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PER IL PROGRESSO DELLA ZOOTECNIA 46° INTERNATIONAL SYMPOSIUM Biosensors and Biotechnology for environmental monitoring. 26 september 2011 Sassari Edited by G.F. Greppi, S. Mura I diritti di traduzione, memorizzazione elettronica, riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati in tutti i paesi. L’editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre un numero di pagine non superiore al 15% delle pagine del presente volume. Le richieste vanno inoltrate a Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere dell’Ingegno (AIDRO). Via delle Erbe 2, 20121 Milano Tel. e Fax 02-809506 Quando, ai sensi dell’art. 181 ter 1.633/1941, acquisterà efficacia il nuovo testo dell’art. 68, co. 41. 633/1941 introdotto dall’art. 2 1 248/2000, la riproduzione a mezzo di fotocopia potrà essere effettuata per uso personale (cioè privato ed individuale) con pagamento da parte del responsabile del punto (o centro) di fotocopia a SIAE del compenso di legge. L’editore, per quanto di propria spettanza, considera rare le opere fuori dal proprio catalogo editoriale. La riproduzione a mezzo di fotocopia degli esemplari esistenti nelle biblioteche di tali opere è pertanto consentita, senza limitazioni di quantitativi. Non possono considerarsi rare le opere di cui esiste, nel catalogo dell’editore una successiva edizione, le opere presenti in cataloghi di altri editori o le opere antologiche. Edizione in Stampa Digitale Ristampa 1- 2012 La realizzazione di un libro scientifico è un’operazione complessa, che richiede numerosi controlli: sul testo, sui caratteri, sulle immagini e sulle relazioni che si stabiliscono tra essi. L’esperienza ci insegna che è praticamente impossibile pubblicare un libro privo di errori. Saremo grati ai lettori che vorranno segnalarceli. Nell’eventualità che passi, citazioni o illustrazioni di competenza altrui siano riprodotti in questo volume, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire. UNDER THE AUSPICES ASPA A.I.A ENEA ECOTECH Istituto Sperimentale italiano L. Spallanzani SIPAOC SISVET UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI SASSARI FACOLTA DI AGRARIA INDEX Biosensori ed ambiente Mura S., Greppi G.F., Masci D. pag. 1 Fluorescence spectroscopy techniques for water quality monitoring Pittalis D. Iocola I., Fiorani L., Menicucci I., Palucci A., Lugliè A. Ghiglieri G., Iannetta M. pag. 39 RFID technology across animal productions. Environemtal interactions of RFID techonology in animals. Cappai M. G., Pinna W. pag. 55 Biosensors in Water Ecotoxicology Ielmini S., Piredda G., Greppi G.F. pag . 69 Introduzione alla proteomica Piras C., Soggiu A., Roncada P., pag. 143 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Biosensori per il monitoraggio ambientale Mura S. Nucleo di Ricerca sulla Desertificazione Laboratorio di Bionanotecnologie Università degli Studi Sassari Greppi G.F. Laboratorio di Bionanotecnologie Università degli Studi Sassari Masci D. Unità Tecnica Sviluppo Sostenibile e Innovazione del Sistema Agroindustriale ENEA Introduzione In tutto il mondo, la capacità di monitorare lo stato ambientale è oggi una priorità per molti paesi. La possibilità di determinare con precisione lo 'stato ecologico' è il presupposto per quantificare i cambiamenti ambientali, o per la rilevazione di fenomeni di inquinamento nelle fasi iniziali (Chobtang, de Boer et al. 2011). Senza questa capacità non è possibile attuare politiche volte a migliorare lo stato del nostro ambiente ed esiste un’ alta probabilità di sprecare enormi risorse da parte dei governi attraverso politiche inefficaci o sbagliate. Inoltre vi è la necessità di definire cosa si intenda per stato ambientale, e se questo sia 'buono' o 'cattivo', o se stia cambiando. Pertanto sono stati presi in considerazione degli approcci futuristici per il monitoraggio ambientale che utilizzino innovazioni fondamentali nel settore agro-ambientale capaci di rivoluzionare l’attuale modo di monitorare l’ambiente. La domanda sempre crescente, sia essa a carattere scientifico o sociale, per una determinazione quantitativa di specie chimiche sia naturali che artificiali, della loro diffusione e dei loro effetti sull'ambiente e sugli organismi viventi, evidenzia il bisogno di nuove strategie e nuovi metodi di misura. La maggiore attenzione verso la qualità delle produzioni, è resa necessaria dalla rivoluzione nei metodi di coltivazione recentemente introdotti in agricoltura che hanno ampliato il già vasto orizzonte degli inquinanti ambientali, introducendo possibili inquinanti “non convenzionali”. I pesticidi e i metalli pesanti sono attualmente i composti che destano le maggiori preoccupazioni nella filiera agro-alimentare, l’impiego dei pesticidi ha chiaramente effetti positivi nelle rese agricole, ma un loro impiego massiccio crea una serie di problemi legati da una parte alla loro tossicità anche per organismi non target della filiera, per la loro persistenza e per gli effetti combinati con altri composti dell’agroindustria e con gli inquinanti ambientali che presentano una 1 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring differente tossicità a seconda della specie. Si ritiene che una percentuale di animali variante dal 60 al 75% sia esposta agli effetti dei metalli pesanti e dei pesticidi. L’effetto dell’esposizione agli inquinanti ha destato in medicina un notevole interesse anche perché si è osservata una preoccupante interferenza con l’integrità del sistema immunitario sia degli animali che dell’uomo. Diossine, PCB e metalli pesanti sono considerati come inquinanti ambientali prioritari. Differenti nell’origine, le sostanze inquinanti hanno molte caratteristiche comuni, compreso l'accumulo lungo la catena alimentare. A causa delle loro proprietà, le diossine ad esempio sono oggetto di fortissima attenzione da parte delle autorità sanitarie di molti Paesi e di organismi comunitari. Alcuni soggetti possono sviluppare cloracne a livelli di accumulo che sono solo circa 7 volte superiori all’accumulo medio di 13 ng/kg p.v. riscontrato negli abitanti degli Stati Uniti. Lo stretto rapporto esistente tra ambiente, territorio e catena produttiva ha importanti implicazioni nell’ambito della sicurezza e nel mantenimento della biodiversità.. Potenziali fattori di rischio per la salute del consumatore possono introdursi nei vari processi di produzione, trasformazione e distribuzione. Additivi alimentari, coadiuvanti tecnologici e nuovi materiali a contatto con gli alimenti; prodotti fitosanitari e loro residui; sostanze allergeniche, diossine, e micotossine; metalli pesanti o radioattivi costituiscono alcuni esempi di rischio di contaminazione nelle acque che deve essere sottoposto a continuo monitoraggio. Gli obiettivi sono in accordo con il D.Lgs 258/00 che aggiorna e modifica il D.Lgs 152/99, in merito ai parametri da 2 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring considerare per il monitoraggio e la classificazione delle acque in funzione degli obiettivi di qualità ambientale. L'evoluzione dell'interesse dei consumatori verso la salubrità degli alimenti ha indotto la Commissione Europea e, sul piano nazionale, il Ministero della Salute a considerare come priorità strategica il raggiungimento degli standard più elevati possibili di sicurezza alimentare. La direttiva del Consiglio 89/397/CEE recepita nell'ordinamento nazionale con il D.Lgs. 123 del 3 marzo 1993 ha armonizzato le attività di controllo ufficiale sui prodotti alimentari che vengono effettuate nei Paesi dell'Unione Europea. Le attività del controllo ufficiale sono dirette a verificare, tra l'altro, le materie prime, gli ingredienti, i coadiuvanti ed ogni altro prodotto utilizzato nella produzione e preparazione per il consumo, i prodotti semilavorati, i prodotti finiti. Le attività del controllo ufficiale sono dirette a verificare, tra l'altro, le materie prime, gli ingredienti, i coadiuvanti ed ogni altro prodotto utilizzato nella produzione e preparazione per il consumo, i prodotti semilavorati, i prodotti finiti. Potenziali fattori di rischio per la salute del consumatore possono introdursi nei vari processi di produzione, trasformazione e distribuzione. Questo ha stimolato lo sviluppo di sensori chimici, e più recentemente di biosensori. D'altra parte la spinta in questa direzione è venuta anche da motivazioni pratiche ed urgenti: la disponibilità di un biosensore, ad esempio, può eliminare le lunghe e fastidiose procedure tipiche delle tecniche analitiche tradizionali, inoltre potrebbe permettere l'esecuzione in tempo reale, in loco, di analisi mediche o ambientali. Partendo quindi da ciò che è presente in natura si è notato come nella nanoscala ci siano dei comportamenti della materia del tutto innovativi che possono essere utilizzati per il miglioramento dello sviluppo sensori stico ed in particolare del segnale, dei recettori, e delle tecnologie di trasmissione, dando così vita a un nuovo campo di dispositivi noti come nanobiosensori. Ultimamente anche la possibilità che sostanze tossiche di diversa natura possano entrare nella catena alimentare ha raggiunto livelli elevati, soprattutto a causa della loro aumentata immissione nella biosfera. Tale problema è stato affrontato in diversi modi tra cui, a monte, il contenimento della diffusione di sostanze tossiche nell’ambiente e, a valle, il tentativo di sviluppo di tecnologie per la decontaminazione. Risulta sempre più impellente dunque la necessità di poter monitorare l’introduzione di sostanze inquinanti organiche e inorganiche nell’ambiente, in particolare quando il processo è nelle sue fasi iniziali. In un primo momento dunque si è cercato di sviluppare metodi per la misura diretta della concentrazione dei più diversi tipi di inquinanti in differenti matrici quali suolo, acqua e aria, utilizzando metodologie analitiche molto laboriose e costose che spesso non risultano particolarmente adatte a restituire informazioni interessanti sulla qualità dell’ambiente. 3 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring A livello internazionale stanno emergendo con forza tendenze che spingono le imprese ad essere “ecosostenibili”. O meglio, la società e i mercati esprimono sempre minore tolleranza verso le imprese con comportamenti non eco-sostenibili e socialmente responsabili. La sostenibilità ambientale non rappresenta quindi una semplice opzione strategica, ma deve affermarsi come un elemento costitutivo e fondante della strategia aziendale. Di conseguenza la sostenibilità ambientale non può essere il risultato di iniziative spot, ma deve essere oggetto di una accurata pianificazione. Le imprese devono pertanto attrezzarsi per porre in essere strategie e modelli di business aziendali che incorporino e sviluppino la questione della sostenibilità ambientale. Con il nuovo termine “Green-Tech” o “Clean-Tech” si intende infatti l'applicazione dell'innovazione allo scopo di conservare l'ambiente naturale e le risorse rinnovabilli. L'obiettivo del Green-Tech è quello di migliorare la produttività delle colture ed al contempo tenere in considerazione la vulnerabilità (attitudine della falda ad ingerire e diffondere un inquinante) e del valore dei beni da salvaguardare (uso idropotabile, popolazione servita, disponibilità di fonti alternative, valore paessaggistico e turistico ..). Non è stata ancora definita una precisa metodologia di monitoraggio delle acque che risponda efficacemente alle esigenze di verifica imposte dalle normative e alle specificità delle situazioni locali, ne deriva l’importanza di studiare nuovi strumenti di monitoraggio, basati sull’integrazione di diversi approcci (Buchan and Key 1956). Il monitoraggio è un processo di sistematica raccolta di dati qualitativi e quantitativi fatta con una procedura standardizzata in un periodo di tempo, necessario a raccogliere i dati previsti. La biovalutazione protratta nel tempo, secondo metodiche definite e con scopi precisi di controllo dello stato dell’ambiente, soprattutto per quanto attiene le azioni di sostanze inquinanti, viene detta biomonitoraggio. Esso tende a verificare le deviazioni da una situazione che si ritiene normale o di base, stabilendo i limiti di accettabilità dei risultati; esso si distingue in questo dalla semplice sorveglianza che prevede pure un programma esteso nel tempo di osservazioni qualitative e quantitative, ma che mira solo a valutare se avvengono variazioni, senza formulare giudizi sulle stesse. La scelta degli strumenti ottimali per la stima e il monitoraggio dell’ambiente è funzione dell’avanzamento dello stato delle ricerche delle varie discipline e dell’applicabilità reale delle soluzioni proposte e dell’informazione che l’indicatore offre. La ricerca è aperta in svariati ambiti e su più fronti: dallo studio della biologia dell’indicatore e della sua risposta all’inquinamento, alla “costruzione” di organismi o di strutture ex novo, dalla messa a punto di indici sintetici di valore i più vasti possibili, al miglioramento del metodo di campionamento, dalla integrazione e correlazione del dato strumentale con quello biorilevato al miglioramento delle 4 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring conoscenze tassonomiche e biogeografiche, dal miglioramento delle conoscenze ecologiche alla individuazione degli organi bersaglio più sensibili, ed infine al chiarimento del ruolo della variabilità genetica. La tecnologia dei biosensori, che cerca di combinare le proprietà uniche di riconoscimento delle strutture biologiche con dispositivi trasduttori ingegnerizzati in modo da fornire avanzate capacità di rivelazione, ha suscitato un grande interesse da parte delle comunità di ricerca mondiale (Kjellstrom, Lodh et al. 2006). I ricercatori hanno finora prodotto un gran numero di biosensori ibridi che utilizzano costrutti sia acellulari (macromolecolari) che cellulari, integrati con un'ampia gamma di dispositivi trasduttori (elettrodi amperometrici e potenziometrici, transistor a effetto di campo, cristalli piezoelettrici, sensori optoelettronici, termistori, termopile, dispositivi per risonanza superficiale al plasmon, ecc.). Un biosensore è uno strumento analitico che combina elementi di bio-riconoscimento e propietà fisiche di trasduzione del segnale per l’identificazione di molecole target. I biosensori sono degli strumenti analitici con potenzialità enormi, sia in termini di interesse scientifico, sia in termini di applicazioni commerciali: – Capo medico diagnostico. – Analisi dei pesticidi e contaminanti delle acque – Analisi in remoto per contaminazioni batteriche nelle attività contro il bioterrorismo. – Analisi dei patogeni negli alimenti – Analisi di routine dell’acido flico, biotina, vitamina B12 e acido pantotenico – Analisi di antibiotici negli alimenti Molti autori concordano nel paragonare il bioindicatore a una sorta di raffinato e complesso strumento in grado di evidenziare le variazioni ambientali. Divergenze tra gli autori si riscontrano invece riguardo alla natura del bioindicatore. Per alcuni questo è soprattutto un organismo, normalmente identificato a livello di specie, o a livelli sistematici sovraspecifici (genere, famiglia) ovvero a livelli sistematici subspecifici (sottospecie), più per altri, anche le popolazioni, le comunità o il paesaggio, nel loro strutturarsi nel tempo e nello spazio, possono essere assunti come bioindicatori; infine, per altri autori ancora, il ruolo di indicatore biologico può essere svolto anche da parti del corpo di un organismo. Ovviamente, dalla diversa interpretazione della natura del bioindicatore discende anche il diverso modo di definire le risposte da considerare come segnali utili per la valutazione biologica. La valutazione biologica è il monitoraggio, cioè il processo di sistematica raccolta di dati qualitativi e quantitativi realizzata con una procedura statistica standardizzata in un periodo di tempo, necessario per raccogliere i dati previsti. La biovalutazione protratta nel tempo, secondo metodiche definite e con scopi precisi di controllo dello stato dell’ambiente, soprattutto per quanto attiene le azioni di sostanze inquinanti, viene detta biomonitoraggio. Esso tende a verificare le deviazioni da una situazione che si ritiene normale o di base, stabilendo i limiti di accettabilità dei risultati; esso si distingue in questo dalla semplice 5 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring biosorveglianza, che prevede pure un programma esteso nel tempo di osservazioni qualitative e quantitative. Più propriamente, secondo la IUPAC, un biosensore è “un apparato che utilizza specifiche reazioni biochimiche mediate da enzimi isolati, anticorpi, tessuti, organelli o intere cellule per la rivelazione di composti chimici, di solito mediante la produzione di segnali elettrici, ottici o termici”. I minatori hanno usato per molto tempo un canarino (elemento biologico) in una gabbia per rivelare la presenza di CO (analita) nelle miniere, uno dei primi esempi di biosensore ON/OFF monouso. Infatti, se la concentrazione di CO superava un certo limite, il canarino mostrava cambiamenti comportamentali e molto spesso moriva. Un esempio ancora più antico di biosensore monouso è rappresentato dall’assaggiatore che verificava la presenza di veleni nei cibi dei potenti, come Remy del film Ratatouille della Disney– Pixar. Il primo biosensore fu ideato da Clark nel 1962. Esso si basava sulla misura dell’ossigeno consumato durante la reazione enzimatica di un’ossidasi, tramite un elettrodo di platino polarizzato a -700 mV. Attualmente ad esempio i biosensori enzimatici sono stati oggetto di grande interesse della comunità poiché garantiscono una elevata selettività con il substrato e presentano una buona stabilità chimica (Guilbault et al., 2004). Questi sensori utilizzano l’interazione di substrato di un enzima per rivelarne la concentrazione: la risposta ad un aumento del substrato è infatti determinata dalla concentrazione del prodotto (P) della reazione enzimatica sulla superficie del sensore. Per quanto detto sopra, l’immobilizzazioni di enzimi è uno stadio fondamentale dello sviluppo di un biosensore poichè permette di risolvere alcuni problemi come la perdita di enzima (specialmente se costoso) e allunga la shelf-life del biosensore permettendo al tempo stesso di realizzare dispositivi che possono essere impiegati sia in fasi stazionarie che in matrici biologiche fluide. In generale i sensori, in quanto interfaccia tra l'ambiente esterno e i sistemi di elaborazione e gestione, hanno un profondo impatto su prodotti di larga diffusione: sono ad esempio un elemento essenziale per il controllo e la diagnostica in settori come la medicina, l'automazione industriale, le telecomunicazioni, l'ambiente, l'agricoltura. Le applicazioni biosensoristiche spaziano in campi molto diversi: dal settore ambientale (con 6 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring biosensori in grado di monitorare inquinamenti ambientali), al settore agro-alimentare (con sensori per la valutazione della qualità dei cibi, o per la ricerca di OGM), al settore industriale (con sensori posizionati all'interno delle linee di produzione in grado di valutare il raggiungimento di obiettivi specifici), al settore biomedicale (con sensori diagnostici in grado di evidenziare malattie e/o predisposizioni genetiche in tempi brevi e a basso costo). I biosensori stanno assumendo negli ultimi anni un sempre crescente interesse di mercato, grazie ad alcuni loro aspetti caratterizzanti quali: • la facilità di utilizzo: generalmente i campioni non necessitano di particolari preparazioni prima delle analisi e ciò rende possibile le misurazioni direttamente su cibo, sangue, acqua inquinata, ecc • i tempi di risposta sono ridotti e le dimensioni degli strumenti sono compatte, inoltre la sicurezza dell'operatore è garantita in quanto non necessitano di radioisotopi o marcatori • i costi, rispetto ai metodi di analisi tradizionali, sono molto più contenuti e non necessitano di personale tecnico specializzato I sensori possono essere classificati in base al loro principio di funzionamento oppure al tipo di segnale in uscita, ma più comunemente vengono classificati in base al tipo di grandezza fisica che misurano, esempio: • sensori biometrici: rilevano una caratteristica di una zona del corpo umano (conformazione della retina o i potenziali elettrici del polpastrello del dito della mano). • sensori chimici: es. biosensori che si basano su organismi o componenti d'organismi viventi (molti tipi di microorganismi, tessuti, ormoni, anticorpi, enzimi, .). • sensori di accelerazione: accelerometri, sensori sismici. • sensori di calore: bolometri, • sensori di corrente elettrica: galvanometri, amperometri. • sensori ottici (una combinazione di fotocellula e LED o un laser. Usati principalmente nelle macchine fotografiche con autofocus, nei binocoli sofisticati e nella robotica). • sensori di forza: celle di carico, estensimetri. • sensori di gas e flusso di liquidi: anemometri, flussimetri, gasometri, pluviometri, indicatori di velocità dell'aria. • sensori di luce (o sensori ottici): fotocellule, fotodiodi, fototransistor, tubi fotoelettrici, CCD, radiometri di Nichols, fotomoltiplicatori. • sensori di magnetismo: bussole magnetiche, bussole flux gate, magnetometri. • sensori di movimento: radar, velocimetri, tachimetri, odometri. 7 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring • sensori di orientamento: giroscopi, orizzonte artificiale, giroscopi laser, sensori di posizione, sensore di rotazione. • sensori di particelle subatomiche: scintillometri, camere a nebbia, camere a bolle, camere di ionizzazione. • sensori di potenza elettrica: wattmetri. • sensori di pressione: barometri, barografi, misuratori di pressione, altimetri, variometri. • sensori di prossimità: interruttori, prossimity ottici (un tipo di sensori di distanza che rilevano solo una prossimità specifica, sono realizzati da una combinazione di fotocellula e LED o con un laser. Trovano applicazione nei telefoni cellulari, nei rilevatori di carta delle fotocopiatrici, sistemi di spegnimento o standby automatico nei portatili e in altre apparecchiature). • sensori di radiazione: contatori Geiger, dosimetri. • sensori di resistenza elettrica: ohmmetri, multimetri. • sensori di suono: microfoni, idrofoni. • sensori di temperatura: termometri, termocoppie, resistori sensibili alla temperatura, termistori, termometri bimetallici e termostati. • sensori di tensione elettrica: elettroscopio, voltmetri. I biosensori differiscono dai sensori come tali in quanto possono essere classificati sia secondo la natura della molecola biologica utilizzata che secondo il metodo di trasduzione adottato per la rivelazione del segnale biologico. I biosensori dunque possono essere suddivisi secondo la classe della molecola che costituisce la parte sensibile del sistema. Di seguito sono elencate le varie classi di biorecettori ed i metodi di trasduzione comunemente impiegati. A) Bioriconoscimento enzimatico; a loro volta classificabile a seconda del metodo di trasduzione in: a) metodo di lettura elettrochimico b) metodo di lettura optoelettronico B) Bioriconoscimento immunologico, o immunosensori con a) metodi di lettura optoelettronico b) metodi di lettura gravimetrico c) metodo di lettura elettrochimico C) Metodi utilizzanti DNA per il riconoscimento dei geni con a) metodi di lettura optoelettronico 8 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring b) metodi di lettura gravimetrico c) metodo di lettura elettrochimico D) Metodi di riconoscimento cellulare, che utilizzano composti in grado di modificare la crescita delle popolazioni cellulari o producono in esse alterazioni del metabolismo. E) Metodi tessutali. I biosensori chimici e biochimici, possiedono una struttura generale costituita da un elemento biologico fissato su un substrato in grado di trasformare la reazione biologica che avviene tra l’elemento biologico e il bersaglio ricercato in un segnale rilevabile. La reazione biologica, altamente specifica, può avvenire, per esempio, tra l’enzima e il substrato, tra l’anticorpo e l’antigene, tra il recettore e l’ormone. L’ampio spettro di reazioni impiegate e l’elevata sensibilità e selettività rendono i biosensori idonei a molteplici settori di applicabilità. La tecnologia dei biosensori, che cerca di combinare le proprietà uniche di riconoscimento delle strutture biologiche con dispositivi trasduttori ingegnerizzati in modo da fornire avanzate capacità di rivelazione, ha suscitato un grande interesse da parte delle comunità di ricerca mondiali. I biosensori sono apparecchiature di monitoraggio e di controllo che possono misurare, in tempi molto brevi, paramenti fondamentali relativi a processi biologici e/o processi chimici. I ricercatori hanno finora prodotto un gran numero di biosensori ibridi che utilizzano costrutti sia acellulari (macromolecolari) che cellulari, integrati con un'ampia gamma di dispositivi trasduttori (elettrodi amperometrici e potenziometrici, transistor a effetto di campo, cristalli piezoelettrici, sensori optoelettronici, termistore, termopile, dispositivi per risonanza superficiale al plasmon eccetera). Il trasduttore converte l’interazione biochimica tra biomolecola e marker in un segnale elettronico misurabile. I trasduttori più comunemente utilizzati nei biosensori sono di tipo elettrochimico, elettro-ottico, acustico e meccanico. Da un punto di vista operativo, i trasduttori possono essere suddivisi in 9 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring diretti ed indiretti. I sensori a rivelazione diretta, in cui l’interazione biologica viene misurata in tempo reale, generalmente utilizzano leganti non catalitici quali recettori cellulari ed anticorpi. I più comuni biosensori di questo tipo impiegano un rivelatore a risonanza plasmonica. Fanno parte di questa categoria di trasduttori anche sensori piezoelettrici, che misurano variazioni nella risonanza acustica a seguito dell’adesione dell’analita. I sensori optomeccanici (microcantilever), simili ai sensori dei microscopi a forza atomica, misurano la deflessione delle sonde, a ciascuna delle quali è legato un anticorpo, a seguito dell’interazione con l’analita. La caratteristica fondamentale di un biosensore è l'interazione tra materiale biologico (rappresentato da un enzima, un anticorpo, un filamento di DNA, una cellula, ecc.) ed un trasduttore di segnale. Il principio di funzionamento di base è il seguente: l'interazione tra il materiale biologico ed il campione sottoposto ad esame modifica uno o più parametri chimico-fisici, il trasduttore capta la variazione nel sistema e produce un segnale elettrico che può essere opportunamente amplificato, elaborato e quindi letto dall'operatore. Criteri per la messa a punto di un biosensore: • Definizione del problema analitico • Scelta del recettore • Sviluppo del sensore • Immobilizzazione di biomolecole: passaggio chiave nello sviluppo di bionsensori. Le caratteristiche più importanti che una biomolecola deve possedere per poter essere usata nella fabbricazione di biosensori sono l’affinità e la specificità per l’analita. A tale scopo possono essere utilizzati tessuti, cellule intere e microrganismi, ma più comunemente sono impiegate molecole a basso peso molecolare e macromolecole. In genere queste molecole rientrano in una delle seguenti classi: • anticorpi, elementi di riconoscimento molto utilizzati grazie alla loro elevata specificità, versatilità e forza del legame con l’antigene; •peptidi ed agenti leganti combinati, derivati da leganti a bassa affinità ottenuti mediante chimica combinatoriale; • oligonucleotidi, impiegati in biochip a DNA; • aptameri, molecole di DNA o RNA capaci di legare proteine (Kd 108-109 M), facili da sintetizzare ed idonee per lo screening su larga scala. 10 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring • Requisiti di base per garantire le prestazioni analitiche del sensore in matrici reali e valutazione dei parametri analitici (selettività, sensibilità, riproducibilità, range operativo). 1. Accuratezza-scostamento del valore misurato dal valore reale 2. Sensibilità e specificità – no interferenze, 3. Intervallo di misura – linearità, suscettibile di saturazione 4. Velocità di risposta– 5. Ri-uso – Più cicli di misura sullo stesso sensore 6. Self-testing/ calibrazione autocalibrazione 7. Robustezza fisica-per spostamento, misure su campo 8. Costo – di acquisto e di esercizio, 9. Accettazione e facilità d’uso da parte di operatori, 10. Sicurezza del prodotto Fino ad oggi, diverse tecniche di immobilizzazione sono state studiate tra cui le più importanti sono l’intrappolamento fisico, l’assorbimento, il graffaggio mediante legame chimico covalente. L’immobilizzazione di proteine su “controlled porous glass (CPG) e materiali densi (sol-gel) è stata studiata per possibili applicazioni nel settore della biosensoristica, ma presenta lo svantaggio di costi toppo elevati e soprattutto è limitata dall’area superficiale dei supporti che decresce in maniera repentina con l’aumentare delle dimensioni dei pori. L’utilizzo di materiali mesoporosi come supporti per biosensori potrebbe risolvere questo problema. La scoperta di materiali mesoporosi ha aperto nuove possibilità in molti settori della scienza 11 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring dei materiali infatti, l’elevata area superficiale (superiore a ca 1500 m2/g) e l’elevato volume dei pori per unità volumetrica (maggiore di ca. 1.5 cm3/g), rendono i materiali mesoporosi candidati ideali per immobilizzazione di biomolecole. Il biossido di silicio mesoporoso può venire sintetizzato anche in forma di sfere di dimensione micrometrica. Utilizzando opportune funzionalizzazioni è possibile impiegare direttamente questo materiale come carrier per veicolare molecole destinate al bioriconoscimento o come mezzo di contrasto. Recentemente nanosfere di silice mesoporosa funzionalizzate con terminazioni mercaptopropiliche hanno dimostrato di essere ottimi supporti per la realizzazione di sonde locali fluorescenti in grado di rilevare selettivamente la presenza di alcuni neurotrasmettitrori contenenti gruppi amminici. Tuttavia, tali sistemi presentano ancora numerosi problemi, soprattutto legati alla mancanza di standardizzazione ed alla mancanza di un adeguato supporto informatico (bioinformatica). Il risultato è che tali bio-chip hanno basse prestazioni sopratutto in termini di qualità, riproducibilità e sensibilità del responso. D'altro canto, parecchi vantaggi possono essere intravisti nell'utilizzo di sensori capaci di fornire una risposta elettrica (chemiresistori) in particolare in termini di trattamento dei dati. Recettori Trasduttori • Tessuti • Microrganismi, • Organelli cellulari, • Recettori • Enzimi, • Anticorpi • Acidi nucleici • Recettori biomimetici (MIP, Aptameri) • Elettrochimici • Ottici • Termometrici • Piezoelettrici Un ruolo chiave in questo campo può essere giocato da resistori e transistori ad effetto di campo basati su film sottili organici che diventano sempre più importanti nell'ambito del sensing di tipo chimico e biologico. Il vantaggio più attraente di questa classe di sensori è quello di fornire responsi veloci verso analiti biologici e chimici che interagiscono direttamente con lo strato attivo organico del dispositivo elettrico, e di non richiedere stadi preparativi del campione in esame. Un aspetto nuovo e di crescente importanza in questo ambito di ricerca riguarda i dispositivi elettrici che impiegano molecole di DNA di lunghezza compresa tra pochi nucleotidi e catene lunghe parecchie decine di micrometri. Questo rappresenta il background dei recenti studi riguardanti strati attivi bio-funzionalizzati per il riconoscimento chimico e biologico. La funzionalizzazione di nanotubi di carbonio, nanoparticelle di metalli e nanofili di silicio al fine di renderli capaci sia di compiere un riconoscimento verso analiti bio-chimici sia di condurre carica, è uno scopo nuovo ed ancora inesplorato. 12 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Anche nanoparticelle metalliche funzionalizzate con catene di DNA sono studiate per applicazioni nel campo dei dispositivi elettrici. In questo scenario i transistor a film sottile organico (OTFT) possono giocare un ruolo chiave. Il loro primo utilizzo come sensori chimici risale alla fine degli anni ottanta, quasi contemporaneamente alla loro comparsa come dispositivi elettronici (Yun, Sthalekar et al. 2011). Nonostante ciò uno studio sistematico degli OTFT come sensori chimici è iniziato molto più tardi. Negli ultimi anni si è assistito ad un notevole sviluppo dei sensori a base di OTFT e sono stati ottenuti importanti risultati. Infatti il livello delle prestazioni di questi sensori è caratterizzato da un'eccellente ripetibilità di risposta, una buona sensibilità e da un limite di rivelabilità nell'intervallo 10-50 ppm. Gli OTFT forniscono un responso multi-parametrico in quanto diversi parametri del transistor variano in seguito ad esposizione dello stesso a specie chimiche e biologiche. È stata già provata una buona selettività chimica nei confronti di classi di composti omologhi e sulla base di questo si intravedono interessanti prospettive per la loro implementazione in sistemi microfluidici e di tipo array. Parecchi traguardi sono stati fino ad ora raggiunti in questo campo, ciò nonostante questa nuova classe di sensori presenta ancora parecchi importanti aspetti che non sono ancora completamente esplorati come quello di modellizzare il meccanismo di riconoscimento e di spiegare il ruolo della polarizzazione di gate. Ad esempio non è ancora chiaro perché imponendo una polarizzazione di gate inversa sia possibile riportare il sensore alle condizioni iniziali anche dopo un'interazione che abbia prodotto un responso irreversibile, come evidenziato in una nota recentemente pubblicata in Analytical Chemistry. Questa è una proprietà peculiare che gioca un ruolo importante nel conferire importanti caratteristiche di stabilità e affidabilità a questa classe di dispositivi, che possono peraltro così anche operare sempre a temperatura ambiente. Inoltre, molto importante per dare un imput al progresso nel campo dei sensori chimici e biologici è lo sviluppo di polimeri conduttori funzionalizzati con molecole chimiche o biologiche. Per sviluppare sensori tipo chem- e bio-chip altamente miniaturizzati vi è la necessità di progettare e preparare nuovi materiali elettroattivi e dielettrici idonei per la realizzazione di un sensore innovativo a base di transistori ad effetto di campo (Reddy, Guo et al. 2012). Alcuni risultati preliminari sembrano indicare che i polimeri ibridi inorganico-organici sono degli ottimi candidati per la realizzazione di microchips. In particolare, tali materiali potranno consentire in futuro di continuare a far valere la "legge di Moore" secondo cui si possono ridurre le dimensioni di un microchip ogni tre anni aumentando la sua capacità di 4 volte. In generale, è ritenuto che questo aumento di capacità possa essere raggiunto allorquando si realizzino dispositivi diminuendo continuamente le dimensioni. Si possono attendere progressi in questo settore a patto di sviluppare materiali dielettrici alternativi, con bassa costante dielettrica k. In definitiva, le considerazioni sopra 13 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring descritte suggeriscono che un film sottile ibrido inorganico-organico può diventare un promettente dielettrico per queste applicazioni se esso soddisfa le opportune condizioni. Un'altra classe di dispositivi interessanti sono i cosiddetti sensori biomimetici che sono attualmente riconosciuti come potenziali alternative ai biosensori. La scelta della trasduzione piezoelettrica implica la selezione di elementi di riconoscimento altamente selettivi: a tal proposito sarebbe molto importante la presenza di siti nanodimensionati, che si adattano alle molecole che devono essere rivelate. In quest'ottica, l' "imprinting" molecolare (MI) è un promettente approccio, essendo in grado di produrre materiali che hanno possibilità di riconoscimento molecolare verso qualsiasi analita selezionato (anche microrganismi). Questa tecnica consiste nella sintesi di materiale macromolecolare solido, prodotto in presenza di un analita scelto (stampo), che è incluso nel materiale prodotto. Rimuovendo lo stampo dal solido, questo conserva delle cavità che hanno forma e gruppi funzionali complementari all'analita. Diverse classi di analiti sono state utilizzate come stampi: pesticidi, farmaci, peptidi, carboidrati, ecc. Particolarmente interessante sembra essere l'applicazione di MI per un derivato dell'adenina, preludio alla rivelazione di mono- e oligo-nucleotidi con sensori biomimetici basati su MIP. Un ulteriore elemento interessante in questo caso è rappresentato dalla preparazione del MIP mediante copolimerizzazione e l'uso di metalloporfirine opportunamente sostituite (MPO) come co-monomero. Tale approccio può essere considerevolmente esteso poiché numerose e diverse metalloporfirine e metalloftalocianine (MPC) sono state descritte (Hirota, Yumoto et al. 2011). L'integrazione della nanotecnologia con la biologia e la medicina è un fenomeno che ci si attende possa offrire nuove prospettive nel campo della diagnostica e della biologia molecolare nonché della bioingegneria, inoltre queste nuove strutture risultano interessanti anche per essere usate come strati attivi in sensori. Questi studi hanno portato allo sviluppo di nanostrutture funzionali (con specifiche proprietà elettroniche, ottiche, magnetiche, ecc.) covalentemente legate a molecole biologiche quali peptidi, proteine e acidi nucleici. Tali strutture, grazie alle proprietà correlate alle dimensioni e alle similitudini con le biomacromolecole, offrono la possibilità di essere utilizzate come "carrier" di farmaci o come scheletro per l'ingegneria tissutale. Inoltre, esse possono essere impiegate come una nuova classe di nanostrutture bioconiugate per la rivelazione specifica di sequenze peptidiche oppure di DNA. Un obiettivo ambizioso è il combinare la stabilità e la funzionalità delle nanostrutture inorganiche con la varietà e la capacità di self-organizing di molecole e macromolecole di origine biologica. Grazie a queste caratteristiche è possibile pensare alla realizzazione di strutture altamente organizzate da utilizzare in diversi campi concorrenti. 14 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Secondo studi recenti, il più importante è quello di Business Communications Company del 2005, “I nuovi mercati dei biosensori e dei dispositivi bioelettronici sono in una forte fase di sviluppo, l’intensificarsi dei problemi connessi alla sicurezza e negli USA legati all’evento dell’11 settembre, ha focalizzato l’attenzione sullo sviluppo dei nuovi sensori per agenti chimici e pericolosi. Il mercato della biosensoristica è ben consolidato nel segmento della biomedicina con una serie di Company multinazionali (Agilent, Chipergen …) ed un numero impressionante di nuove Company del Sud-Est, Asiatico (Corea, Cina e Giappone). Il potenziale di crescita è costante nel medio e lungo periodo, e dipende da quanto le grandi Società investiranno nel settore. In ogni caso al momento attuale il settore biosensori, sicurezza e ambiente risulta un mercato di nicchia. Le imprese che vogliono entrare nel mercato dovranno adottare strategie competitive di tipo molto aggressivo per acquisire una posizione dominante. La caratteristica della interdisciplinarità costituisce un fattore di sviluppo tecnologico per i prodotti innovativi ed un fattore di successo, la PMI deve essere ad elevato contenuto tecnologico ed offrire prodotti di elevata qualità ad un costo unitario ridotto. OpticalSensor: Biacore XTM Piezoelectric Sensor: (Biacore AB, Uppsala, Sweden) (Seiko EG&G, Ciba, Japan) La disponibilità di sistemi affidabili per analisi chimiche e biologiche selettive effettuabili "on-line" è una necessità reale per applicazioni in svariati campi come quelli medico, ambientale e di controllo dei bioprocessi. Auspicabile è anche l'avvento di strumenti analitici miniaturizzati ed integrabili capaci di fornire uno "screening" veloce, ad alta prestazione, efficiente e "multiplex" dei campioni (Choi, Jamshidi et al. 2012; Liu, Tokunaga et al. 2012). Attualmente la ricerca accademica nonché quella industriale è indirizzata verso lo sviluppo di sistemi analitici per la rivelazione di vapori/ gas organici e per analisi in flusso su sistemi biologici. La rivelazione di un partner legante su di un chip o su un array di sensori può essere effettuata per mezzo di 15 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring sistemi a fluorescenza ottica (Dixit and Kaushik 2012). Tuttavia, tali sistemi presentano ancora numerosi problemi, sopratutto legati alla mancanza di standardizzazione ed alla mancanza di un adeguato supporto informatico (bioinformatica). Il risultato è che tali bio-chip hanno basse prestazioni sopratutto in termini di qualità, riproducibilità e sensibilità del responso. D'altro canto, parecchi vantaggi possono essere intravisti nell'utilizzo di sensori capaci di fornire una risposta elettrica (chemiresistori) in particolare in termini di trattamento dei dati. Interazioni tra bioelementi e trasduttori. Questi studi hanno portato allo sviluppo di nanostrutture funzionali (con specifiche proprietà elettroniche, ottiche, magnetiche, ecc.) covalentemente legate a molecole biologiche quali peptidi, proteine e acidi nucleici. Tali strutture, grazie alle proprietà correlate alle dimensioni e alle similitudini con le biomacromolecole, offrono la possibilità di essere utilizzate come "carrier" di farmaci o come scheletro per l'ingegneria tissutale. Inoltre, esse possono essere impiegate come una nuova classe di nanostrutture bioconiugate per la rivelazione specifica di sequenze peptidiche oppure di DNA. Un obiettivo ambizioso è il combinare la stabilità e la funzionalità delle nanostrutture inorganiche con la varietà e la capacità di self-organizing di molecole e macromolecole di origine biologica. Grazie a queste caratteristiche è possibile pensare alla realizzazione di strutture altamente organizzate da utilizzare in diversi campi. I procedimenti per la sintesi di nanostrutture portano in generale ad un prodotto estremamente complesso. La complessità è dovuta sia alla polidispersità intrinseca di proprietà del nano-oggetto, quali ad esempio dimensioni, morfologia, proprietà chimiche, attività biologica, sia al fatto che la sintesi è spesso poco efficiente, con conseguenti scarse rese. Oltre al prodotto di interesse, sottoprodotti sono sempre presenti. Essi devono essere eliminati allo scopo di sottoporre il nano-oggetto agli stadi che seguono la sintesi e che portano, alla fine, ad una specifica applicazione. I campioni di nanotubi di carbonio spesso contengono meno del 50% di nanotubi, mentre il resto consiste di impurezze, come fullereni, carbonio amorfo e residui di catalisi. Di recente è stata riportata in letteratura la separazione ad alta risoluzione di SWNTs (Single Wallet Carbon Nanotubes) mediante l'uso dell'elettroforesi capillare (CE). Data la complessità del prodotto di una sintesi di nanostrutture e data la complessità dei sistemi biologici, i quali sono fatti di nanostrutture quali biomolecole e organuli cellulari, è indubbio che esista il problema di semplificare la matrice che contiene il nano-oggetto di interesse. I metodi analitici separativi in flusso sono tra i migliori candidati a risolvere il problema della purificazione delle matrici contenenti nano-analiti. In sostanza, i nano-analiti vengono separati in un canale FFF grazie ad una "linearizzazione" del moto diffusivo (browniano) per azione di un campo di forze che si oppone a tale 16 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring diffusione. L'azione combinata del flusso di trasporto e del campo esterno applicato perpendicolare a tale flusso costringe gli analiti verso una direzione preferenziale, il flusso campione, con differenti velocità. In particolare, la variante FFF con campo applicato di tipo idrodinamico (Flow FFF, FlFFF) è in grado di separare nano-analiti proprio in base a differenze nel loro coefficiente di diffusione, il quale dipende dal diametro idrodinamico e dalla morfologia degli analiti. La necessità di sviluppare rapide metodologie analitiche, da applicarsi a matrici complesse come gli alimenti, comporta lo sviluppo di sensori molecolari particolarmente sensibili e selettivi e gli anticorpi sono attualmente considerati i sistemi molecolari più efficaci per soddisfare tali requisiti. Recentemente, gli acidi nucleici hanno dimostrato di essere valide alternative agli anticorpi o ad altri biosensori, portando alla creazione di un’ampia gamma di sistemi di riconoscimento molecolare (aptameri). Rispetto agli anticorpi, gli aptameri presentano numerosi vantaggi: stabilità al calore, tolleranza ad ampie variazioni di pH e forza ionica, possibilità di essere sintetizzati chimicamente. Inoltre, a differenza degli anticorpi, gli aptameri possono essere denaturati in modo reversibile, facilitando il legame ed il rilascio controllato dei ligandi. Gli aptameri vengono prodotti mediante l’applicazione di tecniche PCR (Polymerase Chain Reaction) a partire da librerie combinatoriali ribo- e desossi-ribonucleotidiche (SELEX) Grazie a tale metodo, il grado di riconoscimento molecolare è alquanto elevato e si possono ottenere costanti di affinità attorno a 10-9 M. Ciò rende possibile l’analisi di quantità di sostanza nell’ordine delle pico o femtomoli. Sono stati selezionati aptameri che riconoscono non solo acidi nucleici, proteine, o piccole molecole organiche, ma anche organismi interi, quali la Salmonella enterica. Interessanti applicazioni nell’ambito della sicurezza alimentare riguardano il