scarica il giornale - Confindustria Modena

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CULTURA
E IMPRESA
Il direttore della Fondazione Pirelli
racconta un binomio vincente
OUTLOOK | Settembre-Ottobre 2013
MODENA
MONDO
Il mondo sconosciuto
di Walter Chappell
Outlook
Il Bimestrale di Confindustria Modena | Settembre-Ottobre 2013 | N.5
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, DCB Bologna - Periodico Bimestrale - Euro 5,00
5
SCATTI
AMERICANI
Il campionato 2013-14 farà della nostra provincia una delle capitali del pallone
A tutto calcio
Il Sassuolo ricomincia dalla serie A, il Carpi dalla B. I tifosi canarini contano sulla nuova stagione
del Modena. Risultati in buona parte frutto dell’impegno dell’imprenditoria locale
Percorriamo ogni giorno migliaia di
chilometri e raggiungiamo ogni destinazione.
Mondo Corea del Sud,
MODENA
MONDO
CULTURA
E IMPRESA
SCATTI
AMERICANI
Il direttore della Fondazione Pirelli
racconta un binomio vincente
Il mondo sconosciuto
di Walter Chappell
Outlook
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in abbonamento postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n.46) art. 1, comma 1, DCB Bologna - Periodico Bimestrale - Euro 5,00
Il Bimestrale di Confindustria Modena | Settembre-Ottobre 2013 | N.5
studiodiade.com
ABBIAMOUN
SOLOOBIETTIVO:
NONFERMARCIMAI.
In questo numero
COMITATO EDITORIALE
Massimo Bruni, Vincenzo Cremonini,
Rita Greco, Mario Mairano,
Antonio Panini, Monica Pelliciari
ART DIRECTOR
Rosita Balestri, Beppe Preti
REDAZIONE
Raffaella Mazzali, Laura Ansaloni,
Generoso Verrusio
// spedizioni groupage e full load import ed export
SEGRETERIA
Simona Carnevali
Telefono 059 448308 - Fax 059 448320
da e per tutte le maggiori destinazioni europee
// servizio giornaliero groupage import/export da/per:
Stoccarda
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO:
TESTI
Ugo Bertone, Arianna De Micheli,
Stefano Marchetti, Franco Mosconi,
Massimiliano Panarari, Paolo Reggianini,
Federica Vandini
IMMAGINI
Alessandro Fiocchi, Anzenberger, Consorzio
per il Festival Filosofia di Modena, Contrasto,
Elisabetta Baracchi e Serena Campanini,
Fondazione Fotografia di Modena, Getty Images,
ImagoEconomica, Pirelli, Rea, Redux, Reuters
// distribuzione e ritiri in Italia con un proprio network
// deposito doganale allo stato estero
// magazzini di temporanea custodia doganale
// consulenza e assistenza doganale
stoccaggio e gestione del magazzino di capi appesi,
dal campionario alla distribuzione
Antonio Calabrò,
giornalista economico
oggi direttore
della Fondazione Pirelli,
approfondisce il legame
tra industria e capacità
di sviluppare idee
in tutti i campi.
PUBBLICITÀ
PUBBLÌ Concessionaria editoriale S.r.l.
Corso Vittorio Emanuele, 113
41100 Modena
Telefono 059 212194 - Fax 059/226627
pubbli@pubbli.it
STAMPA
Arbe Industrie Grafiche - Modena
Autorizzazione del Tribunale
n. 1909 del 9 marzo 2009
L’economia reale
degli under 35
Gli under 35
rappresentano
una quota
sensibile del Pil.
È soprattutto il terziario a beneficiarne
ma non mancano i neo imprenditori
che si imbarcano nel manifatturiero.
Un contributo evidente alla tenuta
dell’economia italiana e una tendenza
che fa ben sperare.
Ritratti d’impresa Gruppo Cremonini
Food e tanto altro
Luigi Cremonini ha iniziato 50 anni fa
con un piccolo macello a Castelvetro,
sulle colline modenesi. In questi decenni
produzione, distribuzione, foodservice
e ristorazione sono stati i punti cardinali
di un impero che oggi è conosciuto
in tutto il mondo.
Cultura Festival Filosofia, AMARE in tutte le sfumature
È una delle passioni fondamentali
dell’esperienza umana e anche
un concetto chiave della tradizione
filosofica. Da conoscere nelle diverse
accezioni di eros, amicizia, generosità.
Ma le profonde trasformazioni
della nostra epoca costringono
a ripensarlo sia nella sfera privata
sia in quella pubblica.
EDITORE
Uimservizi S.r.l
Via Bellinzona, 27/A - 41124 Modena
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ITALSEMPIONE S.p.A. Spedizioni Internazionali
Filiale di Campogalliano
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tel: +39.059.852611 // fax: +39.059.852645
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Antonio Calabrò:
«Fare impresa
è fare cultura»
ILLUSTRAZIONI
Guido Rosa
// fashion service: trasporto, ricondizionamento,
L’approfondimento
L’intervista
IMPAGINAZIONE
Studio RBP
// trasporti terrestri, marittimi ed aerei
Barcellona, Madrid, Parigi, Colonia e Düsseldorf,
L’Italia ha bisogno di attrarre capitali stranieri.
Tra le opportunità vi sono le istituzioni finanziarie islamiche
ma occorre conoscere meglio caratteristiche e limiti del sistema
finanziario che sottosta alle regole della Sharia.
Bimestrale di Confindustria Modena
www.confindustriamodena.it
comunicazione@confindustriamodena.it
DIRETTORE RESPONSABILE
Marzia Barbieri
Economia Finanza islamica, questa sconosciuta
A tutto calcio
Il Sassuolo ricomincia dalla serie A, il Carpi dalla B. I tifosi canarini contano sulla nuova stagione
frutto
dell’imprenditoria
del Modena. Risultati in buona parte fr
utto dell’impegno
egno dell’impr
eenditoria locale
DIRETTORE
Giovanni Messori
Sotto il 38° parallelo sono poco più di 46 milioni,
ma in 60 anni sono diventati la quarta potenza
economica dell’Asia. E rischiano di raggiungere
gli Usa nel 2020. Intanto il reddito pro capite
è più alto che in Europa, e anche la quota
di investimenti in ricerca e istruzione.
Il campionato
to 2013-14 farà della
lla nostra provincia
ia una delle capitali
ali del pallone
Anno V - Numero 5
Settembre-Ottobre 2013
// servizi di logistica integrata
il piccolo Paese dai grandi record
Cultura Fotografia, il mondo sconosciuto
di Walter Chappell
Walter Chappell è il prototipo dell’artista hippie. Ha sempre evitato
i circuiti commerciali e ha esposto raramente in Europa.
Modena ospita la prima vera retrospettiva internazionale
dedicata al fotografo statunitense scomparso tredici anni fa.
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 5
Sommario
9
EDITORIALE
Partnership transatlantica
di Franco Mosconi
10
14
ZOOM ECONOMIA
24
ECONOMIA
Finanza islamica,
questa sconosciuta
di Ugo Bertone
34
L’INTERVISTA
Antonio Calabrò:
«Fare impresa è fare cultura»
di Massimiliano Panarari
46
EVENTI
Assemblea,
incontro con l’impresa
A cura di Raffaella Mazzali
e Laura Ansaloni
64
APPROFONDIMENTO
L’economia reale
degli under 35
di Federica Vandini
MONDO
Corea del Sud, il piccolo
Paese dai grandi record
di Ugo Bertone
74
RITRATTI D’IMPRESA
Cremonini, food e tanto altro
di Arianna De Micheli
86
CULTURA
Festival Filosofia:
AMARE in tutte le sfumature
di Stefano Marchetti
96
Fotografia,
il mondo sconosciuto
di Walter Chappell
di Stefano Marchetti
106
SPORT
La esaltante stagione
del calcio modenese
di Paolo Reggianini
113
LETTURE
di Massimiliano Panarari
Per molti sono luoghi comuni, per noi qualità rare.
sempre
La consulenza personalizzata e l’innovazione hanno sempr
e fatto parte del
nostro stile. Ecco perché, da oltre vent’anni, i nostri Clienti ci riconoscono una
e cultura nel br
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dalla collaborazione con le principali Associazioni Industriali, dalla pubblicazione
di studi sulla prevenzione del rischio e dall’adozione di avanzate tecniche di Risk
Management. Inoltre, grazie alla nostra prresenza
esenza all’estero, riusciamo a tutelarre
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nazionali del nostri Clienti. Qualcuno ha detto che il
al meglio gli interressi
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brokeraggio un’arte. Di certo, con Assiteca, è diventato un fatto di cultura.
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C’è una nuova luce per le tue idee.
Editoriale | Franco Mosconi
Partnership transatlantica
Stati Uniti e Unione europea lavorano a un accordo per ridurre tutte le barriere.
Quelle doganali ma anche quelle tecniche, come le differenze negli standard
di produzione o nelle normative sanitarie o ambientali.
Una nuova frontiera per competere meglio nell’era della globalizzazione
Q
uestioni di spionaggio permettendo, le grandi economie occidentali
che si affacciano sulle due sponde
dell’Atlantico, l’Unione europea e gli Stati
Uniti, hanno molte cose interessanti da
portare avanti insieme, in quest’ultima
parte del 2013 e negli anni a venire.
C’è, infatti, da attuare passo dopo passo
la solenne dichiarazione congiunta del 13 febbraio scorso, firmata
dal presidente Usa Barack Obama insieme al presidente del
Consiglio europeo Herman Van Rompuy e al presidente della
Commissione europea José Manuel Barroso, sulla creazione di
una «Transatlantic Trade and Investment Partnership», partnership transatlantica sul commercio e gli investimenti. È stato
Obama stesso a parlare espressamente delle potenzialità della
partnership nel corso della sua visita a Berlino nel giugno scorso
e, in particolare, durante una conferenza stampa con la cancelliera Angela Merkel. E a partire da luglio ha avuto luogo il primo
round delle negoziazioni.
Ora, aspetti procedurali a parte, che cosa di positivo c’è in
gioco, nel campo dell’economia, con questo (potenziale) accordo?
Potenziale, al momento, giacché le negoziazioni internazionali
sono piene di insidie, come la storia insegna e come anche la
recente cronaca si è incaricata di dimostrare, con la vicenda
Datagate e il caso Snowden. Il primo punto del rapporto finale
che Ue e Usa hanno predisposto prevede l’eliminazione o la
riduzione delle barriere tariffarie (i dazi doganali) al commercio
dei beni fra le due sponde dell’Atlantico. Il secondo punto sancisce, poi, l’abolizione delle barriere tecniche (o non tariffarie),
come ad esempio i diversi s tandard tecnici di produzione, le
diverse normative in materia di tutela sanitaria e ambientale, e
così via. Sia le prime sia le seconde sono barriere che frammentano i mercati, anziché unirli, limitando per questa via le possibilità di crescita dimensionale delle imprese. Ancora: sono barriere che impediscono alla concorrenza internazionale di dispiegare positivamente tutti i suoi effetti, prot eggendo rendite di
posizione nazionali.
Ascolta. Pensa. Risolve.
Sosteniamo le Imprese nella creazione di strutture IT in linea con le loro necessità, integrando
diversi sistemi e offrendo soluzioni di elevata qualità; il tutto grazie all’efficiente ed efficace
utilizzo delle tecnologie più adatte a raggiungere l’obiettivo.
Il nuovo trattato tra Usa e Ue
replicherà su scala più vasta
ciò che l’Europa ha già realizzato:
libera circolazione di beni,
servizi, persone e capitali
Quando nel 1985 l’allora presidente della Commissione europea Jacques Delors lanciò lo storico programma di «completamento del mercato interno», sancito poi dall’Atto unico europeo
del 1986, è proprio su questa seconda tipologia di barriere (quelle
non tariffarie) che indirizzò gli sforzi della Cee, tenuto conto del
fatto che il processo di integrazione europea aveva già positivamente risolto, dal Trattato di Roma del 1957 in poi, la questione
dei dazi doganali.
Per amore di semplicità possiamo, dunque, affermare che oggi
con la Partnership transatlantica l’intendimento è di replicare,
su una scala enormemente più vasta, ciò che nell’Europa unita è
stato storicamente edificato, e che siamo soliti riassumere con le
«quattro libertà» di circolazione: beni, servizi, persone e capitali.
Una scala più vasta, dicevamo. Insieme, la Ue e gli Usa danno
ancora oggi conto di circa la metà del Pil mondiale e del 30 per
cento del commercio mondiale. Dallo studio preparatorio dei due
governi, apprendiamo poi che «il commercio bilaterale in beni e
servizi ammonta, ogni giorno, a un valore di 2,7 miliardi di dollari
(due miliardi di euro). Sulle due sponde dell’Atlantico, gli Usa e la
Ue hanno investito direttamente più di 3,7 trilioni di dollari (2,8
trilioni di euro)». In conclusione, i benefici economici della partnership, una volta andata a regime, sarebbero rilevanti per gli
europei: 119 miliardi di euro all’anno.
Ma, giova ripeterlo, la strada verso questo trattato internazionale è ancora lunga. È, d’altro canto, importante volgere lo sguardo, soprattutto dal cuore dell’Europa produttiva e manifatturiera, dove l’Emilia-Romagna si trova, verso questa nuova frontiera.
Competere con i Bric e tutti gli altri Paesi emergenti non sarà vissuta più come una missione impossibile.
L’autore insegna Economia industriale all’Università di Parma e European Industrial Policy al Collegio Europeo di Parma, dove siede nel comitato scientifico.
www.adcsrl.it | info@adcsrl.it
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 9
D A L
O R A
CONFINDUSTRIA MODENA
Detassazione indennizzi assicurativi
Pietro Ferrari: ascoltate le istanze
delle imprese
l Parlamento ha confermato la detassazione dei
contributi pubblici per gli immobili danneggiati dal
sisma del maggio 2012, ricomprendendo gli indennizzi e risarcimenti assicurativi, inizialmente non contemplati. «Si tratta di un risultato indispensabile e
molto atteso dalle nostre imprese. E di un ulteriore
passo avanti verso il completamento del quadro degli
interventi dello Stato per la ricostruzione e la ripresa
delle attività produttive», conferma Pietro Ferrari,
presidente di Confindustria Modena, cui si è unito
anche il giudizio positivo del presidente di
Confindustria Emilia-Romagna Maurizio Marchesini.
«Un apprezzamento particolare va al gioco di squadra
P I Ù
1 9 5 8
C H E
C O S T R U I A M O
M A I
R I S O L L E VA R E
S A P P I A M O
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N O S T R O
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C O M E
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T E R R I T O R I O !
I
NOMINE
Camera di Commercio,
Maurizio Torreggiani
confermato alla guida
dell’ente
Zoom
economia
l nuovo consiglio della Camera
di Commercio di Modena nella
sua prima riunione ha provveduto
all’elezione del presidente della
Camera per il quinquennio 20132018. I 33 membri, in rappresentanza delle diverse componenti
dell’economia provinciale, hanno
eletto con voto unanime, Maurizio
Torreggiani che viene così riconfermato alla presidenza dopo il
suo primo mandato svolto dal
I
tra le forze economiche e le istituzioni che hanno permesso questo risultato», conclude Ferrari, «così come
un sentito ringraziamento è d’obbligo verso il Commissario Errani, i ministri e i parlamentari della nostra regione per avere perseguito con grande determinazione questo obiettivo».
2008 ad oggi. Tra i rappresentanti
del mondo industriale, quattro
provengono dal sistema Confindustria: il direttore di Confindustria
Modena Giovanni Messori, Rossella Po, Franco Vantaggi e Massimo Bruni. «Questo nuovo mandato ci vedrà fortemente impegnati»,
è il commento di Torreggiani, «a
supportare in modo fattivo le imprese modenesi che, tra tante difficoltà, stanno fronteggiando questa
congiuntura negativa senza precedenti. La nostra responsabilità, il
nostro impegno e i nostri sforzi saranno moltiplicati per venire incontro alle stringenti esigenze del
territorio».
Sotto, i 33 membri
del nuovo consiglio camerale
Acimac, eletto
il consiglio direttivo
• SOPRALLUOGHI e VALUTAZIONE DANNI
• MESSA in SICUREZZA
’Assemblea generale di Acimac
(l’Associazione costruttori italiani macchine e attrezzature per
ceramica) ha eletto i membri del
consiglio direttivo che affiancheranno il presidente Fabio Tarozzi e
i vicepresidenti, Paolo Lamberti,
Fabio Schianchi e Paolo Sassi,
nella guida dell’associazione nel
prossimo quadriennio. Sono
Emilio Benedetti (Lb Officine
Meccaniche), Antonella Dolcini
(Ingegneria Ceramica), Andrea
Giambi (Torrecid), Claudio Marani
(Sacmi Imola), Franco Ponsone
(Ancora), Pierluigi Ponzoni
(Lema), e Franco Stefani (System).
L
Sopra, Villa Marchetti,
sede dell’Acimac
• PROGETTAZIONE
Ricostruzione
POST-SISMA
• PRATICHE per RICHIESTA CONTRIBUTI
• RISTRUTTURAZIONE e RICOSTRUZIONE
• ADEGUAMENTO SISMICO
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10 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
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’assemblea di Confindustria Ceramica
ha eletto all’unanimità Vittorio Borelli
come presidente per il biennio 2013-2015.
Borelli, 42 anni, si è laureato nel 1995 in
Scienze politiche all’Università di Bologna
e, dopo uno stage a Chicago presso
l’American International, azienda attiva
nella commercializzazione di prodotti
ceramici, è entrato nell’aprile del 1996 in
Fincibec con il
ruolo di area
manager per i
mercati d’oltremare. Dal 2000
ha ricoperto l’incarico di direttore
generale del marchio Century e
Vittorio Borelli
dal 2008 è amministratore delegato di Fincibec.
Sono stati anche designati dal consiglio
direttivo i quattro vicepresidenti: Ennio
Manuzzi (Ceramica Sant’Agostino), Luca
Mussini (Gruppo Concorde), Alessandro
Scopetti (Simas), Mauro Vandini (Marazzi
Group).
L
comune deve essere arrivare a definire un
sistema di soluzioni virtuose, capaci di
assicurare modalità e tempi certi, cioè i 60
giorni previsti dalla normativa comunitaria e nazionale».
IMPRESE
La tecnologia System
convince Spagna
e Turchia
distanza di pochi mesi dalla presentazione della nuova tecnologia per la
produzione di lastre perfettamente planari e dopo la partnership con la ceramica
spagnola The Size, System registra un
A
o sforzo della Regione EmiliaRomagna per destinare fondi al pagamento delle imprese fornitrici di beni e
servizi che vantano crediti nei confronti
delle Asl è un segnale positivo, ma occorre
accelerare ulteriormente i tempi: a sostenerlo è il presidente della Commissione
sanità dell’associazione degli industriali
emiliani Marco Chiadò Piat. «In particolare, abbiamo apprezzato lo sforzo economico della Regione con uno stanziamento di
268,5 milioni di euro, che si aggiungono ai
424 milioni già riservati dal governo alla
Regione per il pagamento dei debiti sanitari maturati al 31 dicembre 2012, che
portano a un ammontare complessivo di
692,5 milioni. È un messaggio importante
verso le imprese del comparto sanitario,
soprattutto in questa fase congiunturale
critica. Per Confindustria «l’obiettivo
L
12 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
’attenzione verso la sicurezza e la salute
sui luoghi di lavoro, ma non solo, in
Smurfit Kappa si manifesta concretamente
da anni. La sede di Camposanto (uno dei 22
stabilimenti in Italia del colosso multinazionale leader negli imballaggi a base carta
con circa 41.000 impiegati in 32 Paesi) ha
aderito al progetto «Safety Bridge», ideato
da Ceper (Centro per la prevenzione dei
rischi), per trasferire la prevenzione dei
rischi dagli ambienti di lavoro agli ambienti
domestici. Inoltre Smurfit Kappa ha istituito un progetto pilota nell’ambito della prevenzione clinica dando l’opportunità a tutti i
propri dipendenti di effettuare esami specialistici completamente gratuiti (ecografia
e mammografia per le donne, elettrocardiogramma ed ecocardiogramma per gli
uomini).
L
Sicura Mente
Un momento della presentazione
del progetto «Safety Bridge»
alla Smurfit Kappa di Camposanto
SANITÀ
Industriali emiliani: bene
la Regione sul pagamento
delle imprese
Sicurezza e salute
secondo Smurfit Kappa
sts italiana
Confindustria Ceramica,
Vittorio Borelli
nuovo presidente
Da sinistra, Franco Stefani, presidente
della System, con Erkan Gural,
proprietario della Kutahya Seramic
altro successo con il gruppo turco Kütahya
Seramic, leader del Paese e numero uno al
mondo nella produzione di stoviglie, che
ha scelto la tecnologia dell’azienda di
Fiorano Modenese, specializzato in sistemi automatizzati nel settore ceramico. Il
nuovo sistema «100% System» permette di
ottenere piastrelle perfettamente piane,
eliminando la sgrossatura, una delle fasi
di lavorazione. «Questo processo industriale è la prima tecnologia che imprime
un’autentica svolta “verde” nel settore
ceramico», conferma Franco Stefani presidente della System, «per il risparmio sia
di materia prima sia di energia nella fase
di pressatura».
Kütahya Seramic, che ha confermato ulteriori investimenti dal 2015, nei suoi cinque impianti in Turchia produce ogni anno 20 milioni di metri quadri di ceramica.
Lo stabilimento modenese, che occupa 125
persone, ha ottenuto nel 2010 la Certificazione del sistema di sicurezza sul lavoro
Ohsas 18001 e nel 2011 il riconoscimento
«Plant of the year» quale miglior stabilimento del gruppo in Italia per i risultati economici, produttivi e in materia di salute e sicurezza sul lavoro.
BREVETTI
MODELLI D’UTILITÀ
DESIGN
MARCHI
DIRITTO D'AUTORE
INTERNET
NUOVE VARIETÀ VEGETALI
CONSULENZA TECNICO-LEGALE
RICERCHE
SORVEGLIANZE
Positivo il bilancio 2012
di Cpl Concordia
ell’anno del terremoto, nonostante le
gravi difficoltà, la società multiutility
modenese è riuscita a ottenere risultati
positivi: il valore della produzione ha toccato i 411,4 milioni di euro, in aumento del 6
per cento rispetto al 2011.
Il presidente Roberto Casari conferma gli
indici positivi e rilancia l’internazionalizzazione del gruppo con acquisizioni in
America e Africa. Nei primi mesi 2013
l’azienda ha già assunto 40 addetti e ricerca
20 nuove posizioni nei settori ingegneristico
e tecnologico in Italia e all’estero.
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Proteggere le idee, valorizzare i progetti, vincere la concorrenza.
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Da sinistra:
una veduta notturna
di Busan, la città
portuale più grande
della Corea;
«movida» nelle vie
del centro di Seul
Mondo | Il Nord Est asiatico
Viaggio in Corea del Sud dove il futuro è già cominciato
Il piccolo PAESE dai grandi record
Sotto il 38° parallelo sono poco più di 46 milioni, ma in 60 anni
sono diventati la quarta potenza economica dell’Asia. E provano
a raggiungere gli Stati Uniti. Intanto il reddito pro capite è più alto
che in Europa, e anche la quota di investimenti in ricerca e istruzione
di Ugo Bertone
14 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
L
a prima linea del metrò di Seul è stata inaugurata solo nel 1974. Oggi nel sottosuolo della capitale corrono tredici linee con 380 fermate-supermarket. Già, perché in Corea del Sud
sempre più spesso la spesa la si fa alla stazione del
metrò o, addirittura, in attesa dell’autobus. Nessun
orario di apertura e chiusura, nessun carrello, nessuna coda alle casse, ma soprattutto «banchine» al
posto d ei banconi: sulle pareti sono stati montati
dei pannelli retroilluminati (o una più semplice
colonnina alla fermata dell’autobus) dove attraverso delle fotografie vengono riprodotti fedelmente i ripiani di un qualsiasi punto vendita dell’ipermercato. Frutta, verdura, carni, formaggi prendono posto sugli scaffali a due dimensioni dei negozi
sotterranei e a ciascuna merce è abbinato un codi-
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 15
Mondo | Il Nord Est asiatico
ce QR che sta per Quick Response. Acquistare è semplice, basta un click. I clienti infatti devono solo fotografare con il proprio smartphone i codici abbinati ai
prodotti e questi verranno automaticamente aggiunti
a un carrello della spesa virtuale. Al termine degli acquisti l’utente indicherà l’orario in cui preferisce ricevere la spesa e invierà il tutto, via sms a Homeplus (una
società creata dal colosso della grande distribuzione Tesco con Samsung) che provvederà a fargli recapitare la
spesa direttamente a casa.
Benvenuti nella terra della banda larga, dove l’elettronica è davvero di casa. Con ricadute tanto imprevedibili quanto eccellenti nei risultati. Come ha riconosciuto, di recente, il professor Alexander Zahlten presentando ad Harvard Park Jae-Sang, l’ex studente di
econom ia di grande insuccesso («Mi chiamavano», ha
confessato il rapper coreano, «Wwf, ovvero withdrawal-withdrawal-failure, che sta per ritirati-ritirati-fallimento»), diventato d’un botto il più grande successo
della musica digitale degli ultimi anni. Park Jae-Sang
è Psy, l’inventore del gangnam style (dal nome del distretto di Seul in cui Psy è nato nel 1977) cantato e ballato da due miliardi di persone, presidente Obama compreso. «Psy», ha ricordato il professore di Harvard, «è
l’esempio più brillante della capacità della Corea di
combinare l’abilità dei programmatori di videogiochi,
le star dello spettacolo e le opportunità offerte dall’intrattenimento via Internet. La Corea è l’avanguardia
della cultura digitale».
Le statistiche ci informano che le utenze dotate di
Internet ad altissima v elocità sono ormai il 100,6 per
cento della popolazione. Sì, ogni coreano ha a disposizione la banda larga casalinga ma anche reti mobili 4G
un po’ dappertutto (Lte e Wimax), per non parlare degli hotspot wi-fi a ogni angolo di strada. Non c’è da stupirsi visto che quasi 30 milioni di coreani (poco più della metà della popolazione) possiede uno smartphone
dotato nove volte su dieci di Kakao Talk, un’applicazione che consente le chiamate via Voip, cioè tramite Internet, e di mandare messaggi istantanei. Nelle tasche di un coreano non manca mai uno smartphone. O
una carta di credito. Solo gli americani battono i cittadini di Seul in questa classifica: 2,8 card a testa contro
2,4. Ma la Corea si avvicina al primato in fretta, forse
troppo visto che il Fondo monetario internazionale in -
I PRIMATI DELLA COREA DEL SUD
15a economia mondiale, quarta in Asia
1a nella cantieristica navale
e nella produzione di schermi Lcd
1a per connessioni Internet in banda larga
2° produttore di telefoni cellulari
3° produttore di semiconduttori
5° produttore nel settore delle autovetture
2a per livello d’istruzione (dopo Israele)
5a per investimenti in ricerca tecnologica
Nel 2012 gli investimenti coreani all’estero
hanno toccato i 23 miliardi di dollari;
le primarie destinazioni sono Usa e Cina.
I maggiori investitori in Corea invece sono le imprese
europee con oltre 100 miliardi di dollari
L’export italiano verso la Corea del Sud nel 2012
è stato di 4,8 miliardi di dollari
(+10,4% rispetto al 2011),
mentre le importazioni sono di 3,2 miliardi
Jay Y. Lee, rampollo
della dinastia
Samsung,
da sei mesi
vicepresidente
della multinazionale
dividua nella crescita dei debiti delle famiglie il possibile tallone d’Achille della Corea del Sud, la quarta economia dell’Asia per dimensioni (dietro Cina, Giappone e India) ma con un reddito pro capite di 31.750 dollari, più della media europea (31.550) e ancor di più dell’Italia (30.404 dollari). Ma lo Stato ha saputo sfruttare questo vizio: la riforma fiscale del 1998 ha infatti
i ntrodotto un sistema di deduzioni dalle imposte per
gli acquisti effettuati con le carte di credito. Con un incentivo: le ricevute degli acquisti con carte di credito
partecipano a una lotteria nazionale. Il risultato? Il
sommerso è calato del 5 per cento.
La Corea, insomma, fa parte di quella cerchia fortunata di Paesi dove la gente guarda al futuro con fiducia. Cosa che pare incredibile, visto che su Seul e Busan (la seconda città più popolata della Corea del Sud)
incombe la minaccia nucleare del vicino più scomodo
Secondo il docente di Harvard Alexander Zahlten il rapper Psy, inventore del Gangnam style, «è l’esempio più brillante
della capacità del suo Paese di combinare l’abilità dei programmatori di videogiochi, le star dello spettacolo
e le opportunità offerte dall’intrattenimento via Internet. La Corea del Sud è l’avanguardia della cultura digitale»
16 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
che ci sia: la Corea del Nord, saldamente nelle mani
dell’esercito e del comandante in capo Kim Jong-un,
forte di un esercito di 1,2 milioni di uomini e dell’arma
nucleare. Ovvero 49 soldati ogni mille abitanti, senza
contare i riservisti, che possono sbucare a sud del 38°
parallelo grazie ai tunnel segreti in grado di permettere lo spostamento di 30.000 soldati in un’ora: ne sono
stati trovati quattr o, ma secondo fonti americane ce ne
sarebbero almeno altri 20. I coreani di Seul si sono abituati, nel corso degli anni, alle intemperanze dello scomodo e bizzarro nemico, la cui nomenklatura fa ottimi
affari con la borsa nera e il contrabbando, e ancor più
appaltando braccia (salario mensile tra i due e i cinque
dollari) nella zona smilitarizzata a vantaggio dei capitalisti del Sud. Ma ad aprile, quando la minaccia è diventata più concreta, per la prima volta le famiglie di
Seul hanno fatto scorta di acqua minerale e bombole
Ted Chung, erede
dell’impero Hyundai
di gas. Poi Jay Y. Lee, il rampollo della dinastia Samsung da sei mesi vicepresidente della multinazionale,
è rientrato a Seul da una lunga missione anti-Apple in
Usa. «Vedete che siamo al sicuro?», hanno commentato con entusiasmo i giornali della capitale. «Ci fosse pericolo il nostro industriale più importante non correrebbe un rischio del genere».
