ambiente fisico e territorio

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ambiente fisico e territorio
AMBIENTE FISICO E TERRITORIO

Direttore
Sergio P
Università degli Studi di Pisa
Comitato scientifico
Carla D P
Università degli Studi di Pisa
Jean–Pierre L–G
Université Sorbonne Nouvelle Paris 
Luigi M
Università degli Studi di Milano
Giuseppe S
Università degli Studi di Sassari
AMBIENTE FISICO E TERRITORIO
La Geografia è la disciplina che studia le relazioni fra uomo e ambiente; essa si propone
quindi di osservare e classificare i molteplici fatti e fenomeni — fisici e antropici — che si
sviluppano sulla superficie terrestre, per arrivare a un’interpretazione relativa all’organizzazione che le società umane hanno dato, o progettano di dare, al territorio. Questa collana
vuole pertanto accogliere testi con contenuti di geografia umana e di geografia fisica, in
quanto entrambi indispensabili per realizzare tale analisi interpretativa e poter così spiegare
i processi sociali, economici e culturali che caratterizzano il territorio stesso.
Emilia Sarno
Campobasso da castrum a città murattiana
Un percorso nella geografia storica
Prefazione di
Vincenzo Aversano
Copyright © MMXII
ARACNE editrice S.r.l.
www.aracneeditrice.it
info@aracneeditrice.it
via Raffaele Garofalo, /A–B
 Roma
() 
 ----
I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,
di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopie
senza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: luglio 
Ai miei figli
perché abbiano radici e ali
Indice

Abbreviazioni usate

Prefazione

Introduzione

Capitolo I
Il quadro ambientale e le scelte umane
.. Il ritaglio Molise e la quaestio dell’identità,  – .. Le ragioni della
fondazione e il sito di Campobasso, .

Capitolo II
Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica
.. L’incastellamento nel Molise medievale (IX–XIII secolo),  – .. Il
rescritto di Adelchi dell’ ,  – .. Il castrum nel : la Convenzione
fra Roberto de Molisio, signore di Campobasso, e i suoi vassalli,  –
.. Cola Monforte e il polo militare,  – .. Campobasso nel Contado
di Molise del XVI secolo: la rete tratturale,  – .. La rivincita su
Isernia, .

Capitolo III
Campobasso terra urbana nel XVII secolo
.. Le fonti del Mezzogiorno moderno: gli apprezzi,  – .. Il Molise
nei documenti,  – .. L’apprezzo del regio tavolario Luigi Nauclerio
nel ,  – .. La descrizione topografica,  – .. La quaestio
demografica e il ceto dei mezzani,  – .. Le relazioni territoriali e
commerciali,  – .. Il potere politico e quello religioso,  – .. Il
feudo di Jelsi,  – .. Campobasso terra urbana, .

Indice


Capitolo IV
Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII
secolo
.. La stima fiscale del regio ingegnere Giuseppe Stendardo nel , 
– .. L’organizzazione degli spazi urbani,  – .. I cambiamenti socio–
economici,  – .. Gli affitti di botteghe e terreni come segnale di
dinamismo economico,  – .. La piazza mercantile nella geografia
fieristica del Mezzogiorno,  – .. I Misteri e la costruzione dell’identità urbana,  – .. Campobasso alla ricerca di un porto: il ruolo di
Termoli,  – .. La città dei “demanisti”, .

Capitolo V
Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico
.. Il Decennio francese e il governo del territorio,  – .. La Statistica
e il trend socio–demografico,  – .. Il Decennio francese in Molise:
l’impronta politica di Vincenzo Cuoco e la formazione di Bernardino
Musenga,  – .. Il tentativo progettuale del concorrente,  – .. Il
progetto di Musenga e il borgo murattiano,  – .. L’imprimatur
di Musenga,  – .. Il rinnovamento urbano nel Mezzogiorno e
l’exemplum di Campobasso,  – .. La città murattiana tra Otto e
Novecento, .

Conclusioni: radici e ali di una città

Bibliografia

Sitografia
 
Elenco delle figure

Ringraziamenti
Abbreviazioni usate
— Archivio di Stato di Campobasso = ASCB
— Fondo Demanio Mappe Archivio di Stato di Campobasso =
FDM (ASCB)
— Fondo Intendenza di Molise–Archivio di Stato di Campobasso
= FIM (ASCB)
— Archivio di Stato di Napoli = ASN
— Fondo Regia Camera Sommaria–Archivio di Stato di Napoli =
FCS (ASN)
— Sezione Iconografica Archivio di Stato di Napoli = SI (ASN)
— Biblioteca dell’ Archivio di Stato di Campobasso = BASC
— Biblioteca Provinciale Pasquale Albino di Campobasso = BPAC
— Biblioteca Nazionale di Napoli = BNN
— Biblioteca Universitaria di Napoli Federico II = BUN
Avvertenza: le foto, delle quali non è indicata la fonte, sono da
attribuirsi all’autrice.

Prefazione
Ho sincero piacere a fungere da “viatico” a questa ricerca, non tanto
nella qualità di cultore di Geografia tout court, quanto come studioso di
Geografia e di Cartografia storica. In questo settore disciplinare infatti
si muove quasi tutto lo sforzo ricostruttivo della “vita” di Campobasso
nel tempo ed è in questo ambito che l’autrice ha dato il meglio di sé,
pur dimostrandosi ben edotta dei tanti approcci possibili ad applicabili
al fenomeno città, vista al singolare e al plurale.
Contrariamente a quanto si potrebbe pensare appuntandosi sul
dichiarato aggancio alla concezione organicistica–storicistica, tutt’altro che superata e nient’affatto facile da applicare, del Gambi (cfr.
l’“Introduzione”), Emilia Sarno è andata ben oltre, dimostrando uno
scrupolo e una caparbietà nel rinvenimento delle fonti (soprattutto
archivistiche e anche inedite) e nella loro interpretazione, calandosi
con umiltà nella ricerca cartografica e diretta sul terreno, lasciandosi
infine guidare, nella invero discontinua e non esaustiva bibliografia
esistente sul tema Campobasso, dagli autori più persuasivi e dalle
acquisizioni “sicure”, che con la sua ricerca ha saputo confortare e
arricchire.
Non a caso, il lavoro che oggi va alle stampe rappresenta la rimeditazione di una ponderosa e apprezzata tesi di dottorato, depurata dalle
verbosità eccessive di quel tipo di “prodotto”, allargata nella base documentaria, migliorata dalla maggiore consapevolezza metodologico–
epistemologica di quella che, nel passare degli anni, avendo maturato
varie esperienze di ricerca, si propone oggi come una studiosa molto
vivace e prolifica, non a scapito della serietà e della profondità dei
risultati scientifici che consegue.
Non compete al prefatore ripercorrere le tappe dell’itinerario seguito dall’autrice, tappe (e riflessioni) che peraltro la stessa lucidamente
illustra in sintesi nella introduzione e nelle conclusioni, nelle quali
ultime si ritrova anche il discorso sul futuro possibile e auspicabile per
Campobasso e la sua mal riconosciuta regione. Mi limito a sottolinea

Prefazione
re come la Sarno dimostri qui di sapersi agevolmente e criticamente
muovere nelle problematiche urbane più vive e attuali (anche applicative) della letteratura italiana e straniera, non di solo ambito geografico,
sull’argomento. Per il resto, il lettore stesso saprà apprezzare, nella
quintupla articolazione di capitoli, la ricchezza e novità documentaria
esibita (tra l’altro, carte e vedute storiche, foto di seconda e soprattutto
di prima mano, trascrizione di fonti medioevali) e i tagli tematici e
cronologici scelti per esemplificare lo sviluppo totale (urbanistico, demografico, sociale, politico–economico, culturale) di Campobasso, a
partire dal IX secolo e fino al Decennio napoleonico. Come potrà dialettizzarsi con le “soluzioni” date ad annose e dibattutissime questioni
storico–geografiche, come quella dell’identità della regione Molise
o quella dell’esistenza di “valori urbani” nelle città del Mezzogiorno,
a torto e per troppo tempo squalificate da autori, anche illustri, ma
troppo legati ai modelli europei o alto–italiani delle città moderne
con relative reti materiali (come se ci si dovesse vergognare dei nostri
tratturi. . . ).
Orbene, proprio su tali questioni e su tante altre connesse e di
minor momento, ritengo che la lettura di questa “fatica” di Emilia
Sarno (e il termine è quanto mai appropriato) possa rappresentare
un punto forte e un passaggio da non potersi eludere da parte di
successive indagini, non solo a carattere specialisticamente urbano ma
di più ampia valenza territoriale, italiana oltre che meridionale.
Vincenzo Aversano
Università degli studi di Salerno
Introduzione
Lucio Gambi, paragonando le città agli uomini, invita a predisporne
un organico esame, dal quale balzerà fuori la totale realtà della loro
vita. Probabilmente la disamina diventa più complessa ma anche più
intrigante quando quell’organismo/entità abbia un bioritmo lento,
inserito in un’area territoriale interna e marginale, e faticosamente
costruisca la sua identità urbana .
È il caso di Campobasso, uno dei tanti campanili italiani, che ha
cominciato a ricevere attenzione solo negli ultimi anni, se si tiene
presente che pure gli studi locali sono stati parziali e discontinui tra
gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta del secolo scorso . Questo limitato interesse scientifico non fa però della città molisana un unicum,
dal momento che, come chiarisce Peter Clark (b), non è affatto
agevole ricostruire l’esistenza dei piccoli e medi centri nell’Europa
medievale e moderna, nonché il loro ruolo, fatto di trend positivi ma
anche di discontinuità, nella trama territoriale.
Eppure, la storia urbana di Campobasso è leggibile nel territorio
perché, dei diversi momenti, vi sono impresse suggestive icone: dai
Longobardi, fondatori della città, a Cola Monforte e agli Aragonesi che
. Ecco il passo di Gambi da cui sono tratte le due citazioni: «Come un qualunque
individuo, pure un centro è una entità complessa; e la complessità a volte — ad es. quando
si tratta di città — è tale che si può bene, anzi si deve dividere l’esame di quella entità
nei suoi basilari componenti: e quindi, così come di un uomo avremo una costruzione
anatomica, un organismo con particolari bioritmi, un sistema nervoso, una persona che
pensa, ha sentimenti e ha coscienza, ha iniziativa e lavora e crea, ugualmente di una città
avremo una storia topografica, una storia economica e sociale, una storia del popolamento,
una storia religiosa, una storia dei reggimenti politici, una storia della cultura, ecc. E da
un organico esame di questa entità complessa balzerà fuori la totale realtà della sua vita»
(Gambi, , p. ).
. Antesignano della ricerca documentaria è Scaramellla (). Successivamente gli
studiosi locali che hanno cercato di ricostruire parzialmente i documenti di Campobasso
sono Mancini (a, b,c) e Gasdia (). Lalli () si è impegnato a inquadrarne
la storia. Campobasso è divenuta di recente oggetto di studio nella trilogia curata da
Lalli, Lombardi, Palmieri (), per la quale l’autrice ha curato il capitolo sull’evoluzione
demografica. Per la scarsità degli studi storici locali si veda Zilli ().


Introduzione
ne spostano il baricentro dal sito originario a largo San Leonardo, fino
al rinnovamento, nel Decennio francese, concretizzato dall’ingegnere
Musenga, che progetta il borgo murattiano.
Tuttavia, due problematiche rendono emblematico lo studio di
questa città: una specificatamente attagliata al Molise, l’altra al Mezzogiorno.
In primis, la quaestio sull’identità del ritaglio Molise, ritenuta evanescente a causa della sua scarsa riconoscibilità geo–amministrativa nel
periodo medioevale e moderno: una riserva ribadita in tempi recenti
per la limitata incidenza demografica e territoriale di questa regione.
In secundis, la problematicità dei processi urbani del Mezzogiorno —
al quale il Molise storicamente appartiene perché parte integrante
per secoli del Regno di Napoli — che sarebbero stati ampiamente
condizionati in negativo dall’organizzazione feudale costituita dai
Normanni e fermamente voluta dagli Angioini, Aragonesi e Spagnoli, tanto da essere considerati in alcuni casi assenti. Così chiariva
Compagna () e lo stesso Gambi () lamentava la desolazione
delle città calabresi.
Il tema dibattuto da storici e geografi è tuttavia da qualche anno
rivisitato. La recente letteratura ha focalizzato le specificità, i limiti e
principalmente le potenzialità delle città meridionali nell’età contemporanea, ma è avvertita pure l’esigenza scientifica di comprendere
come il fenomeno urbano sia venuto caratterizzandosi nel Mezzogiorno moderno. Comincia ad emergere come alcune terre — i feudi
erano denominati terre — avessero comunque maturato una loro
identità urbana, assumendo funzioni commerciali o amministrative
e Campobasso ne è esempio significativo. Al pari di piccoli e medi
centri, ubicati in aree europee periferiche e non, le terre tradiscono la
loro natura rurale e nello stesso tempo la superano.
Questa chiave di lettura consentirà di lumeggiare la quaestio dell’
identità molisana, ma anche di comprendere in modo più chiaro e
approfondito le peculiarità dei processi urbani nel Meridione.
Un’analisi siffatta, che vada a riscoprire il ruolo di borghi e cittadine,
il paesaggio vivido per attività commerciali e artigiane o per primitive
funzioni amministrative, richiede a pieno titolo il contributo della
geografia storica e per più ragioni.
La sinergia tra fonti e analisi diretta sul terreno, innanzi tutto;
nel caso di Campobasso la documentazione, anche intonsa, che si è
Introduzione

consultata ha permesso di ricostruirne in modo dettagliato la vita, a
cominciare dalle ragioni della sua fondazione, poiché particolari motivazioni creano le condizioni dell’insediamento in un sito non affatto
agevole per l’uomo e, sempre, ragioni umane e politiche renderanno
questa città un centro di riferimento nell’area di appartenenza.
Ancora, la ricostruzione del mutamento geografico attraverso il
tempo ha consentito di focalizzare l’esistenza e l’essenza di una terra
urbana che cova in nuce suggestioni di stampo borghese e si inserisce
nella geografia transumante e fieristica del Mezzogiorno. Hanno
perciò acquisito un ruolo importante nella ricerca i fattori territoriali
e socio–economici grazie ai quali, come si vedrà, questa terra non
è affatto isolata, ma parte integrante di reti commerciali. Altrettanto
importanti sono gli attori che si impegneranno a riscattarla.
In tal modo, la ricerca messa a punto ha dovuto considerare, proprio come voleva Gambi, diverse dinamiche, da quella topografica a
quella demografica, da quella paesaggistica a quella politica. Quest’ultima diventa incisiva e innovativa con il Decennio francese che merita,
soprattutto per il Mezzogiorno, un particolare approfondimento: una
manciata di anni è in grado di coagulare processi avviati e di generarne
dei nuovi.
Le trasformazioni geo–amministrative e l’eversione della feudalità
segnano l’Italia in quel periodo, ma hanno maggior peso nel Meridione. Infatti, un’ondata di rinnovamento si realizza in tutto il Regno ed
è particolarmente incisiva in Molise per la disponibilità della classe
dirigente.
Campobasso, designata capoluogo della Provincia di Molise e ampliata con il borgo murattiano, può competere con altre città e proporsi
come exemplum di una gestione illuminata del territorio. Finalmente
città e capoluogo, diventa terreno privilegiato di esercizio politico e
di esemplare trasformazione urbanistica, raggiungendo, nei primi
anni dell’Ottocento, traguardi che per ora sembrano irripetibili, mostrando emblematicamente che solo forze sociali significative possano
effettivamente agire e trasformare lo spazio urbano.
Si è così delineato un percorso geo–storico, sostenuto da un’appro–
fondita ricerca archivistica, iniziata con la tesi di dottorato, perché la
vita di Campobasso balzasse fuori. Ma, come si vedrà, sono stati ricostruiti percorsi geo–storici a più ampia scala come l’incastellamento
nel Molise medievale, la geografia fieristica dell’età moderna e il dina-

Campobasso da castrum a città murattiana
mismo realizzatosi tra il Settecento e i primi decenni dell’Ottocento
nella scena urbana meridionale.
Campobasso è divenuta così la bussola per leggere dinamiche territoriali, che nel Mezzogiorno non hanno ancora ricevuto un organico
esame.
Capitolo I
Il quadro ambientale e le scelte umane
.. Il ritaglio Molise e la quaestio dell’identità
Affrontare la quaestio dell’identità del Molise appare doveroso per
comprendere questo territorio e il ruolo di Campobasso, ma essa
richiede, come necessaria premessa, che si individui il perimetro
teorico nel quale collocare l’analisi .
L’identità territoriale è tema complesso e maggiormente problematico quando deve contemperare esigenze politiche e amministrative,
per quella corrispondenza ideale che si vorrebbe tra la weltanschauung
di un gruppo sociale e la configurazione di un territorio, secondo
la visione che la storia di un popolo è inscindibile dalla contrada in
cui abita (Vidal de la Blache, ). La corrispondenza diventa significativa non tanto in chiave retrospettiva quanto in prospettiva, come
chiarisce Braudel in una delle sue ultime opere dedicata all’identità
della Francia () o come mostra l’iniziativa editoriale curata da C.
Muscarà, Scaramellini e Talia () per i centociquant’anni dall’Unità
italiana.
Zygmunt Bauman, però, invita a non considerare l’idea di identità
e di identità nazionale in particolare un parto naturale dell’esperienza
. Il problema dell’identità molisana è dibattuto sia dal punto di vista culturale, sia
amministrativo; trova riscontro in studi antropologici (Giacalone, Gili,), storici (Massullo, ), cartografici (Meini, ), geo–storici (L. Muscarà, ; Sarno, f ) e
geo–amministrativi (Castagnoli, ). Per quanto riguarda il dibattito politico–sociale la
rivista Glocale ha dedicato un intero numero (/) per offrire una panoramica complessiva dei recenti punti di vista: cfr. Lombardi, ; Massullo, ; Palmieri, ; Parisi, ;
Pazzagli, . Per le relazioni tra definizione dei territori e identità cfr. Paasi, ; Häkli,
Paasi, ; Galluccio, ; Banini, a.
. Così commenta C. Muscarà a proposito della concezione vidaliana: «La contrada–
individualità geografica appare come il punto di arrivo di un processo che integra lo spazio
e le sue qualità potenziali sotto forma di risorse nella sua organizzazione e nella sua cultura»
(C. Muscarà, , p. ).


Campobasso da castrum a città murattiana
umana (Bauman, ). Essa è piuttosto, negli Stati dell’età moderna,
una finalità generata dall’esercizio della sovranità territoriale . In tal
senso diventa il presupposto per l’affermazione della classe borghese.
Based on the creation of national communication networks and vernacular literatures in national idioms, the circulation of common stories about national origins and
tribulations the casting of national definitions of taste and opinion, and commemoration of the heroic and tragic sides of a common past, national identities became
basic components of self–identities for the burgeoning middle–classes and segments
of the working classes across the whole of Europe by the close of the nineteenth
century (Agnew, , p. ).
Tuttavia, se queste visioni sorreggono le costruzioni sociali ottocentesche, «the modern societies are marked by identity crises» (Zoran,
Agnew, ). L’identità ha una natura provvisoria che i modelli culturali attuali mettono in discussione e basta citare due problematiche: la
pluri–identità dei migranti e il ripensamento del concetto di luogo .
Eppure, si avverte comunque l’esigenza di questa categoria concettuale, al punto che «si sta creando una sorta di schizofrenia tra
un mainstream scientifico che mette in dubbio il concetto stesso di
identità e un mondo politico, istituzionale e amministrativo che vi fa
continuo riferimento» (Banini , b, p. ).
Per di più, è parola abusata, se solo nel  sono stati «pubblicati
 libri che portano questo termine nel titolo» (Pazzagli, , p.
). Ma, sottende un’altra problematica epistemologica: l’identità si
costruisce e si difende nella staticità e nella separatezza, o piuttosto si
alimenta del confronto e della dialettica?
. Secondo Bauman () il problema dell’identità è divenuto un compito di cui si
appropriano i singoli individui non riconoscendosi in base alle loro origini e alla loro nascita
ma dovendo corrispondere alla formazione delle classi sociali.
. Per la discussione sull’identità dei migranti, sul loro dualismo e sulle modalità di
riformulazione del loro status cfr. Massey, Jess, ; per un rinnovamento antropologico
del concetto di mobilità cfr. Augé, ; per un’analisi del modo di vivere dei migranti cfr.
Krasna, Nodari, ; per l’associazionismo migratorio come risposta alla pluri–identità cfr.
Sarno, f.
. Per la relazione tra luogo, cultura e identità si rimanda a Guarrasi,  che ne
propone una visione aperta e mobile; cfr. anche Massey, , che ne discute in relazione
alla mobilità umana contemporanea.
. Tiziana Banini è la coordinatrice del gruppo di ricerca AGeI sulle identità territoriali
a cui partecipa anche l’autrice; cfr. Banini, a, e Banini, a.
. Il quadro ambientale e le scelte umane

Häkli e Paasi, dando rilievo alla dimensione esperienziale, ne prospettano una visione dinamica : «The present, the past, and personal
and social identities are bound up together in a complex manner, in
which identity is rather a dynamic, continually changing process, than
a static condition» (Häkli, Paasi, , p. ).
Da parte sua, Raffestin (), commentando proprio la concezione di Vidal de la Blache, prima richiamata, conferma che l’identità non
sia uno stato ma un processo che si è manifestato
attraverso le immagini prese a prestito dal mondo rurale. Si noterà quindi
il ruolo che ha la terra, il suolo che gli uomini lavorano. L’identità, in
questo caso, è costruita attraverso la proiezione del lavoro nella fisicità
delle cose [...]. Ma i gesti cambiano con il tempo, perché le attività stesse,
e i mediatori che le mobilitano insieme a loro, si trasformano (Raffestin,
, pp. –).
Siffatta visione dinamica deve però interagire con i processi di regionalizzazione e di definizione degli spazi politico–amministrativi, che
tanto si avvalgono del concetto di identità quanto lo contraddicono .
La vita delle società comporta la creazione e/o il riconoscimento di insiemi
territoriali a tutte le scale [...]. Queste “regionalizzazioni“ si inscrivono su
un’interfaccia terrestre che ha di per sé regioni e limiti propri [...] ai quali gli
uomini possono appoggiarsi per realizzare le loro divisioni (P. Pinchemel,
G. Pinchemel, , p. ).
. Inoltre, nella considerazione che nell’epoca della globalizzazione abbia sempre maggior valore la dialettica delle identità, Guarrasi () riprende il punto di vista di Assmann:
«L’identità — e ciò va tenuto fermo — è un plurale tantum, presuppone altre identità.
Senza la molteplicità non si dà unità, senza l’alterità non si dà la specificità» (Assmann, ,
p. ). Per la discussione epistemologica si veda anche Paasi, .
. C. Muscarà, analizzando gli studi sulla regione di Bassand, Piveteau e Nonn, sottolinea come la loro concezione di identità regionale «si dimostra adatta a rappresentare un
concetto di territorialità assai diverso da quello tradizionale, che si rifà tutto sommato al
concetto biologico di territorialità e rimanda invece alla rilettura in chiave foucaultiana che
ne fa Raffestin» (C. Muscarà, , pp. –).
. Il contrasto tra identità delle comunità e definizione dei confini, soprattutto degli
stati, affonda le motivazioni nella richiesta di rispettare la storicità delle etnie e delle loro
componenti culturali ed è all’origine di conflitti bellici e problemi di minoranze; cfr. Cella,
 e Langfur, . Per le problematiche dei confini nell’età moderna Pastore, , e in
particolare il saggio di Sereno, . Per un caso specifico cfr. Sarno, g.

Campobasso da castrum a città murattiana
In quest’ottica il concetto di regione ha ricevuto particolare attenzione; anzi il dibattito geografico ha maggiormente affrontato la
regionalizzazione alla scala intermedia o locale, sia per la complessità
politica delle comunità globali sia per le peculiarità territoriali e amministrative di alcuni Stati, ad esempio il nostro (C. Muscarà, ).
Infatti, la configurazione della penisola italiana operata da Maestri
dopo l’Unità è il risultato di un’operazione statistica, che ben poco
tiene conto di altri fattori, come sintetizza Lando ():
È attraverso la neutralità d’uso del mero “utensile” statistico che la suddivisione territoriale delle Regioni amministrative (uguali a quelle attuali e
non altre) viene mantenuta viva e vitale [...]. L’idea di Pietro Maestri fu così
forte che i suoi Compartimenti/Regioni, passando indenni attraverso i vari
mutamenti politici intervenuti in Italia, furono tranquillamente trasformati
nelle attuali regioni amministrative italiane (Lando, , pp. –).
Lucio Gambi , il quale ha dedicato molte energie al tema, ha chiarito che la storia delle regioni italiane muove da Augusto, si snoda
nel corso dei secoli, poi «negli anni decisivi dell’unificazione nazionale, questi diversi concetti di regione [...] vengono miscelati in un
unico fascio nello sforzo di individuare le aree regionali più consolidate sopra cui avrebbe dovuto foggiarsi l’edificazione del nuovo
stato italiano » (Gambi, , p. ). Avviene così quella che Gambi definisce un’invenzione «che solo qualche volta poteva tenere in
. Di una bibliografia amplissima corre l’obbligo richiamare almeno Hartshorne,
, per la dicotomia geografia generale/geografia regionale; Mainardi, , Pinchemel,
Pinchemel, , Vallega, , per la disamina dell’evoluzione del concetto di regione;
Claval, , C. Muscarà, , per la ricostruzione epistemologica del concetto di regione
e il suo ruolo nella storia del pensiero geografico. Per una disamina di casi di studio a scala
globale cfr. Johnson et al., . Lando, , ha ricostruito la costituzione delle regioni
italiane e Castelnuovi, , il dibattito politico recente in Italia sul decentramento. Per gli
studi di Gambi sul tema si rimanda alle note –.
. Gambi ha trattato con continuità e puntualità il tema della questione regionale e le
diverse scale del governo del territorio; si citano alcuni lavori fondamentali: cfr. Gambi,
; Gambi, ; Gambi, ; Gambi, ; Gambi, . Per una ricostruzione della
relativa bibliografia si rimanda a Galluccio, Sturani, , nota . Si veda anche Castelnuovi,
.
. Gambi (, p. ) così tratteggia le decisioni prese dopo l’Unità e poi dopo la
seconda guerra mondiale: «E poiché la ripartizione in compartimenti di Maestri [autore con
il Correnti dell’invenzione dell’articolazione post–unitaria] è stata fatta propria dalla costituzione
repubblicana del  col solo cambio di denominazione [...] anche la regionalizzazione
sopra cui si fonda la Repubblica italiana è l’eredità di un’invenzione risorgimentale».
. Il quadro ambientale e le scelte umane

considerazione — per il fatto di ricalcare i perimetri provinciali — le
realtà economiche, demografiche, insediative, e poco si adeguava a
elementi discriminatori, fisici, culturali» (Ibidem).
La situazione italiana è dunque esemplare nel mostrare come l’identità sia un concetto invocato e nello stesso tempo negato . Inoltre,
il tema è particolarmente complesso, se si riflette sulle diverse scale
politico–amministrative, sulla necessità di giustificarle in molti casi
a posteriori e sui dibattiti che ne scaturiscono, particolarmente vivi
in Italia ma non solo, come la questione settentrionale e l’identità
meridionale .
Eppure, nel ricostruire il fertile solco segnato da Lucio Gambi,
Floriana Galluccio e Maria Luisa Sturani () mettono in evidenza
come non contino le delimitazioni degli spazi — i limites — ma i
processi umani, storici e politici. Inoltre, se si vuole mettere a fuoco
il concetto di identità territoriale, si devono ricercare gli elementi
fondanti del territorio stesso, considerando quest’ultimo come lo
spazio culturale di appartenenza di una comunità (Bonnemeison et al.,
; Claval, ).
«Il territorio può essere inteso come quella porzione dello spazio
geografico in cui una determinata comunità si riconosce e a cui si
relaziona nel suo agire individuale e collettivo» (Pollice, , p. ).
Come ribadisce Governa (), l’agire in comune deve mirare a
costruire progetti collettivi.
Il riconoscimento dell’identità di un territorio ne richiede quindi
una precisa e stratificata analisi, senza ovviamente tralasciarne gli
attori e le relazioni che vi intercorrono .
. Fa notare Castelnuovi come testimonianza di percorsi spesso dialettici o contrastanti
che «nella tradizione degli studi geografici italiani si era consolidata l’abitudine a distinguere
tra Regioni costituzionali e le regioni geografiche» (Castelnuovi, , p. ).
. Cfr. le riflessioni di Quaini, , che invita a riflettere sulle scelte operate e soprattutto su quelle da intraprendere per una pianificazione a misura di comunità. Cfr. anche
Molinari (). La dimensione municipale ha attratto numerosi studi di storia locale; cfr.
Pazzagli, ; Gaspari e Sepe, .
. Non si vuole aprire ora un altro fronte di discussione, ma corre l’obbligo di ricordare
almeno il report della SGI, , dedicato alla questione settentrionale e il volume curato
da Amato, , sull’identità meridionale, a testimonianza dell’attenzione su tali questioni.
Inoltre, mentre questo volume è in stampa, la SGI ha in corso di pubblicazione un report
sul Mezzogiorno.
. In continuità con tale impostazione diventa significativa la differenza tra regionalizzazione e regionalismo: «La regionalizzazione appartiene alla famiglia dei decentramenti e

Campobasso da castrum a città murattiana
Coniugando insieme i due termini — identità e territorio — il concetto
esprime innanzi tutto un rapporto: quello tra soggetto e oggetto, tra uomo
e ambiente, tra sfera privata e collettiva di un sentimento di appartenenza,
tra dimensione reale di uno spazio definito/delimitato e capacità/volontà di
riconoscersi in esso (Grillotti Di Giacomo, , p. ).
Inoltre, l’identità deve essere considerata da più punti di vista e non
solo come la delimitazione di uno spazio tramite la definizione dei confini; essa è l’esito sempre in fieri di più aspetti, rappresentazioni ed azioni. Queste ultime spesso sono imposte tramite compartimentazioni
decise a tavolino.
Per di più, non va tralasciata la lettura transcalare di uno stesso
contesto comparando la percezione/rappresentazione di chi vi vive
con quella degli outsider  . Non è quindi sufficiente il riconoscimento
delle compartimentazioni ambientali , o la messa in evidenza dell’
iconografia di una comunità, secondo le suggestioni di Gottmann ,
ma diventa fondamentale «cogliere, attraverso l’analisi documentaria,
i caratteri strutturali di una collettività locale, seguendone l’evoluzione sul lungo periodo e verificandone orizzontalmente le relazioni»
(Pazzagli, , p. ).
Questa visione dinamica e processuale (Pollice, ) è necessaria per
comprendere il caso Molise, la cui identità è oggetto di discussione
critica sia per la definizione della sua geografia territoriale sia per l’individuazione di una carta dei valori che possa riassumerne l’essenza .
delle emanazioni degli organi centrali verso la periferia», mentre «il regionalismo riguarda il
tentativo di suscitare o di favorire il determinarsi di coscienze e di autonomie democratiche
e decisionali presso la base» (Coppola, , p. ).
. Banini (b, p. ), chiarisce che, diversamente da altre discipline, sia una peculiarità ampiamente condivisa della geografia il fatto di pensare «l’identità alle diverse scale
territoriali».
. Si vuol qui far riferimento al fatto che la produzione cartografica sia al servizio del
potere demandando una visione parziale o orientata della realtà da condizionamenti politici.
Cfr. Harvey, ; Boria, ; Farinelli, .
. Tale operazione è stata ad esempio realizzata dai volumi della Géographie Universelle avviati da Vidal de la Blache e realizzati da F. Gallois tra il  e il . Si rimanda
anche a Toschi, , sul compito del geografo di riconoscere le regioni geografiche e il
commento di Castelnuovi, .
. Cfr. Gottmann, A Geography of Europe, ; per l’interpretazione del pensiero di
Gottmann cfr. L. Muscarà (, p. ): «L’iconografia regionale identifica quel carattere
distintivo e individualizzante che permette di riconoscere una comunità da quelle limitrofe».
. Si richiama qui l’espressione “carta dei valori”, utilizzata da Vallega, .
. Il quadro ambientale e le scelte umane

Pertanto, devono esserne presi in considerazione i quadri ambientali
e gli attori, ma anche il patrimonio esperienziale, che è venuto qui
formandosi, i segni e i valori, come suggeriscono Häkli e Paasi ().
Appare prioritario il territorio di riferimento, che «non si può definire facilmente poiché è allo stesso tempo materiale ed ideale»; esso
«può non esistere o può esistere nella memoria collettiva», come «può
cambiare attraverso il tempo» (Raffestin, , pp. –).
In tal senso si sgombra il campo dalla volontà di definire i limites
territoriali ed ancorarvi gli attori, ma piuttosto diventa necessario
ricostruire i fattori e le relazioni che hanno fatto dell’area molisana un
territorio di riferimento .
Se De Magistris, secondo un’impostazione classica della geografia,
individuava «una regione fisica molisana nel territorio che segue a
sud–est sino al Fortore , al Tammaro (Calore) e all’Alto Volturno»
(De Magistris, , p. ), Massullo ribadisce l’importanza dei fiumi. Essi, «che scendono paralleli dalla dorsale appenninica fino all’
Adriatico e longitudinalmente il massiccio del Matese e la catena delle
Mainarde, sembrano aver svolto un ruolo di identificazione piuttosto
forte» (Massullo, , v. I., p. ).
La risorsa idrica è la ricchezza che connota l’habitat montano unitamente al patrimonio boschivo, seppure ormai ridimensionato (fig.
.).
Talia (a), riprendendo le suggestioni di Giuseppe Galasso , ritiene che lo spazio meridionale sia connotato dalla dialettica
. Dal punto di vista complessivo così illustra Monti, (a, p. ), «L’odierna morfologia del Mezzogiorno rappresenta il risultato di una plurisecolare successione di vicende,
che la lunga e tormentata evoluzione geologica della Penisola e il plurimillenario intervento
dell’uomo hanno reso vieppiù complessa e articolata».
. I principali fiumi molisani sono: il Biferno, che nasce alle falde del Matese presso
Bojano, si snoda per  Km e sfocia nell’Adriatico; il fiume Fortore, che nasce nel subappennino beneventano ed entra nel Molise presso Tufara, lo attraversa per poi varcare i confini
pugliesi; il fiume Trigno, che, con le sorgenti ai piedi di Monte Capraro, scorre tra la provincia di Isernia e Campobasso per poi segnare il confine tra Abruzzo e Molise e sfociare
nell’Adriatico; il fiume Volturno, che nasce dal monte Azzone a Rocchetta, attraversa la
piana di Venafro in territorio molisano per poi entrare in quello campano.
. Almagià, , distingueva un Abruzzo più propriamente montano da quello adriatico; d’altronde, la limitata fascia costiera ha avuto complessivamente scarsa utilizzazione e
valorizzazione fino al .
. Si veda il volume sui caratteri dell’antropologia meridionale curato da Galasso
nel  e poi ripubblicato nella versione aggiornata del .

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. La struttura orografica del Molise (fonte: De Agostini, ).
montagna–pianura , ma il Molise rappresenta un’eccezione dal
momento che le estensioni pianeggianti ivi presenti sono irrisorie ; piuttosto qui si è affermata una dialettica montagna–costa,
ma solo dal , da quando la fascia costiera è divenuta parte integrante del Molise. «Osservando la totale assenza di zone di pianura
[...], meglio si comprende il ruolo esercitato dalla montagna appenninica nella gestione e organizzazione di quel delicato rapporto
che intercorre tra popolazione, territorio e risorse» (Landini et al.,
, p. ).
È necessario aggiungere che il Molise, soggetto a fenomeni frano
si , è geologicamente giovane dal momento che, assenti terreni di
tipo archeozoico e paleozoico, si è formato fondamentalmente nel
. Questa contrapposizione è individuata anche da Mazzetti (, p. ): «La doppia contrapposizione, fra la costa e l’interno, fra la pianura e la montagna, è il filo che
lega ogni ricognizione del paesaggio del Mezzogiorno italiano dall’età dell’Illuminismo
al nostro secolo».
. Talia, a, mette in evidenza le problematicità del sistema idrografico
meridionale che trova piena corrispondenza in quello molisano.
. Il problema, messo in evidenza da Simoncelli, , e Fondi, , è ripreso dalla
Preziosi, ; negli ultimi anni ha dato adito alla elaborazione di carte tematiche: cfr.
Vezzani et al., –.
. Il quadro ambientale e le scelte umane

Terziario, mentre nel Quaternario è avvenuto il completamento delle
zone alluvionali .
Dunque, un habitat principalmente montano, secondo caratteristiche tipiche dell’Appennino e instabile dal punto di vista
geomorfologico , con il quale i suoi abitanti hanno dovuto misurarsi dall’antichità, da quando i Sanniti prediligono quest’area per
difendersi sulle montagne dai Romani e vi vivono praticando la
transumanza.
Il regno dei Sanniti nella sua massima espansione occupa gran parte
dell’Italia centro–meridionale, ma il centro del loro dominio rimane a
lungo concentrato proprio qui tra Pietrabbondante, Isernia e Bojano
coincidendo parzialmente con l’attuale estensione regionale, come
mostra la ricostruzione operata da Iasiello,  (fig. .).
Il Molise si è ritenuto l’erede principale di quel patrimonio di comportamenti e tradizioni, miti e leggende, che i Sanniti hanno rappresentato. La fierezza e l’indomita forza, la vita pastorale e la lotta strenua
per la libertà sono stati esaltate a più riprese come i valori fondamentali
dei molisani. Non è casuale la disquisizione, effettuata agli inizi dell’Ottocento, se la costituenda provincia molisana si dovesse denominare
Sannio , e neppure appare paradossale che un recentissimo numero
della rivista Glocale discuta del mito del Sannita .
D’altronde, la romanità pur avendo lasciato tracce e vestigia, non
considera importante questo territorio per cui la radice sannitica
rimane la più significativa per l’età antica, mentre processi storici
medievali ne ridisegnano geografia e denominazione. L’unità statale
del Mezzogiorno, racchiudendo, per secoli, anche le odierne regioni
. Per la letteratura inerente alla formazione geologica del Molise e alla questione
sismica si veda il secondo paragrafo di questo capitolo e la nota . Le zone alluvionali sono
l’area venafrana e l’area costiera.
. Cfr. Castagnoli (, pp. –) che sintetizza il dibattito avvenuto tra la fine
dell’Ottocento e gli inizi del Novecento sui caratteri fisici del Molise e se esso fosse da
considerarsi parte integrante dell’Appennino centrale o di quello meridionale.
. La struttura geologica dell’Appennino con la sua formazione è affrontata nei
caratteri complessivi per il Mezzogiorno da Monti, a.
. Cfr. Biscardi, b, che documenta questa discussione svoltasi agli inizi
dell’Ottocento.
. Per il mito del coraggio sannita si veda De Simone, ; per il richiamo a tale mito
nel Settecento si rimanda a Galanti, ; per una rassegna complessiva sul tema Palmieri,
, che discute questo mito nelle sue declinazioni classiche e moderne. Per la rivista
Glocale cfr. nota .

Campobasso da castrum a città murattiana
dell’Abruzzo e del Molise nei suoi confini, finirà per meridionalizzarle; quest’ultima non a caso appare ancora oggi l’anello debole
della regione medio–adriatica , con la quale per secoli ha condiviso la
condizione di territorio marginale e periferico (Landini et al., ).
Figura .. Il Sannio nel IV secolo a.C secondo la ricostruzione di Jasiello, .
. Per l’analisi della regione medio–adriatica cfr. Landini, ; Fuschi et al., ;
Landini et al., .
. Il quadro ambientale e le scelte umane

La problematica dell’identità si prospetta proprio in relazione alla
formazione della Contea/Contado di Molise , come chiarisce nel
 Scipione Mazzella:
Gli habitatori di questo paese sono Sanniti, Frentani e Caraceni, i confini
dei quali popoli anticamente furono il fiume Fortore dall’oriente, e il fiume
Sanguine dall’occidente, il mar Adriatico da settentrione, il monte Apennino
dal mezzogiorno. Hora i suoi termini non si dilatano tanto, per rispetto della
nuova divisione fatta dal Fisco regio, del quale paese adesso buona parte n’è
sotto il Capitanato, di Principato ultra, di Terra di Lavoro, e d’Abruzzo.
A sua volta Camillo Porzio ben illustra il peso della volontà politica:
I Re di Napoli [...] diedero il nome di provincia a questo Contado di Molise,
la quale, paragonandola alle altre province del Regno, non che dell’Italia,
è piccolissima: anzi pare che nella sterilità e fertilità del terreno, e nella
qualità degli uomini e quantità degli animali, sia composta di pezzi di ciascuna provincia tra le quali è situata, cioè il Principato dall’oriente, Abruzzo
dall’occidente, Terra di Lavoro dal mezzodì, Capitanata da tramontana.
Se le fonti del XVI–XVII secolo testimoniano un processo ormai avvenuto, cioè la formazione sia pure non del tutto definita del Contado
di Molise, essa in realtà si verifica nel periodo dell’incastellamento tra
X e XII secolo quando, come si discuterà nel secondo capitolo, si realizzano due cambiamenti nevralgici: il Molise centrale e Campobasso
acquistano una centralità che non avevano nell’età antica.
Il Medioevo è in questo processo un momento chiave: le configurazioni
insediative medievali disegnarono infatti un panorama regionale che, al di
sotto del pulviscolare mutare dei proprietari e dei signori, e pure con i tempi
e le modalità che vedremo, costruì la trama profonda dello spazio molisano
anche in età moderna (Lazzarini, , p. ).
. Si rimanda al primo paragrafo del secondo capitolo. Cfr. Biscardi, (b, p. ): «Fu
nel periodo normanno (prima metà del sec. XII) che un segmento indistinto dell’antichissimo Sannio venne approssimativamente delimitato col nome di Contea, e poi con quello di
lunghissima durata di Contado di Molise».
. Cfr. Scipione Mazzella, Descrizione del Regno di Napoli, , p. . Mazzella ha
anche il pregio di ricordare che neppure vi fosse un’unità statuale sannitica, ma diverse
tribù collocate negli odierni Alto e Basso Molise.
. Cfr. Camillo Porzio, La congiura de’ baroni del Regno di Napoli contro il re Ferdinando
primo, probabilmente scritta tra il  e il  ed edita a Napoli nel .

Campobasso da castrum a città murattiana
Nel Basso Medioevo si organizza un’unità feudale nell’attuale Molise centrale che rappresenterà da quel momento il cuore di una provincia non precisamente definita . Peraltro, si assiste al cambiamento
toponimico in virtù del quale quest’area dall’XI secolo è denominata
Molise e non più Sannio. Tuttavia, la Contea, poi Contado di Molise,
non è attestata in modo inequivocabile dalle rappresentazioni cartografiche. Quest’ultimo aspetto è stato affrontato dalla Meini () che,
esaminando la produzione cartografica dell’età moderna, rileva che
essa esprime la storica mobilità del territorio molisano (fig. .).
Figura .. Particolare della carta di Weigel, incisore di Norimberga, probabilmente elaborata nel , presenta accorpati Aprutium Ulterius, Aprutium Citerius e
Comitatus Molisi (fonte: Meini, ).
Come testimonia Giovanni Brancaccio (), L’Italia Illustrata
(–) di Flavio Biondo offre tutti gli elementi per dimostrare la
scarsa riconoscibilità politica del Molise: difatti la sua suddivisione tra
la regione XII, l’Abruzzo, e la XIV, la Puglia, è posta dallo studioso
come la motivazione principale della precaria fisionomia di questa
provincia.
. Cfr. Simoncelli,, che fa notare la complessiva coincidenza tra l’estensione della
Contea di Molise e dell’attuale regione.
. Il quadro ambientale e le scelte umane

A siffatta impostazione solo dopo quasi due secoli si contrappone la
cartografia coordinata da Nicola Stigliola e Mario Cartaro che applicano la suddivisione del Regno in dodici province nelle tavole del Regno
di Napoli (), fornendo un’autonoma rappresentazione del Contado
(fig. .). Per il Brancaccio è la testimonianza del lento riconoscimento
di questo ritaglio territoriale .
Il nodo problematico, di carattere politico–amministrativo, è dovuto all’aggregazione ad altre province per lunghissimo tempo, prima
alla Terra di Lavoro fino al XVI secolo, poi alla Capitanata, come
chiarisce Masciotta:
Noi opiniamo che il distacco del Contado da Terra di Lavoro e la sua
aggregazione alla Capitanata abbia avuto luogo durante il governo vicereale
operoso e riformatore di don Pietro Toledo, durato dal  al  [...]. La
comunione del Contado di Molise con la Capitanata si protrasse fino al 
(Masciotta, , vol. I, p. ).
La cartografia documenta le aggregazioni, delle quali la più consistente e duratura avviene con la Capitanata per un processo di integrazione determinato dalla transumanza. Quest’ultima — tratto
territoriale e culturale di una vasta area del Mezzogiorno — segna
il territorio molisano per la sua posizione geografica a mezza strada
tra l’Abruzzo e la Capitanata. La transumanza, risultando «determinante nel processo di urbanizzazione e gerarchizzazione delle aree
interne» (Landini et al., , p. ), porrà in evidenza principalmente
Campobasso.
Siffatta forma di mobilità è concomitante a quella esercitata in Basso
Molise da croati e albanesi che vi svolgono un’ opera di rivitalizzazione tra il XV e il XVII secolo. Essi si spostano continuamente dalla
Capitanata al Contado dimostrando quanto il confine fosse un’entità
mobile (Sarno, f ).
Se amministrativamente il Contado non ha una definizione puntuale, va comunque costituendo una sua identità, che si forgia attraverso
alcune dinamiche: quella dei transumanti che percorrono il Molise
. Tra la fine del XVI secolo e gli inizi del XVII anche Giovanni Antonio Magini
realizza l’Atlante Geografico d’Italia nel quale ritroviamo la Tavola del Contado di Molise
et Principato Ultra; cfr. Almagià, ; Lago, .
. La provincia Terra di Lavoro coincide grosso modo con l’attuale provincia campana
di Caserta.

Campobasso da castrum a città murattiana
per raggiungere il Tavoliere, quella dei braccianti e pastori molisani,
che si spostano anche per lunghi periodi dalla loro terra, e quella di
albanesi e croati che faticosamente si inseriscono qui (Sarno, f ).
Come ha scritto L. Muscarà (), la topografia di questo territorio
ha subito più influenze , pur agendo i diversi attori in un contesto
che conserva come denominatore comune la ruralità .
Figura .. Tavola del Contado de Molise di M. Cartaro, ; rappresenta l’elaborazione più puntuale del Contado nell’età moderna e ne individua la posizione
incassata tra le altre province; (fonte: Petrocelli, ).
Peraltro, se la letteratura si è molto esercitata sull’esegesi del toponimo Molise , meno ha riflettuto sul termine Contado, che deriva
da Comitatus e che rimanda alle divisioni amministrative dell’età
svevo–angioina. Quest’ultima non deve però essere considerata l’unica
interpretazione possibile, perché il termine Contado riflette l’incisiva
. Per i tratti identitari del Molise moderno cfr. Brancaccio, , e il commento sul
volume di Novi Chavarria, .
. Questa caratteristica, favorita dall’organizzazione feudale nell’età moderna, faceva
sì che solo Isernia conservasse a lungo la condizione di città regia, concorrendo alla visione
di un Molise privo nella gran parte di città.
. Cfr. il primo paragrafo del secondo capitolo per l’affermazione del toponimo Molise.
. Il concetto di comitatus/contado è stato rivisitato negli ultimi anni perché posto in
relazione all’ambiente urbano; cfr. Vitolo, .
. Il quadro ambientale e le scelte umane

presenza di caratteri rurali , dal momento che in Molise più che in
altre province del Regno di Napoli, come si mostrerà nei prossimi
capitoli, appare persistente l’impostazione geo–economica propria del
feudalesimo.
Rispetto ai tanti condizionamenti socio–politici solo la cultura illuministica e riformistica produce cambiamenti significativi, grazie a
molisani che si impegnano a far conoscere la loro terra e a progettarne
trasformazioni: Vincenzo Cuoco, Giuseppe Maria Galanti, Francesco
Longano. Interessante è la relazione di Francesco Longano, Viaggio
per lo Contado di Molise, del ; essa definisce i confini e i caratteri
identitari di una terra aspra e povera. Egli, che paragona ad un cuore la raffigurazione del Molise, ne centra i caratteri fisici e umani
con l’orgoglio di averne formulato il primo sbozzo. Aggiunge una
sua rappresentazione cartografica, elaborata dal basso tenendo conto
dell’esperienza diretta e del quantitativo dei terreni, che le università
rispettive della provincia hanno rilevato alla Suprema Giunta delle Finanze.
Per questi motivi è la meno fallace (fig. .).
Il secondo Settecento è dunque un momento fondamentale per la
costruzione e la rappresentazione dell’identità molisana. Si pongono
le basi di quell’autonomia amministrativa che si realizza nel ,
benché la classe politica dovesse impegnarsi affinché fosse sancita la
separazione della Provincia di Molise dalla Capitanata, con il decreto
del  settembre , e fosse risolta la querelle per distinguere i territori
distrettuali .
I riformisti con l’aiuto dei Napoleonidi disegnano finalmente la loro
provincia prendendo due decisioni importanti: designano Campobasso capoluogo e richiedono con forza l’ampliamento fino alla fascia
costiera (fig. .). Essi quindi hanno consapevolezza che un nucleo
fondamentale esistesse, benché dagli incerti confini, e che Campobasso ne fosse il baricentro. Peraltro, la classe politica, principalmente nel
. I caratteri rurali sono poi esaltati in età fascista, tanto che il Molise è definito da
Mussolini ruralissima terra.
. Si veda anche l’ultimo paragrafo del quarto capitolo. Per l’analisi dell’opera di
Longano cfr. Sarno, f.
. Per la legge del  marzo  il Molise era ancora unito alla Capitanata e si dovette
attende il secondo decreto.
. Cfr. Russo, , che ripercorre, con l’ausilio dei documenti, la definizione del
confine tra la Provincia di Molise e la Capitanata negli anni –, definizione resa
complicata dalla richiesta di diversi comuni di aggregarsi con l’una o con l’altra provincia.

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Carta topografica del Molise di Francesco Longano, allegata alla sua
relazione Viaggio nel Contado di Molise del .
corso dell’Ottocento, ha affidato proprio ai centri maggiori il ruolo di
coordinamento dell’area molisana.
Il Settecento e i primi decenni dell’Ottocento diventano, dunque, significativi per la definizione territoriale del Molise (Brancaccio,
; Biscardi, a; Sarno, f ), per lo sviluppo di Campobasso
(R. De Benedittis, b; Lalli, ; Sarno, b), per cui appare
poco probante che siffatto processo identitario cominci dopo la formalizzazione ottocentesca (Massullo, ). Tuttavia, sicuramente la
provincia molisana ottiene scarsa riconoscibilità dalla neutrale statistica
che unisce Abruzzo e Molise .
La limitata estensione territoriale, il carico demografico non sostenuto, la dimensione insediativa fatta di tanti piccoli comuni ne fanno
un ritaglio da accorpare, fin quando non sono ascoltate le spinte autonomistiche (fig. .). Il  dicembre  la provincia molisana diviene
. Sul Settecento molisano come tempo che coagula fermenti positivi cfr. R. De
Benedittis, a, che ha raccolto diversi contributi interdisciplinari sul tema.
. Per l’aggregazione all’Abruzzo dopo l’Unità d’Italia cfr. Castagnoli, ; Lando,
.
. Cfr. Lalli, , e Petrocelli, , che ripercorrono, con ricchezza di documenti e
testimonianze locali e nazionali, il complesso iter che fece ottenere ai molisani l’autonomia
. Il quadro ambientale e le scelte umane

Figura .. Tavola corografica Provincia di Molise, secondo i confini del , di B.
Marzolla,  (fonte: Petrocelli, ).
tout–court regione , dal momento che «non esisteva una legge che
ne determinasse i confini» (Castelnuovi, , p. ), testimoniando
ancora una volta che le suddivisioni avvenissero in base a criteri che
non tenessero conto delle reali situazioni (Gambi, ).
La soluzione amministrativa non ha certo tacitato la discussione
sull’identità del Molise, dibattuta tanto nella sua organizzazione amregionale.
. Si tenga conto che tanto nel  quanto nel  furono apportate variazioni
alla geografia del Molise che cedette alcuni comuni alla Campania ma ne accolse altri
dall’Abruzzo.

Campobasso da castrum a città murattiana
ministrativa , quanto nei suoi caratteri che appaiono un’operazione a
posteriori (L. Muscarà, ).
Eppure, se prevale la visione, prima delineata, dell’ identità come interazione dialettica spazio–temporale, se si considera la sua
costruzione come un percorso che avvenga nel tempo (Raffestin,
; Brancaccio, ), grazie a processi relazionali (Pollice, ;
Pazzagli, ), resi corposi da segni e valori (Häkli e Paasi, ), si
chiarisce che l’identità territoriale molisana sia venuta formandosi e
rinnovandosi, pur avendo pesato e pur pesando su di essa decisioni
politiche esterne al suo contesto. Un’identità territoriale composita,
che non dimentica la radice sannitica, ma neppure quella rurale e
transumante, che si è arricchita per la presenza degli albanesi e croati
e, pur segnata dall’emigrazione, protesa comunque a relazionarsi con
le sue comunità all’estero . Per di più, la stessa differenziazione dei
quadri ambientali e umani — Alto e Basso Molise, il legame tanto
con l’Abruzzo quanto con la Puglia — contribuisce a costruire un
patrimonio di tradizioni e valori basilari per questo territorio .
Pertanto, se la programmazione di macro–regioni potrà condurre
alla ricostituzione del Sannio o alla formazione della Moldaunia ,
. La razionalizzazione finanziaria stabilita nel  prevede la soppressione delle
province molisane e ha favorito concreti contatti con la provincia di Benevento per un
ampliamento territoriale e demografico della regione, nel tentativo di evitare di nuovo
l’accorpamento con l’Abruzzo. Cfr. Pellicano, , per la disamina delle circoscrizioni
imperfette nel Sud Italia.
. Lo scrittore Francesco Jovine elabora l’iconografia più rappresentativa del Molise
grazie a una sua icastica e spesso citata immagine: «Quando incontreremo le prime ulivelle
magre, solitarie, in bilico sui dirupi, con i rami stenti, tormentati dalla bufera, allora saremo
in Contado di Molise»; cfr. Viaggio nel Molise nell’edizione del , p. .
. L’emigrazione molisana ha dato origine a diverse comunità all’estero e ad un
nutrito numero di associazioni; per una sintesi della bibliografia, del fenomeno e dei
recenti sviluppi si rimanda a Sarno, f; per la problematica demografica e i relativi studi
si veda Sarno, c. Dal momento che il problema demografico non è recente ma affonda
le sue radici nell’età moderna si veda il quinto paragrafo del terzo capitolo. Per le comunità
albanesi e croate cfr. Brancaccio, ; Sarno, f.
. Esempio significativo è la tradizione dei Misteri, che rappresenta i valori fondanti
dell’identità urbana di Campobasso, analizzata nel sesto paragrafo del quarto capitolo; si
rimanda comunque a Sarno, d, per un’analisi dettagliata dei valori basilari molisani
emersi nello studio delle tradizioni locali.
. Diverse sono le proposte per l’ampliamento del Molise, dal ritorno all’Abruzzo,
all’accorpamento con la provincia di Foggia (il che darebbe origine alla Moldaunia) o con
quella di Benevento. Il problema affrontato da Bencardino, , Landini, , Landini et
al., , è anche oggetto di discussione dalla stampa locale.
. Il quadro ambientale e le scelte umane

Figura .. Il Molise regione autonoma nel  (fonte: De Agostini, ).
se appare comunque necessario «mettere a sistema le diverse potenzialità dell’area medio–adriatica» (Landini et al., , p. ), studi
geo–storici non possono prescindere né dalla geografia insediativa
delineatasi nel Medioevo, né dalla considerazione che l’età moderna
sia il laboratorio della costruzione identitaria del Molise e del ruolo
principale di Campobasso (fig. .). Un’analisi siffatta è funzionale alla
visione di delineare tanto le radici quanto le ali di un territorio  .
.. Le ragioni della fondazione e il sito di Campobasso
Calogero Muscarà, il  giugno , introducendo i lavori del convegno internazionale sul tema “Città e Sedi Umane Fondate tra Realtà
ed Utopia”, chiariva che ogni città fondata rimanda ad un’identità
geografica, «all’identificazione di un popolo e di una comunità con
. Appare necessario raccogliere l’invito di Quaini (, p. ) il quale a proposito
dell’identità ligure suggerisce nel vuoto conoscitivo e politico «di avviare la lettura dei principali
elementi e quadri storico–ambientali» e «sulla base di questo principio di rilettura geo–
storica affrontare i problemi».
. Si richiama qui l’espressione del sociologo Ulrich Beck, .

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Proposta di ampliamento del Molise con l’accorpamento della
provincia di Benevento (fonte: www.molisannio.it).
una certa area che viene vissuta come di appartenenza» . Importanti
e strategici sono quindi gli attori che si impegnano a fondare un nuovo
insediamento e altrettanto strategiche devono essere le loro ragioni.
Un tema così importante è stato discusso pure nell’VIII Coloquio
Internacional de Geocrítica svoltosi a Città del Messico nel , dove
Soares così ha chiarito:
En las ciencias sociales, y especialmente, en la geografía urbana, es posible delimitar
dos grandes tendencias en el análisis histórico de una ciudad: una primera dedicada
al estudio de las trasformaciones físicas del ambiente construido, en la morfología
urbana y en la ciudad en cuanto paisaje y en cuanto obra; y, una segunda, más
centrada en lo que se ha convenido llamar “la cultura urbana”, y que se dedica a
investigar los rasgos culturales, las “mentalidades”, el “espíritu” urbano y la vida
cotidiana de la ciudad en la historia (Soares, , p. ).
. Cfr. C. Muscarà, , p. ; si vedano anche gli atti curati da Pellicano, , del
citato convegno, organizzato dal Centro Italiano per gli Studi Storico–Geografici nella
splendida cornice di San Leucio. In relazione al tema della fondazione delle città cfr. anche
Manzi, , e Mazzetti, . Per le problematiche relative alla fondazione di Campobasso
cfr. Sarno, b.
. Si fa riferimento all’VIII Coloquio Internacional de Geocrítica: Geografía histórica e
historia del territorio del  e ai relativi atti; cfr. www.ub.edu/geocrit/ciu.htm.
. Il quadro ambientale e le scelte umane

Queste prospettive devono essere tenute in conto proprio nel caso di
Campobasso, non solo in relazione alla problematica identitaria affrontata
nelle pagine precedenti, ma per riconoscere le motivazioni che abbiano
reso vantaggiosi un sito e un’area fino all’VIII d.C. poco valorizzati e —
aspetto ancora più interessante — quali ragioni abbiano fatto acquisire a
questo insediamento fondato, rispetto ad altri, molto più tardi, un ruolo
centrale. Infatti, se Campobasso è una delle tante fondazioni medievali
che avvennero in Europa e in Italia, appare opportuno, preliminarmente,
discutere perché il suo sito, pur utilizzato nell’antichità, non fosse considerato importante e come solo ragioni politico–militari, sopraggiunte
nell’Alto Medioevo, lo rendessero strategico.
Barker (), nel suo studio archeologico, per ora insuperato per
ampiezza e per esiti, ha ricostruito, dalla preistoria all’età moderna,
gli insediamenti nella valle del Biferno (il fiume che taglia a metà il
Molise); le indagini effettuate hanno messo in evidenza quali fossero
i siti vitali nell’età del Ferro ( a.C. all’incirca) e come la sezione
campobassana non fosse particolarmente utilizzata (fig. .).
Figura .. La valle del Biferno nell’età del Ferro (circa  a.c.). Il cerchietto indica
l’area di Campobasso (fonte: Barker, ).
. Gli archeologi hanno svolto diverse analisi degli scarsi reperti presenti nel sito originario
della città e nell’intera area per verificare la presenza dei Sanniti e dei Romani; cfr. Barker, ;
G. De Benedittis, b; La Regina, . Sui resti della mura poligonali di Campobasso sono
interessanti le ipotesi di G. De Benedittis, .
. Cfr. Lazzareschi (, p.): «L’XI viene generalmente indicato da tutti gli autori come il
secolo durante il quale si manifesta il fenomeno della fondazione di nuove città, ma questo era
già attivo prima dell’anno mille, alcune sono addirittura di origine barbara, come Campobasso
che è di fondazione longobarda (IX secolo)». Si rimanda per il disamina complessiva e per la
discussione della relativa letteratura al secondo capitolo.

