suppl. n. 3 Italian Journal - Società Italiana di Agronomia

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suppl. n. 3 Italian Journal - Società Italiana di Agronomia
Italian Journal of Agronomy
Rivista di Agronomia
An International Journal of Agroecosystem Management
July-September 2006 Supplement Issue
Vol. 1, No. 3 Suppl.
Indice / Contents
Il pianeta acqua nel continente agricoltura, Stanca M.
415
Luigi Cavazza. Protagonista del progresso delle scienze agrarie, Caliandro A.
417
L’acqua come elemento di differenziazione dei prodotti agro-alimentari,
Nardone G., Zanni G.
421
Le acque di irrigazione e la sicurezza alimentare, Biavati B., Mattarelli P.
435
Ruolo dell’acqua nel decadimento della qualità degli alimenti, Piazza L.
441
Irrigazione e sviluppo agricolo: evoluzione dell’uso dell’acqua ed effetti
sul valore del prodotto, Columba P., Altamore L.
451
Acque saline e qualità del suolo, Dazzi C.
467
Efficienza d’uso dell’acqua nelle produzioni vegetali a diverse scale
spazio-temporali, Basso B.
475
Strategie per una gestione sostenibile delle risorse idriche nel settore
ortofloricolo, Elia A., Farina E.
497
L’irrigazione sostenibile in frutticoltura, Xiloyannis C., Dichio B.
507
Il ruolo dell’acqua nell’allevamento animale, Enne G., Greppi G., Serrantoni M.
519
Nuove tecnologie per l’ammodernamento e la gestione degli
impianti irrigui, Santini A.
529
Acqua e malerbe: un binomio da gestire per la produttività e l’ambiente,
Berti A., Bàrberi P., Vidotto F., Ferrero A., Zanin G.
541
Acqua e insetti limitanti le produzioni agro-forestali, Solinas M.
553
Effetti interattivi dell’acqua e dei patogeni nello sviluppo di malattie
in ambito agro-forestale, Vannini A., Vettraino A.M.
563
Il valore dell’acqua per il territorio e l’ambiente rurale, Gallerani V., Viaggi D.
569
Effetti del cambiamento del regime delle precipitazioni nevose
sulla temperatura del suolo e sul ciclo dei nutrienti in pedoambienti
alpini, Zanini E., Freppaz M.
577
Agrometeorologia ed esigenze idriche delle colture, Mariani L., Cola G.
587
Foreste e uso dell’acqua: fattori di controllo e possibilità di gestione,
Magnani F., Ripullone F., Borghetti M.
603
Ruolo dell’acqua nella fisiologia della pianta: aspetti termodinamici
e cinetici, Cocucci M.
609
Risposte genetico-molecolari delle piante a carenza idrica, Grillo S.,
Blanco A., Cattivelli L., Coraggio I., Leone A., Salvi S.
617
Il pianeta acqua nel continente agricoltura
L’Associazione Italiana Società Scientifiche Agrarie (AISSA), in collaborazione con la Facoltà di
Agraria dell’Università di Modena e Reggio-Emilia, organizza il suo terzo Convegno annuale con
l’obiettivo di integrare in modo trasversale le competenze scientifiche delle sue diciotto Società su
un tema di grande interesse: l’acqua.
Nell’era della specializzazione nel settore della ricerca scientifica, il Convegno ha l’ambizione
di mettere insieme i singoli componenti del mondo scientifico agrario, di farli interagire tra di loro e di tentare di affrontare il problema Acqua in modo interdisciplinare. L’avanzamento delle conoscenze sul ruolo dell’acqua nel “Continente agricoltura” garantirà ricadute di notevole interesse a breve, medio e lungo termine, per migliorare ulteriormente l’interazione “Organismi viventi
di interesse agrario – terreno – atmosfera”. L’obiettivo finale è infatti quello di assicurare per il
futuro uno sviluppo sostenibile, grazie alla razionale gestione di un fattore ambientale ed economico primario, l’acqua.