riconoscimento di molecole inquinanti di origine chimica o biologica: metalli pesanti, quali il piombo, il manganese e l’uranio; steroidi a potenziale attività estrogenica, quali il 17βestradiolo; molecole aromatiche clorurate quali la 4-cloroanilina, la 2,4,6-tricloroanilina e il pentaclorofenolo; tossine alimentari quali la microcistina, la tossina del colera, l’antrace o l’enterotossina. Nel caso dei metalli pesanti, il sensore è costituito da un DNA a singolo filamento dotato di attività nucleasica (oligodesossiribozima), che si attiva selettivamente in presenza degli ioni metallici. In questo caso la trasduzione del segnale viene generata mediante FRET (Fluorescence Energy Resonance Transfer) da opportuni gruppi fluorescenti coniugati alla catena nucleotidica. Altri tipi di trasduzione operano per via elettrochimica, supportando il biosensore su lamine d’oro. Recentemente è stato introdotto l’utilizzo di nanoparticelle superparamagnetiche che permettono lo sviluppo di “switch” molecolari quali agenti di contrasto per la diagnostica in ambito medico mediante tecniche MRI (Fischer, Cole et al. 2011). Coniugando le 17 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring nanoparticelle con opportune sequenze oligonucleotidiche, sono stati sviluppati sensori specifici per segmenti di DNA ed RNA, o per attività enzimatiche (nucleasi e telomerasi). Le nanoparticelle utilizzate in MRI (USPIO, Ultra Small Paramagnetic Iron Oxide) sono costituite generalmente da monocristalli cubici di ossido di ferro o manganese (con una composizione media pari a (Fe2O3)m(Fe3O4)n) ricoperte da uno strato di polisaccaridi o silice. La dimensione media delle particelle, misurata mediante light scattering, è di circa 25-30 nm. Recenti sviluppi hanno riportato la sintesi di microsfere ibride di ossido di ferro e superfici mesoporose di organosilicati. Lo strato esterno viene funzionalizzato con gruppi amminici o altri nucleofili, che consentono la coniugazione della biomolecola costituente il sito di riconoscimento del biosensore. Il ligando induce un’aggregazione delle nanoparticelle, che viene evidenziata da misure NMR. Si osserva infatti una drastica riduzione nei valori del tempo di rilassamento trasversale delle molecole d’acqua (T2) a livello della prima sfera di solvatazione, che maggiormente vengono perturbate dall’ intenso dipolo magnetico generato dall’aggregato paramagnetico. Rispetto ai sensori fluorescenti, le metodologie basate sulla Risonanza Magnetica hanno il vantaggio di essere indipendenti dal grado di torbidità del campione. Inoltre, misure MRI ottenute con i moderni spettrometri ad alto campo sono caratterizzate da una elevata risoluzione spaziale (ca.30 µm), permettendo l’analisi in parallelo di un numero anche elevato di campioni. Gli studi apparsi nella recente letteratura scientifica giustificano ulteriori ricerche nello sviluppo di sensori molecolari basati sugli acidi nucleici per applicazioni diagnostiche mediante MRI. I sistemi di riconoscimento ad elevata affinità molecolare, ottenuti mediante metodi di selezione “in vitro” (SELEX), sono stati coniugati con nanoparticelle superparamagnetiche. I sistemi molecolari così ottenuti sono stati in seguito supportati su film mesoporosi di silice per la costruzione di matrici di sensori ad elevata densità superficiale. BIONANO MEMS. Micro Electro Mechanical Systems - si definiscono tipicamente come dispositivi microscopici progettati, assemblati e utilizzati per interagire e produrre modificazioni in un particolare ambiente di ridotte dimensioni. In un MEMS uno stimolo di tipo meccanico, elettrico o chimico può essere utilizzato per generare una risposta meccanica, elettrica o chimica. La nascita dei MEMS risale agli anni 50, insieme con la scoperta dei semiconduttori presso i Bell Laboratories: molti considerano la loro pubblicazione del 1954 sull’effetto piezoelettrico nel silicio e nel germanio la vera e propria data di nascita della tecnologia MEMS. L’uso del termine MEMS nasce però più tardi, negli anni 90 negli Stati Uniti (prima si parlava di micromachining su silicio) e definisce la tecnologia, non gli specifici prodotti. Questa tecnologia comprende un insieme piuttosto vario di processi che consentono di modellare sulle tre dimensioni uno o più wafer di silicio. Come accennato, il silicio è il materiale più utilizzato ma sono stati impiegati anche wafer di vetro e di quarzo. Il funzionamento di 18 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring un MEMS si può descrivere considerando il circuito integrato come il "cervello" del sistema che rende possibile il monitoraggio dell'ambiente circostante tramite gli altri dispositivi ("sensi" e "braccia") presenti sullo stesso chip. In questo modo il sistema raccoglie le informazioni misurando fenomeni meccanici, termici, biologici, ottici e magnetici; l'elettronica elabora le informazioni derivate dai sensori e reagisce abilitando gli attuatori a rispondere tramite movimenti, posizionamenti, filtrazioni, pompaggi o anche riverificando, tramite gli stessi sensori, le variazioni avvenute nell'intervallo di tempo nell'ambiente circostante. Si ha quindi un sistema in grado di captare informazioni dall'ambiente, di prendere decisioni e, infine, di attuare le azioni opportune. I sensori possono misurare fenomeni di varia natura: meccanica, termica, biologica, chimica, ottica, magnetica. Le tecnologie MEMS promettono di rivoluzionare intere categorie di prodotti proprio per il fatto di integrare in uno stesso dispositivo le funzioni più diverse: un minuscolo chip di silicio diventa ora un sensore di pressione, ora un accelerometro, ora un giroscopio e così via. I MEMS, dispositivi più piccoli e più sofisticati, in grado di agire, “sentire” e comunicare, stanno gradualmente sostituendo le loro controparti di dimensioni standard in molte applicazioni tradizionali. I vantaggi dei MEMS comprendono un minore consumo energetico, migliori performance (specifiche per ciascuna applicazione), peso ridotto e costi inferiori rispetto ai dispositivi tradizionali. Inoltre la fabbricazione in serie riduce i costi di produzione e di assemblaggio, mentre dimensioni e peso ridotti, oltre ad un minore consumo energetico, migliorano la flessibilità nella progettazione di sistemi. Molti componenti MEMS, infatti, possono essere utilizzati in serie o in parallelo per migliorare le funzionalità, le caratteristiche e l’affidabilità dei dispositivi. Perché tutto questo interesse per i MEMS? L’interesse è motivato da fattori sia economici che tecnici. Gli aspetti economici, sinteticamente sono i seguenti: - Già nel 1999 Business Week aveva indicato i MEMS come una delle tre tecnologie in grado di trainare l’economia del XXI secolo, insieme con l’ICT e le biotecnologie. - Stanno nascendo molti nuovi mercati per applicazioni MEMS, che promettono notevoli ritorni finanziari. Già nel 2003 il coinvolgimento dei venture capital nel settore ammontava ad oltre 1 miliardo di dollari. - L’industria dei circuiti integrati ha creato una solida infrastruttura tecnologica, immediatamente disponibile per i MEMS Dal punto di vista tecnico alcuni tra gli elementi che contribuiscono a rendere i MEMS così interessanti sono: - il potenziale di integrazione con i circuiti integrati, per creare sistemi integrati su un unico chip 19 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring - eccellenti proprietà meccaniche derivanti da una struttura cristallina estremamente pura (con un contenuto di silicio del 99,999% o superiore), che consente di ottenere fatica del materiale e isteresi meccanica praticamente nulle. Tutto ciò rende il silicio un materiale praticamente perfetto per i sensori, con proprietà meccaniche. Le principali tecniche La tecnologia MEMS nasce come fusione della tecnologia dei circuiti integrati (CI) con la più avanzata tecnologia micromeccanica. Utilizzando le consolidate tecniche di fabbricazione dei CI insieme con opportuni processi meccanici e chimici, è possibile ottenere dispositivi MEMS perfettamente integrabili con gli stessi CI. In conseguenza dell’insieme di processi produttivi che li caratterizzano (insieme di strati realizzati con tecniche fotolitografiche), il costo di ciascun singolo dispositivo dipende dalle sue dimensioni: per ciascun processo il costo di lavorazione dei wafer è definito. La differenza di costo tra un dispositivo di dimensioni 1x1 mm e uno di 10x10 mm. è di 1 a 100 dal momento che su un wafer di silicio 6x6 pollici il primo potrebbe essere realizzato 16000 volte, mentre (sul medesimo wafer) il secondo potrebbe essere realizzato soltanto 160. Numerose sono le tecniche di fabbricazione attualmente in uso, tra cui le principali sono la microlavorazione superficiale (surface micromachining), la microlavorazione di volume (bulk micromachining), le tecniche LIGA. A) Il bulk micromachining prevede la realizzazione di strutture 3-D direttamente in substrati di silicio o quarzo utilizzando tecniche di attacco cristallografico per la rimozione selettiva del substrato. Tale tecnica sfrutta l’anisotropicità della velocità di attacco (etch rates) dei diversi piani cristallografici del wafer dovuta al loro diverso orientamento. L’attacco cristallografico può avvenire sia usando soluzioni isotrope che anisotrope. Mentre nel primo caso le geometrie ottenibili hanno forma emisferica, nel secondo caso è possibile ottenere una forma ben definita a spese di maggiori tempi e costi di processo. Una nuova tecnica ibrida che integra le due precedenti è stata recentemente sviluppata e perfezionata: essa consiste nell’effettuare un primo attacco isotropo e successivamente modellare/perfezionare le pareti delle cavità ottenute tramite l’utilizzo di soluzioni anisotropi. Diversi sono i materiali che vengono utilizzati in un processo micromachining per la fabbricazione di MEMS: oro e alluminio per le metallizzazioni, materiali ceramici quali SiO2, Si3N4 per gli strati dielettrici e materiali plastici tipo photo resist (es. plexiglass) per gli strati sacrificali. A seconda del processo MEMS e dei materiali utilizzati vengono adottate tecniche di sputtering, evaporazione o elettrodeposizione per la deposizione dei singoli strati sottili. 20 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring B) Il surface micromachining può considerarsi al momento la tecnica più diffusa per la realizzazione di dispositivi MEMS. Essa consiste nella deposizione di strati dielettrici e metallici sulla superficie di un substrato e la successiva definizione delle strutture tramite tecniche fotolitografiche. La realizzazione di strutture sospese, quali membrane e ponticelli (air-bridges), avviene tramite l’utilizzo di materiali sacrificali. Essi vengono deposti sotto le strutture da rendere sospese e successivamente rimossi tramite tecniche di attacco selettivo, quali il “wet” (in umido) o “dry” (a secco). L'anisotropia (opposto di isotropia) è la proprietà per la quale un determinato oggetto o materiale ha caratteristiche che dipendono dalla direzione lungo la quale esse sono considerate. C) La tecnica LIGA (Roentgen LIthography Galvanic Abformung), è una tecnica avanzata, ideata “ad hoc” per strutture ad alto fattore di forma e largamente usata per strutture MEMS come rotori, molle e perni piuttosto che per i MEMS RF. Essa consiste in un processo schematizzabile in 3 passi: litografia, elettrodeposizione e stampo o molding. Un blocco di photo-resist ad elevato spessore viene esposto a raggi X per la creazione di uno stampo (mold), poi utilizzato per la elettrodeposizione di strutture 3-D ad alto rapporto di forma. Dopo la rimozione del resist resta la struttura sospesa. La tecnica LIGA necessita di un investimento considerevole non essendo un processo microelettronico “standard”. Le tecniche di fabbricazione per le strutture meccaniche Nel corso del tempo sono stati sviluppati diversi processi per fabbricare strutture meccaniche. Le tre principali categorie di questi processi sono le seguenti: - Micro-lavorazione del wafer di silicio (etching isotropico e anisotropico) - Micro-lavorazione superficiale (etching sacrificale) - Incisione ionica profonda (deep reactive ion etching) Etching isotropico La microlavorazione normalmente utilizza l’intero spessore del wafer di silicio, di solito compreso tra i 500 e i 1000 µm. Il primo processo anisotropico di microlavorazione fu sviluppato da Kulite (USA) nel 1970: si trattava di un processo in umido, in grado di rimuovere il silicio in tutte le direzioni, in maniera indipendente, seguendo l’orientamento cristallografico del substrato. La forma veniva definita tramite una maschera ma la precisione non era molto elevata, dal momento che era funzione di diversi parametri quali il tempo, la temperatura e la 21 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring concentrazione dell’agente chimico di incisione. Non è stato ancora sviluppato nessun metodo per interrompere il processo di etching ad una profondità predefinita. Etching anisotropico Un notevole miglioramento nell’accuratezza dei processi di etching si ottenne con lo sviluppo dell’etching anisotropico in umido. Questa tecnica, che si basa sull’orientamento cristallografico, fu sperimentata dalla stessa Kulite nel 1976 per i sensori di pressione. Direzioni cristallografiche differenti del silicio mostravano, nei confronti di agenti chimici differenti, differenti livelli di incisione. Le differenze potevano raggiungere anche i due ordini di grandezza (100 volte), a seconda della direzione: in questo modo la maschera definiva la forma dell’incisione, la cui unica variabile poteva essere rappresentata dalla profondità. Quest’ultima poi dipendeva dalla temperatura e dalla concentrazione e, nel migliore dei casi, poteva essere controllata con tolleranze attorno al ±10% della profondità di incisione. Questo significa che, se lo spessore iniziale del wafer era di 600 µm e la profondità dell’incisione era di 500 µm, la variazione di spessore del silicio non inciso sarebbe stata di 100 µm ±100 µm: poteva cioè essere di 0 µm così come di 200 µm. Un risultato di questo tipo non era certo soddisfacente per la prima applicazione – un sensore di pressione – dal momento che la sensibilità del sensore varia con il quadrato (per i sensori piezoresistivi) o con il cubo (per i sensori capacitivi) dello spessore del diaframma. Successivamente furono sviluppate numerose altre tecniche per interrompere l’incisione di questo strato. Una di esse si basava sulla possibilità di ottenere differenti livelli di incisione in funzione del grado di “drogaggio” (doping) del silicio: per alti livelli di drogaggio l’incisione risultava significativamente più lenta rispetto a livelli di drogaggio più bassi. Utilizzando la diffusione o l’impianto di ioni era possibile formare un sottile strato superficiale (da 10 a meno di 1 micron) in grado di far terminare il processo di incisione. L’accuratezza di tale procedimento era sempre del ±10% ma la tolleranza non era in funzione della profondità dell’incisione; in altri termini, se si programmava uno spessore di 5 µm la tolleranza ottenibile sarebbe stata di 0,5 µm, un risultato certo non ottenibile senza la tecnologia per l’interruzione dell’incisione. Un’altra tecnologia di questo tipo era basata sulla giunzione P-N regolata dal voltaggio. Durante la fase iniziale dell’incisione il flusso di corrente viene bloccato dalla giunzione; quando uno dei due strati (P o N) viene inciso, il passaggio di corrente causa l’ossidazione dell’area esposta, interrompendo l’incisione. 22 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Etching sacrificale Le micro-lavorazioni superficiali si focalizzano sull’utilizzo dello strato superficiale (pochi micron) del wafer per semplificare l’integrazione con i circuiti elettronici. Il processo è stato sviluppato nel corso degli anni 80, ottenendo poi decisivi miglioramenti presso l’Università di Berkeley e i Sandia National Laboratories (USA) nel 2004. Il principio dell’etching sacrificale si basa sul fatto che gli agenti chimici di incisione dell’ossido di silicio non incidono il polisilicio. Le strutture vengono realizzate disponendo in maniera appropriata, tramite litografia, dapprima uno strato di ossido, su cui viene poi depositato uno stato di polisilicio; il processo si conclude incidendo ed eliminando (sacrificando) l’ossido di silicio sottostante. Lo spessore delle strutture realizzate mediante micro-lavorazione è tipicamente inferiore ai 4 µm, a causa dei limiti della deposizione in polisilicio. Uno dei dispositivi di maggior successo ottenuti mediante questa tecnologia è la famiglia di sensori di accelerazione sviluppata da Analog Devices (USA). Un processo particolarmente avanzato è quello chiamato Summit V, sviluppato presso i Sandia National Labs, che consente di dare forma in maniera indipendente a 5 diversi strati di silicio, per creare sul chip sistemi meccanici complessi: ingranaggi, pompe, specchi ecc. Deep Reactive Ion Etching (DRIE). Nessuna delle tecnologie di etching in umido risulta particolarmente adatta alla lavorazione dei circuiti integrati. Inoltre, lo spreco di silicio che avviene con le lavorazioni anisotropiche consuma inutilmente l’area del chip aumentando i costi complessivi. Lo sviluppo del deep etching al plasma durante gli anni ‘90 aveva fatto sognare l’industria dei MEMS. Questa tecnologia, sviluppata tra i primi da Bosch, si basava sull’alternanza di due cicli: incisione al plasma e wall coating polimerico per prevenire l’incisione laterale. Col passare del tempo il processo è stato ottimizzato, fino a raggiungere i 10 µm di incisione al minuto sul silicio, con tempi 100 o 1000 volte superiori per l’ossido di silicio: un tempo così lungo permette una regolazione precisa della profondità dell’incisione, consentendone l’interruzione al momento desiderato. Un sensore MEMS-RFID che aggiunge una nuova dimensione nel monitoraggio possiede un'interfaccia per misurare la pressione, umidità, o le misure di deformazione. Il SensIC è un biosensore ad una bassa frequenza che fornisce lettura/ scrittura della memoria, il monitoraggio della temperatura e comunica attraverso standard ISO protocolli e sistemi legacy ID che possono essere aggiornati per per fornire anche la 23 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring temperatura. Il chip RFID può essere montato e permanre in ambienti difficili senza preoccupazione per la durata della batteria e consente la misurazione dei parametri in tempi molto lunghi. Uno degli approcci più semplici è quello che prevede l’impiego del silicio su wafer isolanti (SOI) contenenti uno strato di ossido. La velocità di incisione della tecnica DRIE è ormai paragonabile a quella dell’incisione anisotropica, mentre i suoi risultati non lo sono ancora: DRIE, infatti, è in grado di lavorare un solo wafer alla volta mentre con l’etching umido si può arrivare anche a 100. Per la realizzazione di dispositivi derivanti dalla sovrapposizione di più strati il processo DRIE risulta – ad oggi - ancora decisamente più lungo e costoso dell’etching in umido. Packaging Con il termine “packaging” si intendono i processi, l’industria e i metodi per “racchiudere” i componenti e i sistemi microelettromeccanici all’interno di un involucroprotettivo. Il “packaging”, combinando l’ingegneria con le tecniche di produzione industriale, converte un insieme di componenti microelettromeccanici in un insieme dotato di funzionalità complesse, in grado di interagire in maniera sicura ed affidabile con l’ambiente circostante. Nell’industria dei circuiti integrati il packaging deve garantire connessioni affidabili tra una moltitudine di segnali elettrici ad alta frequenza e contemporaneamente dissipare il calore in eccesso. Nell’industria dei MEMS, invece, il packaging deve soddisfare una serie di parametri e svolgere una serie di funzioni più complesse. Innanzitutto deve proteggere le apparecchiature micro-elettromeccaniche in un ambiente dalle condizioni mutevoli, deve poi garantire le connessioni per i segnali elettrici e, nella maggior parte dei casi, garantire l’interazione con l’ambiente esterno. Ad esempio il packaging per un sensore di pressione deve fare in modo che il sensore rimanga in costante contatto con il mezzo in pressione e, allo stesso tempo, che si mantenga protetto dall’esposizione a qualsiasi sostanza pericolosa. Esistono tipicamente tre approcci differenti per il packaging dei MEMS: quello ceramico, quello metallico e quello plastico, ciascuno con caratteristiche differenti e conseguenti pregi e difetti. La plastica, ad esempio, ha un costo ridotto ed è spesso utilizzata per rivestimenti sottili ma non risulta adeguata in condizioni ambientali difficili (es. calore intenso o temperature basse, presenza di sostanze corrosive). Il prezzo di un sensore di pressione o un accelerometro rivestito con packaging di materiale plastico è spesso inferiore ai 5$ al pezzo mentre, un analogo sensore in packaging metallico ermetico può arrivare a costare anche 30$ al pezzo. 24 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Non sorprende perciò che spesso sia proprio il tipo di packaging a determinare la competitività sul mercato di un determinato strumento, inoltre il packaging delle valvole deve fornire sia le connessioni elettriche che quelle tra i fluidi e il packaging per dispositivi laser deve prevedere interconnessioni con le fibre ottiche. In conseguenza di esigenze così disparate, mancano ad oggi dei veri e propri standard per la fabbricazione dei packaging per i dispositivi MEMS e la progettazione rimane spesso una caratteristica distintiva di ciascun produttore. Inevitabilmente la difficoltà e ’impossibilità di adottare standard condivisi porta con sè il fatto che il packaging rimanga un’attività altamente ingegnerizzata e quindi caratterizzata da costi fissi decisamente elevati. Il packaging, in ogni caso, è un “male necessario” anche se le sue dimensioni, talvolta rilevanti, tendono in parte a limitare i vantaggi della miniaturizzazione dei MEMS. Inoltre - come abbiamo visto - è anche costoso, dal momento che tende ad incidere sul prezzo finale per una quota sempre maggiore, ormai superiore a quella del dispositivo MEMS che deve contenere: non è raro che il costo del packaging raggiunga il 75% del costo complessivo del sistema, con punte anche del 95%. Si tratta di un problema simile a quello che i ricercatori dovettero affrontare durante i primissimi anni di sviluppo dei circuiti integrati e che contribuì in maniera decisiva allo sviluppo di sistemi di produzione su larga scala, utili per ridurre i costi complessivi della tecnologia. I metodi di packaging ad alta densità, come le tecnologie surface mount (SMT), rappresentano oggi il fulcro dello sviluppo del packaging elettronico. Di converso, l’evoluzione del packaging dei MEMS è lento e i centri di ricerca tentano di prendere in prestito dal settore dei circuiti integrati o da altri settori industriali tecnologie già esistenti da “adattare” alle applicazioni MEMS. Quali saranno le tecnologie di packaging più sofisticate e più efficaci che si diffonderanno in ambito MEMS resta da vedere: l’unica certezza è quella che, per farlo, dovranno portare benefici decisivi come volumi di produzione elevati e un livello minimo di standardizzazione. BIOSENSORI A FIBRA OTTICA Lo straordinario aumento del numero di pubblicazioni e brevetti per dispositivi biosensoristici, depositati nell’ultimo decennio, come pure il gran numero di PMI che nel mondo operano in tale settore, è stato senza dubbio motivato tra l’altro dalla necessità di misure analitiche in campo in tempo reale, caratteristica che è preclusa ai cosiddetti strumenti analitici convenzionali principalmente per le loro caratteristiche fisiche, quali dimensioni, peso e fragilità. Il processo tradizionale di raccolta dati, preparazione del campione e misura crea un lag temporale tra il momento in cui la misura è richiesta a quando essa è realmente determinata. Un importante obiettivo della ricerca sensoristica consiste nel fornire analisi in continuo qualitative e/o quantitative con lo stesso livello di precisione e accuratezza delle analisi di laboratorio. 25 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring I biosensori a fibra ottica rappresentano una classe di sensori in grado di soddisfare tale obiettivo. Un biosensore a fibra ottica utilizza tipicamente una o più fibre ottiche impacchettate, come piattaforma per l’elemento di riconoscimento biologico e simultaneamente come conduttore per la luce di eccitazione e/o di rivelazione. In accordo alla classificazione di Monk e Walt (2004) i biosensori a fibra ottica possono essere classificati in base al tipo di bioelemento di riconoscimento utilizzato come di seguito: 1) Biosensori a fibra ottica ad enzimi 2) Biosensori a fibra ottica a cellula intera (Whole Cell Biosensors) 3) DNA/RNA biosensori a fibra ottica 4) Immunosensori a fibra ottica 5) Biosensori a fibra ottica biomimetici Lo sviluppo dei sensori a fibra ottica (OFS) devono il loro successo a due importanti scoperte scientifiche degli anni sessanta: il laser e le moderne fibre ottiche a basso costo. Inizialmente furono applicati nell’industria delle telecomunicazione e dell’informazione, successivamente nei primi anni settanta con l’avvento appunto delle fibre ottiche a basso costo comparvero i primi sensori chimici. Essi trovano applicazione nei più disparati settori dal biomedicale al monitoraggio ambientale alla qualità alimentare e, non meno importante, al settore militare e la sicurezza nazionale. Negli ultimi dieci anni numerosi reviews e libri (Lopez-Higuera el al. 2003, Narayanaswamy el al. 2003, Wolfbeis 2004) sono stati pubblicati sui vari sistemi sviluppati nel corso degli anni, ed oggi disponibili, affrontando i temi ancora aperti della reale applicabiltità, della validazione in campo e delle sfide future. Va puntualizzato ad ogni modo il fatto indubitabile che i recenti progressi sono stati determinati in primo luogo dalla elevata capacità di funzionalizzare opportunamente e in modo smart i materiali utilizzati per le fibre ottiche e in secondo luogo dalle innovazioni introdotte dalla tecnologia dei microsistemi. Nei primi anni dell’impiego di fibre ottiche per la realizzazione di sensori ottici, Lubbers nel 1983 introduce il concetto di optrode in analogia al termine elettrodo per i sensori elettrochimici, per indicare un dispositivo da lui sviluppato per il monitoraggio del O2. Successivamente il concetto fu ripreso da Walt D.R per presentare un biosensore ottico capace di rivelare il contenuto di penicillina G. I sensori ottici basati sull’uso delle fibre ottiche possono essere classificati inoltre in due differenti categorie: a) sensori intrinsechi, quando l’interazione con l’analita avviene entro un elemento della fibra ottica; b) sensori estrinsechi ,quando la fibra viene utilizzata semplicemente per trasportare il seguale dalla zona dove la luce ha interagito con il misurando. 26 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Rispetto ad altri sistemi biosensoristici fin qui discussi in questo capitolo quelli a fibra ottica offrono numerosi vantaggi, come ampiamente descritto più avanti, tra di essi ad ogni modo i più diffusi risultano ancora oggi quelli ad enzima. Questo dato di fatto è determinato essenzialmente dalle seguenti ragioni: 1) il grande numero di reazioni indotte da catalizzatori; 2) la possibilià di monitorare un ampio spettro di analiti (substrati, prodotti, inibitori, modulatori dell’attività catalitica); 3) i differenti metodi di trasduzione ottica utilizzabili, 4) elevata sensibilità e specificità. Per quel che riguarda i materiali utilizzati nella fabbricazione, la necessità di abbattere ulteriormente i costi di produzione dei FOS e di migliorarne le prestazioni, con particolare riguardo per quanto riguarda i biosensori, alla stabilità nel tempo, ha determinato un’enorme lavoro nella ricerca di materiali alternativi al vetro drogato con germanio o con fluoro. Tali materiali alternativi includono i polimeri organici, i sol-gel, i cosidetti hydrogel (polimeri idrofilici) come pure il vetro poroso. Fondamenti dell'ottica in fibra e configurazioni di misura La trasmissione della luce nelle fibre ottiche avviene sulla base del fenomeno della riflessione interna totale. Questo fenomeno avviene quando la luce attraversa un’ interfaccia tra due mezzi trasparenti con indice di rifrazione n1 e n2 con n1›n2 e l’angolo di incidenza θ è uguale o maggiore a θc così come definito dalla legge di Snell θc = sin-1[n2/n1]. In questo caso particolare allora la luce sarà totalmente riflessa. Fig. Fig. Facendo uso di tale proprietà la luce si propaga lungo la guida d’onda altrimenti detta fibra ottica fino ad arrivare al rivelatore. 27 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Generalmente una fibra ottica è composta da un nucleo centrale (core) con indice di rifrazione n1 e da un rivestimento con indice di rifrazione n2, come si può vedere nella in figura sopra riportata. Quando la luce è totalmente riflessa, come dimostra la quantomeccanica, l’intensità del campo elettromagnetico non va rapidamente a zero all’interfaccia, ma decade come indicato in figura, quindi una piccola quantità di luce penetra nel mezzo riflettente generando un campo elettromagnetico dovuto all’effetto tunnel, chiamato onda evanescente, la cui intensità decade esponenzialmente a partire dall’interfaccia verso il mezzo a più basso indice di rifrazione. Il cammino di penetrazione definito come la distanza dp in cui l’ampiezza del campo elettromagnetico cade a 1/e (=0.37) rispetto al valore all’interfaccia dipende essenzialmente da λ la lunghezza d’onda. Ciò significa che solo le molecole che sono situate nel mezzo con indice di rifrazione n1 ad una distanza inferiore a λ/2 possono essere eccitate (nel caso di luce visibile questa distanza è pari a circa 200 nm). L’onda evanescente può essere così utilizzata per sviluppare biosensori di assorbimento (ATR). Se la luce dell’onda evanescente invece eccita un fluoroforo allora la luce emessa può essere reindirizzata attraverso la fibra ottica guidata al rivelatore. Questo fenomeno, chiamato fluorescenza totale riflessa attenuata (TIRF), è stato ampiamente utilizzato per la costruzione di immunosensori a guida d’onda. Sebbene differenti tecniche di misura di tipo ottico possono essere utilizzate nella realizzazione di biosensori a fibra ottica i metodi di rivelazione ottici più comunemente utilizzati in letteratura sono: l’assorbimento, la riflessione, la luminescenza (fluorescenza, fosforescenza e chemiluminescenza) e la chemiluminescenza elettrogenerata, il Raman e risonanza plasmonica di superficie (SPR). La scelta tra uno di questi metodi è senza dubbio determinata, oltre che dalle caratteristiche chimico-fisiche del bioelemento, dalla sensibilità e dal limite di rivelabilità necessari che si vogliono raggiungere. Quando si utilizza l'assorbimento il biorecettore può essere immobilizzato vicino alla fibra ottica oppure direttamente sulla sua superficie. Nell’interazione del campo elettromagnetico con l’analita si misurerà la variazione prodotta dall’assorbimento secondo la legge di Lambert-Beer, una volta che la radiazione sarà arrivata al rivelatore attraverso il trasporto di una oppure più fibre ottiche. Per quel che riguarda i FOS a fluorescenza essi possono essere realizzati seguendo sia una schema di misura diretto che indiretto. Nel primo caso si misura direttamente la fluorescenza dell’analita di per se fluorescente (biosensore intrinseco), diversamente, nel secondo caso, si misura la fluorescenza di un composto marcato artificialmente con un cromoforo fluorescente (biosensore estrinseco) oppure la fluorescenza di un composto fluorescente prodotto dall’analita per via biocatalitica o per reazione diretta. In questo secondo tipo di schema si misura la fluorescenza per via competitiva o la diminuzione nel tempo della 28 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring fluorescenza osservata (quenching). Biosensori ottici che utilzzano il secondo schema di misura sono tipicamente i biosensori enzimatici, nei quali vengono utizzati enzimi che non hanno proprietà ottiche intrinseche, che variano con l’interazione con l’analita, ma fanno uso di un trasduttore (O2, pH, CO2, NH3, ecc.) ed il segnale ottico viene utilizzato per misurare la concentrazione dell’analita. Tra gli enzimi che vengono maggiormente utilizati nei biosensori a fra ottica vi sono: a) le ossidasi, nei quali viene rivelata la produzione di ossigeno, b) le decarbossilai che producono CO, c) le deaminasi che producono NH3. Fino ad oggi il tipico assetto strumentale per un biosensore a fibra ottica (figura seguente) sia in assorbimento che in fluorescenza intrinseca o estrinseca è utilizzabile sia per misure on-line, off-line e in configurazione remota la luce trasportata tramite fibra ottica alla cella di misura eccita il biorecettore, in seguito la stessa fibra o altre raccolgono la luce assorbita o emessa che, dopo essere stata opportunamente filtrata per massimizzare il rapporto segnale rumore viene inviata al rivelatore. La configurazione planare, che viene mostrata nello schema seguente, viene invece di solito utilizzata per misure off-line in cui sei sistemi a microchip si ritrovano molto frequentemente nei biosensori a TIRF e a SPR (risonanza plasmonica di superficie) . guida polimerica filtro laser guida d’onda cella di flusso ingresso Sistema FIA Fig. Configurazione Planare 29 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring In tutti i casi discussi è bene comunque ricordare che la concentrazione dell’analita può essere determinata sia mediante l’analisi dell’intensità della luce emessa o assorbita che della variazione del tempo di decadimento della polarizzazione. Un discorso a parte deve essere fatto per quanto riguarda la spettroscopia Raman amplificata da superfici SERS (Surface Enhancement Raman Spectroscopy). La scoperta di tale fenomeno è avvenuto negli anni settanta (Fleischmann el al., 1974). L'origine stessa è stata per molto tempo dibattuta giacchè non era ben chiaro se di tipo elettromagnetico o chimico, più tardi il SERS è stato a lungo utilizzato limitatamente allo studio chimico-fisico di fenomeni di adsorbimento superficiale su superfici elettrodiche (Gersten el al. 1980, Chang R.K.et al., 1982). Attualmente l’elevato aumento della sensibilità della spettroscopia SERS rispetto alla spettroscopia Raman classica (fino a 107) ne fa una delle tecniche ottiche più promettenti, anche nel campo dei nano sensori compresi quelli per il monitoraggio “single-cell”, pure se, analizzando a fondo la letteratura, con tale spettroscopia non sono stati sviluppati ad oggi biosensori propriamente detti. Nonostante ciò va sottolineato che l’interesse per le tecniche nell’infrarosso rimane elevato anche per i biosensori poiché esse presentano alcuni vantaggi rispetto alle tecniche di assorbimento e fluorescenza nellUV-Vis, in particolare gli spettri contengono maggiori informazioni strutturali e le singole bande son più strette e risolte. La sempre maggiore applicabilità del SERS nei vari campi d’indagine è stata determinata essenzialmente dai progressi tecnologici ottenuti nell’ultimo decennio relativamente a: 1) l’avvento di più moderni sistemi di misura Raman come gli spettrometri miniaturizzati; 2) la messa a punto di metodi per la preparazione di substrati appropriati per la rivelazione dell’effetto SERS. Il primo lavoro che utilizzava fibre ottiche per misure SERS è stato quello del gruppo di Vo Dinh; 1990 in cui le fibre ottiche venivano utlizzate esclusivamente per la raccolta e la remotizzazione del segnale, solo successivamente ci si è rivolti ad integrare i substrati per il SERS direttamente sulle punte delle fibre a configurazione a singola fibra o a fascio per l’analisi di multianaliti. Per quanto riguarda le numerose applicazioni si rimanda alle eccelenti review di Velusamy et al, 2011. Recentemente notevoli passi in avanti sono stati compiuti con l’aiuto della nanotecnologia e dei materiali nanostrutturati, come vedremo più da vicino in un paragrafo successivo. Vantaggi e svantaggi dei sensori a fibra ottica La versatilità dei biosensori a fibra risiede non solo nel dato di fatto che possono essere realizzati in combinazione di un ampia palette di tecniche spettroscopiche, ma anche nella possibilità di essere realizzati 30 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring sfruttando le diverse proprietà della radiazione luminosa quali ampiezza, energia, polarizzazione, fase e profilo del decadimento. Rispetto ad altre tecnologie essi offrono numerosi vantaggi, di cui i più qualificanti : 1. Praticamente qualsivoglia analita puo' essere misurato in base alle sue proprietà spettroscopiche utilizzando l'enorme palette di metodi ottici messi a disposizione per l'analisi chimica. 2. Le fibre possono essere impiegate per trasmettere la luce a distanza e il biorecettore non ha necessità di essere a stretto contatto con esse, qualità questa che permette la possibilità di realizzare configurazioni non invasive. 3. Un’appropriata scelta dell’indice di rifrazione della guida d’onda rispetto al mezzo rende possibile una spettroscopia di superficie. 4. Poiché le guide d’onda possono trasportare allo stesso tempo luce di differente lunghezza d’onda e da/in differenti luoghi è possibile con il loro impiego effettuare in contemporanea analisi di più di un analita, come pure monitorare un singolo analita in diversi luoghi tramite un’ unità centrale di controllo. 5. Possono essere usate in ambienti ostili e sono immuni da interferenze elettriche e/o magnetiche, qualità questa che rende le loro misure più “sicure” di quelle di tipo elettrochimiche. Non hanno ovviamente bisogno di alcun elettrodo di riferimento. 6. Possono essere miniaturizzate a costi relativamente contenuti, trovando così conseguentemente applicazione anche per misure in-vivo. 7. La dipendenza dalla temperatura è meno importante rispetto alle misure elettrochimiche. Tra gli svantaggi possiamo citare: 1 Possibili interferenze con la luce ambientale, con assorbimento, fluorescenza e segnale Raman della stessa fibra ottica. 2 Photobleaching o perdita dell’indicatore (nel caso venga utilizzato) e limitata stabilità della componente biologica immobilizzata. 3 Elevati tempi di risposta determinati da traferimenti di massa. 4 Irreversibilità della reazione antigene-anticorpo nel caso degli immunosensori ottici. Biosensori biocatalici a fibra ottica per il monitoraggio agroambientale I cosidetti sensori biocatalitici (sotto questa macrodefinizione si comprendono sia i sensori ad enzima che a cellula intera) hanno dominato il mercato dei biosensori dalla loro scoperta e ancora oggi sia quelli ottici che 31 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring elettrochimici sono tra i più utilizzati, nonostante le numerose innovazioni introdotte con l’avvento dei biosensori ad affinità (immunosensori e sensori a DNA/RNA). Come si vedrà nel paragrafo successivo questo è vero a maggior ragione nel monitoraggio agroambientale, dove la loro utilità nella determinazione di composti tossici e metalli pesanti è senza dubbio fuori discussione specialmente nelle analisi on-line. Nelle figure sono schematizzati due biosensori ottici catalitici (Baldini el al. el al. 2004) (Bruzzese el al. 2010) studiati nei laboratori dei UTAGRI dell’ENEA Casaccia in collaborazione con il CNR e l’Università La Sapienza di Roma: il primo a fotoenzima il secondo a cellula intera. pesticide solutions optical fibres I t optical fibres A t Fibre ottiche nanostrutturate: biosensori a multianalita Recentemente l’enorme impulso dato alla chimica analitica dai microsistemi chemo/biosensoristici a multianalita ha portato allo sviluppo di nuove strategie analitiche basate principalmente sul concetto comunemente detto di “array”. Un sensore a matrice (array) consiste in un dispositivo analitco ad alta prestazione che contiene un elevato numero di elementi sensori che possono essere interrogati simultaneamete (Alexander, Di Benedetto et al. 1996; Barzen, Brecht et al. 2002; Gruber, Winkler et al. 2005; Li, Li et al. 2005; Venier, De Pitta et al. 2006; Zambelli, Bellucci et al. 2007; Xu, Tian et al. 2009; Zhao, Jin et al. 2009; Mattoli, Mondini et al. 2010; Photinon, Chalermchart et al. 2010; Henry, Deleu et al. 2011). Ogni elemento sensibile de dispositivo, ad esempio un sensore chimico, una microsfera funzionalizzata, una cellula ecc. , è spazialmente indirizzato e localizzato un un’area predefinita. La fabbricazione di arrays ad alta densità è in continua evoluzione e molteplici sono attualmente le tecniche disponibili, dalla fotolitografia alla nano litografia a dip-pen alle microsfere encoded. A seconda del meccanismo di trasduzione (elettrochimico, ottico, piezoelettrico, ecc.) la raccolta di migliaia di segnali può comportare il collegamento individuale all’elettronica di servizio. Una lettura di tipo ottico di un arrays rappresenta un approccio che può evitare ciò semplificando e quindi rendendo più economico l’intero processo di fabbricazione. Le fibre ottiche nano strutturate costituiscono una piattaforma versatile per andare incontro a questo obiettivo consentendo di realizzare dei dispositivi per la sensoristica ad alta densità e per l’imaging analitico (Steemers el al. 1999). Con il termine di 32 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring fibra ottica nano strutturata si intende un insieme di fibre ottiche, da qualche unità a una decina di unità di migliaia di fibre ottiche del diametro di 3-4 µm individualmente rivestite e fuse insieme per formare un fascio. Un’ordinata disposizione delle fibre nel fascio rende possibile una trasmissione coerente dell’immagine che in tal modo può essere trasmessa anche a lunghe distanze. La risoluzione spaziale può essere modulata dal diametro della singola fibra tramite oppurtuna lavorazione. Successivamente tramite tecniche di micro fabbricazione o microetching (La Fratta el al. 2008) è possibile produrre quindi una varietà di arrays opportunamente chemo-o bio-funzionalizzati che vanno dalla scala dei micron a quella dei nanometri. La recente letteratura ci presenta una molteplicità di strutture ordinate in 3D (Deiss el al. 2010), come mostrato in figura che sono state applicate nei differenti settori applicativi incluso quello agroambientale. Queste applicazioni includono anche la rivelazione a singola molecola che il SERS (Vo Dinh el al. 2005, Stoddart 2009). Fig. Schema di fabbricazione di un fascio di fibre Fig Diagramma schematicodi strutture 3D ottenibili con microetching: Fig. Fig Nanobiosensori per il monitoraggio ambientale e agroalimentare Sfruttando le proprietà dei nanomateriali sotto forma di nanoparticelle o materiali mesoporosi, descritti precedentemente nella parte generale, sono stati sviluppati presso il laboratorio di bionanotecnologie dell’Università degli studi di Sassari (NRD) dei nanobiosensori. In particolare tali materiali nano strutturati sono stati utilizzati per lo sviluppo dei substrati su cui immobilizzare il bioelemento per lo sviluppo del sensore finale. In un primo lavoro sono stati sintetizzati dei polipeptidi selettivi per la cattura della diossina che sono stati 33 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring marcati con una molecola fluorescente. In tal modo è stato possibile determinare con un metodo ottico di fluorescenza il legame della diossina a tali substrati che determinava un quenching del segnale che poteva essere quantificato in base alla quantità di analita presente. Tale lavoro è stato pubblicato nella rivista internazionale “Microporous and mesoporous materials” Mura et al., 2011, immagine TEM sotto riportata. Nel presente articolo è stato evidenziato come tali nano materiali consentano l’immobilizzazione di una grande quantità di bioelemento in confronto a substrati non “nano” permettendo dunque una migliore sensibilità del dispositivo. Tale lavoro dunque è stato utile per la determinazione anche di piccole quantità nelle acque di un contaminante organico altamente pericoloso quali la TCDD tetraclorodibenzoparadiossina. In seguito il materiale di supporto essendosi rivelato estremamente stabile e riproducibile è stato utilizzato per lo sviluppo di un altro genere di biosensore, immobilizzando come bioelemento un anticorpo selettivo per un ceppo pericoloso di un patogeno, quale l’E. coli O157:H7, batterio all’origine di diverse contaminazioni ed epidemie alimentari. Anche stavolta il mondo nano ci ha aiutato nella immobilizzazione e detection, costruendo un biosensore ottico che utilizza la spettroscopia FTIR come tecnica di trasduzione. I risultati raggiunti sono stati soddisfacenti in quanto con un metodo veloce è possibile catturare il patogeno presente anche in basse concentrazioni e ricavare il suo spettro che ci fornisce un’impronta digitale del patogeno eventualmente presente nel nostro campione o nel nostro alimento. Infine sono stati sviluppati dei nuovi materiali con la combinazione di materiali nano porosi di supporto e di nano particelle per l’amplificazione del segnale che permettano l’individuazione di contaminanti eventualmente presenti in matrici organiche o inorganiche. Con l’utilizzo dunque di fibre ottiche e tecniche Raman e SERS si è riusciti ad arrivare a limiti di detection sotto il femtomolare. Tali articoli sono in fase di pubblicazione. Concludendo, si stanno facendo numerosi progressi sia nel campo delle nanotecnologie che nei metodi di trasduzione, migliorando gli strumenti e le fibre ottiche che stanno permettendo degli studi veloci, sempre più specifici ed a basso costo che possono essere utilizzati anche da personale non qualificato sul campo come metodi di screening. In tal modo si arriverà a coprire le 34 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring esigenze pratiche di un ambiente monitorato in tempi brevi con metodiche all’avanguardia e di alimenti più sicuri, grazie allo sviluppo di questi sensori sempre più efficaci, piccoli e semplici. Work Supported by Project Idrisk grant financed by RAS (Regione Autonoma della Sardegna, POR Sardegna FSE 2007-2013 L.R. 7/2007). REFERENCES Ahmadi, F., J. Ahmadi, et al. (2011). "Computational approaches to design a molecular imprinted polymer for high selective extraction of 3,4-methylenedioxymethamphetamine from plasma." J Chromatogr A 1218(43): 77397747. Alexander, P. W., L. T. Di Benedetto, et al. (1996). "Field-portable flow-injection analysers for monitoring of air and water pollution." Talanta 43(6): 915-925. Alizadeh, T. and S. Amjadi (2011). 