Why Nilufar

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Why Nilufar
Nilufar
Nilufar
Why
Con un saggio di Ettore Sottsass
Why
Nilufar
Why
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Nilufar
Mostra e volume
a cura di Nazanin Yashar
© Nazanin Yashar, 2003
Fotografie
Emilio Resmini
Progetto grafico
Studio Cerri & Associati
con Elisabetta Presotto
Redazione testi
Eugenio Alberti Schatz
Traduzioni in inglese
Henry Martin
Ringraziamenti a
Giancarlo Montebello
Thomas Ekström
Fotolito
Elettra Fotolito, Milano
Stampa
Grafiche Mariano,
Mariano Comense CO
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Why
Why & because
Why and Because
Nazanin Yashar
Nazanin Yashar
Una w. Una h. Una y. Segni in libertà alla ricerca di un senso. Eppure,
una volta accostate, le tre semplici lettere acquistano un significato.
Questo è esattamente il potere dell’alfabeto, cioè di una sequenza
di elementi che traggono senso dalla posizione in cui vengono ricombinati. In altre parole, il potere dell’accostamento. Lo stesso vale per le
grandi firme del design storico: all’apparenza così diverse, così distanti,
eppure una volta accostate, capaci di riflettere la loro epoca. Il lasso di
tempo che ci separa dagli autori ci aiuta ad avere una vista d’insieme,
come quando ci si allontana da un quadro per guardarlo meglio.
A “W,” an “H,” a “Y.” Free and unfettered signs in search of a meaning. Yet finding
a meaning is as simple as their juxtaposition. That’s the power of the alphabet, as a
sequence of elements that derive their power to communicate from the ways in which
they’re positioned and combined. In other words: the power of contextualization.
The same can be said of the works of the great names of historical design: though
apparently so distant and different from one another, their juxtaposition fires their
ability to reflect their epochs. The span of time that stands between these authors and
ourselves helps us achieve a vision of the whole, much as we have learned to take
a step back from a painting in order to see it better.
Con WHY ho inteso proseguire la mia ricerca nel design storico, tirando
un fil rouge che al di là di ogni schematismo riesce a creare percorsi
di forte suggestione. Accostando l’inaccostabile. Gettando nuova luce
su ciò che sembrava da tempo acquisito proprio grazie all’energia
dei contrasti. Cogliendo qualcosa di imprevisto, insospettato. E comprendendo più a fondo. ‘Why’ diventa ‘because’.
WHY marks the continuation of my research into the world of historical design,
unwinding a scarlet thread that defies schematic thinking, and that leads us into pathways charged with powerful energies. By juxtaposing the unjuxtaposable. By throwing
new light on things which before had seemed taken for granted. By working with the
power of contrasts. By grasping the unexpected and unsuspected. By more thoroughly
understanding things. “Why” becomes “because.”
In WHY confluisce la produzione di diversi grandi maestri del design,
fra cui Alvar Aalto, Osvaldo Borsani, Michel Boyer, Tommaso Buzzi,
Finn Juhl, Carlo Mollino, Peder Moos e Maria Pergay. Ai due poli di questo gruppo si pongono Osvaldo Borsani e il danese Peder Moos. Da una
parte il gusto per la tecnologia, l’estremo raziocinio, la ricerca dell’ergonomia, della funzionalità e della potenzialità dei materiali, il modello
economico della produzione. Dall’altra l’estro libertario, la vitalità,
la natura, il senso della manualità, le forme organiche di un figlio
di contadini riconosciuto come uno dei talenti più singolari del design
danese, per un certo verso espressione dell’anti-design (Peder Moos
costruisce da solo i propri pezzi con un lavoro che sfiora la maniacalità).
WHY lends attention to the works of a number of the twentieth century’s great
masters of design, including Alvar Aalto, Osvaldo Borsani, Michel Boyer, Tommaso Buzzi,
Finn Juhl, Carlo Mollino, Peder Moos, and Maria Pergay. The poles of the group are
represented by Osvaldo Borsani on the one hand, and by the Danish designer Peder
Moos on the other. On the one hand we stand in the area of the love of technology,
extreme rationality and research into ergonomics, with a view towards functionality
and the full exploitation of the potential of materials: the economic model of production. The other is the pole of imaginative free expression, vitality, nature and manual
expertise, or the pole to be found in the organic forms of a farmer’s son who achieved
recognition as one of the most singular talents of Danish design, thanks to a mode of
expression which in many ways seems to be “anti-design.” (Peder Moos worked alone
on the construction of his pieces, and the work that went into them is close to maniacal.)
In mezzo a questi due poli si sviluppa il design del Novecento. In un
dialogo serrato, talvolta anche aspro, ciascun autore si chiama, con più
o meno sfumature, in uno dei due campi, mai dimenticando però che
senza il + non ci sarebbe il meno e senza il – non ci sarebbe il più.
Intuizione versus ragione, e ritorno. In un ciclo perpetuo.
Un ringraziamento particolare va a Giancarlo Montebello, a cui sono
legata da profonda amicizia, forse l’unico interlocutore con il quale
abbia discusso e condiviso a fondo il mio percorso. Giancarlo ha ispirato
il tema delle due ultime mostre di Nilufar, Objects d’affection e WHY.
A lui riconosco il merito di saper esprimere in concetti le scelte a cui mi
porta l’intuizione.
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Between these poles one finds the range of the whole of twentieth-century design.
In a clear, tough, and sometimes bitter dialog, the various authors site themselves, with
greater or lesser clarity, in one of these two fields, but never forgetting that without
the “more” there could never be a “less,” and that without a “less” a “more” would
be impossible. Intuition versus reason, and back again. In an endless cycle.
Particular thanks must be offered to Giancarlo Montebello, who is a very dear friend,
and perhaps the only person with whom I have discussed and shared the entirety of my
adventure. Giancarlo has been the inspiration for the last two Nilufar exhibitions:
Objets d’affection, and now WHY. I have to thank him for his ability to give expression to
the concepts that lie behind the choices I have been led to make on the basis of intuition.
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La sedia, 1975
Ettore Sottsass
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La sedia deve essere davvero un oggetto molto importante nel senso
della comunicazione, visto che sulle sedie si potrebbero anche scrivere
enciclopedie voluminose. Persino Lévi-Strauss potrebbe scrivere sulle
sedie un saggio un pò presuntuoso ma molto sapiente e così via.
Per quello che ne so, per esempio, tutti quelli che dicono di essere designer o architetti, contando anche i falegnami, artigiani e produttori in
genere, prima o poi hanno disegnato qualche sedia e anche se alla fine
non l’hanno vista costruita, almeno il disegno ce l’hanno nel cassetto,
come me, che ho pacchetti di disegni di sedie che non si sono mai fatte
e come le signorine, i giornalisti, gli scrittori, gli sceneggiatori, i pittori
e artisti vari, che prima o poi una poesiola, anche piccola, magari nel
diario, l’hanno scritta.
Tanto è come ho detto che l’altro giorno in Iugoslavia il poliziotto dalla
faccia tonda-contadina, occhi molto sospettosi, chiamato a furor
di popolo contro di me, mi stava già portando dentro se non gli
avessi potuto far vedere che sul passaporto c’era scritto “architetto”.
Dopo di che anche al suo intelletto angelico parve logico o diciamo
giustificabile, che mi fossi messo a fare foto di una sedia rotta che era lì,
nella trattoria sul mare. Come dire «Se uno è architetto ha a che fare
con sedie». Punto e basta. «Non più problema», ha detto. Ci siamo dati la
mano e se ne è andato.
Comunque la sedia deve essere davvero un oggetto importante, anche
perché mia madre mi aveva insegnato che alle signore bisogna sempre
cedere il posto se non ci sono sedie abbastanza nel locale - e non deve
essere soltanto per via delle ovaie e di questi organi delicati delle donne
che, dicono, se le donne stanno in piedi, gli organi si rovinano. Succede
che se un uomo è seduto in un locale ed entra una signora, l’uomo
bisogna che si alzi in piedi comunque (anche se ci sono sedie abbastanza).
Voglio dire per onorarla - la signora. Voglio dire che per onorare
la signora, l’uomo bisogna che si stacchi dalla sedia, la sedia la deve
abbandonare, deve mostrarsi disarmato della sedia, nudo di sedia, sguarnito, altrimenti non c’è neanche il minimo equilibrio. Poi per esempio,
non si dice che i politici o i capi o i banchieri eccetera, difendono a denti stretti il loro “posto” oppure la loro “scrivania” o la loro “penna stilografica” o il “telefono” o la loro “stanza nell’angolo” del palazzo (perchè
ha due finestre invece di una) ma si dice che difendono il loro cadreghino, la loro poltrona, la loro sedia, per dire che difendono l’oggetto più
importante, lo strumento essenziale. Un uomo senza sedia è un uomo
che non ha niente, è veramente un avanzo della società. Quando
è stanco (dato che gli avanzi della società sono compagni della stanchezza), deve sedersi sul marciapiede o su un sasso o su un muretto,
tutte cose che - si sa - sono molto sconvenienti. Forse anche più che
presentarsi senza cravatta.
Per questo Gianni (Pettena) ha disegnato un tipo di sedia che uno se la
lega sul sedere tramite cinghie adatte. Così tutti possono girare per le
strade facendo vedere che la sedia ce l’hanno (sedie piccole, sedie
grandi, poltrone statali o anche executive o anche seggioline per bambini
preziosi - da seicento milioni in su il costo del riscatto - ecc.), come
adesso si gira per le strade facendo vedere le giacche, le cravatte,
i bottoni, la barba Cheguevara e l’automobile o la motocicletta Suzuki
con casco.
Ma devo riconoscere che il disegno di Gianni è un pò irriverente.
A proposito di progetti un pò irriverenti, anche Sandro (Mendini) non
scherza. Ha fatto uno studio (1974) accurato e scientifico sulle sedie
dove non ci si può sedere e sulle sedie monumento, che se uno ha un pò
di fantasia le può anche usare come sedie tomba, realizzando com’è
facile capire, un notevole risparmio. Per chi invece può permetterselo,
ha anche disegnato grandi sedie da incendiare, sedie rogo, con le
quali sedie uno sacrifica in fondo se stesso, voglio dire in fondo il suo
complesso della sedia. Va anche aggiunto, a proposito di queste sedie
rogo, che se lì per lì possono sembrare costose, in realtà fanno poi
risparmiare la parcella dello psicanalista.
Su questa strada, negli ultimi anni, la ricerca scientifica ha fatto notevoli
progressi. Autori di ogni età e di ogni nazione hanno portato sensibili
contributi a un disegno della sedia su basi realistiche e funzionali. Mi riferisco per esempio al progetto (1970) di Raimund (Abraham), quello
della sedia segata in metà con cerniera lungo lo schienale, in modo che
le signore che volentieri allargano le gambe possano comunque tenere
le cosce appoggiate alle due metà del sedile che si aprono come un libro.
Mi riferisco anche alla Stuhl für einem selbstmorder (1970), di Walter
(Pichler), sedia per un suicida, scavata nella roccia di un monte, con
canaletti adatti allo scorrimento e raccolta del sangue che sgorga dai
polsi feriti e mi riferisco anche alle due sedie, per padre e bambino, Stuhl
für Vater und Kind (1970), anch’esse una grande e una piccola vicine
ma separate da insormontabili schermi traslucidi, tagliate nella roccia,
incastrate e fissate entrambe nel sasso immobile della montagna o mi
riferisco anche alle buche-sedili nella terra, Sitzgraben (1970), così che la
testa di chi sta seduto finisce a filo del terreno e tutti si convincono,
finalmente, di quanto sono (o siamo) nella vita, sepolti vivi. Mi riferisco
per esempio al fatto che Hans (Hollein) ha reso di pubblica conoscenza
la sedia elettrica Nr.9 (aspetto un pò artigianale, da laboratorio elettronico universitario di ricerca) di Trujillo, pubblicandola sulla pagina ventitrè
del numero 1-2 (1968) di «Alles ist Architektur» insieme alla sedia di
Joseph (Beuys) detta Fettstuhl (1963), la sedia di grasso, perchè sul
sedile sono appoggiati alcuni chili di grasso di maiale con il piano inclinato sul davanti (una spiegazione dei significati magari è inutili).
Sulla stessa pagina c’è anche la poltrona, rivestita di pelle di leopardo,
con bel cuscinetto tondo (1963), di Claes (Oldenburg). Poi la sedia elettrica
(produzione di serie, industrial design) l’ha studiata bene anche
Andy (Warhol) Electric chair (1965), che nel catalogo dell’esposizione
del 1968 al Moderna Museet di Stoccolma l’ha pubblicata uguale esattamente trentaquattro volte.
Dunque, come si vede, le ricerche scientifiche sul problema della sedia
sono state vaste e approfondite e potrei continuare a descriverle per
qualche pagina, ma dato che questo non è uno studio universitario, né
vuole essere un saggio definitivo sul tema della sedia, lascerò a chi lo
voglia di cercarsi i documenti da sé, anche perchè credo di aver
dimostrato a sufficienza come la sedia in generale sia un problema,
come si dice, sentito dalla società, voglio dire dalla società di quelli che
hanno bisogno o voglia di sedersi.
Devo però aggiungere prima di continuare, che le ricerche scientifiche
descritte sono state non poco misconosciute dalla stragrande maggioranza degli scienziati e degli studiosi intenti, come si sa, a ricerche più
redditizie in campo militare.
Ma da dove nasce l’importanza semantica, cioè sociologica, della sedia?
Sandro (Corbertaldo) mi raccontava che quando era in Algeria (c’è stato
tre anni a disegnare ospedali per non fare il sevizio di leva), i capi tuareg
dopo un pò lo invitavano nella tenda a bere il tè, che presumo di menta
e il pavimento della tenda (che poi ormai non era neanche più una vera
tenda ma una specie di baracca) era di sabbia, cioè continuava il deserto
anche dentro la baracca e così i capi dicevano: “Porta la sedia” e non so
chi, le donne o qualche ragazzino, srotolava un tappeto sulla sabbia e lì
sopra ci si doveva sedere e così mi è venuto in mente quello che diceva
Mircea Eliade del sacro e del non-sacro del caos e dell’ordine di queste
cose e devo confessare che davvero Eliade mi è venuto in mente, anche
se oggi pare di cattivo gusto citare Eliade, dato che non è uno strutturalista e dato che si è interessato di misticismo e pare non sia una cosa
ben fatta.
Però lo stesso mi è venuto in mente quello che diceva Mircea Eliade
a proposito del fatto (più o meno inevitabile fin dall’antichità e anche
nelle culture - diciamo così - primitive) che si ha sempre voglia di
costruirsi e di possedere da qualche parte una zona dello spazio diversa
dalle altre, una zona eccezionale, che poi di solito si difende: pare lo facciano anche i gatti, le scimmie e i vermi. Poi c’è il fatto che naturalmente quella zona tendiamo a vederla come sacra, a caricarla di significati e
valori che quasi consideriamo fuori dalla nostra portata. Voglio dire che
tendiamo a riconoscere lì, in quella zona, ordini molto speciali che ad
altre zone - o oggetti - non riconosciamo. Ad ogni modo quello che
Eliade non dice o non gli interessa dire, è come mai qualcuno possiede o
ha il permesso di possedere questi spazi sacri e qualcuno no, come mai
qualcuno riesce a difenderli con successo, questi spazi sacri o queste
cose sacralizzate e qualcuno invece non riesce a difenderli, cioè Eliade
non spiega, in fondo, come (e se) possa sopravvivere un’idea o un’immagine astratta della sacralità fuori da una lotta permanente per trovarla o
meglio costruirla e poi possederla e difenderla, fuori dalle contaminazioni
e corruzioni che una qualsiasi lotta, scambio, distruzione o creazione
comportano.
Ora siamo d’accordo che non è questo il posto per discutere se Eliade
dice bene o non dice bene in senso assoluto, questo mi pare un’altro
problema. Volevo soltanto ricordare questa storia del sacro e aggiungere,
per parte mia, che la “creazione” del sacro o della sacralità sembra uno
dei tanti modi (insieme alla creazione, per esempio, di un esercito o per
esempio di una polizia e queste cose) per configurare la presenza di un
potere, cioè per fornire un qualsiasi potere di una immagine speciale,
di una molto speciale dignità e imponenza, per fornirlo di rituali più o
meno incomprensibili ai non potenti, per fornirlo anche di un pacchetto
o pacco o magazzino di pacchi di misteriosa, oscura potenza, la quale
poi, si sa, genera rispetto e poi anche, si sa, paura. Tutto questo mi pare
abbastanza evidente.