Michele Stanca
Presidente AISSA
Luigi Cavazza
Protagonista del progresso delle scienze agrarie
Angelo Caliandro*
Dipartimento di Scienze delle Produzioni Vegetali, Università di Bari
Via Amendola 165/a, 70126 Bari
Autorità,
illustrissimi Presidenti dell’AISSA e delle Società di Scienze Agrarie,
illustri Colleghi,
Signore e Signori,
ho accettato con immenso piacere e profonda
commozione l’invito rivoltomi dal Presidente
dell’AISSA, dott. Michele Stanca, a illustrare il
contributo apportato all’evoluzione delle Scienze Agrarie dal prof. Luigi Cavazza, Emerito di
Agronomia generale e Coltivazioni erbacee dell’Università di Bologna, durante la Sua lunga
vita universitaria; il prof. Cavazza proprio quest’anno compie i sessant’anni di attività, essendosi laureato a Bari nell’anno accademico
1945/46. Il suo impegno di studioso dei problemi agronomici coincide con un periodo di
profonda trasformazione dell’agricoltura italiana, rapidamente passata da un sistema arcaico
ad uno moderno e innovativo grazie ai contributi della ricerca scientifica.
Ho avuto l’onore di conoscere il professor
Cavazza da studente della Facoltà di Agraria
dell’Università di Bari, quando frequentavo i
corsi di agronomia generale, di coltivazioni erbacee e di metodologia sperimentale e ho avuto il piacere di collaborare al suo fianco fin dagli anni universitari. Questo ricordo mi riempie
di commozione e orgoglio.
Le sue lezioni mi colpirono per il rigore
scientifico e la trattazione multidisciplinare degli argomenti svolti, tanto che al momento della scelta della tesi di laurea, affascinato, senza
indugio optai per un argomento agronomico.
Quando chiesi di poter svolgere la tesi di
*
laurea in agronomia fui nuovamente colpito
dalla metodologia usata per individuare con
precisione l’argomento che coinvolgesse profondamente l’interesse del laureando: si avvaleva di un articolato e particolareggiato questionario che preliminarmente il laureando era
tenuto a compilare. Allo stesso tempo mi colpì
profondamente il rigore nell’applicazione degli
schemi sperimentali per una significativa risposta ai risultati di campo, dal momento che ero
abituato da giovanissimo nell’azienda paterna a
una visione e opinione soggettiva nella gestione delle colture agrarie.
Il corso di metodologia statistica sperimentale, per studenti della Facoltà di Agraria e di
altre Facoltà biologiche, veniva svolto a Bari per
la prima volta per iniziativa del prof. Cavazza,
convinto dell’utilizzo della statistica per una
corretta interpretazione dei risultati della ricerca: era l’inizio della diffusione di metodologie
sperimentali rigorose nell’ambito delle scienze
agrarie e biologiche, di cui il prof. Cavazza continua a essere protagonista anche con la sua
partecipazione, come docente, a corsi di metodologia sperimentale organizzati da istituzioni
diverse.
Il prof. Luigi Cavazza ha iniziato la carriera
accademica subito dopo aver conseguito la laurea in Scienze Agrarie presso l’Università di
Bari sotto la guida del prof. E. Pantanelli, che,
proveniente dalla Stazione agraria del Ministero dell’Agricoltura, nata a Bari nel 1920, per
chiara fama, era stato nominato professore ordinario di Agronomia generale e coltivazioni
erbacee e successivamente eletto Preside della
Autore corrispondente: tel.: +39 080 5443031; fax: +39 080 5442976. Indirizzo e-mail: caliandro@agr.uniba.it.
417
Caliandro A.
Facoltà di Agraria. Il prof. Pantanelli è stato uno
studioso di fama internazionale e profondo conoscitore della realtà meridionale e seguendo il
suo esempio, il prof. Cavazza ha continuato a
dare prestigio alla scuola agronomica barese.