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INTRODUCTION Water contamination is a global problem that affect developed and sub-developed countries. Particularly groundwater pollution, as a result of human activities and natural contamination, has become one of the most debated environmental issues. At the United Nations Millennium Summit in 2000 and during the 2002 World Summit on Sustainable Development in Johannesburg, world leaders from rich and poor countries, recognized the vital importance of surface and subterranean fresh water to human development, and committed themselves to a precise, timebound agenda for addressing the world’s current and future water resource and sanitation needs. In Europe, the Water Framework Directive WFD 2000/60/EC lays down the monitoring of a large number of substances, the so-called “priority substances”, with the objective of restoring a good chemical and ecological status of all water bodies by 2015. This directive was acknowledged in Italy by means of the D.Lgs 152/2006. 39 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Drinking water, continuously is affected by common problems include exposure to toxic inorganic substances, heavy metals, bacterial and other pathogens, increased nitrogen concentrations and other trace chemicals and micronutrients. The chemical contaminations are often considered a low priority than microbial contamination, because adverse health effects from chemical contaminations are generally associated with long-term exposure, whereas effects from microbial contaminations are usually immediate. The chemicals in water from source of pollution. Groundwater pollution is usually traced back to four main origins: natural (or environmental), agricultural, industrial and residential (or domestic) pollution. Natural: some groundwater pollution occurs naturally even if it is unaffected by human activities. The types and concentrations of natural contaminations depend on the nature of the geological material through which the groundwater moves and the quality of the recharge water. Groundwater moving through sedimentary rocks and soils, for example, may pick up a wide range of compounds such as magnesium, calcium, and chlorides. Some aquifers have high natural concentration of dissolved constituents such as arsenic, boron, and fluoride. The effect of these natural sources of contamination on groundwater quality depends on the type of contaminant and its concentrations. Agricultural: Pesticides, fertilizers, herbicides and animal waste are agricultural sources of groundwater contamination. Industrial: Manufacturing and service industries have high demands for cooling water, processing water and water for cleaning purposes. Groundwater pollution occurs when used water is returned to the hydrological cycle. Residential: Residential wastewater systems can be a source of many categories of contaminants, including bacteria, viruses, nitrates from human waste, and organic compounds. Similarly, wastes dumped or buried in the ground can contaminate the soil and leach into the groundwater. Water contamination can be an important factor in limiting available water resources. Its degradation represent a serious problem which affect the environment causing socio-economic unbalances. For this reason a strategy for better understanding these processes is represented by monitoring activities with appropriate and convenient analytical techniques and time and space action. Particularly, fluorescence spectroscopy can be applied to a wide range of problems and the advances in fluorescence technology are decreasing the cost and complexity of previously complex instruments. The implementation of instruments capable to be used directly in the field (small size, reduced weight, autonomous) that can supply a prompt analysis of the sample to be investigated is a request emerging both from the scientific or legal operators. In this context the new laser spectrofluorometric apparatus CASPER (Compact and Advanced laser SPEctrometeR – ENEA Patent) can be a useful device whose measurement has emerged as an effective, rapid, and low cost technique to monitoring groundwater quality. 40 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring The Fluorescence Fluorescence occurs when a loosely held electron in an atom or a molecule is excited to a higher energy level by the absorption of energy, for example, a photon, and fluorescence occurs when energy is lost as light as the electron returns to its original energy level (ground state). Figure 1 shows a representation of the energy transfer involved in the process of fluorescence: the energy of excited state S2 is partially dissipated, yielding a relaxed singlet excited state (S1) from which fluorescence emission originates; not all the molecules initially excited by absorption return to the ground state (S0) by fluorescence emission. Other processes such as collisional quenching, fluorescence resonance energy transfer and intersystem crossing may also depopulate S1. The energy of the emitted photon is lower than the excitation energy (Stokes Shift), because of some energy is ‘lost’ from the excited electron by a multitude of possible interactions with its molecular environment. The fluorescence quantum yield, which is the ratio of the number of fluorescence photons emitted to the number of photons absorbed, is a measure of the relative extent to which these processes occur. Emission spectra, particularly, vary widely and are dependent upon the chemical structure of the fluorophore and the solvent in which it is dissolved (Lakowicz, 2006). Figure 1 – Jablonsky Diagram (rearranged from Hudson et al., 2007) 41 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring In general the attenuation of fluorescence intensity measurements is identified by the fluorescence quenching. In dilute solutions or suspensions, fluorescence intensity is linearly proportional to parameters as molar extinction coefficient, optical path length, solute concentration, as well as on the fluorescence quantum yield of the dye and the excitation source intensity and fluorescence collection efficiency of the instrument. When sample absorbance exceeds about 0.05 in a 1 cm pathlength, the relationship becomes nonlinear and measurements may be distorted by artifacts such as self-absorption and the inner-filter effect (Kubista M, et al., 1994). Primary inner-filtration refers to the absorption of the excitation beam prior to reaching the interrogation zone, and secondary inner-filtration refers to the absorption of the emitted fluorescence photons (Tucher et al., 1992). Particularly, fluorescence quenching refers to reduction of fluorescence intensity by another molecule, one that causes some of the excited fluorescers to return to their ground states without emitting photons; it can result from transient excited-state interactions (collisional quenching) or from formation of nonfluorescent groundstate species. Self-quenching is the quenching of one fluorophore by another; it therefore tends to occur when high loading concentrations or labeling densities are used (Ogawa et al., 2009). Many other environmental factors exert influences on fluorescence properties, particularly the fluorescence intensity and wavelength of dissolved organic matter in soil extracts and natural waters (Baker and Genty, 1999). For example, the wavelengths at which molecules fluoresce and the intensity of the fluorescence can be affected by changes in pH (Patel-Sorrentino et al., 2002), quenching by chelation with metal ions (Reynolds and Ahmad, 1995) and changes in temperature (Baker, 2005). Fluorescence Spectroscopy In the study of fluorescent organic matter, those compounds that absorb light are called chromophores and those that absorb and re-emit light energy are called fluorophores (Mopper et al ., 1996). Fluorophores can be broadly divided into two main classes: intrinsic and extrinsic. The former, referred to fluorophores that occur naturally, include aromatic amino acids, NADH, flavins, derivatives of pyridoxyl and chlorophyll. The latter are added to the sample to provide fluorescence when none exists, or to change the spectral properties of the sample (Lakowicz, 2006); include dansyl, fluorescein, rhodamine and numerous other substances. Aromatic organic compounds provide particularly good subjects for study by fluorescence due to the energy sharing, unpaired electron structure of the carbon ring. Dissolved organic matter (DOM), particularly, is a complex and poorly understood mixture of organic polymers that plays an influential role in aquatic 42 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring ecosystems and has distinctive spectrophotometric properties in terms of both absorption and fluorescence. In natural waters organic matter exists in dissolved, colloidal and particulate states. DOM may originate from a range of sources. Some is transported to the hydrological system and is derived from and influenced by the geology, land-use and hydrology of its origin (Baker et al., 2004). Some is created in situ through microbial activity which may be an independent source of organic matter or a recycling mechanism for that which is transported to the system. Fluorescence in the natural waters is predominantly generated by the organic acids (humic and fulvic) and the amino-acid groups within proteins, which predominantly derive from decomposed plant material in the overlying soil (Senesi et al., 1991); humic acids (HA) have a higher excitation and emission wavelength of fluorescence than fulvic acids (FA) (Miano et al., 1988), because of an increase in the degree of aromacity, the content of carboxylic groups and polycondensed aromatic and conjugated structures within the HA. Besides, the most commonly studied fluorescent organic components of natural waters include amino acids in proteins and peptides. Three fluorescent amino acids (tryptophan , tyrosine and phenylalanine) are indicative of proteins and peptides. The fluorescence of these specific amino acids is due to the presence of an indole group (a fused ring heterocycle containing both a benzene ring and a heterocyclic aromatic ring in which a nitrogen atom occurs as part of a ring) or some other aromatic ring structure in which electrons are ‘shared’ rather than occurring as opposite spin pairs and are therefore loosely held and available for promotion to the higher energy level. Due to the difficulties associated with definitively identifying individual fluorescent compounds in waters these groups of fluorophores are commonly named humic-like, fulvic-like and protein-like (specifically tryptophan- or tyrosine-like), so called because their fluorescence occurs in the same area of optical space as standards of these materials. Anthropogenic DOM sources such as farm wastes, sewage treatment outfall or sewerage over flows are all characterized by high levels of protein-like (tryptophan-like and/or tyrosine-like) fluorescence (Baker, 2001). Fluorescence can be used to trace DOM within ‘natural’ catchments (Baker and Inverarity, 2004) by means of fulvic-like fluorescence wavelength variations as well as the ratio of tryptophan to fulvic acid has been used to identify different potential source of DOM based on characteristic ratios found in different source terms (Baker, 2002). Fluorescence spectroscopy has been also used to obtain an estimate of the aromatic hydrocarbon contamination in estuarine and seawaters (Maher, 1983) and for fluorescent whitening agents (FWA) contents 43 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring as part of most laundry detergent formulations (Boving et al., 2004). Fluorimetric methods are, usually, used for determination of chl a and phe a in marine environments. The Fluorescence technique proves also to be a good tool for detecting information about phytoplankton community composition. The determination of chlorophyll a (chl a) is routinely performed in marine investigations. The chlorophyll concentration is correlated to the phytoplankton concentration and is thus used to estimate the primary productivity and biomass in the oceans. Besides the chl a in marine samples, chlorophyll b (chl b), and chlorophyll c (chl c) are also present, together with their respective degradation products; pheophytin a (phe a), pheophytin b (phe b) and pheoporphyrin c (phe c). Knowledge of the accessory pigments (chl b and chl c) and degradation products provides useful information concerning taxonomic composition and the status of the algal community (Moberg et al., 2001). The phytoplankton, including its chlorophyll concentration, is the first level of the aquatic food chain and can be considered a very sensitive indicator of ecological status of a water system. It has been shown by numerous studies that organic pollution or enhanced nutrient may cause changes on phytoplankton taxonomic composition. In particular it has been demonstrated that the presence of Cyanophyceae blooms can indicate the occurrence of worse quality water (Kaas and Henriksen 2000; Sivonen and Jones 1999). Over the last two decades the frequency and intensity of toxic phytoplankton blooms - harmful algal blooms (HABs) - have increased in coastal areas (Hallegraeff 1993; Millie et al. 1999). Human activity and rise in human population is generally quoted as the main causative for this. Photosynthetic pigments of phytoplankton have the role to capture sunlight at specific wavelengths for photosynthesis. Chlorophylls are green pigments which contain a stable porphyrin ring-shaped molecule, around which electrons are free to migrate. The ring can easily gain or lose excited electrons, supplying energised electrons to nearby molecules. In this process the chlorophyll captures the energy of sunlight and transfers it to the other molecules which are responsible for successive steps in the photochemical chain. Chlorophyll a (Chl-a) is the main member of the chlorophyll family. In fact, all phytoplankton taxa contain chlorophyll-a. For this reason, Chl-a concentration is considered an expression of phytoplankton biomass (Morel and Berthon, 1989). Improvements in technology, particularly light-source wavelength range and stability, scanning speed and dataprocessing capability, have enabled fluorescence spectroscopy to become a more flexible, rapid and portable diagnostic tool. It is possible, using simple equipment, to target a single excitation and emission wavelength pair, diagnostic of a specific molecule (Nagao et al., 2003; Del Vecchio 44 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring and Blough, 2004) which is useful in determining the presence or absence and character of a target compound. Other available techniques include fluorescence emission spectrometry, in which emission is scanned over a range of wavelengths for a fixed excitation wavelength (Ferrari et al., 1996; Hautala et al., 2000) and synchronous fluorescence scanning (SFS). Today, excitation emission matrix fluorescence spectroscopy (EEMS ) is the state-of-the-art technique used, although not like portable diagnostic tool (Hudson et al., 2007). CASPER (Compact and Advanced Laser Spectrometer) Within monitoring activities for better understanding groundwater and seawater contamination processes an innovative approach can be made by the application of fluorescence technique. A Compact and Advanced Laser Spectrometer (CASPER) has recently been made available to evaluate the quality of water by means the definition of dissolved chromophores. The new laser spectrofluorometric apparatus CASPER (ENEA Patent N° RM2005A000269 - Figure 2) is based on double laser excitation of water samples in the UV (266 nm) and Visible (405 nm) spectral region and a double filtration (at 30 µm and 0.2 µm) in order to detect both quantitative data, such as chromophoric dissolved organic matter (CDOM), proteins-like components (tyrosine, tryptophan), algal pigments (chlorophylla, chlorophyll-b, phycoerythrin, phycocyanin and different pigments belonging to the carotenoid groups), and qualitative data on the presence of humic and fulvic acid, hydrocarbons, oil pollution and some antibiotics (i.e. sulphametazine) (Table 1). Figure 2 – CASPER component The apparatus management is accomplished by an ad hoc microcontroller electronic module, through a VisualBasic application, and allows the control of all the instrumental settings, i.e. hydraulic circuit switches 45 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring and laser power supplies through a RS-232 interface connected with the portable computer (PC). Conversely, the USB ports of the portable computer are employed for the two spectrometers, controlled by means of OceanOptics software tools. The data analysis elaboration is composed by a list of steps that can be summarized as follows: • Subtraction of the electronic and light backgrounds from the fluorescence spectrum; • Calculation of the integral of the spectrum at some preselected bands, corresponding to the emission of relevant substances (centre of peak) within a fixed bandwidth (usually 10 nm). • Subtraction of the spectral background from the integral at the preselected bands and deconvolution of overlapping structures; • Preliminary release of the substance concentrations in Raman units rationing the integral at the preselected bands to the integral of the Raman peak. • Final release of the substance concentrations in absolute units by calibration with standard solutions. Wavelength λexc [nm] Laser 266 Raman Tyrosine S-Metolachlor 266 Sulphametazine Tryptophan CDOM Fulvic Acid Humic Acid Carotenoids Polycyclic aromatic hydrocarbon (PAH) and raffinate oil Crude oil Laser 405 Raman Phycoerythrin Phycocyanin Chlorophyll-a λem [nm] 266 291 305 325 340 345 450 430 470 490 300-340 440 - 500 405 468 575 645 680 Table 1: Wavelength bands analysed with CASPER 46 Filtration [µm] 30-0,22 30-0,22 0,22 30-0,22 0,22 0,22 0,22 0,22 0,22 30 or no filtration 30 or no filtration 30 or no filtration 30-0,22 30-0,22 30 or no filtration 30 or no filtration 30 or no filtration Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring The CASPER apparatus proves to be a good tool for detecting information about water quality both in surface and groundwater as well as in sea environment. It has been employed in different projects with the aim to develop a useful and economic approach which can be applied to different scenarios (Colao et al., 2010; Caputo-Rapti et al., 2008). Recently the instrument was employed in two different projects of the Sardinia region: in sea water monitoring of Asinara Gulf (north Sardinia), in order to estimate the particulate (phytoplankton) organic matter and to execute radiance satellite radiometers calibration; the second in the western side of the island for the characterization of groundwater in an agricultural and intensively cultivated district (Arborea area, unique area in Sardinia designated in the "Nitrates Vulnerable Zones“, characterized by a nitrate and pesticide pollution risk). These projects, that involves the ENEA spin-off company InTReGA S.r.l., the Diagnostics and Metrology Laboratory(UTAPRAD-DIM) of ENEA and the University of Sassari (NRD Department of Botanic, Ecologic and Geologic Sciences - Department of Territorial Engineering), aim to extend the already available fluorescence libraries with the investigation of substances of interest for the two projects. In the Asinara Gulf project, different sampling stations (Figure 3) were selected in order to collect fluorescence excitation spectra with different degree of pollution (Iocola et al., 2012). Figure 3 – Study area of Asinara Gulf 47 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring The northern coast of Sardinia is one of the most dynamic and vulnerable environments in the Western Mediterranean. It comprises the National Park of Asinara Island. Important civil and industrial activities, both on the coastline (harbours, power plants and industrial areas), and in the catchment, coexist with these aspects of very high naturalistic quality and with fishery. Sea water samples from different depths (0 m and 10 m) have been collected and analysed at 18 stations every fourth month since August 2010. The stations are located along six transects perpendicular to the coastline, respectively from less impacted areas to more impacted ones (from Cala Reale, in the Asinara Island, to Porto Torres, in the central part of the gulf). Each transect comprises three stations, respectively at 500 m, 1500 m and 3000 m from the coast. CASPER was used to collect emission spectra of natural and filtered water samples. Examples of fluorescence spectra obtained at different excitation wavelengths for sea water samples are reported in Figure 4. Figure 4 – Examples of fluorescence spectra (ƛ405nm) obtained with CASPER for water samples The accuracy and reliability of Chl-a values obtained by the spectrofluorimeter technique (in particular with CASPER) have been evaluated comparing them with standard measurements of sea water samples filtered through Whatman GF/C filters and analyzed by spectrophotometry, after pigment extraction in 90% acetone (Figure 5). CASPER has proved to be a valid instrument also for the investigation of polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs) and oil pollution (dispersed or in film) in water bodies, due to an incident occurred on 11 January 2011 during fuel unloading 48 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring operations of Fiume Santo power plant in the Porto Torres industrial area (Asinara Gulf), causing the loss into the sea of about 50 ton of fuel oil. Figure 5: Comparison of CASPER intensities with Chl-a spectrophotometry measurements In the area of Arborea, different sampling and analysis has been executed in order to detect both dissolved and particulate components of groundwaters (Figure 6). Analysis has been made on 28 water point (12 hand dugwell, 14 borehole and 2 spring). 49 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Figure 6 – Study area of Arborea Colour dissolved organic matter (CDOM), amino acids (tryptophan and tyrosine), antibiotics and components of herbicide formulations has been detected. Particularly, difference in composition and concentration of CDOM was detected as result of agriculture activities. Changes in concentration and composition of CDOM can not only provide information about organic pollution but also the information of organic pollution sources (Pittalis et al., 2011). Humic and Fulvic acid has been differentiated (Figure 7), based on study area’s soil extraction. Soil extraction methodology was executed according to the IHSS (International Humic Substances Society) methodology. Laboratory measurements was executed to evaluate the accuracy and reliability of data obtained by CASPER. Particularly, Humic and Fulvic acid, as well as amino acids and antibiotics have been evaluated by means of a comparison with certified standard substances (i.e.: ALDRICH-Cat.: H1,675-2 Lot.:S15539-443 - Humic acid, PMC15171000 Gmbh - S-Metolachlor, ecc. ). 50 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Figure 7 – Examples of fluorescence spectra obtained with CASPER for Humic (solid) and Fulvic (dashed) Acid Farm wastes too have been analyzed to define their fluorescence properties. Particularly, as reported in Baker (2002), the ratio of tryptophan : fulvic-like fluorescence intensity was defined as a good indicator to identify the farm waste pollution. The links between fluorescence analysis and chemical and biological water quality monitoring techniques can be used as a rapid, on-site tool for water quality testing and pollution monitoring. As reported in figure 8, a good indicator was defined to individuate pollution deriving from cattle slurry by the correlation between NO3- and tryptophan : fulvic-like fluorescence intensity. 51 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Figure 8 – Nitrate vs. tryptophan : fulvic like fluorescence intensity (ƛexc 266nm) scatter diagram of phreatic groundwater samples. CONCLUSION The use of fluorescence spectrometry in water quality studies reveals distinctive wavelengths associated with specific contaminants. These techniques can be used to map the properties and the pollution deriving from water samples (surface, ground and sea water) collected during a routine sampling event, without the needed for additional field work. In fact, as technology improvements has been obtained, fluorescence spectroscopy has become a flexible, rapid and portable diagnostic tool. Among others, CASPER apparatus (based on double laser excitation of water samples), represent a complete and adapt device for routine and investigative water monitoring as well as a useful instrument for the activity of statutory auditors. The work of Dr. Pittalis and Dr. Iocola was supported by a grant financed by RAS (Regione Autonoma della Sardegna, PO Sardegna FSE 2007-2013 L.R. 7/2007 - “Promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna”). REFERENCE Baker A, Inverarity R. 2004. Protein-like fluorescence intensity as a possible tool for determining river water quality. Hydrological Processes 18(15): 2927–2945. Baker A. 2001. Fluorescence excitation-emission matrix characterization of some sewage-impacted rivers. Environmental Science & Technology 35(5): 948–953. Baker A. 2005. Thermal fluorescence quenching properties of dissolved organic matter. Water Research39(18): 4405– 4412. Baker A. and Genty D., 1999. 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Consumers nowadays want to be ensured about the purchased products they can buy from the market and how these products were produced: they are involved in the value chain as final recipients, whose safety and trust must be preserved. As a basic trade perspective, the public demand rules on the offer. The crucial point is how this offer is proposed (in agreement with Regulation requirements as far as productive and hygienic parameters and qualitative peculiarities like in GPO products, for instance) and which consumers’ perception is, who must give for granted that all of information about purchased products are reliable ones. More and more, the need to know the productive story of a product of animal origin on the market increases the awareness of consumers, enabled to make a careful choice, representative of a successful filiére endpoint. 55 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring In 2002, the Food Safety Authority was established by the European Commission Regulation 178/2002 of the European Parliament and Council, which promulgated the general principles and requirements of food law and procedures on food safety. Food safety officially became a target within the achievements in the European Union productive system. The traceability system of products of animal origin basically follows the whole productive chain from the earliest step in farms to the final recipient, the consumer, at retailer’s desks. All of stakeholders are involved in such system and they are responsible of the respective phase of production. A rigorous and sound archive of recorded materials (either raw or processed ones) entering the productive food chain must be promptly able to give an answer to the questions “from whom the raw material was received” and “to whom the processed material was sent”, in order to ensure the flow of information within the stakeholders and to make as the quickest and selective withdrawal of products from the market as possible, in case of risk for public health, with maximum safety and as lowest environmental and economic damages as possible. Specifically, the animal identification and on farm records are essential start points within the value chain. A proper system of animal identification is involved in the Good Farming Practice to meet farm and animals management aspects, beyond being a mandatory task; as a matter of fact, the success of a farm depends on the management of all of the productive data, there involving genetic selection, sanitary surveillance, animal welfare and safety, quality of feedstuffs and type of materials entering the productive process. The evolution offered by new technologies in the field of animal productions of the different productive systems (highly peculiar from place to place all over the world) must imply a basic railway of operations leading to the fulfillment of guidelines into general terms, and if correctly deployed may “fair competitiveness” and products differentiation arise as results of a fully improved productive chain. The record management of animals owes its origin to the greek word αναγράφω (anagraphe), that means “write about”, from the translation of ανά (on, about) and γράφω (to write). At present, the registry office refers 56 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring to the Record of citizens. Shifting such a concept to farms, the anagraphical management of reared animals rules on the constantly updated consistency of heads and the record of changes occurring (marketing, slaughtering, births, etc.). The importance of the anagraphical management of farms involves productive, sanitary, legal and economic aspects: first regulations in date back to the Royal Decree n. 404 issued on 14/07/1898, to repress rustling and abusive pasture. According to art. 1, a farm Record had to report the name of the animals’ keeper, the number of animals and a distinctive sign or brand by the farmer: it was introduced the fire brand for the identification of cattle and horses, while sheep had to be distinguished by a “sign” created by the farmer himself, to distinguish the ownership of the farm they belonged to. The keeper was obliged to communicate to the Common administration the number of animals he reared in the farm and a drawing of the sign he uses to identify his flock. By that time, the identification of the flock was based on “owners’ signs” (is sinnos/sos sinnos) under the farmer’s responsibility. Later on, in 1934, a Veterinary Service was created to monitor farms and consistency of reared animals, in agreement with art. 59 of the Unique Text of Sanitary Regulations (T. U. L. L. S. S.). Several other regulations followed at a national level, but it is in 1992 that the European regulation 92/102/CE obliged farmers to identify producing animals by means of tattoo or ear tags. With specific regards to Italy, the European regulation 92/102/CE was adopted by the Decree by the President of Italian Republic (D.P.R. n. 317), issued on 30th of April 1996, still ruling to date for swine husbandry only. Species-specific Regulations developed for individual identification of animals: European Regulation 1760/2000 (adopted in Italy D.P.R. 437/2000) for cattle; European Regulation 504/2008 for equine individual electronic identification; European Regulation 21/2004 for sheep and goats individual electronic identification. Devices for Animal Identification. The main task of a device deployed for animal identification is to allow the operator to identify the animal throughout its life, from birth to death, constantly, repeatedly and unequivocally. Thus, the concept of permanency was laid as a pre-requisite of all kinds of devices deployed in animal identification at present. In 57 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring addition, the permanency of the device must be harmless for the animal, in agreement with D.P.R. 437/2000. Therefore, a series of requisites identify the best device for animal identification, as resumed in Scheme 1: Scheme 1 – Requisites for the ideal animal identification devices (Cappai et al., 2010) At present, the identification of animals is based on the association of an alphanumeric code with the animal: by means of the device (carrier of the information) the animal is identified by a physical application to its body. Such identifying code paired to the animal, must be detected in the farm of origin, during transportation, at each control in any farm different from the farm of origin, or at slaughterhouse. In addition to these basic tasks, modern identification devices are able to fulfill also other requirements: a series of data can be uploaded to new carriers of multiple information, based on RFID (acronym for Radio Frequency Identification) technology, currently in use for individual electronic identification in equines, small ruminants and pet animals in European Countries. The concept of permanency of the device is related to the entire life span of the animal. Improvement of animal management on farm In agreement with pre-requisites a device for animal identification should possess, a series of properties were highlighted to assess the real improvement of animal management by means of tools associated to animals’ body: 58 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring 1. Readability. The code associated to the animal must be read at each control; 2. Univocability. The code reported by the device must identify solely one animal throughout its life. 3. Permanence. The device is supposed to be associated with the animal’s body throughout the entire life span. More, the code of the device is supposed to be long lasting. 4. Repeatability. The code must be constantly read for one only animal, in order to indentify one same animal by the same code at each control. 5. Fraud proof. The device must ensure that the code associated to the animal is confidently reliable, as resistant to frauds, manumissions, attempts to change the code or the device. 6. Welfare compliant. As the code is associated with the device, such device must stay permanently on animals’ body. Such occurrence, should be as safe as possible for animal, and should not cause harm to the animal, as expressly stated in the DPR 437/2000. By the fulfillment of each of the properties listed above, the management of animals can improve as a sound animal identification is the basic tool and the real start point to set the Good Farming Practice, in order to ease activities of farmers, operators, technicians, agronomists and veterinary surgeons. A sound system of animal identification is necessary for traceability purposes, for sanitary surveillance, for production monitoring: if one only of the identifiers’ properties from the list is not assured, the occurrence of faults in the farm management increases as consequence. Producing animals and pet animals can be identified by means of different devices. In any case, the information carried up by the identifier is composed of an alphanumeric code to convey and ensure the flux of information whenever needed, for different purposes (see previous paragraph). At present, hot and cold branding, tattoo, plastic ear tags and transponders (either injectable, in ceraminc boluses or in eartags) are currently deployed through animal species, some of them in a combined identification both on mandatory or on voluntary base. With regards to brands (fire or freezing made), animal welfare concerns raised, and to date Germany started a process to forbid such a practice in horses: presumably other European Countries will soon follow. Nevertheless, animal welfare was recently assessed according to all kind of identifiers in use nowadays in different animal species: in the following analysis on the global evaluation to assess the suitability of devices and technology for animal identification purposes, animal welfare will be considered as a basic criterion. How to identify animals has played an important role in the last years, but recently the European Parliament and the EU Council paid more and more attention to the matter. Since the 1970s, current animals' identification systems appeared internationally inadequate to face the needs 59 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring to perform a unique and unequivocal detection. In January 1973, at Los Alamos Scientific Laboratory (LASL), an innovative plan of research dealing with the electronic identification of animals took place, thanks to United States Department of Agriculture (USDA) and Energy Research and Development Administration (ERDA). RFID “era” The RFID era in animal production starts up with the introduction of Radio Frequency Technology by means of transponder used to identify animals. ISO Standard 11784 and 11785 rule on technical characteristics of the equipment base on RFID technology, both as far as identifiers (called transponders) and readers of transponders’ electronic code. The word “transponder” owes its name to the combination of two words in one: the former part of the word derives from transmitter, whilst the latter from responder. The neologism transponder identifies the intimate mechanism of working. The physical concept is based on the presence of an active antenna, which is capable to create an electromagnetic field and transmit the excitement to the transponder by means by of radio waves at a low working frequency. Such a low frequency (134.2 kHz) is suitable for trespassing fluid material, as the case of an animal’s body. The basic functioning of the system is reported in scheme 2.. Scheme 2. The reader of transponder (left) starts the activation of the transponder (right, without battery) which sends back the information (electronic code) Transponder (above) and scheme of its structure (below) Handy reader of transponder’s electronic code Transponder’s reply to antenna’s excitement allows a digital saving of the electronic code at the first reading 60 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring and at each following reading on the handy reader, whenever the transponder would be excited again by its antenna held inside. Such functioning is based on passive transponders (without battery) which keep “silent” until new excitement: this is of particular use in animal identification because it means that the transponder works only when within the electromagnetic field generate by the antenna inside the reader (also called transceiver, because capable to transmit and receive). Moreover, no battery transponders represent a strategy to deploy the RFID technology in field: no substitution of battery is required and this is of particular advantage if we suppose the transponder as implanted inside animal’s body. The transponder is made of bioglass, 32x3.8 mm sized. Other working frequency are in use worldwide, for other purposes. In animal identification, ISO Standards reported in the EU Regulation set in on 134.2 kHz. With regards to the requisite of permanence of the device throughout animal’s life, the transponder is applied to animal’s body taking into account species-specific anatomo-physiological peculiarities. A first difference is base on ruminants and monogastric animals: the electronic identification in ruminants is performed by means of ceramic boluses which hold a single transponder inside. The transponder is therefore applied to ruminants by an oral bolus, administered by a bolus gun (differing in size for small ruminants and cattle). The bolus is a suitable case for transponder to ensure stability of the material (alumina-oxide and zirconia-ceramic matter) with no transfer or progressive weight loss; easy to swallow shaped, as the bolus shows two poles according to the direction of application: the top is rounded and smoothed while the opposite is squared and presents a hole stiffed with silicon matter that closes the camera where a transponder is located; ensure to be inert either towards the animal and towards radiofrequency waves trespassing. In monogastric animals, the transponder is implanted by an injection beneath the skin of the left side of the neck, in the middle third between the muscle masses for equines and in the cranial third of the neck in pets (dogs and cats). 61 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Transponders can be detected by two types of reading of the electronic code: by a handy reader to perform the so called static reading; by a fixed antenna set in a reading corridor where electronically identified animals pass through, for the so called dynamic reading. At present, given the heterogeneous deployment of different kind of transponders, not all of them can be read by dynamic reading. This difference is due to the fact that no specific regulation ruled on the technical characteristics of the practical deployment of several transponders, with different goals of different animal species. A first difference between a static and a dynamic reading consists in the approach to the animal. During a static reading, the operator moves close to a kept animal and detects the electronic code of the transponder: by means of the handy reader, the electronic code can be paired to other data and improved with individual information directly under digital format on the reader, in real time. During the dynamic reading, animals pass through a reading corridor purposely created, with a fixed antenna capable to detect the electronic code of the transponder at each animal passage: a list of electronic codes associated to each animal can be easily and quickly created directly on a database due to a notebook linked to the transceiver of the antenna. With regards to the requirement of permanence of ear tags, high loss rates are registered either in ruminants and monogastric animals. The effect of the foreign body applied to the auricles is not well tolerated by animals which constantly try to remove it by scraping against the surfaces they can find in farms. Moreover, the plastic tag (with transponder or not) is particularly appealing to animals above all from intensive productions penned in boxes: with particular regards to pigs, with the attempt to remove the tag from the auricle, biting ear-tags of box mates is a frequent stereotype, leading to traumas, inflammation and poor animal welfare. As far as extensive breeding, above all in small ruminants, ear-tags appeared to be a physical impair during browsing: bushes are hazardous because in the attempt to remove the ear-tags, wood sticks can be entrapped by eartags fixed in auricles. Such occurrence leads to traumas, inflammation and poor animal welfare, as well. Moreover, occurrence and type of lesions due to the presence of ear tags in browsing goats from extensive husbandry were observed (Cappai et al., unpublished data) from a field experience: according to severity of 62 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring lesions, serous inflammation, purulent inflammation, ulcer and bleeding traumas and myiasis were clinically checked. With regards to the requirement of permanence of ear tattoo, ambiguity of code and partial or total cancellation of numbers of the code are common events: such occurrence is due to absorbed ink and pale tattoo, or pigmented skin of the auricle that do not allow any visual detection of the code. Ear tags (ET) vs. ear tattoo (ETt) vs. electronic identification (EID) for individual identification of small ruminants In agreement with the Reg. CE 21/2004 sheep and goats have to be identified by endoruminal boluses containing a transponder, according to ISO Standards 11784-11785, deployed for the double identification of animals, paired to the application of an ear-tag (ET), as first device for animal individual identification. The tattoo (ETt, either in the auricle or in the leg) represents another device for individual animal’s identification, deployed for double identification paired to ear-tag. On field experiences allowed a comparison of the deployment of these three different devices for animal identification purposes. In agreement with the Analytical Hierarchy Process developed by Pinna et al. (2007), efficacy, reliability and efficiency criteria of the three systems were explored, by scoring each of them according to indicators of performance, as reported in Scheme n. 3: Scheme 3 – AHP evaluation (Pinna et al. 2007) GLOBAL EVALUATION EID VS ET 0 LEVEL CRITERION 1 RELIABILITY CRITERION 3 EFFICIENCY CRITERION 2 ACCURACY 1ST LEVEL INDICATOR 1 REPEATABILITY INDICATOR 2 UNIVOCABILITY INDICATOR 3 READABILITY INDICATOR 4 TOOL INDICATOR 5 TECHNICIAN’S INDICATOR 6 TECHNICIAN’S FUNCTIONING ACTIVITY PERFORMANCE NUMBER TIME/HEAD 2ND LEVEL 63 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring The evaluation of the 6 indicators of performance on field to describe the criteria of reliability, accuracy and efficiency in relation to the different devices for animal identification, assessed that the transponder showed the best results (Pinna et al., 2007). Electronic Animal identification and productive performance. One of the main topics, when considering a device for the most fitting purposes as possible for animal identification, relates to productive performance of livestock. Performance in producing animals highlighted that the deployment of the RFID technology gave no difference in the productive performance of slaughtered animals, since body weight at slaughter, fatness and carcass yields overlapped for groups of animals, independently from the device deployed to identify them. In addition to this, the RFID technology showed a further advantage: the traceability of the carcass in the slaughtering chain stops at the beginning if ear-tags or ear-tattoo are used, whilst EID carcass can be followed up to the last phase of the slaughtering chain. Nevertheless, a disadvantage due to the transponder across the chain is represented by the low speed of carcass produced/hour, delayed by the recovery of the transponder: as a foreign body, the transponder cannot enter the food chain and therefore must be promptly removed from each carcass. This additional step causes a range of delay between 1.5 and 2 times the normal speed of a slaughtering chain for pigs. Electronic Animal Identification and biological datum. A practical concern for the identification of animals, either farm animals or companion animals, resides in the fact that the basic action is the association between a device (carrier of the code, whatever the technology is) and the animal’s body. This means that at each control, the reading of the electronic code of the transponder actually identifies the device by an alphanumeric combination of numbers and letters. The opportunity offered by the RFID through the digitalization of the information in structured databases allowed a successful 64 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring development of such technology paired to other technologies specifically dedicated for productive, traceability, sanitary and legal purposes. As a matter of fact, the association of the individual biological datum with the digitalized anagraphical information in an automatic system of databanking, represents a golden standard to ensure the flow of information in a highly informative, compacted and shareable way. Advanced technologies capable to resume a biological profile of animals were used in association with the digital anagraphical databank in different species. With particular regards and monogastric animals, DNA extraction and amplification by means of highly informative macrosatellites (Short Tandem Repeats) for Swine species among ISAG FAO Panel of reference used in paternity tests, were deployed to achieve a genetic profile displayed at the detection of individual RFID code of pigs, for traceability purposes; in this way, electropherograms by the amplification of alleles were resumed in tables headed with the electronic code of the transponder of the respective pig showing its own genetic profile; thus, the individual biological datum was paired under a digitalized format by means of the RFID technology. Nevertheless, such an integrated system based on RFID & DNA results pretty expensive. The implementation of the individual electronic identification (EID) based on RFID technology was also tested combined to retinographies: it was seen that a retinal profile identifies in an univocal way left and right fundus of the eye in different animals species, human beings too. This might occur in many mammal species, but experimental trials are ongoing worldwide. The biological individual datum, represented by the retinal profile of vessels, allowed to clearly distinguish each individual according to its left and right retinal image, which remains constantly and lifelong the same. Such biological datum fulfills the properties for individual identification (see page 5), and was therefore paired to the electronic identification code of the transponder administered by individual bolus to small ruminants. The integrated system between digital retinographies caught by a handy retinograph, was developed on a dedicated database where individual electronic code was able to recall the digital individual retinal profile. Nevertheless, the integrated system showed a limit: despite 65 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring highly informative, easy to share and economic (much more than DNA profiling), the flow of information once again is unsuitable for slaughtered animals, because the traceability of the carcass through the biological datum drops at the beginning of the slaughtering chain. On the contrary, it was of particular use in wild animals (mouflons) for individual identification because no heredity in the phenotype of the retinal profile was observed. In summary, the deployment of electronic identification based on RFID showed to innovate sensibly the farm management into a modern approach capable to meet good farming practice (voluntary or mandatory) in the most fitting way to the several and complex needs: the automatic system of reading and registration of animals allowed to reduce human errors in the interpretation and typing down of individual codes, reducing times needed to screen out healthy animals from problematic animals, to univocally identify selected resistant against disease or highly producing animals, to trace animals during their productive cycle and their products, to allow an easy, shareable and confidently reliable flow of information under digital communication technology. At present, costs to face appear high, but most likely in the next future thanks to the spreading out of the RIFD technology incremental benefits from the system on a large scale will arise. Reference Caja G., Conill C. (2000). 