Why Nilufar
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Why Nilufar
Nilufar Nilufar Why Con un saggio di Ettore Sottsass Why Nilufar Why 1 Nilufar Mostra e volume a cura di Nazanin Yashar © Nazanin Yashar, 2003 Fotografie Emilio Resmini Progetto grafico Studio Cerri & Associati con Elisabetta Presotto Redazione testi Eugenio Alberti Schatz Traduzioni in inglese Henry Martin Ringraziamenti a Giancarlo Montebello Thomas Ekström Fotolito Elettra Fotolito, Milano Stampa Grafiche Mariano, Mariano Comense CO 2 Why Why & because Why and Because Nazanin Yashar Nazanin Yashar Una w. Una h. Una y. Segni in libertà alla ricerca di un senso. Eppure, una volta accostate, le tre semplici lettere acquistano un significato. Questo è esattamente il potere dell’alfabeto, cioè di una sequenza di elementi che traggono senso dalla posizione in cui vengono ricombinati. In altre parole, il potere dell’accostamento. Lo stesso vale per le grandi firme del design storico: all’apparenza così diverse, così distanti, eppure una volta accostate, capaci di riflettere la loro epoca. Il lasso di tempo che ci separa dagli autori ci aiuta ad avere una vista d’insieme, come quando ci si allontana da un quadro per guardarlo meglio. A “W,” an “H,” a “Y.” Free and unfettered signs in search of a meaning. Yet finding a meaning is as simple as their juxtaposition. That’s the power of the alphabet, as a sequence of elements that derive their power to communicate from the ways in which they’re positioned and combined. In other words: the power of contextualization. The same can be said of the works of the great names of historical design: though apparently so distant and different from one another, their juxtaposition fires their ability to reflect their epochs. The span of time that stands between these authors and ourselves helps us achieve a vision of the whole, much as we have learned to take a step back from a painting in order to see it better. Con WHY ho inteso proseguire la mia ricerca nel design storico, tirando un fil rouge che al di là di ogni schematismo riesce a creare percorsi di forte suggestione. Accostando l’inaccostabile. Gettando nuova luce su ciò che sembrava da tempo acquisito proprio grazie all’energia dei contrasti. Cogliendo qualcosa di imprevisto, insospettato. E comprendendo più a fondo. ‘Why’ diventa ‘because’. WHY marks the continuation of my research into the world of historical design, unwinding a scarlet thread that defies schematic thinking, and that leads us into pathways charged with powerful energies. By juxtaposing the unjuxtaposable. By throwing new light on things which before had seemed taken for granted. By working with the power of contrasts. By grasping the unexpected and unsuspected. By more thoroughly understanding things. “Why” becomes “because.” In WHY confluisce la produzione di diversi grandi maestri del design, fra cui Alvar Aalto, Osvaldo Borsani, Michel Boyer, Tommaso Buzzi, Finn Juhl, Carlo Mollino, Peder Moos e Maria Pergay. Ai due poli di questo gruppo si pongono Osvaldo Borsani e il danese Peder Moos. Da una parte il gusto per la tecnologia, l’estremo raziocinio, la ricerca dell’ergonomia, della funzionalità e della potenzialità dei materiali, il modello economico della produzione. Dall’altra l’estro libertario, la vitalità, la natura, il senso della manualità, le forme organiche di un figlio di contadini riconosciuto come uno dei talenti più singolari del design danese, per un certo verso espressione dell’anti-design (Peder Moos costruisce da solo i propri pezzi con un lavoro che sfiora la maniacalità). WHY lends attention to the works of a number of the twentieth century’s great masters of design, including Alvar Aalto, Osvaldo Borsani, Michel Boyer, Tommaso Buzzi, Finn Juhl, Carlo Mollino, Peder Moos, and Maria Pergay. The poles of the group are represented by Osvaldo Borsani on the one hand, and by the Danish designer Peder Moos on the other. On the one hand we stand in the area of the love of technology, extreme rationality and research into ergonomics, with a view towards functionality and the full exploitation of the potential of materials: the economic model of production. The other is the pole of imaginative free expression, vitality, nature and manual expertise, or the pole to be found in the organic forms of a farmer’s son who achieved recognition as one of the most singular talents of Danish design, thanks to a mode of expression which in many ways seems to be “anti-design.” (Peder Moos worked alone on the construction of his pieces, and the work that went into them is close to maniacal.) In mezzo a questi due poli si sviluppa il design del Novecento. In un dialogo serrato, talvolta anche aspro, ciascun autore si chiama, con più o meno sfumature, in uno dei due campi, mai dimenticando però che senza il + non ci sarebbe il meno e senza il – non ci sarebbe il più. Intuizione versus ragione, e ritorno. In un ciclo perpetuo. Un ringraziamento particolare va a Giancarlo Montebello, a cui sono legata da profonda amicizia, forse l’unico interlocutore con il quale abbia discusso e condiviso a fondo il mio percorso. Giancarlo ha ispirato il tema delle due ultime mostre di Nilufar, Objects d’affection e WHY. A lui riconosco il merito di saper esprimere in concetti le scelte a cui mi porta l’intuizione. 4 Between these poles one finds the range of the whole of twentieth-century design. In a clear, tough, and sometimes bitter dialog, the various authors site themselves, with greater or lesser clarity, in one of these two fields, but never forgetting that without the “more” there could never be a “less,” and that without a “less” a “more” would be impossible. Intuition versus reason, and back again. In an endless cycle. Particular thanks must be offered to Giancarlo Montebello, who is a very dear friend, and perhaps the only person with whom I have discussed and shared the entirety of my adventure. Giancarlo has been the inspiration for the last two Nilufar exhibitions: Objets d’affection, and now WHY. I have to thank him for his ability to give expression to the concepts that lie behind the choices I have been led to make on the basis of intuition. 5 La sedia, 1975 Ettore Sottsass 6 La sedia deve essere davvero un oggetto molto importante nel senso della comunicazione, visto che sulle sedie si potrebbero anche scrivere enciclopedie voluminose. Persino Lévi-Strauss potrebbe scrivere sulle sedie un saggio un pò presuntuoso ma molto sapiente e così via. Per quello che ne so, per esempio, tutti quelli che dicono di essere designer o architetti, contando anche i falegnami, artigiani e produttori in genere, prima o poi hanno disegnato qualche sedia e anche se alla fine non l’hanno vista costruita, almeno il disegno ce l’hanno nel cassetto, come me, che ho pacchetti di disegni di sedie che non si sono mai fatte e come le signorine, i giornalisti, gli scrittori, gli sceneggiatori, i pittori e artisti vari, che prima o poi una poesiola, anche piccola, magari nel diario, l’hanno scritta. Tanto è come ho detto che l’altro giorno in Iugoslavia il poliziotto dalla faccia tonda-contadina, occhi molto sospettosi, chiamato a furor di popolo contro di me, mi stava già portando dentro se non gli avessi potuto far vedere che sul passaporto c’era scritto “architetto”. Dopo di che anche al suo intelletto angelico parve logico o diciamo giustificabile, che mi fossi messo a fare foto di una sedia rotta che era lì, nella trattoria sul mare. Come dire «Se uno è architetto ha a che fare con sedie». Punto e basta. «Non più problema», ha detto. Ci siamo dati la mano e se ne è andato. Comunque la sedia deve essere davvero un oggetto importante, anche perché mia madre mi aveva insegnato che alle signore bisogna sempre cedere il posto se non ci sono sedie abbastanza nel locale - e non deve essere soltanto per via delle ovaie e di questi organi delicati delle donne che, dicono, se le donne stanno in piedi, gli organi si rovinano. Succede che se un uomo è seduto in un locale ed entra una signora, l’uomo bisogna che si alzi in piedi comunque (anche se ci sono sedie abbastanza). Voglio dire per onorarla - la signora. Voglio dire che per onorare la signora, l’uomo bisogna che si stacchi dalla sedia, la sedia la deve abbandonare, deve mostrarsi disarmato della sedia, nudo di sedia, sguarnito, altrimenti non c’è neanche il minimo equilibrio. Poi per esempio, non si dice che i politici o i capi o i banchieri eccetera, difendono a denti stretti il loro “posto” oppure la loro “scrivania” o la loro “penna stilografica” o il “telefono” o la loro “stanza nell’angolo” del palazzo (perchè ha due finestre invece di una) ma si dice che difendono il loro cadreghino, la loro poltrona, la loro sedia, per dire che difendono l’oggetto più importante, lo strumento essenziale. Un uomo senza sedia è un uomo che non ha niente, è veramente un avanzo della società. Quando è stanco (dato che gli avanzi della società sono compagni della stanchezza), deve sedersi sul marciapiede o su un sasso o su un muretto, tutte cose che - si sa - sono molto sconvenienti. Forse anche più che presentarsi senza cravatta. Per questo Gianni (Pettena) ha disegnato un tipo di sedia che uno se la lega sul sedere tramite cinghie adatte. Così tutti possono girare per le strade facendo vedere che la sedia ce l’hanno (sedie piccole, sedie grandi, poltrone statali o anche executive o anche seggioline per bambini preziosi - da seicento milioni in su il costo del riscatto - ecc.), come adesso si gira per le strade facendo vedere le giacche, le cravatte, i bottoni, la barba Cheguevara e l’automobile o la motocicletta Suzuki con casco. Ma devo riconoscere che il disegno di Gianni è un pò irriverente. A proposito di progetti un pò irriverenti, anche Sandro (Mendini) non scherza. Ha fatto uno studio (1974) accurato e scientifico sulle sedie dove non ci si può sedere e sulle sedie monumento, che se uno ha un pò di fantasia le può anche usare come sedie tomba, realizzando com’è facile capire, un notevole risparmio. Per chi invece può permetterselo, ha anche disegnato grandi sedie da incendiare, sedie rogo, con le quali sedie uno sacrifica in fondo se stesso, voglio dire in fondo il suo complesso della sedia. Va anche aggiunto, a proposito di queste sedie rogo, che se lì per lì possono sembrare costose, in realtà fanno poi risparmiare la parcella dello psicanalista. Su questa strada, negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha fatto notevoli progressi. Autori di ogni età e di ogni nazione hanno portato sensibili contributi a un disegno della sedia su basi realistiche e funzionali. Mi riferisco per esempio al progetto (1970) di Raimund (Abraham), quello della sedia segata in metà con cerniera lungo lo schienale, in modo che le signore che volentieri allargano le gambe possano comunque tenere le cosce appoggiate alle due metà del sedile che si aprono come un libro. Mi riferisco anche alla Stuhl für einem selbstmorder (1970), di Walter (Pichler), sedia per un suicida, scavata nella roccia di un monte, con canaletti adatti allo scorrimento e raccolta del sangue che sgorga dai polsi feriti e mi riferisco anche alle due sedie, per padre e bambino, Stuhl für Vater und Kind (1970), anch’esse una grande e una piccola vicine ma separate da insormontabili schermi traslucidi, tagliate nella roccia, incastrate e fissate entrambe nel sasso immobile della montagna o mi riferisco anche alle buche-sedili nella terra, Sitzgraben (1970), così che la testa di chi sta seduto finisce a filo del terreno e tutti si convincono, finalmente, di quanto sono (o siamo) nella vita, sepolti vivi. Mi riferisco per esempio al fatto che Hans (Hollein) ha reso di pubblica conoscenza la sedia elettrica Nr.9 (aspetto un pò artigianale, da laboratorio elettronico universitario di ricerca) di Trujillo, pubblicandola sulla pagina ventitrè del numero 1-2 (1968) di «Alles ist Architektur» insieme alla sedia di Joseph (Beuys) detta Fettstuhl (1963), la sedia di grasso, perchè sul sedile sono appoggiati alcuni chili di grasso di maiale con il piano inclinato sul davanti (una spiegazione dei significati magari è inutili). Sulla stessa pagina c’è anche la poltrona, rivestita di pelle di leopardo, con bel cuscinetto tondo (1963), di Claes (Oldenburg). Poi la sedia elettrica (produzione di serie, industrial design) l’ha studiata bene anche Andy (Warhol) Electric chair (1965), che nel catalogo dell’esposizione del 1968 al Moderna Museet di Stoccolma l’ha pubblicata uguale esattamente trentaquattro volte. Dunque, come si vede, le ricerche scientifiche sul problema della sedia sono state vaste e approfondite e potrei continuare a descriverle per qualche pagina, ma dato che questo non è uno studio universitario, né vuole essere un saggio definitivo sul tema della sedia, lascerò a chi lo voglia di cercarsi i documenti da sé, anche perchè credo di aver dimostrato a sufficienza come la sedia in generale sia un problema, come si dice, sentito dalla società, voglio dire dalla società di quelli che hanno bisogno o voglia di sedersi. Devo però aggiungere prima di continuare, che le ricerche scientifiche descritte sono state non poco misconosciute dalla stragrande maggioranza degli scienziati e degli studiosi intenti, come si sa, a ricerche più redditizie in campo militare. Ma da dove nasce l’importanza semantica, cioè sociologica, della sedia? Sandro (Corbertaldo) mi raccontava che quando era in Algeria (c’è stato tre anni a disegnare ospedali per non fare il sevizio di leva), i capi tuareg dopo un pò lo invitavano nella tenda a bere il tè, che presumo di menta e il pavimento della tenda (che poi ormai non era neanche più una vera tenda ma una specie di baracca) era di sabbia, cioè continuava il deserto anche dentro la baracca e così i capi dicevano: “Porta la sedia” e non so chi, le donne o qualche ragazzino, srotolava un tappeto sulla sabbia e lì sopra ci si doveva sedere e così mi è venuto in mente quello che diceva Mircea Eliade del sacro e del non-sacro del caos e dell’ordine di queste cose e devo confessare che davvero Eliade mi è venuto in mente, anche se oggi pare di cattivo gusto citare Eliade, dato che non è uno strutturalista e dato che si è interessato di misticismo e pare non sia una cosa ben fatta. Però lo stesso mi è venuto in mente quello che diceva Mircea Eliade a proposito del fatto (più o meno inevitabile fin dall’antichità e anche nelle culture - diciamo così - primitive) che si ha sempre voglia di costruirsi e di possedere da qualche parte una zona dello spazio diversa dalle altre, una zona eccezionale, che poi di solito si difende: pare lo facciano anche i gatti, le scimmie e i vermi. Poi c’è il fatto che naturalmente quella zona tendiamo a vederla come sacra, a caricarla di significati e valori che quasi consideriamo fuori dalla