In un momento ancora difficile per i viaggi
ed i contatti con istituzioni di altre nazioni, con
grande spirito di sacrificio, per ampliare le sue
conoscenze e assecondare la sua grande passione per lo studio e la ricerca scientifica nel campo agronomico, ha trascorso diversi periodi di
soggiorno all’estero: presso l’Istituto di Fisiologia vegetale del Politecnico di Zurigo; presso il
Dipartimento di Fisica, della Stazione sperimentale di Rothamsted (Inghilterra); presso
l’Università di Logan, Utah, negli Stati Uniti,
dove conseguì il Master of Science in Agronomia con tesi in Fisica del terreno con il prof.
S.A. Taylor.
Dalla morte del prof. Pantanelli nel 1951 fino al trasferimento nella sede di Bologna ha
contribuito al potenziamento dell’Istituto di
Agronomia di Bari, dapprima come Aiuto e dal
1959 al 1969, vincitore di concorso della cattedra di Agronomia generale e Coltivazioni erbacee, come Direttore.
L’intensa attività di studio e di ricerca svolta dal prof. Cavazza con rigore scientifico, con
ampiezza di interessi e con grande passione ed
entusiasmo, trasmessa ai giovani ricercatori attraverso incontri, seminari e lezioni, è iniziata
nel campo della fisiologia e analisi delle sementi
ed è proseguita su problemi della fertilità del
suolo e delle tecniche agronomiche.
Per molti anni ha dedicato la propria attività
ad aspetti idrologici del sistema continuo suolopianta-atmosfera, occupandosi dei problemi dell’irrigazione, nonché degli aspetti fisici delle lavorazioni del terreno e della fertilità dei suoli.
La sua produzione scientifica, documentata
da oltre 340 pubblicazioni, su riviste nazionali
ed estere, tra cui uno studio sulla produzione
delle foraggere nel mezzogiorno, un testo di fisica del terreno agrario e un testo, di recente
pubblicazione, di applicazioni di fisica del terreno, in collaborazione con la prof.ssa Antonia
Patruno, è caratterizzata, oltre che da interessanti e originali contributi alle problematiche affrontate, da innovative metodologie sperimentali e interpretazioni dei risultati ottenuti.
Ha operato sempre con il piacere di trasmettere agli altri il suo sapere e allo stesso tem-
418
po con il desiderio di verificare nella pratica
agronomica quotidiana le proprie convinzioni
scientifiche. A questo riguardo merita di essere
ricordato il felice incontro a Bari, all’inizio degli anni Cinquanta, del prof. Cavazza con il prof.
Remigio Baldoni, uomini di differente esperienza e carattere, ma animati dalla stessa passione per la ricerca agronomica e dalla voglia di
fondere insieme i principi teorici, che Cavazza
domina, con la grande esperienza pratica di Baldoni. Questo periodo di intensa e proficua attività si protrasse per circa un quinquennio, fino
a quando il prof. Baldoni non si trasferì a Padova prima e a Bologna successivamente, dove
Cavazza lo raggiunse alla fine degli anni Sessanta per riprendere l’intesa che si era stabilita
a Bari.
Durante la permanenza a Bari la sua opera
scientifica è documentata, oltre che dalle numerose pubblicazioni, dalla continua presenza a
incontri di studio e dalla fattiva partecipazione
alle realizzazioni di importanti opere, quali: la
fitta rete di campi sperimentali durante il periodo di interventi della Cassa per il Mezzogiorno; l’azienda sperimentale “E. Pantanelli”
della Facoltà di Agraria di Bari; l’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari, in Valenzano, attualmente una delle più importanti istituzioni
internazionali operanti nel campo dell’irrigazione; l’ampliamento dell’Istituto di Agronomia generale e coltivazioni erbacee dell’Università di
Bari, con criterio multidisciplinare di tipo dipartimentale (il prof. Cavazza è stato il primo
in Italia a richiedere e ottenere lo sdoppiamento dell’insegnamento di agronomia generale e
coltivazioni erbacee e a richiedere e ottenere il
bando del concorso della cattedra di Miglioramento genetico delle piante agrarie); l’avvio del
gruppo di studio dell’irrigazione del CNR, l’attuale GRUSI, costituito dai compianti professori Angiolo Crocioni (Torino), Raffaele Barbieri
(Sassari e poi Napoli), Gianpiero Ballatore (Palermo) e dal prof. Luigi Cavazza (Bari); l’avvio
della Rivista di Agronomia, organo ufficiale della Società Italiana di Agronomia, di cui è stato
direttore responsabile per i primi otto anni di
vita, dal 1967 al 1974.