Benvenuti in Corea, terra di automobili che (vedi Hyundai) hanno superato le performance stellari di Toyota, ma anche dei cantieri che sfornano le navi a tre «e»,
che stanno per ecologia, efficienza ed energy saving.
Per non parlare di smartphone e tablet targati Samsung che hanno ingaggiato, vincendola, la battaglia
con Apple. O del derby in famiglia tra Samsung e Lg
per i migliori schemi tv del pianeta. Eccoli i buoni frutti di una politica saggia e previdente: da più di vent’anni la Corea del Sud investe più del 3 per cento del pro-
I coreani fanno larghissimo uso di carte di credito, battuti in questa classifica solo dagli americani.
Lo Stato ha saputo sfruttare la cosa: è previsto un sistema di deduzioni dalle imposte per gli acquisti con le carte di credito.
In più, quelle ricevute partecipano a una lotteria nazionale. Il risultato? Il sommerso è calato del 5 per cento
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 17
Da sinistra:
una giovane coreana
in costume
tradizionale
scatta una foto
durante
una cerimonia
al Namsangol Hanok
Village di Seul;
il rapper Psy,
inventore
del gangnam style
dotto interno lordo in ricerca e sviluppo. Nei tre colossi
Samsung, Lg e Hyundai la percentuale oscilla tra l’8 e
il 10 per cento. Ma non è solo questione di soldi. Tutt’altro. I coreani, tanto per cominciare, lavorano duro:
2.200 ore all’anno a testa, al secondo posto nel mondo
dietro Taiwan. E studiano ancor di più: nessun Paese
spende tanto per l’educazione secondaria. Solo la Finlandia e Singapore ottengono risultati migliori nei test
sulla preparazione scolastica.
Ma il regno degli ingegneri e degli sgobboni è anche
una terra promessa del fashion, dove s’impone lo stile
che si ritroverà più avanti nelle vetrine di Shanghai e
di Hong Kong e in tutte le altre capitali del lusso d’Asia. Merito, come nel caso di Psy, del primato coreano
nell’economia dell’entertainment. Il «drama» coreano
definisce un format tv che assomiglia da vicino alle soap opera che spopolano in tutta l’Asia, ma anche in America Latina. Storie di 30 puntate o anche più in cui
si raccontano amare sto rie di triangoli amorosi (in cui
di solito l’eroina femminile si innamora di un cattivo ragazzo che la maltratta o trascura) ma anche problemi le-
I numeri | Una potenza di Paese
Nonostante i suoi 99.269 chilometri quadrati
e i poco più di 46 milioni di abitanti, la Corea
del Sud rappresenta la quarta potenza economica dell’Asia dopo Giappone, Cina e India, ma con un reddito pro capite (31.750 dollari) più alto della media europea. È un
Paese tecnologicamente avanzato, il secondo
al mondo per diffusione e utilizzo di tecnologie Ict, primo per utilizzo di telefonia mobile,
l’unico al mondo ad avere il 100 per cento
delle utenze con una connessione internet in
banda larga e uno dei più efficienti in materia
di pagamento e trasferimento di valuta per
via elettronica. Fautori di questo sviluppo
sono le multinazionali coreane, in particolare
Samsung, Hyundai, Lg e Sk: nel 2011 il fatturato dei primi dieci gruppi industriali ha
costituito il 77 per cento del Pil del Paese.
La Corea ha un’economia che si regge tradizionalmente sull’export, ma essendo povera
di risorse naturali dipende molto dall’importazione di fonti energetiche. Importa il 97 per
cento del suo fabbisogno energetico e l’81
per cento del petrolio importato proviene dai
Paesi del Medio Oriente. La domanda in continua crescita ha indotto la Corea a diversificare le proprie fonti e a rafforzare i rapporti
con i Paesi in via di sviluppo ricchi di risorse
naturali.
Secondo il World Factbook della Cia (un database mondiale con i dettagli su ogni singola nazione), su 227 Paesi la Corea è posizionata al tredicesimo posto per maggior potere
d’acquisto. Il rapporto 2012 del World Bank
«Doing Business» ha inserito la Corea all’ottavo posto su un totale di 185 Paesi: la Corea
è stata promossa a pieni voti per quanto
attiene il rispetto delle norme legislative in
ambito contrattuale e l’efficienza nel trasferimento di energia elettrica e di merci oltre-
confine. L’Unione europea nel 2011 è stata la
seconda destinazione delle esportazioni
coreane e il suo terzo maggiore partner
commerciale, dopo Cina e Giappone. Inoltre
le imprese europee sono state i maggiori
investitori esteri, con scambi commerciali
che hanno toccato i 100 miliardi di dollari.
Nonostante tutto questo, vi sono tuttavia
ancora ostacoli che impediscono una maggiore partecipazione straniera all’economia
coreana, a cominciare dall’instabilità politica,
derivante dall’incognita della Corea del Nord
e i suoi propositi nucleari, fino a fattori più
immediati quali le elevate spese fiscali e i
costi di produzione, in particolare l’affitto
degli immobili e il costo della manodopera,
che pur essendo preparata e con un alto
livello d’istruzione, richiede un compenso
non paragonabile a quello applicato in altri
Paesi asiatici.
Seul è terra di prodotti (auto, navi, tablet, schermi lcd) che hanno sbaragliato la concorrenza mondiale.
Dietro a questo vi sono più di vent’anni di investimenti in ricerca e sviluppo. Ma anche in educazione:
solo la Finlandia e Singapore ottengono risultati migliori nei test sulla preparazione scolastica.
E si lavora tanto: 2.200 ore all’anno a testa, al secondo posto nel mondo dietro Taiwan
18 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
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Mondo | Il Nord Est asiatico
gati all’attualità economica. Il successo è clamoroso, al
punto che le dive coreane (molto carine per lo più) sono
le star più note in tutta l’Asia, dal Giappone alle Filippine o ad Hong Kong, dove due canali tv sono dedicati
al genere e a tutto quanto è made in Seul. «I nostri artisti rappresentano un simbolo per i giovani di tutta
l’Asia», spiega soddisfatto Choi Eun-a di SM En tertainment, l’agenzia delle Girls Generation, la band più popolare del continente asiatico, società che il Nikkei, il
quotidiano finanziario più importanti del Giappone,
ha definito «la nuova Samsung».
Samsung sta al miracolo coreano come la General
Motors anni Cinquanta sta al boom americano. Un gigante che oggi conta 83 società (19 quotate in Borsa) che
si occupano un po’ di tutto, dall’elet tronica alla finanza, dalle costruzioni ai cantieri navali fino al biomedicale. Un colosso che vanta un fatturato di 220,1 miliardi di dollari, con utile di 22,3 miliardi. La storia di Samsung, assieme a quella di Hyundai, accompagna passo dopo passo la storia del riscatto di quella
che, a metà del secolo scorso, era ancora una delle terre più povere del mondo, trattata con disprezzo e un non
celato spirito razzista dai nipoti dei samurai. Sam-
sung è il chaebol ( da «chae» cioè ricchezza e «pol» ovvero clan) più potente del Paese. Chaebol sta a indicare un
conglomerato di industrie e servizi che fanno capo a
una sola famiglia, godendo di un potere immenso che
invano, ai tempi della crisi asiatica, il potere politico
su spinta dell’Fmi ha cercato di smobilitare: qualche
chaebol è caduto sotto la scure dell’antitrust, altri (vedi Samsung, Hyundai e Lg) sono diventati ancora più
forti. Oggi in Corea un lavoratore su quattro lavora per
uno dei tre giganti che, da soli, rappresentano più di
metà dell’export del Paese settima potenza industriale del pianeta. Un fenomeno che ha dato un impulso
straordinario agli investimenti e alla tecnologia made
in Corea, a conferma che nell’economia che guarda al
futuro solo «grande è bello». Ma è anche un motore di
corruzione, pressioni indebite sulla politica e di scelte
manageriali all’insegna del nepotismo: le carriere in
Samsung o in Hyundai seguono, accanto (o sopra) la
logica del merito quella delle clientele familiari e dei
clan, con tutti i rischi del caso.
Nel 1987 il Paese seguì con il fiato sospeso il passaggio dello scettro del comand o in Samsung dal fondatore al figlio Lee Kun-hee. Ora la storia si ripete con
Gli ultimi
60 anni
per la Corea
del Sud
sono
la dimostrazione
che si può
passare
dalla miseria
più nera
al sorpasso
nei confronti
degli Usa che,
a questo ritmo,
saranno raggiunti
poco dopo il 2020
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l’ascesa, nel dicembre scorso, di Jay Y. Lee,
il nipote del fondatore, a vicepresidente di
Samsung. A 44 anni Jay Y. Lee, una laurea
in storia dell’Asia orientale più un Mba alla giapponese Keio University e un dottorato alla Harvard Business School, è già uno
degli uomini più potenti del mondo. A lui la
missione di trasformare Samsung da produttore focalizzato sui prodotti e sulla componentistica a provider di soluzioni tecnologiche a tutto tondo, così come suo padre
seppe traghettare una grande azienda low
cost a marchio tecnologico di riferimento nei
più importanti segmenti di mercato. Intanto Ted Chung, l’erede dell’impero Hyundai,
si sta dimostrando un genio del marketing
capace di cavalcare la febbre dei consumi.
A Seul circolano milioni di carte di credito
emesse dalla Hyundai Financi al Services,
un’altra idea geniale di Chung. Come funzionano? A chi compra un’auto Hyundai vengono regalati 2.000 punti da spendere in
prodotti Hyundai, prodotti che daranno diritto ad altri punti. E ad altre emozioni: solo i possessori dei punti necessari hanno
potuto assistere al concerto di Lady Gaga a
Seul, «la più bella emozione della mia vita»
assicura Chung, che pur essendo erede di
una d elle grandi dinastie dell’auto in
azienda si muove solo in bicicletta.
Anche questo si vede a Seul, 11 milioni
di abitanti, capitale della nazione con le
donne più belle d’Asia, e terra di una democrazia che, dopo la parentesi del dittatore Park Ching-hee, dal 1963 al 1979, sembra avere basi solide. Anche perché poggia
su un’equa distribuzione del benessere: l’indice internazionale Gini, che misura il divario di reddito tra ricchi e poveri, assegna
alla Corea del Sud un coefficiente di 0,31
punti, poco sotto le democrazie scandinave
ma davanti al Canada. Insomma, in mezzo
secolo o poco più si può passare dalla miseria più nera a vedere il sorpasso nei confronti degli Usa che, a questo ritmo, saranno raggiunti in quanto a reddito pro capite
poco dopo il 2020. Il miracolo è possibile.
Gr azie agli investimenti in cultura e formazione che magari sfociano nel gangnam
style.
•
Economia
A sud del Mediterraneo
L’Italia ha bisogno di attrarre capitali
stranieri. Tra le opportunità vi sono
le istituzioni finanziarie islamiche,
che però obbediscono a regole diverse
dalle banche convenzionali.
È tempo di conoscere meglio
caratteristiche e limiti del sistema
finanziario regolato dalla Sharia
di Ugo Bertone
(
(
In tempi
di credit crunch,
anche il mondo
islamico merita
più considerazione
come interlocutore
finanziario
Q
uali e quante società quotate alla
Borsa di Milano potrebbero esser
comprate da un fondo di investimento che risponde ai criteri della finanza islamica? Un gruppo di lavoro dell’Aiaf, l’associazione italiana degli analisti finanziari, ha cercato di dare una risposta alle domande selezionando, in un arco temporale che va dal 2002 al 2012, le aziende
italiane quotate che rientrano nella Sharia compliance. Il risultato è un paniere di
titoli di Borsa Italiana che raggiunge circa il 16 per cento dell’intero listino. Un
numero non molto alto, cosa che in effetti
non stupisce visto il ricorso storicamente
elevato alla leva finanziaria da parte delle
società italiane, ma non accettata dalle
norme islamiche.
Ma, prima di entrare nel merito, è
forse utile rispondere a questo: a quali criteri deve sottostare una società per essere
considerata politically correct ai sensi
della Sharia (in arabo «legge»), e che sacrifici si chiedono a un’azienda per rispettarne i dettami? La finanza islamica, in sintesi, è il risultato di una serie di concetti
morali, etici, di governance, limitativi ma
non vincolanti ai fini dell’attività di banca, che rimane nelle forme e negli strumenti, perfettamente legale e del tutto uguale
a quella tradizionale. La differenza fondamentale è che i principi della Sharia, fon-
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 25
Economia | A sud del Mediterraneo
Focus | Per saperne di più
e istituzioni finanziarie islamiche sono presenti in 65 Paesi con
asset oggi stimati per oltre un miliardo di dollari e tassi di crescita
intorno al 10-15 per cento negli ultimi anni. Si contano circa 350 istituzioni bancarie, 500 fondi d’investimento e 100 emittenti di sukuk (certificati, l’equivalente delle nostre obbligazioni, comprese quelle pubbliche). Le società assicuratrici (takaful) sono un’ottantina.
I principali operatori si distinguono in due tipologie. Di natura bancaria:
Islamic Commercial Banks (retail); Islamic Investment Banks (principalmente di natura wholesale); Islamic Subsidiaries (principalmente di
grandi gruppi multinazionali come Citibank, Hsbc, Ubs); Islamic Windows (alternativa all’apertura di sussidiarie). Di natura non bancaria:
Takaful Companies; Asset Management Companies; Islamic Investment Funds.
In genere il dato dimensionale sinora ha fatto riferimento ad operatori
di piccole dimensioni e di nicchia con bassa diversificazione geografica. Nei Paesi musulmani si va da sistemi finanziari totalmente islamizzati (Iran, Sudan) a sistemi misti (finanza islamica e convenzionale) sia
con regolamentazioni ad hoc (Malesia, Bahrein) sia in assenza di formale regolamentazione (Arabia Saudita). Nei Paesi occidentali sono
presenti strutture ad hoc di banche convenzionali: Regno Unito (Hsbc,
L
data sul Corano, sono del tutto essenziali e indispensabili per una banca islamica. «La finanza islamica»,
spiega Enrico Giustiniani, coordinatore della ricerca,
«è un modo di fare finanza, perfettamente legale e
ampiamente diffuso specie nei Paesi dove è prevalente la religione islamica, senza l’uso degli interessi
(ribà), proibiti dall’Islam. Il risparmiatore e il creditore partecipano al rischio d’impresa, condividendo
con la banca utili e perdite. Gli altri aspetti peculiari
sono: il divieto di pratiche economiche che implicano
incertezza o ambiguità (gharar), il divieto di speculazione (maisir), il divieto di investire in attività proibite dal Corano (haram), come attività bancarie convenzionali legate a interessi, alcool, tabacco, gioco d’azzardo, scommesse, società di biotecnologia coinvolte
nell’ingegneria genetica umana o animale, produzione di armi, assicurazioni sulla vita, produzione, lavorazione e ogni altra attività riguardante i suini».
La selezione delle aziende quotate in Borsa
compatibili con la finanza islamica, individuata dopo
alcune ponderazioni curate da Daniele Cappellini
(uno degli autori della ricerca, coordinata da Enrico
Giustiniani, assieme a Giancarlo Brugnani, Diego
Riccardi, Tatiana Eifrig, Alessandra Tami e Giuseppe
Rocca) ha un aspetto assai diverso dal paniere Ftse
Mib, da sempre dominato dalle banche, energia e le
26 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
Standard Chartered) Francia (Bnp Paribas) Svizzera (Ubs) Olanda (Anb
Amro) Usa (Citigroup).
La finanza islamica sta esprimendo le massime potenzialità in termini
di crescita e redditività nei sistemi bancari misti dove l’operatività trae
stimolo dalla presenza di banche convenzionali e da consolidamenti
dimensionali. È il caso della Malesia, degli Emirati Arabi Uniti ma anche dell’Inghilterra. La Malesia è per esempio. la sede della Islamic Financial Service Board, istituzione che definisce i criteri prudenziali e di
stabilità finanziaria e dove è stato sviluppato il primo mercato interbancario islamico. Le potenzialità di sviluppo di un mercato retail sono
particolarmente interessanti in Europa, dove alcuni Paesi (tra cui
l’Italia) sono oggetto di flussi migratori crescenti di popolazioni musulmane che tendono a stabilizzarsi (in alcune realtà come Regno Unito e
Francia siamo già alla terza generazione). Questa prospettiva è all’attenzione degli organismi di regolamentazione in Germania, Olanda,
Francia. Ma sinora è stata soprattutto l’Inghilterra a cogliere il carattere
innovativo del fenomeno e a predisporre le necessarie variazioni alla
normativa per far rientrare la finanza islamica nell’alveo della normativa finanziaria generale (in Malesia invece è stata predisposta una
normativa ad hoc).
n po’ in tutta Europa le banche si sono mosse verso
la finanza islamica. A cominciare dal Regno Unito,
dove il volume delle attività era di 509 miliardi di dollari
nel 2006 e ha raggiunto i 1.290 miliardi a fine 2011.
L’obiettivo per l’Italia potrebbe essere non tanto «fare» finanza
islamica ma far emergere le realtà italiane che soddisfino
i requisiti per diventare buone possibilità di investimento
per le istituzioni islamiche alla ricerca di buone opportunità
U
utility. In particolare, a fine 2012 la squadra risultava composta da: Acotel Group, B&C Speakers, Bonifiche Ferraresi, Cembre, Diasorin, Eni (fino al 2008),
Geox, L’Espresso, Luxottica, Marcolin, Mediaset, Nice, Parmalat, Recordati, Retelit, Sabaf, Saes Getters,
Saipem. Save, Società Aeroporto Toscano, Sorin, Tenaris, Tod’s eYoox. Insomma, oltre a includere aziende con un bassissimo indebitamento, l’indice ha favorito titoli a bassa capitalizzazione rispetto alle midcap e blue chip, con un particolare accento sui settori
dell’eccellenza italiana: un’alta percentuale è costituita da aziende operanti nei settori della moda e del
lusso, il così detto made in Italy (Geox, Tod’s, Luxottica, Marcolin, Recordati, e fino al 2011 anche Bulgari). Sono presenti inoltre le società che gestiscono gli
aeroporti di due delle principali città turistiche ita-
13
In Europa la popolazione musulmana tocca i
milioni.
nel 2008, si calcola saranno
milioni nel 2015
In Italia i musulmani erano oltre
di cui
in Europa, nessuna in Italia
Banche islamiche nel mondo:
per cento annuo
Tasso di crescita delle attività della finanza islamica:
per cento annuo
Tasso di crescita dei ricavi dell’Islamic Retail Banking negli ultimi cinque anni:
miliardi di euro, ricavi per
milioni di euro
Stime dell’Islamic Banking in Italia nel 2015: raccolta per
800.000
350
26
4,5
Una delle sale
della Karachi
Stock Exchange.
Karachi
è la capitale
economica
e finanziaria
del Pakistan,
dove hanno sede
molte
delle maggiori
banche
e istituzioni
finanziarie
del Paese
liane: Venezia (Save) e Firenze (Adf). In poche parole,
il portafoglio è rappresentato in larga parte da aziende marcatamente rappresentative dei prodotti italiani ad eccezione forse del settore food & drinks, escluso soprattutto per effetto della proibizione islamica
degli alcolici.
È la conferma che il mondo islamico, oltre a rappresentare da sempre un potenziale mercato di espansione per le nostre imprese, è anche un interlocutore
finanziario che dovrebbe meritare, ai tempi del credit
crunch, più considerazione. Per questo il paper dell’Aiaf dedicato alla creazione di «Un rating islamico per
le società italiane», non nasce da un obiettivo accademico bensì vuole essere un contributo pratico per aumentare l’appeal del nostro listino azionario (o più in
generale delle imprese di casa nostra) che stenta a
10-15
1,3
44
170
trovare interlocutori solidi, ma con un orizzonte di
più lungo termine rispetto ai private equity anglosassoni. Sono almeno tre, del resto, i motivi per cui l’azienda Italia dovrebbe prestare maggiore attenzione
al mondo della Sharia.
Il primo è l’intensità degli scambi: l’Italia è da sempre proiettata verso il Nord Africa e il Medio Oriente,
i cui Paesi rappresentano nell’interscambio commerciale una quota significativa della nostra bilancia dei
pagamenti. Quella di supportare il nostro export, e in
particolare quello delle piccole-medie imprese ancora
poco internazionalizzate, è un’esigenza cui hanno cercato di fare fronte Sace, Simest e la Cassa depositi e
prestiti che proprio alla fine del 2012 ha firmato con
la Qatar Holding Llc, tramite il Fondo strategico italiano Spa, una joint venture (IQ Made in Italy Ven-
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 27
Economia | A sud del Mediterraneo
Prospettive | Questioni irrisolte
o sviluppo della finanza islamica, specie nei sistemi misti, sconta una
serie di questioni ancora irrisolte che ne limitano la diffusione. Innanzitutto è necessario operare un cambiamento culturale nella logica
dei Paesi recipienti che veda tale mercato come un’opportunità di innovazione (sostanzialmente l’approccio inglese) e non come un rischio alla
stabilità. D’altro canto la finanza islamica presenta alcune peculiarità che
richiedono un’attenta considerazione sul piano normativo (rischi operativi-legali) e di corporate governance.
Questo perché si tratta di un tipo di finanza caratterizzata da una maggiore incidenza dei rischi di impresa rispetto a quelli classici di credito: all’interno dei rischi di mercato il rischio di interesse diventa irrilevante (quantomeno direttamente) mentre assume maggiore peso quello legato al
L
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’Associazione italiana degli analisti finanziari
ha selezionato, tra il 2002 e il 2012, le aziende
italiane quotate che rientrano nella Sharia compliance.
Il paniere di titoli raggiunge circa il 16 per cento
del listino. Il portafoglio è rappresentato
in larga parte da aziende importanti del made in Italy,
tranne che per il settore alimentare, che sconta
la proibizione islamica per gli alcolici e alcuni cibi
ture) per investire in aziende italiane leader. Ma a
questa attività non ha finora corrisposto un analogo
sviluppo dell’attenzione della finanza islamica, che
pure ha trovato terreno fertile nel Regno Unito.
Il secondo motivo è la scoperta di un nuovo bacino
di utenti. Attualmente la maggior parte dei musulmani europei gestisce le proprie attività finanziarie
attraverso le banche convenzionali, anche perché i
principali fornitori di servizi finanziari islamici non
sono presenti nel mercato al dettaglio. La maggioranza si serve di grandi istituzioni anziché utilizzare
www.apvd.it
L
prezzo delle commodity o di attività immobiliari, per il fatto che le banche
islamiche tendono ad avere nel proprio attivo un ammontare relativamente superiore di attività reali; i potenziali vantaggi in termini di profittabilità vanno a scapito di maggiori rischi di liquidità per motivi endogeni
(caratteristiche degli impieghi) ed esogeni (struttura del mercato).
Di riflesso, gli organismi multilaterali islamici, Accounting and Auditing
Association for Islamic Financial Institutions (Aaoifi) stanno svolgendo
una consistente attività di «institution building» volta a fornire maggiori
certezze al mercato attraverso la standardizzazione dei contratti, lo sviluppo di mercati interbancari, il contenimento dei problemi di «legal enforceability» e anche di disomogenea interpretazione da parte degli Sharia board.
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di Commercio di Riyad,
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economico dell'Arabia Saudita,
votano per il rinnovo
della presidenza dell’ente
Economia | A sud del Mediterraneo
I
l sistema
finanziario
islamico
è l’insieme
di istituti
giuridici,
strumenti
finanziari
e imprese
conformi
ai dettami
e alle tradizioni
della Sharia.
La finanza
islamica
si fonda
sui precetti
giuridici
influenzati
dalla religione,
tra i quali
il divieto
di pagamento
degli interessi
e il divieto
di speculazioni
e incertezze
nei contratti
piccole banche e solo pochi utilizzano le filiali europee delle banche islamiche. Ma un po’ in tutta Europa
le banche si sono mosse nei confronti di un segmento
di mercato nuovo e potenzialmente assai interessante. In Italia, a dire il vero, per ora si è mosso ben poco.
Anche se ci sono stati numerosi convegni per lo più
incentrati sulle possibilità normative e di vigilanza
bancaria di aprire uno sportello islamico nel nostro
Paese. Un dibattito che ha comunque avuto tiepidi
riscontri dal mondo bancario italiano, a differenza
che in Francia, Inghilterra e Germania, cosa comprensibile perché il Belpaese, a differenza delle realtà citate, vanta una comunità di immigrati musulmani di prima generazione, per lo più con bassi livelli di
reddito che esprimono una domanda rivolta essenzialmente a servizi di base non finanziari come le rimesse e gli strumenti di pagamento.
Infine, da non dimenticare l’importanza dell’opportunità di attrarre investimenti. Come suggeriscono gli autori, è legittimo pensare che «la finanza islamica possa essere invece un efficace mezzo per poter
attirare gli investimenti islamici in Italia». Non è una
partita di poco conto, se si pensa che, secondo le stime
dello United Kingdom Islamic Finance Secretariat, il
volume delle attività in Gran Bretagna era di 509 miliardi di dollari nel 2006 e ha raggiunto i 1.290 miliardi a fine 2011. In questa cornice, dunque, l’obiettivo non è «fare» finanza islamica in Italia, ma piuttosto far emergere le realtà italiane che soddisfino i
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restrittivi requisiti tali da rappresentare delle possibilità di investimento per le istituzioni islamiche (fondi
sovrani, banche, Sgr e altri) alla ricerca di buone opportunità.
Tornando all’elenco delle imprese italiane quotate
in Borsa ricavato applicando al listino i fondamenti
della finanza islamica, ne risulta un portafoglio che
ha registrato nel medio termine un risultato lusinghiero: il 40 per cento in più rispetto al benchmark di riferimento, cosa che non stupisce vista la propensione
dei fondi islamici a investire in società poco indebitate, cosa che rende la selezione interessante anche per
quegli investitori di medio-lungo termine che cercano
un investimento azionario non particolarmente rischioso, come la clientela istituzionale o quasi-istituzionale (fondi pensione, fondazioni). Ma l’aspetto più interessante, dal punto di vista delle imprese, riguarda le
caratteristiche che deve presentare un’offerta adeguata a sollevare l’attenzione dei possibili investitori. Da
un punto di vista qualitativo, infatti, dai risultati della ricerca emerge che, anche se l’industria Italiana è
stata duramente colpita dalla crisi, ha ancora un grande potenziale di crescita e che le eccellenze italiane possano rappresentare un’importante opportunità per i
fondi islamici attualmente totalmente trascurata, rappresentando anche un importante elemento di stimolo
e di crescita per la ripresa del nostro sistema produttivo. Per una società italiana essere inserita in un indice islamico e superare il difficile esame di «compati-
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Economia
bilità Sharatica», oltre a dare la potenziale possibilità di accedere a un mercato enorme come quello islamico, potrebbe essere l’occasione per un’apertura e una capacità di dialogo verso una diversa cultura, e un ulteriore «biglietto da visita» per
gli investitori osservanti che vorrebbero investire in Italia.
D’altro canto, avvicinarsi alle modalità
di investimento islamiche, può rappresentare anche un’ottima oppor tunità per
quelle società, attualmente più indebitate
e di fatto escluse dal paniere, che siano
presenti sui mercati mediorientali e che
cerchino investitori esteri per ridurre poi
il proprio indebitamento o formare joint
venture con essi. O per sviluppare la ricerca. È il caso, per esempio, dell’industria farmaceutica, a proposito della quale, nota
Alessandra Tami, professore associato di
Bilancio e analisi economico-finanziaria all’Università Milano Bicocca, «non si può non
rilevare la necessità di poter contare su risorse adeguate che non possono non derivare dal capitale di rischio nelle diverse forme che possono arrivare alle aziende. Compresi i fondi etici e quelli islamici, possibile alternativa coerente con la mission dell’impresa e le aspettative degli investitori».
Per finire, un accenno alla madre di tutte le questioni: il debito pubblico italiano.
Con alcuni accorgimenti legislativi, suggerisce il paper, il Tesoro potrebbe diversificare i propri strumenti di debito con l’emissione di obbligazioni islamiche (sukuk), un
mercato fortemente liquido (nell’ordine dei
200 miliardi di euro) alimentato soprattutto dai Paesi del Golfo, ma afflitto dalla scarsità di emittenti e dall’assenza di Paesi Ue.
Può essere una buona idea quella di muoversi, una volta tanto, per primi, anche perché i precetti della Sharia sono più che compatibili e coerenti con la necessità di rilanciare la crescita e ridurre in maniera significativa la massa del debito pubblico. La finanza islamica può essere un alleato prezioso per raggiungere due obiettivi: il finanziamento di opere pubbliche e le cartolarizzazioni del patrimonio immobiliare pubblico. Una volta tanto, insomma, un po’ di reattività finanziaria non guasterebbe.