Campobasso da castrum a città murattiana
Quando si concretizza, come si è accennato nelle pagine precedenti,
l’occupazione da parte delle tribù sannitiche, si delinea, attraverso la
fondazione delle loro città–stato, l’antico Sannio che si estendeva
nelle attuali regioni del Molise, della Campania, della Puglia e dell’Abruzzo (IV–I sec. a.C.). Nell’odierno territorio molisano i Sanniti
privilegiano le zone alte, coincidenti con i santuari di Pietrabbondante
e Vastogirardi, mentre, nella parte meridionale, Bojano e Sepino; i
santuari creano le basi di insediamenti storici, che saranno in seguito
bacini d’utenza (fig. .). Tuttavia, “nell’area metropolitana dell’antico
Sannio dei Pentri e dei Frentani non vi è traccia di Campobasso fra le
città ancora esistenti e quelle distrutte” (Petrocelli, , p. ).
Solo con l’inizio delle guerre sannitiche qui «fu costruito un piccolo
circuito murario» (G. De Benedittis, b, p. ), proprio sull’altura che poi sarà il sito originario della città. L’archeologo Gianfranco De Benedittis ha ritrovato nell’agro anche tracce di due fattorie
sannitiche e probabilmente di un altro circuito murario.
Lo scontro con i Romani riduce gradatamente l’espansione dei Sanniti che si trincerano nei loro santuari, rafforzando il mito della loro
forza morale e militare . I vincitori , che impongono il loro potere
in modo definitivo nell’ a.C., distruggono i centri fortificati sannitici
nelle zone di montagna scegliendo località pianeggianti e comunque
vicine alla Campania Felix, difatti i loro municipi più importanti sono
Venafrum, Aesernia, Bovianum, Saepinum .
Questa direttiva è resa evidente dalla rete di comunicazione dei
. È necessario ricordare che i Sanniti pur dominando quest’area non costituiscono
un‘unità politica coerente ma si organizzano in città–stato; quindi, pur essendo considerati
i fondatori di Isernia, lo spazio molisano è condiviso dalle diverse tribù sannitiche: i Pentri
con la loro capitale Bojano e i Frentani che si stanziano nella zona costiera. I Frentani,
pur non essendo considerati Sanniti a pieno titolo, erano affini per origini etniche e per
lingua, cioè l’osco. Cfr. Barker, , per l’analisi delle fonti e dei reperti che testimoniano
la presenza delle diverse tribù. Gli studi basilari sui Sanniti sono dello storico inglese E.T.
Salmon, , svolti principalmente negli anni Sessanta/Settanta del secolo scorso; per la
presenza dei Sanniti nell’area molisana si rimanda alla bibliografia citata nella nota  di
questo capitolo; cfr. anche Gentile, . Per un’analisi delle fonti cfr. Scopacasa, , e
per la ritualità di questo popolo Marmontel, .
. Le fattorie corrispondono alla pratica della transumanza poiché i Sanniti, utilizzando
naturali tracciati, sono gli iniziatori di una consuetudine che segnerà questo territorio
(Paone, ).
. Cfr. nota .
. Per la presenza romana in Molise si rimanda a Hanoune, Scheid, ; G. De
. Il quadro ambientale e le scelte umane

Figura .. Ricostruzione delle aree sacre dei Sanniti (fonte: Manfredi Selvaggi,
).
Romani, che ereditano i tracciati viari dei Sanniti, ma lasciano un
segno più importante: la via Minucia, citata da Cicerone e Orazio
anche nella variante Numicia. La ricostruzione del percorso (fig. .)
mostra che la via Minucia/Numicia collegava Aufidena (odierna Castel
di Sangro in Abruzzo) con Aequum Tuticum (oggi Casalbore in Irpinia),
attraversando Aesernia, Bovianum e Saepinum . Per quanto riguarda la
Tabula Peutingeriana  e i relativi percorsi riportati nel quinto segmento
(fig. .), vi è indicata la via Latina che toccava Saepinum.
Inoltre, i Romani sono interessati allo sviluppo lungo la costa, come
attesta la fondazione di Buca che è da ricollegarsi all’odierna Termoli ,
Benedittis et al., ; Coarelli, .
. Cfr. Brancaccio (, p. ) che così chiarisce: «Il Samnium, corrispondente alla
Quarta regione [secondo la divisione di Augusto], oltre al Sannio vero e proprio comprese anche il territorio di altre popolazioni italiche Equi, Sabini, Vestini, Peligni, Marsi, Marrucini
e Frentani». La presenza sannitica prima e romana poi in questi centri è stata oggetto di
studi e di indagini archeologiche: cfr. Valente, ; Martino, , e G. De Benedittis .
. Per la ricostruzione della via Minucia/Numicia cfr. Martino, ; il tracciato sarà
poi utilizzato per il tratturo Pescasseroli–Candela (Sarno, c).
. I riferimenti alle stazioni presenti nel Sannio sono tratti da Petrocelli, .
. Indagini archeologiche recenti stanno mettendo in rilievo la vitalità della costa
prima della presenza romana, durante il periodo imperiale e nei secoli successivi; studi di

Campobasso da castrum a città murattiana
e valorizzano Larino (fig. .), permanendo invece la difficoltà strutturale di muoversi agevolmente nelle zone interne e attraversare la
valle del Biferno . Infatti, l’area campobassana, benché vi siano stati
rilevati resti di ville romane (G. De Benedittis, b), continua ad
essere parzialmente utilizzata.
Nel momento in cui avviene la crisi dell’Impero Romano, il Sannio
è soggetto ad una serie di invasioni e a continui cambiamenti politico–
militari .
Figura .. La via Numicia/Minucia attraversava i centri più importanti nel Sannio,
ma non l’area di Campobasso (fonte: Martino, ).
geo–archeologia stanno valutando anche le modificazioni a cui sono state sottoposte nei
secoli la linea di costa e la foce stessa del Biferno; cfr. Rosskopf, ; G. De Benedittis,
a. Per la storia urbana di Termoli si rimanda all’ultimo paragrafo del quarto capitolo.
. Larino è stata oggetto di diversi studi per la ricchezza dei resti romani; cfr. De Tata,
; Barker, .
. Ecco il commento di Barker (, p. ): «La valle di per sé non era una direttrice
importante, sebbene la strada sullo spartiacque da Bovianum a Larinum, attestata per la
prima volta in tempi romani, fosse quasi certamente la via presa dalle truppe Pentre che
affrontarono Annibale nel – a.C».
. Cfr. Iasiello, , come studio complessivo sul Sannio nell’età tardoantica sia per la
sistematicità dell’argomentazione, sia per la puntuale rassegna bibliografica sull’argomento.
Si vedano anche Massullo, , vol. I; Brancaccio, . Per la disamina della viabilità
romana nel Sannio cfr. G. De Benedittis, .
. Il quadro ambientale e le scelte umane

Figura .. Frammento della Tabula Peutingeriana (III–IV d.C.). Una copia del
Seicento è conservata presso ASCB (fonte: Petrocelli, ).
Figura .. Ricostruzione della viabilità nel Basso Molise in età romana (fonte: G.
De Benedittis, a).
Iasiello () dimostra che non è affatto semplice definire i confini
della provincia sannitica tra il IV e il VI secolo d.C., anche in base agli
eventi che incalzano (figg. .–.). Gli storici locali hanno messo
in evidenza gli effetti nefasti di questo periodo, così riassunti:
Quando giunse la fine della successione imperiale in occidente il Sannio si
ritrovò, come Regio IV, a far parte dell’Italia Suburbicaria; in seguito la guer. La difficoltà a definirne i confini è anche dovuta alla geografia amministrativa voluta
da Diocleziano nel III secolo d.C. che accorpa il Sannio e la Campania in una sola regione
divisa nelle province Valeria e Sannitica.
. Cfr. Gasdia, ; G. De Benedittis, b.

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Le diocesi nel IV secolo d.C. Il Sannio appare diversamente esteso
che nella figura . (fonte: Iasiello, ).
Figura .. L’Italia bizantina nel VI secolo d. C. (fonte: Iasiello, ).
ra tra Goti e Bizantini seminò stragi e desolazione, tra una controffensiva e
l’altra dei due eserciti in lotta (Rocco, , p. ).
La rarefazione dei centri abitati dal VI all’VIII secolo d.C. sembra
dunque consistente. Tuttavia, i recenti risultati di scavi archeologici
fanno escludere un completo abbandono del Sannio e evidenziano,
nel VI secolo d. C, la compresenza di fenomeni diversi:
In area molisana [...] speculare agli abbandoni, parziali ma pur sempre
. Cfr. Jasiello, , e per l’analisi dei resti archeologici G. De Benedittis, b.
. Il quadro ambientale e le scelte umane

evidenti (Fagifulae , Saepinum) e alla dislocazione di alcuni insediamenti urbani, ridimensionati e ruralizzati, su nuovi siti d’altura (Bovanium, Larinum
e la stessa Saepinum), c’è la permanenza funzionale di altre città (Aesernia, Venafrum, Terventum ), sia pure con un probabile e non inconsueto
restringimento dell’abitato (Rotili, , p. ).
A conferma di tale specularità, Iasiello () chiarisce nel suo
studio sul Sannio tardoantico che, se si concretizzano la contrazione
degli insediamenti e l’abbandono di spazi agricoli, tuttavia si mantiene
vitale l’istituzione di pagi e vici; questi ultimi, come piccoli nuclei,
garantiscono qui come altrove l’organizzazione territoriale. I pagi,
anche per il ruolo acquisito dai vescovi, rappresentano i centri di
riferimento per la ricostruzione del tessuto insediativo grazie a due
fattori positivi: la formazione del ducato di Benevento da parte dei
Longobardi e la presenza dei benedettini. I Longobardi infatti formano
un ducato che, dal VI–VII secolo d.C., estende la sua sfera d’influenza
da Benevento a Chieti, fino al Gargano (fig. .).
Nelle prossime pagine si mostrerà come sia stato complesso e articolato il loro radicamento territoriale, per ora basti ricordare che nel
Sannio la presenza longobarda è ben attestata dai toponimi di alcune
località: Guardiaregia, Guardialfiera, Pontelandolfo, Roccamandolfi,
Ponte Latrone (Lalli, ). Essi, pur dovendo affrontare le scorrerie saracene le cui tracce sono anch’esse nella toponomastica, come Macchia
Saracena, Monte Saraceno, Torrente Saraceno, Ripa Saraceno, rafforzano l’opera dei benedettini, fondatori dell’abbazia di Montecassino,
probabilmente nel , e pronti ad un puntuale proselitismo.
Benedettini e Longobardi, come si dirà nel prossimo capitolo, sono all’origine di un ampio e diffuso processo di riorganizzazione di
questo territorio, e in modo particolare dell’attuale Molise centrale.
Essi sono dunque gli artefici perché i vassalli della badìa di Santa Sofia
. Fagifulae corrisponde all’attuale comune molisano di Montagano ed è ubicato sulla
riva destra del medio corso del fiume Biferno; qui vi è la chiesa di Santa Maria di Faifoli
fondata dai benedettini nell’XI secolo. Questo comune è stato oggetto di studi negli anni
Trenta del secolo scorso da parte di Galluppi, .
. Terventum corrisponde all’attuale cittadina molisana di Trivento e fu sede di diocesi;
cfr. Vitiello, .
. I riferimento toponomastici sono stati messi in evidenza dagli storici locali come
Gasdia, , per poi essere studiati da Aversano, , e da Brancaccio, .
. Si rimanda al primo paragrafo del secondo capitolo per l’analisi del governo
longobardo e dell’opera dei benedettini.

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Il Ducato di Benevento nel VII secolo d.C. Il Sannio ne è parte
integrante (fonte: Barker, ).
di Benevento si arrocchino sull’altura del Monte Bello e vi fondino
Campobasso , segnando così una forte discontinuità rispetto all’età
. Si fa riferimento al rescritto di Adelchi analizzato nel secondo paragrafo del secondo
capitolo.
. I documenti inerenti alla città di Campobasso e alla sua formazione urbanistica sono
reperibili con difficoltà soprattutto per l’età medievale e in parte per quella moderna. Se ne
occupò lo Scaramella nel  con la pubblicazione Alcune antiche carte di Campobasso, nella
quale enumera quelle perdute, mentre indica l’Archivio Storico della Prefettura e la Chiesa
di San Leonardo come luoghi depositari ancora un secolo fa di pergamene e documenti.
A sua volta Antonino Mancini tra il  e il , anche per gli incendi provocati dalle
bombe della seconda guerra mondiale, si preoccupò di ricopiare documenti di cui non vi è
. Il quadro ambientale e le scelte umane

antica e dimostrando che per dare vita ad una città contino tanto i
fattori geografici quanto quelli politici (Talia, b).
Il sito originario di Campobasso è l’altura di un massiccio calcareo
che raggiunge i  m slm, il Monte Bello, mentre l’ampia area ai piedi
del monte si colloca a m slm. La fotografia aerea (fig. .) pone in
evidenza la morfologia urbana e il nucleo più antico posto sull’altura,
che ha un’estensione pianeggiante di circa  m (fig. .), mentre
lo sviluppo della città è avvenuto assecondando le naturali isoipse
(fig. .).
L’altura, che presenta il vantaggio di dominare le vallate dei fiumi
Biferno e Tammaro (Zullo, a), consente il controllo del territorio,
mentre l’area pianeggiante alla base del monte si può sfruttare dal
punto di vista agricolo (fig. .). I resti archeologici e i documenti
d’archivio dimostrano senza dubbio la fondazione medievale nella
parte alta, benché i contadini dovessero trovare dimora anche nella
zona sottostante.
Dal punto di vista geologico il sito di Campobasso ricade nel settore del bacino molisano che costituiva un ambiente di sedimentazione
marino, relativamente profondo, antistante alla zona di scarpata della
piattaforma carbonatica laziale–abruzzese . I depositi che lo carattepiù l’originale. Le sue opere sono di particolare rilevanza perché tramandano documenti
utili e significativi, elencati in Bibliografia. Alcuni elementi inerenti alla città sono presenti
nelle Fonti Aragonesi (Mazzoleni et al.,), soprattutto per quanto riguarda la figura e
l’opera di Cola Monforte. U. D’Andrea ha cercato nei lavori sempre citati in Bibliografia di
ricopiare parti di atti notarili. Lavoro meritorio è stato svolto dai funzionari dell’Archivio di
Stato di Campobasso per la valorizzazione del fondo Intendenza di Molise, che permette
un’accurata conoscenza del patrimonio documentario dell’. Altrettanto ben conservata
è la documentazione tra la fine dell’ e gli inizi del ’. Per quanto riguarda invece
l’Archivio di Stato di Napoli presenta il vantaggio di conservare materiali inerenti all’età
moderna del Contado di Molise, soprattutto gli apprezzi dei feudi; per gli atlanti tratturali
la maggior parte di documenti è presso l’Archivio di Stato di Foggia.
. Attualmente la città si è sviluppata a raggiera verso le ondulazioni collinari debolmente energiche che circondano il Monte Bello per un’estensione policentrica. I comuni
confinanti sono: Campodipietra e S. Giovanni in Galdo ad est, Ripalimosani a nord, Matrice
a nord–est, Oratino a nord–ovest, Ferrazzano e Mirabello a sud–est.
. Per quanto riguarda il clima si veda Prezioso, ; pur rigido, è stato oggetto di lode
da parte degli studiosi locali, cfr. Gasdia, .
. «Seguendo la descrizione geologica della scuola napoletana [D’Argenio Pescatore
e Scandone ] siamo in presenza del “bacino molisano” formatosi nel Mesozoico
tra la piattaforma abruzzese–campana e la piattaforma dell’avanpaese apulo–garganico»
(Prezioso, , p. ).

Campobasso da castrum a città murattiana
rizzano sono formati prevalentemente da sedimenti argillitici nella
fascia basale ed arenitici e/o calcareo–marnosi nella parte sommitale
(Aucelli, Vitiello, ).
Figura .. La morfologia urbana di Campobasso e il sito originario sull’altura.
Il bacino molisano è stato coinvolto a più riprese nelle fasi tettoniche compressive che hanno portato alla formazione dell’orogeno
appenninico e posteriormente è stato marginalmente interessato dalla tettonica distensiva neozoica. Per tali ragioni, l’assetto strutturale
risulta complesso, come comprova la sintesi sulla Matrice Ambientale
operata dalla Regione Molise nel  (fig. .). Inoltre, si riscontra,
nell’area compresa tra Isernia, Carpinone, Boiano e Campobasso, una
sorta di trapezio scaleno di intensità catastrofica. Questo carattere
segna le condizioni ambientali del sito e i terremoti frequenti hanno
rappresentato uno dei motivi di rivisitazione della morfologia urbana
di Campobasso .
. Gli studi sul bacino molisano si sono intensificati nell’ultimo decennio, a causa
del terremoto del , da parte della regione Molise in collaborazione con l’Università
del Molise portando all’elaborazione di carte, come quella riportata nella figura .; cfr.
Regione Molise, Matrice Ambientale, ; Aucelli, Vitiello, ; Bozzano et al., ;
Mannella et al. ; Martinelli et al., .
. Diverse pubblicazioni sono state dedicate alla relazione tra i terremoti e la rico-
. Il quadro ambientale e le scelte umane

Figura .. Parziale rappresentazione dell’altura: sono ben visibili le mura del
castello, oggi utilizzato come stazione meteorologica.
Per quel che concerne le caratteristiche del terreno, il territorio
in esame risulta caratterizzato dall’affioramento del complesso caotico
delle argille varicolori. «Si tratta di argille inglobanti materiali di varia
natura come arenarie bianche in prevalenza silicee e calcari marnosi
sottilmente stratificati, impermeabili e a bassa stabilità» (Prezioso, ,
pp. –).
La presenza delle argille ha condizionato lo sviluppo agricolo (Castagnoli, Prezioso, ) e ha contribuito alla fragilità idrogeologica,
data l’impermeabilità dei terreni e la presenza stagnante di acque in
superficie, generando fenomeni che si riscontrano dal Tavoliere fino
al Molise (Talia, a).
La qualità dei terreni circostanti alla città è limitata nei rendimenti,
con una presenza ampia di macchie collinari e di boschi di roverella,
struzione in Molise; cfr. Antinori, ; Parisi, . Testimonianze sono rintracciabili
in opere e scritti, come la memoria lasciata da un sacerdote a proposito del terremoto
del : «Nella sera del  luglio si cambiò la scena, divenne tanto più luttuosa, perché
violenta, impreveduta, irreparabile, un’intera Provincia, si vede alla vigilia della sua totale
distruzione, si perdettero uomini, ed abitazioni, ed uno, o due minuti distrussero l’opera
di più secoli» (Capozzi,, p. ).

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Pianta attuale di Campobasso che ne evidenzia lo sviluppo in piano
(fonte: Provincia di Campobasso, ).
che solo il diboscamento tra Sette e Ottocento ha ridimensionato,
mentre fra i cereali il più diffuso è il frumento, seguito dal granturco,
tanto negli anni Sessanta (Fondi ), quanto ancora oggi (D. Marino,
).
Importante per le condizioni bio–geografiche è la vicinanza a Campobasso del fiume Tappino, che ha origine da sorgenti del Monte
Rocca e costeggia l’area ai piedi del Monte Bello, per confluire nel
Fortore. Ma non mancano sorgenti diffuse, come quella presente alle
pendici meridionali del Monte Bello, denominata Fote o Foce, o altre
sull’altura stessa, utili per l’approvvigionamento.
Pertanto, se «nelle terre alte, le società umane stabilmente residenti
. Il quadro ambientale e le scelte umane

Figura .. Una visione d’insieme dall’altura che mostra l’attuale sviluppo
periurbano.
hanno dovuto fare i conti con la mutevolezza storica dei valori e delle
vocazioni ambientali» (Rombai, , p. ), le caratteristiche di tale
sito e del suo hinterland dimostrano che la fondazione di Campobasso
è il risultato di motivazioni difensive specifiche dell’Alto Medioevo e
di un particolare processo di territorializzazione: l’incastellamento.

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Carta geologica d’Italia scala :., F°: in evidenza l’area di
Campobasso.
Capitolo II
Lo sviluppo del castrum e
i tentativi di affermazione politica
.. L’incastellamento nel Molise medievale (IX–XIII secolo)
I secoli dell’Alto Medioevo (VI–X) appaiono oggi sempre meno bui
grazie agli studi archeologici che chiariscono le peculiarità territoriali,
le discontinuità e le persistenze, le contrazioni degli insediamenti e i
processi di riorganizzazione .
Se Rombai () ricorda che in quel periodo «vari centri risultano
più vivaci di Roma», infatti «nelle principali città padane (Ravenna,
Milano, Pavia e Verona) la vita municipale continua», a sua volta, Rotili
() documenta la permanenza di città centro–meridionali.
Fra VI e VII secolo viene selezionata una nuova gerarchia di centri di potere:
se emblematici, per l’area appenninica centro–meridionale, sono i casi di
Spoleto e Benevento [...], nel Molise il centro che assunse maggior rilievo fu
molto probabilmente Bojano per le funzioni che le furono attribuite quale
sede di gastaldato in un primo momento, poi di contea (Rotili, , p. ).
Le Goff (), riprendendo il punto di vista di Lopez (), ritiene
che si possa parlare di vera e propria continuità delle città piuttosto che
di persistenza. Esse svolgono funzioni politiche, ma principalmente
mantengono un continuo contatto con il territorio per la loro stessa
sopravvivenza (Vera, ). La presenza dei Longobardi, rafforzando
siffatta situazione, crea condizioni maggiormente favorevoli per le
aree rurali.
. Gli studi archeologici sono d’aiuto per approfondire la complessità dell’Alto Medioevo; per un quadro aggiornato cfr. il volume di Carver, , sul tema Archaeological
value and evaluation. Per le specificità delle diverse aree Francovich, ; Patitucci Uggeri,
; Patitucci Uggeri, . Per il Molise cfr. Ebanista, Monciatti, . Per il processo di
rinnovamento negli studi favorito dalla collaborazione interdisciplinare cfr. Valenti, .


Campobasso da castrum a città murattiana
In tal modo, se rimane indubitabile che la disgregazione causata
dalla caduta dell’Impero Romano e le invasioni barbariche impoveriscano la vita socio–economica della penisola italiana, la rarefazione
non è né unanime né uniforme. Peraltro, Valenti () ha messo
in evidenza che proprio i gruppi germanici avrebbero concorso ad
un ripopolamento fondato su nuclei strutturati sia per motivazioni
difensive sia per la stessa sopravvivenza maggiormente garantita da
unità insediative .
Come si accennava nel primo capitolo, il governo del territorio
da parte dei Longobardi appare oggi più complesso che in passato,
anche perchè è stata messa a fuoco la specificità della Longobardia
meridionale . Martin (), ricostruendone le diverse fasi, mostra
come essa sia riuscita a durare più a lungo radicandosi in una vasta
area che coincide con tre importanti centri — Benevento, Salerno
e Capua — e abbia saputo mediare con i potenti Normanni. In una
certa misura, la Longobardia meridionale si caratterizza per la capacità
politica dei suoi duchi e per la gestione autonoma delle singole unità
feudali (fig. .).
Se la storiografia più recente ha superato il paradigma dei Longobardi nefandissimi , è doveroso richiamare Paolo Diacono, che nella
sua Istoria Longobardorum illustra cosa avvenne nel Sannio nel VI
secolo d.C:
In quel tempo, Alzecone duca di Bulgari dopo aver abbandonato non si sa
perché il suo paese si portò pacificamente in Italia con tutti gli uomini del
suo ducato e si presentò a Grimoaldo [...]. Il re allora lo indirizzò da suo
figlio Romoaldo a Benevento con l’ordine di assegnargli un territorio. Il
duca Romoaldo lo accolse con benevolenza e pose a loro disposizione vaste
estensioni di terreno fino ad allora deserte, cioè Sepino, Boiano, Isernia e
altre città con i loro territori e chiese allo stesso Alzecone di cambiare il suo
titolo di duca in quello di gastaldo.
. Il punto di vista di Valenti, , è corrispondente a quello di Rotili, .
. Per un’analisi complessiva della storia e della cultura del popolo longobardo si veda
Azzara e Gasparri, ; per gli aspetti sociali e istituzionali Gasparri, . Sono particolarmente importanti gli studi sulla Longobardia Meridionale di Martin, , lo studio
archivistico di Coscarella, , la disamina della feudalità di Morelli, . Meccariello,
, si è invece soffermato su tre centri importanti: Benevento, Salerno, Capua.
. Il dibattito storiografico è sintetizzato da Meccariello, ; la citazione è di Gregorio
Magno.
. Il passo è riportato nella traduzione di Morra, , p. ; si veda anche l’edizione
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Figura .. Le ripartizioni della Longobardia meridionale nei Principati di
Benevento, Salerno e Capua nel IX secolo (fonte: mezzogiornoitalia.it).
La testimonianza è avvalorata dalle tracce che i Bulgari hanno
lasciato soprattutto nell’area di Boiano . «Un primo nucleo aggregante
critica dell’Historia Longobardorum a cura di Zanella, . Paolo Diacono (Cividale del
Friuli, –Montecassino, ) fu monaco e storico longobardo.
. Il rilievo che ebbe Bojano in questo periodo storico è testimoniato dalla fondazione
di Civita, una roccaforte ancora esistente nella parte alta dell’odierno comune; cfr. G. De

Campobasso da castrum a città murattiana
di potere civile si forma nel Molise nel  con il gastaldato che i duchi
di Benevento concedono ai Bulgari di Altzeco venuti dalla Pomerania»
(Lalli, , p. ).
Accade, dunque, che i Longobardi non mostrino inizialmente interesse per il Sannio, ma vi indirizzino gli alleati Bulgari, mentre
dall’ in poi, quando duchi e gastaldi diventano sempre più autonomi (Martin, ), essi decidano di essere maggiormente presenti,
condividendo il loro radicamento con i benedettini. Si vengono così
affermando diverse contee; la prima unità feudale ha come centro
Bojano, poi, nel IX secolo, si costituiscono circa  contee delle quali almeno otto scelgono come capoluogo, oltre la già citata Bojano,
Isernia, Venafro, Sesto, Pietrabbondante, Larino, Termoli e Molise
(Masciotta, , I. vol.).
Se Rotili () pone in evidenza il ruolo di Bojano (fig. .), non deve essere tralasciato l’esempio di Isernia dove è funzionale la sinergia
tra volontà politica e sensibilità religiosa (Sarno, b), dal momento
che i Longobardi vanno ad inserirsi in una comunità consolidata .
Il controllo territoriale è reso possibile anche dal proselitismo
dei benedettini. Nel  è probabilmente fondata Montecassino e
si diffondono celle e centri monastici benedettini nell’Italia centro–
meridionale (Visocchi, ). Infatti, vengono fondati altri due importanti monasteri: la badìa di Santa Sofia a Benevento e l’abbazia di San
Vincenzo al Volturno .
Benevento, che ha conservato nel periodo delle invasioni le funzioni urbane, diventa uno dei centri principali tanto per i Longobardi
quanto per i benedettini che qui fondano la chiesa e l’ abbazia di Santa
Sofia  .
Benedittis,.
. Molise è stato un piccolo feudo e oggi è uno dei più piccoli comuni molisani.
. «La presenza di un vescovo alla metà del V secolo ci garantisce la esistenza di
una comunità in grado di organizzarsi autonomamente. A questo periodo dobbiamo far
corrispondere una vera e propria rifondazione della città dove la presenza della Chiesa non è
solo motivo di coesione religiosa, ma è anche l’ espressione di una volontà di ricostruzione
della società civile» (Valente, , p. ).
. Riprendendo indicazioni della Cronaca Volturnense, è bene ricordare documenti che
attestano che i principi Pandolfo e suo figlio Landolfo concedono all’abate della Badia di S.
Giuliano di Puglia nel  di edificare nei loro feudi, piantare vigne e far abitare uomini
(Morra, ).
. Per l’analisi complessiva dell’evoluzione di Benevento e per l’importanza della
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Figura .. Ricostruzione dell’estensione della contea di Bojano nell’VIII secolo
(fonte: mezzogiornoitalia.it).
«Il raccordo non solo simbolico tra la corte ducale e la città era
costituito dalla chiesa di S. Sofia, dove furono raccolte e custodite reliquie di santi eccellenti, a somma tutela della gens longobarda» (Peduto,
, p. ). Unitamente al monastero essa diviene il cardine della
crescita urbana di Benevento ma anche di un’ampia diffusione benedettina nei territori limitrofi, coerentemente al ruolo nevralgico che
hanno le abbazie in tutta Europa . Infatti, i servi di Santa Sofia, come
Chiesa di Santa Sofia cfr. Bencardino,  e Musi, ; per lo studio dei documenti di
Santa Sofia Martin, ; per Benevento nel periodo longobardo Santillo, .
. Il tema è noto e ben codificato in letteratura; per i grandi complessi dinastici e il
loro ruolo in Europa si vedano De Rubeis, Marazzi, , e Harrison, . Cfr. anche
Smith, ; Del Treppo, ; Arena et al., ; Rombai, . Vi sono poi studi sulle
singole realtà monastiche nell’Italia centro–meridionale, si rimanda per Montecassino a
Visocchi, ; per l’abbazia di Cava a Aversano, ; per la Certosa di Padula a Aversano

Campobasso da castrum a città murattiana
si è accennato nel capitolo precedente, si spingono fino all’odierno
Molise centrale e fondano Campobasso.
Per l’area molisana, però, deve essere considerata fondamentale
pure l’abbazia di San Vincenzo al Volturno. Il ruolo strategico di quest’ultima è ormai ampiamente riconosciuto, grazie anche alle indagini
archeologiche (fig. .). Essa fu fondata in un’area naturalmente
protetta dalle Mainarde  , poco distante dalle sorgenti del Volturno,
nell’VIII secolo, per volontà longobarda e in concomitanza con l’espansione benedettina . Lo sviluppo dovette procedere a tratti, ora
facilitato dalla crescita demografica dei monaci, ora danneggiato dalle
invasioni saracene e dai terremoti, ma
alla fine dell’VIII secolo il cenobio, con un piccolo chiostro situato a sud
di esso, occupava un’area di mezzo ettaro ed ospitava poco più di 
monaci. La situazione cambiò totalmente all’ inizio del IX secolo quando,
su iniziativa dell’abate Giosuè, si decise di avviare un progetto di carattere
urbanistico (Marazzi, , p. ).
Gli abati scelsero un ruolo sovranazionale e mediarono tra il potere
et al., ; per Santa Sofia in Benevento si veda la nota  e per San Vincenzo al Volturno la
nota .
. Dagli anni Ottanta del secolo scorso gli scavi archeologici hanno portato alla luce
l’abbazia di San Vincenzo al Volturno; il primo studioso fu Hodges, medievalista inglese,
poi dalla fine degli anni Novanta gli scavi sono stati effettuati da un team dell’Istituto
Universitario Suor Orsola Benincasa e dell’Università degli Studi del Molise, coordinati dal
prof. F. Marazzi. Cfr., Hodges, Mitchell ; Hodges, –; Marazzi, ; Ebanista,
Monciatti, . Altrettanto importante è l’edizione critica del Chronicon Volturnense curata
da Federici, –.
. La leggenda vuole che alle origini della fondazione, nei primi anni del Settecento
d.C., vi siano tre nobili beneventani, Paldo, Tato e Taso, alla ricerca di un luogo per pregare
e, consigliati dall’abate Tommaso di Farfa, si recano presso le sorgenti del fiume Volturno
dove esisteva un oratorio diroccato. La dimensione leggendaria delinea i rapporti territoriali
e la trama da cui prende origine l’abbazia di San Vincenzo, che è il risultato di convergenze
tra il ducato longobardo di Benevento e l’ampia diffusione di celle benedettine nell’area
molisana; cfr. Sarno, a.
. Le Mainarde giocano un ruolo fondamentale: naturale confine e difesa, ma anche
esempio di particolare bellezza. Sono un raggruppamento calcareo che segna il confine del
Molise con il Lazio e l’Abruzzo. È una successione di cime digradanti con più dorsali verso
la valle del Volturno, formando una sorta di ampio triangolo con quote superiori ai 
metri e con vette rispettabili come Monte a Mare (m) e la Metuccia (m).
. La dedica a S. Vincenzo è oscura, ma può darsi che le reliquie del Santo
appartenessero ad un martire dell’Italia centrale al quale era dedicato un oratorio
preesistente.
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

longobardo e quello carolingio ponendo l’abbazia come spartiacque
tra due sfere d’influenza. Secondo Marazzi (), solo nel X secolo,
l’influenza carolingia si consolidò e l’abbazia ne diventò una sorta di
avamposto nell’Italia centro–meridionale.
Figura .. Ricostruzione di San Vincenzo al Volturno nell’ XI secolo (fonte:
Marazzi, ).
Altri studi però hanno messo in evidenza anche l’importante ruolo
che i monaci ebbero nel rivitalizzare prima l’area circostante al monastero, poi nel ricostituire il tessuto insediativo del Sannio, rendendoli
sicuri entrambi con borghi fortificati (fig. .). Come documentano
il Chronicon volturnense e le indagini archeologiche, diverse forme
di insediamento si affermano sulle terre dell’abbazia, ma finisce per
prevalere la struttura del castrum come unità produttiva. Peraltro, Wickham, riprendendo gli studi di Toubert , ritiene che questa tipologia
non sia una caratteristica solo della valle volturnense ma dell’Italia cen. Il primo studio sull’opera di rivitalizzazione territoriale compiuta dall’abbazia è di
Del Treppo, , che ha messo in evidenza le esigenze economiche che spingono i monaci
ad ampliare i loro possedimenti; poi Wickham, , Wickham, Dean, , Wickham,
Feller, , hanno studiato quest’area e i documenti del Chronicon per ricostruire come
sia avvenuto il processo di incastellamento. Per una disamina complessiva delle funzioni
svolte dall’abbazia cfr. Marazzi, ; Marazzi, ; per i processi di territorializzazione
circostanti l’abbazia cfr. Sarno, a.
. Toubert ha il merito di aver analizzato l’incastellamento nel Lazio negli anni Settanta
del secolo scorso e ha dato un ampio contributo per lo studio di questo processo; l’opera
fondamentale che riassume i suoi studi in merito è Dalla terra ai castelli, Einaudi, . Per
gli studi di Wickham si fa riferimento ai citati nella nota .

Campobasso da castrum a città murattiana
trale, dove prevale un processo di incastellamento/accentramento voluto
tanto dai potentiores, quanto dagli humiliores che avvertono l’esigenza
di avere un centro di riferimento. L’incastellamento diventa insomma
un modello di organizzazione territoriale (Vitolo, ), favorendo
la formazione di nuclei accentrati che danno vita all’urbanesimo di
villaggio.
I villaggi, oltre a rappresentare una forma insediativa quanto mai razionale
per un ceto contadino che lavora su campi sparsi perché si sviluppano sopra
il limite delle terre coltivate, con facile accesso a queste e insieme al pascolo
e al bosco, furono la sede in cui accumulare le scorte alimentari, uno spazio
privilegiato per la produzione, la riparazione e lo scambio degli utensili, per
la commercializzazione (Rotili, , pp. –).
Il processo di riorganizzazione territoriale si giova sia della vocazione religiosa dei monaci sia dell’impegno di abati, duchi e aristocratici
longobardi, intenti a costruire la propria potenza tramite il possesso
fondario (Martin, ).
Tale organizzazione insediativa, che è coeva al graduale aumento
della popolazione a cavallo del Mille, si traduce in un ampio processo di fortificazione dei villaggi e dei diversi nuclei insediativi. Se
l’incastellamento si realizza in gran parte dell’ Europa, nell’Italia
centro–meridionale però esso non mette in crisi i piccoli villaggi e il
sistema curtense, perché va a rafforzare primitive unità insediative già
accentrate (Wickham, Feller, ; Rotili, ).
I Longobardi favoriscono la formazione di borghi fortificati e la
costruzione di torri; inoltre, nel IX secolo d.C., nel momento in cui il
loro regno si smembra, il processo iniziale si rafforza, gestito non più
da un potere centrale ma periferico. Se all’arrivo essi utilizzano i centri
esistenti, dal IX secolo si assiste alla fondazione di numerosi borghi
in Puglia (fig. .), come Risceglie, Terlizzi, Lavello, Conversano, in
Calabria come Bisognano, Malvisto, Laino, Cassano, in Campania
. Il tema è noto e ben codificato in letteratura; si rimanda per il quadro europea a
Brogiolo, Chavarria Arnau, , e a Kaufmann, Kaufmann, , ma rimane comunque
fondamentale Smith, . Per il contesto italiano cfr. Rombai, . Per gli studi sul
Lazio Toubert,  e per la Toscana, particolarmente studiata, cfr. Francovich, Valenti,
. Per il ruolo dei Normanni nei processi fortificatori cfr. Martin, , e per una
ricognizione relativa all’Italia centro–meridionale Porsia, ; Wickham, ; Rotili, .
Per la situazione nell’area voltunense cfr. Del Treppo, , che ha dato l’avvio all’analisi
dell’incastellamento in tale zona, e Wickham, .
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Figura .. La posizione strategica di San Vincenzo al Volturno nella valle del
Volturno; in evidenza anche Isernia e Venafro (fonte: G. De Benedittis et al., ).
come Calvi, Caserta, Ariano (Martin, ). Si concretizza così «una
rivitalizzazione della trama degli insediamenti secondo una geografia
parzialmente diversa da quella antica» (Lazzarini, , p. ).
Tra il IX e il XII secolo un ampio processo fortificatorio è documentato in Molise. Nel IX secolo sorgono castella nell’area volturnense
ma anche in altre, come dimostra la fondazione di Campobasso. Nel
X secolo è ancora attestata la fortificazione intorno all’abbazia, mentre
nell’XI piccoli borghi sono fondati nella zona montana settentrionale,
riutilizzando i siti sanniti, o alle pendici del Matese. Nei secolo successivi
. Cfr. Rotili, ; Di Rocco, .

Campobasso da castrum a città murattiana
la riorganizzazione del regno voluta dai Normanni favorisce un’ulteriore
e diffusa implementazione di borghi murati e fortificati (fig. .).
Figura .. Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo, in provincia di Foggia,
espressione dell’arte longobarda (fonte: mezzogiornoitalia.it).
Come chiarisce Duby:
In assenza di ogni dato statistico, è ben difficile, all’interno dell’ampio momento di crescita, distinguere fasi particolari [...]. Tuttavia, si è tentati di
riconoscere negli anni Ottanta del XII secolo i segni di un’importante modificazione qualitativa e [...] di una delle svolte principali della storia economica
europea (Duby, , p. ).
La svolta, che non è solo economica ma complessivamente socio–
demografica, favorisce nuove fondazioni nell’hinterland di Campobasso: Limosano, Castellino del Biferno, Campodipietra, Cercemaggiore,
Campochiaro (Di Rocco, ). La toponomastica è una spia utilissima nel riconoscimento di queste trasformazioni territoriali per la
frequenza dei lemmi castrum e castellum, ma non si deve tralasciare la
consuetudine, longobarda prima e normanna poi, di scegliere deno. Per la ricostruzione cronologica si è tenuto presente lo studio di Di Rocco, .
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Figura .. Il processo di incastellamento nel Sannio: esso si diffonde a raggiera a
partire dall’area volturnense.
minazioni inerenti al territorio ed ecco la diffusione di lemmi come
campus o pietra, tipici per quest’area .
La difficile orografia del territorio fa adottare soluzioni adeguate
allo spazio naturale, alle caratteristiche geomorfologiche, sfruttando
anche eventuali insediamenti precedenti, senza in alcun modo trascurare una politica difensiva. Si concretizza così la suggestione di Lucio
Gambi:
Ma al di là dell’uomo dell’ecologia, vi è l’uomo della storia: che non può negare il valore del primo — come realtà naturale — e anzi lo lascia svilupparsi
secondo i suoi canoni, i suoi ritmi, i suoi bisogni; ma insieme lo ingloba in
sé e (pure in diversa misura da caso a caso) lo domina e lo fa agire (Gambi,
a, p. ).
Come ha chiarito Gabriella Di Rocco (), si possono distinguere
in Molise quattro tipologie di fortificazioni: il recinto fortificato, il borgo murato, il borgo con castello–residenza, la torre isolata senza cinta
muraria. L’origine di molti insediamenti molisani si ricollega quindi
. Per il riconoscimento delle strutture territoriali tramite la toponomastica cfr.
Brancaccio, , e Aversano, .

Campobasso da castrum a città murattiana
al fattore della difesa e al tipo di agglomerato urbano alto–medioevale,
da alcuni denominato borgo–forte, da altri castrum. L’impianto, costituito essenzialmente da una torre posta al centro del recinto, viene
adottato anche per Campobasso (Pece, ; Petrocelli, ).
Il castrum si impone come l’unità insediativa prevalente dal X secolo
in poi (Visocchi, ), anche perché esso è tanto l’esito di un processo
fortificatorio quanto l’elemento primitivo da cui poi si sono sviluppate
le città medievali (Le Goff, ).
Nell’area molisana i processi fortificatori sono avvenuti gradatamente e si sono evoluti nella forma e nell’organizzazione. Come
chiariranno i documenti discussi nei prossimi paragrafi, Campobasso, da tenimento agricolo, difeso da un castellum posto su un’altura,
si struttura successivamente in castrum, quando l’occupazione normanna, tra il XI e XII secolo, garantisce una certa stabilità all’Italia
meridionale.
I Normanni si impongono reprimendo le spinte autonomistiche
dei signori locali . L’ occupazione si accompagna ad un’opera di
fortificazione così puntuale che essi introducono i castelli nelle città
come caratteristica originale del loro processo di territorializzazione
(Porsia, ). In tal modo controllano il territorio e contrastano la
frammentazione delle contee e dei gastaldati.
Essi sono guidati dal geografo Edrisi che compila la “descrizione
geografica del mondo”, intitolata Il Libro del Re Ruggero. Edrisi individua le città in base a caratteristiche insediative, alla grandezza e alla
popolosità, ma non ne riconosce ad esempio nel Sannio . Se l’opera
dimostra come i Normanni considerassero importante appropriarsi
della geografia del Mezzogiorno per farne un unico regno (Matthew,
), indirettamente fa comprendere come le zone interne fossero le
. Per la formazione complessa del regno normanno sono fondamentali gli studi di
Ménager, , Martin, , e gli Atti delle Giornate normanno–sveve a cura di Licinio
e Violante, . Per l’organizzazione istituzionale dei Normanni si rimanda a Matthew,
, e a Caspar, ; da alcuni anni è operativo un Centro Europeo di Studi sui Normanni
ad Ariano Irpino: www.cesn.it.
. Brancaccio, , pone in rilievo la forza dei Borrello, potente famiglia radicata
nel territorio di Agnone (Alto Molise), che riuscirono a contrastare i Normanni e il loro
insediamento.
. Il Libro del Re Ruggero è portato a termine da Edrisi nel . Per l’opera di Eldrisi cfr.
Porsia, ; Metthew, ; per la scarsa attenzione per il Sannio si rimanda a Brancaccio,
.
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

più difficili da controllare. Difatti, i Normanni istituiscono qui solo due
contee — la Contea di Loritello e la Contea di Molise — e fortificano
il territorio (fig. .).
Campobasso in questo frangente è un piccolo castellum dipendente
dalla contea di Bojano, ma «proprio tra i Normanni che combattono
contro le truppe papali nel  troviamo Rodolfo di Molise, bovianensis comes» (G. De Benedittis, b, p. ). È il primo riferimento ai
feudatari che formeranno una primitiva unità feudale nell’XI secolo
nell’odierno Molise centrale e faranno di Campobasso il loro centro
politico. Intorno al  il Conte Ugo de Molisio, definito «dominus
noster Ugo comes molisianus », risulta il signore di un esteso territorio,
che va da Isernia e Venafro fino a Trivento e Guardialfiera .
Figura .. Le contee di Loritello e Molise nell’XI secolo (fonte: mezzogiornoitalia.it).
L’area sannitica acquisisce il nome dei conti de Molisio e la contea
da espressione geografica diventa un’unità feudale . Non vi è certezza
. Cfr. Jamison, , p. .
. Il riferimento è tratto da Nobile, . La ricostruzione degli eventi e della formazione della contea è confermata da diversi studi che si rifanno alla disamina della discendenza
dei de Molisio: cfr. Jamison, , Colapietra, , Masciotta, , vol. II. Interessante è
anche lo studio di Cuozzo, .
. Come chiarisce Petrocelli (, p. ), «Verso la metà del X sec. le altre contee,

Campobasso da castrum a città murattiana
da quando Campobasso ne sia diventato il centro più importante, ma
sicuramente dopo il .
Gli scarni documenti hanno aperto la strada a diverse congetture e
supposizioni, ma è necessario porre dei punti fermi: tra la fine dell’ XI
secolo e gli inizi del XII i de Molisio emergono tra i potentati locali e
determinano il cambiamento toponimico per cui la loro unità feudale
non è più denominata Sannio, ma Mulisium/Molisio . Campobasso
corrisponde alle scelte politiche dei Normanni, pronti ad operare
un puntuale controllo del territorio, che l’altura del Monte Bello
facilita. Essi peraltro mirano a indebolire Bojano, favorita dai Longobardi . Il merito della famiglia de Molisio, che lascia un imprimatur
perenne, è, quindi, significativo e il loro potere è ridimensionato
successivamente da Federico II.
I Normanni portano a compimento tanto il processo di fortificazione quanto la diffusione del feudalesimo come pratica socio–politica,
entrambi fattori particolarmente significativi per il futuro di questo
territorio, che, al pari di altre aree geografiche, nei secoli a cavallo del
Mille, ricostituisce il suo tessuto umano e insediativo; tuttavia, sempre
qui, a differenza di altri contesti, non viene rispettato il criterio della
persistenza o della continuità degli insediamenti, pur sostenuto da
autorevoli studiosi, da Lopez () a Le Goff (), poiché ragioni
politico–militari fanno valorizzare Campobasso e il Molise centrale.
compresa la forte Terra Burrelleensis dei filii Borrelli, dovettero subire l’espansionismo dei
conti Normanni e soprattutto della dinastia dei francesi della famiglia dei de Molisio [...]; i
de Molisio insediatisi a Campobasso erano i discendenti del reggente Roberto, nominato
signore di Sepino».
. Cuozzo, , sulla scorta di Ménager, chiarisce che nel Catalogus Baronum si fa
riferimento alla famiglia Mulisium o de Mulisio; altri documenti tramandano de Moulens,
ma si deve al Ménager (), sulla scorta della Jamison (), il definitivo chiarimento sul
cognome della famiglia e la risoluzione di una lunga querelle sul toponimo Molise che si
attribuiva all’esistenza di un piccolo comune ancora esistente, denominato appunto Molise.
. La complessa ricostruzione della genealogia di questa famiglia fa pensare che i
contrasti sorti per la successione abbiano spinto poi ad una ridefinizione di questa unità
feudale nella quale Campobasso acquisisce maggior rilievo (Cuozzo,).
. Il potere di questa famiglia fu ridimensionato da Federico II che unisce la Contea
alla Terra di Lavoro, trasformandolo in Giustizierato Molisii e Terre Laboris (Masciotta,
, vol. I).
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

.. Il rescritto di Adelchi dell’ 
La fondazione di Campobasso nel IX secolo è attestata da un documento definito l’atto di nascita della città.
Adelchis de pensione servorum in finibus Campibassi. In nomine Domini Dei
Salvatoris nostri Iesu Christi. Concedimus nos vir gloriosissimus Dei providentia princeps gentis Longobardorum per rogum Malonis fili nostri, in Monasterio
Sanctae Sophiae ex finibus Campibassi et ex finibus Biffernensibus ad gastaldos vel
judices ex ipsis castellis seu locis persolvere debuerunt per malam consuetudinem,
ita ut nullus Gastaldus vel judex aliquam dationem ad eis tollant vel angariam
faciant aut quamcumque laborationem pro utilitate sua faciant aut in hostem pergant: [...] . Quod vero praeceptum concessionis ex iussione nominatae potestatide
scripsi ego ego Erchemridus Notarius. Actum in Benevento vigesimo quinto anno
mense indictione II.
La storia di questo documento è descritta minutamente da Gasdia
(, pp. –), per il quale è autentico, ma conservato come fonte
secondaria, perché l’originale è perduto .
Il rescritto attesta l’esistenza di un piccolo insediamento agricolo
— un castellum — fondato dai vassalli del monastero beneventano di
Santa Sofia , ma anche la volontà del longobardo Adelchi di riscattarli
dal gastaldato precedentemente affidato ai Bulgari. Qui, come in altri
contesti , l’altura è stata fortificata e il termine castellum è un esplicito
riferimento all’esistenza di una rocca (Meccariello, ).
. Il testo così continua: «In ea videlicet ratione, ut amodo et deinceps per hoc nostrum
roboreum praeceptum omnia quae superius leguntur praedictum monasterium alique rectores habere
et possedere valeant et a nullo ex nostris judicibus idest comitibus, gastaldis quibuscumque gentibus
habeant aliquam requisitionem sed perpetuis temporibus possideant».
. Per quanto riguarda la storia del documento così riferisce Gasdia (, p. ): «La
copia è nel Chronicon Sancte Sophie, insigne codice pergamenaceo, stilato da un monaco
della badia di Santa Sofia di Benevento e presente alla Biblioteca Apostolica Vaticana dove
è reperibile come Codice Vaticano Latino . Il codice fu pubblicato la prima volta dal
Pellegrino I: ; poi dal Muratori, nelle Antiquitates Italicae Medii Aevi II: ; quindi dal
Pratili V:  e contemporaneamente dall’Ughelli nell’Italia Sacra; fecero seguito il Grevio
IX: ; il Borgia nelle Memorie storiche di Benevento I: ; il Pertz nei Monumenta Germaniae
Historica III: ».
. Per l’importanza della badìa si veda il primo paragrafo di questo capitolo.
. Come magistralmente fa notare Pirenne (, p. ) «a partire dal IX secolo tutti
i territori si coprirono di fortezze; i testi contemporanei danno loro i nomi più diversi:
castellum, castrum, oppidum, urbs, municipium; la più comune e in ogni caso la più tecnica di
queste denominazioni è quella di burgus».

Campobasso da castrum a città murattiana
La data — vigesimo quinto anno mense indictione II — indica l’
d.C., coeva quindi alle scorrerie dei Saraceni che dall’  cominciano,
con frequenza, ad invadere il Sannio (Gasdia, ).
Il documento risulta trascritto a Benevento, ma riguarda la tregua,
definita nell’, tra Longobardi e Saraceni presso Trivento (G. De
Benedittis, b).
Il riferimento ai fines, cioè ai territori nei quali vi siano castella,
chiarisce la ricostruzione operata precedentemente: i gastaldati esistenti nella zona campobassana e in quella bifernina avevano subito
angherie da parte dei Saraceni per cui Adelchi , principe longobardo,
interviene a favore dei vassalli benedettini.
Vi è un altro documento del , nel quale il principe longobardo
Arechi fa riferimento a Camposarcone, un tenimento agricolo non
lontano da Campobasso:
Concessimus et predicto monasterio Sancte Sophie corvam que videtur esse in
Campo Senercunis, quam Arotarii filia comparavit secundum textum chartue,
integram Sancte Sophie monasterio concessimus possidendam: et in super in eodem
monasterio largiti sumus in predicto loco, de Galo nostro, in longitudinem milliaria
tria, il latitudinem unum, que fuit de subactione Faroaldi Mare.
In base allo studio del Chronicon Sanctae Sophiae, Martin (; )
dimostra che questo tenimento fosse donato da Arechi II al monastero
beneventano, creando le condizioni del legame con il territorio molisano . È nel contempo confermata la presenza longobarda anche in
una località poco distante dall’odierna città di Campobasso (appena
qualche chilometro).
La costruzione del borgo è conforme all’assetto insediativo di età
longobarda (Meccariello, ), con lo sviluppo attorno ad un colle
o ad uno dei versanti (Grohmann, ). La stessa consuetudine
. Trivento è un centro ubicato nell’odierno Molise centrale al confine con l’Abruzzo.
. L’Adelchi citato è uno dei duchi che ha governato Benevento dall’ all’.
. Il documento è citato da Gasdia,, pp. –.
. Martin, , ha curato l’edizione critica e il commento del Chronicon Sanctae
Sophiae; il dato della donazione si ricava da Regesti dei documenti dell’Italia meridionale,
–, sempre a cura di Martin, .
. Come già si è chiarito nel paragrafo precedente la scelta del sito è collegata alle
caratteristiche del terreno il quale, compatto e resistente per la presenza di scisti, arenarie e
argille, si poteva sfruttare per costruzioni da incastrare nella roccia.
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

longobarda di riutilizzare materiali esistenti giustifica i limitati resti
archeologici presenti a Campobasso, mentre maggiore lungimiranza dovette essere utilizzata per la costruzione della cinta muraria di
Benevento (fig. .).
Figura .. Benevento: cinta muraria di età longobarda (fonte: mezzogiornoitalia.it).
Comunque è possibile ricostruire l’impianto del piccolo borgo e
della rocca sull’altura del Monte Bello (fig. .) e lo si può confrontare con quelli di Salerno e Benevento dello stesso periodo (figg.
.–.). Il primo elemento certo è la cinta muraria, costruita
utilizzando materiali preesistenti e definita probabilmente in epoca
longobarda due volte (Manfredi Selvaggi, ). Intorno alla rocca
dovevano trovare posto le casupole dei servi della badia, non dissimili da quelle ancora presenti nell’area di Agnone, in Alto Molise
(fig..). Se non persistono elementi particolarmente significativi,
sin dall’inizio rimane stabile e definitivo il toponimo Campobasso
. Le difficoltà di ricostruzione sono collegate anche alla scarsa attenzione per l’archeologia medievale, ma anche laddove come in Lombardia sta dando qualche risultato,
Leonardo Rombai fa notare che le sedi longobarde «appaiono più che un agglomerato
omogeneo, disseminate di insediamenti talvolta concentrati intorno ad una chiesa con
annessa area cimiteriale, e circondate da aree ortive, riproducendo un modello rurale»
(Rombai, , p. ).

Campobasso da castrum a città murattiana
che consente di comprendere, attraverso l’analisi del suo significato,
le caratteristiche identitarie dell’insediamento (Aversano, ).
Figura .. Campobasso nel IX secolo d.C. In evidenza i pochi elementi: le mura,
la rocca, il nascente borgo (ns. elaborazione da Boffa, ).
Il toponimo Campobasso deve la sua origine tanto alla posizione
geografica, quanto alla fondazione longobarda. Per quanto riguarda il
suo significato, il primo ad affrontare il problema nel XVIII secolo è
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Figura .. Foto satellitare di Benevento con delimitazione dell’area longobarda
(fonte: Coscarella, ).
Figura .. Foto satellitare di Salerno con delimitazione dell’area longobarda
(fonte: Coscarella, ).
Galanti, ritenendo che «nelle remote origini dell’abitato, la popolazione fosse divisa in due distinte contrade: l’una detta “Campus de prata”
e l’altra “Campus bassus” ».
Un altro studioso locale Michelangelo Ziccardi (), rifacendosi
al documento, richiamato in precedenza, relativo a Camposarcone
. Si fa riferimento a Galanti,, vol. I. p. .

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Dimore del periodo medievale in località Agnone: simili dovevano
esservi a Campobasso (fonte: Cataudella, ).
afferma che da questo toponimo derivi quello della città, senza però
apportarvi alcuna documentazione .
Lo storico molisano del secolo scorso, Giambattista Masciotta,
interviene così nel dibattito: «Il nome di Campobasso — Campus
bassus — inteso come indicazione di un campus detto bassus in
rapporto ad una località elevata più elevata, è una etimologia che
corrisponde del tutto alla postura dell’abitato rispetto al castello
che lo domina» .
. A sua volta il Corcia (, I. vol.), studiando la Tabula Peutingeriana, indica due
stazioni Ad pyrum e ad canales, nel tratto di collegamento stradale fra l’odierna Casacalenda
e Boiano, e propende che la seconda indichi Campobasso, ma non comprova la sua tesi.
. Il Masciotta così prosegue nel suo ragionamento: «Si tratta, peraltro, d’una
mera casualità; poiché Campobasso si chiamerebbe egualmente Campobasso, pur
se il castello le stesse a paro o sottoposto. Il castello preesisteva all’abitato forse fin
dai tempi longobardi, sebbene la sua postura e la sua forma lo dichiarino normanno;
e dal castello torreggiante a picco sulla roccia, i primissimi signori dissero Campus
vassorum, il campo esterno nel quale andavano sorgendo man mano le prime case
delle maestranze artigiane e coloniche attratte dalla sicurtà del luogo. Vasso, vassus,
vassi erano voci che nei secoli X e XI denotavano i domestici, i servi, i soggetti; ed
in prosieguo indicarono i vassalli o i feudi del principe» (Masciotta, , II vol., pp.
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Mancini, al quale si deve la salvaguardia dei più antichi documenti della città, è di parere opposto: «È quindi da escludersi nel modo
più assoluto, che Campobasso derivasse da Campus vassorum, campo
dei vassalli; quando sorse, e prese nome della contrada, non vi erano frati e coloni. È pure da escludersi che Campobasso si chiamasse
così, in opposizione a un soprastante Campus de prata». Pertanto,
egli ritiene che «prese nome dalla contrada ove prima sorse, bassa
relativamente al roccioso colle che le sta alle spalle» (Mancini, a,
p. ).
Per quanto riguarda gli esperti di toponomastica, il toponimo Campobasso «è composto con l’aggettivo basso, cioè campo basso contrapposto
ad un campo de prata» (Gasca Queirazza et al., , p. ).
È utile richiamare il senso, illustrato da De Vecchis, del toponimo
campo che indica «suolo pianeggiante» e «subisce una diminuzione
nella frequenza quando ci si innalza dal fondovalle» per cui «numerosi
sono i centri abitati — tutti in provincia di Campobasso — con la radice
campo: Campobasso, Campochiaro, Campodipietra, Campomarino,
Campolieto» (De Vecchis, , pp. –).
Ha un valore complementare il parere di Gasdia:
Non è possibile giungere a Campobasso anche oggi senza discendere, cioè
bassare. Chiostre di alta montagna, quindi di colline, recingono e difendono
la breve conca poetica della città, piccola pianura, cioè campo, dal cui centro
si estolle unico ed improvviso il colle calcareo. Chi primo si affacciò alla
conquista di questa regione, dopo l’affaticato salire e discendere e risalire
proprio del cammino montuoso, respirò discendendo verso questo minuscolo altipiano prativo, o fossero Bulgari, o Longobardi, o Saraceni, o pacifici
monaci di San Benedetto, i primi arrivati nel fermarsi dissero: ecco il Campo
basso, ecco la località bassa dove pianteremo il bivacco, la dimora, la badia
(Gasdia, , p. ).
In tal caso non si dà importanza alla dinamica presente nella morfologia dell’insediamento, ma al percorso per arrivarvi. Indubbiamente
il toponimo è testimonianza del quadro ambientale senza tralasciare
né il bisogno umano di dimorarvi, né la consuetudine longobarda di
«denominare i loro castella con i nomi dei luoghi sui quali edificavano»
(Brancaccio, , p. ).
–).

Campobasso da castrum a città murattiana
.. Il castrum nel : la Convenzione fra Roberto de Molisio, signore di Campobasso, e i suoi vassalli
In nomine Dominj Dei eterni et Salvatoris nostri Iesu Cristi. Anno ab incarnatione
eiusdem millesimo ducentesimo septuagesimo septimo, regnante domino nostro
Karulo [...] Die sabati tertiodecimo mensis novembris sexte inditionis apud Neapolim. Nos Iohannes Tamarellus, iudex civitatis Neapolis, Benzutus Brussanus,
puplicus eiusdem terre notarius et infrascripti testes [...] declaramus: Quod dum
inter nobilem virum dominum Robbertum de Molisio, dominum Campibassi ex
parte una, et Universitatem dicti castri Campibassi ex altera, lites questiones seu
controversie verterentur super eo.
Così inizia la Convenzione stipulata tra Roberto de Molisio e trentadue rappresentanti di Campobasso, dinanzi al giudice Iohannes Tamarellus della città di Napoli, il  novembre . Il documento permette
di assumere elementi di conoscenza sulla Campobasso nel Basso
Medioevo e di analizzare la situazione complessiva del castrum, rappresentando la miglior prova dei progressi compiuti dalla fondazione
longobarda . Inoltre, è il primo documento significativo rispetto ai
pochi altri che si conservano, come frammenti di pergamene che
rassicurano più che altro sulla presenza dei de Molisio e dell’esistenza
di Campobasso .
La quaestio rientra nelle consuetudini del tempo e spetta ai giudici
della capitale dirimerla. La data è particolarmente importante perché
a ridosso del passaggio dinastico dagli Svevi agli Angioini, avvenuto
nel .
Gli Angioini avviano un puntuale controllo del comportamento
dei baroni e riorganizzano la geografia amministrativa del Regno ,
. Il documento, depositato in BASC, è stato trascritto a mano da A. Mancini, a.
Per la storia del documento si veda Scaramella, .
. Brancaccio (), concordando con gli storici locali, lo considera la migliore prova
dei progressi compiuti.
. Le citazioni e i frammenti delle pergamene sono riportati e commentati da Gasdia,
.
. Gli Angioini incontrano difficoltà nell’organizzare il Regno; nel momento in cui si
rendono conto che il potere feudale diventa eccessivo, cercano di dare maggiore spazio
alle università creando una sorta di contrappeso. Inoltre, per un effettivo controllo del
territorio si impegnano a definirne gli spazi amministrativi. Cfr. Tramontana, . La
complessiva organizzazione del Regno sia dei Normanni sia degli Angioini è considerata
dalla storiografia la principale motivazione della mancata formazione dei Comuni nel
Mezzogiorno; per quest’ultimo tema si rimanda a Vitolo , e per un’analisi complessiva
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

ma l’elemento di maggiore discontinuità è la designazione di Napoli
e non più di Palermo come capitale. Inoltre, essi per la debolezza del
loro stesso potere monarchico adottano una precisa politica di contenimento dei poteri feudali e favoriscono lo sviluppo delle Università.
Queste ultime acquisiscono una vera e propria configurazione amministrativa tramite la quale «concretamente si articolò il governo del
paese e da cui il potere trasse le risorse che lo sostenevano» (Galasso,
a, p.).
La Convenzione, che si presenta ampia e circostanziata secondo lo
stile tipicamente medievale, risponde dunque ad un cambiamento
di rotta per il quale le Università hanno il diritto di esprimere le loro
richieste.
La lite si concluse con una inquisitio, che fu eseguita dai magistrati regi, dopo
che l’Università di Campobasso inviò una sua deputazione a Napoli presso
re Carlo D’Angiò per perorare la propria causa. Con il regio rescritto del
 il potere centrale riconobbe [...] i legittimi diritti della città (Brancaccio,
, p. ).
Nell’ampiezza della trattazione emergono le caratteristiche di Campobasso che ha acquisito un qualche rilievo. Sotto accusa è Roberto
de Molisio, signore di Campobasso e proprietario di mulini , terre,
bestiame: l’espressione ad castrum dicti domini indica che vi dimori. Il dominio feudale della nobile famiglia de Molisio si riflette
nell’ambiente fisico nel quale appare rafforzato il castello (Petrocelli,
), mentre la presenza stabile nel castrum attesta il primitivo ruolo
amministrativo–politico di Campobasso nella Contea del Molise.
Il motivo della contesa è l’azione vessatoria di Roberto per nulla
rispettoso di consuetudini, le quali, benché non scritte, sono puntualmente richiamate dai rappresentanti dell’Università . L’atteggiadel Mezzogiorno angioino e aragonese a Galasso a. La relazione tra la mancata
formazione dei Comuni e l’urbanesimo meridionale è discussa nell’ultimo paragrafo del
terzo capitolo.
. Il documento attesta il possesso dei mulini e di case e botteghe; « dominus Robbertus,
habens propria molendina, [...] nisi prius domus et apothece predicti domini Robberti dictis
mercatoribus sint locate».
. La famiglia de Molisio è riuscita a conservare la contea dall’inizio del suo
inserimento nell’ XI secolo.
. I riferimenti all’organizzazione giuridica sono tratti da Masciotta,, vol.I. Per
quanto riguarda la complessa macchina delle giustizia nel Medioevo si veda il parere

Campobasso da castrum a città murattiana
mento di Roberto è perfettamente coerente alla logica feudale del
tempo, poiché i signori esercitavano sui contadini un’insistente opera di sfruttamento e riservavano per sé ogni vantaggio (Musi, ).
La complessa macchina della giustizia medievale, che mette in contrapposizione il potere locale di Roberto de Molisio e quello del re,
rappresentato dal Giustiziere, spinge i campobassani a portare la loro
richiesta a Napoli.
Elencati nel corpo centrale del documento, vi sono i  rappresentanti di Campobasso: qui erant maior et senior pars dicte Universitatis. I 
homines fanno conteggiare i fuochi o nuclei familiari presenti; se essi
rappresentano all’incirca la metà delle famiglie, il nucleo complessivo
nel castrum doveva essere costituito da circa / campobassani
considerando una media di circa – componenti a fuoco . Dal momento che non vengono citate cariche onorifiche, sono nella gran
parte contadini, ma non solo (Sarno, d).
La definizione di castrum garantisce lo sviluppo topografico e anche economico di Campobasso rispetto alla primitiva fondazione
longobarda, infatti l’ampliamento è avvalorato da un’altra pergamena
dell’aprile , nella quale le si attribuisce il titolo di città: Actus in
civitate Campobassi feliciter  . Il termine civitas rimanda all’unità d’intenti e all’identità dei suoi abitanti (Grohmann, ), quindi non è
in contraddizione con la struttura fortificatoria . Grazie anche agli
elementi che si possono assumere direttamente sul terreno, ha una
struttura simile ad altri centri coevi: le mura, la rocca, semplici luoghi
di culto e il borgo degli abitanti (Francovich–Noyè, , Rotili, ).
Inoltre, come si vedrà, è vitale per la presenza del mercato.
di Tabacco, (, p. ), esplicativo del contesto dell’epoca: «D’altra parte, una rete di
bauli, preposti a modesti ristretti, e di camererari e giustizieri provinciali si andò via
via via inserendo in tutte le regioni del regno per esercitare nel nome del re — oltre
all’amministrazione dei beni fiscali — diritti generali di controllo e di appello, di alta
giustizia e di esazione fiscale».
. Ogni fuoco, ovvero ogni nucleo familiare, era formato da / componenti. Il calcolo
dei componenti dei fuochi è effettuato in base alle indicazioni di Gambi, , e Brancaccio,
. Solo nel XVIII secolo si è tenuto conto, come si vedrà nel quarto capitolo, delle
indicazioni di Galanti su una maggiore numerosità dei fuochi: / componenti.
. La pergamena è stata studiata da Nobile, , che riporta i riferimenti a pergamene
presenti presso le chiese di San Giorgio e San Leonardo a Campobasso.
. Campobasso corrisponde al «tipo di popolamento più diffuso: il villaggio, sia il
villaggio circondato da mura, il castrum, sia il villaggio aperto, la villa» (Grohmann, , p.
).
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Pur nella sua piccolezza, quindi Campobasso ricalca i canoni distintivi della città medievale: la cinta muraria, il mercato e gli statuti
(fig. .). Le mura rappresentano un elemento difensivo e identitario
(Pirenne, ) e in continuità con l’impostazione longobarda sono
rafforzate. Infatti, Pece (), uno dei primi studiosi dei resti murari,
ritiene che in questa fase siano state costruite delle vere e proprie fasce
murarie con materiali tanto antichi, quanto longobardi.
All’interno delle mura la rocca longobarda assume connotati più
stabili e la sua presenza è comprovata da un documento che attesta
come Corrado IV ordinasse: «Reparari debet castrum Campibassi ». Il
castrum e la sua fortezza erano stati sicuramente coinvolti, tra il 
e il , negli scontri di successione tra Svevi e Angioini, nei quali
anche i de Molisio avevano avuto la loro parte.
La fortezza doveva essere la tipica costruzione di difesa, con ridotte
possibilità di abitabilità e con l’accesso collegato alla porta principale
(fig. .). Intorno trovavano spazio i militari, mentre la chiesa di Santa
Maria Maggiore, con un impianto coerente al periodo, è edificata
sull’altura negli anni – (fig. .).
Altri luoghi di culto complementari, come la chiesa di San Giorgio
e quella di San Bartolomeo, sono edificati nel declivio debolmente
energico dell’altura, in posizione sottostante alla rocca (figg. .–
.).
Il castrum manifesta un’evoluzione coerente al periodo, quando
alcuni dei «nuovi agglomerati si sviluppano ampiamente», mentre
altri «rimangono dei villaggi o addirittura scompaiono [...]. Molti
mantengono una dimensione intermedia tra villaggio e città» (Le
. Per le caratteristiche e le peculiarità della città medievale cfr. Pirenne, , Grohmann, , Le Goff, . I caratteri geoeconomici della città antica e medievale sono
sintetizzati da Talia, b. Per un quadro complessivo della città medievale in Europa
Keene,  e per l’Italia, Rombai, . Per l’architettura medioevale cfr. Benevolo, ,
e per la dimensione ambientale Delort, Walter, . Per le diverse posizioni critiche sullo
sviluppo della città medievale e sul tema continuità/discontinuità con l’urbanizzazione
romana rimane fondamentale Smith, .
. Cfr. Nobile (, p. ) che riporta il documento.
. Il portale doveva avere, come in quello presente nel piccolo comune di Molise, lo
stemma dei de Molisio.
. La chiesa di San Giorgio e quella di San Bartolomeo sono edificate probabilmente
nel XII secolo. Per la date di fondazione delle chiese di Campobasso il saggio di riferimento
è U. D’Andrea, .