Trasferitosi a Bologna ha continuato la sua
intensa attività di studioso con immutato entusiasmo e piacere di operare offrendo alla comunità scientifica lodevoli contributi nel campo
delle scienze agrarie; ha partecipato all’attività
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:417-419
di ricerca sull’irrigazione del Consorzio di Bonifica di II grado per il Canale Emiliano-Romagnolo; è stato membro del Consiglio Superiore dell’Agricoltura e delle Foreste e membro
del Comitato Tecnico dell’Autorità di bacino del
Po; ha effettuato numerosi studi sull’utilizzazione irrigua dell’acqua in diverse aree della Puglia e dell’Emilia-Romagna.
Sembrerà che mi ripeta, ma non mi stancherò mai di sottolineare che il prof. Cavazza,
indipendentemente dalla sede nella quale si è
trovato a operare, ha apportato il suo contributo all’evoluzione delle scienze agrarie, oltre che
attraverso le numerose pubblicazioni, ciascuna
delle quali merita un’attenta lettura per ben
comprendere gli aspetti innovativi riportati, anche con l’attiva partecipazione a incontri di studio e convegni, pronto a intervenire per trasmettere preziosi suggerimenti di rigore scientifico, indirizzati particolarmente a giovani ricercatori.
La sua vasta preparazione scientifica, mai disgiunta dalla praticità, dalla semplicità e amabilità del carattere e dall’attenta osservazione della realtà agricola, pronto a recepire le opinioni
dell’umile gente dei campi, e la sua grande capacità di trasmettere agli altri il suo sapere con
passione ed entusiasmo sono state particolarmente manifeste durante il periodo di direzione della Rivista di Agronomia, con i prezioni
suggerimenti scientifici agli autori nel revisionare i contributi ricevuti, e nell’ambito del
GRUSI, di cui è stato animatore e coordinatore per circa un trentennio.
Nel GRUSI il prof. Cavazza è riuscito a creare un’atmosfera di calorosa, spontanea e multidisciplinare adesione di un folto gruppo di ricercatori che con regolarità s’incontra due volte all’anno per svolgere seminari, riguardanti
l’irrigazione sotto tutti i suoi aspetti, e tenere cicli di conferenze di aggiornamento sulle varie
discipline coinvolte nello studio dell’irrigazione,
il tutto all’insegna del reciproco apprendimento; sempre nell’ambito del GRUSI, inoltre, si dimostrarono altamente formativi due corsi di aggiornamento in agronomia, svolti negli anni ac-
cademici 1976-77 e 1977-78, autorizzati dal Ministero della Pubblica Istruzione.
Attualmente il prof. Cavazza continua a frequentare il GRUSI con assiduità e con la vivacità di sempre.
L’attività svolta dal prof. Cavazza e il contributo all’evoluzione delle scienze agrarie è stato apprezzato sia in Italia che all’estero, come
dimostrano le numerose manifestazioni di riconoscimento, tra cui il Premio Justus von Liebig
della Fondazione FVS, assegnato dall’Università
di Kiel nel 1973; il Premio della Fondazione
Marchi, assegnato dall’Accademia dei Georgofili nel 1992; il Sigillo d’oro dell’Università degli studi di Foggia, offerto nel 2005.