Così mi pare abbastanza evidente che mettere per terra un tappeto per
sedervici sopra o mettere in un posto una sedia vuol dire sacralizzare in
qualche modo quel posto, vuol dire rendere quel posto un pò speciale e
rendere un pò speciale chi può sedersi sul tappeto o sedersi sulla sedia.
Mi pare abbastanza evidente.
Quello che mi riesce difficile capire invece, è perchè nel catalogo dei
rituali consueti per la creazione di una zona o di un centro di sacralità
e quindi di potere, la posizione “seduta” (su una sedia o no) sia sempre
preferita a quella in piedi, se è vero che tutti gli dei e i re o anche i saggi
o i capi in genere si mostrano sempre seduti e gli altri, poveri diavoli, se
ne stanno in piedi; se è vero che la storia antica (ma quanto a questo
anche quella moderna) è una storia di conquista o possesso o perdita
di troni (che poi sono sedie): troni eleganti egiziani di legno con zampeleopardo e intarsi vari, troni massicci babilonesi di avorio, lapislazzuli
e coralli con grandi ali di leoni, troni contadini minoici di pietra con
schienale ondulato (forse memoria di antichi serpenti acquatici), soavi
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troni marini haitiani di paglia, palme e piume, oscuri troni aztechi come
architetture morte, molti troni arabi di tappeti e cuscini e poi troni
di oro, troni di pelle, troni di stoffa, troni di granito, troni di ferro, troni
di inox, troni di cristallo e troni di ogni specie, perchè il potente stia
seduto (su un trono), il forte stia seduto, l’illuminato stia seduto, il puro
stia seduto, il superman stia seduto e stia seduto quello che conosce
la legge, stia seduto quello che conosce l’ordine, stia seduto quello
che “sa” il bene degli altri.
Questo mi riesce difficile capirlo: voglio dire, perchè meglio seduti
che in piedi.
Mi viene in mente che se uno sta seduto ha più l’impressione di tenere
il mondo sotto il suo dominio, molto più che se uno sopra al mondo sta
in piedi, essendo incerto e barcollante, con l’amara impressione che la
sua sopravvivenza dipenda dalla presenza della terra sotto i piedi e non
certo che la terra dipenda da lui. Mi viene in mente che se uno sta seduto,
il mondo lo schiaccia giù sotto di sé, lo domina tutto e poi lo domina
anche con le natiche, voglio dire lo domina davvero, dato che lo può
premere sotto quella parte del corpo più o meno graziosa, ma certo
anche di bassa collocazione nelle scale di valori. Insomma il mondo
lo può anche in un certo senso sfregiare.
Mi viene anche in mente quando ero piccolo, abbastanza piccolo
e leggevo quel grosso libro di Leo Frobenius rilegato in blu scuro, stampato dalla Phaidon Verlag di Zurigo e intitolato Kulturgeschichte Afrikas.
Prolegomena zu einer historischen Gestaltlehre (che poi tradotto
anche Einaudi). Mi ricordo che c’erano stampate figurine di troni per
divinità che alla fine potevano anche diventare altari per sacrifici o basi
monumentali per reggere la presenza di un mistero e tutti questi troni,
troni-sgabelli, troni-sedie e così via, più o meno, erano fatti di cinque
gambe: una grossa al centro che, lo dice lui Frobenius, sarebbe il pilastro
per sostenere il cielo, dalla terra allo zenit e quattro intorno che così a
occhio, mi pare potessero essere i quattro punti cardinali o i quattro
elementi dell’universo. Poi sulla base o intagliato da qualche parte, c’era
quasi sempre un serpente che poteva anche rappresentare l’oceano
e questo serpente piano piano, nel tempo e nello spazio, poteva anche
diventare uno zig-zag o altri ornamenti e cose del genere. Ad ogni
modo ricordo che Frobenius diceva che quei troni, quei troni delle tribù
gbagu, dahome, apai, ashanti, shankpanna, quei troni cretesi, egiziani,
etruschi, assiri, greci arcaici, cirenaici e altri che non si sanno perchè
sono spariti nelle ceneri degli incendi, terremoti, vulcani, massacri
e piazze pulite, possono essere la rappresentazione dell’universo: rappresentazione di terre, sostegni del cielo, mari, direzioni e queste cose
e così effettivamente, se l’illuminato si siede sul trono (come un dio
si siede sull’altare), l’illuminato si siede sull’universo, si siede sulla terra,
sul cielo, sui mari, sui pilastri e sulle direzioni. Si siede per far vedere che
lui, l’illuminato, è quello che domina l’universo, ce l’ha sotto il sedere,
non gliene importa niente, lo schiaccia quando vuole e ad ogni modo se
qualcuno si avvicina lo sappia: lui, l’illuminato, domina tutto e tutti e nel
suo possesso del dominio non c’è spazio per nessun altro, il sedere
ce l’ha ben attaccato all’universo.
Questo potrebbe essere un’idea forse, non mi pare male. Mi pare una
buona idea.
Molto meglio, devo dire, di un’altra idea che potrebbe anche venire in
mente, cioè l’idea che per conquistare il potere uno deve darsi così tanto
da fare, deve combattere così tante battaglie (e vincerle), deve subire sul
corpo e sul cuore così tante ferite e deve accettare e sopportare un così
lacerante consumo di se stesso, che alla fine non gli rimane altro che
sedersi: stanco, deluso, il sangue impoverito, gli occhi accecati, i peli
sbiancati, il sesso spappolato, le mani, oh! le mani dimagrite, segnate da
vene pesanti, le mani tremanti, le mani a malapena capaci di alzare per
benedire o maledire gli altri.
Certo se ci penso, questa non mi pare un’idea molto scientifica. Mi pare
molto a pressappoco, anzi, se devo dire la verità, mi pare che le ambizioni
scientifiche con le quali ero partito comincino molto a vacillare. Sono
partito per fare uno studio accurato e sociologico, come so dovrebbe far
per essere in tono ed eccomi arrivato ad avere pietà per i vecchi guerrieri
disfatti, incapaci di alzare la spada; eccomi arrivato ad avere pietà per
i vecchi re avari a pronunciare parole; eccomi arrivato ad avere pietà per
i vecchi poeti ciechi, troppo malati per suonare quell’arpa che aveva
condotto i giovani in faccia alla morte e fatto piangere donne vergini;
eccomi arrivato ad avere pietà per i capi diventati uomini, rimasti soli
ormai a guardare perplessi non la sedia universo sotto le loro natiche
ma se stessi: se stessi imprigionati in una gabbia di ossa e di carni
disseccate. Questo succede. Succede sempre.
Succede anche spesso che gli studi sociologici finiscano, come il mio,
per calarsi non tanto dentro le miserie di ogni conquista o dentro la
fragilità di ogni dominio e neanche dentro l’ineluttabilità atroce dell’ingranaggio del tempo (antica tematica ossessiva), quanto dentro la realtà
“sociologica” e biologica della solitudine privata, cioè dentro la realtà
della lotta per la sopravvivenza (che non è la lotta per il potere), cioè
dentro i processi e i meccanismi che comandano la nostra privata
e ultima solitudine, voglio dire i processi oscuri che comandano il nostro
corpo, vera e sola sede dell’universo e anche della consapevolezza
sociologica, vero punto di riferimento, unico deserto, landa, spiaggia,
prato, mare, isola, montagna, valle, fiume, firmamento, paesaggio,
sul quale agiscono bonacce-terremoti, silenzi-frastuoni, sereno-nebbia,
zaffiri-uragani, siccità-monsoni, luce-tenebre, incendi-nevicate, giorno
dopo giorno, fino alla privata, atomica, definitiva esplosione. Bisogna
tenerne conto. Non se ne può fare a meno.
E poi potrebbe anche essere una strada per spiegarci, se ancora ne
abbiamo voglia, perchè “seduti” e non in piedi e potrebbe essere una
strada discretamente scientifica se vogliamo essere abbastanza poco
presuntuosi, come occidentali, da concedere qualche peso scientifico
a quattromila anni di ricerche, esperienze, conclusioni e documenti
lasciati da fakiri, dottori, nomadi, ginnasti, yogini, monaci e magari
santoni, indiani, cinesi, giapponesi, coreani, giavanesi, papuasi e altri.
Se la storia la prendiamo da questa parte, il “possesso” di una sedia può
anche perdere molti dei significati sociologici, per lo meno nel senso
delle ideologie correnti che stabiliscono i criteri della presenza sociologica.
Al punto che persi i significati sociologici, magari non c’è neanche
bisogno di sedie e uno si può anche sedere per terra con o senza le gambe
incrociate, può buttarsi semplicemente per terra e restarci finché ha
voglia di alzarsi in piedi e il potere, la lotta per il potere, si annuncerà in
altri modi; modi che per il momento non ci riguardano.
In questo caso più o meno teorico di forte riduzione dei significati
sociologici, stare seduti o stare in piedi può assomigliare molto a orinare
o a non orinare, cioè può assomigliare a tutti quei gesti e comportamenti
cui in effetti riesce abbastanza difficile dare significati sociologici, anche
se mi rendo conto del fatto che nell’orinare o non orinare, qualcuno
proprio incaponito qualche significato lo può trovare, specialmente se va
a considerare il luogo dove si va a orinare.
Ad ogni modo, se decidiamo di abbandonare la sedia, ci resta da esaminare il fatto che siamo seduti o che siamo in piedi e se siamo seduti,
senza sedia, sulla terra nuda, andremo a esaminare piuttosto il “modo”
di stare seduti che non il fatto di essere o di poter essere seduti, e si sa
che sul “modo” di stare seduti (sulla terra nuda) sono stati scritti interi
trattati , montagne di carte, intere biblioteche, dove si prova a studiare
cosa succede cambiando la posizione della spina dorsale, del collo e poi
delle spalle e che cosa succede cambiando la posizione delle braccia, delle gambe e del ventre e di tutte queste cose e così, se si guarda soltanto
ai modi di stare seduti, ci si accorge che possono significare cose
“diverse”, voglio dire estranee alla lotta per il potere, coinvolte nella lotta
per la sopravvivenza, come riposarsi o meditare, aspettare o rinunciare,
invocare, rifiutare o stare più vicino o stare più lontano o possono significare la lenta perdita della consapevolezza fisica con l’acquisto di una
consapevolezza più profonda o possono significare il riequilibrio delle
strutture degli assi e delle simmetrie interne o anche la ricomposizione
ordinata degli strati intellettuali e di quelli psichici e magari il controllo
della respirazione o il controllo della circolazione del sangue e magari
anche, alla fine di processi molto sofisticati, il controllo dei battiti
del cuore: tanto per elencare qualcosa di quello che si può studiare
ed esaminare eccetera eccetera. E poi non me ne intendo neanche tanto
e non voglio neanche dire che tutti questi trattati e carte scritte e biblioteche e ricerche e metodi si sottraggono a certi loro significati sociologici. I significati probabilmente ci sono, ma non li conosco. Non riesco
a vederli, dato che tutto questo insieme di comportamenti fa parte
dei linguaggi di società lontane, antiche e sconosciute, di cui è molto
difficile ricostruire la forma e dato che mia madre, a questo
proposito, non mi ha detto niente e neanche mio padre e neanche,
figuriamoci, il mio maestro. Soltanto l’urologo, l’altro giorno, mi ha
detto che la mia prostata è un pò stanca «probabilmente perchè lei sta
troppo seduto» (sulla sedia). «Capita anche ai tassisti» ha detto.
Ma questo forse non c’entra molto con le civiltà orientali.
Ad ogni modo, anche se non so trovare i significati sociologici di certi
comportamenti orientali, volevo soltanto ricordare che ci sono fenomeni
che stanno dentro il corpo e che dal corpo vanno verso l’esterno e che
bisogna tenerne conto, come bisogna tenere conto del fatto che non ci
sono soltanto fenomeni che stanno fuori dal corpo e che da fuori del
corpo finiscono dentro e questo vale anche per quanto riguarda sedersi
o non sedersi.
Voglio anche ripetere che questo tentativo di estrarre una serie di giustificazioni, diciamo “diverse”, a percorso inverso, lo faccio con un certo
sospetto, perchè non dimentico che Buddha si siede sul fiore di loto e
che prima di sedersi, gli yogi mettono piccoli tappeti per terra e che il
posto fisso per sedersi del padrone di casa giapponese è sempre con la
faccia rivolta alla porta e così via. Questo non lo dimentico (a proposito
di quello che si era detto del potere ecc. ecc.). Però devo anche tornare
indietro, perchè se Buddha si siede sul fiore di loto, bene, è come se fosse
seduto non “sopra” all’universo, ma è come se sbocciasse dall’universo,
appartiene all’universo, sta gentilmente seduto dentro i petali rosa, grassi,
profumati e fluttuanti sull’acqua, sta seduto nella primavera, sta seduto
nell’odore vegetale, sta seduto nella freschezza del pianeta, un pò diverso
che stare seduti sui simboli definitivi della forza, della ricchezza,
dell’assolutismo.
Così, eccomi qua. Sono arrivato a essere molto poco scientifico. Sono
arrivato barcollando, barcollo, sono instabile dentro emozioni, ricordi,
flash di immagini, melanconie, nostalgie, cose non sapute, cose temute,
cose sperate. Come sempre.
E adesso finalmente siamo alle prese con cento sedie di plastica, cento
piccoli troni di plastica moltiplicati per milioni di volte, forse con l’idea
che moltiplicando per milioni di volte cento piccoli troni di plastica,
non saranno più troni ma semplicemente sedie, cosa che invece non è.
Le sedie, ahimè, rimangono troni, piccoli troni privati sui quali ognuno
può appoggiare il suo piccolo, privato potere: milioni di funzionari,
burocrati, capiufficio con cravatte, mutande, sigarette, che appoggiano
il loro grande o piccolo potere (decisionale si dice?) su sedie di plastica
(devono essere quasi poltroncine); milioni di signore o signorine, vergini
e puttane con gli occhiali colorati, braccialetti, seni, creme e pettini, che
appoggiano il loro piccolo o grande potere (erotico si dice?) su sedie
di plastica (magari arancione o bianche, ad ogni modo lucide); milioni
di businessmen, affaristi, mercanti, mafiosi e mediatori, con cravatte,
mutande, portafogli e libretti di assegni, che appoggiano il loro piccolo
o grande potere (economico si dice?) su sedie di plastica (devono essere
di sedie di aeroporto); milioni di pensatori, ideologi, studenti, dottori
e architetti con i baffi e barba, giornali sotto il braccio, mani raffinate
e scarpe strane, che appoggiano il loro piccolo e grande potere (intellettuale si dice?) su sedie di plastica (devono essere ben disegnate) e milioni
di altra gente (chissà che cosa fa?) fornita di auto, chiavi, parenti, bambini, tv e magari cinepresa super 8, che appoggiano il loro piccolo
o grande potere (potere d’acquisto si dice?) su sedie di plastica (devono
essere da bar, sul marciapiede) e insomma la folla, la folla brulicante, seduta su sedie di plastica, sui piccoli troni di plastica, magari senza zampe
di leopardo o senza ali di leone o senza piume di struzzo o senza pilastro
centrale a sorreggere il cielo dalla terra allo zenit, però sempre tronetti
di plastica, carini, lucidi, ben fatti, con le curve e le controcurve, con
svirgole, l’appoggio e così via, per potersi sedere - si sa - con proprietà,
senza neanche farlo vedere. Perchè in fondo uno pensa: “La sedia?”
Beh! La sedia è per sedersi. No? Non ci vogliono anche le sedie?»
Credo proprio di si. Ci vogliono anche le sedie. Restando un pò vaghi, direi
che ci vogliono anche le sedie. Insomma ci vuole qualche cosa per sedersi,
non c’è dubbio, ma me lo spieghi perchè ci sono cento milioni di sedie
diverse e altre cento diverse tutte di plastica, senza contare tutte le altre?