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L’intervista | Il giornalista e uomo d’impresa
Antonio Calabrò, giornalista economico
oggi direttore della Fondazione Pirelli, approfondisce il legame
tra industria e capacità di sviluppare idee in tutti i campi
Fare impresa
è fare
CULTURA
Lo schema dell’impresa che destina una parte dei suoi profitti a finanziare le arti non funziona più.
Milano è una buona fucina per mostrare quanto la cultura d’impresa sia cultura a pieno titolo.
È nel mondo del lavoro, tra impegno intellettuale e attività industriale, che si sperimentano
sintesi originali e si tracciano ipotesi di un migliore sviluppo economico e sociale
di Massimiliano Panarari
C
ultura d’impresa, e impresa che fa cultura. Due binomi molto stretti, di cui,
nel corso della sua storia gloriosa, è testimonianza l’azienda fondata nel
1872 da Giovanni Battista Pirelli, e resa grande da Alberto e Leopoldo, e da
oltre vent’anni guidata da Marco Tronchetti Provera, che ne ha rafforzato le radici
milanesi e contemporaneamente ampliato gli orizzonti internazionali. Industria,
dunque. E, strettamente connesso, intenso lavoro intellettuale. La prima impresa
italiana della gomma, dagli anni Cinquanta del Novecento, è quella del poeta-ingegnere Leonardo Sinisgalli, uomo di punta della cultura Pirelli, prima di andare a dirigere la rivista «Civiltà delle macchine», originale luogo d’incontro tra scienza, tecnologia e arte; e di Giuseppe Luraghi e di Vittorio Sereni. L’azienda milanese «produce» la famosa «Rivista Pirelli», nata le 1948 e nelle cui pagine vengono ospitati,
tra i tanti, Giulio Carlo Argan, Dino Buzzati, Italo Calvino, Gillo Dorfles, Umberto
Eco, Eugenio Montale, Quadri, Salvatore Quasimodo, Elio Vittorini. E realizza collaborazioni artistiche, dalla grafica alla fotografia e alla pittura, con Renato Guttuso, Bruno Munari, Bob Noorda, Ugo Mulas, Alessandro Mendini. È la società che
commissiona e dà il nome al primo grattacielo italiano degno di questo nome, chia-
34 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
Pirelli è ormai un’icona delle arti visive a tutto campo:
dall’archivio fotografico aziendale che racconta i suoi 140 anni di vita,
ai famosi calendari, alle sponsorizzazioni di eventi artistici e culturali
Area di collaudo
dei cavi nella sede
della Pirelli General Cable
di Eastleigh, vicino
a Southampton, 1965
L’intervista | Il giornalista e uomo d’impresa
Il profilo | Dai mass media all’impresa
A
ntonio Calabrò è nato a Patti, in provincia di Messina, nel 1950. È
direttore della Fondazione Pirelli e senior vicepresident Cultura di
Pirelli. Membro del comitato di presidenza di Assolombarda (come
consigliere con delega alla legalità e alla responsabilità sociale d’impresa), è vicepresidente del Centro per la cultura d’impresa, consigliere d’amministrazione della Fondazione HangarBicocca, dell’Università
di Genova, di Nomisma, dell’Orchestra Verdi di Milano e membro dei
board di una serie di società e fondazioni.
Nasce come giornalista economico e la sua carriera si è svolta nei più
importanti mass media italiani. È stato direttore dell’Agenzia di
Stampa «Apcom», editorialista economico de «La 7», direttore editoriale del gruppo «Il Sole 24 Ore» e vicedirettore del quotidiano. Ha
Macchinari
per la fabbricazione
degli pneumatici,
stabilimento
Pirelli di Milano,
anni Settanta
mando due star di prima grandezza come Giò Ponti e
Pier Luigi Nervi. E tanto altro ha fatto in questi lunghi decenni, fino ai giorni nostri dell’HangarBicocca.
Per parlare di questa sua vocazione speciale, e del
lavoro della Fondazione Pirelli, abbiamo incontrato,
nella sede del quartier generale milanese, alla Bicocca, interessata da vari anni da un grande lavoro di riqualificazione postindustriale, il suo direttore Antonio Calabrò, che è anche senior vicepresident Cultura di Pirelli e membro della presidenza di Assolombarda (l’associazione degli industriali milanesi presieduta da Gianfelice Rocca) dove ricopre il ruolo di consigliere incaricato con la delega alla legalità e alla responsabilità sociale d’impresa. «Le imprese», dice a
proposito Calabrò, «hanno bisogno di legalità per svilupparsi, mentre l’illegalità penalizza durissimamente le persone perbene e avvantaggia i tipi più spregiudicati e pronti a violare le regole. La legalità, per come la intendo io, deve essere tanto cornice di riferimento che scelta di comportamento. Perché senza legalità non si ha mercato, non si ha concorrenza, non
si ha riconoscimento del merito, e non arrivano investimenti internazionali. Una delega, la mia, che trova nell’idea di sostenibilità, variamente declinata,
una delle fonti fondamentali di ispirazione del nostro
mandato in Assolombarda».
Direttore Calabrò, qual è la sua idea e quale la visione
della Fondazione Pirelli a proposito dell’intreccio tra impresa e cultura?
«Noi pensiamo che lo schema tradizionale del “mecenatismo” (l’impresa ha i soldi e finanzia le arti, che
le sono sostanzialmente estranee) non vada più bene.
A funzionare, invece, è la strategia dei progetti comu-
lavorato a «La Repubblica», «Il Mondo» e
«L’Ora»; ha diretto il settimanale «Lettera
Finanziaria» e il mensile «Ventiquattro».
Insegna all’Università Bocconi e all’Università Cattolica di Milano.
Tra i suoi saggi: «Da via Stalingrado a
Piazza Affari. Storia dell’Unipol» (Marsilio,
1988), «Agnelli. Una storia italiana» (Rizzoli,
2004), «Intervista ai capitalisti» (Rizzoli,
2005), «Orgoglio industriale» (Mondadori, 2009), «Cuore di cactus»
(Sellerio, 2010) e «Bandeirantes. Il Brasile alla conquista dell’economia mondiale» (con Carlo Calabrò, Laterza, 2011).
«Nel rapporto
tra impresa
e cultura è radicata
la robusta valenza
culturale
della ricerca
scientifica
e della
tecnologia»,
osserva Antonio
Calabrò, «dove
l’“innovazione”
ha connotazioni
che investono
i nuovi prodotti
e i nuovi sistemi
di produzione,
ma anche
i linguaggi,
le relazioni
industriali
e di lavoro,
le regole con cui
si governa
un’azienda,
i rapporti
tra l’impresa
e i territori
in cui si sviluppa
l’attività
economica»
Grattacielo
Pirelli
in costruzione
(1959)
Stabilimento Pirelli Bicocca,
sala mescolatori, 1922
ni. Milano come grande capitale culturale, infatti, è
un sistema fatto dalle sue imprese (innovative nei prodotti, nei sistemi di produzione e nei linguaggi di comunicazione), dai suoi giornali, dalle sue case editrici, dalle sue università, dai centri di ricerca, dalle fondazioni e dalle istituzioni vive nel mondo dell’economia, della musica, del teatro, dell’arte. L’idea forte che
anima il lavoro della Fondazione Pirelli è che “impresa è cultura”, sottolineando cioè un passaggio ulteriore e in più rispetto al tradizionale accostamento di
“impresa e cultura”. Meglio ancora, segnando un cambiamento radicale. Perché insistere sul concetto che
fare impresa significhi, contestualmente, fare cultura, vuole dire sottolineare la robusta valenza culturale, appunto, della ricerca scientifica e della tecnologia, dando al termine “innovazione” una lunga serie
di connotazioni che investono i nuovi prodotti e i nuovi sistemi di produzione, la sperimentazione dei materiali, le nuove combinazioni chimiche e fisiche, ma
anche i linguaggi (dalla comunicazione al marketing),
le relazioni industriali e di lavoro, le regole attraverso cui si governa un’azienda, i rapporti tra l’impresa
e i territori in cui si sviluppa l’attività economica. Cul-
«Cultura è scienza, ricerca, tecniche di produzione, relazioni creative
tra le persone», continua Calabrò. «Cultura è il loro racconto,
con tutti gli strumenti artistici a disposizione. Lo testimonia
tutta la declinazione dei rapporti tra imprenditori e intellettuali
sino ai giorni d’oggi. Milano rappresenta l’area del nostro Paese
che può mettere insieme le varie espressioni della cultura
manifatturiera italiana: la più contemporanea, innervata
di marketing, comunicazione e servizi. Le due principali capitali
nazionali del settore manifatturiero sono proprio Milano
e Bologna, intese come metropoli, esempi di “città regione”»
tura d’impresa, in altri termini, come cultura a pieno
titolo, con tutto il carico dei simboli, dei valori e delle
responsabilità che questa definizione comporta. Perché proprio nel mondo del lavoro, tra impegno intellettuale e attività industriale, si cercano e si sperimentano originali sintesi, che attraverso il recupero della
memoria, consentono di tracciare ipotesi futuribili di
migliore sviluppo economico e sociale».
Quali sono i campi e gli ambiti in cui opera la fondazione
da lei diretta?
«La Fondazione Pirelli nasce nel 2009 dalla consa-
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 39
L’intervista
pevolezza che il ricco patrimonio dell’impresa rappresenta un valore importante non solo per sé, ma per
tutta la società. Tra i suoi obiettivi annovera la salvaguardia del patrimonio storico dell’azienda e la promozione della sua cultura d’impresa attraverso attività espositive, pubblicazioni, convegni e iniziative di
collaborazione con altre istituzioni culturali. L’edificio della fondazione custodisce l’Archivio storico, costituito dall’equivalente di oltre tre chilometri lineari
di documenti, progressivamente restaurati e resi fruibili al pubblico e ai ricercatori. Comprende l’archivio
d’impresa (ovvero tutta la documentazione prodotta
dalle diverse funzioni aziendali nel corso dei 140 anni
di storia aziendale), una biblioteca tecnico-scientifica
che conta oltre ventimila volumi, circa 700.000 immagini fotografiche, migliaia di disegni, manifesti, bozzetti originali e oltre 500 audiovisivi, nonché l’archivio personale di Alberto e Leopoldo Pirelli. Tra i progetti più significativi realizzati dalla nostra fondazione, posso citare un ciclo di iniziative collegate: la mostra e la pubblicazione “Workers” (2010), consacrate
ai lavoratori di Settimo Torinese raccontati attraver-
HangarBicocca
è un centro di arte
contemporanea
realizzato
da Pirelli
attraverso
la Fondazione
omonima.
Nel primo anno
di attività, dopo
la ristrutturazione
e il rilancio
avvenuti nel 2012,
ha ospitato
numerose mostre
internazionali,
con oltre
200.000 visitatori.
«L’arte
contemporanea»,
spiega Calabrò,
«meglio di altri
linguaggi
riesce a trasferire
quei valori
di sperimentazione,
apertura
alla diversità,
capacità
di interpretare
il futuro, ricerca
dell’eccellenza
che si collocano
tra i principi
fondanti
della cultura
d’impresa Pirelli»
so gli scatti del fotografo Carlo Furgeri Gilbert; la
raccolta delle testimonianze di decine di operai e tecnici nella fase di transizione dal vecchio al nuovo stabilimento, pubblicate nel volume “Voci del lavoro” curato dalla storica Roberta Garruccio; infine, proprio
sulla base di quelle testimonianze, lo spettacolo “Settimo”, prodotto dal Piccolo Teatro di Milano con la regia di Serena Sinigaglia (2012). E ancora, l’esposizione “L’anima di gomma” (Triennale di Milano, 2011)
sulla storia della moda di Pirelli e costruita con tecnologie multimediali d’avanguardia in grado di fare dialogare i materiali storici con la creatività dei nostri giorni. L’impegno di Pirelli a supporto dell’arte e della
cultura in Italia è caratterizzato anche dalle collaborazioni con istituzioni culturali quali la Triennale di
Milano, la Pinacoteca di Brera, il Fai, la Milanesiana,
la collezione Peggy Guggenheim. Nel mondo musicale e teatrale, Pirelli è partner del Teatro Franco Parenti, del Piccolo Teatro di Milano, del Festival internazionale della musica MiTo e dell’Orchestra da camera italiana diretta dal maestro Salvatore Accardo.
In un’ottica di rete e valorizzazione delle sinergie sul
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 41
L’intervista
territorio, da noi ritenuto fondamentale, a
differenza di quanto andava per la maggiore ancora non molto tempo fa, Pirelli è
partner istituzionale della Fondazione Istituto per la storia dell’età contemporanea (Isec) e della Cineteca italiana-Museo
interattivo del cinema».
Perché Milano, a suo giudizio, ritorna centrale in questa fase della storia e dell’economia?
«Parlare di impresa e parlare di cultura non è fare discorsi su entità separate,
ma ragionare della stessa cosa. E proprio
nella storia di Milano, la “cultura politecnica”, che è preziosissima, si è affermata
nel corso del tempo. Ed è ancora adesso
d’attualità: “Milano Politecnica” si chiama, non a caso, uno dei progetti presentati da Assolombarda per l’Expo. Cultura è
scienza, ricerca, tecniche di produzione,
relazioni creative tra le persone. Cultura
è il loro racconto, con tutti gli strumenti
artistici a disposizione. Ne sono stati esempi, in altri tempi, figure come Carlo
Cattaneo e, più vicino a noi, Vittorini e
Sinisgalli. E lo testimonia tutta la declinazione dei rapporti tra imprenditori e
intellettuali, sino ai giorni d’oggi. Milano,
delle tante aree che compongono il nostro
Paese, rappresenta quella che può mettere insieme le varie espressioni della cultura manifatturiera italiana, e di una manifattura molto contemporanea, innervata
di marketing, comunicazione e servizi. Le
due principali capitali nazionali del settore manifatturiero, nella sua accezione larga, sono infatti proprio Milano e Bologna,
intese come metropoli, esempi di “città regione”.
Nella metropoli lombarda, infatti, il
concetto di innovazione viene declinato in
tanti modi differenti, e tutti di portata
significativa e originale: dalle novità nelle
strategie di marketing a una quota crescente di donne nel management e ai vertici aziendali, dal lavoro di sperimentazione sui materiali alla costituzione di consigli d’amministrazione con un’elevata presenza di membri indipendenti (Pirelli ne è
un esempio), dalla collaborazione tra arti-
sti e ingegneri a modalità diverse nelle relazioni con i
sindacati, da uno spettacolo al Piccolo Teatro costruito a partire dalle storie dei lavoratori, fino a una sottolineatura dell’importanza di un calcolo del tempo
diverso da quello delle trimestrali di Borsa: il tempo
lungo dell’industria e non quello speculativo e frenetico della finanza d’assalto. E la forza di Milano, non
va assolutamente dimenticato, è anche quella di possedere molte imprese esposte sui mercati internazionali, che devono reagire il più prontamente possibile
a ogni cambio di scenario. E, quindi, devono poter
contare su di una struttura seria di programmazione
degli investimenti e di controllo dei costi e riuscire ad
aumentare la produttività e l’efficienza. Il che significa imparare a fare di più, e meglio, con meno. In altre
parole, molte delle imprese milanesi e, più in generale, italiane sono flessibili ai cambiamenti e cioè “resilienti” (tanto per usare un termine adesso di moda, adottato da tanti pure all’ultimo vertice del World Economic Forum di Davos) anche senza sapere di esserlo».
Nel quadro dell’impegno decisamente a largo raggio di
Pirelli nel mondo della cultura, il vostro fiore all’occhiello coincide con l’esperienza, di livello autenticamente
internazionale, di HangarBicocca? Qual è la sua specificità nel panorama italiano e mondiale delle istituzioni
artistiche private?
«Pirelli è socio fondatore promotore della Fondazione HangarBicocca, un progetto di ampio respiro
Calabrò è membro
della presidenza
di Assolombarda
con delega
alla legalità
e alla Rsi.
«La legalità
deve essere
tanto cornice
di riferimento
quanto scelta
di comportamento»,
spiega il manager.
«Senza legalità
non si ha mercato,
concorrenza,
riconoscimento
del merito
e non arrivano
investimenti
internazionali»
che vede l’azienda impegnata a lungo termine per la
creazione di un centro di arte contemporanea, aperto
gratuitamente e in dialogo con la città e il territorio.
L’arte contemporanea, meglio di altri linguaggi, riesce a trasferire quei valori di sperimentazione, apertura alla diversità, capacità di interpretare il futuro,
ricerca dell’eccellenza che si collocano tra i principi
fondanti della cultura d’impresa Pirelli.
HangarBicocca, nel corso dei suoi primi dodici
mesi di attività dopo la ristrutturazione e il rilancio,
avvenuti nell’aprile del 2012, ha ospitato numerose
mostre internazionali e più di duecentomila visitatori. È gestito da un team guidato dalla general manager Alessia Magistroni, dirigente della Cultura di Pirelli e della Fondazione Pirelli, riprova di un radicamento dell’Hangar nel solco della cultura d’impresa
“pirelliana”. Per il periodo 2013-2016 ha come artistic
advisor Vicente Todolí (già direttore della Tate Modern
di Londra), accanto a un curatore attivo e ben legato
ai nuovi fenomeni contemporanei come Andrea Lissoni. Ed è insomma la dimostrazione concreta del fatto che lo scambio vitale tra l’universo dell’impresa e la
ricerca culturale rappresenta, ancora oggi, un’opportunità importante per il raggiungimento di risultati
d’eccellenza culturali e d’attività industriale di grande respiro».
L’ultimo dei «prodotti» ai quali si è dedicato (scrivendone
anche l’introduzione) è «Fabbrica di carta. I libri che rac-
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 43
L’intervista
L’innovativo
’innovativ
smontagomme
con inclinazione
dell’autocentrante
“Non possiamo
pretendere che
le cose cambino,
se continuiamo
a fare le stesse
cose
”
A. Einstein
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contano l’Italia industriale», edito da Laterza e curato da Giorgio Bigatti, direttore
dell’Isec e docente alla Bocconi, e Giuseppe
Lupo, professore alla Cattolica. È un’antologia della letteratura italiana che racconta il
lavoro nell’industria. Stando a una certa vulgata, che ha (sfortunatamente) ancora molto credito, qualcuno potrebbe dire che si tratta di una scelta rétro e vecchia. In buona sostanza, si può ancora parlare di fabbrica in un
Paese e in un pianeta fattisi postmoderni?
«“Fabbrica” è stata una parola desueta
per un periodo anche troppo lungo. Tuttavia, a dire il vero, questo accadeva fino
a poco tempo fa. Fabbrica era sinonimo di
luogo sporco, “cattivo” e faticoso, con molti giovani che tuttora le preferiscono perfino il call center, mentre nel discorso
pubblico imperavano le teorie (o, forse,
meglio, le ideologie) del tramonto irreversibile e definitivo della old economy dei
settori industriali “maturi”, destinati a
essere scalzati da finanza, terziario avanzato e anche soft economy. Siamo, a ben
guardare, un Paese che ha una bassissima cultura economica e, al contempo,
una presenza produttiva estremamente
diffusa: il che significa che stiamo attravers ando una gran de confusione dal
punto di vista dell’identità. La realtà,
però, è molto più complessa delle semplificazioni un po’ schematiche di taluni.
E, così, la grande crisi esplosa nel
2007, radicata in una serie di eccessi di
debito (con i conseguenti squilibri finanziari e sociali), ha riportato alla ribalta la
centralità dell’economia reale. E, dunque, dell’industria, della manifattura e
della fabbrica. Tra “local” e “global” si definiscono così nuove strade: come il “glocal”, un impasto, noto da qualche tempo,
di globale e locale, per parlare di attività
imprenditoriali con salde radici nel territorio d’origine e occhi attenti ai mercati
internazionali. E, di recente, ecco un nuovo fenomeno: la “rilocalizzazione”, vale a
dire il ritorno di attività industriali nelle
aree d’origine , dopo la stagione della “delocalizzazione”. Si fa di nuovo industria
in Europa; e specialmente negli Stati Uniti. Proprio lì, nel corso degli ultimi tre
anni, il manifatturiero ha creato circa
500.000 nuovi posti di lavoro. E le politiche economiche del presidente Obama
hanno sostenuto la rinascita o il rafforzamento dell’industria dell’auto (e di tutto
il comparto “automotive”) e di parecchi
altri settori.
Contrordine, insomma. Fare vivere le
fabbriche, nelle nazioni di antica tradizione industriale e a elevato costo del lavoro,
si può. E si deve. Viene dalla manifattura, infatti, un contributo solido e di lunga
durata sia al Pil sia agli equilibri sociali
ed economici diffusi (una struttura industriale che innerva ampi territori è come
un reticolo di radici che tengono compatto e solido il terreno, evitando frane, fratture, smottamenti). E attorno alla manifattura maturano nuove competenze, saperi, culture che sono motore di ricchezza
diffusa, continuamente rinnovabile (a patto, naturalmente, di investire su formazione e ricerca, capitale umano e diffusione tecnologica). La fabbrica è cultura e
tesse la trama dei tessuti sociali. Fonte di
ricchezza (appunto il Pil), ma anche di relazioni dense di solidarietà e futuro (quel
buon “capitale sociale” che contribuisce
al nuovo indice Bes, “Benessere equo e sostenibile”).
Ecco, scrivere di industria significa
scrivere di complessità. Precisamente da
queste considerazioni è scaturita la scelta di Assolombarda di fare raccogliere a
due competentissimi storici e studiosi
della cultura d’impresa le pagine più
significative degli scrittori italiani che
hanno raccontato i percorsi di produzione
e di lavoro, oltre a quei conflitti di cui,
come ci ha insegnato il grande intellettuale liberale Ralf Dahrendorf, risulta
intessuta la società industriale. Non soltanto per rammentare e difendere un
“come eravamo” di grande qualità e spessore e un “orgoglio industriale” assai ben
riposto e fondato, ma anche e soprattutto
per ritrovare, nella parola letteraria, le
ragioni di una crescita del nostro sistema
Paese che, pur nel difficilissimo contesto
globale attuale, ha ancora parecchie carte da giocarsi».
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i protagonisti del dibattito:
Simone Spetia, capo servizio news
di Radio 24,
Giuseppe Recchi, presidente di Eni.
Paolo Mieli, presidente di Rcs Libri,
Patrizio Bianchi, assessore
alla Scuola e lavoro
della Regione Emilia-Romagna
In alto: Pietro Ferrari,
presidente di Confindustria
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46 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
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Eventi | Assemblea
La relazione del presidente
La centralità
dell’impresa
S
iamo a un anno esatto dall’immane
tragedia che ha colpito il nostro territorio: il sisma del 20 e 29 maggio
2012. E il mio primo doveroso pensiero è rivolto a tutte le vittime di questa terribile calamità. Ma in special modo va al nostro collega Mauro Mantovani. Il suo coraggio e il
suo esempio non sono stati spesi invano. Anzi, hanno rappresentato un punto di riferimento costante per i suoi famigliari e i suoi
collaboratori, che non hanno gettato la spugna. Tanto che oggi posso affermare con orgoglio che la Aries, la sua azienda, è fra le
tante imprese che hanno ripreso il cammino della produttività. Ma riandando col pensiero a quei terribili giorni non riesco a cancellare dalla mente i volti tesi e cupi di tanti colleghi così duramente colpiti. Ricordo
la forte preoccupazione, nel raccontare il
dramma che stavano vivendo, ma ricordo
altrettanto bene la loro caparbia lucidità
nell’elencare le priorità per superare l’emergenza e soprattutto la loro straordinaria determinazione nel volere immediatamente ricominciare.
Perché i nostri imprenditori sono fatti così:
sono uomini e donne che guardano dritto
all’obiettivo, senza piangersi addosso; che
dopo il terremoto hanno avuto in mente
una cosa sola, rimettere in piedi le loro
aziende. E nonostante la situazione sia ancora piena di ostacoli da superare, una
gran parte di loro ce la sta facendo, come
dimostra il video che abbiamo voluto rea-
48 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
Il bilancio a un anno dal sisma.
I dati sull’andamento
dell’economia locale.
Le richieste alla classe politica
per il futuro di Modena
e del Paese. Ecco i temi toccati
da Pietro Ferrari, presidente
degli industriali modenesi
lizzare come testimonianza.
Il contesto economico
Sono giunto ormai al quinto anno di
presidenza di Confindustria Modena. Il
prossimo anno passerò il testimone. Per i
susseguirsi degli accadimenti, sia a livello
internazionale sia locale, non posso certo
dire che si è trattato di un quinquennio
semplice. Ma soprattutto gli ultimi 12 mesi
sono stati particolarmente difficili, se non
addirittura angoscianti. L’economia del
Paese versa in difficoltà molto gravi.
Bastano pochi dati per tratteggiare una
fotografia a tinte fosche.
Dal 2007 a oggi il Pil è diminuito dell’8
per cento. In cinque anni abbiamo perso
230 miliardi di euro. Sempre dal 2007 l’occupazione è diminuita di 1,5 milioni di
unità e il tasso di disoccupazione è raddoppiato. E se leggiamo il Rapporto annuale
Istat 2013, non possiamo rimanere indiffe-
renti: 15 milioni di persone versano in difficoltà economica, uno su quattro è in condizione di deprivazione, e il 40 per cento di
questi italiani si trova nel Mezzogiorno. Oltre due milioni di giovani tra i 15 e i 29 anni
non lavorano né studiano e l’Italia ha la
quota più alta d’Europa, pari al 23,9 per
cento. Inoltre, crolla il potere d’acquisto:
meno 4,8 per cento, cioè il dato più grave
dall’inizio degli anni Novanta. La tenuta sociale viene messa a dura prova. Il pessimismo e la mancanza di certezze per il futuro
colpiscono particolarmente i ceti più deboli
e in special modo i giovani, che si vedono
preclusa qualsiasi possibilità di ascesa
sociale.
L’impresa e il lavoro
Ecco le ragioni per le quali dobbiamo ribadire con forza la centralità dell’impresa
e il valore che porta con sé. Valore economico, come ovvio ed evidente, ma anche valore sociale e comunitario, come non ci stanchiamo di sottolineare. Anzi, un valore che
diventa determinante in una lunga congiuntura come quella in cui ci troviamo immersi. Questi anni di finanziarizzazione e
smaterializzazione selvaggia dell’economia hanno dimostrato che solo l’impresa sa
garantire la creazione di valore sostenibile
e duraturo nel tempo, perché solo le imprese oggi in Italia possono creare lavoro.
Nelle nostre terre il lavoro è un filamento autentico del codice genetico collettivo,
Vogliamo ribadire con forza il valore
dell'impresa: valore economico,
ma anche sociale e comunitario.
Questi anni di smaterializzazione
selvaggia dell’economia
hanno dimostrato che solo l’impresa
sa garantire la creazione di valore
sostenibile e duraturo nel tempo,
perché solo le imprese oggi in Italia
possono creare lavoro
quello che ci accomuna tutti, al di là del
ruolo specifico svolto all’interno di imprese
grandi e piccole. Costituisce il fattore determinante per la produzione della ricchezza
e la promozione del benessere e, al tempo
stesso, quello da cui dipende la coesione sociale. La mancata occupazione mette contemporaneamente a rischio i consumi e la
tenuta del corpo sociale. Per questo non
dobbiamo stancarci di ripetere con tutte le
nostre forze che in questo momento la priorità consiste nel creare lavoro e nel fare
ripartire la crescita, così tanto trascurata
in questi anni.
I provvedimenti per la crescita
Perché, a dispetto di quanto sostengono
i teorici della decrescita e i profeti di sventura, riteniamo che crescere sia ancora
possibile. Anche se dovremo farlo con stili e
modalità certamente non prevedibili solo
qualche anno fa.
Gli snodi su cui intervenire sono noti a
tutti. Confindustria, consapevole del fatto
che serve una forte scossa al Paese, ha proposto al governo una serie di misure concrete per l’aumento rapido del tasso di crescita e dell’occupazione. Innanzitutto l’alleggerimento del carico fiscale sul doppio
fronte delle imprese e dei salari dei lavoratori, che al momento rappresenta effettivamente una urgenza assoluta.
Nel 2012 il cuneo fiscale ha raggiunto
oltre il 53 per cento del costo del lavoro.
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 49
Eventi | Assemblea
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• 1 Giorgio Bellucci, Gian Marco
Messori ed Elena Salda
• 2 Il senatore Carlo Giovanardi
• 3 Franco Cocchi e l’arcivescovo
di Modena Antonio Lanfranchi
• 4 Daniele Banderia, Giuliana Gavioli
e Nicoletta Razzaboni
• 5 Vincenzo Cremonini, Giuseppe
Molinari e Sergio Sassi
• 6 Il comandante dei carabinieri
Stefano Savo, il comandante
della Guardia di Finanza Michele Pallini
e i parlamentari Stefano Vaccari
e Manuela Ghizzoni
• 7 Ivano Passini
• 8 Il presidente di Confindustria
Modena Pietro Ferrari e il direttore
Giovanni Messori
Questo significa che più della metà di quello che le imprese pagano ai lavoratori va
nelle casse dello Stato. Allora mi chiedo: sarebbe un’idea così folle pensare a un piano
che in cinque anni porti ad abbattere questo cuneo? Basterebbe decidere di eliminare il costo del lavoro dalla base imponibile
Irap e tagliare di almeno 11 punti gli oneri
sociali che gravano sulle imprese manifatturiere.
Solo in questo modo, infatti, risulterebbe possibile introdurre stimoli nel circuito
domanda-offerta, rianimando i settori della nostra economia e della nostra produzio-
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ne. Sarebbe un modo efficace per ridare fiato al mercato interno, oggi totalmente abbandonato alle sue difficoltà da chi, invece,
dovrebbe preoccuparsi di sostenerlo e allargarlo. Non dimentichiamo che se vogliamo
fare ripartire i consumi dobbiamo fare in
modo che le buste paga dei nostri dipendenti diventino più pesanti.