nostra portata. Voglio dire che tendiamo a riconoscere lì, in quella zona, ordini molto speciali che ad altre zone - o oggetti - non riconosciamo. Ad ogni modo quello che Eliade non dice o non gli interessa dire, è come mai qualcuno possiede o ha il permesso di possedere questi spazi sacri e qualcuno no, come mai qualcuno riesce a difenderli con successo, questi spazi sacri o queste cose sacralizzate e qualcuno invece non riesce a difenderli, cioè Eliade non spiega, in fondo, come (e se) possa sopravvivere un’idea o un’immagine astratta della sacralità fuori da una lotta permanente per trovarla o meglio costruirla e poi possederla e difenderla, fuori dalle contaminazioni e corruzioni che una qualsiasi lotta, scambio, distruzione o creazione comportano. Ora siamo d’accordo che non è questo il posto per discutere se Eliade dice bene o non dice bene in senso assoluto, questo mi pare un’altro problema. Volevo soltanto ricordare questa storia del sacro e aggiungere, per parte mia, che la “creazione” del sacro o della sacralità sembra uno dei tanti modi (insieme alla creazione, per esempio, di un esercito o per esempio di una polizia e queste cose) per configurare la presenza di un potere, cioè per fornire un qualsiasi potere di una immagine speciale, di una molto speciale dignità e imponenza, per fornirlo di rituali più o meno incomprensibili ai non potenti, per fornirlo anche di un pacchetto o pacco o magazzino di pacchi di misteriosa, oscura potenza, la quale poi, si sa, genera rispetto e poi anche, si sa, paura. Tutto questo mi pare abbastanza evidente. Così mi pare abbastanza evidente che mettere per terra un tappeto per sedervici sopra o mettere in un posto una sedia vuol dire sacralizzare in qualche modo quel posto, vuol dire rendere quel posto un pò speciale e rendere un pò speciale chi può sedersi sul tappeto o sedersi sulla sedia. Mi pare abbastanza evidente. Quello che mi riesce difficile capire invece, è perchè nel catalogo dei rituali consueti per la creazione di una zona o di un centro di sacralità e quindi di potere, la posizione “seduta” (su una sedia o no) sia sempre preferita a quella in piedi, se è vero che tutti gli dei e i re o anche i saggi o i capi in genere si mostrano sempre seduti e gli altri, poveri diavoli, se ne stanno in piedi; se è vero che la storia antica (ma quanto a questo anche quella moderna) è una storia di conquista o possesso o perdita di troni (che poi sono sedie): troni eleganti egiziani di legno con zampeleopardo e intarsi vari, troni massicci babilonesi di avorio, lapislazzuli e coralli con grandi ali di leoni, troni contadini minoici di pietra con schienale ondulato (forse memoria di antichi serpenti acquatici), soavi 7 8 troni marini haitiani di paglia, palme e piume, oscuri troni aztechi come architetture morte, molti troni arabi di tappeti e cuscini e poi troni di oro, troni di pelle, troni di stoffa, troni di granito, troni di ferro, troni di inox, troni di cristallo e troni di ogni specie, perchè il potente stia seduto (su un trono), il forte stia seduto, l’illuminato stia seduto, il puro stia seduto, il superman stia seduto e stia seduto quello che conosce la legge, stia seduto quello che conosce l’ordine, stia seduto quello che “sa” il bene degli altri. Questo mi riesce difficile capirlo: voglio dire, perchè meglio seduti che in piedi. Mi viene in mente che se uno sta seduto ha più l’impressione di tenere il mondo sotto il suo dominio, molto più che se uno sopra al mondo sta in piedi, essendo incerto e barcollante, con l’amara impressione che la sua sopravvivenza dipenda dalla presenza della terra sotto i piedi e non certo che la terra dipenda da lui. Mi viene in mente che se uno sta seduto, il mondo lo schiaccia giù sotto di sé, lo domina tutto e poi lo domina anche con le natiche, voglio dire lo domina davvero, dato che lo può premere sotto quella parte del corpo più o meno graziosa, ma certo anche di bassa collocazione nelle scale di valori. Insomma il mondo lo può anche in un certo senso sfregiare. Mi viene anche in mente quando ero piccolo, abbastanza piccolo e leggevo quel grosso libro di Leo Frobenius rilegato in blu scuro, stampato dalla Phaidon Verlag di Zurigo e intitolato Kulturgeschichte Afrikas. Prolegomena zu einer historischen Gestaltlehre (che poi tradotto anche Einaudi). Mi ricordo che c’erano stampate figurine di troni per divinità che alla fine potevano anche diventare altari per sacrifici o basi monumentali per reggere la presenza di un mistero e tutti questi troni, troni-sgabelli, troni-sedie e così via, più o meno, erano fatti di cinque gambe: una grossa al centro che, lo dice lui Frobenius, sarebbe il pilastro per sostenere il cielo, dalla terra allo zenit e quattro intorno che così a occhio, mi pare potessero essere i quattro punti cardinali o i quattro elementi dell’universo. Poi sulla base o intagliato da qualche parte, c’era quasi sempre un serpente che poteva anche rappresentare l’oceano e questo serpente piano piano, nel tempo e nello spazio, poteva anche diventare uno zig-zag o altri ornamenti e cose del genere. Ad ogni modo ricordo che Frobenius diceva che quei troni, quei troni delle tribù gbagu, dahome, apai, ashanti, shankpanna, quei troni cretesi, egiziani, etruschi, assiri, greci arcaici, cirenaici e altri che non si sanno perchè sono spariti nelle ceneri degli incendi, terremoti, vulcani, massacri e piazze pulite, possono essere la rappresentazione dell’universo: rappresentazione di terre, sostegni del cielo, mari, direzioni e queste cose e così effettivamente, se l’illuminato si siede sul trono (come un dio si siede sull’altare), l’illuminato si siede sull’universo, si siede sulla terra, sul cielo, sui mari, sui pilastri e sulle direzioni. Si siede per far vedere che lui, l’illuminato, è quello che domina l’universo, ce l’ha sotto il sedere, non gliene importa niente, lo schiaccia quando vuole e ad ogni modo se qualcuno si avvicina lo sappia: lui, l’illuminato, domina tutto e tutti e nel suo possesso del dominio non c’è spazio per nessun altro, il sedere ce l’ha ben attaccato all’universo. Questo potrebbe essere un’idea forse, non mi pare male. Mi pare una buona idea. Molto meglio, devo dire, di un’altra idea che potrebbe anche venire in mente, cioè l’idea che per conquistare il potere uno deve darsi così tanto da fare, deve combattere così tante battaglie (e vincerle), deve subire sul corpo e sul cuore così tante ferite e deve accettare e sopportare un così lacerante consumo di se stesso, che alla fine non gli rimane altro che sedersi: stanco, deluso, il sangue impoverito, gli occhi accecati, i peli sbiancati, il sesso spappolato, le mani, oh! le mani dimagrite, segnate da vene pesanti, le mani tremanti, le mani a malapena capaci di alzare per benedire o maledire gli altri. Certo se ci penso, questa non mi pare un’idea molto scientifica. Mi pare molto a pressappoco, anzi, se devo dire la verità, mi pare che le ambizioni scientifiche con le quali ero partito comincino molto a vacillare. Sono partito per fare uno studio accurato e sociologico, come so dovrebbe far per essere in tono ed eccomi arrivato ad avere pietà per i vecchi guerrieri disfatti, incapaci di alzare la spada; eccomi arrivato ad avere pietà per i vecchi re avari a pronunciare parole; eccomi arrivato ad avere pietà per i vecchi poeti ciechi, troppo malati per suonare quell’arpa che aveva condotto i giovani in faccia alla morte e fatto piangere donne vergini; eccomi arrivato ad avere pietà per i capi diventati uomini, rimasti soli ormai a guardare perplessi non la sedia universo sotto le loro natiche ma se stessi: se stessi imprigionati in una gabbia di ossa e di carni disseccate. Questo succede. Succede sempre. Succede anche spesso che gli studi sociologici finiscano, come il mio, per calarsi non tanto dentro le miserie di ogni conquista o dentro la fragilità di ogni dominio e neanche dentro l’ineluttabilità atroce dell’ingranaggio del tempo (antica tematica ossessiva), quanto dentro la realtà “sociologica” e biologica della solitudine privata, cioè dentro la realtà della lotta per la sopravvivenza (che non è la lotta per il potere), cioè dentro i processi e i meccanismi che comandano la nostra privata e ultima solitudine, voglio dire i processi oscuri che comandano il nostro corpo, vera e sola sede dell’universo e anche della consapevolezza sociologica, vero punto di riferimento, unico deserto, landa, spiaggia, prato, mare, isola, montagna, valle, fiume, firmamento, paesaggio, sul quale agiscono bonacce-terremoti, silenzi-frastuoni, sereno-nebbia, zaffiri-uragani, siccità-monsoni, luce-tenebre, incendi-nevicate, giorno dopo giorno, fino alla privata, atomica, definitiva esplosione. Bisogna tenerne conto. Non se ne può fare a meno. E poi potrebbe anche essere una strada per spiegarci, se ancora ne abbiamo voglia, perchè “seduti” e non in piedi e potrebbe essere una strada discretamente scientifica se vogliamo essere abbastanza poco presuntuosi, come occidentali, da concedere qualche peso scientifico a quattromila anni di ricerche, esperienze, conclusioni e documenti lasciati da fakiri, dottori, nomadi, ginnasti, yogini, monaci e magari santoni, indiani, cinesi, giapponesi, coreani, giavanesi, papuasi e altri. Se la storia la prendiamo da questa parte, il “possesso” di una sedia può anche perdere molti dei significati sociologici, per lo meno nel senso delle ideologie correnti che stabiliscono i criteri della presenza sociologica. Al punto che persi i significati sociologici, magari non c’è neanche bisogno di sedie e uno si può anche sedere per terra con o senza le gambe incrociate, può buttarsi semplicemente per terra e restarci finché ha voglia di alzarsi in piedi e il potere, la lotta per il potere, si annuncerà in altri modi; modi che per il momento non ci riguardano. In questo caso più o meno teorico di forte riduzione dei significati sociologici, stare seduti o stare in piedi può assomigliare molto a orinare o a non orinare, cioè può assomigliare a tutti quei gesti e comportamenti cui in effetti riesce abbastanza difficile dare significati sociologici, anche se mi rendo conto del fatto che nell’orinare o non orinare, qualcuno proprio incaponito qualche significato lo può trovare, specialmente se va a considerare il luogo dove si va a orinare. Ad ogni modo, se decidiamo di abbandonare la sedia, ci resta da esaminare il fatto che siamo seduti o che siamo in piedi e se siamo seduti, senza sedia, sulla terra nuda, andremo a esaminare piuttosto il “modo” di stare seduti che non il fatto di essere o di poter essere seduti, e si sa che sul “modo” di stare seduti (sulla terra nuda) sono stati scritti interi trattati , montagne di carte, intere biblioteche, dove si prova a studiare cosa succede cambiando la posizione della spina dorsale, del collo e poi delle spalle e che cosa succede cambiando la posizione delle braccia, delle gambe e del ventre e di tutte queste cose e così, se si guarda soltanto ai modi di stare seduti, ci si accorge che possono significare cose “diverse”, voglio dire estranee alla lotta per il potere, coinvolte nella lotta per la sopravvivenza, come riposarsi o meditare, aspettare o rinunciare, invocare, rifiutare o stare più vicino o stare più lontano o possono significare la lenta perdita della consapevolezza fisica con l’acquisto di una consapevolezza più profonda o possono significare il riequilibrio delle strutture degli assi e delle simmetrie interne o anche la ricomposizione ordinata degli strati intellettuali e di quelli psichici e magari il controllo della respirazione o il controllo della circolazione del sangue e magari anche, alla fine di processi molto sofisticati, il controllo dei battiti del cuore: tanto per elencare qualcosa di quello che si può studiare ed esaminare eccetera eccetera. E poi non me ne intendo neanche tanto e non voglio neanche dire che tutti questi trattati e carte scritte e biblioteche e ricerche e metodi si sottraggono a certi loro significati sociologici. I significati probabilmente ci sono, ma non li conosco. Non riesco a vederli, dato che tutto questo insieme di comportamenti fa parte dei linguaggi di società lontane, antiche e sconosciute, di cui è molto difficile ricostruire la forma e dato che mia madre, a questo proposito, non mi ha detto niente e neanche mio padre e neanche, figuriamoci, il mio maestro. Soltanto l’urologo, l’altro giorno, mi ha detto che la mia prostata è un pò stanca «probabilmente perchè lei sta troppo seduto» (sulla sedia). «Capita anche ai tassisti» ha detto. Ma questo forse non c’entra molto con le civiltà orientali. Ad ogni modo, anche se non so trovare i significati sociologici di certi comportamenti orientali, volevo soltanto ricordare che ci sono fenomeni che stanno dentro il corpo e che dal corpo vanno verso l’esterno e che bisogna tenerne conto, come bisogna tenere conto del fatto che non ci sono soltanto fenomeni che stanno fuori dal corpo e che da fuori del corpo finiscono dentro e questo vale anche per quanto riguarda sedersi o non sedersi. Voglio anche ripetere che questo tentativo di estrarre una serie di giustificazioni, diciamo “diverse”, a percorso inverso, lo faccio con un certo sospetto, perchè non dimentico che Buddha si siede sul fiore di loto e che prima di sedersi, gli yogi mettono piccoli tappeti per terra e che il posto fisso per sedersi del padrone di casa giapponese è sempre con la faccia rivolta alla porta e così via. Questo non lo dimentico (a proposito di quello che si era detto del potere ecc. ecc.). Però devo anche tornare indietro, perchè se Buddha si siede sul fiore di loto, bene, è come se fosse seduto non “sopra” all’universo, ma è come se sbocciasse dall’universo, appartiene all’universo, sta gentilmente seduto dentro i petali rosa, grassi, profumati e fluttuanti sull’acqua, sta seduto nella primavera, sta seduto nell’odore vegetale, sta seduto nella freschezza del pianeta, un pò diverso che stare seduti sui simboli definitivi della forza, della ricchezza, dell’assolutismo. Così, eccomi qua. Sono arrivato a essere molto poco scientifico. Sono arrivato barcollando, barcollo, sono instabile dentro emozioni, ricordi, flash di immagini, melanconie, nostalgie, cose non sapute, cose temute, cose sperate. Come sempre. E adesso finalmente siamo alle prese con cento sedie di plastica, cento piccoli troni di plastica moltiplicati per milioni di volte, forse con l’idea che moltiplicando per milioni di volte cento piccoli troni di plastica, non saranno più troni ma semplicemente sedie, cosa che invece non è. Le sedie, ahimè, rimangono troni, piccoli troni privati sui quali ognuno può appoggiare il suo piccolo, privato potere: milioni di funzionari, burocrati, capiufficio con cravatte, mutande, sigarette, che appoggiano il loro grande o piccolo potere (decisionale si dice?) su sedie di plastica (devono essere quasi poltroncine); milioni di signore o signorine, vergini e puttane con gli occhiali colorati, braccialetti, seni, creme e pettini, che appoggiano il loro piccolo o grande potere (erotico si dice?) su sedie di plastica (magari arancione o bianche, ad ogni modo lucide); milioni di businessmen, affaristi, mercanti, mafiosi e mediatori, con cravatte, mutande, portafogli e libretti di assegni, che appoggiano il loro piccolo o grande potere (economico si dice?) su sedie di plastica (devono essere di sedie di aeroporto); milioni di pensatori, ideologi, studenti, dottori e architetti con i baffi e barba, giornali sotto il braccio, mani raffinate e scarpe strane, che appoggiano il loro piccolo e grande potere (intellettuale si dice?) su sedie di plastica (devono essere ben disegnate) e milioni di altra gente (chissà che cosa fa?) fornita di auto, chiavi, parenti, bambini, tv e magari cinepresa super 8, che appoggiano il loro piccolo o grande potere (potere d’acquisto si dice?) su sedie di plastica (devono essere da bar, sul marciapiede) e insomma la folla, la folla brulicante, seduta su sedie di plastica, sui piccoli troni di plastica, magari senza zampe di leopardo o senza ali di leone o senza piume di struzzo o senza pilastro centrale a sorreggere il cielo dalla terra allo zenit, però sempre tronetti di plastica, carini, lucidi, ben fatti, con le curve e le controcurve, con svirgole, l’appoggio e così via, per potersi sedere - si sa - con proprietà, senza neanche farlo vedere. Perchè in fondo uno pensa: “La sedia?” Beh! La sedia è per sedersi. No? Non ci vogliono anche le sedie?» Credo proprio di si. Ci vogliono anche le sedie. Restando un pò vaghi, direi che ci vogliono anche le sedie. Insomma ci vuole qualche cosa per sedersi, non c’è dubbio, ma me lo spieghi perchè ci sono cento milioni di sedie diverse e altre cento diverse tutte di plastica, senza contare tutte le altre? Ettore Sottsass nasce a Innsbruck, in Austria, nel 1917. Nel 1958 inizia la sua collaborazione con Olivetti come consulente per il design della nuova divisione elettronica dell’azienda, collaborazione che durerà per oltre trent’anni. Ha disegnato tra l’altro, nel 1959, il primo calcolatore elettronico italiano, e in seguito varie periferiche e macchine per scrivere elettriche e portatili come Praxis, Tekne, e Valentine. Nel 1981 ha dato inizio, con collaboratori, amici e architetti di fama internazionale al gruppo Memphis, che è diventato in breve il simbolo del “nuovo design”. Opere e progetti di Ettore Sottsass fanno parte delle collezioni permanenti di importanti musei di vari paesi, come il Museum of Modern Art e il Metropolitan Museum di New York, il Centre Georges Pompidou e il Musée des Arts Décoratifs di Parigi, il Victoria & Albert Museum di Londra. Nel 1976, gli è stata conferita la laurea ad honorem dal Royal College of Art di Londra. e nel 2001 la laurea ad honorem dal London Institute of Art e dal Politecnico di Milano. Sempre nel 2001 è stato nominato Grande Ufficiale per l’Ordine al Merito dal Presidente della Repubblica Italiana. 9 Tappeto di Gaetano Pesce Italia, 2002. Esemplare unico realizzato in silicone, raffigurante il progetto, presentato da Gaetano Pesce, per la ricostruzione delle Twin Towers di New York, riportante la frase: "quel che non si puòfar grande... si può fare in piccolo". 350 x 201 cm. Coppia di Poltrone di Pierre Paulin Francia, 1959. Edizione Artifort, struttura in metallo e rivestimento in tessuto. 100 x 86 x h. 82 cm., seduta h. 25 cm. Pair of easy chairs by Pierre Paulin France, 1959. Edizione Artifort, metal frame, with fabric upholstery. 39 x 34 x h. 32., seat h. 10 in. Carpet by Gaetano Pesce Italy, 2002. Unique example realized in silicone, showing Gaetano Pesce’s project for the reconstruction of the towers of New York’s World Trade Center, and bearing the phrase: “quel che non si può far grande...si può fare in piccolo”. (“What can’t be made big, can be made small.”) 138 x 79 in. 10 11 Osvaldo Borsani Nato a Varedo nel 1916 in una famiglia di costruttori di mobili con una lunga e consolidata tradizione artigiana, Borsani inizia a collaborare con l’azienda di famiglia dall’età di 16 anni, quando ancora frequenta il liceo artistico. Nel 1933 ottiene la medaglia d’argento alla quinta Triennale di Milano con il progetto ‘Casa minima’. Nel 1937 si laurea al Politecnico di Milano, che ha frequentato lavorando già a tempo pieno come progettista. In questo periodo, gli anni dall’Atelier di Varedo, si viene già delineando il suo profilo professionale che combina perizia costruttiva e vivacità inventiva, rigore e passione, tecnologia e conoscenza dei materiali, insieme ad una grande attenzione per le esperienze artistiche dell’avanguardia. A partire dal dopoguerra collaborerà infatti con Lucio Fontana, Agenore Fabbri, Aligi Sassu, Roberto Crippa, Fausto Melotti, Arnaldo e Giò Pomodoro. Born in Varedo in 1916 in to a family of furniture makers with a long and wellestablished tradition of craftsmanship, Borsani entered the family business at the age of only sixteen, while still enrolled at the high school of the arts. In 1933, his project for a “Minimal House” won the silver medal at the fifth Milan Triennale. In 1937, he graduated from Milan’s Polytechnic Institute, which he attended while already doing full-time work as a furniture designer. These were his years at the Varedo atelier, and they constitute the period in which his professional personality took real shape as a combination of constructive expertise, vivacious invention, rigor, passion, technology, and a deep awareness of the qualities of materials, along with great attention to the efforts of the artistic avantgardes. At the end of the war, he was in fact to begin to collaborate with Lucio Fontana, Agenore Fabbri, Aligi Sassu, Roberto Crippa, Fausto Melotti, and Arnaldo and Giò Pomodoro. Nel 1953, insieme al fratello Fulgenzio fonda la Tecno per sviluppare la produzione di serie: è il progetto professionale più importante della sua vita, un progetto integrale in cui confluisce la figura del progettista, dell’imprenditore e dell’art director. Questa visione del ruolo del designer, nel clima di trasformazione della Milano di quegli anni – e del suo polmone produttivo in Brianza – fa di lui una figura “abbastanza americana”. L’azienda abbandona progressivamente le dimensioni artigianali e si trasforma in moderna industria. I primi prodotti Tecno, per la maggior parte tuttora in catalogo, sono disegnati da Borsani stesso, il quale interviene sistematicamente anche nella produzione, nell’organizzazione, nell’attività commerciale in Italia e all’estero e nella comunicazione. Il suo lavoro, nel solco di istituzioni culturali come la Triennale, il premio Compasso d’Oro e le riviste di riferimento come Domus, diede una spinta in avanti molto forte al furniture design italiano di quegli anni, ancora assai legato alla tradizione. In 1953, along with his brother Fulgenzio, he founded the Tecno corporation, with the goal of large-scale production. This was the most important professional project of his life: an integrated project for which he served as combination designer, entrepreneur, and art director. Such a vision of the role of the designer, in the climate of transformation that typified those years in Milan —and also in outlying Brianza, its center of production— turned him into a “fairly American” figure. His company little by little abandoned its modest scale and took on the features of a modern industry. The first Tecno products, most of which are still produced, were designed by Borsani himself, who was also accustomed to intervening in the phases of production, organization, internal and foreign commerce, and also advertising. His work, thanks to its echo in cultural institutions like the Milan Triennale, the Compasso d’Oro Prize, and the flagship magazines like Domus, did much to advance the fortunes of the period’s Italian furniture design, which till then had remained considerably attached to tradition. Nel 1956 progetta una serie di arredi per l’edificio ENI di San Donato Milanese, di cui fa parte il letto L77. L’anno successivo il letto viene presentato all’undicesima Triennale e subito dopo messo in produzione. Il letto fa parte di quei progetti ‘tecnologici’ che Borsani ha inaugurato due anni prima con la poltrona P40 e il divano D70. Il materasso in gommapiuma è studiato e realizzato in collaborazione con Pirelli Sapsa. La componente meccanica – il letto è snodabile e alzabile – assume una particolare valenza estetica: la tecnologia dà forma a un arredo estremamente semplice e sofisticato. 12 Nel 1968, insieme a Eugenio Gerli, Borsani progetta il sistema di arredi per lo spazio di lavoro Graphis: il successo è straordinario e pone Tecno fra i grandi produttori mondiali di design per ufficio. Graphis è il capostipite di una concezione di arredi intesi non più come mobili ma come strumenti di lavoro. Negli stessi anni nasce il Centro Progetti Tecno, una équipe polivalente a cui partecipano Marco Fantoni e Valeria Borsani, che sperimenta nuovi materiali e gestisce grandi progetti di architettura d’interni. Borsani si spegne a Milano nel 1985. In 1956 he designed a series of furnishings for the ENI building in San Donato Milanese, one of which was the L77 bed. In the following year the bed was presented at the eleventh Milan Triennale, with production beginning immediately afterwards. The bed belongs to those “technological” projects that Borsani had begun two years previously with the P40 easy chair and the D70 sofa. The foam rubber mattress was studied and realized in collaboration with Pirelli Sapsa. The mechanical apparatus —the bed is height adjustable and can be bent into various configurations— has a particular aesthetic value of its own: technology determines the form of a piece of furniture which is both extremely simple and highly sophisticated. In 1968, in collaboration with Eugenio Gerli, Borsani designed the ensemble of furnishings and decorations for the Graphis work space: its success was enormous, and gave Tecno a place among the world’s great producers of interior design for offices. Graphis is the font of a concept of interior appointments which present themselves as working tools rather than as pieces of furniture. These years also saw the birth of the Tecno Projects Center: a polyvalent équipe, including Marco Fantoni and Veria Borsani, for the experimentation of new materials and the realization of large-scale projects of interior design and decoration. Borsani died in Milano in 1985. 13 Letto L 77 progettato da Osvaldo Borsani. Italia, 1956. Snodabile ed alzabile, mediante comando semplice e rapido sui due lati. Faceva parte di una serie di arredi disegnati per la foresteria dell'edificio ENI di S. Donato Milanese. Nel 1957 fu presentato alla 11° Triennale e subito dopo messo in produzione. Struttura in metallo smaltato, gomma, ottone e sponde in vinile. Disegni tecnici pubblicati su libro Borsani, pag. 270, editore Leonardo de Luca. 202 x 93 cm., altezza regolabile. 14 Bed by Osvaldo Borsani. Italy, 1956. A height-adjustable bed that folds into various positions, by way of fast and easy controls on both sides. A part of a series of furnishings designed for the guest house of the ENI building in S. Donato Milanese. Presented in 1957 at the 11th Milan Triennale, with production beginning immediately afterwards. Frame in painted metal, rubber, brass, and sides in vinyl. Technical drawings reproduced in the Borsani book, p, 270, Leonardo de Luca, Publishers. 80 x 37 in., height adjustable. 15 Tavolo di Osvaldo Borsani Italia, 1958. Progettato per gli arredi del palazzo direzionale ENI di S. Donato Milanese. Eseguito dalla Tecno, piano in mogano, gambe in alluminio. Pubblicato sul libro Borsani, pag. 297, di Giuliana Gramigna e Fulvio Irace, editore Leornado De Luca. 300 x 100 – 128 x h. 75 cm. 16 Table by Osvaldo Borsani Italy, 1958. Designed for the furnishing of ENI building at S. Donato Milanese. Realized by Tecno, Mohogany-wood, aluminium legs. Reproduced in the Borsani book, p. 297, by Giuliana Gramigna and Fulvio Irace, Leonardo de Luca Publisher. 118 x 39 - 50 x h. 29 in. Coppia Lampade da terra "L 78" di Osvaldo Borsani Italia, anni '50. Progettata in occasione della X Triennale. Metallo verniciato, luce al neon. h. 278 cm. Pair of “L 78” floor lamps by Osvaldo Borsani Italy, 1950s. Designed on the occasion of the 10th Milan Triennale. Painted wood, neon light. h. 109 in. 17 Poltrona ad elementi mobili "Tecno P 40" di Osvaldo Borsani Italia, 1955. Struttura metallica, basamento smaltato, rivestimento in vinile con imbottitura in gommapiuma originale, i braccioli si flettono e possono abbassarsi. Pubblicata su Repertorio 1950 - 2000, pag. 40, editore Umberto Allemandi & C. 70 x 90 x h. 87 cm., seduta h. 38 cm. “Tecno P 40” easy chair with movable elements by Osvaldo Borsani Italy, 1955. Metal frame, painted base, upholstered in the original vinyl with foam rubber filling; the arms can be inclined and adjusted in height. Reproduced in Repertorio 1950 - 2000, p. 40, Umberto Allemandi & Co., Publishers 28 x 35 x h. 34 in., seat h. 15 in. 19 18 Attaccapanni di Osvaldo Borsani Italia, anni '60. Metallo verniciato e in parte rivestito in pelle, pomelli in legno, altezza regolabile. Modello raro. Coat rackby Osvaldo Borsani Italy, 1960s. Painted metal, partly upholstered in leather, wooden knobs, adjustable height. A rare piece. Tavolo da pranzo di Osvaldo Borsani Italia, 1943. Eseguito da ABV, atelier della Tecno, che realizzava mobili su misura per committenze private. Per la realizzazione della superficie fu utilizzata la parte centrale di un blocco di onice del Messico, non più reperibile, acquistato da Borsani appositamente per realizzare i cinque esemplari esistenti, di cui uno è a casa Borsani, gambe in mogano massiccio lucidato, profilo piedi in ottone. Provvisto di due prolunghe in legno, con gambe in metallo, da applicare alle due estremità. Pubblicato su libro Borsani, pag. 184, editore Leonardo de Luca. 193 x 115 x h. 75 cm., prolunghe, 2 x 60 cm. 20 Dining-room table by Osvaldo Borsani Italy, 1943. Produced by ABV, Tecno atelier which realized custom-made furnishing. To realize the top, they used the central part of a Mexican onyx block, no more available, purchased by Borsani only for manufacturing the five existent examples, one of them for his own home, legs in solid polished mahogany, feet profile in brass. With two extensions in wood, with metal legs. Reproduced in the Borsani book, p. 184, Leonardo de Luca, Publishers. 