Ettore Sottsass nasce a Innsbruck, in Austria, nel 1917. Nel 1958 inizia
la sua collaborazione con Olivetti come consulente per il design della
nuova divisione elettronica dell’azienda, collaborazione che durerà per
oltre trent’anni. Ha disegnato tra l’altro, nel 1959, il primo calcolatore
elettronico italiano, e in seguito varie periferiche e macchine per scrivere
elettriche e portatili come Praxis, Tekne, e Valentine. Nel 1981 ha dato
inizio, con collaboratori, amici e architetti di fama internazionale
al gruppo Memphis, che è diventato in breve il simbolo del “nuovo
design”. Opere e progetti di Ettore Sottsass fanno parte delle collezioni
permanenti di importanti musei di vari paesi, come il Museum
of Modern Art e il Metropolitan Museum di New York, il Centre Georges
Pompidou e il Musée des Arts Décoratifs di Parigi, il Victoria & Albert
Museum di Londra. Nel 1976, gli è stata conferita la laurea ad honorem
dal Royal College of Art di Londra. e nel 2001 la laurea ad honorem dal
London Institute of Art e dal Politecnico di Milano. Sempre nel 2001
è stato nominato Grande Ufficiale per l’Ordine al Merito dal Presidente
della Repubblica Italiana.
9
Tappeto di Gaetano Pesce
Italia, 2002.
Esemplare unico realizzato in silicone,
raffigurante il progetto, presentato
da Gaetano Pesce, per la ricostruzione
delle Twin Towers di New York, riportante
la frase: "quel che non si puòfar grande...
si può fare in piccolo".
350 x 201 cm.
Coppia di Poltrone di Pierre Paulin
Francia, 1959.
Edizione Artifort, struttura in metallo
e rivestimento in tessuto.
100 x 86 x h. 82 cm., seduta h. 25 cm.
Pair of easy chairs by Pierre Paulin
France, 1959.
Edizione Artifort, metal frame,
with fabric upholstery.
39 x 34 x h. 32., seat h. 10 in.
Carpet by Gaetano Pesce
Italy, 2002.
Unique example realized in silicone,
showing Gaetano Pesce’s project
for the reconstruction of the towers
of New York’s World Trade Center, and
bearing the phrase: “quel che non si può
far grande...si può fare in piccolo”. (“What
can’t be made big, can be made small.”)
138 x 79 in.
10
11
Osvaldo Borsani
Nato a Varedo nel 1916 in una famiglia di costruttori di mobili con una
lunga e consolidata tradizione artigiana, Borsani inizia a collaborare con
l’azienda di famiglia dall’età di 16 anni, quando ancora frequenta il liceo
artistico. Nel 1933 ottiene la medaglia d’argento alla quinta Triennale di
Milano con il progetto ‘Casa minima’. Nel 1937 si laurea al Politecnico di
Milano, che ha frequentato lavorando già a tempo pieno come progettista. In questo periodo, gli anni dall’Atelier di Varedo, si viene già delineando il suo profilo professionale che combina perizia costruttiva e vivacità inventiva, rigore e passione, tecnologia e conoscenza dei materiali, insieme ad una grande attenzione per le esperienze artistiche dell’avanguardia. A partire dal dopoguerra collaborerà infatti con Lucio
Fontana, Agenore Fabbri, Aligi Sassu, Roberto Crippa, Fausto Melotti,
Arnaldo e Giò Pomodoro.
Born in Varedo in 1916 in to a family of furniture makers with a long and wellestablished tradition of craftsmanship, Borsani entered the family business at the
age of only sixteen, while still enrolled at the high school of the arts. In 1933, his
project for a “Minimal House” won the silver medal at the fifth Milan Triennale.
In 1937, he graduated from Milan’s Polytechnic Institute, which he attended while already doing full-time work as a furniture designer. These were his years at
the Varedo atelier, and they constitute the period in which his professional personality took real shape as a combination of constructive expertise, vivacious invention, rigor, passion, technology, and a deep awareness of the qualities of materials, along with great attention to the efforts of the artistic avantgardes. At
the end of the war, he was in fact to begin to collaborate with Lucio Fontana,
Agenore Fabbri, Aligi Sassu, Roberto Crippa, Fausto Melotti, and Arnaldo and Giò
Pomodoro.
Nel 1953, insieme al fratello Fulgenzio fonda la Tecno per sviluppare la
produzione di serie: è il progetto professionale più importante della sua
vita, un progetto integrale in cui confluisce la figura del progettista,
dell’imprenditore e dell’art director. Questa visione del ruolo del designer, nel clima di trasformazione della Milano di quegli anni – e del suo
polmone produttivo in Brianza – fa di lui una figura “abbastanza americana”. L’azienda abbandona progressivamente le dimensioni artigianali e
si trasforma in moderna industria. I primi prodotti Tecno, per la maggior
parte tuttora in catalogo, sono disegnati da Borsani stesso, il quale interviene sistematicamente anche nella produzione, nell’organizzazione,
nell’attività commerciale in Italia e all’estero e nella comunicazione.
Il suo lavoro, nel solco di istituzioni culturali come la Triennale, il premio
Compasso d’Oro e le riviste di riferimento come Domus, diede una spinta in avanti molto forte al furniture design italiano di quegli anni, ancora assai legato alla tradizione.
In 1953, along with his brother Fulgenzio, he founded the Tecno corporation,
with the goal of large-scale production. This was the most important professional
project of his life: an integrated project for which he served as combination designer, entrepreneur, and art director. Such a vision of the role of the designer,
in the climate of transformation that typified those years in Milan —and also in
outlying Brianza, its center of production— turned him into a “fairly American”
figure. His company little by little abandoned its modest scale and took on the
features of a modern industry. The first Tecno products, most of which are still
produced, were designed by Borsani himself, who was also accustomed to intervening in the phases of production, organization, internal and foreign commerce,
and also advertising. His work, thanks to its echo in cultural institutions like the
Milan Triennale, the Compasso d’Oro Prize, and the flagship magazines like
Domus, did much to advance the fortunes of the period’s Italian furniture design,
which till then had remained considerably attached to tradition.
Nel 1956 progetta una serie di arredi per l’edificio ENI di San Donato
Milanese, di cui fa parte il letto L77. L’anno successivo il letto viene presentato all’undicesima Triennale e subito dopo messo in produzione.
Il letto fa parte di quei progetti ‘tecnologici’ che Borsani ha inaugurato
due anni prima con la poltrona P40 e il divano D70. Il materasso in
gommapiuma è studiato e realizzato in collaborazione con Pirelli Sapsa.
La componente meccanica – il letto è snodabile e alzabile – assume una
particolare valenza estetica: la tecnologia dà forma a un arredo estremamente semplice e sofisticato.
12
Nel 1968, insieme a Eugenio Gerli, Borsani progetta il sistema di arredi
per lo spazio di lavoro Graphis: il successo è straordinario e pone Tecno
fra i grandi produttori mondiali di design per ufficio. Graphis è il capostipite di una concezione di arredi intesi non più come mobili ma come
strumenti di lavoro. Negli stessi anni nasce il Centro Progetti Tecno, una
équipe polivalente a cui partecipano Marco Fantoni e Valeria Borsani,
che sperimenta nuovi materiali e gestisce grandi progetti di architettura
d’interni. Borsani si spegne a Milano nel 1985.
In 1956 he designed a series of furnishings for the ENI building in San Donato
Milanese, one of which was the L77 bed. In the following year the bed was presented at the eleventh Milan Triennale, with production beginning immediately
afterwards. The bed belongs to those “technological” projects that Borsani had
begun two years previously with the P40 easy chair and the D70 sofa. The foam
rubber mattress was studied and realized in collaboration with Pirelli Sapsa. The
mechanical apparatus —the bed is height adjustable and can be bent into various
configurations— has a particular aesthetic value of its own: technology determines the form of a piece of furniture which is both extremely simple and highly
sophisticated.
In 1968, in collaboration with Eugenio Gerli, Borsani designed the ensemble of
furnishings and decorations for the Graphis work space: its success was enormous, and gave Tecno a place among the world’s great producers of interior design for offices. Graphis is the font of a concept of interior appointments which
present themselves as working tools rather than as pieces of furniture. These
years also saw the birth of the Tecno Projects Center: a polyvalent équipe, including Marco Fantoni and Veria Borsani, for the experimentation of new materials
and the realization of large-scale projects of interior design and decoration.
Borsani died in Milano in 1985.
13
Letto L 77 progettato
da Osvaldo Borsani.
Italia, 1956.
Snodabile ed alzabile, mediante comando
semplice e rapido sui due lati. Faceva parte
di una serie di arredi disegnati per la foresteria
dell'edificio ENI di S. Donato Milanese.
Nel 1957 fu presentato alla 11° Triennale
e subito dopo messo in produzione.
Struttura in metallo smaltato, gomma,
ottone e sponde in vinile.
Disegni tecnici pubblicati su libro Borsani,
pag. 270, editore Leonardo de Luca.
202 x 93 cm., altezza regolabile.
14
Bed by Osvaldo Borsani.
Italy, 1956.
A height-adjustable bed that folds into
various positions, by way of fast and easy
controls on both sides. A part of a series
of furnishings designed for the guest house
of the ENI building in S. Donato Milanese.
Presented in 1957 at the 11th Milan
Triennale, with production beginning
immediately afterwards.
Frame in painted metal, rubber, brass,
and sides in vinyl.
Technical drawings reproduced in the Borsani
book, p, 270, Leonardo de Luca, Publishers.
80 x 37 in., height adjustable.
15
Tavolo di Osvaldo Borsani
Italia, 1958.
Progettato per gli arredi del palazzo
direzionale ENI di S. Donato Milanese.
Eseguito dalla Tecno, piano in mogano,
gambe in alluminio. Pubblicato sul libro
Borsani, pag. 297, di Giuliana Gramigna
e Fulvio Irace, editore Leornado De Luca.
300 x 100 – 128 x h. 75 cm.
16
Table by Osvaldo Borsani
Italy, 1958.
Designed for the furnishing of ENI
building at S. Donato Milanese.
Realized by Tecno, Mohogany-wood,
aluminium legs. Reproduced in the Borsani
book, p. 297, by Giuliana Gramigna
and Fulvio Irace, Leonardo de Luca Publisher.
118 x 39 - 50 x h. 29 in.
Coppia Lampade da terra "L 78"
di Osvaldo Borsani
Italia, anni '50.
Progettata in occasione della X Triennale.
Metallo verniciato, luce al neon.
h. 278 cm.
Pair of “L 78” floor lamps
by Osvaldo Borsani
Italy, 1950s.
Designed on the occasion of the 10th Milan
Triennale. Painted wood, neon light.
h. 109 in.
17
Poltrona ad elementi mobili
"Tecno P 40" di Osvaldo Borsani
Italia, 1955.
Struttura metallica, basamento smaltato,
rivestimento in vinile con imbottitura
in gommapiuma originale, i braccioli
si flettono e possono abbassarsi.
Pubblicata su Repertorio 1950 - 2000,
pag. 40, editore Umberto Allemandi & C.
70 x 90 x h. 87 cm., seduta h. 38 cm.
“Tecno P 40” easy chair with movable
elements by Osvaldo Borsani
Italy, 1955.
Metal frame, painted base, upholstered
in the original vinyl with foam rubber filling;
the arms can be inclined and adjusted in height.
Reproduced in Repertorio 1950 - 2000,
p. 40, Umberto Allemandi & Co., Publishers
28 x 35 x h. 34 in., seat h. 15 in.
19
18
Attaccapanni di Osvaldo Borsani
Italia, anni '60.
Metallo verniciato e in parte rivestito
in pelle, pomelli in legno, altezza regolabile.
Modello raro.
Coat rackby Osvaldo Borsani
Italy, 1960s.
Painted metal, partly upholstered
in leather, wooden knobs, adjustable height.
A rare piece.
Tavolo da pranzo di Osvaldo Borsani
Italia, 1943.
Eseguito da ABV, atelier della Tecno,
che realizzava mobili su misura per
committenze private. Per la realizzazione
della superficie fu utilizzata la parte centrale
di un blocco di onice del Messico, non più
reperibile, acquistato da Borsani appositamente
per realizzare i cinque esemplari esistenti,
di cui uno è a casa Borsani, gambe in mogano
massiccio lucidato, profilo piedi in ottone.
Provvisto di due prolunghe in legno, con gambe
in metallo, da applicare alle due estremità.
Pubblicato su libro Borsani, pag. 184, editore
Leonardo de Luca.
193 x 115 x h. 75 cm., prolunghe, 2 x 60 cm.
20
Dining-room table by Osvaldo Borsani
Italy, 1943.
Produced by ABV, Tecno atelier which realized
custom-made furnishing. To realize the top,
they used the central part of a Mexican onyx
block, no more available, purchased by Borsani
only for manufacturing the five existent
examples, one of them for his own home, legs
in solid polished mahogany, feet profile in brass.
With two extensions in wood, with metal legs.
Reproduced in the Borsani book, p. 184,
Leonardo de Luca, Publishers.
76 x 45 x h.29 in., extension, 2 x 24 in.
21
Coppia Poltrone "Canada"
di Osvaldo Borsani
Italia, 1965.
Disegnate per il salotto di casa M., posteriori
alla data del progetto dell'appartamento.
Struttura in legno e rivestimento
in velluto originale.
Pubblicate su libro Borsani, pag. 192,
editore Leonardo de Luca.
80 x 85 x h. 84 cm., seduta h. 37 cm.
22
Pair of “Canada” easy chairs
by Osvaldo Borsani
Italy, 1965.
Designed for the living room of the M. home,
and subsequent to the date of the project
for the apartment itself. Wood frame,
upholstered in the original velvet.
Reproduced in the Borsani book, p. 192,
Leonardo de Luca, Publishers.
31 x 33 x h. 33 in., seat h. 15 in.
23
Tappeto Khorassan
Iran, 1950 circa.
Disegnato da un artista e firmato.
Annodatura in lane policrome.
355 x 280 cm.
24
Khorassan carpet
Iran, around 1950.
Designed and signed by an artist.
Knotted in various colors of wool.
140 x 110 in.
Vaso di Gaetano Pesce
Italia, 2003.
Composto da una membrana in silicone
sostenuta da tre gambe in resina.
Eseguiti duecento esemplari numerati,
in esclusiva per la Galleria Nilufar.
d. 24 x h. 35 cm.
Vase by Gaetano Pesce
Italy, 2003.
A silicone shell, supported
by three resin legs. In an edition
of two hundred numbered examples,
exclusively made for Nilufar Gallery.
d. 9 x h. 14 in.
25
Coppia Poltrone "Penta" di Kim Moltzer
Berlino, 1968.
Struttura smontabile in tubolare d’acciao,
rivestimento in tela originale del periodo.
82 x 86 x h. 75 cm.
26
Pair of “Penta” easy chairs by Kim Moltzer
Berlin, 1968.
Dismountable frame in steel tubing,
upholstered in the original fabric.
32 x 34 x h. 30 in.
Lampada a sospensione
eseguita da Lyfa
Danimarca, 1950 circa.
Metallo laccato bianco e antracite.
d. 60 x h. 50 cm.
Ceiling lamp,
by Lyfa
Denmark, around 1950.
Metal, painted white and anthracite.
d. 24 x h. 20 in.
27
Attaccapanni "B52/1
e relativo tavolo "B96" Thonet
Austria, 1928 circa.
Acciaio cromato e legno laccato nero,
base portaombrelli in metallo.
Attaccapanni: 100 x 25 x h. 20 cm.
Tavolo: 94 x 38 x h. 76 cm.
“B52/1” coat rack
and accompanying “B96”
table, by Thonet
Austria, around 1928.
Chrome-plated steel and wood,
painted black; metal base
in the form of an umbrella stand.
Coat rack: 39 x 10 x h. 8 in.
Table: 37 x 15 x h. 30 in.
Tappeto di Kirsten & John Becker
Danimarca, 1950 circa.
Tassitura a mano in lane policrome.
Pubblicato sul libro Danish Handmade
Rugs and Carpets di Inge Alifrangis,
editore Rhodos, pag. 39. Raro esemplare.
323 x 221 cm.
Carpet by Kirsten & John Becker
Denmark, around 1950.
Hand knotted in various colors of wool.
Reproduced on p. 39 of Inge Alifrangis’
Danish Handmade Rugs and Carpets,
Rhodos Publishers. A rare example.
127 x 87 in.
28
29
Scrivania e sedia di Jansen
Francia, anni '60.
Struttura in acciaio cromato,
rivestimento in pelle originale del periodo.
151 x 76 x h. 77 cm.
Sedia 60 x 50 x h. 87 cm, seduta h. 47 cm.
30
Desk and chair by Jansen
France, 1960s.
Frame in chrome-plated steel,
upholstered in the original leather.
59 x 30 x h. 30 in.
Chair 24 x 20 x h. 34 in., seat h. 19 in.