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Campobasso nei secoli XI e XII: le mura sono indicate dal tratteggio
(fonte: Boffa, ).
Goff, , p. ).
La limitata densità di popolazione nel Mezzogiorno , l’impostazione feudale voluta prima dai Normanni e poi dagli Angioini non
facilitano certo un articolato sviluppo urbano, ma piuttosto un’organizzazione territoriale costituita da castra, tra i quali qualcuno, come
Campobasso , si differenzia per la presenza della fiera e per lo sfruttamento dell’agro circostante. Infatti, i campobassani, lavorando nei
campi duramente, posseggono animali e mulini, tutti elementi che
motivano le vessazioni di Roberto:
Etiam compellere nititur homines dicte Universitatis habentes iumenta tritare
messes, fruges et segetes dicti domini Robberti nullo salario prestito vel prestando
predictis hominibus a domino supradicto.
. Cfr. Del Panta, ; Rombai, .
. In Molise oltre ad Isernia anche Agnone o Larino erano centri di un certo rilievo
nell’età medievale.
. Il documento analiticamente descrive tutte le vessazioni.
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Figura .. La fortezza longobarda secondo le trasformazioni del XV secolo.
Figura .. Facciata della chiesa Santa Maria Maggiore, ubicata sull’altura a poca
distanza dal castello.

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. La chiesa di San Giorgio disposta in posizione sottostante alla rocca.
I proprietari di animali da soma devono dare gratuitamente la loro
opera nei campi e il termine tritare indica tutte le funzioni inerenti al
raccolto; a loro volta i proprietari dei giumenti devono dare al signore
la metà dei nati .
Possiamo così conoscere il paesaggio agrario circostante a Campobasso, dove predominano campi di grano, ma il riferimento a raccolti in diversi periodi dell’anno rimanda ad un’agricoltura promiscua.
Inoltre, le informazioni sul bestiame, soprattutto sugli animali da trasporto, ne dimostrano una cospicua presenza. È la testimonianza sia
pure indiretta del fervore del sistema silvo–agro–pastorale, tipico del
Duecento e del Trecento, secondo le indicazioni magistrali di Sereni
(), ma confermate dai recenti studi sul contado nel Mezzogiorno medievale e moderno (Vitolo, ). «La proiezione verso l’area
esterna alle mura è un elemento che si ritrova in tutti i comuni del
. Era quest’ultima una regola precisa data da Carlo d’Angiò, ma Roberto de Molisio
eccede.
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Mezzogiorno, sia quelli grandi sia quelli piccoli» (Ibidem, p. ).
L’atteggiamento di Roberto fa comprendere che Campobasso è
appetibile; non a caso il dominus, pur possedendo mulini, sfrutta quelli
altrui unitamente alla fatica degli operai .
La maior pars dei campobassani, dopo aver lamentato le vessazioni
che riguardano la realtà agricola, difende un altro fattore che caratterizza il loro castrum: il mercato che richiama mercanti e acquirenti.
Idem dominus Robbertus non permittit homines dicte terre habentes domos et
apothecas proprias in platea dicti castri locare mercatoribus venientibus ad dictum
castrum in festo S. Marie de mense Septembris, in quo festo fit ibi forum puplicum
iuxta antiquam consuetudinem loci predicti, nisi prius domus et apothece predicti
domini Robberti dictis mercatoribus sint locate: et idem dominus Robbertus etiam
non permittit homines dicti castri facere logias in loco Crucis eiusdem castri, ubi
fit predictum forum (nec) in predicto festo, nec exercere cambium in predicto foro.
Il passo sinteticamente illustra la presenza stabile del mercato che,
durante la fiera dedicata a Santa Maria, nel mese di settembre, è
occasione di scambio e richiama i mercanti da lontano, per cui i
campobassani possono affittare case e botteghe, benché Roberto lo
impedisca per arrogarsi il privilegio di affittare prima le sue .
La fiera campobassana è il chiaro riscontro di come tale fenomeno
economico si fosse diffuso anche in contesti meno noti e significativi.
Peraltro, se il mercato è il luogo delle contrattazioni al minuto, la fiera
assume una valenza di primaria importanza per la formazione dei
. Ecco il passo tratto dal testo: «Et quod idem dominus Robbertus, habens propria molendina, et in quibusdam aliis molendinis ius molendi, suis propiis non contentus nec his in quibus
ius molendi seu macinandi habet, ad molendina propria hominum dicte terre victualia sua propria transmittit et moli facit sine aliqua molitura, inviti set renitentibus dominis molendinorum
ipsorum».
. Il documento illustra nel dettaglio la vita quotidiana.
. Il danno si amplia perché arroga per i suoi uomini la costruzione delle tettoie per
gli ambulanti.
. Si delinea, così, una tradizione che permarrà fino agli inizi del XX secolo: il mercato
di Campobasso come luogo fieristico. Sicuramente nel  si è solo agli inizi, ma come
si dirà nei prossimi capitoli i documenti dell’età moderna attestano il grande richiamo
operato dalle fiere con la permanenza di quella di settembre. Comunque, la manifestazione
mariana doveva avere già rilievo nel periodo medievale, se il feudatario Roberto si arroga
le prerogative in materia di cambio.

Campobasso da castrum a città murattiana
circuiti commerciali (Ait, ).
D’altronde, Federico II di Svevia aveva autorizzato, già nel secondo
decennio del XIII secolo, lo svolgimento di ben sette fiere a Sulmona,
Capua, Lucera, Bari, Taranto, Cosenza e Reggio Calabria . Se i centri
fieristici più notevoli si erano sviluppati nei circuiti di Champagne e di
Fiandra, questa formula commerciale finisce per collocarsi anche in
ambiti minori .
La Convenzione indica in modo preciso l’ubicazione del centro
commerciale: in loco Crucis eiusdem castri. Il mercato e la fiera, come
chiariscono anche altri documenti presenti presso la parrocchia di San
Leonardo di Campobasso , si svolgevano nelle adiacenze della cinta
muraria, nei pressi della cosiddetta porta Fida o Fredda. Quest’ultima
«si chiamò porta Fida, perché era certamente la più robusta e meglio
fortificata [...]. Poi con il passare del tempo la si cominciò a denominare
Porta Fredda» (Di Fabio , , p. ).
Appena a ridosso delle mura vi era la chiesa di San Bartolomeo dove,
secondo le consuetudini medievali, era collocata una croce viaria che è
ancora visibile (figg. .–.). Possiamo quindi identificare con esattezza
il luogo del mercato fuori dalle mura, come mostra la figura ..
È ragionevole pensare che, nei decenni successivi, casupole e baracche al di fuori delle mura dessero vita ad un vero e proprio sobborgo
esterno (Gasdia, ).
Campobasso si differenzia da Isernia, dove la piazza del mercato
è costruita nel  in prossimità della cattedrale, nel cuore della
città , o anche dal castrum di Benevento, la cui vita quotidiana si
svolge «intorno ai complessi religiosi che, a testimonianza del rilievo
. Si conferma che la città medievale è figlia del commercio, come ribadisce Talia
(b), sulla scia di Pirenne.
. I riferimenti sono tratti da Grohmann, .
. Sul mercato come peculiarità della città medioevale si rimanda ai già citati Pirenne,
, Grohmann, , Le Goff, , nonché a Smith,  e a Rombai, . Per gli aspetti
economici delle fiere cfr. Ait, , e Masi, .
. La conferma dei luoghi citati dal documento del  si riscontra nelle annotazioni
lasciate dal parroco Silvestri presso la Parrocchia di San Leonardo di Campobasso nel secolo
XIII e trascritte da U. D’Andrea, .
. Secondo quanto riferisce Di Fabio la porta Fida era anche chiamata la porta del
Monte, per le indicazioni del notaio Carlo Salottolo, in una scrittura del  dicembre 
(Di Fabio, , p. ).
. Si veda l’ultimo paragrafo di questo capitolo.
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Figura .. Facciata della chiesa di San Bartolomeo: qui si teneva il mercato nel
, come attesta la Convenzione.
Figura .. Resti della croce viaria posta dinanzi alla chiesa di San Bartolomeo: è
la testimonianza ulteriore che qui fosse la località del mercato.

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Spazio utilizzato per il mercato secondo i documenti del ; ancora
evidente la fascia muraria che circondava il castrum.
prioritario e indiscutibile nella città, sono anche i denominatori della
sua vita artigianale e professionale» (Musi, , p. ). Tuttavia, il
castrum molisano non rappresenta affatto un’ eccezione: «I borghi
erano fortezze le cui mura racchiudevano un perimetro strettamente
limitato, per cui fin dal principio i mercanti furono costretti a stabilirsi,
per mancanza di spazio, al di fuori di questo perimetro» (Pirenne, ,
p. ).
Le vessazioni di Roberto, ben poco interessato alle motivazioni
politico–militari dei suoi predecessori, sono l’indiretta testimonianza
di quanto fosse vitale il locum Crucis eiusdem castri. Ma, cosa molto più
interessante, la Convenzione, poi definita la Pancarta di Campobasso ,
. Nel documento sono elencati altri limiti imposti da Roberto e mal sopportati,
poiché egli non consente neppure la vendita delle carni se non da un ristretto numero,
monopolizzando tale opportunità. Peraltro, non è tralasciata un’altra ricchezza che è la
proprietà, ma anche sul vendere case e terreni Roberto pone veti. Ulteriore punto dolente
è rappresentato dall’esenzione dalle collette: gli uomini di Roberto non pagano, mentre
la maggioranza del popolo deve pagare anche per loro. Roberto, invece di rispettare la
consuetudine di inserire i campobassani nella riscossione dei tributi, delega sue persone
fidate.
. La definizione adottata da Gasdia () è accettata da Brancaccio, .
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

mentre sana le diverse quaestiones, è illuminante della vocazione commerciale dei suoi abitanti, vocazione che diverrà fondamentale nei
secoli successivi.
.. Cola Monforte e il polo militare
Se i pochi e scarni documenti attestano l’esistenza del castrum Campibassi, il suo destino rimane chiuso e circoscritto, come quello del
Contado di Molise , all’interno di un Regno troppo vasto e complesso
(fig. .). Perciò, nel lungo periodo che è contraddistinto prima dalla
dinastia angioina, poi da quella aragonese, tra il XIII e il XVI secolo,
Campobasso ha una posizione di “secondarietà”, interrotta da un personaggio di singolare rilievo, Nicola Monforte, che vagheggia il sogno
di costruire un proprio regno con un polo militare. Essa sperimenta
così il protagonismo cinquecentesco di grandi famiglie o di spericolati
condottieri (Colapietra, ) per un processo di militarizzazione che
investe molte città italiane (Labrot, ).
L’arte della guerra ha infatti un effetto dirompente sulla scena urbana tra il XV e il XVI secolo e caso esemplare è Pescara (Pessolano,
). Se diverse città sono fortificate nell’Italia centro–settentrionale,
da Livorno a Sabbioneta fino all’emblematico esempio di Palmanova
(Rombai, ), Pescara si impone «come caso insolito nel quadro
delle più antiche comunità del Mezzogiorno» dove «la progressiva
ricostruzione della cinta fortificata e poi la definitiva erezione della
piazzaforte completata alla fine del secolo XVI dal governo vicereale spagnolo determinarono mutamenti di portata radicale» (Fimiani,
, p. ).
Rispetto alle città piazzeforti, il polo militare di Campobasso appare
solo un tentativo ambizioso, grazie al quale però essa sperimenta di
essere centro geopolitico, cosa che concorrerà alla costruzione della
. La designazione “contado” subentra a quella di “contea” dai tempi di Federico II,
nel corso del XIII secolo, secondo i documenti analizzati da Masciotta, , vol. I.
. Per una disamina complessiva della città nei secoli XV e XVI sono di riferimento
Benevolo,  e De Seta, . Per un’analisi geo–storica a scala europea si vedano Classen,
, e P. Clark, . Opere già citate e comunque fondamentali sono Smith, ; Rombai,
; Delort, Walter, , Talia, b. Per le fondazioni militari si vedano gli atti curati da
Pellicano, .

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Particolare del Theatrum Orbis Terrarum di A. Ortelio,  (fonte:
Petrocelli, ).
sua identità urbana nel passaggio dalla dominazione angioina a quella
aragonese.
Il segno tangibile che ovunque lasciano gli Angioini (–) è
la napoletanizzazione della struttura socio–politica del Regno, modificandone così la geografia feudale (Galasso, ) e in tale circostanza
«Campobasso che faceva parte con Campodipietra, Castellino del Biferno, Gambatesa, Mirabello Sannitico, Oratino, Tufano, Campomarino, Termoli, Montefalcone e Montorio della contea dei Gambatesa,
passò in feudo alla famiglia Monforte, che con Riccardo II assunse il
doppio cognome Monforte–Gambatesa» (Brancaccio, , p. ).
I Monforte–Gambatesa, premiati dagli Angioini, si avvantaggiano
inizialmente anche della presenza degli Aragonesi , come compro. Gli Aragonesi, che dominano il Mezzogiorno dal  al , cercano di differenziare la loro politica da quella degli Angioini, innanzi tutto riunificando il Regno, rafforzando
il ruolo di Napoli come capitale e dando il massimo potere ai feudatari. Si preoccuparono
delle questioni fiscali e finanziarie con la definizione della Regia Camera della Sommaria come organo di controllo dell’impianto giudiziario, economico e amministrativo del
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

vano alcuni privilegi. Nel  Alfonso Primo d’Aragona concede
alla «dicta terra di Campobassi» sgravi fiscali . Poi, nel , Ferrante
d’Aragona elargisce benefici economici a favore di Cola Monforte .
Se i documenti non sono rilevanti, denunciano un graduale cambiamento nella denominazione di Campobasso non più castrum, ma
terra, quindi feudo che ambisce ad essere città demaniale senza successo. «Definita ancora col titolo di castrum nel , a Campobasso venne
riconosciuto lo status di terra nel » (Novi Chavarria, , p. ).
D’altronde, sebbene l’epidemia di peste nera e il funesto terremoto
del  l’avessero colpita, essa aveva ritrovato verso la fine del XIV
secolo la sua vitalità .
I Monforte , dal capostipite Riccardo di Monforte–Gambatesa,
reggono la città dal  fino al . Croce (, p. ), che ha dedicato
un suo studio a questa famiglia, annota:
Il loro “stato feudale”, quale che ne fosse il valore economico, ne aveva
certamente uno strategico, composto di terre e di castelli tra il Molise e il
Beneventano e fino alla costa adriatica, che formavano come una rete da
stringere al bisogno e con la quale si poteva aprire o chiudere a un esercito
la via delle Puglie.
Colui che crede di poter sfruttare al massimo la posizione geografica della sua unità feudale è Cola , ovvero Nicola Monforte, che
probabilmente dal  si trova ad esserne il Signore. Egli insegue il
sogno di uno stato autonomo con Campobasso come centro politico
e batte persino moneta. Per questi motivi nello scontro tra Aragonesi e Angioini si schiera per questi ultimi e alla vittoria di Ferrante
d’Aragona dovrà andare in esilio. Tuttavia, se i suoi sogni verranno
infranti, producono comunque cambiamenti sostanziali nella struttura urbanistica di Campobasso (Sarno, e). Infatti, egli realizza un
Regno. Cfr. Galasso, a.
. Cfr. Mancini, b.
. Cfr. Mazzoleni et al.,, vol. II.
. Cfr. Gasdia, , che cerca di fare luce sulla Campobasso nel XIV secolo.
. Per la famiglia Monforte sono di riferimento: Gasdia (); Masciotta (, vol.
II), Croce ( ).
. Nicola Monforte, detto Cola, nacque a Napoli il  ed ereditò dal padre, il conte
Guglielmo, il feudo e il titolo comitale. Nello scontro tra Angioini ed Aragonesi egli si
schierò per i primi e alla vittoria di Ferrante di Aragona dovette andare in esilio nel .
Da quel momento entrò al servizio di Carlo il Temerario. Morì forse nel .

Campobasso da castrum a città murattiana
vero e proprio schema policentrico nella distribuzione delle funzioni
urbane e distingue il polo militare — l’altura — da quello civile, che si
concentra intorno a largo San Leonardo (Manfredi Selvaggi, ). La
ricostruzione (fig. .) mostra come lo sviluppo vada a favorire la
discesa della città dal Monte, seguendo le naturali isoipse del terreno,
mentre la parte alta rimane circoscritta per gli intenti politici di Cola.
L’altura del Monte Bello è ora il polo militare; la figura . evidenzia che la cinta muraria è allargata per chiudere il borgo, così da
inglobare anche parte del sobborgo fuori le mura. Il sistema difensivo
messo in atto verte sul castello, che viene collegato alle mura per
costruire uno schema urbano che ha il suo cardine in esso, ma che a
cerchio concentrico coinvolge il borgo.
Figura .. Campobasso nel XV secolo: è visibile l’ampliamento dell’insediamento (fonte: Boffa, ).
Cola amplia la rocca e la trasforma in castello, difatti «costruì i
torrioni posti agli angoli del castello» e in seguito «ideò anche un
complesso di cortine rafforzate da torri rompitratta del tipo semicircolare che [...] raggiungeva la cinta muraria congiungendola alla
. Fonti per la ricostruzione, oltre i resti murari, sono vedute e descrizioni riportate
negli apprezzi che saranno nei successivi capitoli analizzati.
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Figura .. L’ampliamento del castello da parte di Cola Monforte negli anni
– (fonte: Nobile, ).
rocca» (Manfredi Selvaggi, , pp. –). L’ingresso era volto verso
il declivio e munito di ponte levatoio; all’entrata del castello doveva esservi collocato lo stemma della famiglia Monforte che aveva sostituito
quello dei de Molisio (fig. .).
È evidente, in un piano così dettagliato, la volontà di Cola Monforte di costruirsi un luogo sicuro e la roccaforte della sua autonomia;
tuttavia, egli decide anche per lo sviluppo urbanistico di Campobasso, dal momento che crea le condizioni della separazione tra il polo
militare e quello civile. Mentre egli insegue sogni di potenza e di
autonomia, i campobassani non si preoccupano del polo militare,
ma di quello sociale e commerciale che si costituisce intorno alla
chiesa di San Leonardo, ricostruita dopo il terremoto del  (fig.
.). Qui lentamente si sviluppa largo San Leonardo che diverrà il
centro cittadino nei secoli successivi (Sarno, b).
. Esso è identico ad altri due di cui uno, datato al , è collocato presso una delle
porte di Campobasso (quella di Sant’Antonio Abate); l’altro è di incerta provenienza e
attualmente si trova collocato nel municipio e raffigura in una cornice quadrilobata uno
scudo con croce e quattro fiori (Masciotta, , vol. I).

Campobasso da castrum a città murattiana
Il fattore ambientale che incide quanto la volontà di Cola sono i
terremoti del  e del , di una tale intensità che i campobassani
preferiscono ricostruire l’abitato ai piedi del colle .
Figura .. Facciata della Chiesa di San Leonardo e parte del largo prospiciente:
dal XVI secolo è questo il cuore di Campobasso.
Dal momento che il terremoto dovette distruggere le casupole
intorno al castello, Cola stabilisce che qui vi siano le truppe, aggiunge
una torre di rinforzo — la torre Terzano — accanto alla chiesa di
San Bartolomeo e alla porta Fida che immette nell’area militare (figg.
.–.).
Le ragioni di tanto impegno, profuso nel giro di poco tempo,
tra il  e il , sono determinate dal fatto che egli fa assumere
a Campobasso un ruolo nevralgico nel conflitto tra Aragonesi e
Angioini; infatti, il luogo dello scontro tra i due schieramenti non
è molto distante, nella confinante provincia di Capitanata, con la
decisiva battaglia di Troia ( agosto ), nei dintorni di Lucera.
. A memoria del primo, ecco la testimonianza di un religioso che si trovava nella
cattedrale di Isernia: «Anno domini  de mense Januarii, in nocte Sancti Vincentii, post cenam,
[...] fuit terremotus tam magnus et tam ingentissima potentia quod nemo recordatur similem
terremotum a tempora Creationis»; la testimonianza è tratta da Gasdia, , p. .
. Non si hanno notizie precise su quanti morti il terremoto causò; probabilmente
meno che in altre località dal momento che le cronache locali ricordano ad esempio i
 morti di Bojano; tuttavia in alcune relazioni del tempo si fa riferimento alle morti di
molti uomini, alla distruzione della rocca e di ben trecento casupole; cfr. G. Manetti, De
Terraemotu, Biblioteca Apostolica Palatina, ms. .
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Figura .. Resti della torre Terzano, fatta costruire da Cola Monforte, tra il 
e il , per un ulteriore rafforzamento della cinta muraria.
Figura .. La scalinata che ha sostituito la porta Fida nella seconda metà del XVI
secolo, quando il nuovo centro di Campobasso non è più l’altura, ma largo San
Leonardo.
Campobasso e il Monforte hanno un ruolo decisivo: le truppe angioine ricevono aiuti, quelle aragonesi sono ostacolate . Purtroppo
il progetto di Cola s’infrange e gli Angioini cedono il passo definitivamente agli Aragonesi. Egli sarà così costretto, nel , ad andare
. Brancaccio (, p.) a tal proposito chiarisce: «Sin dai primi mesi del suo
regno, Ferrante, consapevole del valore di Cola di Monforte, delle sue forze militari e
del suo ruolo strategico rivestito dal suo vasto stato feudale cercò l’accordo con lui senza
riuscirvi».

Campobasso da castrum a città murattiana
in esilio per sostenere aspirazioni locali contro l’accentramento
statale (Lalli, ).
I campobassani d’altra parte non si preoccuperanno più del polo
militare e preferiranno la maggiore vivibilità in piano, giovandosi
dello slancio impresso a piccoli e grandi centri dagli stessi Aragonesi
(Labrot, ).
Il castello si riduce ad un signum isolato, come i tanti presenti nel
Contado, a testimonianza di un «Molise, che sembra un microcosmo
della storia della penisola e che ha visto passare sul suo territorio,
come ricordano gli autori, Longobardi e Bulgari, Saraceni e Normanni,
Svevi e Angioini, Aragonesi e genti d’Oriente» (Conti, , pp. –
). Infatti, pur rappresentando un tentativo «di militarizzazione dello
spazio geografico» (Riggio, , p. ), il maniero finisce per essere
l’emblema di una sconfitta. Abbandonato dalla fine del XV secolo,
è stato restaurato solo nel , dopo gli ulteriori danni della seconda
guerra mondiale, e destinato in parte a sacrario dei caduti, in parte a
stazione meteorologica (fig. .).
Tuttavia, bisogna riconoscere a Cola Monforte il merito, dopo i
De Molisio, di aver considerato Campobasso centro geopolitico e di
averne disegnato un sia pur primitivo policentrismo.
.. Campobasso nel Contado di Molise del XVI secolo: la rete
tratturale
Dalla fine del XV secolo, Campobasso e il Contado di Molise hanno
un destino pari alle altre province meridionali subendo il passaggio
dagli Aragonesi (–) agli Spagnoli (–).
. Dopo circa due secoli gli estensori di due apprezzi su Campobasso, il primo del
 e il secondo del , dopo averne comprovato l’esistenza, forniscono alcuni elementi
che garantiscono dell’intenzione di Monforte: la forma quadrata, i torrioni, anzi li baloardi,
seppure rovinati e collegati alle mura anch’esse in rovina. Complessivamente la struttura
dimostra la volontà di collegare il castello alle mura per rendere l’altura unita nella difesa e
controllabile; ancora, il ponte levatoio ormai in disuso che, però, era rivolto verso il borgo
nel declivio, evidenziava il rapporto stretto con i burgenses dominati dall’alto. La descrizione
dettagliata dei locali interni, collegati dalle scale e ballatoi, rende evidente l’utilizzazione
come abitazione, benché, tramontato il sogno di Monforte, fosse poi abbandonato dai
suoi successori e ridotto a carcere nel  e neppure a tale funzione nel . Per i due
documenti si rimanda al terzo e al quarto capitolo.
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Figura .. Discesa dal castello, un tempo chiusa dalla porta Fida: visione parziale,
perché coperta dagli alberi, della chiesa di San Giorgio.
Il radicamento aragonese consolida i privilegi fiscali della nobiltà e ne
amplia la sfera dei diritti a tal punto da rafforzarne il predominio sociale
(Galasso, b). In un contesto che tende ad uno sfruttamento intensivo
delle province e si fonda sull’impostazione feudale per il controllo del
territorio, il Contado risulta amministrativamente unito prima alla Terra
di Lavoro, poi nel corso del XVI secolo alla Capitanata per volere degli
Spagnoli (fig. .). Queste decisioni, se testimoniano la complessa
quaestio dell’identità del Contado, sono il risultato di una subordinazione
territoriale a Giustizierati di maggiore importanza e produttività.
Peraltro, è problematica anche l’organizzazione feudale all’interno del Contado. Antonietta Visceglia, nel suo studio del  sui
possedimenti feudali nel Regno nel XVI secolo, dimostra che in
Molise fosse principalmente diffusa la micro signoria con feudi
. Il Regno di Napoli fu diviso in Giustizierati nel periodo svevo e questa suddivisione fu
utilizzata anche successivamente per l’amministrazione giuridica ed economica delle diverse
province. Il Contado fu accorpato alla Terra di Lavoro tra il  e il ; le incertezze riguardano
soprattutto l’accorpamento con la Capitanata avvenuto probabilmente tra il  e il  (il
problema è discusso con l’esame delle fonti da Masciotta, , vol. I). Per il governo degli
Spagnoli si vedano i volumi sul Mezzogiorno spagnolo di Galasso, b, e sulle peculiarità del
feudalesimo moderno Musi, .
. Antonietta Visceglia, nel suo studio del  sui possedimenti feudali nel Regno
nel XVI secolo, dimostra che in Molise vi fossero  signorie e  villaggi con un numero
di fuochi inferiore a ,  signorie e  villaggi con un numero di fuochi inferiore a

Campobasso da castrum a città murattiana
costituiti da un numero minimo di fuochi, cioè di nuclei familiari.
Risulta dunque non solo elevatissimo il grado di feudalizzazione
della provincia, ma essa è costituita generalmente da piccoli villaggi.
I feudi demograficamente rilevanti sono quindi ben pochi: Sepino, Morcone, Venafro, Agnone. Per quanto riguarda i due centri
maggiori, Isernia prova a difendere la sua autonomia di città regia,
mentre Campobasso sperimenta questa condizione per un brevissimo lasso di tempo . Qui come nelle altre province del Regno,
prima gli Aragonesi e poi gli Spagnoli utilizzano il territorio per
affermare i diritti di tanti piccoli signori e garantirsene il controllo.
Dopo i Monforte, infatti, è Andrea di Capua duca di Termoli a
reggere il feudo di Campobasso dal  e a trasmetterlo ai suoi discendenti. Il fatto che i Di Capua dominassero dal Molise centrale fino
all’Adriatico, non produce tentativi di ridefinizione del Contado, ma
favorisce l’unificazione di quest’ultimo al Giustizierato della Capitanata, raccordando maggiormente Campobasso con il sistema della
pastorizia pugliese (Brancaccio, ).
Del valore e dello splendore di questa famiglia la città si giova poco;
comunque alcuni articoli dei capitoli o statuti, concessi, tra il  e il
, da Ferrante Gonzaga e Isabella di Capua ai vassalli campobassani,
documentano la licenza di fabbricare sulle mura ed anche al di fuori
di esse .
I campobassani cercano di valorizzare la funzione commerciale apprezzata da Roberto de Molisio e la cittadina conosce nella seconda metà del XVI secolo un periodo favorevole, testimoniato dall’andamento
demografico e dalle attività economiche.
Le numerazioni effettuate nel Regno, tra il  e il , attestano
,  signorie e  villaggi con un numero di fuochi inferiore a  fuochi,  signorie
e  villaggi con un numero di fuochi inferiore a . È bene ricordare che ogni fuoco,
ovvero ogni nucleo familiare, era formato da / componenti. Il calcolo dei componenti
dei fuochi è effettuato in base alle indicazioni di Gambi, , e Brancaccio, .
. Il beneficio di essere città regia rientra nella politica di Ferrante D’Aragona di
acquistarsi il favore di Campobasso dopo aver sconfitto gli Angioini e dopo la fuga
del Monforte, per cui lo stesso re la dichiara città demaniale, benché tale condizione
durasse poco. La notizia è riportata da De Attellis, .
. Gli articoli degli statuti concessi tra il  e il  da Ferrante Gonzaga e Isabella di
Capua ai campobassani sono stati oggetto di studio di U. D’Andrea, , e di Manfredi
Selvaggi, .
. Masciotta,  –, riferisce i dati molisani tratti dalle numerazioni effettuate nel
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

un aumento dei fuochi — da  a ben  — del %, superiore,
quindi, a quello del % dell’intero Contado di Molise, nel quale
risultano . fuochi nel  e . nel . Assumendo che ogni
fuoco fosse formato da – componenti, Campobasso apre il secolo
XVI con circa  abitanti per chiuderlo con circa ., per un trend
positivo, confermato anche da alcuni dati relativi ai nati battezzati tra il
 e il  (fig. .) (Sarno, a).
I documenti notarili testimoniano l’aumento di costruzioni, come
case, botteghe, taverne. Fuori dalle mura, nella grande piazza del
mercato, dovevano esservi botteghe, casupole, osterie. Si assiste qui
ad un processo non dissimile a quello descritto da Labrot () in
tutto il Regno, dove «l’euforia demografica moltiplica nuovi quartieri
e sobborghi fuori delle antiche mura» (Ibidem, p. ).
I signori di Campobasso abbandonano il castello per il palazzo
baronale, come provano alcuni riferimenti negli statuti riguardanti
l’utilizzazione del primo come carcere , mentre scelgono la loro sede
nella parte nuova e commerciale. Difatti, di fronte alla chiesa di San
Leonardo è costruito il palazzo che ospita i feudatari, nuova sede del
potere a Campobasso (fig. .).
Largo San Leonardo, prospiciente alla chiesa, diventa il luogo delle
trattative e degli scambi. Gli atti notarili del  del notaio Giampaolo
Prunauro comprovano contratti di vendita di bovini o la stipula di patti
per portare a svernare gli animali in Puglia . Ma, dovevano esservi
botteghe artigianali che lavoravano il cuoio e altre il ferro o il legno.
Si rileva dai documenti anche una primitiva organizzazione amministrativa, infatti alla figura del Mastro Giurato è affiancata quella del
Capodotto, una sorta di consigliere nel periodo delle fiere .
Regno.
. U. D’Andrea, , ha rimesso in ordine gli atti notarili riguardanti le costruzioni in
Campobasso.
. U. D’Andrea, , illustra i documenti che indicano nel corso del XVI secolo
l’abbandono del castello da parte dei feudatari e il suo utilizzo come carcere.
. Lo sviluppo intorno al largo San Leonardo è collegato alla valorizzazione della chiesa
di Santa Maria della Croce, sede della confraternita dei Crociati, e della chiesa della Trinità,
sede della confraternita dei Trinitari. Si veda nel prossimo capitolo l’approfondimento sulle
confraternite e il loro ruolo politico.
. U. D’Andrea (, cap. IV) ha riordinato e trascritto gli atti notarili inerenti ai
contratti.
. Cfr. estratti dei verbali dei consigli comunali del marzo–aprile , consultabili

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Il Regno di Napoli di M. Cartaro,: è evidente la posizione geografica del Contado del Molise incassato tra le altre province (fonte: Petrocelli,
).
Figura .. Andamento dei battezzati a Campobasso tra il  e il  [ns.
elaborazione da U. D’Andrea, ].
Il largo diventa il cuore del potere feudale, commerciale e religioso
di una cittadina che ora si riconosce non nel castello Monforte ma
nelle sei torri che punteggiano le mura, con un “cambio della guardia”
che qui come altrove rende evidenti i caratteri urbani di una società
rurale (Rombai, ).
presso ASN (fascio ). Per l’organizzazione interna si veda il paragrafo  del III capitolo.
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Figura .. Ingresso del palazzo feudale collocato in largo San Leonardo. Oggi
palazzo Cannavina.
In realtà, si profila per Campobasso la possibilità di acquisire una
posizione di rilievo che diverrà consistente alla fine del XVII secolo,
ma in nuce si delinea nel XVI secolo, come illustrano gli storici locali e
confermano gli studi più recenti , riassunti da Brancaccio.
Sebbene il Molise fosse privo di grandi città e non fosse interessato dal
processo di urbanizzazione, che invero nel regno, durante la prima metà del
XVI secolo, oltre all’area della capitale, riguardò soltanto la Terra di Lavoro
. Per gli studiosi locali cfr. U. D’Andrea, , Gasdia, , Masciotta, , vol. II.
Pubblicazioni recenti confermano il ruolo commerciale che Campobasso viene maturando
in questo periodo, cfr. Colapietra, ; Manfredi Selvaggi, ; Petrocelli, ; Sarno,
a.

Campobasso da castrum a città murattiana
e la zona gravitante intorno all’Aquila, non vi è dubbio che Campobasso si
affermasse in quel periodo come il maggior centro urbano della provincia,
sottraendo ad Isernia il primato regionale (Brancaccio, , p. ).
Tra le funzioni difensive e quelle commerciali, entrambe presenti
nella storia medievale di Campobasso, i suoi abitanti propendono
per le seconde perché si avvantaggiano dell’inserimento nella rete
tratturale (Sarno, b), prevalendo anche su Isernia.
La transumanza , già praticata ampiamente dai Sanniti, diventa
nell’età moderna caratterizzante per il Contado. Alcuni documenti attestano, nel computo per l’annuale passaggio delle pecore presso la dogana di Foggia dell’anno , la presenza di proprietari campobassani
tra cui il Conte di Campobasso, ovvero Cola Monforte .
La pratica della transumanza, anzi delle transumanze, ha segnato
la fisionomia territoriale dell’Europa sin dal secondo millennio a.C. e
le antiche piste, poi evolute in tratturi, hanno formato un’articolata
rete dalla Spagna fino ai Carpazi. Ma essa ha costituito un elemento fondamentale dell’economia europea dal XIII secolo al XIX e in
modo particolare per la Spagna e l’Italia centro–meridionale dove è
precisamente regolamentata (Martìn, Ibarra, ).
Se i Normanni avevano emanato delle norme per tutelare la pastorizia e gli Angioini stabilirono l’istituzione di un magistrato ad hoc
per dirimere eventuali controversie, chi diede grande impulso alla
transumanza fu Alfonso d’Aragona che, nel , emanò un decreto
per la gestione della Dogana della Mena delle pecore in Puglia. Con questo decreto è disciplinata per secoli tutta l’attività della Dogana, con
l’obiettivo di avvantaggiare il Fisco Regio.
Il Tavoliere costituiva ormai la principale fonte di entrate del regno, tanto
da essere famoso non solo in Italia, ma in tutta l’Europa e cominciava ad
assumere una caratterizzazione regionale, destinata ad accentuarsi nei secoli
successivi. Subito dopo l’istituzione della Dogana il Contado di Molise entrò
nella dipendenza del Preside della Regia Udienza di Lucera (Melillo, , p.
).
Il legame giuridico–territoriale del Molise con la Capitanata è ga. Per un’analisi geostorica della transumanza si vedano Pellicano, , e Sarno, e.
. I riferimenti sono tratti da Nicola De Meis, .
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

rantito da ben undici tratturi (figg. .–.). È una ricca rete di
percorsi montani (Giannetti, ), con un movimento di uomini e
merci che non sono riorganizzati dalla ferrea volontà dei Vicerè di
Napoli , ma lasciati alla Dogana della Mena che deve controllare i
percorsi tratturali e cartografarli (Sarno, e).
Se la transumanza segna l’identità territoriale del Molise, Campobasso, diventandone nodo di transito, emerge come centro di rilievo
in questa provincia, ma, cosa più interessante, rappresenta un esempio
significativo delle peculiarità dei processi urbani nel Mezzogiorno ,
come si dirà nel prossimo capitolo.
. Come illustra Cialdea, , gli undici tratturi che attraversano il Molise sono:
Aquila–Foggia, Lanciano–Cupello, Centurelle–Montesecco, Sant’Andrea–Biferno, Celano–
Foggia, Castel di Sangro–Lucera, Pescasseroli–Candela, Foggia–Campolato, Ateleta–
Biferno, Frisa–Rocca di Roseto, Cassano–Murge–Canneto; ad essi si devono aggiungere 
tratturelli,  bracci e  aree di riposo. Il quadro sintetico sulla rete tratturale del Molise è
stato ricostruito da Cialdea, , in base alla ricognizione effettuata dal Commissariato per
la reintegra dei tratturi nei primi due decenni del Novecento.
. Le difficoltà dei viceré spagnoli a riorganizzare i tracciati viari del regno sono
dibattute da Giannetti,, pp. –.
. Per gli atlanti tratturali si vedano Petrocelli,; Sarno, e.
. Questo processo in nuce diventa evidente nel XVII secolo ed è affrontato nel capitolo
terzo e in modo specifico nell’ultimo paragrafo, dove è discussa la relativa letteratura.

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. La rete tratturale attraversava il Molise; in evidenza (in azzurro)
i bracci che consentivano di raggiungere Campobasso dai regi tratturi (fonte:
Cialdea, ).
Figura .. Tavola dell’Atlante della reintegra del tratturo Celano–Foggia disposta
da E. Capecelatro ed eseguita dall’agrimensore G. De Falco, Foggia  (fonte:
Petrocelli, ).
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

.. La rivincita su Isernia
Isernia deve l’antichità della sua fondazione alla posizione geografica , infatti è crocevia di diverse direttrici provenienti a nord dall’Appennino molisano (che è continuazione di quello abruzzese), a ovest
dalle Mainarde e a sud dal Matese. Il suo sito, protetto dalle montagne,
è ubicato in prossimità dell’alta valle del Volturno, giovandosi pure dei
confluenti di questo importante fiume . La prossimità all’Appennino
permette di individuarne la formazione geologica che è posteriore alle
epoche azoica e paleozoica, poiché l’Appennino abruzzese–molisano
è emerso fra l’oligocenico e il miocenico dell’era cenozoica o terziaria.
La presenza di rocce calcaree, arenarie e argillose conferma questa
datazione .
Il suo territorio, come gli scavi archeologici hanno evidenziato, è
utilizzato già nell’era paleolitica rappresentandone uno dei siti più importanti a scala europea . Quest’area è quindi significativa dal punto
di vista geografico e storico, infatti ricostruendo i confini morfologici
. Sono di riferimento per lo studio di Isernia alcuni documenti antichi conservati
presso l’Archivio di Stato di Isernia, riproposti anche in Turco, ; per una ricostruzione
di Isernia nell’età antica cfr. De Benedittis et al., ; per lo sviluppo urbanistico nell’età
medievale cfr. Valente, , e nell’Ottocento Zullo, b. Per le età medievale e moderna
D’Acunto, ; Mattei, ; per un’analisi geostorica dell’evoluzione e delle funzioni
urbane Sarno, c; Sarno, b. Per le attuali problematiche geoeconomiche Fuschi et
al., ; Zarrilli, . Cefalogli nel  ha curato la ristampa della storia di Isernia scritta
da Jadopi nel . Per gli scavi archeologici nell’area isernina si veda la nota .
. Isernia ha avuto da sempre, per la sua collocazione geografica nel Molise occidentale,
una posizione vantaggiosa, tanto nella sua provincia, dal momento che la distanza con i
comuni più lontani non supera i settanta chilometri, quanto nei rapporti con importanti
città vicine, come Napoli, Roma o la stessa Pescara.
. I due corsi d’acqua che cingono Isernia sui lati orientale e occidentale, il Carpino e
il Sordo, sono tributari del Cavaliere che a sua volta confluisce nel Volturno; anticamente —
almeno dal XIV al XIX secolo — erano denominati rispettivamente, Gianocanense e San
Giovinale (o, semplicemente, Giovenale), erano cioè torrenti dedicati a due figure sacre:
Giano e Giove.
. Si rimanda alla nota  del primo capitolo per la bibliografia inerente alla struttura
geologica del territorio molisano.
. In località La Pineta, a sud dell’attuale città, sono stati rinvenuti nel  i resti di un
insediamento paleolitico che, da quel momento, è stato oggetto di scavi archeologici e di
studi che hanno portato alla luce un’area di . mq abitata circa . anni fa. Grazie
ad accurati scavi stratigrafici condotti dall’università di Ferrara l’intera area è stata esplorata
e in parte portata alla luce, fornendo una ricca documentazione. Il sito ha ottenuto riscontri
a livello europeo ed internazionale. Cfr Paone, ; Catalano e et al., .

Campobasso da castrum a città murattiana
della Aesernia romana, l’archeologo Gianfranco De Benedittis ()
osserva che essa confinava con Aufidena a nord, con Bovianum ad est,
con Venafrum a sud, posta quest’ ultima cittadina proprio nella sezione
sud–ovest della valle del Volturno. A nord–ovest, poi, nel periodo
medievale, come si è già chiarito, fu costruita l’abbazia di San Vincenzo al Volturno. Se si considerano i limites, si può ben considerare la
posizione centrale di Isernia in un ambito fortemente storicizzato e romanizzato, al quale poi si aggiunse il crisma religioso della fondazione
abbaziale (fig. .).
Il suo sito, in particolare, è apparso da sempre accessibile e vantaggioso, dal momento che l’insediamento è collocato su un crinale
situato tra due fiumi, il Carpino e il Sordo, nel mezzo di una conca
circondata da colline digradanti. Esso è uno sperone di travertino,
a  m slm, che si è imposto geograficamente come luogo di confluenza dalle montagne circostanti, nonché di naturale difesa. Ancora
oggi appare evidente la conformazione dello sperone, su cui un tempo correvano le mura, ben rappresentato dalla pianta elaborata da
Tommaso Zampi agli inizi dell’Ottocento (fig. .).
La ricchezza idrica, della quale si gioverà l’acquedotto romano,
è dovuta a un bacino alimentato dal fiume Carpino e da sorgenti
responsabili della formazione di travertino sul quale sorge attualmente
la cittadina.
La presenza dell’acqua sembra racchiusa nello stesso toponimo, il
quale, dalla radice indeuropea ausa, significa appunto sorgente, fonte
(D’Acunto,). Il toponimo «è una formazione che si inquadra nella
base idronimica, ais, is– (e varianti) che si riconosce anche in Isonzo–
Isarco ed in numerosi altri nomi locali» (Gasca Quierazza G. et al.,,
p. ).
I Sanniti Pentri ne sono i fondatori, che, pur rifugiandosi nell’Alto
Molise, hanno bisogno, da Isernia, di controllare la valle del Volturno.
È sempre la sua posizione nevralgica a spingere i vincenti Romani a
individuarla come colonia.
La presenza romana garantisce anche del disegno urbanistico, infatti: «L’asse viario principale è ricalcato dall’odierno corso Marcelli.
Nell’attuale piazza del mercato era il centro della città antica con
. La pianta è unita ad altre di città centro–meridionali tutte elaborate da Tommaso
Zampi, collaboratore dell’Officina Topografica di Napoli; cfr. Valerio, , pp. –.
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Figura .. La pianta di Tommaso Zampi dei primi dell’Ottocento delinea con
chiarezza il sito e l’antica struttura urbanistica di Isernia (ASN).
un’importante area sacra» (Catalano et al., , p. ).
All’incrocio del cardo (l’attuale corso Marcelli) e del decumano
erano situati il foro e i templi. Le epigrafi fanno evincere il sempre
maggiore rilievo di Aesernia nell’età imperiale con la costruzione di
edifici pubblici .
. La colonia, nel complesso, conobbe un certo rilievo anche perché nodo viario della
via Minucia o Numicia che collegava l’Abruzzo con l’Irpinia attraversando il Sannio. Cfr. il

Campobasso da castrum a città murattiana
Continua a essere un centro importante, come si è accennato precedentemente, dopo la caduta dell’Impero romano, per la presenza
della sede vescovile e successivamente grazie ai Longobardi. Questi
ultimi si impongono stabilmente e devono aver costituito tra il VII e il
X secolo una vera e propria cittadella i cui pilastri sono la cattedrale e
il castello poi distrutto (Mattei, ).
In epoca altomedievale, sul sito dell’area sacra romana è costruita la
cattedrale di stile greco–bizantino , poi continuamente rivisitata per i
numerosi terremoti, con un importante cambiamento nel , poiché
l’ingresso è spostato a nord, in prossimità della piazza del mercato,
per catalizzare l’attività cittadina in un unico punto e, secondo le
caratteristiche tipicamente medievali, collegare la piazza e il mercato
alla cattedrale (Valente, ).
Interessi politici e impegno religioso segnano Isernia e la pongono
in rilievo, infatti «nel periodo svevo fu terra regia ed unica nel Molise ad avere tale veste giuridica» (Masciotta, , vol.III, p. ). In
relazione a questi eventi, tra il – avvengono modificazioni
urbanistiche importanti e la città è dotata di una vera e propria cinta
muraria (Valente, ).
La ristrutturazione è collegata alla presenza stabile dei francescani .
La sacralizzazione dello spazio urbano è sancita da un’importante
figura , Celestino V (–), che vi lascia tracce consistenti come
la fondazione di monasteri (Sarno, b). Emblema di questo periodo
è la fontana Fraterna, edificata probabilmente nel XIV secolo dalla
famiglia isernina Rampini, un piccolo gioiello di sei metri di lunghezza
e circa tre metri di altezza .
secondo paragrafo del primo capitolo.
. L’interno della chiesa era costituito da tre navate arricchite da decorazioni di fondazione anteriore all’. Nel  venne costruito il campanile, in comune con la chiesa di
San Paolo, posta alle spalle della cattedrale.
. Essi fondano la chiesa di San Francesco e l’annesso convento, il convento celestiniano di Santo Spirito, poi il monastero di Santa Chiara. La presenza dei francescani era
tipica delle città meridionali, mentre i domenicani si orientavano al nord o in quei centri
dove il potenziale economico era maggiore. Gli ordini mendicanti si inserirono facilmente
in realtà economicamente deboli ma divennero compartecipi comunque della compagine
sociale perché ottenevano molte donazioni per la loro capacità predicatoria. In questo
modo essi entravano a pieno titolo nella gestione delle città e ciò accadde anche a Isernia.
. Celestino V, nato Pietro Angeleri (o Angelerio) e detto Pietro da Morrone, fu Papa
dal  agosto al  dicembre .
. Nella piazza, dedicata a papa Celestino V, la fontana Fraterna fu realizzata recupe-
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

In realtà, Isernia si avvantaggia di essere una delle tappe della «via
degli Abruzzi» che metteva in comunicazione «Firenze con Napoli, attraverso Perugia, L’Aquila, Sulmona, Isernia e Capua, e che può essere
annoverata tra i grandi itinerari commerciali, diplomatici, culturali e
militari dell’Italia trecentesca» (Landini et al., , p. ).
Dal punto di vista urbanistico la costruzione dei conventi definisce
l’assetto urbano. Nel contempo si spezza la linea retta del cardo, poiché
si aprono vicoli che daranno vita a piazzette o slarghi nei quali troveranno spazio i palazzi nobiliari. Comincia qui un ampliamento a latere
del corso Marcelli che renderà dinamica l’antica struttura romana e
sfrutterà le diverse anse del sito originario (Sarno, c).
Il vantaggio di essere città regia è ben evidente proprio nei palazzi
nobiliari e negli arredi dei luoghi di culto. Infatti, il tratto rinascimentale
doveva leggersi negli affreschi presenti nella Chiesa dell’Annunziata,
ora leggenda, dal momento che, distrutta dal terremoto del , il
suo spazio fu utilizzato per usi civili. Tuttavia, segni sparsi di ricchezza
decorativa sono racchiusi nella chiesa del convento di Santa Maria degli
Angeli o nella cattedrale, ricostruita dopo il terremoto del .
Pure, nonostante le sue arti e la sua demanialità, Isernia «fu penalizzata dalla crisi della mercatura fiorentina e con essa dal declino della
via degli Abruzzi» (Brancaccio, , p. ). La sua stessa posizione,
vantaggiosa da sempre nell’itinerario tra Firenze e Napoli tramite
l’Appennino abruzzese, diventa secondaria rispetto alla complessa rete
tratturale che vede privilegiare il Tavoliere, Foggia e quindi Campobasso (fig. .). Peraltro, sebbene Isernia fosse lambita dal tratturo
rando frammenti di iscrizioni e bassorilievi romani. Nel parapetto della vasca, la parte
centrale è decorata con un fiorone e due delfini, quella di destra con una lapide dedicatoria
della famiglia Ponzia. La Fontana Fraterna, costruita tra il XIII e il XIV secolo in onore di
Celestino V, prende il nome dalla Frataria, una società del mutuo soccorso fondata dallo
stesso Papa e rappresenta uno dei simboli della città. Cfr. D’Acunto, .
. La cattedrale di Isernia custodisce un’importante icona di stile bizantino raffigurante
la Madonna con Bambino, opera di Marco Basilio ed esposta in una cappella laterale. Proveniente dalle isole greche dell’Egeo sarebbe giunta in Italia nel XVI secolo portata dalla
famiglia Lomellino. Monsignore Giambattista Lomellino, divenuto vescovo di Isernia nel
, l’avrebbe condotta con sé. Oggi è conosciuta come Virgo Lucis, Madonna della Luce. Cfr.
Valente, .
. Ecco l’opinione di U. D’Andrea (, p. ): «Quando verso i primi decenni del’
il Molise divenne soggetto amministrativamente, giudiziariamente e militarmente collegato alla provincia di Capitanata che aveva il centro nella lontana Udienza di Lucera,
allora Isernia si trovò in posizione di lontananza e svantaggio rispetto a Campobasso e, nel

Campobasso da castrum a città murattiana
Pescasseroli–Candela, il cui raccordo nell’Ottocento sarà utilizzato
per un vero e proprio ampliamento urbanistico (Sarno, c), dal
XV secolo deve competere con Capracotta, Vastogirardi e Frosolone,
tappe obbligate lungo la rete tratturale.
Inoltre, pur avvantaggiandosi tanto della presenza di nobili famiglie,
quanto persino della benevolenza dei regnanti , Isernia, nel , per
le pressanti richiese dell’erario spagnolo, è venduta dalla regia corte
a Carlo Greco duca di Montenero Valcocchiara, che a sua volta la
rivende a Diego D’Avalos, marchese di Pescara e Vasto (Masciotta,
, vol. III).
Se i privilegi spettanti ad una città regia si traducevano per gli isernini in sgravi e concessioni, i D’Avalos, il cui palazzo non a caso fu
denominato “il palazzo del principe”, entrano in conflitto con l’Università per le loro continue richieste . L’esosità nobiliare rappresenta
l’ulteriore ragione dell’indebolimento economico di Isernia, mentre
Campobasso fruisce nello stesso periodo, come si vedrà, non solo
della maggior vicinanza al Tavoliere, ma di un associazionismo religioso capace di limitare il potere feudale e di lasciare ampi margini
al ceto emergente dei mezzani. Si definisce così, nell’età moderna, la
preminenza di Campobasso.
cammino verso Lucera, soggetta alla obbligatoria tappa campobassana»
. Si vedano i Privilegi concessi agli isernini nella raccolta di documenti curata da
Turco, , pp. –.
. Per questi motivi gli isernini nel XVIII secolo riscatteranno la città al pari di
Campobasso, ma vi riusciranno solo nel ; cfr. capitolo IV.
. Sempre Turco, , documenta tanto le concessioni, quanto le forme di esosità dei
feudatari presenti ad Isernia nel XVII e XVIII secolo; Ibidem, pp. –.
. Lo sviluppo del castrum e i tentativi di affermazione politica

Figura .. Il tratturo nell’agro di Isernia. I compassatori rappresentano la pista
in modo curvilineo, la sagoma della città e la ricchezza idrica ivi presente; dalla
Reintegra del tratturo Pescasseroli–Candela del  di Vincenzo Magnacca e
Nicola Conte (ASF).
Capitolo III
Campobasso terra urbana nel XVII secolo
.. Le fonti del Mezzogiorno moderno: gli apprezzi
Gli apprezzi sono fonti particolarmente significative per conoscere le
province del Regno di Napoli nell’età moderna. Gerard Labrot, nei
suoi studi sul Mezzogiorno li ha valorizzati , fornendo un esempio,
seguito dall’Archivio di Stato di Napoli, che ne ha messo a punto un
elenco ampio e circostanziato.
Notre long récit [...] se fonde sur l’exploitation exclusive d’un document unique,
qui offre à l’historien un poste d’observation exceptionnel [...]. L’“apprezzo”, tel
est le nom de ce document, dresse l’inventaire, voire propose la description compléte
d’un fief: terres, villages, productions et habitants (Labroit, , p. ).
La loro considerazione è divenuta puntuale dagli anni Novanta del
secolo scorso per la conoscenza del Meridione . Gli apprezzi meritano
attenzione dal punto di vista geografico perché permettono di ricostruire unità territoriali (Sarno, d) e fanno emergere la complessità
dei rapporti economici tra centro e periferia (Bulgarelli Lukacs, ).
Sono anche posti in sinergia con altre fonti, platee o catasti, per mettere a punto una lettura circostanziata di ambiti territoriali complessi
come nel caso della reggia di Caserta (Loffredo, ). Peraltro, se una
. Cfr. G. L, Études napolitaines. Villages, palais, collections: XVIe–XVIIIe siècles, ;
G. L, Quand l’histoire murmure: villages et campagnes du royaume de Naples (XVIe–XVIIIe
siècle), .
. Diversi studiosi hanno indirizzato la loro attenzione agli apprezzi; per analisi di
carattere generale cfr. Brancaccio, ; Salvemini, ; Angeloni, Pesiri, . Per l’analisi
di specifiche realtà regionali del Mezzogiorno: cfr. Romano, , per i comuni dell’area
del Vulture; Angelini, , e sempre Salvemini, , per la Puglia; D. Romeo, , per
uno studio approfondito su Sidereo; Fimiani, , per l’analisi dell’apprezzo di Pescara.
Per il Molise Sarno, b; Sarno, c; Sarno, d. Oltre all’Archivio di Stato di Napoli
anche l’Archivio di Stato di Cosenza ha ricostruito l’elenco degli apprezzi consultabili
presso la propria sede.


Campobasso da castrum a città murattiana
puntuale ricerca d’archivio è fondamentale per la geografia storica,
essa diventa particolarmente necessaria per focalizzare la complessità
del Mezzogiorno moderno e le sue peculiarità, pur ricordando, sulla
scia di Labrot () e di Fimiani () che, dal momento che gli
estensori possono non essere del tutto neutrali, gli apprezzi devono
essere contestualizzati e comparati con altre fonti e con gli elementi
raccolti direttamente sul terreno.
Presso l’Archivio di Napoli è stato operato un vero e proprio censimento che attesta la presenza in situ di circa trecentocinquanta apprezzi, redatti tra la fine del XVI secolo e i primi decenni del XVIII nelle
province continentali del Regno . I documenti censiti coprono un arco
temporale di circa due secoli: dai primi, dedicati a Piedimonte D’Alife
(), Oppido Lucano () e Gravina (), agli ultimi, quelli di
Rotondella () e Melito di Napoli ().
Essi erano la quantificazione del pretium, del valore economico di
un feudo, computato con metodo e rigore da esperti. La necessità di
effettuare tante perizie era determinata dalla complessità dell’organizzazione feudale del Mezzogiorno, che prevedeva la vendita dei feudi
in mancanza di legittimi successori o specifici accertamenti per debiti.
Sono documenti di diverse pagine, anche oltre cento, redatti con una
tale ricchezza di informazioni da far conoscere le caratteristiche socio–
demografiche e le potenzialità economiche dei territori sottoposti ad
accertamenti (Sarno, d).
La gran parte di essi è inserita nei processi della Regia Camera della
Sommaria, che fu istituita nel Regno di Napoli da Carlo I d’Angiò
(–) e divenne nel tempo l’istituto per eccellenza che si occupava della riscossione dei tributi e del pagamento di debiti. Per queste
sue funzioni era l’organo principale a cui i creditori si rivolgevano per
la stima dei feudi.
Tante unità territoriali risultano sottoposte a controllo, a cominciare da centri vicini geograficamente e politicamente alla capitale, come
Melito di Napoli, Caserta, Pomigliano d’Arco, Teano, fin poi ad estendersi alle diverse province, dove la piccola feudalità doveva presentare
maggiori problemi, come nel Contado di Molise , nel Principato Ul. Si fa riferimento all’elenco circostanziato degli apprezzi redatto dall’Archivio di
Stato di Napoli e ivi consultabile.
. Si veda il paragrafo successivo dedicato al Molise.
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

tra e nel Principato Citra . Altre indagini hanno portato alla luce le
perizie di insediamenti nell’area del Vulture, conservate nell’Archivio
Caracciolo di Torella (Romano, ).
Gli apprezzi sono pure presenti negli atti dei notai, allegati alle
rilevazioni dei beni posseduti dalla nobiltà locale, o sono conservati
negli archivi provinciali a testimonianza della storia di piccoli e grandi centri, come personalmente ho potuto riscontrare ricercando la
documentazione sui feudi molisani.
Gli estensori erano funzionari della Regia Camera della Sommaria,
ma avevano una preparazione specifica per assolvere tale compito;
sono definiti tavolari o compassatori e dovevano essere dei veri e propri
analisti territoriali (Brancaccio, ). Le competenze professionali
sono ancor meglio definite nei primi decenni del Settecento, quando
sono denominati persino ingegneri (Buccaro, De Mattia, ).
L’impostazione era ben definita: i periti chiarivano i motivi della
richiesta della stima fiscale e dichiaravano i tempi e le modalità di
realizzazione dell’apprezzo. A questo punto il redattore descriveva il
sito e la posizione geografica del feudo, i confini e i collegamenti viari,
le distanze da centri rilevanti. Seguendo criteri prestabiliti, venivano
delineate le caratteristiche degli abitati, la quantità dei fuochi, ossia dei
nuclei familiari, e l’eventuale presenza di diverse etnie. Erano oggetto
di particolare considerazione palazzi e castelli, luoghi sacri e conventi,
illustrati in tutta la loro ricchezza. Poi l’occhio dell’esperto si soffermava sul paesaggio agrario, sulla produttività locale, sul bestiame;
se i centri erano rilevanti si dava spazio all’artigianato, alle fiere, alle
diverse forme di contrattualizzazione.
Tutti gli elementi territoriali, come la presenza di mulini o taverne,
erano dettagliati da apposite tabelle che indicavano le diverse entrate economiche. In questo modo il perito poteva definire il valore
complessivo del feudo. La ricostruzione era completata dalla descrizione dell’organizzazione amministrativa, dei rapporti intercorrenti
tra il feudatario locale e l’Università, cioè la popolazione, nonché dei
conflitti tra potentiores e humiliores.
. Per l’area del Principato Ultra sono censiti diversi apprezzi come quelli di Altavilla
Irpina (), Capriglia (), Cervinara (), Conza (), Lapio (), Montefusco
(), Montella (), Parolise (), Salza (), San Potito (), Tufo ().
. Per l’area del Principato Citra sono censiti diversi apprezzi come quelli di Angri
(), Camerota (), Capaccio (), Sala Consilina (), Scafati ().

Campobasso da castrum a città murattiana
È chiaro, dunque, che tale documentazione molto può dire a chi
voglia operare una ricostruzione geo–storica di un territorio. La loro
attendibilità può essere comprovata tramite il raffronto con gli elementi presenti sul terreno e tramite la comparazione con dati tratti da
altre fonti come stati delle anime, numerazioni dei fuochi, catasti, atti
notarili, documenti della Camera della Sommaria.
La loro peculiarità, rispetto alle altre fonti, consiste nell’ ampiezza
e nella ricchezza dei particolari, tali da far persino rivivere la quotidianità. La loro validità è stata riconosciuta nel corso dell’Ottocento, in
quanto queste testimonianze spesso sono state di riferimento per gli
agrimensori che dovevano cartografare sezioni territoriali . La possibilità stessa di poter operare il confronto tra perizie fornisce un quadro
dinamico dei micro–mondi feudali del Mezzogiorno e di paesaggi
scomposti dai processi contemporanei.
.. Il Molise nei documenti
L’abate Pacichelli, nella sua opera del , rilevava che in Contado di
Molise non vi erano che terre e castelli a testimonianza dell’impronta
tipicamente feudale, dove comunque pochi centri si distinguevano, come Isernia, Campobasso, Bojano. Il Molise è quindi un’area campione
interessante, infatti ben diciotto apprezzi consentono di conoscerne
l’organizzazione insediativa e socio–economica, a cominciare da Campobasso che, grazie a ben due notevoli documenti, emerge con il suo
profilo, ma altre perizie riguardano Ferrazzano, Jelsi, Bojano, Matrice.
È ben rappresentato anche l’Alto Molise con un documento dedicato,
ad esempio, a Capracotta , mentre recenti scoperte permettono di
analizzare il Basso Molise: le perizie di Palata del , ad opera di Pao. Nelle indagini che l’autrice ha realizzato presso l’Archivio di Stato di Campobasso ha
potuto osservare nei documenti dei primi dell’Ottocento un continuo riguardoso richiamo
agli apprezzi dei secoli precedenti.
. Gli apprezzi dei feudi molisani sono: Bojano (), Campobasso () e (),
Capracotta (), Cercepiccola (), Collotorto (), Ferrazzano (), Fossaceca (),
Gambatesa (), Isernia () Macchiagodena (), Matrice (), Morrone del Sannio
(), Palata (), Petrella (), Salcito (). Jelsi () apparteneva alla provincia di
Capitanata, Pizzone () all’Abruzzo Citra.
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

lo Calvano (), e di Colletorto () da parte dell’autrice . Turco
() ha pubblicato parte dell’apprezzo di Isernia, redatto dal regio
ingegnere e tavolario Casimiro Vetromile nel .
Le ragioni da cui scaturivano gli apprezzi erano generalmente i
molti debiti accumulati dai possessori dei feudi, ma il Regio Fisco
interveniva pure per la mancanza di eredi diretti, come accade per
Campobasso nel  e per Morrone del Sannio nel .
Questi documenti sono particolarmente importanti per conoscere
il Molise che non ha un rilevante corpus cartografico, per recuperare
dati demografici e per studiarne le condizioni socio–economiche
(Brancaccio, ; Sarno, d). Offrono sicuri elementi per considerare la rete delle relazioni territoriali che il Molise aveva con le altre
province del Regno (fig. .).
Inoltre, gli accertamenti illustrano i conflitti tra la popolazione e
i feudatari, come nel caso di Campobasso o Isernia, e registrano la
messa in crisi delle norme feudali. Non sono però fonti utili solo per
lo studio dello sviluppo urbano (Sarno, a; Sarno, b), come
si vedrà, ma anche dell’insediamento degli albanesi e croati in Basso
Molise (Sarno, f ). In tal modo, quest’area territoriale non appare
monolitica e isolata, ma partecipe delle dinamiche socio–politiche del
Mezzogiorno moderno.
. Calvano ha ritrovato l’apprezzo di Palata presso l’archivio storico della Biblioteca
Rossetti di Vasto, mentre l’autrice ha ritrovato l’apprezzo di Collotorto presso l’Archivio di
Stato di Napoli.
. L’apprezzo di Morrone del Sannio del  è stato portato alla luce da N. De
Benedittis, .
. È necessario ricordare che gli studiosi locali spesso fanno riferimento agli apprezzi
per ricostruire le vicende di piccoli comuni, come ad esempio D’Amico, , per Jelsi, N.
De Benedittis, , per Morrone del Sannio, Calvano, , per Palata.