76 x 45 x h.29 in., extension, 2 x 24 in. 21 Coppia Poltrone "Canada" di Osvaldo Borsani Italia, 1965. Disegnate per il salotto di casa M., posteriori alla data del progetto dell'appartamento. Struttura in legno e rivestimento in velluto originale. Pubblicate su libro Borsani, pag. 192, editore Leonardo de Luca. 80 x 85 x h. 84 cm., seduta h. 37 cm. 22 Pair of “Canada” easy chairs by Osvaldo Borsani Italy, 1965. Designed for the living room of the M. home, and subsequent to the date of the project for the apartment itself. Wood frame, upholstered in the original velvet. Reproduced in the Borsani book, p. 192, Leonardo de Luca, Publishers. 31 x 33 x h. 33 in., seat h. 15 in. 23 Tappeto Khorassan Iran, 1950 circa. Disegnato da un artista e firmato. Annodatura in lane policrome. 355 x 280 cm. 24 Khorassan carpet Iran, around 1950. Designed and signed by an artist. Knotted in various colors of wool. 140 x 110 in. Vaso di Gaetano Pesce Italia, 2003. Composto da una membrana in silicone sostenuta da tre gambe in resina. Eseguiti duecento esemplari numerati, in esclusiva per la Galleria Nilufar. d. 24 x h. 35 cm. Vase by Gaetano Pesce Italy, 2003. A silicone shell, supported by three resin legs. In an edition of two hundred numbered examples, exclusively made for Nilufar Gallery. d. 9 x h. 14 in. 25 Coppia Poltrone "Penta" di Kim Moltzer Berlino, 1968. Struttura smontabile in tubolare d’acciao, rivestimento in tela originale del periodo. 82 x 86 x h. 75 cm. 26 Pair of “Penta” easy chairs by Kim Moltzer Berlin, 1968. Dismountable frame in steel tubing, upholstered in the original fabric. 32 x 34 x h. 30 in. Lampada a sospensione eseguita da Lyfa Danimarca, 1950 circa. Metallo laccato bianco e antracite. d. 60 x h. 50 cm. Ceiling lamp, by Lyfa Denmark, around 1950. Metal, painted white and anthracite. d. 24 x h. 20 in. 27 Attaccapanni "B52/1 e relativo tavolo "B96" Thonet Austria, 1928 circa. Acciaio cromato e legno laccato nero, base portaombrelli in metallo. Attaccapanni: 100 x 25 x h. 20 cm. Tavolo: 94 x 38 x h. 76 cm. “B52/1” coat rack and accompanying “B96” table, by Thonet Austria, around 1928. Chrome-plated steel and wood, painted black; metal base in the form of an umbrella stand. Coat rack: 39 x 10 x h. 8 in. Table: 37 x 15 x h. 30 in. Tappeto di Kirsten & John Becker Danimarca, 1950 circa. Tassitura a mano in lane policrome. Pubblicato sul libro Danish Handmade Rugs and Carpets di Inge Alifrangis, editore Rhodos, pag. 39. Raro esemplare. 323 x 221 cm. Carpet by Kirsten & John Becker Denmark, around 1950. Hand knotted in various colors of wool. Reproduced on p. 39 of Inge Alifrangis’ Danish Handmade Rugs and Carpets, Rhodos Publishers. A rare example. 127 x 87 in. 28 29 Scrivania e sedia di Jansen Francia, anni '60. Struttura in acciaio cromato, rivestimento in pelle originale del periodo. 151 x 76 x h. 77 cm. Sedia 60 x 50 x h. 87 cm, seduta h. 47 cm. 30 Desk and chair by Jansen France, 1960s. Frame in chrome-plated steel, upholstered in the original leather. 59 x 30 x h. 30 in. Chair 24 x 20 x h. 34 in., seat h. 19 in. 31 Tavolo basso di Roger Tallon Francia, 1964-1966. Serie Module 400, disegnata nel 1964 e realizzata due anni dopo dalla Galleria Lacloche, Parigi. Struttura in fusione d'alluminio e vetro. d. 85 x h. 40 cm. 32 Low table by Roger Tallon France, 1964-1966. Module 400 series, designed in 1964 and realized two years later by Galerie Lacloche, Paris. Frame in cast aluminum and glass. d. 33 x h. 16 in. Quattro sedie serie "Harlow" di Ettore Sottsass Italia, 1971. Realizzate da Poltronova. Struttura in acciaio cromato, rivestimento in vinile originale del periodo. 46 x 60 x h. 83 cm., seduta h. 42 cm Four “Harlow” chairs by Ettore Sottsass Italy, 1971. Realized by Poltronova. Frame in chrome-plated steel, upholstered in the original vinyl. 18 x 24 x h. 33 in., seat h. 17 in. 33 Maria Pergay 34 Nata in Russia e cresciuta in Francia, Maria Pergay studia sotto la guida dello scultore russo Ossip Zadkine. Dopo aver firmato oggetti di design per marchi come Roger & Gallet e Christian Dior, nel 1966 è chiamata da Salvador Dalì a realizzare una scultura in oro e pietre preziose. Born in Russia and raised in France, Maria Pergay studied beneath the guide of the Russia sculptor Ossip Zadkine. After authoring objects of designs for names like Roger & Gallet and Christian Dior, she was asked in 1966 by Salvador Dalì to realize a sculpture in gold and precious stones. Nel 1976 è contatta da Uginox, il più importante produttore francese di acciaio, per disegnare una collezione di mobili in acciaio inox. L’incarico si inserisce in un più ampio progetto dell’azienda per stimolare la creatività e le applicazioni del materiale negli arredi d’interno. Fra i designer invitati si segnalano Michel Boyer e Françoise See. In questo periodo l’acciao dimostra di essere un materiale elegante e duttile nelle applicazioni: con esso si cimentano alcuni dei più affermati designer dell’epoca. In 1976, she received a request from Uginox —France’s most important steel producer— to design a collection of furniture in stainless steel. The commission was a part of an even more ample project which the company had undertaken to stimulate creativity and a wider range of applications with respect to the use of steel in interior decorations. Françoise See was another notable designer who was asked to participate. Steel at this time was to prove itself to be an elegant material with a wide range of applications, and it began to attract the attention of some of the period’s most successful designers. Pergay trasforma ogni oggetto in un unicum artistico. Ogni minimo dettaglio è curato, le superfici si presentano con un’impeccabile lucentezza al platino, senza cuciture o giunture visibili. Un effetto di qualità sul filo della perfezione. Pergay transforms every object into something unique, and a work of art. She lavishes attention on every detail, surfaces gleam with an impeccable platinum glow, without visible welds or couplings. An effect of great quality and perfection. Nel 1973 apre la sua prima galleria, Differences, in rue de Beaune, che nel 1978 si sposterà in Place des Vosges prendendo il suo nome. Suoi pezzi sono stati acquistati anche da Jansen, Maison et Jardin e Pierre Cardin. Fra i clienti privati, si segnalano lo Scià di Persia e François Perier di Parigi, la cui casa è stata pubblicata nel volume Decoration. In 1973, she opened her first gallery, Differences, in rue de Beaune, and in 1978 it took her name and moved to Place des Vosges. Her pieces have been purchased by firms like Jansen, Maison et Jardin, and Pierre Cardin. Her private clients have included the Shah of Persia and François Perier, whose Paris home is depicted in the volume Decoration. Maria Pergay vive a Parigi. Maria Pergay lives in Paris. 35 Tavolo di Maria Pergay Francia, 1970. Piano in acciaio cromato suddiviso in quattro parti, base ovale in materiale plastico. 180 x 130 x h. 72 cm. 36 Table by Maria Pergay France, 1970. Table top in chrome-plated steel, divided into four parts, oval base in plastic. 71 x 51 x h. 28 in. Cabinet di Maria Pergay Francia, 1970-1975. Proveniente da "Espace Pierre Cardin". Struttura in legno laccato nero con ripiani interni, parte frontale delle due ante in acciaio e ottone cromato, base d'appoggio in acciaio cromato. 110 x 45,5 x h. 78 cm. Cabinet by Maria Pergay France, 1970–1975. From “Espace Pierre Cardin.” Frame in wood, painted black, with interior shelves, the frontal part of the two doors in steel and chrome-plated brass, supporting base in chrome-plated steel. 43 x 18 x h. 31 in. 37 Cabinet di Maria Pergay Francia, 1970-1975. Proveniente da "Espace Pierre Cardin". Struttura in legno laccato nero con ripiani interni, parte frontale delle due ante in acciaio e ottone cromato, base d'appoggio in acciaio cromato. 210 x 48 x h. 130 cm. Cabinet by Maria Pergay France, 1970–1975. From “Espace Pierre Cardin.” Frame in wood, painted black, with interior shelves, the frontal part of the two doors in steel and chrome-plated brass, supporting base in chrome-plated steel. 83 x 19 x h. 51 in. 38 39 Tavolo da pranzo di Ron Arad Israele, 1996. Realizzato per il locale Adidas Sports Cafè di Tolone, Francia. Piano in carbonio, gambe in tubolare laccato grigio. Prodotto in dieci esemplari. 278 x 73 x h. 73 cm. 40 Dining-room table by Ron Arad Israel, 1996. Realized for the Adidas Sports Cafè in Toulon, France. Top in carbon fiber, legs in metal tubing, painted gray. Produced in an edition of ten examples. 109 x 29 x h. 29 in. 41 Lampada a sospensione di Pierre Guariche Francia, 1955. Bilancere in ottone, paralumi in metallo verniciato a doppia luce direzionabile. d. 13 - d. 44 x 140 x h. 60 cm. Ceiling lamp by Pierre Guariche France, 1955. Balancing rod in brass, lampshades in painted metal, for two directionable cones of light. d. 5 - d. 17 x 55 x h. 24 in. 42 Quattro sedie di Roger Tallon Francia, 1964-1966. Serie Module 400, disegnata nel 1964 e realizzata due anni dopo dalla Galleria Lacloche, Parigi. Struttura in fusione d'alluminio, rivestimento in vinile. 42 x 45 x h. 72 cm. Four “Module 400” chairs by Roger Tallon France, 1964-1966. Designed in 1964 and produced two years later by Galerie Lacloche, Paris. Frame in cast aluminum, upholstered in vinyl. 17 x 18 x h. 28 in. 43 Tavolo allungabile di Hans Wegner. Danimarca, anni '60. Legno di quercia. 160 x 100 x h. 72 cm., allungato 280 x 100 x h. 72 cm. 44 Length-adjustable table by Hans Wegner. Denmark, 1960s. Oak wood. 63 x 39 x h. 28 in., full length 110 x 39 x h. 28 in. Tappeto di Marta-Maas Fjetterstrom e Ann-Mari Lindbom Svezia, 1944. Firmato AB MMF AML Tessitura a mano in lane policrome. 308 x 195 cm. Carpet by Marta-Maas Fjetterstrom and Ann-Mari Lindbom Sweden, 1944. Signed AB MMF AML Flat weave in various colors of wool. 121 x 77 in. 45 Coppia Poltrone "PK-20" di Poul Kjaerholm Danimarca, 1967. Prodotte da Fritz Hansen nel 1970. Struttura in acciaio cromato, rivestimento in pelle originale del periodo. 81 x 76 x h. 91 cm., seduta h. 37 cm. 46 Pair of “PK-20” easy chairs by Poul Kjaerholm Denmark, 1967. Produced by Fritz Hansen in 1970. Frame in chrome-plated steel, upholstered in the original leather. 32 x 30 x h. 36 in., seat h. 15 in. Cassettone di Gio Ponti Italia, 1950 circa. Realizzato in legno di noce, quattro cassetti con motivi asimmetrici a rilievo che fungono da maniglie. Etichetta originale dell'epoca con la dicitura: M. Singer & Sons New York - Chicago. 120 x 50 x h. 94 cm. Chest of drawers by Gio Ponti Italy, around 1950. Walnut, four drawers with asymmetrical decorations that also function as handles. Original label, with the indication: M. Singer & Sons New York - Chicago. 47 x 20 x h. 37 in. 47 Tappeto Francia, 1930 circa. Annodatura in lane policrome. 270 x 225 cm. Carpet France, around 1930. Knotted in various colors of wool. 106 x 89 in. 49 48 Lampada a sospensione di Stilnovo Italia, anni '60. Metallo verniciato e brunito, cristallo sfaccettato. d. 45 x h. 140 cm. Ceiling lamp by Stilnovo Italy, 1960s. Painted and burnished metal, cut crystal. d. 18 x h. 55 in. Michel Boyer 50 Michel Boyer, architetto e designer d’interni, è nato a Parigi nel 1935. Inizia a lavorare a Parigi negli anni ’60. Alla fine degli anni Sessanta, oltre a collaborare con clienti come Christian Dior, L’Oréal e Balmain, firma importanti progetti d’interni, fra cui l’Ambasciata francese a Brasilia e a Washington, la Banca Rothschild e i Magazzini Lanvin a Parigi. Dopo i primi successi, Boyer ottiene carta bianca dal committente per progettare in totale autonomia, creando un insieme armonico di arredi, luci e oggetti di design. Michel Boyer, architect and interior designer, born in Paris in 1935. He began his career in Paris in the 1960s. By the end of the 1960s, in addition to working with clients such as as Christian Dior, L’Oréal and Balmain, he was authoring important projects in interior design, including the furnishings of the French Embassies in Brasilia and Washington, as well as those of the Banque Rothschild and the Lanvin department stores in Paris. After his first great successes, Boyer could ask commissioners for carte blanche so as to work in full autonomy, and thus to design harmonious ensembles of furnishings, lights and objects of design. Per avere accesso diretto al mercato, Boyer crea una propria azienda, la Rouve Gallery, per la quale disegna mobili a partire dal 1969. È di questi anni l’interesse per i nuovi materiali come il fiberglass e il laminato, le cui potenzialità sono messe a frutto per creare forme originali di sedie e di tavolini da caffè. Il suo nome è legato ad un uso sapiente dell’acciaio: utilizza acciaio curvato per la sua famosa sedia a ‘x’, e tubi curvati per abbracciare la seduta circolare imbottita di una chaffeuse. Boyer sceglie l’acciaio anche per la straordinaria scrivania di Alain e Elia de Rothschild, in forte ed elegante contrasto con i legni di pero e di ramino. For direct access to the market, Boyer created a firm of his own, Rouve Gallery, for which he began in 1969 to formulate furniture designs. These were the years of his interest in such new materials as fiberglass and plywood, of which he exploited the potential for the creation of original forms for chairs and coffee tables. His name is also linked to the effective use of steel; he employed curved steel for his famous “X-shaped” chair, and curved steel tubing as the surrounding frame of the circular, upholstered seat of a chauffeuse. Boyer again used steel for the extraordinary desk of Alain and Elia de Rothschild, where it functions in strong and elegant contrast to pear and “ramino” woods. Nel 1973 aderisce al gruppo MOB6 di Yonel Lebovici, che promuove una “nuova via” interdisciplinare all’arte con l’intento di colmare il solco fra oggetti d’arte e oggetti di uso quotidiano, fra oggetti di design e oggetti triviali. Nel 1975 lavora per Renault, Moet & Chandon, Hennessy e Christian Dior. Fra il 1985 e il 1990 firma progetti per le banche Paribas, Citybank e Crédit Lyonnais, e arreda lo Sheraton Hotel di Amsterdam e l’Hotel Sequoia a Eurodisney. In 1973, he became a member of Yonel Lebovici’s MOB6 Group, which promoted the “new way” of an interdisciplinary approach, with the goal of bridging the gap between art objects and objects of daily use, between objects of design and the common run of things. In 1975, he worked for Renault, Moet & Chandon, Hennessy and Christian Dior. Between 1985 and 1990 he undertook projects for Paribas bank, Citybank and Crédit Lyonnais, and decorated the Sheraton Hotel in Amsterdam as well as Hotel Sequoia at Eurodisney. Michel Boyer ha insegnato all’École Nationale Superieure des Arts Décoratifs (ENSAD) ed è stato Presidente della Société des Artistes Décorateurs. Vive a Parigi. Michel Boyer has taught at the École Nationale Superieure des Arts Décoratifs (ENSAD) and has been President of the Société des Artistes Décorateurs. He lives in Paris. 