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ISSN 1124-4593 67 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring 68 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring 69 Biosensors and Biotechnology for environmental monitoring Biosensors in Water Ecotoxicology Ielmini Sara Elisa, Piredda Giovanni Agris Sardegna, Dipartimento per la ricerca nelle produzioni animali. Greppi Gian Franco Laboratorio di Bionanotecnologie Università degli Studi Sassari Abstract Water environments are influenced by a variety of anthropogenic and natural substances and organisms that may have diverse effect on human health ecosystems. Real-time measurements of pollutants, toxins and pathogens across a range of spatial scales are required to adequately monitor these hazards both at environmental and food chain level, understand their distribution and the magnitude of their effects and manage the consequences. Introduction The availability of water resources is a vital worldwide importance not only for developing countries. The role of water in different aspects of life (biological, environmental, social and productive) requires the ability to conceive water as a resource to be managed in a comprehensive and rigorous seriously, respecting the natural balance. The emergency concerns the whole world, water shortages, which for the Most of Italy is a problem of just the summer months, for the planet can become a catastrophe. The fresh water available is not enough to the uses to which it is intended: principally for agriculture, but also for industrial production and domestic use. Water is a vital resource for crop production and human survival. Consumption of water for irrigation, especially in Western countries is been steadily increasing over the centuries. Modern culture techniques are the most expensive ever existed, both view that water energy: currently 70% of the water resource available in the world is used for agricultural purposes. The production of 9 t/ha of corn requires about 7 million liters of water. This is of critical importance because 17% of the crops that are irrigated provide 40% of the world food supply. Thus, the world’s capacity for food production is becoming limited by declining water resources. Today, more than 200 million people who can not enjoy a continuous drinking water: everything is not only due to a real lack of material, but also to poor distribution and a bad use, in fact, almost 70 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring 55% of irrigation water and a third of that for home use and industrial production is lost due to the inefficient distribution; 60% of large European cities overexploit own water supplies (to show that this is not just a problem developing countries). Water covers three-quarters of the planet, but this is 97.5% and 2.5% salt, though sweet, is mostly unusable it confined trapped in glaciers or underground aquifers. The system works necessary hydraulic agriculture is complex (ditches, pipes, wells, etc..) and is the result of a layering of events and needs several that have appeared over the story without a rational and unified planning. Water has always been inextricably linked to agriculture. Food and biofuels are dependent on the same resources for production: land, water, and energy. In the U.S., about 19% of all fossil energy is utilized in the food system, including about 7% for agricultural production, 7% for processing and packaging foods, and about 5% for distribution and preparation of food. In developing countries, about 50% of wood energy is used primarily for cooking in the food system. Worldwide, the process of turning natural resources into food requires large amounts of energy, land, and water resources. Environmental pollution is a global problem for man and animals. Pollutants from industrial waste enter into the livestock production systems and then into food chain. In most developing attributed countries to it is industrialization often with improper waste disposal. In developed countries impact of pollution on domestic and wild animals due to chemical toxicities are reported. Pollution is a serious problem in PVS, threatening the animal and human health. These toxicants are accumulated in the vital organs including liver and kidney and exert adverse effects on domestic animals. Many surveys involving human population in industrial, mining and urban areas have indicated toxicities due to effluents. Pesticides, heavy metals and other agro-chemicals are some of the major causes of environmental toxicity in farm animals. The impacts of pollution on animals result in serious economic losses. In the past several decades, a large variety of measurement devices and sensing systems have been designed. This interdisciplinary field is characterized by a rapid technical development in disciplines such as 71 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring science, systems engineering and field operation systems. Biosensors technology integrates the high specificity and sensitivity of biochemical recognition systems with the powerful signal transduction of modern electronics, resulting in the availability of fast, easy-to-use, relatively economic, highly sensible and specific devices that can be used in environmental monitoring, resulting in a great pace ahead in environmental and food toxicology (Fig. 1). Heavy metal pollution is becoming a serious health concern in recent years. Heavy metals from industrial waste contaminate drinking water, soil, fodder and food. The toxic heavy metals like Cd, Pb and Hg affect biological functions, affecting hormone system and growth. Many heavy metals accumulate in one or more of the body organs in food animals and are transmitted through food causing serious public health hazard. The contribution of “-omics” technologies in general, and of proteomics in particular into the progress of environmental and food toxicology allows more and more biomarkers to be identified and, consequently, more and more biosensor devices to be available for environmental and food biomonitoring programs. Monitoring has been defined as: the process of repetitive observing for defined purposes, of one or more elements of the environment, according to prearranged schedules in space and in time and using comparable methodologies for environmental sensing and data collection. Biosensors, constitute the first category of methods. Many works in the past have been focused on the development of bioassays and have led to the commercialization of bacterial bioassays and immunoassays (Allan et al., 2006; Farre et al., 2005). This review will be focused on the issues regarding marine environment and seafood. Water and soil pollution are two of the five basic categories of environmental pollution. The other three are air, noise and light. Pollution occurs when a material is added to a body of water or an area of land that adversely affects it. Once pollution exists, returning the water and soil to its previously unpolluted state often proves difficult. Understanding the mechanisms and extent of connectivity among habitats is fundamental to understanding large-scale ecological processes as well as managing the integrity of landscapes. Movements of nutrients, detritus and animals across habitat boundaries provide a mechanism for habitats to interact, and influence biodiversity and productivity. Intensive industrialisation and farming associated to domestic uses of a growing number of chemicals have led to the release of many toxic compounds in the environment, causing an important pollution of aquatic ecosystems. In Europe, the Water Framework Directive WFD 2000/60/EC lays down the monitoring of a large number of substances, the so-called “priority substances”, with the objective of 72 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring restoring a good chemical and ecological status of all water bodies by 2015 (Allan et al., 2006). 33 hazardous and non-hazardous priority substances of the WFD. Alachlor Atrazine Benzene Chlorfenvinphos Chlorpyrifos 1,2-Dichloroethane Dichloromethane Di(2-ethylhexyl)phthalate (DEHP) Diuron Fluoranthene Isoproturon Lead and its compounds Naphthalene Nickel and its compounds Octylphenols Pentachlorophenol Simazine Trichlorobenzenes Trichloromethane Trifluralin Anthracene Pentabromodiphenylether Cadmium and its compounds C10-13-chloroalkanes Endosulphan Hexachlorobenzene Hexachlorobutadiene Hexachlorocyclohexane Mercury and its compounds Nonylphenols Pentachlorobenzene Polyaromatic hydrocarbons Tributyltin compounds To implement effective monitoring and treatment programs, complementary analytical methods are required: • Monitoring guidelines: sample collection, s. Preservation. • Sample analysis low cost and high throughput screening methods for semi-quantitative determination of families of compounds and/or prediction of their harmful biological effects (overall toxicity, genotoxicity, estrogenicity). • Introduction of new analytical techniques and sensors; methods based on chromatographic separation techniques (LC/MS, LC/MS/MS, GC/MS or ICP-MS), which are more time consuming, costful and require trained operators. These methods do not provide informations on water toxicity but allow the rescan of positive samples for more accurate analytes identification (Rodriguez-Mozaz et al., 2007). • Quality Assurance Programme. • Data reporting: data formats. • Data banking: data storage and some processing ability. • Assessment of results: scientific/background assessment, executive assessment, popular assessment. • Verification process and validation. An adequate supply of safe drinking water is one of the major prerequisites for a healthy life, but waterborne diseases is still a major cause of death in many parts of the world, particularly in young children, the elderly, or those with compromised immune systems. As the epidemiology of waterborne diseases is changing, there is a 73 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring growing global public health concern about new and reemerging infectious diseases that are occurring through a complex interaction of social, economic, evolutionary, and ecological factors. An important challenge is therefore the rapid, specific and sensitive detection of waterborne pathogens. The persistent anthropogenic activity of the last centuries has lead to the continuous contamination of the environment by release of high levels of many chemical compounds. Once introduced in the environment, these compounds are assimilated by organisms, affecting their physiological condition. Most pollutants (pesticides, polyaromatic hydrocarbons (PAHs), antifouling agents, PCBs, dioxins and furans) and toxic elements (e.g. Hg, Cd, Pb and As), and other endocrine disrupting chemicals, pesticides and so on are persistent and accumulate in aquatic ecosystems, so that aquatic organisms are exposed during the whole life cycle and over generations. The contamination of the aquatic environment by PAHs and PCBs is giving cause for alarm Worldwide. Because of their properties, these compounds can not only occur in water; they can be deposited in sediments or accumulate in the tissues of aquatic animals and can also be metabolized to compounds that are even more toxic and/or carcinogenic. PAHs may turn up in the aquatic environment as a result of natural events—forest fires, volcanic eruptions, natural leakage, diagenesis of organic matter, synthesis by plants; but their presence there may also be anthropogenic: petrogenic (emergencies and leakage from the extraction and processing of crude oil and its products) and combustion (incomplete combustion at high temperatures and pyrolysis of organic matter). View of the integrated ecosystem approach. 74 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Usual monitoring pollution parameters: • Trace metals (Hg, Pb, Cd, Cu, Zn, other) • POPs (s-DDT, s-PCB, g-HCH, HCB, other) • Petroleum hydrocarbons (Tot. UVF, PAHs) • Antropogenic radionulides (Cs-132, Cs-134, Cs-137, Sr-90, K-40, Tc-99, Pu-239/240, Am-241/242, Co-60, Po-210, Ra-224/226, U-233) Despite the practical advantages of biosensors, they must be able to provide results in real time, must be simple to use, portable, and cost-effective. Acceptance of these methods is dependent upon several factors: they should be comparable to conventional analytical systems in terms of reliability, sensitivity, selectivity, specificity, and robustness. This verification process is known as validation. Method validation is the process of demonstrating that the combined procedures of sample preparation (extraction, clean-up, etc.) and analysis will yield acceptably accurate, precise, and reproducible results for a known analyte in a specific matrix. (Proll, Tschmelak et al. 2005; Anbalagan, Lafayette et al. 2012) recommend several analytical parameters needed to define in order to characterize biosensor performance. They include four sets of parameters: (i) calibration characteristics: sensitivity, working and linear concentration range, limit of detection (LOD) and of quantification (LOQ); (ii) selectivity and reliability; (iii) steady-state, and transient response times and sample throughput; (iv) reproducibility, stability, and lifetime. The Seafood is also systematically affected by the accumulation of chemical contaminants, that by this way can trace back the food chain until reaching humans, with extremely dangerous effects for human health (Islam & Tanaka, 2004). In the last years, the health benefits related with seafood consumption have been extensively publicized. Seafood is rich in protein, contains low cholesterol and high percentage of (3%) polyunsaturated fatty acids, liposoluble vitamins and essential minerals (Adeyeye, 2002). Fish are the major part of the human diet because fish have low risk of coronary heart disease, hypertension and cancer. Fish also have been popular targets of toxic element monitoring programs in marine environments because sampling, sample preparation and chemical analysis are usually simpler, more rapid and less expensive than alternative choices such as water and sediments (Rayment & Borry, 2000). Fish being at the higher level of the food chain accumulate large quantities of these xenobiotics and the accumulation depends up on the intake and the elimination from the body (Karadede et al., 2004). Increased industrialization and conventional agricultural activities contribute to their increased levels in the natural waters (Whalberg et al., 2001). However, 75 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring the accumulation of heavy metals in fish and other aquatic lives is of great importance to man as fish is consumed by a large section of the population. Toxic element accumulation in different species of fish depends on the feeding habits, size and length of the fish (Al-Yousuf et al., 2000) and more particularly their habitat (Canli & Atli, 2003). Among the different aquatic lives clams and mussels accumulate large quantities of toxic elements due to their habitat and feeding habits. Anthropogenic activity has also contributed to exacerbate climate change. Although it is commonly accepted that climate change is a natural process taking place as a result from natural forces on various timescales and spatial scales (FAO, 2009), also human activities are contributing to increase climate change effects at a relatively local scale. The greenhouse gas CO2 emitted by human activities have been accumulating not only in the atmosphere, but it is also permeating oceanic waters, resulting in a reduction of water oxygen levels and contributing in worsening the global warming, the continue rising in the average temperature of Earth's atmosphere and oceans. That is, oceans are becoming warmer, less oxygenated, more saline and richer in toxic compounds. Climate change and human pollution are affecting the frequency and intensity of sea currents (FAO, 2008), as well as inducing changes in the environmental ecological balances: the increasing in the occurrence of harmful algal blooms, or “red tides” is just an example; but also the distribution of marine and freshwater species is changing (FAO, 2008). As a consequence of increased temperature and polluted environment, fish and shellfish are trying to adapt themselves to the new stressing condition by changing their physiological processes and metabolic routes: species with shorter life span will change their lifetime and spawning cycles, resulting in life stages mismatches between prey and predators in the same food chain; this phenomenon will sum to the changes in the nutrient supply induced by increasing temperatures. The outcomes can affect not only seafood availability, primarily influencing fishery and aquaculture production, but also the safety and the quality of seafood; seafood contamination by algal phycotoxins is just another example. The seriousness of the environmental problem explains the growing number of initiatives and legislative actions for environmental control and increasing scientific research programs in this field: the Stockholm Convention on persistent organic pollutants, establishing the evaluation of the effective reduction of persistent organic pollutants; the European Union Water Framework Directive (2000/60/EC), assessing a wide range of priority chemical compounds to be monitored in aquatic environments through adequate monitoring programs; the EU Marine Strategy Framework Directive (2008/56/EC), establishing the community strategy for the protection and conservation of the marine habitats and environment. 76 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring The European Commission also made a call for a “more cross-boundary and multidisciplinary approach (…) to understand the impact that humans have on the terrestrial and aquatic environments and its effects” (JMM of the Helsinki and OSPAR Commissions, 2003). Also for food, both in the White Paper on Food Safety (Commission of the European Communities, 2000) and in the food law framework Regulation 178/2002/EC, the European Union laid down the procedures in matters of food safety and the controls required to ensure that acceptable safety standards are retained, in compliance with the general opinion that food safety must be ensured in all aspects of the food production chain, in the perspective of the farm-to-fork continuum. Moreover, the Community political measures on food safety are supported by specific research actions adhering to three main perspectives: improving the knowledge of the relation between food and health; developing tools to control food-related risks, with the contribution of “-omics” biotechnologies; controlling health risks associated with environment and climate change. Accordingly, the European Framework 6 Programme (FP6) had patronized the development of some research programs aimed at employing “-omics” (transcriptomics and proteomics) technologies and approaches to discover biomarkers and develop biosensors linked to exposure to toxic compounds such as phytoestrogens, mycotoxins and organochlorine pesticides; BioCop is one of them (www.biocop.org/theproject_packages.html). Ecotoxicology is aimed at understanding the effects induced on aquatic organisms and seafood by environmental stressors, being them chemical toxicants or changes in temperature, UV light or salinity induced by climate change. The primary aim of ecological risk assessment is to predict any adverse effect of 77 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring anthropogenic pollutants on the ecosystem. Proteomics have been recently applied to ecological studies in the marine environment, proving to be a valuable tool to spot biomolecular events involved in toxicant responses, to elucidate the mechanisms of stress and to identify novel biomarkers of ecotoxicity. (Evans, Briers et al. 1986) To assess the hazard of toxicants, a robust methodological approach is necessary, that is focused in the employment of complementary analytical methods. Analytical methods based on chromatographic techniques (LC/MS, GC/MS and ICP/MS) have been traditionally employed in the detection of heavy metals and organic pollutants; however, despite being extremely sensible and reproducible, these methods are time-consuming, require trained operators and do not provide information on the cumulative toxicity effects induced on a biological scale. These analytical methods cannot be employed as predictive tests, while this would be extremely useful in the assessment of toxicity and ecotoxicity of compounds, particularly for the implementation of the European Community Regulation on the registration of chemicals and their safe use (REACH) (EC 1907/2006). Biological techniques, like bioassays and biosensors, constitute a relative low-cost screening method for the quantitative detection of toxicants. Latest development in improving biosensors performance have been focused on the multi-analyte detection and on the study of their cumulative biological effects, thus making them suitable devices for a high-throughput predictive screening. Biosensors and toxicological issues in food and environment. Traditionally, a biosensor is defined as an analytical device pointer that in a solid surface integrates a sensing element of biological origin and a physical signal transducer, the first being in charge of capturing a signal related to biological, chemical or physical processes affecting the system under detection process, and the second of the physical transduction of the biochemical signal. A variable, pointer or index reveals key elements of a system. The position and trend of the indicator in relation to reference points or values indicates the present state and dynamics of the system. Indicators provide a bridge between objectives and actions. The first biosensor was proposed by Leland C. Clark during the ’60 years and was an enzymatic electrode that employed the glucose oxidase to quantify glucose levels in blood. He eventually made the first prototype of biosensor by immobilizing the enzyme onto the oxygen electrode (Heinemann & Jensen, 2006); nowadays, this device is still used by millions of diabetics daily. A great pace ahead in the development of biosensors was determined also by the use of antibodies in detection assays (immunoassay), where the high specificity and selectivity of the reaction antigen – antibody is exploited. However, great diffusion in the use of biosensors was 78 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring determined also by advances in the development of modern methods of measurements, from microtiter platebased assays, which are rapid, cheap and easy-to-use, to the integration of optical, electrochemical or piezoelectric signal transducers to biological components. In the 1980’s, only a limited number of groups were publishing data on optical sensors with integrated biological recognition molecules (Turner et al. 1987). The possibility of moving a biosensor off an optical bench was still a long-term goal primarily because of the bulky optics available at the time. Moreover, reagent manipulations were all performed manually. The primary challenges being addressed were maintaining the activity of the recognition molecules after immobilization or entrapment, collecting the relatively weak fluorescent or absorbance signals, and discriminating a recognition event from nonspecific adsorption. Only after these problems were well understood and the manner in which they needed to be addressed was better appreciated could the next level of challenges be undertaken: consideration of binding kinetics at surfaces; operation under flow as opposed to static equilibrium conditions; utilization of new solid-state optical devices, recognition molecules, enzymes for signal amplification, and nearIR and long-lifetime fluorophores; multiplexed analyses; system automation; and constraints for utility at the point-of-use. Both as a result of this foundational work and advances in other fields, a number of new devices and techniques evolved including a wide variety of solid state optical elements, immobilization chemistries, genetically engineered recognition molecules, microarrays of capture molecules, and fluidics for continuous monitoring. The great advantage of biosensors is the integration of the high specificity and sensitivity of biochemical recognition systems with the power of modern electronics, that results in the availability of fast, easy-to-use and low-cost monitoring devices with good signal stability. The biological element is usually an enzyme or a high-affinity compound as monoclonal or polyclonal antibodies or their fragments. These biochemical molecules are characterized for their capacity of recognizing and linking their substrate with high specificity and sensitivity; their use in biosensing allows to contemporaneously and real-time measure different analytes at very low concentrations (micro or nanomolar) even in complex matrices. Also molecular receptors, peptides, nucleic acids and biomimetic molecules can be employed in a biosensor, up to intact cells or tissues (Kröger S et al., 2002; Turner, 2000). As an example, a rapid bioluminescent bioassays based on recombinant cells have been developed to sensitively detect endocrine-disrupting compounds (Michelini et al., 2005). One of the advantages is that biosensors can be inserted in miniaturized and compact, easy handling and portable instrumentation for in situ monitoring, both for field analysis (environmental sensors) and foodstuff. The most recent advances in the automation of biomonitoring have oriented towards the development of biomarkers 79 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring analyzers embedded in silicon chips with digital microfluidic or electrokinetic manipulation (Jebrail & Wheeler, 2010). A disadvantage of biosensors based on enzymes or antibodies is their robustness, that is the capacity to keep stable analytical measurements even in presence of interfering substances or in complex matrices. Antibodies, receptors and enzymes can suffer from lack of stability, thus compromising the performance of the assay. Most of the early optical biosensors used antibodies or lectins as biological recognition molecules. The molecular biology tools developed for identifying genes using complementary oligonucleotides and for in vitro creation of antibodies provided methods for de novo creation of new or improved recognition molecules. New recognition paradigms evolved and the capabilities provided by multiplexed recognition systems became apparent. High density arrays of DNA, antibodies, carbohydrates and peptides have been validated with optical readout systems for simultaneous detection of large numbers of targets. Low density arrays have been implemented in inexpensive optical biosensor assays for limited numbers of biomarkers with the extremely valuable capacity to run positive and negative controls in the same test. Alternative approaches are based on the use of synthetic materials like molecular imprinted polymers (MIPs). The molecular imprinting technology introduces in a synthetic polymer recognition properties similar to those of biological receptors using appropriate templates that have same geometry and orientation of the functional groups in the molecule of interest (Wulff, 1995). MIPs have similar high affinity and specificity to their templates but higher stability in comparison with antibodies. Recent studies have been carried out on their employment in the development of biosensors with artificial receptors for algal toxins (Yu & Lai, 2010) and other marine biotoxins (Chianella et al., 2003) and pesticides (Alizadeh, 2010). 80 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring The future integration of wireless communications systems will generate huge interest as this will inevitably lead to the emergence of extensive networked multiple autonomous analytical stations in rivers, lakes, wells, or even water treatment plants. These units will provide high-quality information about key chemical parameters that determine the quality of our environment. By means of this network system and by an intelligent remote surveillance, an active response will be possible. To accomplish this, there is a need for robust and unattended working analytical instrumentation. Each unit will be portable, plug-and-playable, userfriendly, and fully automated with little need for maintenance. The emergence of these compact, selfsustaining, networked instruments will have enormous impact on all field-based environmental measurements including biosensors. Gu et al 2001 have rapplied a novel early warning protocol to monitor the toxicity of the effluents of a water treatment plant. A toxicity early warning system is needed to prevent the outflow of water containing dissolved toxic chemicals and is important to ensure compliance with EU directives. Finally, the field of biosensors development is taking big advantage from the development of nanoscience. Nanotechnology is providing new tools for integrating biorecognition molecules with the mechanisms for signal generation, altering the geometric distribution of the optical power, and controlling nonspecific surface interactions. As molecular interactions, molecular transport distances, and optical energy fields approach similar dimensions, it becomes more and more natural to take an integrative view of the biochemical and physical interactions of molecules and forces. Nanoparticles (NPs) and nanomaterials usually have dimensions at nanoscale, that is 1–100 nm, with physico-chemical properties and biological effects differing from the corresponding macroparticles due to the increased numbers of surface-exposed atoms (Moore, 2006). Nanoparticles are also beginning to be appreciated for the role that their size and shape can play in terms of optical excitation in a biosensor (Rolland et al 2004). Nanoparticles with varying size and shape have been used to modify planar sensing surfaces to make them generate bigger signals and obviate the need for labels. It has long been known that a lawn of gold or silver nanoparticles can enhance surface plasmon resonance (SPR), but only recently has this effect become reproducible as the methods for making uniform particles and for fabricating the modified waveguides have been defined. Nanotechnology employs molecules, particles and materials for the construction of structures and devices at nanoscale. The continuous progress in nanotechnology is giving great contribution in many aspects of biosensors design and development, particularly to time of response and detection performances. For instance, coupling nanoparticles to the biosensing element results in the availability of different possibilities of interface immobilization, with different detection performances; in the possibility of coupling different 81 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring recognition systems (antibodies, enzymes, DNA probes or cells) to simultaneously measure multiple parameters with high specificity and sensitivity and power of real-time response. In one word, this is the capability of making high-throughputs measurements with high performances. In addition, developments in nanotechnology allows the development of new transducing devices with better sensitivity, wider applicability range and lower prices. Moreover, the continuous progression in micro/nanoelectronics and in micro/nanofluidic is helping reducing the size and the energy requirements of biosensor devices, thus contributing to lowering their prizes and improving their employment in biomonitoring programs. Applications of Biosensors 1. Environmental and Water Monitoring Human activities (fishing, disposal of waste, nutrient inputs from agricultural and rearing activities, aggregate extraction and other industrial activities) can impact and deeply affect many aspects of marine ecosystems: primary and secondary production, animal movement and species distributions, the occurrence of disease in organisms following pollution events (ecotoxicology), biogeochemical cycles. These responses are based on direct biological effects, including the mortality of different life stages and disruption of reproductive cycles, etc., and indirect biological effects, essentially based on species-to-species interactions, which play a fundamental role in the structure and function of the systems (trophic relationships via predator and prey interactions, disruption of habitats, etc.). Ecotoxicological impacts at the ecosystem level can lead to new functions at the community level, such as primary and secondary production and nutrient cycling, with a marked delay between the steps from organism to whole ecosystem. On the general consideration that, on the whole, impacts can determine cumulative and combined effects on the environment, looking individually at each anthropogenic impact is not sufficient. In the last European Marine Strategy Framework Directive (2008/56/EC) the European Union made a call for more multi-disciplinary and cross-boundary approaches to study the human impacts on global waters, under the general perspective of “an ecosystem approach to the management of human activities” (Helsinki and OSPAR Commissions, 2003). The complexity of the mechanisms involved in ecotoxicology and the breadth and diversity of the field of investigation lead to the crucial issue of research methodologies and their representativity in relation to the processes that occur in the natural environment. For example, the determination of fairly simple indices, such as abundance, biomass, species richness, saprobic index, biotic score, etc., or the selection of indicator species make it possible to 82 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring estimate the quality of the environments, to establish interstation or interecosystem comparisons, or to follow medium- or long-term developments. Listed below are biological indicators of ecological effects selected to optimize the detection of potential or actual changes in selected ecological end points . Purposes for indicators * intrinsic importance: indicator is end point - economic species * early warning indicator: rapid indication of potential effect - use when end point is slow or delayed in response - minimal time lag in response to stress; rapid response rate - signal-to-noise ratio low; discrimination low - screening tool; accept false positives * sensitive indicator: reliability in predicting actual response - use when end point is relatively insensitive - stress specificity - signal-to-noise ratio high - minimize false positives * process/functional indicator: end point is process - monitoring other than biota, e.g., decomposition rates complement structural indicators Criteria for selecting indicators * signal-to-noise ratio - sensitivity to stress - intrinsic stochasticity * rapid response - early exposure, e.g., low trophic level - quick dynamics, e.g., short life span, short life cycle phase * reliability/specificity of response * ease/economy of monitoring - field sampling - lab identification - preexisting database, e.g., fisheries catch data - easy process test, e.g., decomposition, chlorophyll relevance to end point - addresses "so what" question * monitoring of feedback to regulation - adaptative management Detection of biochemical responses to pollutants from selected species collected in the field-the biomarker concept-has received considerable attention during the last decade in the assessment of functional effects in contaminated ecosystems. Biomarkers represent an organism's attempt to compensate for or tolerate stressors in the environment. Bioprobes or biosensors with potential application at field level were recently developed with two essential monitoring applications: the detection of specific pollutants, using enzyme- or 83 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring antibody- based devices; and the detection of unexpected changes in environmental chemistry, using broadspectrum whole cell biosensors. A variety of laboratory prototype biosensors have been reported which measure a fairly broad spectrum of environmental pollutants. Although specific requirements must be met for each field monitoring scenario, some general requirements for biosensors used in environmental applications are listed in the following table 1a. Surprisingly, the goal of using optical biosensors for diagnostics in developing countries has become an important driver for engineering more cost-effective systems (table 1b). Technologies for cheap, robust, lowcost, user-friendly diagnostics with minimal requirements for external energy sources are in the development phase. Table 1a. General requirements for biosensors. Requirement* Specification Range Cost Portability From 1 to 10 euro per analysis Can be carried by one person; no external power Assay time From 1 second to 60 minutes ( microbiologic test) Personnel training Can be operated after 1-2 hour training period Format Reversible, continuous, in situ Matrix Minimal preparation for water and groundwater Sensitivity Parts per million to parts per billion Dynamic range At least two orders of magnitude Specificity Enzymes/receptors/nucleic acids: specific to one or more groups of related compounds. Antibodies: specific to one compound or closely related group of compounds. *From US Environmental Protection Agency 2003 modificated Successful approaches will work just as well in technologically advanced cultures and be more rapidly accepted due to the lower cost of use. However, again it must be emphasized that in order for such biosensors to be accepted, the information they provide must be actionable. The definitions and exhaustive classifications of biosensor systems for environmental monitoring and marine control have been widely reviewed (Rogers, 2006; Badihi-Mossberg et al., 2007; Jiang et al., 2008; Kröger et al., 2009; Zielinski et al., 2009; Eltzov & Marks, 2010), so it is not in the intentions of this review to discuss the topic much in detail. 