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. La carta indica gli attuali comuni, un tempo feudi, sottoposti a perizia
(ns. elaborazione).
.. L’apprezzo del regio tavolario Luigi Nauclerio nel 
Il  aprile  Luigi Nauclerio, tavolario e perito, delegato dalla corte
Regia di Napoli, in esecuzione del decreto del  febbraio dello stesso anno, per volontà del signor D. Antonio de Silva, Consigliere Commissario
della Regia Camera della Sommaria, predispone l’Apprezzo delle terre di
Campobasso e Jelsi, avendo cura di redigere la perizia a Napoli ed inviarla
in loco. Il manoscritto che contiene la perizia di Campobasso è depositato
in BASC, mentre la parte relativa al piccolo feudo di Jelsi è conservata presso
ASN.
. Nel documento originale l’autore dell’apprezzo si firma Luigi Nauclerio, tuttavia il suo
cognome è stato tramandato anche come Hanaclerio; per quanto riguarda la sua professione
si definisce tavolario o tavulario e perito. Non si hanno notizie precise della sua biografia, ma
egli è sicuramente di origini campane. Risulta che abbia curato i seguenti apprezzi: Carfizzi
(), Gambatesa (); Gricignano (); Jelsi e Campobasso (); Palangianiello (); Rodi
Garganico (); Sicignano (); cfr. Elenco Apprezzi, a cura di ASN, .
. La regia Camera della Sommaria fu istituita nel Regno di Napoli da Carlo I d’Angiò
(–) e nel tempo divenne l’istituto per eccellenza che si occupava della riscossione dei tributi.
Svolgeva anche funzioni giudiziarie per tutto quello che concerneva il pagamento di debiti.
. Di Iorio, , ha ricopiato parte del manoscritto dedicato a Campobasso aggiungendovi
delle annotazioni.
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

La motivazione della perizia è collegata al governo dei Carafa, e
precisamente di Giambattista Carafa, duca di Jelsi, che prende possesso
di Campobasso nel  e domina duramente fino al , in un periodo
critico complessivamente per l’Europa (Benedict, Gutmann , ;
Cazzola , ), ma in particolare per il Regno di Napoli (fig. .).
Fu infatti tra la prima metà del  e la prima metà del , e cioè nell’ultimo anno di governo del Duca [Pedro Osuna vicerè di Napoli], che l’equilibrio delle finanze del Regno cominciò ad avviarsi sulla strada di un
deterioramento questa volta irreversibile (Galasso, b, p. ).
L’intensificazione della pressione fiscale tra il  e il  è dovuta
alle incessanti richieste di sostegno economico alle guerre da parte di
Filippo II . Non a caso in questo periodo Isernia perde il privilegio di
essere città regia e, secondo la documentazione della Regia Camera
della Sommaria, corrono lo stesso rischio città come Aversa, Capua,
Cosenza, L’Aquila, i loro casali e quelli di Napoli (Galasso, b).
Bartolomeo D’Aquino , da audace uomo d’affari e arrendatore,
impone il suo modello finanziario procurando ben sedici milioni di
ducati al sovrano, ma condizionandoli all’imposizione di gabelle sulle
basi del commercio napoletano come la seta, l’olio, la farina e il sale.
Egli rappresenta l’esito più evidente del potere degli arrendatori, ai
quali veniva affidata la riscossione delle gabelle .
. Per una rassegna bibliografica sulla crisi del Seicento a scala europea cfr. Benedict,
Gutmann, . Per le problematiche economiche nello spazio europeo cfr. Yun Casalilla,
; Yun Casalilla, .
. Così chiarisce Cazzola (, pp. –): «Molti storici hanno parlato di una crisi
generale, se si eccettuano alcune aree forti che già avevano imboccato la strada dell’incremento di produzione mediante innovazioni nei sistemi di coltivazioni (Olanda, Inghilterra,
Normandia)».
. La crisi del Regno di Napoli nel Seicento è stato oggetto di studio di Croce, , che
ha posto in evidenza la problematica morale; studi magistrali sul tema sono stati realizzati
e diretti da Galasso con pubblicazioni sul Mezzogiorno: cfr. Galasso, ; Galasso, ; il
tema è trattato anche nella collana diretta da Galasso sulla Storia d’Italia per l’UTET nei
volumi Il Mezzogiorno spagnolo, –, b, e Il Mezzogiorno spagnolo –, .
Per le rivolte nel Mezzogiorno si veda Musi, .
. È in questo periodo che la falsificazione delle monete napoletane diventa pratica
diffusa (Galasso, b). Per Isernia si veda l’ultimo paragrafo del secondo capitolo.
. Cfr. Musi, , che ricostruisce l’oscura figura del finanziere Bartolomeo D’Aquino.
Per una correlazione tra problemi demografici e fisco nel Regno cfr. Fusco, .
. Gli arrendamenti sono stati magistralmente studiati da De Rosa, . Si rimanda

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Carta di ispirazione maginiana appartenente all’Atlas Novus di J e C.
Blaeu,  (fonte: Petrocelli, ).
Il reperimento di fondi, messo in atto da Bartolomeo D’Aquino,
provoca la ribellione del  e il collasso del Regno, che si concretizza
nella decadenza delle manifatture, nella ridotta produttività cerealicola,
nonché nella battuta d’arresto dell’esportazione dell’olivo e del vino
(Brancaccio, ). La crisi economica e la carestia diventano poi il
contesto favorevole della diffusione della peste, la peggiore quella del
. Infatti, al trend positivo del XVI secolo si contrappone, in tutto il
Regno di Napoli, la crisi socio–demografica che radicalizza i contrasti
sociali (Galasso, ).
In Molise si registra un’incisiva crisi demografica, ricostruita precisamente più avanti, che comporta l’abbandono di molti insediamenti
e una complessiva decurtazione della popolazione. Oltre alla peste
e alla carestia, i superstiti subiscono gli attacchi dei Turchi i quali,
nel , dalla zona costiera si spingono all’interno del Contado. In
continuità con tali eventi, la vita economica appare pervasa da una
generale regressione e da un incisivo sfruttamento delle poche risorse
da parte dei feudatari (Brancaccio, ; Massullo, ).
anche a Galasso, b. L’arrendatore era l’appaltatore di gabelle.
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

La stessa Campobasso, che grazie alle ambizioni di Cola Monforte
e alla vocazione commerciale si era posta in evidenza nel XVI secolo,
è segnata nella sua vitalità e, già nel , i Gonzaga la vendono per
circa . ducati a Giambattista Carafa, duca di Jelsi.
Giambattista Carafa si impone assai duramente con sanzioni economiche, accumula debiti, sfruttando al massimo persino i diritti di
molitura e di pesca o intimidendo il popolo con carcerazioni illegali;
le sue azioni sono così inaudite da meritare l’attenzione degli storici
locali (De Attellis, ; U. D’Andrea, ). Non deve essere certo
un caso che, nel medesimo periodo, questo territorio interno subisca
il fascino della rivolta di Masaniello e, quando da Napoli giunge il
capopopolo Nicola Mannara , si forma nel  un governo popolare
a Campobasso. Anche qui, come in altre province, la pressione fiscale
crea le condizioni per le rivolte popolari, infatti il Mannara di Campobasso è pari a Matteo Cristiano, capopopolo in Puglia e Lucania, a
Ippolito Pastena nel Salernitano e a Francesco D’Andrea in Abruzzo
(Galasso, ).
Il duca Carafa stronca duramente la ribellione provocata dal Mannara e avvia un clima di terrore . Egli rende particolarmente rigido
il rapporto con l’Università di Campobasso e prepara una difficile
successione al figlio Mario; eppure i debiti non sono contratti solo
per l’esosità del feudatario, ma anche per sostenere le spese di militari
che garantissero il controllo dei tratturi (Cirillo, ). Il lento ma
graduale rafforzamento di questo nodo di transito dei transumanti,
che nelle prossime pagine si approfondirà, ha dei costi.
La situazione diventa critica alla morte di Giambattista Carafa. «Il
 giugno  Giambattista Carafa, carico d’anni e di rimorsi, moriva.
Gli successe il figlio minore don Mario» al quale «il  agosto 
venne spedita dalla R. Camera significatoria di Ducati » (D’Amico,
, p. ). L’erede deve al Fisco Regio circa  ducati ed è costretto
a contrarre debiti. I suoi creditori si rivolgono al consigliere commissa. Nicola Mannara è inviato dai rivoltosi della sommossa popolare guidata da Masaniello nel Molise come generale del popolo napoletano con la speranza di far insorgere la
provincia. Al suo arrivo il duca Carafa si ripara a Napoli e da qui ritorna a Campobasso
solo dopo che è restaurata la potestà vicereale e la propria (Masciotta, , vol. I).
. «Solo quando fu restaurato il governo Vicereale a Napoli, tornò la calma a Campobasso, e il feudatario si vendicò facendo trucidare i più accesi rivoltosi e lo stesso Mannara»
(Rocco, , p. ).

Campobasso da castrum a città murattiana
rio Antonio De Silva che dispone l’apprezzo dei feudi di Campobasso
e Jelsi per valutare i beni del duca, le possibilità effettive di pagare i
debiti, nonché gli eventuali crediti a cui si sia sottratta principalmente l’
Università di Campobasso . Infatti, a conclusione della perizia, Mario
Carafa sarà costretto a onorare i debiti contratti, mentre i campobassani non potranno sottrarsi al pagamento delle gabelle per rimettere
in ordine il loro bilancio .
Il perito dimostra esperienza nell’esecuzione del compito, visti i
numerosi apprezzi eseguiti, dal momento che
per l’intero corso del Seicento e almeno fino alla seconda metà del secolo
successivo, non essendo ancora determinate le competenze specifiche degli
ingegneri idraulici e militari e degli stessi cartografi, vennero affidate ai
tavolari innumerevoli incombenze non specifiche della loro professione
(Buccaro, De Mattia, , p. ).
Nell’introduzione , Nauclerio chiarisce che, scelto per regia bussola, ovvero a sorte, si è recato personalmente a Campobasso, nel
periodo intercorrente tra febbraio e aprile del , dove ha formato una commissione, i cui componenti sono i rappresentanti delle
. In conclusione l’apprezzo definisce la quantificazione della stima fiscale di Campobasso: «Quali uniti con li suddetti ducati sessantuno mila cento ottauno, tari due, e grana 
/ di capitali feudali, fanno la summa de’ Feudali, e burgenseatici, in docati settantamila
trecento e sedici, e grana  /» (Nauclerio, Apprezzo della Terra di Campobasso, , p.
). Per Jelsi cfr. ottavo paragrafo di questo capitolo.
. Nella parte finale dell’apprezzo si ribadiscono i doveri fiscali dei campobassani, che
sono tenuti a pagare una annualità di  ducati. Tuttavia, Mario Carafa fu anche costretto
a vendere alcune sue proprietà in un altro comune del Contado, Mirabello, e a cedere Jelsi
(D’Amico, ).
. Ecco il testo che illustra i passaggi giuridici: «Giunto con li suddetti magnifici
avvocati e procuratori dell’una e l’altra parte, quali si intesero da me, e fu considerato il
tutto, circa i confini, territori, feudi, e altro concernente alla detta terra di Campobasso,
come si dirà appresso, ed essendosi da me osservato, e riconosciuta la detta terra e qualità
di essa, visti e riconosciuti gli atti, informazioni, extragiudiziali e giudiziali, si presero colà
in partibus per la citazione del presente apprezzo, e similmente fatto poi in Napoli in casa
di V.S. più sessioni, sul concernente, con i magnifici avvocati e procuratori delle dette parti
ho finalmente apparato e formato l’apprezzo di detta Terra di Campobasso» (Nauclerio,
op.cit., p. ).
. I rappresentati delle due parti in competizione sono: l’avvocato Antonio Carafa e il
procuratore Cesare Cascia per il duca di Jelsi; gli avvocati Nicola Gonfalone e Vincenzo De
Cordova, il procuratore Domenico De Bisogno e il signor D. Francesco Zurato deputato
per il Monte dei Capece (Nauclerio, op. cit., p. ).
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

parti in causa e quattro conoscitori del luogo . La stesura è realizzata
in casa del commissario regio, a dimostrazione della presenza vigile
del governo centrale e degli interessi di nobili napoletani che risultano
coinvolti nei debiti di Mario Carafa, se il perito cita anche il rappresentante del Monte dei Capece, di una famiglia che aveva costituito nella
Capitale un monte, cioè un istituto di raccolta di denari . Campobasso non è più un piccolo centro lontano e distante, ma entra nell’orbita
degli interessi della capitale e il suo valore è importante per tali nobili
creditori.
L’apprezzo, un plico di centotrenta pagine (fig. .), appare il
risultato di una negoziazione tra le parti, per cui è un documento non
solo tecnico e politico–economico, ma ha anche il pregio di essere la
prima completa descrizione di Campobasso e lumeggia il profilo di
questa terra dopo la crisi secentesca.
.. La descrizione topografica
L’apprezzo Nauclerio fornisce la descrizione topografica precisa ed
esaustiva di Campobasso nel , a cominciare dai dati quantitativi: la
misurazione dell’estensione di detta terra, l’individuazione nitida dei
feudi confinanti e delle relative distanze, mostrando anche le località e
le città con le quali i campobassani hanno frequenti rapporti .
Detti confini, che circuiscono tutto il suddetto territorio di Campobasso
quale circuito è di miglia quindici in circa entro del quale si comprendono
territori seminatori, pascoli, vigne, orti, boschi e altri cespugli. 
. I quattro esperti prescelti sono: Salvatore De Marco, Giuseppe Romano, Giovanni
Paolo Ianesca e Giovanni Battista Zoticone (Nauclerio, op. cit., p. ).
. Sul Monte dei Capece e su questa nobile famiglia napoletana sono state effettuate
ricerche da Visceglia, , riportate sul sito dedicato alla famiglia Capece/Minutolo.
. La numerazione alle pagine è stata data dalla scrivente per facilitarne la citazione.
. Per l’analisi dello spazio urbano nell’età moderna cfr. P. Clark, , Classen, ,
Rombai, , Smith, , Talia, b, che ne puntualizzano le problematiche geo–
storico–demografiche. Bruce, Creighton, , ne analizzano le problematiche identitarie.
Berengo, , tratteggia la storia sociale nello spazio urbano e Calabi, , ricostruisce la
storia dell’architettura urbana sempre nell’età moderna. Per la discussione sulla specificità
dell’urbanesimo meridionale si rimanda all’ultimo paragrafo di questo capitolo e relative
note.
. Nauclerio, op. cit., p. .

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. La prima pagina dell’Apprezzo di Campobasso di Luigi Nauclerio,
.
Il circuito richiama l’attenzione del perito perché attraversato da
tracciati che, congiungendosi presso la taverna del Cortile , a circa
. La Taverna del Cortile era una sosta lungo il tratturo Castel di Sangro–Lucera,
nota dagli atlanti tratturali del XVII secolo; abbandonata nel tempo, i suoi resti sono stati
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

un chilometro ad est di Campobasso, la collegavano ai regi tratturi
Pescasseroli–Candela e Castel di Sangro–Lucera; inoltre, il braccio
tratturale Matese–Cortile–Centocelle ne attraversava l’agro nella traiettoria che si estende oggi dall’odierna via XXIV Maggio fino a via
Depretis (Manfredi Selvaggi, ).
Date le stime fornite da Nauclerio, possiamo con attendibilità ritenere che il circuito avesse una superficie di circa quindici miglia
quadrate, il cui centro è rappresentato dal Monte Bello e dall’abitato
tratteggiato in modo essenziale:
Campobasso è situata nella Provincia di Contado di Molise e proprio nella
falda di un monte di pietra viva, nella cima del quale vi è il castello, la chiesa
madre, con altre chiese dietro. È circondata detta terra tutta di muraglie e
con torrioni di mediocre distanza, tra l’uno e l’altro, intorno al quale recinto
vi sono cinque porte.
Il perito, grazie ai suggerimenti degli esperti locali, individua i
cambiamenti che sono avvenuti nella topografia urbana.
L’antica terra di Campobasso stava situata sulla sommità dell’anzidetto
monte, ove al presente, solo vi è rimasto il suo Castello [...]. Nelli quattro
angoli esterni del medesimo castello vi sono li baloardi di figura rotonda
tutti lesionali e cadentino, siccome anco le mura minacciano la ruina.
La descrizione concorda con la veduta tratta dall’archivio privato
del vescovo Angelo Rocca del  che mostra ormai la separatezza tra
l’altura e il borgo (fig. .) e conferma come qui sia avvenuta, al pari di
altri centri meridionali, un’urbanizzazione improvvisata (Labrot, ).
Peraltro, la veduta testimonia l’ampliamento delle mura, operato
nel XV secolo da Cola Monforte per inglobare parte del sobborgo
formatosi lungo il pendio.
La sezione più importante all’interno delle mura è rappresentata
da largo San Leonardo, posto nel declivio del monte, dove spicca il
distrutti.
. Il braccio tratturale era un utile collegamento anche per il Celano–Foggia e per un
tratturo, quasi interamente molisano, denominato Della Zittola, che collegava Campobasso
con l’Alto Molise.
. Nauclerio, op. cit., pp. –.
. Ibid., p. . Come si è chiarito nel quarto paragrafo del secondo capitolo, il castello
Monforte appare nel  in pieno disfacimento.

Campobasso da castrum a città murattiana
palazzo del feudatario ; da qui si diparte in continuità il sobborgo
agricolo Sant’Antonio. Infatti, quest’ultimo, fino agli anni Settanta del
secolo scorso, dava l’impressione di un autonomo villaggio contadino,
ubicato «in posizione di riparo dei venti nella base un po’ rilevata della
collina, prima che essa scenda nel piano squadrato da buoni campi»
(U. D’Andrea, , p. ).
Figura .. Veduta di Campobasso tratta dalla raccolta privata del vescovo Angelo
Rocca,  (fonte: Petrocelli, ).
In continuità con il periodo aragonese la vita cittadina si realizza
in questo ristretto ambito che, tramite la porta principale, conduce
al luogo più importante per il perito: il mercato fuori dalle mura (fig.
.). Lo spazio esterno, utilizzato dal XIII secolo, acquista ora una
funzionalità ampia e articolata.
Con grande attenzione Nauclerio disegna i luoghi del commercio
e della contrattazione, mostrando come «lo sviluppo urbanistico finì
per assecondare le esigenze sociali con la rottura del perimetro del
borgo antico» (Petrocelli, , p. ).
La maggior parte stanno con le loro botteghe fuora la porta di detta terra,
chiamata della piazza, molte le quali sono attaccate alle mura della terra,
. Ecco il passo: «All’incontro il palazzo di detto Ill.mo Duca vi è la Chiesa capitolare
di San Leonardo mediante una salita con dieci gradini, sopra le quali vi è la porta di detta
chiesa» (Nauclerio, op. cit., p. ).
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

Figura .. Campobasso nel XVI secolo secondo la descrizione proposta da Nauclerio. La città mantiene l’impianto delineato da Cola Monforte (fonte: Boffa,
).
altre nella piazza grande di mezzo ed altre si diramano in tre piazze, a
destra, a sinistra, e all’incontro la porta, quale è dietro la detta piazza grande
e più avanti vi è una spaziosa pianura detta Chiese, fra quali vi sono diverse
baracche di legname, coverte a tetti dove si fanno le dette fiere. 
Si dilata così il tessuto primitivo con l’arroccamento sui pendii,
benché non si assista alla costruzione di edifici di particolare qualità,
ma piuttosto ad un’espansione in base alle necessità commerciali
(figg. .–.), dal momento che il concorso dei forestieri e le arti qui
esercitate necessitano di uno spazio sempre maggiore.
La funzione mercantile diventa tutt’uno con l’evoluzione strutturale del borgo e con la sua discesa in piano, dimostrando come, negli
ambiti rurali, siano i processi di specializzazione e commercializzazio. Nauclerio, op. cit., p. .
. A tal proposito Labrot chiarisce (, p. ): «L’organismo urbano meridionale
affonda le sue tensioni nascoste nel contrasto, tanto dimensionale quanto tipologico, fra
l’anonimato del ‘costruito’ antico, della massa umile e senza età delle case dei contadini, e
l’arroganza espansiva di edifici isolati, recanti i segni di uno stile storicamente definito».

Campobasso da castrum a città murattiana
ne a far prevalere alcuni centri tanto nel periodo medievale quanto
nell’età moderna (P. Clark, b).
La vitalità al di fuori delle mura campobassane richiama quella di
Foggia.
Grande importanza ha l’espansione extramoenia che si impernia sul nuovo
centro civile–amministrativo costituito dal nuovo palazzo della Dogana
che fronteggia il palazzo dei Filiasi e si apre su di una piazza che ha come
fondale la facciata di San Francesco Saverio e le testate dei palazzi Perrone e
Barone–Perrone e che chiude l’asse di via Duomo, aprendolo verso nuovi
quartieri extramoenia (Pasculli Ferrara, , p. ).
Il punto di vista di Nauclerio è confermato da Pacichelli () che
così descrive Campobasso:
Vien posta nel lembo di un colle, che ritien parte della Rocca disfatta. Confassi al nome, aprendo un largo Mercato, e celebre per le Fiere negli ultimi
di giugno alla Provincia. Attissimi alla Negoziazione del Regno son gli Habitanti, molti de’quali applicano à cucire, e lavorar nel Cuoio. Già purgavan
la cera imitando i Veneziani nelle candele che compongono ancor bene
di sevo. Il Territorio produce buon vino che serbasi nelle proprie grotte
freddissime (Pacichelli, , vol. , p. ).
Grazie a Pacichelli, possiamo operare il raffronto anche con Isernia:
Hoggi apparisce grande, e popolata, con buone fabriche, rivi copiosi d’acqua,
officine di ottime cartapecore, allegra ed abbondante; signoreggiata con varj
castelli, e col titol di Principe del primogenito dalla Casa del Vasto d’Avalos
che vi tiene apparecchiato un gran palazzo. Hoggi però passata al Principe
di Colle d’Anchise Costanzo (Pacichelli, , p. ).
Pur essendo diffuse qui arti e officine, è ben chiara la differenza tra
i due centri: i campobassani sono attissimi artigiani, mentre Isernia
è punteggiata di castelli e dominata da un’ importante famiglia. Vi è
dunque a Campobasso un atteggiamento meno pretenzioso ma più
produttivo che diventa evidente nello sfruttamento dell’agro perseguito con oculatezza. Conosciamo le tipologie di produzione agraria:
grano, orzo, legumi, frutta, soprattutto mele ed uva, mentre scarsa
è la presenza dell’ulivo. Le rese risultano soverchie e quindi adatte alla commercializzazione, mentre la caccia fornisce un’altra ricchezza
per il vitto. L’area più vantaggiosa è il bosco della Faete, che ha la
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

Figura .. Strada Cannavina oggi, un tempo qui era collocata la porta principale
che conduceva a largo San Leonardo.
sua collocazione sul colle posto di fronte a quello della città, dove la
risorsa boschiva consente l’allevamento di pecore e di maiali, mentre
la sorgente Foce alimenta i mulini . Le grotte a cui fa riferimento
. Altra ricchezza segnalata nell’apprezzo è proprio quella idrica: per usi domestici e
per gli animali; vengono individuati anche sorgenti e pozzi in tutto il territorio (Nauclerio,
op. cit., pp. –).
. L’analisi svolta da U. D’Andrea, , a proposito degli atti notarili di questi anni
dimostra la grande vivacità ed interesse per i mulini, utilizzati per macinare, dati in affitto,

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Piazza Pepe, un tempo lo spazio fuori le mura.
Pacichelli sono le neviere volute dai Carafa (U. D’Andrea, ).
Emerge una proiezione verso l’esterno dell’abitato che è sistematica
per gli usi civici nei feudi di Camposenarchioni, San Giovanni in
Golfo e Salsere, ma anche dello sfruttamento che diverrà puntuale
nei decenni successivi . Campobasso diventa così un interessante
esempio del rapporto gerarchico che viene a stabilirsi tra le comunità
e il contado (Vitolo, ).
Infine, Nauclerio non tralascia di descrivere gli spazi sacri, riservati
alle chiese e ai monasteri, delineandone la precisa posizione e l’intero
corredo di statue e arredi che ne comprovano il valore non solo
spirituale, ma economico . L’ampiezza di tale descrizione è collegata
al grande potere che le confraternite hanno nella città, in linea con
il cattolicesimo imperante nel Regno (Campanelli, ); anche a
Campobasso, come ad Isernia, la diffusione di luoghi di culto rientra
oggetto di compravendita.
. Di questi feudi si tratterà nel quarto capitolo.
. Ecco la precisa descrizione della Chiesa di Santa Maria Maggiore, posta sul monte
vicina al castello: «La quale consiste in tre navi piccole, coverte a tetto alla Romana, in testa
della nave di mezzo vi è l’altare Maggiore con custodia e gradini, con due statue di San
Cosmo e Damiano, indorate [...] con statua di Santa Maria Maggiore, il tutto indorato. Sopra
la detta porta vi è l’organo, fonte battesimale e fonte per l’acqua benedetta» (Nauclerio, op.
cit., p. ).
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

nel ruolo strategico della Chiesa romana sempre presente e pronta a
svolgere funzioni di controllo territoriale.
Si definisce uno spazio nello spazio: il sacro ha i suoi luoghi specifici e le sue ricchezze. I monasteri sono disposti intorno alle mura,
alcuni più vicini, altri distanti circa un quarto di miglia, quasi a corona
circolare nell’agro . Ogni ordine è rappresentato: i padri celestini, i
padri augustiniani, i cappuccini. Proprio nel  era stata avviata la
costruzione del convento dei padri cappuccini, fuori dall’abitato di
Campobasso lungo la strada per Termoli, accanto all’antica chiesa
della SS. Annunziata; il convento era dunque ubicato lungo l’asse
viario centrale che conduceva ai tracciati tratturali (Novi Chavarria,
). Intitolato a Santa Maria della Pace, nel corso del XVIII secolo
non si farà notare solo per la costruzione consistente ma per il suo
attivismo (fig. .).
Nel complesso, la topografia di Campobasso ricalca le caratteristiche tipiche di un piccolo nucleo munito di mura e con un ampio agro
circostante, ma lo spazio fuori le mura si adegua al traffico commerciale con un’urbanizzazione improvvisata. È dunque una topografia
consona al quadro ambientale della transumanza: le greggi giungevano numerose presso i centri abitati, attraversando monti e pianure
tramite i “tratturi”, influenzando anche la disposizione della pianta urbane come è documentato per Foggia, dal secolo XVI in poi .
Campobasso però non è soggetta a trasformazioni sistematiche, a differenza non solo di Foggia ma anche di Lucera, che gode dello status
di capitale culturale della Capitanata tra il XVI ed il XVII secolo, poiché
molte famiglie nobili del regno vi stabiliscono la propria residenza,
arricchendola di eleganti palazzi . Neppure si avvantaggia dell’attenzione di una personalità d’eccezione, come accade a Benevento, dove
il cardinale Vincenzo Maria Orsini si impegna a ristrutturarne l’im. La loro collocazione è precisamente descritta; sono indicate la distanza dal centro, la
struttura e le caratteristiche decorative. Ecco un passo relativo ai conventi: «Poco distante
dal detto Monastero di San Francesco vi è un altro monastero di Santa Maria della Libera
dei padri celestini, con affacciata verso la detta piazza, con dodici finestre, e appresso vi è
l’affacciata della chiesa, di pietra viva del paese, con porta nel mezzo di lavoro gotico, di
detta pietra, con una campana grossa» (Ibid., p. ).
. Per le notizie riguardo al convento cfr. Bernardino da San Giovanni Rotondo, ,
e le riflessioni di Novi Chavarria, ; cfr. anche il capitolo successivo.
. Cfr. Melillo, .
. Cfr. Melillo, .

Campobasso da castrum a città murattiana
pianto urbanistico e si preoccupa pure che sia fornita di una struttura
ospedaliera e di un ospizio per i pellegrini (Bencardino, ). Tuttavia,
gli spazi fuori le mura cominciano ad acquisire un’importanza sempre
maggiore (fig. .).
Figura .. Chiesa e convento di San Francesco.
.. La quaestio demografica e il ceto dei mezzani
Nauclerio fornisce il preciso numero dei fuochi presenti a Campobasso nel :  , ma non chiarisce quante siano le anime; si può
ragionevolmente stimare che la popolazione di Campobasso fosse di
circa  abitanti nel , considerando – componenti per fuoco.
Questi dati, comparabili con le numerazioni del Regno di Napoli,
comprovano che la pestilenza del  ha decurtato la popolazione
all’incirca del % e i fuochi si sono ridotti da  a  (fig. .).
. Nauclerio, op. cit., p. . Per il calcolo dei componenti cfr. nota .
. I dati del Contado relativi alle numerazioni dei fuochi sono tratti da G.B. Masciotta,
, I. vol. Per il quadro complessivo della situazione demografica nel Mezzogiorno
moderno cfr. Delille, .
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

Figura .. I tracciati tratturali e la centralità di Campobasso (fonte:
mezzogiornoitalia.it).
La crisi demografica correlata a quella economica è pari in tutto
il Regno di Napoli; il connubio estremamente incisivo è costituito
da carestia e pestilenza, per cui la diffusione virale è facilitata dalla
crisi economica del Mezzogiorno. Ma, se nell’intero Regno di Napoli
la perdita complessiva della popolazione è del %, nel Contado la
contrazione dei fuochi risulta del %, mentre a Campobasso del %.
Due furono, in particolare, le grandi ondate epidemiche che interessarono
l’Europa e il bacino mediterraneo, la prima, che si sviluppò negli anni –
, colpì soprattutto la parte centrale del continente, compresa l’Italia
settentrionale, la seconda, il cui baricentro cronologico va collocato nel ,
flagellò l’Europa meridionale e in generale i paesi che si affacciavano sul
Mediterraneo (Breschi, Fornasin, , p. ).
Nel Contado, come attestano le numerazioni del Regno e come
riferisce il De Attellis (), vi erano . fuochi nel , suddivisi
in  nuclei abitati, che aumentano fino a . nel  per ridursi
invece a . nel . Tenendo sempre fermo che ogni fuoco doveva
essere formato da – componenti, il Contado sfiorava i . abitanti

Campobasso da castrum a città murattiana
prima della pestilenza del  per poi attestarsi su circa  unità. Il
trend trova debito riscontro nei dati raccolti da Lalli sulla riduzione della
popolazione in alcuni villaggi della valle del Biferno (tab. .).
Il Molise risulta particolarmente colpito, acquisendo un ruolo demografico secondario come l’Umbria e le Marche nell’età moderna
(Malanima,; Rombai, ), anche perché il recupero della risorsa
umana avviene lentamente dopo il .
La Capitanata, la cui diminuzione di popolazione è all’incirca del
% per il terremoto del  e per la pestilenza del , negli anni
successivi conosce un vero e proprio exploit demografico (Pasculli
Ferrara, ). In particolare Lucera e Foggia «confermarono il loro primato, sia pure con un trend più favorevole per quest’ultima»
(Melillo, , p. ).
Figura .. Le oscillazioni demografiche tra il XVI e XVII secolo (ns. elaborazione
dalle numerazioni del Regno).
In Terra di Lavoro, l’andamento demografico conosce un’adeguata
. Ogni fuoco, ovvero ogni nucleo familiare, era formato da / componenti. Il calcolo
dei componenti dei fuochi è effettuato in base alle indicazioni di Gambi, , e Brancaccio,
.
. Tale andamento è in linea con la media nazionale, benché la popolazione italiana, pur
registrando la falcidia della peste, rimane apparentemente invariata nel corso del XVII secolo
(Del Panta et al., ), dimostrando come i processi demografici vadano indagati in base alle
specifiche condizioni di ogni area.
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo
Comuni molisani
Fuochi nel 1548
Fuochi nel 1595
Fuochi nel 1669
Boiano
Campochiaro
Montagano
Sant’Angelo
San Massimo
Montorio
Morrone
Montenero
San Martino
Termoli
359
319
260
150
195
97
90
225
300
215
150
214
113
119
87
94
81
137
204
110
65
167
119
101
108
273
391
239

Tabella .. La popolazione per numero di fuochi di alcuni villaggi della valle del
Biferno (Fonte: Lalli, ).
ripresa dopo la pestilenza (Lepre, ), al pari di Benevento, dove pure
si registra tra il  e il  una perdita complessiva di circa il %
della popolazione per il binomio pestilenza–terremoto . Il Molise
invece reagisce in misura alquanto diversa.
Come sottolinea Brancaccio (), il Contado aveva già accumulato degli scarti rispetto al resto del Paese nei decenni precedenti per la
costituzione dei fuochi non particolarmente consistenti. Fondi (),
a sua volta, ha messo in evidenza che il calo estremo dei fuochi era
determinato non solo dall’epidemia, ma dalla maggiore povertà e dalla
pressione fiscale. Inoltre, come ha dimostrato Delille (), studiando
i regimi socio–demografci del Regno di Napoli, nelle zone votate al
latifondo cerealicolo il duro lavoro bracciantile comportava una più
elevata mortalità maschile, mentre le migrazioni stagionali, legate
alla transumanza, condizionavano i ritmi della fecondità. Quindi, «in
Molise, dove finita la peste, un quadro di diffuso squallore si presentò
agli occhi dei sopravvissuti e dove la vita economica apparve pervasa
da una generale regressione» (Brancaccio, , p. ), non è favorita, a differenza di altri contesti, una ripresa veloce dell’andamento
demografico. Si può dunque affermare che, parimenti all’Umbria o
alle Marche, il Molise definisca nell’età moderna il suo ruolo demografico secondario (Sarno, d), mentre l’emigrazione, tra Otto e
. Si veda il capitolo sugli andamenti demografici di Benevento in Bencardino, ;
egli riferisce che nel  qui vi dovevano essere . abitanti che diventano . dopo
la crisi del –, il terremoto del  e l’epidemia del . Essi continuano a diminuire
fino a ridursi a circa . dopo la pestilenza del  e il terremoto del . Poi la ripresa
sarà veloce e Benevento nel corso del XVIII secolo si stabilizza intorno ai . abitanti.

Campobasso da castrum a città murattiana
Novecento, ne rappresenterà solo una più esplicita stigmatizzazione.
Campobasso, pur rimanendo comunque uno dei centri più popolosi del Contado, vede quasi dimezzare la sua popolazione , all’interno
della quale è semplice per il perito individuarne gli ordines:
Fra i cittadini di detta terra vi sono due baroni; [...] dodici persone ricche
che vivono di rendita propria, dodici dottori di legge, quattro medici fisici,
due pittori, un capitano di battaglione a piedi ed un tenente di medesimo a
cavallo, tre speziali medicinali [...] due notari e quattro giudici a contratto.
La scarsa presenza nobiliare è collegata alla consuetudine, nel Regno, di lasciare in gestione le proprietà fondiarie . Risulta invece un
gruppo intermedio, benestante per rendita o per professione. Sono
i rappresentanti di un ceto che Nauclerio definisce mezzano, perché
vive di rendita o pratica un’attività civile. Non deve meravigliare tale denominazione perché corrispondente «all’ingorgo normativo di
antico regime» e a «fenomeni di mobilità sociale» non strutturati
(Salvemini, , pp. –), principalmente nel Regno di Napoli,
dove non si erano affermati i burgenses e la denominazione del ceto
intermedio era particolarmente complessa .
Il perito distingue chi vive di rendita propria da chi deve esercitare
una professione o un’arte. La rendita media dei dodici mezzani più
importanti si aggira intorno a quindicimila ducati, dovuta al possesso
di proprietà, tuttavia si profila all’orizzonte un’eccezione: c’è una
famiglia che ha come rendita non la terra, ma dodicimila pecore gentili
. È una popolazione dove non sembrano esservi presenze di immigrati, come i croati
e gli albanesi insediatisi nel Basso Molise o di ebrei che avevano scelto come sede principale
Isernia.
. Nauclerio, op. cit., pp. –.
. Ecco il passo specifico: «Fra i cittadini di detta terra vi sono due baroni; uno di casa
D’Attellis, il quale tiene il feudo fuori del territorio, e giurisdizione dell’Ill.mo Duca e
possiede in detta terra case e masserie; l’altro barone di casa Iannucci possiede un feudo
rustico chiamato Tappino, alias Capraia» (Nauclerio, op. cit., p. ). Il De Attellis ()
attribuisce tale esiguità al governo dispotico dei Carafa che avrebbero allontanato nobili
famiglie o probabilmente non ne avrebbero favorito la sistemazione in loco.
. Così fa notare Jones (, p. ) a proposito dei mediani «chiamati spesso con il
termine importato dal Nord di burgenses, nettamente differenziati dai nobiles e dai milites,
che, nonostante il nome, erano senza la forza necessaria per diventare borghesia; la loro
costituzione sociale era infatti parzialmente mercantile o composta di mercatores».
. Per la struttura sociale e le definizioni dei ceti nel Regno cfr. De Marco, ; Jones,
; Salvemini, ; Visceglia, .
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

e il perito non si fa scrupolo a citare i fratelli Alessandro e Pompilio
Petitto .
Tra i notabili, secondo caratteristiche sociali proprie del Regno di
Napoli, non mancano uomini esperti di legge. Essi svolgono una funzione di mediazione tra i poteri, soprattutto tra la litigiosità baronale
e la jacquerie contadina (Colapietra, ).
Eppure, la massa critica di questo ceto emergente è costituito dagli
artigiani, che rappresenta all’incirca il % del popolazione, dal momento che Nauclerio elenca in modo circostanziato oltre  botteghe
esistenti; ecco un passo emblematico:
Sedici botteghe di merciari, i quali anche vendono zuccaro, pepe, cere ed
altre robe, come anche diverse panni, bottoni, seta ed altro; cinque baracche
che stanno in piazza con diverse sorti di mercerie; sette botteghe di sartori
che fanno vestiti nuovi, quattro botteghe di barbieri.
Il fatto che vengano indicate prima le botteghe di sartoria (sette),
merceria (ventuno), scarperia (venticinque) e cappelleria (quattro), ne
mostra l’importanza; i loro gestori utilizzano materiali locali, lavorano
per i paesi circostanti e rappresentano le basi del comparto tessile,
nerbo delle attività proto–industriali (Mocarelli, ).
D’altronde, Francesco Longano , circa un secolo dopo, nella sua
relazione del , elencherà nel dettaglio le materie prime — lana, canapa, lino, seta, cotone, metalli, legname, creta — che nel Molise sono
la base delle arti, illustrando la diffusione di materiali utili soprattutto
per l’abbigliamento. La lana è un altro vantaggio che deriva dall’allevamento, come, ai margini dell’agro di Campobasso, vi è un’area
destinata alla coltivazione dei gelsi , dove appunto nel  era stata
costruita la chiesa di S. Giovanni dei Gelsi . Si è, quindi, consolidato
. Nauclerio, op. cit., p. .
. Nauclerio, op. cit., p. . L’elenco continua particolareggiato senza fornire né i nominativi degli artigiani, né l’eventuale affitto corrisposto per il fitto della bottega, come si
vedrà nel successivo apprezzo del ; cfr. quarto capitolo.
. Per Longano cfr. l’ultimo paragrafo del quarto capitolo; per un approfondimento
su quest’autore Sarno, f.
. L’introduzione della coltivazione del gelso nell’Italia meridionale avviene nel Seicento ed è una delle poche coltivazioni di pregio utili per l’industria rurale (Rombai, ).
Nell’apprezzo si fa riferimento alla Masseria delli Celsi di proprietà del duca Mario Carafa
(Nauclerio, op. cit., p. ).
. Si veda U. D’Andrea, .

Campobasso da castrum a città murattiana
nel tempo uno stretto raccordo tra le materie prime e la loro lavorazione, fin poi a commercializzarle. Il beneficio deve avere una certa
consistenza se le donne, che hanno bisogno di lavorare, si dedicano
alla filatura. Collegate a queste botteghe vi sono undici concerie e tre
per il biancheggiare, cioè per la lavorazione delle pelli, nonché quelle
per la realizzazione dei finimenti per animali in corrispondenza con il
continuo passaggio dei transumanti .
Una vera e propria specializzazione è la lavorazione del ferro, attestata dal fondaco del ferro, gestito dall’Università di Campobasso per
conto dell’arrendatore generale del ferro di Foggia , e dall’affermazione del borgo dei Ferrari, a servizio del territorio in modo diffuso ,
attorniati dai maestri d’ascia e di fucilerie. Si comincia ad affermare
quell’abilità campobassana di predisporre lame e forbici affilate che
solo l’odierna industrializzazione ha posto in decadenza, ma non ha
potuto annullare (fig. .).
La vitalità artigianale è confermata dal fatto che «li restanti cittadini
sono lavoranti di detti artisti; altri in coltivar territori e vigne e per
custodia di animali, e li restanti sono poveri braccianti quali vivono
alla giornata in servizi alieni» . La popolazione complessivamente
vive dignitosamente; forme di povertà non sono neppure marginalmente segnalate da Nauclerio, benché l’osservatore le dovesse ritenere
manifestazione abituale provenendo da Napoli . Anzi egli segnala che
qui la «perfettissima aere mantiene li suoi abitanti con buona salute,
essendovi i vecchi di settanta, ottanta e novant’anni in circa» .
. Non mancano ovviamente le botteghe di panettieri, di chi produce candele di sego
o lavora materiali locali come la creta e il salnitro. Vi è una sola oreficeria e i barbieri curano
anche le leggere ferite: in diversi casi Nauclerio ribadisce che lavorano tanto al servizio del
territorio quanto dei paesi confinanti.
. Nauclerio, op. cit., p. .
. Ivi, p. .
. Ivi, pp. –.
. Si rimanda a Mancini, , per la presenza dei rom nell’Italia meridionale e quindi
in Molise; tuttavia la comunità rom ora presente a Campobasso sembra essersi radicata
nel secolo scorso, mentre in precedenza si ha notizia della presenza di zingari dediti al
commercio dei cavalli.
. In altri passi Nauclerio puntualizza che vivono li detti cittadini civilmente, si sofferma
sulle donne che vestono anche all’uso di Napoli e le suddivide in tre categorie sociali: le
donne civili che attendono alle loro case, le mezzane che si industriano nella filatura, le
serve e le povere che vanno a lavorare nei campi (Nauclerio, op. cit., p.).
. Ivi, p. .
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

Si possono, quindi, nitidamente conoscere le forze sociali presenti:
una popolazione rurale sottoposta ad un feudatario e a pochi nobili
secondo una rigida impostazione medievale, nella quale il ceto intermedio caparbiamente tende ad affermarsi. «È significativo rilevare
che da questa informe comunità incominciò a delinearsi una classe
dirigente borghese che per vie giudiziarie e soprattutto con il denaro
accumulato con la professione o con il commercio, insidiò le basi
economiche e di potere di irriducibili feudatari» (Petrocelli, , p.
).
Peraltro, la “secondarietà” demografica molisana non condiziona la
ripresa socio–economica di Campobasso, garantita da un manipolo di
mezzani che hanno conservato una scintilla del dinamismo aragonese
(Sarno, d). Il che significa che non è la quantità di popolazione
a garantire lo sviluppo di questa terra, ma l’inserimento nella rete
tratturale.
Figura .. La strada dei Ferrari, un tempo ubicata appena oltre la porta principale.

Campobasso da castrum a città murattiana
.. Le relazioni territoriali e commerciali
Le relazioni extra–moenia non sono casualmente focalizzate da Nauclerio: Campobasso non è isolata, ma è collocata in una rete che la
collega agli altri centri del Contado e non solo. La testimonianza delle relazioni commerciali è fornita dalle dettagliate indicazioni delle
distanze dai centri confinanti:
Dalla città di Benevento anche miglia ventiquattro [...] dalla città di Lucera
anche miglia trenta; dalla città di Foggia miglia quarantadue dove vi è fiera
nel mese di maggio e dalla città di Napoli miglia sessanta incirca.
Emerge una ricca rete di rapporti viari e commerciali e le distanze
riportate in miglia dimostrano di non essere un effettivo problema. In
particolare, la città si pone, in una posizione mediana, come centro
di transito tra Benevento, Foggia e Lucera. Come si accennava nel
capitolo precedente, il rapporto di dipendenza con la Capitanata è
ben chiaro: Foggia è la capitale economica per la Dogana della Mena  ,
mentre a Lucera ha sede la Regia Udienza . Foggia prevale anche
per le sue fiere, dove si commercializzano una grande quantità di
lana e tanti altri derivati dell’allevamento; la sua piazza è il centro
di smercio di tutti i prodotti non solo del Tavoliere, ma anche di
Terra d’Otranto, di Terra di Bari, della Basilicata, dell’Abruzzo, del
Molise. Inoltre, in quanto città regia la proprietà è frazionata in misura
maggiore che in centri dove un feudatario eserciti il suo dominio, per
cui gli spazi del ceto intermedio sono sostanziali . È dunque un luogo
economico cruciale, noto in Europa e pari ad altri (Bateman ).
Rispetto a Foggia, Campobasso si attesta su una posizione subordinata ma non secondaria, poiché il suo circuito è in grado di ospitare
. Nauclerio, op. cit., pp. –.
. Si rimanda al quinto paragrafo del secondo capitolo.
. La Regia Udienza era un tribunale al quale dovevano fare capo tanto la Capitanata
quanto il Contado.
. In virtù di questa prevalenza una fiera di Campobasso concomitante a quella
foggiana risulta soppressa.
. Il ruolo geo–economico di Foggia e della sua fiera è affrontato da Crisafulli, Miccolis,
; Pasculli Ferrara, . L’aspetto urbanistico è stato studiato da Melillo, , mentre
per un’analisi complessiva dei centri della Capitanata cfr. Poli, .
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

transumanti, mercanti, forestieri. Inoltre, come il tavolario chiarisce,
è sede di un Uditore distaccato dall’Udienza di Lucera .
I rapporti con Benevento , altra località fieristica, sono dovuti al
fatto che, attraverso il passaggio per tale città, si raggiunge la Capitale. Benevento, infatti, è «al centro di una via che collega Napoli,
passando per il Principato Citra, Avellino, Mercogliano, Montecalvo, Ariano, Bovino, con Foggia e con le altre città pugliesi» (Musi,
, p. ). Campobasso si giova di quest’altra rotta commerciale,
senza ovviamente escludere i contatti di carattere religioso: «In quanto allo spirituale sta soggetta al Vescovo della città di Boiano, con
l’appellazione all’Arcivescovo di Benevento» .
Per di più, la stessa politica spagnola rafforza, oltre a città importanti come
Foggia, altri centri ubicati a salvaguardia di assi viari o tratturali e del sistema
annonario. Sono paradigmatici tre esempi: Amalfi che diventa presidio in difesa
di Napoli, Ariano che garantisce il commercio del grano tra la capitale e la
Puglia, Campobasso per la salvaguardia dei tratturi regi (Cirillo, ; Galasso,
). Le esigenze politiche ed economiche rendono più fitti i traffici (Calabi,
), mentre i tratturi, come in Spagna, diventano un fattore unificante.
Campobasso sfrutta l’inserimento nella rete tratturale attraendo il
traffico dei transumanti tanto per la sua posizione geografica, quanto per le sue fiere comprovate anche da altri documenti . Ne sono
documentate due coincidenti con la festività dei Santi Pietro e Paolo,
il  giugno, e con la natività della Madonna, l’ settembre; la fiera
indicata nel documento del  ha mantenuto la sua stabilità aggiungendosi quella di giugno . Esse quindi rafforzano il ruolo di circuito
commerciale di questo territorio (Ait, ).
. In tal modo per alcune questioni giudiziarie gli abitanti del Contado non dovevano
recarsi a Lucera ma potevano risolverle a Campobasso.
. Dal  per circa otto secoli Benevento è stata un’exclave nel Regno di Napoli
assoggettata al dominio pontificio (Bencardino, ).
. Nauclerio, op. cit., p. .
. Mancini, c, oltre a tramandare i documenti della città, ha avuto il merito di aver
ricostruito l’organizzazione fieristica molisana della quale ha lasciato una vera e propria
statistica in base a documenti dell’Ottocento. Si veda poi la sintesi di Masi, , a proposito
di documenti dell’età aragonese e delle fiere di Lanciano e Venafro.
. Ecco il passo tratto dall’apprezzo: «Vi fanno le dette fiere, una alli  giugno, nel
giorno di S. Pietro e Paolo, e l’altra nella natività della Madonna a dì  di settembre, nella
quale vi è gran concorso di forestieri per vendere e comprare di tutte sorti d’animali»
(Nauclerio, op. cit., p. ).

Campobasso da castrum a città murattiana
Il perito tratteggia il quadro fieristico tra l’area beneventana, il
Contado di Molise e la Capitanata. Nel Contado si distinguono, come località di commercio collegate con Campobasso, Riccia per la
fiera della Madonna del Rosario nel mese di settembre, Boiano con
la fiera di San Bartolomeo in agosto, Campomarano con la fiera di
San Francesco a ottobre . Non risultano generalmente coincidenti,
a dimostrazione di un’organizzazione che non vuole creare sovrapposizioni . Esse durano per diversi giorni, richiamano mercanti, che
affittano baracche di legno: «Nella fiera venendo forestieri e ponendo
banche in piazza pagano un carlino per ogni luogo» (fig. .).
Figura .. Esemplare di baracca in una litografia dell’ (Fonte: Trombetta,
).
Boiano e Riccia hanno una certa vivacità, ma spetta a Campobasso
soddisfare le esigenze di altre aree territoriali, infatti «in tempo di
fiera vi corrono quasi tutti i negozianti delle sopradette città e terre
di vendere e comprare tutte le sorti di mercanzie per il che vi è gran
. Ivi, p. .
. Il perito chiarisce ripetutamente che le fiere richiamano i forestieri. Dai piccoli
centri limitrofi gli abitanti si mettono in cammino per fare acquisti soprattutto per il vestire
e il calzare, come il tavolario precisa, per propria esperienza, a proposito di chi vive a Jelsi;
cfr. penultimo paragrafo di questo capitolo.
. Ivi, p. .
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

concorso di forestieri» . Il ruolo mercantile è garantito ulteriormente
dal mercato settimanale del giovedì, utile per «comprare e vendere
diverse cose, commestibili, e altro» .
Prevalente e caratterizzante per un nodo di traffico transumante,
però, è la vendita del bestiame a tal punto che rappresenta uno dei
compiti del rappresentante locale — il Mastro Giurato — che detiene particolari poteri, in tempo di fiera, nell’amministrazione della
giustizia e per la riscossione delle gabelle .
Nel complesso una fiera frutta circa centocinquanta ducati rappresentando un’entrata considerevole per una terra che ne deve al
suo duca annualmente settecento. Non a caso Campobasso, come
attestano i documenti del Consiglio Collaterale, non lesina le spese
per il mantenimento di reparti militari , posti a presidio dei tracciati
tratturali; vi fa fronte ricorrendo anche al taglio del bosco del demanio
comunale:
L’università e governo di Campobasso dice a Vostra Eccellenza come in
essa terra s’è conferito il signor Geronimo Nespolo tenente del signor
principe d’Ascoli maestro di campo generale della cavalleria e in fanteria e
per presidiarci una compagnia di soldati a cavallo ha destinato alcune case,
stalle, e taverne per caserma per la strettezza di fuochi in essa terra per
l’alloggiamento di detti soldati e cavalli.
L’organizzazione spaziale delle aree interne del Regno di Napoli
è dunque ben articolata e si traduce in una ricca rete di rapporti
commerciali tra le province di Terra di Lavoro, Abruzzo, Principato
Ultra e Capitanata; il Contado, ma principalmente Campobasso, se
ne giova acquisendo una posizione geo–economica che trova perfetta
. Ivi, p. .
. Ibidem.
. Ecco il passo specifico: «Il quale Mastro Giurato esige in tempo di fiera per ogni
pezzo d’animale vaccino (che viene da fuora a vendersi in essa fiera) due carlini [...] e per
gli altri animali piccoli, come sono pecore, capre, porci, un grano per pezzo» (Nauclerio,
op. cit., p. ).
. Come chiarisce il perito, nella popolazione campobassana vi sono anche dei militari:
«Fra i cittadini di detta terra vi sono [...] un capitano di battaglione a piedi ed un tenente di
medesimo a cavallo» (Nauclerio, op. cit., pp. –).
. Cfr. Collaterale di provvisione (ASN), ; esso era un organismo con funzioni
legislative. Si veda pure il commento di Cirillo, .

Campobasso da castrum a città murattiana
corrispondenza nella Tavola del Contado elaborata da Cartaro nel
 (fig. .).
Figura .. Tavola del Contado de Molise di M. Cartaro, ; è bene in evidenza
la posizione geografica del Contado rispetto alle altre province (fonte: Petrocelli,
).
.. Il potere politico e quello religioso
Il potere politico nella terra di Campobasso sembra non essere messo
in discussione: il feudatario rappresenta un quid ineliminabile. Questo
atteggiamento è assolutamente coerente ad un Regno nel quale tra
«affermazione della sovranità unica e indivisibile e persistenze feudali
non venne a configurarsi un processo di contrapposizione» perché «a
caratterizzarne i rapporti furono piuttosto l’osmosi e un complesso
intreccio fra collusione e collisione» (Musi, , p. ). In sostanza
nel Mezzogiorno si concretizza il feudalesimo moderno, sostenuto da
una molteplicità di funzioni delegate .
. Si veda anche il primo paragrafo del primo capitolo.
. La problematica del feudalesimo moderno e delle sue distinzioni da quello medievale è discussa da Musi, , a partire dalle tesi di medievalisti come Boutruche () e
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

Seppure fosse stata superata la fase medievale in cui ogni terra fosse
un beneficio e ogni bene o persona dipendesse dal sovrano, tuttavia lo
sviluppo dello stato moderno in alcune aree europee aveva raggiunto
dei compromessi con il baronaggio, che aveva un forte peso nella
gestione economica. Campobasso ovviamente non fa eccezione. I
Carafa non sono né amati né stimati, ma il loro potere appare per
ora insostituibile ed è rappresentato dalla grandezza del palazzo. Nauclerio ricostruisce tutti gli spazi interni del palazzo, perché comprovi
ricchezza e potenza.
Primo il palazzo del detto Sig. Duca, il quale è situato nel luogo detto la
strada di Sant’Andrea, all’incontro la detta chiesa capitolare di San Leonardo
che con grata di fabbrica con una tesa s’ascende in un ballatojo, coverto a
tetto, nel quale s’entra la porta della sala, con ornamento di pietra scorniciata
del paese, quale sala è di forma quadrilunga, con lamia di canne e stucco, con
quadro nel mezzo della Giustizia, e altri geroglifici di Carafa, con quattro
imprese (alli cantoni di detta sala) della medesima famiglia: nel lato sinistro
di detta s’entra nel anticamera, coperta di simile lamia di canne, scorniciata
riquadrata con finestra verso detta piazza, con ornamento ai lati di pietra del
paese.
Con grande rispetto il perito delinea l’intero fabbricato e pone
così il feudatario in una posizione distinta che è avvalorata dal possesso
di botteghe, stalloni e ben tre feudi. Inoltre, gli spettano le gabelle per
lo jus della piazza, ovvero per l’affitto della piazza in tempo di fiera,
ed esercita una serie di diritti minori che gli permettono di ricavare
benefici dalle pratiche amministrative (fig. .).
Nauclerio dedica circa una ventina di pagine a descrivere tanto
le entrate feudali, quanto i corpi burgenseatici, cioè i beni di pieno
possesso del duca, annoverando taverne e masserie.
La taverna del Procaccio con il giardino, del modo descritto di sopra, riTourbert (). Si veda pure il recentissimo saggio sul feudalesimo in Abruzzo e Molise
curato da Brancaccio, . In base ai diversi studi si differenzia la via francese di completa centralizzazione dello Stato e la via polacca di mediazione e compromesso con il
baronaggio.
. Nauclerio, op. cit., pp. –.
. La descrizione del Palazzo è particolarmente ricca soprattutto per le diverse stanze,
sale e camerini con riferimenti precisi ai rifinimenti: «Nell’altra testa di detta sala vi sono
due stanze, e un camerino coverto a travi, con incartate e finestre verso la strada, il tutto
con pavimento di mattoni» (Nauclerio, op. cit., p. ).

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Cortile interno del palazzo baronale.
conosciuto il libro degl’Erarii e obliganza vi porta la rendita tra fertile ed
infertile per annui ducati novanta, tarì tre e grani quindici. [...] La taverna
delle dogane con stallone appresso del modo descritto di sopra, riconosciuto
il libro dell’Erario porta la sua rendita tra fertile ed infertile per annui ducati
 e grani .
La taverna del Procaccio, in prossimità della cinta muraria urbana,
è il luogo per l’alloggio del corriere postale e dei viaggiatori; rappresenta uno dei punti di riferimento per i forestieri, oltre che per il
collegamento con Napoli, per cui il duca controlla questa postazione
e il relativo traffico. Il perito, poi, continua ad elencare beni ed entrate ; tra beni fertili e infertili spiccano le vigne, dal momento che in
quest’agro si produce poco vino e, quindi, sono preziose unitamente
alle grotte freddissime (Pacichelli, , vol. II), cioè le neviere .
Dunque, il feudatario sfrutta al massimo l’agro, ma l’Università
. Ivi, pp. –.
. Ecco il passo specifico: «Per numero  botteghe (della forma descritte ut sopra),
delle quali dedottone quattro, dentro la terra, cioè una dove si pesa la farina, e tre [...]
restano in numero , che considerato la loro rendita, secondo i libri degli Erari [...] portano
beneficio di detto barone, si valuta [...] per ducati duemila cento e dieci» (Nauclerio, op. cit.,
p. ).
. La rendita per le neviere è di venti ducati anni. Ibidem, p. .
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

di Campobasso ne lima gli spazi d’azione, grazie all’altro grande
potere: quello religioso. L’apprezzo evidenzia il grande peso delle
due confraternite presenti nella città che nominano annualmente i
rappresentati per la cariche locali e alle quali sono iscritte almeno
quaranta famiglie ab antiquo.
Tralasciando l’apporto comunque non sottovalutabile assunto dalle due
confraternite nel settore creditizio ed assistenziale, i beni dei due enti contribuivano, infatti, a fornire a livello locale numerose opportunità di investimento nelle attività rurali e in quelle armentizie (Novi Chavarria, , p.
).
La Chiesa rappresenta un sostegno morale ma anche materiale nel
Mezzogiorno, mentre la fede è uno dei valori fondanti di una società
contadina . Non abbiamo di fronte a noi le gilde medievali o le
corporazioni formatesi in età comunale, ma forme di associazionismo
sviluppatesi all’ombra della Chiesa (Berengo, ).
Le confraternite si riuniscono per scegliere i loro rappresentanti
che poi ricopriranno le cariche amministrative; come illustra il perito
«si regge e governa la detta terra da un Mastro Giurato, sei eletti
dal governo, quattro sindaci e un dottore quale chiamano capo del
reggimento» .
A turno, esse annualmente scelgono tre loro rappresentanti per
ogni carica e li sottopongono al duca che ne preferiva uno a suo beneplacito per ogni funzione. La carica più importante è quella di Mastro
Giurato, che è il capo del governo cittadino con la funzione principale
di controllare la riscossione delle gabelle. Gli eletti concorrono, come
consiglieri, ad aiutare il Mastro Giurato nell’amministrazione economica della città, mentre i sindaci ne rendono operative le decisioni
essendo gli amministratori delle entrate dell’Università.
. Per la religiosità delle popolazioni del Mezzogiorno, cfr. Galasso, , e Novi
Chavarria, , per il Molise.
. Ecco un passo dell’apprezzo che descrive le confraternite: «Quale governo l’eligono
due confraternite che si radunano al suono di campane, una contro la Chiesa della SS.ma
Trinità e l’altra confraternita si raduna dentro la chiesa di Santa Maria della Croce. [...]
Quali due confraternite si compongono di diverse qualità di cittadini, conforme si ritrovano
scritti ab antiquo; e le loro famiglie si riuniscono in dette chiese, non devono essere meno
di quaranta per chiesa più o meno per fare detta elezione del governo» (Nauclerio, op. cit.,
pp. –).
. Ivi, p. .

Campobasso da castrum a città murattiana
La complessa macchina amministrativa è quindi guidata dalle confraternite, benché dovesse essere gradita al duca, per cui il governo
cittadino è a mezza strada tra il potere del feudatario e le volontà delle
famiglie benestanti che hanno la facoltà di incidere attraverso l’associazionismo . Un’altra figura, sempre indicata a turno, è il cancelliere
che concorre al governo cittadino, oltre a figure minori, come il giudice della bagliva . Il duca sceglie per proprio conto solo il governatore
che si occupa delle questioni giudiziarie di un certo rilievo.
Come chiariscono alcuni documenti del Consiglio Collaterale, i
rapporti tra le confraternite e i Carafa risultano difficili al punto che
nel  gli amministratori sono posti in arresto , poiché Giambattista Carafa cerca di fermare alcuni rappresentanti a lui poco graditi,
ma non riesce di fatto ad ostacolare la loro azione. Infatti, a proposito dell’organizzazione fieristica, l’Università ottiene persino che la
giurisdizione baronale sia sospesa e che sia il Mastro Giurato ad amministrare la giustizia, mentre il Mastrodatti è incaricato della stipula
dei contratti di compravendita.
Non deve meravigliare tanto peso acquisito dalle confraternite,
radicatesi dal XII secolo con la fondazione di quella dei Flagellanti o
Crociati presso la chiesa di Santa Maria della Croce (fig. .). Poi, nel
secolo XVI si forma una seconda associazione ad opera del Conte Andrea de Capua per riunire i terrazzani, cioè coloro che vivono fuori le
mura, con sede nella chiesa della Trinità. La formazione del secondo organismo apre la strada ad un periodo conflittuale che si acuisce
soprattutto nei primi decenni del Seicento per la scelta dei rappresen. Ecco il parere di Petrocelli (, p. ): le confraternite «continuarono a gestire
di fatto il potere reale della città e furono in grado di condizionare anche la gerarchia
ecclesiastica» (Petrocelli, , p. ).
. Il giudice della bagliva o baliva si occupava di cause di carattere amministrativo.
. «Il reggimento come anco del reggimento del detto dottore Chiovitto ne sono
stati carcerati più volte et al presente si ritrovano carcerati e non usciranno se non piglia
l’espediente necessario per soddisfarsi la somma a detta eccellenza». Cfr. Collaterale di
provvisione (ASN), ; questo organismo aveva funzioni legislative. Si veda pure il
commento di Cirillo, .
. Esse riunivano dunque i ceti benestanti ma con alcune differenze, dal momento che
i Trinitari aggregavano «le arti liberali e i ceti cosiddetti emergenti proiettati verso la logica
del tratturo e del commercio, come gli Attellis, i Paradiso, i Bellino, i Rendina, i Belvedere, i
Chiarizia, i Civerra, i Ferrusano, i Denigris, e la seconda [Crociferi] quelli tradizionalmente
agro–pastorali e sedentari, tra cui gli Zito, i Mascilli, i Presutto, i Palombo, i Mastrangeli, i
Monacelli, i Diodati, i Mosenga e i Persichillo» (Novi Chavarria, , p. ).
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

tanti. Gli scontri sono notevoli e riguardano anche la preparazione
della manifestazione sacra più importante – la Sagra dei Misteri —
fino ad «primo accordo tra le due fazioni nel , con l’ausilio di un
documento stipulato alla presenza di un notaio, perfezionato nel ,
cioè a distanza di altri cinquantasei anni» (Rubino, , p. ). L’accordo consiste nella designazione a turno dei rappresentanti da parte
delle confraternite e Nauclerio ne verifica la puntuale esecuzione .
In tal modo, le confraternite possono limitare il potere feudale,
testimoniando le funzioni di controllo che tali forme associative svolgono nella geografia urbana non solo italiana ma europea (Piccoli,
).
Nauclerio registra un clima disteso, benché i motivi di contesa
permangano a proposito di circa settecento ducati annui che l’Università deve al feudatario. Nauclerio e i procuratori legali in questo caso
intervengono, motivando nell’apprezzo i diversi obblighi dei campobassani e ristabilendo le regole feudali in una realtà nella quale le
forze sociali stanno maturando nuovi comportamenti per tutelarsi .
Pertanto, le confraternite dimostrano di rappresentare quelle istituzioni municipali che, pur represse o contenute da uno stato assolutista,
hanno trovato nello spazio religioso la possibilità di esistere e di affermarsi (Norman, ), contrastando per quanto possibile gli abusi e
. La Sagra dei Misteri è la più importante tradizione religiosa di Campobasso e del
Molise, gestita dalle confraternite e citata anche nell’apprezzo: «Si fa processione con festa
solenne il giorno del Corpus Domini e di San Leonardo, quale processione si unisce con
l’altre Confraternite, con stendardo, confaloniere e lumi di cera» (Nauclerio, op. cit., p. ).
Per l’analisi di questa tradizione cfr. il sesto paragrafo del quarto capitolo e Sarno, d.
. L’accordo tra le confraternite ricevette il riconoscimento ufficiale del viceré, Marchese Del Carpio, che «premuto da una situazione di crisi che investiva il Regno cercava di
dare alla sua politica un indirizzo che, senza abbandonare i nobili, lasciava spazio al Popolo
e in particolare ai nuovi ceti che stavano all’interno di esso emergendo» (Lalli, , p. ).
. Ecco uno dei passi sugli obblighi: «Per parte dell’Ill.mo Duca si è portato che per
causa della convenzione avuta tra il quondam Ill.mo Duca di Jelsi e la detta Università sta
stabilito che tanto lui, quanto li suoi discendenti maschi, habbiano da tenere per Camera
Riserbata, la detta Terra di Campobasso, per la quale come fusse la medesima Università
tenuta non solamente corrispondere gli annui ducati , che prima si pagavano, ma anche
altri ducati ottanta» (Nauclerio, op. cit., p. ).
. Solo una forma di pagamento non è mai messa in discussione: le decime dovute agli
ecclesiastici, espressione di un potere superiore che appare intoccabile. Esse sono raccolte,
attraverso le cinque parrocchie, dal vescovo che risiede a Boiano e i figliani non solo devono
contribuirvi, ma la terra di Campobasso dona dieci ducati al suo vescovo in occasione del
Natale.