E poi, un quesito ulteriore: sarebbe così
insensato, nei prossimi tre anni, provare a
rendere più elastici i meccanismi di entrata e uscita dal mondo del lavoro? Mi rendo
conto che la materia è delicata ma, nella
situazione di emergenza in cui ci troviamo,
ritengo che una condizione di lavoro a
tempo sia pur sempre migliore della mancata occupazione.
A fine giugno il governo presenterà un
«menù di proposte» (la definizione è del
ministro del lavoro Enrico Giovannini) in
tema di occupazione giovanile, apprendistato, contratti a termine e assunzioni. Mi
auguro vivamente che vadano nella direzione giusta, quella che il Paese si aspetta.
Le relazioni industriali
Sul fronte delle relazioni industriali abbiamo da poco raggiunto un traguardo importantissimo. Il 31 maggio scorso Confindustria e i sindacati confederali hanno firmato un accordo che non è esagerato definire storico. Un accordo che metterà definitivamente la parola fine all’esistenza di con-
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tratti separati o, peggio, alla mancata firma da parte di sigle importanti. Il nuovo
protocollo costituisce un punto di non ritorno che introduce trasparenza e democrazia.
Sono finalmente stati fissati i principi per
misurare la rappresentatività sindacale e
le condizioni per avere contratti collettivi
nazionali di lavoro pienamente esigibili.
Poi c’è un altro aspetto che mi preme
sottolineare: nel nostro territorio, in questi
anni di crisi, l’atteggiamento di tutti i sindacati è stato sostanzialmente responsabile e collaborativo. Pertanto, abbiamo fatto
bene a non interrompere mai il dialogo con
tutte le sigle. Anche in presenza di eccessi e
contraddizioni. Anche quando è stata scelta la via giudiziale per risolvere controversie che avrebbero dovuto attenere alle normali relazioni industriali.
Auspico che questa stagione sia definitivamente alle spalle e che da oggi, ognuno
con le proprie competenze e responsabilità,
ci si confronti sul ruolo della manifattura
per far sì che possa riposizionarsi al meglio
nello scacchiere europeo e mondiale.
Il rigore
Con la tanto attesa chiusura della procedura di infrazione europea, pare che per
il nostro Paese si apra qualche spiraglio in
termini di risorse. Anche se non prima del
2014. Tuttavia l’occhio vigile della Ue rimarrà puntato su di noi. Infatti l’uscita dal-
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la procedura è associata a una serie di raccomandazioni che riguardano tra l’altro
l’efficienza della spesa pubblica, la semplificazione burocratica, il fisco, il mercato del
lavoro.
Finora abbiamo vissuto di solo rigore. Ovviamente era necessario. Ma di troppo rigore si può anche morire, come ben sanno
tutti i colleghi imprenditori e le colleghe imprenditrici. Perché un’austerità troppo arcigna, che non comprende le ragioni delle
persone e delle aziende, non fa altro che allargare le differenze e aumentare la sofferenza della classe media. E il prezzo della
disuguaglianza, come sostiene il premio
Nobel Joseph Stiglitz, è quello di «una società divisa che minaccia il futuro comune
di tutti noi».
Mentre ci sono, e tutt’altro che impraticabili, alcune ricette alternative di successo, come dimostrano il Giappone e gli Stati
Uniti, dove la ripresa comincia a fare sentire i suoi effetti. Dopo decenni di stagnazione infatti l’economia giapponese cresce del
3,5 per cento, mentre i laboratori di ricerca
americani hanno ripreso a lavorare incessantemente per produrre nuove idee, grazie al venture capital e al sistema pubblico.
Si finanziano a tassi nulli e investono nel
futuro. Ecco perché anche da noi una delle
priorità è quella di riattivare il credito.
L’ultimo rapporto della Bce sull’attività
bancaria mostra che l’accesso delle piccole
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e medie imprese alla finanza resta precluso nei Paesi in difficoltà, mentre i prestiti
da un Paese all’altro stanno addirittura diminuendo. Dobbiamo a tutti i costi contrastare la terza ondata di credit crunch. Per
questo attendiamo le misure annunciate dalla Bce per sbloccare il mercato del credito.
Nel contempo, continuiamo a lavorare con
il sistema bancario locale per accordi sempre più efficaci per sostenere le imprese.
Una politica che decida
Ebbene, tutte le misure vitali per la ripresa elencate fin qui hanno bisogno di essere supportate da un’azione politica coraggiosa. Per il rilancio del Paese occorre
riaccendere e favorire le dinamiche di crescita e sviluppo. Questo è un compito essenziale dell’esecutivo di larghe intese, che
su questi punti dovrebbe agire in maniera
davvero concorde e unanime.
A partire da un’accelerazione autentica
dei pagamenti dei debiti contratti dalle pubbliche amministrazioni con i fornitori privati. Stiamo parlando di 40 miliardi da recuperare al più presto. D’altronde, provate
a pensarci, in quale nazione economicamente avanzata dell’Occidente esistono situazioni come quella che subiamo noi? In quale Paese gli apparati dello Stato, ovvero
quel potere al quale versiamo con serietà e
nei tempi previsti le nostre tasse, si comportano come un debitore insolvente tiran-
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neggiandoci con pagamenti che non arrivano mai, mentre le nostre prestazioni e forniture sono già state effettuate?
Le riforme
Il Paese ha disperatamente bisogno di
riforme. Di una nuova e intensa stagione costituente. L’Italia è in ginocchio perché veniamo da quarant’anni di mancate scelte.
E la responsabilità politica è di tutti.
Lo ha spiegato bene il professor Michele
Salvati. «In tutti questi anni, per piaggeria
elettorale è stato distribuito più di quanto
si incamerava, insensibili al debito pubblico che saliva. Di più, sempre per non urtare l’elettorato, non sono state fatte le riforme, prima fra tutte quella indispensabile
della pubblica amministrazione, includen-
• 9 Rossella Po e Marco Arletti
• 10 Paolo Golinelli
• 11 Annamaria Panini
e Claudio Rangoni Macchiavelli
• 12 Maurizio Marchesini e Mario Agnoli
• 13 Giuseppe Iadarola
e Francesca Federzoni
• 14 Massimo Galassini
e Vainer Marchesini
• 15 Danilo Montecchi e Fausto Tarozzi
• 16 Giovanni Arletti, Valter Caiumi
e Roberta Caprari
• 17 Silvana Luppi e Valerio Scianti
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Eventi | Assemblea
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• 18 Pierluigi Grana e Marcello Masi
• 19 Il presidente della Camera
di Commercio Maurizio Torreggiani
e il comandante dell’Accademia
Giuseppe Nicola Tota
• 20 Omero ed Enrico Cornia
• 21 Sante Levoni, Paolo Toselli
e Roberto Raimondi
• 22 Enrico Vento
• 23 Stefano Betti, l’assessore
all’Urbanistica di Modena
Gabriele Giacobazzi e il presidente
di Legacoop Modena Lauro Lugli
• 24 Franco Stefani
• 25 Il presidente dell’Assemblea
regionale Palma Costi
• 26 Gianmaurizio Cazzarolli
e Ivano Selmi
• 27 Il rettore dell’Università
di Modena e Reggio Emilia
Aldo Tomasi, Pietro Ferrari,
il rettore designato Angelo Andrisano
e Alberto Mantovani
• 28 Gianmarco Ucci e Luca Panini
• 29 Il procuratore di Modena
Vito Zincani e il presidente
della Provincia Emilio Sabattini
• 30 Stefano Bonaccini, segretario
regionale Pd (al centro),
e i parlamentari Matteo Richetti
e Stefano Vaccari
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20
do la scuola, la sanità, la giustizia e così via.
Tutto il sistema partitico ha goduto di questi comportamenti. Ma era evidente che prima o poi si sarebbe arrivati al redde rationem». Ecco perché è più che mai importante che le tanto invocate riforme debbano
essere durature e ispirate a una visione di
fondo. E, quindi, richiedano il superamento dell’instabilità che continua a caratterizzare il nostro sistema politico-parlamentare e i governi.
La situazione locale
Come stanno reagendo a questa recessione perdurante la nostra regione e la nostra provincia? Ovviamente cinque anni di
congiuntura caratterizzati dal segno meno
hanno avuto impatti significativi. Abbiamo perso fatturato, sono diminuiti gli ordini e la capacità produttiva; abbiamo perso
posti di lavoro e abbiamo dovuto ricorrere
agli ammortizzatori sociali.
Ma tutto questo in misura minore rispetto al trend nazionale. Perché abbiamo
potuto contare su una base solida, il cosiddetto «modello emiliano», fondato su una
realtà industriale diffusa e ancora fortunatamente sana. Non è un paradosso sostenere che l’economia della nostra regione è
molto simile a quella di un Land tedesco.
Non a caso l’Emilia-Romagna, insieme ad
altre quattro regioni italiane, fa parte del
ristretto novero delle 18 principali regioni
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manifatturiere d’Europa.
Ovviamente, come dicevo, anche noi abbiamo accusato i contraccolpi della crisi. Ma,
a differenza di altri, abbiamo potuto contare su un plus competitivo che ha compensato la flessione generale della performance economica. Stiamo parlando della nostra consolidata capacità di esportare il made in Emilia nel mondo e della nostra capacità di posizionarci in maniera ancora più
forte sui mercati stranieri. Anche quelli
più lontani e più difficili.
L’Emilia-Romagna da sola realizza quasi il 13 per cento dell’export nazionale e negli ultimi due anni ha incrementato la propria presenza sui mercati dei nuovi Paesi
emergenti di oltre il 200 per cento. Anche
Modena non è da meno. L’anno scorso abbiamo esportato merci per ben 10 miliardi
e mezzo. Nel triennio 2010-2012 la nostra
quota di export ha registrato un incremento del 12 per cento, di gran lunga superiore
alla crescita Ue, che si è attestata al 3 per
cento.
Dunque, nonostante un sistema Paese
che ostacola più che favorire la competitività, le nostre imprese hanno realizzato
l’impossibile sui mercati mondiali. Questa
è la dimostrazione eclatante che il nostro
comparto manifatturiero non è affatto in
declino. Anzi, è la nostra forza autentica,
che da sempre siamo impegnati a promuovere e a valorizzare al meglio.
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Noi non abbiamo chiesto e non chiediamo sostegni pubblici. Ma allo Stato chiediamo di essere un player capace di affiancarci e di essere nostro ambasciatore nel
mondo, come accade nelle altre nazioni che
sono potenze industriali. Pensate all’attività intensissima che viene svolta al riguardo dalle agenzie pubbliche della Germania e degli Stati Uniti. Ecco, noi chiediamo al governo Letta, al quale guardiamo
con fiducia per il compito gravoso che si è
assunto, di impegnarsi significativamente
in questa direzione.
Modena, come dicevo, è incontestabilmente un luogo di eccellenza manifatturiera e di specializzazione delle sue produzioni, particolarmente richieste all’estero. Devo dire che è davvero singolare, se non paradossale, che una realtà industriale così
fortemente proiettata sui mercati stranieri
non possa ancora contare, come meriterebbe, su una infrastruttura intermodale
all’avanguardia per fare partire le proprie
merci.
Lo scalo merci di Marzaglia
Sto parlando dello scalo merci di Marzaglia, purtroppo ancora fermo al palo. E
qui devo esprimere tutta la mia delusione e
il mio sconforto. Perché cinque anni fa, all’inizio del mio mandato, avevo posto questa infrastruttura come uno degli obiettivi
principali da raggiungere. Ho seguito in prima persona lo sviluppo del progetto, la costituzione di Tie, la società che se ne occupa e di cui sono tuttora presidente. Abbiamo intrecciato i rapporti con tutte le istituzioni interessate, dalle Ferrovie alla Regione, dalle società autostradali coinvolte
al Comune per accelerare la realizzazione.
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Ebbene, qual è la situazione a oggi? Siamo ancora in una fase di stallo. Siamo alle
prese con un intreccio perverso di interessi
contrapposti davvero difficile da sormontare. Certo la cosa non mi spaventa né mi
fa desistere dal raggiungimento dell’obiettivo. Tuttavia non posso fare a meno dal
continuare a domandarmi come sia possibile che una struttura indispensabile per
la competitività del territorio, a cinque
anni dalla progettazione e con gli investitori pronti a mettere risorse, sia ancora sulla
carta.
Credo che ci sia qualcosa di profondamente distorto in tutto questo. Dobbiamo
purtroppo fare i conti, a tutti i livelli, con
una tale vischiosità dei sistemi decisionali
che alla fine produce solo paralisi. Abbiamo perso la capacità di risolvere i problemi
e di conseguenza ci scappano di mano gli
obiettivi. Tutto questo a scapito del territorio. Per perseguire gli obiettivi ci vogliono
determinazione e coraggio. Uniti a una visione generale dello sviluppo del nostro
territorio.
La politica locale
Modena l’anno prossimo dovrà affrontare le elezioni amministrative. Noi imprenditori ci permettiamo di avanzare una
modesta proposta alla classe politica locale: il nostro territorio ha bisogno urgente di
nuovo slancio e di progettualità adeguata
ai cambiamenti in corso.
Abbiamo bisogno di politici che oltre all’appartenenza possano vantare le competenze necessarie per affrontare la complessità odierna e abbiano una chiara visione
del mondo che ci circonda. Modena ha bisogno di una classe dirigente in grado di reg-
Complimenti
al Sassuolo
in serie A
U
n risultato per molti versi inimmaginabile: il Sassuolo Calcio, società associata a Confindustria Modena, è
riuscito a ottenere l’accesso alla massima divisione. Il presidente Pietro Ferrari ha voluto testimoniare l’apprezzamento di tutti gli imprenditori modenesi per questa storica conquista: ha consegnato una targa commemorativa al
presidente del Sassuolo Carlo Rossi e
al vicepresidente Sergio Sassi.
Sopra: Pietro Ferrari insieme a Sergio Sassi
e Carlo Rossi
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 53
Eventi | Assemblea
31
• 31 Enzo Madrigali
ed Elena Lancellotti
• 32 Vincenzo Cremonini,
Claudio Lucchese
e Massimo Galassini
• 33 Alcuni rappresentanti
del Gruppo Giovani
di Confindustria Modena
• 34 Davide Malagoli, Matteo
e Marco Tironi, Paolo Stabellini
• 35 Beppe Neri
• 36 Valentina Agnani
e il padre Roberto
• 37 Renato Crotti, Giovanni Arletti
e il sindaco di Modena Giorgio Pighi
gere le nuove sfide, di progettare il futuro
e decidere.
Chi avrà il compito di amministrare
questa città colga l’opportunità di fare tesoro delle conoscenze e delle relazioni internazionali di tanti nostri imprenditori
che abituati a confrontarsi con realtà di
Paesi lontani in forte crescita potranno
dare nuova linfa alla Modena del futuro.
Ricerca e innovazione
Un altro terreno su cui si giocano le
sorti e il futuro del nostro sistema industriale è quello della ricerca e dell’innovazione. Le nostre eccellenze produttive testimoniano che anche su questo fronte sappiamo destreggiarci bene. Ma quello che
abbiamo realizzato fino a oggi non basta
più. Dobbiamo andare oltre. Per questo ritengo determinante un ulteriore salto di
54 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
32
qualità nel rapporto università-impresa.
Solo se sapremo imprimere un’accelerazione significativa al dialogo e alla collaborazione tra le imprese e il sistema della
ricerca potremo pensare di competere con
le economie più evolute. E quanto più
avremo aziende tecnologicamente avanzate tanto più queste saranno in grado di
aumentare la loro presenza in mercati lontani ma sempre più agguerriti. L’ultimo
anno del mio mandato sarà dedicato prevalentemente a questi aspetti.
Pochi giorni fa è stato designato il nuovo rettore, il professor Angelo Oreste Andrisano, che ringrazio vivamente di essere qui con noi. Gli pongo subito una questione urgente. I dottorati di ricerca sono
uno strumento importante per connettere
in maniera efficace le imprese con il sistema dell’università.
Devo dire che l’attuale rettore, il professor Aldo Tommasi, si è impegnato moltissimo per diffonderli e farli funzionare.
E per questo lo ringrazio sentitamente.
Purtroppo, però le rigidità e i vincoli normativi che li contraddistinguono non
hanno permesso il successo pieno di questi strumenti così importanti. Vogliamo
rimetterci mano insieme? Vogliamo, insieme, elaborare una proposta che superi
gli attuali difetti di attuazione? Credo che
le soluzioni si possano trovare. Anche questo sarà un ulteriore passo importante verso la competitività delle nostre imprese.
Conclusioni
Il quadro che emerge da queste mie
riflessioni è sicuramente punteggiato più
da tinte opache che brillanti, ma è un qua-
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34
dro realistico. Sembra passata un’intera
era geologica da quando Aldo Bonomi, che
ne fu fortunato inventore, coniava lo slogan del «capitalismo molecolare» per fotografare la straordinaria e meravigliosa
capacità della piccola e media impresa di
moltiplicarsi e di produrre sviluppo e crescita non solamente economica per i nostri territori.
Da allora, giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, nonostante la crisi, il
nostro tessuto produttivo si è messo in
trincea. E anche se le bruttissime notizie
delle tante chiusure di attività imprenditoriali e commerciali si susseguono incessanti, da emiliani abituati a rimboccarci
le maniche non possiamo farci travolgere
dallo sconforto.
Dobbiamo assuefarci all’idea di guardare la nostra vita di imprenditori con
lenti diverse e più adeguate a leggere una
realtà sempre più complessa. Mantenendo intatta quella dose di inguaribile ottimismo che ci contraddistingue e che ci ha
sorretto fin qui.
Winston Churchill sosteneva che l’ottimista vede opportunità in ogni pericolo, il
pessimista vede pericolo in ogni opportunità. Ebbene, anche noi dobbiamo imparare, laddove possibile, a trasformare
questa crisi in un’opportunità di ripresa.
Le nostre imprese, gli uomini e le donne di
questa terra emiliana hanno ancora grandi potenzialità da esprimere e risorse significative da mettere in campo. Al servizio di una comunità che non ha perso la
speranza e crede ancora che sia possibile
costruire un futuro migliore per i propri
figli.
•
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Il dibattito con Patrizio Bianchi (Regione Emilia-Romagna), Paolo Mieli
(Rcs Libri) e Giuseppe Recchi (Eni), moderati da Simone Spetia, di Radio 24
Abbiamo bisogno
di un Paese
capace di ripartire
Un giornalista esperto, un economista
prestato al governo dell’ente locale,
un manager di una società
internazionale concordano sui danni
prodotti da troppi decenni
di immobilismo. La classe politica
non trova il coraggio di risolvere
i problemi, mentre gli imprenditori
cercano di salvare il Paese
SIMONE SPETIA L’impressione, ascoltando le parole del presidente Ferrari, è che
l’Italia sia il Paese dei «nonostante»: nonostante ci sia un sistema fiscale così pressante le aziende investono ancora, nonostante
il mercato del lavoro sia così rigido si crede
ancora nella crescita e si vuole assumere. E
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 55
Eventi | Assemblea
anche le aziende emiliane, nonostante il terremoto e le
mille difficoltà, sono riuscite non solo a ripartire ma anche a crescere. L’Italia oggi si trova in una situazione di
forte staticità derivante da venti anni di mancate scelte, di riforme annunciate ma mai realizzate. Osservando tutto questo, le chiedo: non le pare che il governo,
formato senza una concreta maggioranza, stia lavorando con forte difficoltà proponendo provvedimenti tampone per arginare le urgenze, piuttosto che avere una
prospettiva di lungo periodo, un progetto concreto da
realizzare, con risultati concreti da ottenere?
Sistemi informativi aziendali
Noi la pensiamo così!
COMPETENZA
Oltre 30 anni di successi e di clienti soddisfatti.
Un turn-over delle risorse estremamente contenuto,
per conservare tutto il know-how acquisito;
progetti e formazione continua, per valorizzarlo.
PAOLO MIELI Posso dire, senza ombra di dubbio, che
questo governo non è fatto di modenesi coraggiosi e previdenti come voi. Purtroppo è un governo che tende a
sopravvivere e ad affrontare i problemi più urgenti, ma
che non agisce in base a una visione di lungo periodo.
Mi sembra simile a una nave che, scampata alla tempesta, invece di cambiare rotta per arrivare a un porto
sicuro tende a galleggiare confidando solo nella corrente per raggiungere la meta, ma che rischia costante-
L’unico modo per rispondere alla crisi
è riuscire a darsi una “visione” di lungo
periodo, che ci diriga nel futuro
Perché COMPETENZA è CONOSCENZA ed ESPERIENZA, assieme.
AFFIDABILITÀ
Uno stretto legame con la nostra clientela perché pensiamo che
il successo, perché sia tale, debba durare nel tempo.
Perché l’AFFIDABILITÀ nasce dalla COLLABORAZIONE e dalla
FIDUCIA nel FUTURO.
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Quando si coniugano AFFIDABILITÀ e COMPETENZA
in un’ottica di FATTIBILITÀ.
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TERREMOTO
Un video per raccontare la ripresa dell’Area Nord
È
stato prodotto da Confindustria Modena
e dura poco meno di 15 minuti, ma riesce
a dare conto, senza retorica, di cosa siano
stati questi ultimi 12 mesi per una parte importante della provincia modenese, l’Area
Nord. E a raccontarlo sono le voci dirette degli
imprenditori che raccontano il cambiamento
avvenuto dopo il 20 e 29 maggio 2012, con il
bagaglio di fatiche e aiuti ricevuti, delusioni e
qualche successo. È stato voluto perché niente più della simbiosi, anche sintetica, di
immagini e parole riesce a rendere giustizia
dell’immane lavoro fatto da tutta la popolazione di quelle zone.
E la visione, avvenuta prima del discorso del
presidente Ferrari, ha prodotto grande emozione. Anche negli ospiti del dibattito. A
cominciare da Paolo Mi eli, giornalista di lungo
corso e ora presidente di Rcs Libri, che spiega: «Sono rimasto profondamente impressionato dalla forza che gli emiliani hanno saputo
dimostrare nell’affrontare il terremoto. Questa
è una terra dove le cose si fanno diversamente dal resto del Paese; qui, e lo dico senza
nessun tipo di retorica, le cose si fanno “alla
tedesca”. La gente di questa terra ha saputo
gestire un dop pio terremoto, oltre a quello
reale anche quello economico che ha colpito
tutta l’Italia. Voi emiliani non solo vi siate rialzati in tempi rapidissimi ma, anche in una
situazione così grave, avete continuato a sperare, senza arrendervi mai, rimboccandovi le
maniche e avendo in mente un traguardo preciso di crescita da raggiungere».
E Patrizio Bianchi, economista e assessore al
Lavoro e alla formazio ne della Regione
Emilia-Romagna, ha voluto ribadire che «in
questa terra gli industriali hanno saputo trovare un asse portante, un obiettivo comune
verso il quale far riconvergere una visione di
lungo periodo per poter andare avanti».
Anche Giuseppe Recchi, presidente dell’Eni,
una delle società italiane più grandi e conosciute, si è detto «orgoglioso di far parte di
una classe imprenditoriale capace di non soccombere a prove simili». E ha aggiunto: «Senza retorica, ritengo che la politica dovrebbe
prendere esempio da voi imprenditori che con
forza, spirito di squadra e forte decisionismo
siete riusciti ad affrontare e superare
un’esperienza così drammatica».
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 57
UN GRUPPO
INTEGRATO
FINMASI
GROUP
Eventi | Assemblea
mente di soccombere al prossimo vento forte. Per il nostro Paese,
invece, non sarebbe più il momento di limitarsi a sopravvivere, affrontando le emergenze più impellenti senza prospettive di lungo
termine, ma dovrebbe essere il momento di agire e attuare con decisione le riforme indispensabili. La prova che questo non sta succedendo è che quei problemi urgenti di cui tanto si parlava prima
della caduta del governo Monti ora sembrano spariti, accantonati,
in realtà senza essere stati mai affrontati. Un esempio, tra i tanti?
La gestione degli sprechi in Italia. Ho paura, purtroppo, che il Paese non sia guarito per nulla dai mali che da troppo tempo lo attanagliano. In questo periodo si tende a criticare eccessivamente il clima di austerity che stiamo vivendo, cogliendone solo l’aspetto più
negativo: io penso invece che, se affrontata in un certo modo, questa austerity possa essere l’unica medicina possibile, l’unica terapia efficace per affrontare il male che affligge l’Italia.
SPETIA Viviamo dunque in un pericoloso immobilismo, in cui la
classe politica sembra incapace di reagire. Al contempo però c’è il
mondo delle imprese che, sebbene si trovi ogni giorno a dovere
affrontare problemi ormai insormontabili, uno su tutti quello del
credito, sa reagire e ha voglia di andare avanti e di crescere, come bene ci hanno insegnato gli imprenditori modenesi durante l’emergenza del terremoto. Oltre a ciò che già stanno facendo, che cosa possono fare, dunque, le aziende? Su cosa devono puntare per affrontare e superare la crisi?
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PATRIZIO BIANCHI Credo che un Paese per riuscire ad andare avanti e superare una crisi così profonda, come quella che viviamo da ormai troppi anni, deve riuscire a individuare un asse portante lungo
il quale muoversi: se guardiamo alla storia industriale dell’Italia,
vediamo che ciò che ha fatto andare avanti la nostra gente è stata
l’idea che la ricchezza di una nazione si ottiene con il lavoro, e che
quindi la manifattura sia determinate. In effetti lo è stata, ed è ora
che torni a riappropriarsi del suo ruolo nel nostro sistema economico. È un concetto che il mondo industriale ha capito; gli imprenditori hanno compreso che la manifattura è importante perché obbliga a ragionare in un’ottica di prospettiva e ad avere un assestamento di lungo periodo. La finanza ha tempi brevi, a volte brevissimi. L’economia che produce cose concrete richiede programmazione, investimenti, cura nel lungo periodo. Guardiamo gli esempio di altri Paesi: due anni fa in Gran Bretagna, a Cambridge, è nato il primo Institute of manifactury proprio per rilanciare questa visione, e così
hanno fatto altre nazioni come la Germania, la Francia, e gli stessi
Stati Uniti che hanno promosso un forte piano di sviluppo per il sistema industriale manifatturiero.
La crisi economica, iniziata nel 2007, può essere vista a posteriori come un importante momento di verifica per le nostre imprese che ha portato alla caduta di grandi illusioni. La prima, tra tutte, è stata credere che la finanza produca ricchezza: è stato un inganno enorme dalle terribili conseguenze, perché ci ha condotto
proprio alla crisi in cui ci troviamo ora. La seconda illusione è stata
Il nostro Paese
ha bisogno
di smettere
di “sopravvivere”.
Occorre attuare
celermente
le riforme
indispensabili
quella che, con l’avvento della globalizzazione, si potesse scindere senza problemi il
processo produttivo, la manifattura, il fare
concreto, dalle competenze reali, dal sapere
fare, dai servizi. È bene ricordare che un
conto è la produzione «fatta», che può essere esternalizzata e delocalizzata in giro per
il mondo, e un conto è la produzione «da farsi», ovvero le competenze, la visione di lungo periodo, il controllo del sistema che deve
rimanere ben saldo nelle mani dell’imprenditore e delle persone
che lavorano con lui. E un altro elemento di grande rilevanza, che
purtroppo in Italia negli ultimi vent’anni abbiamo lasciato andare
alla deriva, è la centralità che la formazione tecnica professionale
ha per lo sviluppo industriale di un Paese. Lo sanno bene i tedeschi, che da sempre ne hanno fatto il perno centrale del loro sviluppo economico. Ed è proprio questa visione, che recupera la centralità dell’industria, a fare la differenza tra gli imprenditori che sono
riusciti ad affrontare la crisi e quelli che non ce l’hanno fatta. E gli
imprenditori emiliani, durante il terremoto, ne sono stati un esempio lampante. Infatti, il terremoto, paradossalmente, ha messo in
evidenzia che questa terra è un luogo dove la produzione fatta e
quella da farsi, cioè la capacità di costruire e la visione di come si
fanno le cose è rimasta intatta, resa ancora più lucida dall’emergenza. Qui non si è pensato solo alla ricostruzione, ma anche al
dopo. Non ci si è accontentati di finalizzare le risposte alle emer-
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 59
Eventi | Assemblea
genze del momento, si è «pensato» a come si sarebbero voluti «dopo»
le imprese, le case, le scuole, i servizi, in un’ottica di lungo periodo,
e su quelle basi si è partiti per investire e per crescere. È l’unico modo per rispondere non solo a un’emergenza, eccezionale nella sua
tragicità, come il sisma, ma sempre, perché più aumenta l’incertezza e più la crisi è acuta, più diventa indispensabile avere una visione di lungo periodo. Purtroppo, è una lezione che nel resto del Paese non sembra assimilata.
SPETIA Riforme urgenti dello Stato da attuare, immobilismo di
un governo che non prende decisioni, centralità della manifattura
come chiave di volta per superare la crisi. Qual è la visione del mondo industriale su queste importanti tematiche?
GIUSEPPE RECCHI Il primo pesante problema che sta vivendo il
nostro Paese è non volere prendere decisioni di nessun tipo, e rimanere sempre in un immobilismo deleterio. Per capire quanto sia grave, facciamo un semplice esempio: immaginiamo di paragonare una
nazione a un’impresa che, se vuole stare su un mercato fortemente
globalizzato come quello in cui ci troviamo, deve saper vendere i suoi
prodotti, essere competitiva, efficiente e attrattiva per gli investitori.