84 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring A variety of biosensors have been designed for water monitoring applications that use different types of bioreceptors (enzymes, receptors, antibodies, DNA or microorganisms) combined with electrochemical, optical or mechanical signal transduction devices. Optical biosensors rely on the modulation of cell optical properties (UV-Visible absorption and biochemiluminescence, reflectance, fluorescence) following interaction with compounds present in the sample. Most of the optical biosensors proposed are based on bioluminescence or fluorescence detection. Moreover, biosensors can be used in in situ observations or in remote sensing through a satellite or aircraft connection. One of the most versatile cell-based sensor systems on the market is the Bionas Analyzing System (Bionas, Rostock, Germany). Its main benefit is the supply of three cellular readout-parameters (cell impedance, acidification, respiration). These can be detected in parallel and continuously over a long time. Under typical in vitro cell culture conditions, oxygen consumption rate is a direct measurement of mitochondrial respiration. The extracellular acidification rate is dominated by lactic acid production during glycolytic energy metabolism. By generating real-time profiles of O2 consumption and extracellular acidification which both determine the acute rates of the cellular energy metabolism, the multi-parameter measurement allows the monitoring of the actions of substances and their cytotoxic effects including potential regeneration. The device was originally used in pharmaceutical research for drug testing for the optimization of culture conditions but also in environmental areas, not only for the monitoring of water, but also for the monitoring of air and the detection of toxic gases. Eukaryotic cells have to fulfill certain criteria for their use as chemical sensors in the water monitoring: • High sensitivity to various compounds • No or low proliferation • Long lifespan (weeks to month) • Unchanged sensitivity over a long period of time • Rapid response • Genetic stability 85 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring • Easy to handle • Stable and low-noise signals during measurement • Moderate costs High selectivity is (although valuable) not primarily intended as the system should give information about the presence of any toxic substance. A low selectivity compared with high sensitivity makes such a system appropriate for the detection of a wide range of unknown toxic substances. One benefit of cell sensors is their ability to react only to the bioavailable fraction of metal ions. In contrast, standard analytical methods are not able to distinguish between bioavailable and non-bioavailable fractions of metals. Microscale techniques for cell biological assays are increasingly becoming validated and applied in biological laboratories. Microfluidic devices can give unique functionalities for cell-based assays including single-cell analysis, patterned threedimensional cell cultures, and precise control over the culture microenvironment. Microfluidic systems promise to provide a simple, scalable tool to apply standardized protocols used in cellular response assays. Device features ranging from tens to hundreds of microns will allow tracking and manipulation of tens to hundreds of cells, providing the ability to analyze small cell populations which is not possible using current standard techniques. Integration of sensing capability will increase their ease of use and the types of readouts that can be obtained. Only some examples about the application of biosensors in marine environmental monitoring will be discussed here; a compilation, however not exhaustive, of the most recent studies on the topic is reported in Table 1c. Many toxic compound can be detected in waters by means of immunosensors. Immunosensors are based on the highly selective antigen (Ag)—antibody (Ab) reaction. The bioreceptor immobilized on the transducer can be either an Ab or an Ag, the last one being chemically modified for the immobilization on a solid surface (hapten). Accordingly, there are different assay formats: competitive direct assay, direct inhibition assay, sandwich assay, displacement assay and indirect competitive inhibition assay. The last one is based on the competition between the immobilized antigen (hapten) and the free antigen (the analyte) for a fixed amount of antibody and is the most used assay format in immunosensors design (Shankaran et al., 2007). Immunosensors have been coupled with optical transducers, like optical immunosensor based on total internal reflection fluorescence (TIRF) (Tedeschi et al., 2003) and surface plasmon resonance (SPR) (Shankaran et al., 2007). Briefly, in SPR, when a thin metal film is excited by an incident beam of light of appropriate wavelength at a particular angle, an evanescent electromagnetic field is generated on the metal surface (Homola et al., 1999). 86 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Table 1b. Laboratory structure constraints in low-resource settings informing product attributes . A wide disparity of laboratory facilities and capacities within a country and among countries Careful consideration for the final user of the test is required. Poor or nonexistent external quality control and laboratory accreditation systems The test should be reproducible and easy to interpret and process controls. Unreliable procurement system leading to stock outs of key laboratory supplies The test should require as few external reagents and supplies as possible. Unreliable quality of reagents and supplies procured through national channels The test should require as few external reagents Lack of basic essential equipment The test should require as little instrumentation as possible or provide its own instrumentation. Lack of laboratory consumables No assumptions should be made regarding supplies for specimen collection, storage, and handling. Unreliable water supply and quality This is extremely variable in different regions and seasons, and a device should not require external water if high quality is needed. Unreliable power supply and quality Devices requiring external power should account for long periods of time without network electricity supply and variability as well as frequency of surges from the network electricity supply. Inconsistent refrigeration capacity A test should be able to withstand large fluctuations in temperatures (from 40°C to 10°C) during transportation as well as sustained storage at 30°C. Insufficiently skilled staff The test should be easy to use and interpret. Limited training opportunities Any training requirements should be given special consideration for the introduction strategy. Limited access to distributors’ service maintenance staff Any device should be robust with over 1 year half-life. Poor waste-management facilities The environmental impact of disposable, chemical reagents, and biohazardous materials should be considered. The phenomenon is physically explained as a variation in the charge density that occurs at the interface 87 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring between two media of oppositely charged dielectric constants (the metal and the exterior). The evanescent electromagnetic field can generate only under total reflection conditions, that is under fixed angle of incidence, and exponentially decreases as the distance of penetration from the interface increases. Table1c: Applications of Biosensors for Environmental Monitoring. Analyte Biosensing method References Nitrate and nitrite Nitrate reductase Cosnier et al., 1994 and 2008; Larsen et al., 1997 and 2000; Quan et al., 2010; Zhang et al., 2009; Adeloju & Sohail, 2011; Can et al., 2011. Phosphate Enzyme (pyruvate oxidase) Engbloom, 1998; Kwan et al., 2005; Zhang et al.,. 2008; Gilbert et al, 2010 Phenolic compounds Amperometric enzyme-based Carralero et al., 2006; Hervas Perez et al., 2006; Lee (tyrosinase) sensor YJ et al., 2007; Wang et al., 2008; Zhao et al., 2009; Chen & Jin, 2010; Wang et al., 2010; Kong et al., 2011; Yuan et al., 2011 Phenolic compounds Optical enzyme-based (tyrosinase) Abdullah et al., 2006; Jang et al., 2010; Fiorentino et sensor al., 2010 Farre et al., 2007 Herbicide (Atrazine) SPR-Immunosensors Hleli et al, 2006 EIS-Immunosensor Tschmelak et al., 2005 TIRF-fluorescence Immunosensor Polycyclic aromatic Amperometric immunosensors Ahmad et al., 2011 hydrocarbons (PAH) Benzo(a)pyrene SPR-Immunosensor Polychlorobiphenyls Whole-cell sensors Gavlazova et al., 2008; (PCBs) Přibyl et al., 2006 Polychlorobiphenyls Piezoelectric immunosensors (PCBs) Pesticides (Dichlorvos) Amperometric enzyme-based Vidal et al., 2008 (tyrosinase) sensor Pesticides (Chlorpyrifos) SPR-Immunosensor Mauriz et al., 2006 Pesticides (Isoproturon) TIRF-fluorescence immunosensor Tschmelak et al., 2005; Pesticides (Picloram) Amperometric-HRP labeling Chen L et al., 2010 Immunosensor Du et al., 2010; Lee JH et al., 2010 Pesticides Amperometric enzyme-based (Organophosphates) (organophosphste hydrolase) sensor Pesticides Acetylcholinesterase sensors Suri et al., 2002; Bucur et al., 2006; Du et al., 2008; (organophosphates) Gong et al., 2009; Viswanathan et al., 2009; Du et al., 2010; Gan et al., 2010; Pesticides (carbamates) Acetylcholinesterase sensors Suwansa-ard et al., 2005; Pesticides (DDT) SPR-Immunosensor Mauriz et al., 2007 Antibiofouling agents Recombinant bacteria sensors Durand et al., 2003; Thouand et al., 2003; Horry et (TBT) al., 2007; Gueuné et al., 2009 Testosterone TIRF-Immunosensor Tschmelak et al., 2006 Amperometric Immunosensor Eguilaz et al., 2010 88 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring 17β-estradiol Bisphenol A Surfactants (2hydroxybiphenyl) Herbicide (2,4D) Microcystin -LR Cd, Zn, Pb2+, Hg2+, Cu2+ Hg, Cu, Zn, Ni, KCN, As2O3, Hg2+ Atrazine, DCMU, Formaldehyde Mitomycin C, ethidium bromide,H2O2, toluene, pyrene, benzo[a]pyrene, MMS Mitomicyn C, pentachlorophenol, H2O2 Impedance receptor-based biosensor EIS Receptor-based biosensor TIRF-Immunosensor EIS-Immunosensor FET Receptor-based biosensor SPR-Immunosensor SPR-Immunosensors AuNP-Immunosensor TIRF-fluorescence Immunosensor TIRF-fluorescence Immunosensor Whole-cell sensors (C. vulgaris) Whole-cell sensors (Vibrio fischeri) Whole-cell sensors (E.coli) Whole-cell sensors (E.coli DHα) Amperometric algal sensor (C. vulgaris) C. vulgaris / P. subcapitata/ C. reinhardtii Whole-cell sensors (Acinetobacter baylyi ADP1 recA::luxCDABE) (E. coli K12 recA ::luxCDABE and ColD::luxCDABE) Xia et al., 2010 Im et al., 2010 Marchesini et al., 2005; Tschmelak et al., 2005; Rahman et al., 2007 Sanchez-Acevedo et al., 2009 Kim et al., 2007; Kim et al., 2008 Chandra Boro et al., 2011; Long et al., 2008 Long et al., 2008 Chouteau et al., 2005; Guedri et al., 2008; Chong et al., 2008 Komaitis et al., 2010 H. Wang et al., 2008 C. Liu et al., 2009 Shitanda et al., 2009; Tatsuma et al., 2009 Song et al., 2009 Kotova et al., 2010 AchE: acetylcholinesterase, AP: alkaline phosphatase; 2,4D: 2,4-dichlorophenoxyacetic acid; DCMU: 3-(3,4-dichlorophenyl)-1,1-diethylurea, DDT: dichlorodiphenyltrichloroethane; IQ: 2-amino-3-methylimidazo[4,5-f]quinoline, MNNG: 1-methyl-1-nitroso-N-methylguanidine, MMS: Methyl methanesulfonate, 4-NQQ: 4-nitroquinoline N-oxide; TBT: Trybutiltin. Biomolecules immobilized on the metal influence the resonance condition, so that any conformational change of the linked biomolecule, for instance determined by the binding to an antibody, causes the change in the refractional index at the interface and a shift in the resonance angle, being accurately determined. A lot of information on the analyte can be obtained from the resonance angle shift, like the affinity for the antibody, the association (or dissociation) kinetics and the amount of bound analyte. The coupling between the specificity of antibody-antigen recognition with the sensitivity and reliability of signal detection of SPR has proven to be of great advantage in the high-performance detection of compounds in environmental monitoring (Farre et al., 2007), particularly when a multi-analyte detection of small molecular-weight analytes in complex matrices is required (Kim et al., 2007). SPR devices for studying biomolecular interaction have had great diffusion and 89 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring several companies (like BIAcore) manufacture SPR instrument with a variety of options. Recent developments have been focused on the employment of immunosensors with SPR (Mitchell, 2010). Raman spectroscopy is a spectroscopic technique used to study vibrational, rotational, and other lowfrequency modes in a system. Raman scattering is a versatile optical detection method for solids, liquids, or gases. Raman techniques have also found applications in the area of agricultural inspection (Li‐Chan, 1996; Thygesen et al., 2003), examples include composition analysis of wheat grain (Piot et al., 2000; Ram et al., 2003), detection of adulterants in maple syrup (Paradkar et al., 2002), measurement of oil and water content in olive pomace (Muik et al., 2004), phosphorus sensing in soils (Bogrekci and Lee, 2005), inspection of plant pathogens (Schmilovitch et al., 2005), and detection of melamine in human foods and animal feed (Liu et al., 2008; Liu et al., 2009; Okazaki et al., 2009). Visible light from a laser is passed through the sample; a small portion of the light is scattered by each molecular species at a shifted wavelength (color). The size of the wavelength shift is specific to the species, and the quantity of scattered light is proportional to the concentration. Spectral Sciences' patented high-efficiency optical design collects the maximum light signal with the minimum laser power. It relies on inelastic scattering, or Raman scattering, of monochromatic light, usually from a laser in the visible, near infrared, or near ultraviolet range. The laser light interacts with molecular vibrations, photons or other excitations in the system, resulting in the energy of the laser photons being shifted up or down. The shift in energy gives information about the vibrational modes in the system. Infrared spectroscopy yields similar, but complementary, information. All molecules vibrate and Raman spectroscopy gives information on these vibrations in the form of a spectrum. Each spectrum is specific to the material being analysed. The Raman effect is observed when a photon of light interacts with a molecule, exciting the molecule for a very short time (~10-14 s), before a second photon is scattered from the molecule as it relaxes. For most photons scattered, the wavelength of the scattered light will be equal to the incident light (Rayleigh scattering), however approximately one in a million photons (or less) exhibits a change in wavelength of scattered light to that of the incident light (Raman scattering). The energy difference between the incident and scattered light corresponds to the energy difference between two vibrational energy levels of the molecule. The scattering takes the form of a series of bands which can be related to the structure of the molecule. Cell-based biosensors rely on detecting changes in cell behaviour, metabolism, or induction of cell death following exposure of live cells to toxic agents. Raman spectroscopy is a powerful technique for studying cellular biochemistry. Different toxic chemicals have different effects on living cells and induce different timedependent biochemical changes related tocell death mechanisms. Cellular changes start with membrane 90 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring receptor signalling leading tocytoplasmic shrinkage and nuclear fragmentation. The potential advantage of Raman spectroscopy cell-based systems is that they are not engineered to respond specifically to a single toxic agent but are free to react to many biologically active compounds. Raman spectroscopy biosensors can also provide additional information from the time-dependent changes of cellular biochemistry. Since no cell labelling or staining is required, the specific time dependent biochemical changes in the living cells can be used for the identification and quantification of the toxic agents. Thus, detection of biochemical changes of cells by Raman spectroscopy could overcome the limitations of other biosensor techniques, with respect to detection and discrimination of a large range of toxic agents. The Raman effect is very weak due to the low number of photons scattered but Surface Enhanced Raman Scattering (SERS) is much more sensitive and can reduce fluorescence interference often observed using conventional Raman scattering. SERS intensity depends on localized surface plasmon resonance (LSPR) and since the size, shape, inter-particle spacing of the material aswell as dielectric environment influence the LSPR, these factors should be chosen carefully, ensuring the reproducibility of the SERS substrate. The distinct advantage regarding the application of SERS measurement is because of the increasing importance of biological studies since this technique iswell suited for the analysis carried out in aqueous environment. Surface enhanced Raman scattering (SERS) permits the detection of adsorbed molecules on noble metal surfaces, such as Au, Ag and Cu, at sub-picomolar concentration. It is a phenomenon resulting in strongly increased Raman signals when molecules are in close proximity to nanometer-sized metallic structures (Haynes et al., 2005). In practical applications, samples to be analyzed may be located remote from the spectrometer, where freely propagating laser light may create hazards for the operator. From FIBRE-OPTIC SERS SENSORS. C. Viets, S. Kostrewa and W. Hill 91 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Furthermore, changing of samples usually requires manual alignments. These issues can be overcome by using optical fibres which have the additional advantage that they can lead to difficultly accessible locations. Furthermore, the guided excitation laser light is diffuse on the sample instead of being focused to a small spot with high power density, where thermal or photochemical effects may affect sensitive samples. Commercially available, low price silica fibres are well suited for Raman and SERS spectroscopy as they show minimum transmission losses and negligible fluorescence. There have been several applications of optical fibres in Raman spectroscopy, but only a few of them used SERS for constructing sensitive optical sensors. With the appropriate surface modification, any Raman-active molecule can be detected quantitatively at the trace level in near-real-time using SERS as the signal transduction mechanism. The speed and sensitivity of SERS make this method a viable option for the field analysis of potentially harmful environmental samples and in vivo monitoring. Immunosensors have also been coupled with electrochemical transducers as electrochemical impedance spectroscopy (EIS) (Prodromidis, 2010), as well as with some potentiometric transducers like semiconductorbased field-effect devices (FEDs) and ion selective electrodes (ISEs) (Bratov et al., 2010). All these types of signal transducers, as well as SPR, can be easily miniaturized and integrated in microfluidic platforms and microarrays and thus they are suitable for the creation of miniaturized analytical systems for environmental monitoring. In the perspective of restoring a good chemical and ecological condition of all water bodies, the European Union issued also the Water Framework Directive (2000/60/EC), according to which the monitoring of various pollutants, considered as priority, at very low detection limits is necessary to protect water resources and control water quality (Allan et al., 2006). The WFD classification scheme for water quality includes five status classes: high, good, moderate, poor and bad. ‘High status’ is defined as the biological, chemical and morphological conditions associated with no or very low human pressure. This is also called the ‘reference condition’ as it is the best status achievable - the benchmark. These reference conditions are type-specific, so they are different for different types of rivers, lakes or coastal waters so as to take into account the broad diversity of ecological regions in Europe. Assessment of quality is based on the extent of deviation from these reference conditions, following the definitions in the Directive. ‘Good status’ means ‘slight’ deviation, ‘moderate status’ means ‘moderate’ deviation, and so on. The definition of ecological status takes into account specific aspects of the biological quality elements, for example “composition and abundance of aquatic flora” or 92 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring “composition, abundance and age structure of fish fauna” (see WFD Annex V Section 1.1 for the complete list). One of the research project supported by the European Commission under the Fifth Framework Programme, the Automated Water Analyser Computer Supported System (AWACSS) project, has developed a remote-controlled station that by means of biosensors is able to evaluate levels of various water pollutants (Tschmelak et al., 2005). Thanks to an integrated optical chip based on fluorescence-labeling TIRF immunoassay technique, this device can monitor up to 32 different analytes among pesticides, natural toxins, antibiotics, carcinogens and industrial wastes in less than 20 minutes without any prior sample treatment except for water filtration to remove particulate matter. Many of the analytes can be detected at a level below the detection limit defined by the European Union (nanogram per liter). The data are acquired on real-time and transmitted to a central computer by a remote control (Proll et al., 2005). Also biosensors based on enzymatic inhibition assays have been proved to be of remarkable use in environmental monitoring. Organophosphorous and carbamate pesticides used in agriculture as insecticides inhibit cholinesterase inducing severe toxic effects to the nervous system; also other chemical compounds, as heavy metals or detergents, as well as other nerve agents and aflatoxins, inhibit esterases. Biosensors for the detection of the neurotoxicity of these substances are based on the direct measurement of the inhibition activity of two enzymes belonging to this family, acetylcholinesterase (AchE) or butylcholinesterase. This type of biosensors has recently been object of review (Arduini et al., 2010). Recent advances in the development of neurotoxicity biosensors are oriented at improving sensor performances, either by genetic modification of the enzyme (Bucur et al., 2006), or by a better immobilization of the enzyme on the electrochemical or optical transducer. The use of nanomaterials like gold, silver, zirconia, cadmium sulphide or iron nanoparticles, quantum dots or carbon nanotubes significantly increase the sensitivity of the biosensor; some recent reviews report the last advances in nanosensors for organophosphste pesticide detection (Liu et al., 2008) and in the nanomaterials employed (Periasamy et al., 2009). The most recent studies have also attempted to immobilize AchE on the nanomaterial via a histidine tagging (Ganesana et al., 2011), or by absorbing the (AChE)-coated Fe3O4/Au (GMP) magnetic nanoparticulate (GMP-AChE) on a screen printed carbon electrode (SPCE) (Gan et al., 2010). In some cases, bi-enzymatic biosensors have been developed for detecting two distinct families of pollutants, as it is the case of the conductometric biosensor using immobilised Chlorella vulgaris microalgae as bioreceptors. The two algal enzymes alkaline phosphatase and acetylcholinesterase are specifically inhibited by heavy metals and pesticides (organophosphates and carbamates), respectively (Chouteau et al., 2005). 93 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring A large number of enzyme-based biosensors have been used in environmental monitoring. The employed enzymes usually belong to hydrolase, oxidase or reductase families. According to the type of parametric variation that they locally detect, they are coupled with different transducers: hydrolase enzymes are coupled with potentiomentric or conductometric transducers, as they detect local changes in pH or in conductivity; oxidase and reductase enzymes with amperometric or conductometric transducers that record electronic transfers. Different enzyme-based biosensors have been employed in the assessment of various organic and inorganic pollutants. The enzyme tyrosinase catalyzes the hydrolation of various monophenols and the oxidation of diphenols into quinones; this reaction has been extensively exploited for the development of amperometric and optical enzyme-based biosensors for the determination of phenolic compounds. Recent advances are oriented at improving sensing performances and detection limits. Various electrode materials have been used at the purpose, such as gold (Wang et al., 2010) and carbon-derived materials (Carralero et al., 2006; Lee et al., 2007; Sang et al., 2008; Chen & Jin, 2010; Yuan et al., 2011), glass microarrays (Jang et al., 2010), as well as different methods to entrap the enzyme on the transducer surface, by using polyacrylamide micro gel (Hervas Perez et al., 2006), carbon nanotubes and chitosane composite (Kong et al., 2011), Au nanoparticles (Carralero et al., 2006) and ZnO nanorods (Zhao et al., 2009). Also the enzyme organophosphate hydrolase (OPH) is commonly used in amperometric biosensors for organophosphorous compounds detection and different performance-improving strategies have been recently developed for this kind of biosensors (Du et al., 2010; Lee et al., 2010). In Surface and Waste Waters areas it would be useful to have available smart sensors that can determine the properties of a fluid and from those make a reasoned decision. Among such areas of interest might be ecology, food processing, and health care. It is important to preserve the quality of water for which a number of parameters are of importance, including physical properties such as color, odor, and pH, as well as up to 40 inorganic chemical properties and numerous organic ones. The field of microfabricated chemical sensors research based on Ion-sensitive Field Effect Transistors (ISFETs) and related sensors has been dynamic since Bergveld introduced the ISFET concept in 1970 (Bergveld, 1970) The initial interest came from the advantages of ISFET over conventional ion-selective electrode (ISE) such as small size and solid-state nature, mass fabrication, short response time and low output impedance. Measurement of pH and other parameters (e.g., nitrates, ammonium, pesticides, surfactants) as an indicative of the global quality of water and wastewater is required by Water Agencies Policies. In particular, a range of 94 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring pH between 6.5 and 8.5 is fixed by regulation agencies for waters addressed to drink. Therefore, in order to determine the quality of water it would be extremely useful if there were a single system on a chip which could be used in the field to measure the large number of parameters of importance and make a judgment as to the safety of the water. Glass electrodes are used to monitor pH in waters but they lack robustness and suffer from the blocking of the membrane surface when the sample contains a lot of suspension material. In this context, ISFETs are a good alternative to glass electrodes. Other features such as the integration of compensation and data processing circuits in the same chip offered also new perspectives for these sensors. Nitrate is a key parameter for environmental analysis. This ion is present in waters at very low concentrations and the directives according to water quality for drinking uses establish a maximum of 10–25 mg/L, depending on the regulatory agency. Thus, the most critical point of nitrate sensors is the detection limit. Another problem associated with analysis of this ion, mainly for in situ analysis, is the presence of interferences, like chloride and nitrite, present also in waters in comparable levels to those of nitrate. Campanella et al. reported the use of ISFETs for nitrate analysis in waters using membranes based on a PVC-PVA -poly(vinylalcohol)-PVAc poly(vinyl acetate) copolymer. Variation of ISFET selectivity, intrinsically sensitive to pH due to the inorganic nature of the gate, was obtained by modifying the gate material or by depositing a selective membrane or a biorecognition element onto the gate. The resulting sensors were called chemically sensitive field effect transistors (CHEMFET). Initially ionic selective ISFETs made use of heterogeneous membranes of silver halides (Shiramizu, et al.1970) and membranes based on polyvinyl chloride (PVC), exploiting the same technology developed for ISEs (Janata, 1978; Moss, et al. 1975). Later on, new materials for membrane development were explored to improve the poor adherence of PVC membranes on to the ISFET surface and the low reproducibility due to the manual patterning and deposition membrane methods. Photo-cured polymers, which are compatible with photolithographic techniques, were proposed as a feasible solution due to their enhanced adherence to the silanised gate of ISFET devices. Several polymers were studied for developing ion selective membranes including polysiloxanes (Van der Wal et al., 1999) polyurethanes (Bratov et al., 1970) andother methacrylate derived polymers (Kolytcheva et al., 1999) ISFETs developed with these new polymers demonstrated higher performances regarding reproducibility and long-term stability compared with those with PVC membranes (Jimenez, et al 2006). The majority of these ionic based ISFETs were applied to environmental and clinical analysis. CHEMFETs have also been applied for the detection of molecular species using field effect transistors 95 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring modified with enzymes (ENFET). The response of ENFETs to a certain enzymatic substrate is based on the variation of ions concentration (pH, NH4+, CO2-) produced or consumed during the catalytic enzyme reaction. Substrates like urea (Alegret, et al., 1993; Jimenez et al 1995), glucose (Caras, et al., 1985), penicillin (Caras, et al., 1985) and acetylcholine (Chi et al., 2000) are the most common analysed. Most of them make use of enzymatic membranes immobilised by adsorption, crosslinking with glutaraldehyde and entrapment in a polymeric membrane. Use of polymeric photocurable membranes for enzyme entrapment is advantageous since it can be patterned at wafer level in the same way as ionic sensitive membranes (Puig-Lleixa et al.,1998). Those biosensors have been used mainly in environmental applications for pesticide detection. The application of ISFET based sensors in different areas of analytical chemistry has advanced new ecological developments and the implementation of sensors in more automated systems. The main example is their application in continuous flow systems such as Flow Injection Analysis (FIA) and Sequential Injection Analysis (SIA) with key features including the miniaturization of the flow cell, and therefore low reagent consumption and fast analysis throughput, and the minimization of ISFET drift due to the relative signal related to the baseline achieved (Alegret, et al., 1993; Ruzicka, et al., 2000). In a more advanced approach the integration of ISFET based sensors in microsystems for chemical analysis (i.e., the so called Micrototal Analysis Systems, µTAS or lab-on-chip, LoC) is another key feature of these devices mostly for bed-side monitoring and environmental control (Bergveld, et al., 2000) Currently, the advances in microelectronic technologies have also been exploited for improvement in ISFET fabrication. Apart from the technological considerations of NMOS (n-metal oxide Semiconductor) or CMOS (Complementary Metal Oxide Semiconductor) -based technology used, the correct packaging of ISFET based sensors is critical. All electrical parts of ISFET must be protected leaving only the gate area open to liquid contact. This process has been performed usually with thermosetting resins, thus being totally manual and lowering manufacturing reproducibility and increasing personal costs. For this reason many new alternatives have been developed in order to look for a more automated method for encapsulation. An approach described by Bratov et al. proposes the use of photocurable polymers. These polymer layers can be patterned by exposure to UV with a standard mask aligner system thus permitting the semi-automation of the encapsulation process (Bratov et al., 1995b). Besides, the functionalization of the chip surface by means of adhesion promoters with silanol and acrylate or methacrylate functional groups provides better adhesion of these polymeric layers (Bratov et al., 1995a). Although ISFET history began in the seventies, commercialization of probes with ISFETs only started in the 96 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring nineties. This fact can be explained due to a few practical limitations related to the inherent properties of the devices, such as drift, temperature and light sensitivity, and technological imitations such as encapsulation and the need for a stable miniaturized reference electrode. Approaches for the development of a reference FET (REFET) by means of the deposition of different kind of layers on top of the ISFET gate to obtain a non-sensitive sensor working as reference electrode have been extensively described in the literature (Chovelon et al., 1985) However, all these approaches suffer short lifetime and residual ionic sensitivity. Therefore the solution currently taken has been the miniaturization of a conventional Ag/AgCl reference electrode and even the integration in the silicon substrate (Huang, et al., 2002; Zaborowski, et al., 2007). Currently pH-ISFET probes are commercially available from several companies all over the world (i.e., Thermo ORION (USA), Sentron (NL), Microsens S.A. (CH), Honeywell (USA)). Priority Substances are chemical pollutants that pose a significant risk to (or via) the aquatic environment at EU level. Several substances that are persistent, bioaccumulative and toxic occur very widely in the aquatic environment. This is largely due to past use, as the use of most such substances is no longer allowed or severely restricted. Some such substances may still be authorised however, for specific uses for which an appropriate substitute is not yet available. Moreover, some of the substances are being emitted from products that are still in use and were manufactured before the substances were regulated, or from those that are disposed of as waste. Others can potentially be transported by long-range atmospheric transport from outside the EU, or may be included in products imported from third countries. Remarkably, various organic compounds such as herbicides (2,4-dichlorophenoxyacetic acid), nonylphenol and its derivates, surfactants (2hydroxybiphenyl), plasticizers (bis-2-ethylhexylphtalate), polybrominated diphenyl ethers (PBDE), polychlorinated biphenyls (PCBs), polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs) and dioxins are endocrine disruptors compounds (EDCs), that is, chemical substances that cause hormonal imbalances by interfering with the synthesis of endogenous hormones or their receptors. Their assessment have been considered a priority in the European Water Framework Directive 2000/60/EC. They are characterised by their persistence, bioaccumulation and toxicity, or by an equivalent level of concern. Because of these dangerous properties, the WFD requires their emissions to the aquatic environment to be phased out within 20 years of their designation as "priority hazardous". Member States have to monitor their concentrations in surface waters and meet the Environmental Quality Standards (EQS) set for them within a certain timeline, unless they meet conditions that allow them to apply exemptions. 97 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring The following table provides more information on the proposed new Priority Substances: Substance Type/Use Concern Endocrine disruptive; prolonged exposure to low 17 alphaPharmaceutical; synthetic steroid hormone used concentrations of EE2 has been shown to cause sex ethinylestradiol mainly in oral contraceptives. changes, alterations in reproductive capacity, and (EE2) ultimately population collapse in fish Steroid hormone: excreted naturally (approx 90%) in human and livestock urine but also Endocrine disruptive; chronic studies show effects on 17 beta(<10%) as a result of pharmaceutical use (of sexual development and fecundity in fish. estradiol (E2) which 90% from Hormone Replacement Therapy). Aclonifen Herbicide, used on a range of arable crops. Toxic to a range of aquatic organisms. Bifenox Herbicide, used to kill broadleaf weeds in cereal Toxic to a range of aquatic organisms. crops and grassland. Cybutryne (Irgarol®) Biocide used as antifouling agent in coatings for Toxic; degrades only slowly and main degradation boat hulls etc. product also toxic; persists in sediments. Toxic to a range of aquatic organisms. Binds to Insecticidal pyrethroid plant protection product sediment. Use in the marine environment is authorised Cypermethrin and biocide, used in arable farming, salmon in a few countries of the world but prohibited in farming, sheep dipping and wood preservation. Canada where suspicion exists regarding a possible link with the death of lobsters. Organophosphorus insecticide and biocide, used in grain/nut stores, insecticidal sprays/strips. Dichlorvos Toxic particularly to aquatic invertebrates and fish; Use – a few kg to a few tonnes/yr in different possibly carcinogenic to humans. Member States; probably closer to lower figure since 2008 when decision on non-authorisation as a plant protection product took effect. Diclofenac Toxic, directly (e.g. chronic studies show effects on Pharmaceutical, used as Non-Steroidal Antifish), and via secondary poisoning, e.g. vultures in Inflammatory Drug (NSAID). India affected by veterinary use in cattle. Dicofol Organochlorine former plant protection product Toxic; similar to DDT, recommended for designation and biocide, until recently authorised for use on as POP (Persistent Organic Pollutant under the fruit and vegetable crops. Stockholm Convention); possibly carcinogenic to humans, possibly endocrine disruptive. Possibly residual use. PBTs (persistent, bioaccumulative and toxic substances), POPs (Stockholm Convention and Dioxins (and CLRTAP). Some forms probably carcinogenic to dioxin-like PCBs: chlorinated organic compounds formerly humans; other possible effects include endocrine PCBs) used to manufacture electrical equipment etc.; disruption, impairment of immune system, nervous some also produced by combustion. system, reproduction. Limits already set for presence Dioxins: by-products of thermal combustion 98 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring in feed and food. HBCDD Industrial chemical, used as flame retardant, PBT, SVHC under REACH, recommended POP. especially in polystyrene, including insulation Possibly toxic to reproduction in humans. boards. POP; very toxic to aquatic organisms; Heptachlor/He Organochlorine insecticide, no longer authorised possibly/probably carcinogenic to humans, possibly ptachlor but secondary emissions possible. endocrine disruptive. epoxide PFOS Industrial chemical, used in hydraulic aviation fluids, photography, electroplating. PBT, POP. Toxic to animals especially mammals. Possible carcinogen in humans; possible effects on Present in many existing products, especially thyroid function. textiles. Quinoxyfen Fungicide, used mainly on cereals, grape vines. Terbutryn Biocide, used especially in coatings for Toxic especially to algae and aquatic plants. buildings, as preservative. PBT and vPvB properties. Accumulates particularly in sediments. Member States would have to take it into account in preparing and implementing their second River Basin Management Plans under the WFD, which are due to be adopted in 2015. They would have to ensure that the additional substances are monitored, and that the Environmental Quality Standards are met by 2021. This could mean taking measures at national or local level. There would be positive impacts in terms of the quality of surface waters and thus potential for positive effects on the health of the environment, wildlife and human beings. Our knowledge about pollution levels and the effectiveness of measures taken by water and other policies to reduce emissions to the environment would be improved. Some monitoring costs would be incurred for the additional substances, but they would be minor in relation to the existing overall monitoring costs. As is required for all priority substances, Member States would have to meet the usual monitoring requirements. Analysis of the data gathered should help them to identify any necessary action to meet the respective Environmental Quality Standards. There is a growing demand for biosensors for screening the presence of xenoestrogens in the environment. Biosensors for EDC detection are estrogen receptor-based, that is, they rely upon the binding of the disrupting substance to the estrogen receptor immobilized on the transducer surface. Alternatively, EDCs biodetection is based on the direct substance recognition by means of an antibody or an enzyme (AchE, tyrosinase), discussed earlier. The most used transduction systems in EDCs biosensors are electrochemical (amperometric) or optical (fluorescence, SPR). Portable systems based on SPR have also been proposed (Habauzit et al., 2007). Most recent advances in the development of EDCs biosensors have concerned the use 99 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring of a field effect transistor functionalized with a carbon nanotube to significantly improve signal conductivity (Sanchez-Acevedo et al., 2009), the estrogen immobilization on a gold electrode (Im et al., 2010), or on a bilayer lipid membrane modified with Au nanoparticles (Xia et al., 2010). Nitrate and nitrite are two nutrients at the basis for phytoplankton growth and ocean productivity. They can conveniently be measured by biosensors that use biological sensing systems, particularly the activity of the enzyme nitrate reductase. They are the nitrate biosensors studied and engineered for most time (Cosnier et al., 1994 and 2008); one of the last development of the device employs the enzyme nitrate reductase from yeast immobilized on a glassy carbon electrode that can directly determine nitrate in an unpurged aqueous solution with the aid of an appropriate oxygen scavenger, the methyl viologen (Quan et al., 2010). Recent advances in the development of the biosensor have been focused on obtaining better performances (Adeloju & Sohail, 2011; Can et al., 2011). Another nitrate biomonitoring systems is based on the utilization of nitrate and nitrite by denitrifying bacteria Agrobacterium radiobacter (Larsen et al., 1997) and now is widely commercialized (www.unisense.com). Many pollutants like heavy metals, benzo(a)pyrene, PAHs and PCBs also interact with DNA or RNA strands, causing genetic damage (genotoxicity). Nucleic acid-based biosensors have been finding increasing use for the detection of these kind of toxic compounds. In this case, the sensing element is a nucleic acid strand that interacts as a receptor with the specific chemical molecule. The molecules binding to DNA are detected either directly, by quantifying the redox potential change during the oxidation–reduction process of DNA bases, particularly guanine, or indirectly, by employing electrochemical probes. The signal transducers associated in nucleic acid biosensing are electrochemical, optical, mass magnetic and micromechanical. Many examples of DNA biosensors for the detection of DNA damage and interaction have also been reported (Palchetti & Mascini, 2008). Although the application of DNA/RNA biosensors for environmental pollution detection is quite new (Ahn et al., 2009; Ben-Yoav et al., 2009; Eltzov et al., 2009), nucleic acid biosensing and its coupling with recombinant biotechnologies (Hwang et al., 2008; Song et al., 2009; Kotova et al., 2010) and nanomaterials (Nowicka et al., 2010) is already an emerging field. First advances in the development and applications of nucleic acid-based biosensors for environmental application have already been reviewed (Palchetti & Mascini, 2008). Lastly, DNA-based biosensors have been using also for marine species detection. In this case, DNA or RNA is detected through hybridization with immobilized DNA or RNA probes immobilized on the transducer support. In DNA/RNA microchips, a collection of immobilized probes are used and, when the array of probes 100 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring match with the target genetic sequence, a specific signal is produced that depends on the pattern of hybridizing probes. Biosensors based on a rRNA hybridization approach have been developed for the identification of microbial and phytoplankton species (Zhou, 2003; Scholin et al., 2008), providing information into many ecosystem processes and interactions. Genetic probes can be used also to detect functional groups of bacteria in various environments, as water or sediments: nitrifiers bacteria can be recognized by means of a single gene-fluorescent in situ hybridization technique (FISH) applied to whole cells to detect nitrite reductase gene (Pratscher et al., 2009). The availability of genetic information on marine species is necessary for the design of new genetic probes and microarrays, as well as new methodologies for in-situ determinations; so far, a big quantity of genetic data is accumulating as a result of ongoing sequencing projects. 