31
Tavolo basso di Roger Tallon
Francia, 1964-1966.
Serie Module 400, disegnata
nel 1964 e realizzata due anni dopo
dalla Galleria Lacloche, Parigi.
Struttura in fusione d'alluminio e vetro.
d. 85 x h. 40 cm.
32
Low table by Roger Tallon
France, 1964-1966.
Module 400 series, designed
in 1964 and realized two years later
by Galerie Lacloche, Paris.
Frame in cast aluminum and glass.
d. 33 x h. 16 in.
Quattro sedie serie "Harlow"
di Ettore Sottsass
Italia, 1971.
Realizzate da Poltronova.
Struttura in acciaio cromato, rivestimento
in vinile originale del periodo.
46 x 60 x h. 83 cm., seduta h. 42 cm
Four “Harlow” chairs
by Ettore Sottsass
Italy, 1971.
Realized by Poltronova.
Frame in chrome-plated steel,
upholstered in the original vinyl.
18 x 24 x h. 33 in., seat h. 17 in.
33
Maria Pergay
34
Nata in Russia e cresciuta in Francia, Maria Pergay studia sotto la guida
dello scultore russo Ossip Zadkine. Dopo aver firmato oggetti di design
per marchi come Roger & Gallet e Christian Dior, nel 1966 è chiamata
da Salvador Dalì a realizzare una scultura in oro e pietre preziose.
Born in Russia and raised in France, Maria Pergay studied beneath the guide of
the Russia sculptor Ossip Zadkine. After authoring objects of designs for names
like Roger & Gallet and Christian Dior, she was asked in 1966 by Salvador Dalì to
realize a sculpture in gold and precious stones.
Nel 1976 è contatta da Uginox, il più importante produttore francese di
acciaio, per disegnare una collezione di mobili in acciaio inox. L’incarico
si inserisce in un più ampio progetto dell’azienda per stimolare la creatività e le applicazioni del materiale negli arredi d’interno. Fra i designer
invitati si segnalano Michel Boyer e Françoise See. In questo periodo
l’acciao dimostra di essere un materiale elegante e duttile nelle applicazioni: con esso si cimentano alcuni dei più affermati designer dell’epoca.
In 1976, she received a request from Uginox —France’s most important steel producer— to design a collection of furniture in stainless steel. The commission was
a part of an even more ample project which the company had undertaken to
stimulate creativity and a wider range of applications with respect to the use
of steel in interior decorations. Françoise See was another notable designer who
was asked to participate. Steel at this time was to prove itself to be an elegant
material with a wide range of applications, and it began to attract the attention
of some of the period’s most successful designers.
Pergay trasforma ogni oggetto in un unicum artistico. Ogni minimo
dettaglio è curato, le superfici si presentano con un’impeccabile lucentezza al platino, senza cuciture o giunture visibili. Un effetto di qualità
sul filo della perfezione.
Pergay transforms every object into something unique, and a work of art. She
lavishes attention on every detail, surfaces gleam with an impeccable platinum
glow, without visible welds or couplings. An effect of great quality and perfection.
Nel 1973 apre la sua prima galleria, Differences, in rue de Beaune, che
nel 1978 si sposterà in Place des Vosges prendendo il suo nome. Suoi
pezzi sono stati acquistati anche da Jansen, Maison et Jardin e Pierre
Cardin. Fra i clienti privati, si segnalano lo Scià di Persia e François Perier
di Parigi, la cui casa è stata pubblicata nel volume Decoration.
In 1973, she opened her first gallery, Differences, in rue de Beaune, and in 1978
it took her name and moved to Place des Vosges. Her pieces have been purchased
by firms like Jansen, Maison et Jardin, and Pierre Cardin. Her private clients have
included the Shah of Persia and François Perier, whose Paris home is depicted
in the volume Decoration.
Maria Pergay vive a Parigi.
Maria Pergay lives in Paris.
35
Tavolo di Maria Pergay
Francia, 1970.
Piano in acciaio cromato
suddiviso in quattro parti,
base ovale in materiale plastico.
180 x 130 x h. 72 cm.
36
Table by Maria Pergay
France, 1970.
Table top
in chrome-plated steel,
divided into four parts,
oval base in plastic.
71 x 51 x h. 28 in.
Cabinet di Maria Pergay
Francia, 1970-1975.
Proveniente da "Espace Pierre Cardin".
Struttura in legno laccato nero
con ripiani interni, parte frontale
delle due ante in acciaio e ottone
cromato, base d'appoggio
in acciaio cromato.
110 x 45,5 x h. 78 cm.
Cabinet by Maria Pergay
France, 1970–1975.
From “Espace Pierre Cardin.”
Frame in wood, painted black,
with interior shelves,
the frontal part of the two doors
in steel and chrome-plated brass,
supporting base in chrome-plated steel.
43 x 18 x h. 31 in.
37
Cabinet di Maria Pergay
Francia, 1970-1975.
Proveniente da "Espace Pierre Cardin".
Struttura in legno laccato nero
con ripiani interni, parte frontale
delle due ante in acciaio e ottone cromato,
base d'appoggio in acciaio cromato.
210 x 48 x h. 130 cm.
Cabinet by Maria Pergay
France, 1970–1975.
From “Espace Pierre Cardin.”
Frame in wood, painted black,
with interior shelves, the frontal
part of the two doors in steel
and chrome-plated brass, supporting
base in chrome-plated steel.
83 x 19 x h. 51 in.
38
39
Tavolo da pranzo di Ron Arad
Israele, 1996.
Realizzato per il locale Adidas Sports Cafè
di Tolone, Francia. Piano in carbonio,
gambe in tubolare laccato grigio.
Prodotto in dieci esemplari.
278 x 73 x h. 73 cm.
40
Dining-room table by Ron Arad
Israel, 1996.
Realized for the Adidas Sports Cafè
in Toulon, France. Top in carbon fiber,
legs in metal tubing, painted gray.
Produced in an edition of ten examples.
109 x 29 x h. 29 in.
41
Lampada a sospensione
di Pierre Guariche
Francia, 1955.
Bilancere in ottone, paralumi in metallo
verniciato a doppia luce direzionabile.
d. 13 - d. 44 x 140 x h. 60 cm.
Ceiling lamp
by Pierre Guariche
France, 1955.
Balancing rod in brass, lampshades
in painted metal, for two directionable
cones of light.
d. 5 - d. 17 x 55 x h. 24 in.
42
Quattro sedie di Roger Tallon
Francia, 1964-1966.
Serie Module 400, disegnata nel 1964
e realizzata due anni dopo dalla Galleria
Lacloche, Parigi. Struttura in fusione
d'alluminio, rivestimento in vinile.
42 x 45 x h. 72 cm.
Four “Module 400” chairs
by Roger Tallon
France, 1964-1966.
Designed in 1964 and produced two
years later by Galerie Lacloche, Paris.
Frame in cast aluminum, upholstered
in vinyl.
17 x 18 x h. 28 in.
43
Tavolo allungabile
di Hans Wegner.
Danimarca, anni '60.
Legno di quercia.
160 x 100 x h. 72 cm.,
allungato 280 x 100 x h. 72 cm.
44
Length-adjustable table
by Hans Wegner.
Denmark, 1960s.
Oak wood.
63 x 39 x h. 28 in.,
full length 110 x 39 x h. 28 in.
Tappeto di Marta-Maas Fjetterstrom
e Ann-Mari Lindbom
Svezia, 1944.
Firmato AB MMF AML
Tessitura a mano in lane policrome.
308 x 195 cm.
Carpet by Marta-Maas Fjetterstrom
and Ann-Mari Lindbom
Sweden, 1944.
Signed AB MMF AML
Flat weave in various colors of wool.
121 x 77 in.
45
Coppia Poltrone "PK-20"
di Poul Kjaerholm
Danimarca, 1967.
Prodotte da Fritz Hansen nel 1970.
Struttura in acciaio cromato,
rivestimento in pelle originale del periodo.
81 x 76 x h. 91 cm., seduta h. 37 cm.
46
Pair of “PK-20” easy chairs
by Poul Kjaerholm
Denmark, 1967.
Produced by Fritz Hansen in 1970.
Frame in chrome-plated steel,
upholstered in the original leather.
32 x 30 x h. 36 in., seat h. 15 in.
Cassettone
di Gio Ponti
Italia, 1950 circa.
Realizzato in legno di noce,
quattro cassetti con motivi asimmetrici
a rilievo che fungono da maniglie.
Etichetta originale dell'epoca
con la dicitura: M. Singer
& Sons New York - Chicago.
120 x 50 x h. 94 cm.
Chest of drawers
by Gio Ponti
Italy, around 1950.
Walnut, four drawers
with asymmetrical decorations
that also function as handles.
Original label, with the indication:
M. Singer & Sons New York - Chicago.
47 x 20 x h. 37 in.
47
Tappeto
Francia, 1930 circa.
Annodatura in lane policrome.
270 x 225 cm.
Carpet
France, around 1930.
Knotted in various colors of wool.
106 x 89 in.
49
48
Lampada a sospensione
di Stilnovo
Italia, anni '60.
Metallo verniciato e brunito,
cristallo sfaccettato.
d. 45 x h. 140 cm.
Ceiling lamp
by Stilnovo
Italy, 1960s.
Painted and burnished metal,
cut crystal.
d. 18 x h. 55 in.
Michel Boyer
50
Michel Boyer, architetto e designer d’interni, è nato a Parigi nel 1935.
Inizia a lavorare a Parigi negli anni ’60. Alla fine degli anni Sessanta,
oltre a collaborare con clienti come Christian Dior, L’Oréal e Balmain,
firma importanti progetti d’interni, fra cui l’Ambasciata francese
a Brasilia e a Washington, la Banca Rothschild e i Magazzini Lanvin
a Parigi. Dopo i primi successi, Boyer ottiene carta bianca dal committente per progettare in totale autonomia, creando un insieme armonico
di arredi, luci e oggetti di design.
Michel Boyer, architect and interior designer, born in Paris in 1935. He began his
career in Paris in the 1960s. By the end of the 1960s, in addition to working with
clients such as as Christian Dior, L’Oréal and Balmain, he was authoring important projects in interior design, including the furnishings of the French Embassies
in Brasilia and Washington, as well as those of the Banque Rothschild and the
Lanvin department stores in Paris. After his first great successes, Boyer could ask
commissioners for carte blanche so as to work in full autonomy, and thus to design harmonious ensembles of furnishings, lights and objects of design.
Per avere accesso diretto al mercato, Boyer crea una propria azienda, la
Rouve Gallery, per la quale disegna mobili a partire dal 1969. È di questi
anni l’interesse per i nuovi materiali come il fiberglass e il laminato, le
cui potenzialità sono messe a frutto per creare forme originali di sedie e
di tavolini da caffè. Il suo nome è legato ad un uso sapiente dell’acciaio:
utilizza acciaio curvato per la sua famosa sedia a ‘x’, e tubi curvati per
abbracciare la seduta circolare imbottita di una chaffeuse. Boyer sceglie
l’acciaio anche per la straordinaria scrivania di Alain e Elia de Rothschild,
in forte ed elegante contrasto con i legni di pero e di ramino.
For direct access to the market, Boyer created a firm of his own, Rouve Gallery,
for which he began in 1969 to formulate furniture designs. These were the years
of his interest in such new materials as fiberglass and plywood, of which he exploited the potential for the creation of original forms for chairs and coffee tables. His name is also linked to the effective use of steel; he employed curved
steel for his famous “X-shaped” chair, and curved steel tubing as the surrounding
frame of the circular, upholstered seat of a chauffeuse. Boyer again used steel for
the extraordinary desk of Alain and Elia de Rothschild, where it functions in
strong and elegant contrast to pear and “ramino” woods.
Nel 1973 aderisce al gruppo MOB6 di Yonel Lebovici, che promuove una
“nuova via” interdisciplinare all’arte con l’intento di colmare il solco fra
oggetti d’arte e oggetti di uso quotidiano, fra oggetti di design e oggetti
triviali. Nel 1975 lavora per Renault, Moet & Chandon, Hennessy e
Christian Dior. Fra il 1985 e il 1990 firma progetti per le banche Paribas,
Citybank e Crédit Lyonnais, e arreda lo Sheraton Hotel di Amsterdam e
l’Hotel Sequoia a Eurodisney.
In 1973, he became a member of Yonel Lebovici’s MOB6 Group, which promoted
the “new way” of an interdisciplinary approach, with the goal of bridging the gap
between art objects and objects of daily use, between objects of design and the
common run of things. In 1975, he worked for Renault, Moet & Chandon,
Hennessy and Christian Dior. Between 1985 and 1990 he undertook projects for
Paribas bank, Citybank and Crédit Lyonnais, and decorated the Sheraton Hotel in
Amsterdam as well as Hotel Sequoia at Eurodisney.
Michel Boyer ha insegnato all’École Nationale Superieure des Arts
Décoratifs (ENSAD) ed è stato Presidente della Société des Artistes
Décorateurs. Vive a Parigi.
Michel Boyer has taught at the École Nationale Superieure des Arts Décoratifs
(ENSAD) and has been President of the Société des Artistes Décorateurs.
He lives in Paris.
51
Scrivania di Michel Boyer
Francia, fine anni '60.
Eseguita per gli arredi
della Banca Rothschild di Parigi.
Struttura in legno di pero
e di ramino, acciaio e formica.
180 x 80,5 x h. 75 cm.
52
Desk by Michel Boyer
France, end of the 1960s.
Realized for the furnishings
of the Banque Rothschild, in Paris.
Frame in pear and “ramino” wood,
steel and formica.
71 x 32 x h. 30 in.
53
Sedia in ferro di Officina 11, Roma,
di Fabio De Sanctis e Ugo Sterpini
Italia, 1962-1963.
Tubo di ferro piegato e saldato, trattamento
protettivo, sedile in cuoio grasso.
Pubblicata sul libro Il Mobile Surrealista
di Pietro Costa Viappiani, Magis Books
Editori, pag. 110.
58 x 133 x h. 104 cm., seduta h. 23 cm.
54
Chair from Officina 11, Rome,
by Fabio De Sanctis and Ugo Sterpini
Italy, 1962-1963.
Bent and welded iron tubing, protective
treatment, seat in raw leather.
Reproduced in Pietro Costa Viappiani’s
Il Mobile Surrealista, p. 110, Magis Books,
Publishers.
23 x 52 x h. 41 in., seat 9 in.
Tappeto
Francia, 1930 circa.
Annodatura in lane policrome.
298 x 200 cm.
Carpet
France, around 1930.
Knotted in various colors of wool.
117 x 79 in.
Carpet by Emile Gaudissart
France, 1930.
Signed E.G.
Hand knotted on a cotton
warp and woof.
136 x 95 in.
55
Tavolo da disegno di Poul Kjaerholm
Danimarca, 1955.
Eseguito da Rud. Rasmussens Snedkerier,
esclusivamente per professori e studenti
del Royal College of Art di Copenhagen.
Struttura in metallo cromato scuro,
piano in legno di pino.
141 x 85 x h. 87 cm.
5656
56
Drawing table by Poul Kjaerholm
Denmark, 1955.
Produced by Rud. Rasmussens Snedkerier,
for the exclusive use of the professors
and students at Copenhagen’s Royal
College of Art. Frame in dark,
chrome-plated metal, top in pine wood.
56 x 33 x h. 34 in.
Tappeto Tanga Brun Och Gron
di Marta Maas-Fjetterstrom
e Barbro Nilsson
Svezia, 1955.
Firmato AB MMF BN.
Tessitura in lane policrome.
330 x 277 cm.
Tanga Brun Och Gron carpet
by Marta Maas-Fjetterstrom
and Barbro Nilsson
Sweden, 1955.
Signed AB MMF BN.
Flat weave in various colors of wool.
130 x 109 in.
575757 57
58
Letto sovrapponibile
di Carlo Mollino
Italia, 1947.
Realizzato da Ettore Canali
per la Casa del Sole di Cervinia.
Struttura in frassino alla cui testata
posteriore è fissato un appendiabiti
in acero massiccio, lateralmente
è dotatodi un piano d'appoggio
e di un comodino agganciato ad esso.
195 x 83 x h. 100 cm.
Twin and/or bunk beds
by Carlo Mollino
Italy, 1947.
Realized by Ettore Canali
for the Casa del Sole, in Cervinia.
Ash-wood frame with a solid maple
clothes rack attached to the back
of its headboard; equipped
at the side with a shelf, and
a night table attached to it.