51 Scrivania di Michel Boyer Francia, fine anni '60. Eseguita per gli arredi della Banca Rothschild di Parigi. Struttura in legno di pero e di ramino, acciaio e formica. 180 x 80,5 x h. 75 cm. 52 Desk by Michel Boyer France, end of the 1960s. Realized for the furnishings of the Banque Rothschild, in Paris. Frame in pear and “ramino” wood, steel and formica. 71 x 32 x h. 30 in. 53 Sedia in ferro di Officina 11, Roma, di Fabio De Sanctis e Ugo Sterpini Italia, 1962-1963. Tubo di ferro piegato e saldato, trattamento protettivo, sedile in cuoio grasso. Pubblicata sul libro Il Mobile Surrealista di Pietro Costa Viappiani, Magis Books Editori, pag. 110. 58 x 133 x h. 104 cm., seduta h. 23 cm. 54 Chair from Officina 11, Rome, by Fabio De Sanctis and Ugo Sterpini Italy, 1962-1963. Bent and welded iron tubing, protective treatment, seat in raw leather. Reproduced in Pietro Costa Viappiani’s Il Mobile Surrealista, p. 110, Magis Books, Publishers. 23 x 52 x h. 41 in., seat 9 in. Tappeto Francia, 1930 circa. Annodatura in lane policrome. 298 x 200 cm. Carpet France, around 1930. Knotted in various colors of wool. 117 x 79 in. Carpet by Emile Gaudissart France, 1930. Signed E.G. Hand knotted on a cotton warp and woof. 136 x 95 in. 55 Tavolo da disegno di Poul Kjaerholm Danimarca, 1955. Eseguito da Rud. Rasmussens Snedkerier, esclusivamente per professori e studenti del Royal College of Art di Copenhagen. Struttura in metallo cromato scuro, piano in legno di pino. 141 x 85 x h. 87 cm. 5656 56 Drawing table by Poul Kjaerholm Denmark, 1955. Produced by Rud. Rasmussens Snedkerier, for the exclusive use of the professors and students at Copenhagen’s Royal College of Art. Frame in dark, chrome-plated metal, top in pine wood. 56 x 33 x h. 34 in. Tappeto Tanga Brun Och Gron di Marta Maas-Fjetterstrom e Barbro Nilsson Svezia, 1955. Firmato AB MMF BN. Tessitura in lane policrome. 330 x 277 cm. Tanga Brun Och Gron carpet by Marta Maas-Fjetterstrom and Barbro Nilsson Sweden, 1955. Signed AB MMF BN. Flat weave in various colors of wool. 130 x 109 in. 575757 57 58 Letto sovrapponibile di Carlo Mollino Italia, 1947. Realizzato da Ettore Canali per la Casa del Sole di Cervinia. Struttura in frassino alla cui testata posteriore è fissato un appendiabiti in acero massiccio, lateralmente è dotatodi un piano d'appoggio e di un comodino agganciato ad esso. 195 x 83 x h. 100 cm. Twin and/or bunk beds by Carlo Mollino Italy, 1947. Realized by Ettore Canali for the Casa del Sole, in Cervinia. Ash-wood frame with a solid maple clothes rack attached to the back of its headboard; equipped at the side with a shelf, and a night table attached to it. 77 x 33 x h. 39 in. 59 Coppia lampade da parete di Gio Ponti Italia, anni ‘60. Realizzate per gli arredi dell’Hotel Parcodei Principi di Roma, dalla ditta Candle, in ottone.Pubblicato sul libro Gio Ponti, pag. 372, di Ugo La Pietra, Coliseum Editore. 15 x 9,5 x h. 50 cm. Pair of wall lamps by Gio Ponti Italy, 1960s. Realized for the furnishing of Hotel Parco dei Principi, Rome, by Candle, in brass. Reproduced in the Gio Ponti book, p. 372, by Ugo La Pietra, Colisuem Publishers. 6 x 4 x h. 20 in. Tappeto Francia, 1930 circa. Annodatura in lane policrome. 290 x 190 cm. Carpet France, around 1930. Knotted in various colors of wool. 114 x 75 in. 60 60 61 Credenza di Arne Vodder Danimarca, 1959. Prodotta da Sibast. Palissandro, con due ante scorrevoli e reversibili, da un lato di colore giallo e dell'altro in palissandro naturale e sei cassetti. 250 x 47 x h. 80 cm. 62 Sideboard by Arne Vodder Denmark, 1959. Produced by Sibast. Rosewood, with two sliding, reversible doors, yellow on one side, natural rosewood on the other, and six drawers. 98 x 19 x h. 31 in. Lampada da terra 'K10-11' di Tapio Wirkkala Finlandia, 1958. Paralume in metallo verniciato, stelo e braccio regolabili in ottone. h. 136 cm. “K10-11” floor lamp by Tapio Wirkkala Finland, 1958. Lampshade in painted metal, height-adjustable arm and shaft in brass . h. 54 in. 63 Quattro poltrone "Saturns Series" di Yrjo Kukkapuro Finlandia, 1966-1967. Struttura in fiberglass, base circolare girevole, rivestimento in pelle originale del periodo. 80 x 80 x h. 75 cm. 64 Four “Saturn Series” easy chairs by Yrjo Kukkapuro Finland, 1966-1967. Frame in fiberglass, swiveling circular base, upholstered in the original leather. 31 x 31 x h. 30 in. Tappeto di Edward Field U.S.A. anni '70. Annodatura in lana monocroma. 400 x 392 cm. Carpet by Edward Field U.S.A. 1970s. Knotted in a single color of wool. 157 x 154 in. 65 Lampada a grande sospensione prodotta da Stilnovo Italia, anni '50. Ottone, vetri incisi e acidati. d. 100 x h. 124 cm. 66 Large ceiling lamp by Stilnovo Italy, 1950s. Brass, engraved and etched glass. d. 39 x h. 49 in. Tavolo di Paolo Tilche e Anna Pontremoli Italia, 1960 circa. Realizzato per Arform, Milano. Struttura in acciaio, piano in legno trasformabile in scrittoio. d.130 x h. 78 cm. Table by Paolo Tilche and Anna Pontremoli Italy, around 1960. Realized for Arform, Milano. Steel frame, wooden top, can be transformed into a writing desk. d. 51 x h. 31 in. 67 69 68 Tappeto Mongolia, seconda metà XIX secolo. Annodatura in lane policrome, su trama e ordito in lana. 355 x 300 cm. In collaborazione con Khotan srl. Carpet Mongolia, second half of the nineteenth century. Knotted in various colors of wool, on a woolen warp and woof. 140 x 118 in. In collaboration with Khotan, srl. Lampada a sospensione di Ilmari Tapiovaara Finlandia, 1970. Realizzata da Orno, in 10/15 esemplari, per Hotel Intercontinental di Helsinki. Ottone e vetro. d. 78 cm. Ceiling lamp by Ilmari Tapiovaara Finland, 1970. Realized by Orno, in an edition of ten to fifteen examples, for Helsinki’s Hotel Intercontinental. Brass and glass. d. 31 in. Peder Moos Peder Moos è uno dei talenti più singolari del design del Novecento danese. Nato a Nybøl nel 1906 da una famiglia di contadini, nel 1921 va a bottega e dal 1926 al 1929 lavora a Parigi, Ginevra e Losanna. Nel 1935, in parallelo con gli studi all’Accademia di Belle Arti, apre un laboratorio a Bredgade (Copenhagen). Durante la seconda guerra, insegna al Teknologisk Institut. Peder Moos is one of the most singular talents of twentieth-century Danish design. Born in 1906 in a farming family of Nybøl, he entered a workshop in 1921, and from 1926 to 1929 he worked in Paris, Geneva and Lausanne. In 1935, in parallel with studies at the Academy of Fine Arts, he opened a workshop in Bredgade, in Copenhagen. During the Second World War, he taught at the Teknologisk Institut. Nel 1947 disegna e costruisce un tavolo da lavoro per la propria casa usando i ‘materiali’ che trova subito fuori di casa: noce, faggio e la luce della natura danese, da allora e per sempre la sua musa ispiratrice. La forma organica è funzionale alla disposizione del massimo numero di persone intorno alla circonferenza data, anche se il tavolo adempie alla funzione primaria di piano di lavoro. L’estensione con tripode verrà disegnata più tardi. Dal 1962 al 1965, nell’arco di tre anni, realizza interamente a mano una biblioteca in palissandro, uno dei pezzi più complessi della sua produzione per qualità di esecuzione e intelligenza delle soluzioni. In 1947, he designed and constructed a work table for his own home, employing the “materials” that he found right outside his front door: walnut, beech and the light of Denmark’s world of nature, which ever since has been his constant muse. The table’s organic shape is also functional, in the sense of allowing the seating of a maximum number of persons around its given circumference, even if it finds its primary function as a work table. The tripod-based extension was designed at a later date. From 1962 to 1965, throughout the space of three years, he entirely handcrafted a rosewood bookcase, one of the three most complex pieces he was ever to produce, in terms of the quality of its execution and the intelligence of its functions and details. La profonda comprensione dei materiali, l’assoluto controllo sull’esecuzione, il rispetto del modo in cui il mobile dovrebbe funzionare e una folgorante intuizione concorrono a uno stile spiazzante ma sempre armonico e profondamente vitale. La sua poetica arriva a trasformare ogni pezzo in un’opera d’arte, una testimonianza quasi etica di tensione alla bellezza e all’estro individuale. Profound understanding of materials, absolute control of execution, respect for the ways in which the piece of furniture has to function, and lightning intuition all come together in a highly surprising but always harmonious and profoundly vital style. Moos’ poetic turns every piece he makes into a work of art, an almost ethical tribute to the longing for beauty and the imagination of the individual. Nel libro Diario di un ebanista James Krenov racconta un episodio sul famoso ebanista danese Peder Moos. La storia vuole che Peder Moos realizzò una sedia per un cliente in Oriente e la spedì via mare. Una volta scaricata dalla nave, un elefante la schiacciò con le zampe. L’unica cosa che restò intatta furono le giunture: tutto il resto era ridotto in mille schegge. 70 James Krenov’s A Cabinet-makers Notebook tells a story about Peder Moos, this famous Danish ebonist. He recounts that Moos constructed a chair for a client in the Orient, and shipped it off by boat. But once it arrived and had been unloaded, an elephant crushed it beneath its feet: the joints survived, whereas everything else was shattered into thousands of pieces. 71 73 72 Libreria di Peder Moos Danimarca 1962-1965. Realizzata in tre anni completamente a mano, in legno di palissandro, congiunzioni ad incastro e spinature in legno, su committenza di un importante cliente ed intimo amico. E’ uno dei più pregiati esemplari, considerato un caposaldo del design moderno. 71 x 34 x h. 192 cm. Book case by Peder Moos Denmark 1962-1965. Entirely hand-crafted in rosewood in three years of work, mortise joints and spines in wood, on commission from an important client and intimate friend. This is one of the most intricate and famous examples of Moos’ work, and considered a reference point of modern design. 28 x 13 x h. 76 in. 75 74 Tavolo da lavoro di Peder Moos Danimarca, 1947. Progettato e realizzato come tavolo da lavoro per la sua abitazione, utilizzando legno di noce e di faggio. La parte allungabile a tre gambe fu realizzata successivamente. Unico esemplare. 120 x 91 x h. 65 cm. 95 x 93 x h. 67 cm. Work table by Peder Moos Denmark, 1947. Designed and realized as a work table for his own home, in walnut and beech wood. The part that can be lengthened, on three legs, was realized at a later date. Unique example. 47 x 36 x h. 26 in. 37 x 37 x h. 26 in. 76 77 Coppia di poltrone di Hans Brattrud Norvegia, 1957. Realizzate da Hove in palissandro curvato, gambe in acciaio. 70 x 73 x h. 105 cm. Pair of easy chairs by Hans Brattrud Norway, 1957. Produced by Hove in curved rosewood, steel legs. 28 x 29 x h. 49 in. 79 78 Tappeto Francia, 1930 circa. Annodatura in lane policrome. 294 x 188 cm. Carpet France, around 1930. Knotted in various colors of wool. 116 x 74 in. Tavolo da lavoro "PK 55" di Poul Kjaerholm Danimarca, 1957. Eseguito da Kold Khristensen. Struttuta in acciaio cromato, piano in legno di pino. 204 x 102 x h. 68,5 cm. “PK 55” work table by Poul Kjaerholm Denmark, 1957. Produced by Kold Khristensen. Frame in chrome-plated steel, top in pine wood. 80 x 40 x h. 27 in. Tappeto Decò Francia, 1930 circa. Annodatura in lane policrome. 300 x 193 cm. Decò carpet France, around 1930. Knotted in various colors of wool. 118 x 76 in. 80 81 Tappeto Amritzar India nord-occidentale, fine XIX secolo. Annodatura in lane policrome, su trama e ordito in lana. 345 x 330 cm. Amritzar Carpet North-west India, end of the nineteenth century. Knotted in various colors of wool, on a woolen warp and woof. 136 x 130 in. Sgabello "Fun leg n. X601" di Alvar Aalto Finlandia, 1954. Eseguito da Artek, è considerata una delle soluzioni più sofisticate di Aalto, elaborata dalla prima costruzione Y-leg. Sedile in pelle, gambe in legno laminato. 60 x 60 x h. 45 cm. “Fun leg” stool no. X601 by Alvar Aalto Finland, 1954. Produced by Artek, this is considered to be one of Aalto’s most sophisticated designs, derived from the first Y-leg construction. Seat in leather, legs in plywood. 24 x 24 x h. 18 in. Lampada da terra di Paavo Tynell Finlandia, anni '50. Paralume in metallo verniciato, stelo in ottone ricoperto in rattan. h. 150 cm. Floor lamp by Paavo Tynell Finland, 1950s. Lampshade in painted metal, brass shaft covered with rattan. h. 59 in. 82 83 Credenza di Arne Vodder Danimarca, 1959. Prodotta da Sibast. Palissandro, con due ante scorrevoli e reversibili, da un lato di colore giallo e dell'altro in palissandro naturale e sei cassetti. 180 x 50 x h. 70 cm. 84 Sideboard by Arne Vodder Denmark, 1959. Produced by Sibast. Rosewood, with two sliding, reversible doors, yellow on one side, natural rosewood on the other, and six drawers. 71 x 20 x h. 28 in. Tappeto Francia, 1930 circa. Firmato DFC. Annodatura in lane policrome. 