioni
internazionali proprie di ciascuna modalità di trasporto.
Spedizioniere/Vettore
Lo Spedizioniere/vettore oltre a compiere le operazioni accessorie, si incarica, tramite la stipula di un
contratto di trasporto, di eseguire lui stesso il trasporto, assommando, quindi, compiti, diritti e doveri dello
spedizioniere e del vettore, è l’unico referente per il mittente. È frequente nei traffici camionistici.
Operatore intermodale o multimodale
L’operatore intermodale svolge le funzioni di uno spedizioniere internazionale, offre all’esportatore la
possibilità di trasportare e spedire la merce con la modalità intermodale, rilasciando un unico contratto di
trasporto, che copre una pluralità di contratti conclusi dall’operatore di trasporto multimodale (MTO) con i
singoli vettori. Caratteristica dell’operatore intermodale è la rapidità e l’economicità.
NVOCC
Il NVOCC (Non Vessel Operating Common Carrier o Non Vessel Owner Common Carrier) è un soggetto che
acquista degli spazi sulle navi o, addirittura, navi intere da armatori e li rivende in frazioni, per lo più sulle
navi porta container. In Italia viene considerato un vettore contrattuale operante come
spedizioniere/vettore, ma non ha una disciplina precisa. Caratteristica di questo operatore è l’alta
professionalità nei trasporti marittimi.
Operatore logistico
L’operatore logistico è un soggetto che opera, generalmente, come spedizioniere/vettore; organizza
ed esegue il trasporto con supporto totalmente informatico di appositi software, sia per la scelta, che per la
gestione e il controllo di tutte le fasi, servendosi della rilevazione satellitare. Svolge, inoltre, dei compiti
pre-partenza (ad esempio, il controllo qualità, il magazzinaggio, l’etichettatura, l’imballaggio) e postarrivo della merce a destinazione (ad esempio, disimballaggio, deceratura, check up), svolti, in precedenza,
dal venditore e dal compratore.
Per l’azienda si può, quindi, profilare la possibilità di stipulare o un contratto di spedizione, che può essere in
forma solo verbale, ma che è preferibile venga, formalizzato, da una lettera di incarico/mandato allo
spedizioniere, o un contratto di trasporto che è, invece, sempre, comprovato da un documento, attestante
l’impegno del vettore ad eseguire il trasporto della merce, cioè, il trasferimento fisico della stessa, da un
luogo ad un altro nei modi e nei tempi pattuiti. Dal punto di vista giuridico, mentre il contratto di spedizione
è un mandato che il mittente/mandante stipula con lo spedizioniere/mandatario, il contratto di trasporto è un
contratto d’opera stipulato tra il mittente ed il vettore. Ovviamente, vi è anche la possibilità di stipulare un
unico contratto, nel caso in cui l’interlocutore sia uno spedizioniere/vettore.
211
Punti di Criticità del Management Internazionale
44. I termini di consegna della merce (gli Incoterms)
Una delle fasi più delicate in un rapporto di compravendita è il momento della consegna della merce dal
venditore al compratore.
Questo momento diviene ancora più centrale se si pensa che le due parti sono separate da distanze
geografiche notevoli che non permettono, talvolta, di seguire l’iter intero del trasporto. Questo momento,
inoltre, è molto importante per le parti in quanto determina chi, tra venditore e compratore, sopporta i costi
relativi al trasporto della merce da un luogo ad un altro, i costi connessi all’assicurazione della stessa, le
spese doganali (ove dovute) in uscita ed in entrata e quando avviene il passaggio dei rischi e delle
responsabilità, dal venditore al compratore, per la merce trasportata.
Tutto questo viene definito con delle frasi (franco fabbrica, franco destino, ecc.) e/o delle brevi sigle che si
sono diffuse in tutti i Paesi del mondo determinando, però, difformità d’interpretazione da parte degli
operatori al punto che, lo stesso termine e/o la stessa sigla, può assumere significati diversi da Paese a
Paese e, di conseguenza, determinare una diversa ripartizione dei costi, dei diritti, degli obblighi e delle
responsabilità.
Cosicché, a causa di usi e consuetudini non uniformi, accadeva che questi termini venivano bene o male
riconosciuti da tutti, ma poi ciascuno li interpretava, diciamo così, a modo suo, il che generava dei problemi
di discordanza nel significato attribuito alle singole voci. Ogni interpretazione poteva essere valida.
INCOTERMS
Gli Incoterms (International Commercial Terms) sono dei termini di consegna della merce che
permettono di individuare e stabilire chi sopporta i costi di trasporto, di assicurazione merce, di
sdoganamento (in caso di paesi extra UE) e quando avviene il passaggio dei rischi e delle responsabilità dal
venditore al compratore.
Gli “Incoterms”, elaborati dalla Camera di Commercio Internazionale con l’intento di regolamentare la
consegna della merce e il passaggio dei relativi rischi, hanno assunto, nel corso degli anni, una grande
importanza nelle transazioni commerciali internazionali, tanto da essere universalmente riconosciuti e
accettati.
In questo modo gli operatori di differenti Paesi e tradizioni giuridiche possono fare affidamento su fonti
interpretative uniformi, univoche e autentiche per la corretta ed equa ripartizione di costi e rischi nella
consegna delle merci. L’edizione attualmente in vigore è quella del 2000: gli “Incoterms 2000” che, nel
momento in cui scriviamo è oggetto di una revisione/aggiornamento da parte della Camera di Commercio
Internazionale.
FUNZIONI E CAMPO D’AZIONE DEGLI INCOTERMS
Il campo di azione e la funzione degli Incoterms, viene individuata attraverso il riconoscimento di quattro
punti o momenti fondamentali che trovano risposta alle seguenti domande:
chi paga il trasporto principale?
dove avviene la consegna della merce?
 dove e quando si verifica il passaggio dei rischi dal venditore al compratore
 chi sopporta tutti gli altri oneri connessi al trasporto (emissione dei documenti, spese e scarico,
operazioni doganali (ove occorra), assicurazione delle merci in viaggio)?


212
Punti di Criticità del Management Internazionale
Scopo degli Incoterms
Lo scopo degli Incoterms è fornire una serie di regole internazionali per l’interpretazione dei termini
commerciali di consegna delle merci maggiormente adottati dagli operatori di tutto il mondo al fine
di eliminare le incertezze dovute alle differenti interpretazioni di questi termini tra Paesi diversi
tenendo presente, però, che per essere applicabili ai rapporti commerciali di compravendita
dovranno essere necessariamente ed espressamente richiamati nell’accordo contrattuale.
OGGETTO DEGLI INCOTERMS
L’oggetto degli Incoterms è circoscritto agli aspetti riguardanti i diritti e le obbligazioni delle parti (venditore
e compratore) di un contratto di compravendita con riferimento, ovviamente, alla consegna della merce.
È importante, al riguardo, che l’esportatore non fraintenda la reale applicazione degli Incoterms che si
riferiscono al contratto di vendita e non, come spesso si ritiene, al contratto di trasporto, anche se, per
realizzare una vendita di merci vi sono correlazioni con altri aspetti e contratti che verranno perfezionati
successivamente come, appunto, il contratto di trasporto, ma anche il contratto di assicurazione, di
finanziamento, ecc. .
È importante sottolineare, infatti, come l’utilizzo di un termine Incoterms, comporta necessariamente delle
implicazioni con altri aspetti contrattuali. Ad esempio, se l’Incoterms prescelto sarà “CFR” o “CIF”, il trasporto
non può che essere di tipo marittimo e/o fluviale e, quindi, il documento di trasporto che sarà emesso non
potrà che essere una “polizza di carico” marittima (Bill of Lading) o, in taluni paesi, una Lettera di vettura
marittima (Sea way bill).
Che cosa non sono gli Incoterms

Non sono leggi, ma regole facoltative

Non riguardano il contratto di trasporto ma il contratto di vendita

Non riguardano il trasferimento della proprietà e di altri diritti di vendita
Non regolano tutti gli obblighi assunti dalle parti in una compravendita, ma solo quelli relativi alla
consegna della merce
 Non riguardano i casi di inadempimento del contratto con le relative conseguenze per la parte
inadempiente.

Le obbligazioni regolate dagli Incoterms riguardano:
l’obbligazione del venditore di mettere la merce a disposizione del compratore o di rimetterla ad
un vettore per il successivo trasporto e consegna ad una certa destinazione;
 la ripartizione dei rischi tra venditore e compratore relativi al trasporto della merce da un luogo di
partenza ad un luogo di destinazione;
 l’obbligo di sdoganare la merce all’esportazione e all’importazione (ove questo sia dovuto);
 l’obbligo del compratore di prendere in consegna la merce.

Per quanto gli Incoterms affrontino un gran numero di specifiche obbligazioni, essi non affrontano in alcun
modo i seguenti aspetti connessi alla compravendita e, cioè:



il trasferimento della proprietà e di altri diritti sulla merce;
i casi di inadempimento contrattuale con le relative conseguenze per la parte inadempiente;
la condizione patrimoniale e finanziarie connesse all’esecuzione del negozio giuridico principale.
213
Punti di Criticità del Management Internazionale
È ERRATA LA CONVINZIONE CHE GLI INCOTERMS SIANO TERMINI CHE APPARTENGONO AI “CONTRATTI INTERNAZIONALI” DI
TRASPORTO. AL CONTRARIO SI RIFERISCONO SOLTANTO AL CONTRATTO DI VENDITA STIPULATO TRA VENDITORE E
COMPRATORE
La CCI ha raggruppato le obbligazioni del venditore e del compratore in 10 punti contraddistinte dalla
lettera “A” (per il venditore) e dalla lettera “B” (per il compratore) riguardanti:










la fornitura della merce in conformità al contratto il pagamento del prezzo (A1./B1);
le eventuali licenze, autorizzazione e formalità (A2./B2.);
il contratto di trasporto e di assicurazione (A3./B3.);
la consegna e la presa in consegna (A4./B4.);
il trasferimento dei rischi (A5./B5.);
la ripartizione delle spese (A6./B6.);
l’avviso al compratore/l’avviso al venditore (A7./B7.);
la prova della consegna, il documento di trasporto o messaggio elettronico equivalente (A8./B8.);
il controllo, imballaggio, marcatura/ispezione della merce (A9./B9.);
altre obbligazioni (A10./B10.).
Obblighi delle parti negli Incoterms 2000
Obblighi del venditore
Obblighi del compratore
A 1. Fornitura della merce in conformità del contratto B 1. Pagamento del prezzo
A 2. Licenza, autorizzazioni e formalità
B 2. Licenza, autorizzazioni e formalità
A 3. Contratto di trasporto e di assicurazione
B 3. Contratto di trasporto e di assicurazione
A 4. Consegna
B 4. Presa di consegna
A 5. Trasferimento dei rischi
B 5. Trasferimento dei rischi
A 6. Ripartizione delle spese
B 6. Ripartizione delle spese
A 7. Avviso al compratore
B 7. Avviso al compratore
A 8. Prova della consegna, documento di trasporto o B 8. Prova della consegna, documento di trasporto o
messaggio elettronico equivalente
messaggio elettronico equivalente
A 9. Controllo, imballaggio, marcatura
B 9. Ispezione della merce
A10. Altre obbligazioni
B10. Altre obbligazioni
214
Punti di Criticità del Management Internazionale
CARATTERISTICHE DEGLI INCOTERMS
Gli Incoterms 2000 adottano tredici termini suddivisi in quattro diversi gruppi contraddistinti dalle lettere “E”
- “F” - “C” - “D” che corrispondono alle iniziali delle sigle composte da tre lettere utilizzate per identificarli,
che riportiamo nella tabella “Incoterms 2000”.
Incoterms 2000
GRUPPO E
Partenza
EXW (Ex works)
Franco fabbrica (…luogo convenuto)
FCA (Free Carrier)
Franco vettore (…luogo convenuto)
GRUPPO F
Trasporto principale FAS (Free Alongside Ship)
non pagato
Franco lungo bordo (…porto di imbarco
convenuto)
Franco a bordo (…porto di imbarco convenuto)
FOB (Free On Board)
CFR (Cost and Freight)
GRUPPO C
Trasporto principale
CIF (Cost, Insurance and Freight)
pagato
GRUPPO D
Arrivo
Costo e nolo (…porto di destinazione convenuto)
Costo, assicurazione, nolo (…porto di
destinazione convenuto)
CPT (Carriage Paid To)
Trasporto pagato fino a (…luogo di destinazione
convenuto)
CIP (Carriage and Insurance Paid To)
Trasporto e assicurazione pagati fino a (…luogo
di destinazione convenuto)
DAF (Delivered At Frontier)
Reso frontiera (…luogo convenuto)
Reso ex ship (…porto di destinazione convenuto)
DES (Delivered Ex Ship)
DEQ (Delivered Ex Quay)
Reso banchina (…porto di destinazione
convenuto)
DDU (Delivered Duty Unpaid)
Reso non sdoganato (…luogo di destinazione
convenuto)
DDP (Delivered Duty Paid)
Reso sdoganato (…luogo di destinazione
convenuto)
Le caratteristiche principali dei quattro gruppi degli Incoterms 2000 sono quelle che andiamo ad esaminare
qui di seguito.
Gruppo E
Contratti alla PARTENZA. Il livello delle obbligazioni del venditore è MINIMO: CONSEGNA usualmente presso
i locali del venditore (nessuna obbligazione con riguardo al caricamento della merce).
215
Punti di Criticità del Management Internazionale
Gruppo F
Contratti alla PARTENZA. Il venditore deve consegnare la merce per il trasporto secondo le istruzioni del
compratore.
Punto di consegna:
Termine FCA. Se il luogo di consegna è:
 nei locali del venditore, allora quest’ultimo effettuerà la consegna caricando la merce sul veicolo
del compratore;
 in un altro luogo, il venditore mette a disposizione del compratore la merce, non scaricata dal
proprio veicolo presso i locali convenuti che, solitamente, sono presso un vettore indicato dal
compratore.
Termine FOB è “al passaggio della murata della nave”, tenendo conto della tipologia della merce e delle
strutture di caricamento disponibili.
Termine FAS è sottobordo, sulla banchina o nel magazzino del punto di imbarco convenuto. Lo
sdoganamento all’esportazione è a carico del venditore.
Gruppo C
Contratti alla PARTENZA. Il venditore deve stipulare il contratto di trasporto sulla base delle condizioni usuali
e a proprie spese, (indicando, dopo il termine “C” un punto fino a cui il venditore deve sostenere le spese di
trasporto) e rimettere la merce al vettore.
Nei termini CIF e CIP deve anche stipulare l’assicurazione della merce e sostenere le relative spese.
Il rischio di perdita o danneggiamento della merce e qualunque spesa aggiuntiva che possa risultare da
eventi successivi all’imbarco o all’invio ricadono sul compratore.
Se il contratto di trasporto implica il pagamento di diritti, tasse, oneri, inclusa ogni spesa sostenuta per il
trasbordo della merce, tali spese ricadono sul venditore.
Nei termini CFR e CIF: è stata eliminata l’obbligazione del venditore di consegnare il contratto di noleggio al
compratore.
Con i termini CIF e CIP: il venditore è obbligato a procurare l’assicurazione merce a favore del compratore
con “copertura minima”, salvo la possibilità per il compratore di richiedere al venditore di stipulare
un’assicurazione aggiuntiva.
Gruppo D
Contratti all’ARRIVO. Il venditore è responsabile dell’arrivo della merce al luogo o punto di destinazione
convenuto e deve sopportare tutti i rischi e le spese per il trasporto della merce a destinazione. Non ha
obblighi doganali d’importazione nel paese di destinazione (ad eccezione del termine DDP).
Termine DEQ: lo sdoganamento all’importazione è a carico del compratore.
Termine DAF: il venditore sopporta il rischio durante il trasporto fino alla frontiera e lo scaricamento alla
frontiera è a carico del compratore.
216
Punti di Criticità del Management Internazionale
Modo di trasporto e
Incoterms 2000 corrispondente
EXW
FCA
CPT
Franco fabbrica (…luogo convenuto)
Franco vettore (…luogo convenuto)
Trasporto pagato fino a (…luogo di destinazione convenuto)
CIP
DAF
DDU
Trasporto e assicurazione pagati fino a (…luogo di destinazione
convenuto)
Reso frontiera (…luogo convenuto)
Reso no sdoganato (…luogo di destinazione convenuto)
DDP
Reso sdoganato (…luogo di destinazione convenuto)
Trasporto aereo
FCA
Franco vettore (…luogo convenuto)
Trasporto ferroviario
FCA
Franco vettore (…luogo convenuto)
Trasporto marittimo e
per vie navigabili
interne
FAS
FOB
CFR
CIF
Franco lungo bordo (…porto di imbarco convenuto)
Franco a bordo (…porto di imbarco convenuto)
Costo e nolo (…porto di destinazione convenuto)
Costo, assicurazione e nolo (…porto di destinazione convenuto)
DES
DEQ
Reso ex ship (…porto di destinazione convenuto)
Reso banchina (…porto di destinazione convenuto)
Qualsiasi modo di
trasporto, compreso
quello multimodale
217
Punti di Criticità del Management Internazionale
218
Punti di Criticità del Management Internazionale
INDICAZIONI PER UN CORRETTO USO DEGLI INCOTERMS
L’esportatore deve prestare attenzione a quanto di seguito indicato:
 gli Incoterms non sono Leggi, ma regole facoltative che, per essere applicate, devono essere
richiamate espressamente nel contratto precisandone la fonte. In caso contrario, in una situazione di
controversia, fanno testo le leggi applicabili nazionali e gli usi commerciali che, di volta in volta e
caso per caso, verranno utilizzate, con la conseguenza che qualsiasi interpretazione che venisse data
circa la ripartizione dei costi ed il passaggio dei rischi potrebbe essere valida. È necessario allora
proporre, in fase contrattuale, che il significato che verrà dato al termine di consegna della merce sia
quello degli Incoterms. Ad esempio: FOB-port of Genova as per Incoterms 2000 ICC;
 sarebbe opportuno utilizzare i termini disciplinati negli Incoterms 2000 in modo appropriato, usando
cioè l’Incoterms corrispondente al modo di trasporto utilizzato. Vale a dire che, se il trasporto è
marittimo (da porto a porto) o per le vie fluviali i termini da usare sono FAS, FOB, CFR, CIF, DES,
DEQ. Per tutti gli altri modi di trasporto, compreso quello multimodale, i termini da usare sono tutti
gli altri e, cioè, EXW, FCA, CPT, CIP, DAF, DDU, DDP.