77 x 33 x h. 39 in.
59
Coppia lampade da parete
di Gio Ponti
Italia, anni ‘60.
Realizzate per gli arredi dell’Hotel
Parcodei Principi di Roma, dalla ditta Candle,
in ottone.Pubblicato sul libro Gio Ponti,
pag. 372, di Ugo La Pietra, Coliseum Editore.
15 x 9,5 x h. 50 cm.
Pair of wall lamps by Gio Ponti
Italy, 1960s.
Realized for the furnishing of Hotel
Parco dei Principi, Rome, by Candle, in brass.
Reproduced in the Gio Ponti book, p. 372,
by Ugo La Pietra, Colisuem Publishers.
6 x 4 x h. 20 in.
Tappeto
Francia, 1930 circa.
Annodatura in lane policrome.
290 x 190 cm.
Carpet
France, around 1930.
Knotted in various colors of wool.
114 x 75 in.
60
60
61
Credenza di Arne Vodder
Danimarca, 1959.
Prodotta da Sibast. Palissandro,
con due ante scorrevoli e reversibili,
da un lato di colore giallo e dell'altro
in palissandro naturale e sei cassetti.
250 x 47 x h. 80 cm.
62
Sideboard by Arne Vodder
Denmark, 1959.
Produced by Sibast. Rosewood,
with two sliding, reversible doors,
yellow on one side, natural rosewood
on the other, and six drawers.
98 x 19 x h. 31 in.
Lampada da terra 'K10-11'
di Tapio Wirkkala
Finlandia, 1958.
Paralume in metallo verniciato,
stelo e braccio regolabili in ottone.
h. 136 cm.
“K10-11” floor lamp
by Tapio Wirkkala
Finland, 1958.
Lampshade in painted metal,
height-adjustable arm and
shaft in brass .
h. 54 in.
63
Quattro poltrone "Saturns Series"
di Yrjo Kukkapuro
Finlandia, 1966-1967.
Struttura in fiberglass,
base circolare girevole, rivestimento
in pelle originale del periodo.
80 x 80 x h. 75 cm.
64
Four “Saturn Series” easy chairs
by Yrjo Kukkapuro
Finland, 1966-1967.
Frame in fiberglass, swiveling
circular base, upholstered
in the original leather.
31 x 31 x h. 30 in.
Tappeto di Edward Field
U.S.A. anni '70.
Annodatura in lana monocroma.
400 x 392 cm.
Carpet by Edward Field
U.S.A. 1970s.
Knotted in a single color of wool.
157 x 154 in.
65
Lampada a grande sospensione
prodotta da Stilnovo
Italia, anni '50.
Ottone, vetri incisi e acidati.
d. 100 x h. 124 cm.
66
Large ceiling lamp by Stilnovo
Italy, 1950s.
Brass, engraved and etched glass.
d. 39 x h. 49 in.
Tavolo di Paolo Tilche
e Anna Pontremoli
Italia, 1960 circa.
Realizzato per Arform, Milano.
Struttura in acciaio, piano in legno
trasformabile in scrittoio.
d.130 x h. 78 cm.
Table by Paolo Tilche
and Anna Pontremoli
Italy, around 1960.
Realized for Arform, Milano.
Steel frame, wooden top,
can be transformed into a writing desk.
d. 51 x h. 31 in.
67
69
68
Tappeto
Mongolia, seconda
metà XIX secolo.
Annodatura in lane policrome,
su trama e ordito in lana.
355 x 300 cm.
In collaborazione con Khotan srl.
Carpet
Mongolia, second half
of the nineteenth century.
Knotted in various colors of wool,
on a woolen warp and woof.
140 x 118 in.
In collaboration with Khotan, srl.
Lampada a sospensione
di Ilmari Tapiovaara
Finlandia, 1970.
Realizzata da Orno, in 10/15 esemplari,
per Hotel Intercontinental di Helsinki.
Ottone e vetro.
d. 78 cm.
Ceiling lamp by Ilmari Tapiovaara
Finland, 1970.
Realized by Orno, in an edition
of ten to fifteen examples,
for Helsinki’s Hotel Intercontinental.
Brass and glass.
d. 31 in.
Peder Moos
Peder Moos è uno dei talenti più singolari del design del Novecento danese. Nato a Nybøl nel 1906 da una famiglia di contadini, nel 1921 va
a bottega e dal 1926 al 1929 lavora a Parigi, Ginevra e Losanna. Nel
1935, in parallelo con gli studi all’Accademia di Belle Arti, apre un laboratorio a Bredgade (Copenhagen). Durante la seconda guerra, insegna al
Teknologisk Institut.
Peder Moos is one of the most singular talents of twentieth-century Danish design. Born in 1906 in a farming family of Nybøl, he entered a workshop in 1921,
and from 1926 to 1929 he worked in Paris, Geneva and Lausanne. In 1935, in
parallel with studies at the Academy of Fine Arts, he opened a workshop in
Bredgade, in Copenhagen. During the Second World War, he taught at the
Teknologisk Institut.
Nel 1947 disegna e costruisce un tavolo da lavoro per la propria casa
usando i ‘materiali’ che trova subito fuori di casa: noce, faggio e la luce
della natura danese, da allora e per sempre la sua musa ispiratrice.
La forma organica è funzionale alla disposizione del massimo numero
di persone intorno alla circonferenza data, anche se il tavolo adempie
alla funzione primaria di piano di lavoro. L’estensione con tripode verrà
disegnata più tardi. Dal 1962 al 1965, nell’arco di tre anni, realizza
interamente a mano una biblioteca in palissandro, uno dei pezzi più
complessi della sua produzione per qualità di esecuzione e intelligenza
delle soluzioni.
In 1947, he designed and constructed a work table for his own home, employing
the “materials” that he found right outside his front door: walnut, beech and the
light of Denmark’s world of nature, which ever since has been his constant muse.
The table’s organic shape is also functional, in the sense of allowing the seating
of a maximum number of persons around its given circumference, even if it finds
its primary function as a work table. The tripod-based extension was designed at
a later date. From 1962 to 1965, throughout the space of three years, he entirely
handcrafted a rosewood bookcase, one of the three most complex pieces he was
ever to produce, in terms of the quality of its execution and the intelligence of its
functions and details.
La profonda comprensione dei materiali, l’assoluto controllo sull’esecuzione, il rispetto del modo in cui il mobile dovrebbe funzionare e una
folgorante intuizione concorrono a uno stile spiazzante ma sempre
armonico e profondamente vitale. La sua poetica arriva a trasformare
ogni pezzo in un’opera d’arte, una testimonianza quasi etica di tensione
alla bellezza e all’estro individuale.
Profound understanding of materials, absolute control of execution, respect for
the ways in which the piece of furniture has to function, and lightning intuition
all come together in a highly surprising but always harmonious and profoundly
vital style. Moos’ poetic turns every piece he makes into a work of art, an almost
ethical tribute to the longing for beauty and the imagination of the individual.
Nel libro Diario di un ebanista James Krenov racconta un episodio sul
famoso ebanista danese Peder Moos. La storia vuole che Peder Moos
realizzò una sedia per un cliente in Oriente e la spedì via mare. Una
volta scaricata dalla nave, un elefante la schiacciò con le zampe. L’unica
cosa che restò intatta furono le giunture: tutto il resto era ridotto
in mille schegge.
70
James Krenov’s A Cabinet-makers Notebook tells a story about Peder Moos, this
famous Danish ebonist. He recounts that Moos constructed a chair for a client in
the Orient, and shipped it off by boat. But once it arrived and had been unloaded,
an elephant crushed it beneath its feet: the joints survived, whereas everything
else was shattered into thousands of pieces.
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72
Libreria di Peder Moos
Danimarca 1962-1965.
Realizzata in tre anni completamente
a mano, in legno di palissandro,
congiunzioni ad incastro e spinature
in legno, su committenza di un importante
cliente ed intimo amico. E’ uno dei più
pregiati esemplari, considerato
un caposaldo del design moderno.
71 x 34 x h. 192 cm.
Book case by Peder Moos
Denmark 1962-1965.
Entirely hand-crafted in rosewood
in three years of work, mortise joints
and spines in wood, on commission
from an important client and intimate friend.
This is one of the most intricate
and famous examples of Moos’ work,
and considered a reference point
of modern design.
28 x 13 x h. 76 in.
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74
Tavolo da lavoro di Peder Moos
Danimarca, 1947.
Progettato e realizzato come tavolo
da lavoro per la sua abitazione,
utilizzando legno di noce e di faggio.
La parte allungabile a tre gambe
fu realizzata successivamente.
Unico esemplare.
120 x 91 x h. 65 cm.
95 x 93 x h. 67 cm.
Work table by Peder Moos
Denmark, 1947.
Designed and realized as a work table
for his own home, in walnut
and beech wood. The part that
can be lengthened, on three legs,
was realized at a later date.
Unique example.
47 x 36 x h. 26 in.
37 x 37 x h. 26 in.
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Coppia di poltrone
di Hans Brattrud
Norvegia, 1957.
Realizzate da Hove in palissandro
curvato, gambe in acciaio.
70 x 73 x h. 105 cm.
Pair of easy chairs
by Hans Brattrud
Norway, 1957.
Produced by Hove in curved
rosewood, steel legs.
28 x 29 x h. 49 in.
79
78
Tappeto
Francia, 1930 circa.
Annodatura in lane policrome.
294 x 188 cm.
Carpet
France, around 1930.
Knotted in various colors of wool.
116 x 74 in.
Tavolo da lavoro "PK 55"
di Poul Kjaerholm
Danimarca, 1957.
Eseguito da Kold Khristensen.
Struttuta in acciaio cromato,
piano in legno di pino.
204 x 102 x h. 68,5 cm.
“PK 55” work table
by Poul Kjaerholm
Denmark, 1957.
Produced by Kold Khristensen.
Frame in chrome-plated steel,
top in pine wood.
80 x 40 x h. 27 in.
Tappeto Decò
Francia, 1930 circa.
Annodatura in lane policrome.
300 x 193 cm.
Decò carpet
France, around 1930.
Knotted in various colors of wool.
118 x 76 in.
80
81
Tappeto Amritzar
India nord-occidentale, fine XIX secolo.
Annodatura in lane policrome,
su trama e ordito in lana.
345 x 330 cm.
Amritzar Carpet
North-west India,
end of the nineteenth century.
Knotted in various colors of wool,
on a woolen warp and woof.
136 x 130 in.
Sgabello "Fun leg n. X601"
di Alvar Aalto
Finlandia, 1954.
Eseguito da Artek, è considerata
una delle soluzioni più sofisticate di Aalto,
elaborata dalla prima costruzione Y-leg.
Sedile in pelle, gambe in legno laminato.
60 x 60 x h. 45 cm.
“Fun leg” stool no. X601
by Alvar Aalto
Finland, 1954.
Produced by Artek, this is considered
to be one of Aalto’s most sophisticated
designs, derived from the first
Y-leg construction. Seat in leather,
legs in plywood.
24 x 24 x h. 18 in.
Lampada da terra di Paavo Tynell
Finlandia, anni '50.
Paralume in metallo verniciato,
stelo in ottone ricoperto in rattan.
h. 150 cm.
Floor lamp by Paavo Tynell
Finland, 1950s.
Lampshade in painted metal,
brass shaft covered with rattan.
h. 59 in.
82
83
Credenza di Arne Vodder
Danimarca, 1959.
Prodotta da Sibast.
Palissandro, con due ante scorrevoli
e reversibili, da un lato di colore giallo
e dell'altro in palissandro naturale
e sei cassetti.
180 x 50 x h. 70 cm.
84
Sideboard by Arne Vodder
Denmark, 1959.
Produced by Sibast.
Rosewood, with two sliding,
reversible doors, yellow on one side,
natural rosewood on the other,
and six drawers.
71 x 20 x h. 28 in.
Tappeto
Francia, 1930 circa.
Firmato DFC.
Annodatura in lane policrome.
245 x 152 cm.
Carpet
France, around 1930.
Signed DFC.
Knotted in various colors of wool.
96 x 60 in.
85
Finn Juhl
86
Finn Juhl, nato a Copenhagen nel 1912, entra alla Scuola di Architettura
dell’Accademia Reale Danese di Belle Arti nel 1930, lo stesso anno della
mostra di Stoccolma e dello sbarco dello stile Internazionale in
Scandinavia. Sotto la guida di Kay Fisker, Juhl diventa uno degli allievi
più interessanti della propria classe. Terminata la scuola nel 1934, Finn
Juhl inizia il tirocinio nello studio di Wilhelm Lauritzen. Alla fine del
secondo conflitto mondiale e dopo aver portato a termine la sala dei
concerti della Radio danese, Juhl dà le dimissioni e apre il proprio studio.
Born in Copenhagen in 1912, Juhl entered the School of Architecture at the
Royal Danish Academy of Fine Arts in 1930 —the same year as the Stockholm
exhibition, and the year in which Scandinavia experienced the breakthrough
of the International style. Juhl studied with Kay Fisker, and revealed himself to be
one of the most interesting students in his class. After the spring term of 1934,
Juhl started his career as an intern at the studio of Wilhelm Lauritzen. It was only
at the end of World War II, and after seeing the completion of the concert hall of
the Danish Radio Station, that Juhl resigned and opened a studio of his own.
Nel 1937 Niels Vodder chiede a Finn Juhl di disegnare dei mobili per la
mostra annuale della Gilda degli Ebanisti. Questi primi progetti di Juhl
nascono nel solco di una forte influenza da parte di artisti come Jean
Arp, Henry Moore e il danese Erik Thommesens. Le loro sculture sono
spesso state inserite nei progetti di architettura d’interni di Juhl. I primi
pezzi di Juhl sono imbottiti, con forme organiche, colori accesi e un
aspetto leggermente scomposto e vengono accolti in modo controverso.
In 1937 Niels Vodder suggested that Juhl might design a number of pieces
of furniture for the annual exhibition of the Cabinet Makers’ Guild. These early
designs show the strong influence of artists such as Jan Arp, Henry Moore and
the Danish Erik Thommesens. Sculptures by these artists were also often included
in Juhl’s schemes for interior decorations. These first pieces of furniture —upholstered, “organically” shaped, brightly colored, and somewhat clumsy-looking—
were seen as controversial.
Dopo un periodo sperimentale, nel dopoguerra Juhl inizia a separare gli
elementi della seduta, dello schienale e del piano del tavolo dagli elementi portanti. Questa soluzione viene sperimentata anche da Rietveld e
Bruer ma nel caso di Finn Juhl, grazie alla cooperazione con l’esperienza
di Niels Vodder, l’artigianato si evolve in tradizione moderna. Juhl si cimenta, invece che con il classico mogano, anche con materiali ‘nuovi’
come il tek, il palissandro, l’abete dell’Oregon, e nel 1953 disegna per
France & Son la prima sedia in tek per la produzione in serie (Model 133).
After an early experimental period, Juhl began in the post-war years in his own
studio to separate the carrying parts of his pieces of furniture from the seats, the
backs or the tabletops. Rietveld and Breuer had made similar experiments. But
Finn Juhl’s achievement, in collaboration with the skillful Niels Vodder, was to
pull handcraftsmanship into a modernist tradition. He also experimented with
“new” materials, such as teak, rosewood, and Oregon pine, instead of relying on
classic mahogany. In 1953, for France & Son, he designed the first teak chair for
mass production (Model 133).
Finn Juhl è leggero nei colori, nella struttura e nelle forme. Disegna oggetti come se fossero architetture. Paragonato a Giò Ponti, Alvar Aalto e
più tardi Aldo Rossi, che progettano gli arredi come piccoli pezzi della
loro architettura, i mobili e gli arredi di Juhl mostrano un grande rispetto
per le proprietà specifiche del materiale.
Finn Juhl relied on lightness in color, structure and form, and he designed his
works in an architectural manner. He can be compared in this sense with Giò
Ponti, Alvar Aalto and later Aldo Rossi, all of whom created their furniture nearly
as though it constituted smaller versions of their architectural projects. Juhl’s interiors and furniture show great respect for his materials’ specific qualities.
Fra le opere più importanti di Finn Juhl, e secondo R. Craig Miller “due
capolavori del loro secolo”, vi sono la poltrona e il divano a due posti
Chieftain, entrambi realizzati nel 1949. La giustapposizione di legno
spesso e legno sottile crea una base architettonica per gli elementi della
seduta e dei braccioli, con un delicato equilibrio “fra parte imbottita e
struttura portante”. Il nome rimanda alla fonte di ispirazione di Juhl:
l’arte primitiva e le armi. La poltrona Chieftain viene prodotta per la prima volta per le 78 ambasciate danesi in tutto il mondo, e in un secondo
momento in serie limitata da Niels Vodder. Il divano a due posti è assai
più raro e ad oggi sono noti solo quattro esemplari.