2. Detection of Marine toxins and Pollutants in Seafood. A large number of animals from different phyla, including snails, jellyfish, sea anemones, sea urchins, sponges, bivalve, fish, etc., produce highly bioactive substances including potent toxins and venoms; these substances can be hazardous to human health. Most marine biotoxins are produced by microorganisms, such as fungi, microalgae (dinoflagellates and diatoms) and bacteria including the prokaryotic cyanobacteria (bluegreen algae). Toxins from algal origin (phycotoxins) may go up through the food chain via the consumption of microalgae by fish and shellfish and accumulate in seafood and higher trophic levels without causing any toxic effect, but representing a risk for human consumers’ health. Phycotoxins are produced in big quantities and released in the environment during the cycles of algal occurrence, termed harmful algal blooms (HABs) or red tides for the red-brown pigmentation of waters, also characterized by the excessive accumulation of biomass (Masó & Garcés, 2006). Phycotoxins can long persist in waters after the extracellular release (Lawton et al, 1994), thus biomass absence after bloom resiliency does not necessarily mean absence of toxins in the waters. Considering that the frequencies and intensity of HABs is increasing worldwide and that the phenomenon may be exacerbated by increasing pollution and climate change, there is growing concern for phycoytoxins persistence in the marine environment, not only for public health but also for fishing and aquaculture industry, tourism economy and, more in general for environmental protection. Marine toxins are low-molecular weight, non-proteinaceous compounds with very diverse chemical structure and mechanism of action. The most widespread accepted classification of marine toxins related to seafood poisoning is based on the physiological effects and syndromes caused in humans by the involved toxin 101 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring (Cámpas et al., 2007). At cellular level, the biochemical mechanism of action of the different phycotoxins is quite similar, as they bind to specific control sites of cellular sodium channels, being receptor proteins or regulatory proteins. The resulting effect is a loss in the control in the inward flow of sodium ions, with different outcomes depending on the nature of the toxin and the interested cell or tissue. In neurons, blocking the sodium channels affects the propagation of the action potential with the release of synaptic neurotransmitters (acetylcholine) and depolarization of neuronal cells. Paralytic shellfish poisoning (PSP) toxins, amnesic shellfish poisoning (ASP) toxins, neurologic shellfish poisoning (NSP) toxins and ciguatera fish poisoning (CFP) toxins are potent neurotoxins that cause neurological symptoms ranging from mild to acute, even fatal in the case of ciguatera toxin. When sodium channels controlling sodium secretion in intestinal cells are interested, the outcome is a sodium release and a loss of liquids, responsible for a diarrheic episode, as it is the case of diarrheic shellfish poisoning (DSP) toxins and okadaic acid. The in vivo retention of intraperitoneal mouse assay still remains the method internationally accredited and worldwide used to detect marine toxins in potentially marine toxins-contaminated seafood (Fernández et al., 2003); this bioassay is still the EU reference method for detecting PSP toxins in shellfish (Aune et al., 2007), while high performance liquid chromatography (HPLC) is the analytical reference method for the detection of other phycotoxins (Campás et al., 2007). Some groups have attempted to realize biosensors coupling the Biacore SPR detector chip with good results for PSP toxins detection (Fonfría et al., 2007; Campbell et al., 2007). A rapid analytical optical biosensorbased immunoassay was developed and validated for the detection of okadaic acid (OA) and its structurally related toxins dinophysistoxins (DTX) from mussels (Stewart et al., 2009). The employed SPR immunosensor uses a monoclonal antibody which binds to the OA group of toxins in order of their toxicity, resulting in a pseudofunctional assay. In the last decade several biosensors for the detection of various phycotoxins have been developed, that couple different biosensing systems (rat brain sodium channels, immunoassays and enzyme inhibition) with different signal transduction systems, either electrochemical or optical (chemiluminescence and SPR) (Campás et al., 2007; Campbell et al., 2011a). Most of the recent advances have focused at improving the performances of the traditional biosensors by coupling the detecting enzyme with another one of the same biochemical pathway (Volpe et al., 2009). 102 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring A summary of the most recently developed biosensors for detecting marine toxins is reported in Table 2. Table 2: Applications of Biosensors in Seafood Safety Application Area Marine toxins Analyte Phycotoxins (PSP) Biosensin method SPRImmunosensors Phycotoxins (Okadaic Acid; DTX) SPRImmunosensors Phycotoxins (Domoic acid) Persistent pollutants Dioxin-like Plycholorinated biphenyl’s (DL-PCBs) 2,3’,4,4’,5-pentachlorobiphenyl (PCB 118) Detergents (Nonylphenol) Antiobiotics (Fluoroquinolones Norfloxacin) Antibiotics (Chloramphenicol) Amperometric Immunosensor SPEelectrochemical Immunosensors Enzyme-based sensors SPRImmunosensor SPRImmunosensor SPRImmunosensor SPRImmunosensor SPRImmunosensor References Fonfría et al., 2007; Campbell et al., 2007; Campbell et al., 2011b; Haughey et al., 2011; Yakes et al., 2011. Llamas et al., 2007; Stewart et al., 2009; Prieto-Simón et al., 2010. Campás et al., 2008 Hayat et al., 2011a & b Hamada-Sato et al., 2004; Volpe et al., 2009; Traynor et al., 2006; Stevens et al., 2007 Tsutsumi et al., 2008 Samsonova et al., 2004 Huet et al., 2008 & 2009; Weigel et al., 2009 Dumont et al, 2006 In most of the SPR-based immunosensors, the antibody is immobilized on a carboxymethylated dextran matrix chip (CM5) (Petz, 2009). Recently, a competitive indirect enzyme-linked electrochemical immunosensor has been developed for the detection of okadaic acid (OA) that is not expensive and suitable for field analysis and routine use (Hayat et al., 2011a). In this biosensor, the analyte OA was immobilized through biotinylation on a streptavidin-coated magnetic beads support. In another work, the same author immobilized the OA on a screen printed carbon electrode (SPCE) via a diazonium-coupling reaction, with satisfactory results for the biosensor detection performance (Hayat et al., 2011). Also the possibility to perform a multi-toxin detection via 103 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring immobilization on a chip surface has been considered (Campbell et al., 2011). The existing biosensors can detect phycotoxins with appropriate sensitivity, hundreds to thousands of times below the mouse bioassay defined by AOAC (Fonfría et al., 2007; Haughey et al., 2011) and are increasingly employed in seafood toxin monitoring programs (Campbell et al., 2011). These detection systems have proven to be highly performing, reproducible and rapid and they may represent a valid alternative to mouse bioassay; however, they still need to be validated according to an internationally recognized protocol in order to replace the mouse assay in the international regulations (Campbell et al., 2011). Optical biosensors based on surface plasmon resonance are increasingly used in food safety assessment also to detect and quantify residues of persistent contaminants like dioxin-like PCBs (Tsutsumi et al., 2008) and antibiotics chloramphenicol (Dumont et al., 2006) and fluoroquinolones (Huet et al., 2008 and 2009; Weigel et al., 2009). Similarly, However, the number of biosensing methods that have been published so far on antibiotics, pesticide residues, polychlorinated biphenyls and other persisting small molecules is still very limited (Petz, 2009). (Evans, Briers et al. 1986) Whole-cell Biosensors The types of biosensors that have been presented in this review until now can detect at a time a single compound or at least a group of structurally-related compounds. The information gathered and transmitted by the biosensor does not give any indication about the biological effect determined by the detected compound or compounds (Stocker, Balluch et al. 2003)(Proll, Tschmelak et al. 2005). Nevertheless, this information is highly important, since compounds with different nature or chemical structure may induce the same biological effect; compounds can interact with each others with diverse biological effects; or each compound can exist in different forms and availabilities, each one differently inducing toxicity in living beings. The use of a whole-cell organism as biological monitor allows the evaluation of the total toxic effect of compounds and groups of compounds in quite real time. Whole-cells biosensors have been engineered to test the effects of various types of contaminants, such as genotoxicants, cytotoxicants or toxicants producing oxidative damage or damage to cellular proteins and membranes (Liu, Fan et al. 2011). Bacteria, algae and yeasts are unicellular organisms most used in wholecell biosensors. They act on the basis of acute-toxicity response, providing results within 1 or 2 hours and fast alarm when contamination peaks occur. However, they are not suitable to detect some important contaminants whose toxicity is induced on the basis of a long-term exposure, like some classes of genotoxicants and 104 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring endocrine disruptors compounds (EDCs). This problem have been partially solved by employing yeast or mammalian cells lines instead of bacteria strains. Indeed, eukaryote cells can provide more relevant toxicity information for humans than prokaryotes. However, these compounds can also be evaluated with high sensitivity employing biosensors based on different bioreceptors, mainly DNA probes for the detection of DNA damage induced by genotoxicants, and immunologic biosensors for EDCs. Compared to other biosensing systems, the advantages in the use of whole-cells biosensors are many: not only cells can be easily produced in large amounts and can easily adapt to physico-chemical conditions of the medium where they find themselves, they can also be programmed to specifically respond to a particular stimulus, like the one induced by the contaminant. Cellular programming is realized through genetic engineering. Briefly, a sensing element and a reporter gene are inserted inside the cellular genome. The sensing element is a promoter gene sequence that is readily activated by the analyte and induces the expression of the reporter gene and other regulatory proteins. The reporter gene encodes a protein product in a highly reproducible and proportional quantity that can be easily detected. Various reporters have been employed: lacZ (β-galactosidase) and phoA (alkaline phosphatase) (Paitan et al., 2004), gfp (green fluorescent protein) (Roberto et al., 2002), and luc (firefly luciferase) or lux (luminescent luciferase) genes. In general, biosensors systems functioning is based on two different assay schemes: one is the light-on scheme, where exposure to the toxic compound induces the signal expression in the cellular biosensor, registering an increase in the signal intensity; in the light-off scheme, analyte toxicity negatively affects the expression of a constitutive cellular feature, leading to an intensity reduction of the detected signal. Various types of cells have been employed, from well-studied and characterized cell-lines, commercialized for their wide applicability as they harbor a wide range of products and substrates, to genetically-engineered organisms that have been specifically constructed to specifically detect some molecules or classes of molecules, as it is the case of various engineered E. coli strains. Similarly, a variety of transducers have been coupled with whole-cells biosensors: electrochemical, optical, mass-sensitive and thermal, with different performance outcomes, as it has been reported by some reviews on the topic (Gu et al., 2004, Lei et al., 2006, Eltzov and Marks, 2011). The strategy to adopt to immobilize cells to the transducer surface depends on the nature of both the biosensor and the transducer; for this reason care must be taken in designing the interface. In general, cells can be immobilized on the transducer surface by adsorption (Gavlasova et al., 2008), cross-linking (Chouteau et al., 2004), entrapment by covalent binding of the cells through a choice of functional groups (Premkumar et 105 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring al., 2001), sol-gel entrapment with calcium alginate (Polyak et al., 2001; Chouteau et al., 2004), LangmuirBlodget deposition (Zhang et al., 2002; Hou et al., 2004) and self-assembled biomembranes (Ottova & Tien, 1997). Electrochemical transducers are undoubtedly the most common transducers used in whole-cell biosensors. Detection is realized by monitoring electroactive species that are produced or consumed by the cell during the exposure and can be performed with conductimetric, potentiometric and amperometric methods. The most common reporter gene used in electrochemical whole-cell biosensors is lacZ gene, encoding for β-galactosidase; once produced, the enzyme catalyzes the oxidative hydrolisis of its substrate paminophenyl-β-D-galactopyranoside (PAPG), releasing p-aminophenol that is detected at the amperometric electrode. Different microbial strains exhibiting a wide range of substrates have been used in electrochemical biosensors for the determination of the Biological Oxygen Demand (BOD) (Ponomareva et al., 2011). However, BOD index have been usually measured by biosensors in deareated conditions; a recent proposal is based on a non-deareated bioassay method, using ferricyanide reduction by Escherichia coli strain DH5a, already exploited in BOD biosensors (Liu et al., 2010). Since BOD is an index of the amount of degradable organic matter present in samples, amperometric biosensors have been constructed with bacteria that specifically degrade pollutants via aerobic metabolism to detect different analytes as surfactants, phenolic compounds, organophosphorous pesticides and alcohols (Lagarde & Jaffrezic-Renault, 2011). Alternatively, the wild-type organophosphate-degrading bacterium Flavobacterium have been exploited in potenziometric biosensors for detecting organophosphates (Gäberlein et al., 2000). Amperometric and conductometric wholecell biosensors have been employed also to detect heavy metals in samples by assessment of the inhibition of AchE or AP activity (Chouteau et al., 2005; Guedri et al., 2008; Chong et al., 2008). A potenziometric biosensor coupled with bacterial strain P. aeruginosa JI104 was constructed for monitoring trichloroethylene in waters (Han et al., 2002); more recently, to detect the same pollutants a miniaturized conductometric biosensor was realized with cells of P. putida immobilized on the surface of the gold microelectrode through a three-dimensional alkanethiol/carbon nanotubes architecture functionalized with Pseudomonas antibodies (Hnaien et al., 2011). This kind of re-conceptualization of a previous project with new technologies and nanomaterials for performance improving is quite remarkable. Amperometric biosensors for heavy metals detection was developed also exploiting eukariotic cells, particularly S. cerevisiae 19.3 C and SEY6210 strains (Tag et al., 2007). In both cases the Cu2+-inducible promoter of the CUP1 gene from S. cerevisiae was fused to the lacZ gene from E. coli; the expressed lactose is used as a carbon source, altering the cellular oxygen consumption that is detected. 106 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring During the last decade, thanks to the availability of genetically-engineered light-producing bacteria, bioluminescence methods have started to be employed in whole cell biosensors technology. Recombinant bioluminescent E. coli strains that have plasmids bearing a fusion of luxCDABE operon and its promoter are the cell types most used in bioluminescent biosensors design (Kim et al., 2003). However, naturally emitting bacteria, like the marine luminous bacterium Photobacterium phosphoreum have also been used in BOD determination (Sakaguchi et al., 2007) or to detect pollutants that are difficult to detect with conventional analytical chemical methods (Yin et al., 2005). As previously mentioned, the availability of metal fraction in biological systems is a relevant issue, as analytical methods detect the total amount of metals in samples. Bioluminescent bacteria for monitoring heavy metals amounts where developed using E. coli strains genetically engineered to sensitively respond to the presence of heavy metal ions (As, Cd2+, Cu2+, Pb2+, Hg2+) by emitting luminescence through the expression of the luc gene for firefly luciferase (Hakkila et al., 2004). The relation between metal biovailability and detectability was confirmed also by another biotoxicological assay: when bioluminescent bacteria where put in contact with mollusk tissue extracts that had been exposed to high metal concentrations, the bacterial luminescence was inhibited, suggesting a minor availability of metal ions bond to bio-organic compounds (Girotti et al., 2006). Mitomycin C is used as a chemotherapeutic agent against tumoral development and is a potent DNA crosslinker: it causes DNA-damage by covalent binding to the minor DNA groove and preventing the double helix separation during DNA replication. The combined biological effects of mytomicin C and p-chlorophenol (which causes damages to membrane and proteins), have been studied using a biosensor containing two immobilized E. coli strains (DPD2794 and TV1061) containing fusions of recA (DNA damage) and grpE (encoding a heatshock protein sensible to cytotoxic substances) promoters to the lux operon (Eltzov et al., 2009). Similarly, other studies have been carried out on nalidixic acid (Hwang et al, 2008). Curiously, the toxic effects resulting from exposure to mytomicin C have been assessed also by a biosensor made with a stable dark variant separated from Photobacterium phosphoreum (A2) fixed in agar-gel membrane and immobilized onto an exposed end of a fiber-optic linked with a bioluminometer with optimal response (Sun et al., 2004). As for genotoxicants, various studies have been carried out on antibiotics and antitumorals, like mitomycin C and nalidixic acid, and their combinations with other toxic compounds like aromatic and chlorinated compounds, Whole-cell biosensors have been finding their ideal employment in the assessment of toxicity 107 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring induced by multiple exposure to various compounds, like heavy metals, antibiotics and genotoxicantsas the most recent applications are reported in Table 3. Table 3: Applications of whole-cell biosensors for Environmental Monitoring and Toxicology Application Area Analyte Organic Pollution Biochemical Oxygen Demand (BOD) Surfactants Organophosphates Aromatic Compounds Sodium dodecyl sulfate Paraoxon, parathion Fenitrothion, EPN Paraoxon, Parathion, Carbofuran Paraoxon Benzene Benzene, Toluene Toluene, Xylenes Organic Compounds (Solvants) Trichloroethyle ne Persistent Organic Compounds Polychlorobiphenyls (PCBs) PAHs 2,3,4′trichlorobiphen yl, 2,4,4′trichlorobiphen yl, 2,5,4′trichlorobiphen yl, PCBs Biosensing method Escherichia coli DH5a Photobacterium phosphoreum Saccharomyces cerevisiae B. licheniformis, D. maris, M.marinus Transduction References Potentiometric Chiappini et al., 2010 Fluorimetric Sakaguchi et al., 2007 Amperometric Nakamura et al., 2010 Optical fibre Lin et al., 2006 Pseudomonas and Achromobacter strains Pseudomonas putida JS444 OPH Pseudomonas putida JS444 OPH Chlorella vulgaris Flavobacterium Amperometric Taranova et al., 2002 Amperometric Lei et al., 2005 Amperometric Lei et al., 2007 Conductometric Chouteau et al., 2005 Potenziometric Gaberlein et al, 2000 Pseudomonas putida L2 Pseudomonas putida mt-2 pGLPX::luc Escherichia coli MC1061– pXylRS–LacZ, MC1061– pXylRS–A Pseudomonas aeruginosa J1104 Pseudomonas putida F1 Amperometric Lanyon et al., 2006 Amperometric Behzadian et al., 2011 Amperometric Paitan et al., 2004 Potenziometric Han et al., 2002 Conductometric Hnaien et al, 2011 Escherichia coli luxCDABE Pseudomonas sp P2 Bioluminescence Lee et al., 2003 UV-VIS Spectrophotomeric Gavlazova et al., 2008; 108 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Phenolic Compounds Trace Metals misture (Delor 103, Delor 106), also in association with PAHs Phenol Phenol (protein and membrane damage) p-nitrophenol Hydroquinone As Hg Cd2+, Zn2+ Pseudomonas putida DSM50026 Escherichia coli DnakA::lacZ, E.coli grpE::lacZ, E.coli fabA::lacZ Pseudomonas spp. MTCC-2619 Hamster lung fibroblasts V79 Escherichia coli IRC140 asR::lux Rhodopeudomonas palustris 7 Escherichia coli RBE27-13 (pECFP) zntA:lacZ Chlorella vulgaris Amperometric Timur et al., 2007 Amperometric Popovtzer et al., 2006 Amperometric Potenziometric Banik et al., 2008 Fluorimetric Roberto et al., 2002 Colorimetric Yoshida et al., 2008 Fluorimetric Biran et al., 2003 Conductometric Chouteau et al., 2005; Amperometric Wang et al., 2010 Guedri & Durrieu, 2008; Chong et al., 2008 Cd2+, Co2+, Ni2+ and Pb2+ Chlorella vulgaris Conductometric Berezhestkyy et al., 2007 Cu Saccaromices cerevisiae 19.3 C CUP1::lacZ Saccaromices cerevisiae SEY6210 CUP1::lacZ Vibrio fischeri Amperometry Tag et al., 2007 Biolumiescence Komaitis et al., 2010 Escherichia coli - lucFF Bioluminescence Hakkila et al., 2004 E.coli Amperometric Wang et al., 2008 E.coli DHα Amperometric C. Liu et al., 2009 Pb2+, Hg2+, Cu2+ As, Cd2+, Cu2+, Pb2+, Hg2+ Hg, Cu, Zn, Ni, KCN, As2O3, Hg2+ 109 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring (Oxidative stress) Antibiotics Endocrine Disrupting Compounds Genotoxicants Fe Pseudomonas putida fepA-fes::luxCDABE Bioluminescence Mioni et al., 2003 and 2005 Cd2+, Cu2+, Pb2+, Zn2+ selenite, arsenite, H2O2 menadione, triphenyltin and naphthalene Penicillin G Cephalosporin Chlorampheni col Escherichia coli DH5α pRSET::roGFP2). Fluorimetric Arias-Barreiro et al., 2010 Escherichia coli pUC18 (βlactamase, penicillinase) Pseudomonas aeruginosa MTCC647 Escherichia coli JM105 Not specified Chao & Lee, 2000 Potenziometric Kumar et al., 2008 Amperometric Mann Mikkelsen, 2008 17 β-estradiol E2 Saccharomices cerevisiae Y190 medER::lacZ Amperometry Ino et al., 2009 Atrazine, DCMU, Formaldehyde Chlorella vulgaris C. vulgaris / P. subcapitata/ C.reinhardtii Amperometric Shitanda et al., 2009; Mitomycin C Photobacterium phosphoreum (A2) Escherichia coli DPD2794 recA::luxCDABE Escherichia coli TV1061 grpE::luxCDABE Escherichia coli DPD2511::luxCDABE (Oxidative damage) Escherichia coli DPD2540:: luxCDABE (Membrane damage) Escherichia coli DPD2794:: luxCDABE (DNA damage) Escherichia coli TV1061:: luxCDABE (Cytotixicity damage) Escherichia coli K12 recA ::luxCDABE and Bioluminescence Sun et al., 2004 Bioluminescence Eltzov et al., 2009 Bioluminescence Kim et al. 2003 Bioluminescence Kotova et al., 2010 Mitomycin C, p-chlorophenol Mitomycin C, phenol, H2O2 Mitomicyn C, pentachlorophen 110 Tatsuma et al., 2009 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring o, H2 O2 Mitomycin C, ethidium bromide,H2O2, toluene, pyrene, benzo[a]pyrene, MMS Mitomycin C, nalidixic acid, MNNNG, 4NQQ Nalidixic acid, IQ ColD::luxCDABE (heat shock, oxidative stress) Song et al., 2009 Acinetobacter baylyi ADP1 recA::luxCDABE Escherichia coli RFM443 with recA, NrdA, dinI, sbmC, recN, sulA or alkA promoters and luxCDABE reporter E. coli RFM443 sul::phoA S. typhimurium TA1535 umuC::lacZ E.coli RFM443 nrdA ::luxCDABE Bioluminescence Ahn et al., 2009 Potenziometric Ben-Yoav et al., 2009 Nalidixic acid, Bioluminescence Hwang et al., 2008 mitomycin C, H2O2 Bioluminescence Lee et al., 2007 Herbicides Paraquat (N,N′Various E-coli strains with hmp::luxCDABE and dimethyl-4,4′malK::luxCDABE bipyridinium dichloride), H2O2 (Oxidative stress) DCMU: 3-(3,4-dichlorophenyl)-1,1-diethylurea, IQ : 2-amino-3-methylimidazo[4,5-f]quinoline, MNNG: 1-methyl-1-nitrosoN-methylguanidine, MMS: Methyl methanesulfonate , 4-NQQ: 4-nitroquinoline N-oxide In another application, a microfluidic whole cell biosensor integrating four biochips with four microchambers each was developed to detect the effects of two more genotoxic compounds, nalidixic acid and 2-amino-3methylimidazo[4,5-f]quinoline (IQ) (Ben-Yoav et al., 2009). Also the effects of polycyclic aromatic hydrocarbons on bioluminescent recombinant E. coli have been assessed (Lee et al., 2003), as well as the damage to proteins and membranes induced by phenol exposure (Popovtzer et al., 2006). It is noteworthy reporting the development of a biosensor for assessing chemically-induced cellular oxidation, realized using a genetically-modified strain of E. coli that constitutively expresses the redox-sensitive green fluorescent protein roGFP2 (E. coli DH5α pRSET::roGFP2). Using a double-wavelenght ratiometric approach to detect the disulfide bonds formation in the protein roGFP2, it was possible to assess the oxidative stress induced by the combined exposure to heavy metals (Cd2+, Cu2+, Pb2+, Zn2+), selenite, arsenite, H2O2 and various organic compounds that are known to have toxic effect (menadione, triphenyltin and naphthalene) (Arias-Barreiro et al., 2010). 111 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Fluorescence biosensors with the GFP reporter, also in a microfluidic chip form, were applied to the assessment of toluene, benzene and xylenes (Li et al., 2008), as well as heavy metals like mercury (Biran et al., 2003), lead (Chakraborty et al., 2008) and arsenic (Theytaz et al., 2009). The presence of this last heavy metal ion can be detected also by a colorimetric biosensor exploiting the photosynthetic activity of the bacterium Rhodopeudomonas palustris 7, that changes its color from green-yellow to red in a dose-dependent manner in response to arsenite (Yoshida et al., 2008). Lastly, also microalgae cells have been used in the construction of whole-cell biosensors. Cadmium and zinc levels of ppb have been measured with a biosensor constituted of Chlorella vulgaris microalgae immobilized in self-assembled monolayers (Guedri & Durrieu, 2008); limits ten times lower (0,1 ppb) have been obtained for the same metal ions with a cell-based diamond biosensor (Chong et al., 2008). Similarly, Cd2+, Co2+, Ni2+ and Pb2+ have been assessed in wastewaters with a biosensor of microalgae immobilized in a sol-gel matrix (Berezhestkyy et al., 2007). A bioenzymatic biosensor have also been developed with C. vulgaris, that expresses alkaline phosphatase, sensitive to heavy metal ions, and acethylcolinesterase, sensible to organophosphorous pesticides (Chouteau et al., 2005). One interesting application in whole-cell biosensors is the employment of a heterotrophic, halotolerant bacteria reporter that quantitatively respond to amounts of bioavailable Fe by producing light. This reporter was constructed by fusion of the E .coli fepA-fes Fe-uptake promoter to the luxCDABE cassette and was integrated into the chromosome of the halotolerant Pseudomonas putida. The obtained cell bioreporter is able to detect the changes in Fe availability, thus being of potential utility in biosensors design for studying the relation between Fe bioavailabilty and Fe chemistry in complex marine systems (Mioni et al., 2005). Biosensors and Biomarkers of Environmental stress Progress in the biosensors technology is expected to depend on the discovery of new biomarkers capable to adequately and specifically respond to the exposure to a stressor. But how a biomarker for environmental stress can be defined? According to previous definitions, stress must be considered as “the physiological cascade of events that occurs when an organism is attempting to resist death or re-establish homeostatic conditions in face of an ‘insult’” (Piñeiro et al., 2010). In the environment, living systems are exposed to a mixture of chemicals and harmful agents; depending on the biological and ecological conditions, each toxic compound can exist in forms with different biological availability and toxicity and interact with other compounds with diverse biological outcomes. That is, the exerting stress is determined by the overall biological effects of exposure (Lam, 2009), 112 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring and the physiological stress response of an organism can be polymorphic with regard to species and stage of maturity of the individual. In the past decades, environmental monitoring programs have concentrated on the measurements of several physical and chemical variables; these programs, albeit gave information on the levels of contaminants, did not provide information on the effects of contaminants on biological systems. There have been a change of perspective in the biomonitoring approach. Nowadays, biological monitoring is focused at assessing the biological effects induced by a toxicant rather than quantifying the presence of chemical residues in the tissues of an organism. In this perspective, a biomarker is considered as a variation in the biochemical or physiological condition that is registered in an organism at the endpoint of exposure to a toxicant or another stressor, and that may be indicative of an early warning signal of biological effects that may occur at higher levels of biological organization (Connell et al., 1999). At a molecular or physiological level, the biomarker is assessed by evaluating specific cellular biochemical parameters that respond, with different specificity but same reproducibility, as a consequence of the toxic action of the environmental stress (Amelina et al., 2007). A variety of biochemical molecules have been selected as biomarkers for toxic compounds or classes of compounds. Usually these biomarkers are related to cellular antioxidant systems, such as the cellular levels of the molecular scavenger glutathione (GSH), its metabolic enzymatic system glutathione S transferase (GST), glutathione peroxidase (GPx) and glutathione reductase (GR) (Fitzpatrick et al., 1997), as well as metallothioneins, superoxide dismutase (SOD), catalase (CAT), cholinesterase (Engenheiro et al., 2005), lipid peroxidation (LPO) system, cytochrome P450 oxygenase system, lysosomal membrane destabilization, peroxisome proliferation, hormones (Lemos et al., 2009; Zaccaroni et al., 2009) and DNA damage (Siu et al., 2004). One of the issues related to biomarkers is the degree of sensitivity and specificity. Some biomarkers are highly specific, that is, they respond only to one chemical or group of chemicals: for instance, the enzyme aminolevulinic acid dehydtratase (ALAD) is highly inhibited by lead (Selander & Cramer, 1970). Oxidative biomarkers are non-specific and can identify a general condition of environmental stress not necessarily correlating with the presence of toxicants in the environment (Sheehan & Power, 1999); their response may be influenced by the presence of other chemical compounds that are not investigated at the moment; or can be confounded by factors such as food availability, water temperature (Nyiogi et al., 2001) and reproductive activity (Viarengo et al., 1991); provided that, the interpretation of data may be complicated. Postulating that 113 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring highly specific biomarkers are fewer than non-specific ones, and that biomarkers providing a satisfactory information on the effects or the exposure to pools of different pollutants do not exist, it is clear that orientating towards the use of multiple biomarkers is appropriate in environmental monitoring purposes. Biochemical indicators of stress and metabolism and the definition of new biosensors for marine control have been widely studied. Various antioxidant scavengers such as glutathione transferase (GST) and reductase (GSR), catalase (CAT) and superoxide dismutase (SOD) well correlate with concentrations of PAH (Cheung et al., 2001), PCB (Cheung et al., 2002), as well as benzo(a)pyrene and Cu, individually or in mixture (Maria & Bebianno, 2011). Also heat shock proteins (Hsps) have been proving to be a valuable biomarker of stress: recent studies have reported changes in Hsp expression levels resulting from temperature variations (Brun et al., 2008), long-term water acidification (Hernroth et al., 2011) and cadmium exposure (Ivanina et al., 2009). The increase in Hsp levels effecting to high temperature exposure also increases energy demand and influences the expression of some metabolic allozymes, thus changing the relatives allele frequencies (Brokordt et al., 2009). Moreover, different genotypic variations occur in the period of initial response, while others occur during chronic temperature stress. The major advances in the application of biomarkers in biomonitoring is the automation of these procedures: thanks to the progression in digital microfluidic and nanotechnology, biomarkers can be integrated in “lab-on-achip” devices and biosensors (high-affinity or whole-cell biosensors) for the in situ environmental and food monitoring. The role of Proteomics in Ecotoxicology Biomarkers Discovery. In toxicology, proteins are the first functional stage interested by the action of the toxicant; thus it is easy to understand how proteomics, the study of the complete profile of proteins in a given cell, tissue or biological system, may enormously contribute in ecotoxicology studies when the organism is affected by a environmental stressor (Kovacevich et al., 2009). The growing interest in the application of proteomic technologies to solve toxicology issues and its relevance in ecotoxicology research has resulted in the emergence of ‘‘ecotoxicoproteomics’’ (Gomiero et al, 2006). The -omics technologies as ecotoxicoproteomics will continue to contribute to our understanding of toxicity mechanisms. Regulators are interested in these new technologies but are still sorting out how to incorporate the new information and technologies in regulatory decision making. For example, the US Food and Drug Administration's Pharmacogenomic Data Submissions guidance document encourages the voluntary submission of genomics and proteomics data but notes that the field of 114 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring pharmacogenomics is still in its early developmental stages. Toxicogenomics are also helping researchers measure the toxic effects of chemicals on animal and humans. This is happening at the US Environmental Protection Agency (EPA). And a lot of it started with the introduction of The National Center of Computational Toxicology in Research Triangle Park, N.C. The Center uses a whole variety of modern molecular tools including genomics, proteomics, and metabolomics, combined with computer processing power to understand how chemicals in the environment cause their effects in animal and humans. Proteomics uses a set of high-throughput methodologies for protein analysis with a wide dynamic range, from 2D-PAGE to protein identification by MALDI-TOF mass fingerprinting, to peptide sequencing by tandem mass spectrometry, to shotgun proteomics, that is capable of detecting subtle changes in the expression of individual proteins and amino acid sequence modifications in response to an altered environment (Unwin et al., 2006). After its current applications in human medicine for the discovery of novel biomarkers of disease (Arnouk et al., 2009; Colquhoun et al., 2009), the ultimate goal in the application of proteomics to environmental issues is the discovery of new biomarkers of environmental toxicity and contributing to elucidate the mode of action of environmental stressors. Proteomics, together with transcriptomics and metabolomics, constitutes the high-throughput platform of “omics” techniques that is giving great contribution in the identification of molecular biomarkers and biomarkers patterns to be deployed in the construction of low-cost, high-speed and multi-analyte screening devices for environment and food toxicology. Proteomics approach is much closer to physiology rather than to genomics or transcriptomics. In fact, the cellular metabolism of proteins, particularly the post-translational modification and degradation, implies that the cellular expressed proteome considerably differ from what is expected by the analysis of the transcriptome (Barrett et al., 2005). In this sense, proteomics information is complementary to that of transcriptomics regarding gene expression and regulation. The proteome, more than the transcriptome, provides an adherent physiological snapshot of the cell under a specific condition of chemical stress (Hogstrand et al., 2002). Two major areas of emerging research and policy relevant to -omics, bioinformatics, and computational toxicology are their applications in drug product development and safety, and in predictive toxicology for the hazard and risk assessment of chemicals, pesticides, and consumer products. Thousands of synthetic chemicals are continuously released into the environment where they have the potential to produce adverse effects on ecosystems, even at low concentrations. To prevent effects induced by environmental pollutants, science has developed methods and tools to (1) measure the fate and distribution of the pollutants (analytical chemistry), (2) analyze the effects of pollutants on biota in standardized bioassays (ecotoxicology), 115 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring and (3) make more simple risk assessment and risk management. These issues continue to challenge many scientists, so that environmental chemistry has undergone enormous technological progress and new techniques have been added to the ecotoxicology toolbox. However, these analytical procedures are giving more and more difficult to the laboratories to keep up with the progress in instruments for on-line and in-situ monitoring of environmental pollution. The current challenge of ecotoxicology is to develop tools that allow rapid and costefficient detection of environmental chemicals or their combinations that are responsible for sublethal, chronic or low toxic effects in exposed subject. Effort is necessary for a lot of chemical substances, which are in the focus of the worldwide discussion of environmental medicine, mainly phthalates, dioxins, pesticides, aromatic amines, perfluorinated chemicals, as well as for endocrine disruptors. To meet this challenge, bioanalytical tools should allow rapid and cost-efficient analysis of environmental matrices, not only indicating that certain chemicals are there, but - and this is the major advantage of the approach - indicating that substances with a specific mode of toxic action. The US FDA's Critical Path Initiative was devised to stimulate scientific innovation in the development and evaluation of FDA regulated products (drugs, biologicals, medical devices). The approach of proteomics in environmental toxicology may be developed from two perspectives. From the one hand, contributing to better understand the mechanisms of action (MoA) of toxic substances by identifying their molecular targets (Poynton et al., 2008); on the other hand, identifying stressor-specific biomarkers to employ in a predictive screening of toxic compounds action (Nesatyy & Suter, 2008). Some recent reviews about proteomic strategies are explanatory (Piñeiro et al., 2010; Lemos et al., 2010). A big advantage for the application of proteomics in ecotoxicology lays in its approach: contrarily to experimental biology coupled with traditional biochemical analysis methods, proteomics is not hypothesisdriven: identifying and quantifying hundreds to thousands of proteins is possible without any prior assumption on the nature of the biomarker nor on the mechanism of action (Monsinjon, 2007; Kovacevic, 2009). Therefore, ecotoxicoproteomics findings contribute to discover unexpected relationships and revealing associations at superior levels that have not been described earlier and that in their turn can lead to the development of new hypothesis. Regarding biomarker discovery, the effects of environmental chemicals have traditionally been detected by monitoring biomarkers of exposure or biomarkers of effect. According to the traditional approach, environmental monitoring is based on the perspective of a single-parameter measurement. However, there are 116 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring some issues regarding the single-parameter biomarker-based assessment that must be considered. The stress response produced in living organism by pollutants and other stressing agents can have a wide range of protein expression patterns, depending on the species, the stage of maturity of the individual and the type and severity of the stressor. Although single parameter biomarkers may be highly specific, their robustness is limited, as they cannot discriminate changes induced by toxicant exposure from “natural” occurring variations, or their parameter variations may be induced by inter-individual differences (Amelina et al., 2007). The direct corollary is that a single biomarker cannot be capable of adequately inform about the effects of the cumulative exposure to different environmental stressors, so a multiple biomarker-based approach is more indicated in environmental monitoring (Lam, 2009). Proteomics-based methods allow the global analysis of cellular constituents, providing molecular signatures that could overcome the disadvantages of single-parameter biomarkers. The high-throughput approach of proteomics allows the evaluation of the effects of exposure to a chemical or a stressor in the whole expression pattern; the detection of cumulative effects of multiple contaminants on individual biological pathways is also possible. The selection of proteins identified from altered (over-expressed or under-expressed) molecular expression patterns with respect to the pattern identifying the normal condition, constitute the so-called “protein expression signatures” (PES) and represent the new candidate molecular biomarkers patterns of ecotoxicity that, once validated for their robustness, can be used to develop high-throughput screening tests like biosensors and in situ bioassays to predict toxicity for environmental monitoring and quality seafood assessment (Aardema et al., 2002). One feature of PES is that they can be used as biomarkers even without the need of protein identification (Monsinjon & Knigge, 2007); this permits obviate the problems in ecotoxicoproteomics that a reliable identification of novel proteins is rather difficult in some cases, because of the lacking of protein primary structure and genome information for some organisms. However, a selection of biochemical indicators of stress and metabolism running for new candidate biomarkers have been already identified (Apraiz et al., 2006; Brun et al., 2008; Chora et al., 2010; Berg et al, 2011). Most of the studies on ecotoxicology carried out so far were focused only on the acute response that organisms settle after short-term exposure. Nevertheless, there is a clear need for better tools to study subchronic concentrations, long-term toxic exposure and to evaluate toxic mixtures. there are still a lot of uncertainties linked to the toxicological assessment of contaminants, and even worst, synergistic or antagonistic effects of different contaminants. 