Se proviamo a fare questo paragone, a me sembra che stiamo assistendo a una crisi generale del business model di tutte le democrazie
occidentali e se poi, con un ulteriore sforzo, proviamo a considerare
la politica del nostro Paese come la corporate governance di
un’azienda vediamo, senza ombra di dubbio, che questa non può che
essere destinata a fallire, perché una corporate governance che non
ha una visione di lungo termine, che non è in grado di costruire strategie lungimiranti, che non sa prendere decisioni non potrà mai
attuare quelle riforme necessarie per superare una crisi così forte
come quella che stiamo vivendo.
Il secondo problema riguarda il fatto che i tempi della politica italiana sono troppo lunghi. Viviamo in un mondo dove tutto cambia
velocemente e bisogna sapersi adeguare e rispondere allo stesso
modo. Invece, il varo delle leggi troppo spesso è frutto di dibattiti parlamentari lunghi e non sempre costruttivi. Purtroppo, in Italia si è
perso il senso di responsabilità di fare le cose, di risolvere i problemi;
si ha l’idea sbagliata che la politica debba creare soluzioni, invece di
pensare che la politica debba impegnarsi a creare le condizioni per
cui le imprese, sia nazionali sia straniere, possano lavorare efficacemente, trovando più conveniente investire nel nostro Paese piuttosto che in altri. Il fatto che la classifica mondiale dei Paesi in cui è
facile investire e fare business ci collochi solo al 75° posto la dice
lunga su quanto siamo lontani dalla realtà. Con una metafora, potrei
dire che l’Italia è una fortissima squadra di calcio, fatta di fuoriclasse, ma purtroppo senza un allenatore capace di guidarla, di farla
arrivare tra i primi della classifica. Quello che ci serve ora è un nuovo
modello organizzativo dello Stato che agisca veramente, guidato da
una leadership efficiente, una classe dirigente competente, capace di
visioni di prospettiva, responsabile verso l’elettorato, in grado di fare
le scelte giuste per fare crescere la nazione e rendere sicuri i cittadi-
I tempi
della politica
sono troppo
lunghi e si è
perso il senso
di responsabilità
per risolvere
i problemi
ni. L’Italia in cui ora ci troviamo, pur essendo un Paese che tutti ammirano, dalle grandissime potenzialità, si trova ancora ad
affrontare gravi problemi, mai risolti, frutto
di quell’immobilismo che da più di 40 anni ci
attanaglia.
SPETIA Quindi, la politica deve cominciare a ragionare su un progetto concreto e di lungo periodo di Paese. Pensiamo al caso della
Germania durante il periodo del governo di Gerhard Schröder, al
progetto «Agenda 2012», con cui si sono programmate riforme concrete, e pensiamo, invece, all’Italia che sembra non riuscire a uscire da una sempre più difficile fase di transizione? Se ne fossimo
capaci quali sarebbero gli obiettivi da raggiungere?
MIELI L’esempio della Germania è interessante. I socialdemocratici tedeschi hanno lavorato in un contesto politico e storico molto
complesso, quello della riunificazione e hanno agito in modo coraggioso, attuando riforme nella lucida consapevolezza che alla fine
del percorso si sarebbero autoesclusi dalla scena politica, preparando un terreno fertile per i conservatori e il governo della Merkel. In Italia, questo coraggio non l’abbiamo ancora visto. Anche noi
avremmo bisogno di politici coraggiosi, che vogliano fare la loro
parte e che si assumano il rischio del loro operato, una classe poli-
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 61
BIANCHI Credo che nel dibattito sia necessario aggiungere un
aspetto che non è ancora stato
affrontato, ma ritengo essenziale. Finora abbiamo parlato della
struttura organizzativa dello Stato, della classe dirigente e della
politica come se questi fossero un qualcosa di diverso, di «altro» da
tutti noi, un qualcosa che ci viene imposto dall’alto. Ci siamo fossilizzati sull’idea che il problema dell’Italia sia tutto nella politica,
dimenticandoci l’essenza stessa della democrazia e cioè che il potere viene dal basso, da chi è governato e non da chi governa. Bisogna
tornare all’idea che la democrazia è tale solo (e se) tutta la comunità si sente partecipe. La società civile viene prima di qualsiasi
forma di governo, bisogna arrivare ad avere una società civile forte,
con delle base sociali talmente solide da avere sempre meno bisogno dell’aiuto dello Stato. Ed è proprio questo che abbiamo imparato dagli emiliani durante il sisma: infatti la partecipazione collettiva è stata fondamentale, pensiamo al contributo determinante di
tutte le diverse forme di volontariato e associazionismo, se non ci
fosse stato un fortissimo senso di coesione sociale, non si sarebbe
mai superata l’emergenza né si sarebbero raggiunti gli straordinari risulti che invece sono evidenti a tutti.
SPETIA Osservando quello che è successo in Emilia durante il terremoto si ha l’impressione che le imprese alla fine hanno saputo
reagire all’emergenza e andare avanti da sole senza chiedere nulla,
e che la società civile molto coesa e forte sia riuscita in modo straordinario ad affrontare il tutto. Viene spontaneo allora chiedersi:
62 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
ma dalla classe politica non possiamo proprio aspettarci nulla?
BIANCHI Più che essere noi ad aspettarci qualcosa, dobbiamo imparare a chiedere e a ottenere risposte. Oggi abbiamo visto, guardano
l’esperienza dell’Emilia, che qui esistono imprese forti e solide che riescono ad andare avanti con le proprie forze. Il primo obiettivo della
politica deve essere proprio quello di allargare il numero di queste
aziende, garantendo una struttura di welfare che permetta al maggior numero di persone di entrare in modo responsabile nel mercato
del lavoro. Fatto questo, si passa al secondo livello di azione, allargare cioè il numero degli imprenditori che sanno competere a livello
internazionale mettendo in essere politiche concrete di aiuto, ma
sempre finalizzate a un progetto
di lungo respiro. Basti pensare al
problema dell’istruzione e della
formazione, che non deve essere
intesa (come spesso avviene)
come ammortizzatore sociale di
un Paese durante un periodo di
crisi, ma come il punto di forza
per la crescita. In questo campo,
dobbiamo imparare dai tedeschi:
prima si investe sulla formazione, perché poi sarà meno difficile
fare impresa.
RECCHI Concludo su due spunti che mi sembrano importanti. Il
primo riguarda la classe politica: abbiamo bisogno di poter contare
su una classe dirigente che sappia esprimere idee, proposte, capacità di cambiare rotta e, soprattutto, di assumersi la responsabilità di
operare con competenza. Mentre, invece, in questo momento non mi
pare che si avverta molto questa caratteristica nei nostri politici.
L’altro aspetto è legato alla realizzazione di una comunità che abbia
valori condivisi. Ma questa non è la soluzione a questo momento di
crisi, è la mission del nostro Paese, sempre. Dobbiamo avere uno
Stato responsabile, composto da una classe dirigente competente,
che abbia come missione quella di aiutare la comunità a migliorare,
a crescere, con un sistema valoriale che ci tiene uniti. Purtroppo
credo la stima di un’Italia ferma da 40 anni sia eufemistica: gli anni
Sessanta e Settanta sono stati anni di produzione di ricchezza, ma
anche anni difficili, pieni di scandali, di difficoltà, di contrapposizioni, tanto che a un certo punto abbiamo visto l’implosione della prima
Repubblica come un’occasione per costruire un modello migliore,
cosa che non sembra essere stata. E ora si sta pensando a un terzo
modello, che auspichiamo sia migliore. L’Italia uscita da questi molti
decenni è un Paese capace di costruire una grande economia ma
anche quello con un debito pubblico esploso. Credo sia venuto il
momento di fare meglio. Perché se il tuo modello è vincente, sono gli
altri che devono copiare. Ma siamo solo al 75esimo posto, forse è il
caso di essere noi a dover cambiare qualcosa.
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tica con progetti chiari da seguire e che su temi importanti non cambi idea continuamente. Abbiamo bisogno di un governo che sappia
prendere decisioni di lungo periodo per attuare tutte le riforme di
cui il Paese necessita, e per farlo accetti la responsabilità di lavorare per durare un’intera legislatura e non semplicemente sopravvivere, come sta facendo ora, in attesa delle prossime elezioni.
Al momento, non credo stiamo vivendo una fase di transizione
nel nostro Paese, per un motivo molto semplice: il concetto di transizione contiene in se stesso l’idea di approdo, di punto di arrivo,
ma in Italia, purtroppo, non si sa proprio a quale approdo si voglia
arrivare. Credo che ormai a mancare sia l’idea stessa di Paese. E a
chi mi chiede se a risolvere i
nostri problemi possa essere
una leadership nuova, fatta di
persone che non hanno un
ingombrante passato politico
alle spalle, io rispondo sempre con
cautela: il «nuovo», per essere tale,
deve realmente dare un taglio
netto al passato e non ripresentare,
in modo più o meno evidente,
situazioni già viste, proposte
solo in modo diverso.
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Eventi | Assemblea
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GRUPPO BPER
L’approfondimento
Report di Unioncamere
sull’apporto dei giovani alla ricchezza del Paese
L’economia reale
degli
35
under
Rappresentano una quota sensibile del Pil.
È soprattutto il terziario a beneficiarne
ma non mancano i neo imprenditori
che si imbarcano in progetti manifatturieri.
Un contributo evidente alla tenuta dell’economia
italiana e una tendenza che fa ben sperare
di Federica Vandini
B
amboccioni, choosy, cervelli in fuga, generazione mille euro. Negli ultimi anni si sono sprecate le definizioni sui giovani italiani, il loro talento non sfruttato e le loro occasioni mancate. Un male non solo domestico: nel 2011 Oliver Stone, in «Wall
street, il denaro non dorme mai», filmava un impietoso
Michael Douglas-Gordon Gekko apostrofare gli under
40 come la «generazione dei tre niente»: niente lavoro,
niente reddito, niente risorse. Oggi, con due anni di crisi in più sulle spalle, quella generazione prova a suonare la riscossa nonostante i dati allarmanti sulla disoccupazione giovanile. Lo dimostrano le storie e le idee
vincenti di Matteo Achilli, a 21 anni inventore di E-
gomnia, motore di ricerca di domanda e offerta di lavoro che in sei mesi ha fatturato mezzo milione di euro.
Accanto al Mark Zuckerberg italiano, ci sono Fabio Lalli e Lorenzo Sfienti di Followgram, sei milioni di utenti
unici e undici milioni di pagine viste al mese, app che
ha convinto marchi come Fiat, Dolce e Gabbana, Audi,
Ikea e Nbc ad aprire lì il proprio profilo, e la cui eco è
risonata oltreconfine su Bbc, Cnn, El Pais e Huffington
Post.
Insomma, anche grazie al ventaglio di possibilità
offerto dalle nuove tecnologie a chi ha creatività e
audacia, come dimostra il ritorno dei maker raccontato
su queste pagine pochi mesi fa, le startup sono tornate
3,8 milioni i giovani occupati in Italia.
Il loro valore aggiunto tocca i 242 miliardi di euro, il 17,2 del totale.
Sono
Un dato che equivale all’apporto dell’intero comparto manifatturiero nazionale
Matteo Achilli, inventore di Egomnia, motore di ricerca di domanda e offerta di lavoro
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 65
L’approfondimento
di moda. E soprattutto sono tornate a incidere sulla crescita del Paese. A metterlo
nero su bianco è per la prima volta Unioncamere, che ha monetizzato il contributo
degli under 35 al Pil nazionale: nel 2011 i
3,8 milioni di giovani italiani occupati, siano essi imprenditori (con meno di 35 anni)
o dipendenti (con meno di 30 anni), valevano il 17,2 per cento del Prodotto interno
lordo, quanto l’intero comparto manifatturiero, per un totale di 242 miliardi di euro di valore aggiunto. Ma il dato forse più
sorprendente deriva dal fatto che una parte significativa di questa cifra è generata
da 675.000 imprese di under 35. Realtà
che solo nel 2012 è aumentata di oltre il
A fine 2012 risultano iscritte
al Registro delle imprese
delle Camere di commercio
675.000 imprese giovanili,
l’11,1 per cento del totale
delle aziende in Italia.
È una tendenza che lascia
intravedere una enorme riserva
di potenziali neo-imprenditori,
che potrebbero essere avviati
all’autoimpiego con strumenti
di finanza dedicata,
come venture capital,
microcredito, crowd funding
Il parere | Guido Caselli: «Il caso Emilia-Romagna»
G
iovani, artigiani e immigrati. È la fotografia dell’imprenditoria under
35 che emerge dal rapporto Unioncamere per quanto riguarda
l’Emilia-Romagna, che nel boom dell’autoimprenditorialità si scopre fanalino di coda per il contributo delle aziende giovanili al valore aggiunto
regionale. Ma c’è un importante risvolto della medaglia, sottolineato dalla
sede bolognese dell’ente, e sta nell’alto tasso di improvvisazione che,
spesso, porta a operazioni avventate e poco pianificate, con un’alta percentuale di insuccesso. «Molta dell’occupazione giovanile che sta nascendo in questi ultimi mesi», spiega il responsabile del Centro studi di
Unioncamere regionale Guido Caselli, «è una risposta al fatto di non trovare altri sbocchi lavorativi: ci si butta su attività dove si hanno competenze o dove si ritiene più facile riuscire, come l’apertura di un bar o di un
agriturismo. A volte va bene, ma il più delle volte invece va male».
Un esempio concreto arriva dalle tipologie di nuove attività che vanno per
la maggiore in questo periodo: «Ultimamente hanno
aperto molti esercizi di tatuaggi e piercing, o attività
nel settore della cura della persona, come negozi di
parrucchieri, quasi tutti di titolari cinesi, e ancora nell’assistenza domiciliare». E nei periodi di crisi si cerca
ispirazione anche dalla televisione: «Vanno forte anche le attività di organizzazione eventi e di ristorazione
mobile», racconta Caselli, «come catering e forniture
per cerimonie. In forte crescita i wedding planner».
Ma spesso si tratta di iniziative che raramente superano i due anni di vita, periodo solitamente considerato
in statistica per calcolare i tassi di natimortalità delle
aziende. «È quello che spesso capita alle agenzie matrimoniali o turistiche. Per andare sul sicuro bisogna
puntare sullo studio dentistico».
66 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
Dunque, se a fine marzo si contavano 33.646 imprese giovanili, l’8 per
cento di quelle presenti in regione, per una perdita di 1.961 unità (-5,5 per
cento a fronte del -4,4 per cento nazionale), rispetto allo stesso periodo
del 2012, non è del tutto un risultato negativo. «Se molte di queste realtà
nascono come risposta alla crisi, significa che qui l’emergenza è più sotto
controllo che altrove». Il dato positivo comunque c’è: «In regione stanno
nascendo imprese giovanili in filiere che sono in crescita, in primis quelle
del wellness e dell’Ict, grazie alla comunicazione e al web, in misura
superiore a quanto avviene altrove. Confermo il forte apporto dell’immigrazione: non a caso l’unico settore manifatturiero che cresce è la produzione di borse, attività fortemente spinta dai lavoratori cinesi, mentre
l’aumento di partite Iva nell’edilizia deriva dagli operai dell’est Europa che
si mettono in proprio, come accade già da qualche anno».
Ma al di là delle tipologie, come si possono sostenere iniziative che riescano a radicare e a superare i fatidici 24 mesi? «Il
modello a cui guardare è quello americano, dove
stanno nascendo nuove modalità di percorso per
start up cosiddette “leggere”», conclude Caselli. «A
loro si rende meno complicato il finanziamento e
l’approdo sul mercato finale, attraverso fonti di
finanziamento diverse dalle banche, e non necessariamente derivanti da donazioni». È il caso dell’equity crowd funding, che permette il ritorno dell’investimento. «Un format che si potrebbe replicare anche qui, sfruttando le potenzialità web in una
logica di territorio».
Guido Caselli, responsabile del Centro studi
di Unioncamere Emilia-Romagna
Il valore aggiunto dell’occupazione giovanile: i settori
Settori
Agricoltura, silvicoltura e pesca
Industria
- industria in senso stretto
- costruzioni
Servizi
di cui: commercio
Totale economia
Valore assoluto
4.027,3
54.403,8
34.736,0
19.667,8
184.064,4
32.131,2
242.495,4
% sul totale Italia
1,7
22,4
14,3
8,1
75,9
13,3
100,0
% sul totale del settore
14,6
15,7
13,3
22,8
17,8
21,2
17,2
Anno 2011, valori assoluti in milioni di euro e percentuali.
Fonte: Rapporto Unioncamere «Giovani, Imprese e Lavoro», 2013
Caratteristiche dell’imprenditoria giovanile in Italia
Imprese
registrate
Totale imprese
Imprese giovanili
- di cui
- femminili
- straniere
- di cui
- artigiane
- cooperative
6.093.158
675.053
% su totale
% imprese giovanili % evoluzione
Saldo
imprese giovanili su totale imprese 2011-2012 valori assoluti
--0,3
18.911
-11,1
10,1
70.473
187.843
122.927
27,8
18,2
12,8
25,7
10,7
14,8
20.032
17.788
195.842
13.474
29,0
2,0
13,6
9,1
-12,2
-1.706
10 per cento, per oltre 70.000 unità in più,
come se il perdurare della crisi acuisse ingegno e intraprendenza dei giovani. Il fermento è in continuo aumento: secondo le
rilevazioni del Centro studi Unioncamere, ci sarebbero almeno altre 100.000 imprese che potrebbero nascere per iniziativa giovanile. I dati, presentati alla 137°
assemblea dei presidenti delle Camere di
Commercio, dipingono un quadro a tinte
rosee, dove forse si può tratteggiare e intravedere, più realisticamente di quanto
mai fatto finora, un possibile aggancio di
ripresa.
Dove osano i giovani
Il valore aggiunto prodotto dall’occupazione giovanile si concentra per oltre tre
quarti nel terziario, per il 22,4 per cento
nel settore industriale e per l’1,7 per cento
nell’agricoltura. Nel dettaglio, il settore
delle costruzioni (22,8 per cento) il terzia-
Anno 2012, valori assoluti e percentuali.
Fonte: Rapporto Unioncamere «Giovani, Imprese e Lavoro», 2013
Nel
2012 gli under 35 hanno lavorato o erano titolari di 675.00 imprese,
70.000 aziende in più dell’anno precedente (+10%)
E ci sono altre 100.000 imprese che potrebbero nascere da giovani
che attendono solo l’occasione per mettersi sul mercato
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 67
L’approfondimento
Il valore aggiunto dell’occupazione giovanile:
distribuzione geografica
Regioni
Valore assoluto
% sul totale Italia
% sul totale regionale
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Mezzogiorno
ITALIA
79.141,9
55.833,7
48.702,9
58.816,9
242.495,4
32,6
23,0
20,1
24,3
100,0
17,3
17,2
16,0
18,0
17,2
Anno 2011, valori assoluti in milioni di euro e percentuali.
Fonte: Rapporto Unioncamere «Giovani, Imprese e Lavoro», 2013
www.veca.it
rio nel suo complesso (17,8 per cento) e, al
suo interno, il commercio (21,2 per cento)
sono gli ambiti nei quali il lavoro degli under 35 incide maggiormente sul totale dei
singoli settori. Un po’ minore, ma comunque di rilievo, l’apporto fornito al comparto manifatturiero (13,3 per cento) e all’agricoltura. A riservare maggiori sorprese
è la distribuzione lungo lo Stivale di queste nuove energie, che si concentrano al
Sud, dove c’è il primato della maggiore incidenza della ricchezza prodotta dalle giovani generazioni (18 per cento). In linea
con la media nazionale è tutto il Nord,
(17,3 per cento il Nord Ovest e 17,2 per
cento il Nord Est) mentre inferiore di oltre
un punto percentuale rispetto alla media
è il dato al Centro (16 per cento).
La graduatoria delle regioni rispecchia
questa ripartizione: capolista è la Puglia,
dove i giovani contribuiscono al 21,3 per
cento nella creazione di valore aggiunto sul
totale regionale. Medaglia d’argento al Trentino Alto Adige (20,4 per cento), seguito da
Umbria (17,9 per cento), Calabria (17,8 per
cento), Veneto (17,7 per cento) e Lombardia (17,5 per cento), anche se va precisato
che quest’ultima, in termini assoluti, concentra oltre un quinto (21,8 per cento) del
totale del prodotto nazionale derivante dall’occupazione giovanile. Nella parte bassa
della graduatoria ci sono regioni abituate
a stare in cima: nell’industriosa Emilia-Romagna l’apporto dei giovani concorre molto meno al valore aggiunto regionale (16,4
per cento) dato che scende ulteriormente
in Toscana (16,1 per cento), Liguria (16,0
per cento), Lazio (15,4 per cento) e Friuli Venezia Giulia (15,2 per cento).
Molto diversa, in base alle zone d’Italia, è anche la tipologia di giovane lavora-
Il valore aggiunto prodotto dall’occupazione giovanile
si concentra per oltre tre quarti nel terziario.
Un po’ inferiore, ma comunque rilevante, l’apporto fornito
al settore manifatturiero e all’agricoltura. Queste nuove
energie si concentrano al Sud, dove c’è il primato
della maggiore incidenza della ricchezza prodotta
dalle giovani generazioni. Mentre in fondo
alla graduatoria vi sono regioni non abituate
a quella posizione, come l’Emilia-Romagna
Artigianato e cooperazione
sono i canali preferenziali
scelti dagli under 35
per realizzare
un’idea imprenditoriale:
il 29 per cento
delle imprese giovanili
è a carattere artigiano,
per un totale
di quasi 196.000 unità,
il 13,6 per cento
dell’intero comparto.
Ma questo dinamismo
è soprattutto al Nord,
che presenta
il 40 per cento delle imprese
giovanili artigiane,
mentre il Sud
non arriva al 20 per cento
tore che contribuisce alla formazione della ricchezza nel proprio territorio. In generale, la leva principale sono i lavoratori dipendenti, cui si deve il 71 per cento del valore aggiunto contro il 29 per cento derivante da quella indipendente. I giovani imprenditori sono molto presenti nel Mezzogiorno, dove il loro lavoro incide per il 33,6 per
cento sul valore aggiunto, con picchi in Calabria (40 per cento) Molise (38,1 per cento) Campania (34,4 per cento) e Sicilia (34,3
per cento). Le regioni in cui è invece più elevato il contributo della componente dipendente sono la Lombardia (26,9 per cento), l’Emilia-Romagna (26,0 per cento), il
Friuli Venezia Giulia (23,2 per cento), il Veneto (23,0 per cento) e il Trentino Alto Adige (18,9 per cento).
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Insieme alle definizioni citate all’inizio, uno dei consigli più ricorrenti da par-
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 69
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te di professori, insegnanti e familiari è
il classico «oggi il lavoro bisogna inventarselo». Un suggerimento diventato un
leitmotiv all’aumentare della disoccupazione giovanile: a fine 2012 1,4 milioni di
giovani tra i 15 e i 34 anni erano disoccupati e un altro milione e duecentomila
rientrava nella categoria di coloro che sono disponibili a lavorare, sebbene cerchino non attivamente un lavoro oppure non
lo cerchino affatto. Molti però hanno preso alla lettera il mantra, decidendo di inventarsi il lavoro che non trovavano e aprendo una impresa.
Al Registro delle imprese delle Camere di commercio, a fine 2012, risultano
iscritte 675.000 imprese giovanili, pari
all’11,1 per cento del totale delle imprese registrate a livello nazionale: Unioncamere raggruppa sotto questa categoria le ditte individuali il cui titolare abbia meno di 35 anni, e le società di persone in cui oltre la metà dei soci abbia meno di questa età, o ancora le società di
capitali in cui la media dell’età dei soci e
degli amministratori sia inferiore a tale
limite. La loro crescita a doppia cifra rispetto a dodici mesi prima fotografa davvero un Paese a due velocità: se la loro numerosità è cresciuta del 10,1 per cento,
grazie a un saldo positivo tra iscrizioni e
cessazioni di 70.000 unità in più, l’imprenditoria in totale è aumentata appena dello 0,3 per cento.
Una tendenza che fa ben sperare, e che
lascia intravedere una enorme riserva di
potenziali neo-imprenditori, che potrebbero secondo Unioncamere essere avviati all’autoimpiego con strumenti di finanza dedicata, come venture capital, microcredito, crowd funding. Peraltro, le cifre
che emergono dalle elaborazioni di Unioncamere sull’indagine Istat sulle forze lavoro, mostrano che oltre 13.000 giovani
tra 18 e i 34 anni alla ricerca di lavoro vorrebbero avviare un’attività in proprio. A
questi si aggiungono le 368.000 unità che
non hanno preferenze tra lavorare alle dipendenze e in proprio. Se almeno un quarto di queste persone, calcola Unioncamere, venisse avviato al «fare impresa»
«Dobbiamo rendere
i giovani protagonisti
di un nuovo modello
di sviluppo, compatibile
e sostenibile»,
commenta il presidente
di Unioncamere
Ferruccio Dardanello.
«Per accrescere l’occupazione
occorre semplificare
la riforma dell’apprendistato
e ridare slancio
ai servizi per l’impiego.
Occorre poi istituire
un sistema di assistenza
per la nascita
di nuove imprese,
fatto di servizi omogenei
su tutto il territorio,
che incoraggino l’innovazione,
prevedano un accesso facilitato
al microcredito
e favoriscano l’utilizzo
di fonti alternative
di finanziamento»
si arriverebbe a un bacino potenziale di nuova imprenditorialità giovanile di poco oltre 105.000 unità.
«Dobbiamo far diventare i giovani i veri protagonisti di un nuovo modello di sviluppo, compatibile e sostenibile», ha evidenziato alla presentazione della ricerca il presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello. «Raggiungere i livelli di occupazione medi europei è un obiettivo che possiamo e dobbiamo porci. Molte le strade da percorrere: semplificare la riforma dell’apprendistato; ridare slancio ai servizi per l’impiego attraverso una regìa unitaria a livello
nazionale che veda coinvolti sui territori
diversi attori, tra cui le Camere di commercio. Sull’imprenditorialità, proponiamo l’istituzione di un sistema ordinario di
assistenza alla nascita di nuove imprese,
fatto di servizi omogenei su tutto il territorio, che incoraggino l’innovazione, prevedano un accesso facilitato al microcredito
e favoriscano l’utilizzo di fonti alternative
di finanziamento».
Giovani donne e stranieri
Per cercare di studiare meglio questa reattività, la ricerca scompone l’universo delle imprese degli under 35 anche in conduzione femminile e straniera, due categorie
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 71
L’approfondimento
ANDREA ZIRONI
AMMINISTRATORE UNICO
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spesso penalizzate dal mercato del lavoro.
Le imprese di giovani donne rappresentano il 27,8 per cento del totale delle imprese guidate da under 35, mentre le imprese
«rosa» nel loro complesso incidono sul totale delle attività registrate alle Camere di
commercio per il 23,5 per cento. Pari a circa 188.000 unità, le imprese di giovani donne incidono per il 12,8 per cento sul totale
delle imprese al femminile e risultano particolarmente diffuse nel Mezzogiorno (dove sono quasi 81.000). Anche in questo caso la «voglia» di fare impresa delle giovani
donne stride con l’andamento della crisi:
tra il 2011 e il 2012, a fronte di una crescita pressoché nulla del totale delle imprese
femminili (+0,2 per cento) quelle a conduzione giovanile sono aumentate del 10,7
per cento, grazie a un saldo positivo tra iscrizioni e cessazioni di 20.000 unità. Interessante anche l’incidenza e l’espansione
dell’imprenditoria giovanile straniera che,
con 123.000 imprese registrate, rappre-
senta il 18,2 per cento del totale dell’imprenditoria giovanile, arrivando a superare il 30 per cento in Toscana e a sfiorarlo
in Emilia-Romagna, mentre ha incidenze
a una cifra in molte regioni del Mezzogiorno. Anche in questo caso, ritmo serratissimo di crescita negli ultimi due anni: +14,8
per cento tra il 2011 e il 2012, con le imprese iscritte nel 2012 che hanno superato di 18.000 unità quelle cancellate.
Autoimprenditorialità
Artigianato e cooperazione sono i canali preferenziali scelti dagli under 35 che vogliono realizzare un’idea imprenditoriale:
nel primo caso, il 29 per cento delle imprese giovanili è a carattere artigiano, per un
totale complessivo di quasi 196.000 unità,
il 13,6 per cento dell’intero comparto. Ancora, si conferma una grande vitalità in un
segmento che per molti aspetti sta soffrendo più di altri la crisi. Anche in questo caso appare evidente una divisione in due
del Paese, con il Nord che presenta una
incidenza intorno al 40 per cento delle imprese giovanili artigiane sul totale dell’imprenditoria giovanile (con Valle d’Aosta ed Emilia-Romagna a svettare con
punte del 43 per cento) e un Mezzogiorno
che non arriva neanche al 20 per cento, con
punte particolarmente modeste in Campania (13,4 per cento) e Sicilia (17,7 per
cento). Infine, il volto giovanile della cooperazione mostra tassi di evoluzione piuttosto rapidi, con un +1.700 di saldo 2012
fra iscritte e cessate (+12,2 per cento il tasso di evoluzione). Le cooperative di giovani erano più di 13.000 a fine 2012 e rappresentavano il 9,1 per cento del totale delle
imprese cooperative. «Le finalità mutualistiche e di relazionalità particolare con il
territorio e con le comunità locali tipiche
del cooperativismo», spiegano i ricercatori
di Unioncamere, «sono in grado di fornire
crescenti soluzioni occupazionali alla crisi
del mercato del lavoro».