gli Incoterms non contemplano, inoltre, condizioni contrattuali relative, ad esempio, alle modalità di
pagamento, al trasferimento della proprietà o altro;

considerare sempre che gli Incoterms sono analizzati nei contratti di vendita e, pertanto, riguardano
i rapporti tra venditore e compratore e non le relazioni fra caricatore (venditore) e vettore regolate
dal contratto di trasporto;

cercare di adottare uno dei tredici Incoterms regolamentati dalla CCI evitando di utilizzare
preesistenti termini che sono stati sostituiti con le ultime revisioni, come, ad esempio FOR/FOT (Free
on Rail/Free on Truch) sostituiti dal “FCA” oppure il C&F divenuto CFR;

non dimenticare che gli Incoterms regolano soprattutto il trasferimento dei rischi e la ripartizione dei
costi fra venditore e compratore, nonché alcuni obblighi in materia di dogana (se dovuta) e di
assicurazione.
Tuttavia è opportuno che, oltre a quanto stabilito negli Incoterms, gli operatori economici stabiliscano:
- come avverrà la consegna della merce, vale a dire a chi spetta l’obbligo di caricare e scaricare la
-
stessa;
la copertura assicurativa desiderata;
le condizioni particolari di trasporto in considerazione del tipo di merce e di tragitto;
le clausole di forza maggiore e di esonero da responsabilità.
ricordare che i termini CFR, CIF, CPT, CIP, pur prevedendo che il trasporto principale sia a carico
del venditore, non sono termini all’“arrivo” ma, al contrario, sono termini alla “partenza”. Questo
significa che il trasferimento dei rischi al compratore, avviene nel Paese di spedizione così come
per i termini del gruppo “F”.
L’esportatore valuti sempre con attenzione, là dove questo sia possibile, il termine di consegna più
appropriato. È errata la convinzione, assai diffusa, che il termine “Ex Works” sia la soluzione migliore
e più conveniente rappresentando il livello minimo di obblighi per il venditore. Proprio questo
impedisce il controllo della merce in viaggio e la determinazione delle eventuali responsabilità in caso
di danni, impedisce di fare le “scelte”, rende difficile il ritorno dei documenti doganali, aumenta il
rischio di mancato pagamento nel caso di dilazioni di pagamento e/o di pagamenti a mezzo D/P,
CAD, LCI.
219
Punti di Criticità del Management Internazionale
45. Gli aspetti agevolativi (sostegno finanziario all’internazionalizzazione)
La politica economica del nostro Paese, in uno scenario caratterizzato dalla globalizzazione del mercato,
tende oggi ad incentivare modifiche strutturali nel sistema economico, nella competitività e
nell’internazionalizzazione.
L’export italiano sui mercati internazionali è fortemente sostenuto dall’attività delle Piccole e Medie Imprese.
E’ fondamentale quindi, che si intensifichino le politiche volte a sostenere i processi di internazionalizzazione
di queste realtà imprenditoriali.
L’assetto economico internazionale sta mutando al punto tale che, si delineano nuovi attori e nuove regioni
economiche nel mondo, con la conseguente necessità di intraprendere scelte strategiche innovative a
sostegno dell’internazionalizzazione delle imprese.
La crescita del nostro Paese dipende fortemente dalla presenza delle nostre imprese sui mercati
internazionali in modo che il Made in Italy possa essere protagonista del mercato mondiale.
Questo è il motivo per cui l’Italia si è posta l’obiettivo, nel 2007, di rilanciare la politica commerciale e di
promozione all’estero, seguendo precise linee di intervento basate su strategie di rete, priorità settoriali e
priorità geografiche, sostenendo in particolare l’inserimento delle Piccole Medie Imprese sui mercati
internazionali.
La crescita dell’Italia nel commercio internazionale richiede un coordinamento tra Governo, Regioni, enti
locali e associazioni delle imprese attraverso Linee Direttrici che tengano conto che la scelta di
internazionalizzarsi è una scelta strategica che si gioca sui talenti, sulle competenze, sulla scelta strategica
dei Paesi di destinazione, in funzione del basso costo del lavoro, della crescente capacità d’acquisto e della
disponibilità di materie prime.
PROTAGONISTI DEL SOSTEGNO ALL’INTERNAZIONALIZZAZIONE
Il Ministero delle Attività Produttive
(MAP) svolge un ruolo guida nel sostegno pubblico
all’internazionalizzazione attraverso attività promozionali mentre il Ministero dell’Economia (insieme al
Ministero delle Attività Produttive e al Ministero degli Affari Esteri) attua politiche di sostegno finanziario e
assicurativo al credito all’esportazione ed agli investimenti diretti esteri.
Simest, Finest per il Triveneto e SACE assicurano il sostegno finanziario all’internazionalizzazione.
Il maggior intervento finanziario di Simest e Finest è rappresentato dal credito all’esportazione (ex legge
Ossola) che agevola il credito, a fronte di dilazioni di pagamento per l’importatore, attraverso una forma di
contributo in conto interessi.
Altri interventi previsti da Simest sono:


il finanziamento a tasso agevolato dei programmi di penetrazione commerciale;
l’ingresso come socio temporaneo in investimenti diretti e joint-venture sui mercati extra-Ue.
Lo scenario in cui si trova ad operare Sace, essendo caratterizzato dalla globalizzazione e da una maggiore
concorrenza dei prodotti finanziari offerti a copertura del rischio, ha indotto la stessa ad offrire maggiori
servizi soprattutto alle Piccole e Medie Imprese che necessitano di un player a capitale pubblico che operi
con criteri privatistici.
Anche l’Istituto Nazionale per il Commercio con l’Estero (ICE) ha un ruolo fondamentale nel processo di
internazionalizzazione in quanto promuove lo sviluppo degli scambi commerciali con gli altri paesi,
favorendo la proiezione internazionale delle imprese italiane.
Le funzioni svolte dall’ICE a sostegno dell’internazionalizzazione sono le seguenti:
1.
2.
3.
4.
organizzazione di eventi promozionali e di collaborazioni industriali;
assistenza personalizzata alle imprese;
monitoraggio e diffusione di informazioni riguardanti i mercati esteri;
attività di formazione per l’internazionalizzazione.
Altre protagoniste, nello scenario dell’internazionalizzazione del nostro Paese, sono le Camere di Commercio
Italiane che danno assistenza alle imprese tramite staff di consulenti esterni specializzati nelle singole
materie (contrattuale, fiscale, pagamenti, trasporti, doganale, ecc.) , con l’obiettivo prioritario di promuovere
il sistema imprenditoriale italiano.
220
Punti di Criticità del Management Internazionale
Il sistema camerale dispone di 13 Centri Estero Regionali e di 61 Aziende Speciali che svolgono attività di
internazionalizzazione, insieme agli uffici camerali per il commercio estero ed agli Eurosportelli.
Le Camere di Commercio Italiane all’Estero sono strutture associative il cui sistema è divenuto un network
globale con 71 camere presenti, 135 uffici, 46 paesi e 25.000 imprese associate.
Le attività svolte dalle Camere di Commercio Italiane all’Estero prevedono l’assistenza alle imprese per la
conclusione di affari; l’informazione operativa per le imprese e la formazione., la promozione del Made in
Italy attraverso la realizzazione di progetti multilaterali con vari enti come le Università.
LINEE DIRETTRICI
Le Linee Direttrici tengono conto della ricostituzione del Ministero del Commercio Estero, che si prefigge di
dare efficacia alla politica di internazionalizzazione puntando soprattutto sulle Piccole e Medie Imprese.
L’impresa che intende internazionalizzarsi è favorita oggi dalla diminuzione dei costi di trasporto e dallo
sviluppo delle comunicazioni, rendendo l’accesso sui mercati esteri più semplice.
Gli obiettivi di internazionalizzazione del Governo mirano a:
 incentivare l’internazionalizzazione dei settori non basati sulla concorrenza di prezzo;
 continuare la difesa dei nostri prodotti, marchi e brevetti combattendo la contraffazione;
 recuperare quote di mercato nei paesi dove la nostra presenza è inferiore alla media e aprirne
nuovi dove non siamo presenti;
 mantenere alta l’immagine del Made in Italy.
Un uso più selettivo delle risorse costituisce l’obiettivo che si prefigge di realizzare il Governo attraverso le
Linee Direttrici con le quali si vuole:
concentrare le attività fieristiche sulle manifestazioni fondamentali, per non disperdere risorse;
aumentare gli investimenti a supporto dei settori innovativi e della formazione di competenze
orientate all’internazionalizzazione,
 incrementare le attività tese a creare sinergie tra le piccole imprese, per creare consorzi e
cooperative dimensionalmente più adatti ai processi di internazionalizzazione;
 focalizzare geograficamente i paesi ad alto tasso di sviluppo o più interessanti per le imprese ed i
prodotti italiani.


Oltre agli strumenti promozionali gestiti dal Ministero delle Attività Produttive attraverso cui si concedono
contributi a fronte della presentazione di progetti promozionali realizzabili, è importante menzionare gli
strumenti innovativi che comprendono le esperienze pilota in diversi settori, dal finanziamento degli studi di
fattibilità allo sviluppo del nostro sistema fieristico.
Importante è l’accordo-quadro tra MAP-ICE-CRUI (Conferenza rettori università italiane per la collaborazione
tra università e imprese nel campo dell’internazionalizzazione; un primo bando di 3 milioni di euro è stato
approvato nel 2003, mentre un secondo di 2,6 milioni di euro nel 2005/2006. Allo stesso modo avviene per il
sistema fieristico.
Molto importante è anche l’intervento del Ministero e dell’Ice che finanziano il 75% degli studi di fattibilità
riguardanti:
-
investimenti collettivi di Piccole e Medie Imprese per realizzare insediamenti commerciali o
produttivi all’estero;
progetti di collaborazione tra Università e imprese finalizzati ad acquisire conoscenze e tecnologie
mediante brevetti, joint-venture e start-up.
FINANZIAMENTI NAZIONALI
Lo stato italiano ha previsto, con alcune leggi che ora andremo schematicamente ad illustrare, una serie di
incentivi e finanziamenti per le aziende, siano esse di grandi dimensioni o medio piccole, che abbracciano
tutte le iniziative di internazionalizzazione.
FINANZIAMENTI AGEVOLATI PER STUDI DI PREFATTIBILITÀ, DI FATTIBILITÀ E DI ASSISTENZA TECNICA
L’impresa, prima di provare la via dell'internazionalizzazione, deve considerare tutta una serie di aspetti
legati al paese, al partner commerciale, alla commessa che ha l'opportunità di ottenere, ecc.
221
Punti di Criticità del Management Internazionale
È, necessario, quindi attuare in primis una serie di studi di fattibilità per comprendere quali sono le risorse
disponibili, quale il mercato in cui ci si vuole inserire, le sue caratteristiche, gli investimenti necessari per far
funzionare la nuova impresa e così via. Lo studio di fattibilità, oltre ad essere utile per definire meglio il
progetto, talvolta è persino richiesto dalle autorità del paese in cui deve essere effettuato l’investimento, ai
fini del rilascio delle necessarie autorizzazioni.
Il lavoro di ricerca necessario per approntare tale studio può a volte essere costoso e dare risultati poco
incoraggianti per l'impresa: con il Decreto Legge 143/1998 si è voluto istituire una forma di finanziamento
per dare la possibilità di attuare studi di fattibilità o supporti per l'assistenza tecnica e, se i risultati dello
studio sono positivi, implementare un'iniziativa di internazionalizzazione.
FINANZIAMENTI ALLE SOCIETÀ ESTERE PARTECIPATE
La legge n. 56 del 31 marzo 2005 sull’internazionalizzazione ha modificato in modo rilevante la materia
riguardante i finanziamenti esteri concessi da Simest alle società partecipate.
L’art. 7 della legge autorizza Simest a concedere finanziamenti, di durata non superiore a 8 anni, alle
imprese o società estere da lei partecipate, in misura non eccedente il 50% (e non solo il 25%) dell’impegno
finanziario previsto dal programma economico dell’impresa o società estera per le piccole e medie imprese.
CONTRIBUTI AGLI INTERESSI A FRONTE DI UN FINANZIAMENTO CONCESSO ALL’IMPRESA ITALIANA DA BANCHE
ITALIANE O ESTERE
I contributi agli interessi, previsti dall’art. 4 della legge 100/90, rappresentano per gli investitori italiani
un’agevolazione molto interessante, rispondendo all’esigenza dell’impresa investitrice di apportare, in modo
ottimale, nella società estera, la quota di capitale sociale e gli eventuali finanziamenti soci.
L’agevolazione è concessa nei limiti delle norme comunitarie e la durata massima del finanziamento bancario
è di otto anni a partire dalla prima erogazione del finanziamento.
L’impresa e la banca finanziatrice concordano liberamente il tasso di interesse.
Il contributo agli interessi è fisso per tutta la durata dell’agevolazione, ed è pari al 50% del tasso di
riferimento vigente, alla data di stipula del contratto di finanziamento.
FINANZIAMENTI AGEVOLATI PER I PROGRAMMI DI PENETRAZIONE COMMERCIALE
Finanziamenti a tasso agevolato sono previsti dalla legge 394/81, per supportare la penetrazione
commerciale di un’impresa, in un paese non appartenente all’Unione Europea, attraverso la realizzazione di
un insediamento durevole (uffici, filiali di vendita..). Tale finanziamento prevede, a copertura delle spese per
la penetrazione commerciale, un tasso di interesse agevolato pari al 40% del tasso di riferimento.
Le Piccole e Medie Imprese sono state le maggiori destinatarie di questi finanziamenti mentre, le aree di
maggiore interesse sono state l’Europa Centro Orientale (in particolare Russia e Romania) e l’America
settentrionale (soprattutto USA). Tale legge, però, a seguito del Decreto Legge 2 giugno 2008 n. 112 è
destinata ad essere abrogata nella quasi totalità, salvo alcuni articoli della medesima che resteranno in
vigore.
FINANZIAMENTI AGEVOLATI PER I PROGRAMMI DI ASSISTENZA TECNICA
Il Dls 143/98 prevede anche finanziamenti a tasso agevolato (tasso di interesse pari al 25% del tasso di
riferimento) per programmi di assistenza tecnica collegati a esportazioni o investimenti in paesi non
appartenenti all’Unione Europea.
FONDI DI VENTURE CAPITAL
Simest sostiene gli investimenti italiani all’estero attraverso la partecipazione azionaria nelle società estere, la
gestione dei fondi relativi ai contributi e finanziamenti per i vari processi di internazionalizzazione ma anche,
attraverso, la gestione dei Fondi di venture capital.
I Fondi di venture capital sono fondi rotativi di capitale di rischio destinati al sostegno di investimenti di
imprese italiane in paesi di diverse aree geografiche ritenute prioritarie per le nostre imprese.
La finalità di tali Fondi è quella di sostenere lo sviluppo del nostro paese in aree strategiche: Balcani, Medio
oriente, Africa sub-sahariana, Cina, Russia e paesi caucasici.
222
Punti di Criticità del Management Internazionale
L’intervento consiste nell’acquisizione da parte di Simest o Finest di quote del capitale di rischio aggiuntive a
quelle previste dalla legge 100/90, fino al raggiungimento del 49% del capitale e senza necessità per
l’imprenditore di prestare apposite garanzie.
Simest, nel 2004, ha approvato progetti per quasi 50 milioni di euro soprattutto verso le aree dell’est Europa
(in particolare Romania) e dell’Asia orientale (in particolare Cina).
I fondi di venture capital, essendo caratterizzati da costi ridotti e dalla non necessità di prestare garanzie,
hanno avuto un grande successo, suscitando l’interesse di molti.
Attualmente Simest gestisce un unico Fondo per operazioni di venture capital, in seguito alla Legge
Finanziaria 2007 che ha provveduto a riunifiacare i sei Fondi gestiti precedentemente da Simest, estendendo
l’intervento anche ad altri paesi.
La rotatività è una caratteristica che il Fondo unico conserva, infatti, man mano che le partecipazioni
vengono disinvestite, il relativo importo rientra nella dotazione del Fondo.
Quando il Fondo acquisisce una partecipazione nell’impresa estera controllata, viene pattuito il riacquisto a
termine della partecipazione da parte dell’impresa italiana investitrice che ne ha richiesto l’intervento.
Il Fondo unico, con una dotazione di 228.556.401,70 euro, potrà essere destinato ad interventi in diversi
paesi elencati nella tabella che segue.
Paesi destinatari del Fondo Unico per operazioni
di venture capital





Africa: tutti i paesi africani
compresi quelli insulari
Albania
America Centrale e America
Meridionale: tutti i Paesi
dell’area ad esclusione dei
territori e possedimenti
d’oltremare dei paesi dell’UE
(PTOM) e di dipartimenti
francesi d’oltremare (DOM)
Armenia
Autorità Palestinese











Azerbaijan
Bosnia - Erzegovina
Croazia
Federazione Russa
Georgia
Giordania
India
Indonesia
Iraq e Paesi confinanti con
l’Iraq (purché con attività
prevalente rivolta all’Iraq)
Israele
Libano












Malaysia
Maldive
Moldavia
Montenegro
Repubblica di Macedonia
Repubblica Popolare Cinese
Serbia
Siria
Sri Lanka
Thailandia
Turchia
Ucraina
Fonte: International Trade n. 8/15 aprile 2007 Articolo: Il sostegno agli investimenti italiani all’estero: il
Fondo unico di venture capital a cura di Giampietro Garioni
223
Punti di Criticità del Management Internazionale
46. Il Business plan
I vantaggi offerti dagli strumenti di finanziamento agevolato, spesso si perdono per una cattiva
programmazione e redazione del piano di internazionalizzazione, o per la presentazione di progetti che sono
troppo azzardati per essere sostenuti da strutture organizzative inadeguate o ancora troppo fragili per
affrontare i mercati esteri.
Qualunque tipo di finanziamento l'impresa richieda: sia esso per condurre indagini di mercato per un
eventuale piano di fattibilità, sia per un progetto di esportazione, di penetrazione commerciale stabile o
creazione di società mista, sarà sempre opportuno, per non dire obbligatorio, analizzare tutti i passi da
compiere per non lasciare nulla al caso. Al fine di internazionalizzare la produzione, un’impresa deve partire
dall’esame dei dati economici e politici dei paesi che appaiono più interessanti, per scoprire qual’è il più
idoneo alla propria iniziativa.
L'imprenditore dovrà sommariamente:
1. pianificare e programmare tutte le fasi dell'intervento;
2. sottoporre l'azienda ad un check up interno, per verificare se la struttura e l'organizzazione sono in
grado di sostenere lo sviluppo estero, ovvero se vi è la capacità tecnica di gestire l’operazione;
3. verificare la possibilità di appoggio organizzativo qualora non si senta sufficientemente forte per
operare individualmente (ad esempio, può ricorrere ad una formula consorziata che permetta di
avviare la propria iniziativa con più imprese).
Solo a questo punto, dopo aver individuato le risorse richieste dal progetto e quelle già presenti all'interno
dell'impresa, sarà possibile procedere a stilare un documento scritto denominato Business plan da
presentare all'ente erogatore del finanziamento, con buone prospettive di ottenerlo.
IL BUSINESS PLAN È UN PIANO D'AZIONE CHE ILLUSTRA DETTAGLIATAMENTE LA STRATEGIA D'INTERVENTO, INDIVIDUANDO STEP
BY STEP LE RISORSE FINANZIARIE UMANE E TECNICHE NECESSARIE ALL'IMPLEMENTAZIONE DEL PROGETTO, IN UN ARCO
TEMPORALE PREDEFINITO.
Oggetto del Business plan è, quindi, la realizzazione di un progetto aziendale che, ai fini del presente
lavoro, riguarda un progetto di internazionalizzazione predisposto per valutare la fattibilità del medesimo.
Può prevedere la commercializzazione dei propri prodotti su di un determinato mercato, la possibilità di
creare una stabile organizzazione in un paese estero, il decentramento produttivo, la creazione di una
società di diritto estera di totale proprietà dell’azienda o, ancora, la realizzazione di una joint venture con un
partner straniero.
Il Business plan dovrà prendere in considerazione un periodo di tempo determinato necessario allo
sviluppo del progetto specifico e al raggiungimento dei risultati attesi. Periodo di tempo la cui durata dipende
dal tipo di progetto e dalla sua ampiezza.
Perché il Business plan

Non basta avere una buona idea per realizzare un progetto di successo

Facilita la valutazione e l’implementazione del progetto da realizzare

Permette di apportare le correzioni che si rendessero necessarie

Permette di valutare la bontà del progetto e la sua fattibilità

Consente di verificare la fattibilità, la convenienza economico-finanziaria e la sua redditività