Il prof. Cavazza è stato presidente dell’Accademia nazionale dell’Agricoltura, dell’UNASA (Unione Nazionale delle Accademie italiane per l’agricoltura, la sicurezza alimentare e la
tutela ambientale) e della Società Italiana di
Agronomia; è accademico emerito dei Georgofili, accademico corrispondente dell’Accademia
di Agricoltura di Francia, socio onorario dell’Accademia Gioenia, socio emerito dell’Associazione Idrotecnica Italiana; è Cavaliere del
Ministero dell’Agricoltura di Francia.
Interpretando il pensiero dei presenti all’incontro odierno, con spirito di stima e di profonda riconoscenza e gratitudine, ringrazio, quindi,
l’illustre professore Luigi Cavazza, maestro di
scienza e di vita, per la sua opera a favore del
progresso delle scienze agrarie ed esprimo la
mia gratitudine al Presidente dell’AISSA per
aver voluto affidarmi il prestigioso incarico di
illustrare la figura dello scienziato.
Certamente non sono stato completo nella
mia esposizione, un pò smarrito nella copiosa
raccolta di testimonianze di sessant’anni di intensa vita da studioso, pur tuttavia sono lieto di
augurare al prof. Cavazza una lunga vita tra noi
e negli affetti più intimi della Sua famiglia, e
prima di concludere questo breve intervento
vorrei che il prof. Cavazza ci facesse una promessa, quale ulteriore dono del Suo sapere: portare a compimento il trattato di agronomia da
tempo avviato.
419
L’acqua come elemento di differenziazione
dei prodotti agro-alimentari§
Gianluca Nardone, Giacomo Zanni*
Dipartimento di Scienze delle Produzioni, dell’Ingegneria, della Meccanica e dell’Economia applicate
ai sistemi agro-zootecnici, Università di Foggia
Via Napoli 25, 71100 Foggia
Società Italiana di Economia Agro-Alimentare
Riassunto
Per effetto dell’aumento della competizione sui mercati nazionali ed internazionali, l’industria alimentare è spinta
a dedicare una crescente attenzione alle strategie di differenziazione. A tal fine, essa impiega gran parte delle risorse, delle conoscenze e della creatività a disposizione. In un tale contesto, anche l’acqua, una risorsa spesso interpretata come bene altamente omogeneo, risulta sempre più utilizzata nelle campagne promozionali dei prodotti
alimentari per spiegare la maggiore qualità degli stessi. Il presente contributo ha l’intento di costruire un modello
esplicativo di questi comportamenti tale da offrire, al contempo, indicazioni prospettiche circa il ruolo dell’acqua
come elemento di differenziazione. Analizzando le pubblicità di alcuni specifici prodotti (bevande, pasta, pane, ortofrutta fresca), si argomenta che la propensione all’utilizzo dell’acqua come fattore di differenziazione in un determinato comparto alimentare è direttamente proporzionale al livello delle conoscenze tecnologiche, alla percezione del consumatore e alla rilevanza della strategia di differenziazione in quello stesso comparto. Considerando
che, nel tempo, ciascuna delle tre determinanti è destinata a sperimentare un trend positivo, è lecito attendersi anche un crescente riferimento al contributo della risorsa acqua all’interno dei messaggi pubblicitari. L’impostazione
prevalentemente teorica del presente contributo induce a considerare particolarmente interessante l’ipotesi di testare i risultati mediante un approccio prettamente quantitativo.
Parole chiave: acqua, differenziazione, pubblicità, vantaggio competitivo.
Summary
WATER AS A FACTOR OF DIFFERENTIATION IN THE FOOD INDUSTRY
To foster their competitive advantage, food firms pay an increasing attention to strategies that tend to distinguish
their products from the one supplied by their competitors, dedicating to this task most of their resources, knowledge and creativity. In such a framework, also the resource “water”, often seen as an homogenous product, is more and more utilized in the advertisement as an element that increase the quality of the final good. This paper aims
to build a model that can explain the observed behavior in the different food industries and that can give some insights about the future perspectives of the utilization of the water as a differentiation factor. To reach this goal, first we present a survey of the commercials of specific food industries (beverages, pasta, bread, fresh produce) in which it is shown the contribute of water on the product. On the base of the empirical evidence, we argue that the
propensity to use the water as an element of differentiation is greater when greater are the degree of technological knowledge, the consumers’ perceptions, and the importance of the differentiation strategy in that specific industry. Since we expect that these three factors will increase over time, we also conclude that it is rational to experiment a generalized increase of the utilization of the water in the commercials of the food products. We also recommend to extend the analysis testing the results using a quantitative approach.