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Chiesa di Santa Maria della Croce. Edificata nel XII secolo divenne
sede della confraternita dei Crociati.
sostenendo gli interessi dei ceti emergenti.
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

.. Il feudo di Jelsi
Jelsi è un piccolo centro, ubicato a m slm tra le colline del Molise
Centrale, a circa venti chilometri da Campobasso e non distante dal
confine pugliese . È sita su uno sperone calcareo a strapiombo sulla
fiumara Carapelle, affluente del Tappino . Se le congetture degli studiosi locali ne vogliono attestare antichissime origini, la sua fondazione
è comunque normanna in relazione al processo di incastellamento
avvenuto in Molise tra il IX e il X secolo .
L’andamento del suolo è caratterizzato dal tipico rilievo collinare
con un’altitudine media di  metri slm. Il centro storico del paese,
largo Chiesa Madre, di stampo medioevale, a pianta quasi ellittica,
racchiude le emergenze architettoniche più antiche: la chiesa Madre
di Sant’Andrea Apostolo e la Cappella della SS. Annunziata. Un piccolo
comune, insomma, abitato da contadini, dediti al lavoro nei campi, alla
coltivazione del grano che ancora oggi ne è la produzione tipica, con
un’esistenza circoscritta al borgo che coincide appunto con il largo
Chiesa Madre (fig. .).
I pochi e frammentari documenti sono stati analizzati da uno studioso locale, Vincenzo D’Amico, nel tentativo di ricostruirne lo sviluppo . Jelsi è, quindi, un minuscolo feudo che diventa importante
per i suoi legami con Campobasso, quando entrambi appartengono
alla famiglia Carafa e sono sottoposti a stima (Sarno, c).
L’apprezzo della terra di Jelsi è un breve documento di circa 
pagine, conservato presso ASN , e si presenta come un’altra originale
testimonianza. Esso, secondo l’impostazione chiarita nei paragrafi
. Il territorio di Jelsi è di circa , metri , confina a Nord con i comuni di Toro
e Pietracatella, ad Est con Riccia, a Sud con Crecemaggiore e ad Ovest con Gildone e
Campodipietra.
. Si attesta sui circa  residenti negli ultimi anni (dati ISTAT).
. Il Tappino è un fiume che nasce presso Vinchiaturo, riceve le acque di alcuni torrenti
e della fiumara Carapelle, per poi gettarsi nel fiume Fortore.
. «Il suo nome era Gittia allorché fu presa dai Normanni nella seconda metà del
secolo XI» (Masciotta, , p.). Il toponimo fa pensare ad una primitiva fondazione da
parte di gizii, ovvero zingari, secondo il parere del Galanti (), comunque rafforzata nel
periodo normanno.
. Cfr. D’Amico, .
. Il feudo non faceva parte amministrativamente del Contado di Molise ma della
Capitanata, poiché a mezza strada tra Campobasso e il confine pugliese.
. La numerazione del plico è stata data dalla scrivente.

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. La chiesa dell’Annunziata nel centro storico, denominato largo Chiesa
Madre, a Jelsi.
precedenti, permette di ricostruire l’assetto territoriale di Jelsi, le
sua collocazione tra le colline, la presenza delle risorse idriche, le
caratteristiche del paesaggio agrario.
Terra quasi circolare con istrada obliqua quasi nel mezzo, dalla quale si
diramano più strade e vichi di poca distanza la magior parte angusti e stretti
e di cammino ineguali, l’abitazione della quale sono la magior parte con
bassi e stanze da sopra, coverte a tetti.
La struttura dell’abitato è misura della condizione sociale di questa
comunità. La limitatezza del feudo di Jelsi si riflette nella vita dei suoi
abitanti. Essi sono contadini o pastori, ma principalmente braccianti
che lavorano alla giornata . Eppure i Carafa preferivano fermarsi in
questa comunità socialmente livellata piuttosto che a Campobasso ,
. Nauclerio, Apprezzo della terra di Jelsi, , p. .
. Il perito così chiarisce: «Si numera la detta terra secondo l’ultima numerazione in
fuochi , [...] vi sono numero  anime secondo la fede dell’arciprete [...]. Ne fra essi
vi è persona civile, ne artisti di sorte alcuna. Ma solamente vi è un barbiero ed un concia
scarpe e del resto al generale rustici foresi e faticati, parte si dà all’esercizio di lavorare terre,
parte in governo di vigne e custodia di poco loro animali, quali anche tengono a società
con paesi con vicini, ed i restanti sono poveri bracciali che vivono alla giornata in servigi
altrui» (Nauclerio, Apprezzo della terra di Jelsi,, p. ).
. Cfr. D’Amico, .
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

risiedendo nel Palazzo baronale formato da diverse sale e collegato
alla Chiesa dell’Annunziata.
La stima complessiva di Jelsi è di ventimilacinquecentotrentaquattro
ducati e le entrate dipendono dalla rendita dell’affitto «di molino in
grano, di terraggi in grano, orzo e fave». Non mancano vigne o
orticelli con alberi da frutta. Si distinguono i querceti, o cerreti, che
forniscono le ghiande utili all’allevamento dei maiali e dove gli abitanti
hanno il diritto di fare legna .
In un contesto di estrema povertà il paesaggio agrario colpisce il
perito e rappresenta il motivo d’interesse del Duca. Infatti, proprio
per i tanti debiti, Giambattista Carafa cede questo feudo a Marcello
Carafa della Spina, sperando di conservare Campobasso. Da parte
loro, questi regnicoli subiscono vessazioni senza mai esprimere la loro
disapprovazione e dovranno attendere l’arrivo dei Francesi, nel ,
per liberarsi dall’ancient regime . Jelsi rappresenta quindi uno dei tanti
micro–mondi avvolti in una nebbia feudale che sembra conservare
tratti medievali e non conosce neppure i compromessi riscontrati a
Campobasso.
.. Campobasso terra urbana
Alla fine del XVII secolo Campobasso è un piccolo nucleo sottoposto al controllo sistematico del feudatario; conserva il suo impianto
medievale ampliato da Cola Monforte, ma gli spazi del commercio
hanno acquisito un ruolo rilevante. Rappresenta quindi un esempio significativo per focalizzare la qualità dei processi urbani nel
Mezzogiorno.
La questione è dibattuta poiché la letteratura del secolo scorso
. La descrizione dettagliata del palazzo prelude alle pagine dell’apprezzo nel quale
sono descritti i beni feudali, le entrate feudali e i corpi burgenseatici, per valutare in
complesso il feudo.
. Nauclerio, op. cit.,, pp. –.
. Mentre i campobassani nel  riscatteranno la città, Jelsi rimarrà feudo dei Carafa
fino all’eversione delle feudalità nel  (Masciotta, , vol. II).
. Galasso chiarisce nel suo volume del , Dal Comune medievale all’unità, il peso
che abbia nel Mezzogiorno il mancato sviluppo comunale e questo punto di vista rimane
un leitmotiv, da Villari, , a R. Romeo, , che dopo tre decenni così Musi (,
p. ) sintetizza: «L’introduzione del regime feudale ad opera dei Normanni si cala in un

Campobasso da castrum a città murattiana
ha ritenuto che, nel Regno, l’assenza della civiltà comunale non abbia
consentito la formazione di città e che la concezione politica feudale,
dagli Angioini agli Spagnoli, abbia esaltato solo la capitale, Napoli,
e abbia reso ardua la comprensione del fenomeno per le differenze
giuridiche, ad esempio, tra città regie e terre .
Francesco Compagna anticipava persino le origini del problema:
Evidentemente, le origini della crisi per cui le istituzioni cittadine del Mezzogiorno, nel secolo XI, cedettero passivamente, vanno cercate nel periodo
antecedente rispetto a quello dell’avvento della monarchia normanna e dell’instaurazione di una forma rigida di feudalesimo; evidentemente la bella
fioritura verso la quale sembravano avviate le città campane (e meridionali)
nell’Alto Medioevo era una fioritura nel vuoto, non collaudata dal confronto
con rilevanti forze antagoniste (Compagna, , p. ).
Nel tempo, poi, l’urbanizzazione meridionale rimane complessiva–
mente debole, poiché «si enucleò allora la cosiddetta città suddita [...]
nella quale la comunità era chiamata continuamente a confrontarsi
con gli organi periferici del potere centrale» (Corciulo, , p. ).
Rombai conferma questa visione: «Tale lunghissima e forte organizzazione feudale è ritenuta la causa primaria della mancata formazione di
una rete di città che, con le sue borghesie, avrebbe potuto mettere a
valore, come nel Centro–Nord, l’intero territorio» (Rombai, , p.
).
Le criticità nelle diverse fasi stigmatizzano l’urbanesimo meridionale fino all’età contemporanea, tanto da far dubitare Gambi ()
contesto caratterizzato dall’assenza del comune come città–stato». Sulla subordinazione
delle province rispetto alla Capitale si veda pure De Rosa, . Il tema ovviamente
finisce per confluire nella più ampia problematica della questione meridionale per la
quale si vedano il volume di Galasso, curato già nel , ma pubblicato aggiornato nel
 sull’antropologia storica del Mezzogiorno, poi Vitolo, Musi, . Per un approccio
geografico alla questione urbana e alle sue relazioni con l’urbanesimo meridionale, con
particolare attenzione all’età contemporanea, oltre ai citati Compagna e Gambi, sono
significativi diversi studi recenti, per cui si vedano Amato, ; Amato, a; gli scritti di
Mazzetti, raccolti ora nel volume, Scenari del Sud di ieri e di oggi, a cura di Russo Krauss,
; Sommella, ; Talia, ; Talia, a; Talia, ; Viganoni, a, il Report sul
Mezzogiorno della SGI, .
. Le città regie dipendevano direttamente dal regio Fisco, mentre le terre erano
acquistate da feudatari e da loro amministrate. Per queste distinzioni cfr. Delille, . Si
veda anche nota .
. In tal senso ha un peso anche l’analisi della questione meridionale e del parassitismo
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

dell’esistenza delle città calabresi, dal momento che permangono nel
tempo le insufficienze e comunque le differenze tra Nord e Sud .
Talia, nel ripercorrere il processo urbano meridionale, precisa che
la disparità esistente fino all’Unità d’Italia abbia ceduto il passo alla
successiva formazione di una trama più robusta ma non per questo
«meno squilibrata e debole» (Talia, a, p. ).
Se, quindi, il Sud è arrivato tardi all’appuntamento con la questione
urbana e con retaggi negativi, appare scientificamente urgente comprendere, oltre la complessità del presente, il passato, così da mettere
a fuoco processi urbani formatisi, sia pure in modo contraddittorio,
nella lunga durata e chiarire percorsi avviati, ma a volte scomposti
da fattori successivi, e pur tenacemente presenti nell’identità delle
città. In tal senso l’età moderna si pone come un periodo da indagare
maggiormente.
Il corposo studio di Gerard Labrot (), sulla città meridionale
nell’età moderna, rappresenta un punto di partenza ineludibile, dal
momento che, mentre ne sono sottolineati i limiti, sono pure individuate le tensioni nascoste negli organismi urbani e come queste
ultime gradatamente emergano tra il XVII e XVIII secolo, toccando
anche i piccoli centri.
Una successiva raccolta di scritti, curata da Musi (), ha focalizzato una pluralità di forme e funzioni concretizzatesi sempre nell’età
moderna, dalle isole di urbanizzazione presenti in Basilicata all’ articolazione differenziata delle agrotown pugliesi, dalle medie e piccole
città abruzzesi fino ai soggetti superurali della Calabria . Lo stesso
curatore così illustra il suo punto di vista: «Nel Mezzogiorno non si è
delle città da parte di Gramsci, .
. Gambi (, p. ) si chiede se «ci sono in Calabria vere città». Le differenze e
insufficienze sono analiticamente trattate nella bibliografia specifica segnalata nella nota ,
ma sono anche sintetizzate dal Report  della Società Geografica Italiana nel paragrafo
La questione urbana del Mezzogiorno d’Italia.
. Sonnino, , affronta il contesto lucano mostrando come da un policentrismo
debole si sia poi definito il ruolo della città capoluogo; Placanica, , evidenzia le funzioni
urbane di Catanzaro caratterizzata da una decisa specializzazione nella produzione di beni
non agricoli come la seta; Ligresti, , mette in crisi il mito di una Sicilia terra solo di
feudatari e latifondi; Fimiani, , studia il caso di Pescara. La Calabria ha ricevuto una
particolare attenzione per la messa a fuoco della specifica esperienza urbana di Castrovillari
nell’età moderna (Mazza, ). Foscari, , analizza il caso di Cava come esempio di
città media.

Campobasso da castrum a città murattiana
venuto formando un sistema urbano, ma sono venute sviluppandosi
gerarchie urbane secondo alcune tipologie e funzioni, legate agli insediamenti, economiche, religiose, politico–amministrative, di servizio»
(Musi, , p. ). Persino piccoli centri assumono funzioni produttive
e/o amministrative, indipendentemente dalla variabile demografica e
pur subendo l’impostazione feudale del Regno.
Il problema riguarda le città regie, che pur godevano di qualche forma di autonomia, ma principalmente le terre, soggette al baronaggio,
in grado però di assumere una valenza produttiva significativa. Ciò ha
comportato l’esigenza di definire il fenomeno : esse sono delle quasi
città (Chittolini, ) o delle città contadine (Poli, )? Se si vuole
riassumere il compromesso tra il sistema feudale e attività produttive,
sembra coerente al loro status la definizione di terra urbana. Ma, più
che cercare un’adeguata denominazione, appare necessario focalizzare
la dimensione urbana nell’età moderna con le sue problematicità.
La rilettura del fenomeno non deve essere operata solo nel contesto italiano, ma europeo, dove, come suggerisce Peter Clark (b),
le piccole e medie città sono state a lungo ignorate per la difficoltà
di reperire dati e casi di studio, ma anche per l’importanza data alla
corposità demografica nel riconoscimento delle funzioni urbane .
Ripensare il fenomeno richiede quindi una riflessione specifica della
geografia storico–urbana . Lo studioso precisa che piccoli o medi organismi urbani svolgono un ruolo di raccordo commerciale in diverse
aree rurali europee, pur evidenziandosi fragilità organizzative, come
illustra Musgrave () per il Nord Italia . L’esigenza commerciale,
. Le città regie dipendevano direttamente dalla Corona, mentre le terre, in quanto
feudi, erano gestite da nobili famiglie ed erano comprate e vendute. Per la questione definitoria cfr. Quaglioni, , Muto, . Si rimanda anche a Galasso, , che a proposito
di Napoli nella prima età moderna utilizza l’espressione crescita senza sviluppo. Per una
riflessione sulle definizioni cfr. Novi Chavarria, .
. Il volume curato da P. Clark, a, prospetta un’indagine ad ampio spettro a
scala europea; dalla periferia delle piccole città norvegesi (Eliassen, ), ai piccoli centri
contadini spagnoli (Gelabert, ), dal ruolo culturale delle cittadine inglesi (Reed, )
alla situazione del Nord–Italia (Musgrave, ).
. Un volume interessante in tal senso, benché si occupi delle città in modo generale
è Urban Historical Geography, curato da Denecke e Shaw, , che raccoglie gli esiti di
un seminario sugli studi geo–storici sulle città tedesche e inglesi, utile per gli indicatori
necessari per indagare lo spazio urbano.
. Musgrave, , analizza il caso di piccoli centri veneti che si avvantaggiano della
decadenza di Verona e potenziano attività agricole e protoindustriali.
. Campobasso terra urbana nel XVII secolo

che tende a sovrapporsi ad altre di carattere amministrativo, diventa la chiave di lettura di percorsi urbani, che attraversano l’Europa
moderna.
Nel Mezzogiorno italiano, parimenti, centri piccoli e medi hanno
maturato identità urbane complesse, che non possono essere ignorate
e neppure lontanamente schematizzate, per il fatto di essere frutto di
compromessi e di tensioni.
Campobasso ne è caso emblematico. Essa mostra, grazie alla documentazione, quella tensione descritta da Labrot (). Consolida, sia
pure attraversando periodi di crisi, il suo ruolo di nodo interno del traffico
transumante e diventa un punto di riferimento per i centri limitrofi,
prevalendo anche su Isernia. La posizione geografica diventa la chiave
di volta per lo sviluppo di funzioni artigianali, commerciali e fieristici.
Come si è chiarito, in virtù della transumanza si afferma anzi una
gerarchia urbana, con capitale Foggia, nella quale la città molisana si
è ritagliata un ruolo funzionale. La stessa relazione si stabilisce con
Lucera, sede della Regia Udienza, poiché a Campobasso è presente
un Uditore di Giustizia (Sarno, b).
Peraltro, come si è mostrato, pur definendosi la ‘secondarietà’ demografica molisana, la ripresa socio–economica di Campobasso è
garantita da un manipolo di mezzani. Il che significa che non è la
quantità di popolazione in sé a favorirne lo sviluppo ma le funzioni .
La terra di Campobasso, quindi, mostra caratteri urbani, ma non
è in grado per ora di sottrarsi al compromesso su cui si fonda il
feudalesimo moderno per cui ne è condizionata nello sviluppo
topografico, amministrativo e sociale.
La città rimase — per dirla in termini attuali in sede storiografica — una
“quasi città”, o quanto meno una “città contadina”, come d’altro canto
molte altre micro realtà urbane del Mezzogiorno moderno, dove a una
apprezzabile attività produttiva e a una alquanto variegata articolazione
sociale non si intrecciarono né un profilo politico, né un rango giuridico
dal vero e proprio tono cittadino (Novi Chavarria, , p. ).
Se il fenomeno urbano nel Mezzogiorno moderno è il risultato
. Come chiarisce Gambi (b, p. ): «Sia la storia del popolamento urbano sia la
storia degli assetti urbanistici sono il risultato della storia delle funzioni urbane».
. Si rimanda al paragrafo sul potere politico e religioso di questo stesso capitolo per il
tema del feudalesimo moderno.

Campobasso da castrum a città murattiana
di un compromesso, anzi di diversi — si pensi alla complessa gestione a mezza strada tra la volontà del feudatario e le resistenze delle
confraternite — non si può negare valore alla tensione presente in
tanti piccoli o grandi centri. Peraltro, il concetto di compromesso non
limita il riconoscimento del ruolo delle città regie o delle terre urbane,
come ha magistralmente chiarito Galasso.
Il Mezzogiorno, contrariamente a una radicata opinione che lo nega, ha
avuto la città, così come ogni parte del Mediterraneo (dove la città è, per
così dire, assolutamente di casa), e d’Europa. Ma ha avuto la sua città, quella
che la sua storia, la sua struttura culturale, sociale, civile consentivano e
richiedevano, al di fuori di una modellistica statica ed esterna (Galasso, b,
p. X).
Si potrà obiettare che i compromessi rappresentano il retaggio
negativo che pesa sull’urbanesimo meridionale, ma aprono la strada
a leggere il fenomeno nella sua specificità e peculiarità, con chiavi di
lettura coerenti, chiarendo, per riprendere le parole di Compagna, le
fioriture avvenute nel Mezzogiorno. Diventano quindi fondamentali
studi di caso che illustrino i paesaggi scomposti dal tempo, le reti e le
relazioni che si sono strutturate dando origine all’attivismo produttivo
dell’età moderna.
Campobasso, da parte sua, rappresenta appunto un organismo
urbano adeguato alla sua storia, che tuttavia non rimarrà a lungo
nel compromesso, perché nel corso del XVIII secolo si impegnerà a
garantirsi il crisma giuridico di città.
Capitolo IV
Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali
emergenti nel XVIII secolo
.. La stima fiscale del regio ingegnere Giuseppe Stendardo nel

Il regio ingegnere Giuseppe Stendardo , nel , è incaricato di un
nuovo apprezzo della terra di Campobasso: la motivazione è, tuttavia,
diversa da quella del  e la perizia affronta una problematica giuridica di ben altro valore, rispetto alla mediazione tra un feudatario e i
suoi creditori, poiché deve contribuire a stabilire il destino del feudo,
dal momento che il duca Mario Carafa è morto senza lasciare eredi.
Il documento intonso ed originale è conservato in ASN . Una copia
dell’apprezzo è anche in BASC, come parte integrante del contratto —
l’Istrumento d’acquisto del feudo di Campobasso da parte di alcuni cittadini
— che i campobassani, nel , stipulano con la Regia Camera della
Sommaria per riscattare la città.
Si può, quindi, porre subito in evidenza la differenza di valore tra i
due documenti, in quanto il primo è uno dei tanti accertamenti della
Regia Camera della Sommaria, il secondo invece rappresenta lo strumento politico dei demanisti . Ulteriore significato non trascurabile
. Il regio ingegnere Giuseppe Stendardo è un attivo perito a disposizione della commissione liquidatrice del debito pubblico, infatti, cura la redazione di diversi apprezzi:
Pescolamazza (), Petrella (), Pietrelcina (), Trepuzzi (). Cfr. Elenco Apprezzi,
a cura dell’ASN, .
. L’apprezzo composto da  pagine è presente nel fondo Regia Camera della Sommaria, busta , (ASN). Labrot () riferisce anche di un apprezzo di Campobasso redatto
da un Matteo Stendardo nel , tuttavia il documento analizzato dall’autrice è a firma di
Giuseppe Stendardo e redatto nel .
. Il contratto redatto probabilmente intorno al  contiene una copia dell’apprezzo
e altri documenti inerenti al riscatto della città; è depositato presso BASC.
. I cittadini che si impegnarono a riscattare la città furono poi denominati demanisti.


Campobasso da castrum a città murattiana
dell’apprezzo è la stima finale — .,  ducati — che testimonia
in modo inequivocabile la crescita economica di Campobasso .
Appare chiaro che la complessa operazione del riscatto avviene in
un clima politico e amministrativo ben diverso. Il Settecento, considerato il secolo della trasformazione dell’Europa (Musi, ), dal
punto di vista socio–politico (Scott, Simms, ), nonché economico
(Yun Casalilla, ), si apre per il Regno di Napoli con il dominio austriaco che, subentrando alla lunga dominazione spagnola (–),
ha il coraggio di porre in evidenza i mali del Mezzogiorno: la stasi
economica, lo strapotere delle gerarchie ecclesiastiche, lo smisurato
ruolo della capitale rispetto alle province. I ventisette anni di dominio
austriaco non risolvono certo questi problemi, ma favoriscono il rinnovamento ideologico e culturale. Razionalizzare il peso dell’ancient
régime, dei privilegi nobiliari e del potere della Chiesa, avvia un ampio
dibattito grazie al quale viene alla luce, ad esempio, il saggio Istoria
civile del Regno di Napoli () di Pietro Giannone .
Il governo austriaco tenta anche di governare in modo più razionale
tramite accurate numerazioni della popolazione, per una ripartizione più equa del carico fiscale, e con la progettazione del Banco di
San Carlo. Sono anni densi, benché non produttivi, e quando gli Austriaci lasciano Napoli, Carlo di Borbone, che vi si insedia nel ,
deve tener conto di queste sollecitazioni e della diffusione delle idee
illuministiche. Egli, che sceglie come primo ministro Bernardo Ta. Prova del suo valore economico è il fatto che, nel giro di circa cinquant’anni, la sua
stima sia raddoppiata dai sessantamila ducati stabiliti da Nauclerio ai centomila indicati da
Stendardo.
. Per un quadro complessivo dei cambiamenti socio–politici nel corso del XVII
secolo cfr. Scott, Simms, ; per le evoluzioni economiche cfr. Yun Casalilla, ; per
una ricostruzione complessiva delle diverse problematiche europee cfr. il volume a cura
di Visceglia, . In relazione alla geografia feudale dell’Europa che si trasforma in ogni
area tanto occidentale che orientale, sebbene in misura diversa, ricerche svolte in Francia,
ma anche in Italia e Spagna mostrano processi evolutivi ma non uniformi; cfr. Musi, .
Fondamentali sono i due volumi a cura di Galasso Il Mezzogiorno spagnolo –, ,
e Il Mezzogiorno borbonico e napoleonico, , per approfondire gli aspetti storico–politici
ma anche culturali, in quanto ha un grande peso anche la diffusione dell’Illuminismo. Per
le problematiche economico–paesaggistiche sono magistrali il saggio di Sereni, , e la
sintesi di Rombai, ; in particolare per le strutture agrarie del Mezzogiorno cfr. Monti,
b, e per il paesaggio agrario molisano Russo, .
. Pietro Giannone (Ischitella  – Torino ), è filosofo, storico e giurista. È
famoso per il suo forte atteggiamento anticlericale.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

nucci, si accinge, sulla scorta degli Austriaci, a dare un nuovo volto al
Mezzogiorno, intraprendendo una rivoluzione dall’alto (fig. .).
Re Carlo, in conformità con lo spirito giurisdizionalistico e anticurialistico vivo nella tradizione napoletana, intende colpire principalmente i privilegi della Chiesa e limitare, tramite la riforma del catasto,
lo strapotere baronale, grazie alla collaborazione del ceto forense. Inoltre, egli intraprende lavori pubblici, bonifiche, costruzioni di strade.
Se le diverse iniziative sono comunque condizionate dai ceti nobiliari
e dal suo successore, Ferdinando IV, tuttavia, dai primi decenni del Settecento, un nuovo dinamismo attraversa il Mezzogiorno. «Anche in
alcune province del Regno di Napoli, si riflettono gli interventi attivati
— dalla metà del XVIII secolo — dalla nuova dinastia dei Borbone per
edificare uno Stato moderno» nel quale «segni di evoluzione capitalistica dell’azienda signorile cominciano così a rilevarsi» (Rombai, ,
p. ).
In questo clima si inserisce la questione campobassana che può
giovarsi di un atteggiamento, cauto ma non infrequente, di sottrarre
città e borgate ai ceti nobiliari perché dipendano dalla Corona, avvantaggiando direttamente il Regio Fisco. Diverse comunità, in questo
periodo, riscattano le loro cittadine, da Ariano ad Amalfi, da Isernia
a Salerno (Cirillo, ). Campobasso, tuttavia, si distingue perché
l’intera operazione giuridico–economica non è condotta a termine
dal patriziato ma da un gruppo di benestanti, appunto i demanisti ,
che hanno colto le potenzialità economiche, ricostruite nel capitolo
precedente, e intendono rafforzarle.
Ben diverso il caso di Isernia sottoposta a perizia per due cause complementari: una intentata dai cittadini per la pressione fiscale adottata
dai d’Avalos e dai De Costanzo, una seconda avviata dal Fisco Regio
per i debiti contratti dagli stessi . Inoltre gli isernini, pur avendo mani. Cirillo, , ha esaminato le diverse formule adottate per il riscatto; in molti casi
l’operazione era condotta da un’élite nobiliare, che versava parte della quota, mentre la
restante parte era raccolta con la tassazione dell’intera comunità. Nel caso di Amalfi e
Campobasso invece le Università cittadine sono estranee al riscatto e la somma è versata da
un gruppo di famiglie.
. Nel  Cesare d’Avalos, subentrando al padre Diego, vendette Isernia a don Fulvio de Costanzo principe di Colle d’Anchise signore di Bojano e reggente del Consiglio
Collaterale di Sua Maestà. Gli isernini non accettarono il nuovo Signore e non solo manifestarono contro la vendita ma avviarono la causa civile del demanio contro detto Principe
D. Fulvio de Costanzo. Cominciarono così una serie di contrapposizioni che, se trovarono

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Carta Generale dell’Atlante del Regno di Napoli di A. Bulifon,  (fonte:
Petrocelli, ).
una prima ricomposizione nel , divennero più pressanti in seguito, anche quando il de
Costanzo rivendette la città alla famiglia d’Avalos. Le vessazioni consistevano negli abusi
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

festato le vessazioni subite dai primi anni del Settecento, consegnano
i mila ducati, dovuti alla Reale Camera, solo nel .
Campobasso diviene effettivamente città trent’anni prima, raccogliendo oltre . ducati in circa dieci anni (–). Da un verso,
quindi, la debolezza economica di Isernia, dall’altro il trend positivo
di Campobasso. Peraltro, gli stessi debiti e le vessazioni lamentate
dagli isernini e illustrate nei documenti portano alla ribalta una cittadina che si muove in un clima feudale, mentre a Campobasso le
motivazioni principali del riscatto sono ben altre, come vedremo.
I mezzani hanno sicuramente un ruolo fondamentale, perché: «le
principali famiglie [...] si stavano rendendo conto che ogni loro potenziamento trovava un limite invalicabile nell’ingerenza del feudatario
nella vita locale» (Lalli,, p. ), ma la decisione è condivisa con
i ricchi mercanti di grano che operano nel Regno e che sostengono
la formazione di un ceto imprenditoriale (Cirillo, ). Insomma, il
percorso di Campobasso va letto a più scale e ciò avvalora ancor di
più il documento che ci accingiamo ad analizzare.
Il duca Mario Carafa, alla sua morte nel , non lascia eredi diretti, benché abbia designato come successore Alessandro Milano duca
di San Paolo, che però non viene riconosciuto come tale, e il feudo,
secondo la normativa del Regno di Napoli, rientra nel patrimonio del
Fisco Regio che lo sottopone ad apprezzo per future vendite. Tuttavia,
la Regia Camera si muove lentamente, probabilmente perché andava
dei governatori, soldati, nobili, ma soprattutto gli isernini ogni anno dovevano versare 
ducati, che poi divennero circa , per le pretese dei D’Avalos; cfr. Turco, .
. Come chiarisce una supplica inviata dagli abitanti della città, essi si lamentavano
delle continue vessazioni subite dal nuovo Signore e dai suoi armigeri: «Per parte di G.B.
Colamastri, Giulio Materna, Gioseppe Martelli, Pietro de Lilla, G. B. Cimmorelli, Cosmo
Mazziotti et altri cittadini della città d’Isernia ci è stato rappresentato come da Sua Maestà
con sua real carta siasi ordinato prendersi informatione delle oppressioni sacchi, flagelli e
morte data a’cittadini di essa città dall’Ille Principe di Colle d’Anchise in odio della solenne
acclamatione fatta in essa città della prefata Maestà nell’anno »; cfr. Turco, , pp.
–.
. Ecco un esempio delle petizioni degli isernini: «Sanno bene loro Signori da quanti
anni a’dietro li nostri fedeli Patritij hanno sudato e speso denaro proprio e del publico
pel riscatto di quella libertà che da secoli a’dietro havean gloriosamente goduta li nostri
antenati, e poi perduta da anni cento e due a questa parte; sanno ancora l’husurpationi
patite di quanto l’Università possedeva, li trapazzi, le persecuzioni, gli opprobri sofferti
nel tempo che l’ahnno dominata li Baroni, ed infine sanno ancora li tanti privilegi che si
godevano per li quali fu la cottà sempre conservata nel Real demanio»; cfr. Turco, , pp.
–.

Campobasso da castrum a città murattiana
accreditandosi l’ipotesi di riscattare la città, se Giuseppe Stendardo
svolge la perizia solo nel . Egli è inviato direttamente dal Presidente della Regia Camera, il che conferma il complesso quadro
giuridico, che guarda con favore la messa in crisi del sistema feudale. La sua professionalità è più volte ribadita nel documento; egli è
uno dei regi ingegneri, i quali «dipendenti della Regia Camera della
Sommaria a partire dal XVII secolo fino a tutto il Settecento svolsero,
tra gli altri, compiti di controllo degli affari relativi al fisco e al regio
demanio» (Buccaro, De Mattia, , p. ).
Stendardo conosce l’apprezzo di Nauclerio, ma mostra competenze più specifiche nell’esaminare la terra di Campobasso, infatti
evidenzia una maggiore precisione nell’analisi dell’abitato, dedica molte pagine all’ attivismo commerciale, mentre sintetizza la parte relativa
agli spazi religiosi. Non distingue tra beni feudali, entrate feudali e
corpi burgenseatici, ma mira a valutare il feudo complessivamente,
piuttosto che i singoli beni del feudatario . L’interesse per il ceto
mezzano è comprovato dal fatto che i loro nomi, beni e attività siano
esplicitamente citati e prendano corpo davanti al lettore, a differenza
dell’ apprezzo procedente dove la presenza viva e attiva del feudatario incombeva. Insomma, conta il valore intrinseco del feudo per un
cambiamento di rotta del Regio Fisco che cerca il migliore offerente,
eventualmente i cittadini stessi.
Si strutturano così parallelamente due percorsi: la perizia di Stendardo e la risoluzione giuridica dei demanisti per cui l’apprezzo diventa
lo strumento probante della forza socio–economica di Campobasso
(fig. .).
. La testimonianza dei tempi lunghi è data dallo stesso perito che nel preambolo
indica il  novembre  come data del decreto per effettuare l’apprezzo, che però risulta
effettivamente redatto nel  (Stendardo, Apprezzo della terra di Campobasso, , pp. –).
. Stendardo, op. cit., p. : «Et avendo con li esperti riconosciuto la presente configurazione colli territori della anzidetta terra, quella trovata uniforme alla deposizione fatta in
anno  dal fu tavolario del Sacro Regio Consiglio Luigi Nauclerio».
. Giuseppe Stendardo mette in atto, oltre all’esperienza, la sua cultura, dimostrata nell’uso di citazioni latine, nell’impostazione sistematica dei diversi oggetti descritti,
nella disposizione della pagine, dove a margine pone precise annotazioni e soprattutto
l’indicazione dei pagamenti o gabelle. Il manoscritto è di  pagine sempre secondo la
numerazione data dall’autrice.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

Figura .. Frontespizio dell’Apprezzo della terra di Campobasso di G. Stendardo
del .
.. L’organizzazione degli spazi urbani
L’ingegnere Stendardo legge la realtà urbana di Campobasso con una
metodica diversa da quella elencatoria del tavolario Nauclerio, sia per la
maggiore professionalità sia per l’organizzazione interna che essa deve
aver acquisito in circa cinquanta anni. Difatti, pur ricalcando i confini
della precedente perizia, in primis egli definisce i rapporti gerarchici con
Napoli:
Sta la suddetta terra di Campobasso posta nella provincia di Contado di
Molise distante da questa città di Napoli miglia cinquantaquattro alla quale
vi si giunge per la strada di Benevento galessabile con qualche incomodato
sino a detta terra.
. Per l’analisi dello spazio urbano nel XVIII secolo sono utili i riferimenti bibliografici
segnalati nel terzo capitolo (paragrafi quarto e ultimo), ma per i cambiamenti nelle grandi città
in questo secolo cfr. Lees, Lees, , e per i medi centri Chalklin, . Si vedano pure Calabi,
, che in due capitoli illustra le trasformazioni urbanistiche realizzate nelle città europee
negli ultimi decenni del Settecento, nonchè i ritratti urbani a scala europea in De Seta, . Cfr.
Delort, Walter, , per le forme di inquinamento nelle città nello stesso periodo.
. Cfr. Stendardo, op. cit., p. : «È di circuito il suo territorio di miglia sedici, diciassette
circa [...] è il territorio racchiuso da suddetti confini piano costeroso montagnoso seminatorio
in buona parte, altre porzioni in vigne, feudi, oliveti, orti e piccola porzione frattoso».
. Ivi, p. .

Campobasso da castrum a città murattiana
Il collegamento è garantito sempre attraversando Benevento con
poca spesa di pedaggio (fig. .). L’ingegnere conferma poi le altre
relazioni territoriali: «Dalla città di Lucera miglia trenta all’Udienza
della quale sta sottoposta per quel che attiene al temporale» , da
Foggia circa quarantadue miglia.
Nel Contado rimane importante Bojano perché sede vescovile, ma
ora è valorizzata Termoli come punto di riferimento per i caricatoi
del grano, per cui ne è precisata la distanza: «Dalla città di Termoli ove
il mare Adriatico miglia trentasei ». Oltre ai tratturi, diventano emblematiche le direttrici per Napoli e per Termoli, che rappresentano i
collegamenti con la Capitale e con il mare Adriatico.
Nell’individuare il Contado egli richiama i paesi già citati da Nauclerio per le fiere, ma altri prendono corpo come Civita Campomarano, Volturara, S. Marco della Catola, fino ai più distanti: Agnone e
Capracotta.
La fitta rete relazionale non appare in contraddizione con l’ impianto all’antica di Campobasso, corredato di ben sei porte, che, grazie a
Stendardo, hanno acquisito un suggello permanente nella memoria
storica.
Sta al presente situata alle falda di un monte di pietra viva dalla parte di
mezzogiorno con suo piano avanti [...] e munita d’intorno con suoi torrioncini all’antica [...] vi sono sei porte la prima che è la principale sotto
denominazione di San Leonardo.
Conosciamo così i nomi delle sei porte: San Leonardo, Mancina,
San Paulo, Sant’Antonio Abate, Santa Maria della Croce, San Nicola,
ma non per mera citazione, dal momento che, attraverso la posizione
delle porte, egli individua le ripartizioni dell’insediamento. La porta
San Leonardo — la principale — dava accesso alla città, la Mancina,
fatta erigere da Cola Monforte alla sinistra della prima, era dedicata
a Santa Cristina ed è ancora ben conservata (fig. .). Anche la porta
dedicata a Sant’Antonio Abate era frutto della volontà di Cola, come
. Il rapporto con quest’ultima, già individuato nel , è convalidato nuovamente dal
punto di vista ecclesiastico, dal momento che la sede vescovile è a Boiano, coll’appellazione
all’arcivescovo della città di Benevento (Ivi, p. ).
. Ivi, p. .
. Ivi, p. . Cfr. paragrafo sul ruolo di Termoli.
. Ibidem.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

Figura .. Tavola di Terra di Lavoro e Contea di Molise, da G. A. Rizzi Zannoni,
edita da Zatta, Venezia,  (fonte: Petrocelli, ).
la porta San Paolo, datata , mostrava e mostra tuttora lo stemma
della famiglia Gambatesa–Monforte (fig. .).
Siffatta descrizione non è dissimile da quella di Isernia, illustrata dal
tavolario Vetromile nel :
Nel lato verso oriente vi sono altre tre porte: una detta di S. Giovanni;

Campobasso da castrum a città murattiana
l’altra corrispondente al vicolo detto del campanile; e l’altra nominata della
Fonticella. E nel lato verso occidente vi sono altre quattro altre simili porte: la
prima chiamata Catiello, la seconda Porta di Chioppo, la terza del Mercatello,
e la quarta di San Bartolomeo.
Figura .. Porta San Paolo, datata , ben conservata dà accesso al centro storico;
visibile lo stemma della famiglia Gambatesa–Monforte.
. Cfr. Casimiro Vetromile, Apprezzo della terra di Isernia del , in Turco, , pp.
–.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

Figura .. Porta Santa Cristina, fatta costruire da Cola Monforte, posta alla sinistra
della porta principale, era denominata anche porta Mancina.
A Campobasso gli accessi gattonati, eretti per volontà politica di
Cola, diventano i landmark per l’ organizzazione interna degli spazi.
Infatti, Stendardo distingue la parte alta o terra antica e la terra nuova
— «nel piano et appresso al palazzo ducale si trova la chiesa collegiale
sotto il titolo di San Leonardo» — ripartita secondo una precisa
zonizzazione. Indica le contrade della terra nuova e le differenzia in
base alla vicinanza alle porte e ai luoghi di culto: «Nella contrada detta
Porta Mancina vi è un’altra chiesa sotto il titolo di Santa Cristina ».
Per ciascuna zona indica la chiesa di riferimento: «Nella contrada del
. Ivi, p. .
. Ivi, p. .

Campobasso da castrum a città murattiana
borgo vi è l’altra chiesetta sotto il titolo di San Bernardino» .
La suddivisione di carattere religioso è confermata pure da Giustiniani nel suo Dizionario Geografico Ragionato del Regno di Napoli:
Ella è però edificata propriamente sul pendio di un picciol monte, che va ad
estendersi in un ben larga ed amena pianura [...]. È degno a notarsi che la
popolazione di questa città è stata divisa in due quartieri uno detto la Trinità,
l’altro Santa Maria della Croce (Giustiniani, , vol. I., pp. –).
Porte e chiesette incidono sulla ripartizione interna della città,
ma non mancano riferimenti agli interessi mondani dei benestanti
locali, cioè alle famiglie che esercitano lo jus patronandi come, ad
esempio, la famiglia Ginetti sulla chiesa di San Bernardino. Ogni
zona è riconosciuta anche attraverso il ceto mezzano.
Come nel , si può operare la comparazione con una fonte
cartografica del tempo, che però documenta principalmente le costruzioni extramoenia. La Pianta del Feudo Di Santa Maria Di Monte Verde
del , redatta dall’agrimensore Giuseppe Giovannitti , riproduce
i tratti essenziali della città: la parte alta ormai abbandonata, lo sviluppo nel declivio del monte e le tante costruzioni esterne alle mura
particolarmente evidenti (fig. .).
Il fenomeno non sfugge assolutamente a Stendardo, che, particolarmente attento pure all’attivismo fuori dalle mura, ne comprova lo
sviluppo abitativo:
Fuori la porta principale, vi è una piazza grande, ove si fa il mercato ogni
giovedì e le fiere in esso; vi sono diverse abitazioni a destra e a sinistra,
vi sono anche diversi pozzi sorgenti non solo per comodo delli abitanti
di essa, ma anche per li forestieri, che ivi concorrono, vi è anche il borgo
dei Ferrari parimenti un altro borgo che va dalla piazza giunge alla chiesa
di Sant’Antonio Abate; viene ripartita detta terra da strade di competente
larghezza, parte mattonate et altre silicate di pietra dura del paese, a lato
et a sinistra delle medesime strade, vi sono l’abitazioni dei naturali della
medesima terra, che consistono in competenti casette di primo e secondo
. Ibidem.
. Ivi, p. .
. Giuseppe Giovannitti/Giovannitto nato ad Oratino nel , è attivo nella prima
metà del XVIII secolo in Molise fino alla morte nel . Scultore per tradizione familiare,
è regio agrimensore e svolge tale funzione anche per la Dogana delle pecore di Foggia. È uno
degli agrimensori scoperti e studiati dall’autrice nell’ambito del progetto DISCI.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

Figura .. Particolare della Pianta del Feudo Di Santa Maria Di Monte Verde del
 (fonte: Petrocelli, ).
piano, altre case fabbricate con buona idea a tre quarti, coverte generalmente
a tetto.
Il regio ingegnere documenta la costruzione di abitazioni fuori
dalle mura, sorte, dunque, nei primi decenni del Settecento, mentre
nel  vi erano qui solo baracche o casupole . Il centro degli affari, extramoenia, insieme al borgo dei Ferrari e a quello agricolo di
Sant’Antonio, costituisce ora un’area ampia con funzioni residenziali
ed economiche . Le costruzioni sono giustificate dall’aumento della
popolazione che, pur risultando di  fuochi, è costituita da 
anime , con un aumento di circa il % rispetto al .
I Ferrari sono i primi ad avvantaggiarsi di tanto dinamismo, ma
ad essi ora si aggiungono anche gli orefici (fig. .). Inoltre, appena
varcata la cinta muraria, dove consolida la sua fortuna l’osteria del
. Ivi, p. .
. Si veda il quarto paragrafo del terzo capitolo.
. La crescita dei sobborghi al di fuori delle mura cittadine è un elemento tipico
dell’urbanesimo europeo tra il XVII e il XVIII secolo (Calabi, ).
. Per quanto riguarda i fuochi egli conferma il numero —  — pari al , ma
precisa che vi sono  abitanti e indica quelli di minore età:  (Ivi, p. ).

Campobasso da castrum a città murattiana
Porcaccio , è citato un luogo particolarmente importante: il fondaco
della farina , dove si esige la gabella della farina (fig. .). Chiuso da
un lato dalle mura cittadine, all’inizio di largo San Leonardo, «vi era
un fondaco, cioè un locale terraneo dove si pagavano le tasse» per il
commercio del grano (Manfredi Selvaggi, , p. ).
I fondachi diventano spazi economici privilegiati sia per la farina sia
per il ferro o per il sale , qui come in tante città europee e non solo,
perché «la concentrazione in un medesimo luogo delle funzioni di
magazzino e di negozio all’ingrosso» permette «l’organizzazione di
pratiche pubbliche » (Norman, , p. ).
Appare ancora utile il raffronto con l’apprezzo di Vetromile, che
illustrando Isernia nel , ne decanta le sette fontane:
La prima di tre cannuoli vicino la Porta superiore detta da capo; la seconda
di cinque cannuoli, attaccata all’atrio di detta Cattedrale; la terza di un solo
cannuolo avanti la chiesa della SS. Annunziata; la quarta simile chiamata la
fontana di S. Tomaso, attaccata all’angolo del Palazzo della Camera Principale. La quinta simile avanti la chiesa del Pergatorio, la sesta di due cannuoli
attaccata al Monastero detto di Santa Maria, e la settima che è di un solo
cannolo avanti il Monastero de’ reverendi Padri celestini.
Isernia ha insomma una sua dignitosa nobiltà, qualche nota pretenziosa giustificata dalle fontane e dai palazzetti nobiliari, difesi da
torrette, mentre Campobasso si presenta come un nodo di traffici
commerciali, in piena coerenza con il periodo storico nel quale valori
. Cfr. Stendardo, op. cit., p. : «A destra della porta principale si trova l’osteria del
Procaccio. Dal fronte confina con la strada pubblica, va dietro alle botteghe di detta ducal
corte, a sinistra con l’altra strada pubblica e l’orto di detta osteria. Consiste nel fronte
di detta strada pubblica in tre arcate sostenute di quattro colonne di pietra forte, con
mezzanino guasto sopra e sotto parapetto a tavola». L’osteria ha una collocazione di rilievo
perché accoglie il Procaccio, colui che portava la posta da Napoli e rappresentava un
rapporto stabile con la Capitale, oltre ad essere uno dei luoghi deputati all’ospitalità dei
forestieri.
. Cfr. Stendardo, op. cit., p. .
. Già nel  era attivo il fondaco del ferro, ora sono presenti quelli del sale e del
tabacco.
. Cfr. Norman, , che illustra differenze e somiglianze nell’età moderna delle città
cristiane e musulmane. Egli ricostruisce anche il significato del termine fondaco e la sua
diffusione negli spazi urbani.
. Cfr. Casimiro Vetromile, Apprezzo della terra di Isernia del , in Turco, , pp.
–.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

Figura .. Strada degli Orefici, appena all’angolo della porta principale, ancora
oggi è costellata di botteghe.
Figura .. Il fondaco della farina era ubicato in questa piazzetta.

Campobasso da castrum a città murattiana
economici e processi di mobilità caratterizzano la penisola, benché
ogni territorio si sia misurato con questi cambiamenti in modo diverso
(Musi, ).
La struttura urbanistica di quest’ultima continua però a non essere
consapevolmente modificata , perché botteghe e piccoli fabbricati
sono sorti in modo improvvisato, a differenza di Foggia dove l’espansione settecentesca socio–demografica comporta trasformazioni
urbanistiche (Melillo, ). Infatti, proprio un molisano, Giuseppe
Maria Galanti, nella sua relazione sulla Puglia del –, descrive
Foggia come una bella città con buone strade larghe (Poli, ).
Peraltro, il limite più grande del duca Mario Carafa è proprio quello
di non aver trasformato gli spazi commerciali di Campobasso in una
vera piazza, come accade nello stesso periodo nella pur non lontana
Benevento, «in conformità ai nuovi modelli urbanistico–architettonici
che si andavano affermando» (Bencardino, , p. ).
La logica feudale condiziona Campobasso, benché sia in una fase
di dissoluzione. Stendardo non può certo mettere in crisi lo status quo,
può descrivere però le trasformazioni, valorizzando sempre gli aspetti
economici, anche quando deve tratteggiare gli spazi sacri. Come la
parte interna è costellata di luoghi di culto, la terra fuori le mura è arricchita dai monasteri; eppure il perito appare più interessato ad aspetti
mondani e funzionali, difatti, a proposito di due conventi precisa:
Uno sotto il titolo di Santa Maria delle Grazie. In esso vi sta l’infermeria
speziana, essendo convenuto capo di provincia per convento di tutti gli altri
monasteri che sono nella provincia suddetta, l’altro sotto il titolo di San
Giovanni. In esso si lavora la lana e si fa la fabbrica dei panni per conventi di
tutti i paesi della provincia.
Lo spazio sacro, parte integrante del circuito sociale, appare contaminato dagli interessi mondani condividendone forme di controllo
territoriale. Il criterio della funzionalità guida l’ingegnere anche nell’accertamento dei beni ducali; a differenza del predecessore, non vi
. Qui misuriamo la distanza con i grandi centri che invece in Italia come in Europa
sono oggetto di cambiamenti e di ampliamenti consapevoli; cfr. Calabi, ; Rombai, ;
De Seta, ; Norman, .
. Poli, , analizza il Giornale di viaggio relativo alle Province della Puglia per ora
inedito di Giuseppe Maria Galanti redatto negli anni –.
. Ivi, p. .
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

è alcun atteggiamento reverenziale, ma piuttosto un atteggiamento
di praticità nell’elencarne i possedimenti . Infatti, senza scrupoli formali, descrive il Palazzo ducale che appare in più parti abbandonato;
la sala dove già Nauclerio aveva ammirato lo stemma della famiglia
Carafa, appare con «la soffitta cadente », e l’ingegnere conclude «et in
questo consiste il Palazzo ducale quale che molto patito e ha bisogno
di prontuaria rifazione ».
Il palazzo, proiettato sulla scia dell’antico castello, è emblema della
crisi della feudalità a Campobasso, essendo simbolo del potere che vi
risiedeva e che stenta a ritornarvi. In opposizione a tale condizione,
l’articolazione degli spazi dei naturali appare come espressione di
nuove forze sociali.
Un flusso vitale, nel , sembra percorrere Campobasso, sulle vie
mattonate e silicate che conducono alle casette e alle botteghe fuori dalle
mura. Queste ultime non sono più un limite e una difesa, ma come
i torrioncini — le forme all’antica — rappresentano l’identità che si
articola in più piani e maggiori funzioni, mentre le sei porte appaiono
quanto mai funzionali ad un dinamismo commerciale che ora si vuole
documentare.
.. I cambiamenti socio–economici
Il Contado, nel corso del XVIII secolo, consolida il suo carico demografico ma sempre in modo contenuto; la stabilità complessiva, che non
conosce l’exploit delle province contermini, conferma la «secondarietà»
demografica del Molise, come si è chiarito nel terzo capitolo.
Infatti, se nel  erano qui censiti . fuochi distribuiti in
 abitati, nel  ne risultano . in . L’unico fattore positivo
sembra essere il consolidamento dei nuclei o fuochi, probabilmente
più numerosi (/ componenti) secondo l’indicazione di Galanti
. Ecco il passo specifico: «In detta terra e nel suddetto recinto la ducal corte vi possiede
li sottoposti corpi consistentino in Palazzo Ducale, molte botteghe, magazzini e fondaci,
osterie, stalloni, territori e li tre feudi sotto la denominazione di Camposenarchione, S.
Giovanni in Golfo e le Salsere e l’antico castello» (Ivi, p. ).
. Ibid., p. .
. Ibid., p. .
. Il Galanti () oscilla fino ad oltre i dieci componenti per fuoco, per cui la sua

Campobasso da castrum a città murattiana
(), per cui la popolazione del Contado doveva attestarsi, nel ,
all’incirca sui . abitanti distribuiti in piccoli centri, mentre solo
pochi, come Isernia, Campobasso, Frosolone, Riccia, Sepino, Bojano,
si fanno notare per una maggiore consistenza .
A Campobasso, secondo le informazioni di Stendardo confermate
dalle numerazioni dello stesso periodo, risultano  fuochi, ma il
perito precisa anche il numero delle anime —  — per cui i nuclei
familiari dovevano essere maggiormente consistenti, con un aumento
complessivo della popolazione di circa il % rispetto al . Nel corso
del XVIII secolo si assiste ad una graduale crescita della popolazione,
fino a circa  abitanti nel , secondo il Dizionario Geografico
Ragionato di Lorenzo Giustiniani.
Peraltro, i dati estratti dai registri dei battezzati della parrocchia
di San Bartolomeo a Campobasso indicano una natalità costante per
tutto il secolo e con un lieve aumento dal  in poi, in linea con
le tendenze nazionali (fig. .); allo stesso modo, i dati riguardanti
la mortalità mostrano un pari andamento, secondo un processo
demografico primitivo, connotato da un’ alta mortalità infantile
(Sarno, d).
È nel complesso una micro–società stabile, ormai abituata agli
andamenti critici determinati di volta in volta da crisi alimentari o
sanitarie, dove, secondo la perizia del , i minori sono , e quindi
circa un quarto dell’intera popolazione, il che fa presupporre anche la
vitalità degli adulti.
Stendardo come Nauclerio ripartisce la piccola società campobassana in ordines: la loro visione sociale, in modo eguale, riconosce nobili,
mezzani e lavoranti. Però, nel  il quadro è molto più mobile e
vivo; da un verso emerge un paesaggio umano affollato, perché i
mezzani prendono corpo, con i loro nomi e cognomi, beni e attività,
dall’altro l’ampia base sociale è posta in una posizione maggiormente
subordinata. Negli ordines di Campobasso il ceto mezzano è diventato
indicazione è stata tenuta in considerazione operando la media tra i diversi valori. Cfr. nota
.
. Questi paesi registrano nel  mediamente  abitanti. Per i dati dei fuochi e
degli abitati cfr. Masciotta, , I vol.
. Cfr. Delille, , e Del Panta et al., , per il quadro complessivo dei processi
demografici nel Mezzogiorno moderno.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

Figura .. Andamento dei nati battezzati secondo i dati estratti dai registri della
parrocchia di S. Bartolomeo dal  al  (ns. elaborazione).
effettivamente importante, mentre la nobiltà è sempre esigua e il
popolo rimane silenziosamente da parte.
I benestanti ora sono moltissimi con una ricchezza di circa quarantamila/cinquantamila scudi di fondo, a dimostrazione della crescita
economica di quel ceto mezzano che ha cominciato ad emergere a fine
Seicento. La ricchezza proviene dal possesso della terra, dall’affitto
delle masserie o dalla gestione delle botteghe, infatti, lo stesso Stendardo riferisce della diffusione di tale forma contrattuale, comprovata dal
fatto che vi siano tanti bracciali disponibili. Non è affatto secondaria la
ricchezza proveniente dall’allevamento, anzi l’attuale elevato numero
ora riferito, ben diverso da quello indicato da Nauclerio, di animali
. Le famiglie nobili sono ora tre, per cui ai De Attellis, con il feudo di Sant’Angelo
Limosano, e ai Jannucci, con il feudo di Tappino (nell’agro di Campobasso), si sono aggiunti
i Petitti con il feudo di Ferrazzano. «Dell’abitanti della terra suddetta vi sono tre baroni [...]
ed altre dei quali vi sono moltissimi cape di famiglie civili che vivono decentemente colla
propria rendita, essendoci taluno che possiede da quarantamila a cinquantamila di fondo»
(Stendardo, op. cit., p. ).
. «Nella seconda metà del Seicento i Musenga, i Pestillo, i Palombo, gli Scaroina, gli
Iapoce, i Trotta i Mascilli, i Chiarizia, i Pietrunti avevano acquistato un posto di rilievo nella
vita cittadina, affittavano i beni della Camera feudale, acquistavano terreni» (Lalli, , p. ).
. Stendardo riferisce un elevato numero di animali a Campobasso: «Possiedono l’abitanti della detta terra per loro maggior comodo e industria: vacche n., bovi tra domiti e
indomiti n. . Pecore e capre n. . Somari domiti n. . Giumente di razza n.. Muli
domiti n.. Troie di razza n.» (Stendardo, op. cit., p. ).
. Nell’apprezzo del  si riferisce che l’Università di Campobasso possedeva dieci

Campobasso da castrum a città murattiana
dati la maggior parte a società, dimostra che l’allevamento è diventato
un fattore che produce sviluppo e forme di aggregazione tra capi di
famiglia.
Tuttavia, le rendite provengono pure da attività professionali, secondo una metodica tipica del Regno, nel quale prima ci si arricchisce
attraverso l’acquisto di terre o il commercio, poi ci si nobilita grazie
alla cultura giuridica che offre gli strumenti per difendere i propri
beni e inserirsi onorevolmente in una società gerarchica (De Marco,
). Nella micro–società campobassana si ripete tale situazione: «vi
sono molti dottori di legge, notari e giudici di contratto» .
Complessivamente nel Regno il ceto civile aveva raggiunto un
particolare rilievo sia perché la perizia forense era utilissima nelle
dispute continue tra baroni e Università, sia per i conflitti con il potere
ecclesiastico; grazie a queste funzioni i giuristi erano parte integrante
della macchina statale e godevano dei vantaggi di ricoprire cariche
pubbliche e di gestire gli appalti (Colapietra, ). La loro presenza anche qui indica il consolidamento del ceto civile, soprattutto di
esperti di diritto; non a caso, mentre Stendardo stende la sua relazione,
sono proprio gli avvocati Anselmo Chiarizia e Alessandro Petitti a
battersi per liberare la città dal giogo feudale.
Il ventaglio delle opportunità è però ampio, infatti, oltre ai notabili
forensi, emergono altri che si arricchiscono con il subaffitto degli
arrendamenti e con il commercio.
Nella ricostruzione dei patrimoni dei notabili campobassani, Cirillo () chiarisce che Nicola Silvestri, ad esempio, aveva investito
consistenti somme di denaro nel commercio del grano, pari a non
meno di .–. ducati annui. Gli Japoce, a loro volta, si dedicano agli investimenti zootecnici e cerealicoli, acquistano due feudi
consolidando un patrimonio di centinaia di migliaia di ducati, anche
per il monopolio della polvere da sparo .
Renata De Benedittis (), studiando alcuni documenti dell’archivio privato Japoce, ha svelato le ricchezze accumulate da questa
cavalli, sei muli, centosessanta bovi aratori, quattrocento animali vaccini, duecento pecore
carfagne (Nauclerio, Apprezzo della terra di Campobasso, , p. ).
. Cfr. Stendardo, op. cit., p. .
. Gli Japoce e i Silvestri rappresentano l’élite dei benestanti a Campobasso e saranno
i promotori del riscatto della città; Cirillo, , ne ha analizzato in modo analitico i
patrimoni.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

famiglia come da altre . I notabili campobassani possedevano fabbricati, vigne, terreni, orti, forni e pozzi. Francesco Japoce, ad esempio,
risulta proprietario di «una casa palatiata di più appartamenti e quarti,
con giardino murato, cisterna e cortile, sita in Contrada detta il Colle
di San Bartolomeo» .
Tanta solidità si diffonde al punto che altri auspichino a diventare benestanti. Stendardo non individua, come il predecessore, le
botteghe presenti, ma le specifiche professionalità: sartori, barbieri,
parrucchieri, ferrari, fucilieri, falegnami e fabbri. Nella strada della
porta principale si susseguono botteghe di orefici, cappellari, merciai
e scarpari, ma anche fornari, pizzicaroli, ramari, sellari, conciapelle,
impastari. Accanto a loro le donne lavorano la lana, la seta e il cotone,
a servizio di una comunità molto attiva che ha a disposizione «un
capitano di battaglione, un alfiero, un tenente, venticinque soldati a
piedi e cinque a cavallo» .
Al piccolo drappello militare continua ad essere affidato il controllo
dei passaggi tratturali e le spese per sostenerlo sono documentate
nei contenziosi con il Consiglio Collaterale, organismo preposto a
controlli legislativi .
Le arti devono necessariamente essere molteplici, perché i forestieri «vengono non solo a vendere grani et altre vettovaglie ma per
provvedersi di quello le fa bisogno; vi sono molte spezierie di medicina et aromatarii, molte botteghe di merciai ove anche si vendono
panni e drappi di seta, molte botteghe di sartori ».
Nel giro di cinquant’anni i campobassani hanno accresciuto le loro
competenze come esperti del vestire, avendo rafforzato il collegamento
. Il documento a cui si fa riferimento è l’atto notarile che dà mandato ai procuratori
Giovan Matteo Japoce e Anselmo Chiarizia di far fronte alla vertenza per riscattare la
città. L’atto è stipulato dal notaio Giovanni Antonio d’Avvocati il  novembre . Per
far fronte alle spese tutti i  firmatari della procura devono dichiarare i loro beni, per
cui il documento è prezioso per conoscere la situazione economica di Campobasso. Cfr.
Archivio privato Japoce, b., fasc. , ASCB. Per il commento del documento cfr. R. De
Benedittis, .
. Cfr. Archivio privato Japoce, b., fasc. , ASCB.
. Ivi, pp. –. Essi complessivamente sono moltissimi, il che significa che superano
di gran lunga quel circa % indicato nel .
. Cfr. Collaterale di provvisione (ASN), vol. ; si veda pure il commento di Cirillo,
.
. Ivi, p. .