Finn Juhl’s most compelling designs —and, in the words of R. Craig Miller, “two of
the century’s masterpieces”— are the Chieftain Chair and the Double Chieftain
Chair, both of which were designed and first exhibited in 1949. An integrated
structure of thicker and thinner slabs of wood serves as the architectural base for
the seats as well as the arm-rests and creates a delicate balance between “carried
and carrying” elements. The chair’s name calls attention to the sources of inspiration on which Juhl drew while making it: primitive art and weapons.
The Chieftain Chair was first produced for the seventy-eight Danish embassies
throughout the world, and a limited number were later made by Niels Vodder.
The Double Chieftain Chair is far more rare, and to date is known to exist in only
four examples.
Juhl sviluppa la propria idea costruttiva di elemento imbottito ed elemento portante (“the bearing and the borne”) per costruttori di mobili
come Baker, Bovirke e France & Daverkosen. Non rimane fermo e adotta,
da buon architetto, strutture in acciaio. Esempi di questa evoluzione sono la splendida scrivania del 1953 in cui i colori applicati – uno dei primi casi – si armonizzano con il legno, e il daybed disegnato per
l’architetto Eske Kristensen nel 1958, entrambi prodotti da Bovirke.
Juhl made use of his principle of construction —his notion of “carried and carrying elements”— for such producers as Baker, Bovirke, France, and Daverkosen.
As the modern architect which in fact he was, he shifted to the use of steel frameworks. An example can be found in the singular sofa and day-bed which he
designed in 1960 for the architect Eske Kristensen, and which then was produced
by Bovirke. There is also the splendid desk to which he added—as one of the
first—colors that harmonize with the wood.
Finn Juhl si spegne a Copenhagen nel 1989.
Finn Juhl died in Copenhagen in 1989.
87
Divano a due posti
"Double Chieftain Chair"
di Finn Juhl
Danimarca, 1949.
Prodotta da Niels Vodder.
Struttura in teak, rivestimento in pelle nera
originale del periodo. Sino ad oggi si è
a conoscenza; dell’esistenza di soli quattro
esemplari; uno appartenente alla seconda
moglie Hanne; uno esposto al Kunstindustri
Museum di Copenhagen; uno presso una
collezione privata; e l’esemplare qui proposto,
acquistato da un privato al "Den Permanente"
di Copenhagen.
196 x 95 x h. 95 cm.
88
Two-seater “Double Chieftain”
Sofa by Finn Juhl
Denmark, 1949.
Produced by Niels Vodder.
Frame in teak, upholstered in the original
black leather. Known to date to exist in only
four examples: one in the possession
of Juhl’s second wife, Hanne; one at
Copenhagen’s Kunstindustrimuseum;
one in a private collection; and the example
presented here, purchased by a private
customer at Copenhagen’s “Den Permanente.”
77 x 37 x h. 37 in.
89
Tavolo basso di Finn Juhl.
Danimarca, 1952.
Eseguito da Bovirke e presentato
al Forum di Copenhagen nello stesso anno.
Struttura in legno di noce e faggio,
superfice in opaline. Esemplare molto raro.
77 x 56 x h. 56 cm.
90
Low table by Finn Juhl
Denmark, 1952.
Produced by Bovirke and presented
at his show in the same year
at Copenhagen’s Forum.
Frame in walnut and beech wood,
top in white glass. A very rare example.
30 x 22 x h. 22 in.
Tavolo basso di Finn Juhl
Danimarca, 1955-1958.
Eseguito da Niels Vodder,
struttura in acciaio, piano
e parte terminale gambe in teak.
Esemplare molto raro.
100 x 100 x h. 45 cm
Low table by Finn Juhl
Denmark, 1955-1958.
Produced by Niels Vodder,
frame in steel, table top
and tips of the legs in teak.
A very rare example.
39 x 39 x h. 18 in.
91
Mobile da ufficio di Finn Juhl
Danimarca, 1960 circa.
Eseguito da Bovirke.
Struttura in palissandro massiccio,
con ripiano scorrevole, cassetti
e un’anta, gambe in acciaio.
92 x 42 x h. 71 cm.
92
Office cabinet by Finn Juhl.
Denmark, around 1960.
Produced by Bovirke.
Frame in solid rosewood,
with sliding shelf, drawers
and a door, steel legs.
36 x 17 x h. 28 in.
Poltrona mod. 49A
"Chieftain Chair"
di Finn Juhl
Danimarca, 1949.
Prodotta da Niels Vodder. Struttura
in teak, rivestimento in pelle originale
del periodo. Prodotta per la prima volta
per le settantotto ambasciate danesi
in tutto il mondo, in un secondo tempo
in serie limitata da Niels Vodder
Esemplare rarissimo.
98 x 95 x h. 95 cm.
“Chieftain Chair”
mod. 49A
by Finn Juhl
Denmark, 1949.
Produced by Niels Vodder. Frame in teak,
upholstered in the original leather. First
produced for the seventy-eight Danish
embassies trought the world, and a limited
number were later made by Niels Vodder
A very rare example.
39 x 37 x h. 37 in.
93
Scrivania di Finn Juhl
Danimarca, 1953.
Eseguita da Bovirke.
Struttura in metallo, piano e prolunga
in teak, quattro cassetti con frontale
colorato. Raro esemplare.
170 x 85 x h. 69 cm.
94
Desk by Finn Juhl
Denmark, 1953.
Produced by Bovirke.
Frame in metal, top and extension
in teak, four drawers with colored
front panels. A rare example
67 x 33 x h. 27 in.
95
Daybed di Finn Juhl
Danimarca, 1958-1962.
Provenienza abitazione
Arch. Eske Kristensen. Struttura in teak
massiccio, con due cassettoni scorrevoli,
rivestimento in tessuto originale di Bovirke.
293 x 84 x h. 45 cm.
96
Daybed by Finn Juhl
Denmark, 1958-1962.
From the home of architect
Eske Kristensen. Frame in solid teak,
with two sliding drawers, and
upholstered in the original Bovirke fabric.
115 x 33 x h. 18 in.
97
Tappeto
Francia, 1940 circa.
Annodatura in lane policrome.
292 x 189 cm.
Carpet
France, around 1940.
Knotted in various colors of wool.
115 x 74 in.
98
Coppia sedie di Poul Kjaerholm
Danimarca, 1952.
Sviluppata in collaborazione
con Jorgen Hoj e prodotta
da Thorvald Madsens Snedkerier.
Struttura di legno e rivestimento
in corda originale del periodo.
65 x 82 x h. 62 cm., seduta h. 18 cm.
Pair of chairs by Poul Kjaerholm
Denmark, 1952.
Designed in collaboration
with Jorgen Hoj and produced
by Thorvald Madsens Snedkerier.
Wood frame, upholstered
in the original cord.
26 x 32 x h. 24 in., seat h. 7 in.
99
99
Daybed di Charlotte Perriand
Francia, 1960 circa.
Proveniente da uno chalet
di montagna sulle Alpi. Legno di pino,
piedi rotondi e bordi in raffia.
154 x 88 x h. 50 cm.
100
Daybed by Charlotte Perriand
France, around 1960.
From a chalet in the Alps.
Pine wood, round feet and side
panels in raffia.
61 x 35 x h. 20 in.
101
103
102
Lampada a sospensione di Sciolari
Italia, anni '60.
Acciaio e alluminio cromato.
d. 90 x h. 122 cm.
Ceiling lamp by Sciolari
Italy, 1960s.
Steel and chrome-plated aluminum.
d. 35 x h. 48 in.
Tappeto "Ursula"
di Marta Maas-Fjetterstrom
Svezia, 1935, eseguito prima del 1942.
Firmato MMF. Tecnica a rilievo,
parzialmente tessuto e annodato.
365 x 260 cm.
“Ursula” carpet
by Marta Maas-Fjetterstrom
Sweden, 1935, executed before 1942.
Signed MMF. Relief technique,
partly woven, partly knotted.
144 x 102 in.
Tappeto di Emile Gaudissart
Francia, 1930.
Firmato E.G.
Annodatura a mano su trama
e ordito in cotone.
345 x 240 cm.
Carpet by Emile Gaudissart
France, 1930.
Signed E.G.
Hand knotted on a cotton
warp and woof.
136 x 95 in.
105
104
Tappeto
Svezia, anni '50.
Firmato SH BK
(Svensk Hemslojd Berit Koening).
Tessitura piatta, eseguito in lana,
l'effetto apparentemente monocromo
è ottenuto da melange di lane colorate.
615 x 380 cm.
Carpet
Sweden, 1950s.
Signed SH BK
(Svensk Hemslojd Berit Koening).
Flat weave, in wool, with apparently
monochrome effect achieved through
a mixture of colored wools.
242 x 150 in.
Mobile contenitore
di Giò Ponti
Italia, 1960-1964.
Progettato per Hotel Parco
dei Principi di Roma. Frassino
e formica, con anta laterale.
Esemplare unico.
84 x 30,5 x h. 92,5 cm.
Cabinet by Giò Ponti
Italy, 1960-1964.
Designed for Hotel Parco
dei Principi, Rome. Ash-wood
and formica, with a side door.
Unique example.
33 x 12 x h. 36 in.
Tappeto
Svezia, XVIII secolo.
Annodatura a pelo lungo,
con inserti di tessuto in lana,
che si attribuiscono
alle divise dei soldati.
183 x 145 cm.
Carpet
Sweden, eighteenth century,
knotted in long pile wool,
with inserts in woolen fabric,
held to be reclaimed from
soldier’s uniforms.
72 x 57 in.
106
107
Sedia di Verner Panton
Danimarca, 1998.
Esemplare n. 7, realizzato in vetro
da Hebsgaard, per la Galleria
Tommy Lund, in venti esemplari
numerati e firmati.
42 x 42 x h. 84 cm., seduta h. 44 cm.
108
Chair by Verner Panton
Denmark, 1998.
Realized in glass by Hebsgaard
for the Tommy Lund Gallery. No. 7
of an edition of twenty examples,
signed and numbered.
17 x 17 x h. 33 in., seat h. 17 in.
109
Panca pieghevole
Cina, regione Shanxi,
metà XVIII secolo.
Struttura in legno laccato nero,
seduta in tessuto.
106 x 51 x h. 97 cm., seduta h. 55 cm.
110
Folding bench
China, Shanxi Province,
mid-eighteenth century.
Frame in black lacquered wood,
cloth seat.
42 x 20 x h. 38 in., seat h. 22 in.
Tappeto Pechino
Cina, fine XIX secolo.
Annodatura in lane policrome,
su trama e ordito in lana. 440 x 430 cm.
In collaborazione con Khotan srl.
Peking carpet
China, end of the nineteenth century.
Knotted in various colors of wool,
on a woolen warp and woof. 173 x 169 in.
In collaboration with Khotan, srl.
111
113
112
Tappeto
Israele, anni '40.
Annodato in lane policrome.
Gli atelier di manifattura Israeliana,
hanno prodotto pochi esemplari.
310 x 195 cm.
Otto sedie "Nana Chair"
di Ilmari Tapiovaara
Finlandia, 1956.
Prodotte da J. Merivaara Ltd,
struttura in acciaio tubolare
e legno compensato verniciato.
41 x 36 x h. 73 cm., seduta h. 41 cm.
Eight “Nana Chairs”
by Ilmari Tapiovaara
Finland, 1956.
Produced by J. Merivaara Ltd,
frame in steel tubing
and painted plywood.
16 x 14 x h. 29 in., seat h. 16 in.
Carpet
Israel, 1940.
Knotted in various colors of wool.
Israeli ateliers have produced
very few examples.
122 x 77 in.
Consolle
Cina, regione Shanxi,
metà XIX secolo.
Legno laccato nero
con due cassetti laterali.
Modello raro.
210 x 52 x h. 84 cm.
114
Console
China, Shanxi Province,
mid-Nineteenth century.
Black lacquered wood
with two side drawers.
A rare piece
83 x 20 x h. 33 in.
115
Tre Vasi Ming
Cina, XIX secolo.
Ceramica con disegni
eseguiti a mano.
d. 38 x h. 57 cm.
d. 40 x h. 63 cm.
d. 40 x h. 65 cm.
116
Three Ming Vases
China, nineteenth century.
Ceramic with hand-crafted
decorations.
d. 15 x h. 22 in.
d. 16 x h. 25 in.
d. 16 x h. 26 in.
Tappeto
Italia, anni '60.
Annodatura in lane policrome.
306 x 200 cm.
Carpet
Italy, 1960s.
Knotted in various colors of wool.
120 x 79 in.
117
Tappeto Flokati
di Alkiviadis Karamichos
Grecia, 1970 circa.
Raro esemplare eseguito a mano,
colori naturali in lana di pecora,
disegno diamante nelle tonalità
del marrone e bianco.
376 x 239 cm.
118
Flokati carpet
by Alkiviadis Karamichos
Greece, around 1970.
Rare hand-woven example,
natural colors of sheep’s wool,
diamond pattern
in brown and white.
148 x 94 in.
Set tavoli bassi
di Kurt Ostervig
Danimarca, anni ‘60.
Realizzati in palissandro.
37 x 37 x h. 38 cm.
47 x 37 x h. 44 cm.
57 x 37 x h. 50 cm
Set of low tables
by Kurt Ostervig
Denmark, 1960s.
Realized in rosewood.
15 x 15 x h. 15 in.
19 x 15 x h. 17 in.
22 x 15 x h. 20 in.
119
Consolle
Cina, provenienza Shanxi,
metà XVIII secolo.
Legno laccato nero.
259 x 44 x h. 79 cm.
120
Console
China, Shanxi Province,
mid-eighteenth century.
Black lacquered wood.
102 x 17 x h. 21 in.
Lampada da terra "Busto di Moro"
di Piero Fornasetti
Italia, anni '50.
Composto da colonna in metallo laccato
e spugnata a mano, h, 107 cm., busto
in vitrous-china, h. 61 cm., lampadario
in rame e gocce di cristallo, h. 42 cm.
“Busto di Moro” Floor lamp
by Piero Fornasetti
Italy, 1950s.
Composed of a painted and hand-sponged
column, h, 42 in., a bust in vitreous-china,
h. 24 in., lamp in copper and crystal drops,
h. 17 in.
121
Tavolo "Cone table" di Verner Panton
Danimarca, 1961.
Prodotto da Pluslinje.
Esemplare rarissimo perché abitualmente
composto da un'unica gamba conica,
quindi in misura ridotta.
150 x 83 x h. 71 cm.
122
“Cone table” by Verner Panton
Denmark, 1961.
Produced by Pluslinje.
An extremely rare example, since
this piece was normally produced
with a single cone-shaped leg,
and therefore on a smaller scale.
59 x 33 x h. 28 in.
Tappeto
Danimarca, 1950 circa.
Tassitura a mano in lane policrome.
Raro esemplare.
290 x 218 cm.
Carpet
Denmark, around 1950.
Hand knotted in various colors of wool.
Rare example.
114 x 86 in.
123
Tappeto
di Gaetano Pesce
Italia, 2002.
Esemplare unico realizzato in silicone,
riportante la frase: "questo nostro
è il tempo delle domande...
e non quello delle risposte”.
273 x 154 cm.
Carpet by Gaetano Pesce
Italy, 2002.
Unique example realized in silicone,
bearing the phrase: "questo nostro
è il tempo delle domande...
e non quello delle risposte”.
(“Our time is the time of questions,
not of answers.”)
107 x 61 in.
125
124
Lampada da terra “Giraffa”
di Brotto, Italia, 1970.
Prodotta da Esperia, struttura in acciaio
cromato, paralume in alluminio satinato.
Altezza regolabile.
“Giraffa” floor lamp
by Brotto, Italy, 1970.
Realized by Esperia, frame in chromium
plated steel, lampshade in glazed aluminum.
Height adjustable.
Tavolo d’appoggio
di Vittorio Valabrega
Italia, anni '30.
Realizzato, nel suo atelier
a Torino, in legno di noce massiccio
tinto anilina, con cassetto e ripiano.
Valabrega ha partecipato all'Esposizione
Universale di Parigi nel 1900, ottenendo
una medaglia d'oro e all'Esposizione
Inernazionale di Milano, ottenendo
il Grand Prix.