245 x 152 cm. Carpet France, around 1930. Signed DFC. Knotted in various colors of wool. 96 x 60 in. 85 Finn Juhl 86 Finn Juhl, nato a Copenhagen nel 1912, entra alla Scuola di Architettura dell’Accademia Reale Danese di Belle Arti nel 1930, lo stesso anno della mostra di Stoccolma e dello sbarco dello stile Internazionale in Scandinavia. Sotto la guida di Kay Fisker, Juhl diventa uno degli allievi più interessanti della propria classe. Terminata la scuola nel 1934, Finn Juhl inizia il tirocinio nello studio di Wilhelm Lauritzen. Alla fine del secondo conflitto mondiale e dopo aver portato a termine la sala dei concerti della Radio danese, Juhl dà le dimissioni e apre il proprio studio. Born in Copenhagen in 1912, Juhl entered the School of Architecture at the Royal Danish Academy of Fine Arts in 1930 —the same year as the Stockholm exhibition, and the year in which Scandinavia experienced the breakthrough of the International style. Juhl studied with Kay Fisker, and revealed himself to be one of the most interesting students in his class. After the spring term of 1934, Juhl started his career as an intern at the studio of Wilhelm Lauritzen. It was only at the end of World War II, and after seeing the completion of the concert hall of the Danish Radio Station, that Juhl resigned and opened a studio of his own. Nel 1937 Niels Vodder chiede a Finn Juhl di disegnare dei mobili per la mostra annuale della Gilda degli Ebanisti. Questi primi progetti di Juhl nascono nel solco di una forte influenza da parte di artisti come Jean Arp, Henry Moore e il danese Erik Thommesens. Le loro sculture sono spesso state inserite nei progetti di architettura d’interni di Juhl. I primi pezzi di Juhl sono imbottiti, con forme organiche, colori accesi e un aspetto leggermente scomposto e vengono accolti in modo controverso. In 1937 Niels Vodder suggested that Juhl might design a number of pieces of furniture for the annual exhibition of the Cabinet Makers’ Guild. These early designs show the strong influence of artists such as Jan Arp, Henry Moore and the Danish Erik Thommesens. Sculptures by these artists were also often included in Juhl’s schemes for interior decorations. These first pieces of furniture —upholstered, “organically” shaped, brightly colored, and somewhat clumsy-looking— were seen as controversial. Dopo un periodo sperimentale, nel dopoguerra Juhl inizia a separare gli elementi della seduta, dello schienale e del piano del tavolo dagli elementi portanti. Questa soluzione viene sperimentata anche da Rietveld e Bruer ma nel caso di Finn Juhl, grazie alla cooperazione con l’esperienza di Niels Vodder, l’artigianato si evolve in tradizione moderna. Juhl si cimenta, invece che con il classico mogano, anche con materiali ‘nuovi’ come il tek, il palissandro, l’abete dell’Oregon, e nel 1953 disegna per France & Son la prima sedia in tek per la produzione in serie (Model 133). After an early experimental period, Juhl began in the post-war years in his own studio to separate the carrying parts of his pieces of furniture from the seats, the backs or the tabletops. Rietveld and Breuer had made similar experiments. But Finn Juhl’s achievement, in collaboration with the skillful Niels Vodder, was to pull handcraftsmanship into a modernist tradition. He also experimented with “new” materials, such as teak, rosewood, and Oregon pine, instead of relying on classic mahogany. In 1953, for France & Son, he designed the first teak chair for mass production (Model 133). Finn Juhl è leggero nei colori, nella struttura e nelle forme. Disegna oggetti come se fossero architetture. Paragonato a Giò Ponti, Alvar Aalto e più tardi Aldo Rossi, che progettano gli arredi come piccoli pezzi della loro architettura, i mobili e gli arredi di Juhl mostrano un grande rispetto per le proprietà specifiche del materiale. Finn Juhl relied on lightness in color, structure and form, and he designed his works in an architectural manner. He can be compared in this sense with Giò Ponti, Alvar Aalto and later Aldo Rossi, all of whom created their furniture nearly as though it constituted smaller versions of their architectural projects. Juhl’s interiors and furniture show great respect for his materials’ specific qualities. Fra le opere più importanti di Finn Juhl, e secondo R. Craig Miller “due capolavori del loro secolo”, vi sono la poltrona e il divano a due posti Chieftain, entrambi realizzati nel 1949. La giustapposizione di legno spesso e legno sottile crea una base architettonica per gli elementi della seduta e dei braccioli, con un delicato equilibrio “fra parte imbottita e struttura portante”. Il nome rimanda alla fonte di ispirazione di Juhl: l’arte primitiva e le armi. La poltrona Chieftain viene prodotta per la prima volta per le 78 ambasciate danesi in tutto il mondo, e in un secondo momento in serie limitata da Niels Vodder. Il divano a due posti è assai più raro e ad oggi sono noti solo quattro esemplari. Finn Juhl’s most compelling designs —and, in the words of R. Craig Miller, “two of the century’s masterpieces”— are the Chieftain Chair and the Double Chieftain Chair, both of which were designed and first exhibited in 1949. An integrated structure of thicker and thinner slabs of wood serves as the architectural base for the seats as well as the arm-rests and creates a delicate balance between “carried and carrying” elements. The chair’s name calls attention to the sources of inspiration on which Juhl drew while making it: primitive art and weapons. The Chieftain Chair was first produced for the seventy-eight Danish embassies throughout the world, and a limited number were later made by Niels Vodder. The Double Chieftain Chair is far more rare, and to date is known to exist in only four examples. Juhl sviluppa la propria idea costruttiva di elemento imbottito ed elemento portante (“the bearing and the borne”) per costruttori di mobili come Baker, Bovirke e France & Daverkosen. Non rimane fermo e adotta, da buon architetto, strutture in acciaio. Esempi di questa evoluzione sono la splendida scrivania del 1953 in cui i colori applicati – uno dei primi casi – si armonizzano con il legno, e il daybed disegnato per l’architetto Eske Kristensen nel 1958, entrambi prodotti da Bovirke. Juhl made use of his principle of construction —his notion of “carried and carrying elements”— for such producers as Baker, Bovirke, France, and Daverkosen. As the modern architect which in fact he was, he shifted to the use of steel frameworks. An example can be found in the singular sofa and day-bed which he designed in 1960 for the architect Eske Kristensen, and which then was produced by Bovirke. There is also the splendid desk to which he added—as one of the first—colors that harmonize with the wood. Finn Juhl si spegne a Copenhagen nel 1989. Finn Juhl died in Copenhagen in 1989. 87 Divano a due posti "Double Chieftain Chair" di Finn Juhl Danimarca, 1949. Prodotta da Niels Vodder. Struttura in teak, rivestimento in pelle nera originale del periodo. Sino ad oggi si è a conoscenza; dell’esistenza di soli quattro esemplari; uno appartenente alla seconda moglie Hanne; uno esposto al Kunstindustri Museum di Copenhagen; uno presso una collezione privata; e l’esemplare qui proposto, acquistato da un privato al "Den Permanente" di Copenhagen. 196 x 95 x h. 95 cm. 88 Two-seater “Double Chieftain” Sofa by Finn Juhl Denmark, 1949. Produced by Niels Vodder. Frame in teak, upholstered in the original black leather. Known to date to exist in only four examples: one in the possession of Juhl’s second wife, Hanne; one at Copenhagen’s Kunstindustrimuseum; one in a private collection; and the example presented here, purchased by a private customer at Copenhagen’s “Den Permanente.” 77 x 37 x h. 37 in. 89 Tavolo basso di Finn Juhl. Danimarca, 1952. Eseguito da Bovirke e presentato al Forum di Copenhagen nello stesso anno. Struttura in legno di noce e faggio, superfice in opaline. Esemplare molto raro. 77 x 56 x h. 56 cm. 90 Low table by Finn Juhl Denmark, 1952. Produced by Bovirke and presented at his show in the same year at Copenhagen’s Forum. Frame in walnut and beech wood, top in white glass. A very rare example. 30 x 22 x h. 22 in. Tavolo basso di Finn Juhl Danimarca, 1955-1958. Eseguito da Niels Vodder, struttura in acciaio, piano e parte terminale gambe in teak. Esemplare molto raro. 100 x 100 x h. 45 cm Low table by Finn Juhl Denmark, 1955-1958. Produced by Niels Vodder, frame in steel, table top and tips of the legs in teak. A very rare example. 39 x 39 x h. 18 in. 91 Mobile da ufficio di Finn Juhl Danimarca, 1960 circa. Eseguito da Bovirke. Struttura in palissandro massiccio, con ripiano scorrevole, cassetti e un’anta, gambe in acciaio. 92 x 42 x h. 71 cm. 92 Office cabinet by Finn Juhl. Denmark, around 1960. Produced by Bovirke. Frame in solid rosewood, with sliding shelf, drawers and a door, steel legs. 36 x 17 x h. 28 in. Poltrona mod. 49A "Chieftain Chair" di Finn Juhl Danimarca, 1949. Prodotta da Niels Vodder. Struttura in teak, rivestimento in pelle originale del periodo. Prodotta per la prima volta per le settantotto ambasciate danesi in tutto il mondo, in un secondo tempo in serie limitata da Niels Vodder Esemplare rarissimo. 98 x 95 x h. 95 cm. “Chieftain Chair” mod. 49A by Finn Juhl Denmark, 1949. Produced by Niels Vodder. Frame in teak, upholstered in the original leather. First produced for the seventy-eight Danish embassies trought the world, and a limited number were later made by Niels Vodder A very rare example. 39 x 37 x h. 37 in. 93 Scrivania di Finn Juhl Danimarca, 1953. Eseguita da Bovirke. Struttura in metallo, piano e prolunga in teak, quattro cassetti con frontale colorato. Raro esemplare. 170 x 85 x h. 69 cm. 94 Desk by Finn Juhl Denmark, 1953. Produced by Bovirke. Frame in metal, top and extension in teak, four drawers with colored front panels. A rare example 67 x 33 x h. 27 in. 95 Daybed di Finn Juhl Danimarca, 1958-1962. Provenienza abitazione Arch. Eske Kristensen. Struttura in teak massiccio, con due cassettoni scorrevoli, rivestimento in tessuto originale di Bovirke. 293 x 84 x h. 45 cm. 96 Daybed by Finn Juhl Denmark, 1958-1962. From the home of architect Eske Kristensen. Frame in solid teak, with two sliding drawers, and upholstered in the original Bovirke fabric. 115 x 33 x h. 18 in. 97 Tappeto Francia, 1940 circa. Annodatura in lane policrome. 292 x 189 cm. Carpet France, around 1940. Knotted in various colors of wool. 115 x 74 in. 98 Coppia sedie di Poul Kjaerholm Danimarca, 1952. Sviluppata in collaborazione con Jorgen Hoj e prodotta da Thorvald Madsens Snedkerier. Struttura di legno e rivestimento in corda originale del periodo. 65 x 82 x h. 62 cm., seduta h. 18 cm. Pair of chairs by Poul Kjaerholm Denmark, 1952. Designed in collaboration with Jorgen Hoj and produced by Thorvald Madsens Snedkerier. Wood frame, upholstered in the original cord. 26 x 32 x h. 24 in., seat h. 7 in. 99 99 Daybed di Charlotte Perriand Francia, 1960 circa. Proveniente da uno chalet di montagna sulle Alpi. Legno di pino, piedi rotondi e bordi in raffia. 154 x 88 x h. 50 cm. 100 Daybed by Charlotte Perriand France, around 1960. From a chalet in the Alps. Pine wood, round feet and side panels in raffia. 61 x 35 x h. 20 in. 101 103 102 Lampada a sospensione di Sciolari Italia, anni '60. Acciaio e alluminio cromato. d. 90 x h. 122 cm. Ceiling lamp by Sciolari Italy, 1960s. Steel and chrome-plated aluminum. d. 35 x h. 48 in. Tappeto "Ursula" di Marta Maas-Fjetterstrom Svezia, 1935, eseguito prima del 1942. Firmato MMF. Tecnica a rilievo, parzialmente tessuto e annodato. 365 x 260 cm. “Ursula” carpet by Marta Maas-Fjetterstrom Sweden, 1935, executed before 1942. Signed MMF. Relief technique, partly woven, partly knotted. 144 x 102 in. Tappeto di Emile Gaudissart Francia, 1930. Firmato E.G. Annodatura a mano su trama e ordito in cotone. 345 x 240 cm. Carpet by Emile Gaudissart France, 1930. Signed E.G. Hand knotted on a cotton warp and woof. 136 x 95 in. 105 104 Tappeto Svezia, anni '50. Firmato SH BK (Svensk Hemslojd Berit Koening). Tessitura piatta, eseguito in lana, l'effetto apparentemente monocromo è ottenuto da melange di lane colorate. 615 x 380 cm. Carpet Sweden, 1950s. Signed SH BK (Svensk Hemslojd Berit Koening). Flat weave, in wool, with apparently monochrome effect achieved through a mixture of colored wools. 242 x 150 in. Mobile contenitore di Giò Ponti Italia, 1960-1964. Progettato per Hotel Parco dei Principi di Roma. Frassino e formica, con anta laterale. Esemplare unico. 84 x 30,5 x h. 92,5 cm. Cabinet by Giò Ponti Italy, 1960-1964. Designed for Hotel Parco dei Principi, Rome. Ash-wood and formica, with a side door. Unique example. 33 x 12 x h. 36 in. Tappeto Svezia, XVIII secolo. Annodatura a pelo lungo, con inserti di tessuto in lana, che si attribuiscono alle divise dei soldati. 183 x 145 cm. Carpet Sweden, eighteenth century, knotted in long pile wool, with inserts in woolen fabric, held to be reclaimed from soldier’s uniforms. 72 x 57 in. 106 107 Sedia di Verner Panton Danimarca, 1998. Esemplare n. 7, realizzato in vetro da Hebsgaard, per la Galleria Tommy Lund, in venti esemplari numerati e firmati. 42 x 42 x h. 84 cm., seduta h. 44 cm. 108 Chair by Verner Panton Denmark, 1998. Realized in glass by Hebsgaard for the Tommy Lund Gallery. No. 7 of an edition of twenty examples, signed and numbered. 17 x 17 x h. 33 in., seat h. 17 in. 109 Panca pieghevole Cina, regione Shanxi, metà XVIII secolo. Struttura in legno laccato nero, seduta in tessuto. 106 x 51 x h. 97 cm., seduta h. 55 cm. 110 Folding bench China, Shanxi Province, mid-eighteenth century. Frame in black lacquered wood, cloth seat. 42 x 20 x h. 38 in., seat h. 22 in. Tappeto Pechino Cina, fine XIX secolo. Annodatura in lane policrome, su trama e ordito in lana. 440 x 430 cm. In collaborazione con Khotan srl. Peking carpet China, end of the nineteenth century. Knotted in various colors of wool, on a woolen warp and woof. 173 x 169 in. In collaboration with Khotan, srl. 111 113 112 Tappeto Israele, anni '40. Annodato in lane policrome. Gli atelier di manifattura Israeliana, hanno prodotto pochi esemplari. 310 x 195 cm. Otto sedie "Nana Chair" di Ilmari Tapiovaara Finlandia, 1956. Prodotte da J. Merivaara Ltd, struttura in acciaio tubolare e legno compensato verniciato. 41 x 36 x h. 73 cm., seduta h. 41 cm. Eight “Nana Chairs” by Ilmari Tapiovaara Finland, 1956. Produced by J. Merivaara Ltd, frame in steel tubing and painted plywood. 16 x 14 x h. 29 in., seat h. 16 in. Carpet Israel, 1940. Knotted in various colors of wool. Israeli ateliers have produced very few examples. 122 x 77 in. Consolle Cina, regione Shanxi, metà XIX secolo. Legno laccato nero con due cassetti laterali. Modello raro. 210 x 52 x h. 84 cm. 114 Console China, Shanxi Province, mid-Nineteenth century. Black lacquered wood with two side drawers. A rare piece 83 x 20 x h. 33 in. 115 Tre Vasi Ming Cina, XIX secolo. Ceramica con disegni eseguiti a mano. d. 38 x h. 57 cm. d. 40 x h. 63 cm. d. 40 x h. 65 cm. 116 Three Ming Vases China, nineteenth century. Ceramic with hand-crafted decorations. d. 15 x h. 22 in. d. 16 x h. 25 in. d. 16 x h. 26 in. Tappeto Italia, anni '60. Annodatura in lane policrome. 306 x 200 cm. Carpet Italy, 1960s. Knotted in various colors of wool. 120 x 79 in. 117 Tappeto Flokati di Alkiviadis Karamichos Grecia, 1970 circa. Raro esemplare eseguito a mano, colori naturali in lana di pecora, disegno diamante nelle tonalità del marrone e bianco. 376 x 239 cm. 118 Flokati carpet by Alkiviadis Karamichos Greece, around 1970. Rare hand-woven example, natural colors of sheep’s wool, diamond pattern in brown and white. 148 x 94 in. Set tavoli bassi di Kurt Ostervig Danimarca, anni ‘60. Realizzati in palissandro. 37 x 37 x h. 38 cm. 47 x 37 x h. 44 cm. 57 x 37 x h. 50 cm Set of low tables by Kurt Ostervig Denmark, 1960s. Realized in rosewood. 15 x 15 x h. 15 in. 19 x 15 x h. 17 in. 22 x 15 x h. 20 in. 119 Consolle Cina, provenienza Shanxi, metà XVIII secolo. Legno laccato nero. 259 x 44 x h. 79 cm. 120 Console China, Shanxi Province, mid-eighteenth century. Black lacquered wood. 102 x 17 x h. 21 in. Lampada da terra "Busto di Moro" di Piero Fornasetti Italia, anni '50. Composto da colonna in metallo laccato e spugnata a mano, h, 107 cm., busto in vitrous-china, h. 61 cm., lampadario in rame e gocce di cristallo, h. 42 cm. “Busto di Moro” Floor lamp by Piero Fornasetti Italy, 1950s. Composed of a painted and hand-sponged column, h, 42 in., a bust in vitreous-china, h. 24 in., lamp in copper and crystal drops, h. 17 in. 121 Tavolo "Cone table" di Verner Panton Danimarca, 1961. Prodotto da Pluslinje. Esemplare rarissimo perché abitualmente composto da un'unica gamba conica, quindi in misura ridotta. 