Key-words: water, differentiation, advertisement, competitive advantage.
§
Il lavoro è frutto della collaborazione degli Autori, sebbene Nardone abbia curato la stesura dei paragrafi 2 e 4
e Zanni quella del paragrafo 3. La premessa e le conclusioni sono state scritte in modo congiunto dagli Autori.
*
Autore corrispondente: tel.: +39 0881 589315; fax: +39 0881 589349. Indirizzo e-mail: g.zanni@unifg.it.
421
Nardone G., Zanni G.
1. Introduzione
Nei mercati agro-alimentari è sempre più evidente la proliferazione di prodotti che, pure
rientrando nella medesima categoria merceologica, tendono a distinguersi gli uni dagli altri in
maniera evidente per la marca, la confezione, il
formato, gli ingredienti, il contenuto in servizi e
una numerosa serie di altri elementi. Tale evidenza è il segno dell’attenzione crescente che le
industrie alimentari attribuiscono alla strategia
di differenziazione. D’altra parte, l’importanza
del fenomeno è desumibile in maniera diretta
dalla verifica degli investimenti pubblicitari e
delle ricerche di marketing che interessano il
comparto agro-alimentare. La figura 1 mostra
come il settore dell’alimentare e delle bevande
rappresenti il principale acquirente di spazi pubblicitari sui media nazionali con investimenti
molto maggiori rispetto a quanto si verifica in
settori in cui i prodotti sono tradizionalmente
intesi come beni non omogenei (automobili, abbigliamento, editoria ecc.). Chiaramente, i big
spender sono soprattutto le imprese di grandi
dimensioni e spesso a carattere multinazionale
quali Coca-Cola, Nestlé, Unilever, Barilla, Ferrero, Gervais Danone, Kraft Foods, Galbani, Lavazza, Heineken, Campari. Le stesse imprese risultano anche tra i principali committenti di ricerche di marketing, volte ad individuare bisogni particolari del consumatore, da soddisfare
successivamente e in via esclusiva attraverso
una differenziazione dei prodotti attraverso l’introduzione di modifiche, percepibili dal cliente,
riguardanti la sostanza del prodotto o la sua immagine (figura 2).
Un’ulteriore evidenza della propensione delle imprese alimentari ad offrire beni differenti
da quelli prodotti dai concorrenti è lo sviluppo
e la diffusione delle produzioni tipiche ed a qualità garantita. In Europa sono ben 627 (in pre-
Alimentari
16%
Altre categorie
27%
Automobili 12%
Finanza e
Assicurazioni
4%
Abbigliamento
6%
Bevande 7%
Cura della
persona 4%
Gestione casa
4%
Toiletres 5%
Telecomunic.
8%
Media/Editoria
7%
Figura 1. Spese pubblicitarie sui media italiani distinte per
comparto (anno 2004). Fonte: Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, 2005.
Figure 1. Advertisement expenditures on Italian media in
different industries (year 2004). Source: Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, 2005.
valenza formaggi, ortofrutticoli, cereali, carni
fresche e oli e grassi) i prodotti con denominazioni tutelate a marchio DOP e IGP riconosciuti
a seguito dell’approvazione del Regolamento
CE 2081/92. L’Italia, insieme alla Francia, è il
paese comunitario che detiene il maggior numero di marchi con un paniere di 91 prodotti
DOP e 42 IGP (tabella 1).