Valuta le coerenze e le eventuali incoerenze dl progetto

Rappresenta un buon biglietto da visita per fornitori e clienti

È condizione necessaria per l’accesso a fonti di finanziamento agevolato
SCOPO DEL BUSINESS PLAN È DI VALUTARE LA REALE FATTIBILITÀ DEL PROGETTO ATTRAVERSO UN ESAME DELLE VARIABILI,
DESCRITTE NELLA TABELLA “ELEMENTI DEL BUSINESS PLAN” CHE DOVRANNO RISULTARE CONVINCENTI AGLI ESAMINATORI NEI
VARI ASPETTI CHE CARATTERIZZANO IL PROGETTO
224
Punti di Criticità del Management Internazionale
Elementi del Business plan
1.
Descrizione del progetto e degli obiettivi
2.
Definizione del piano commerciale
- valutazione del mercato di riferimento in cui si svilupperà il progetto
- analisi del contesto economico, sociale, politico e normativo
- individuazione del target di clienti e loro analisi
3.
Definizione del piano di marketing
4.
analisi del sistema competitivo
descrizione del prodotto o del servizio
definizione dell’offerta
individuazione del prezzo e del canale promozionale
definizione della rete distributiva
formulazione della strategia aziendale
individuazione di eventuali alleanze
Definizione del piano organizzativo
-
verifica delle competenze necessarie e delle risorse umane da coinvolgere nel progetto
-
valutazione della qualità e dei tempi di produzione
-
individuazione della tipologia di investimenti
5.
individuazione del project manager e dello staff di progetto
definizione delle strutture necessarie e delle loro caratteristiche
individuazione di dove localizzare le diverse attività (uffici, produzione, ecc.)
suddivisione dei compiti e dei tempi per realizzare il progetto
Definizione del piano produttivo
6.
analisi delle competenze necessarie e loro sviluppo
utilizzo capacità produttive dell’azienda e/o ricorso a capacità produttive alternative
valutazione delle tecnologie di processo
analisi della flessibilità della struttura produttiva
Definizione del piano logistico
7.
individuazione di dove localizzare le diverse attività (uffici, produzione, ecc.)
verifica della vicinanza di punti di smistamento, dell’esistenza di infrastrutture, ecc.
definizione dei tempi e delle modalità di realizzazione di tutto il processo di sviluppo del prodotto
Definizione del piano finanziario
-
individuazione delle risorse per fronteggiare l’investimento
analisi di tutti i costi fissi necessari per lo sviluppo del progetto
analisi di tutti i costi variabili
predisposizione di un conto economico di gestione caratteristica del mercato di riferimento
previsione dei flussi di cassa attesi
La preparazione di un business plan coinvolge tutti i settori e le divisioni dell'azienda. Creare una società
all'estero o installare un distaccamento produttivo vedrà impegnati tutti i partecipanti alla vita dell'impresa:

il commerciale dovrà trovare e mantenere i contatti con gli uffici pubblici e il partner estero e
favorire l'avanzamento del progetto;


la produzione dovrà apportare le sue conoscenze tecniche e mantenere gli standard di qualità;
l'amministrazione sarà coinvolta per espletare tutte le formalità burocratiche e per il controllo di
gestione e dei costi;
225
Punti di Criticità del Management Internazionale


la logistica dovrà interessarsi di organizzare i contatti con il nuovo impianto;
le risorse umane dovranno scegliere le persone competenti a partecipare al progetto
Se il progetto è di notevole entità spesso sarà necessario ricorrere all'ausilio di un Project Manager esterno
che, in ogni caso, farà solo da coordinatore fra le varie divisioni dell'impresa.
Da quanto detto, si comprende che sono numerose le variabili che devono essere prese in considerazioni
come oggetto d'esame e nessuna può essere tralasciata.
Sarà necessario individuare con precisione gli obiettivi che si vogliono raggiungere, e in base a questi,
scegliere qual è il paese e in quale area vi sono le condizioni ideali per realizzarli: individuare, quindi, i
vantaggi in termini di infrastrutture, produttività e redditività a parità di costi.
Dopo aver scelto dove, quale struttura produttiva avviare, (nel caso di investimento produttivo), quali le
risorse finanziarie di sostegno al progetto, si dovranno individuare i contatti, l'impatto commerciale che avrà
il progetto e ovviamente il fabbisogno in termini di risorse umane, selezionando, fra l'organico dell'impresa le
persone adatte e da coinvolgere nel progetto ed eventuali consulenti esterni.
E' IMPORTANTE SOTTOLINEARE, INOLTRE, CHE NEL MOMENTO IN CUI SI DECIDE DI CREARE UNA JOINT VENTURE O DI
INSTALLARE UN IMPIANTO PRODUTTIVO ALL'ESTERO NON SI PUÒ TRALASCIARE TUTTA QUELLA SERIE DI ELEMENTI SOCIO
-
CULTURALI DI UN PAESE CHE INEVITABILMENTE CONDIZIONANO ANCHE I PROCESSI PRODUTTIVI, IL MODO E LE TEMPISTICHE
LAVORATIVE
Nella tabella sottostante riportiamo evidenziate le variabili oggetto di esame per un business plan, che,
benché generiche, possono essere un punto di partenza per una corretta compilazione e progettazione.
Variabili oggetto di esame per la stesura di un Business plan

Obiettivi facilmente identificabili e quantificabili/misurabili

Motivazioni convincenti e coerenti

Struttura economico - finanziaria per sostenere il progetto

Redditività del progetto (ricavi e costi);

Impatto commerciale dell'iniziativa

Individuazione del piano adatto alle esigenze e agli obiettivi

Pianificazione del piano produttivo e commerciale

Fabbisogno di risorse umane

Fabbisogno di conoscenze tecniche e di processi

Fabbisogno finanziario

Struttura logistica dell'impresa

Individuazione del personale necessario e competente

Individuazione delle coerenze e delle eventuali incoerenze del progetto

Verifica eventuali difficoltà/punti di criticità/rischi e modalità di affronto

Individuazione del/i responsabile/i del progetto

Verifica delle capacità di realizzare il progetto

Tempistica necessaria al raggiungimento dei risultati

Definizione dei criteri di valutazione del control cost del progetto

Aspettative circa i risultati da raggiungere nel periodo di tempo considerato

Punti di forza nella realizzazione del progetto

Punti di debolezza e modi per affrontarli
226
Punti di Criticità del Management Internazionale
Sono CINQUE i suggerimenti per la corretta elaborazione del Business plan:
1.
2.
3.
4.
5.
Individuare i criteri e gli strumenti di valutazione
Definire i prerequisiti circa la struttura e l’organizzazione
Identificare le potenzialità ed i limiti del progetto
Illustrare come sviluppare i contenuti
Tracciare sempre le conclusioni
227
Punti di Criticità del Management Internazionale
Bibliografia consigliata

Albicini, A., Zavatta R., Il Contratto Internazionale di Agenzia, 2ª ed., Maggioli Editore, Rimini,
2003.

Bianchi M., Saluzzo D., I Contratti Internazionali, Il Sole 24 Ore, Milano, 2005.

Bortolotti F., Diritto dei Contratti Internazionali, Cedam, Padova, 1998.

CCI, Modello “Breve” ICC di Contratti Internazionali, pubbl. 634, Roma 2002.

CCI, Modello CCI di Contratto di Concessione di Agenzia Commerciale, pubbl. 496, Roma,
1992.

CCI, Modello CCI di Contratto di Vendita (importatore/distributore esclusivo), pubbl.. 518,
Roma, 1996.

CCI, Modello CCI di Contratto di Vendita Internazionale, pubbl. 558, Roma, 1998.

Di Meo A., Le Garanzie Bancarie, in rivista quindicinale International Trade , n. 11, 13, 17, 19, 21,
Eurosportello Ravenna, 2006.

Di Meo A., Pagamenti Internazionali: 200 casi risolti, 2ª ed., Ipsoa, Milano, 2003.

Di Meo A., Il Credito documentario, Ipsoa, Milano, 2007.

Di Meo A., Manuale Pratico del Commercio Internazionale, Maggioli Editore, Rimini, 2007.

Di Meo A., Garioni G., Soluzioni Finanziarie per l’Export, Banca e Impresa, Banco Popolare di
Verona Novara, Verona, 2006.

Favaro M., I trasporti Internazionali, 3ª ed., Ipsoa, Milano, 2005.
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Garioni G., Il Forfaiting: struttura, mercato, funzionamento, agevolazioni, in rivista
quindicinale Commercio Internazionale, n. 14, Ipsoa, Milano, 2001.
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Giampieri A., Il Credito Documentario: profili di autonomia e causalità, Cedam, Padova,
1993.
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Kurkdjan V., Produrre all’Estero, Il Sole 24 Ore, Milano, 1996.
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Lombardi L., Guida Pratica per l’Esportatore, 14ª ed., Franco Angeli, Milano, 2006.
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Mariotti S., Muttinelli M., La Crescita Internazionale per le PMI, Il Sole 24 Ore, Milano, 2003.
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228
Punti di Criticità del Management Internazionale
Siti consigliati