73 x 45 x h. 74 cm.
End-table
by Vittorio Valabrega
Italy, 1930s.
Realized in his studio in Turin
in solid In walnut, tinted with
aniline, witha drawer and a shelf.
Valabrega took part in the Paris
World’s Fair of 1900, where he won
a gold medal, and he also took part
in Milan’s Esposizione Internazionale,
where he won the Grand Prix.
29 x 18 x h. 29 in.
127
126
Tappeto
Svezia, anni '50.
Firmato AF
Tessitura a mano in lane bicrome.
348 x 216 cm.
Carpet
Sweden, 1950s.
Signed AF
Hand knotted in two colors of wool.
137 x 85 in.
Tappeto Berbero
Marocco, 1940 circa
Rara iconocrafia.
Annodatura in lane naturali.
250 x 170 cm.
Berber carpet
Morocco, around 1940.
Rare iconography.
Knotted in natural wool.
98 x 67 in.
Lampada a bilanciere di Stilnovo
Italia, 1958.
Realizzata in ottone cromato,
paralume in alluminio laccato
bianco e nero.
d. 28,5 x 96 cm.
Balancing lamp by Stilnovo
Italy, 1958.
Realized in chrome-plated brass,
lampshade in aluminum,
painted white and black.
d. 11 x 38 in.
128
129
131
130
Lampada a sospensione
di Gino Sarfatti, Italia, anni '60.
Prodotta da Arteluce, coppe in metallo
laccato bianco,vetro sabbiato e ottone.
d. 90 x h. 58 cm.
Ceiling lamp
by Gino Sarfatti, Italy, 1960s.
Realized by Arteluce, white painted
metal, frosted glass and brass.
d. 35 x h. 23 in.
Tappeto
Francia, 1930 circa.
Annodatura in lane policrome.
293 x 196 cm.
Carpet
France, around 1930.
Knotted in various colors of wool.
115 x 77 in.
Tappeto "Rabatten Bla"
di Marta Maas-Fjetterstrom
e Barbro Nilsson
Svezia, 1944.
Firmato AB MMF BN.
Annodatura in lane policrome.
566 x 258 cm.
132
“Rabatten Bla” carpet
by Marta Maas-Fjetterstrom
and Barbro Nilsson
Sweden, 1944.
Signed AB MMF BN.
Knotted in various colors of wool.
223 x 102 in.
133
Tavolo da pranzo eseguito
dall'atelier Pontoppidan.
Danimarca, inizio anni '60.
Realizzato in palissandro,
ripiano in massello.
250 x 110 x h. 72 cm.
134
Dining-room table realized
by Atelier Pontoppidan.
Denmark, early 1960s.
Solid rosewood top.
98 x 43 x h. 28 in.
Coppia Lampade a sospensione
"Mod. 2589" di Fontana Arte
Italia, anni '70.
Tubi cilindrici in metallo verniciato.
25 x 25 x h. 140 cm.
Pair of “Mod. 2589” ceiling lamps
by Fontana Arte
Italy, 1970s.
Cylindrical tubes in painted metal.
10 x 10 x h. 55 in.
135
Tavolo
Cina, regione Shanxi, metà XVIII secolo.
Legno laccato nero, trasformabile
in due consolle.
d. 120 x h. 84 cm.
136
Table
China, Shanxi Province, mid-eighteenth century.
Black lacquered wood, can be transformed
into two consoles.
d. 47 x h. 33 in.
Tappeto di Emilio Pucci
realizzato da Dandolo
Argentina, 1972-1975.
Doppia annodatura a mano
in lane policrome. Esposto al Museo
Arte Decorativa di Buenos Aires.
437 x 353 cm.
Carpet by Emilio Pucci
Realized by Dandolo
Argentina, 1972-1975.
Double hand knotted in various colors
of wool. Exhibited at the Museo Arte
Decorativa of Buenos Aires.
172 x 139 in.
137
Alvar Aalto
Per Aalto ogni lavoro di progettazione è un processo a sé, in cui ad ogni
passaggio si deve ricercare la soluzione che meglio si pone al servizio
dell’utente. In questo senso, Aalto è un maestro del razionalismo. D’altro
canto la sua produzione in architettura e nel design contiene un elemento fortemente artistico. Alla base della sua creatività vi è un elemento scherzoso e ironico, esperimenti e libere associazioni hanno un
ruolo importante nel suo percorso creativo (Aalto era famoso per il talento verbale e l’abilità nel raccontare storie).
Alvar Aalto saw each of his projects as a process entirely its own, and in each of
the phases of every project he saw it as his duty to search out the solution that
best would work to the advantage of the final consumer. In this sense, Aalto was
a master of rationalism. But on the other hand, his work in both design and architecture contains a highly artistic element. At the roots of his creativity, there’s
an element of play and irony; experiment and free association were also important in his work. He was likewise famous for his way with words, and for his
great ability as a story-teller.
Nato a Kuortane nel 1898, nel 1916 si iscrive al Politecnico di Helsinki,
dove si laurea in architettura nel 1921. Dal 1923 al 1927 firma 36 progetti di architettura, di cui 14 realizzati. I viaggi in Olanda e in Francia
nel 1928 lo avvicinano alle correnti internazionali del modernismo. A
partire dagli anni ’30 è già un nome affermato a livello internazionale,
anche grazie ai rapporti personali allacciati con Le Corbusier, MoholyNagy e Leger. Nei primi anni ’30 il negozio di mobili svizzero
Wohnbedarf inizia la produzione e la vendita di alcuni mobili, nello stesso periodo in cui in patria Aalto vince concorsi per oggetti in vetro e disegna il famoso vaso Savoy. Nel 1933 completa il cantiere del Sanatorio
di Paimio, che consacra il giovane maestro in tutto il mondo. Per questo
edificio progetta tutti gli interni e li produce direttamente. Nello stesso
periodo arrivano i primi riconoscimenti come designer di mobili. Gli arredi di Aalto sono strettamente legati alle invenzioni nelle giunture del
legno. Molte delle sue innovazioni vengono registrate come brevetti in
diversi paesi negli anni ’30, ’40 e ’50. Secondo la sua concezione, gli interni e gli oggetti di interior design devono essere concepiti in armonia
con lo stile architettonico dell’edificio.
Born in Kuortane in 1898, he enrolled in 1916 at Helsinki’s Polytechnic, from
which he received his degree in architecture in 1921. Between 1923 and 1927, he
authored thirty-six architectural projects, of which fourteen were realized. In
1928 his travels in France and Holland put him in touch with the international
currents of modernism. In as early as the 1930s, he was already a well-known name on the international scene, thanks as well to his personal friendships with Le
Corbusier, Moholy-Nagy and Leger. And at the start of the 1930s, the Swiss manufacturer Wohnbedarf began the production and sale of a number of his works
in the very same period in which in his native country he won various competitions for works in glass and designed his famous Savoy vase. In 1933, he completed his work on the building site of the Paimio Sanatorium, which marked his recognition as a young master all throughout the world. His work on this building
included the design of all the interior decorations, and he personally undertook
their production. The same period saw the arrival of the first recognitions of his
work as a furniture designer. Aalto’s furnishings are strictly linked with his innovations in the joinings of wood. Many of his procedures were registered and patented in various countries in the 1930s, 40s, and 50s. He promoted the view that
a building’s furniture and objects of interior design must harmonize with its style
of architecture.
Nel 1935 nasce Artek, il marchio che promuove i mobili e i prodotti
di design di Aalto. Nel 1939 progetta il padiglione finlandese alla
Esposizione mondiale di New York, che fa scalpore per la forma organica
e innovativa. Dopo la guerra, dal 1946 al 1948, Aalto insegna al MIT, dove progetta anche il dormitorio per gli studenti.
Gli anni ’50 sono il periodo culminante per il suo lavoro di architetto.
Sono di questo periodo molte delle sue opere più significative, quando la
sua produzione imbocca una linea più personale. Fra le sue fonti di ispirazione, molta influenza hanno il classicismo nordico, fatto di purezza,
semplicità e ascetismo, il funzionalismo ma anche i modelli italiani dell’architettura antica, medievale e rinascimentale. Dal funzionalismo, che
lo influenza nei primi anni, si distacca criticamente verso il 1935, anno
in cui afferma che “gli oggetti, che si possono considerare giustamente
razionalisti, soffrono nonostante questo di una notevole mancanza di
qualità umana”.
138
Aalto si spegne a Helsinki, lasciando un patrimonio di 200.000 disegni
e più di 20.000 lettere. Il suo mondo sfugge a qualsiasi rigida definizione.
Egli viene di volta in volta ascritto al gruppo dei funzionalisti, dell’espressionismo e dell’architettura organica. Da più parti è stato sottolineato il
suo sentire profondamente etico ed ecologico ante litteram.
Artek came into existence in 1935, as the company that promoted Aalto’s furniture and objects of design. In 1939, he authored the project for the Finnish pavilion at the New York World’s Fair and created a building that riveted attention for
its innovative, organic form. After the war, from 1946 to 1948, Aalto taught at
MIT, for which he also designed a students’ dormitory.
The 1950s saw the culmination of his work as an architect. Many of his most significant works belong to this period, in which they took on a much more personal line. Among his various influences, one especially notes the importance of
Nordic classicism —with its purity, simplicity and asceticism— in addition not only
to functionalism, but also to the models of ancient, medieval and Renaissance
Italian architecture. Though his earlier work was highly influenced by functionalism, he came towards 1935 to view this school of thought quite critically, declaring that “these objects that can rightly be referred to as rationalistic suffer nonetheless from a considerable lack of humanity.”
Aalto was an exceptionally creative person, and when died in Helsinki in 1976 left
us with two hundred thousand drawings, and more than twenty thousand letters.
His world escapes all rigid definitions. His various works have been variously
ascribed to the currents of functionalism, expressionism and organic architecture.
Attention has often been called as well to his profoundly ethical attitudes and to
his ante litteram commitment to ecology.
139
Lampada da terra "Angel Wing"
n. A 805 di Alvar Aalto.
Finlandia, 1953-1956.
Progettata per il National Pensions
Institutedi Helsinki. Paralume
in metallo verniciato, base e stelo
ricoperti in pelle.
h. 172 cm.
“Angel Wing” floor lamp
no. A 805 by Alvar Aalto
Finland, 1953-1956.
Designed for Helsinki’s National
Pensions Institute. Lampshade
in painted metal, base and shaft
covered with leather.
h. 68 in.
140
Lampada da terra n. A 808
di Alvar Aalto.
Finlandia, 1953-1956.
Progettata per il National
Pensions Institute di Helsinki.
Paralume in ottone, base e stelo
ricoperti in pelle.
h. 168 cm.
Floor lamp no. A 808
by Alvar Aalto.
Finland, 1953-1956.
Designed for Helsinki’s National
Pensions Institute. Lampshade
in painted metal, base and shaft
covered with leather.
h. 66 in.
141
Insieme da giardino, composto
da coppia chaise-longue,
quattro sedie, un tavolo di Alvar Aalto
Finlandia, 1938-1939.
Progettato per Villa Mairea di Noormarkku,
realizzato da Artek. Legno di betulla
massiccia verniciato e fili in acciaio.
Chaise-longue: 54 x 162 x h. 73,5 cm.,
seduta h. 26 cm. Sedie: 42 x 48 x h. 84 cm.,
seduta h. 41 cm. Tavolo: d. 80 x h. 70 cm.
142
Set of garden furniture,
with a pair chaises-longues,
four chairs, and a table, by Alvar Aalto
Finland, 1938-1939.
Designed for Villa Mairea in Noormarkku,
realized by Artek. Sold, painted birch wood,
and steel cables. Chaise-longue:
21 x 64 x h. 29 in., seat h. 10 in.
Chairs: 17 x 19 x h. 33 in., seat h. 16 in.
Table: d. 31 x h. 28 in.
143
145
144
Coppia Lampade a sospensione
"A 331" di Alvar Aalto
Finlandia, 1953-1956.
Progettate per il National
Pensions Institute di Helsinki,
prodotte da Artek.
Metallo verniciato e ottone.
d. 32,5 x h. 29 cm.
Pair of “A 331” ceiling lamps
by Alvar Aalto
Finland, 1953-1956.
Designed for Helsinki’s
National Pensions Institute,
produced by Artek.
Painted metal and brass.
d. 13 x h. 11 in.
Coppia lampade a sospensione A 330
“Golden bell” di Alvar Aalto
Finlandia, anni ’50.
Progettate per il Savoy Restaurant
di Helsinki nel 1937, realizzate
da Valaistustyo Oy negli anni ’50,
in ottone cromato.
d. 15 x h. 19 cm.
Pair of “A330 Golden Bell” ceiling
lamps
by Alvar Aalto
Finland, 1950s.
Designed in 1937 for Helsinki’s Savoy
Restaurant, realized in the 1950s
by Valaistustyo Oy. Chrome-plated brass.
d. 6 x h. 7 in.
Tavolo e quattro sedie di Alvar Aalto
Finlandia, 1929-1933.
Progettati per Sanatorio di Paimio.
Realizzati in piuma di betulla.
d. 127 x h. 69 cm., 48 x 64 x h. 76 cm.,
seduta h. 37 cm.
Table and four chairs by Alvar Aalto
Finland, 1929-1933.
Designed for the Paimio Sanatorium.
Realized in birch-wood pith.
d. 50 x h. 27 in., 19 x 25 x h. 30 in.,
seat h. 15 in.
146
147
Coppia tappeti Khaden
Tibet, fine XIX secolo.
Annodatura in lane bicrome,
su trama e ordito in lana.
166 x 85 cm.
Coppia di poltrone
di Bruno Mathsson.
Svezia, anni ’60.
Struttura in betulla, rivestimento
in pelle intrecciata originale.
59 x 67 x h. 84 cm., seduta h. 34 cm.
Pair of easy chairs
by Bruno Mathsson
Sweden, 1960s.
Frame in birch wood, upholstered
in the original plaited leather.
23 x 26 x h. 33 in., seat h. 13 in.
Pair of Khaden carpets
Tibet, end of the nineteenth century.
Knotted in two colors of wool,
on a woolen warp and woof.
65 x 33 in.
148
149
Scrivania e relativi componenti
di Bodil Kjaer
Danimarca, anni '60.
Struttura in acciaio cromato, piano
in palissandro, quattro cassetti con
serratura unica posizionata sul piano.
200 x 100 x h. 73 cm.
1 componente su rotelle: 39 x 60 x h. 50 cm.
1 componente su rotelle: 124 x 44 x h. 50 cm.
1 componente fisso: 135 x 45 x h. 60 cm.
150
Desk and component parts
by Bodil Kjaer
Denmark, 1960s.
Frame in chrome-plated steel,
top in rosewood, four drawers controlled
by a single desk-top lock.
79 x 39 x h. 29 in.
One component on wheels: 15 x 24 x h. 20 in.
One component on wheels: 49 x 17 x h. 20 in.
One fixed component: 53 x 18 x h. 24 in.
151
Cassettone di Gio Ponti
Italia, 1955.
Radica di noce ferrarese, piedi in ottone,
tre cassetti con motivi geometrici
a rilievo che fungono da maniglie.
Produzione limitata.
100 x 47 x h. 80 cm.
152
Chest of drawers by Gio Ponti
Italy, 1955.
Ferrara walnut burl, feet in brass,
three drawers with geometric motifs
in relief, which also serve as handles.
Limited production.
39 x 19 x h. 31 in.
Tappeto
Danimarca, 1955 circa.
Tassitura a mano in lane policrome.
Raro esemplare.
300 x 200 cm.
Carpet
Denmark, around 1955.
Hand knotted in various colors of wool.
A rare example.
118 x 79 in.
153
154
Cassettone intarsiato Veneto,
fine XVII secolo. Corpo a cassetti con
fronte a linea spezzata impiallacciato
in legno di pero ebanizzato con intarsi
in avorio inciso e ripassato a china,
raffiguranti volute vegetali con fiori,
animali e figure. Il cassetto superiore
e il piano si aprono a ribalta, rivelando
un interno a scrittoio con cassettini,
impiallacciato in noce con riserve
intarsiate a motivi floreali in legno
di frutto. Sostegni a mensola.
115 x 59 x h. 97 cm.
Chest of drawers
Venetian, late XVII century
Ebonized pear wood, top, break front
and sides inlaid with ivory vegetable
scrolls, flowers and figures.