Campobasso da castrum a città murattiana
tra la produzione in loco della lana o della seta, il lavoro di filatura delle
donne e l’arte dei sartori. Sappiamo anche di un’altra specialità locale:
la presenza degli aromatari, esperti di erbe che sfruttando la ricchezza
dell’agro sapientemente le scelgono e le vendono (Sarno, d).
La piazza è, dunque, definita da Stendardo mercantile per la vendita
del grano, del bestiame, di tanti prodotti; le tipicità che saranno stabili
fino alla fine dell’Ottocento riguardano appunto la lavorazione della
lana e della seta, del ferro, dei derivati del latte, del miele e delle
erbe. Campobasso comincia a diffondere i suoi prodotti non solo nel
Contado, ma nelle province vicine.
Nell’analisi delle città contadine della Puglia, Poli () precisa
che le funzioni mercantili fanno emergere Bari e Barletta e finiscono
per porle in competizione con Foggia e Lucera. Parimenti Salerno e
Amalfi si distinguono perché veri e propri poli manifatturieri (Cirillo
).
Il dinamismo si riflette anche nella gestione politica della terra di
Campobasso, infatti se le nomine sono effettuate dalle confraternite e
condivise con il feudatario come nel , qualche differenza si avverte:
Si governa il pubblico di detta terra di un Mastro Giurato, sei eletti e quattro
sindaci e un dottore, qual viene chiamato capo di reggimento, tre grassieri,
due razionali e due giudici della bagliva, che vengono eletti, cioè il Mastro
Giurato, un anno della confraternita di Santa Maria della Croce e un altro
anno della Confraternita della SS. Trinità, delle quali si nominano  persone
per maggior numero di voti.
Le cariche appaiono stabili e gli incarichi minori sono maggiormente definiti, ma è emblematico il particolare sulle votazioni, per
le quali è accettato il criterio della maggioranza, il che fa trasparire la
mobilità presente nelle Confraternite .
Nei circa cinquant’anni intercorsi dal primo apprezzo, sebbene la
memoria storica abbia stigmatizzato in modo negativo il duca Mario
Carafa, il suo lungo dominio non ha affatto danneggiato i mezzani
che, invece, appaiono irrobustiti nelle loro risorse, nelle loro relazioni
. Ivi, pp. –.
. Con lo sviluppo commerciale di Campobasso si afferma una terza confraternita,
sorta sotto la reale protezione della chiesa di Sant’Antonio Abate, proprio nel sobborgo
rurale e, benché non sia ammessa a decidere sulle nomine politiche, rappresenta un
ulteriore elemento del dinamismo sociale di questo periodo.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

commerciali, nella possibilità di esprimersi tramite le Confraternite.
Essi hanno acquisito un tale rilievo che ben poca attenzione è dedicata
al popolo. «Il romanente della gente sono tutti bracciali che vivono
alla giornata. [...] nelli mesi estivi li bracciali della medesima terra
vanno a mietere ».
Mentre Nauclerio distingueva lavoranti stabili e quelli a giornata,
ora sono tutti braccianti e nel periodo estivo si spostano per la mietitura nel Tavoliere; siffatta forma di migrazione stagionale si affianca a
quella della transumanza . Se le condizioni del ceto mezzano sono
migliori, la popolazione nel complesso non si è avvantaggiata, piuttosto si è adattata ai rapporti di relazione con la Capitanata sfruttando la
possibilità d’essere mano d’opera. L’affermazione dei mezzani incide,
in qualche misura, sulla base della popolazione che è posta ai margini
dell’organizzazione sociale, mentre essi hanno reso concreta la loro
crescita economica.
.. Gli affitti di botteghe e terreni come segnale di dinamismo
economico
L’apprezzo Stendardo è illuminante sul paesaggio commerciale di
Campobasso, a cominciare dalle botteghe situate intorno al Palazzo
ducale, nel largo San Leonardo:
Appresso ne segue un’altra con suo mezzano fienile, al quale si va con scala
di legname, addetta per uso di sartoria, affittata a Pasquale Santacroce per
annui ducati quattro e mezzo. Appresso ne segue un’altra in tutto simile
avvolta per uso di bottega d’orefice affittata a Berardino Cereo per ducati
quattro e mezzo. Nella medesima contrada a sinistra della Porta di detta
Terra si trova una piccola bottega per uso di aromatario la quale confina
con il Largo della Piazza, ora dietro colli beni dell’Università e da un lato di
destra con porta, consiste in parte quatra con sua fermata sopra di legno e
coverta a travi, sopra della quale vi è il suo mezzano al quale vi si assente
con scala a mano, coverta a tetto. Con suo finestrino dalla parte della piazza
affittata a Carlo De Luca per annui ducati dodici.
. Ivi, pp. –.
. Il fatto che fossero diffusi gli spostamenti di braccianti e pastori da Campobasso è
rilevato anche da Longano nel ; cfr. Longano, , ristampa anastatica dell’originale
del .
. Cfr. Stendardo, op. cit., p. –.

Campobasso da castrum a città murattiana
Le botteghe si susseguono una dopo l’altra, con il mezzanino da
utilizzare come magazzino e le più grandi persino con le finestre.
Ovviamente non sono tutte uguali e le differenze dipendono dalla
grandezza del locale e dall’arte; quella dell’aromatario, ad esempio,
per le sue funzioni benefiche e salutari, richiede spazi maggiori, ma
richiama anche più clienti, soprattutto forestieri (fig. .). Gli speziali e gli aromatari rappresentano infatti una categoria evoluta tra gli
artigiani per la maggiore preparazione tecnico–culturale (Berengo,
).
Le informazioni di Stendardo sono confermate dalle indagini svolte sui patrimoni dei notabili, già citate, e principalmente dall’atto
notarile stipulato da  firmatari , presso il notaio Giovanni Antonio
d’Avvocati il  novembre , per avviare la pratica del riscatto della
città. Essendo l’elenco dei beni posseduti dai mezzani più in vista,
sarà richiamato ora come riscontro . Infatti, a proposito proprio di
Pasquale Santacroce, il primo affittuario citato da Stendardo, sappiamo dal documento del  che era proprietario di una vigna con
casino.
Il paesaggio mercantile non caratterizza solo il centro, ma si
ripete nelle contrade, nelle diverse zone divise a seconda della porta
di riferimento; anzi il perito non segnala solo l’attuale affittuario,
ma in qualche caso quello precedente: «Appresso ne segue un’altra
[...] affittata a Nicola di Soccio che prima levargli in fitto da Gennaro
Pocichillo per annui ducati venti. Appresso la ne segue un’altra
simile per uso di scarperia affittata a Nicola Di Soccio per ducati
venti ».
Nicola Di Soccio mostra di essere un intraprendente gestore di
due botteghe: è la strada per una crescita economica che spinge
ad ampliare il giro di affari. Come apprendiamo sempre dall’atto
del , i Di Soccio posseggono diversi beni: Michele di Soccio
una casa, Francesco di Soccio due vigne, Romano di Soccio ancora
. I demanisti che riscatteranno la città saranno , ma in questo documento sono
elencati i beni dei primi . Essi impegnano i propri beni per raccogliere la cifra necessaria
per il riscatto della città.
. Per il documento si vedano note – e si rimanda a R. De Benedittis, .
. Ivi, p. .
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

Figura .. Insegna ottocentesca di una fabbrica d’acciaio a Campobasso (fonte:
Trombetta, ).
una casa . Tuttavia, il citato Gennaro Pocichillo non è affatto un
perdente, dal momento che Stendardo ci informa di alcune sue
proprietà nel sobborgo agricolo di Sant’Antonio Abate. Infatti, sempre dal documento del , il Pacichillo risulta proprietario di una
casa .
I mezzani affittano botteghe, comprano terreni e scelgono, a seconda delle circostanze, l’affare più vantaggioso. L’acquisto di proprietà è
sicuramente vantaggioso per chi non ha una specializzazione artigiana
e vede nella terra una rendita sicura.
Altre botteghe, organizzate per arte, si dipartono nei dintorni della
taverna del Procaccio e nel prosieguo del largo del mercato, a disposizione dei forestieri; infatti proprio qui si susseguono le scarperie in
locali della Ducal Corte, affittate, ad esempio, a Domenico Mancino
per diciannove ducati annui e a Francesco Mancino per quattordici
ducati. A quanto pare c’è un’omogeneità di famiglie che trattano lo
stesso mestiere, mentre si può dedurre che l’affitto è all’incirca pari a
. Così recita l’atto del : «Romano di Soccio obliga una casa di membri quattro
[...] Michele di Soccio obliga una casa di più membri [...] Francesco di Soccio obliga
una vigna [...] più un’altra vigna».
. Stendardo, op. cit., p. .
. Stendardo, op. cit., p. .

Campobasso da castrum a città murattiana
quello versato per le botteghe situate nell’abitato. Come accade altrove,
«calzolai e sarti tengono le loro botteghe nel cuore della città e sono
in diretto contatto col pubblico e coi clienti» (Berengo, , p. ).
Invece, dalla parte di Porta Mancina ve ne sono altre, meno pretenziose:
Vi si trova una bottega in due componenti di tavole [...] affittata a Domenico
Petrunto e Angelo Iammarino per annui ducati sei. Appresso la detta strada
la segue altra bottega ove vi stanno cappellaro [...] affittata a Giorgio Barone
per annui carlini . Ve ne segue appresso un’altra [...] per uso di fuciliere
affittata a Domenico Danolfo per  annui ducati.
Nella distribuzione e articolazione del ceto artigiano hanno sicuramente un peso la posizione del locale, la specializzazione dell’artigiano, l’utenza di riferimento. Tanta mobilità economica di Campobasso,
circa cinquant’anni dopo, sarà attestata da Lorenzo Giustiniani:
Il suo territorio non è molto esteso, ma atto a buone produzioni. Vi si
coltivano gli ortaggi, essendovi dappertutto delle abbondanti acque e pascoli
per gli animali dei quali se ne fa qualche industria. [...] Tiene tre fiere all’anno
[...] Vi fioriscono le arti e un tempo più che mai oggi i Campobassani si
segnalano per i loro lavori d’acciaio, e soprattutto di sciabole, spade, coltelli
da superare quelli degl’Inglesi (Giustiniani, , vol. I, pp. –).
Lo sviluppo mercantile finisce per riguardare anche i feudi ducali: Camposenarchioni, San Giovanni in Golfo e Salsere (fig. .).
Stendardo chiarisce che, sebbene i campobassani possano esercitare gli usi civici nei primi due, essi ora sono suddivisi in masserie
date in affitto. Ad esempio, nel feudo di Salsere un’intera famiglia ne gestisce quattro. «Nel feudo che sopra vi sono altre quattro
masserie, la prima si possiede da Antonio Di Zinno, la seconda
e la terza di Antonio e Vito Di Zinno e la quarta di Gennaro di
Zinno ».
. Stendardo, op. cit., p. .
. Questi feudi sono rilevanti per Campobasso e diventeranno oggetto di contesa
nell’Ottocento; la rilevazione cartografica del  è dell’agrimensore Mazzarotta che
nel verbale che accompagna le carte cita proprio l’apprezzo di Stendardo. Cfr. Sarno,
d.
. Ibidem, p. .
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

In questo caso il perito non ha bisogno di precisare i rapporti
economici tra il possessore del feudo e i massari, dal momento che
tutto è regolato secondo lo jus coloniae . Elemento importante e
nuovo rispetto all’apprezzo del  è la concentrazione delle masserie
in poche mani.
All’interno del mondo rurale cominciarono a emergere figure di contadini
più agiati, spesso in veste di fattori o sovrintendenti di beni feudali, capaci di
accumulare scorte e di collocarle sul mercato nei momenti più favorevoli
(Cazzola, , p. ).
La famiglia di Zinno negli anni successivi sarà una di quelle in
vista, non a caso uno dei suoi membri sarà designato a rinnovare l’
importante tradizione dei Misteri .
Altre masserie nello stesso feudo sono date in gestione per l’alleva–
mento degli animali in cambio di servigi al proprietario. I feudi ducali
finiscono per apparire un mosaico:
Poco distante dalli beni del Reverendo Rettore Ciccarelli e similmente
dentro il territorio suddetto si ritrova l’altro edificio di fabbrica consistente
in una stanza terranea [...] per uso e ricetto delli animali di detta masseria al
presente riscoperta, ritrovata di capacità di tomolate  e passi . Si tiene
in affitto da Janera per annui ducati .
Il passo è particolarmente interessante perché dimostra che gli
spazi infertili erano adattati per il ricovero degli animali ed erano
dati in affitto. La cifra è determinata dall’ampiezza, ma anche dalla
funzione; l’informazione che gli animali siano della stessa masseria
convalida il tipo di società descritta in altri passi: si prefigura una forma
di accordo tra il proprietario e l’affittuario nella cura del bestiame. In
ultimo, sono segnalati alcuni locali dati in affitto all’Università, come il
«suol della ducal corte ove si facevano le cianche [...] Le medesime si
tenevano in affitto dall’Università per annui ducati , ».
. È una forma molto antica di contratto in cui il proprietario e il colono si associano
per la lavorazione di un fondo e per la divisione degli utili.
. Ibid., p. .
. Per l’importanza della famiglia Di Zinno si veda Catalano, ; per i Misteri si
rimanda al sesto paragrafo di questo capitolo.
. Ivi, p. .
. Ibidem.

Campobasso da castrum a città murattiana
Dietro l’apparente anonimato — l’Università — vi sono però gli
amministratori, scelti a turno dalle confraternite, i quali svolgono
funzioni di controllo e ricoprono cariche come la Mastrodattia, il cui
fitto medio annuo è di venti ducati . Benché queste designazioni
siano espressione di concessioni, tipiche del Mezzogiorno moderno
(Barberis, ), rappresentano l’ulteriore possibilità per i mezzani di
ritagliarsi spazi economici che Stendardo ha reso concreti anche per
noi.
Figura .. La Pianta geometrica dei tre feudi di San Giovanni in Golfo, Salsere e
Camposenarchioni di Alessandro Mazzarotta,  (fonte: ASCB).
. Ibidem, il Mastrodatti era il redattore di atti.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

.. La piazza mercantile nella geografia fieristica del Mezzogiorno
I cambiamenti socio–economici sono evidenti nei primi decenni del
XVIII secolo e si traducono nelle funzioni urbane di Campobasso che
emerge chiaramente come un nodo di traffici commerciali grazie alla
sua posizione nella geografia della transumanza, pur condizionata dalla
logica feudale. Prova del suo valore economico è il fatto che, nel giro
di circa cinquant’anni, la sua stima sia raddoppiata dai sessantamila
ducati stabiliti da Nauclerio ai centomila indicati da Stendardo.
Ma quali sono i fattori dello sviluppo di Campobasso? I mezzani di
cosa si avvantaggiano? Essi possono contare sui cardini del sistema
economico del Regno, ovvero produzione cerealicola e transumanza,
per trarne vantaggi economici che si traducono in beneficio per Campobasso, divenuta area di commercializzazione . Stendardo segnala,
infatti, la vendita del grano nella piazza cittadina e anzi precisa «per
causa del mercato e fiere che in esso si celebrano, c’è il granaio non
solo della Provincia suddetta, ma di tutte le altre convicine ».
Questo passaggio è importante perché indica l’aumento di produzione dei cereali nel circondario di Campobasso, come nel Contado,
con la messa a coltura di terre anche collinari, precedentemente lasciate a pascolo o a zona boschiva, per fini commerciali, grazie all’attivazione degli scali di Termoli, Campomarino e presso la foce del Biferno,
dove il grano è caricato per essere portato persino a Napoli. Da qui
comincia quel ruolo del Molise come granaio del Mezzogiorno che
dura fino all’Unità d’Italia, ruolo messo in evidenza già dal Cuoco
(), e illustrato tanto negli studi degli anni Settanta (U. D’Andrea,
; Lalli, ), quanto recenti (Brancaccio, ; Cirillo, ; Zilli,
).
Se il tema è stato affrontato, è però interessante sottolineare che
. L’intensificarsi dei processi di commercializzazione e di esportazione è una caratteristica dell’economia europea del Settecento; cfr. Cazzola, , che fa il punto della
situazione.
. Cfr. Stendardo, op. cit., p. . Stendardo riferisce anche che l’agro produce non solo
grano, ma anche orzo, legumi, frutti, vite, poco olivo, e in più c’è la lavorazione dei derivati
del latte e del miele. Sono tutti prodotti che favoriscono le arti locali come i formaggi, il
miele, mentre il consumo del vino è tutto locale perché non può competere con quello
delle province limitrofe.

Campobasso da castrum a città murattiana
fosse proprio l’annona napoletana a interagire direttamente con il
Molise. Dai primi del Settecento «i granieri della capitale, invece di
accontentarsi dell’intermediazione dei mercanti di grano locali, cominciano ad inserirsi direttamente nel mercato locale» (Cirillo, ,
pp. –). Il commercio dei grani è fonte primaria del Regno, ma la
sua gestione risulta complessa e spesso interdetta dagli stessi granieri
che nascondono il grano per farne aumentare il prezzo. Il problema
diventa oggetto di discussione politica nel corso del XVIII secolo, anche per le ripercussioni nei periodi di carestia, quando subentra il
dubbio che il monopolio del commercio del grano sia un limite e
non un vantaggio . «Il monopolio granario regnicolo [...] era giustificato con la notazione delle misure strettamente protezionistiche
della propria navigazione comuni a Francia e Inghilterra» (Galasso,
, p. ). I diversi conflitti d’interesse — tra mercanti e con gli altri
stati produttori di grano — ne incentivano la produzione ovunque,
anche in Molise. Si mettono perciò a coltura pure i terreni collinari e
si opera un forte diboscamento che sarà criticato dal Cuoco () e
che favorirà il dissesto idrogeologico del Molise (Barker, ; Sarno,
b), ma nel corso del Settecento incentivare la produttività appare
vantaggioso . Francesco Longano riferisce, nella sua relazione Viaggio
per lo Contado di Molise del , che il Molise produce circa ..
tomoli di frumento, di cui . esportati. Come illustra Vincenzo
Cuoco (), insieme al grano i molisani producono ed esportano
granturco e farro. L’aumento della produzione cerealicola favorisce
Campobasso che, prevalendo su Bojano , diventa fulcro mercantile
del Molise centro–orientale. Il luogo urbano deputato al commercio
è il fondaco della farina, mentre i mezzani vedono in Termoli il loro
naturale sbocco sul mare, dal momento che i traffici per terra sono particolarmente disagevoli e solo tramite vie d’acqua si possono
trasportare le merci fino a Napoli.
. Il problema fu affrontato da Galiani che scrisse Dialoghi sul commercio dei grani, fatti
stampare da Diderot a Parigi nel . Fu poi oggetto d’attenzione di Bernardo Tanucci,
Primo Ministro del Regno tra il –; cfr. Galasso, , che tratteggia tutta la questione
del commercio del grano.
. L’intensificarsi della produzione granaria è trattato da Galanti, ; Cuoco, ;
Longano, . Le fonti dell’Ottocento, a proposito della zona agnonese, mettono in
evidenza i danni del diboscamento e li pongono in correlazione con l’emigrazione: cfr.
Sarno, f.
. Il particolare è messo in rilievo da Lalli, .
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

D’altra parte, la transumanza continua ad essere un beneficio perché favorisce il transito dei transumanti e la vendita del bestiame
unitamente ai prodotti degli artigiani .
Tutti questi fattori hanno un elemento unificante che si è stabilizzato nel tempo: le fiere e il mercato. La «piazza vicina alla porta
principale» è quindi definita da Stendardo piazza mercantile per la
presenza di «gran quantità d’animali di ogni spezie e di vettovaglie»,
anzi è «una delle principali terre del Principato et userebbe con ragione
di essere annoverata fra le generali terre del Regno », poiché ospita
tre fiere, recuperando anche quella soppressa per la concorrenza di
Foggia .
L’espressione piazza mercantile mostra che non è solo luogo di
vendita di prodotti ai consumatori, ma di stabili scambi tra mercanti
con un’evoluzione organizzativa di tutto rispetto (Ait, ). Pertanto,
a Campobasso, come in altre città del Regno avviene, durante il secolo
XVIII, un processo di trasformazione economica grazie all’attivismo
mercantile (Poli, ). Il binomio che viene realizzandosi tra il Molise
interno e la costa si ripete ad esempio per Barletta che si impone come
scalo portuale delle granaglie prodotte nel retroterra (ibidem). Ciò
comporta anche l’avanzata di ceti nuovi che valorizzano le attività
artigianali e l’intermediazione commerciale, come Cirillo () ha
evidenziato per le città campane.
Nel caso di Campobasso il fattore catalizzante è rappresentato dalle
fiere, per l’importanza dei mercati come nodi di processi produttivi
(Bateman, ; Yun Casalilla, ). Infatti essa, essendo partecipe
della rete tratturale, si integra nella geografia fieristica, che si era
affermata nel Mezzogiorno in età aragonese. Come a più riprese ha
. Per questi motivi Stendardo precisa che a Campobasso «la regia corte vi fa resedere
il suo percettore, suo tesoriere», cioè colui il quale è incaricato di riscuotere le gabelle
(Stendardo, op. cit., p. ).
. Ivi, p. .
. Alle fiere di giugno e di settembre, si aggiunge quella di maggio che soppressa nel
Seicento per la concorrenza di Foggia, ritorna in auge nella ricorrenza della festività dei
Santi Nereo e Pancrazio, il primo maggio. Cfr. Stendardo, op. cit., pp. –: «La prima
sotto il titolo dei santi Nereo, Aliseo e Pancrazio a primo maggio [...], la seconda fu sotto il
titolo a S. Pietro Paolo e si celebra a  giugno e tutto li cinque luglio seguente e la terza
sotto il titolo di Santa Maria che si celebra in  settembre e per tutti li  giorni, nelle quali
due ultime fiere è un concorso innumerabile di forestieri».

Campobasso da castrum a città murattiana
studiato Grohmann , le fiere, dal XV secolo, animavano alcune zone
economico–geografiche come l’Abruzzo, le Puglie, la Basilicata, la
Calabria e l’area gravitante sulla costa tirrenica. Il circuito molisano
vi si inserisce stabilmente solo più tardi, tra il XVII e il XVIII secolo,
quando la piazza mercantile aspira, come scrive Stendardo, a essere
annoverata fra le generali terre del Regno.
Non a caso, nel , Giuseppe Maria Galanti, nella sua Descrizione
dello stato antico ed attuale del Contado di Molise del , dichiarerà che
Campobasso è «considerevole per lo commercio, per le arti, per la
coltura civile e per li comodi della vita ».
.. I Misteri e la costruzione dell’identità urbana
Ad una delle famiglie in vista di Campobasso — di Zinno — appartiene Paolo Saverio di Zinno, lo scultore ed artista, che rinnova i Misteri
nel , pochi anni dopo che i demanisti ne abbiano formalizzato il
riscatto. Paolo di Zinno si fa dunque interprete del processo di cambiamento di una tradizione medievale che perdura ancora oggi. «È in
questo momento che la città si adopera per una nuova formalizzazione visiva delle vecchie rappresentazioni dei Misteri che probabilmente
percorrevano le vie del borgo su lettighe trasportate a spalla e recavano persone abbigliate a figurare soggetti religiosi di volta in volta
differenti» (Catalano, , p. ).
La Sagra dei Misteri è una processione che si snoda per le vie cittadine, durante la celebrazione del Corpus Domini, e consiste nella sfilata
di tredici macchine o ingegni, appunto i Misteri . Essi raffigurano
eventi biblici, miracoli di santi, scene sacre, ma come quadri viventi,
con la presenza di persone, adulti o bambini, secondo la tradizione
delle Laudi medioevali. La trasformazione artistica delle rappresentazioni medievali si concretizza in processioni che evocano le scene
. Le fiere e la loro geografia sono state studiate a più riprese da Grohmann; si rimanda
a Grohmann, , e a Grohmann, . Per le fiere in Molise Masi, .
. Cfr. G.M. Galanti, Descrizione dello stato antico ed attuale del Contado di Molise, II
tomo, p. .
. Per una ricostruzione di questa tradizione sono importanti tanto i contributi di
Rubino, , e Lalli, , come le recenti pubblicazioni di Bindi,  e Catalano, .
Per un’analisi geografica delle tradizioni molisane e dei Misteri cfr. Sarno, d.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

più rappresentative dei drammi religiosi, diffondendosi nelle diverse
regioni italiane, dalla Toscana alla Sicilia .
L’evoluzione artistica, in Molise, è collegata a quella politica, dal
momento che sono le confraternite a gestire la manifestazione. Come
si è anticipato nel capitolo precedente, la stabilizzazione del rituale avviene proprio quando si registra l’accordo tra le associazioni religiose
ed è garantita la loro partecipazione alla gestione politica della città.
L’accordo tra le confraternite è comprovato dalla comune organizzazione della processione annuale dei Misteri, mentre la canonizzazione
della manifestazione avviene a metà Settecento ad opera appunto di
Paolo Di Zinno.
Egli, nato in città nel  e divenuto esperto dell’arte scultorea
presso la bottega del maestro Gennaro Franzese a Napoli , nel ,
su committenza delle confraternite cittadine, realizza soluzioni iconografiche fisse intorno ad un asse verticale che costituisce l’appoggio, a diverse altezze, adatto ad ospitare persone viventi atteggiate a
rappresentare scene di miracoli o di accadimenti straordinari .
Di Zinno stabilizza anche il numero dei Misteri, difatti di ventiquattro ne progetta e predispone diciotto, ma sei andarono perduti con
il terremoto del , per cui si definì in dodici il loro numero, con
l’aggiunta successiva di un tredicesimo .
Nel raffronto con manifestazioni simili in altre aree geografiche i
Misteri molisani si distinguono perché sono celebrati nel giorno del
. La diffusione di manifestazioni sacre soprattutto nel periodo pasquale è stata rilevata
da Botta, ; per il Molise da Lalli, . È nota la processione dei Misteri che si svolge a
Trapani il venerdì santo.
. Al ritorno da Napoli Di Zinno si inserisce nella realtà cittadina ed è eletto al Governo della Confraternita di Santa Maria della Croce. Nel  è accusato di procedure
irregolari, ma è scagionato, viene liberato e continua a gestire, ancora per poco, la vita della
Confraternita. Si afferma come scultore del legno lavorando anche per committenti di altre
province. Cfr. Lalli, .
. Le macchine di Di Zinno, denominate anche ingegni, sono diverse da quelle della Firenze rinascimentale, perché sono arricchite da elementi paesaggistici ispirati alle analoghe
realizzazioni napoletane prodotte tra il XVII e il XVIII secolo. L’elemento più significativo
è dato dal fatto che ogni scena o quadro è interpretato da persone e non da statue, rendendo
la sfilata particolarmente viva (Sarno, d).
. I  quadri ancora utilizzati sono: Sant’Isidoro, San Crispino, San Gennaro, Abramo,
Santa Maria Maddalena, Sant’Antonio Abate, Immacolata Concezione, San Leonardo, San
Rocco, L’Assunta, San Michele, San Nicola. I sei quadri perduti erano: La Trinità, il Corpus
Domini, la Madonna del Rosario, San Lorenzo, Santo Stefano, Santa Maria della Croce.
. Nel  fu aggiunto il tredicesimo quadro dedicato al SS. Cuore di Gesù.

Campobasso da castrum a città murattiana
Corpus Domini e non nel periodo pasquale, collegati ad un tempo
liturgico che coincide con il periodo del rigoglio della campagna, con
«il fattore propiziatorio–agreste» (Fondi,, p. ).
Essi si rifanno ai riti rurali con una certa libertà espressiva dal momento che non sono coincidenti con le tradizioni pasquali, obbligate al
rispetto delle norme ecclesiastiche; le confraternite così hanno potuto
esercitare il loro potere manifestandolo annualmente con l’organizzazione di un evento tanto importante e imprimendovi più agevolmente
i loro valori. Ecco perché i Misteri «sono chiamati ormai a rappresentare in modo sintetico e cerimoniale il tessuto urbano e la nuova
magnificenza cittadina» (Bindi, , II vol., p. ).
Ogni quadro si propone come una sintesi simbolica dell’iconografia molisana; se si rimanda alla specifica pubblicazione che ne
analizza il tessuto valoriale (Sarno, d), è necessario richiamare in questa sede almeno alcuni elementi per dimostrare come la
rivisitazione degli ingegni sia concomitante alla svolta impressa
dai demanisti e concorra alla formazione dell’identità urbana di
Campobasso.
Di Zinno rinsalda la semplicità iconografica della Sagra dei Misteri
e demanda un percorso esistenziale ridotto all’essenziale, scarnificato
nei valori fondanti — la salute fisica, il sacrificio, la fede, la famiglia — e costruito sui simboli basilari della religione cattolica, senza
infingimenti e complicazioni (Sarno, d).
La sfilata si apre con San Isidoro protettore della vita contadina e
San Crispino protettore dei calzolai. Il lavoro degli agricoltori e degli
artigiani è sotto la protezione divina, mentre il nugolo di lavoranti
che circondano San Crispino rimanda all’attivismo artigianale della
piazza principale.
Inoltre, l’ingegno centrale della sfilata, l’ottavo, rappresenta un
evento della vita di San Leonardo. Il riferimento è non solo al tema
religioso, ma alla chiesa dedicata proprio a San Leonardo, nel centro
storico di Campobasso, da dove aveva inizio la processione dei Misteri,
perché luogo della mediazione tra le confraternite, oltre che cuore
. La celebrazione del Corpus Domini è una delle principali solennità dell’anno
liturgico e venne istituita nel  dal Papa Urbano I. Il suo scopo era quello di celebrare
la reale presenza di Cristo nell’Eucarestia. Dopo la riforma liturgica del concilio Vaticano
II, la manifestazione è definita Solennità del Corpo e Sangue di Cristo e si svolge dopo la
celebrazione della Pentecoste. Conclude l’anno liturgico.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

economico della città. Il miracolo, operato dal santo e rappresentato
tramite l’ingegno, ha un duplice significato: combattere il paganesimo
secondo i valori della controriforma, sciogliere le catene di ogni forma
di prigionia. Era questo il ruolo delle confraternite: limitare i soprusi
dei feudatario per controllarne le azioni. È la visione di una fede che,
interagendo con il potere politico, si fa scudo della gente comune.
Il santo e il suo luogo sacro sono il cuore della politica locale, ma il
Molise non è isolato, perchè San Gennaro e San Nicola di Bari fanno da
contrappunto a San Leonardo. Le relazioni territoriali rappresentate
da S. Gennaro, ovvero Napoli, e S. Nicola, ovvero Bari, sono chiaramente esplicitate e la provincia molisana, incassata tra la Campania e la
Puglia, si flette dinanzi a tali figure testimoniando consistenti rapporti
politici (Sarno, d).
Insomma, Di Zinno, mentre recupera una storica tradizione, ricompone la carta dei valori molisani e veicola la posizione politica
della città e della provincia (figg. .–.).
.. Campobasso alla ricerca di un porto: il ruolo di Termoli
Campobasso guarda con sempre maggiore insistenza verso Termoli
e verso l’Adriatico: il mare consente traffici più sicuri e fa raggiungere
mete importanti. In realtà, la fascia costiera non apparteneva al Contado
ma alla Capitanata e questo era uno dei motivi della distanza non solo
fisica ma anche politica tra i due centri. Inoltre, bisognava attraversare la
valle del fiume Biferno per raggiungere il mare, operazione per nulla
facile soprattutto nel periodo invernale, a causa dell’irruenza del fiume
. Termoli, come ogni piccolo o medio centro, ha ricevuto attenzione da studiosi locali
che ne hanno esaltato le origini antichissime; cfr. Perrella, ; A. D’Andrea, . Di recente
è stata pubblicata una ricerca geo–archeologica che illustra le variazioni geologiche e umane
avvenute sulla costa fornendo informazioni utili su Termoli, sui comuni limitrofi e sulle
variazioni subite dalla foce del Biferno; cfr. G. De Benedittis, a. Per la ricostruzione
della storia economica di Termoli Costantino et al., . Per un’analisi delle trasformazioni
nell’Ottocento Serafini, . Per uno studio del centro storico Sarno, b, per la costruzione
del porto Sarno, c. Per l’analisi geo–economica della regione medio–adriatica Fuschi et
al., ; Landini et al., . Per quanto riguarda il toponimo Termoli «pare documentato già
nell’anno  [...], deriva verosimilmente dal latino Thermulae, diminutivo di thermae» (Gasca
Quierazza G. et al., . p. ).

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. I Misteri a piazza San Pietro nel : in evidenza San Crispino.
che faceva saltare i ponti. I punti di approdo lungo la costa, peraltro,
. Il Biferno risulta domato solo dagli anni Settanta del secolo scorso quando è stata
costruita la diga sul ponte del Liscione.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

Figura .. I Misteri a piazza San Pietro nel : in evidenza San Leonardo.
erano diversi: Termoli, Campomarino, la stessa foce del Biferno, ma
la prima, dopo un periodo florido nel Medioevo, subisce danni anche
gravi al porto e le continue incursioni dei Turchi.

Campobasso da castrum a città murattiana
Pure, l’antichissimo processo di territorializzazione dimostra
l’ importanza strategica del sito prescelto per questa città: un promontorio funzionale per la difesa da terra e da mare. La mappa del
centro storico illustra bene l’organizzazione del borgo medievale sul
promontorio, denominato Tornola, la centralità della cattedrale, l’infittirsi delle strade per sfruttare al meglio lo spazio (fig. .). La
“punta amena” si protende nel mare e lo domina, come scriverà il
frate domenicano Serafino Razzi nel : «La cinge da tre bande il
mare, e dalla quarta verso terra ferma, da altissimi e fortissimi baluardi
e muraglie è guardata, co’ una sola porta che mette in terra» .
Nei secoli XII e XIII, Termoli si impone come importante nodo
di commerci e vede salpare persino galee di crociati (Sarno, b).
Lo sviluppo è favorito prima dai Longobardi e poi dai Normanni
che puntano a rafforzare un borgo sul mare che consenta il controllo
dell’Adriatico e soprattutto dei Saraceni le cui scorrerie hanno segnato
queste coste nei secoli .
Inoltre, le figura di Federico II e di Francesco d’Assisi aleggiano
sul borgo e ne definiscono il destino: il primo sembra inserirlo nel
proprio disegno politico per farne un porto commerciale, il secondo,
secondo la tradizione agiografica locale, con la sua presenza, spinge i
nobili locali a partecipare alle crociate . Il borgo termolese, prezioso
dal punto di vista artistico e non dissimile nella sua struttura e nel. La posizione felice sull’Adriatico rende mitiche le origini di Termoli: tra le diverse
ipotesi, la più accreditata ricollega questo insediamento ad un’antica città denominata Buca,
porto romano (Barker, ). I resti archeologici fanno presupporre una vitalità preistorica
e garantiscono di una presenza greco–romana, soprattutto per le testimonianze rintracciate
nelle colline circostanti e per la posizione sull’Adriatico (De Benedittis, a).
. Il bisogno di difesa diventa insistente nell’Alto Medioevo quando un gruppo di
uomini e donne impauriti dai barbari scelgono una zona difendibile, alta e con un unico
accesso alla terraferma; infatti, già nel  d. C., per sfuggire ai Goti, alcuni di essi dovettero
cercare rifugio proprio sul promontorio e costituirono un piccolo insediamento. Cfr. Sarno,
b.
. Così scrive Serafino Razzi nei Viaggi in Abruzzo del . L’opera è stata ristampata
nel  e il passo è tratto da p. .
. Cfr. Masciotta, , vol IV; Costantino et al., .
. Termoli fu capoluogo di contea longobarda fino all’arrivo dei Normanni, i quali, con
Roberto di Loritello, diedero origine alla contea omonima. La tradizione di San Francesco
presente in Molise è tramandata dagli storici locali, sebbene non vi siano documenti che
attestino un suo itinerario molisano; sembra probabile che Termoli nel viaggio del santo
per la Terra Santa o al suo ritorno sia stato uno dei possibili approdi. Cfr. Masciotta, ,
IV vol.
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

Figura .. Il promontorio — sito primitivo di Termoli (fonte: azienda Autonoma
di Soggiorno e Turismo, ).
le sue funzioni da altri che costellano in quel periodo l’Adriatico ,
. Cfr. Sarno, d, nel quale si opera il raffronto tra Termoli e gli altri centri delle
due sponde dell’Adriatico.

Campobasso da castrum a città murattiana
non riesce però ad affermarsi per la pressione fiscale e per i danni
ripetutamente inferti al porto dai terremoti nel corso del XVII secolo.
Dopo il periodo medioevale, florido e reso leggendario nella memoria storica, Termoli conosce un’inarrestabile decadenza che la
rende misera e squallida agli occhi di Melchiorre Delfico. Egli, nella
Relazione Geografico–Economica del tratto di paese marittimo dal Fortore
al Tronto del , chiarisce che essa sia una piccolissima città, con
poco più di mille abitanti, tale da apparire una vera miseria . Secondo
il catasto del  vi risultano presenti  fuochi e  abitanti; solo
 nuclei sono definiti possidenti per il commercio del sale o per la
gestione di cariche pubbliche .
In realtà, non sono stati solo i terremoti a danneggiare la funzionalità del porto, ma anche la complessa macchina fiscale del Mezzogiorno
poiché qui non solo bisognava pagare i dazi dovuti al Fisco Regio ma
anche al feudatario di turno. Per la riduzione dei commerci nel XVII
secolo e per una serie di divieti, inoltre lo scalo di Termoli può essere utilizzato unicamente sotto diretto controllo statale (Sirago, ).
Solo gli Austriaci e poi il governo di Carlo di Borbone riattivano la
funzionalità portuale nel XVIII secolo, in relazione al commercio del
grano, che si è illustrato nelle pagine precedenti .
Il commercio diventa quindi la chiave di volta della rivalutazione di
Termoli che rappresenta, insieme a Campomarino, il prezioso sbocco a cui guardano prima i mezzani e poi i riformisti nel Decennio
francese. Non a caso la battaglia politica di Vincenzo Cuoco, come
si vedrà, sarà volta a sottrarre la costa alla Provincia di Capitanata.
Ma, pur recuperando il ruolo di scalo naturale, Termoli risulta ancora
un borgo piccolo e povero in base al catasto onciario del  o alla
Statistica murattiana del  (Labanca, ). Sono ben pochi i provvedimenti che si realizzano qui prima dell’Unità, se il progetto del
. Cfr. Costantino et al., , dove si esaminano in modo analitico i dazi e i divieti
inflitti all’attività portuale termolese.
. Il manoscritto di Delfico è stato pubblicato in Nord e Sud nel , XXIV.
. Cfr. Costantino et al., , per l’analisi del catasto del .
. I divieti sono documentati nelle Consulte della Sommaria per gli anni dal  al
 e consultabili presso ASN.
. Dopo il , quando il commercio marittimo de’ grani fu aperto nei due caricatoi
Termoli e Campomarino si trasformarono da zone di incetta di cereali a zone di raccolta e
imbarco delle vettovaglie (Macry, ). La riattivazione è discussa anche da Sirago, .
. Come si discuterà nel prossimo capitolo, i cambiamenti urbanistici, pur preventivati
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

nuovo borgo dell’ingegnere Andrea Serio è del  e la città ottiene
il permesso di estendere l’abitato oltre le mura solo dopo la visita di
re Ferdinando II, nel  (fig. .).
In realtà, nel corso dell’Ottocento, continuano ad utilizzarsi diversi
approdi naturali lungo la costa e il dibattito sul sito da scegliere per
costruire delle vere e proprie infrastrutture portuali durerà all’incirca
un secolo . Alla fine la scelta cadrà su Termoli, in concomitanza della
costruzione della Strada Sannitica , necessaria per collegare la costa
con l’interno, e dopo il primo reale ampliamento della cittadina. Per la
costruzione effettiva del porto si dovrà comunque attendere il primo
decennio del Novecento.
Tuttavia, pur considerando con quanto lentezza Termoli e le funzioni portuali fossero potenziate, sono determinanti i processi socio–
politici avvenuti tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento,
nonché il ruolo di Campobasso nella commercializzazione del grano. La caparbietà dei riformisti, in primis Vincenzo Cuoco, di dare
al Molise una porta sull’Adriatico sarà ampiamente ripagata nel tempo, soprattutto nell’età contemporanea, per la concreta possibilità di
rinsaldare relazioni transfrontaliere .
.. La città dei “demanisti”
Il  marzo , dopo circa un decennio dalla stesura dell’apprezzo e
di trattative con il Regio Fisco, i demanisti formalizzano l’acquisto di
Campobasso per il valore accertato da Stendardo — ., ducati
— e mettono in atto un escamotage giuridico: un contadino Salvatore
nel Decennio francese, diventano, a differenza di Campobasso, concreti molto lentamente
per Isernia e Termoli.
. Cfr. Serafini, , che illustra i pochi provvedimenti avvenuti a Termoli nel primo
Ottocento e la realizzazione del nuovo borgo nella seconda parte del secolo.
. Per il dibattito che coinvolse persino Carlo Afan de Rivera e la relativa documentazione cfr. Sirago, ; Costantino et al., . Per le elaborazioni cartografiche a sostegno
del porto cfr. Sarno, c.
. L’architetto Serio che segue i lavori di ampliamento di Termoli considererà unitariamente lo sviluppo della città e la costruzione della strada utile per raggiungere la costa;
cfr. Serafini, .
. Il tema è stato affrontato nel volume Beni ambientali e culturali Il Molise Adriatico, a
cura di Sarno et al., d.

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Termoli: lo sviluppo urbano al di fuori delle mura.
Romano sarà apparentemente il feudatario della città, ma, in realtà, è
un prestanome degli acquirenti e dovrà sottostare alla volontà di quelle
famiglie che si sono impegnate economicamente e giuridicamente a
riscattarla (fig. .).
Il compromesso tra funzioni urbane e sistema feudale non poteva
durare a lungo perché i mezzani vedevano nella figura del feudatario,
chiunque fosse, l’antagonista dei loro interessi commerciali; tuttavia,
essi devono agire all’interno della normativa del Regno e adottano
l’escamotage che consente loro di controllare la città. Come ad Amalfi,
un gruppo di probi viri campobassani —  — paga il riscatto senza
coinvolgere il resto dell’Università, ma in realtà essi non sono soli
perché godono dell’appoggio dei grandi mercanti del Regno .
Il processo di demanializzazione era guidato da uno zoccolo duro di famiglie
di Campobasso, i di Capua, i Chiarizia, gli Japoce, i Salottolo, i Silvestri, che
erano coinvolte direttamente in affari — contratti di società per la fornitura
di grano alla capitale — con i principali mercanti dell’annona napoletana
(Cirillo, , p. ).
L’annona napoletana, come si è chiarito nei paragrafi precedenti,
. Per le modalità di riscatto cfr. primo paragrafo di questo capitolo, nota .
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

sollecita il rafforzamento di un ceto borghese interessato alla cerealicoltura oltre che all’attività armentizia. Campobasso attira l’attenzione
di ricchi mercanti come Leonardo di Capua che sostiene i demanisti
nel mettere insieme la cifra necessaria al riscatto e che rappresenta il
trait d’union tra la capitale e la provincia .
Questo indirizzo economico diventa pienamente evidente nella
seconda metà del Settecento: il Contado punta ulteriormente, dopo
le carestie del –, sull’aumento della produzione granaria e
sulla sua commercializzazione grazie anche ai caricatoi costieri. La
presenza di mercanti della capitale diviene stabile nella seconda metà
del Settecento per cui grandi figure, come Carmine Vantapane, stringono rapporti commerciali con i maggiori mercanti campobassani:
i Silvestri e gli Japoce. Questi ultimi infatti risultano con Carmine
Vantapane affittuari della Doganella delle quattro province (Cirillo,
).
Figura .. Il riscatto della città nel . Il dipinto dell’artista Arnaldo de Lisio del
 è presente nella sede della Banca d’Italia di Campobasso (fonte: Trombetta,
).
La rete tratturale era suddivisa in cinque dipartimenti amministrativi e uno di essi era appunto la Doganella d’Abruzzo, organizzata per
. Leonardo di Capua era un mercante di origine napoletane che risiedeva a
Campobasso. Per i demanisti cfr. Lalli, ; Colapietra, ; R. De Benedittis, .
. Le carestie del – comportarono particolari timori nella popolazione e
spinsero a dissodare la maggior parte dei territori e ad avvantaggiarsi dei caricatoi non solo
di Termoli, ma pure di Campomarino.

Campobasso da castrum a città murattiana
le greggi provenienti dallo Stato Pontificio, dalle Marche, dall’Abruzzo Ulteriore e dall’Abruzzo Citeriore ( J.A. Marino, ). Gli Japoce
partecipano alla gestione della Doganella, diventando non solo una
delle famiglie più ricche del Contado ma probabilmente del Regno .
Pertanto, nella seconda metà del Settecento, Campobasso rafforza
il ruolo geo–economico. Infatti, Francesco Longano così tratteggia
la città nel : «Ha bellissime passeggiate. I suoi mercati, le fiere,
e il passaggio per la provincia l’arricchiscono oltre modo. Ha terreni mezzanamente buoni. Quivi si ammira un gran numero di scarpai, quivi cappellari, ferrari, mercatanti e venditori d’ogni sorta di
bisognevole» .
Il governo dei demanisti incentiva le possibilità produttive, benché,
negli ultimi decenni del Settecento, una sorta d’instabilità politica serpeggi tra i cittadini stessi, che cominciano a misurarsi tra loro. D’altra
parte chi aveva versato una cifra cospicua si appropria di privilegi come
l’elezione del Mastro Giurato, mettendo in atto alleanze e favorendo
ovviamente conflitti .
Lo stesso fervore di opere produce contrasti, perché il sistema è
ancora formalmente feudale e solo i Francesi riusciranno ad imporre,
di là a poco, un diverso modello politico–amministrativo. Dal punto
di vista urbanistico i demanisti non apportano modifiche sostanziali,
ma, secondo il Dizionario Geografico Ragionato di Lorenzo Giustinani,
nel  qui vi sono due scuole pubbliche, un ospedale e risultano
attive ben dieci locande, delle quali sei aperte dopo il .
In una certa misura lo sviluppo delle funzioni urbane di Campobasso è corrispondente al modello messo a punto da Allen () per
. La masseria degli Japoce era una delle più grandi del Regno che sfiora gli 
capi nei primi decenni del Settecento, dopo la mortalità del  recupera lentamente fino
ai  negli anni Cinquanta e si mantiene negli anni successivi sui – capi; il fondo
privato Japoce riveste una particolare importanza per la documentazione relativa all’attività
della «Doganella delle quattro province soggette» concessa in fitto per vari anni alla famiglia
Iapoce, insieme all’«allistamento» degli animali «grossi».
. Cfr. F. Longano, Viaggio per lo Contado di Molise, del , ristampa anastatica del
. Longano fa lievitare in Molise non solo gli ideali riformisti, ma anche il valore del
sapere geografico, per il suo interesse a ricostruire le interrelazioni tra i quadri ambientali e le attività economiche, a descrivere minutamente il territorio e a rappresentarlo
cartograficamente (Sarno, f ). Si veda pure nota .
. La lotta tra gli interessi delle diverse parti avviene per l’accaparramento di determinate cariche o per l’introduzione del catasto. Per una disamina delle singole personalità dei
demanisti cfr. Cirillo, .
. Il riscatto dal regime feudale e le forze sociali emergenti nel XVIII secolo

il quale variabili significative sono l’incremento sia della produttività
agraria sia delle attività proto–industriali, cosa che riscontriamo nella
città molisana, dove però non si realizza un’urbanizzazione strutturata.
Se vi si aggiunge che l’organizzazione politica è ancora rigida perché condizionata da uno Stato assolutista, questi limiti diverranno un
retaggio negativo per Campobasso, come per altre città meridionali.
Tuttavia, pur tenendo conto dei contrasti e delle contraddizioni ,
essa ha acquisito il crisma giuridico di città, ovviamente secondo le
consuetudini del regime allora vigente. Il merito va principalmente ai
demanisti e alle loro relazioni economiche, ma anche a tre intellettuali
molisani che, negli ultimi decenni del Settecento e durante il Decennio francese, svolgono una funzione di mediazione tra la capitale,
dove ricoprono cariche politiche e accademiche, e il Molise: Giuseppe
Maria Galanti, Vincenzo Cuoco e Francesco Longano. Allievi di
. Nel clima di parziale rinnovamento, sulla scia della rivoluzione napoletana del ,
un effimero tentativo di ribellione si verifica anche qui, ma la classe dirigente cittadina
riesce a conservare la sua egemonia politico–sociale pilotandone la rapida conclusione.
Barra, , ha studiato la Cronaca dei fatti avvenuti a Campobasso nel , scritta da un
anonimo; a Campobasso il regime rivoluzionario durò poco tempo frenato dai notabili che
fermarono il sacco della città patteggiando con le truppe borboniche.
. Si vuole qui fare riferimento a studiosi di grande rilievo come Giuseppe Maria
Galanti (Santa Croce dal Sannio –Napoli ) che, tra le diverse opere scrive Descrizione
dello stato antico ed attuale del Contado del Molise con un saggio storico sulla costituzione del
Regno del ; Francesco Longano (Ripalimosani –Santopadre ), per il Viaggio per
lo Contado di Molise pubblicato nell’ottobre , ovvero la Descrizione Fisica, Economica e
politica del Medesimo, e ristampato nel ; e Vincenzo Cuoco (Civitacampomarano –
Napoli ) per il Viaggio in Molise del . Tutti e tre inseriti nell’ambiente illuministico–
riformistico napoletano, allievi del Genovesi, hanno contribuito con opere filosofiche,
socio–economiche e politiche al rinnovamento del Regno di Napoli, ricoprendo incarichi
politici e il Cuoco partecipando anche alla rivoluzione del  a Napoli. Essi hanno avuto
modo di acquisire la lezione di Galiani e Genovesi sull’utilità di conoscere le storia fisica
del paese e di ricostruire in modo sistematico le diverse realtà territoriali meridionali. La
loro opera ebbe particolare influenza sul processo evolutivo del Molise e forma la classe
dirigente locale. Questi intellettuali che si sono confrontati con il Genovesi e il Filangieri,
che hanno governato con Tanucci, hanno il coraggio di evidenziare le negatività dell’ancient
regime nel Contado e preparano il terreno al rinnovamento politico e amministrativo che
deve sancire ufficialmente il cambiamento realizzato dai mezzani; essi formeranno la classe
dirigente che governerà Campobasso e il Molise nei primi decenni dell’Ottocento. Per
l’analisi degli studi geografici nel Mezzogiorno, la figura di Antonio Genovesi e dei suoi
allievi molisani, con la relativa bibliografia delle loro opere, si rimanda a Sarno, Antonio
Genovesi e gli studi geografici nel Regni di Napoli, relazione presentata al convegno CISGE
“Per una nuova storia della geografia italiana”, coordinato da M. Quaini, Ravenna /
giugno , in corso di stampa. Per un approfondimento su Galanti si veda l’opera omnia,

Campobasso da castrum a città murattiana
Antonio Genovesi accolgono le sue suggestioni relative alla geografia
impegnandosi anche nell’ambito universitario, ma soprattutto nella
vita politica. La cultura illuministica rafforza i loro interessi territoriali
e la geografia sembra coerente alla visione riformistica. Essi concorrono, come si è anticipato nel primo capitolo, a creare le condizioni
per il rinnovamento della città e della provincia (fig. .).
Figura .. Carta topografica del Molise di Francesco Longano, allegata alla sua
relazione Viaggio nel Contado di Molise del .
per ora insuperata, curata da Demarco e Assante, ; per l’analisi della figura di Longano
cfr. Sarno, f; per Cuoco cfr. la pubblicazione delle sue opere con il commento di De
Francesco, Biscardi, . La figura di Cuoco e il suo ruolo politico a favore di Campobasso
sono affrontati nel terzo paragrafo del quinto capitolo.
Capitolo V
Il rinnovamento politico
e l’ampliamento urbanistico
.. Il Decennio francese e il governo del territorio
Il dibattito sul Decennio francese (–) è di ampio respiro e gli
studi più recenti invitano a non considerarlo come un periodo a sé, ma in
stretta relazione con i decenni precedenti e successivi. Infatti, Davis ()
suggerisce una visione unitaria, pur segnata da contraddizioni, dell’età napoleonica e dei suoi effetti. Inoltre, come non devono essere sopravvalutati
i risultati così non meritano di essere sottovalutati gli esiti che finiscono per
concretizzarsi anche molto tempo dopo. Peraltro, la discussione, a scala
europea, ha inteso rileggere questo periodo nei suoi intenti riformatori,
ma anche per le resistenze che comunque ha prodotto (Aaslestad, Hagemann, ). Da parte sua, Anna Maria Rao (), riprendendo Capra
(), invita a ritrovare nel Decennio le origini non tanto del Risorgimento quanto dell’Italia contemporanea per la nascita di istituzioni e idee che
rimarranno tratti permanenti.
. Nel  Napoleone Bonaparte diviene re d’Italia e nel  Giuseppe Napoleone si
insedia a Napoli come sovrano, poi subentra Murat nel . Nel periodo precedente (–)
si erano formate per la spinta dell’esercito napoleonico la Repubblica Cisalpina e la Repubblica
Napoletana mostrando i primi effetti della presenza dei Napoleonidi. Il re di Napoli, Ferdinando
IV, all’arrivo dei Francesi, nel , si ritira in Sicilia.
. Gli studi storici sul Decennio francese e sull’età napoleonica sono numerosi e realizzati
a più riprese come segnalano le diverse rassegne sul tema: cfr. De Lorenzo, ; Russo,
a; Spagnoletti, . Si vedano il Bilancio storiografico di Villani, , e la Bibliografia dell’età
del Risorgimento di De Lorenzo, . Le riflessioni sui recenti orientamenti sono esposte e
commentate da De Lorenzo, , e Spagnoletti, .
. Come precisano Aaslestad, Hagemann, , conferenze su questo tema sono state
tenute in Europa dal  in diverse capitali europee; si veda il sito di Conference Group For
Central European History: http://www.centraleuropeanhistory.org/
. Dalla seconda metà dell’Ottocento ad oggi il Decennio francese è stato considerato il
laboratorio del Risorgimento e dell’Unità d’Italia; cfr. Rao, ; Davis, .


Campobasso da castrum a città murattiana
Se queste le prospettive di carattere generale, diversi studi, altrettanto recenti, sono volti ad osservare i cambiamenti avvenuti o annunciati
nel Mezzogiorno grazie ai Francesi, come il riassetto delle province e
la smobilitazione dell’ancient regime .
Furono in molti a evidenziare gli elementi della modernizzazione amministrativa introdotta dai due Napoleonidi e l’ampliamento dei margini di
integrazione sociale che ne era conseguito, la politica di opere pubbliche
da quelli attuata, l’istituzione di scuole, collegi, licei, la riforma del sistema
giudiziario e di quello fiscale (Spagnoletti, , pp. –).
Nel complesso, la storiografia, da Davis () a Galasso ()
e Brancaccio (), considera il Decennio una svolta fondamentale
per il Mezzogiorno, benché le trasformazioni fossero realizzate da
un governo militare che causò il blocco commerciale del Regno. In
quest’ottica, si intrecciano e si sovrappongono diversi piani di lettura
che sono corrispondenti al punto di vista ora borghese, ora nobiliare,
ora popolare. Il ceto borghese vede in questo periodo la sua consacrazione, la nobiltà deve rimodulare le sue funzioni, mentre «la violenza
interna (si pensi al brigantaggio e alle campagne di repressione) e
la violenza esterna (le guerre)» ebbero un impatto drammatico sulle
condizioni di vita delle popolazioni .
Dunque, il Decennio francese coagula un lungo processo che ha
forti radici nella rivoluzione del  e nei moti del , mettendo in
crisi tangibilmente il perdurare del feudalesimo moderno nel Mezzogiorno. Ciò ovviamente non avviene senza costi, ma l’intellighentia,
prendendovi parte attivamente, ne ha tramandato una visione complessivamente positiva, perché «diversa è infatti questa monarchia [...];
essa è comunque capace di esprimere proprie regole, propri linguaggi,
che si perpetuano dopo il , non solo a livello di uomini, ma di
interpretazione di lemmi quali rappresentanza, sovranità, nazione,
. Gli studi sulle province del Regno nel periodo –, sono stati iniziati da
Caldora () a proposito della reazione dei briganti in Calabria contro il dominio francese;
poi sono stati analizzati i nuovi ordinamenti in Terra d’Otranto da Corciulo (). Altri studi
riguardano la Basilicata (Cestaro, ), il Molise (Biscardi, a), le trasformazioni urbane
di Avellino (Assessorato alla cultura, ), di Caserta (Ascione, ) e di Campobasso
(Sarno, a). Per gli studi sui catasti, sulle confische, sulla formazione dei quadri legislativi
nel Mezzogiorno cfr. Aversano, ; Massafra, ; Rao, . Per le reazioni popolari
cfr. Davis, ; De Lorenzo, .
. Cfr. Spagnoletti, , p. .
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

popolo, costituzione» (De Lorenzo, , p. ). Inoltre, la partecipazione delle élite locali mitiga il carattere autoritario della politica
napoleonica (Noto, ) e le coinvolge nell’esercizio delle funzioni
amministrative. Ciò ovviamente non accade solo in Italia, ma nei
diversi territori europei, perché Napoleone ha il merito of “rallying”
the “notables” (Rowe, ).
I Napoleonidi creano quindi le condizioni della modernisation institutionnelle (De Lorenzo, ) e concretizzano, sulla scorta della
cultura illuministica, un diverso approccio al governo del territorio,
rappresentando, come suggeriva Gambi (; b), un’opportunità
per l’Italia. Nei suoi studi sulla Liguria Quaini annota:
L’amministrazione francese, operando con i criteri dello Stato moderno,
mise in atto una politica delle comunicazioni qualitativamente diversa da
quella perseguita dalla Repubblica di Genova; nella Liguria occidentale [...]
la nuova amministrazione seppe suscitare un fervore di iniziative, che, anche
quando non si realizzarono compiutamente, lasciarono alle età successive
un patrimonio di idee, progetti e tentativi che come vedremo fu tutt’altro
che trascurabile (Quaini, –, p. ).
Lo studioso , peraltro, considera complessivamente significativo
questo periodo per la cartografia e la geografia, non a caso «la nuova
scienza cartografica» pur affondando le sue radici nel Seicento «arriva a maturazione nell’età napoleonica» (Quaini, , p. ). In un
recente contributo sulla geografia nel Regno d’Italia, pone di nuovo in
evidenza come essa, grazie anche a Kant, «in veste civile o militare, si
collocasse al centro e al livello più alto dei problemi e delle preoccupazioni del cittadino, del cittadino del mondo appunto» (Quaini, a,
p. ).
La cartografia napoletana — principalmente l’opera di Rizzi Zannoni — appare poi a Brancaccio () in sintonia sia con il riformismo
sia con l’impostazione politica murattiana. Principe (), introducendo l’edizione dell’Atlante Geografico del Regno di Napoli del Rizzi
Zannoni, sottolinea: «è solo con l’entrata in Napoli delle truppe francesi il primo febbraio  che il lavoro dell’Atlante riceve l’impulso
. Cfr. anche Quaini, b, dove si chiarisce il rilievo acquisito dalla topografia tra
Sette e Ottocento. Il contributo non a caso è inserito nel volume curato da L. Rossi, ,
intitolato Napoleone e il golfo della Spezia. Cfr. anche L. Rossi, , per il rinnovamento della
viabilità ligure fra antico regime ed età napoleonica.

Campobasso da castrum a città murattiana
decisivo al suo completamento» (Principe, , p. ); non si sottrae a
siffatto punto di vista Vladimiro Valerio () che suggerisce di tener
in considerazione il complessivo quadro politico per comprendere le
trasformazioni nell’ambito cartografico (fig. .).
Tanta rinnovata attenzione, civile e militare, per il territorio ha un
ampio orizzonte d’attesa, perché si nutre della visione fisiocratica dell’agricoltura, ma anche della necessità di un maggior controllo fiscale
tramite il catasto, richiedendo applicazioni cartografiche adeguate .
Ma va oltre, perché il nuovo regime intende smobilitare i patrimoni
feudali e dare un rinnovato imprimatur alle città .
Questa sorta di spostamento dell’asse portante del moderno Stato europeo
dalla metropoli simbolica, luogo e sede unica del potere dinastico, ad una
molteplicità di poli diffusi sul territorio, coincide con la nuova aspirazione
tutta borghese verso un sempre maggior sfruttamento dei suoli (Buccaro,
, p. ).
Esempio rilevante e prezioso è La Spezia: «Con il decreto napoleonico che dichiarò La Spezia sede del più grande arsenale del Mediterraneo [...], si delineò infatti l’impianto di un grande centro, un
insieme unico che legava indissolubilmente la base navale a un nuovo nucleo urbano in espansione» (Federici, Ferrari, , p. ). Luisa
Rossi (a) ha ricostruito l’interesse dello stesso Napoleone per
La Spezia e l’ampia documentazione che la brigata dei topografi ha
lasciato relativamente ai lavori ivi progettati . Essi diverranno concreti con il regio decreto del  maggio  che avvia la costruzione
dell’Arsenale Militare Marittimo.
. Il problema, posto dalla cultura illuministica a scala europea (Withers, ), è
affrontato nel Mezzogiorno da Antonio Genovesi e Ferdinando Galiani che si preoccupa di
rinnovare la cartografia del Regno e favorisce la presenza a Napoli di Rizzi Zannoni. Cfr.
Blessich, ; Garin, . Si veda pure la nota  nel quarto capitolo.
. Il ruolo delle città con il loro rinnovamento è magistralmente affrontato da Morachiello, Teyssot, , secondo i quali l’organizzazione urbana messa in atto nell’ età
napoleonica ricalca la concezione regolare dello spazio trasmessa proprio dall’ Illuminismo e ad esempio da J.N.L. Durand, docente all’Ecole Polychnique. Si vedano anche le
riflessioni critiche su questa concezione dello spazio da parte di Farinelli, .
. L. Rossi, a, illustra la missione compiuta da Pierre–Antoine Clerc, che guidava
la brigata dei topografi, ma aveva anche il compito di realizzare un grande plastico, artefatto
che piaceva molto a Napoleone. Cfr anche L. Rossi, , e b.
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

Il caso spezzino non è affatto unico , perché, ad esempio, a Milano,
le vedute (–) di Gasparre Galliari illustrano «i nuovi centri
deputati della vita sociale e culturale» (Gambi, Gozzoli, , p. ).
Ma, ancora più interessante è il particolare che a Milano e a Venezia
si istituiscano le commissioni per l’ornato urbano così da pianificarne gli
ampliamenti e sottoporre a controllo la produzione edilizia (Pillepich,
).
I Francesi danno particolare rilievo alle città come centri nevralgici
dell’organizzazione statale per cui esse «richiedono un programma
basato sulla ricerca di nuovi poli funzionali, sulla ristrutturazione di
quelli esistenti e sul loro collegamento» (Buccaro, De Mattia, , p.
).
Nell’Italia meridionale, Giuseppe Napoleone e Murat avvertono
siffatte esigenze, ma preliminarmente l’amministrazione francese
sottopone il regno «ad un profondo e capillare processo di regionalizzazione che introdusse una nuova e complessa gerarchia degli spazi
territoriali» (Spagnoletti, , pp. –).
L’eversione della feudalità e la ridefinizione della geografia amministrativa del Regno rappresentano una vera e propria svolta per il
Mezzogiorno, benché «la nuova geografia delle intendenze» non si
differenzi in modo evidente «da quella delle antiche province» (Russo,
, p. ). Siffatta operazione, resa complessa dalla ridefinizione
dei confini, ad esempio, tra il Molise e la Capitanata, corrisponde alla
necessità del nuovo governo di realizzare un accentramento articolato
(Corciulo, ).
Attraverso la revisione e la riorganizzazione territoriale i Francesi
esprimono la loro concezione di ordine politico, apparsa ora ingenua
ora rivoluzionaria , essa però ha certamente giovato al Mezzogiorno
. Cfr. la recente sintesi di De Lorenzo, , che ripercorre il ruolo incisivo degli
ingegneri francesi nella costruzione di strade e ponti in Italia, poi Morachiello, Teyssot,
, e L. Rossi, a.
. Questo aspetto è messo in evidenza da Gambi (b, p. ): «con l’epoca napoleonica [...] insorge [...] la forte selezione e gerarchizzazione fra i centri con funzioni
urbane».
. Galluccio, b, ripercorre le tappe di questa operazione già avvenuta in Francia
dopo la rivoluzione; qui si erano organizzati i Dipartimenti e lo stesso si farà in Italia ad
opera di Sieyés. Il Regno fu suddiviso in Intendenze, che corrispondono alle province, a
loro volta formate da distretti.
. Per la disamina dell’organizzazione politica francese cfr. Marie–Vic Ozouf–

Campobasso da castrum a città murattiana
perché finalmente soggetto di un nuovo progetto sociale, per la cui
realizzazione è richiesta la collaborazione della classe dirigente locale ,
la quale in molti casi, come a Campobasso, ha maturato una moderna
consapevolezza socio–economica.
Vincenzo Cuoco e Giuseppe Zurlo , intellettuali e politici molisani impegnati al fianco dei Francesi, ritengono fondamentale il
decentramento, per cui il nuovo governo avvia un’adeguata analisi del
problema fino alla legge dell’ agosto  «che divideva il territorio
in province e distretti» .
La diversa organizzazione amministrativa dà finalmente spazi e
opportunità alla periferia grazie all’istituzione delle Intendenze e Sottointendenze, che a loro volta stabiliscono un contatto diretto e reciproco con Consigli Provinciali e Distrettuali (Biscardi, b). In modo
lungimirante Batson et al. () definiscono siffatta organizzazione il
Napoleonic Know–how.
All’interno di questa governance è necessario comprendere però il
ruolo nevralgico delle città, a cui si accennava prima, in relazione alla
visione rivoluzionaria francese che esaltava «l’unicità della cittadinanza
e dell’indivisibilità del territorio nazionale» (Mori, , p. ). Esse
sono riconosciute in quanto soggetti amministrativi o produttivi, tanto che i Francesi definiscono una nuova gerarchia urbana nell’Italia
settentrionale . Ma cosa accade nel Mezzogiorno, dove invece, vi
erano una smisurata capitale, alcune città regie e tante terre urbane?
I Napoleonidi si fanno portatori di una moderna concezione e rappresentazione dello spazio urbano, collegando quest’ultimo al territorio circostante per le funzioni amministrative, finanziarie, giudiziarie.
Pongono così le basi per portare a compimento quel processo urbano
che era in fieri nel Mezzogiorno, liberandolo dai diversi compromessi.
Marigner, , che considera la portata rivoluzionaria di tale operazione.
. La collaborazione è stata in diversi casi proficua come in Molise, in altri difficile e
conflittuale; cfr. Lerra, , per Potenza; Corciulo, , per Lecce; Brancaccio, , per
Chieti.
. Per Cuoco si veda l’ultimo paragrafo del quarto capitolo e il terzo del quinto.
. Giuseppe Zurlo nacque a Baranello nel  e intraprese a Napoli la carriera forense,
ebbe incarichi di governo dal  e dopo la rivoluzione del . Murat lo designò ministro
della Giustizia e dell’Interno del Regno di Napoli. Morì nel .
. Cfr. Provincia di Campobasso, , p. .
. Cfr. Mori, , che ha svolto un’articolata indagine sulle gerarchie urbane dell’Italia
centro–settentrionale durante l’età napoleonica.
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

Essi favoriscono principalmente le città prescelte come capoluoghi o
quelle che comunque assumessero specifiche funzioni . D’altra parte,
alcune terre urbane, tra cui Campobasso, vantano i requisiti necessari
per essere selezionate e, sebbene con esiti differenziati, l’occasione
è effettivamente propizia. Quindi, riforme, trasformazioni urbane e
mutamenti sociali si configurano come opportunità, che però non si
concretano in modo uniforme e incisivo ovunque (Spagnoletti, b).
Peraltro, il Decennio valorizza le città meridionali non per se stesse,
ma come poli di un sistema territoriale da rinnovare tanto negli spazi
urbani quanto in quelli rurali. Coerentemente al dibattito illuministico, i Napoleonidi considerano nevralgica l’agricoltura, a differenza
della pastorizia che arricchiva solo i proprietari del bestiame occupando la gran parte dei terreni, votandoli alla produzione cerealicola e
provocando un forte degrado ambientale. Per questi motivi, Giuseppe
Bonaparte, con la legge del  maggio , sancisce la chiusura della
Dogana della Mena delle pecore, sostituita dall’Amministrazione del Tavoliere; l’intento è la valorizzazione dell’agricoltura razionalizzando gli
spazi per la pastorizia . Si spezza così il regime feudale, si aboliscono
i monopoli e si rendono commerciabili le terre (Rombai, ).
Infine, proprio per garantire le relazioni territoriali, Murat, pur
nel suo breve regno, istituisce un ufficio con ingegneri in ogni capoluogo (Brancaccio, ), prevede la costruzione di nuove strade e la
ristrutturazione delle esistenti, cosa di cui si avvantaggia proprio il
Molise.
Pertanto, il Decennio, pur senza tralasciare l’impatto drammatico
sulla vita delle popolazioni richiamato all’inizio, rappresenta un nodo storico fondamentale, perché mette fine al feudalesimo moderno e
. Cfr. Russo, , che documenta nel Decennio i conflitti tra città per essere selezionate (Foggia/Lucera; Montefusco/Avellino; Bari/Trani); i criteri erano centralità,
accessibilità, dimensioni demografiche.
. Cfr. Mori, , che ricostruisce i principi tramite i quali i Francesi individuassero
le città.
. Sebbene il successivo ritorno dei Borboni fosse volto a ripristinare l’antico valore
della transumanza, ormai l’agricoltura ritrova la sua centralità.
. Cfr. sullo stesso tema Buccaro (, p. ): «Si avviò una nuova organizzazione
delle opere pubbliche, prima con la creazione delle Ispezioni di Ponti e Strade e di un
Consiglio dei Lavori Pubblici (), poi di un corpo degli Ingegneri di Ponti e Strade
(); dal  una Scuola di Applicazione provvide quindi alla formazione dei giovani
professionisti» secondo il modello francese.