150 x 83 x h. 71 cm. 122 “Cone table” by Verner Panton Denmark, 1961. Produced by Pluslinje. An extremely rare example, since this piece was normally produced with a single cone-shaped leg, and therefore on a smaller scale. 59 x 33 x h. 28 in. Tappeto Danimarca, 1950 circa. Tassitura a mano in lane policrome. Raro esemplare. 290 x 218 cm. Carpet Denmark, around 1950. Hand knotted in various colors of wool. Rare example. 114 x 86 in. 123 Tappeto di Gaetano Pesce Italia, 2002. Esemplare unico realizzato in silicone, riportante la frase: "questo nostro è il tempo delle domande... e non quello delle risposte”. 273 x 154 cm. Carpet by Gaetano Pesce Italy, 2002. Unique example realized in silicone, bearing the phrase: "questo nostro è il tempo delle domande... e non quello delle risposte”. (“Our time is the time of questions, not of answers.”) 107 x 61 in. 125 124 Lampada da terra “Giraffa” di Brotto, Italia, 1970. Prodotta da Esperia, struttura in acciaio cromato, paralume in alluminio satinato. Altezza regolabile. “Giraffa” floor lamp by Brotto, Italy, 1970. Realized by Esperia, frame in chromium plated steel, lampshade in glazed aluminum. Height adjustable. Tavolo d’appoggio di Vittorio Valabrega Italia, anni '30. Realizzato, nel suo atelier a Torino, in legno di noce massiccio tinto anilina, con cassetto e ripiano. Valabrega ha partecipato all'Esposizione Universale di Parigi nel 1900, ottenendo una medaglia d'oro e all'Esposizione Inernazionale di Milano, ottenendo il Grand Prix. 73 x 45 x h. 74 cm. End-table by Vittorio Valabrega Italy, 1930s. Realized in his studio in Turin in solid In walnut, tinted with aniline, witha drawer and a shelf. Valabrega took part in the Paris World’s Fair of 1900, where he won a gold medal, and he also took part in Milan’s Esposizione Internazionale, where he won the Grand Prix. 29 x 18 x h. 29 in. 127 126 Tappeto Svezia, anni '50. Firmato AF Tessitura a mano in lane bicrome. 348 x 216 cm. Carpet Sweden, 1950s. Signed AF Hand knotted in two colors of wool. 137 x 85 in. Tappeto Berbero Marocco, 1940 circa Rara iconocrafia. Annodatura in lane naturali. 250 x 170 cm. Berber carpet Morocco, around 1940. Rare iconography. Knotted in natural wool. 98 x 67 in. Lampada a bilanciere di Stilnovo Italia, 1958. Realizzata in ottone cromato, paralume in alluminio laccato bianco e nero. d. 28,5 x 96 cm. Balancing lamp by Stilnovo Italy, 1958. Realized in chrome-plated brass, lampshade in aluminum, painted white and black. d. 11 x 38 in. 128 129 131 130 Lampada a sospensione di Gino Sarfatti, Italia, anni '60. Prodotta da Arteluce, coppe in metallo laccato bianco,vetro sabbiato e ottone. d. 90 x h. 58 cm. Ceiling lamp by Gino Sarfatti, Italy, 1960s. Realized by Arteluce, white painted metal, frosted glass and brass. d. 35 x h. 23 in. Tappeto Francia, 1930 circa. Annodatura in lane policrome. 293 x 196 cm. Carpet France, around 1930. Knotted in various colors of wool. 115 x 77 in. Tappeto "Rabatten Bla" di Marta Maas-Fjetterstrom e Barbro Nilsson Svezia, 1944. Firmato AB MMF BN. Annodatura in lane policrome. 566 x 258 cm. 132 “Rabatten Bla” carpet by Marta Maas-Fjetterstrom and Barbro Nilsson Sweden, 1944. Signed AB MMF BN. Knotted in various colors of wool. 223 x 102 in. 133 Tavolo da pranzo eseguito dall'atelier Pontoppidan. Danimarca, inizio anni '60. Realizzato in palissandro, ripiano in massello. 250 x 110 x h. 72 cm. 134 Dining-room table realized by Atelier Pontoppidan. Denmark, early 1960s. Solid rosewood top. 98 x 43 x h. 28 in. Coppia Lampade a sospensione "Mod. 2589" di Fontana Arte Italia, anni '70. Tubi cilindrici in metallo verniciato. 25 x 25 x h. 140 cm. Pair of “Mod. 2589” ceiling lamps by Fontana Arte Italy, 1970s. Cylindrical tubes in painted metal. 10 x 10 x h. 55 in. 135 Tavolo Cina, regione Shanxi, metà XVIII secolo. Legno laccato nero, trasformabile in due consolle. d. 120 x h. 84 cm. 136 Table China, Shanxi Province, mid-eighteenth century. Black lacquered wood, can be transformed into two consoles. d. 47 x h. 33 in. Tappeto di Emilio Pucci realizzato da Dandolo Argentina, 1972-1975. Doppia annodatura a mano in lane policrome. Esposto al Museo Arte Decorativa di Buenos Aires. 437 x 353 cm. Carpet by Emilio Pucci Realized by Dandolo Argentina, 1972-1975. Double hand knotted in various colors of wool. Exhibited at the Museo Arte Decorativa of Buenos Aires. 172 x 139 in. 137 Alvar Aalto Per Aalto ogni lavoro di progettazione è un processo a sé, in cui ad ogni passaggio si deve ricercare la soluzione che meglio si pone al servizio dell’utente. In questo senso, Aalto è un maestro del razionalismo. D’altro canto la sua produzione in architettura e nel design contiene un elemento fortemente artistico. Alla base della sua creatività vi è un elemento scherzoso e ironico, esperimenti e libere associazioni hanno un ruolo importante nel suo percorso creativo (Aalto era famoso per il talento verbale e l’abilità nel raccontare storie). Alvar Aalto saw each of his projects as a process entirely its own, and in each of the phases of every project he saw it as his duty to search out the solution that best would work to the advantage of the final consumer. In this sense, Aalto was a master of rationalism. But on the other hand, his work in both design and architecture contains a highly artistic element. At the roots of his creativity, there’s an element of play and irony; experiment and free association were also important in his work. He was likewise famous for his way with words, and for his great ability as a story-teller. Nato a Kuortane nel 1898, nel 1916 si iscrive al Politecnico di Helsinki, dove si laurea in architettura nel 1921. Dal 1923 al 1927 firma 36 progetti di architettura, di cui 14 realizzati. I viaggi in Olanda e in Francia nel 1928 lo avvicinano alle correnti internazionali del modernismo. A partire dagli anni ’30 è già un nome affermato a livello internazionale, anche grazie ai rapporti personali allacciati con Le Corbusier, MoholyNagy e Leger. Nei primi anni ’30 il negozio di mobili svizzero Wohnbedarf inizia la produzione e la vendita di alcuni mobili, nello stesso periodo in cui in patria Aalto vince concorsi per oggetti in vetro e disegna il famoso vaso Savoy. Nel 1933 completa il cantiere del Sanatorio di Paimio, che consacra il giovane maestro in tutto il mondo. Per questo edificio progetta tutti gli interni e li produce direttamente. Nello stesso periodo arrivano i primi riconoscimenti come designer di mobili. Gli arredi di Aalto sono strettamente legati alle invenzioni nelle giunture del legno. Molte delle sue innovazioni vengono registrate come brevetti in diversi paesi negli anni ’30, ’40 e ’50. Secondo la sua concezione, gli interni e gli oggetti di interior design devono essere concepiti in armonia con lo stile architettonico dell’edificio. Born in Kuortane in 1898, he enrolled in 1916 at Helsinki’s Polytechnic, from which he received his degree in architecture in 1921. Between 1923 and 1927, he authored thirty-six architectural projects, of which fourteen were realized. In 1928 his travels in France and Holland put him in touch with the international currents of modernism. In as early as the 1930s, he was already a well-known name on the international scene, thanks as well to his personal friendships with Le Corbusier, Moholy-Nagy and Leger. And at the start of the 1930s, the Swiss manufacturer Wohnbedarf began the production and sale of a number of his works in the very same period in which in his native country he won various competitions for works in glass and designed his famous Savoy vase. In 1933, he completed his work on the building site of the Paimio Sanatorium, which marked his recognition as a young master all throughout the world. His work on this building included the design of all the interior decorations, and he personally undertook their production. The same period saw the arrival of the first recognitions of his work as a furniture designer. Aalto’s furnishings are strictly linked with his innovations in the joinings of wood. Many of his procedures were registered and patented in various countries in the 1930s, 40s, and 50s. He promoted the view that a building’s furniture and objects of interior design must harmonize with its style of architecture. Nel 1935 nasce Artek, il marchio che promuove i mobili e i prodotti di design di Aalto. Nel 1939 progetta il padiglione finlandese alla Esposizione mondiale di New York, che fa scalpore per la forma organica e innovativa. Dopo la guerra, dal 1946 al 1948, Aalto insegna al MIT, dove progetta anche il dormitorio per gli studenti. Gli anni ’50 sono il periodo culminante per il suo lavoro di architetto. Sono di questo periodo molte delle sue opere più significative, quando la sua produzione imbocca una linea più personale. Fra le sue fonti di ispirazione, molta influenza hanno il classicismo nordico, fatto di purezza, semplicità e ascetismo, il funzionalismo ma anche i modelli italiani dell’architettura antica, medievale e rinascimentale. Dal funzionalismo, che lo influenza nei primi anni, si distacca criticamente verso il 1935, anno in cui afferma che “gli oggetti, che si possono considerare giustamente razionalisti, soffrono nonostante questo di una notevole mancanza di qualità umana”. 138 Aalto si spegne a Helsinki, lasciando un patrimonio di 200.000 disegni e più di 20.000 lettere. Il suo mondo sfugge a qualsiasi rigida definizione. Egli viene di volta in volta ascritto al gruppo dei funzionalisti, dell’espressionismo e dell’architettura organica. Da più parti è stato sottolineato il suo sentire profondamente etico ed ecologico ante litteram. Artek came into existence in 1935, as the company that promoted Aalto’s furniture and objects of design. In 1939, he authored the project for the Finnish pavilion at the New York World’s Fair and created a building that riveted attention for its innovative, organic form. After the war, from 1946 to 1948, Aalto taught at MIT, for which he also designed a students’ dormitory. The 1950s saw the culmination of his work as an architect. Many of his most significant works belong to this period, in which they took on a much more personal line. Among his various influences, one especially notes the importance of Nordic classicism —with its purity, simplicity and asceticism— in addition not only to functionalism, but also to the models of ancient, medieval and Renaissance Italian architecture. Though his earlier work was highly influenced by functionalism, he came towards 1935 to view this school of thought quite critically, declaring that “these objects that can rightly be referred to as rationalistic suffer nonetheless from a considerable lack of humanity.” Aalto was an exceptionally creative person, and when died in Helsinki in 1976 left us with two hundred thousand drawings, and more than twenty thousand letters. His world escapes all rigid definitions. His various works have been variously ascribed to the currents of functionalism, expressionism and organic architecture. Attention has often been called as well to his profoundly ethical attitudes and to his ante litteram commitment to ecology. 139 Lampada da terra "Angel Wing" n. A 805 di Alvar Aalto. Finlandia, 1953-1956. Progettata per il National Pensions Institutedi Helsinki. Paralume in metallo verniciato, base e stelo ricoperti in pelle. h. 172 cm. “Angel Wing” floor lamp no. A 805 by Alvar Aalto Finland, 1953-1956. Designed for Helsinki’s National Pensions Institute. Lampshade in painted metal, base and shaft covered with leather. h. 68 in. 140 Lampada da terra n. A 808 di Alvar Aalto. Finlandia, 1953-1956. Progettata per il National Pensions Institute di Helsinki. Paralume in ottone, base e stelo ricoperti in pelle. h. 168 cm. Floor lamp no. A 808 by Alvar Aalto. Finland, 1953-1956. Designed for Helsinki’s National Pensions Institute. Lampshade in painted metal, base and shaft covered with leather. h. 66 in. 141 Insieme da giardino, composto da coppia chaise-longue, quattro sedie, un tavolo di Alvar Aalto Finlandia, 1938-1939. Progettato per Villa Mairea di Noormarkku, realizzato da Artek. Legno di betulla massiccia verniciato e fili in acciaio. Chaise-longue: 54 x 162 x h. 73,5 cm., seduta h. 26 cm. Sedie: 42 x 48 x h. 84 cm., seduta h. 41 cm. Tavolo: d. 80 x h. 70 cm. 142 Set of garden furniture, with a pair chaises-longues, four chairs, and a table, by Alvar Aalto Finland, 1938-1939. Designed for Villa Mairea in Noormarkku, realized by Artek. Sold, painted birch wood, and steel cables. Chaise-longue: 21 x 64 x h. 29 in., seat h. 10 in. Chairs: 17 x 19 x h. 33 in., seat h. 16 in. Table: d. 31 x h. 28 in. 143 145 144 Coppia Lampade a sospensione "A 331" di Alvar Aalto Finlandia, 1953-1956. Progettate per il National Pensions Institute di Helsinki, prodotte da Artek. Metallo verniciato e ottone. d. 32,5 x h. 29 cm. Pair of “A 331” ceiling lamps by Alvar Aalto Finland, 1953-1956. Designed for Helsinki’s National Pensions Institute, produced by Artek. Painted metal and brass. d. 13 x h. 11 in. Coppia lampade a sospensione A 330 “Golden bell” di Alvar Aalto Finlandia, anni ’50. Progettate per il Savoy Restaurant di Helsinki nel 1937, realizzate da Valaistustyo Oy negli anni ’50, in ottone cromato. d. 15 x h. 19 cm. Pair of “A330 Golden Bell” ceiling lamps by Alvar Aalto Finland, 1950s. Designed in 1937 for Helsinki’s Savoy Restaurant, realized in the 1950s by Valaistustyo Oy. Chrome-plated brass. d. 6 x h. 7 in. Tavolo e quattro sedie di Alvar Aalto Finlandia, 1929-1933. Progettati per Sanatorio di Paimio. Realizzati in piuma di betulla. d. 127 x h. 69 cm., 48 x 64 x h. 76 cm., seduta h. 37 cm. Table and four chairs by Alvar Aalto Finland, 1929-1933. Designed for the Paimio Sanatorium. Realized in birch-wood pith. d. 50 x h. 27 in., 19 x 25 x h. 30 in., seat h. 15 in. 146 147 Coppia tappeti Khaden Tibet, fine XIX secolo. Annodatura in lane bicrome, su trama e ordito in lana. 166 x 85 cm. Coppia di poltrone di Bruno Mathsson. Svezia, anni ’60. Struttura in betulla, rivestimento in pelle intrecciata originale. 59 x 67 x h. 84 cm., seduta h. 34 cm. Pair of easy chairs by Bruno Mathsson Sweden, 1960s. Frame in birch wood, upholstered in the original plaited leather. 23 x 26 x h. 33 in., seat h. 13 in. Pair of Khaden carpets Tibet, end of the nineteenth century. Knotted in two colors of wool, on a woolen warp and woof. 65 x 33 in. 148 149 Scrivania e relativi componenti di Bodil Kjaer Danimarca, anni '60. Struttura in acciaio cromato, piano in palissandro, quattro cassetti con serratura unica posizionata sul piano. 