117 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring The information deriving from the protein expression signatures or PES can provide valuable help to understand the mechanism of action (MoA) of the stressor, because stress-induced changes at molecular levels occur at toxicant concentrations usually lower than those causing effects at physiological level of an organism; this helps to understand the early molecular events that occur in toxicant responses. Moreover, proteomics offers also the opportunity to evaluate cellular molecular response to exposure to toxicant at subpathological levels, thus making studies on long-term exposure and predictions of toxicity on a large-time scale. Partial understanding of the mechanism of action have been reached with a proteomic approach in study cases with endocrine disruptors like steroids (Martyniuk et al., 2009) and cadmium (Ling et al., 2009). In some cases, understanding the mechanism by which organism adapt to long-term exposure and the molecular basis for the reduced toxicity of chronic exposure has been possible (Silvestre et al., 2006). This is remarkable considering that most of the ecotoxicology studies carried out so far were focused only on the acute response that organisms settle after short-term exposure and there is a need for better tools to study subchronic concentrations or long-term toxic exposure. Interestingly, in these studies some altered PES described the expected protein products according to the model of differential genetic expression inferred by previous transcriptomics investigations, confirming and validating their conclusions (Momose & Iwahashi, 2001; Poynton et al., 2007). In classical ecotoxicology, the effects of the stressor on the organisms and at higher levels of biological organization have been evaluated at physiologic, behavioural and community levels. Different behavioural aspects such as feeding rates, growth performance, reproduction and survival have been monitored as endpoints for the effects of the environmental stressor. Similarly, also several biochemical parameters like hormones, enzymes, regulatory and effecting proteins have been monitored as biomarkers in affected organisms. The results deriving from the combinatory approach of proteomics, transcriptomics and metabolomics provide a complete information on the molecular determinants (genes) that are induced or suppressed by the stressor exposure, the expression levels of their products (proteins) plus the type and amounts of degradation products deriving from protein action (metabolites) (Bundy et al., 2009). Taking together the molecular data and the knowledge of the phenotypic effect of stress in an holistic approach, this will help understand the complete mechanism of action of a stressor, the intensity of its impact over organisms and make predictions on the dynamics of the communities and populations exposed (Heckman et al., 2008). EcotoxicoProteomics Applications 118 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring The use of proteomics in environmental toxicology has been pioneered by a number of groups (Adams et al., 1989; Witzmann et al., 1995; Shepard & Bradley, 2000; Shepard et al., 2000; Vido et al., 2001), and the number of publications devoted to the subject in a variety of different settings is steadily increasing (Dowling & Sheehan, 2006; López, 2007; Sheehan, 2007; Nesatyy & Suter, 2008; Piñeiro et al., 2010). Proteomics technologies have been employed in ecological studies regarding marine life in order to study environmental stress response and identify new protein biomarkers. Most studies have been conducted on bivalves, particularly on mussels (M. edulis, D polymorpha) (Apraiz et al., 2006; Mc Donagh & Sheehan, 2007 and 2008; Riva et al., 2011) and clams (Dowling et al., 2006) for their peculiarity of being “sentinel species” from both environmental and seafood point of view. But there are also other works highlighting that other species may be chosen as sentinel species, such as rainbow trout (Onchorynchus mykiss) (Albertsson et al., 2008) and salmon (Salmo salar) (Søfteland et al., 2011), cod (Gadus morhua) (Pérez-Casanova et al., 2008), flatfish (Limanda limanda) (Ward et al, 2006), and the fish model zebrafish (Danio rerio) (Kültz et al., 2007). A compilation of the most recent studies on the use of proteomics as a tool for evaluating climate change and environmental ecotoxicity is reported in Table 2. Protein expression patterns (PES) have been determined for exposures to metals (Shepard & Bradley, 2000; Shepard et al., 2000; Meiller & Bradley, 2002); polychlorinated biphenils (Shepard et al., 2000; Berg et al., 2011); polyaromatic hydrocarbons (Knigge et al., 2004), physic conditions like hyperoxia (Gardestrom et al., 2007), salinity and temperature (Kimmel & Bradley, 2001). Recent environmental proteomics studies have been focused on the effects of environmental contaminants as brominated flame retardants hexabromocyclododecane (HBCD) and tetrabromobisphenol A (TBBPA) (Kling and Förlin, 2009), organophosphate (OP) and carbamate (CM) pesticides (Alves de Almeida et al, 2008) and lastly, growth promoters (trenbelone) employed in aquaculture (Schultz et al., 2008). Interestingly, some gender-specific responses emerged during the treatment with HBCD and TBBPA, peroxiredoxin 6 being up-regulated in males and iron regulatory protein 1 down-regulated in females (Kling et al., 2008). Another work on the study the effects of the exposure to benzo(α)pyrene on zebra mussel (D. polymorpha), reported a complex response pattern in protein expression signatures with marked gender differences between exposed male and female mussels (Riva et al., 2011). Similarly, gender differences were reported also in males and females of rare minnow (Gobiocypris rarus) exposed to perfluorooctanoic acid (Wei at al., 2008). This finding are remarkable, 119 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring considering that there is a lack of knowledge regarding the role of gender in proteome response in the ecotoxiproteomic field. Table 4: Overview of the studies reporting alterations in metabolic pathways determined by stressing agents and pollutants and the corresponding chemical compound class. Stressing agent or condition Alterated enzymatic processes Exposure to marine pollutants α-oxidation (hydroxiacid oxidase), β-oxidation (catalase, enoyl-CoA hydratase), Cytoskeleton (β-tubulin), Detoxication (alcohol dehydrogenase, GST, Mn-SOD), Energetic and respiratory pathways (ATP synthase β subunit, cytochrome C oxidase subunit II), Metabolic pathways (aldehyde dehydrogenase 4A1, carbonic anhydrase, cytochrome P450 2A6, phospholipase A). Detoxification (peroxysome glutathione Stransferase), Protein degradation(cathepsin B like cysteine proteinase), Chaperone proteins (heat shock proteins 70 and 71), Metabolic pathways (acyl-CoA dehydrogenase, phosphoglycerate kinase, aldehyde dehydrogenase 1A2), Others (AMP binding protein, fascin-like protein, peroxisome biogenesis factor 1). Cell signaling pathways (dual specificity phosphatase DUPD1), metabolic process (Nacetyltransferase 8-like protein, aspartate aminotransferase), cytoskeleton (actin cytoplasmic 1, actin), cell redox homeostasis (alcohol dehydrogenase class-3, peroxiredoxin6). Carbohydrate, aminoacid and lipid metabolism (enolase, fructose-bisphosphate aldolase class I, l-Lactate dehydrogenase, malate dehydrogenase, ribose-phosphate pyrophosphokinase, creatine kinase, tryptophanyl-tRNA synthetase, glutaminase, acylglycerol lipase), cofactors and energy metabolism (nicotinamide phosphor ribosyl (BisphenolA, Diallyl phtalate, 2,2’-4,4’tetrabromodiphenyl ether) Benzo(α)pyrene Polychlorinated biphenyls (PCB 153) 120 Studied animal species References Mussel (M. edulis) Peroxisomes Apraiz et al. (2007) Mussel (M. edulis) Digestive gland Amelina et al. (2007) Zebra mussel (D. polymorpha) Gill tissue cytosolic fraction Riva et al. (2011) Atlantic cod (Gadus morhua) Brain Berg et al. (2011) Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring transferase, pyridoxine kinase, NADH dehydrogenase (ubiquinone) Fe–S protein 1, NADH dehydrogenase (ubiquinone) Fe–S protein 3,) cytoskeleton (protein phosphatase 1 catalytic subunit, α-tubulin, villin 2 (ezrin) (ezrin/radixin/moesin, ERM-family), actin beta/gamma 1, β-tubulin), cellular growth, cycle and death (tyrosine 3monooxygenase/tryptophan 5-monooxygenase activation protein (=14-3-3 protein), protein synthesis and degradation (ubiquitin carboxylterminal hydrolase L5, 26S proteasome regulatory subunit N9, proteasome activator subunit 3 (PA28 gamma)), axon guidance (dihydropyrimidinase-like 2 (=collapsin response mediator protein 2, CRMP-2)), neurotransmitters synthesis (pyridoxal kinase), protection against axonal degeneration (nicotinamide phosphoribosyl-transferase), synaptic plasticity control (protein phosphatase 1), Notch signaling pathways and endosomal functions (deltex, Rasrelated protein Rab14 and sorting nexin 6). 121 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Perfluorooctanoic acid Flame retardants (BDE47, BDE153 and BDE154) Sewage effluent Oxidative Stress (Menadione) Intracellular fatty acid transport (fatty acid binding protein 10 and 3, muscle fatty acid binding protein), lipid metabolism (phytanoylCoA dioxygenase), aminoacid metabolism (phenylalanine hydroxylase), protein synthesis and metabolism ((prosome, macropain) 26S subunit ATPase 2), muscle contraction (guanidinoacetate N-methyltransferase), oxidative stress (glutathione peroxidase 1, peroxiredoxin Zgc:92891), macromolecule catabolism (galactokinase 1, 6-pyruvoyl tetrahydropterin synthase isoform), oxidative phosphorylation (ATP synthase H+ transporting mitochondrial F0), cytoskeleton (β-actin), cell cycle (vertebrate cyclin G associated kinase, putative translationally controlled tumor protein), response to oxidative stress (methionine sulfoxide reductase B, glutathione Stransferase), maintenance of intracellular Ca2+ homeostasis (regucalcin), mitochondrial function, others (ribosomal protein large P0). Glucose homeostasis (glyoxylate reductase /hydroxyl pyruvate reductase (GRHPR), dihydrolipoyl dehydrogenase (DLD)), cell cycle control (glucose-regulated protein 94 (GRP 94)), proliferation signal pathways (calmodulin 2 (CaM2)). Betaine aldehyde dehydrogenase, lactate dehydrogenase, mitochondrial ATP synthase αsubunit and carbonyl reductase/20bhydroxysteroid dehydrogenase. Proteins with free-thiols: proteins folding and refolding (protein disulphide isomerase (PDI), calreticulin), chaperone proteins (hsp gp96), heavy metal binding protein, cellular control (protease serine 1). Proteins with disulphide bonds: cytoskeleton (α2-tubulin, β-tubulin, gelsolin), proteins folding (protein disulphide isomerase (PDI)), vesicular trafficking (GDP-dissociation inhibitor), detoxification (glutathione transferase Pi (GST 122 Rare minnow (Gobiocypris rarus) Liver Wei et al. (2008) Atlantic salmon (Salmo salar L.) Hepatocytes Søfteland et al. (2011) Rainbow trout (Onchorynchus mykiss) Liver Blue mussel (Mytilus edulis) Gill tissue Albertsson et al. (2008) McDonagh & Sheehan (2008) McDonagh & Sheehan (2007) Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Chronic Hypoxia Cyanobacteria toxins (microcystin-LR) P1-1)), cellular control (RNA binding protein), enolase and transferring. Energy metabolism and electron transport chain (Cytochrome c oxidase I (Ccox1), cytochrome c oxidase subunit 2 (Ccox2), cytochrome c oxidase III (Ccox3), cytochrome b (cytb), ferritin). Phosphatase PP1 and PP2A, Selenium binding protein 1, Keratin 18 type 1, Raf kinase inhibitor protein, Acidic ribosomal phosphoprotein P0, Natural killer enhancing factor, Hypoxanthine guanine phosphoribosyl transferase, F-actin capping protein A, Actin capping protein B subunit, Enolase, 14-3-3 protein zeta/delta (RKIP-1). Protein translation and maturation (protein disulfide isomerase A4 and A6, glucose regulated protein 78 kDa, heat shock cognate protein 71 kDa, ribosomal protein SA), Metabolism (phenylalanine hydroxilase, fumarylacetoacetase), Detoxification (thiosulfate sulfurtransferase, 40S cytochrome b5), Oxidative stress response (prohibitin, ATP synthase mitochondrial β and d subunit, aldehyde dehydrogenase 2), Cytoskeleton (βtubulin 4), Immunity (complement C3-1), Others (transferrin, Apolipoprotein A1). Grass shrimp (Palaemonetes pugio) Hepatopancreatic mitochondria Medaka fish (Oryzias latipes) Liver membrane and organelle fractions Brouwer et al. (2008) Medaka fish (Oryzias latipes) Liver membrane and organelle fractions Malècot et al. (2009) Mezhoud et al, (2007) Most of proteins and enzymes affected by environmental pollutant and stressing conditions belong to the following compartments or biochemical pathways: cytoskeleton (actin, α2- and β-tubulin), carbohydrate, aminoacid and lipid metabolism (enolase, aldehyde dehydrogenase, phenylalanine hydroxylase), detoxification (glutathione peroxidase, alcohol dehydrogenase), energetic and respiratory pathways (ATP synthase α and β, cytochrome c oxidase), chaperone proteins (heat shock proteins 70 and 71, hsp gp96), protein degradation and iron-metabolism (transferring, ferritin). In general, ecotoxicproteomics approaches are mainly based on identifying post-translational modifications (PTMs) of proteins, such as phosphorylation and glycosylation, considering that the main biological molecular targets of many ecotoxic compounds like pesticides and organotin compounds or toxins are mainly hydrolase (esterase, phosphatase) enzymes (Kröger et al., 2002; Campàs & Marty, 2007), as well as the investigation of redox-based post-translational protein modifications 123 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring like ubiquitination and carboxylation (Chora et al., 2008 and 2010).Exposure to pollutants or stressors not only causes changes in the protein expression patterns, but also significantly decreases the number of detected spots. Exposure to toxic compounds determines the activation of cellular labeling of protein via ubiquitination and carbonylation mechanisms and protein removal from cells by proteolysis via the ubiquitin–proteasome pathway (UPP). Two interesting works from on Ruditapes decussatus focused on the changes in protein ubiquitination and carbonylation patterns induced in clams Ruditapes decussatus by exposition to toxic substances like cadmium (Chora et al., 2008) and nonylphenol (NP) (Chora et al., 2010). In both cases, gills and digestive gland showed different ubiquitinated and carbonylated protein expression patterns in treated and control individuals, showing that some gill and digestive gland proteins are specifically targeted for either ubiquitination or carbonylation in response to NP or Cd exposure and that ubiquitination and carbonylation are independent processes. Also the extensive use of nanomaterials and nanoparticles and their release in the environment have caused many concerns about their potential hazards to the aquatic environment. At present, little is known about the toxicity of NPs to the aquatic environment and organisms. A proteomics approach can be successfully employed to shed light over the mechanisms of toxicity of nanoparticles in biological systems. It is worth reporting the study on the effects of Au-NPs combined with menadione in mussels using proteomics tools (Tedesco et al., 2008). This study confirmed at protein level that au-NPs may cause oxidative stress with production of ROS and activation of the process of targeting specific proteins for degradation (ubiquitination and carbonylation). Also, the combined exposition to Au-NPs-menadione alter the levels of ubiquitination and carbonylation with treatment and tissue-specific differences. Perspectives and Conclusions As clean water becomes more and more of a problem, testing of drinking water will assume a higher priority and more thorough testing will be publicly demanded than is currently the case. Protection of human health is guaranteed only through assessment of environmental quality and food safety: we are what we eat and, I dare say, where we live. Both public and private funding priorities will react accordingly to public concerns. Assuring protection and restoration of habitats and ecosystem is possible through adequate actions of detection and monitoring of hazardous substances and the adequate understanding of their toxicology for the prevention and mitigation of adverse effects. It is clear that the future of ecological risk assessment depends, in a scale ranging from molecular to ecosystemic, from a interdisciplinary approach. A collaboration is needed among different disciplines to obtain the expected result: ecology, toxicology, oceanography, biology, molecular 124 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring biology, genetics, analytical chemistry, material science, electrochemical and electronic engineering; all of them coordinated by a system biology approach. Despite the huge potential of biosensors, and the ever-increasing number of biosensors developed, commercially available biosensors are being applied to a restricted area of the potential market. In general, biosensors for environmental analysis have several limitations: sensitivity, response time, and lifetime, which should be improved for them to become a competitive analytical tool. The areas of development that are expected to have an impact in biosensor technology are: immobilization techniques, nanotechnology, miniaturization, and multisensor array determinations. However, a crucial aspect may be the production of new sensing elements easy to synthesize and with the capability to broaden the spectra of selectivities that can be reached by a biosensor. At present, the preparation and production in large scales of biomolecules such as enzymes or antibodies need an investment of time and knowledge. From the above viewpoint, it is clear that the future of biosensors will rely on the success of emerging sophisticated micro and nanotechnologies, biochemistry, chemistry, thin-film physics, and electronics. To reach this goal, an important investment in research, expertise, and the necessary facilities is needed. From the one hand, the human community will soon have at her disposal a great variety of selective, sensitive, robust, rapid, easy-to-use and low-cost monitoring tools for a wide range of applications in environmental and food monitoring. Biosensors field is taking advance, both for miniaturization and performance improvement, from the continuous progress made in the recent years in several disciplines, such as science, technology and systems engineering, and from the integration of these advances. The advances in the frontier of molecular biology allows the availability of different bioreporting systems with more specificity, sensitivity and reversibility. Undoubtedly, biosensor design is receiving a boost from the use not only of DNA microarrays, but also of protein chips. These are high-throughput measurement devices that can simultaneously determine the presence and amount expressed as relative quantity of thousands of proteins in biological samples (McBeath & Schreiber, 2000). Protein chips have been developing (Lee et al., 2011) or testing in biomedical (Sauer et al., 2011) and biochemical or molecular biology (Martiny-Baron et al., 2011) applications. Recently, bloodderived proteins immunochips-based and proteinchip-based biosensors coupled with SPR have been tested (Yuk et al., 2007). Also the progression made in the sector in nanotechnology will allow the development of novel transducers with greater sensitivity, as well as advances in the technology fields or nano- and microfluidic, and nano-and micro-electronics will help reducing transducers and biosensors dimensions. From the other hand, the rapid development of the high-throughput technologies proteomics, transcriptomics 125 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring and metabolomics have changed the way ecotoxicology is practiced. In a top-down approach, organisms are considered as interacting networks (Weston & Hood, 2004). The ‘‘omics” technologies clearly provide coverage of information about genes, proteins and metabolites, that are interpreted under a integrated and interacting network perspective, which is unsurpassed compared with traditional targeted and bottom-up approaches (Hood & Perlmutter, 2004). Together with biosensors, they provide a novel high-throughput platform of data acquisition. The problem is however, the management of these data: the use of advanced techniques coupled with bioinformatics tools, biological models and computational platforms is necessary. During the workshop “DNA microarray and Proteomics. Application to Ecotoxicology” (Joint Research CenterJRC of the European Commission in Ispra, Italy) gathering European and USA researchers, experts in DNA microarray and proteomics, ecotoxicology, molecular biology and bioinformatics discussed on how to integrate proteomics and transcriptomics data and use them in improved risk assessment procedures (Calzolai et al., 2007). In order to develop robust biomarkers of ecotoxicology detection and assessment, the transcriptomic and proteomic communities are making significant effort to establish standards for experimental quality and data handling for gene and protein expression – the MIAME (Minimum Information About a Microarray Experiment) and MIAPE (Minimum Information About a Proteomics Experiment) standards, respectively (Davies, 2010). Essential progress has also been made in recent years in the miniaturization of transducers (nanoelectrodes, nanowaveguides, BioMEMS) and will contribute to reduce significantly the amount of biological entity required, but also to improve integration of the systems in labs on chips. At present, biosensor research is not only driving the ever-accelerating race to construct smaller, faster, cheaper and more efficient devices, but may also ultimately result in the successful integration of electronic and biological systems. Thus, the future development of highly sensitive, highly specific, multianalysis, nanoscale biosensors and bioelectronics will require the combination of much interdisciplinary knowledge from areas such as: quantum, solid-state and surface physics, biology and bioengineering, surface biochemistry, medicine and electrical engineering. This work was supported by a grant financed by RAS (Regione Autonoma della Sardegna, POR Sardegna FSE 2007-2013 L.R. 7/2007). Bibliography Aardema M.J., MacGregor J.T. (2002). Toxicology and genetic toxicology in the new era of ‘‘toxicogenomics’’: impact of ‘‘-omics’’ technologies. Mutation Research, 499: 13–25. 126 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Abdullah J., Ahmad M., Karuppiah N., Heng L.W., Sidek H. (2006). Immobilization of tyrosinase in chitosan film for an optical detection of phenol. Sensors and Actuators B-Chemical, 114: 604–609. 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Questo nuovo campo di ricerca, comunemente denominato genomica funzionale, focalizza l’attenzione sulla dissezione delle reti molecolari che sono alla base delle funzioni cellulari e dei processi fisiologici. L’analisi del proteoma, definito come la caratterizzazione del contenuto proteico di cellule, tessuti, organi o fluidi biologici espresso da un genoma, mira allo studio dei complessi schemi di espressione e di trasformazione delle proteine prodotte da un organismo vivente. Diversamente dal “genoma”, il termine “proteoma” definisce uno stato dinamico soggetto ad una moltitudine di cambiamenti di natura molto differente come la crescita, il differenziamento, il trattamento con farmaci, la malattia e così via. Negli anni ’70, O’Farrel riportò che gli strumenti proteomici avrebbero incluso tecnologie basate su metodi elettroforetici e cromatografici. Recentemente, nuove tecniche basate sulla spettrometria di massa (MS) e tecnologie bioinformatiche hanno ampliato lo spettro degli strumenti proteomici. Inoltre, le procedure di separazione proteica classiche come l’elettroforesi bidimensionale vengono rimpiazzate gradualmente da altre tecnologie innovative, come l’elettroforesi zonale capillare accoppiata a metodologie MS e più recentemente dai microarrays e da tecnologie basate sui chip proteici. Proteomica studia tutti i complementi proteici, i proteomi, che derivano dai vari tessuti o tipi cellulari. Esiste così un Proteoma Completo (riferito ad uno specifico organismo), un Proteoma cellulare (riferito ad un particolare tipo di cellula) e perfino un Proteoma Sub-cellulare (solitamente riferito ai virus). Dobbiamo immaginare il proteoma come un qualcosa di dinamico, la sua composizione varia in risposta a diversi fattori 144 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring esterni ed è sostanzialmente differente nei diversi tipi cellulari di uno stesso organismo. Il Proteoma è molto più grande del Genoma e mostra almeno due livelli di complessità in più: -La conoscenza delle proteine presenti in un sistema biologico, in termini di sequenze aminoacidiche non basta. La maggior parte delle proteine mostrano, in condizioni fisiologiche, una struttura tridimensionale stabile ed è pertanto necessario risalire alla loro struttura per poterne ben comprendere anche il loro funzionamento. Questo livello di complessità aumenta notevolmente se consideriamo anche l'esistenza di modificazioni posttraduzionali ed isoforme. -Le proteine possono interagire funzionalmente tra loro, con gli acidi nucleici e con piccole molecole di varia natura. Lo studio a più livelli del Proteoma è affidato alla Proteomica, moderna area altamente multidisciplinare che richiede l’integrazione di conoscenze biochimiche, bioanalitiche, bioinformatiche e biomolecolari. Al giorno d’oggi, la proteomica può essere divisa in proteomica classica e proteomica funzionale. La Proteomica classica concentra il suo interesse sullo studio dei proteomi completi, mentre la proteomica funzionale studia gruppi più limitati di proteine. In maggior dettaglio la proteomica si sviluppa su tre diversi livelli: • proteomica sistematica, che mira all'identificazione ed alla caratterizzazione del proteoma; • proteomica differenziale, che punta sull'espressione differenziale delle proteine in cellule diverse di uno stesso organismo ed in momenti di vita diversi di una stessa cellula; • proteomica funzionale, che a sua volta comprende lo studio delle interazioni tra proteine (interattomica), lo studio delle interazioni tra una proteina ed i suoi substrati (metabolomica) e lo studio delle funzioni specifiche delle proteine (genomica enzimatica, genomica biochimica). Le tre domande più importanti della proteomica sono: 1) Quali proteine sono presenti in una cellula o in un tessuto? 2) Con quali altre proteine interagisce la mia proteina di interesse (network)? 3) Come appare una particolare proteina (struttura)? 145 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring La proteomica rappresenta l’approccio globale per l’analisi comparativa e su larga scala dell’intero corredo proteico espresso da una cellula, tessuto o organismo in determinate condizioni ambientali. Si avvale della combinazione di tecnologie di analisi diverse, biochimiche ed informatiche, che consentono di studiare simultaneamente migliaia di proteine e che, nel loro insieme, permettono di decifrarne la struttura, comprenderne le interazioni ed analizzarne la funzione. La proteomica costituisce l’imprescindibile complemento alla genomica e, nel tentativo di superarne i limiti intrinseci legati alla staticità del genoma, affronta le difficoltà correlate alla enorme varietà e variabilità di un corredo proteico che muta continuamente in risposta ad ogni tipo di evento intra- ed extra-cellulare. Le tecnologie d’elezione per l’analisi proteomica sono inevitabilmente dotate della capacità di separare ed identificare un elevato numero di proteine. Alcuni degli obiettivi della proteomica • Identificazione di nuovi bersagli proteici per farmaci • Validazione dei bersagli • Profilo d’azione dei farmaci (tossicologia “in vitro”) • “Farmaco-proteomica” (tossicologia in vivo) • Comparazione tra tessuti malati e normali • Comparazione tra tessuti malati e trattati farmacologicamente • Studio delle modificazioni post-trascrizionali • Strategie integrate con la genomica Applicazioni nel campo bio-medico • Determinazione di markers di patologie nei fluidi corporei • Studi farmacologici • Studi tossicologici • Analisi dei tessuti nelle patologie tumorali Cenni storici Le PROTeine espresse dal genOMA sono state così definite “PROTEOMA”, termine che venne utilizzato per la prima volta in pubblico da Marc Wilkins (Wilkins et al., 1996) al primo congresso di proteomica di Siena nel 1994. Il campo di ricerca, invece, ha preso il nome di “proteomica” ed è stato definito come “l’impiego dell’analisi quantitativa nella determinazione dei livelli di proteine per la caratterizzazione dei processi biologici e per la comprensione dei meccanismi di controllo dell’espressione genica”. il termine era già apparso nella 146 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring biologia moderna 13 anni prima, quando Anderson e Anderson (1981) proposero la costituzione di un ‘atlante delle proteine umane’. Ma esistono altre definizioni che di seguito riportiamo. "The ensemble of various technologies necessary to identify and ascribe biology to proteins in vivo" (DM&D proteomics report). "Part of the functional analysis of gene products including large-scale identification and interaction studies of proteins" (Nature Biotech). "The complete profile of proteins present in the cell, in the tissue, and the body as a whole" (Leroy Hood). "The large scale study of proteins, usually by biochemical methods" (Matthias Mann). Nel gennaio del 1970 apparve sulla rivista Analytical Biochemistry il primo lavoro in cui veniva descritta una tecnica che combinava l’isoelettrofocalizzazione in condizioni native all’SDS-PAGE su gradiente di poliacrilammide per la separazione di proteine del siero. Gli autori, nelle conclusioni, affermarono che la tecnica impiegata aveva: “evidenti applicazioni nella caratterizzazione del materiale genetico polimorfico, nella verifica dell'eterogeneità delle proteine e nella risoluzione delle miscele complesse di proteine” (Kenrick e Margolis, 1970). Cinque anni dopo, nel 1975, O’Farrell (O’Farrell, 1975), Klose (Klose, 1975) e Scheele (Scheele, 1975) descrissero, per la prima volta e contemporaneamente, un sistema di elettroforesi bidimensionale su gel di poliacrilammide (2D-E) che impiegava, in prima dimensione, una IEF in condizioni denaturanti. Il lavoro di O’Farrell, sebbene pionieristico e realizzato in condizioni estremamente complicate e laboriose, permise di individuare, in un solo gel 2D, ben 1100 spot distinti, corrispondenti ad altrettante proteine di Escherichia coli. 147 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Figura 1. Esempio di elettroforesi bidimensionale ad elevata risoluzione. Nonostante i clamorosi risultati però, la 2D-E, per molti anni dopo la sua ideazione, non entrò a far parte delle tecniche di largo impiego nei laboratori di ricerca a causa degli elevati limiti dei sistemi per l’identificazione delle proteine ma, soprattutto, per la carenza di protocolli e reagenti adeguati che conducevano a risultati eccessivamente variabili. In particolare, l’impiego di anfoliti carrier per la produzione di gradienti di pH nell’isoelettrofocalizzazione rendeva estremamente difficile ottenere un soddisfacente grado di riproducibilità delle mappe 2D e, dunque, la comparazione dei dati inter- ed intra-laboratorio appariva pressoché impossibile. Inoltre, tali anfoliti erano inidonei alla separazione di campioni contenenti quantità preparative di proteine (Herbert et al., 1997). L’introduzione dei gradienti immobilizzati di pH (IPG) co-polimerizzati in strisce di gel di poliacrilammide eliminò il problema dell’instabilità dei gradienti e della ridotta capacità di carico dei campioni (Bjellqvist et al., 1982; Gorg et al., 1988; Righetti, 1990). Tale innovazione, unita ai progressi nella spettrometria massa e allo sviluppo di strumentazioni e metodi di processamento automatizzati, facilitò l’approccio all’elettroforesi bidimensionale e rese l'analisi proteomica estremamente agevole, affidabile ed efficace consentendone la diffusione. A partire dagli anni ’90, la proteomica ha conquistato uno spazio sempre più ampio nella ricerca biochimica fino a diventare un campo di ricerca a sé stante e perfino a determinare l’esigenza dell’impiego di una nuova terminologia. Figura 2. Tipico un’analisi proteomica. 148 workflow di Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Le proteine vengono estratte dal campione (costituito da cellule, tessuti o fluidi biologici), separate mediante elettroforesi bidimensionale. Le risultanti macchie proteiche (“spot”) vengono escisse dal gel e sottoposte a digestione enzimatica o chimica. I peptidi in miscela vengono successivamente analizzati mediante spettrometria di massa. La ricerca in banche dati permette infine di identificare le proteine (Peptide Mass Fingerprinting). Il crescente interesse del mondo scientifico per le potenzialità dell’analisi proteomica, unito alla elevata riproducibilità dei risultati, ha indotto molti gruppi di ricerca a rendere disponibili le proprie mappe 2D sulla rete informatica mondiale (World-Wide Web), mediante l’allestimento di banche dati dedicate. Attualmente sono accessibili in rete molti server che, oltre a contenere un database di gel 2D, offrono una vasta gamma di servizi e software gratuiti per l’analisi proteomica. Uno tra i più noti e completi server di proteomica, denominato ExPASy (Expert Protein Analysis System), è gestito dall’Istituto Svizzero di Bioinformatica (SIB); dalla pagina principale del sito (http://www.expasy.ch/) è possibile accedere, tramite un collegamento, alla banca dati di mappe bidimensionali SWISS-2DPAGE (http://www.expasy.ch/ch2d/) (Appel et al., 1994; Wilkins et al., 1999; Hoogland et al., 1999; Gasteiger et al., 2003). Le fasi dell’analisi proteomica L’analisi del proteoma prevede, generalmente, le seguenti fasi: estrazione delle proteine da una matrice organica, separazione delle proteine contenute nell’estratto cellulare, analisi d’immagine dei pattern di separazione ed identificazione delle proteine. Elettroforesi bidimensionale L'analisi 2D-E è una tecnica che sfrutta la duplice separazione di miscele complesse di proteine in funzione del punto isoelettrico (pI) e, successivamente, del peso molecolare (Mr) mediante SDS-PAGE. La preparazione del campione, che consiste nella solubilizzazione della componente proteica di interesse con detergenti non ionici e zwitterionici, è seguita dalla focalizzazione isoelettrica (isoelettrofocalizzazione, IEF), effettuata su supporti di gel di poliacrilammide contenenti un gradiente di pH immobilizzato (IPG). Durante l’IEF, le proteine migrano nel gradiente fino a raggiungere una posizione fissa dove la loro carica netta è nulla. Le bande proteiche focalizzate in prima dimensione vengono poi risolte ortogonalmente in funzione del peso molecolare tramite la tradizionale elettroforesi su gel di poliacrilammide in presenza di sodio dodecilsolfato 149 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring (SDS-PAGE). Il risultato è una mappa di "spot" che possono essere ulteriormente separati, identificati e caratterizzati. Preparazione del campione Una adeguata preparazione del campione è assolutamente essenziale per ottenere buoni risultati. A causa della enorme diversità di tipi e fonti di proteine, la procedura ottimale di preparazione deve essere determinata empiricamente per ciascun campione. Idealmente, il processo dovrà provocare la solubilizzazione, la disgregazione, la denaturazione e la riduzione completa di tutte le proteine contenute nel campione. Per caratterizzare specifiche proteine di una miscela complessa, le proteine di interesse devono trovarsi, nelle condizioni elettroforetiche, in uno stato completamente solubile. La solubilizzazione può essere definita come il processo che distrugge le forze di aggregazione (Tab. 1) tra gli analiti (nel caso specifico, le proteine) ed altri componenti (sia proteine che composti non proteici); tale processo elimina pertanto le sostanze interferenti e previene una secondaria riaggregazione degli analiti durante il processo di separazione (elettroforesi). Natura dell’interazione Ponti disolfuro Legami ad idrogeno Interazioni elettrostatiche Ione-Dipolo Dipolo-Dipolo Van der Waals Interazioni idrofobiche Energia di interazione (Kcal/mol) 40 3–8 2–5 1 0.3 0.3 ? Agenti impiegati per la disgregazione Riducenti (alchilanti facoltativi) Caotropi Sali, Detergenti polari, Caotropi, Molecole con dipolo netto (meno efficienti) Sali, Molecole dipolari, Caotropi Sali, Molecole dipolari, Caotropi Caotropi, Detergenti Tabella 1. Principali forze implicate nella coesione proteica e interazione con altre molecole (Rabilloud, 1996) In definitiva, il protocollo di solubilizzazione dipenderà dalle richieste del metodo di purificazione (in questo caso, l’elettroforesi), dalla scelta delle condizioni (native o denaturanti), e dall’eventuale necessità di rimuovere sostanze interferenti (sali, lipidi, acidi nucleici, polisaccaridi, ecc.) (Tab. 2). I sali non interferiscono perchè danno un forte legame con le proteine, ma disturbano l’elettroforesi: quindi è necessario dializzare, meglio se 150 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring contro un agente denaturante, in modo che si limitino le perdite di proteine. Tipicamente, la massima concentrazione salina tollerabile in un campione da caricare in prima dimensione dovrebbe essere ≤ 50 mM. I lipidi danno due tipi di problema dipendenti dalla loro struttura supramolecolare: se sono monomeri o se si presentano assemblati. Se sono presenti come monomeri, essi possono legare alcune proteine, di solito carrier di lipidi. Questo può quindi portare ad uno sfalsamento del peso molecolare. Tale problema è facilmente risolvibile utilizzando un detergente. Se sono presenti in forma assemblata si può denaturare o precipitare con etanolo o acetone che spesso forniscono una utile seppur parziale delipidizzazione (Menke, 1980; Penefsky, 1971). Per quanto concerne gli acidi nucleici e i polisaccaridi, essi vanno eliminati perché incrementano la viscosità e compromettono la separazione elettroforetica: basta rimuoverli centrifugando il campione a 10.000g. Un altro modo è digerire gli acidi nucleici con DNAsi o RNAsi; l’ovvio inconveniente è che tali enzimi “aggiunti” verranno poi visualizzati nel gel. Un elenco dei metodi maggiormente impiegati per la rimozione di composti interferenti è riportato in Tabella 3. Metodi Sali Lipidi Acidi Nucleici Sb S Polisaccaridi Pigmenti Vb VL - Recupero Proteina S S Detergenti Ultracentrifugazione - S/Lc Precipitazione con ioni complessi TCA - - S V - V S L - V V S TCA/solvente S S - V S V Solfato d’ammonio Solvente (h) +d - Se S Sf - Vg - Vg S S V c Tabella 2. Esempi di metodi di rimozione di sostante interferenti (da Rabilloud, 1996). LEGENDA: S soddisfacente; V variabile; VL variabile con la taglia del composto; L limitata; Lc limitata, dipendente dalla concentrazione del composto; - inefficiente. a) Pigmenti, terpeni, polifenoli ed altri composti correlati b) Efficiente solo con detergenti cationici (che inducono precipitazione), abbinata a centrifugazione per rimuovere il precipitato. c) Alcuni lipidi possono formare uno strato superficiale durante la centrifugazione, nei casi favorevoli, questo strato può essere rimosso. d) I sali sono rimossi , ma rimpiazzati con solfato d’ammonio residuo, che si può eliminare con etanolo al 70%. e) Spesso si induce il galleggiamento dei lipidi. f) Efficiente con una procedura in due tempi: dissociazione delle proteine dagli acidi nucleici in solfato d’ammonio 0.6-0.8 M, ultracentrifugazione per rimuoverli, dopodiché si arriva quasi alla saturazione in solfato d’ammonio per precipitare le proteine. 151 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring g) Variabile, la solubilità in solfato d’ammonio concentrato non è prevedibile. Includendo la precipitazione acetato d’ammonio/ fenolo. Da quanto detto finora appare evidente che per solubilizzare proteine presenti in campioni diversi sono richiesti trattamenti e condizioni differenti. L'efficacia della solubilizzazione dipende dalla scelta del metodo di lisi delle cellule, dai metodi di concentrazione e dissoluzione delle proteine e dal tipo di detergenti usati e dalla composizione del campione. Se qualcuno di questi punti non viene ottimizzato per il particolare tipo di campione da analizzare, le separazioni possono risultare incomplete o distorte e molte informazioni possono andare perse. Nonostante, però, non sia possibile trovare un unico protocollo capace di solubilizzare tutte le proteine di un campione, esistono attualmente molti protocolli di solubilizzazione applicabili alla maggior parte dei campioni biologici e studiati per avere la minima manualità, la massima attenuazione dell’interferenza nella migrazione, la solubilizzazione di proteine sia idrofobiche che idrofiliche nonché di polipeptidi ricchi in cisteine ed, infine, la riduzione della degradazione proteolitica (Tab. 3). Tabella 3. Linee guida per la solubilizzazione di alcuni campioni campioni biologici Tipo di campione Tampone di solubilizzazione Cellule eucariotiche urea 7M, tiourea 2M, CHAPS 2%, TX-100 2%, DTT 1%, Anfoline 1.6%, TRIS 15mM, PMSF 3mM urea 7M, tiourea 2M, CHAPS 2%, TX-100 2%, DTT 1%, Anfoline 1.6%, TRIS 15mM Membrane cellulari, membrane globulo rosso Tessuto muscolare tal quale Tessuti già estratti ad esempio con guanidinio cloruro (es. muscolo, fegato, rene, ghiandola mammaria, cervello) Urine Estratto da microrganismi Siero, plasma, liquido sinoviale Latte urea 9.5M, CHAPS 2%, DTT 1%, Anfoline 2%, PMSF 3mM Urea 8M, CHAPS 4%, DTT 1%, Anfoline 1.6%, TRIS 15mM Urea 8M, CHAPS 4%, DTT 1%, Anfoline 1.6% Urea 8M, CHAPS 4%, DTT 1%, Anfoline 1.6%, TRIS 10mM Urea 8M, CHAPS 4%, DTT 1%, Anfoline 1.6%, TRIS 15mM urea 7M, tiourea 2M, CHAPS 4%, DTT 1%, Anfoline 1.6%, TRIS 15mM Nota: L’importanza della quantificazione proteica nel campione non dovrebbe essere sottovalutata. Ad esempio, nel caso dei campioni sierici, un problema tipico è l’alta abbondanza relativa di due classi di 152 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring proteine, l’albumina e le immunoglobuline, che spesso mascherano le componenti minori ovvero le proteine che, nella mappa bidimensionale, si trovano nelle immediate vicinanze del medesimo intervallo di separazione di quelle maggiormente rappresentate. Prima dimensione: Focalizzazione Isoelettrica (IEF) I gradienti di pH immobilizzato si basano sul principio che il gradiente di pH, preformato rispetto alla corsa elettroforetica, è copolimerizzato, e quindi reso insolubile, entro le fibre della matrice di poliacrilammide. Ciò è possibile utilizzando, come tamponi, dei derivati poliacrilammidici aventi dei valori di pK ben distribuiti nell’intervallo 1-12. Questi composti sono derivati acrilammidici con la struttura generale: CH2 = CH –CO-NH-R dove R può contenere o un gruppo carbossilico o un gruppo amminico terziario o gruppi solfato o ammonico quaternario. Tali derivati acrilammidici prendono il nome di Immobiline. Durante la polimerizzazione del gel, i tamponi e i titolanti sono efficientemente incorporati nel gel, il che assicura in ogni punto un dato valore di pH di illimitata stabilità. La distanza tra il doppio legame ed il gruppo che prende parte all’equilibrio proteolitico deve essere scelto sufficientemente lungo da influenzare il doppio legame per trascurare la relativa costante di dissociazione. Come risultato, la differenza di pK tra le Immobiline libere e legate è principalmente dovuta alla presenza della matrice poliacrilammidica e alle variazioni di temperatura durante la corsa elettroforetica. I gradienti di pH immobilizzati possono essere creati nello stesso modo di un gel in gradiente di poliacrilammide convenzionale, utilizzando un gradiente di densità per stabilizzare il gradiente di concentrazione delle immobiline con l’ausilio di un classico gradientatore bicamere. Figura 3. Isoelettrofocalizzazione: le proteine raggiungono la regione del gradiente dove il pH eguaglia il loro pI. 153 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Questi tamponi non sono molto anfoteri, ma piuttosto bifunzionali: ad un’estremità della molecola si colloca il gruppo tamponante mentre all’altra estremità è presente il doppio legame acrilico che si consumerà durante il processo di polimerizzazione. L’IEF su IPG è una tecnica elettroforetica nella quale i composti anfoteri sono frazionati in accordo con i loro punti isoelettrici lungo un gradiente di pH continuo (Bjellqvist et al., 1982). Contrariamente all’elettroforesi zonale, dove il pH costante (tamponato) del mezzo di separazione stabilisce una densità di carica costante sulla superficie della molecola e la fa migrare con mobilità costante (in assenza di setacci molecolari), la carica superficiale di un composto anfotero nell’isoelettrofocalizzazione cambia e diminuisce, in accordo con la sua curva di titolazione, così come si muove lungo un gradiente di pH fino a che raggiunge la sua posizione di equilibrio (la regione dove il suo pH eguaglia il punto isoelettrico): perciò la sua mobilità è uguale a zero e la molecola si ferma (Fig. 3). Contrariamente al focusing convenzionale in tamponi anfoteri, dove il gradiente è creato e mantenuto dal passaggio di una corrente elettrica attraverso una soluzione di composti anfoteri che hanno punti isoelettrici spazialmente vicini, nel focusing su gradiente di pH immobilizzato il gradiente preesiste Questa innovazione ha permesso di superare tutti i problemi connessi con il focusing convenzionale: il limite di rivelazione, il fatto di poter procedere ad un’elettroforesi preparativa, l’esatta determinazione del punto isoelettrico. Inoltre la sintesi di Immobiline basiche (Chiari et al., 1989, 1990) ha permesso di coprire intervalli di pH estremamente alcalini, il che costituiva un grosso limite per il focusing convenzionale.Per quanto riguarda la tecnica bidimensionale, è possibile procedere polimerizzando un gel su gradiente di pH immobilizzato dell’intervallo voluto; dopo averlo accuratamente lavato ed essiccato si tagliano delle strisce della larghezza di 3 mm (in alternativa si possono utilizzare delle strisce già fatte, in commercio) e si rigonfia per un periodo che va da sei ore a tutta la notte, con agenti denaturanti, detergenti e riducenti (tipicamente urea 7-8M, tiourea 2M, CHAPS 2-4%, DTT 1-2%). A questo punto, dopo aver pretrattato il campione, si può fare avvenire la corsa elettroforetica, sempre rigorosamente sotto olio di paraffina che impedisce all’anidride carbonica di essere adsorbita dal gel, e quindi portare ad un’acidificazione della matrice con conseguente errata lettura dei punti isoelettrici (Bossi et al., 1994). Una volta effettuata la focalizzazione, con un tempo che va in media dalle 13 154 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring alle 20 ore, ad una temperatura di 20°C si passa alla seconda dimensione, previo opportuni passaggi di equilibrazione. Equilibrazione delle strisce Le strisce IPG devono essere equilibrate due volte, ciascuna volta per 15 minuti in un opportuno volume di tampone di equilibrazione. Tale tampone contiene una soluzione 6M urea, e 30% glicerolo, per diminuire gli effetti elettroendoosmotici (Görg et al., 1988) responsabili della riduzione delle proteine tra la prima e la seconda dimensione. Nel primo passaggio si aggiunge ditiotreitolo (DTT) all’1% per ridurre completamente le proteine, mentre durante il secondo passaggio viene aggiunta della iodoacetamide (IAA) 260 mM al tampone di equilibrazione per rimuovere l’eccesso di DTT (responsabile dei cosiddetti point streaking nei gel colorati con l’argento) ma soprattutto per carbammidometilare i residui di cisteina; questo al fine di rompere irreversibilmente i ponti disolfuro e di mantenere le proteine il più lineari possibile. Le strisce di gel così equilibrate sono poi rapidamente sciacquate nel tampone di corsa della seconda dimensione (SDS-tris-glicina) per rimuovere l’eccesso di tampone di equilibrazione e quindi applicate sul gel di seconda dimensione (SDSPAGE). Seconda dimensione: SDS-PAGE L’elettroforesi bidimensionale si conclude tecnicamente nella seconda dimensione, che può essere sia verticale che orizzontale. Le proteine separate in base al loro punto isoelettrico, vengono successivamente fatte correre ortogonalmente su di un gel di poliacrilamide in presenza di sodiododecilsofato (SDS). Il surfattante SDS si lega alle proteine, coprendo la loro carica intrinseca e conferendo a tutti i polipeptidi la stessa densità di carica. In queste condizioni le proteine vengono separate solo in base alla loro diversa massa molecolare, tramite l’effetto setaccio creato dai pori del gel di poliacrilammide (Herbert, 1997) (Fig. 4). 