Campobasso da castrum a città murattiana
sostiene i processi socio–economici in atto, aprendo la strada ad una
pianificazione illuminata. In tal senso, una delle prime azioni innovative è il lancio della Statistica, voluta da Murat per conoscere il nuovo
Regno (Sarno, a).
Figura .. Foglio n.  dell’Atlante Geografico del Regno di Napoli da Gio.Antonio Rizzi Zannoni. Il foglio fu scelto come frontespizio dell’opera da Giuseppe Bonaparte
nel  (Principe, ).
.. La Statistica e il trend socio–demografico
Nell’ottica degli studi territoriali il governo francese promuove la
realizzazione della Statistica . Nella Francia napoleonica la statistica
e la pubblica amministrazione diventano un tutt’uno (Sofia, ),
. Per la disamina delle statistiche nel periodo napoleonico cfr. Capra, , Lando,
 e Sarno, a. Per la consuetudine nell’Ottocento di redigere documenti statistici cfr.
Carnelutti, Micelli, . La relazione tra gli studi statistici e la geografia è ripercorsa da
Lando, . Per l’istituzione dell’Ufficio di Statistica nel Regno d’Italia cfr. Sofia, .
. Così chiariscono Batson et al., , p. : «The development of historical statistics was
encouraged by the needs of the Napoleonic state and its increasing sophistication with public
administration».
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

anche perché qui si mettono a punto gli strumenti necessari per la
rilevazione scientifica (Kuusela , ).
Come suggeriva Gambi, «con la conquista napoleonica la cultura
italiana accoglie una esperienza a cui l’Italia aveva partecipato solo
in origine (con le relazioni degli ambasciatori veneti) ma che poi,
per le sue fatiscenti condizioni politiche, vi era venuta meno: cioè
l’esperienza della statistica» (Gambi, , p. ).
Gioacchino Murat, che succede a Giuseppe Napoleone, e i suoi
ministri, come Giuseppe Zurlo , ritengono necessario acquisire un
quadro chiaro della situazione del Regno e avviano una capillare
indagine conoscitiva sul suo stato fisico, demografico, economico e
sociale, seguendo l’esempio di Galanti citato nel precedente capitolo.
La Statistica è realizzata nel  e i dati raccolti sono depositati presso
gli archivi provinciali (R. De Benedittis, c; Sarno, a).
L’indagine si collega ad altre condotte in Francia, per quell’attenzione che nel XVIII secolo si venne dando in Europa alle rilevazioni
statistiche considerandole utili per governare (Lando, ). Nel Mezzogiorno è determinata dalle condizioni nelle quali versava il Regno,
votato all’agricoltura estensiva, con vie di comunicazione scarse e
disagevoli, con deboli capacità manifatturiere e una complessiva arretratezza socio–culturale. Inoltre, vi era un forte distacco tra la capitale
Napoli e le province, spesso scarsamente conosciute. L’obiettivo politico della Statistica è quello di tracciare un quadro completo del
Mezzogiorno in vista delle scelte da intraprendere (Biscardi, b).
L’obiettivo culturale è quello di sradicare un’ organizzazione di stampo medievale e dare maggiore attenzione ai comuni che diventano gli
alleati dei nuovi ordinamenti istituzionali. L’indagine infatti promuove
un processo di conoscenza a scala comunale, utile a chi ha ridisegnato
la geografia amministrativa del Mezzogiorno.
Inoltre, i Francesi vogliono anche mettere a fuoco gli aspetti peggiori del feudalesimo: gli abusi, le forme di sfruttamento, le condizioni
di estrema povertà dei contadini. Essi fanno riferimento alla scienza
statistica che ha un grande sviluppo nel periodo illuminista fondandosi
tanto sull’osservazione diretta quanto su una attendibile e scientifica
. Cfr. Kuusela, , che ripercorre come venga affermandosi in Francia la mentalità
scientifica delle indagini statistiche applicate alla popolazione.
. Cfr. nota .
Campobasso da castrum a città murattiana

rilevazione dei dati. Murat incarica Luca de Samuele Cagnazzi, professore di statistica presso l’Università degli Studi di Napoli, perché
metta a punto un’ inchiesta riguardante le province attraverso appositi
questionari.
In quest’ottica la Statistica è una miniera preziosa per conoscere il
genere di vita del popolo nel Regno di Napoli, perché emergono informazioni dettagliate sulle diverse realtà provinciali e sub–provinciali. Il
piano d’indagine è stabilito in relazione agli obiettivi che vertono per
ogni provincia su quattro sezioni generali:
—
—
—
—
notizie relative allo stato fisico;
sussistenza e conservazione della popolazione;
notizie sull’economia rurale;
le manifatture.
A queste sezioni bisogna aggiungere le indagini demografiche
effettuate annualmente dagli intendenti provinciali e sempre ben conservate negli archivi. Gli studiosi non sono concordi se esse siano da
considerarsi parte integrante della Statistica del . In realtà, i dati
demografici furono raccolti per più anni e non solo per il  e devono essere considerati complementari all’ampia indagine territoriale .
Tuttavia, anche questa documentazione è interessante perché innovativa rispetto alle numerazioni effettuate nel Regno di Napoli fino ad
allora, in quanto fornisce informazioni dettagliate sugli abitanti, sulle
dinamiche demografiche, sulle condizioni socio–economiche.
I dati del  registrano, rispetto agli anni precedenti, un aumento della popolazione del Molise, che raggiunge le . unità,
aumento dovuto però all’ampliamento dei confini e quindi al maggior
numero di comuni che dal  sono divenuti  (fig. .).
La distribuzione della popolazione, in relazione al trend già esaminato, risulta sempre diffusa in piccoli e medi centri, difatti pochi si
distinguono per una presenza elevata di abitanti; Campobasso e Iser. Della querelle dà ampie indicazioni Martuscelli ().
. Per i dati demografici nel periodo – è stato consultato il Fondo di Intendenza
di Molise (busta –) ASCB; poi sono stati consultati i relativi fascicoli della Statistica
depositati sempre presso ASCB. Nel , con l’ampliamento del territorio molisano, sono
uniti alla Provincia di Molise diversi comuni che nel  sono accorpati alla provincia di
Benevento.
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

nia , le città più importanti e ora dotate di funzioni amministrative,
registrano la prima  residenti e la seconda . Altri due centri
Agnone, con  abitanti, e Morcone con  si fanno notare per
l’elevato numero di residenti, ma non per un ruolo specifico.
Figura .. La popolazione del Molise secondo il censimento del : in evidenza i centri maggiori e i circondari (elaborazione dati demografici del Fondo
d’Intendenza, ).
Il Molise emerge nei suoi caratteri costitutivi come una provincia
prevalentemente montuosa, nella quale vi sono aree coltivabili e aree
non coltivabili da utilizzare per il pascolo. Ai disagi dovuti alla montuosità si aggiungono fattori come la scarsa utilizzazione dell’irrigazione e
la mancanza di argini ai corsi impetuosi dei fiumi. Le strade non sono
affatto ben tenute e le comunicazioni ostacolate dalla conformazione
del territorio e dalla mancanza di ponti adeguati. Lo spazio geografico
del Molise, dunque, appare nel  stigmatizzato dalla miseria e dalle
nette differenze sociali .
L’Alto Molise risulta un’area prettamente montuosa, ricca d’acqua,
maggiormente linda e pulita, con una popolazione meno provata da
. Isernia è designata capoluogo di distretto da Murat.
. Dal  Morcone fa parte della provincia campana di Benevento.
. Si rimanda a Sarno, a, per uno studio approfondito su questo documento e
sulla qualità della vita in Molise.

Campobasso da castrum a città murattiana
malattie; gli abitanti del Basso Molise subiscono la diffusione della malaria e i disagi per i continui spostamenti dei transumanti in Puglia. Se
la Statistica focalizza la complessiva debolezza economica del Molise
(Sarno, a) che si esplicita anche nell’indagine sull’alimentazione
(R. De Benedittis, c), conferma il trend positivo di Campobasso.
Quest’ultima, pur essendo per carico demografico il secondo centro del Molise dopo Agnone, dimostra, in relazione al maggior numero di iscrizioni anagrafiche rispetto alle cancellazioni, il suo ruolo
attrattivo. È interessante anche la composizione della popolazione,
poiché vi risulta un sostenuto numero di possidenti, circa un migliaio
tra il  e il , ma l’elevato numero di apprendisti rimanda alle tante attività artigianali (fig. .). Gli elementi costitutivi di Campobasso
sono quindi ben saldi.
Figura .. I ceti sociali della Campobasso murattiana: sono ben presenti i proprietari di beni fondiari, ma anche gli artigiani e i loro apprendisti (ns. elaborazione
dai dati raccolti dal Fondo di Intendenza di Molise per l’arco temporale –).
La città, inoltre, registra circa  abitanti nel , mantenendo
costante il suo andamento dal ; sebbene non possa competere
con quello di Foggia o di Benevento e pur attestandosi su numeri
contenuti, è comunque in linea con l’aumento della popolazione a
scala nazionale (Del Panta, ). La stessa provincia molisana conosce
. Le indicazioni sui possidenti per gli anni – sono state rilevate dai documenti
del Fondo di Intendenza di Molise (busta ) in ASCB.
. Si fa riferimento ai  abitanti registrati da Stendardo; cfr. quarto capitolo.
. Cfr. Melillo, .
. Cfr. Bencardino, .
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

un positivo incremento, come si è accennato, tra gli ultimi decenni del
Settecento e i primi dell’Ottocento attestandosi, nel , sui .
abitanti circa.
La Statistica raccoglie una messe di informazioni, che però non sono tradotte in azione né nel Decennio né dopo, sebbene «in Italia l’intero Ottocento fosse caratterizzato da una ricca produzione statistica»
(Lando, , p. ), anche ad opera di alcuni prefetti che operarono
nel giovane stato italiano (Gambi, ). Unico punto fermo rimane
il metodo innovativo nella raccolta dei dati socio–demografici.
.. Il Decennio francese in Molise: l’impronta politica di Vincenzo Cuoco e la formazione di Bernardino Musenga
Il primo impegno politico di Giuseppe Napoleone, re di Napoli, è la
riforma inerente all’eversione feudale del  agosto , volta a sopprimere senza alcun indennizzo tutte le giurisdizioni baronali, i privilegi
fiscali e le immunità; dal  l’opera è portata avanti da Gioacchino
Murat. Grazie a tali riforme, Campobasso si libera dell’ultimo vincolo
feudale: il suo formale feudatario. Il Contado assume connotati amministrativi e politici di altro valore perché trasformato in Intendenza
di Molise (fig. .). La nuova provincia molisana si avvantaggia del
fatto che Vincenzo Cuoco e Giuseppe Zurlo siano partecipi del governo centrale e si battano per l’autonomia dalla Capitanata, ottenuta
con il decreto del  settembre . L’Intendenza di Molise è infatti
ampliata con l’acquisizione dei comuni sulla costa adriatica , prima di
pertinenza sempre della Capitanata.
Vincenzo Cuoco assume un ruolo di spicco nella direzione po. Cfr. Gambi, , che ripercorre l’opera statistica del prefetto Giacinto Scelsi.
. La legge dell’ agosto  divideva il Regno in province, istituiva le intendenze
provinciali, riformava i corpi costitutivi dei comuni. Sul modello francese delle prefetture
venivano razionalizzati i rapporti centro–periferia. L’intero sistema doveva sopprimere le
divisioni feudali.
. Con il R. D.  maggio  la circoscrizione della provincia è allargata e comprende
anche Termoli e gli altri piccoli comuni del Molise costiero. Per la complessità della
definizione dei confini, già affrontata nel primo paragrafo del primo capitolo, si rimanda a
Russo, b.
. Nell’ampia letteratura inerente a Vincenzo Cuoco si rimanda all’edizione critica
delle sue opere curata da Biscardi e De Francesco, , e a agli Annali Cuochiani pubblicati

Campobasso da castrum a città murattiana
litica della neonata provincia; dopo l’esperienza rivoluzionaria e la
scrittura del famoso Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del ,
egli dimostra un pronto interesse per il nuovo governo perché concorda «sul programma di una rapida uniformazione amministrativa
del Mezzogiorno al resto della penisola» (De Francesco, , p. ).
Ancor di più avverte la necessità di imprimere un nuovo corso alla
politica molisana; le sue azioni come le sue opere sono sorrette da
una concezione moderna della pianificazione territoriale. Con cura, si
preoccupa di concorrere a ridisegnare il Molise e a pianificarne i centri
principali, soprattutto Campobasso (Biscardi, b; Sarno, g).
Infatti, il primo problema affrontato è proprio la configurazione
geografica che provoca lo spirito polemico di Vincenzo Cuoco: «Vi è
un fato anche per le province! Il fato del Contado di Molise è stato per
 anni quello di esser mal conosciuto dai geografi e trascurato dal
governo» .
Egli ritiene fondamentale che vi debba essere una netta discontinuità rispetto al passato che così stigmatizza: «Senza mare e senza porti
propri, senza strade, amministrata da autorità lontana e straniera ».
Il  maggio  la nuova provincia molisana ottiene il distretto di
Larino . In tal modo si compie la volontà dei riformisti molisani che
considerano, ancor più dei mezzani, gli scali portuali un’opportunità.
Altrettanto impegnative sono le discussioni per scegliere i capoluoghi
dei distretti, basandosi su criteri geografici, come la comoda distanza
da tutti i paesi di loro dipendenza .
In Viaggio nel Molise (), Cuoco pone in evidenza il dissesto idrogeologico del Molise, la mancanza di una rete viaria agevole, la necessità di modernizzare l’agricoltura e il commercio (Sarno, g). Ritiene
necessaria una vera e propria politica territoriale elaborandone la cardall’Associazione Culturale Vincenzo Cuoco e curati dall’attuale maggiore studioso del
pensiero cuochiano: Luigi Biscardi; per i temi principali del pensiero di Cuoco cfr. Biscardi,
; Biscardi, a; De Francesco, .
. Cfr. Cuoco, Scritti Giornalistici (–), , vol. II, pp. –. La citazione è tratta
da un articolo pubblicato sul Corriere di Napoli il  ottobre .
. La citazione è tratta dai documenti pubblicati dalla Provincia di Campobasso a cura
dell’ Associazione Culturale Vincenzo Cuoco, , p. .
. Unitamente alla questione dei confini tra Capitanata e Molise si deve definire il
destino del distretto di Larino, inizialmente appartenente alla Capitanata, poi al Molise; cfr.
Russo, b.
. Cfr. la documentazione esaminata sul tema da Russo, b.
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

ta topografica (Cuoco, ), per mettere in atto uno sfruttamento
agricolo adeguato alle caratteristiche ambientali; inoltre, si preoccupa
delle divisioni amministrative e della gestione delle proprietà. Quest’
ultimo aspetto lo spinge a porre «l’accento sul lavoro della terra quale
ineludibile premessa d’ogni ipotesi di proprietà diffusa» (De Francesco,
, p. ).
Figura .. Tavola corografica Provincia di Molise di B. Marzolla, , secondo i
nuovi confini definiti nel Decennio murattiano (fonte: Petrocelli, ).
In quest’ottica, nel , in qualità di Presidente del Consiglio
Provinciale di Campobasso, riflette sul capoluogo provinciale:
Campobasso manca di case di abitazione, ove che la residenza delle molte
autorità ne ha reso il bisogno più grande; non ha strade interne, non ha

Campobasso da castrum a città murattiana
fontane per acqua da bere. Campobasso, diventata capitale di una provincia e
centro di grandi affari, crescerà: ma crescerà in modo conveniente al nuovo
stato? Ma quanto più crescerà, tanto più sarà brutta e disadatta. Perché?
perché si accresce senza disegno, perché si lavora senza un piano generale.
Il Consiglio è formato da uomini di spicco a Campobasso dal punto
di vista economico, politico e culturale: Raffaele Pepe, Bernardino
Musenga, Giovanni Autilia, Carlo Arienziale Chiarizia, Girolamo
Capozzi, Pasquale Salottolo, Romanico Pallotta, Santo Viviani, Donato
D’Alena. Sono discendenti dei demanisti che avevano liberato la città
dal giogo feudale, formatisi nel clima dal riformismo illuministico.
Essi sono ora cittadini, sostenuti dai loro beni, in un contesto politico
favorevole; la nascente classe dirigente, che ha raffinato la natura
mezzana in virtù degli studi, può diventare operativa per la stretta
collaborazione con i Francesi .
Il Consiglio affronta il problema della rete viaria tra Campobasso,
Isernia e Termoli, ma principalmente il rinnovamento dell’architettura pubblica , anche in relazione ai danni inferti all’intera provincia
dal terremoto del .
La «capitale» richiede la massima attenzione. Il ruolo acquisito
implicitamente da Campobasso nell’età moderna sembra ora pienamente realizzarsi e si arricchisce dei connotati etici del razionalismo
. La citazione è tratta dai documenti pubblicati dalla Provincia di Campobasso a cura
dell’Associazione Culturale Vincenzo Cuoco, , p. .
. Per la formazione della classe politica molisana cfr. Lalli, ; Manfredi Selvaggi,
; Lalli, ; Biscardi, b.
. Così il pensiero di Cuoco: «Di architettura pubblica ignorasi finanche l’esistenza, di
quell’architettura per cui le città vengono ad avere strade regolari, piazze ampie, edifizi
ben costruiti. Ciascuno fabbrica dove vuole, il che dà a tutte le terre di questa provincia
un’apparenza meschina, una comunicazione incomoda, nessuna ventilazione, nessuna
amenità, nessuna salubrità. Sarebbe necessario che ciascuna municipalità si formasse un tal
qual piano del suo abitato, sul quale si regolassero gli edifizi nuovi che si debbono costruire
ed i vecchi che si debbono restaurare» Cfr. Cuoco, Scritti Giornalistici (–), , vol. II,
pp. –. La citazione è tratta da un articolo pubblicato sul Corriere di Napoli il  ottobre
.
. Il terremoto del  luglio  interessò il Molise e la Campania. Colpì duramente
Campobasso, Isernia e una trentina di paesi (Pece, ). I documenti d’archivio chiariscono l’entità dei danni che furono gravi e diffusi, ma ingenti ad Isernia; per i documenti
d’archivio si veda U. D’Andrea, . Per i danni inferti dal terremoto cfr. Antinori, ;
Parisi, ; Zullo, a; Zullo, b. Parisi, , fa notare che l’alluvione del  rende
più forte la necessità di nuove costruzioni.
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

illuministico che dà spessore all’interesse puramente economico dei
demanisti. Se la statura politica di Cuoco funge da lievito, chi renderà concreto il cambiamento sarà Bernardino Musenga, di origini
campobassane e formatosi a Napoli .
Musenga, nel periodo napoletano, acquisisce la laurea da ingegnere,
ma firma la corrispondenza come architetto, sia perché a quel tempo
non si operava una distinzione tra le due branche, sia perché nei suoi
lavori non ha mai tralasciato gli aspetti decorativi. La sua formazione
è coerente a quella fornita nei corsi per ingegneri, che si tenevano
a Napoli tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento, dove si
tendeva a fornire competenze relative alla costruzione e alla manutenzione di infrastrutture, ma anche all’architettura moderna, seguendo
gli scritti di Milizia () che si preoccupava tanto della progettazione
delle opere pubbliche, quanto degli aspetti ornamentali.
In realtà, la formazione dei tecnici è particolarmente a cuore
al nuovo regime, infatti la fondazione della Scuola di applicazione
degli Ingegneri e del Corpo degli Ingegneri di ponti e strade del 
porta la firma di Murat, che si muove sul medesimo indirizzo che
Napoleone veniva definendo in Italia come in Europa (De Lorenzo,
). A Napoli come a Milano i Napoleonidi qualificano l’iter di
preparazione di architetti e ingegneri (Sandri, ), «con programmi
tendenti ad una capillare estensione della presenza dello Stato sul
territorio» (Buccaro, , p. ).
. Cfr. Santoriello (, pp. –): «Bernardino Musenga (il nome si ritrova spesso
modificato in Berardino o Benardino) nasce a Napoli, presumibilmente nel , da Nicola
e Margherita Tivelli. Il padre era ingegnere e svolgeva la professione tra Napoli, dove
dimorava, e Campobasso, città di cui era probabilmente originario e nella quale acquistava,
nel , una casa in contrada dell’Annunziata per trasferirsi definitivamente». Bernardino
Musenga, poiché muore suicida, per lungo tempo non ha avuto attenzione. Solo di recente
la sua opera è stata oggetto di studio: cfr. Zullo, a; Sarno, a; Santoriello ; la
sua opera urbanistica è stata presa in considerazione da Manfredi Selvaggi, ; Antinori,
; Parisi, .
. La politica francese richiede tecnici specializzati, pronti a rinnovare il territorio, e
la fondazione del Corpo degli Ingegneri di ponti e strade è considerato il miglior frutto
del progetto di riforma dell’istruzione proposto proprio dal molisano Cuoco (De Sanctis,
).
. Così continua Buccaro (, p. ): La formazione dei tecnici «si espresse nel
Mezzogiorno, a partire dalla dominazione francese, nella previsione di un’ampia gamma
di tipologie dell’edilizia pubblica che, già opportunamente individuate in sede teorica da
Milizia, fungessero per le città–capoluogo da elementi atti ad assicurarne il funzionamento
quali ‘macchine’, a loro volta parti di un sistema avente nella capitale il motore principale».

Campobasso da castrum a città murattiana
Musenga si appropria della visione riformista non solo dal punto
di vista professionale, perché, nel , a Napoli ha pure abbracciato
«il partito dei giacobini e repubblicani sfuggendo il  febbraio ad una
serie di arresti» (U. D’Andrea, , p. ). Si può dire insomma che
abbia introiettato effettivamente una concezione aperta e moderna,
tanto dal punto di vista tecnico quanto politico, che poi esplicherà
nella progettazione.
La sua opera è presto richiesta in Molise e partecipando al Consiglio Provinciale condivide, con i politici e gli intellettuali del tempo,
posizioni e punti di vista .
I suoi impegni di lavoro diventano fondamentali dopo il terremoto
che nel  colpisce il Molise. Si interessa della ristrutturazione di
chiese e dello stallone del Regio Demanio , poi si attiva per aspetti
funzionali della città, come la copertura degli scarichi .
La sua partecipazione alla vita cittadina e l’importanza del suo
parere emergono, ad esempio, quando è interpellato per il pagamento
della perizia svolta dall’agrimensore Giuseppe D’Andrea , curatore
della Pianta geometrica dell’intero agro della centrale di Campobasso
del  (fig. .).
Nella lettera del  settembre , indirizzata all’Intendente di
. Cfr. Santoriello (, p. ): «L’impegno tecnico richiesto a Musenga non si limitava
soltanto al capoluogo. L’architetto era chiamato a dirigere in molti comuni dell’area
campobassana le operazioni di scavo, di sterro delle strade e di puntellatura delle case
lesionate; doveva compilare, inoltre, una dettagliata stima dei danni».
. Egli ha lasciato una ricca documentazione raccolta presso ASCB: comunicazioni,
relazioni, piante relative alla progettazione urbana.
. Il terremoto del  fu di straordinaria gravità come ricorda il sacerdote Capozzi
nelle sue memorie: «La scossa di questo tremuoto si crede universalmente che sia la più
terribile, la più violenta di quante mai si possano ricordar gli uomini de’nostri giorni. La
sua durata si fa rimontare a due minuti circa». Il sacerdote poi chiarisce che lo sciame
sismico durò per molti giorni e con scosse di particolare intensità (Capozzi, , p. ).
. Queste attività vengono segnalate da U. D’Andrea, .
. Gli scarichi erano in condizioni assai critiche, dal momento che «un luogo acquedotto pubblico (da intendersi per fogna) partiva a poca distanza dal portone della casa palaziata
di Pasquale Iannucci in Contrada Fondaco della farina, passava sotto la casa stessa ed andava
a sboccare in altro pubblico canale», ricevendo e convogliando «tutte le acque immonde e
de ‘ stillicidi di quella contrada» (U. D’Andrea, , p. ).
. L’agrimensore Giuseppe D’Andrea di Lucito è attivo in Molise nella prima metà
dell’ e ha curato le seguenti piante: Pianta dei territori demaniali ex feudali,, tre
copie; in FDM (ASC); Pianta delle contrade dette Piane Sant’Andrea dell’ex feudo di Ferrara in
tenimento di Lucito, ; in FDM (ASCB).
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

Figura .. Pianta geometrica dell’intero agro della Centrale di Campobasso del
, redatta e firmata dall’agrimensore Giuseppe D’Andrea per l’avvio del catasto
provvisorio (Doc. ).
Molise, egli dimostra sia l’utilità del lavoro di Giuseppe D’Andrea,
sia la necessità che gli sia data giusta ricompensa. È una interessante testimonianza della stima che Musenga gode a Campobasso, dal
momento che dalla corrispondenza appare che il suo intervento sia
sollecitato proprio dall’agrimensore, mentre egli ha la facoltà di poter
in modo diretto esprimere il suo parere all’Intendente.
La pianta ha una funzione molto importante, serve per la formazione del catasto provvisorio, strumento considerato dai politici molisani
fondamentale per l’equa distribuzione delle tasse. Ecco, dunque, il pregio del lavoro dell’agrimensore, oltre al fatto che fosse la prima pianta
completa dell’agro di Campobasso. In qualche misura è la logica continuazione degli apprezzi, benché comunichi solo alcune caratteristiche
dell’agro: i confini, i paesi limitrofi, le coltivazioni presenti, le aree

Campobasso da castrum a città murattiana
boschive e le risorse idriche. Se il D’Andrea ha il merito di averla
predisposta, Musenga ha l’intelligenza di conservarla per fini ben precisi: come ingegnere ed esperto di analisi territoriale, nonché come
conoscitore della sua città (Sarno, g).
La sua attività è, quindi, multiforme: è rivolta alle infrastrutture,
come ingegnere, alla riedificazione dei luoghi sacri, come architetto;
inoltre, in qualità di membro del Consiglio Provinciale, partecipa alle
discussioni, sollecitate da Cuoco, sul rinnovamento urbanistico di
Campobasso.
«Dal  veniva nominato anche decurione, carica che avrebbe
mantenuto fino al » (Santoriello, , p. ). Poi, come vedremo,
è incaricato di progettare e realizzare l’ ampliamento del capoluogo. È
l’acme della professionalità di Musenga che non teme la Restaurazione, infatti continua a svolgere la sua attività fino alla costruzione della
chiesa della SS. Trinità, poi cattedrale . Proprio a ridosso del completamento di questa importante opera, il  ottobre , egli però si
toglie la vita probabilmente per errori commessi nell’ esecuzione dei
lavori e per i fondi reperiti persino con un’imposta sugli alimenti . Il
senso di colpa, a quanto pare, spinge l’architetto a tale gesto .
Tuttavia, Campobasso e il Molise si sono giovati per oltre un quindicennio della sua professionalità, poiché volontà politica e capacità
tecnica si sintetizzano nella sua opera, per un processo di rinnovamento, che è favorito in tutto il Regno dal governo murattiano, ma è
incisivo qui per la disponibilità della classe dirigente (Sarno, g).
. Questo luogo sacro, fatto costruire da Andrea Di Capua nei primi anni del XVI
secolo al di fuori delle mura, diventerà grazie a Musenga il trait d’union tra il vecchio e il
nuovo borgo. Il progetto di Musenga relativo alla SS. Trinità di stampo neoclassico verrà
poi portato avanti nel corso dell’Ottocento dall’architetto Bellini.
. La data del suicidio nel  è indicata da Santoriello in relazione all’ultima lettera
del  ottobre del medesimo anno; Tirabasso, , indica come data il .
. Santoriello, , evidenzia che i cambiamenti politici successivi ai moti del 
allontanano dal Molise Biase Zurlo, che aveva sempre appoggiato Musenga, il quale quindi
dal  si trova politicamente solo.
. Musenga non solo fece lavori di restauro a Campobasso, ma fece interventi di ristrutturazione a Jelsi, a Vinchiaturo, a Baranello, progetti per i ponti di Limosano, Casalciprano
e Trivento. Poi si interessò del restauro della cattedrale di Isernia. Risulta estensore di un
progetto di rafforzamento della rete viaria molisana che prevedeva due strade, la prima
che doveva collegare Campobasso con Isernia e l’altra con Trivento; cfr. Zullo, a;
Santoriello, .
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

.. Il tentativo progettuale del concorrente
Se il Consiglio Provinciale, dal , è convinto della necessità dell’ampliamento della città, vi è, tuttavia, un periodo interlocutorio nel
quale il Decurionato, ovvero il Consiglio dell’amministrazione civica,
si affida al progettista Vincenzo Warrescant. Poco si sa dell’ingegnere
Vincenzo Warrescant o Wan Rescant, di origine francese, che presta
la sua opera durante il governo murattiano. Rientra presumibilmente nel novero dei tecnici che percorrono la penisola unitamente alle
truppe . Warrescant si mette all’opera come si rileva dal carteggio
tra il sindaco di Campobasso e l’Intendente di Molise.
Signore, qui la pianta fatta dall’Ingegnere Warrescant della nuova piazza che
dovrebbe farsi per la fabrica del Collegio, che andrà progettarsi fra breve.
Con essa vi è la deliberazione del Decurionato, le offerte di molti che hanno
intenzione di costruirvi delle abitazioni alle condizioni che rilevate dalla
detta deliberazione Decurionale.
Così comincia la lettera del  ottobre  firmata dal Sindaco di
Campobasso, Francesco Marsico, e indirizzata al Signor Intendente di
Molise.Vi è allegata anche la relazione stilata da Bernardino Musenga
che, in qualità di segretario, ribadisce la necessità di aumentare il
numero delle abitazioni, perché i campobassani non rientrano in quelle
esistenti. Poi egli chiarisce che è stato scelto il sito per l’ampliamento:
«per vicinanza all’antico recinto della città sia quello del piano detto
Le Camere o Campere » (fig. .).
L’area prescelta, le Camere o Campere, è ideale perché pianeggiante ed ampia, ma acquista un particolare significato perché è il
luogo del mercato e delle fiere. Il Consiglio ha selezionato tale sezione
territoriale sia per la sua estensione, sia per la sua valenza: la parte viva
di Campobasso fuori dalle mura è vista ora come lo spazio opportuno
per l’ampliamento.
. I tecnici francesi erano preparati in modo rigoroso presso l’École des ponts et
chaussées fondata a Parigi nel ; cfr. Belhoste, ; L. Rossi, ; De Lorenzo, ,
ma rimane fondamentale il saggio di Morachiello, Teyssot, , sulla Nascita delle città di
stato. Ingegneri e architetti sotto il consolato e l’impero.
. Cfr. Doc. , p. .
. Cfr. Doc. , p. .

Campobasso da castrum a città murattiana
Alla relazione è allegato il progetto di Warrescant, che tiene conto
dei fabbricati già esistenti e propone una piazza di forma esagonale
intorno alla quale dovrebbero sorgere anche le nuove costruzioni (fig.
.).
Figura .. Veduta aerea del borgo nuovo agli inizi del Novecento
(fonte:Trombetta, , p. ).
L’intento di Warrescant, ad analizzare la pianta, non è rivolto a
rivisitare l’impianto della città, ma a realizzare un’area abitativa intorno ad una piazza, nella quale fosse costruito un palazzo apposito per
il Decurionato . Egli si muove, quindi, in un’ottica tradizionale e il
suo appare più un piano di riqualificazione urbana che un progetto
di sviluppo (Pece, ). Warrescant però intuisce quanto sia importante porre Campobasso in una posizione equidistante tra Napoli e
Termoli, e, difatti, la piazza doveva essere il punto di confluenza delle
due direttrici, dal momento che la località Camere è in adiacenza della
strada nuova .
Nel progetto la piazza appare limitata dalle costruzioni esistenti,
segnalate con il colore scuro, che invitano ad immaginare un luogo
chiuso e circoscritto. Inoltre, il sistema radiale, qui delineato, è di stam. Il Decurionato era l’organo amministrativo provinciale.
. Cfr. Doc. , p. .
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

Figura .. Progetto di Vincenzo Warrescant per l’ampliamento di Campobasso
del ; (Doc. ).
po barocco e poco può piacere a chi vede la città come il luogo dove
imprimere il cambiamento politico. A sua volta, Bernardino Musenga
si limita ad una descrizione obiettiva del progetto, segnala i tempi di
costruzione e gli impegni finanziari, rimettendo ogni decisione nelle
mani dell’ Intendente . Ribadisce che al più presto si avviino i lavori
per fornire alloggi ai militari e degna collocazione ai pubblici uffici .
Accade però che il progetto, pur ottenendo l’approvazione dal
Decurionato e pur essendo trasmesso dall’Intendente al Ministro
dell’Interno Giuseppe Zurlo, sia respinto proprio da quest’ ultimo .
Il Ministro, da molisano, non ritiene adeguato il progetto, ma spetta
. Musenga si fa carico di precisare che si attende al più presto il parere, «la sollecita
autorizzazione, stante l’urgenza dell’ingrandimento del paese, urgenza che obbliga il Decuriato ad incaricarmi fortemente per uscire da continui imbarazzi provenienti dall’angustia
dell’abitati per l’alloggio de’ miliari, per lo domicilio de magistrati, per lo stabilimento de’
pubbliche officine» (Ibidem).
. Ecco il passo tratto da Doc. , p. : «Egli si obbligherà di fabbricare in un anno tutto
il piano terreno nel fronte di strada, e di renderlo abitabile per Botteghe, sia per case matte.
Egli si obbligherà fra due anni di alzare un primo piano sopra dette botteghe terrene a
fronte di strada e renderli similmente abitabile».
. Cfr. Doc. .

Campobasso da castrum a città murattiana
a Musenga fornirne la motivazione tecnica: «Egli dispose [la piazza]
in una figura quasi esagona e fu per questo che tal progetto non si
approvò ».
Insomma sembra futile costruire la piazza e il palazzo del Decurionato quando le necessità dei cittadini sono ben altre. Benché non
vengano forniti ulteriori chiarimenti, la classe dirigente, che ha ridimensionato il potere feudale, non intende dare risalto ad una nuova
autorità, sia pure amministrativa. Il progettista francese non corrisponde alle aspettative dei notabili molisani che investiranno di tanta
responsabilità Bernardino Musenga. Egli vive la città, ne conosce l’identità e ne può plasmare una nuova facies; è peraltro considerato
tanto all’altezza del compito da tener lontano Luigi Marchese, importante cartografo e ingegnere, a cui sono affidati i primi interventi ad
Isernia dopo il terremoto del  (Parisi, ). Infatti, il Ministro
propone il nome di Musenga perché faccia «una nuova e risolutiva
proposta» (Zullo, , p. ).
Rimangono tuttavia dei punti fermi: la scelta del sito, l’ impegno
a costruire case e botteghe, la volontà ad agire in modo sollecito;
soprattutto il nuovo progetto non conterrà gli errori di Warrescant,
perché risponderà alle esigenze dei cittadini e alla volontà politica .
.. Il progetto di Musenga e il borgo murattiano
Con la lettera del  settembre  Bernardino Musenga presenta il
suo progetto, allegandovi la relativa pianta (fig. .). Chiarisce che
gli è stata ufficialmente affidata la progettazione dell’ampliamento,
puntando in modo incisivo sul ruolo amministrativo della città e
sulla necessità di una sua ristrutturazione, senza tralasciare il leitmotiv
del terremoto del .
. Ibidem.
. Ulteriore aspetto positivo è la possibilità dell’incameramento dei beni ecclesiastici
favorito dal clima politico riformistico.
. Egli precisa le nuove funzioni della città per cui le nuove costruzioni sono necessarie
non solo ai residenti, ma anche alle autorità civili e militari che sono destinate ad essere
presenti, riprendendo un concetto già espresso nella relazione allegata al progetto del
concorrente.
. Cfr. nota .
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

Figura .. Progetto di Musenga, del , per l’ampliamento di Campobasso: in
evidenza la linearità e il profilo razionalistico del nuovo borgo (Doc. ).
Signore, divenuto questo comune Capitale di provincia sin dal  si è
visto sempre incapace di contenere tutte le autorità, tutte le officine, tutte le
caserme, che di mano in mano vi si sono andate a stabilire, benché molti
ospizi distrutti dal tremuoto siano stati ricostruti . [...] Non saprei dire quale
veduta siagli spostata per lo innanzi, onde non promuoveva l’ingrandimento
della Capitale di una provincia ampliata; e soltanto so che era un dovere
delle autorità amministrative il pensarvi; e che Ella vi ha pensato fino a far
formare l’anno scorso dall’Ingegner Warrescant il progetto di una piazza,
che egli dispose in una figura quasi esagona; e fu per questo che tal progetto
non si approvò da S. E. il Ministro dell’Interno, il quale nel tempo stesso
dispose che io avessi fatto un secondo progetto con piazza rettangolare.
Le motivazioni politiche e tecniche inizialmente sembrano tutte
giocarsi intorno alla funzione della piazza. La dimensione geometrica
rettangolare, privilegiata dal progettista molisano, mentre s’accorda
con l’impostazione razionalistica che tralascia ogni intento barocco,
mostra però il vero obiettivo di Musenga: rivisitare l’impianto urbano
della città e creare le condizioni del suo ampliamento (fig. .).
Egli conosce bene la struttura della città, dal momento che la disegna precisamente in un’altra lettera del  settembre : «L’abitato
. Cfr. Doc. , p. .
. Cfr. Doc. , pp. –.

Campobasso da castrum a città murattiana
di Campobasso (toltone la parte antichissima che Monforte cinse di
mura nel  e ch’è campeggiata contro il monte) è fondato sopra un
piano» .
Distingue il nucleo antico e l’abitato in piano sviluppatosi in modo
informe, nel quale progetta casamenti:
In quattro file di casamenti con giardini intervallate da strade regolari; in
un Casamento/n./ che collega con altre costruzioni e finalmente nel
triangolo , il quale non avendo comoda forma per casa può essere addetto
ad un porticato, sotto di cui riuniscansi i mercanti per conchiuderci i di loro
contratti, porticato che io ho visto in diverse piazze d’Italia e di Francia.
Tale disegno soddisfa le esigenze residenziali, raccorda l’ esistente
con il nuovo, non tralascia il ruolo mercantile di Campobasso e ne
continua la tradizione volendo edificare un porticato appropriato
per le contrattazioni. Si coglie la relazione con la scuola di Milizia,
che invitava a coniugare teoria e pratica nel disegno urbanistico e
a costruire i collegamenti tra le diverse parti di un nucleo urbano.
Musenga dimostra insomma di essere un «architetto colto e preparato,
attento agli sviluppi dell’architettura in Italia e in Europa» (Zullo, ,
p.).
Infatti, a proposito del porticato , nobilita la sua proposta con il
riferimento ad altre piazze italiane e francesi, a prova della volontà di
inserire Campobasso degnamente tra le altre «capitali» (Sarno, a).
La pianta progettuale, benché semplice nell’impostazione (fig. .),
è ben articolata: Musenga indica le piazze, le strade e i lotti edilizi.
Sfrutta il luogo pianeggiante di forma allungata sulla strada per Napoli
e, all’interno di questo ampio spazio rettangolare, costruisce una
maglia viaria ortogonale. Vengono a stabilirsi percorsi principali e
secondari che faciliteranno i futuri sviluppi della città (fig. .). Le
. Cfr. Doc. , p. .
. Cfr. Doc. , p. .
. Ecco il passo a proposito del porticato (Doc. , p. ): «Nel triangolo , il quale non
avendo comoda forma per casa può essere addetto ad un porticato, sotto di cui riuniscansi
i mercanti per conchiudere i loro contratti; porticato che io rivisto in diverse piazze d’Italia
e di Francia».
. In questa importanza dello spazio pubblico si ravvede l’influenza di Cuoco, dal quale
Musenga apprende i diritti–doveri di ogni cittadino e il fatto che «i proprietari avrebbero
dovuto subordinarsi alla volontà pubblica per arrivare ad avere salubrità, comodità e
bellezza, sull’esempio di Torino e Milano» (Zullo, , p. ).
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

Figura .. Campobasso vecchia addossata al Monte Bello (Fonte: Trombetta,
).
due piazze danno un messaggio di continuità, ma anche di crescita
urbana perché consentiranno il passeggio e saranno di vantaggio per
le future botteghe; «sono assimilabili più agli squares londinesi, cioè a
piazze alberate (si consideri la presenza dell’Orto botanico), che alle
places royals francesi» (Manfredi Selvaggi, , p. ).
Consiste in una piazza rettangolare con gran pozzo pubblico in mezzo
dirimpetto al finito Monastero di Santa Maria della Libera; un’altra piazza rettangolare alberata alle spalle di detto Monastero; in quattro file di
casamenti con giardini interverate da strade regolari.
Il progettista dota, così, Campobasso non di una piazza, ma di due,
superando con un colpo d’ala il limite tipico delle città meridionali,
spesso prive di una piazza maggiore, avendo piuttosto uno slargo o
uno spiazzo per il mercato (Labrot, ).
Le piazze alberate sono poi arricchite dai viali, perché Musenga ha ben
presente un decreto di Giuseppe Bonaparte del  per la costituzione di
orti botanici prima a Napoli e poi nelle province (Pece, ).
. Cfr. Doc. , p. .
. Gli orti erano promossi per studiare le specie utili alla salute, all’agricoltura e all’industria
(De Sanctis, ). Gioacchino Murat volle il verde per la bellezza estetica, per la salubrità
dell’aria ed anche per l’avvio degli agricoltori alla conoscenza delle diverse specie di piante e
dei relativi modi di coltivarle. A tal fine fu realizzato nell’area cittadina, detta le Campere, un

Campobasso da castrum a città murattiana
In un progetto tanto rispondente ai dettami riformistici, il convento
di Santa Maria della Libera non è d’impaccio, perché viene sfruttato
come spartiacque tra le due piazze, inserito nel nuovo senza creare
discontinuità .
Le strade, a loro volta, perfettamente ortogonali rispondono ai
dettami di Milizia () di rispettare la simmetria e l’euritmia . Lo
stesso principio vale anche per le nuove costruzioni, progettate a due
piani, corrispondendo così al canone di una simmetrica bellezza che
dia il senso della profondità e che apra metaforicamente Campobasso
in direzione di Napoli , per un rapporto più stretto con il centro
politico.
Da ingegnere non tralascia, però, la valutazione della qualità del
terreno , dell’esposizione, ma anche della scelta delle pietre locali,
per essere sicuro della solidità e della comodità del luogo prescelto .
Infine, definisce i tempi dei lavori, le modalità di acquisto dei suoli,
individua i rapporti tra amministrazione pubblica e privati, anche
proponendo che questi possano concorrere alla realizzazione delle
opere di urbanizzazione, con la speranza d’aver dato «nell’idea, un’idea
che deve saldare un nuovo borgo all’antico».
orto botanico dove vennero piantati semi provenienti da tutto il mondo (Trombetta, ).
. Si tenga conto che in altre zone si espropriano beni conventuali secondo i nuovi
dettami politici.
. Ecco il punto di vista di Milizia (, p. ): «L’ordine esige che tutte le cose le
quali si presentano alla vista, formino una serie di parti contigue di un medesimo tutto,
ciascuna legata alle vicine, dalle quali non differisce, che per insensibili sfumature, e formi
tra loro una comunicazione, dalla prima fino all’ultima».
. Ecco il passo illustrativo (Doc. , p. ): «Entro il sito  passa la strada nuova che
viene da Napoli; io vene ho messa un’altra parallela n. con ciò ho abbinato alle due piazze
 e  il passaggio».
. Le caratteristiche del terreno e la sua impermeabilità sono attentamente considerate
per un’adeguata progettazione e invitano ad evitare gli intenti barocchi, come si evince
anche dalla scelta di linee semplici ed essenziali, ma soprattutto dal rispetto del principio
che «ogni edificio deve corrispondere nel tutto e nelle sue parti al fine ed all’uso cui è
destinato» (Milizia, , p. ).
. Egli conosce bene che l’abitato di Campobasso è fondato su «un piano talmente
argilloso, e denso che tutte le acque delle piogge e delle nevi che penetrano oltre la
superficie del terreno, ivi restano perpetuamente, senza che si aprano mai una strada»
(Doc. , p. ).
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

Figura .. Piazza Municipio oggi, secondo il progetto Musenga.
L’idea è approvata e, nella lettera successiva del  settembre
, Musenga, compiacendosi dell’assenso al suo progetto, risponde
ai quesiti dell’Intendente: costruire una chiesa nel nuovo borgo e
collocare una fontana in una delle piazze. La struttura idrogeologica
di Campobasso richiede piuttosto di situare un pozzo al centro della
piazza; per la fontana si dovrebbero convogliare, in un sol punto, tutte
le acque che, invece, alimentano i mulini.
L’abitato di Campobasso (toltone la parte antichissima che Monforte cinse
di mura nel  e ch’è campeggiata contro il monte) è fondato sopra un
piano talmente argilloso, e denso che tutte le acque delle piogge e delle nevi
che penetrano oltre la superficie del terreno, ivi restano perpetuamente,
senza che si aprano mai una strada. Da ciò deriva la mancanza delle sorgive
visibili da una parte, e la facilità di provvedere ai bisogni della vita con pozzi
di poca spesa dall’altra.
. Ecco il passo illustrativo (Doc. , p. ): «Ho letto la copia della Ministeriale che’Ella
sie compiaciuta comunicarmi e che riguarda il mio progetto per lo borgo fabbricato ad
ingrandimento di questo Comune».
. Cfr. Doc. , p. .

Campobasso da castrum a città murattiana
Musenga dimostra di non lasciarsi catturare dall’idea scenografica della fontana, ma di tener conto che l’acqua abbia una funzione vitale perché alimenta la molinatura. In tal caso non si preoccupa di accontentare l’Intendente, ma di curare gli interessi dei suoi
concittadini.
Dal punto di vista estetico egli, alla fine della lettera, richiama
l’esempio delle città della Puglia per l’uso di un pozzo al centro della
piazza e propone di porvi una statua per abbellimento, dedicata all’Eroe
che felicemente ne governa e a cui tanto deve il Comune .
L’eroe è ovviamente Murat e così il progettista risolve la richiesta,
mentre va incontro all’altra: la costruzione di una chiesa. Chiarisce
che sia obiettivo suo e dei campobassani ricostruire la chiesa della
Trinità fortemente danneggiata dal terremoto del  (fig. .) e
posta al limite tra vecchio e nuovo borgo: «Nell’antico sito, il quale
(oltre all’essere salubre) sarà centrale all’antico ed al nuovo abitato» .
In questo modo, l’ingegnere ha effettivamente agito, secondo le
sollecitazioni urbanistiche del tempo, saldando i diversi poli di un
centro urbano e valorizzando l’antico con il nuovo. Non tralascia il
passato di Campobasso ma garantisce l’esaltazione del nuovo regime,
con un’adeguata dose di realismo: costruire un borgo funzionale al
contesto. «Il piano di Musenga fu preferito perché di più ampia portata,
meglio definito, impostato su una maggiore regolarità dei tracciati e
degli spazi» (Zullo, a, p. ).
Il suo spirito riformista resiste a sogni d’imitazione, non vuol fare
di Campobasso una nuova Napoli, ma vuole farne ciò che è: una città
capoluogo di provincia. Non si fa attrarre dall’ esempio urbanistico
della capitale dove, tra Settecento ed Ottocento, si dà grande impulso
alla ristrutturazione viaria, alla funzione residenziale, ma non si tralascia affatto quella decorativa (Buccaro, ). Inoltre si abbelliscono e
si ammodernano i siti borbonici (Alisio, ). Musenga doveva sapere
che, nel periodo in cui fervono i lavori a Campobasso, si avvia la ristrutturazione del sito borbonico a Venafro, pure non è attratto da tali
esempi. Unica eccezione sarà il progetto della chiesa della SS. Trinità
. Cfr. Doc. , p. .
. La chiesa della Trinità sede di una delle confraternite e danneggiata nel  fu la
costruzione cui si dedicò Musenga, dopo la progettazione del borgo, fino alla morte. Cfr.
nota .
. Cfr. Doc. , p..
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

per il quale sembra maggiormente riferirsi all’architettura napoletana
e all’impronta neoclassica del tempo (Zullo, a).
Invece, egli punta sull’abitabilità, sulla collocazione delle botteghe e
sull’intera organizzazione del borgo. In tal senso, sebbene non volesse
affatto imitare, si può presumere che fosse a conoscenza di esperienze
maturate in altri centri del Mezzogiorno e del progetto relativo al
borgo murattiano di Bari (Pece, ).
La viabilità e il passeggio sono elementi nuovi rispetto alla struttura
feudale di Campobasso, rispondono ad esigenze di traffico dovute
agli uffici, alla presenza non solo di forestieri, ma di cittadini dell’Intendenza; inoltre, vi è la dimensione tutta urbana del passeggio, di
nuovi comportamenti della classe dirigente, senza escludere quelli
consolidati della contrattazione sotto il porticato (Sarno, a).
L’approvazione di Gioacchino Napoleone al progetto avviene in meno
di un anno e Musenga conserva gelosamente tanto l’approvazione di
Gioacchino Napoleone, quanto il parere del Ministro dell’Interno. Le
due comunicazioni sono quasi contemporanee: quella di Gioacchino
Napoleone del  agosto  e quella del Ministro del  agosto .
È autorizzata la costruzione di un Borgo con piazza fuori l’antico recinto
delle mura del Comune di Campobasso, per la strada di Napoli, secondo il
progetto fattone dall’architetto Bernardino Musenga, il quale resta approvato.
Il Borgo prenderà da ora il nome di Borgo Gioacchino Murat e la piazza
avrà questo stesso nome.
Murat proclama la sua immortalità attraverso la piccola città di
Campobasso, lascia un segno indelebile della presenza francese ed invita, anche grazie alla comunicazione del Ministro, all’adempimento
del piano nel rispetto delle condizioni previste. Il Ministro dell’Interno,
il molisano Giuseppe Zurlo, approva invitando il Consiglio provinciale a formare un regolamento e a sottoporglielo tempestivamente .
Con tali approvazioni del , i lavori possono cominciare e Campobasso potrà acquisire quel volto moderno tanto anelato per essere
degnamente capoluogo di provincia.
. Musenga si interessò anche del restauro della cattedrale di Isernia e si evince
un’affinità di linguaggio architettonico (Zullo, b).
. Cfr. Doc. , p. .
. Cfr. Doc. .

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. La chiesa della Trinità, poi Cattedrale in una cartolina del  (fonte:
Trombetta, ).
.. L’imprimatur di Musenga
Coerentemente all’impronta politica, Musenga e i rappresentanti
amministrativi ritengono prioritari le infrastrutture, le abitazioni e
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

il rifacimento della chiesa nel Convento di Santa Maria della Libera
che deve dividere le due nascenti piazze . Il primo problema affrontato è quello della riorganizzazione viaria, come dimostra la richiesta
del  agosto , inviata dal sindaco all’Intendente, dove è messa in
evidenza l’affluenza dai paesi vicini:
Questa strada è trafficata dagli abitanti di molti vicini Paesi, che sarebbe
lungo il numerare, e che concorrono colle loro derrate a fare l’abbondanza
di tutti i generi in questa Centrale ogni giorno, e specialmente nei mercati
periodici della settimana. Questa centrale, in se stessa scarsa di prodotti per
la ristrettezza del suo territorio, tira dai luoghi finitimi la sua sussistenza,
ma a prezzo molto più caro che non sarebbe che vi fosse la strada comoda,
almeno nei contorni della città.
Sembra di rileggere le pagine di Nauclerio o Stendardo che descrivevano il concorso dei forestieri, tuttavia con talune differenze, dal
momento che il sindaco precisa, unitamente al ruolo commerciale
di Campobasso, il fatto che sia un territorio limitato nell’ampiezza e
che abbia bisogno di acquistare prodotti dai paesi confinanti . Egli
chiarisce che la mancanza di strade comode determina l’aumento dei
prezzi delle derrate, quindi, se la città vuole continuare ad avere la sua
funzione di polo commerciale, deve facilitarne l’accesso .
La sinergia tra l’ottica tecnica e quella politica è ben evidente.
Era Giunto il momento di creare un ventaglio di relazioni direzionali impegnative in grado di evitare in futuro l’isolamento o il condizionamento del
capoluogo con la prevedibile crescita delle altre aree territoriali: dal Matese
a Isernia e da Casacalenda a Campomarino (Petrocelli, , p. ).
. Cfr. fig. .
. Cfr. Doc. , p. .
. La strada cui si fa riferimento è parallela al nuovo borgo e si estende oltre i confini
di Campobasso verso i paesi limitrofi, infatti il punto di riferimento è il convento di S.
Giovanni.
. Il De Attellis chiarirà nel  che i territori circostanti producono soprattutto
frumenti, biade, verdure, per il resto bisognava provvedersi.
. La richiesta così continua: «La costruzione di tale strada, Sign. Intendente, concilia
tanti interessi. Quello della migliore sussistenza publica, quello dell’agricoltura e degli
infelici agricoltori, quello dell’intera cittadinanza che nei mesi rigidi trova un comodo
passeggio, e quello importantissimo della sanità dei Collegiali che son la speranza della
Patria» (Doc. , p. ).

Campobasso da castrum a città murattiana
Dalla lettera siamo pure informati dell’avvio di un’altra costruzione: il Regio Collegio, struttura necessaria per l’ educazione dei
giovani e per la formazione della classe dirigente, secondo direttive
proprie dei Napoleonidi . Si persegue così «un preciso programma
di gerarchizzazione territoriale» (Parisi, , p. ), che non solo
prevede i collegamenti viari, ma anche di dotare la città di arredi
caratterizzanti.
I problemi sono affrontati e risolti con una certa velocità come si
evince dalla documentazione relativa alla verifica dei risultati . Tecnici
e politici si preoccupano del sistema viario con determinazione valutando gli appalti effettuati e operando i dovuti controlli; nel frattempo,
come un cantiere aperto in diversi punti della città, i lavori nel nuovo
borgo procedono. Ne abbiamo il riscontro da una comunicazione dei
cittadini di Campobasso all’Intendente:
I sottoscritti Cittadini di questa Centrale di Campobasso con dovuto rispetto
l’espongono come sta oggi sorgendo quasi che una nuova città lungo la
strada consolare, e che forma un prosieguo non solo del mercato di Campobasso, ma anche una novella piazza quadrata, nel fondo della quale forma
lato di prospettiva l’abolito monastero dei padri celestini oggi in parte caduto. Questo nuovo fabbricato di Campobasso, che con tanto trasporto si sta
proseguendo e che in meno di due anni ha già oggi presa la forma di una
piazza quasi che terminata, manca del migliore ornamento, qual è quello di
un tempio.
I cittadini, mentre chiedono il ripristino della chiesa all’ interno
del Convento, documentano lo stato dell’arte: il progetto Musenga è
precisamente attuato. La piazza mercantile sta diventando piazza sociale.
«Il centro della città del Mezzogiorno non è più la dimora del barone
o la cattedrale, ma uno o una serie di edifici pubblici che codificano e
gerarchizzano il territorio urbano» (Spagnoletti, b, p. ).
. Il Regio Collegio sarà una delle strutture portate a compimento diversi anni dopo;
cfr. ultimo paragrafo di questo capitolo.
. Eccone un esempio: «Oggi che sono dieci del mese di Maggio dell’anno milleottocento quattordici in Campobasso. Noi qui sottoscritti Domenicantonio Diodati ingegnere,
Francesco Marsico sindaco, Stefano Diodati e Francesco Paolo Giancarlo deputati delle
opere pubbliche, Silvestro Novelli e Raffaele Sannini appaltatori della rifrazione delle strade
interne di questa Centrale, ci siamo riuniti per andare a riconoscere lo stato della strada S.
Paolo già ricostrutta ed indi ci siamo recati in sopralluogo» (Doc., , p. ).
. Cfr. Doc. , p..
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

Si avverte da parte dei campobassani la piena partecipazione ai lavori
e nel contempo il senso della continuità, perché lo spazio fuori le mura
era parte della loro memoria e proprio qui chiedono il ripristino di un
altro luogo di culto. È la testimonianza che il progetto Musenga sia
parte integrante di «una svolta radicale per la città» (Pece, , p. ).
Il borgo viene, quindi, acquisendo la facies urbanistica disposta da Bernardino Musenga ed illustrata nella rappresentazione cartografica allegata
alla documentazione. Egli mette a punto la Pianta topografica della città di
Campobasso secondo il suo stato nel  e ne lascia due copie (figg. . – .).
La pianta presenta in modo unitario Campobasso: il borgo antico
e il nuovo. La rappresentazione evidenzia la parte più antica e il
perimetro dell’altura, il borgo esistente, anch’esso antico nel declivio
del Monte Bello, con le diverse diramazioni, infine lo spazio per il
borgo nuovo, posto in continuità.
È una rappresentazione a cerchi concentrici che non tralascia alcuna pagina della storia urbanistica e politica di Campobasso: l’età
medievale e il sogno di Monforte, lo sviluppo dell’ età moderna circoscritto dalle mura feudali, l’ampiezza e l’ estensione dei nuovi tempi
che promettono la pubblica felicità (Sarno, a). Non vi sono discontinuità nello spazio urbano, ogni trasformazione avvenuta rimane,
mentre il nuovo si raccorda con l’antico, il borgo medievale con quello
murattiano. L’orientamento verso Ovest è appunto verso Napoli, benché ormai egli abbia creato le condizioni perché Campobasso si apra
anche ad Est. «Prendeva forma così una città moderna che passava
dai quartieri della città murata alle zone di sviluppo differenziate per
funzioni e ceti sociali» (Petrocelli, , p.).
La seconda pianta dove è posta una numerazione senza legenda
sembra appunto avvalorare il suo interesse per la rete viaria interna,
per assicurare e facilitare le articolazioni tra i corpi urbani e non
isolarne nessuno. Peraltro, Musenga non descrive lo status quo, ma
si preoccupa di dare unità e identità alla città, ponendo il monte al
centro dell’impianto urbanistico e unificando l’abitato con lo spazio al
di fuori delle mura. La dinamica extramoenia–intramoenia è così risolta
nella carta topografica, che ha perciò un ruolo performativo, perché
parte integrante del processo politico in atto .
. In tal senso si verifica anche l’affinamento degli strumenti cartografici. La relazione
tra sviluppo urbanistico e affinamento della cartografia molisana è affrontata in Sarno,

Campobasso da castrum a città murattiana
Tanta volontà raziocinante è apparsa un limite poiché dà al nuovo
borgo «il caratteristico disegno a zampa d’oca» (Zullo, a, p. ).
In realtà, grazie ai dettami razionalistici del tempo, egli consegna ai
suoi concittadini un impianto urbanistico funzionale e simmetrico,
decorato dai giardini, dai viali per il passeggio, aperto alle sollecitazioni provenienti dall’ esterno. A prova della rapidità dei lavori, è
efficace la descrizione, redatta il  aprile , da parte del funzionario
dell’Ufficio di ponti e strade:
La città di Campobasso giace parte in faccia di un colle guardando quasi
il sud–est, e parte in un piano, ch’è a piedi di detto colle, la parte in faccia
al colle è il fabbricato antico di Campobasso, e l’altra ch’è nel piano, è
di recente costrutta. Questo piano sul quale giace il nuovo fabbricato di
Campobasso è di una estensione limitata essendo circondato da colline, valli,
esso però si dirama per due direzioni una verso Sud–ovest, e l’altra verso
oriente; la prima di quelle diramazioni segue l’andamento della strada di
Napoli; e si arresta al piede di alcune colline, l’altra segue l‘andamento della
strada di Termoli.
I tecnici della Restaurazione si impegnano a completare il rinnovamento della scena urbana, dal momento che i Borbone ne hanno confermato il ruolo di capoluogo, all’indomani del Congresso di Vienna.
Pertanto, se su Musenga cadrà il silenzio, perché suicida, l’imprimatur
che egli, insieme ai murattiani, ha forgiato rimane signum indelebile:
Campobasso è ora una «capitale» con un adeguato ruolo politico e un
razionale impianto urbanistico.
.. Il rinnovamento urbano nel Mezzogiorno e l’exemplum di Campobasso
Il cambiamento urbanistico di Campobasso non è un unicum, ma,
come si anticipava nelle pagine precedenti, un processo diffuso in
Europa, dove l’ampliamento delle città e le fondazioni di nuovi borghi
sono concomitanti al rinnovamento politico . Ne è emblema Napoc.
. Cfr. Doc. , pp. –.
. Per il rinnovamento urbano tra la seconda metà del Settecento e i primi decenni
dell’Ottocento sono di riferimento Bairoch, , che a scala globale mette in relazione lo
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

Figura .. Pianta topografica della città di Campobasso del , redatta e firmata
da Musenga (Doc. ).
sviluppo urbano con l’avvio dell’industralizzazione, Lees, Lees, , che trattano il tema a
scala europea e De Seta, , che ne illustra gli aspetti architettonici. Ancora Buccaro, ,
Rombai, , Talia, b. Per l’impostazione urbanistica propria dell’età napoleonica
rimane fondamentale il saggio di Morachiello e Teyssot, , come è magistrale il saggio

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. II pianta topografica della città di Campobasso del , redatta e
firmata da Bernardino Musenga: in questa rappresentazione vi è una numerazione
senza legenda che indica probabilmente i tracciati viari (Doc. ).
léonville , voluta da Napoleone, seguace della visione illuministica,
protesa a modellizzare e a gerarchizzare il territorio già nel corso del
Settecento (Verdier, ).
di Gambi, b, per la relazione tra sviluppo urbanistico, trend demografico e funzioni
urbane. Cfr. nota .
. Napoleone decide di costruirsi un centro amministrativo e politico nella Bretagna,
sul sito di un piccolo paese Pontivy nel dipartimento del Morlihan. Egli chiede che sia
pianificato lo spazio circostante, sistemata la rete stradale e siano costruiti l’ospedale, la
prigione e il palazzo dell’amministrazione. Cfr. Morachiello, Teyssot, .
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

Nel regno di Napoli si assiste, nel secondo Settecento, al passaggio dell’ampio progetto per la nuova capitale a Caserta [...] all’effettivo riscontro dei
nuovi principi urbanistici nelle iniziative di un Ferdinando ‘pre–reazionario’
per insediamenti a carattere agricolo, marinaro o industriale. Si pensi ai programmi per Ponza, Ventotene, Ustica, Miseno e, soprattutto, a San Leucio
[...]. In queste iniziative, come del resto nei piani per nuove città o ampliamenti di centri pugliesi e calabresi, va senz’altro l’adozione di funzionali
schemi di pianificazione (Buccaro, , pp. –).
Il clima riformistico e l’aumento della popolazione sono motivazioni più che valide per la costruzione di edifici funzionali, come
l’ospizio per i poveri a Napoli, e lo sventramento di aree antiche; ecco
l’esempio di Foggia dove «i nuovi borghi che si formarono, erano
costituiti dalle abitazioni degli artigiani, dei contadini, dei carrettieri,
dei terrazzani» (Melillo, , p. ). Tuttavia, per molti centri meridionali il processo di rinnovamento coincide con il , con la nuova
riorganizzazione geo–amministrativa.
Ciò che caratterizzò il Decennio napoleonico non solo nel Meridione, ma
in tutta la penisola, fu il carattere esplicitamente urbano degli interventi che rimodellarono, razionalizzandole, le città italiane. Si può pertanto
affermare che si sviluppò allora per la prima volta una politica urbana dell’amministrazione nella quale l’abbellissement della città era anche funzionale
all’acquisizione del consenso della popolazione (Corciulo, , pp. –).
Gli uomini di Napoleone sono nani sulle spalle di giganti: raccolgono un’eredità e danno un proprio imprimatur, grazie al quale
cambiano le regole. Campobasso condivide pari destino, per la sinergia tra riconoscimento amministrativo e rivisitazione urbanistica, con
altre città meridionali, sebbene con esiti differenziati.
A guardare i progetti urbanistici vi sono dei leitmotiv comuni: la
piazza, le strade e le nuove abitazioni, in quanto esigenze diffuse nel
Regno di Napoli. Le città «si sbarazzano delle mura e delle porte»,
«conoscono processi di espansione» e complessivamente «muta la
scena urbana» (Spagnoletti, b, pp. –).
. I Francesi diedero direttive comuni a proposito della viabilità, delle strutture abitative e funzionali, degli orti botanici; cfr. Morachiello, Teyssot, ; Lepetit, ; Pellelich,
; Sandri, . Verdier, , esamina in modo specifico il ruolo della viabilità. Cfr.
anche L. Rossi, .