•
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 73
Ritratti d’impresa | Gruppo Cremonini
La famiglia Cremonini
detiene la proprietà
di una holding
dalle origini modenesi
che vale 3,4 miliardi di euro
Cremonini
FOOD E TANTO ALTRO
Luigi Cremonini ha iniziato 50 anni fa
con un piccolo macello sulle colline di Castelvetro.
In questi decenni produzione, distribuzione,
foodservice e ristorazione sono diventati
i punti cardinali di un impero che oggi
è conosciuto in tutto il mondo
di Arianna De Micheli - foto Elisabetta Baracchi
Se sono qui è perché ho sempre dato valore alle
esigenze del cliente». Anche negli anni Sessanta
quando una simile affermazione suonava tutto
fuorché scontata. Ma se Luigi Cremonini è qui, presidente di un gruppo da oltre tremila milioni di euro all’anno oggi ai vertici del settore agroalimentare europeo, lo deve soprattutto alla propria tempra. A quel suo
modo di vivere l’hic et nunc con curiosità e determinazione. Europeista della prima ora, l’imprenditore nostrano fu lungimirante nel comprendere i vantaggi dell’integrazione. «Il settore agricolo è stato il primo a spe-
«
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 75
Ritratti d’impresa | Gruppo Cremonini
LA HOLDING CREMONINI SPA ha sede a Castelvetro ed è totalmente controllata dalla famiglia Cremonini
Europeista convinto, Luigi Cremonini è stato lungimirante
nel comprenderne i vantaggi. «Il settore agricolo è stato il primo
a sperimentare l’integrazione a livello europeo. Negli anni Settanta
le merci hanno iniziato a circolare liberamente facilitando gli scambi.
La competizione non era più appannaggio di una élite».
Presente da oltre vent’anni nel continente africano e in Russia,
Cremonini intrattiene rapporti commerciali con oltre 50 Paesi
rimentare l’integrazione a livello europeo. Negli anni
Settanta le merci hanno iniziato a circolare liberamente facilitando gli scambi. La competizione non era più
appannaggio di una élite, anche le nuove imprese avevano un’occasione. Molti però hanno trascurato questo
aspetto continuando a lavorare soltanto con i Paesi dell’Est». Non così Cremonini. «Già a metà degli anni Sessanta prendevo la mia auto e da solo raggiungevo l’Olanda o la Danimarca. Sono stato tra i pochi a entrare in
Corea del Nord. Ho visto ogni sorta di rivoluzione. D’altra parte, per restare al passo con i tempi è indispensabile viaggiare. Indicate un punto qualsiasi sul mappa-
mondo e io vi dirò quale tipo di bovino alleva». Da vent’anni presente nel continente africano, dove vanta 13
piattaforme logistico-distributive, Cremonini intrattiene rapporti commerciali con oltre 50 Paesi. Non sorprende dunque che il 50 per cento del giro d’affari complessivo del gruppo derivi da un’attività oltre confine forte di
6.000 dipendenti (su un totale di 12.200 unità). Una scelta strategica in prospettiva, quella di investire in Africa
e Russia, cui il tempo sembra aver dato ragione.
Prima realtà privata in Europa nel settore della carni bovine, numero uno nel servizio a bordo treno, leader
indiscusso lungo lo Stivale in termini di distribuzione al
food service e di ristoro in concessione, il Gruppo Cremonini è oggi costituito da una holding, Cremonini Spa,
che controlla tre subholding operative. In primis e al
100 per cento Inalca, nucleo originario dell’impero che,
con 1,5 miliardi di euro di ricavi messi a segno lo scorso
anno (il 91 per cento con il business dei bovini, il 9 per
cento grazie ai salumi), celebra il suo primo mezzo secolo. Quindi, sempre al 100 per cento, Chef Express («la ristorazione che viaggia») e infine, al 50,6 per cento, Marr,
3 le subholding operative: Inalca, Marr e Chef Express
Inalca (con Montana) è la prima società privata in Europa nella produzione di carni bovine e prodotti a base di carne
Marr è la numero uno in Italia nella commercializzazione e distribuzione al foodservice di prodotti alimentari.
Chef Express è leader in Europa nella gestione delle attività di ristorazione a bordo treno e nelle stazioni ferroviarie
e ha una presenza rilevante nei principali scali aeroportuali italiani e nella ristorazione autostradale
Con la catena di steakhouse Roadhouse Grill, Cremonini è presente anche nella ristorazione commerciale
Conta oltre 12.200 dipendenti in tutto il mondo, la metà in Italia
Il fatturato proviene per il 44% dalle attività di produzione (carni bovine, salumi e snack),
per il 36% dal settore della distribuzione e per il rimanente 20% dalle attività di ristorazione.
La quota export del gruppo è del 35%
Ricavi 2012: 3.425 milioni di euro, in crescita del 3,8% rispetto al 2011
Inalca, la prima società del gruppo, è stata fondata nel 1963.
Nel 2012 ha fatturato 1.546 milioni di euro, per il 91% attraverso la produzione, trasformazione
e commercializzazione delle carni bovine. La quota export è del 50%
in pole position in Italia nella distribuzione dei prodotti
alimentari. Se, complice il terremoto, il 2012 per buona
parte delle aziende nostrane si è rivelato un annus horribilis, lo stesso non si può dire per la solida realtà industriale di Castelvetro che con un fatturato di 3.425 milioni di euro sembra crescere senza intoppi (+3,8 per
cento rispetto al 2011).
Ne è passata di acqua sotto i ponti dall’estate di cinquant’anni fa. Luglio 1963. Luigi Cremonini ha 23 anni,
in tasca un diploma di perito agrario e una smisurata
«voglia di fare», peraltro conservata intatta nel tempo.
Figlio di un piccolo commerciante «da una vacca alla
settimana», il giovane Cremonini apre un macello. Un
modesto capanno con due frigoriferi di legno e il sogno di
passare da quattro a quaranta vacche al mese. Al suo
fianco un amico e il fratello Giuseppe, di cui ha rilevato
entrambe le quote nel 1996. «Al pari del mio socio degli
esordi, Giuseppe possedeva il 33 per cento della società.
Una volta riacquisito il 100 per cento della società», ricorda Cremonini con un mezzo sorriso, «mi sono ritrovato più povero». Emiliano doc con a cuore i suoi conterranei, «brava gente con il senso del dovere ma anche pronta a far valere i propri diritti», Cremonini mostra una
determinazione da magnate americano. Non è infatti
un segreto che gli Stati Uniti, da cui l’Europa ha spesso
segue a pagina 81
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 77
Ritratti d’impresa | Gruppo Cremonini
Dietro i numeri impressionanti della holding
di Castelvetro c’è la forza di un’intera famiglia.
Claudia è responsabile delle relazioni esterne
del gruppo. Vincenzo ne è l’amministratore
delegato. Serafino è direttore commerciale
di Inalca, mentre Augusto si occupa
di acquisti della carne in tutto il mondo.
«Sono molto fiero dei miei figli», afferma
Cremonini. «Ognuno di loro ricopre il ruolo
per cui ha studiato. La nostra azienda
è una macchina gestita da professionisti»
Luigi Cremonini (al centro) con i figli:
da sinistra, Serafino, Augusto, Claudia e Vincenzo
LA STORIA | Le scelte vincenti di un gruppo
uglio 1963 è la data d'inizio dell'avventura
imprenditoriale di Luigi Cremonini. Dopo
essersi fatto le ossa in una cooperativa, inizia
l'attività nel settore delle carni bovine e fonda l'Inalca (Industria Alimentare Carne). Lo affiancano un amico, Luciano Brandoli, e il fratello Giuseppe.
1976: l'ingresso nel business dei salumi rappresenta la prima opportunità di diversificazione in un mercato contiguo. 1979: con l'acquisizione di Marr e l'ingresso nel settore della distribuzione di prodotti alimentari al foodservice,
continua la strategia di espansione in settori sinergici. 1980: con l'acquisizione di Agape, Cremonini approda alla ristorazione. 1985: nasce
Burghy e Cremonini diventa protagonista nel
settore dei fast food in Italia. Comprati da Sme
sei punti vendita, nel giro di pochi anni diventeranno 96. 1990: Cremonini vince l'appalto per la
ristorazione a bordo dei treni delle Ferrovie dello Stato e con il marchio Chef Express diventa
leader nel mercato ferroviario. 1991: Cremonini
acquista la società proprietaria del marchio
Montana, famosa azienda nel settore della produzione di carne in scatola. 1996: la catena Burghy viene ceduta a Mc Donald's, nell'ambito di
un accordo che prevede la fornitura quinquennale di hamburger Inalca al colosso americano.
1996-98: Cremonini assume il controllo del 100
per cento del gruppo, rilevando le quote del fra-
L
I NUMERI | L’impero di Castelvetro
l Gruppo Cremonini, holding che controlla
Inalca, Marr e Chef Express (12.200 i dipendenti assunti in tutto il mondo) celebra quest’anno il cinquantesimo anniversario della
fondazione, iniziata con la creazione di Inalca.
Brindare è d’obbligo anche perché i numeri
confermano mezzo secolo di successi. Nel 2012
il gruppo ha realizzato ricavi totali per 3.425,1
milioni di euro con un incremento pari al 3,8 per
cento sull’anno precedente. Il fatturato del settore produzione, 1.546,8 milioni, cresce di 9,4
punti percentuali. In crescita (+ 0,9 per cento)
anche il giro d’affari di Marr (distribuzione) che
tocca quota 1.260 milioni, mentre calano di
quasi 2 punti percentuali i ricavi di Chef Express
(ristorazione) con 677, 4 milioni di euro. Oltre il
I
78 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
50 per cento del fatturato del gruppo è riconducibile all’export. Gli investimenti nel 2012
ammontano a 65 milioni di euro, di cui 27 nella
produzione e 34 nella distribuzione. 500.000 le
tonnellate di carne trasformate e commercializzate ogni anno da Inalca, di cui 100.000 tonnellate di hamburger e 200 milioni di scatolette
di carne a marchio Montana. Attraverso la controllata Italia Alimentari, Cremonini si conferma
tra i primi operatori nel mercato dei salumi nostrani. Le 16 camere bianche sfornano ogni anno 100 milioni di vaschette di affettato e 12 milioni di snack. Grazie a una rete costituita da 33
centri di distribuzione e 700 automezzi, Marr ogni anno assicura sul territorio nazionale un servizio tempestivo a 38.000 clienti. Inoltre Cre-
monini, con il marchio Chef Express, è numero
uno in Europa nel settore della ristorazione a
bordo treno e vanta una presenza quotidiana su
oltre mille convogli in sei Paesi.
Sono invece 150 i punti vendita del gruppo
distribuiti in 44 stazioni ferroviarie lungo lo Stivale e 98 quelli presenti in 36 aree di servizio
autostradali. Otto gli aeroporti italiani che ospitano 58 luoghi di ristoro Chef Express. La catena Roadhouse Grill, nata nel 2001, conta 40 locali (previste otto nuove aperture nel corso di
quest’anno). Nell’ambito della sostenibilità ambientale, l’azienda realizza il 55 per cento del proprio fabbisogno energetico grazie all’uso di fonti rinnovabili (biomasse derivanti dagli scarti dei
processi produttivi).
tello Giuseppe e quelle degli eredi del cofondatore Brandoli. Nel mese di dicembre Cremonini
viene quotata alla Borsa di Milano. 1999: inaugurazione del nuovo stabilimento Inalca di
Ospedaletto Lodigiano. Con una superficie totale di 377.000 metri quadrati di cui 60.000 coperti, è la più grande struttura industriale europea
di produzione di carni bovine e prodotti trasformati. 2000: Cremonini vince la gara per i servizi di ristoro sui treni inglesi Eurostar. 2001: con
l'apertura del Roadhouse Grill a Legnano, Cremonini lancia la prima catena di steakhouse in
Italia; oggi i locali sono 38. 2003: Cremonini entra nel segmento della ristorazione autostradale attraverso una partnership al 50 per cento con
l'inglese Compass Group, costituendo la società Moto. 2005: anche la controllata Marr viene
quotata nel segmento Star di Borsa Italiana.
2006: Cremonini rileva il 100 per cento del business della ristorazione autostradale: riscatta
infatti dal partner inglese Ssp Group (ex Compass Group) il 50 per cento della partecipazione
di Moto, diventando l'unico azionista della società, e trasforma tutte le aree autostradali sotto
l'insegna Chef Express. 2007: inaugurazione del
nuovo stabilimento di Castelvetro dedicato alla
produzione di hamburger per McDonald's, che
ha una superficie coperta di 2.500 metri quadrati e impiega 50 dipendenti. Per costruirlo il
gruppo ha investito 8,6 milioni di euro.
2008: Cremonini e il gruppo brasiliano Jbs, il più
grande produttore al mondo di carni bovine,
siglano un'alleanza strategica nel settore delle
carni. L'accordo prevede l'ingresso di Jbs al 50
per cento nell'intero settore della produzione
del Gruppo Cremonini (Inalca e Montana Alimentari). Sempre nel 2008, Cremonini esce dal
Mercato Telematico di Borsa Italiana. L'operazione di delisting avviene per la trasformazione del gruppo, che dopo la quotazione di Marr e
la joint venture con Jbs, da capogruppo industriale è diventata una holding di partecipazioni.
La proprietà della società è ora interamente della famiglia Cremonini. 2009: Cremonini, attraverso la controllata francese Cremonini Réstauration, si è aggiudicato i servizi di ristorazione a
bordo dell'80 per cento dei treni francesi ad alta
velocità, diventando il primo operatore del settore in Europa. 2011: si chiude la joint venture
con Jbs. 2012: attraverso la società controllata
Chef Express Uk, il gruppo di Castelvetro entra
nel mercato delle stazioni ferroviarie inglesi
con l'acquisizione della nota catena Bagel Factory, presente nelle principali stazioni ferroviarie di Londra.
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 79
Se l’ECCELLENZA è la vostra forza,
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Ritratti d’impresa
Anche se l’azienda è al sicuro
nelle mani capaci dei suoi quattro figli,
Luigi Cremonini non sembra interessato
a godersi una vita tranquilla.
Appassionato di statistica e di nature morte
dipinte tra il Settecento e l’Ottocento,
curioso di tutto poiché a suo dire «un uomo
senza emozioni è destinato a una vita buia»,
il tycoon di Castelvetro è un lavoratore
da trincea e ama rimanere in azienda
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assorbito abitudini e stile di vita, siano per lui fonte di
ispirazione. Tanto che nel 1985, mentre si diffondevano
le grandi catene americane di ristorazione fast food del
mondo, si inventa Burghy. Con l’acquisizione di una rete di sei punti vendita (che in breve tempo diventano 96)
Cremonini diventa protagonista della ristorazione veloce nel Belpaese. Merito anche e soprattutto del figlio Vincenzo che in veste di amministratore unico della Foodservice System Italia porterà la catena al successo. Nel
1996 il marchio Burghy viene ceduto alla McDonald’s di
cui Inalca sarà poi (e lo è tuttora) fornitore ufficiale per
l’Europa. Postilla: risale al 2007 l’esordio, accanto alla
storica sede di Castelvetro, dello stabilimento dedicato
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Sopra e nelle pagine
precedenti,
immagini
dello stabilimento
Inalca di Castelvetro,
la prima azienda
fondata
da Luigi Cremonini
50 anni fa.
Sotto, l’ingresso
dello «Spazio
Cremonini
al Trevi» di Roma
alla produzione di hamburger, 40.000 tonnellate annue,
destinate al colosso made in Usa.
Ma sebbene sembri trasformare ogni grammo di carne in oro, i panni di Re Mida poco si addicono al tycoon
dell’Inalca, nominato nel 1985 cavaliere del lavoro. Non
c’è dubbio che, con l’azienda al sicuro nelle mani capaci
dei suoi quattro figli, Luigi Cremonini potrebbe godersi
una vita tranquilla. Ma nonostante sia appassionato di
statistica e di nature morte dipinte tra il Settecento e l’Ottocento, curioso di tutto poiché a suo dire «un uomo senza emozioni è destinato a una vita buia», il nostro ospite, ancora prima che imprenditore, è un lavoratore da
trincea. E non intende mollare. «Sino alla fine degli anni
Sessanta abbiamo dormito in cinque in una singola camera. Mia moglie, donna eccezionale, ha cresciuto da sola i nostri figli. Io ero sempre in viaggio. Ricordo ancora
Vincenzo in lacrime che urlava “mamma, manda via quell’uomo”: ero tornato a casa a tarda sera e non mi aveva
riconosciuto perché mancavo troppo spesso». Potrebbe
sembrare aneddotica da libro «Cuore» ma dietro i numeri impressionanti della holding di Castelvetro, 500.000
tonnellate di carne lavorate ogni anno, c’è la forza di
un’intera famiglia. Claudia, la figlia maggiore, è responsabile delle relazioni esterne del gruppo. Vincenzo ne è
l’amministratore delegato. Serafino riveste il ruolo di
direttore commerciale Inalca mentre il fratello minore,
LA NOVITÀ | La cultura alla maniera Cremonini
aro esempio di collaborazione tra pubblico e privato, lo «Spazio Cremonini al
Trevi» di Roma, con una superficie di duemila metri quadrati, oltre al museo accoglie
la libreria Mondadori Trevi, una sala cinema
dedicata ad Alberto Sordi e il famoso
Harry’s Bar Trevi. È un vero e proprio centro
culturale multifunzionale, frutto di un
imprevisto che Luigi Cremonini riconverte in
R
nuova opportunità. Il prodromo è l’acquisto
dell’ex cinema Trevi nel 1985. Ma bisogna
aspettare la fine degli anni Novanta perché
parta l’idea di trasformare l’intero immobile
in un grande polo di ristorazione. Però i
lavori di ristrutturazione portano alla luce
tracce di antiche mura romane e la
Sovrintendenza impone lo stop al cantiere.
Cremonini non si perde d’animo e decide di
finanziare tanto gli scavi quanto il ripristino
dell’area archeologica. Ma il numero e il
valore dei reperti recuperati si rivela superiore alle aspettative. Ecco dunque l’idea
vincente: allestire un sito museale in loco.
Dal 2004, al pari del museo, l’area archeologica «Città dell’Acqua» che ospita un’insula
romana (vasto complesso edilizio di età
imperiale) è aperta al pubblico.
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 81
Ritratti d’impresa
Augusto, si occupa della compravendita di
carne in tutto il mondo e dello sviluppo delle
attività di distribuzione alimentare all’estero. «Sono molto fiero dei miei figli. Ognuno
di loro ricopre il ruolo per cui ha studiato. La
nostra azienda è una macchina gestita da professionisti. In tal senso abbiamo fatto scuola. Non esiste un corso universitario che insegni questo mestiere. Un mestiere che una
volta era considerato prestigioso, ma purtroppo svilito dall’élite culturale del dopoguerra. Credo di poter affermare che buona
parte dei manager assunti oggi dalle imprese italiane delle carni sia stata formata all’interno del nostro gruppo».
Si sono alternate molte stagioni dall’epoca in cui il giovane Cremonini ha iniziato a
trasformare la macellazione delle carni in
attività industriale su larga scala. Nel frattempo gli eventi fuori programma non sono
mancati. Ricordata dalla memoria collettiva sotto la voce «mucca pazza», l’imprevisto
che tiene banco all’inizio del terzo millennio
ha un nome ingombrante: encefalopatia spongiforme bovina (Bse). Sono questi gli anni di
svolta per l’ex macello da poche vacche alla
settimana. Quotato in borsa dal 1998 come
Cremonini Spa (un decennio più tardi, non
più capogruppo industriale ma holding di partecipazioni, Cremonini abbandonerà il mercato telematico di Borsa italiana), nel 2000
il gruppo di Castelvetro vince la gara per i
servizi di ristoro sui treni inglesi Eurostar.
E nel giro di un decennio, grazie soprattutto
alla conquista dell’80 per cento dei Tgv francesi, si aggiudica l’oro europeo nella ristorazione a bordo dei convogli ferroviari. Tre anni dopo, in concomitanza con la liberalizzazione del mercato in concessione delle autostrade e in tandem al 50 per cento con la britannica Compass Group, Cremonini conquisterà una buona posizione nel segmento della ristorazione autostradale. Per poi rilevarne il 100 per cento del business nel 2006. È
invece l’autunno del 2001 quando, con l’inaugurazione del Roadhouse Grill di Legnano, il colosso modenese della carne lancia la prima catena di steakhouse in Italia.
Oggi i locali Roadhouse, matrimonio riuscito tra elevata competenza nel settore delle
carni e know how maturato nell’ambito del-
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Cremonini vanta cinquant’anni
di successi, acquisizioni, accordi
straordinari (uno per tutti quello
con Mc Donald’s). Con la costante
capacità di intravedere nuove attività.
Tra i momenti difficili del gruppo
il naufragio della partnership
con il colosso brasiliano Jbs,
che si chiude nel 2011.
«Oggi con Jbs abbiamo rapporti
commerciali eccellenti»,
commenta Luigi Cremonini
la ristorazione commerciale, sono una quarantina.
Capita però che la mucca pazza, nel
senso di Bse, ci metta lo zampino. «Sono stati momenti diff
ffi
ff
ficili», ammette l’imprenditore. «Ma le diff
ffi
ff
ficoltà aiutano a migliorare.
A biamo ribaltato l’azienda da cima a fo
Ab
f ndo
e ne siamo usciti più fo
f rti di prima». Anche
dal punto di vista sanitario. I prodotti sfo
f rfo
nati dagli stabilimenti Inalca, dieci in Italia
( Castelvetro e Ospedaletto Lodigiano in
testa) di cui quattro destinati al mercato dei
salumi, risultano infa
f tti consoni ai criteri
fa
previsti dalle normative sanitarie europee.
E questo grazie a uno staff
f di trenta persoff
ne, veterinari e biologi, che ogni giorno ne
verifi
f ca la qualità. Primo in Italia ad avere otfi
tenuto la certifi
f cazione ministeriale di confi
f rmità al regolamento comunitario 820/97
fo
relativo alla sicurezza alimentare, il gruppo
Cremonini vanta un sistema di rintracciabilità all’avanguardia che, in qualsiasi mo-
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privato dedicato alle patologie
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dell’apparato
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muscoli, tendini, articolazioni), dotato di
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piscina
riscaldata con annesso bagno turco e due palestre.
riscaldata con annesso bagno turco e due palestre.
Ritratti d’impresa
mento del processo, consente di risalire fino
al capo d’origine.
Voltata pagina e dimenticata l’encefalopatia spongiforme, ecco che nel 2011 giunge
imprevisto il naufragio della partnership
Cremonini-Jbs. Gruppo brasiliano tra i maggiori produttori di carne a livello mondiale,
Jbs fa capo alla potente famiglia Batista.
Dalla stretta di mano sono passati poco più
di mille giorni. La cronaca riferisce di un
incontro fortuito. Durante uno dei suoi numerosi viaggi il cavaliere, diretto in Brasile,
rimedia infatti un passaggio sull’aereo privato dei Batista. Da lì a spartirsi Inalca al
50 per cento il salto è breve. L’accordo prevede che i brasiliani, attraverso Inalca-Jbs,
operino in esclusiva nelle aree presidiate da
Inalca. E cioè in Europa, Russia e Africa. In
cambio Cremonini ottiene l’accesso al principale bacino di materia prima del Sudamerica. La famiglia Batista non sembra però intenzionata a rispettare i patti, e quella
che doveva essere una solida alleanza si trasforma presto in una guerra combattuta a
suon di carte bollate e pesanti accuse reciproche. Una guerra che si conclude con la
separazione consensuale: «Jbs ha restituito
al gruppo modenese il 50 per cento del capitale sociale di Inalca», spiega un’ultima nota
del 2011, «e Cremonini ha contestualmente
restituito l’importo di 218.855.219,50 euro
all’epoca investito da Jbs».
Muore così, senza strascichi giudiziari,
l’impegno reciproco siglato nel marzo 2008.
«Due anime troppo diverse» sarà l’amaro commento del diretto interessato, dimostrando
che le conseguenze del prematuro epilogo
del sodalizio italo-brasiliano pesano più sul
lato umano che sul piano economico. Infatti,
Inalca in questi tre anni è cresciuta molto,
ha inaugurato un nuovo stabilimento a Mosca e l’andata a regime degli investimenti
degli anni predecenti hanno portato quasi
al raddoppio del margine operativo lordo.
Praticamente si è finanziata per tre anni a
tasso zero. «E oggi», precisa Cremonini, «con
il partner brasiliano abbiamo di nuovo rapporti commerciali eccellenti». Certo che la
vita dell’imprenditore comporta in alcuni
momenti delle responsabilità immense. Il
tycoon di Castelvetro afferma oggi senza
mezzi termini: «In questo momento storico
fare l’industriale equivale a essere un eroe.
A volte si ha davvero l’impressione di lottare contro i mulini a vento. Io ho sempre guadagnato dieci e investito undici ma a fronte
della situazione attuale ritengo sia saggio
mostrarsi equilibrati».
E l’entità degli investimenti targati Cremonini sono comunque impressionanti: solo
nel 2012 65 milioni di euro, 27 in ambito
produttivo e 34 nel settore della ristorazione. Seppure lnalca e Marr non diano segno
di avere patito le frustate inferte dalla crisi
(l’unico calo registrato riguarda i ricavi di
Chef Express, 677 milioni di euro, in ribasso
di due punti percentuali rispetto al 2011), la
consapevolezza di essere seduto, come chiunque altro, su una polveriera pronta a esplodere spinge il navigato imprenditore a
un seria riflessione. «È necessario che il Paese restituisca la giusta soddisfazione ai protagonisti della produzione. E cioè dipendenti e imprenditori. La produzione è infatti la
nostra linfa vitale, ma negli ultimi vent’anni è stata massacrata tanto dalla politica
quanto dalla burocrazia. Le parole si sprecano e si produce sempre meno. Chi vuole
prendersi la briga di investire in un Paese
strozzato dai vincoli burocratici? Nonostante il costo eccessivo della mano d’opera,
tra i più elevati del mondo, l’unico settore
che continua a marciare è l’agricoltura.
Questo perché il prodotto made in Italy è unico al mondo e nel mondo sempre più apprezzato. Ma non è sufficiente. Come possiamo competere con quelle nazioni dove l’ora lavorata costa un quinto rispetto alla nostra? Nei trent’anni successivi all’ultima
guerra sono stati compiuti passi da giganti.
Ci siamo illusi che la baldoria durasse in eterno ma oggi il debito pubblico racconta tutta un’altra storia. Conservare questo status
quo è impensabile. Ognuno di noi deve trovare il coraggio di ridimensionare i propri
orizzonti e di rinunciare a eventuali privilegi». E poi, al momento del congedo, Cremonini aggiunge: «Molti sono convinti del
contrario, ma io amo gli animali». Gli animalisti non c’entrano. «Un capo allevato in
modo corretto e in un ambiente adeguato
fornisce carne migliore».
•
AMORE
AMARE
Cultura
Festival Filosofia
2013
È una delle passioni fondamentali dell’esperienza umana e anche un concetto
chiave della tradizione filosofica. Da conoscere nelle diverse accezioni di eros,
amicizia, generosità. Ma le profonde trasformazioni della nostra epoca
costringono a ripensarlo sia nella sfera privata sia in quella pubblica
di Stefano Marchetti - Foto Elisabetta Baracchi e Serena Campanini
Dal 13 al 15 settembre
torna l’appuntamento
tra Modena, Carpi
e Sassuolo con lezioni
accademiche,
spettacoli, mostre
e menù a tema
86 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
ossiamo farci prestare un dubbio da
William Shakespeare, «Ha mai amato colui che non ha amato a prima vista?», oppure ritrovarci nelle parole
de «Il Piccolo Principe» di Antoine de
Saint-Exupéry, «Amare è donare tutto se
stesso senza nulla chiedere», e magari volare sulle ali di un verso di Pablo Neruda
che spunta anche dal bigliettino di un
«Bacio» Perugina, «Amare è così breve,
dimenticare così lungo».
Già: l’amore, come scrisse Dante nell’ultimo verso della sua Commedia, «move
il sole e l’altre stelle», nell’amore c’è la forza della vita, la sua compiutezza, ma a volte anche il rimpianto, la nostalgia. Amare
può essere meraviglioso, eppure anche
P
AMARE
Cultura | Festival Filosofia 2013
difficile, complicato. «L’amore è una delle passioni costitutive dell’esperienza umana, e certamente è anche un concetto chiave della tradizione filosofica», fa
notare Remo Bodei, docente alla University of California e presidente del comitato scientifico del Festival Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo che dedica la sua tredicesima edizione, dal 13 al 15 settembre, proprio all’amare. Sì, il verbo «amare», e non la
semplice parola «amore», come avremmo potuto immaginare: «Ci è sembrato che il festival fosse maturo
per affrontare un tema così complesso. E con la scelta del verbo abbiamo voluto mettere l’accento sul
fatto che l’amore è una relazione, dunque può essere
rivolto a un altro soggetto, oppure non riuscire a raggiungerlo e chiudersi in se stesso», spiega Michelina
Borsari, direttore scientifico del festival. «Volevamo
evitare di cadere nel sentimentalismo, e sottolineare
invece che l’amore è un’energia che può far crescere»,
aggiunge il professor Bodei.