155 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Figura 4. SDS-PAGE: le proteine precedentemente focalizzate migrano verso l’anodo e si separano in funzione della loro massa molecolare Per ciò che riguarda la seconda dimensione verticale, esistono varie taglie del gel, che solitamente sono spessi 1 - 1.5 mm, viene cioè polimerizzato un “running gel” (Laemmli, 1973) che può essere o omogeneo o in gradiente di porosità. Una volta polimerizzato il gel, anziché creare uno stacking, si crea una matrice con una soluzione bollente di agarosio allo 0.5% p/V in tampone di corsa, e, prima che tale soluzione gelifichi, si posiziona la striscia di prima dimensione in tale fluido a diretto contatto con il gel “running”. Se si desidera far correre la seconda dimensione orizzontalmente, si possono utilizzare gel precast commerciali oppure crearli su supporto di Gel Bond, come per la prima dimensione. In questo caso (gel orizzontale) il tampone può o riempire la vasca dell’elettroforesi o essere ceduto da apposite buffer strip commerciali; la striscia di IPG fatta precedentemente correre ed equilibrata viene posizionata a faccia in giù sul gel, schiacciandola delicatamente in modo da permettere la perfetta aderenza delle due matrici. Sistemi per l’elettroforesi bidimensionale Prima dimensione IPGphor MultiphorSeconda dimensione 156 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring ETTAN Daltsix ProteanII Visualizzazione La colorazione al nitrato d’argento rimane il metodo analitico di elezione, poiché la sensibilità è circa 10 volte maggiore rispetto ad una colorazione in coomassie colloidale con coomassie brilliant blue (CBB) G-250 e 100 volte maggiore rispetto ad una colorazione in coomassie con CBB R-250. Di conseguenza, il Silver è il metodo di prima scelta qualora si avessero bassissime quantità di campione analizzate in focusing. Sono state pubblicate un cospicuo numero di metodiche al nitrato d’argento, basate sulle tecniche di staining di Merril et al., (1981) e successive modificazioni (Blum et al., 1987, Heukeshoven, 1988). Qualora si voglia quantificare l’abbondanza relativa esatta delle proteine, le principali colorazioni per gel preparativi sono il tradizionale coomassie colloidale con CBB G-250 oppure le colorazioni tramite coloranti fluorescenti quali ad esempio il SYPRO Ruby (Molecular Pobes) o il Deep Purple (GE Ealthcare). E’ possibile inoltre colorare selettivamente proteine con determinate modificazioni post-traduzionali sempre con coloranti fluorescenti specifici come il ProQ Diamond (Molecular Probes) per le fosfoproteine o il ProQ Emerald (Molecular Probes) per le glicoproteine. Tutti questi coloranti fluorescenti necessitano di scanner a fluorescenza (laser o a luce bianca) che siano in grado di irradiare i gel con le lunghezze d’onda appropriate per eccitare i vari flourofori legati alle proteine. Se invece si desidera identificare una particolare proteina all’interno del gel avendo a disposizione un anticorpo specifico non si esegue la colorazione tradizionale ma si fa innanzi tutto un “western-blotting” (Towbin 1979) e poi eventualmente una reazione antigene-anticorpo colorimetrica. Per ciò che riguarda il blotting, se si ha a disposizione un gel orizzontale SDS, va innanzi tutto rimosso il gel bond, supporto della matrice stessa del gel; ciò ovviamente non è necessario quando il gel che si desidera blottare è un Laemmli classico. Si definisce western-blotting il trasferimento della separazione elettroforetica delle proteine su una membrana di nitrocellulosa o PVDF. Il trasferimento viene effettuato in maniera semi-dry, utilizzando due elettrodi di grafite, tra i quali si crea una specie di “sandwich” con la carta da filtro 3MM imbevuta di tampone di trasferimento. Una volta effettuato il blotting, si può colorare la membrana con Commassie blue o india ink, oppure si può eseguire una reazione immunologia con lectine specifiche (es. horse radish peroxidases) Analisi d’immagine computerizzata. 157 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Dopo la separazione delle proteine mediante 2D-E, al fine di procedere all’analisi d’espressione differenziale, è indispensabile la digitalizzazione delle mappe bidimensionali ed il loro confronto mediante opportuni software d’analisi d’immagine (Fig. 5). Tali programmi, migliorati periodicamente nel tentativo di raggiungere la completa automatizzazione, consentono di rilevare e misurare gli spot presenti sul gel dopo aver ridotto il rumore di fondo e rimosso gli artefatti della migrazione (strisciate orizzontali e/o verticali). La maggior parte dei programmi di analisi d’immagine in commercio, però, non identifica automaticamente tutti i punti, specialmente quando la qualità generale della separazione elettroforetica è bassa (ad esempio nelle zone di sovrapposizione degli spot), quindi, solitamente, si rende necessaria l’individuazione manuale da parte dell’operatore degli spot non rilevati. Essendo direttamente correlato al numero di proteine presenti sul gel, alla qualità della separazione e all’algoritmo utilizzato, questo processo può essere abbastanza lungo e laborioso. Dopo l’individuazione (“detection”), ciascuno spot presente su uno dei gel deve essere abbinato al corrispondente spot presente su tutti gli altri gel (“matching”). Nella maggior parte dei programmi di analisi di immagine, tale operazione prevede, inizialmente, l’abbinamento manuale di una serie di spot distribuiti uniformemente sull’intera superficie del gel, la cui coincidenza sia facilmente ed inequivocabilmente riconoscibile da parte dell’operatore. 158 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Figura 5. Esempio di interfaccia grafica di un software per l’analisi d’immagine di mappe 2D. A partire da questi spot, il programma procede ad abbinare automaticamente tutti gli altri. Al termine del matching, il software genera un prospetto riassuntivo che permette di rilevare le differenze qualitative e/o quantitative esistenti tra gli spot individuati nei diversi gel (Gorg et al., 2004). SPETTROMETRIA DI MASSA Negli ultimi decenni del secolo scorso i notevoli progressi tecnologici della spettrometria di massa hanno contribuito notevolmente allo sviluppo della proteomica. L’enorme diffusione della spettrometria di massa come tecnica analitica è legata alla sua capacità di misurare una proprietà intrinseca delle molecole: la loro massa. Gli elementi essenziali di uno spettrometro di massa di qualunque tipo esso sia sono: 1) il sistema di introduzione del campione (inlet system) nello spettrometro di massa; 2) la sorgente ionica (ion source) dove avviene la ionizzazione dell’analita 3)l’analizzatore di ioni (separation of ion oppure anlalyser): la zona dello strumento adibita alla separazione degli ioni; 4) il rilevatore ioni (detection of ion); 5)il sistema dei acquisizione ed elaborazione dati (recording of ion arrivals): la registrazione dello spettro Per l’analisi delle molecole con queste tecniche, in passato era necessario che esse fossero in fase gassosa oltre che ionizzate, per questo motivo risultava abbastanza complesso applicare questi metodi di analisi a molecole grandi come le proteine. Enormi passi avanti sono stati compiuti negli ultimi anni grazie 159 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring all’introduzione degli spettrometri di massa con sorgente MALDI (Matrix Assisted Laser Desorption Ionizzation) o Electrospray che hanno rivoluzionato lo studio delle macromolecole poiché con questi strumenti l’analisi parte da campioni solidi o liquidi che solo successivamente passano allo stato gassoso. A queste innovazioni si deve il successo della spettrometria di massa negli studi di proteomica. Uno spettrometro di massa è costituito da tre parti fondamentali: sorgente; analizzatore; rivelatore di ioni. All’interno della sorgente i campioni vengono ionizzati e passano in fase gassosa; gli ioni cosi formati raggiungono l’analizzatore e vengono discriminati in base al loro rapporto massa/carica (m/z). Tutti gli analizzatori necessitano di un vuoto particolarmente spinto per il loro funzionamento, fondamentale per permettere agli ioni di raggiungere il rivelatore senza collidere con altre molecole, poiché questo potrebbe abbassare notevolmente la risoluzione e la sensibilità dello strumento, provocando la frammentazione non desiderata degli ioni stessi. Gli analizzatori a tempo di volo (TOF) sono comunemente utilizzati con le sorgenti MALDI, mentre analizzatori a quadrupolo e a trappola ionica sono i più comuni analizzatori accoppiati a sorgenti del tipo electrospray. Il concomitante sviluppo dell’elettronica e dell’informatica, inoltre, ha consentito la creazione di database di sequenze nucleotidiche e amminoacidiche e di opportuni software da usare per l’interrogazione degli stessi. Tutto questo ha reso molto più semplice e rapida l’interpretazione dei risultati ottenuti dalle analisi di spettrometria di massa. Oggi la spettrometria di massa applicata alla proteomica è usata per l’identificazione delle proteine e per il controllo di qualità delle proteine ricombinanti (strumento fondamentale per le biotecnologie). Inoltre è possibile l’individuazione e la caratterizzazione di modifiche post-traduzionali e potenzialmente di tutte le modifiche covalenti che alterano la massa della proteina. i. Ionizzazione MALDI Con la spettrometria di massa MALDI si possono analizzare vari tipi di biomolecole. In una sorgente MALDI gli analiti passano direttamente dalla fase solida alla fase gassosa e contemporaneamente vengono ionizzati (Karas & Hillekamp 1988). Per consentire l’analisi, le molecole sono miscelate ad un grosso eccesso di matrice che serve ad assorbire le radiazioni irradiate da un raggio laser. Le matrici utilizzate sono piccole molecole organiche aromatiche che hanno elettroni delocalizzati in un sistema di orbitali coniugati; inoltre queste molecole sono acidi organici deboli che quando eccitate trasferiscono un protone alle molecole di analita convertendole in specie del tipo MH+ (fig. 1.1). Viene utilizzato un raggio di laser pulsato che emette 160 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring luce con lunghezza d’onda nell’ultravioletto anche se il meccanismo con cui le molecole ionizzino in una sorgente di questo tipo non è ancora completamente chiaro. Figura 1.1 Sorgente MALDI La ionizzazione MALDI viene considerata una tecnica di ionizzazione “soft” poiché difficilmente causa frammentazione delle molecole di analita. Ad una sorgente di tipo MALDI viene comunemente accoppiato un analizzatore a tempo di volo (TOF) anche se altre combinazioni sono possibili. ii. Analizzatore a tempo di volo (TOF) per sorgente MALDI Un analizzatore a tempo di volo è costituito da un tubo di lunghezza nota all’interno del quale c’è un vuoto molto spinto (fig. 1.2). Dopo la ionizzazione in sorgente gli ioni prodotti vengono ugualmente accelerati da una opportuna differenza di potenziale e passano nel tubo di volo. Al momento dell’ingresso nel tubo di volo gli ioni hanno tutti la stessa energia cinetica, quindi la velocità con cui viaggiano all’interno dell’analizzatore dipende solo dal loro rapporto m/z; in particolare minore è il rapporto m/z maggiore è la loro velocità. I tempi che ioni con diversi rapporti m/z impiegano per raggiungere il rivelatore sono differenti; lo strumento va quindi ad analizzare gli ioni in base al tempo che impiegano a percorrere il tubo di volo. Gli analizzatori TOF di tipo “lineare” garantiscono una elevata sensibilità, ma una risoluzione abbastanza scarsa che diminuisce all’aumentare delle dimensioni dell’analita. La risoluzione è stata migliorata con l’introduzione di analizzatori 161 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring TOF “reflector”, nei quali gli ioni devono compiere una traiettoria più lunga, rispetto al TOF classico (“lineare”), prima di raggiungere il rivelatore. La risoluzione risulta migliore sia perché gli ioni possono essere meglio separati, sia perché si possono allontanare eventuali ioni frammento. Questi strumenti consentono di ottenere risoluzione isotopiche. Figura 1.2 MALDI-TOF iii. Ionizzazione electrospray Nella spettrometria di massa ad electrospray (ESI/MS) (Fenn et al. 1989; Chait & Kent 1992) l’analita viene sciolto in una soluzione acquosa costituita da un solvente organico (solitamente si utilizzano acetonitrile, metanolo oppure isopropanolo), acqua ed in presenza di acido acetico o formico; questa soluzione viene pompata con flussi di pochi l al minuto attraverso un cono con un orifizio dal diametro di pochi mm, al quale è applicata una differenza di potenziale di alcune migliaia di volt (3500-5000 V). Dall’orifizio fuoriesce uno micro spray disperso, le cui goccioline sono costituite dall’analita ionizzato circondato da molecole di solvente (fig 1.3). All’uscita dal cono un flusso di gas colpisce le goccioline facilitando l’evaporazione del solvente; quando le forze di repulsione tra le molecole di analita tutte cariche positivamente supera la tensione superficiale dovuta al solvente, la gocciolina “esplode” e vengono liberate le molecole di campione cariche in fase gassosa; le molecole vengono poi accelerate da una differenza di potenziale e si dirigono verso l’analizzatore. Questa tecnica di ionizzazione ha la capacità di creare specie multicarica (M+nH)n+ se le specie che stiamo analizzando hanno più siti di ionizzazione; ciò causerà la formazione di varie popolazioni di ioni con un diverso numero di cariche (z); l’abbondanza delle varie popolazioni seguirà una distribuzione statistica. Ciò comporta 162 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring che dall’analisi di una singola specie si otterranno spettri costituiti da numerosi segnali con diversi rapporti m/z, che si distribuiranno su una gaussiana. Figura 1.3 Sorgente electrospray Questa particolarità consente l’analisi anche di molecole molto grandi poiché le specie multicarica che si formeranno rientreranno un in intervallo ristretto di valori m/z che rende ideale l’accoppiamento di questo tipo di sorgente con analizzatori in grado di esplorare un ristretto intervallo di valori m/z (ad esempio analizzatori a trappola ionica o a quadrupolo). Inoltre la possibilità di generare più segnali da una stessa specie consente di eseguire una misurazione molto accurata della massa molecolare dell’analita poiché i valori ottenuti dai singoli m/z possono essere mediati. Solitamente per la generazione di specie multicarica la ionizzazione ESI si presta preferenzialmente all’analisi di singole proteine o miscele semplici per evitare di avere dati troppo complessi da interpretare. I sistemi di analisi ESI-MS possono essere utilizzati in serie con sistemi di separazione del tipo RP-HPLC che possono separare gli analiti di una miscela prima dell’analisi allo spettrometro. Anche la ionizzazione electrospray è catalogata come tecnica di ionizzazione “soft” poiché l’energia fornita alle molecole per la ionizzazione è insufficiente a causarne la frammentazione in sorgente. iv. Analizzatori per sorgente electrospray Gli analizzatori tipicamente associati ad una sorgente electrospray sono il quadrupolo e la trappola ionica. Un analizzatore a quadrupolo (fig. 1.4) è costituito da quattro barre metalliche a cui è applicato un campo elettrico 163 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring oscillante; all’interno del quadrupolo per l’effetto del campo elettrico oscillante, gli ioni compiono una traiettoria elicoidale che li porta ad avvicinarsi ed allontanarsi dalle barre. Oltre al campo elettrico, alle barre vengono applicate anche delle radiofrequenze che consentono la separazione degli ioni, poiché solo quelli con un determinato rapporto m/z saranno in risonanza con la radiofrequenza e quindi si muoveranno su traiettorie stabili che consentiranno loro di attraversare l’analizzatore; gli altri ioni si muoveranno su traiettorie che li porteranno ad uscire dall’analizzatore e di conseguenza non arriveranno al rivelatore. Come l’analizzatore a tempo di volo, anche all’interno del quadrupolo è mantenuto un vuoto molto spinto; tipicamente questo tipo di analizzatore funziona per un intervallo di valori m/z compreso tra 100 e 2500-3000. Figura 1.4 Quadrupolo L’analizzatore di massa a trappola ionica è costituito da un elettrodo ad anello e da due elettrodi, uno superiore e l’altro inferiore, detti “end caps”, che chiudono la trappola (fig. 1.5). Il principio di funzionamento della trappola ionica è simile a quello del quadrupolo, in quanto agli elettrodo vengono applicati sia un campo elettrico che una radiofrequenza. La combinazione di RF e DC genera all’interno della trappola un campo elettrico tridimensionale che serve a mantenere gli ioni intrappolati tra gli elettrodi; gli ioni si muoveranno all’interno della trappola seguendo traiettorie circolari concentriche con raggi che dipendono dal rapporto m/z e dai voltaggi applicati. 164 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Figura 1.5 Trappola ionica Solitamente all’interno della trappola viene immesso un gas inerte (elio o argon) che serve a controllare la distribuzione dell’energia cinetica degli ioni. Variando i potenziali applicati alla trappola si rendono instabili le traiettorie degli ioni che vengono quindi espulsi dal campo tridimensionale e arrivano al rivelatore; utilizzando radiofrequenze a diverse lunghezze d’onda si causa la fuoriuscita dalla trappola di ioni con diversi rapporti m/z in tempi successivi che arrivando al rivelatore generano lo spettro di massa. I limiti di valore m/z che la trappola ionica riesce ad analizzare sono vicini ai limiti del quadrupolo, con un intervallo che va da 300-400 a 3500-4000; la capacità della trappola ionica di accumulare ioni al suo interno, però, comporta un aumento nella risoluzione dello strumento rispetto ad un quadrupolo. In linea di principio lo spettro di massa, normale o collisionale, di ciascun compost è unico e può essere utilizzato come “finger print” chimico per caratterizzare il campione o per identificarlo in miscele molto complesse, anche se presente a livello di tracce. Indipendentemente da come sono creati e separati gli ioni in uno spettrometro di massa, lo spettro di massa che si ottiene non è altro che undiagramma su cui in ascissa sono riportati i valori m/z dei picchi relativi alle specie ioniche presenti ed in ordinata l’intensità o abbondanza in unità arbitrarie. Il rapport massa/carica (m/z) è il rapporto tra la massa m dello ione, misurata rispetto alla massa del 12C che per convenienza è 12,000000, ed il numero z di cariche elettrostatiche (misurate rispetto a quello dell’elettrone, cui viene assegnata una carica elettrostatica negativa unitaria) presenti sullo stesso ione. Poiché la stragrande maggioranza degli ioni prodotti in uno spettrometro di massa, tranne nel caso dell’Electrospray, ha una sola unità di carica, il rapporto m/z di uno ione viene frequentemente identificato con la massa dello ione. In generale quando una molecola è ionizzata, per rimozione di un elettrone si origina un radical-catione M .+ detto ione molecolare il quale genera nello spettro di massa un picco denominato picco ionico molecolare, che 165 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring compare a un valore m/z numericamente uguale al peso molecolare nominale dell’analita. Questo ione molecolare può contenere sufficiente energia interna dando delle frammentazioni successive che portano alla formazione di specie neutre, cationiche o radicaliche. v. Spettrometria di massa tandem La spettrometria di massa tandem (MS/MS) è un comune approccio usato per l’identificazione di proteine, essa caratterizza la struttura primaria dei peptidi, perché consente di avere informazioni sulla loro sequenza amminoacidica. Infatti dall’analisi dello spettro MS/MS di un peptide è possibile derivare la sequenza amminoacidica. La spettrometria di massa tandem (MS/MS) prevede, generalmente, l’utilizzo di spettrometri di massa dotati di due analizzatore separati da una cella di collisione; il primo analizzatore in questi strumenti funziona da filtro di massa, inviando alla cella di collisione solo specie con un determinato rapporto m/z, mentre con il secondo analizzatore vengono separati i frammenti generati nella cella di collisione (fig. 1.6). L’unica eccezione è costituita dall’analizzatore a trappola ionica che da solo può funzionare come strumento per analisi di spettrometria di massa tandem. All’interno della cella di collisione lo ione precursore viene frammentato con un metodo noto come decomposizione indotta da collisione (CID, Collisionally Induced Decomposition); questo tipo di approccio prevede che le molecole all’interno della cella di collisione vengano colpiti da atomi o molecole di un gas inerte come elio, argon, neon o azoto. Negli urti elastici parte dell’energia traslazionale degli atomi o delle molecole del gas, viene trasferita alle molecole di analita; di questa energia una parte rimane energia traslazionale, mentre l’altra parte sarà distribuita sui moti vibrazionali dei legami chimici delle molecole dello ione. Se quest’ultima energia trasferita è sufficiente si avrà la rottura dei legami chimici con la generazione di una serie di ioni frammento. 166 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Figura 1.6 Esempio di sistema di spettrometria di massa tandem Nel caso di peptidi la frammentazione con il metodo della decomposizione indotta da collisione porterà alla rottura in via preferenziale dei legami peptidici, dando origine ad una miscela statistica di ioni frammento che differiranno per il valore di massa di un singolo amminoacido (Roepstorff & Fohlman 1984). Gli ioni più abbondanti in una frammentazione di un peptide sono quelli delle serie b ed y, generati dalla rottura del legame peptidico con ritenzione della carica rispettivamente sull’estremità N- o C- terminale (fig 1.7). Figura 1.7 Esempio di frammentazione 167 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Dall’interpretazione di uno spettro di frammentazione si può quindi risalire alla sequenza amminoacidica del peptide poiché i frammenti differiscono per la massa di un singolo amminoacido; fanno eccezione le coppie isobariche leucina/isoleucina e lisina/glutammica. Mentre nel primo caso è molto difficile discriminare tra l’uno o l’altro residuo, nel secondo caso l’utilizzo della tripsina come enzima proteolitico per la generazione dei peptidi può far escludere la presenza di lisine all’interno di una sequenza peptidica, localizzandoli all’estremità C-terminale. vi. Strumenti per spettrometria di massa tandem Gli spettrometri di massa usati per analisi MS/MS si distinguono in due categorie: tandem nel tempo e tandem nello spazio. Sono classificati come tandem nello spazio gli strumenti in cui la selezione dello ione, la frammentazione e l’analisi dei frammenti avvengono in settori differenti dello spettrometro; esempi di questo tipo sono i tripli quadrupoli (ESI-QqQ), gli strumenti ibridi ESI-Q-TOF, gli strumenti MALDI-TOF-TOF e le trappole ioniche lineari. Tandem nel tempo, invece, sono gli strumenti in cui queste tre operazioni sono eseguite nello stesso spazio ma in tempi differenti; un esempio è quello delle trappole ioniche tridimensionali che possono inizialmente accumulare ioni e successivamente frammentarli ed analizzarne i frammenti sempre all’interno della trappola stessa. Oggi gli strumenti più usati sono i tripli quadrupoli, che sono i più economici e semplici nell’uso, ma è molto diffuso anche l’utilizzo delle trappole ioniche tridimensionali e lineari.Un analizzatore a triplo quadrupolo (fig. 1.8) riesce ad effettuare analisi MS/MS in quanto è costituito da due quadrupoli (Q1 e Q3) separati da un terzo quadrupolo (q2) che funge da cella di collisione.Con questi strumenti si possono effettuare analisi di product ion scan, precursor ion scan, neutral loss scan, single reaction monitoring ma a questi analizzatori è anche legata una ridotta sensibilità ed in più solo una parte degli ioni che entrano nella cella di collisione frammentano dando risultati analizzabili. In particolare con un esperimento di “precursor ion scan” (analisi di ioni precursori) il Q1 opera una scansione degli ioni all’interno di un range di massa da noi prefissato e li trasmette al q2 in maniera sequenziale. I frammenti ionici generati arrivano al Q3 i cui potenziali sono mantenuti costanti in maniera da consentire al solo frammento dall’m/z prescelto di raggiungere il rivelatore. Lo spettro di massa risultante rappresenta l’intensità dello ione a m/z prescelto in funzione dell’m/z dello ione analizzato. In questa maniera è possibile identificare, anche in miscele complesse, gli m/z capaci di produrre lo ione prescelto. Questa caratteristica è molto utile per individuare molecole incognite appartenenti ad una certa classe la cui frammentazione è però nota. Le frammentazioni all’interno di 168 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring un triplo quadrupolo sono di buona qualità poiché viene utilizzata una energia di frammentazione molto più alta di quella minima richiesta ma per un tempo molto breve, evitando così frammentazioni eccessive. Inoltre questi analizzatori sono caratterizzati da una elevata velocità di scansione e da una buona selettiva in modalità precursor ion scan e neutral loss scan. Altro tipo di analizzatori utilizzati per analisi MS/MS sono le trappole ioniche tridimensionali e lineari. La trappola ionica tridimensionale funziona accumulando ioni al suo interno e mantenendoli su traiettorie stabili utilizzando opportune combinazioni di RF e DC. Si può selezionare uno ione precursore tra quelli accumulati all’interno della trappola e variare le radiofrequenze in modo che tutti gli altri ioni fuoriescano dall’analizzatore. Viene poi indotta la frammentazione per collisione dello ione selezionato immettendo un flusso di gas all’interno della trappola; gli ioni frammento generati vengono poi analizzati normalmente. Figura 1.8 Triplo quadrupolo Gli svantaggi di questo tipo di strumento sono legati alla scarsa accuratezza dei valori m/z misurati, nonché al ridotto intervallo di valori m/z analizzabili ed alla impossibilità di effettuare analisi del tipo precursor ion scan e neutral loss scan. I vantaggi della trappola ionica tridimensionale sono l’elevata sensibilità e l’elevata risoluzione dovute all’accumulo degli ioni prima che vengano analizzati. Una peculiarità della trappola ionica tridimensionale è la possibilità di eseguire analisi di MSn, poiché i frammenti generati per collisione possono essere a loro volta frammentati. vii. Trappola ionica lineare Un altro analizzatore in grado di eseguire analisi di spettrometria di massa tandem è la trappola ionica lineare (fig. 1.9). Questo strumento è una sintesi tra un triplo quadrupolo e una trappola ionica tridimensionale. 169 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Figura 1.9 Schema della trappola ionica lineare In questo strumento gli ioni generati da una sorgente ESI prima di entrare nel Q1 attraversano un primo quadrupolo (Q0) al quale vengono applicate solo radiofrequenze. Come nel triplo quadrupolo classico il Q1 funziona da filtro di massa trasmettendo solo gli ioni di interesse alla cella di collisione (q2); il Q3, all’interno del quale avviene la scansione selettiva degli ioni frammento, può funzionare come una trappola ionica tridimensionale, cioè può intrappolare ed accumulare gli ioni al suo interno. La trappola ionica lineare combina i vantaggi del triplo quadrupolo e della trappola ionica tridimensionale in quanto questo strumento ha una sensibilità molto elevata anche analizzando intervalli ampi di valori m/z; inoltre consente di effettuare scansioni molto selettive degli ioni precursori (Hager 2002; Hager 2004). I vantaggi di questo strumento consistono nella separazione spaziale degli step di isolamento degli ioni precursori e di frammentazione di questi ultimi; si ha quindi la possibilità di analizzare intervalli di massa più ampi rispetto ad una trappola ionica tridimensionale o ad un quadrupolo. Con la trappola ionica lineare si possono eseguire le analisi possibili con un triplo quadrupolo e con una trappola ionica tridimensionale; inoltre le modalità operative “enhanced multiply charged scan” e “time delayed fragmentation”, che sono tipiche delle trappole ioniche lineari, consentono analisi molto più accurate. La prima modalità consente di esaltare gli ioni doppia carica con conseguente aumento della risoluzione e della sensibilità. Ciò è importante quando si lavora con peptidi triptici poiché in questo caso è frequente avere frammenti recanti una doppia carica, laddove i frammenti monocarica sono perlopiù dovuti a impurezze del campione. Con la modalità “time delayed fragmentation”, prima della scansione dei frammenti nel Q3 si lasciano decadere gli ioni che hanno una energia cinetica al di sopra di una certa soglia, allontanando così gli ioni che hanno subito più urti e che perciò sono frammentati in maniera insoddisfacente. Spettrometri ibridi Se si combina un sistema quadrupolare prima di un analizzatore TOF ortogonale si realizza uno “spettrometro ibrido”che permette di eseguire esperimenti del tipo MS/MS in modo abbastanza semplice, come nel caso del QqTOF. Nel QqTOF, la lettera maiuscola, Q, indica l’analizzatore quadrupolare, mentre la lettera minuscola, q, 170 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring si riferisce ad una camera di reazione. Con questo sistema ibrido nel primo settore Q si ha una prima selezione degli ioni. Gli ioni selezionati si frammentano poi nella camera di reazione mediante un gas di collisione, solitamente N2. Il QqTOF è costituito da tre quadrupoli: il primo è Q0, che è un quadrupolo a radiofrequenze e trasferisce gli ioni dalla zona di vuoto fino a Q1, il filtro di massa, questi separa gli ioni in base al loro rapporto m/z. La camera di collisione costituisce il terzo quadrupolo, Q2, in cui gli ioni si frammentano ulteriormente per collisione con un gas neutro. Infine l’analizzatore, il TOF, esamina gli ioni che presentano un certo rapporto massa/carica, trasformando queste informazioni in un segnale che il computer può tradotte in uno spettro di massa. Identificazione delle proteine Durante gli esperimenti di proteomica per l’identificazione di proteine si possono utilizzare diverse tecniche. Nell’ambito della proteomica di prima generazione l’identificazione delle proteine viene effettuata combinando l’utilizzo della elettroforesi bidimensionale e della spettrometria di massa. Le proteine vengono inizialmente separate utilizzando l’elettroforesi bidimensionale e poi l’identificazione viene effettuata analizzando con spettrometri di massa i peptidi ottenuti idrolizzando le proteine con enzimi proteolitici specifici (tripsina, Asp-N proteasi, Glu-C proteasi). Questa procedura di identificazione prende il nome di “peptide mass fingerprint” e si basa sul principio che proteine con sequenze amminoacidiche differenti se idrolizzate con enzimi specifici daranno miscele differenti di peptidi, che sono uniche per le varie proteine (Pappin 1997; Pappin 2003). La miscela peptidica viene quindi analizzata con spettrometri di massa MALDI-TOF per ottenere misure accurate delle masse dei peptidi che vengono confrontante, per mezzo di opportuni programmi disponibili in rete, con le masse teoriche ottenute dall’idrolisi in silico di tutte le sequenze proteiche presenti nella banca dati. I programmi utilizzati restituiscono l’identificazione della proteina assegnando un punteggio di probabilità statistica all’identificazioni che dipenderà dalle corrispondenze tra dati teorici e dati sperimentali. L’evoluzione tecnica che ha consentito di sviluppare spettrometri di massa dotati di due analizzatori, ha consentito di superare gran parte delle problematiche relative all’elettroforesi bidimensionale, aprendo la strada alla proteomica di seconda generazione. Un approccio proteomico di questo tipo prevede l’idrolisi di una miscela di proteine o di un intero proteoma e la successiva analisi della miscela complessa di peptidi ottenuta con strumenti in grado di eseguire analisi di 171 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring spettrometria di massa tandem. In questo modo è possibile ottenere spettri di frammentazione di peptidi dai quali è possibile risalire alla sequenza amminoacidica che, unitamente alla massa dello ione precursore, può essere usata per l’identificazione delle proteine in banca dati (Mann 1996; Wilm et al. 1996). La conoscenza di tratti di sequenza piuttosto che di masse dei peptidi, consente di effettuare una identificazione molto più precisa ed inoltre ci permette di avere informazione su eventuali modifiche post-traduzionali presenti sulla proteina. Marcatura ed isolamento selettivo di specifici peptidi L’idrolisi enzimatica di una proteina genera alcune decine di peptidi; una miscela più o meno complessa di proteine sottoposta ad idrolisi enzimatica può quindi generare alcune centinaia o addirittura migliaia di peptidi. L’analisi di questi dati con MS o con MS/MS può risultare molto complessa sia per l’enorme quantità di peptidi sia per la presenza di un gran numero di dati ridondanti. In teoria una la determinazione di una sequenza amminoacidica di un unico peptide composto da almeno cinque residui consente di identificare in maniera univoca una proteina (Zhang et al. 2002). Si sono quindi sviluppate una serie di strategie di analisi che si basano sull’isolamento di un singolo peptide per proteina e che consentono di ridurre notevolmente il grado di complessità dell’analisi di un intero proteoma. Queste strategie si basano sull’utilizzo di reattivi che reagiscono selettivamente con amminoacidi specifici, modificandoli chimicamente e facilitando quindi la successiva purificazione cromatografica. Dall’idrolisi della proteina dopo marcatura selettiva si ottiene una miscela di peptidi che può essere notevolmente semplificata attraverso la separazione e l’analisi dei soli peptidi marcati. Sequenziando questi peptidi mediante spettrometri di massa MS/MS si può facilmente identificare la proteina d’origine. In questo contesto un notevole successo hanno ottenuto i reattivi note come classe ICAT (isotopecoded affinity tag) (Gygi et al. 1999). Queste molecole sono costituite da tre porzioni: un gruppo reattivo che si lega covalentemente alla catena laterale di uno specifico residuo amminoacidica, un linker, una regione che consente la purificazione mediante cromatografia di affinità. I reattivi ICAT sono usati nella maggior parte dei casi come marcatori di cisteine, poiché il gruppo reattivo è spesso costituito da una funzione iodoacetammidica che reagire in maniera specifica con i gruppi sulfidrilici; in queste molecole il gruppo spaziatore è un poliestere, mentre il gruppo di affinità è costituito da una molecola di biotina (fig 1.10). La biotina lega con grande affinità molecole di avidina e quindi si possono purificare i peptidi contenenti cisterne marcate con una cromatografia di affinità in ci la resina è derivatizzata con avidina. 172 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring Figura 1.10 Esempio di reattivo ICAT È possibile anche isolare peptidi contenenti metionina legandoli ad un supporto solido attraverso un residuo bromoacetilico (Weinberger et al. 2002) e successivo trattamento con mercaptoetanolo per allontanare i peptidi legati al supporti. Nel caso di peptidi contenenti istidina si possono effettuare cromatografie di affinità con metalli immobilizzati (IMAC) (Ji et al. 2000). DATA BASE: Gestione dei dati in proteomica Lo studio proteomico richiede il continuo sviluppo di metodi per il miglioramento delle capacità separative, della sensibilità e delle possibilità di interpretazione dei dati correlati ai segnali biologici; inoltre a causa della complessità delle relazioni e dei comportamenti che le proteine instaurano con i diversi tessuti ed organi coinvolti e, infine, per l’importanza nella attività che vanno a svolgere, i più grandi centri di ricerca scientifica internazionali (accademici e non) si sono dotati di potenti banche di dati per raccogliere, catalogare e gestire il maggior numero di informazioni possibili. Le informazioni reperibili in internet: un’attenta ricerca sul web di tutte le banche di dati che si“interessano” di proteine e di proteomica che fanno capo ai più importanti centri internazionali: ne sono stati individuati una trentina, ognuno con determinate caratteristiche e filoni di ricerca che ora vengono presentati in ordine di importanza. L’importanza, variabile apparentemente soggettiva, è relativa alla qualità ed alla quantità delle informazioni presenti nel database ed anche alla frequenza con cui i codici identificatori delle proteine vengono “trovati” nelle ricerche sul web. -UniProt The universal protein resource (http://www.ebi.uniprot.org) È il più grande catalogo al mondo di informazioni sul mondo delle proteine. È il “deposito centrale” della sequenza e della funzione delle proteine 173 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring generate unendo le informazioni contenute in Swiss-Prot, in TrEMBL e in PIR (vedi successivamente). UniProt è composto da tre componenti, ciascuno ottimizzato per un uso differente (UniProtKB, UniRef, UniParc, vedi successivamente). -UniProtKB UniProt Knowledgebase (http://www.ebi.uniprot.org) È il punto di accesso centrale per informazioni accurate e precise sulle proteine, che includono funzione, classificazione e cross-references. E’ una sotto sezione dell’UniProt generale descritto precedentemente. -Vega (http://vega.sanger.ac.uk) The Vertebrate Genome Annotation (VEGA) è il “deposito centrale” per l’alta qualità, gli aggiornamenti frequenti e l’annotazione manuale della sequenza del genoma umano; i particolari dei progetti per ogni specie sono disponibili attraverso le diverse homepage per l'essere umano, il topo, il maiale ed il cane. -NCBI RefSeq (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/RefSeq) La collezione RefSeq mira a fornire un insieme integrato, completo, non ridondante delle sequenze, includendo il DNA genomico, l’RNA trascritto e i derivati proteici per i più importanti organismi di ricerca. I campioni di RefSeq servono come base per studi medici, funzionali e di diversità; forniscono un riferimento stabile per l'identificazione e descrizione del gene, analisi di mutazione, studi di espressione, scoperta di polimorfismo ed analisicomparative. RefSeqs è usato come reagente per l'annotazione funzionale di un certo genoma che ordina i progetti in serie, compreso quelli dell'essere umano e del topo. -Ensembl (http://www.ensembl.org) È un progetto che coinvolge EMBL, EBI e il Sanger Istitute per sviluppare un sistema di software che produca ed effettui l'annotazione automatica sui genomi eucariotici selezionati. -H-InvDB (http://www.h-invitational.jp/) È un database integrato di geni umani; si appoggia sulla conoscenza delle banche di dati del Giappone e compie ricerche soprattutto sull’RNA trascritto. -UniParc (http://www.ebi.uniprot.org) L'archivio di UniProt-UniParc è un deposito completo, che mostra la storia di tutte le sequenze della proteina. -HGNC (http://www.gene.ucl.ac.uk) Si propone di dare nomi unici ed espressivi al gene umano. -Entrez Gene (http://www.ncbi.nlm.nih.gov) Entrez Gene è una base consultabile di dati dei geni, dei genomi di RefSeq e definito dalla sequenza e situato nella viewer del programma di NCBI. -UniGene (http://www.ncbi.nlm.nih.gov) UniGene è una vista organizzata del Transcriptome. Ogni record di UniGene è un insieme delle sequenze della trascrizione che sembrano venire dallo stesso luogo della trascrizione (gene o pseudogene espresso), insieme alle informazioni sulle somiglianze della proteina, sull'espressione del gene, sui reagenti del clone del cDNA e sulla posizione genomica. -CCDS (http://www.ncbi.nlm.nih.gov/CCDS) Il progetto dei CD di consenso (CCDS) è uno sforzo di collaborazione per identificare un insieme di nucleo delle regioni di codificazione della proteina del topo e dell'essere umano che sono annotate di frequente ed ad un livello di alta qualità. L'obiettivo di lunga durata è di sostenere la convergenza verso un insieme standard delle annotazioni del gene. -Trome (http://ch.embnet.org/software/fetch.html) Trome è una nuova base di dati che usa gli allineamenti dei dati di EST (expressed sequenze tag) a HTG (high-throughput menome) e dei genomi completi per generare le trascrizioni e le sequenze di codificazione virtuali. Questa nuova base di dati è di una qualità maggiore e, poiché contiene le informazioni in una disposizione molto più densa, essa è di gran lunga molto inferiore, in termini dimensionali, rispetto alle due basi di dati più piccole. -UtrDB (http://www2.ba.itb.cnr.it/UTRSite) UTRSite è una collezione di modelli di sequenza funzionale (legati in particolare all’RNA messaggero) situati nelle posizioni 5 ' o 3 '. Le proteine che si legano al 3' o al 5' UTR possono danneggiare la traduzione interferendo con l'abilità dei ribosomi di legarsi all'mRNA. -InterPro (http://www.ebi.ac.uk/interpro) InterPro è una base di dati delle famiglie delle proteine, dei domini e delle posizioni funzionali in cui le caratteristiche identificabili trovate nelle proteine conosciute possono essere applicate alle sequenze sconosciute della proteina. 174 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring -PFam (http://www.sanger.ac.uk/Software/Pfam/iPfam) iPfam è una risorsa che descrive le interazioni di dominio-dominio che sono osservate nei record di PDB. I domini sono definiti da Pfam. Quando due o i più domini si presentano in una singola struttura, essi sono analizzati per vedere se formano un'interazione. Se invece sono abbastanza vicini formare un'interazione, si calcolano i legami che l’interazioneproduce. -SMART (http://smart.embl-heidelberg.de/) SMART sta per Simple Modular Architecture Research Tool; si può usare SMART in due modi differenti: normale o genomic. La differenza principale è nella base di dati di fondo della proteina usata. In SMART normale, la base di dati contiene lo Swiss-Prot, PS-TrEMBL e proteomi stabili di Ensembl. -PROSITE (http://www.expasy.org/prosite) PROSITE è una base di dati delle famiglie e dei domini della proteina. E’ formata dai modelli e dai profili biologicamente significativi che contribuiscono ad identificare attendibilmente a quale famiglia conosciuta della proteina (se esiste) una nuova sequenza appartiene. -CleanEx (http://www.cleanex.isb-sib.ch/) CleanEx è una base di dati che fornisce l'accesso ai dati pubblici di espressione del gene attraverso i simboli approvati unici del gene e che rappresenta i dati eterogenei di espressione redatti dalle tecnologie differenti facilitando i confronti tra dataset di cross.references diversi. -PHANTER (http://www.pantherdb.org/) Il sistema di classificazione PHANTER (Protein ANalysis THrough Evolutionary Relationships) è una risorsa unica che classifica i geni per le loro funzioni, usando la prova sperimentale scientifica pubblicata ed i rapporti evolutivi per predire la funzione anche in assenza di prova sperimentale diretta. Per un numero crescente di proteine, le interazioni biochimiche dettagliate nelle vie canoniche sono bloccate e possono essere osservate con diverse interazioni. -PRINTS (http://umber.sbs.man.ac.uk/dbbrowser/PRINTS/) PRINTS è un compendio di impronte digitali della proteina. Un'impronta digitale è un gruppo dei motivi conservati usati per caratterizzare una famiglia della proteina; I motivi non coincidono solitamente, ma sono separati lungo una sequenza, benchè possano essere attigui nello spazio tridimensionale. -PIR (http://pir.georgetown.edu/) Il Protein Information Resource si trova presso l’Università di GeorgeTown a Washington DC ed è un centro di ricerca bioinformatico avanzato particolarmente nello studio della proteomica e della genomica. -EPD (http://www.epd.isb-sib.ch/index.html) L’Eukaryotic Promoter Database è una collezione nonridondante annotata di promotor eucariotici del POL II (che trascrive RNA per proteine), per cui il punto di inizio della trascrizione è stato determinato sperimentalmente. L'accesso alle sequenze del promotor è fornito dagli indicatori alle posizioni nelle entrate di sequenza del nucleotide. La parte di annotazione di un'entrata include la descrizione dei dati di tracciato di luogo di inizio, dei riferimenti ad altre basi di dati e dei riferimenti bibliografici. EPD è strutturato in modo da facilitare l'estrazione dinamica dei sottoinsiemi biologicamente espressivi del promotor per l’analisi comparativa di sequenza. -TIGRFAMs (http://www.tigr.org/TIGRFAMs/) TIGRFAMs sono famiglie di proteine basate sugli Hidden Markv Models. -Superfamily (http://supfam.org/SUPERFAMILY/) Lo scopo di questo server è fornire assegnazioni funzionali e strutturale alle sequenze della proteina al livello del superfamily. Una superfamily contiene tutte le proteine per cui si ha prova strutturale di un antenato evolutivo comune. -Transfac (http://www.genome.ad.jp/dbget-bin/www_bfind?transfac) È una banca di dati che fa riferimento al centro bioinformatico dell’Università di Kyoto. -ProDom (http://prodom.prabi.fr/prodom/current/html/home.php) ProDom è un insieme completo delle famiglie dei domini delle proteine generate automaticamente dalle basi di dati di sequenza di TrEMBL e di SWISSPROT. -RZPD (http://www.rzpd.de) È un centro tedesco di risorse per lo studio e la ricerca del genoma. 175 Biosensors and Biotechnology for Environmental Monitoring -GENE3D (http://cathwww.biochem.ucl.ac.uk:8080/Gene3D) Permette di studiare la struttura e le funzionalità delle famiglie di proteine. The work was supported by a grant financed by RAS (Regione Autonoma della Sardegna, PO Sardegna FSE 2007-2013 L.R. 7/2007 - “Promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica in Sardegna”). Bibliografia Anderson NL, Anderson NG. Proteome and proteomics: New technologies, new concepts, and new words. Electrophoresis. 1998;19:1853–1861. Appel RD, Bairoch A, Hochstrasser DF. A new generation of information retrieval tools for biologists: the example of the ExPASy WWW server. Trends in biochemical sciences. 1994;19(6):258-260. Bakhtiar R, Nelson RW. Electrospray ionization and matrix-assisted laser desorption ionization mass spectrometry, emerging technologies in biomedical sciences. Biochemical Pharmacology. 2000; 59:891-905. Beavis R.C., Chait B.T.; High-accuracy molecular mass determination of proteins using matrix-assisted laser desorption mass spectrometry. Anal. Chem. 62, 1836-1840 (1990). Bjellqvist B, Ek K, Righetti PG, Gianazza E, Gorg A, Westermeier R, Postel W. Isoelectric focusing in immobilized pH gradients: principle, methodology and some applications. Journal of biochemical and biophysical methods. 1982;6(4):317-339. Blum H, Beier H, Gross HJ. 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