Campobasso da castrum a città murattiana
Ad Avellino, neo–capoluogo del Principato Ultra, si avviano costruzioni di nuovi edifici, di tronchi viari, dell’orto botanico, sotto
l’eminente guida dell’ingegnere Luigi Oberty (De Cunzo, De Martini,
). Si dà spazio a particolari strutture pubbliche come il carcere,
il palazzo dell’Intendenza, il Collegio reale, il cimitero; qui, come a
Salerno, le funzioni burocratico–amministrative rafforzano processi di
rinnovamento sociale, già maturati nella seconda metà del Settecento
(Cirillo, ).
A Potenza, neo–capoluogo della provincia di Basilicata, «si rese
da subito [dal ] evidente nella città la necessità di un sollecito
adeguamento, con parallela rigerarchizzazione, del sistema degli spazi
pubblici» (Lerra, , p. ). Ma, pur essendo previsti un piano regolatore, la costruzione di un acquedotto e lo sventramento di alcune zone
urbane, i lavori procedono lentamente perché i notabili potentini non
consentono l’avvio di tali opere (Pedio, ). È la prova che non fosse sufficiente l’intervento politico, ma è necessaria la partecipazione
effettiva della classe dirigente locale .
Difatti, quest’ultima gioca un ruolo significativo nei cambiamenti
avvenuti nelle città abruzzesi e Brancaccio () esamina il caso di
Chieti, dove gradatamente i notabili locali si entusiasmarono per il
nuovo regime grazie al quale la città «vide in parte ampliata la sua
struttura urbanistica » (Ibidem, pp. –).
Insomma, i diversi casi mostrano come non bastasse l’imposizione
dall’alto, ma fosse necessaria tanto la sinergia tra i ceti sociali emergenti e i Francesi, quanto il consolidamento di attività economiche
come nei poli manifatturieri e commerciali di Salerno ed Amalfi (Cirillo, ). Eppure, i Napoleonidi, pure in Calabria dove si scontrano
duramente con i briganti, sono comunque portatori di una nuova mentalità e in alcuni casi rafforzano percorsi di rinnovamento in atto
(Cozzetto, Sicilia, ).
. Tutto particolare è il caso di Benevento, poiché Napoleone stabilisce che l’exclave
pontificia diventi un principato dipendente direttamente dall’Impero, cosa che produrrà
tensioni e resistenze, ma anche qui si registrano spinte innovative; cfr. Noto, .
. Come chiarisce Brancaccio, , la classe politica chietina sostiene la causa del
nuovo regime dopo la conferma a capoluogo e dopo aver ottenuto una serie di privilegi.
. Come fanno notare Cozzetto e Sicilia, , a Cosenza prassi e consuetudini già
esistenti nell’organizzazione sociale sono poi avvalorate durante il Decennio.
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

La classe dirigente molisana, guidata da Cuoco, come si è chiarito
nei paragrafi precedenti, stabilisce un afflato particolare con il governo
murattiano e pone in essere cambiamenti che si estendono anche a
Isernia e a Termoli. Nella prima, che subisce gli ingenti danni inferti
dal terremoto del , pur essendo sollevato il problema strutturale
della viabilità (Sarno, c), si fanno però singoli interventi , tra i
quali il recupero della cattedrale di Isernia , affidato a Bernandino
Musenga. L’attenzione per Termoli si traduce, come si è anticipato nel
quarto capitolo, nell’elaborazione di progetti per l’ ampliamento della
cittadina e per la costruzione del porto. Se gli esiti non sono pari a quelli di Campobasso, testimoniano come il vento della modernizzazione
soffiasse sul Molise.
In realtà, il capoluogo molisano condivide con un’altra città l’onore
del borgo murattiano, Bari, dove, con pari iter progettuale ed amministrativo, grazie sempre a Murat, si avvia nel  la costruzione di
un nuovo borgo, che è corrispondente al primato di questa città .
Anche qui «la pianta del nuovo borgo fu approvata dal Decurionato
il  settembre , il  aprile  da Murat che il giorno successivo
pose la prima pietra» (Spagnoletti, b, p. ). Dal punto di vista
progettuale «l’edificazione del Borgo era regolata secondo una progressione spaziale e temporale a partire dalla prima isola della prima
linea all’intersezione dei due assi principali, il Corso e la via del mare»
(Petrignani–Porsia, , p. ). Come mostrano le figg. .–., le
modalità di impostazione sono pari a quelle di Musenga: la costru. Ecco come uno studioso locale Fortini, nel , scrive: «Isernia è caduta in una
maniera curiosa. Per quella parte, che guarda il Mezzogiorno, e si dirige a Bojano quantunque sia la più alta, è interamente inabissata, per la parte poi che guarda il Settentrione,
ancorché è più bassa, conserva ancora qualche cosa in piedi». Oltre alle civili abitazioni
subirono ingenti danneggiamenti chiese, tra cui la cattedrale di San Pietro, monasteri e
piazze nobiliari. Il passo è citato da Turco, , p. .
. Fu proposta la risistemazione della piazza con lo spostamento della fontana, posta
nel Seicento unita all’atrio della cattedrale, per facilitare il passaggio delle carrozze. La
definizione della piazza avvenne nel .
. Con questo intervento anche la scena urbana risultò notevolmente modificata: «Il
portico neoclassico di quattro colonne ioniche alte circa otto metri racchiuso da ante e
coronato da un frontone, costruito a ridosso della chiesa, venne a sostituire il preesistente
portico a sei archi con annessa fontana [...] e conferì a piazza Marcato una nuova fisionomia»
(Zullo, b, p. ).
. Come commenta Spagnoletti, , nel Decennio Bari e Foggia vedono riconosciute
il loro ruolo di polo economico prevalendo su Trani e Lucera.

Campobasso da castrum a città murattiana
zione di un borgo di forma squadrata e razionale, predisposto in più
moduli o isole, per esigenze soprattutto residenziali .
Ma anche a Bari non accade per caso, poiché il rinnovamento
dello spazio urbano è un riconoscimento alle sue capacità di prevalere
economicamente su altre agrotown, come Barletta o Trani (Corciulo,
; Spagnoletti, b). Infatti, gli elementi che giocano a favore di
Bari, designata anch’essa capoluogo provinciale, sono «la collocazione
geografica» e «la vivacità economica dimostrata per tutta l’età moderna
dalla città, a cui faceva da corollario la disposizione progressista del
ceto dirigente barese» (Poli, , p. ).
Insomma, senza uniformità e pur con contraddizioni, i Napoleonidi, facendo leva su processi socio–economici positivi, realizzano
o avviano la modernizzazione , rideterminando la gestione amministrativa delle province meridionali e la pianificazione dello spazio
urbano.
Ha dunque ragione Davis (), quando asserisce che il Mezzogiorno dovesse essere la vetrina mediterranea di Napoleone; ma
bisogna aver il coraggio di ammettere che non fu solo apparenza e
che il Decennio produsse se non modernizzazione, almeno un nuovo modo di pensare e progettare lo spazio urbano. Anche laddove i
progetti non sono realizzati, diventano lievito per gli anni futuri.
.. La città murattiana tra Otto e Novecento
La prosecuzione del progetto Musenga non trova alcun ostacolo neppure con la Restaurazione e con il ritorno dei Borbone, poiché l’impianto è definito, ma diversi arredi urbani devono essere completati .
La città complessivamente fruisce di un iniziale slancio positivo, sostenuto dalle specializzazioni artigianali e dalla centralità commerciale
nel Molise.
. Il fatto che per Bari si avvicendassero più progettisti, ha avuto un peso che, invece,
la presenza stabile di Musenga ha limitato.
. Sull’accezione del termine e sulla sua applicazione cfr. Noto, .
. La classe dirigente valuta tra le diverse ipotesi persino quella di Warrescant a proposito della costruzione di un palazzo pubblico per l’amministrazione civica. La discussione
riguarda la costruzione del palazzo dell’Intendenza il cui progetto sarà affidato nel 
all’architetto Oscar Capocci, progettista anche della Stazione Zoologica di Napoli.
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

Figura .. Stralcio della pianta del borgo murattiano di Bari, firmato da Prade,
 (fonte: Petrignani–Porsia, ).
Una relazione degli anni Trenta redatta dall’Intendente ci descrive una
città e una provincia che sono riuscite a rilanciare alcuni settori produttivi
tradizionali, [...]. Per quanto riguardava in particolare il Capoluogo, degni

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Progetto del borgo murattiano di Bari. Evidenti i diversi moduli
residenziali, simili a quelli di Campobasso (fonte: Petrignani–Porsia, , p. ).
di nota erano i miglioramenti verificatisi nel settore metallurgico, in quello
tessile e nella produzione di mobili di qualità (Zilli, , p. ).
Se la chiusura della Dogana di Foggia nel  rallenta il traffico dei
transumanti, la città punta, sempre nei primi decenni dell’Ottocento,
sulle specializzazioni artigianali — falegnameria ed ebanistica — e
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

sul commercio cerealicolo. Peraltro, il grano alimenta le botteghe
di trasformazione della pasta. La sua stessa funzione amministrativa
consente qui la concentrazione di enti e di strutture economiche ,
anche per un aumento seppure discontinuo della popolazione.
Il tracciato ottocentesco dei campobassani appare infatti altalenante,
con picchi positivi nel primo decennio, nell’arco temporale tra il terzo
e il quarto, poi ancora, in linea con la tendenza nazionale, tra il 
e il , a ridosso dell’Unità. Le flessioni, invece, coincidono con
gli anni successivi alla Restaurazione e, dopo il , con gli effetti
della ‘piemontesizzazione’. La media degli indici di natalità e mortalità,
nell’ arco temporale tra il  e il , è rispettivamente del ‰ e
del ‰, secondo un sistema primitivo segnato da un’alta natalità e
da un’alta mortalità, anche infantile (fig. .), con alcune differenze
rispetto all’andamento nazionale che registra, ad esempio, un indice
della mortalità al ‰ negli ultimi decenni dell’Ottocento (Sarno,
d).
L’aumento della popolazione, quindi, avviene quando il contesto territoriale, l’organizzazione socio–politica e le condizioni socio–
sanitarie sono favorevoli, anche in relazione a quello dell’intera provincia che registra una crescita del %, tra il  (. unità) e il
 (. unità).
I pilastri economici di Campobasso e del Molise continuano ad
essere pressoché gli stessi del secolo precedente; in continuità si colloca l’obiettivo di portare a compimento il rinnovamento della città.
La documentazione relativa alle azioni urbanistiche, pur copiosa ,
presenta però una precisa discontinuità: chiarisce aspetti tecnici ed
economici ma è priva di riferimenti politici o ideologici. Vengono ora
realizzate importanti opere pubbliche con l’intento di abbellire la città
nel corso dell’Ottocento.
. A Campobasso fu fondata la Società di Agricoltura nel , poi divenuta Società
dell’Economia; essa fu il luogo deputato per l’analisi della situazione agricola del Molise
e da qui si cercò di orientare il rinnovamento economico. Cfr. Zilli, ; Zilli, . Per
il quadro economico del Molise in quel periodo si veda anche Massullo, ; Massullo,
.
. Il calcolo della media della natalità e mortalità è stato effettuato tenendo conto del
numero dei nati e dei morti tra il  e il . Per quanto riguarda i riferimenti al contesto
italiano sono tratti da Bellettini, , p. .
. Cfr. Bibliografia, sezione documenti.

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. L’andamento costante con picchi di frequenza della natalità e mortalità
a Campobasso nell’arco dell’Ottocento (nostra elaborazione dai dati raccolti dal
Fondo di Intendenza di Molise per l’arco temporale – e dall’ISTAT per
l’arco temporale –).
I lavori sono seguiti prima dall’ingegnere Lopez Suarez, poi dall’architetto Antonio Pace, benché il vero erede di Musenga sia considerato
l’architetto Antonio Bellini. Quest’ultimo porta a termine i lavori di
ricostruzione della chiesa della SS. Trinità, poi cattedrale (fig. .).
Bellini si impegna a rispettare la visione di Musenga ed «è innegabile
che essa rappresenti il tentativo [...] di emancipare una città e una
provincia intera dalla prassi costruttiva tradizionale in favore di un’architettura aggiornata nelle forme e nelle tecniche» (Zullo, a, p.
).
Da parte sua, Lopez Suarez, uno dei più autorevoli ingegneri formatisi presso la Scuola di Applicazione del corpo di Ponti e Strade
(Parisi, ), si preoccupa della viabilità. È documentata la costruzione del tratto di strada da Santa Maria della Libera all’incontro della
consolare nel Mercato del  (fig. .). Il tratto rappresenta la
perpendicolare alla strada consolare per Napoli.
Oltre al problema viario, sono messe in campo le progettazioni riguardanti strutture eccellenti come l’Ospedale Sannitico, il municipio,
. I lavori della chiesa furono portati avanti a tratti, la gran parte nel secondo decennio
dell’Ottocento, e poi furono completati prima dell’Unità d’Italia. «La chiesa fu aperta al
culto nel » (Zullo, , p. ). Cfr. nota .
. Cfr. doc. .
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

Figura .. Chiesa della Trinità, oggi Cattedrale in piazza Pepe.
Figura .. Pianta del tratto di strada progettato per l’ampliamento del borgo
nuovo durante la direzione dei lavori di Lopez Suarez, (Doc. ).
il carcere e il Regio Collegio.
«Nel  venne affidata al Corpo degli Ingegneri di Acque e Strade la realizzazione del progetto dell’Ospedale» (Pece, , p. ),
che tuttavia è portato a termine solo nel . Altrettanto laboriosa
è l’edificazione del palazzo per l’amministrazione comunale, che attraversa la prima metà dell’ Ottocento, difatti un primo tentativo è
del  (Manfredi Selvaggi, ). Poi «nel  il Consiglio Generale
della Provincia ebbe a commetterne il progetto all’architetto Oscar
Capocci» (Masciotta, , II. Vol., p. ).

Campobasso da castrum a città murattiana
Egli delinea un palazzo dalle linee nobili che gareggi idealmente con la cattedrale di stile neoclassico , adeguando il progetto ,
redatto nel  (fig. .), alla «capitale della Provincia di Molise».
La progettazione e la costruzione del Collegio rappresentano l’ultimo baluardo del Decennio francese da realizzare . Il carcere, a
sua volta, già dal , è ritenuto un obiettivo principale dall’amministrazione campobassana che intende seguire l’esempio realizzato
a Palermo e ad Avellino. Benché i lavori siano portati a termine nel
 (Pece, ), si individua con cura il sito — l’area posteriore al
Collegio Sannitico — perché si formi un confine fisico tra il borgo
murattiano e la campagna .
A ridosso dell’Unità un rinnovato slancio attraversa la città che
trova un preciso riconoscimento nella tratta ferroviaria Campobasso–
Termoli (fig. .). Peraltro, la stazione ferroviaria è disposta sul prolungamento orientale del nuovo borgo, mentre lungo le principali
arterie risultano costruite  case (Parisi, ). La città si è così sviluppata secondo linee parallele al borgo murattiano, con l’apertura di
nuove strade e bracci. Si aggiungono pure altri due pezzi importanti al
mosaico cittadino: la Biblioteca Albino e il Museo Sannitico (fig. .).
Ecco come è descritta nel  con il rinnovamento dell’illuminazione:
Un sontuoso palazzo di Prefettura, uno splendido palazzo municipale, un
vasto liceo, due nuove caserme militari, un benefico asilo infantile, ospedale
e bagni pubblici, scuole pubbliche, due circoli ricreativi, un circolo operaio
ed in più una sede della Banca nazionale ed una del Banco di Napoli ed una
Banca popolare (De Attellis,, p. ).
Dal punto di vista cartografico è l’architetto Pace a consegnarci lo
sviluppo della città tramite la pianta del , idealmente corrispon. Sul ruolo di Capocci a Campobasso e dei conflitti con gli architetti locali si veda
Parisi, .
. Cfr. Doc. .
. Il Collegio Reale di Educazione, che rientrava nell’impostazione politica di stampo
francese, per R. Decreto del  maggio , dovette attendere il ° giugno  per il
collocamento della prima pietra (Masciotta, , vol. II).
. Tuttavia, la costruzione dei diversi palazzi e l’ampliamento della pianta di fabbricazione della città sembrano non essere più sufficienti e nel  è istituito il Consiglio
Edilizio per avviare «una più organica fase dello sviluppo» (Parisi, , p. ). Il Consiglio
Edilizio è uno degli organismi di cui Campobasso si giova come capoluogo, come le già
citate Società dell’Agricoltura e Società Economica.
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

Figura .. Elevazione e spaccato del palazzo municipale progettato per la «capitale
della Provincia di Molise»  (Doc. ).
Figura .. Una cartolina dei primi del Novecento raffigurante la ferrovia di
Campobasso (Trombetta, ).
dente a quella del Musenga (fig..). Pace conserva l’impostazione

Campobasso da castrum a città murattiana
a zampa d’oca , mantenendo la centralità dell’altura ma documentando riccamente gli sviluppi avvenuti, come testimonia l’articolata legenda. L’impianto urbanistico di Campobasso è così definito e
rinnovato.
Campobasso vi appare ancora fortemente caratterizzata dalla stretta maglia
edilizia del centro antico, mentre sembrano in atto l’espansione del borgo
voluto dal Murat, lo sviluppo edilizio lungo la direttrice per Termoli, quello
del ‘borgo della Chiaia’ verso la ‘fontana vecchia’ e quello della contrada
“dei giardini” in prossimità della Chiesa di San Paolo (Pece, , p. ).
Figura .. Una cartolina dei primi del Novecento raffigurante piazza Pepe,
centro ottocentesco di Campobasso (Trombetta, ).
La carta demanda l’unità tra i poli e quella urbanizzazione improvvisata dell’età moderna ha trovato ora una logica e chiara realizzazione. Ancora una volta, alla pari di Musenga, nessun tratto è
tralasciato, ma ogni pagina della storia urbana è integrata con le espansioni ottocentesche. Persino le aree rurali rimandano all’identità di
terra urbana.
In una certa misura, Campobasso giunge all’appuntamento con
l’Unità come degno capoluogo, ma da quel momento incontrerà
. Cfr. Zullo, a.
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

difficoltà sia nel porsi come guida effettiva dell’area territoriale di
appartenenza, sia nell’inserirsi in nuove relazioni nazionali e internazionali . Accade qui come in altre piccole e medie città europee
che lo sviluppo fondato sulle attività mercantili non sia in grado di
rimodularsi e integrarsi ai processi industriali (Bateman, ). Non
diversamente da tante “micropoli” meridionali Campobasso quindi
finisce per ripiegarsi sull’essere una “buropoli” (Talia, ).
L’identità urbana faticosamente conquistata sembra essere messa
in crisi unitamente ai pilastri dell’economia molisana: cerealicoltura
e allevamento (Simoncelli, ; Citarella, ). Inoltre, tra la fine
dell’Ottocento e gli inizi del Novecento gli stessi prodotti artigianali
non sono esportabili per la mancanza di una adeguata rete di comunicazione (Varriano, ), mentre la complessiva crisi agraria diventa
evidente per l’assenza di investimenti (Zilli, ). Se questi fattori
apriranno la strada a consistenti flussi migratori , Campobasso mantiene «un ruolo di un qualche respiro per il suo permanere capoluogo
di provincia, ma rinunciando a molte delle sue precedenti ambizioni»
(Ibid., p. ). Per di più, «è penalizzata dall’isolamento infrastrutturale
che contraddistinse il Molise nei primi decenni post–unitari» (Parisi,
, p. ).
Il passaggio politico dell’Unità implica la transcalarità richiedendo
l’inserimento di pilastri produttivi ‘artigianali’ nel mercato nazionale
e internazionale, a cominciare dal grano che invece è il primo a crollare . Nel complesso, l’industria molisana risulta piuttosto debole e
il ceto borghese non appare interessato ad investirvi . Talia (a),
. Il problema della difficoltà del Molise ad inserirsi nell’economia nazionale e a
rapportarsi con la concorrenza internazionale è stato trattato da Simocelli,; Citarella,
; Prezioso, ; Zilli, ; Sarno, f.
. Cfr. Sarno, f, terza parte nella quale è proposta la sintesi dei dati dell’emigrazione
molisana dal , con l’analisi complessiva del fenomeno e della relativa letteratura.
. Cfr. Sarno, f, p. : «La competizione creatasi, all’indomani dell’Unità italiana,
tra la produzione granaria italiana e quelle estere, aumenta il disagio del Molise, dove il
grano era la principale risorsa cui venivano destinate tutte le superfici territoriali possibili
in rapporto ai pochi spazi pianeggianti. I limitati raccolti consentivano la sopravvivenza,
ma la competizione con il grano, importato da paesi europei e persino dall’America, e le
variazioni climatiche, soprattutto nel rigido inverno del , mettono in enorme difficoltà
i contadini che cominciano i viaggi della speranza».
. Massullo, , riferisce di un’indagine sulla consistenza della produzione di laterizi,
della tessitura, della lavorazione dei metalli che dal  conoscono una lenta ma progressiva
diminuzione.

Campobasso da castrum a città murattiana
Figura .. Campobasso: pianta della città di Antonio Pace, . Documenta la
realizzazione del progetto Musenga (fonte: Trombetta, ).
a proposito degli ultimi decenni dell’Ottocento, così annota: «Isolati
e privi di rete urbana appaiono il Molise e l’Abruzzo interno. Solo
Campobasso e Agnone in Molise, L’Aquila e Sulmona in Abruzzo
superano i . abitanti» (Talia, a, p. ).
Peraltro, le criticità ora sintetizzate si ripetono nel secondo dopoguerra. L’osso Molise è realmente il fanalino di coda tra le altre regioni
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

meridionali , dove complessivamente non si realizza lo sviluppo di
una rete urbana articolata, secondo il “modello” immaginato da Compagna , «soprattutto perché è venuto meno l’ineludibile presupposto
dell’ industrializzazione » (Amato, b, pp. –).
Da parte sua, la città molisana si avvantaggia di essere prima capoluogo provinciale poi regionale dal  (Mazzetti, ), attraendo
residenti a discapito dell’area molisana, nella quale Isernia e Termoli
provano ad aprirsi a relazioni interregionali .
Insomma, Campobasso non riesce ad imporsi come la locomotrice di un contesto regionale, nel quale il rischio dell’ impoverimento
demografico è correlato alla fragilità socio–economica, dove l’industrializzazione punta su pochi nuclei oggi a rischio, il turismo ha una
diffusione piuttosto circoscritta e il settore più importante, l’ agro–
zootecnico, presenta risultati non certo evidenti (fig. .). La stessa
industrializzazione sostenuta dalla Cassa del Mezzogiorno e la limitata diffusione del terziario avanzato non sono di supporto ad una
. Per il tema della marginalità del Mezzogiorno e del Molise negli studi degli anni
Ottanta e Novanta cfr. Cencini, Dematteis, Menegatti, ; Leone. . Per la valorizzazione delle aree marginali si rimanda a Becchi Collidà, Ciciotti, Mela, , e al volume,
Geotema , curato da Coppola e Sommella, del . Il tema è stato poi dibattuto in un
convegno nazionale AIIG svoltosi a Campobasso nel  e nei relativi atti: cfr. Santoro,
Cirino, . Per una riflessione recente sulla marginalità urbana cfr. D’Aponte, , e
Sarno, b.
. Si fa riferimento al modello di Compagna, , che «vedeva nello sviluppo di una
rete urbana articolata in città–metropoli, città medio piccole e “città equilibrio”, [...], una
condizione fondamentale per lo sviluppo economico e per l’avvio d’un processo di generale
promozione culturale e sociale delle regioni meridionali» (Amato, b, p. ).
. Il problema è stato posto già negli anni Settanta–Ottanta da Mazzetti (, p. ):
«Il Mezzogiorno fortemente urbanizzato, ma a basso grado di industrializzazione [...]
finisce per essere prevalentemente un mercato sussidiato per lo sbocco delle produzioni
del Centro–Nord o straniere».
. Per la questione demografica molisana e il ruolo attrattore dei tre centri principali
(Campobasso, Termoli, Isernia) si veda Sarno, c. Si tenga comunque conto che di circa
. residenti in Molise nel  e distribuiti in  comuni . circa risiedono a
Campobasso.
. Gli esodi tra gli anni Cinquanta e Settanta, «modificano l’antica rete su cui si reggeva
la struttura insediativa» del Molise come dell’Abruzzo per cui «Isernia e Termoli tendono
a configurarsi come sub–poli urbani di riequilibrio della neonata regione, sia nei confronti
dello spazio regionale, che verso l’area metropolitana di Napoli, che di quella pescarese»
(Talia, a, p. ).
. Per le attuali problematiche economiche molisane cfr. Forleo, ; Massullo,
; D. Marino, ; Sarno, f. In Sarno, d, l’ultimo capitolo propone un’analisi
sistematica della situazione socio–economica dei comuni molisani.

Campobasso da castrum a città murattiana
maggiore qualificazione territoriale (Fuschi et al., ; Landini et al.,
).
È pur vero che, operando il confronto tra negli anni Ottanta e la prima decade del Duemila, Viganoni (b) constata una più articolata
funzionalità degli spazi urbani molisani, come Talia (a) ritiene che
sia stato superato lo storico sottodimensionamento nella dotazione
dei servizi. Tuttavia se vi sono elementi positivi, Campobasso, al pari
di altri sistemi urbani meridionali, soffre di un insufficiente livello di
internazionalizzazione, di scarsa attenzione per la pianificazione, di
scelte politiche inefficaci .
Figura .. Campobasso nella carta topografica d’Italia scala : , serie v, F.
 IV,  (fonte: L’Universo, ).
Nel complesso, i poli molisani, deboli rispetto all’evoluzione che
pure coinvolge altre realtà urbane del Mezzogiorno (Sommella,
b), richiedono una programmazione ad hoc che ne rafforzi il
ruolo di coordinamento, sostenuto da interventi mirati, da progetti
. Cfr. Società Geografica Italiana, L’Italia delle città tra malessere e trasfigurazione,
Rapporto Annuale , pp. –, dove si esaminano le problematiche attuali delle città
meridionali. Per i fattori politici cfr. Brown, Kristiansen, ; Talia, b.
. Si veda, in relazione al parallelismo individuato nel periodo murattiano tra Campobasso e Bari, come quest’ultima abbia conosciuto uno sviluppo ben diverso da quello della
città molisana con proiezioni ora ben sostenute. Cfr. Pollice et al., .
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

innovativi, dal potenziamento delle reti telematiche e dei trasporti
(Sarno, b).
La struttura urbanistica di Campobasso riflette la storia demografica e politica del Molise; sebbene siano state realizzate delle eccellenze
architettoniche , l’espansione residenziale della città è infatti avvenuta a macchia d’olio, senza una programmazione razionale (fig. .).
È stata perciò «alle prese, da più di un secolo, con i temi e i problemi
della modernizzazione, della crescita e della trasformazione delle sue
infrastrutture e della sua morfologia urbana» (Muratore, , p. ).
L’ultimo effettivo piano regolatore è del secondo dopoguerra ,
dopodiché numerose varianti parziali hanno solo giustificato le emergenze (fig. .).
Al contrario, Campobasso meritava e merita un ripensamento,
come il piano proposto di Beguinot e rigettato nel , per essere
una città a misura d’uomo, aperta alle innovazioni, con lo sguardo
puntato al futuro per quanto riguarda il potenziamento delle strutture
formative, sanitarie e tecnologiche .
Beguinot aveva disegnato la città «secondo criteri di ottimizzazione
delle risorse disponibili, di recupero del patrimonio esistente e di
salvaguardia dei valori della cultura urbana» (Beguinot, , p. ).
. Campobasso è stata abbellita da alcune eccellenze architettoniche come il Palazzo
Di Penta in piazza della Vittoria negli anni Trenta del secolo scorso ad opera di Davide
Pacanowski, architetto noto a livello internazionale; poi vi è stata costruita la casa della
GIL da Domenico Filippone nello stesso periodo. Successivamente sono stati edificati altri
palazzi importanti, come la sede dell’INAIL e dell’INA, grazie sempre all’opera di valenti
architetti. Cfr. Muratore, .
. Già nel  è posto il problema di un nuovo piano regolatore, realizzato dopo
il secondo dopoguerra da Luigi Piccinato, che tuttavia non si allontana dalla lezione di
Musenga e consolida l’esistente (Sarno, a). Per i piani regolatori in quegli anni cfr.
anche Muratore, .
. Nel  Corrado Beguinot riceve l’incarico di redigere il progetto della variante
generale al piano regolatore, che avrà una lunga gestazione fino al , quando è adottato
dal Consiglio Comunale e trasmesso alla regione per la definitiva approvazione. In tale
sede dopo una serie di querelle il piano è rigettato nel ; cfr. Sarno, a.
. Le caratteristiche ambientali e i relativi vincoli sono un fattore di primaria importanza per la salvaguardia di questo centro e della sua vitalità, come il rispetto per la sua
collocazione rurale da valorizzare e non penalizzare.

Campobasso da castrum a città murattiana
La città è quindi ferma in un’inerzia urbanistica che è metafora di
una complessiva debolezza strutturale , aspirando ad una facies urbana adeguata alla realtà odierna e al ruolo di locomotrice del Molise ,
con la consapevolezza però che le attuali relazioni centro/periferia
non siano più univoche, come nel passato, ma pluridirezionali (Healey,
).
Figura .. Campobasso nella carta topografica d’Italia, scala :  Serie ,
I.G.M., . È evidente un’espansione guidata dalle emergenze (fonte: L’Universo,
).
. Eppure, benché debbano essere considerati prioritari gli strumenti di pianificazione,
in Molise «gli interventi di governance territoriale — pur non inesistenti — mancano di
ogni contesto normativo e pianificatorio» (Landini et al., , p. ), e il rigetto del piano
Beguinot ne è l’esemplificazione più pertinente. Sono importanti anche le proposte per il
recupero del centro storico con l’indicazione di considerare il Monte Bello fulcro centrale
della città; cfr. Boffa, ; Benevento, .
. Si veda l’analisi condotta da Fuschi et al., , p. : «Le città capoluogo [del Molise]
assolvono la funzione di località di servizio per aree arretrate e sostanzialmente rurali [. . . ].
Si tratta di realtà urbane incapaci di stimolare lo sviluppo regionale e di costituire aree di
gravitazione dotate di una certa autonomia».
. Si fa riferimento all’ inscindibilità, indicata da Gambi «nella storia italiana fra una
città coordinatrice e locomotrice e la regione che giustifica le sue funzioni» (Gambi, b,
p. ).
. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico

La sua fragilità conferma che la questione urbana meridionale è
attuale e urgente, dal momento «le città sono il vero motore della crescita economica» (Amato, b, p. ). Quegli stessi elementi
di modernizzazione attiva che pure Talia () le riconosce, non
si strutturano in modo sistematico proprio per l’inefficacia dell’azione politica a cui si faceva cenno prima. Essi, in realtà, possono
produrre cambiamenti se si radicano stabilmente nelle istituzioni e si
diffondono socialmente (Vicari Haddock, Moulaert, ).
Come si vede, torna un termine chiave — modernizzazione —
che ha giocato un ruolo non indifferente nel Decennio francese e
intorno al quale si sono realizzati processi innovativi per Campobasso
e il Mezzogiorno, grazie però a forze sociali emergenti che, agendo
in sinergia con condizioni storiche e fattori culturali, hanno ritenuto
necessario vivere in uno spazio urbano giuridicamente definito e
adeguato alle sue funzioni.
Campobasso è stata terreno privilegiato di esercizio politico e di
esemplare trasformazione urbanistica, mostrando emblematicamente
che solo forze socio–economiche significative possono effettivamente
agire e trasformare lo spazio urbano. I risultati raggiunti in virtù di
un lungo periodo preparatorio — il Settecento — sono stati messi
in discussione e scomposti dal tempo, qui come nelle altre regioni
meridionali. Eppure, essi non sono annullati, rappresentando l’essenza identitaria ineludibile  , se si voglia mettere in atto un effettivo
percorso di pianificazione economica e urbanistica .
Pertanto, per affrontare la questione urbana meridionale si devono
fare i conti con la passato, che non può essere stigmatizzato solo
come retaggio. Sembra invece necessario comprendere la specificità
delle città meridionali, le discontinuità che sono parte integrante
del loro spazio urbano e della loro storia, le sinergie, laddove siano
prevalse, perché nessuna pianificazione parte dal nulla e nessuna città,
qualunque essa sia, può essere considerata tabula rasa.
. Cfr. Talia, , che analizzando l’identità meridionale indica di tener in
considerazione dei diversi luoghi la loro identità fatta di permanenze e cambiamenti.
. Per l’analisi dei modelli di sviluppo delle città contemporanea si rimanda a Amato,
b; sul ruolo della cultura per la competitività urbana cfr. Pollice, . Per gli aspetti
urbanistici cfr. Beguinot, . Per le problematiche del Mezzogiorno urbano si veda pure
l’ultimo paragrafo del terzo capitolo e relative note.

. Il rinnovamento politico e l’ampliamento urbanistico
Figura .. L’ attuale espansione residenziale di Campobasso a macchia d’olio
intorno al Monte Bello (fonte: bacheca termolese.it).
Conclusioni: radici e ali di una città
Ulrich Beck () sostiene che le città devono avere radici ma anche
ali. Le radici di Campobasso appaiono ben salde, ma dovevano essere
messe a nudo.
La sua fondazione, pur simile a tante altre coeve, apre la strada alla
progressiva valorizzazione del Molise centrale e ad un cambiamento toponimico — da Sannio a Molise — che rappresenta una vera e
propria svolta. Il processo fortificatorio medievale, avvenuto nell’Italia
centro–meridionale, disegna qui una geografia insediativa parzialmente diversa da quella antica e segna per certi versi una discontinuità che
favorisce il castrum Campibassi.
Lo sviluppo e l’ affermazione della città molisana avvengono lentamente ma progressivamente, grazie alla sua posizione geografica —
tappa intermedia per il Tavoliere — e ai suoi attori che affinano nel
tempo capacità artigianali e commerciali.
Essa si impone come centro di rilievo nel Contado, rappresentando
così una terra urbana, un feudo con funzioni e identità urbane. La sua
piazza mercantile e fieristica può reggere il confronto con le altre città e
divenire il trampolino di lancio per i mezzani, per quel ceto benestante
che si viene affermando nel corso del Settecento. I mezzani, con il loro attivismo, si impegnano a riscattare la città preparandone la futura evoluzione
politica e urbanistica nel Decennio francese, quando la preminenza sul
Contado, poi Intendenza di Molise, è definitivamente compiuta. Essi, ora
riformisti con l’aiuto dei Napoleonidi, ridisegnano la geografia di questa
provincia e designano Campobasso capoluogo, consapevoli che un nucleo
fondamentale esistesse benché dagli incerti e labili confini: il cuore della
Contea/Contado, che aveva come centro appunto Campobasso.
L’evoluzione urbana di quest’ultima quindi deve essere considerata
la bussola della complessa quaestio dell’identità territoriale molisana,
tanto nell’età moderna, cioè nella fase di costruzione, quanto nell’età
contemporanea, volta al ripensamento e alla riprogrammazione degli
spazi regionali.


Conclusioni
Le stesse ambizioni dei mezzani e gli ideali dei riformisti hanno
rappresentato la chiave di lettura di processi socio–economici funzionali non solo alla ricostruzione dell’identità territoriale molisana, ma
anche alla comprensione del Mezzogiorno urbano.
Campobasso, come si è mostrato, è un exemplum di quanto accadesse in una cittadina meridionale, dove apparentemente la pressione
feudale e il sistema baronale sembrano aver soffocato la crescita socio–
economica, invece, come le fonti hanno chiarito, questa terra, come
altre, ha scalfito i condizionamenti del feudalesimo moderno (Musi,
) e ha consolidato, sia pure attraversando periodi di crisi, il suo
ruolo di nodo di traffici commerciali, sfruttando la posizione geografica, sua e del Contado, incassata tra le altre province. Nella gerarchia
urbana, che si è venuta formando grazie alla transumanza, la capitale
è Foggia, ma Campobasso ha acquisito un ruolo funzionale per il
vantaggio di essere ubicata alla confluenza dei regi tratturi.
Si obietterà che, nell’età moderna, al più vi fossero delle quasi città (Chittolini, ), ma non possiamo che concordare con Galasso
(b) quando asserisce che il Mezzogiorno ha avuto città corrispondenti alla sua storia, spazi urbani nei quali si realizzava un continuo
compromesso tra la gestione accentratrice e tensioni imprenditoriali.
D’altronde, proprio i compromessi e le contraddizioni rendono complessa la ricostruzione di siffatti percorsi, per lo più discontinui, nell’età
moderna. Infatti, come suggerisce la più recente letteratura, è necessaria un’ampia casistica per comprendere il fenomeno urbano nelle
sue articolazioni anche minori, per le quali sembrano determinanti
non il carico demografico ma la qualità dei processi socio–economici.
La stessa “secondarietà” demografica molisana infatti non condiziona
lo sviluppo di Campobasso garantito, nel Settecento, da un manipolo
di mezzani.
In quest’ottica, il tassello imprescindibile è costituito dalla ricerca d’archivio. Infatti, i documenti hanno chiarito come questa terra
nutrisse suggestioni di stampo borghese, che diventano evidenti nel
XVIII secolo, allorquando i campobassani decidono di riscattarla.
Peraltro, se diversi centri da Ariano ad Amalfi, da Isernia a Salerno
si impegnano nello stesso periodo a sottrarsi alla pressione baronale, Campobasso si distingue perché l’intera operazione giuridico–
economica non è condotta a termine dal patriziato, ma da benestanti
che, investendo nella cerealicoltura e nell’allevamento, sono pronti a
Conclusioni

recepire le novità politiche dei Napoleonidi. Infatti, il Decennio francese porta a compimento i processi urbani del Mezzogiorno moderno
e rappresenta un’opportunità per tante città da Avellino a Potenza,
da Bari a Chieti. Perciò, si è dedicata attenzione a questo breve ma
intenso periodo, alla diffusione del Napoleonic know–how e all’importanza data alla pianificazione territoriale, grazie alla quale è rinnovata
la «capitale» della Provincia di Molise.
Musenga, con il suo progetto dei primi dell’Ottocento, consegna ai
concittadini una città moderna e simmetrica, decorata dai giardini ed
aperta alle sollecitazioni provenienti dall’esterno. Così le radici, per
lungo tempo nutrite, alimentano un organismo definito.
Peraltro, le vicende successive della città sembrano rafforzare la tesi
che lo spazio urbano si trasformi in modo coerente e compiuto quando forze sociali vitali diventano protagoniste. Infatti, allorché fattori
economici e tecnologici della seconda metà dell’Ottocento cristallizzano le funzioni di Campobasso e si realizza, con la “piemontesizzazione”, la messa in crisi della fragile economia complessiva del Molise,
tale condizione si riflette nella mancanza di una programmazione
razionale dello sviluppo urbanistico.
Nel corso del XX secolo l’espansione della città è stata determinata
dalle emergenze, soprattutto residenziali, senza ripensarne la struttura,
ma sfruttando gli ampliamenti ipotizzati da Musenga. Quest’ultimo
risulta per ora ancora insuperato, dal momento che, dopo circa due
secoli, si attende l’approvazione del piano regolatore; ma si attende
contemporaneamente un rinnovato impegno della società civile, per
cui in Molise ancora una volta, come in altre aree del Mezzogiorno, la
“questione urbana” costituisce “l’ordinaria emergenza” (Talia, ).
Insomma, se le radici sono ben salde, le ali invece devono essere
ancora delineate.
Nel , Corrado Beguinot, invitato a redigere il progetto della
variante generale al piano regolatore, ha cercato di raccogliere le
istanze del capoluogo molisano, ma il suo piano, frutto di una lunga
gestazione, è stato definitivamente respinto nel , pur essendo
valido nell’ impostazione complessiva.
Rimane dunque problema aperto costruire, in relazione alle radici, ali coerenti a questa città, misurandosi con le sue caratteristiche
identitarie, come ha provato a fare Beguinot, che ha considerato importanti alcuni elementi come il centro direzionale, correlato al ruolo

Conclusioni
di capoluogo regionale, o il potenziamento dei servizi pubblici per
superare strettoie tipiche del Mezzogiorno.
Il dibattito politico locale continua con vivacità, perché appare urgente disegnare una nuova prospettiva per Campobasso, rispondente
al ruolo di centro di servizi avanzati, con lo sguardo puntato al futuro
per quanto riguarda il potenziamento delle strutture formative, sanitarie e tecnologiche. Inoltre, se ne dovrebbero rafforzare le funzioni di
coordinamento culturale, di promozione economica ed industriale,
se essa vuole essere non solo locomotrice, ma effettivamente coordinatrice dell’area regionale, con un relazione centro/periferia che non
sia più univoca, ma pluridirezionale. La stessa acquisizione della costa
— la porta sull’Adriatico — è stata una coraggiosa scelta politica, che
però deve essere rafforzata per rinsaldare le relazioni transfrontaliere.
Campobasso insomma richiede oggi scelte strategiche, come altri
quadri urbani del Mezzogiorno, volte sia a superare contraddizioni e
marginalità, sia a rafforzare risorse e potenzialità. Ma nessuna scelta
potrà essere strategica se non si terrà conto dei caratteri strutturali di
uno spazio urbano, delle dinamiche e delle discontinuità che gli appartengono. Senza alcuna intenzione deterministica, le radici possono
indicare la traiettoria per il presente e il futuro: il ruolo nevralgico
degli attori, le relazioni territoriali e commerciali, la giusta sinergia
tra trasformazione urbanistica e volontà politica, tra teoria e prassi.
La questione urbana meridionale si può affrontare con maggior
consapevolezza se si scruta non solo l’orizzonte dell’attualità, ma anche processi scomposti dal tempo. Insomma, parafrasando il titolo
di Baker () se si costruiscono ponti per superare divari.
. Si fa riferimento all’opera di A. Baker, Geography and history. Bridging the divide,
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www.storiamedievale.net/centrostudi/index.htm

Elenco delle figure
La struttura orografica del Molise (fonte: De Agostini, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Il Sannio nel IV secolo a.C secondo la ricostruzione
di Jasiello, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Particolare della carta di Weigel, incisore di Norimberga, probabilmente elaborata nel , presenta
accorpati Aprutium Ulterius, Aprutium Citerius e Comitatus Molisi (fonte: Meini, ). . . . . . . . . . . . . .
. Tavola del Contado de Molise di M. Cartaro, ;
rappresenta l’elaborazione più puntuale del Contado
nell’età moderna e ne individua la posizione incassata
tra le altre province; (fonte: Petrocelli, ). . . . . .
. Carta topografica del Molise di Francesco Longano,
allegata alla sua relazione Viaggio nel Contado di Molise
del . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Tavola corografica Provincia di Molise, secondo i
confini del , di B. Marzolla,  (fonte: Petrocelli,
). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Il Molise regione autonoma nel  (fonte: De Agostini, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Proposta di ampliamento del Molise con l’accorpamento della provincia di Benevento. . . . . . . . . . .
. La valle del Biferno nell’età del Ferro (circa  a.c.).
Il cerchietto indica l’area di Campobasso (fonte: Barker, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Ricostruzione delle aree sacre dei Sanniti (fonte: Manfredi Selvaggi, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. La via Numicia/Minucia attraversava i centri più importanti nel Sannio, ma non l’area di Campobasso
(fonte: Martino, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
.













Elenco delle figure
. Frammento della Tabula Peutingeriana (III–IV d.C.).
Una copia del Seicento è conservata presso ASCB
(fonte: Petrocelli, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Ricostruzione della viabilità nel Basso Molise in età
romana (fonte: G. De Benedittis, a). . . . . . . .
. Le diocesi nel IV secolo d.C. Il Sannio appare diversamente esteso che nella figura . (fonte: Iasiello,
). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. L’Italia bizantina nel VI secolo d. C. (fonte: Iasiello,
). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Il Ducato di Benevento nel VII secolo d.C. Il Sannio
ne è parte integrante (fonte: Barker, ). . . . . . .
. La morfologia urbana di Campobasso e il sito originario sull’altura. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Parziale rappresentazione dell’altura: sono ben visibili le mura del castello, oggi utilizzato come stazione
meteorologica. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Pianta attuale di Campobasso che ne evidenzia lo
sviluppo in piano (fonte: Provincia di Campobasso,
). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Una visione d’insieme dall’altura che mostra l’attuale
sviluppo periurbano. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Carta geologica d’Italia scala :., F°: in evidenza l’area di Campobasso. . . . . . . . . . . . . . . .
.
.
.
.
.
Le ripartizioni della Longobardia meridionale nei
Principati di Benevento, Salerno e Capua nel IX secolo (fonte: mezzogiornoitalia.it). . . . . . . . . . . . . .
Ricostruzione dell’estensione della contea di Bojano
nell’VIII secolo (fonte: mezzogiornoitalia.it). . . . . .
Ricostruzione di San Vincenzo al Volturno nell’ XI
secolo (fonte: Marazzi, ). . . . . . . . . . . . . . .
La posizione strategica di San Vincenzo al Volturno
nella valle del Volturno; in evidenza anche Isernia e
Venafro (fonte: G. De Benedittis et al., ). . . . . .
Santuario di San Michele a Monte Sant’Angelo, in
provincia di Foggia, espressione dell’arte longobarda
(fonte: mezzogiornoitalia.it). . . . . . . . . . . . . . . .















Elenco delle figure
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
Il processo di incastellamento nel Sannio: esso si
diffonde a raggiera a partire dall’area volturnense. .
Le contee di Loritello e Molise nell’XI secolo (fonte:
mezzogiornoitalia.it). . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Benevento: cinta muraria di età longobarda (fonte:
mezzogiornoitalia.it). . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Campobasso nel IX secolo d.C. In evidenza i pochi
elementi: le mura, la rocca, il nascente borgo (ns.
elaborazione da Boffa, ). . . . . . . . . . . . . . . .
Foto satellitare di Benevento con delimitazione dell’area longobarda (fonte: Coscarella, ). . . . . . .
Foto satellitare di Salerno con delimitazione dell’area
longobarda (fonte: Coscarella, ). . . . . . . . . . .
Dimore del periodo medievale in località Agnone:
simili dovevano esservi a Campobasso (fonte: Cataudella, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Campobasso nei secoli XI e XII: le mura sono indicate
dal tratteggio (fonte: Boffa, ). . . . . . . . . . . . .
La fortezza longobarda secondo le trasformazioni del
XV secolo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Facciata della chiesa Santa Maria Maggiore, ubicata
sull’altura a poca distanza dal castello. . . . . . . . . .
La chiesa di San Giorgio disposta in posizione sottostante alla rocca. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Facciata della chiesa di San Bartolomeo: qui si teneva
il mercato nel , come attesta la Convenzione. . .
Resti della croce viaria posta dinanzi alla chiesa di
San Bartolomeo: è la testimonianza ulteriore che qui
fosse la località del mercato. . . . . . . . . . . . . . . .
Spazio utilizzato per il mercato secondo i documenti del ; ancora evidente la fascia muraria che
circondava il castrum. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Particolare del Theatrum Orbis Terrarum di A. Ortelio,
 (fonte: Petrocelli, ). . . . . . . . . . . . . . . .
Campobasso nel XV secolo: è visibile l’ampliamento
dell’insediamento (fonte: Boffa, ). . . . . . . . . .
L’ampliamento del castello da parte di Cola Monforte
negli anni – (fonte: Nobile, ). . . . . . . .



















Elenco delle figure
. Facciata della Chiesa di San Leonardo e parte del
largo prospiciente: dal XVI secolo è questo il cuore
di Campobasso. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
. Resti della torre Terzano, fatta costruire da Cola Monforte, tra il  e il , per un ulteriore rafforzamento della cinta muraria. . . . . . . . . . . . . . . . .

. La scalinata che ha sostituito la porta Fida nella seconda metà del XVI secolo, quando il nuovo centro di Campobasso non è più l’altura, ma largo San
Leonardo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. Discesa dal castello, un tempo chiusa dalla porta Fida:
visione parziale, perché coperta dagli alberi, della
chiesa di San Giorgio. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

. Il Regno di Napoli di M. Cartaro,: è evidente la
posizione geografica del Contado del Molise incassato tra le altre province (fonte: Petrocelli, ). . . . . 
. Andamento dei battezzati a Campobasso tra il  e
il  [ns. elaborazione da U. D’Andrea, ]. . . . . 
. Ingresso del palazzo feudale collocato in largo San
Leonardo. Oggi palazzo Cannavina. . . . . . . . . . .

. La rete tratturale attraversava il Molise; in evidenza
(in azzurro) i bracci che consentivano di raggiungere
Campobasso dai regi tratturi (fonte: Cialdea, ). . 
. Tavola dell’Atlante della reintegra del tratturo Celano–
Foggia disposta da E. Capecelatro ed eseguita dall’agrimensore G. De Falco, Foggia  (fonte: Petrocelli, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 
. La pianta di Tommaso Zampi dei primi dell’Ottocento delinea con chiarezza il sito e l’antica struttura
urbanistica di Isernia (ASN). . . . . . . . . . . . . . . . 
. Il tratturo nell’agro di Isernia. I compassatori rappresentano la pista in modo curvilineo, la sagoma
della città e la ricchezza idrica ivi presente; dalla Reintegra del tratturo Pescasseroli–Candela del  di
Vincenzo Magnacca e Nicola Conte (ASF). . . . . . . 
.
La carta indica gli attuali comuni, un tempo feudi,
sottoposti a perizia (ns. elaborazione). . . . . . . . . .

Elenco delle figure
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
Carta di ispirazione maginiana appartenente all’Atlas
Novus di J e C. Blaeu,  (fonte: Petrocelli, ). .
La prima pagina dell’Apprezzo di Campobasso di
Luigi Nauclerio, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Veduta di Campobasso tratta dalla raccolta privata del
vescovo Angelo Rocca,  (fonte: Petrocelli, ).
Campobasso nel XVI secolo secondo la descrizione
proposta da Nauclerio. La città mantiene l’impianto
delineato da Cola Monforte (fonte: Boffa, ). . . .
Strada Cannavina oggi, un tempo qui era collocata la
porta principale che conduceva a largo San Leonardo.
Piazza Pepe, un tempo lo spazio fuori le mura. . . .
Chiesa e convento di San Francesco. . . . . . . . . . .
I tracciati tratturali e la centralità di Campobasso
(fonte: mezzogiornoitalia.it). . . . . . . . . . . . . . . .
Le oscillazioni demografiche tra il XVI e XVII secolo
(ns. elaborazione dalle numerazioni del Regno). . . .
La strada dei Ferrari, un tempo ubicata appena oltre
la porta principale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Esemplare di baracca in una litografia dell’ (Fonte:
Trombetta, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tavola del Contado de Molise di M. Cartaro, ; è
bene in evidenza la posizione geografica del Contado
rispetto alle altre province (fonte: Petrocelli, ). .
Cortile interno del palazzo baronale. . . . . . . . . . .
Chiesa di Santa Maria della Croce. Edificata nel XII
secolo divenne sede della confraternita dei Crociati.
La chiesa dell’Annunziata nel centro storico, denominato largo Chiesa Madre, a Jelsi. . . . . . . . . . . . . .
Carta Generale dell’Atlante del Regno di Napoli di A.
Bulifon,  (fonte: Petrocelli, ). . . . . . . . . . .
Frontespizio dell’Apprezzo della terra di Campobasso di G. Stendardo del . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tavola di Terra di Lavoro e Contea di Molise, da G.
A. Rizzi Zannoni, edita da Zatta, Venezia,  (fonte:
Petrocelli, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .




















Elenco delle figure
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
Porta San Paolo, datata , ben conservata dà accesso
al centro storico; visibile lo stemma della famiglia
Gambatesa–Monforte. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Porta Santa Cristina, fatta costruire da Cola Monforte, posta alla sinistra della porta principale, era
denominata anche porta Mancina. . . . . . . . . . . .
Particolare della Pianta del Feudo Di Santa Maria Di
Monte Verde del  (fonte: Petrocelli, ). . . . .
Strada degli Orefici, appena all’angolo della porta
principale, ancora oggi è costellata di botteghe. . . .
Il fondaco della farina era ubicato in questa piazzetta.
Andamento dei nati battezzati secondo i dati estratti
dai registri della parrocchia di S. Bartolomeo dal 
al  (ns. elaborazione). . . . . . . . . . . . . . . . . .
Insegna ottocentesca di una fabbrica d’acciaio a Campobasso (fonte: Trombetta, ). . . . . . . . . . . . .
La Pianta geometrica dei tre feudi di San Giovanni
in Golfo, Salsere e Camposenarchioni di Alessandro
Mazzarotta,  (fonte: ASCB). . . . . . . . . . . . . .
I Misteri a piazza San Pietro nel : in evidenza San
Crispino. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I Misteri a piazza San Pietro nel : in evidenza San
Leonardo. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Il promontorio — sito primitivo di Termoli (fonte:
azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo, ). .
Termoli: lo sviluppo urbano al di fuori delle mura. .
Il riscatto della città nel . Il dipinto dell’artista
Arnaldo de Lisio del  è presente nella sede della
Banca d’Italia di Campobasso (fonte: Trombetta, ).
Carta topografica del Molise di Francesco Longano,
allegata alla sua relazione Viaggio nel Contado di Molise
del . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

Foglio n.  dell’Atlante Geografico del Regno di Napoli da
Gio.Antonio Rizzi Zannoni. Il foglio fu scelto come
frontespizio dell’opera da Giuseppe Bonaparte nel
 (Principe, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .














Elenco delle figure
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
.
La popolazione del Molise secondo il censimento del
: in evidenza i centri maggiori e i circondari (elaborazione dati demografici del Fondo d’Intendenza,
). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
I ceti sociali della Campobasso murattiana: sono ben
presenti i proprietari di beni fondiari, ma anche gli
artigiani e i loro apprendisti (ns. elaborazione dai dati
raccolti dal Fondo di Intendenza di Molise per l’arco
temporale –). . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Tavola corografica Provincia di Molise di B. Marzolla,
, secondo i nuovi confini definiti nel Decennio
murattiano (fonte: Petrocelli, ). . . . . . . . . . . .
Pianta geometrica dell’intero agro della Centrale
di Campobasso del , redatta e firmata dall’agrimensore Giuseppe D’Andrea per l’avvio del catasto
provvisorio (Doc. ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Veduta aerea del borgo nuovo agli inizi del Novecento (fonte:Trombetta, , p. ). . . . . . . . . . . . .
Progetto di Vincenzo Warrescant per l’ampliamento
di Campobasso del ; (Doc. ). . . . . . . . . . . .
Progetto di Musenga, del , per l’ampliamento
di Campobasso: in evidenza la linearità e il profilo
razionalistico del nuovo borgo (Doc. ). . . . . . . . .
Campobasso vecchia addossata al Monte Bello (Fonte: Trombetta, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Piazza Municipio oggi, secondo il progetto Musenga.
La chiesa della Trinità, poi Cattedrale in una cartolina
del  (fonte: Trombetta, ). . . . . . . . . . . . .
Pianta topografica della città di Campobasso del ,
redatta e firmata da Musenga (Doc. ). . . . . . . . . .
II pianta topografica della città di Campobasso del
, redatta e firmata da Bernardino Musenga: in
questa rappresentazione vi è una numerazione senza legenda che indica probabilmente i tracciati viari
(Doc. ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Stralcio della pianta del borgo murattiano di Bari,
firmato da Prade,  (fonte: Petrignani–Porsia, ).















Elenco delle figure
. Progetto del borgo murattiano di Bari. Evidenti i
diversi moduli residenziali, simili a quelli di Campobasso (fonte: Petrignani–Porsia, , p. ). . . . . .
. L’andamento costante con picchi di frequenza della natalità e mortalità a Campobasso nell’arco dell’Ottocento (nostra elaborazione dai dati raccolti dal
Fondo di Intendenza di Molise per l’arco temporale
– e dall’ISTAT per l’arco temporale –).
. Chiesa della Trinità, oggi Cattedrale in piazza Pepe.
. Pianta del tratto di strada progettato per l’ampliamento del borgo nuovo durante la direzione dei lavori di
Lopez Suarez, (Doc. ). . . . . . . . . . . . . . . .
. Elevazione e spaccato del palazzo municipale progettato per la «capitale della Provincia di Molise» 
(Doc. ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Una cartolina dei primi del Novecento raffigurante
la ferrovia di Campobasso (Trombetta, ). . . . . .
. Una cartolina dei primi del Novecento raffigurante piazza Pepe, centro ottocentesco di Campobasso
(Trombetta, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Campobasso: pianta della città di Antonio Pace, .
Documenta la realizzazione del progetto Musenga
(fonte: Trombetta, ). . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. Campobasso nella carta topografica d’Italia scala :
, serie v, F.  IV,  (fonte: L’Universo, ).
. Campobasso nella carta topografica d’Italia, scala :
 Serie , I.G.M., . È evidente un’espansione
guidata dalle emergenze (fonte: L’Universo, ). .
. L’ attuale espansione residenziale di Campobasso a
macchia d’olio intorno al Monte Bello (fonte: bacheca termolese.it). . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .











Ringraziamenti
Ringrazio innanzitutto con profonda gratitudine il professor Vincenzo
Aversano dell’Università degli studi di Salerno per i suoi preziosi
consigli nella revisione del testo. Ringrazio poi il professor Andrea
Riggio dell’Università degli studi di Cassino in qualità di coordinatore
del dottorato di ricerca in Geografia storica, dalla cui frequentazione
ha avuto origine l’interesse scientifico per Campobasso.
Ancora, porgo ringraziamenti al professor Giovanni Brancaccio
dell’Università degli studi “D’Annunzio” di Chieti–Pescara e alla professoressa Tiziana Banini dell’Università “La Sapienza” di Roma per il
confronto sul problema dell’identità territoriale del Molise.
Un ringraziamento particolare va alla professoressa Luisa Rossi dell’Università degli studi di Parma per i suoi suggerimenti sul Decennio
francese. Ancora ringrazio Nicolas Verdier del CNRS di Parigi per la
messa a disposizione di alcuni suoi lavori. Infine, ringrazio Giovanni
Fanelli per la collaborazione fotografica e principalmente per aver
messo a disposizione la foto utilizzata per la copertina.

AMBIENTE FISICO E TERRITORIO
. Sergio P
Argomenti di Climatologia Applicata. Dall’analisi delle serie storiche di
dati dell’area pisana
 ----, formato  ×  cm,  pagine,  euro
. Emilia S
Schiavoni, viaggiatori, emigranti. Studi di geografia storica sul Molise
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. Emilia S
Campobasso da castrum a città murattiana. Un percorso nella geografia
storica
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Compilato il  luglio , ore :
con il sistema tipografico LATEX 2ε
Finito di stampare nel mese di luglio del 
dalla «ERMES. Servizi Editoriali Integrati S.r.l.»
 Ariccia (RM) – via Quarto Negroni, 
per conto della «Aracne editrice S.r.l.» di Roma