Nato nel 2001, quello modenese è stato il primo
caso europeo di festival filosofico in senso proprio, e
uno dei primi festival culturali italiani, ammirato,
studiato e, diciamolo pure, anche copiato. Nonostante la concorrenza di altri territori che in questi anni
hanno lanciato eventi legati al pensiero (uno studio
di Nomisma ha contato in Italia ben 927 manifestazioni in questo filone), il Festival Filosofia modenese
può vantare una primogenitura e, di edizione in edizione, ha conquistato un pubblico sempre più ampio,
oltre un milione e 400.000 presenze dal suo debutto
fino al 2012, «e con una grande quantità di giovani e
giovanissimi che arrivano qui da ogni parte d’Italia
per ascoltare conferenze e lezioni in un clima da concerto rock, un aspetto del festival che ogni volta mi
commuove», interviene Tullio Gregory, accademico
dei Lincei, anch’egli «anima» della manifestazione.
Anche per il 2013, dunque, la formula non cambia: a
più di 50 lezioni magistrali, con filosofi, sociologi, storici e ricercatori in arrivo da tutto il mondo, si affianca un ricchissimo programma di mostre, spettacoli,
Non poteva che chiamarsi «All you need is Love»
la mostra dedicata a John Lennon nelle sale
della Galleria Civica di Modena. A destra,
la copertina della cartella di 14 litografie
dall’omonimo titolo pensata da John
come regalo di nozze per Yoko in occasione
del loro matrimonio nel 1969. Esposta nel 1970
alla London Arts Gallery fu immediatamente
sequestrata da Scotland Yard per l’alto tasso
di erotismo. Sopra, il celebre ritratto di Yoko Ono
e John Lennon scattato da Annie Leibovitz
nel 1980, poche ore prima dell’assassinio
dell’ex Beatle, e che fa parte della raccolta
di fotografia della Galleria Civica
Da sinistra: Zygmunt Bauman, Philippe Daverio, Roberta de Monticelli, Tullio Gregory, Stavros Katsanevas, Michel Maffesoli
88 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
AMARE
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Cultura | Festival Filosofia 2013
idee e curiosità, che viene realizzato grazie a un consorzio (di cui fanno parte i tre Comuni, la Provincia,
la Fondazione Collegio San Carlo e la Fondazione Cassa di Risparmio di Modena) ma anche grazie all’aiuto
di finanziatori istituzionali come Confindustria Modena, e con il lavoro appassionato e prezioso di decine
di istituzioni culturali, musei, gallerie, associazioni
di volontariato. «Il festival è veramente l’espressione
del territorio, e questo è il suo segreto», rimarca Giorgio Pighi, sindaco di Modena.
L’amore è un sentimento universale e di tutti i
tempi, ma indubbiamente nella nostra epoca ha subìto profonde trasformazioni: le rivoluzioni politiche,
sociali, scientifiche e tecnologiche hanno dato un vol-
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Sopra, Michelina Borsari,
direttore scientifico del festival.
Da sinistra: Michela Marzano,
Vincenzo Paglia, Elena Pulcini,
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to nuovo all’amore, ci costringono a ripensarlo sia
nella sfera privata che in quella pubblica. Non sempre l’amore è eterno, nascono nuove forme di famiglia, e ci si incontra magari solo virtualmente, sui social network o in una chat. «Quando parliamo di amore, affrontiamo un concetto a grappolo e, come per l’uva, c’è quella dolce e quella più amara. L’amore è sicuramente una passione metamorfica», esordisce Remo Bodei. Le classiche categorie di eros, agape e philia forse non bastano più a spiegare tutte le facce dell’amore contemporaneo e anche la velocità del cambiamento, che a volte lascia disorientati. Nel programma del Festival Filosofia si possono quindi individuare alcune piste, fili conduttori che ci aiutano a non
Focus | I Giovani di Confindustria Modena al lavoro
Il Gruppo Giovani di Confindustria Modena partecipa da protagonista al
Festival Filosofia 2013. Lo scorso anno è stato il successo di «Poiesis.
Manifattura Made in Mo», l'originale progetto che ha portato nelle piazze di Modena, Carpi e Sassuolo esempi di macchine industriali e un’installazione di arte contemporanea con macerie di aziende terremotate,
suscitando molto interesse e partecipazione. Quest'anno il gruppo guidato da Elena Salda torna a far parlare di sé nell’edizione che ha al centro del dibattito il tema «amare».
«Crediamo che le nostre industrie e i nostri prodotti nascano fortemente legate al territorio a cui appartengono», dichiara la presidente dei giovani imprenditori di Confindustria Modena. «Per questo è importante
contribuire a dare visibilità a questa nuova forma d’arte, la street art,
che ha visto negli ultimi anni Modena sempre più protagonista nello
scenario nazionale, e coltivare in questo modo nuove eccellenze cittadine come modello di riqualificazione di un territorio che si deve riscoprire, ricostruire e continuamente reinventare».
Il progetto prevede un intervento di due artisti di street art di livello internazionale, Erica Ilcane e Bastardilla, che per l’occasione useranno per
le proprie performance un frontone del vecchio palazzetto dello sport in
centro storico. E il tema dell'amore, al centro della kermesse filosofica
modenese, si intreccerà con l'altro tema, al centro del lavoro e delle
riflessioni del Gruppo Giovani, «l’impresa»: un connubio non immediato ma ricco di spunti, che passa certamente per il concetto più
allargato di territorio.
«L’installazione, che verrà realizzata in concomitanza del Festival
Filosofia», spiega Elena Salda, «si avvarrà della collaborazione della galleria d’arte cittadina D406, da sempre impegnata nella diffusione a livello nazionale e internazionale di questa singolare forma d’arte, tramite
soprattutto il festival “Icone” che dal 2002 sta letteralmente contribuendo
a mutare il paesaggio urbano cittadino, con interventi di grande efficacia
nelle aree più degradate di Modena. Il Gruppo Giovani di Confindustria
Modena, come già fatto per l’edizione scorsa, interverrà coordinando un
pool di aziende associate a Confindustria Modena che permetteranno la
realizzazione del progetto». L'attenzione alla cultura è uno dei filoni più
innovativi del mandato di presidenza
della Salda e degli altri partecipanti al
Gruppo Giovani. Infatti, in questi due
anni è stata inaugurata una linea di
attiv ità culturali inedite per il gruppo
mediante le creazione di un’apposita
Commissione cultura, per approfondire le importanti connessioni tra cultura e territorio.
L.A.
Elena Salda all’inaugurazione
dell’installazione presentata
al Festival Filosofia 2012
Altri uffici: Assisi • Monaco di Baviera
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Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 91
AMARE
perdere il filo. Si parte dall’essenza, le
«potenze dell’anima»: «Nel pensiero occidentale, il rapporto fra passioni e ragione
è stato spesso conflittuale. La ragione era
vista come la forza che doveva dominare
le passioni, e nell’antichità il saggio era
appunto un esempio di atarassia e distacco», osserva Michelina Borsari. Tuttavia
nel mondo contemporaneo le emozioni
sono tornate prepotentemente anche sulla scena pubblica, come dimostrano anche
tanti movimenti di opinione o di protesta:
se ne parlerà con vari esperti, dall’antropologo Christoph Wulf a Roberto Esposito
e Roberta De Monticelli. Oggi è anche importante riuscire a condividere pensieri ed
emozioni, «sentire l’altro», insomma avere
una nuova empatia: l’economista Jeremy
Rifkin (in una lezione donata dagli otto
Rotary Club del gruppo Ghirlandina) verrà appunto a spiegarci la proposta di una
nuova «coscienza biosferica», per un mondo meno violento.
L’amore è transitivo, quando è simmetrico e si apre verso l’altro: il sociologo Michel Maffesoli esplorerà dunque l’homo eroticus, mentre Salvatore Natoli viaggerà
fra amore e amicizia, Michela Marzano parlerà della fedeltà, ed Elena Pulcini della
relazione di cura che c’è, anzi deve esserci,
nello stare con gli altri. Piero Coda invece
analizzerà la Trinità d’amore cristiana, una
alleanza «non contrattuale». Su un altro
fronte, l’amore può essere anche intransitivo, cioè narcisista, chiuso, incapace di
raggiungere un «oggetto», a volte possessivo e perfino violento, come ci mostrano
le cronache di femminicidi e soprusi. I legami fragili di un amore «liquido» saranno
il tema dell’intervento che il sociologo Zygmunt Bauman, sempre attesissimo, terrà insieme ad Aleksandra Jasinska-Kania.
Franco La Cecla seguirà le tracce dei congedi amorosi, mentre l’antropologo Marc
Augé, membro del comitato scientifico del
festival, ne delineerà gli effetti in termini
di solitudine e infelicità. «In fondo siamo
diventati incompetenti in amore», aggiunge il professor Bodei. «Un tempo c’erano rituali ben precisi, tradizioni, si sapeva quali fossero la grammatica e la sintassi del-
92 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
Cultura | Festival Filosofia 2013
l’amore, mentre invece oggi c’è molto fai da te, non
siamo preparati». E proprio su questo verterà la
lezione di Eva Illouz, professoressa di Scienze sociali
a Gerusalemme, annoverata fra i cento intellettuali
più influenti al mondo.
L’amore non è solo un legame fra due individualità ma investe direttamente la sfera pubblica e le
«politiche dell’amore», per esempio quando si parla di
nuove forme di relazioni (e al festival se ne occuperà
Chiara Saraceno) o quando progressivamente avanzano richieste di nuovi diritti, coppie di fatto, Pacs o
unioni gay, una questione giuridica che sarà affidata
a Stefano Rodotà. Sono sempre di più le separazioni
(Silvia Vegetti Finzi ne analizzerà le conseguenze affettive), e il nuovo modo di «fare famiglia» cambia anche il modo di abitare e le nostre stesse case, come dimostrerà Cristina Bianchetti, studiosa di architettura. «Ma l’amore entra nello spazio pubblico anche nel
suo aspetto di agape e di generosità», prosegue Michelina Borsari. Dunque si può agire rinunciando al
nostro interesse personale? Cosa vuol dire donare? Proprio su questo ascolteremo monsignor Vincenzo Paglia, fra i fondatori della Comunità di Sant’Egidio e
presidente del Pontificio consiglio per la famiglia, mentre Peter Sloterdijk, docente di Filosofia ed estetica a
Karlsruhe, ci spiegherà il suo concetto di «generosità
volontaria», legato anche alla necessità di pagare le
tasse, per il bene comune.
Un’altra sezione sarà incentrata sulle figure dell’amore e sui volti che questo sentimento ha assunto
nella mitologia o nella letteratura: lo psicanalista Luigi Zoja passerà ai raggi x la personalità dei centauri,
Le classiche
categorie di eros,
agape e philia
forse non bastano
più a spiegare
tutte le facce
dell’amore
contemporaneo.
«L’amore
è un concetto
a grappolo
e, come per l’uva,
c’è quella dolce
e quella più amara.
È una passione
metamorfica»,
ricorda Remo
Bodei, presidente
del comitato
scientifico
del festival
metà uomini, metà cavalli, estremamente saggi quanto incredibilmente crudeli, mentre Umberto Curi rileggerà il Don Giovanni, incarnazione del negativo. E
con Philippe Daverio andremo a incontrare l’Amor sacro e l’Amor profano nei capolavori della storia dell’arte. Amore è anche la stessa philo-sophia, e sarà Massimo Cacciari a distillarne alcune riflessioni, mentre
Anne Dufourmantelle, psicanalista e filosofia, aprirà
una finestra sul collegamento fra sfera sessuale e filosofia: del resto, già secondo Platone l’amore per il sapere aveva una connotazione erotica. Come tutti gli
anni, poi, un’ampia sezione sarà dedicata alla «lezione dei classici»: Giovanni Reale riepilogherà l’origine
di Eros secondo il «Simposio» di Platone, mentre padre Enzo Bianchi ritroverà le parole dell’amore nel
«Cantico dei Cantici» e Virgilio Melchiorre ci accompagnerà fra le pagine del «Diario del seduttore» di Kierkegaard, un testo fondamentale dell’Ottocento.
Ma, come recita una celebre canzone, non sempre
abbiamo bisogno di parole per spiegare quello che è
nascosto in fondo al nostro cuore. Ecco allora che il Festival Filosofia si affida anche alle immagini per catturarvi una scintilla d’amore. Lo fa con gli scatti di
Walter Chappell, che la Fondazione Fotografia espone all’ex ospedale Sant’Agostino di Modena, con le
«Xilografie» di Mimmo Paladino, fra antico e contemporaneo, al Palazzo dei Pio a Carpi, e con le testimonianze dell’impegno di Medici Senza Frontiere nel
reportage di cinque fotogiornalisti internazionali, esposto alla Paggeriarte di Sassuolo. Grande curiosità
suscita l’eccezionale omaggio che la Galleria Civica
dedica a John Lennon, artista, attore e performer: a
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 93
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Palazzo Santa Margherita verrà esposta
anche «Bag one», la cartella di 14 litografie che il Beatle regalò a Yoko Ono per le
nozze nel 1969, immagini che nel 1970 a
Londra vennero sequestrate da Scotland
Yard, perché ritenute troppo bollenti. Ai Musei Civici di Modena ammireremo i «Dardi d’amore» nei dipinti dei maestri del Barocco emiliano, da Guercino a Guido Reni,
mentre nelle sale dei Trionfi e dell’Amore
al Palazzo dei Pio di Carpi andremo a scoprire l’Amore Cieco, ovvero l’iconografia
di Cupido. E al Lapidario Romano, al piano terra del Palazzo dei Musei di Modena,
vedremo per la prima volta una straordinaria scoperta archeologica: due corpi,
due scheletri, risalenti al VI secolo d. C.,
che nella tomba si tenevano «mano nella
mano», in un gesto di impareggiabile
tenerezza. Rileggeremo le lettere d’amore
che per dieci anni di sono scambiati Rosina ed Emilio, due fidanzati carpigiani
del primo Novecento, e al Museo della Figurina di Modena potremo chiedere l’aiuto del «Segretario galante» per scrivere un
perfetto messaggio alla nostra lei o al nostro lui. E se Vinicio Capossela farà rivivere, nel nuovo millennio, un «Bestiario
d’amore» del XII secolo, in un’opera appositamente prodotta per il festival, a Carpi
potremo riascoltare antiche serenate d’amore, sperando che qualcuno si affacci al
balcone.
Siccome poi tante idee muovono anche
l’appetito, tornano i menù filosofici che,
con intelligenza e arguzia, vengono compilati ogni anno dal professor Tullio Gregory. «Noi portiamo Eros da cielo in terra», ride l’erudito gourmet. «Qui domina il
maiale, che ha costituito il nutrimento fondamentale per molti secoli, e il suo consumo è una forma di amore puro». In tavola
perciò l’eros in purezza è un trionfo di tigelle e gnocco fritto, mentre l’amore liquido mette nel piatto i pesci poveri dell’economia contadina, e gli amori bucolici sono
quelli per la frutta e la verdura. E il farfallone amoroso, ancora a tarda notte, salta
da un’enoteca all’altra ad assaggiare bocconcini di Parmigiano e sorseggiare calici
di lambrusco. Tutti i gusti dell’amore.
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Cultura | Scatti americani
All’ex ospedale Sant’Agostino la Fondazione Fotografia propone
una selezione di 150 fotografie scattate tra gli anni Cinquanta e Ottanta
Il mondo
sconosciuto
di Walter
Chappell
Chappell è considerato il prototipo dell’artista hippie.
Si è sempre tenuto lontano dai circuiti commerciali
e ha esposto raramente in Europa. Modena ospita
la prima vera retrospettiva internazionale dedicata
al fotografo statunitense scomparso tredici anni fa
di Stefano Marchetti
96 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
«Senza titolo», 1977,
stampa ai sali d’argento
Cultura | Scatti americani
G
uardi le fotografie di Walter Chappell e ti sembra di sentire una delle celebri canzoni di «Hair»,
«This is the dawning of the age of Aquarius»,
sta iniziando l’era dell’Acquario, un tempo di «harmony
and understanding, sympathy and trust abounding»,
armonia e comprensione, tolleranza e verità. Per lui l’atto di fotografare era come un’esperienza mistica: «Ho
sempre cercato di unire la mia scoperta della Natura
con la crescente scoperta del mio essere interiore», confidava. «Chappell era un puro, e lavorava su un’idea di
energia vitale che passa attraverso le cose e le collega
come un filo sottile», spiega Filippo Maggia, direttore
della Fondazione Fotografia di Modena e curatore dell’importante mostra, la prima vera retrospettiva internazionale, che viene dedicata all’artista statunitense
scomparso tredici anni fa. Dal 13 settembre fino al 2
febbraio 2014, negli spazi espositivi dell’ex ospedale
Sant’Agostino vedremo esposta una selezione di circa
150 fotografie vintage, realizzate fra gli anni Cinquanta e gli anni Ottanta, oltre alla maquette originale
di «World of flesh» del 1966, un libro mai nato, rifiutato
dagli editori che lo ritenevano troppo esplicito, insomma scandaloso. Già, perché Chappell fu spesso controverso, discusso, a volte anche osteggiato o censurato,
ma in lui c’era solo il desiderio di celebrare un abbraccio
universale e di trovare quel flusso creativo che unisce
tutto, i corpi umani e le rocce, la foglia di una quercia e
le ali di una farfalla. Tutto è in «Eternal impermanence», eterna impermanenza, come è il titolo scelto per
questo omaggio postumo a un genio hippie e alla sua
vita, forse inconsapevolmente provocatoria. Ogni foto
di Chappell esprimeva un segno d’amore: non a caso,
dunque, la mostra si inaugura proprio nei giorni del
Festival Filosofia che quest’anno ci invita ad «amare».
Walter Chappell vide la luce nel 1925 a Portland
nell’Oregon, e nelle sue vene scorreva anche il sangue
dei nativi americani: sua madre era un contralto e cantava nel Portland Symphony Choir, suo padre un inge-
«Nelle foto di Walter Chappell non c’era
alcuna costruzione, ma neppure ingenuità»,
osserva Filippo Maggia, direttore
della Fondazione Fotografia di Modena e curatore
della retrospettiva. «Le immagini volevano
semplicemente trasmettere quell’idea di purezza
ed energia vitale che lui ricercava, la fascinazione
del mistero della vita senza la necessità
di volere a tutti i costi capire il mondo»
98 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
Chappell
fu spesso
controverso,
discusso, a volte
anche osteggiato
o censurato,
ma in lui
c’era solo
il desiderio
di celebrare
un abbraccio
universale
e di trovare
quel flusso
creativo
che unisce tutto,
i corpi umani
e le rocce,
la foglia
di una quercia
e le ali
di una farfalla.
Perché tutto
è in «Eternal
impermanence»,
eterna
impermanenza,
come il titolo
scelto
per questo
omaggio
postumo
a un genio hippie
e alla sua vita
Il profilo
Una vita dedicata
al mistero
della Natura
W
alter Chappell nacque nel 1925 a Portland nell’Oregon: inizialmente studiò pianoforte e composizione musicale al Conservatorio della sua città, quindi
architettura al leggendario Talesin West costruito da
Frank Lloyd Wright in Arizona, ma nella sua formazione
fu fondamentale l’incontro con il fotografo Minor White,
avvenuto quasi fortuitamente nel 1942, durante un’escursione sciistica sui monti dello Stato di Washington.
Chappell strinse con White un’amicizia e un rapporto
creativo che non si interruppe, anzi si rinsaldò con il trascorrere degli anni. Il giovane Walter desiderava dedicarsi alla pittura, ma nel 1954 si ammalò di tubercolosi:
guarì dopo un lungo ricovero a Denver, e i medici gli raccomandarono di abbandonare il sogno di dipingere con i
pennelli, e a quel punto Chappell spostò con decisione il
suo interesse verso la fotografia.
Nel 1957 Walter Chappell si trasferì a Rochester, New
York, e studiò tecniche di stampa sotto la guida di White,
per poi affiancare Beaumont Newhall come curatore
della George Eastman House. In quegli anni collaborava
anche con la rivista di fotografia artistica «Aperture»,
diretta sempre da Minor White, che sosteneva una cultura fotografica indipendente dagli scopi commerciali o
documentativi.
Come allievo di White e di Edward Weston, Chappell seguì una tradizione fondata da Alfred Stieglitz, che vedeva
la fotografia come il tramite per attingere a una realtà più
profonda. Nel 1962 fondò l’Associazione of Heliographers, a cui aderirono celebri artisti come Paul Caponigro, e l’anno successivo si trasferì in California, e iniziò
a lavorare sempre più sulle forme del corpo umano, trovandovi una corrispondenza con le forme della natura.
Sulla West Coast Walter Chappell trascorse gran parte
della vita, e poi nel 1980 si trasferì nel New Mexico, prima
a Santa Fe poi a El Rito, continuando a tenere conferenze
e workshop (per esempio sul nudo in natura), a viaggiare
e a compiere spedizioni fotografiche.
È stato considerato il prototipo dell’artista hippie, e si è
sempre tenuto lontano dai circuiti commerciali: ha esposto raramente in Europa. Nei suoi 45 anni di carriera
comunque ha ricevuto per tre volte il Photographer’s
Fellowship del National Endowment for the Arts e nel
1999 il governatorato del New Mexico gli ha tributato il
premio per l’eccellenza nelle arti. I suoi scatti sono presenti nelle più importanti collezioni internazionali, dal
Museum of Modern Art di New York alla Library of
Congress di Washington. Chappell è morto l’8 agosto
2000: stava preparando una retrospettiva sul suo lavoro,
intitolata «Collected Light». I figli hanno creato the Walter Chappell Estate, catalogando centinaia di fotografie:
la mostra di Modena si realizza appunto in collaborazione con l’archivio dell’artista americano.
«Il mezzo fotografico è uno strumento creativo
nella ricerca di più alte qualità dell’essere,
per rivelare una realtà interiore nella vita umana»
Walter Chappell
«Pregnant Arch», 1963,
stampa ai sali d’argento
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 99
Cultura | Scatti americani
gnere ferroviario con ascendenze fra gli indiani d’America, i nonni erano fioristi e vivaisti. Visse i primi tre
anni nella riserva indiana di Umatilla, e proprio lì, certamente, ebbe il primo approccio con la cultura tribale,
il fascino della natura. Da bambino iniziò a studiare il
pianoforte, poi passò ai corsi di architettura, fino a quando decise di prendere la strada dell’arte. Aveva 17 anni
quando incontrò per la prima volta Minor White, che
divenne suo amico e suo maestro, ed ebbe un ruolo
importante nella formazione della sua «visione»: White, attento sperimentatore sui sentieri già tracciati da
Alfred Stieglitz, non documentava il mondo ma grazie
alla fotografia trovava la possibilità di riconciliare il
mondo esteriore con quello interiore. Il suo astrattismo
era come una filosofia. «A San Francisco Minor White e
Ansel Adams, insieme a Edward Weston e Imogen Cunningham, piantarono i semi dell’interesse di Chappell
per la fotografia», ha scritto lo storico Richard Pitnick.
Già negli anni Cinquanta, Walter Chappell iniziò ad
avere un suo contatto, quasi un dialogo, con il mistero
della Natura, che possiamo avvertire nei riflessi sull’oceano, nei bagliori di luce in cielo, fra le fronde di un
albero. Nel 1957 fu proprio Minor White a suggerire il
suo nome per l’incarico di assistente al curatore alla
George Eastman House di Rochester, New York. Walter
Chappell dunque si trasferì sulla East Coast e nel 1962
fondò la Association of Heliographers, di cui faceva
parte anche Paul Caponigro: già nel loro «manifesto»
enunciavano di voler affidarsi al mezzo fotografico
come a «uno strumento creativo nella ricerca di più alte
qualità dell’essere, per rivelare una realtà interiore
nella vita umana». E per la prima volta, in questa dichiarazione d’intenti, si parlava di «camera vision», il
momento in cui il visibile e l’invisibile si incontrano, e
l’intuizione di una realtà più profonda si combina con
una tecnica fotografica rigorosa. In tutto il suo percorso, Chappell fu legato proprio a questa camera vision,
ovvero «una funzione intelligente tra l’occhio umano e
la totalità della comprensione, in un momento di consapevolezza attiva»: la macchina insomma poteva fissare
l’attimo in cui la coscienza arrivava a sentire (e magari
provare) una realtà più importante. In questi pensieri
si ritrovano anche le teorie esoteriche di Georges Ivanovic Gurdjieff, filosofo e mistico armeno vissuto fra
Otto e Novecento: per lui tutta la nostra vita è vicina al
sogno, e tutti noi abbiamo le potenzialità per raggiungere un livello superiore di conoscenza.
Già allora Chappell era uno spirito senza briglie,
non seguiva le convenzioni o le forme sociali. Nella sua
vita traslocò decine di volte, ebbe due mogli, tantissime
relazioni e sette figli. Si sentiva libero nel praticare il
100 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
Dopo una lunga
esperienza
sull’East Coast
nei primi anni
Sessanta
Chappel torna
in California.
La Metro
Goldwyn Mayer
gli affida
alcuni ritratti
di celebrità,
Sharon Tate,
Liz Taylor,
Dennis Hopper,
ma l’artista
è distante
anni luce
da quel mondo.
«Era innamorato
della natura,
della vita»,
sottolinea
Maggia.
«Non aveva
alcun legame
con la società
ufficiale
e non era
interessato
ad averne»
nudismo, e la stessa libertà di pensiero la metteva anche nella sua vita quotidiana, nel suo lavoro, in un’esistenza appartata e bohèmienne: «Era completamente
lontano dal business, non gli interessavano i meccanismi del mercato», aggiunge Maggia. «Quando aveva bisogno di soldi, portava un paio di fotografie in una galleria, ma poi ripassava dopo due anni». Nel 1963 tornò
sulla West Coast, fra gli orizzonti del Big Sur, San Francisco, Los Angeles, e poi le Hawaii, Santa Fe, per approdare negli anni Ottanta nel New Mexico: nei primi anni
in California la Metro Goldwyn Mayer gli affidò alcuni
ritratti di celebrità, Sharon Tate, Liz Taylor, Dennis
Hopper, ma già allora Chappell era distante anni luce
da quel mondo. «Lui era innamorato della natura, della
vita», sottolinea il curatore. Non aveva alcun legame
con la società ufficiale, e di certo «non era interessato
ad averne». Per vivere produceva patate, oppure faceva
anche il pescatore di ostriche e il carpentiere. E magari
teneva workshop fotografici, dove lui, l’insegnante, si
presentava senza abiti, nature, appunto. La sua fattoria di Velarde, nel New Mexico, divenne meta di artisti
e figli dei fiori. «Tuttavia, contrariamente a quello che
si potrebbe pensare, Chappell non era quello che noi oggi definiremmo un fricchettone», annota Maggia. «Fumava tre pacchetti di sigarette al giorno, ma i figli mi
hanno detto di non averlo mai visto assumere droghe.
Neppure uno spinello». Anticonformista, certo. Scomodo, anche. Almeno per i perbenisti.
Cieli, pietre, tronchi d’albero, fronde, e corpi umani.
Corpi abbracciati, corpi sinuosi, braccia e seni, mani e
piedi. Dagli anni Cinquanta e Sessanta, per Walter Chappell divenne sempre più naturale ritrarli, e ritrovare in
tutti la linfa di un mondo che è invisibile agli occhi. Nelle foto si individuano singolari ma luminose analogie, e
i solchi fra le rocce di un canyon si rispecchiano idealmente nei segni e nelle pieghe del ventre di una donna
che ha appena partorito. Il corpo è sempre nudo, svelato, ma senza esibizionismi. Un fiore sul sesso di una ragazza per Chappell è una celebrazione della vita. E anche l’abbraccio fra il padre e il figlio, nudi, in una posa
che ci può apparire scabrosa, in realtà non contiene alcuno scandalo. L’unica malizia, semmai, è negli occhi di
chi guarda. «Chappell non si è mai posto il problema di
creare un caso. Nelle sue foto non c’era alcuna costruzione, ma neppure ingenuità: anzi, senza dubbio egli agiva con grande lucidità», osserva Filippo Maggia. «Era
un uomo estremamente sereno. Le immagini volevano
semplicemente trasmettere quell’idea di purezza ed energia vitale che lui ricercava, la fascinazione del mistero della vita senza la necessità di voler a tutti i costi
capire il mondo». A volte, però, le creazioni dell’artista
«Hopiland», 1967,
stampa ai sali d’argento
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 101
Cultura
Cultura | Fotografi modenesi
Sempre all’ex Sant’Agostino
anche la mostra su «Modena e suoi fotografi»
con un ricco materiale da importanti
collezioni storiche cittadine
L’artista statunitense
parla di «camera vision»,
il momento in cui
si incontrano il visibile
e l’invisibile, e l’intuizione
di una realtà più profonda
si combina con una tecnica
fotografica rigorosa.
Per lui, la macchina
può fissare l’attimo in cui
la coscienza arriva
a sentire e magari provare
una realtà più importante
«Nude Armpit», 1957,
stampa ai sali d’argento
Cieli, pietre, tronchi d’albero, fronde
e corpi umani. Corpi abbracciati, corpi sinuosi,
braccia e seni, mani e piedi.
Dagli anni Cinquanta per Walter Chappell divenne
sempre più naturale ritrarli e ritrovare in tutti
la linfa di un mondo che è invisibile agli occhi
102 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
dovettero passare attraverso le forche caudine della
legge: l’autoritratto di Chappell nudo con uno dei figli,
realizzato negli anni Sessanta, ancora nel 1990 venne
posto sotto sequestro e tacciato di oscenità dalle autorità del Maine. E forse anche per questo l’opera dell’artista di Portland è rimasta a lungo quasi sconosciuta all’esterno del mondo della fotografia d’arte. Anche se
Chappell, a parere di Peter Burnell, già curatore della
sezione fotografia al MoMa di New York, può essere
considerato «l’anello finale della catena della fotografia
Modernista che ebbe i suoi inizi con il lavoro di Stieglitz
e quindi passò nell’arte di Edward Weston e Minor
White».