45 x 23 x h. 38 in.
155
Quattro sedie impilabili
"Aslak Chair" di Ilmari Tapiovaara
Finlandia, 1958.
Versione a tre gambe realizzata da Asko.
Legno laminato e verniciato.
53 x 49 x h. 76 cm., seduta h. 44 cm.
Four stackable
“Aslak Chairs” by Ilmari Tapiovaara
Finland, 1958.
Three-leg version produced by Asko.
Painted plywood.
21 x 19 x h. 30 in., seat h. 17 in.
156
Tappeto
Tibet, fine XIX secolo.
Annodatura in lane bicrome,
su trama e ordito in lana.
167 x 88 cm.
Carpet
Tibet, end of the nineteenth century.
Knotted in two colors of wool,
on a woolen warp and woof.
66 x 35 in.
157
Tappeto Dhurrie
India Nord-Occidentale, 1880 circa.
Tecnica a tessitura piatta in cotone
policromo, probabilmente tessuto
nelle prigioni per la nobiltà Indiana
sotto la dominazione Inglese.
498 x 372 cm.
Dhurrie carpet
North-west India, around 1880.
Flat weave in various colors of cotton,
probably woven in prison for a noble
Indian family during the period
of British domination.
195 x 146 in.
158
159
Lampada da tavolo
di Pierre Guariche
Francia, anni '60.
Base in metallo verniciato,
stelo in ottone, copertura cilindrica
in materiale plastico, neon.
h. 120 cm.
160
Table lamp
by Pierre Guariche
France, 1960s.
Base in painted metal, shaft in brass,
cylindrical covering in plastic, neon light.
h. 47 in.
Cabinet di Ole Wanscher
Danimarca, 1942.
Eseguito da A.J. Iversen e presentato
al Cabinetmakers Exhibition di Copenhagen
nello stesso anno. Struttura in palissandro,
quattro ante scorrevoli a tapparella, due ripiani
estraibili e due cassetti con maniglie in ottone.
132 x 46 x h. 152 cm.
Cabinet by Ole Wanscher
Denmark, 1942.
Produced by A. J. Iversen and presented
in the same year at the Copenhagen Cabinetmakers
Exhibition. Frame in rosewood, four shutter-like sliding doors, two pull-out shelves, and two drawers
with brass handles.
52 x 18 x h. 60 in.
161
Tappeto Amritzar
India nord occidentale, fine XIX secolo.
Annodatura in lane policrome,
su trama e ordito in lana.
410 x 305 cm.
162
Amritzar carpet
North-west India,
end of the Nineteenth century.
Knotted in various colors of wool,
on a woolen warp and woof.
161 x 120 in.
Coppia poltrone
di Bruno Mathsson
Svezia, anni '60.
Struttura in acciaio cromato,
base circolare girevole, rivestimento
in pelle originale del periodo.
65 x 85 x h. 97 cm., seduta h. 30 cm.
Pair of easy chairs
by Bruno Mathsson
Sweden, 1960s.
Frame in chrome-plated steel,
swiveling circular base,
upholstered in the original leather.
26 x 33 x h. 38 in., seat h. 12 in.
163
Tavolo "Compass" di Jean Prouvè
Francia, 1950 circa.
Struttura in acciaio verniciato,
piano in formica rossa.
Raro esemplare per la dimensione.
180 x 80 x h. 70 cm.
164
“Compass” table by Jean Prouvè
France, around 1950.
Frame in painted steel, top
in red formica.
A rare example, of exceptional size.
71 x 31 x h. 28 in.
Lampada da terra "BUL-BO"
di Gabetti e Isola
Italia, 1969-1970.
Base a bulbo, rivestita in cuoio nero,
quale contrappeso e supporto di uno
stelo in alluminio: sull'asse della lampada
"paralume" in lastra metallica traforata.
Assetto della lampada variabile in funzione
della sfericità della base, impugnatura
formata da soffietto ammortizzarore
in gomma nera. Piccola serie eseguita
da G.B., Milano, per ARBO, Torino.
Brevettata.
h. max 230 cm.
“BUL-BO” floor lamp
by Gabetti and Isola
Italy, 1969-1970.
Bulb-shaped base, covered in black leather,
as support and counterweight for an
aluminum stalk; lampshade in perforated
metal. The position of the lamp can be
varied thanks to the spherical base
and a shock-absorbing pneumatic grip
in black rubber. A limited series produced
by G. B., Milan, for ARBO, Torino.
Patented.
Maximum height 91 in.
165
Lampada da tavolo e
da sospensione di Gaetano Pesce.
Italia, 2002.
Silicone, prodotta in 10 esemplari.
d. 50 x h. 57 cm.
Table - or ceiling- lamp
by Gaetano Pesce.
Italy, 2002.
Silicone, Produced in ten examples.
d. 20 x h. 22 in.
166
Tappeto
“Tapipardo - Serie Tapizoo”
di Gabetti - Isola
Italia, 1970.
Realizzato da Paracchi, Torino,
per Collezione ARBO.
Pura lana pettinata.
Pubblicato su Monografia
“Gabetti – Isola”, di F. Ferrari,
Editore Allemandi - Torino.
250 x 200 cm.
“Tapipardo - Tapizoo Series”
Carpet by Gabetti - Isola
Italy, 1970.
Realized by Paracchi, Turin,
for ARBO Collection.
Combed pure wool.
Reproduced in “Gabetti – Isola”
monography, by F. Ferrari,
Allemandi - Turin Publisher.
98 x 79 in.
167
167
169
168
Tappeto
Francia, 1930 circa.
Annodatura in lane policrome.
280 x 188 cm.
Carpet
France, around 1930.
Knotted in various colors of wool.
110 x 74 in.
Quattro Applique di Stilnovo
Italia, anni '60.
Metallo verniciato e cromato,
vetro opalizzato.
15 x 15 x h. 30 cm.
Four wall lamps by Stilnovo
Italy, 1960s.
Painted and chrome-plated metal,
opaline glass.
6 x 6 x h. 12 in.
Tavolo basso di Bruno Mathsson
Svezia, anni '60.
Struttura in betulla con quattro
cassetti in metallo laccato bianco.
200 x 50 x h. 30 cm.
170
Low table by Bruno Mathsson
Sweden, 1960s.
Frame in birch wood with four
drawers in metal, painted white.
79 x 20 x h. 12 in.
Tappeto
Francia, 1940 circa.
Annodatura in lane policrome.
236 x 175 cm.
Carpet
France, around 1940.
Knotted in various colors of wool.
93 x 69 in.
171
Tappeto
Francia, 1930 circa.
Annodatura in lane policrome.
312 x 177 cm.
172
Carpet
France, around 1930.
Knotted in various colors of wool.
123 x 70 in.
Letto a baldacchino
Toscana, prima metà sec. XIX.
Struttura in ferro battuto dipinto,
testiera e pediere decorate da sfingi
e grifoni fra volute vegetali,
colonne laterali con rotelle in bronzo.
213 x 125 x 205 cm.
Canopied bed
Tuscany, first half of the 19th century.
Frame in painted forged iron, headboard
and foot decorated with sphinxes
and griffins among vegetal meanders,
side columns with bronze wheels.
84 x 49 x 81 in.
173
Tappeto
Francia, 1940 circa.
Annodatura in lane policrome.
285 x 190 cm.
Carpet
France, around 1940.
Knotted in various colors of wool.
112 x 75 in.
174
Lampada da terra di Venini
Italia, 1930 circa.
Disegnata da Tommaso Buzzi,
fusto a segmenti cilindrici costolati
color lampone, coppa in vetro incamiciato
lattimo, con inclusioni di foglia oro,
basamento in metallo ottonato.
Disegni originali pubblicati su catalogo
Blu Venini a pag. 177.
h. 180 cm.
Venini Floor lamp
Italy, around 1930.
Designed by Tommaso Buzzi,
raspberry-colored stem in fluted
cylindrical segments, double-shell
lampshade in blown, milk-colored glass
with goal-foil insertions between the two
surfaces, base in brass-plated metal.
Reproduced in the Blu Venini catalogue,
p.177. h. 71 in.
175
Poltrona "Saturns Series"
di Yrjo Kukkapuro
Finlandia, 1966-1967.
Struttura in fiberglass, base circolare
girevole, rivestimento in pelle nera
originale del periodo.
80 x 80 x h. 75 cm.
176
Swiveling “Saturn Series”
easy chair by Yrjo Kukkapuro
Finland, 1966-1967.
Frame in fiberglass, circular swiveling
base, upholstered in the original
black leather.
31 x 31 x h. 30 in.
Lampada “Square lamp”
di Gaetano Pesce
Italia, 1986.
Resina e piedini in piombo.
Prodotta in serie limitata.
65 x h. 95 cm.
“Square lamp”
by Gaetano Pesce
Italy, 1986.
Resin, with feet in lead.
Produced as a limited edition.
26 x h. 37 in.
177
Tappeto Anatolia
2001
Annodatura in lane policrome,
produzione attuale.
600 x 402 cm.
Tappeto di Emile Gaudissart
Francia, 1930.
Firmato E.G.
Annodatura a mano su trama
e ordito in cotone.
345 x 240 cm.
Carpet by Emile Gaudissart
France, 1930.
Signed E.G.
Hand knotted on a cotton
warp and woof.
136 x 95 in.
Anatolian carpet
2001
Knotted in various colors of wool,
modern production.
236 x 158 in.
178
179
Kilim Bessarabia
Attuale Ucraina sud-occidentale,
metà XIX secolo. Tessitura piatta
in lane policrome, colori naturali.
405 x 210 cm.
180
Bessarabian Kilim
The present south-west Ukraine,
mid-nineteenth century. Flat weave
in various colors of wool, natural dyes.
159 x 83 in.
Tavolo "Boccio"
di PierLuigi Spadolini
Italia, 1971.
Prodotto dalla IPI con quattro seggiole
ragruppabili in unico volume,
realizzato in baydur.
Pubblicato su Repertorio 1950 - 2000,
pag. 193, editore Umberto Allemandi & C.
d. 140 x h. 73 cm.
“Boccio” table
by PierLuigi Spadolini
Italy, 1971.
Produced by IPI with four chairs,
groupable into a single pile,
realized in baydur.
Reproduced in Repertorio 1950 - 2000,
p. 193, Umberto Allemandi & Co,
Publishers. d. 55 x h. 29 in.
181
Coppia Tavoli bassi di Mogens Lassen
Danimarca, anni ’50. Realizzati in palissandro.
d. 53,5 x h. 57,5 cm.
182
Pair of low tables by Mogens Lassen
Denmark, 1950s. Realized in rosewood.
d. 21 x h. 23 in.
Tappeto "Lunden"
di Marta Maas-Fjetterstrom
Svezia, 1932. Firmato AB MMF.
Annodatura in lane policrome.
308 x 210cm.
“Lunden” carpet
by Marta Maas-Fjetterstrom
Sweden, 1932. Signed AB MMF.
Knotted in various colors of wool.
121 x 83 in.
183
Tappeto
Mongolia, seconda metà XIX secolo.
Annodatura in lane policrome,
su trama e ordito in lana.
446 x 340 cm.
184
Carpet
Mongolia, second half
of the nineteenth century.
Knotted in various colors of wool,
on a woolen warp and woof.
176 x 134 in.
Tavolo basso di Gio Ponti
Italia, 1953-1954.
Esecuzione Giordano Chiesa.
Struttura in legno di frassino,
piano in cristallo.
d. 104 x h. 40 cm.
Low table by Gio Ponti
Italy, 1953-1954.
Execution by Giordano Chiesa.
Frame in ash-wood, crystal top.
d. 41 x h. 16 in.
185
Coppia porta bagagli di Gio Ponti
Italia, 1955.
Eseguiti per Hotel Parco dei Principi
di Roma. Frassino e ottone.
65 x 43 x h. 52 cm.
186
Pair of luggage racks by Gio Ponti
Italy, 1955.
Realized for Hotel Parco dei Principi,
Rome. Ash-wood and brass.
26 x 17 x h. 20 in.
Tappeto
Francia, 1930 circa.
Annodatura in lane policrome.
440 x 303 cm.
Carpet
France, around 1930.
Knotted in various colors of wool.
173 x 119 in.
187
Scrivania realizzata
dall’atelier Gustav Bertelsen
Danimarca, 1960.
Palissandro, parte terminale gambe
in ottone e tre cassetti.
160 x 89 x h. 75 cm.
188
Desk realized
by Atelier Gustav Bertelsen
Denmark, 1960.
Rosewood, leg tips in brass
and three drawers.
63 x 35 x h. 30 in.
Tappeto "Square Dance"
di Ross Litell
U.S.A., per Unica Vaev, Copenhagen
(come da etichetta originale), 1960 circa.
Realizzato in lana, in diverse tonalità
del marrone e beige.
316 x 229 cm.
“Square Dance” carpet
by Ross Litell
U.S.A., for Unica Vaev, Copenhagen
(as read on the original label),
around 1960. Realized in wool,
in various tones of brown and beige.
124 x 90 in.
189
Chaise-longue
Bruno Mathsson
Svezia, 1936.
Prodotta da Karl Mathsson, struttura
in betulla, rivestimento in tessuto
originale intrecciato. Elegante esemplare,
datato e firmato, della prima versione,
prodotta fino al 1941.
50 x 152 x h. 82 cm., seduta h. 27 cm.
190
Chaise-longue
by Bruno Mathsson
Sweden, 1936.
Produced by Karl Mathsson, Frame
in birch wood, upholstered in the original plaited fabric. An elegant example,
signed and dated, of the first version, produced
until 1941.
20 x 60 x h. 32 in., seat h. 11 in.
Tappeto
Svezia, 1950 circa.
Tessitura piatta in lane policrome.
332 x 214 cm.
Carpet
Sweden, around 1950.
Flat weave in various colors of wool.
131 x 84 in.
191
Coppia poltrone "Karuselli"
di Yrjo Kukkapuro
Finlandia, 1964.
Eseguite da Haimi, struttura
in fiberglass, alluminio verniciato
e acciaio, copertura in pelle originale
del periodo, posizione regolabile.
79 x 94 x h. 93 cm., seduta h. 30 cm.
192
Pair of “Karuselli” easy chairs
by Yrjo Kukkapuro
Finland, 1964.
Produced by Haimi, frame
in fiberglass, painted aluminum
and steel, upholstered in the original
leather, adjustable positions.
31 x 37 x h. 37 in., seat h. 12 in.
Tappeto Decò
Europa, 1950 circa.
Tessitura a rilievo in lane
policrome.
Rara iconografia.
430 x 273 cm.
Decò carpet
Europe, around 1950.
Flat weave in various colors
of wool. Rare iconography.
169 x 107 in.
193
Tappeto Pechino
Cina, fine XIX secolo.
Annodatura in lane policrome,
su trama e ordito in lana. 354 x 260 cm.
In collaborazione con Khotan srl.
194
Peking carpet
China, end of the nineteenth century.
Knotted in various colors of wool,
on a woolen warp and woof. 139 x 102 in.
In collaboration with Khotan, srl.
Mobile di Jansen
Francia, anni '60.
Vetro nero inciso, ottone
e acciaio cromato, quattro ante
con ripiani in vetro e cassetti.
201 x 50 x h. 76 cm.
Cabinet by Jansen
France, 1960s.
Black engraved glass, brass and
chrome-plated steel, four doors
with glass shelves and drawers.
79 x 20 x h. 30 in.
195
Poltrona dondolo "Yeti"
di Mario Scheichenbauer
Italia, 1968.
Prodotta da ELAM, rivestimento
in pelliccia di capra di Cina.
120 x 125 x h. 90 cm.,
seduta h. 36 cm.
196
Lampada da parete "Moonshine"
di Gaetano Pesce
Italia, 1994.
Resina polyuretane. Prodotta
in circa quaranta esemplari.
60 x h. 70 cm.
“Moonshine” wall lamp
by Gaetano Pesce
Italy, 1994.
Polyurethane resin. Produced in
an edition of ca. forty examples.
24 x h. 28 in.
“Yeti” rocking chair
by Mario Scheichenbauer
Italy, 1968.
Produced by ELAM, upholstered
in Chinese goat fur.
47 x 49 x h. 35 in.,
seat h. 14 in.
Nilufar
Tappeti e mobili rari
20121 Milano,
32 via della Spiga,
tel. 02.780193
fax 02.76007657
www.nilufar.com
agira@nilufar.com
198
Finito di stampare
nel mese di settembre 2003