http:// www.mincomes.it

https:// www.sace.it

http:// www.simest.it

http:// www.finest.it

http:// www.ice.gov.it

http:// www.cciitalia.org
229
4a Parte
INDIVIDUAZIONE E GESTIONE DEI
COSTI NELLE OPERAZIONI
DOGANALI: COMPETITIVITÀ A
RISCHIO?
Laura Carola Beretta
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
47. Alcune ragioni per un approccio strategico alle operazioni commerciali
internazionali: considerazioni introduttive
La disciplina applicabile alle operazioni commerciali internazionali è sempre più complessa ed in continuo
mutamento. Ad una fase iniziale che vedeva le merci quali protagoniste di primaria importanza, gli sviluppi
delle relazioni commerciali hanno visto crescere la funzione del commercio di servizi e della protezione dei
diritti di proprietà intellettuale. Questa evoluzione è riflessa nel fatto che gli accordi gestiti
dall’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) contemplano sia lo scambio di beni, sia il commercio di
servizi e gli aspetti di proprietà intellettuale. Con portata più limitata, invece, le norme del General
Agreement on Tariffs and Trade (GATT), l’accordo che ha disciplinato il commercio internazionale fino
all’entrata in vigore, nel 1995, del sistema OMC, riguardavano il solo commercio di beni. Il processo di
liberalizzazione, gestito prima dal GATT e successivamente dall’OMC, ha portato ad un generale
abbassamento dei dazi, che ha interessato principalmente i prodotti importati nei Paesi industrializzati, e
continua a promuovere l’istituzione di norme più trasparenti e semplici relative alle barriere non tariffarie del
commercio mondiale. Allo stesso tempo però, la partecipazione della quasi totalità degli Stati al contesto
dell’economia globalizzata ha reso la spinta concorrenziale dei Paesi terzi, in particolare di quelli c.d.
emergenti, sempre più pressante.
L’eliminazione, a partire dal gennaio 2005, delle quote all’importazione di prodotti tessili e dell’abbigliamento,
e l’ingresso della Cina nell’OMC nel 2003, sono altre due circostanze che hanno messo in difficoltà le
economie dei Paesi industrializzati, in quanto hanno reso la competitività dei prodotti importati ancora più
pressante. A partire dall’eliminazione delle quote, i mercati nazionali possono essere protetti dalle
importazioni di prodotti tessili e dell’abbigliamento solo tramite dazi doganali. L’appartenenza della Cina
all’OMC, fa sì che ai prodotti cinesi, al momento della loro importazione venga applicato, in virtù del principio
di non discriminazione, lo stesso trattamento riservato ai prodotti originari degli altri Stati membri dell’OMC.
Per parte sua la Cina, invece, secondo quanto stabilito dal suo protocollo di adesione, beneficia della
possibilità di adattare la propria legislazione alla disciplina OMC in maniera graduale. Questo significa che la
Cina sta beneficiando dell’apertura dei mercati giovandosi, al contempo, di un periodo transitorio durante il
quale adattare la propria legislazione alle regole del commercio internazionale.
La reazione più ‘vistosa’ ad uno scenario sempre più competitivo è il ricorso sempre più frequente da parte
degli Stati a strumenti di difesa commerciale utilizzati in chiave alternativa ai dazi. Si pensi ad esempio ai
numerosi requisiti di etichettatura tecnica necessari affinché un prodotto possa essere messo sul mercato nel
rispetto della sicurezza dell’ambiente e del consumatore. Nello stesso senso, la tendenza presente in sempre
più Paesi a rendere obbligatoria, proprio a tutela del consumatore, l’indicazione del Paese di origine sui
prodotti importati è indice di un’attenzione maggiore agli interessi di chi acquista; ma è anche un modo per
proteggere la produzione nazionale rendendo più complesse le operazioni d’importazione. Nella medesima
direzione va considerato l’aumento del ricorso ai procedimenti antidumping miranti a ristabilire l’equilibrio
competitivo messo in pericolo dalla pratica delle aziende straniere che esportano i propri prodotti a prezzi
inferiori rispetto a quelli praticati sul mercato di origine.
Un altro tratto caratterizzante le relazioni commerciali internazionali odierne è la proliferazione di accordi
commerciali preferenziali. È interessate notare che gli accordi di ultima generazione non si limitano più a
prevedere la graduale eliminazione dei dazi doganali all’importazione di prodotti originari dei Paesi parte agli
accordi, includendo, invece, anche disposizioni relative al commercio di servizi, agli strumenti di difesa
commerciale (antidumping, anti-sovvenzioni e misure di salvaguardia), agli investimenti ed alla protezione
della proprietà intellettuale. Questo implica, da un lato, una maggiore integrazione economica, assistita
dall’armonizzazione delle legislazioni, tra gli Stati parte dell’accordo, ma comporta, sotto un altro punto di
vista, il moltiplicarsi di regimi normativi applicabili, traducendosi quindi, in un costo conoscitivo e di
‘fattibilità’ del commercio internazionale.
In un contesto normativo contraddistinto da una elevata frammentarietà del quadro normativo applicabile,
all’impegno di armonizzazione e semplificazione della normativa applicabile agli scambi commerciali
internazionali, si sommano gli sforzi intrapresi a livello regionale. L’entrata in vigore del Codice doganale
aggiornato88 può senz’altro tradursi in un cambiamento positivo per le aziende che operano nella e con
l’Unione europea. Tuttavia, per effettuare una valutazione concreta dei cambiamenti apportati dal nuovo
codice è opportuno attendere l’entrata in vigore delle nuove disposizioni di applicazione.
88
Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio N° 450/2008
231
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
Questi cambiamenti, attorno alla cui evoluzione si formano ordini di interessi contrapposti, accrescono la
complessità del contesto normativo e operativo di riferimento. Tali mutamenti sono portatori di opportunità
che possono però tradursi in costi se non vengono correttamente gestite. Ecco quindi che la questione di
trattare la variabile doganale del commercio internazionale come una forma di management che vada al di là
del disbrigo della compilazione dei documenti doganali e della movimentazione delle merci diventa rilevante.
Prendendo spunto da queste considerazioni preliminari, viene innanzitutto esaminato il panorama di barriere
tariffarie e non tariffarie che ostacolano il commercio di beni, citando dei dati alla luce dei quali è evidente
come la liberalizzazione commerciale, intesa come abbassamento del livello dei dazi, sia in realtà limitata ad
alcuni prodotti. Infatti, le tariffe applicate dalla maggior parte dai Paesi in via di sviluppo (PVS) sono ancora
alquanto elevate; lo stesso vale per i dazi imposti dai Paesi industrializzati per l’importazione di prodotti
agricoli e di beni labour intensive. Segue un’analisi dettagliata dell’impatto dell’indicazione di origine ‘Made
in…’ in termini di ulteriore ostacolo all’accesso ai mercati verso i quali le imprese italiane ed europee sono
interessate ad esportare i loro prodotti. Alcune considerazioni operative circa l’importanza degli accordi
commerciali preferenziali anticipano le conclusioni.
232
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
48. I costi del commercio internazionale di beni: dazi e barriere non tariffarie
Affinché un’azienda possa aver garantito l’accesso strategico ai mercati di import-export, riducendo al
minimo il rischio di blocchi in dogana ed usufruendo appieno dei trattamenti tariffari preferenziali, viene in
rilievo la necessità di conoscere i principali ostacoli che, se non affrontati con una corretta pianificazione,
riducono il successo dell’attività commerciale.
Le barriere tariffarie e quelle non tariffarie costituiscono le due categorie di impedimenti al commercio
internazionale di beni. Questa suddivisione va considerata in due sensi: sia per le merci in importazione nel
territorio comunitario sia per i beni esportati verso i Paesi terzi. Infatti, i prodotti importati nel territorio della
Comunità europea sono soggetti all’applicazione dei dazi e delle barriere non tariffarie previste dalla politica
commerciale e dalle norme doganali comunitarie.
Allo stesso modo, i prodotti esportati dalle imprese comunitarie verso gli Stati terzi, sono sottoposti, al
momento dell’importazione in tali Stati, alle barriere tariffarie e non tariffarie previste dalla politica
commerciale e dalle norme doganali applicabili al momento dell’importazione da ciascuno Stato
importatore (v. box). Questa considerazione è utile ad evitare di cadere nella pericolosa
semplificazione secondo la quale rispettare i criteri della legislazione comunitaria significa
anche aver soddisfatto i requisiti normativi sostanziali e procedurali dei Paesi verso i quali si
esporta. Infatti, essendo ciascuno Stato destinatario delle esportazioni di prodotti delle aziende italiane e
comunitarie un ordinamento autonomo, è libero di decidere costi e condizioni per ammettere i prodotti
stranieri all’importazione nel proprio territorio.
Casi particolari di Stati importatori
Comunità europea
Hong Kong, Cina
L’articolo 133 del Trattato di Roma, istitutivo della
CE, prevede che “la politica commerciale comune è
fondata su principi uniformi, specialmente per quanto
concerne le modificazioni tariffarie, la conclusione di
accordi tariffari e commerciali, l’uniformazione delle
misure di liberalizzazione, la politica di esportazione,
nonché le misure di difesa commerciale (…)”. Gli Stati
membri hanno quindi trasferito i poteri decisionali
agli organi comunitari relativi a tali materie che sono
quindi di competenza esclusiva comunitaria.
Macao, Cina
Territori doganali di Taiwan, Penghu, Kinmen e
Matsu, Cina
Tali territori soddisfano l’art. XII dell’accordo OMC in
base al quale possono diventare membri: “ciascuno
Stato o territorio doganale dotato di piena autonomia
nella gestione delle proprie relazioni commerciali
esterne”
233
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
49. Dazi più bassi?
I dazi doganali sono i diritti riscossi dall’autorità doganale al momento dell’importazione in relazione ad
un’operazione doganale. Secondo un principio fondamentale del sistema GATT-OMC, quello della c.d.
protezione doganale esclusiva, i dazi doganali, a differenza delle barriere non tariffarie, sono l’unica misura
di protezione dei mercati nazionali consentita; la ragione di questa differenza sta nel minore impatto
distorsivo e nella maggior trasparenza, e quindi prevedibilità, delle misure tariffarie.
Il livello dei dazi doganali si è sensibilmente ridotto grazie ai negoziati svolti in ambito GATT-OMC; nei primi
5 anni successivi all’istituzione dell’OMC, le riduzioni tariffarie relative alle importazioni di prodotti industriali
nei Paesi più avanzati, hanno fatto sì che la media dei dazi applicati a tali prodotti fosse tra il 6,3% e il 3,8%.
Tuttavia alcuni studi richiamano l’attenzione su come le barriere tariffarie continuino a rappresentare un
notevole ostacolo di accesso ai mercati dei Paesi terzi89. Va innanzitutto tenuto presente che, mentre i Paesi
industrializzati utilizzano i dazi, certamente come fonte di risorsa economica, ma soprattutto come strumenti
di difesa della produzione nazionale, nei Paesi in via di sviluppo la funzione dei dazi in chiave di introito per
la finanza pubblica è decisamente prevalente. I Paesi in via di sviluppo sono la stragrande maggioranza, oltre
a rappresentare un’opportunità sia come nuovi mercati di sbocco sia come opzioni per delocalizzare la
produzione. In termini odierni, secondo l’OMC, i dazi all’importazione pari o superiori al 15% sono da
considerare elevati; vengono, infatti definiti “picchi tariffari”.
Gli esempi della tabella che segue 90 mostrano le medie dei dazi applicati all’importazione di prodotti agricoli e
industriali, oltre ad alcuni significativi esempi di picchi tariffari, secondo la tariffa dell’Unione europea, degli
Stati Uniti e della Svizzera, ossia dei principali destinatari delle esportazioni comunitarie, del Brasile e del
Messico. I dazi specifici della Svizzera e degli altri Stati della tabella sono espressi secondo il loro equivalente
ad valorem.
Unione
europea
Stati Uniti
(terzo Paese
destinatario
delle
esportazioni
italiane, dopo
Germania e
Francia*)
Svizzera (sesto
Paese di
export per
l’Italia*)
Livello medio dei dazi
Media dei dazi applicati ai prodotti agricoli: 18,6%
Media dei dazi applicati ai prodotti industriali: 4%
L’Unione europea applica dazi ad valorem per il 90%
(WTO 2006)
Media dei dazi applicati ai prodotti agricoli: 9,7%
Media dei dazi applicati ai prodotti industriali: 4%
I dazi non ad valorem riguardano il 10,6% dei
prodotti tra cui molti prodotti agricoli, le calzature,
gli orologi, gli strumenti di precisione
Media dei dazi applicati ai prodotti agricoli: 36%
Media dei dazi applicati ai prodotti industriali: 2,3%
La Svizzera applica esclusivamente dazi specifici
(WTO 2004)
Picchi tariffari
Riguardano il 5,8% dei prodotti a
tariffa “consolidata”.
Tra i prodotti colpiti: le carni di
bovino congelate (276,9%),
frattaglie di carne (427,9%), alcuni
succhi di ananas (209,8%), alcune
qualità di funghi (300,8%)
Al 5,5% delle linee tariffarie si
applicano dazi superiori al 15%
(sino al 2004).
Tra i prodotti colpiti: tabacco
(350%), le arachidi (164%); nel
settore non agricolo il prodotto più
colpito sono le calzature (58%)
Riguardano il 6,9% dei prodotti a
tariffa “consolidata”, oscillano tra il
15 e il 25% EAV.
Tra i prodotti colpiti: saponi,
dentifrici, preparazione per il
bagno, alcuni articoli di carta,
prodotti tessili.
Il dazio per alcuni olii, tessuti e
89
Si v. in particolare OECD Trade Policy Working Paper No. 45, The role of trade barriers in SME internationalization
(unclassified), 2006, p. 6
90
Fonti OMC
*
Classifica del Ministero del Commercio Internazionale su dati ISTAT
234
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
Brasile
(trentesimo
Paese di
export per
l’Italia*)
Messico
(ventottesimo
Paese di
export per
l’Italia*)
capi di abbigliamento eccedono il
25% EAV
Il 55% dei prodotti importati sono
Media dei dazi applicati ai prodotti agricoli: 10.2%
Media dei dazi applicati ai prodotti industriali: 10,5% soggetti a dazi compresi in un
range del 10-20%; tra questi
Il Brasile applica solo dazi ad valorem (WTO 2004)
prodotti vi sono prodotti lattierocaseari, bevande, prodotti alcolici,
tabacco, prodotti del tessileabbigliamento, macchinari non
elettrici; per i prodotti del settore
automobilistico i dazi sono del
35%.
Media dei dazi applicati ai prodotti agricoli: 24,9%
Tra i prodotti più colpiti da picchi
Media dei dazi applicati ai prodotti industriali: 15,6% tariffari vi sono: la carne, i prodotti
Il Messico applica principalmente dazi ad valorem
del tabacco, i cereali, i prodotti
(WTO 2003)
lattiero-caseari, i prodotti
dell’abbigliamento, le calzature e
gli oli di semi
Le ragioni per cui i dazi continuano ad incidere significativamente nel commercio internazionale sono
riconducibili anche ad altri fenomeni. Tra i più significativi vanno evidenziati la modalità di percezione dei
dazi e la variabilità delle tariffe nel tempo.
Le modalità di percezione dei dazi doganali sono principalmente quattro:
-
-
-
i dazi ad valorem, calcolati in proporzione al valore delle merci importate ed esportate dalle
autorità doganali di ciascun Paese. I dazi ad valorem sono considerati più trasparenti e meno
distorsivi in quanto incidono in percentuale costante sul prezzo dei prodotti scambiati e diminuiscono
in valore assoluto in presenza di prezzi più bassi, favorendo le merci più concorrenziali. Nella
maggior parte dei Paesi OCSE i dazi vengono imposti ad valorem, con la significativa eccezione della
Svizzera che, insieme agli Stati Uniti, è il maggior destinatario delle esportazioni comunitarie;
i dazi specifici, consistenti in un’aliquota di prelievo fissa per unità fisica o per unità di peso del
prodotto, indifferenti alle variazioni dei prezzi. La tariffa svizzera prevede esclusivamente dazi
specifici. Secondo l’equivalente ad valorem (EAV), la media dei dazi svizzeri è del 12%, il 2,3% per i
prodotti industriali e del 36% per i prodotti agricoli. La media aritmetica dei dazi applicati che era
dell’8,9% nel 2000, è cresciuta al 9,3% nel 2004, molto probabilmente in ragione di un trend
discendente dei prezzi dei prodotti importati. Dato il livello esiguo dei dazi previsti per i prodotti
industriali, l’effetto in termini di liberalizzazione degli accordi di libero scambio conclusi dalla Svizzera
è modesto, con l’importante eccezione dei prodotti di abbigliamento e di alcuni prodotti alimentari;
i dazi misti sono una combinazione tra il prelievo fisso rispetto alla quantità delle merci e il prelievo
commisurato al loro valore;
i contingenti tariffari, una via di mezzo tra i dazi doganali e i contingenti all’importazione,
comportano l’applicazione di dazi variabili, normalmente crescenti, in funzione della quantità
importata; viene quindi applicata una determinata aliquota di prelievo ad un primo contingente di
merci ed un’aliquota maggiore per il contingente successivo.
La variabilità delle tariffe è un grave elemento di perturbazione degli scambi internazionali. Infatti, in
assenza di obblighi convenzionali, ogni Stato è libero di modificare le aliquote applicate sui diversi prodotti a
seconda delle circostanze. Si capisce quindi perché, secondo un altro principio importante del sistema GATT,
è fondamentale che gli Stati s’impegnino a rispettare un tetto massimo prestabilito di dazio che non deve
essere superato. Le tariffe vengono quindi “consolidate” al livello dell’aliquota massima. Grazie a questo
principio, il numero di prodotti importati secondo tariffe “consolidate” è aumentato dal 78% al 99% nei Paesi
industrializzati, dal 21% al 73% nei Paesi in via di Sviluppo e dal 73% al 98% negli Stati in transizione verso
l’economia di mercato.
235
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
Va tuttavia notato che le tariffe effettivamente applicate sono normalmente inferiori a quelle “consolidate”;
se sotto un certo profilo ciò è sicuramente un vantaggio, secondo un altro punto di vista, questa prassi
rende l’effetto positivo del “consolidamento” solo parziale, in quanto un operatore economico può trovarsi in
qualsiasi momento a far fronte a tariffe diverse da quelle previste, benché entro margini prefissati.
236
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
50. Le barriere non tariffarie
L’uso sempre più diffuso di barriere non tariffarie si caratterizza, come si è visto,nel Capitolo 47, come una
delle principali reazioni ai mutamenti dello scenario delle relazioni commerciali. La definizione esistente è
piuttosto generica in quanto considera qualsiasi politica commerciale diversa dai dazi doganali avente un
impatto sulle importazioni ed esportazioni un ostacolo non tariffario91. La stessa esistenza del fuso orario e il
fatto che non tutte le dogane di tutti gli Stati del mondo sono aperte 24 ore su 24 costituisce un ostacolo
non tariffario.
Ripercorrere, seppur schematicamente, le tappe principali percorse nell’ambito del sistema GATT-OMC nella
predisposizione di una disciplina ad hoc delle misure di difesa commerciale alternative ai dazi aiuta ad
individuare i primi ostacoli non tariffari oggetto di disciplina multilaterale (v. box).
Le barriere non tariffarie nella storia del sistema GATT - OMC
Durante il Kennedy Round (1964-1967)
All’epoca della redazione del GATT, nel periodo
successivo al secondo conflitto mondiale, vennero
disciplinati solamente gli ostacoli al commercio
internazionale maggiormente diffusi e i cui effetti
erano più immediati ed evidenti: i dazi doganali e le
restrizioni quantitative. A partire dagli anni ’60,
quando il livello dei dazi doganali era già ridotto a
tassi trascurabili per molti prodotti industriali, venne
sentita l’esigenza di affrontare la questione della
regolamentazione delle barriere non tariffarie che
andavano ad incidere in maniera sempre più
significativa sugli scambi di beni annullando, in parte,
gli effetti della liberalizzazione raggiunta in campo
daziario. Il primo negoziato in cui tale argomento
venne affrontato fu il Kennedy Round che portò alla
conclusione del Codice antidumping
Durante il Tokyo Round (1973-1979)
La questione delle barriere non tariffarie venne
affrontate per la prima volta in maniera sistematica.
Vennero conclusi il codice sulle sovvenzioni, il
secondo codice antidumping, l’accordo sulla
valutazione delle merci in dogana, sugli appalti
pubblici, sugli ostacoli tecnici agli scambi e sulle
procedure per il rilascio delle licenze all’importazione
Durante l’Uruguay Round (1986-1994)
1. Vennero riformati I Codici sulle materie non
tariffarie conclusi in occasione del Tokyo Round al
fine di superare le lacune persistenti e i dubbi
interpretativi
2. Al fine di “aumentare la capacità del sistema GATT
di adeguarsi all’ambiente economico internazionale in
evoluzione” (cfr. il Preambolo di questi accordi),
vengono stipulati l’Accordo sulle ispezioni preimbarco, l’Accordo sull’origine delle merci, l’Accordo
sulle misure relative agli investimenti che incidono
sugli scambi commerciali
Gli accordi OMC sugli ostacoli tecnici al commercio (Accordo TBT), le misure sanitarie e fitosanitarie (Accordo
SPS), le procedure di rilascio delle licenze d’importazione, l’ispezione pre-imbarco, la determinazione del
valore in dogana e le regole di origine hanno per obiettivo la trasparenza delle regole, procedure e pratiche
amministrative e doganali rilevanti. Inoltre, questi accordi, al fine di facilitare le operazioni del commercio
V. The Terms of Trade and Other Wonders, Deardorff’s
personal.umich.edu/~alandear/glossary/n.html
91
237
Glossary of International Economics, http://www-
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
internazionale, mirano all’armonizzazione delle norme cui si riferiscono. Gli accordi OMC relativi all’antidumping, ai sussidi e alle misure compensative (Accordo SMS) e alle misure di salvaguardia vanno, invece,
considerati alla stregua misure adottate per ristabilire la competitività commerciale.
GLI OSTACOLI TECNICI AL COMMERCIO
Per tutelare la salute e la sicurezza dei consumatori e per preservare l’ambiente, gli Stati adottano norme
tecniche che prescrivono le caratteristiche che devono essere soddisfatte dai prodotti per realizzare gli
obiettivi di tutela delle persone e dell’ambiente. Le norme tecniche dispongono previsioni relative alla forma,
la dimensione, il design, la funzione e la performance, oltre a prevedere una serie di requisiti di
etichettatura. L’Accordo TBT contempla due tipologie di norme tecniche: i regolamenti tecnici e gli
standards. I requisiti previsti da un regolamento tecnico sono obbligatori. La marcatura ‘CE’ prevista per
alcune categorie di prodotti, come ad esempio i giocattoli e i prodotti dell’elettronica, è un esempio di
regolamento tecnico che deve essere obbligatoriamente soddisfatto. Questo significa che dei giocattoli
importati dalla Cina sprovvisti di tale marcatura sono, in caso di controllo doganale, fermati al momento
dell’importazione, e salvo la possibilità di regolarizzarne la marcatura, non potranno accedere al mercato
comunitario. Sotto il profilo aziendale, il problema, comune a tutti gli ostacoli di tipo non tariffario, è
rappresentato dalla difficoltà di conoscere ed applicare correttamente i differenti regolamenti tecnici previsti
da ciascuno Stato verso il quale un’impresa vuole esportare i propri prodotti. Gli standards, a differenza dei
regolamenti tecnici, sono volontari. Un prodotto che non rispetta gli standards può essere ugualmente
importato e venduto. Tuttavia, gli standards rivestono un’importanza fondamentale nella
commercializzazione dei prodotti in quanto, essendo indice di qualità, ne promuovono l’immagine e
l’affidabilità.
LE MISURE SANITARIE E FITOSANITARIE
Sono i requisiti che devono essere soddisfatti dai prodotti agricoli, come ad esempio la carne, i prodotti a
base di carne, la frutta fresca e i vegetali per poter essere importati senza mettere a rischio di contagio con
eventuali parassiti la salute umana o animale. Anche questo tipo di misura non tariffaria si presta ad essere
utilizzata in chiave difensivo – discriminatoria, al di là degli obiettivi legittimi che ne giustificano