Perfino le piante potevano rivelare la loro vita nascosta, una loro essenza interiore. Negli anni Settanta
Walter Chappell si dedicò anche a esperienze di elettrofotografia, immagini che venivano realizzate direttamente in camera oscura, senza il tramite dell’obiettivo
e della macchina: si applicava una corrente elettrica a
fiori e foglie, e la pellicola fotografica veniva impressionata dal campo elettromagnetico che si creava tutt’attorno. L’effetto è quello di un alone luminoso, dei bagliori di un’aura, come nella fotografia Kirlian che torna spesso negli studi sul soprannaturale e sull’inconoscibile. Chappell, con questo metodo, realizzò tutte le
foto del ciclo «Metaflora», pubblicato nel 1980. Fra
scienza e poesia, andava a esplorare un altro universo
nascosto che vive con noi e che noi non vediamo, così
come ci sono invisibili l’ossigeno e l’idrogeno che si uniscono a formare una goccia d’acqua. E attraverso questa metafora, ancora una volta ci voleva dire che anche
noi, nella nostra interiorità, abbiamo tutto un mondo
da scoprire. Basta solo volerlo. «Let the sunshine in».
Sì, lasciate che entri il sole.
•
Una città
da riscoprire
C
’era una volta una città antica,
ricca di storia, con le mura e le
porte, poche auto, molte carrozze e
i tram a cavalli. C’era una volta, e in realtà
c’è ancora, anche se i tempi sono cambiati e
qualche volta facciamo fatica a riconoscerla. È grazie ad alcune firme se possiamo
ancora ritrovarne il volto di un secolo fa: gli
scatti degli studi Bandieri, Sorgato, Bandieri e Andreola o dei fotoamatori Ferruccio Testi e Francesco Carbonieri ci restituiscono l’immagine di una Modena di cui talora abbiamo nostalgia. In parallelo alla
mostra dedicata a Walter Chappell, sempre all’ex ospedale Sant’Agostino, dal 13
settembre fino al 6 gennaio 2014 la Fondazione Fotografia propone un percorso su
«Modena e i suoi fotografi 1870-1945», con
settanta «punti di vista» provenienti da
importanti collezioni storiche cittadine. È
il primo capitolo di un progetto espositivo
che il prossimo anno si completerà con le
Salvatore Andreola
«La cupola della chiesa del Voto»,
ante 1930, Gelatina al bromuro d’argento.
Museo Civico d’Arte di Modena
fotografie di autori modenesi dal secondo
dopoguerra al nuovo millennio.
Come è noto, nella Fondazione Fotografia è confluito il Fotomuseo Giuseppe Panini con importanti raccolte che testimoniano l’evoluzione della nostra città: «Nei suoi
oltre 170 anni di vita, a Modena la fotografia è sempre stata praticata ad altissimi livelli», evidenzia la curatrice Chiara Dall’Olio. La mostra ripercorre dunque il lavoro
di atelier di lunga tradizione, come quello
dei Sorgato o quello degli Orlandini, che fu-
Atelier di lunga tradizione e fotografi amatoriali riuniti per raccontare strade
e visi modenesi dall’Unità d’Italia alla fine della Seconda guerra mondiale
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 103
Cultura | Fotografi modenesi
Benvenuto Bandieri
«Modena, piazza Grande, le bancarelle del mercato», 1917‐1931.
Gelatina al bromuro d’argento.
Archivio Panini di Modena
Francesco Carbonieri
«Modena, piazza Muratori», 1908 circa.
Gelatina al bromuro d’argento.
Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
Pellegrino Orlandini e Figlio, «Modena, piazza Grande, antiche case», ante 1888.
Albumina. Museo Civico d’Arte di Modena
Ferruccio Sorgato e F.llo, «Modena, abbattimento
delle mura da Barriera Garibaldi a Baluardo S. Pietro
(oggi viale Martiri della Libertà)», 1911.
Gelatina al bromuro d’argento,
Museo Civico d’Arte di Modena
Ferruccio Testi
«Modena, resa dei soldati tedeschi alle truppe alleate», 1945
Gelatina al bromuro d’argento
(ristampa contemporanea da negativo originale).
Fondazione Cassa di Risparmio di Modena
rono sì concorrenti, ma in realtà furono legati da una sorta di passaggio del testimone: Gaetano Sorgato infatti insegnò il mestiere di fotografo al figlio Ferruccio ma fu
anche il maestro di Pellegrino Orlandini che
poi formò il figlio Umberto. E proprio Umberto Orlandini tramandò i segreti del mestiere al figlio Carlo e a Benvenuto Bandieri, nel cui studio lavorò poi anche il figlio
William.
Di ogni atelier si colgono le peculiarità e
le specializzazioni. Ad esempio, per Umberto Orlandini e Salvatore Andreola la fotografia era un’espressione artistica, ed entrambi si mossero nell’ambito del pittorialismo che voleva riprodurre sulla carta fotografica gli schemi compositivi e le atmosfere dei dipinti, anche se Andreola (come
si può apprezzare in mostra) approfondì soprattutto le tematiche della luce e del ritratto, mentre degli Orlandini ricordiamo soprattutto la preziosa opera di documentazione dei monumenti e del territorio che ha
fatto paragonare il loro prezioso lavoro a
quello degli Alinari: la figura umana è presente più che altro nelle foto che Umberto
Orlandini scattava per sua passione personale. Ferruccio Testi e Francesco Carbonieri, liberi dagli obblighi dei professionisti,
puntarono invece l’obiettivo sulla vita quotidiana, sulle passioni e sugli hobby. In particolare, Testi ha lasciato un ampio archivio
dedicato agli eventi sportivi, dall’automobilismo al ciclismo al calcio, e non a caso fu
uno dei fondatori del Modena Football Club
nel 1912.
La selezione esposta ci porta a riscoprire angoli di una Modena che non c’è più, ma
anche visi, ambienti e persone, aprendo finestre sul costume. È curioso per esempio
notare come i fotografi di quell’epoca rappresentassero i rapporti affettivi: i fidanzati o
gli sposi si facevano ritrarre in studio in pose sempre rigorose, dal tono quasi ufficiale.
«La stessa foto di fidanzamento di Francesco
Carbonieri ha una compostezza estremamente formale», spiega Chiara Dall’Olio. Ma le pazienti ricerche fra i materiali d’archivio hanno permesso di scovare anche una foto in cui
Carbonieri e signora si guardavano negli occhi. Sì, era già il segno di tempi nuovi.
•
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 105
Sport | Imprenditori e campi da gioco
Il campionato 2013-14
farà della nostra provincia
una delle capitali del pallone
La esaltante
stagione
del calcio
modenese
Il Sassuolo è stato promosso in serie A,
il Carpi in B. Il Modena se l’è cavata
alla grande. E perfino il Verona,
con un presidente carpigiano, festeggia
il ritorno nella massima serie.
Risultati in buona parte frutto dell’impegno
di Paolo Reggianini
dell’imprenditoria locale
U
na volta per gli amanti del calcio modenese c’erano solo due colori nei
quali riconoscersi: il giallo e il blu. Normale, visto che parliamo di un
club con oltre cento anni di storia, quattordici partecipazioni al campionato di serie A, quarantasette a quello di B (il decimo consecutivo pensando
già alla stagione 2013-14) e undici promozioni. Un curriculum che da queste
parti non teme confronti. E non a caso fino al 2008 il Modena ha sempre guardato tutto il calcio del territorio dall’alto. Poi, gradualmente, l’accerchiamento è
iniziato con l’avvento del Sassuolo e successivamente (è storia di quest’estate)
106 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
Dall'alto:
Stefano Commini,
amministratore
delegato
del Modena Fc;
Giorgio Squinzi,
patron del Sassuolo;
Stefano Bonacini,
azionista
di maggioranza
del Carpi Calcio.
Da sinistra:
Francesco
Magnanelli,
centrocampista
e capitano
del Sassuolo Calcio
neo promosso
in serie A;
Davide Zoboli,
difensore centrale
del Modena Fc;
Andrea Ferretti,
punta del Carpi
Sport | Imprenditori e campi da gioco
Da sinistra: un momento di gioco di Casamodena;
Vanis Marchi con Francesca Piccinini, fuoriclasse
del volley femminile italiano, futura leader
della L-J Volley Modena che disputerà
il prossimo campionato di A1;
Antonio Panini, uno dei cinque soci
di Modena Volley Punto Zero
Volley | Le speranze per uno sport molto amato
D
’accordo, il calcio è sempre il
calcio. Una presenza ingombrante laddove squadre di serie A
e anche di B catalizzano grande
interesse. Nella nostra realtà con
Sassuolo, Modena e Carpi non ci
sarebbe teoricamente spazio per
altre discipline di sport professionistico. Tuttavia Modena è speciale
anche per questo. Qui il volley era
e resterà una cosa seria, alimentato da una passione capace anche
di tenere testa a concorrenze pesanti. Nella provincia modenese si
gioca a pallavolo da oltre 50 anni,
e non parliamo solo delle squadre
di vertice. Nella stagione che inizierà dopo la metà di ottobre, due
formazioni terranno alto l’onore e
la tradizione di Modena nel massimo campionato maschile e femminile. Ma non è stato facile completare un mosaico che fino alla
primavera scorsa assomigliava a
un rompicapo senza soluzione.
Ha rischiato il volley maschile.
Parliamo del club che ha permes-
108 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
so alle maglie gialloblù di mantenersi ai vertici vincendo scudetti e
coppe internazionali. Grazie a una
imprenditoria locale che con grande sensibilità ha raccolto il grido di
dolore di un club che aveva necessità di rinnovarsi, il futuro sembra
garantito. Dopo l’uscita di scena di
Giuliano Grani nella primavera del
2012, le redini della società sono
passate nelle mani di Pietro Peia,
manager modenese che in diversi
ruoli ha contribuito a scrivere la
storia della pallavolo non solo modenese. Peia ha salvato la società
un anno fa ma dopo dodici mesi
non facili, ha passato la mano rendendo necessaria la creazione di
una nuova società che ha preso il
nome di Modena Volley Punto
Zero. Determinante il ruolo di
Antonio Panini, figlio del compianto Giuseppe che a questa disciplina ha dato tanto, nel radunare un gruppo di imprenditori, quasi tutti modenesi, che oltre a liquidare la vecchia proprietà, hanno
posto basi, speriamo solide, per
garantire lunga vita al volley gialloblù. Nuovo presidente è Gino
Gibertini, ex giocatore della Panini,
imprenditore nel campo della
distribuzione di carburanti.
Insieme a lui formano la società
Catia Pedrini, Dino Piacentini, lo
stesso Antonio Panini e Peter
Zehentleiner, amministratore delegato di Trenkwalder.
Era scomparsa invece la pallavolo
femminile di A1. Una brutta pagina
di sport per la nostra città quando
a gennaio di quest’anno
l’Universal è stata costretta a gettare la spugna per mancanza di
risorse economiche, frutto di una
gestione sciagurata. I meccanismi,
a volte discutibili, che regolano il
volley, ma non solo, a questi livelli
hanno permesso a Modena di
acquisire il titolo sportivo di Villa
Cortese e di potersi ripresentare ai
nastri di partenza. Merito di tutto
questo la Liu Jo di Carpi dei fratelli
Marco e Vanis Marchi che hanno
sempre visto nella pallavolo femminile anche un veicolo importante per promuovere il brand della
propria azienda. Si chiamerà L-J
volley la formazione che partirà
con rinnovato entusiasmo. Molto
interessante il progetto anche tecnico che, viste le premesse, ha
tutto per durare nel tempo. I fratelli Marchi hanno voluto una squadra con alcune tra le migliori giovani giocatrici del panorama
nazionale e internazionale, affidandosi poi a due atlete di grande
spessore. Oltre a Paola Cardullo,
libero per lunghi anni della nazionale italiana, l’atleta di riferimento
della L-J sarà Francesca Piccinini
che presterà anche la propria
immagini all’azienda carpigiana.
Francesca Piccinini, nonostante i
34 anni, ha ancora molto da dire
nel campo della pallavolo e la sua
presenza catalizzerà l’attenzione
del pubblico, anche più giovane,
per garantire alla squadra una
stagione da protagonista.
con la forte ascesa del Carpi. Morale, le
maglie canarine restano, forse, ancora
quelle più amate, ma adesso l’attualità ha
ridisegnato la geografia e ridefinito le gerarchie al punto da trasformare la provincia di Modena in un esempio da analizzare, non solo a livello nazionale, per il progredire di tutto il movimento calcistico
locale.
Il campionato 2013-14 farà della nostra provincia una delle capitali del pallone, con una squadra in serie A, il Sassuolo, e due in B, Modena e Carpi. Incredibile, impensabile. Anche perché se ci guardiamo attorno scorrendo la via Emilia e la
nostra regione, poco tempo fa Piacenza,
Spal e Ravenna sono finite dentro l’inferno nei dilettanti, mentre la Reggiana ha rischiato pesantemente di scivolare in quarta serie. Ci saranno i derby, è vero, con
Bologna e Parma, ma rispetto ad anni fa
la regione si è impoverita, e solo Modena è
andata controcorrente. Tanto per rendere
l’idea sul patrimonio calcistico della nostra provincia, solo Milano con le corazzate Milan e Inter, quando il Monza ha navi-
gato in serie B, ha potuto esprimere un livello così alto. Tuttavia, facendo un rapido rapporto calcolando la popolazione, si capisce bene il livello di eccellenza raggiunto dal calcio espresso da questa terra. La
provincia di Modena ha solo 700.000 abitanti, mezzo milione in meno della capitale lombarda.
La scelta del Sassuolo di spostarsi a
Reggio Emilia per disputare il suo primo
campionato di serie A (probabilmente acquistando lo stadio del Tricolore, seguendo così la Juventus, unico esempio in Italia di club con impianto di proprietà), ha
sprovincializzato i colori neroverdi, anche
se questo resta un fenomeno made in Modena (non certo reggiano) con il supporto
fondamentale di un imprenditore milanese del livello di Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria e patron di un gruppo
come Mapei che rappresenta un’eccellenza dell’imprenditoria italiana nel mondo.
Quando Squinzi, nel lontano 2003, decise
di passare da sponsor a proprietario del
Sassuolo (la società sarebbe dovuta passare al gruppo Kerakoll, concorrente di
Mapei, appartenente alla famiglia Sghedoni, che poi si ritirò), mai avrebbe pensato di arrivare così in alto. Ma aveva le idee
chiare, come testimonia una sua intervista alla «Gaz zet ta dello Sport» del 21
dicembre del 2007 quando la squadra era
in C1 con Massimiliano Allegri, oggi mister del Milan, sulla panchina neroverde.
«Il Sassuolo è lo specchio del nostro modo
di fare sport», disse l’attuale presidente di
Confindustria. «Organizzazione, etica, serietà, programmazione. Il presidente Carlo Rossi (ancora oggi al timone della società sportiva, ndr) è uomo Mapei ed è la nostra garanzia, il centro Mapei Sport di Ca-
stellanza segue gli atleti con ottimi risultati». «Resto milanista», aggiunse Squinzi
sottolineando una frase che poi ha ripetuto a distanza di tempo dopo la promozione
in A, «e il giorno che ci sarà Milan-Sassuolo tiferò Milan, ma il mio sogno è giocare Sassuolo-Inter e ovviamente vincere». Sogno realizzato a distanza di sei anni, perché la squadra del tecnico Di Francesco contro le milanesi, ma anche contro
Juve, Roma, Lazio ci giocherà sul serio,
con buona pace del suo patron che in questi anni più di una volta aveva anche pensato di mollare il calcio e di tornare al suo
vecchio amore, il ciclismo.
Quello del Sassuolo, (il 5 per cento
della società è di Sergio Sassi di Emilceramica, il cui padre, Claudio, è stato uno
dei grandi presidenti del passato neroverde), 91 anni di storia trascorsi prevalentemente tra i dilettanti, rimane comunque
un fenomeno che esce dai consueti canoni.
Infatti se è normale per un club di questo
livello avere una proprietà «straniera», la
particolarità sta nel fatto che parliamo di
una cittadina di 41.000 abitanti che senza
fare granché (l’apporto dell’imprenditoria
locale è stata quasi nulla) si è trovata, al
quinto tentativo, catapultata sul palcoscenico del grande calcio. È chiaro che senza
Squinzi oggi non saremmo qui a parlare
di questa impresa, ma non può essere una
colpa del distretto ceramico che, causa
anche la crisi, ha altre priorità. Dal punto
di vista statistico, inoltre, Sassuolo può
essere orgogliosa del fatto che solo Casale
Monferrato, nella storia del calcio, ha avuto una squadra in serie A con meno abitanti (36.000).
Differente il percorso del Carpi, anche
se due aspetti accumunano queste due re-
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 109
Sport | Imprenditori e campi da gioco
altà emergenti. Calcisticamente parlando,
entrambe hanno conquistato la promozione proprio l’anno dopo aver subito due cocenti delusioni. Il Sassuolo eliminato nei
playoff del 2012 contro la Sampdoria, il
Carpi sconfitto a un passo dalla serie B nella finale di Prima Divisione contro la Pro
Vercelli, in una situazione ambientale molto difficile perché quelli erano i drammatici giorni del dopo terremoto. E vincere dopo
un doppio smacco del genere, ha solo contribuito a moltiplicare il valore di questi
successi. L’altro aspetto, questa volta negativo, che unisce questi due progetti vincenti è la mancanza di uno stadio all’altezza della situazione. Sassuolo ha commesso l’errore di sottovalutare la potenzialità del progetto di Squinzi. E dopo aver speso nel 2007 soldi pubblici per adeguare il Ricci per la serie C1, ha solo potuto constatare l’inadeguatezza del proprio
impianto di gioco, rendendo necessario il
trasloco in affitto a Modena nei cinque anni di B, poi a Reggio Emilia a caccia di nuovi tifosi. Non sarà così invece nella città
dei Pio dove il vecchio stadio Cabassi, attraverso un accordo tra pubblico e privato, potrà regalare ai tifosi biancorossi nel
campo cittadino la serie B, con inevitabili
benefici sul piano del tifo, ma soprattutto
per l’economia locale.
Il Carpi, nato nel 1909, non era mai sa-
110 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
lito così in alto. La serie cadetta l’aveva
sfiorata anche nel ’97 perdendo la finale
con il Monza. La voleva a tutti i costi questa promozione Stefano Bonacini, titolare,
insieme al suo socio Roberto Marani, di
Gaudì, impresa del tessile il cui marchio
viaggia a gonfie vele in tutto il mondo. Bonacini, modesto ex calciatore, da sempre
ha visto nel calcio un veicolo promozionale importante per promuovere la propria
attività. Un anno fa voleva il Modena, rimase deluso dalla trattativa con Casari e
meditò di lasciare il mondo del pallone.
Con idee vincenti, senza sprecare denaro
(la squadra salita in serie B è costata «appena» 1,8 milioni di euro, valorizzando tanti giovani) ha scalato le vette della Prima
Divisione con un cammino incredibile: dopo la fusione con la Dorando Pietri, in quattro anni Carpi è salita dalla serie D alla
serie B, con un progetto diverso rispetto a
Sassuolo, ma dove le idee, le strategie, la
gestione di una squadra di calcio con gli
stessi criteri di una azienda, hanno fatto la
differenza rispetto alla concorrenza.
Quello biancorosso è un prodotto tutto
made in Carpi, perché oltre a Bonacini e
Marani, c’è un altro imprenditore locale,
il presidente Claudio Caliumi, titolare di
Madrilena, che ha dato un contributo importante, mentre sulle maglia c’è il logo Blumarine altra azienda di primo piano nel
settore tessile. Le ferite del terremoto che
anche calcisticamente parlando hanno lasciato il segno, non hanno piegato la città
che adesso potrà godersi un ruolo da protagonista nel calcio.
E a proposito di Carpi e di una annata
sportiva a dir poco indimenticabile, anche
Maurizio Setti, presidente del gruppo Antress (Manila Grace ed E’Go i marchi più
importanti), ex socio del club biancorosso,
anch’egli ex calciatore e grande appassionato di calcio, ha avuto la possibilità di esultare due volte, sia per il risultato conseguito dalla squadra della sua città, ma
soprattutto per la promozione in serie A
del Verona, di cui è proprietario al 100 per
cento. Lasciato in un primo tempo i colori
del Carpi per quelli del Bologna, con la
squadra veneta Setti ha centrato al primo
tentativo un risultato eccezionale con i gialloblù scaligeri in una piazza in cui il pallone può rappresentare un grande business.
E il Modena? I risultati della scorsa stagione hanno regalato ai tifosi canarini una
delle migliori stagioni degli ultimi anni,
ma i successi di Sassuolo e Carpi hanno
messo in secondo piano la performance dei
gialloblù. Qui la situazione societaria si differenzia dalle altre. Mentre a Sassuolo c’è
un unico proprietario e a Carpi una suddivisione di quote (anche se la presenza di Bonacini è di vitale importanza per la so-
Due momenti di grande festa
delle squadre e dei tifosi a Carpi
e a Sassuolo per la promozione
rispettivamente in serie B e serie A
pravvivenza della squadra), dalle parti di
viale Monte Kosica gli equilibri sono più
difficili, anche da comprendere. È fuori dubbio che in questi anni la presenza di un colosso come la cooperativa Cpl, ha garantito un benessere calcistico piuttosto rassicurante. Roberto Casari, ago della bilancia per garantire certi equilibri societari,
un anno fa, davanti alle drammatiche conseguenze del terremoto sull’imprenditoria
della bassa, ha deciso di cambiare strada.
Di negativo c’è stata l’uscita di importanti
imprenditori locali da Ghirlandina Sport,
società che fino a quel momento aveva mantenuto la maggioranza, privando la squadra di quella modenesità che a gioco lungo
ha un po’ raffreddato l’entusiasmo della piazza. Con Cpl passata al 34 per cento, il timone della società è finito nelle mani della società romana Acgf, la cui trasparenza non ha
mai convinto del tutto. Resta però il fatto
che davanti a una perdita di esercizio di oltre quattro milioni di euro maturata al 31
dicembre 2012, l’ad Stefano Commini e i
suoi soci hanno provveduto a ripianare il
rosso, rispettando tutte le scadenze per
l’iscrizione alla B, cercando di garantire al
Modena, con il supporto di Antonio Caliendo, esperto di calcio che ricopre il ruolo di consulente generale ma con forti influenze nelle scelte strategiche, una gestione più equilibrata senza quegli sprechi che
sono stati fatali per molti club calcistici.
Cosa sarà di questa stagione per la
«nuova capitale» del calcio, nessuno può
saperlo con certezza. Di certo qui le idee
non mancano per continuare a esportare
il nome di Modena in termini positivi. Ma
come spesso accade quando si raggiungono determinati livelli, in alcuni casi
impensabili, adesso viene il difficile. E ritrovarsi tra un anno ancora con una squadra in A e due in B, visti i tempi e la crisi
che tocca da vicino anche l’ex mondo dorato del calcio, sarà un successo. Un grande
successo.
•
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 111
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sfide e la rilevanza
del settore manifatturiero per introdurre innovazione
e produrre conoscenza, di Gianni
Toniolo (Duke
University) sulle
trasformazioni del
capitalismo europeo e sulle potenzialità di cui ancora
dispone, e di Sergio
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sull’urgenza di un
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superare lo stallo,
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Sessanta
Ripartire
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La Cenerentola di
questo Paese, da un
po’ di tempo a questa parte, si chiama
politica industriale.
Il merito del volume
di Lino Mastromarino, che possiede
un’esperienza pluridecennale, e assai
autorevole, nel mondo della consulenza
alle imprese, è di
riportare l’attenzione sulla logica distrettuale che tanti
meriti ha avuto per
la nostra economia.
Introducendo, però,
come richiedono i
tempi complicati
che viviamo, cambiamenti significativi: i distretti (che
hanno avuto lo straordinario pregio di
contribuire alla
creazione del made
in Italy) devono convertirsi in sistemi
locali per l’innovazione puntando
sulle «imprese
pivot», quelle alla
base del cosiddetto
«quarto capitalismo».
Lino Mastromarino
Italia, è tempo
di ripartire
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Dacci oggi i nostri salari
C’è in Italia, assieme ad alcune altre perennemente irrisolte, anche un’autentica «questione salariale». Nell’ultimo ventennio, mentre gli stipendi rimanevano fermi, ci sono alcuni che ne hanno approfittato alla grande,
e a detrimento del sistema Italia. Walter Passerini (editorialista de «La Stampa» e responsabile delle pagine sui temi del lavoro) e Mario Vavassori (consulente specializzato in risorse umane e retribuzioni) compiono un viaggio nelle remunerazioni del nostro Paese oggi, dove l’elevatissimo debito pubblico e la precarietà stanno colpendo con inusitata durezza intere generazioni. La via d’uscita consiste
Walter Passerini e Mario Vavassori
nel liberare risorse per arrivare a salari netti più alti, nell’incentivare il merito e nell’incrementare la produttività, con la conseguente necessità di ammodernare il sistema delle relazioni industriali e di articolare maggiormente i livelli contrattuali. Ora o mai
più.
Walter Passerini e Mario Vavassori
C’è stato un triennio della nostra storia dopo il quale, se
cavalcato adeguatamente (come,
purtroppo e immancabilmente
non si è fatto), nulla sarebbe stato più
come prima. In positivo. Ce lo racconta Michele Mezza,
noto giornalista Rai
(e tra gli inventori
di RaiNews 24), in
un libro fitto di conversazioni con studiosi e protagonisti
dell’economia, della
politica e della cultura. Il triennio
compreso tra il
1962 e il ’64, ricchissimo di «lune» a
portata di mano, e
di personalità formidabili (come Adriano Olivetti), poteva rappresentare
la grande occasione
per gettare le basi
del protagonismo
dell’Italia nell’economia della conoscenza e dell’high
tech. Alcune delle
risposte per capire
perché, malauguratamente, ciò non
sia accaduto si trovano qui.
Senza soldi
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Michele Mezza
Avevamo la luna
Donzelli, 344 pagine, 19 €
Settembre/Ottobre 2013 - OUTLOOK 113
Imparare a
connettersi
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Net
Economy
e marketing
John C. Maxwell
La connessione
come chiave del
successo imprenditoriale, e non solo.
Uno dei maggiori
esperti delle tematiche relative alla
leadership (e un
bestsellerista da
vari milioni di
copie) sposta l’attenzione su un
risvolto, un po’ trascurato ma nodale,
di questa nozione
tanto importante
nel mondo aziendale. Vale a dire, la
«connessione», che
Maxwell illustra
nei suoi dieci principi fondanti, e che
prevede, tra i suoi
aspetti, la capacità
di intercettare l’interesse degli altri,
di individuare un
terreno comune, di
semplificare il proprio linguaggio e
messaggio.
Mostrando che
«comunicatori connettivi» non si
nasce, ma lo si
diventa.
John C. Maxwell
Tutti comunicano,
pochi si connettono
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226 pagine, 19 €
114 OUTLOOK - Settembre/Ottobre 2013
I brand
al tempo
dei social
media
Marketing
post
moderno
Le idee ci sono, soprattutto nell’«intelligenza collettiva» della Rete, ci
dicono i due curatori (Adam Arvidsson, professore di
Sociologia alla
Statale di Milano e
Alex Giordano,
già cofondatore
di «Ninja Marketing»). A latitare,
invece, è il modello
organizzativo. Ecco
perché, riprendendo le intuizioni di
Giampaolo Fabris e
di Bernard Cova,
che firma la prefazione, gli autori rilanciano il societing, dove i consumatori rappresentano parte attiva
del processo produttivo innovativo
(come il marketing
sa benissimo), in
versione reloaded,
dotata di significati
sociali originali e
innovativi al mutare della pelle dei
contesti in cui
viviamo.
Il successo industriale
passa attraverso la pulizia
Management by cleaning: tra le molteplici
strategie e filosofie manageriali ce n’è una,
proveniente dall’Estremo Oriente, che ha
molto dello stile esistenziale giapponese. Ovvero, la «via alla pulizia» nel management,
teorizzata e praticata da Hidesaburo Kagiyama, patriarca di un importante gruppo,
Yellow Hat. La pulizia degli ambienti e il decoro del luogo di lavoro si possono trasferire, come insegnano le esperienze realizzate
e le prassi di toilet cleaning management,
alle modalità del fare funzionare l’azienda,
con risultati lusinghieri sotto il profilo dei bilanci, dell’efficienza e della qualità delle relazioni tra i lavoratori e con i collaboratori.
Hidesaburo Kagiyama
I social media come
potente strumento
di comunicazione di
marketing.
L’autore, digital
strategist, presenta
una mappa completa dell’ecosistema
dei social media
rispetto al loro utilizzo per le strategie di impresa, le
quali vanno pianificate attentamente,
al contrario del predicato «spontaneismo internettiano».
Altro elemento che
ci mostra il postmodern marketing è
l'importanza del
ruolo dei consumatori nella creazione
di contenuti e nel
fornire, con la loro
partecipazione, un
rafforzamento di
fatto dei brand
aziendali.
Alessandro Prunesti
A cura di
Adam Arvidsson
e Alex Giordano
Societing reloaded
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Hidesaburo Kagiyama
Toilet Cleaning Management
Guerini e Associati, 250 pagine, 18,50 €
Alessandro
Prunesti
Social media
e comunicazione
di marketing
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