200 x 100 x h. 73 cm. 1 componente su rotelle: 39 x 60 x h. 50 cm. 1 componente su rotelle: 124 x 44 x h. 50 cm. 1 componente fisso: 135 x 45 x h. 60 cm. 150 Desk and component parts by Bodil Kjaer Denmark, 1960s. Frame in chrome-plated steel, top in rosewood, four drawers controlled by a single desk-top lock. 79 x 39 x h. 29 in. One component on wheels: 15 x 24 x h. 20 in. One component on wheels: 49 x 17 x h. 20 in. One fixed component: 53 x 18 x h. 24 in. 151 Cassettone di Gio Ponti Italia, 1955. Radica di noce ferrarese, piedi in ottone, tre cassetti con motivi geometrici a rilievo che fungono da maniglie. Produzione limitata. 100 x 47 x h. 80 cm. 152 Chest of drawers by Gio Ponti Italy, 1955. Ferrara walnut burl, feet in brass, three drawers with geometric motifs in relief, which also serve as handles. Limited production. 39 x 19 x h. 31 in. Tappeto Danimarca, 1955 circa. Tassitura a mano in lane policrome. Raro esemplare. 300 x 200 cm. Carpet Denmark, around 1955. Hand knotted in various colors of wool. A rare example. 118 x 79 in. 153 154 Cassettone intarsiato Veneto, fine XVII secolo. Corpo a cassetti con fronte a linea spezzata impiallacciato in legno di pero ebanizzato con intarsi in avorio inciso e ripassato a china, raffiguranti volute vegetali con fiori, animali e figure. Il cassetto superiore e il piano si aprono a ribalta, rivelando un interno a scrittoio con cassettini, impiallacciato in noce con riserve intarsiate a motivi floreali in legno di frutto. Sostegni a mensola. 115 x 59 x h. 97 cm. Chest of drawers Venetian, late XVII century Ebonized pear wood, top, break front and sides inlaid with ivory vegetable scrolls, flowers and figures. 45 x 23 x h. 38 in. 155 Quattro sedie impilabili "Aslak Chair" di Ilmari Tapiovaara Finlandia, 1958. Versione a tre gambe realizzata da Asko. Legno laminato e verniciato. 53 x 49 x h. 76 cm., seduta h. 44 cm. Four stackable “Aslak Chairs” by Ilmari Tapiovaara Finland, 1958. Three-leg version produced by Asko. Painted plywood. 21 x 19 x h. 30 in., seat h. 17 in. 156 Tappeto Tibet, fine XIX secolo. Annodatura in lane bicrome, su trama e ordito in lana. 167 x 88 cm. Carpet Tibet, end of the nineteenth century. Knotted in two colors of wool, on a woolen warp and woof. 66 x 35 in. 157 Tappeto Dhurrie India Nord-Occidentale, 1880 circa. Tecnica a tessitura piatta in cotone policromo, probabilmente tessuto nelle prigioni per la nobiltà Indiana sotto la dominazione Inglese. 498 x 372 cm. Dhurrie carpet North-west India, around 1880. Flat weave in various colors of cotton, probably woven in prison for a noble Indian family during the period of British domination. 195 x 146 in. 158 159 Lampada da tavolo di Pierre Guariche Francia, anni '60. Base in metallo verniciato, stelo in ottone, copertura cilindrica in materiale plastico, neon. h. 120 cm. 160 Table lamp by Pierre Guariche France, 1960s. Base in painted metal, shaft in brass, cylindrical covering in plastic, neon light. h. 47 in. Cabinet di Ole Wanscher Danimarca, 1942. Eseguito da A.J. Iversen e presentato al Cabinetmakers Exhibition di Copenhagen nello stesso anno. Struttura in palissandro, quattro ante scorrevoli a tapparella, due ripiani estraibili e due cassetti con maniglie in ottone. 132 x 46 x h. 152 cm. Cabinet by Ole Wanscher Denmark, 1942. Produced by A. J. Iversen and presented in the same year at the Copenhagen Cabinetmakers Exhibition. Frame in rosewood, four shutter-like sliding doors, two pull-out shelves, and two drawers with brass handles. 52 x 18 x h. 60 in. 161 Tappeto Amritzar India nord occidentale, fine XIX secolo. Annodatura in lane policrome, su trama e ordito in lana. 410 x 305 cm. 162 Amritzar carpet North-west India, end of the Nineteenth century. Knotted in various colors of wool, on a woolen warp and woof. 161 x 120 in. Coppia poltrone di Bruno Mathsson Svezia, anni '60. Struttura in acciaio cromato, base circolare girevole, rivestimento in pelle originale del periodo. 65 x 85 x h. 97 cm., seduta h. 30 cm. Pair of easy chairs by Bruno Mathsson Sweden, 1960s. Frame in chrome-plated steel, swiveling circular base, upholstered in the original leather. 26 x 33 x h. 38 in., seat h. 12 in. 163 Tavolo "Compass" di Jean Prouvè Francia, 1950 circa. Struttura in acciaio verniciato, piano in formica rossa. Raro esemplare per la dimensione. 180 x 80 x h. 70 cm. 164 “Compass” table by Jean Prouvè France, around 1950. Frame in painted steel, top in red formica. A rare example, of exceptional size. 71 x 31 x h. 28 in. Lampada da terra "BUL-BO" di Gabetti e Isola Italia, 1969-1970. Base a bulbo, rivestita in cuoio nero, quale contrappeso e supporto di uno stelo in alluminio: sull'asse della lampada "paralume" in lastra metallica traforata. Assetto della lampada variabile in funzione della sfericità della base, impugnatura formata da soffietto ammortizzarore in gomma nera. Piccola serie eseguita da G.B., Milano, per ARBO, Torino. Brevettata. h. max 230 cm. “BUL-BO” floor lamp by Gabetti and Isola Italy, 1969-1970. Bulb-shaped base, covered in black leather, as support and counterweight for an aluminum stalk; lampshade in perforated metal. The position of the lamp can be varied thanks to the spherical base and a shock-absorbing pneumatic grip in black rubber. A limited series produced by G. B., Milan, for ARBO, Torino. Patented. Maximum height 91 in. 165 Lampada da tavolo e da sospensione di Gaetano Pesce. Italia, 2002. Silicone, prodotta in 10 esemplari. d. 50 x h. 57 cm. Table - or ceiling- lamp by Gaetano Pesce. Italy, 2002. Silicone, Produced in ten examples. d. 20 x h. 22 in. 166 Tappeto “Tapipardo - Serie Tapizoo” di Gabetti - Isola Italia, 1970. Realizzato da Paracchi, Torino, per Collezione ARBO. Pura lana pettinata. Pubblicato su Monografia “Gabetti – Isola”, di F. Ferrari, Editore Allemandi - Torino. 250 x 200 cm. “Tapipardo - Tapizoo Series” Carpet by Gabetti - Isola Italy, 1970. Realized by Paracchi, Turin, for ARBO Collection. Combed pure wool. Reproduced in “Gabetti – Isola” monography, by F. Ferrari, Allemandi - Turin Publisher. 98 x 79 in. 167 167 169 168 Tappeto Francia, 1930 circa. Annodatura in lane policrome. 280 x 188 cm. Carpet France, around 1930. Knotted in various colors of wool. 110 x 74 in. Quattro Applique di Stilnovo Italia, anni '60. Metallo verniciato e cromato, vetro opalizzato. 15 x 15 x h. 30 cm. Four wall lamps by Stilnovo Italy, 1960s. Painted and chrome-plated metal, opaline glass. 6 x 6 x h. 12 in. Tavolo basso di Bruno Mathsson Svezia, anni '60. Struttura in betulla con quattro cassetti in metallo laccato bianco. 200 x 50 x h. 30 cm. 170 Low table by Bruno Mathsson Sweden, 1960s. Frame in birch wood with four drawers in metal, painted white. 79 x 20 x h. 12 in. Tappeto Francia, 1940 circa. Annodatura in lane policrome. 236 x 175 cm. Carpet France, around 1940. Knotted in various colors of wool. 93 x 69 in. 171 Tappeto Francia, 1930 circa. Annodatura in lane policrome. 312 x 177 cm. 172 Carpet France, around 1930. Knotted in various colors of wool. 123 x 70 in. Letto a baldacchino Toscana, prima metà sec. XIX. Struttura in ferro battuto dipinto, testiera e pediere decorate da sfingi e grifoni fra volute vegetali, colonne laterali con rotelle in bronzo. 213 x 125 x 205 cm. Canopied bed Tuscany, first half of the 19th century. Frame in painted forged iron, headboard and foot decorated with sphinxes and griffins among vegetal meanders, side columns with bronze wheels. 84 x 49 x 81 in. 173 Tappeto Francia, 1940 circa. Annodatura in lane policrome. 285 x 190 cm. Carpet France, around 1940. Knotted in various colors of wool. 112 x 75 in. 174 Lampada da terra di Venini Italia, 1930 circa. Disegnata da Tommaso Buzzi, fusto a segmenti cilindrici costolati color lampone, coppa in vetro incamiciato lattimo, con inclusioni di foglia oro, basamento in metallo ottonato. Disegni originali pubblicati su catalogo Blu Venini a pag. 177. h. 180 cm. Venini Floor lamp Italy, around 1930. Designed by Tommaso Buzzi, raspberry-colored stem in fluted cylindrical segments, double-shell lampshade in blown, milk-colored glass with goal-foil insertions between the two surfaces, base in brass-plated metal. Reproduced in the Blu Venini catalogue, p.177. h. 71 in. 175 Poltrona "Saturns Series" di Yrjo Kukkapuro Finlandia, 1966-1967. Struttura in fiberglass, base circolare girevole, rivestimento in pelle nera originale del periodo. 80 x 80 x h. 75 cm. 176 Swiveling “Saturn Series” easy chair by Yrjo Kukkapuro Finland, 1966-1967. Frame in fiberglass, circular swiveling base, upholstered in the original black leather. 31 x 31 x h. 30 in. Lampada “Square lamp” di Gaetano Pesce Italia, 1986. Resina e piedini in piombo. Prodotta in serie limitata. 65 x h. 95 cm. “Square lamp” by Gaetano Pesce Italy, 1986. Resin, with feet in lead. Produced as a limited edition. 26 x h. 37 in. 177 Tappeto Anatolia 2001 Annodatura in lane policrome, produzione attuale. 600 x 402 cm. Tappeto di Emile Gaudissart Francia, 1930. Firmato E.G. Annodatura a mano su trama e ordito in cotone. 345 x 240 cm. Carpet by Emile Gaudissart France, 1930. Signed E.G. Hand knotted on a cotton warp and woof. 136 x 95 in. Anatolian carpet 2001 Knotted in various colors of wool, modern production. 236 x 158 in. 178 179 Kilim Bessarabia Attuale Ucraina sud-occidentale, metà XIX secolo. Tessitura piatta in lane policrome, colori naturali. 405 x 210 cm. 180 Bessarabian Kilim The present south-west Ukraine, mid-nineteenth century. Flat weave in various colors of wool, natural dyes. 159 x 83 in. Tavolo "Boccio" di PierLuigi Spadolini Italia, 1971. Prodotto dalla IPI con quattro seggiole ragruppabili in unico volume, realizzato in baydur. Pubblicato su Repertorio 1950 - 2000, pag. 193, editore Umberto Allemandi & C. d. 140 x h. 73 cm. “Boccio” table by PierLuigi Spadolini Italy, 1971. Produced by IPI with four chairs, groupable into a single pile, realized in baydur. Reproduced in Repertorio 1950 - 2000, p. 193, Umberto Allemandi & Co, Publishers. d. 55 x h. 29 in. 181 Coppia Tavoli bassi di Mogens Lassen Danimarca, anni ’50. Realizzati in palissandro. d. 53,5 x h. 57,5 cm. 182 Pair of low tables by Mogens Lassen Denmark, 1950s. Realized in rosewood. d. 21 x h. 23 in. Tappeto "Lunden" di Marta Maas-Fjetterstrom Svezia, 1932. Firmato AB MMF. Annodatura in lane policrome. 308 x 210cm. “Lunden” carpet by Marta Maas-Fjetterstrom Sweden, 1932. Signed AB MMF. Knotted in various colors of wool. 121 x 83 in. 183 Tappeto Mongolia, seconda metà XIX secolo. Annodatura in lane policrome, su trama e ordito in lana. 446 x 340 cm. 184 Carpet Mongolia, second half of the nineteenth century. Knotted in various colors of wool, on a woolen warp and woof. 176 x 134 in. Tavolo basso di Gio Ponti Italia, 1953-1954. Esecuzione Giordano Chiesa. Struttura in legno di frassino, piano in cristallo. d. 104 x h. 40 cm. Low table by Gio Ponti Italy, 1953-1954. Execution by Giordano Chiesa. Frame in ash-wood, crystal top. d. 41 x h. 16 in. 185 Coppia porta bagagli di Gio Ponti Italia, 1955. Eseguiti per Hotel Parco dei Principi di Roma. Frassino e ottone. 65 x 43 x h. 52 cm. 186 Pair of luggage racks by Gio Ponti Italy, 1955. Realized for Hotel Parco dei Principi, Rome. Ash-wood and brass. 26 x 17 x h. 20 in. Tappeto Francia, 1930 circa. Annodatura in lane policrome. 440 x 303 cm. Carpet France, around 1930. Knotted in various colors of wool. 173 x 119 in. 187 Scrivania realizzata dall’atelier Gustav Bertelsen Danimarca, 1960. Palissandro, parte terminale gambe in ottone e tre cassetti. 160 x 89 x h. 75 cm. 188 Desk realized by Atelier Gustav Bertelsen Denmark, 1960. Rosewood, leg tips in brass and three drawers. 63 x 35 x h. 30 in. Tappeto "Square Dance" di Ross Litell U.S.A., per Unica Vaev, Copenhagen (come da etichetta originale), 1960 circa. Realizzato in lana, in diverse tonalità del marrone e beige. 316 x 229 cm. “Square Dance” carpet by Ross Litell U.S.A., for Unica Vaev, Copenhagen (as read on the original label), around 1960. Realized in wool, in various tones of brown and beige. 124 x 90 in. 189 Chaise-longue Bruno Mathsson Svezia, 1936. Prodotta da Karl Mathsson, struttura in betulla, rivestimento in tessuto originale intrecciato. Elegante esemplare, datato e firmato, della prima versione, prodotta fino al 1941. 50 x 152 x h. 82 cm., seduta h. 27 cm. 190 Chaise-longue by Bruno Mathsson Sweden, 1936. Produced by Karl Mathsson, Frame in birch wood, upholstered in the original plaited fabric. An elegant example, signed and dated, of the first version, produced until 1941. 20 x 60 x h. 32 in., seat h. 11 in. Tappeto Svezia, 1950 circa. Tessitura piatta in lane policrome. 332 x 214 cm. Carpet Sweden, around 1950. Flat weave in various colors of wool. 131 x 84 in. 191 Coppia poltrone "Karuselli" di Yrjo Kukkapuro Finlandia, 1964. Eseguite da Haimi, struttura in fiberglass, alluminio verniciato e acciaio, copertura in pelle originale del periodo, posizione regolabile. 79 x 94 x h. 93 cm., seduta h. 30 cm. 192 Pair of “Karuselli” easy chairs by Yrjo Kukkapuro Finland, 1964. Produced by Haimi, frame in fiberglass, painted aluminum and steel, upholstered in the original leather, adjustable positions. 31 x 37 x h. 37 in., seat h. 12 in. Tappeto Decò Europa, 1950 circa. Tessitura a rilievo in lane policrome. Rara iconografia. 430 x 273 cm. Decò carpet Europe, around 1950. Flat weave in various colors of wool. Rare iconography. 169 x 107 in. 193 Tappeto Pechino Cina, fine XIX secolo. Annodatura in lane policrome, su trama e ordito in lana. 354 x 260 cm. In collaborazione con Khotan srl. 194 Peking carpet China, end of the nineteenth century. Knotted in various colors of wool, on a woolen warp and woof. 139 x 102 in. In collaboration with Khotan, srl. Mobile di Jansen Francia, anni '60. Vetro nero inciso, ottone e acciaio cromato, quattro ante con ripiani in vetro e cassetti. 201 x 50 x h. 76 cm. Cabinet by Jansen France, 1960s. Black engraved glass, brass and chrome-plated steel, four doors with glass shelves and drawers. 79 x 20 x h. 30 in. 195 Poltrona dondolo "Yeti" di Mario Scheichenbauer Italia, 1968. Prodotta da ELAM, rivestimento in pelliccia di capra di Cina. 120 x 125 x h. 90 cm., seduta h. 36 cm. 196 Lampada da parete "Moonshine" di Gaetano Pesce Italia, 1994. Resina polyuretane. Prodotta in circa quaranta esemplari. 60 x h. 70 cm. “Moonshine” wall lamp by Gaetano Pesce Italy, 1994. Polyurethane resin. Produced in an edition of ca. forty examples. 24 x h. 28 in. “Yeti” rocking chair by Mario Scheichenbauer Italy, 1968. Produced by ELAM, upholstered in Chinese goat fur. 47 x 49 x h. 35 in., seat h. 14 in. Nilufar Tappeti e mobili rari 20121 Milano, 32 via della Spiga, tel. 02.780193 fax 02.76007657 www.nilufar.com agira@nilufar.com 198 Finito di stampare nel mese di settembre 2003