l’applicazione. Vi sono Paesi che applicano misure sanitarie molto restrittive. Per esempio, lo standard cinese
per l’importazione dei prosciutti è particolarmente severo. Distingue, innanzitutto tra prosciutti crudi, cotti e
salami. I prosciutti crudi italiani sono ammessi all’importazione in Cina solo se garantiti dal Consorzio di San
Daniele o di Parma. Più precisamente, sono ammessi all’importazione in Cina solo i prosciutti crudi garantiti
da questi due consorzi, che siano stati stagionati per un minimo di 313 giorni e che siano stati ottenuti dalle
cosce di animali macellati in uno degli unici 4 macelli italiani riconosciuti e autorizzati dai veterinari cinesi!
LE LICENZE ALL’IMPORTAZIONE
La disciplina GATT-OMC stabilisce il divieto assoluto, salvo le deroghe espressamente contemplate e
disciplinate, di restrizioni quantitative al commercio, in quanto permettono di realizzare una protezione del
mercato nazionale molto più rigida di quella ottenibile tramite i dazi. Questi ultimi portano sì ad una
limitazione della concorrenza internazionale, ma non la eliminano del tutto. Gli esportatori
stranieri e le imprese importatrici nazionali hanno infatti l’opportunità di compensare lo
svantaggio commerciale che ne deriva pianificando la produzione in modo da ridurre il prezzo
dei loro prodotti. L’interdizione delle importazioni al di là di un quantitativo determinato elimina invece
molto più drasticamente la concorrenza straniera. Le licenze all’importazione cadono sotto il divieto di
restrizioni quantitative al commercio stabilito dall’art. XI del GATT in ragione delle procedure amministrative
connesse al loro rilascio. Tali procedure infatti costituiscono un ostacolo al commercio internazionale
particolarmente gravoso in quanto accentuano l’onerosità e la complessità delle operazioni di importazione e,
soprattutto, conferiscono alla pubblica amministrazione un potere discrezionale che è facilmente utilizzabile
in modo arbitrario e discriminatorio. L’accordo OMC promuove la semplificazione e la trasparenza delle
procedure di rilascio delle licenze d’importazione.
LE ISPEZIONI PRE-IMBARCO
Consistono nella pratica di utilizzare compagnie private specializzate al fine di controllare, fra l’altro, qualità,
quantità, prezzo, tassi di cambio della valuta, termini di resa e classificazione tariffaria delle merci. Sono
238
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
utilizzate soprattutto dalle autorità dei Paesi in via di sviluppo al duplice scopo di salvaguardare gli interessi
finanziari nazionali (riducendo al minimo la perdita di introiti derivante dalla mancata riscossione dei dazi)
compensando, al contempo, le carenze delle infrastrutture doganali e amministrative di tali Paesi. L’accordo
OMC mira a bilanciare gli interessi delle imprese esportatrici dei Paesi industrializzati e le necessità di
salvaguardia di interessi economici essenziali per i Paesi in via di sviluppo.
I DAZI ANTIDUMPING, I DAZI COMPENSATIVI E LE SALVAGUARDIE COMMERCIALI
Comunemente definiti come strumenti di difesa commerciale, vengono adottati al fine di tutelare la
produzione nazionale dalla competitività straniera. Mentre i dazi antidumping e i dazi compensativi
costituiscono misure di reazione che è legittimo adottare a titolo di difesa a fronte di politiche commerciali
sleali messe in atto da Paesi terzi, le misure di salvaguardia svolgono la funzione di ‘valvola di sicurezza’
azionabile per difendere un settore produttivo nazionale da un incremento importante di importazioni. Il
dumping si verifica relativamente ai prodotti esportati da un’impresa di uno Stato terzo ad un prezzo
inferiore rispetto a quello praticato sul mercato del Paese esportatore. Quando la comparazione tra questi
due prezzi non è possibile in quanto il prodotto non è venduto sul mercato del Paese esportatore, si utilizza,
a titolo di riferimento, il prezzo praticato per un prodotto simile in un Paese terzo. La Cina è il Paese cui si
applicano la maggior parte dei dazi anti-dumping stabiliti dalla Comunità europea. In mancanza della
possibilità di comparare il prezzo praticato in Cina con il prezzo di vendita nella Comunità europea, si fa
spesso riferimento al prezzo praticato per i prodotti simili in India e in Brasile. Si considera che un prodotto
sia venduto in dumping anche nel caso in cui il prezzo di vendita sia inferiore al costo di produzione.
Al fine di poter imporre misure antidumping, è necessario poter provare l’esistenza di tutti e tre i seguenti
elementi: i) un margine di dumping ii) il pregiudizio o la minaccia di pregiudizio; e iii) il legame causale tra il
dumping e il pregiudizio. Un altro elemento fondamentale è lo svolgimento di un’inchiesta. Le norme OMC
prevedono requisiti specifici relativi all’apertura e lo svolgimento dell’inchiesta anti-dumping, e alle condizioni
atte ad assicurare a tutte le parti interessate dal procedimento anti-dumping la possibilità di presentare
adeguate prove. A partire dalla data della loro imposizione, le misure anti-dumping possono essere
mantenute in vigore per 5 anni, salvo la possibilità di estenderle ulteriormente nel caso in cui ciò sia
necessario per rimuovere il pregiudizio a danno dell’industria nazionale.
I DAZI COMPENSATIVI
Possono essere applicati per reagire nel caso in cui la competitività dei prodotti venduti sul mercato
nazionale è il risultato dei sussidi ricevuti dal governo del Paese esportatore. L’Accordo SMS definisce il
concetto di sussidio e di specificità. Ai sensi di tale accordo, un sussidio è un contributo finanziario, dato da
un governo, o da qualsiasi organismo pubblico, dal quale discende un beneficio. Tra i tipi di misura che
possono rappresentare un sussidio, l’Accordo SMS elenca i trasferimenti di fondi, i prestiti, gli incentivi fiscali
e le forniture di beni e servizi. Un contributo finanziario è un sussidio solo nel caso in cui conferisca un
beneficio. Inoltre, per essere oggetto di una procedura compensativa, il sussidio deve essere specificamente
conferito a un un’impresa o a un gruppo di imprese. La procedura per l’imposizione di misure compensative
è molto simile a quella prevista per l’anti-dumping. È infatti necessario condurre un’inchiesta che dimostri i)
l’esistenza di un sussidio; ii) il pregiudizio o la minaccia di pregiudizio; e iii) il legame causale tra il sussidio e
il pregiudizio. Anche le misure compensative possono essere mantenute in essere per 5 anni.
La procedura svolta per l’imposizione di misure di salvaguardia ricalca quelle già descritte per l’antidumping e le misure compensative. Tuttavia, in questo caso, il primo dei tre elementi che deve emergere
dall’inchiesta è l’aumento significativo delle importazioni. Inoltre, se la misura necessaria a proteggere la
produzione nazionale dovesse essere rappresentata da quote, queste non devono avere l’effetto di ridurre le
quantità importate al di sotto della media annuale degli ultimi 3 anni per i quali vi sia disponibilità di dati
statistici, salvo nell’eventualità che un’ulteriore riduzione del livello di quantità importate non si riveli
necessaria a prevenire o a rimediare una situazione di grave pregiudizio. In virtù della funzione che sono
destinate a svolgere, le misure di salvaguardia hanno una portata di carattere generale, e non sono, in
principio, rivolte alle importazioni di un Paese specifico. La loro durata non può essere maggiore di 4 anni,
salvo la possibilità di una loro estensione per altri 4 anni, qualora questo fosse necessario. La possibilità di
estensione per altri 4 anni delle misure di salvaguardia va giustificata dalla presentazione di elementi di
prova relativi al processo di ristrutturazione in corso del settore produttivo che ha beneficiato della
salvaguardia.
239
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
La disciplina della Comunità europea richiama le norme previste dagli accordi OMC, con la differenza che gli
strumenti di difesa commerciale possono essere adottati solo se sono nell’interesse comunitario. Questo
significa che la presenza di i) una pratica di dumping, o di un sussidio, o di un aumento importante dei flussi
d’importazione di un prodotto; ii) di pregiudizio o di minaccia di pregiudizio; iii) dell’esistenza di un legame
causale deve essere valutata alla luce di un interesse più generale della Comunità europea. Infatti, se è
indubbio che gli strumenti di difesa commerciale tutelano i produttori, possono essere contrari agli interessi,
oltre che degli utilizzatori e dei consumatori, di quelle imprese che hanno delocalizzato e che importano
prodotti proprio da quei Paesi che verrebbero colpiti dall’imposizione di misure difensive.
Le misure anti-dumping sono di gran lunga le più utilizzate. Infatti, nel periodo compreso tra gennaio 1996 e
dicembre 2005, la Comunità europea ha imposto 194 misure antidumping definitive, aprendo 38 casi verso
la Cina e 16 verso l’India. Al 31 ottobre 2006, erano in vigore 12 misure compensative. Alla fine del 2006,
era in vigore una sola misura di salvaguardia. La Comunità europea è il terzo utilizzatore al mondo di
strumenti di difesa commerciale. Infatti, sempre avendo come riferimento il periodo gennaio 1996 –
dicembre 2005, contro le 194 misure anti-dumping imposte dalla Comunità europea, l’India ne ha imposte
309 e gli Stati Uniti 201.
La Commissione europea svolge un ruolo fondamentale nelle inchieste anti-dumping, relative ai sussidi e alle
salvaguardie. Decide infatti relativamente all’apertura dell’inchiesta, all’imposizione di misure provvisorie,
oltre a proporre al Consiglio l’adozione di misure definitive. Il Consiglio decide in merito all’imposizione di
misure definitive anti-dumping e anti-sovvenzione votando a maggioranza semplice, mentre, per
l’approvazione di misure di salvaguardia è necessaria la maggioranza qualificata degli Stati membri.
LE REGOLE PER LA DETERMINAZIONE DEL VALORE DELLE MERCI IMPORTATE
I moderni sistemi tariffari utilizzano prevalentemente il metodo di imposizione daziaria basato sul valore dei
beni. Il valore in dogana delle merci è quindi un elemento essenziale nella determinazione dell’ammontare di
dazio da pagare. Secondo la disciplina GATT OMC, il primo metodo da utilizzare è quello del valore di
transazione. Si tratta del prezzo effettivamente pagato o da pagare all’atto della vendita di una merce
destinata all’importazione, fatti salvi gli adeguamenti necessari per tenere conto di alcuni elementi specifici,
quali commissioni e provvigioni, costi d’imballaggio, dei contenitori e di altri materiali e servizi che, essendo a
carico del compratore, e concorrendo quindi a determinare il valore della merce in questione a fini doganali,
non sono stati inclusi nel prezzo. Non viene però stabilita una preferenza tra il metodo di valutazione fob,
che non include nel prezzo di transazione i costi di trasporto fino al luogo di importazione e gli altri costi
connessi al trasporto, e quello cif, che include invece detti costi, lasciando quindi ai singoli Stati la libertà di
scelta. Alla luce delle implicazioni che la determinazione del valore in dogana ha sull’importo dei dazi da
pagare all’importazione, è importante sia che ogni Stato specifichi quali sono gli elementi da
includere nel calcolo del valore in dogana secondo la legislazione nazionale sia che le aziende
importatrici verifichino che il valore delle merci sia correttamente determinato.
240
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
51. L’indicazione di origine “Made in…”: strumento di promozione dei prodotti o
nuova barriera non tariffaria?
Il tema dell’obbligatorietà di indicare l’origine sui prodotti destinati al consumo privato e le difficoltà di
determinare la nazionalità dei prodotti ottenuti con fasi di lavorazione svolte in due o più Paesi non sono
questioni di primaria importanza solo per le imprese italiane. Altri Stati, come Stati Uniti, Australia, Canada,
Russia, Corea del Sud e Cina hanno affrontato in tempi diversi e secondo criteri differenti il problema di
disciplinare le condizioni da rispettare per l’apposizione della dicitura “Made in…”, o per l’uso di espressioni
affini, sui prodotti destinati ai consumatori. Il fatto che le locuzioni “marchio di origine” e “indicazione di
origine” siano utilizzate in qualità di sinonimi non deve far pensare a concetti differenti, ma semplicemente
ad accezioni diverse di un unico concetto. L’espressione “marchio di origine”, usata dalla versione italiana
della proposta comunitaria volta ad istituire l’obbligo di indicare l’origine dei prodotti importati, fa riferimento
all’azione, che a seconda della consistenza del prodotto può essere svolta secondo varie modalità, di apporre
direttamente sul bene il nome del Paese di cui quel bene è originario. L’espressione “indicazione di origine”
richiama, invece, maggiormente il contenuto della dicitura apposta.
Dopo aver spiegato i diversi scopi che il marchio di origine ha, o comunque realizza, vengono posti in
evidenza i costi e le conseguenze a carico delle imprese derivanti da due circostanze: la natura frammentaria
del quadro giuridico internazionale di riferimento e la mancanza di una disciplina unica a livello comunitario.
Viene poi condotta un’analisi che mette in rilievo come a livello nazionale alcuni semplici interventi legislativi
sarebbero notevolmente utili, in termini di chiarezza e prevedibilità, alle imprese che de-localizzano parte
della propria produzione all’estero. La disamina della discutibile posizione della Corte di Cassazione italiana
evidenzia la necessità di un’azione da parte del Legislatore in tempi brevi. L’individuazione di alcuni
suggerimenti per una riforma della disciplina italiana e le considerazioni relative alla definizione giuridica del
marchio di origine anticipano le conclusioni di questo capitolo.
GLI SCOPI DELL’INDICAZIONE D’ORIGINE
L’indicazione del Paese d’origine, generalmente espressa con la dicitura “Made in…” e posta direttamente sul
prodotto, ha lo scopo di tutelare il consumatore informandolo relativamente alla nazionalità del bene.
Secondo un principio accolto dalle legislazioni di molti Stati, essa protegge le scelte di acquisto degli individui
in quanto permette loro di esprimere la preferenza per un prodotto in virtù della considerazione soggettiva
che la produzione svolta in un determinato Paese conferisce al bene una certa qualità. Sempre più
consumatori, inoltre, prediligono l’acquisto di prodotti originari di Paesi in cui sia garantito un certo livello di
protezione dei diritti del lavoro e, più in generale, dei diritti umani.
Secondo una prospettiva imprenditoriale, invece, l’indicazione d’origine promuove l’identità dei prodotti
nazionali con lo scopo di favorirne la vendita rispetto ai prodotti importati. Inoltre, il fatto che sempre più
Paesi prevedano l’obbligo d’indicare la nazionalità dei prodotti importati evidenzia come l’indicazione di
origine possa rappresentare uno strumento di protezione commerciale non tariffaria; in tal senso, nella
misura in cui l’obbligo di indicare il Paese d’origine può essere soddisfatto solo rispettando le regole
sostanziali e procedurali previste da ciascuno Stato relativamente ai prodotti importati, diviene una misura
alternativa ai dazi mirata a rendere più complessa e controllata l’importazione di prodotti stranieri. Tale
tendenza da parte degli Stati va letta come forma di reazione all’aumento della pressione competitiva nelle
relazioni commerciali internazionali.
In un contesto come quello appena richiamato, il fatto che la maggior parte dei prodotti oggi posti sul
mercato non siano ottenuti in unico Paese ma siano il risultato di una serie di lavorazioni aventi luogo in due
o più Paesi, accresce l’importanza e la difficoltà di stabilire in base a quali requisiti sostanziali e a quali
modalità tecniche vada indicato il Paese di origine dei beni.
LA FRAMMENTARIETÀ DEL QUADRO GIURIDICO INTERNAZIONALE
La duplice funzione di promozione dei prodotti nazionali e di misura di difesa commerciale fa sì che la
disciplina e la tutela del marchio di origine siano questioni sempre più controverse nell’ambito delle relazioni
commerciali attuali. Il fatto che sempre più Stati prevedano una disciplina per la determinazione della
nazionalità dei prodotti e che a livello europeo alcuni settori industriali siano fortemente impegnati affinché
entri in vigore la proposta di regolamento comunitario mirante a istituire l’obbligo di indicare l’origine delle
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Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
merci importate, è sintomatico della crescente importanza di questo tema, la cui complessità è innanzitutto
riconducibile alla genericità e vaghezza delle poche norme multilaterali esistenti.
La disciplina multilaterale relativa all’indicazione d’origine è limitata all’art. IX del GATT, all’art. 1.1
dell’Accordo relativo alle regole di origine (ARO) concluso in ambito OMC, e all’Accordo di Madrid sulla
repressione delle false o fallaci indicazioni di provenienza delle merci del 1891 (Accordo di Madrid), riveduto
a Lisbona nel 1958.
La ratio dell’art. IX del GATT è quella di trovare un contemperamento tra la necessità di proteggere il
consumatore dalle indicazioni di origine false o ingannevoli e l’obiettivo di ridurre al minimo i costi e gli
inconvenienti che leggi e regolamenti relativi ai marchi di origine potrebbero causare alla produzione e al
commercio dei Paesi esportatori. I rapporti dell’organo di soluzione delle controversie del GATT, i c.d. Panel
reports, si sono espressi raramente in merito ai marchi di origine che non hanno mai costituito oggetto
diretto di controversia tra gli Stati membri, essendosi perlopiù sempre trattato di dispute in cui ad essere
contestati erano standards di produzione e requisiti di labelling tecnico che andavano oltre l’indicazione del
Paese di origine. In particolare, il rapporto di un Panel istituito su richiesta degli Stati Uniti con riguardo ad
alcune disposizioni giapponesi relative agli obblighi di marchiatura della carta e delle pellicole fotografiche
importate, ha sottolineato come l’art. IX del GATT consenta specificamente agli Stati membri dell’OMC di
adottare leggi e regolamenti relativi alla marchiatura d’origine. Quindi, secondo l’interpretazione data
dall’organismo multilaterale del commercio, l’indicazione del Paese di origine sui prodotti commercializzati tra
gli Stati membri dell’OMC è espressamente consentita ma non obbligatoria.
La disciplina OMC istituisce un collegamento tra marchio di origine e regole di origine. Queste ultime fissano i
criteri che condizionano l’ottenimento dell’origine di un prodotto stabilendo, nei casi in cui un bene è
ottenuto con fasi di lavorazione svolte in due o più Stati, quale sia la fase della fabbricazione decisiva ai fini
dell’acquisizione dell’origine. L’ARO mira al duplice obiettivo di armonizzare a livello internazionale le regole
di origine applicate dai singoli Stati e di impedire che, una volta armonizzate, tali regole vengano interpretate
in modo differente dagli organi responsabili dei vari Stati, rendendo così vana l’armonizzazione della materia.
Il processo di armonizzazione riguarda esclusivamente le regole di origine non preferenziali, ovvero quelle
norme utilizzate da diversi Stati per stabilire la nazionalità dei prodotti importati allo scopo di verificare se tali
beni siano soggetti all’applicazione di misure di politica commerciale, quali dazi antidumping e compensativi,
restrizioni quantitative, misure di salvaguardia e così via. Oltre a ciò, alcuni Stati, tra cui gli Stati Uniti,
utilizzano le regole di origine non preferenziali anche ai fini dell’indicazione di origine. La definizione dei
criteri rilevanti ai fini dell’ottenimento dell’origine dei vari prodotti ha importanti implicazioni di carattere
politico-economico, in quanto dalla determinazione della nazionalità di un prodotto dipende l’applicazione di
misure di politica commerciale difensive. Proprio in ragione della funzione strategica che le regole di origine
possono rivestire, il processo di armonizzazione, che doveva concludersi nel 1998, è tuttora in corso.
Tuttavia, l’ARO ha il pregio di richiamare il collegamento tra marchio di origine e regole di origine. Infatti, le
regole di origine, oggetto del suo campo di applicazione dell’ARO, sono quelle applicabili dagli Stati membri
OMC per vari scopi di politica commerciale, tutti elencati dall’art. 1.2 dell’ARO, compresa l’applicazione dei
marchi d’origine.
Una disciplina esaustiva del marchio di origine non è prevista neppure dall’Accordo di Madrid che, lungi dal
disciplinare i requisiti sostanziali per l’apposizione della dicitura “Made in…”, si limita a trattare alcuni aspetti
procedurali relativi alle misure che le autorità doganali e giudiziarie possono mettere in atto sia nel Paese di
esportazione sia all’atto dell’importazione nel caso in cui le merci riportino indicazioni di origine false o
ingannevoli. In tale senso è previsto il sequestro ex officio o su istanza della parte interessata. Nel caso
invece in cui la legislazione del Paese importatore non preveda il sequestro, il divieto di importazione o le
sanzioni previste dalle leggi relative ai marchi e ai nomi commerciali sono le misure alternative applicabili. Un
altro limite che riduce notevolmente la portata multilaterale dell’Accordo di Madrid è dato dallo scarso
numero di parti contraenti (34 Paesi).
Data la mancanza di una disciplina internazionale uniforme, ed in virtù del principio della territorialità
della legislazione, ciascuno Stato è libero di stabilire:
1) se l’indicazione dell’origine debba essere oggetto di disciplina nel proprio ordinamento e se sia o
meno un requisito obbligatorio per la vendita dei prodotti nazionali e/o per l’importazione dei
prodotti stranieri destinati al mercato domestico;
2) le norme sostanziali applicabili per individuare il Paese che l’indicazione di origine deve riportare e le
modalità di apposizione della dicitura;
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Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
3) le conseguenze e i rischi, normalmente a carico dell’importatore, derivanti da una falsa o inaccurata
indicazione d’origine.
La frammentarietà del quadro giuridico di riferimento e la necessità di dover verificare e soddisfare requisiti
differenti a seconda dello Stato destinatario dell’esportazione accentua il potenziale impatto protezionistico di
carattere non tariffario del marchio di origine. Le conseguenze previste dalla disciplina di alcuni Stati in caso
di indicazione d’origine mancante o inaccurata sono una dimostrazione di come una disciplina severa del
marchio di origine possa costituire un grave ostacolo al commercio internazionale, al punto da impedire
l’importazione di prodotti stranieri. La legge degli Stati Uniti, ad esempio, prevede la possibilità di apporre
l’indicazione d’origine al momento dell’importazione o di concordare con il direttore dell’ufficio doganale
competente la rettifica della marchiatura scorretta, e nei casi peggiori, la riesportazione o la distruzione del
prodotto. Tra i Paesi che hanno una normativa dell’indicazione dell’origine particolarmente severa vi sono il
Kuwait, l’Arabia Saudita e Israele.
Sempre nell’ottica del libero commercio va considerato come la dinamicità caratterizzante il contesto degli
scambi commerciali e la tendenza di un numero sempre maggiore di Stati a prevedere una disciplina relativa
al marchio di origine rappresentino per le imprese un costo in termini di conoscenza e di gestione delle
esportazioni; in molti casi poi, la difficoltà di indagine relativa ai requisiti previsti dalla legislazione nazionale
dei Paesi terzi è decisamente in conflitto con il principio di trasparenza e prevedibilità promosso dal sistema
OMC. Le autorità doganali sudcoreane ad esempio, in base a informazioni aggiornate al dicembre 2005, si
riservano di decidere volta per volta quali siano i requisiti sostanziali applicabili al caso specifico al fine della
determinazione del Paese che deve essere riportato dall’indicazione di origine!
LA MANCANZA DI UNA DISCIPLINA COMUNITARIA
A parte alcune eccezioni limitate ai prodotti agricoli ed alimentari, non esiste attualmente una disciplina
europea dell’indicazione d’origine. La legislazione comunitaria, infatti, si limita a predisporre principi e norme
per la determinazione dell’origine al fine dell’applicazione degli strumenti di difesa commerciale. L’indicazione
d’origine è quindi, ad oggi, una pratica volontaria a discrezione dei produttori. L’impatto protezionistico, in
qualità di misura alternativa ai dazi doganali, che una disciplina nazionale del marchio di origine
potenzialmente comporta, rende evidente come l’obbligo di indicare la nazionalità dei prodotti importati
possa essere stabilito solo a livello comunitario, e come ogni previsione di livello nazionale costituisca una
violazione del principio di libera circolazione delle merci, nella misura in cui rappresenta, ai sensi dell’art. 28
del Trattato CE, una misura equivalente alle restrizioni quantitative. In questo senso, l’entrata in vigore
dell’art. 6 lett. c) del Codice del Consumo italiano costituirebbe, certamente, una violazione del diritto
comunitario92.
Tuttavia, in conseguenza dell’accresciuta attenzione alla difesa della competitività delle industrie nazionali,
alcuni Stati membri, a sostegno delle istanze di alcuni settori industriali, hanno sollecitato la Commissione
europea a proporre l’istituzione di una disciplina comunitaria sul marchio di origine. La proposta di
regolamento presentata dalla Commissione mira a rendere obbligatoria l’indicazione del Paese di origine sulle
importazioni di sui prodotti tessili, calzaturieri, i prodotti in ceramica e per arredamenti d’interni, senza
tuttavia escludere che tale obbligo possa, previa consultazione tra le parti interessate, essere esteso ad altri
settori industriali per i quali questa misura costituirebbe un valore aggiunto in termini di competitività.
L’obiettivo delle aziende dei settori interessati è comunicare ai consumatori destinatari dei loro prodotti se
ciò che stanno acquistando è “Made in Italy” o “Made in China”. In altri termini, lo scopo è quello di evitare
che beni prodotti in Paesi extra-CE, su commissione di aziende italiane o comunitarie con costi di
manodopera e standards qualitativi inferiori, vengano poi venduti sul mercato italiano e degli altri Paesi
europei facendo credere all’acquirente che sono di origine italiana o comunitaria. L’obbligo è previsto solo
per i prodotti importati, ad eccezione delle merci originarie della Turchia e degli Stati membri dello Spazio
Economico Europeo93.
Riguardo alle modalità di apposizione dell’indicazione di origine, la proposta precisa che può essere utilizzata
la dicitura “Fabbricato in…”, in italiano o in una qualsiasi altra lingua ufficiale della Comunità europea, e che
il marchio deve essere apposto in caratteri chiari, leggibili, indelebili e deve essere presentato in modo da
92
L’entrata in vigore di tale disposizione è collegata alla predisposizione di un regolamento ministeriale di attuazione che,
ci si augura, non venga mai in essere
93
Lo Spazio Economico Europeo è una zona libero scambio in vigore tra Comunità europea e Islanda, Liechtenstein e
Norvegia
243
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
non poter ingannare o creare un’impressione errata circa l’origine del prodotto. Inoltre, non può essere
rimosso o manomesso sino a quando i beni non siano stati venduti al consumatore. Queste specificazioni
tecniche rivestono un’importanza fondamentale, soprattutto per le imprese italiane che, come vedremo, in
assenza di una disciplina precisa, sono esposte alle rischiose conseguenze derivanti da una prassi di controllo
doganale non uniforme. Coerentemente con le previsioni OMC, il criterio per la determinazione del Paese di
origine è basato sul soddisfacimento dei requisiti delle regole di origine non preferenziali comunitarie 94.
L’entrata in vigore di questo regolamento, assistita da un’efficace e coordinata attività di controllo da parte
delle autorità doganali comunitarie ridurrebbe notevolmente le importazioni e le vendite nel territorio della
Comunità europea di prodotti ottenuti interamente in Stati extra-CE, o comunque non rispondenti ai criteri
delle regole non preferenziali. Si verrebbe inoltre a creare una parità di condizioni tra le importazioni
destinate al territorio della Comunità europea e quelle dirette verso quei Paesi che hanno già reso
obbligatoria l’apposizione di un marchio di origine sui prodotti importati. Oltre a ciò, è importante chiarire
che un’evoluzione normativa comunitaria in tal senso è solo apparentemente contraria agli interessi delle
aziende che producono parzialmente all’estero: un’attenta pianificazione delle fasi di fabbricazione dei loro
prodotti, svolta in modo da rispettare i requisiti previsti dalle regole di origine non preferenziali comunitarie,
consente infatti di non rinunciare a conferire nazionalità italiana ai loro beni. Mettere le autorità doganali in
condizione di eseguire i controlli di loro pertinenza ai sensi di una normativa chiara e comune è la maniera
più efficiente e giuridicamente coerente per evitare il rischio, costoso dal punto di vista aziendale, che i
prodotti importati siano bloccati in dogana.
L’armonizzazione della disciplina del marchio di origine a livello comunitario sarebbe quindi un altro
vantaggio non trascurabile derivante dall’entrata in vigore di una disciplina uniforme per tutti gli Stati
membri della Comunità. Allo stato attuale, infatti, se alcuni Stati membri dell’Unione europea non
regolamentano la questione dell’indicazione d’origine, altri, come l’Italia e la Francia, prevedono una
disciplina nazionale. Questo significa che i produttori che decidano di indicare la nazionalità dei prodotti
importati devono rispettare requisiti di marchiatura di origine differenti a seconda del Paese della Comunità
dal quale importano le merci. I rischi insiti in una tale difformità normativa non sono da sottovalutare. Tale
differenza, infatti, potrebbe avere l’effetto di incentivare l’importazione di prodotti ottenuti parzialmente
all’estero da porti doganali di Paesi con una disciplina più favorevole, rischiando quindi di tradursi, per
l’Italia, in un aumento di costi di trasporto e in una perdita importante per il settore della logistica.
GLI ASPETTI CRITICI DELLA DISCIPLINA ITALIANA E L’ORIENTAMENTO DISCUTIBILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE
L’interpretazione di “origine” e “provenienza” come concetti differenti e la definizione dei casi in cui si verifica
l’ipotesi di indicazione fallace riportata da prodotti importati, ottenuti con fasi di lavorazione svolte all’estero,
sono tra gli aspetti più critici della disciplina italiana prevista dalla Finanziaria 2004.
Secondo le disposizioni di tale legge vi è falsa indicazione nel caso in cui la dicitura “Made in Italy” sia
apposta su prodotti importati che, non rispettando i requisiti previsti dalle regole di origine non preferenziali
europee, non sono originari dell’Italia; si ha invece fallace indicazione quando, nonostante sia indicata
l’origine e la provenienza estera del prodotto, “l’uso di segni, figure, o quant’altro possa indurre il
consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana”95. La circolare 20 D dell’Agenzia
delle Dogane ha chiarito che l’ipotesi di indicazione fallace ricorre in due casi: sia quando su prodotti privi di
indicazione di origine vengano apposti segni, figure o qualsiasi altro elemento tale da indurre il consumatore
a credere che il prodotto sia di origine italiana, sia qualora i prodotti, oltre all’indicazione dell’origine estera,
rechino segni, figure e quant’altro possa suggerire al consumatore l’origine italiana del prodotto. Questa
circolare ha inoltre opportunamente puntualizzato che il secondo caso d’indicazione fallace si verifica solo
quando un prodotto importato riporta, oltre alla corretta indicazione dell’origine estera, segni, figure o
qualsiasi altro elemento con caratteristiche tali da oscurare fisicamente, o anche solo simbolicamente,
l’etichetta con la corretta indicazione di origine estera. Questa precisazione è più che mai importante, in
quanto dovrebbe contribuire a ridurre i casi di blocco in dogana delle merci importate e sospettate di
riportare una fallace indicazione in quanto recanti, oltre alla corretta indicazione dell’origine estera, elementi
evocativi dell’origine italiana.
Facendo riferimento al primo caso in cui l’ipotesi di indicazione fallace può verificarsi, la Corte di Cassazione
ha più volte basato le proprie conclusioni sulla distinzione tra l’accezione giuridica e quella geografica del
94
95
Si v. la Sezione 1, Capitolo 1, Titolo IV del regolamento della Commissione 2454/93 e successive modifiche
V. il secondo periodo dell’art. 4 comma 49 della Finanziaria 2004
244
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
concetto di provenienza. Secondo questa impostazione, la provenienza giuridica prenderebbe in
considerazione il prodotto come risultato di un processo di fabbricazione del quale l’imprenditore ha la
responsabilità giuridica, economica e tecnica; la provenienza geografica, avrebbe invece a che vedere, come
di fatto è, con il Paese in cui il prodotto è stato interamente ottenuto o in cui è stato sottoposto all’ultima
trasformazione sostanziale. A titolo di esempio, la Cassazione ha ritenuto che l’incisione delle parole “Officina
del Tempo – Italy” sul retro della cassa di orologi da polso fabbricati ad Hong Kong per conto di un
imprenditore marchigiano, non fosse una fallace indicazione, in quanto gli orologi erano ottenuti su progetto
e modelli ornamentali redatti da stilisti italiani e di esclusiva proprietà dell’azienda; quanto al processo
produttivo, le fasi di assemblaggio eseguite ad Hong Kong erano costantemente seguite da dirigenti
dell’azienda, mentre le operazioni finali di verifica e collaudo venivano svolte in Italia96. Secondo i Giudici di
legittimità, il Legislatore italiano ha inteso fare riferimento alla provenienza del prodotto da un determinato
produttore e non già da un determinato luogo; inoltre, tale interpretazione sarebbe coerente con la funzione
di segno distintivo svolta dal marchio. In base alla logica di questo ragionamento, quindi, i prodotti fabbricati
o fatti fabbricare all’estero da un produttore che si assuma la piena responsabilità giuridica, economica e
tecnica del processo di produzione, possono essere importati solo con il marchio o l’indicazione dell’impresa
italiana, senza che sia necessario indicare che la fabbricazione materiale è avvenuta in uno stabilimento
estero.
La Cassazione ha così sostanzialmente ribadito l’impostazione prevalsa in precedenti pronunce, secondo la
quale le espressioni “origine o provenienza” del prodotto utilizzate nel testo della Finanziaria,
indipendentemente dal luogo in cui il prodotto è stato realizzato, fanno riferimento all’origine imprenditoriale
del bene, ossia alla sua riconducibilità ad un imprenditore che assume la responsabilità giuridica, economica
e tecnica del processo produttivo.
Una recente pronuncia del Tribunale di Livorno – Capi di abbigliamento ‘Fabric Made in Italy’
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nel maggio 2004 le Autorità Doganali e la Guardia di Finanza hanno sequestrato 265 colli
contenenti abiti da uomo, prodotti con tessuto e su disegno italiano ma confezionati in Tunisia.
Sulle maniche delle giacche c’erano delle etichette riportanti la scritta ‘fabric Made in Italy’, cioè
‘tessuto fatto in Italia’
le Autorità Doganali e il Pubblico Ministero hanno ritenuto tale dicitura illecita in quanto segno
mendace in grado di trarre in inganno l’acquirente finale. Secondo l’Autorità Doganale e la
Guardia di Finanza si trattava di uno stratagemma per ingenerare nell’acquirente la convinzione
che si trattasse di prodotto interamente fabbricato in Italia.
la difesa è stata impostata sulla base di due considerazioni: 1) in assenza di indicazioni certe in
materia, è sufficiente che il tessuto e il modello del capo di abbigliamento siano prodotti e pensati
in Italia per poter apporre sul capo l’indicazione ‘Made in Italy’. Secondo gi avvocati della difesa,
infatti le regole di origine previste dalla disciplina comunitaria varrebbero solo a fini amministrativi
e non anche a fini penali; 2) l’etichetta contestata riportava informazioni veritiere, in quanto il
tessuto era effettivamente italiano
il giudice di Livorno ha assolto l’imprenditore perchè il fatto non sussiste. Le motivazioni che
hanno dato luogo a tale decisione non sono ancora state depositate
un altro caso paradossale in cui è ammesso che prodotti ottenuti all’estero in violazione delle
regole di origine comunitarie, secondo le quali è il confezionamento a determinare l’origine non
preferenziale dei capi di abbigliamento. Quali sono allora i criteri comuni alla base della possibilità
di apporre la dicitura ‘Made in Italy’ ai prodotti ottenuti parzialmente all’estero?
Il principio fondamentale alla luce del quale sarebbe bene che la Corte di Cassazione modificasse la propria
posizione è quello per cui ogniqualvolta un bene é il risultato di fasi di lavorazione che si svolgono in due o
più Paesi, il prodotto è sostanzialmente ottenuto, e quindi originario, del Paese in cui è stato sottoposto
all’ultima trasformazione sostanziale, trasformazione che può dirsi ivi avvenuta solo se sono stati soddisfatti i
requisiti posti dalle regole di origine non preferenziali di tale Stato. Come si è visto, questo è il criterio
fondamentale della normativa OMC, sul quale si basano anche le legislazioni degli Stati che già prevedono
una disciplina dell’indicazione di origine e a cui è giustamente ispirata la proposta comunitaria di
regolamento volta ad istituire l’obbligatorietà dell’indicazione d’origine per alcune categorie di prodotti
96
Cassazione, sentenza n° 8684/2007
245
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
importati. Posto che la disciplina italiana poggia sul collegamento tra indicazione di origine e regole di origine
non preferenziali europee, l’opinione attualmente prevalente della Cassazione finirebbe inoltre per far
operare le disposizioni della disciplina italiana, correttamente basate sul collegamento tra indicazione di
origine e regole di origine non preferenziali europee, in maniera contraria al rispetto del fondamento posto
dalle norme dell’OMC e accolto dalla proposta comunitaria.
Un’altra ragione per cui l’indicazione di origine va interpretata come collegamento prodotto- territorio, e non
prodotto-produttore, risiede nello suo stesso scopo, che è quello di segnalare il Paese di produzione del bene
in modo che il consumatore sia tutelato nelle proprie scelte di acquisto. Inoltre, il fatto che l’indicazione
d’origine tuteli le scelte del consumatore e difenda la produzione nazionale dai prodotti importati esprimendo
il collegamento geografico prodotto-territorio, non ne fa una forma di proprietà intellettuale come il marchio
commerciale o le indicazioni geografiche dei prodotti alimentari. L’indicazione d’origine realizza certamente
importanti funzioni di tutela ma spingersi al punto di pensare che svolga un ruolo affine o strumentale alla
funzione del marchio commerciale è una forzatura. Il marchio commerciale esprime il collegamento prodottoproduttore, l’indicazione di origine quello prodotto-territorio.
Del resto, anche il Segretariato dell’Organizzazione Mondiale per la Proprietà Intellettuale (OMPI) ha
sottolineato, in maniera costante, come l’indicazione di origine sia correlata all’origine geografica di un
prodotto e non a quella imprenditoriale97. Nello stesso senso si è espressa la Corte di Giustizia comunitaria,
escludendo chiaramente che le indicazioni di origine possano essere considerate una forma di proprietà
intellettuale98.
Resta quindi da capire perché la Cassazione abbia modificato il suo indirizzo interpretativo, dopo peraltro
essersi precedentemente espressa in modo coerente ai principi OMC e alla disciplina applicata da importanti
attori del commercio internazionale. In un paio di pronunce precedenti, infatti, i Giudici di legittimità avevano
dato rilievo all’origine geografica quale criterio da utilizzare per determinare la ricorrenza dell’indicazione sia
falsa99 sia fallace100.
SUGGERIMENTI PER UNA RIFORMA DELLA DISCIPLINA ITALIANA DELL’INDICAZIONE D’ORIGINE
Con riferimento alla legge italiana, ci si chiede per quale ragione la prima versione del testo della Finanziaria,
che inizialmente utilizzava la parola “provenienza”, l’abbia mantenuta anche dopo che è stata, giustamente,
aggiunta la parola “origine”101. Se è vero che l’impiego del termine “provenienza” non crea alcun problema
nel caso, ormai raro, di prodotti interamente fabbricati in un unico Paese, è altrettanto pacifico che, per
effetto della globalizzazione, la maggior parte delle merci è il risultato di un processo di fabbricazione che si
svolge in due o più Paesi. In questo senso, quindi, intendere la provenienza in senso differente dalla
movimentazione fisica di un bene dal Paese di spedizione al Paese di destino appare obsoleto e rischia, come
infatti si verifica, di creare problemi interpretativi. La parola “provenienza” dovrebbe essere eliminata dal
testo della legge italiana, che dovrebbe contenere solo la parola “origine”, da interpretarsi in virtù del
principio di sostanzialità della lavorazione di un prodotto.
Basare la determinazione dei casi in cui si verifica l’ipotesi di indicazione fallace sul concetto di origine
geografico-sostanziale del prodotto, rappresenterebbe un punto di riferimento per le aziende italiane che
hanno de-localizzato la produzione. Una domanda da porsi in ottica aziendale infatti è: fino a che punto le
imprese che hanno de-localizzato la produzione possono riferirsi all’orientamento della Cassazione ed
importare prodotti privi dell’indicazione dell’origine estera ma recanti elementi evocativi dell’origine
(giuridica) italiana senza correre il rischio di vedersi bloccare le merci in dogana? Tale domanda è più che
giustificata dal fatto che l’indirizzo interpretativo della Cassazione è difficilmente compatibile con i principi del
contesto internazionale e si discosta dai criteri su cui si basa la proposta di regolamento comunitario per
l’istituzione di un sistema di marchiatura d’origine obbligatoria per i prodotti importati.
Secondo la puntualizzazione della Circolare 20 D del 2005 dell’Agenzia delle Dogane, il fatto che un prodotto
importato riporti, oltre alla corretta menzione dell’origine estera, segni, figure o qualsiasi altro elemento
evocativo dell’origine italiana non costituisce fallace indicazione, a meno che tali indicazioni non abbiano
caratteristiche tali da oscurare fisicamente, o anche solo simbolicamente, l’etichetta con l’esatta designazione
dell’origine. Il testo della Finanziaria dovrebbe prendere spunto da tale precisazione ed essere modificato in
V., ad esempio, WIPO/GEO/SFO/03/1
Corte di Giustizia Unione europea, sentenza C 325/00
99
Cassazione, sentenza n. 34103/ 2005
100
Cassazione, sentenza n. 2648/2006
101
La parola “origine” dopo “provenienza” è stata aggiunta dalla legge n° 80/2005, il c.d. decreto Competitività
97
98
246
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
modo da prevedere che, in presenza di elementi evocativi dell’origine italiana, venga chiaramente indicata
l’origine (geografica) del prodotto. Questa soluzione, adottata da alcuni Paesi tra cui la Francia102, era già
stata suggerita anche dall’art. 3 dell’Accordo di Madrid del 1891.
L’INDICAZIONE DI ORIGINE: OSTACOLO COMMERCIALE NON TARIFFARIO O DIRITTO DI PROPRIETÀ
INTELLETTUALE?
La possibilità di considerare l’indicazione di origine un diritto di proprietà intellettuale è stata esclusa a vari
livelli. Come si è visto, infatti, sia l’OMPI che la Corte di Giustizia dell’Unione europea si sono espressi in tal
senso. Il fatto poi che il principio cui si riferiscono la disciplina OMC, le legislazioni di alcuni Stati terzi, la
proposta comunitaria di istituire un sistema di marchiatura d’origine e la stessa legge italiana sia basato sul
compimento dell’ultima trasformazione sostanziale, e dato che ciascuna disciplina prevede condizioni diverse
per il soddisfacimento tale requisito, implica un potenziale impatto discriminatorio delle diverse discipline
applicate per stabilire la veridicità e la corretta apposizione dell’indicazione di origine.
Tuttavia, la questione che ha interessato un po’ di anni fa le relazioni commerciali tra Unione europea e Stati
Uniti porta a chiedersi se non sia riduttivo considerare l’indicazione di origine unicamente come ostacolo non
tariffario agli scambi internazionali. A seguito del cambiamento arbitrario da parte delle autorità statunitensi
delle regole di origine non preferenziali, alcuni prodotti tessili, tra cui fazzoletti e foulards di seta, prima
considerati di origine italiana, si sono visti attribuire l’origine cinese e di altri Paesi in via di sviluppo, anziché
italiana. Infatti, se secondo le regole di origine statunitensi precedentemente applicate le operazioni di
tintura, stampa e rifinitura svolte in Italia erano sufficienti a conferire l’origine italiana, a seguito della
modifica delle norme di origine, il Paese di origine era divenuto quello in cui veniva fabbricato il tessuto
greggio. Questo mutamento dei criteri d’origine statunitensi comportava innanzitutto l’inclusione delle
esportazioni comunitarie di prodotti tessili verso gli Stati Uniti nelle quote all’importazione cui erano
assoggettati i prodotti tessili originari della Cina e di altri Paesi in via di sviluppo. Inoltre, non potendo più
marchiare i prodotti “Made in Italy”, ma dovendoli il più delle volte etichettare “Made in China”, non era più
possibile continuare a vendere tali beni nel segmento di mercato di fascia alta; per cui, oltre a non poter più
vendere agli stessi clienti di prima, le aziende italiane non potevano più proporre i propri prodotti ad un
prezzo che solo l’etichetta “Made in Italy” giustificava. In termini economici dunque, questa seconda
conseguenza derivante dal cambio arbitrario delle regole statunitensi non poteva certo essere considerata
secondaria, in quanto aveva l’effetto di mettere completamente fuori dal mercato, a cui sino a quel momento
erano stati rivolti, i prodotti degli esportatori italiani.
D’altra parte, anche attribuire all’indicazione di origine la funzione di un marchio commerciale sarebbe
certamente una forzatura. Né appare giustificata la piena identificazione tra indicazione di origine e
indicazione geografica, in quanto il legame tra prodotto e territorio espresso dal marchio di origine è meno
intenso di quello richiesto affinché un bene sia identificato da un’indicazione geografica; affinché
un’indicazione geografica possa essere utilizzata è infatti necessario che le qualità peculiari di un prodotto
siano il risultato della tradizionale esperienza produttiva e delle caratteristiche ambientali presenti
esclusivamente in un particolare territorio.
Tuttavia, anche riconoscendo che l’indicazione della nazionalità dei prodotti esercita un’attrattiva sul
consumatore, e non si limita ad una funzione di tutela, sotto il profilo giuridico non vi sono, quantomeno ad
oggi, elementi sufficienti per inserire il marchio d’origine nel novero dei diritti di proprietà intellettuale. Non
sarebbe però corretto considerare il marchio di origine sic et simpliciter come ostacolo commerciale, posto
che, per completezza di analisi, è opportuno tenere in considerazione che, secondo diversi studi di marketing
e di strategia dell’impresa, il marchio di origine rappresenta un valore per cui i consumatori sono disposti a
pagare un prezzo più alto.
Appare quindi evidente come una definizione giuridica rigorosa del marchio di origine rischierebbe di non
tenere in considerazione le funzioni che di fatto svolge a prescindere dalle categorie giuridiche esistenti. In
realtà ciò che conta è che i valori che l’indicazione di origine mira a tutelare siano garantiti nella maniera più
efficace possibile, utilizzando gli strumenti giuridici attualmente disponibili.
102
Art. 39 del Code des Douanes, Bulletin officiel des douanes n° 6567 du 8 mars 2003
247
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
L’IMPORTANZA DI UNA DISCIPLINA EUROPEA COMUNE DELL’INDICAZIONE D’ORIGINE
Nel contesto dell’evoluzione e dell’aumentata complessità delle relazioni commerciali, l’indicazione di origine
ha assunto ulteriori funzioni che vanno al di là della tutela delle scelte di acquisto dei consumatori. Nella
misura in cui evidenzia l’identità dei prodotti di origine domestica, l’indicazione di origine ne incentiva
l’acquisto nei casi in cui il bene nazionale è percepito come migliore rispetto a quello importato. La tendenza
in virtù della quale sempre più Stati stanno istituendo l’obbligo di indicare l’origine dei prodotti importati è
indicativa della funzione di ostacolo commerciale non tariffario che l’indicazione di origine potenzialmente
svolge: il fatto che tale obbligo sia soddisfatto solo se sono rispettate le regole previste da ciascun Paese per
i prodotti importati, ne mette in evidenza il ruolo di misura commerciale difensiva prevista per rendere più
complessa e controllata l’importazione dei prodotti stranieri.
La frammentarietà della disciplina internazionale del marchio di origine rappresenta certamente un costo di
indagine e di organizzazione della produzione per le imprese che esportano in Paesi in cui è previsto l’obbligo
di indicare la nazionalità dei prodotti importati. L’assenza di armonizzazione multilaterale, infatti, comporta il
dovere di rispettare i requisiti sostanziali e procedurali previsti da ciascuno Stato importatore. Va inoltre
tenuto presente che, al fine di scongiurare le conseguenze previste dagli ordinamenti degli Stati terzi in caso
di indicazione dell’origine falsa, fallace o in accurata, le condizioni dello Stato verso il quale si esporta vanno
soddisfatte anche nel caso in cui la legislazione di tale Paese consideri l’indicazione di origine come pratica
volontaria lasciata alla discrezionalità delle aziende che esportano nel suo territorio. Il fatto che la maggior
parte dei prodotti oggi posti sul mercato non siano ottenuti in unico Paese ma siano il risultato di una serie di
lavorazioni aventi luogo in due o più Paesi, accresce la difficoltà di stabilire in base a quali requisiti sostanziali
e a quali modalità tecniche vada indicato il Paese di origine dei beni. Alla luce di quest’ultima considerazione,
si comprende il valore del principio OMC, secondo il quale il Paese che deve essere riportato dell’indicazione
di origine è lo stesso in cui il prodotto da marchiare ha acquisito la propria nazionalità, essendo stato ivi
sottoposto all’ultima trasformazione sostanziale. Questo criterio, oltre a fare da fondamento alla legislazione
di alcuni importanti partners commerciali dell’Unione europea e alla disciplina italiana, ispira, giustamente, la
proposta comunitaria di istituire l’obbligo dell’indicazione di origine su certe categorie di prodotti importati.
L’istituzione a livello comunitario dell’obbligo d’indicare l’origine dei prodotti importati è quanto mai
auspicabile, in quanto risolverebbe una serie di problemi derivanti dalla coesistenza di normative nazionali
differenti. Un primo aspetto da non sottovalutare è quello relativo alla possibilità che le aziende che delocalizzano parte della loro produzione decidano di importare in territorio comunitario da uno Stato membro
con una disciplina più coerente e con controlli doganali più prevedibili rispetto all’Italia.
L’obbligo d’indicare l’origine dei prodotti importati inoltre, e questo è un vantaggio fondamentale,
tutelerebbe le imprese che producono in Italia sostenendo costi più elevati di manodopera; ma
rappresenterebbe un punto di riferimento chiaro anche per le aziende che producono parzialmente all’estero
e che, soddisfacendo i requisiti delle norme di origine europee, non perderebbero la possibilità di vendere sul
mercato italiano e comunitario con il marchio “Made in Italy”. Una disciplina europea unica basata sui criteri
delle regole di origine europee è la miglior soluzione disponibile per ridurre i casi di violazione del marchio di
origine. Il timore degli Stati contrari all’entrata in vigore della proposta di regolamento comunitario che
l’obbligo a livello europeo di indicare l’origine dei prodotti importati si traduca in un costo amministrativo
andrebbe ridimensionato e valutato alla luce dei rischi e dei costi che la mancanza di una disciplina uniforme
sta comportando.
Con ogni probabilità, stanno prevalendo gli interessi dei gruppi prodottivi che hanno delocalizzato in parte, o
in maniera integrale, la produzione all’estero, e che non sono in grado di rispettare le soglie di
delocalizzazione ammesse dalle regole di origine. Nel caso di produzione interamente svolta all’estero, poi,
l’indicazione dell’origine estera su beni di marchio italiano sminuirebbe l’immagine dei beni stessi agli occhi
del consumatore.
In attesa di un esito del processo negoziale in corso sul piano europeo, un intervento da parte del
Legislatore italiano nel senso di chiarire la normativa italiana dell’indicazione di origine è decisamente
auspicabile.
248
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
52. Gli accordi commerciali preferenziali come opportunità di accesso a nuovi
mercati
Il tipo di rapporto esistente tra Italia/Comunità europea, o comunque Stato dal quale si esporta, e Stato
importatore è uno dei primi controlli da effettuare al fine di verificare se tra i due Paesi vi sia o meno un
accordo commerciale preferenziale. Le relazioni preferenziali tra due Stati possono essere regolate o da
accordi reciproci di tipo contrattuale o da sistemi di concessione unilaterale, privi del carattere di reciprocità,
generalmente accordati a gruppi di Paesi in Via di Sviluppo (PVS). Il duplice scopo della concessione
unilaterale di preferenze tariffarie a favore dei prodotti originari di PVS è quello di avviare e sostenere il
processo di industrializzazione ed aumentare i proventi delle esportazioni di tali Paesi, favorendo la
penetrazione dei loro prodotti nei mercati terzi grazie all’applicazione di un dazio all’importazione inferiore a
quello applicato ai medesimi prodotti originari di Paesi industrializzati. La differenza qualificante tra i due
regimi preferenziali, in termini di opportunità di accesso strategico al mercato, consiste nella presenza o
meno del requisito della reciprocità: infatti, mentre gli accordi reciproci consentono potenziali vantaggi
tariffari sia in import che in export, nel caso dei sistemi unilaterali i benefici sono limitati all’importazione nel
Paese che concede le preferenze tariffarie.
Le norme del sistema GATT-OMC prevedono due possibilità integrazione economica di tipo reciproco: le zone
di libero scambio, che costituiscono il fenomeno maggiormente diffuso, e le unioni doganali. A seconda del
numero di Stati che vi prendono parte, le aree di integrazione economica possono essere bilaterali o
regionali (v. gli esempi del box).
Esempi di accordi commerciali di tipo negoziale su base bilaterale e regionale
Unioni doganali
regionali
Unioni doganali
bilaterali
Unione europea (27 Svizzera - Liechtenstein
Stati)
MERCOSUR (Mercato
Comune del Sud Argentina, Brasile,
Uruguay, Paraguay)
GCC (Consiglio di
Cooperazione
del
Golfo
–
Bahrein,
Kuwait, Oman, Qatar,
Oman,
Arabia
Saudita, Emirati Arabi
Uniti)
Zone di libero scambio Zone di libero scambio
regionali
bilaterali (v. box
NAFTA (Zona di libero Stati uniti - Australia
scambio nordamericana –
Canada,
Stati
Uniti, Cina – Islanda
Messico)
EFTA (Associazione di
libero scambio europea –
Islanda,
Norvegia,
Liechtenstein, Svizzera)
EFTA – Corea del Sud
AFTA (Zona di libero
scambio tra le nazioni del
sud est asiatico – Brunei,
Cambogia,
Filippine,
Indonesia, Repubblica del
Laos,
Tailandia,
Singapore, Viet Nam
In entrambi i casi l’obiettivo è l’eliminazione progressiva dei dazi e degli altri ostacoli relativi al commercio dei
prodotti originari degli Stati membri dell’area integrata; le unioni doganali, che si configurano come
sostituzione di dei territori doganali degli Stati membri in unico territorio doganale, si caratterizzano inoltre
per la fissazione di una tariffa esterna comune. La differenza qualificante fra le due aree di integrazione sta
nella gestione dei rapporti con gli Stati esterni all’area: mentre infatti gli Stati facenti parte delle zone di
libero scambio mantengono una politica tariffaria autonoma, nelle unioni doganali i Paesi membri applicano
una politica tariffaria comune (v. box pagina seguente)
249
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
Esportazione verso il NAFTA e l’UE di macchine per la stampa dei tessuti di origine giapponese
classificate nella voce doganale 8443
Dazi NAFTA:
Stati Uniti: 2,6%
Canada: 4,5%
Messico: 10%
Dazio tariffa comune UE: 1,7%
Proprio perché ciascuno Stato membro del NAFTA
mantiene una propria politica tariffaria nei confronti
dei prodotti originari dei Paesi terzi non è possibile
che le macchine di origine giapponese possano
essere importate al dazio del 2,6% e poi beneficiare
della libera circolazione in tutta l’area NAFTA. Arrivate
al confine con il Canada e il Messico dovrebbero
pagare rispettivamente il 4,5% e il 10% di dazio
all’importazione.
Se invece le macchine fossero prodotte in modo da
avere l’origine statunitense, canadese o messicana
potrebbero circolare liberamente all’interno dell’area
di libero scambio.
Uno dei requisiti sostanziali previsti dalle norme multilaterali prevede che la liberalizzazione agli scambi
interni ad una zona di libero scambio o ad un’unione doganale debba avvenire “per l’essenziale degli
scambi”. La Comunità europea è andata ben oltre la realizzazione di tale requisito, avendo già realizzato il
mercato unico, caratterizzato, oltre che dalla libera circolazione di beni, servizi, persone e capitali, anche dal
coordinamento in settori-chiave di singole politiche nel campo monetario e fiscale.
Tuttavia, il fatto che tra due o più Paesi sia in vigore un accordo commerciale non costituisce garanzia
automatica ed immediata dell’applicazione di un regime daziario più favorevole. A tal fine è infatti necessario
che si verifichino una serie di condizioni concrete. Di seguito esaminiamo le principali.
LA GRADUALITÀ DELLA LIBERALIZZAZIONE
Gli accordi di libero scambio e le unioni doganali cominciano ad operare in base a programmi di
liberalizzazione progressiva, la cui realizzazione avviene in tappe successive, ognuna delle quali è più o meno
rapida, a seconda di quanto concordato tra gli Stati membri. Secondo le norme GATT, la liberalizzazione “per
l’essenziale degli scambi” deve avvenire entro 10 anni al massimo; un periodo transitorio più lungo deve
essere giustificato da ragioni specifiche. Normalmente, negli accordi di libero scambio conclusi dalla
Comunità europea con PVS il periodo transitorio è previsto per una durata maggiore, per tenere conto delle
maggiori difficoltà che Paesi con uno sviluppo differente incontrano nell’aprire i loro mercati ad un partner di
potenza commerciale indiscutibilmente maggiore quale è la Comunità europea. Da ciò si comprende come gli
effetti reali delle aree d’integrazione regionale possano essere valutati solo caso per caso con riferimento a
ciascuna categoria di prodotti. Quindi, va in primo luogo accertato se gli Stati parte dell’accordo abbiano o
meno inserito il prodotto che interessa nel programma di liberalizzazione. In caso affermativo, va appurato
se l’eliminazione dei dazi o il processo di riduzione graduale delle tariffe su quel prodotto siano già effettivi
oppure previsti con una scadenza successiva, o, ancora, se i negoziati di liberalizzazione per il prodotto in
questione siano stati posticipati in un periodo successivo all’entrata in vigore dell’accordo.
LA LIBERALIZZAZIONE ASIMMETRICA
La liberalizzazione che caratterizza gli accordi conclusi dalla Comunità europea è di tipo asimmetrico: se
infatti la Comunità s’impegna generalmente all’eliminazione immediata di dazi e tasse di effetto equivalente,
di quote e misure di effetto equivalente all’importazione della maggior parte dei prodotti industriali oggetto
degli accordi, i Paesi partner aprono i loro mercati ai prodotti di origine comunitaria in maniera più
progressiva e diluita nelle varie fasi del periodo transitorio. Se quindi l’interesse è quello di esportare in uno
dei Paesi che hanno concluso un accordo con la Comunità, l’accertamento delle condizioni tariffarie applicate
250
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
è semplice, in quanto, senza ricorrere all’analisi degli allegati specifici dell’accordo, è sufficiente verificare la
tariffa doganale del Paese che interessa. Viceversa, se un’azienda abbia necessità di sapere in quanto tempo
l’esportazione di un determinato prodotto sarà agevolata da un trattamento daziario preferenziale, allora
sarà necessario esaminare gli allegati specifici dell’accordo recanti le condizioni di liberalizzazione per
ciascuna categoria di prodotti.
L’esempio costituto dall’accordo in vigore tra Comunità europea e Giordania è utile al fine di valutare
concretamente la struttura che può assumere un accordo sia in relazione alla gradualità della
liberalizzazione, sia con riferimento alla liberalizzazione asimmetrica (v. box pagina seguente).
La struttura della liberalizzazione nell’accordo Comunità europea - Giordania
La Comunità europea, concede, come regime generale (articolo 9 dell’accordo), l’importazione dei prodotti
originari della Giordania in esenzione da dazi doganali e da qualsiasi altro onere di effetto equivalente ai
dazi Un trattamento differente da quello generale stabilito dall’articolo 9 è contemplato in due situazioni
differenti:
1) nel caso di mantenimento di un elemento agricolo all’importazione dei beni industriali della
Giordania elencate nell’Allegato I;
2) con riguardo ai prodotti agricoli, la cui disciplina è contenuta nel protocollo 1 e nel rispettivo
Allegato.
Il calendario di smantellamento degli ostacoli tariffari per l’importazione in Giordania delle merci di origine
comunitaria è, invece, più articolato e graduale. Le modalità previste, applicate in base alla volontà delle
autorità giordane di facilitare l’importazione di un determinato prodotto comunitario più o meno
velocemente, sono le seguenti:
1) merci comprese nell’Allegato II per le quali la Giordania applica un elemento agricolo (definizione di
elemento agricolo?) e un elemento industriale. È previsto che la Giordania possa applicare, all’atto
della loro importazione, un elemento agricolo a patto che quest’ultimo non superi il 50%
dell’aliquota del dazio di base applicato alle importazioni da paesi che, pur non beneficiando di
regimi commerciali preferenziali, beneficiano del trattamento della nazione più favorita (art. 10.2).
In generale, l’accordo specifica che per dazio di base a partire dal quale la Giordania comincia ad
apportare le riduzioni all’importazione dei beni va inteso il dazio effettivamente applicato nei
confronti della Comunità al 1° gennaio 1996; qualora, successivamente al 1° gennaio 1996, la
Giordania applichi una riduzione tariffa erga omnes, a decorrere dalla data in cui tale riduzione è
applicata i dazi ridotti sostituiscono i dazi di base (art. 11.6-7 dell’accordo). Per quanto riguarda
l’elemento industriale dei prodotti di cui all’Allegato II originari della comunità, la Giordania abolisce
progressivamente i dazi e gli oneri di effetto equivalente all’importazione secondo il seguente
calendario (art. 11.2):
a. quattro anni dopo la data di entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti
del 10% rispetto al dazio di base;
b. cinque anni dopo sono ridotti del 20% rispetto al dazio di base;
c. sei anni dopo sono ridotti al del 30% rispetto al dazio di base;
d. sette anni dopo sono ridotti al del 40% rispetto al dazio di base;
e. otto anni dopo sono ridotti al del 50% rispetto al dazio di base
2) merci di origine comunitaria comprese nell’elenco A dell’Allegato III. Il calendario previsto per la
liberalizzazione di queste merci è così suddiviso:
a. all’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti dell’80% del dazio di
base;
b. un anno dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 60% del
dazio di base;
c. due anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 40% del
dazio di base;
d. tre anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 20% del
dazio di base;
e. quattro dopo l’entrata in vigore dell’accordo, i dazi e gli oneri rimanenti sono eliminati
3) merci di origine comunitaria comprese nell’elenco B dell’Allegato III. Il calendario previsto per la
liberalizzazione di queste merci è così suddiviso:
251
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
a. quattro anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 90%
del dazio di base;
b. cinque anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 80%
del dazio di base;
c. sei anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 70% del
dazio di base;
d. sette anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 60% del
dazio di base;
e. otto anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 50% del
dazio di base;
f. nove anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 40% del
dazio di base;
g. dieci anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 30% del
dazio di base;
h. undici anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo, tutti i dazi e gli oneri sono ridotti al 20%
del dazio di base;
i. dodici anni dopo la data di entrata in vigore dell’accordo, i dazi e gli oneri rimanenti sono
eliminati
merci di origine comunitaria comprese nell’Allegato IV. Per queste merci il consiglio di associazione UE –
Giordania, competente nella gestione dell’accordo, e quindi deputato anche a vigilare e gestire la
liberalizzazione del commercio di merci, stabilisce quattro anni dopo l’entrata in vigore dell’accordo (quindi a
partire dal 1° maggio 2006), un calendario per lo smantellamento delle loro tariffe.
L’ADOZIONE DI MISURE COMMERCIALI DIFENSIVE TRA PAESI MEMBRI DI UNA ZONA DI LIBERO SCAMBIO
Il fatto che le operazioni commerciali tra due o più Paesi avvengano in regime di libero scambio non esclude
che nei rapporti reciproci non vengano utilizzati, in base alle condizioni previste dall’accordo di integrazione
regionale, strumenti di difesa commerciale, e cioè dazi antidumping, dazi compensativi e misure di
salvaguardia. Una tale possibilità è del tutto logica in virtù del fatto che in un’area di libero scambio
continuano ad esserci, cosa che non avviene più tra gli Stati di un’unione doganale, operazioni di
importazione ed esportazione. Potrebbero quindi verificarsi le condizioni per l’imposizione di una misura di
difesa commerciale, qualora, ad esempio, le aziende di uno Stato membro di una zona di libero scambio
praticassero dumping in esportazione sul mercato di un altro Stato membro; oppure, se le importazioni di
prodotti originari di uno Stato dell’area di libero scambio fossero tali da creare un grave pregiudizio ai
produttori del prodotto simile o direttamente concorrenziale di un altro Stato, è previsto il ricorso a misure di
salvaguardia.
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Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
53. L’importanza dell’origine dei prodotti
In una zona di libero scambio il trattamento preferenziale viene accordato ai prodotti originari dei Paesi che
prendono parte alla zona stessa: d’altra parte se non fosse così e se i benefici dell’accordo non fossero
limitati agli Stati che ne fanno parte, non avrebbe senso concludere l’accordo! E’ quindi evidente come lo
strumento di funzionamento delle zone di libero scambio e, in una prospettiva aziendale, la chiave di accesso
preferenziale ai mercati, siano le regole di origine, ovvero quelle norme contenenti i requisiti che ciascun
prodotto deve soddisfare per poter essere considerato originario di uno dei Paesi membri dell’accordo.
Nel caso dell’Unione europea vi è una tariffa esterna comune operativa per tutti i prodotti: ciò significa che,
in prima approssimazione, le merci in importazione nel territorio comunitario pagano il medesimo dazio in
tutte le dogane dei 27 Stati membri e che una volta che il dazio è stato pagato alle autorità doganali di uno
dei 27 Stati il prodotto può liberamente circolare nel territorio di tutta l’unione doganale europea senza che
ulteriori diritti siano dovuti. In altri termini, la libera circolazione delle merci è garantita, oltre che ai prodotti
originari dei Paesi dell’area, anche a quelli originari di Stati extra-CE una volta che hanno assolto le
obbligazioni doganali. Tuttavia, è importante notare che, a seguito dell’importazione nel territorio
comunitario, il prodotto di origine extra-CE può circolare liberamente ma mantiene l’origine extra-CE. Così,
ad esempio, il fatto di importare tessuti dall’India e di pagarne il relativo dazio all’ingresso della Comunità,
permette di rivenderli a tutti i produttori di abbigliamento comunitari situati negli altri Stati senza pagamento
ulteriore di oneri daziari, ma non modifica l’origine dei tessuti che, se era indiana prima dell’importazione in
Comunità, tale continua a rimanere e non muta per effetto dell’importazione.
Più precisamente, le regole di origine sono dei requisiti tecnici, contenuti in disposizioni di carattere
legislativo o amministrativo, utilizzati per determinare la nazionalità o il Paese di origine delle merci. Come si
è visto infatti, dazi ed eventuali misure di politica commerciale vengono applicati ai prodotti importati in base
al codice di classificazione tariffaria e all’origine.
Secondo alcuni dati OCSE del 2004, ben il 57% dello scambio internazionale di beni non beneficia della
riduzione o esenzione daziaria in quanto non si conoscono, e quindi non si applicano, le regole di origine
relative agli accordi commerciali preferenziali. Le ragioni per cui è fondamentale che le aziende conoscano e
applichino correttamente le regole utili a determinare la nazionalità dei materiali e semilavorati che
importano e dei prodotti finiti destinati all’esportazione sono almeno tre.
La prima motivazione è strettamente correlata al fenomeno della globalizzazione, ormai noto da tempo.
Mentre in passato, l’intero ciclo di produzione di un bene si svolgeva all’interno di un unico Paese, e quindi le
regole di origine avevano un ruolo marginale, prevalentemente di carattere statistico, attualmente, alla luce
dei grandi mutamenti intervenuti nell’economia mondiale, le imprese hanno modificato completamente le
loro attività di produzione e distribuzione. Oggi infatti gli operatori commerciali possono scegliere le fonti di
approvvigionamento delle materie prime e dei semilavorati ed anche i Paesi ove de-localizzare fasi parziali
del processo produttivo, badando quasi esclusivamente alla minimizzazione dei costi. Una tale pianificazione
è resa possibile sia da mezzi di trasporto più efficienti, sia dall’apertura dei mercati, che permette di
rivolgersi a Paesi caratterizzati da un costo del lavoro meno elevato. Il delinearsi di un tale scenario delle
relazioni commerciali internazionali ha fatto sì che il prodotto finito sia un insieme di componenti, lavorazioni
e attività originari di Paesi differenti.
La seconda ragione è legata al fenomeno, che va facendosi quantitativamente e qualitativamente sempre più
importante, della proliferazione di accordi commerciali preferenziali, ossia di quegli accordi in virtù dei quali
due o più Stati decidono di concedersi un trattamento daziario più favorevole rispetto a quanto non avvenga
nelle loro relazioni commerciali con Paesi terzi caratterizzate dall’assenza di accordo. Secondo i dati OMC,
sono attualmente in vigore 297 accordi commerciali preferenziali. Senza contare gli accordi che sono in via di
negoziazione e gli accordi che sono già in vigore ma che non sono stati ancora notificati all’OMC. Sempre
secondo l’OMC, per il 2011 saranno in vigore circa 400 accordi.
Ad esempio, tra Unione europea e Svizzera vi è un accordo preferenziale di libero scambio. Questo tuttavia
non significa che tutti i prodotti importati ed esportati tra Unione europea e Svizzera vengono,
automaticamente, scambiati a dazio preferenziale o a dazio 0%. Se così fosse non sarebbe necessario
intraprendere quel complicato processo durante il quale le delegazioni degli Stati, negoziando, decidono a
quali prodotti, in che tempi e secondo quali condizioni instaurare un regime reciproco di commercio
preferenziale. Le regole di origine sono le condizioni per il funzionamento di un accordo. Nel caso
dell’accordo tra Unione europea e Svizzera, l’Unione europea non concede il trattamento preferenziale a tutti
i prodotti importati dalla Svizzera, ma unicamente a quelli di origine svizzera, sempre che, naturalmente,
253
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
siano compresi negli scopi di liberalizzazione dell’accordo; allo stesso modo, la Svizzera concede un
trattamento preferenziale unicamente ai prodotti di origine comunitaria. Le regole di origine contenute nello
specifico protocollo allegato all’accordo UE – Svizzera stabiliscono, per ogni categoria di prodotto
classificabile a livello di voce doganale, i requisiti tecnici in base ai quali i prodotti importati in territorio
comunitario vengono considerati di origine svizzera e viceversa.
Supponendo l’esportazione verso la Svizzera, i prodotti vengono considerati di origine comunitaria quando
sono interamente ottenuti nel territorio dell’Unione europea. Quando invece nel processo di lavorazione
svolto in Unione europea vengono utilizzati componenti di origine extra – CE, é necessario che tali materiali
siano sottoposti alle lavorazioni sostanziali per essi previste dalle regole di origine contenute nel protocollo
allegato UE – Svizzera. Pensiamo ad un importatore di capi di abbigliamento. La regola di origine contenuta
nel protocollo allegato all’accordo Ue – Svizzera prevede che, per ottenere l’origine comunitaria, tutte le
lavorazioni necessarie a trasformare il filato in tessuto e il tessuto in capi di abbigliamento debbano essere
svolte nella Comunità103.
Questo significa che il produttore, ipotizziamo italiano, può utilizzare un filato giapponese e, a partire da tale
materiale, eseguire tutte le fasi produttive necessarie ad ottenere il prodotto finito. Qualora però il
produttore italiano utilizzi un tessuto giapponese, i capi di abbigliamento non avranno l’origine
italiana/comunitaria in quanto non viene rispettata la regola che richiede la fabbricazione a partire da filato.
Lo stesso esempio vale ragionando a contrario e immaginando un produttore svizzero di capi di
abbigliamento destinati ad essere esportati verso la Comunità europea. Questo ci fa capire che le regole di
origine allegate ad un accordo preferenziale rappresentano le condizioni reciprocamente accettate dagli Stati
parte di tale accordo in virtù delle quali è possibile che gli imprenditori utilizzino componenti originari di Paesi
che non partecipano all’accordo senza che ciò pregiudichi l’ottenimento dell’origine preferenziale e
l’applicazione di trattamento daziario più favorevole.
Da questo esempio si capisce perché le regole di origine sono il presupposto in base al quale funziona un
accordo commerciale preferenziale tra due Stati. E come ognuno dei 297 accordi attualmente in vigore nel
mondo funzioni tra i Paesi che vi prendono parte alle condizioni previste dalle regole di origine allegate. Ciò
rappresenta possibilità enormi sia in termini di accesso strategico alle risorse necessarie a produrre che di
ingresso concorrenziale ai mercati di esportazione.
Le regole di origine che regolano il funzionamento degli accordi conclusi dall’Unione europea si rifanno,
mutatis mutandis, ad un formato uniforme, sia per semplificarne la conoscenza e l’interpretazione a beneficio
delle aziende e degli investitori, sia perché, come vedremo più specificamente, la presenza di regole di
origine identiche è uno dei presupposti su quali si basa il beneficio del cumulo diagonale, c. d.
paneuromediterraneo, che sta progressivamente diventando operativo negli gli scambi tra Comunità
europea, altri Paesi europei e Paesi del mediterraneo.
Il terzo motivo che rende sempre più importante la corretta applicazione delle regole di origine è diretta
conseguenza del fatto che, nel contesto della graduale riduzione dei dazi doganali104, gli Stati fanno sempre
più ricorso a strumenti di politica commerciale alternativi ai dazi per difendere la competitività dei settori che
ne hanno di volta in volta bisogno o che sono colpiti da pratiche di commercio sleale poste in essere da
concorrenti stranieri. Ad esempio, ad alcune calzature di origine cinese classificabili nella voce 6403 la tariffa
doganale comune a tutti i 27 Stati membri dell’Unione europea prevede attualmente, l’applicazione di un
dazio del 16,5%, che va a sommarsi al dazio normalmente applicato dell’8%105. Questo dazio antidumping è
imposto solo sulle calzature di origine cinese. In questo caso le regole per stabilire l’origine delle scarpe
importate, non sono quelle contenute negli accordi commerciali preferenziali conclusi dalla Comunità
europea, ma quelle, c.d. non preferenziali, autonomamente stabilite dalla Comunità proprio al fine di
determinare il carattere originario dei prodotti importati per applicare, se del caso, le misure di politica
commerciale.
Dagli esempi fatti si capisce che vi sono due tipologie di regole di origine e che l’origine di un bene può
essere determinata in base alle regole preferenziali e/o non preferenziali: la scelta della categoria di norme
da applicare dipende dallo scopo per il quale è necessario determinare la nazionalità di un prodotto.
1. Le regole di origine preferenziali si applicano per verificare il carattere originario dei prodotti
importati al fine di valutare se a tali beni possa essere applicato il dazio ridotto, oppure, quando
103
104
105
La regole di origine richiede, precisamente, la fabbricazione a partire da filati
V. supra 2.1.
V. reg. 1472 del 6.10.2006, in GUUE L 275 del 2006
254
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
prevista, l’esenzione dal pagamento del dazio. L’elemento preferenziale può essere di carattere
reciproco, e quindi riguardare due o più Stati, come nelle aree di libero scambio, oppure di
fruizione unilaterale, come nel caso delle preferenze concesse ai prodotti originari di Paesi in via di
sviluppo
2. Le regole di origine non preferenziali sono invece da usare per determinare l’origine di un
prodotto al fine di verificare se a tale bene vada applicata una misura di difesa commerciale.
Più precisamente, le regole non preferenziali servono a determinare l’eventuale imposizione di:
- dazi antidumping
- dazi compensativi, cui gli Stati ricorrono per ristabilire l’equilibrio competitivo di prodotti importati
che sono particolarmente concorrenziali perché le autorità dello Stato di esportazione ne ha
sussidiato la produzione (vedere se va lasciata la ripetizione)
- misure di salvaguardia
- etichettatura di origine106.
L’esempio che segue chiarisce i concetti appena espressi:
Prodotto
Codice di
classificazione
Concessione
unilaterale
dell’origine
preferenziale
Regola di origine:
fabbricazione a
partire da fibre
Stoffe a maglia
6006
Fonte: allegato 15
al reg. 2454/1993
(disposizioni di
applicazione del
Codice doganale
Comunitario –
DAC)
Esempio: stoffe a
maglia originarie
del Bangladesh,
dazio 0%,
vantaggio solo in
import
Origine
preferenziale
convenzionale
valida su base
bilaterale
Regola di origine:
fabbricazione a
partire da fibre
Fonte: protocollo
d’origine
allegato
all’accordo UE –
Svizzera
Dazio: 0% per
stoffe a maglia
originarie CE
esportate in
Svizzera e
originarie della
Svizzera importate
nella CE
Vantaggio: in
import e in export
Origine non
preferenziale
comunitaria
Regola di origine:
fabbricazione a
partire da filati
Fonte: allegato 15
DAC
Supponiamo che
venga imposto un
dazio antidumping
sulle stoffe a
maglia originarie
della Cina; questa
è la regola
applicabile per
determinare
l’origine ai fini della
valutazione
dell’imposizione
della misura
antidumping
Come si può notare, la regola unilaterale preferenziale applicata per valutare se le stoffe siano originarie del
Bangladesh, valida anche a livello bilaterale tra Unione europea e Svizzera, è più severa di quella non
preferenziale, in quanto richiede che la fabbricazione avvenga a partire dalle fibre. Viceversa, secondo la
norma non preferenziale, rilevante ai fini di decidere se le stoffe siano di origine cinese e quindi passibili di
applicazione di un dazio antidumping, è sufficiente che le stoffe a maglia importate siano state ottenute in
Cina con lavorazione a partire da filati. Il fatto quindi che le regole preferenziali prevedano condizioni
generalmente più severe delle regole non preferenziali, comporta che siano basate su requisiti diversi.
Tuttavia, in alcuni casi il contenuto della regola preferenziale e non preferenziale per lo stesso prodotto
coincide (v. box).
106
Così l’art 1.1 dell’Accordo sulle regole di origine dell’OMC
255
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
Prodotto
Calzature
Voce di
classificazione
6403
Regola
presenziale e non
preferenziale
identiche
Fabbricazione a
partire da materiali
di qualsiasi voce,
escluse le calzature
incomplete formate
da tomaie fissate
alle suole primarie o
ad altre parti
inferiori della voce
6406
Regole
preferenziale
Regola non
preferenziale
Prima regola:
fabbricazione in cui
il valore di tutti i
materiali del
capitolo 39 utilizzati
non ecceda il 50%
del prezzo franco
fabbrica del
prodotto
Prima regola:
origine del Paese in
cui la lavorazione ha
l’effetto di cambiare
la terza e la quarta
voce di
classificazione del
prodotto
Fonti: protocollo
d’origine allegato
all’accordo UE –
Svizzera;
Allegato 11 DAC
Seconda regola:
fabbricazione in cui
il valore di tutti i
materiali utilizzati
non ecceda il 25%
del prodotto
Tubi
Fonte: protocollo
d’origine allegato
all’accordo UE Svizzera
3917
Seconda regola:
origine del Paese in
cui le lavorazioni
svolte, pur non
cambiando la
classificazione del
prodotto, in quanto
vengono utilizzati
materiali classificati
nella voce 3917,
danno come
risultato un
materiale rinforzato
o laminato
Fonte:
Posizione negoziale
in OMC della CE:
posizione attorno la
quale si è formato il
consenso di tutti gli
Stati che
partecipano al
negoziato OMC
256
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
Le regole preferenziali e non preferenziali si basano, pur con complessità differenti, sul principio
generalmente accettato secondo il quale, ogniqualvolta un prodotto sia il risultato di componenti o fasi di
lavorazione originari di due o più Paesi, il Paese che conferisce la nazionalità al bene è quello in cui è
avvenuta l’ultima trasformazione sostanziale. Data la natura generica ed imprecisa di tale principio,
ogni Stato e in ciascun accordo vengono adottati alcuni criteri tecnici il cui soddisfacimento vale quale
presunzione del suo compimento. Tali criteri costituiscono il contenuto delle regole d’origine. A seconda del
prodotto quindi le regole di origine sono basate:
- sul criterio della modifica della classificazione tariffaria
- sul criterio del valore aggiunto
- sul criterio del processo specifico di produzione
- su una combinazione di tali criteri.
Il criterio della modifica di classificazione tariffaria
Si basa sul presupposto secondo cui ogni prodotto oggetto di scambio internazionale è classificato in una
nomenclatura tariffaria predisposta nell’ambito della Convenzione sul Sistema armonizzato per la
designazione e codificazione delle merci (Sa). La quasi totalità degli scambi mondiali avviene in base a
questo sistema di classificazione, adottato o applicato da quasi tutti gli Stati.
In base al Sa ogni merce è identificata da sei cifre. Le prime due indicano il capitolo, ossia la categoria
generale di appartenenza del prodotto: ad es. il capitolo 39 si riferisce alle materie plastiche e ai lavori di tali
materie. Le prime quattro cifre indicano la voce doganale e identificano il prodotto con maggior precisione:
ad es. 3901 si riferisce ai polimeri di etilene in forma primaria. E’ importante notare che, nell’ambito di
ciascun capitolo, l’incremento della voce doganale indica il compimento di fasi progressive di lavorazione: ad
es. la voce 3908 indica i poliammidi in forma primaria, la voce 3917 i tubi e i loro accessori, la voce 3918
rivestimenti per pavimenti in materia plastica, la voce 3924 designa il vasellame e altri oggetti per uso
domestico in materia plastica. Le prime sei cifre rappresentano uno stadio di ulteriore lavorazione del
prodotto: ad es. 391721 è la sottovoce che classifica i tubi rigidi mentre 391731 indica “altri tubi”.
L’obbligo che il Sa pone a carico degli Stati è quello di utilizzare le sei cifre della convenzione per la
classificazione dei prodotti. Ciascuno Stato è quindi libero di stabilire la classificazione dei beni a partire dalla
settima cifra: proprio l’impiego di codici di classificazione tariffaria diversi da Stato a Stato rappresenta un
potenziale ostacolo gravante sulle merci esportate verso i Paesi terzi.
Il criterio più comunemente presente nelle regole di origine comunitarie è basato sul cambio di voce; quindi i
materiali di origine extra-CE devono essere classificati, secondo condizioni specificate caso per caso, in una
voce diversa da quella del prodotto finito (v. esempio box). Secondo la disciplina comunitaria, il livello cui
deve generalmente avvenire la modificazione di classificazione tariffaria affinché vi sia trasformazione
sostanziale del prodotto, e quindi acquisizione dell’origine, é quello della voce, e quindi della terza e quarta
cifra. Questo tuttavia non esclude che per alcuni prodotti e in altri Paesi non rilevino cambiamenti di
classificazione a livelli differenti, come ad es. a livello di capitolo o di sottovoce.
Ipotizziamo una ditta di frigoriferi tedesca, e quindi comunitaria, che voglia pianificare la produzione in modo
da avere accesso preferenziale al mercato svizzero. In base alla regola di origine rilevante ai sensi
dell’accordo preferenziale in vigore tra Comunità e Svizzera, l’impiego di materiali originari di Taiwan, e
quindi non di origine comunitaria né svizzera, non pregiudica l’ottenimento dell’origine comunitaria del
prodotto finito se, come avviene nell’esempio, si tratta di materiali classificabili in una voce diversa rispetto a
quella del prodotto finito.
Esempio del criterio di modificazione della classificazione tariffaria
Prodotto finito – produttore tedesco
Frigoriferi: classificabili nella voce 8418
Materiali non originari (Taiwan) usati
Fili di rame classificabili nella voce 7408
Accessori per tubi in acciaio classificabili nella voce
7307
Materiali originari usati (francesi)
Parti di frigorifero classificabili nella sottovoce
841899 (e quindi nella voce 8418)
La regola di origine relativa ai frigoriferi prescrive inoltre che i materiali non originari non devono eccedere il
40% del prezzo franco fabbrica del prodotto finito e che il valore dei materiali non originari utilizzati non
257
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
deve eccedere il valore dei materiali originari, e quindi di origine o svizzera o comunitaria. Questa norma
combina il criterio di modificazione tariffaria e quello del valore aggiunto.
Un esempio di regola basata unicamente sul criterio della modifica di classificazione tariffaria è quello dei
coltelli classificati nella voce 8211. Secondo questa norma un produttore svizzero di coltelli può utilizzare
materiali non originari a patto che tali materiali siano classificati in una voce diversa da 8211 che è quella del
prodotto finito.
Il criterio del valore aggiunto
Stabilisce la percentuale massima di valore delle parti non originarie utilizzabili rispetto al prezzo franco
fabbrica del prodotto finito. Questo criterio viene prescritto sia come singolo requisito da rispettare sia in
combinazione con altri requisiti. Ad esempio, per la produzione di macchine utensili classificabili nelle voci da
8456 a 8466, la regola prevista consente di utilizzare materiali non originari sino ad un valore del 40% del
prezzo franco fabbrica del prodotto finito.
Esempio del criterio del valore aggiunto
Macchine utensili classificabili nelle voci da 8456 a Ipotizziamo che si tratti di un’azienda italiana e che il
prezzo franco fabbrica del prodotto finito sia pari a
8466
La regola di origine del protocollo CE Svizzera 2000€.
prevede che possano essere utilizzati materiali non Il valore delle altre parti è così suddiviso:
300€
originari ma che il loro valore non deve eccedere il Parti giapponesi
Parti tailandesi
150€
40% del prezzo franco fabbrica del prodotto finito.
Parti spagnole
500€
Parti francesi
250€
Parti e manifattura italiane
800€
Essendovi solo 450€ di parti non originarie, le
macchine sono di origine preferenziale comunitaria e
possono essere esportate a dazio preferenziale verso
la Svizzera.
Il criterio del processo specifico di produzione
È basato sulla descrizione delle operazioni necessarie al conferimento dell’origine: la vaselina, classificabile
nella voce 2712, è originaria del Paese in cui avviene la raffinazione e/o uno o diversi trattamenti specifici.
La valutazione delle differenze e dei punti in comune tra regole di origine preferenziali e non preferenziali
può essere riassunta nel seguente schema:
Scopo diverso
Dazio (pieno) della tariffa
doganale in assenza di
Regole di origine NON accordo; quote; dazi
antidumping e
PREFERENZIALI
compensativi; misure di
salvaguardia; marchi di
origine
Applicazione dazi
Regole
di
origine preferenziali
PREFERENZIALI
Fonti diverse
- Accordo OMC,
Convenzioni
dell’Organizzazione
Mondiale delle Dogane
- Normativa nazionale
- Normativa regionale:
caso CE
Accordi commerciali
preferenziali reciproci o
concessi su base
unilaterale
258
Criteri uguali
Trasformazione
sostanziale prevista per
ciascun prodotto dalle
regole di origine di
CIASCUNO STATO
IMPORTATORE
Trasformazione
sostanziale prevista per
ciascun prodotto dalle
regole di origine allegate
ai diversi accordi
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
È importante tenere in considerazione che la decisione in merito ai requisiti previsti dalle regole di origine
spetta a ciascuno Stato nel caso delle regole non preferenziali, mentre è oggetto di negoziazione nel caso di
accordi reciproci o di concessioni unilaterali.
Alla luce di ciò, è facile comprendere come la determinazione relativa ai contenuti tecnici delle regole di
origine sia di tipo politico in quanto incide sulla gestione delle relazioni commerciali tra Stati. Infatti,
negoziare regole di origine preferenziali permissive, anziché restrittive, significa rendere più fruibile l’apertura
dei mercati ai prodotti originari dei membri di una zona di libero scambio o dei Paesi in via sviluppo;
altrettanto cruciale è il ruolo delle regole non preferenziali, posto che contribuiscono a proteggere settori
sensibili dell’economia nazionale. In virtù di queste considerazioni, è corretto considerare le regole di origine
come lo strumento per eccellenza della pianificazione commerciale e doganale di un’azienda: dalla
conoscenza delle regole di origine e da una corretta e cosciente pianificazione della produzione e della
distribuzione dipende, infatti, la competitività dei prodotti e il controllo dei costi delle operazioni di import
export.
In ragione dell’impatto fortemente protezionistico e potenzialmente distorsivo che possono avere, le regole
di origine sono oggetto di un accordo OMC, avente innanzitutto l’obiettivo di predisporre un set di regole di
origine non preferenziali comuni a tutti gli Stati membri OMC. Tuttavia, proprio a causa dell’importante ruolo
economico-politico giocato dalle regole di origine, i lavori di armonizzazione che dovevano concludersi entro
il 1998, sono ancora in corso. L’altro obiettivo importante cui mira l’accordo sulle regole di origine OMC è
quello di evitare che, una volta armonizzate, le regole di origine vengano interpretate in modo differente
dagli organi responsabili dei vari Stati, rendendo così vana l’armonizzazione di questa complessa materia.
259
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
54. Conclusioni
Vendere e basta non è sufficiente. Occorre anche che i prodotti raggiungano i clienti puntualmente: a tal
fine, pianificare per tempo e in ottica strategica le operazioni doganali permette di ridurre al minimo il rischio
che le merci vengano bloccate in dogana. Il fermo in dogana predisposto dalle autorità del Paese
importatore per controllare la veridicità degli elementi contenuti nelle dichiarazioni che accompagnano i beni
comporta, oltre ai costi di custodia e ad eventuali sanzioni economico- amministrative, ritardi nella consegna
ai clienti. È poi fondamentale che i prodotti venduti sia sul mercato nazionale e comunitario sia nei Paesi
scelti per l’esportazione siano competitivi: la conoscenza e le gestione dei dazi e delle altre misure
all’importazione poste dai Paesi verso i quali si esporta proprio per scoraggiare l’acquisto dei prodotti
importati e incentivare la scelta dei prodotti nazionali, sono momenti fondamentali per garantirsi il miglior
accesso al mercato di tali Stati. E’ vero che non è l’azienda italiana a dover pagare il dazio all’importazione
dei prodotti che ha venduto negli Stati Uniti, in Svizzera o in qualsiasi altro mercato; ma è altrettanto vero
che mettere l’importatore o l’agente che li distribuirà su quei mercati in condizione di pagare un dazio
inferiore, o di non pagarlo affatto, equivale a fargli uno sconto, significa aiutarlo a vendere di più, è un modo
efficace per promuovere le vendite.
La domanda che un’azienda, un distributore, un importatore dovrebbero porsi è: c’è qualcosa
che posso fare per potenziare la mia performance commerciale utilizzando meglio gli strumenti
e le risorse che ho a disposizione e sui quali ho già investito? Aver chiaro il motivo per cui è
economicamente rilevante porsi un tale quesito, è il primo passo decisivo per fruire dei benefici derivanti da
un rinnovato approccio alle operazioni commerciali internazionali. Ma insieme a questa domanda è anche
comprensibile che un’azienda si chieda: perché dopo anni di attività e di esperienza sorge il problema di
cambiare approccio rispetto alla gestione delle operazioni commerciali e doganali? Le risposte possibili sono
più di una. Si è detto in apertura della configurazione sempre più complessa ed in continuo mutamento del
contesto delle relazioni commerciali internazionali. La spiegazione su cui si basa questo contributo muove dal
dato di fatto degli innumerevoli ostacoli, soprattutto di carattere non tariffario, che rendono più complesso
l’accesso ai mercati di esportazione. Inoltre, nonostante l’impegno multilaterale per promuovere norme più
trasparenti, semplici, uniformi, e con potenziale discriminatorio sempre più basso, ciascuno Stato applica,
fondamentalmente, le proprie norme, procedure e prassi doganali. Inoltre, due tra i dati che sono stati citati
devono far riflettere. Il primo: secondo quando stimato dall’OMC, per il 2011 saranno in vigore circa 400
accordi commerciali preferenziali. Il secondo, basato su dati OCSE: il 57% dello scambio internazionale di
beni non beneficia della riduzione o esenzione daziaria in quanto non si conoscono, e quindi non si
applicano, le regole di origine relative agli accordi commerciali preferenziali.
A fronte di un simile scenario, spetta ad ogni azienda decidere in che misura intervenire per non perdere
posizioni di competitività, al contrario per rafforzarla, usando a proprio vantaggio, e non subendole, le norme
dello scenario commerciale internazionale. Un aggiornamento costante relativo ai maggiori cambiamenti
proposti dalla logica delle relazioni commerciali e dalla struttura normativa è certamente il primo passo utile
a cogliere, almeno in prima battuta, gli interventi di pianificazione più importanti e urgenti da svolgere. In
questo senso, è meritoria l’attività delle istituzioni che si fanno carico di promuovere iniziative di qualità che
vanno al di là del semplice assolvimento delle funzioni istituzionali. Tuttavia, uno studio approfondito e
dedicato specificamente alla realtà di ogni singola azienda, volto a rilevare, da un lato, tutti gli elementi di
costo che potrebbero essere eliminati, e dall’altro, le opzioni di risparmio e le soluzioni per una maggiore
tranquillità operativa, è la decisione più economica ed appropriata.
260
Individuazione e gestione dei costi nelle operazioni doganali: competitività a rischio?
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Si Ringraziano:
Provincia di Ravenna - www.provincia.ra.it
Banca di Credito Cooperativo ravennate & imolese - www.inbanca.it
Bi.Com System Srl - www.bicomsystem.it
Vianello Assicurazioni - www.vianelloassicurazioni.it
Export Coop - www.exportcoop.com
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Ferrari Srl - www.ferrari-ra.it
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