A questo elenco vanno aggiunti le attestazioni di specificità ai sensi del Reg. CEE 2082/92
oltre che i prodotti tradizionali, ovvero quei prodotti da tutelare e promuovere segnalati al Ministero delle Politiche Agricole e Forestali dalle Regioni e dalle Province autonome. Sulla
Gazzetta Ufficiale n. 200 del 29 Agosto 2003 è
stata pubblicata la terza revisione dell’elenco
nazionale di tali prodotti in base alla quale si
possono censire 3.715 prodotti agroalimentari
tradizionali di cui, tra i più rilevanti, 1.054 rientrano nella categoria delle paste fresche e dei
Tabella 1. Le denominazioni tutelate a marchio DOP e IGP per singolo paese U.E.
Table 1. Registration of PDOs and PGIs in the E.U. member States’.
NAZIONE
Francia
Italia
Portogallo
Grecia
Spagna
Germania
Regno Unito
Austria
422
DOP E IGP
%
132
132
85
83
70
64
27
12
21,1
21,1
13,6
13,2
11,2
10,2
4,3
1,9
NAZIONE
Paesi Bassi
Belgio
Lussemburgo
Danimarca
Irlanda
Svezia
Finlandia
TOTALE
DOP E IGP
%
5
4
4
3
3
2
1
627
0,8
0,6
0,6
0,5
0,5
0,3
0,2
100
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:421-433
Farmaceutici e Telecomunicaz. e
medicinali 3% informatica 14%
Servizi pubblici
e P.A. 1%
Servizi finanziari
5%
Alimentari e
bevande non
alcoliche 20%
Bevande
alcoliche 3%
Viaggi e turismo
2%
Igiene e bellezza
9%
Veicoli e
carburanti 11%
Chimico-casa 2%
Durevoli e
semidurevoli
30%
Figura 2. Ripartizione degli investimenti in ricerche di
marketing in Italia (anno 2000). Fonte: Molteni e Troilo,
2003.
Figure 2. The distribution of the investments in marketing
research in Italy (year 2000). Source: Molteni e Troilo, 2003.
prodotti di panetteria, pasticceria, biscotteria e
confetteria, 668 in quella dei prodotti vegetali
allo stato naturale o trasformati, e 460 in quella delle carni fresche e loro preparazioni.
I dati appena illustrati da una parte provano quanto il principio dell’omogeneità dei prodotti, su cui si basa il modello di concorrenza perfetta, sia distante dalla realtà. Al contrario, ciò che
si osserva è la dimostrazione che la differenziazione rappresenta un meccanismo fondamentale
per il vantaggio competitivo delle imprese operanti nel sistema agro-alimentare. È naturale, perciò, che in un simile contesto le imprese tendano
a finalizzare sempre di più le risorse, le conoscenze
e la creatività a disposizione al conseguimento di
una netta distinzione dai propri concorrenti.
Non fa eccezione, rispetto a questa tendenza, la risorsa “acqua” la quale, sebbene percepita come fattore di produzione particolarmente omogeneo, si ritrova utilizzata nelle campagne di comunicazione come elemento di qualificazione dei prodotti agro-alimentari.
Sulla base di queste considerazioni, pare interessante analizzare in maniera più approfondita il ruolo e le prospettive dell’acqua come leva per la differenziazione nei vari comparti
agro-alimentari. In particolare, il presente lavoro ha un obiettivo puramente teorico in quanto mira, sulla base delle osservazioni empiriche
aneddotiche, a congetturare un modello interpretativo della propensione dei differenti setto-
ri agro-alimentari ad adottare strategie di differenziazione basate sulla qualità dell’acqua.
A tale proposito, si è scelto di presentare una
rassegna dei messaggi pubblicitari in cui il produttore evidenzia il contributo dell’acqua nel determinare la qualità del prodotto finale sistematizzata in funzione del grado con cui la risorsa
interviene nel processo produttivo (ingrediente
unico, principale, minore, accessorio). In particolare, nel terzo paragrafo del presente lavoro, sono esaminati alcuni casi nei comparti delle bibite, in quello cerealicolo-pastario e in quello ortofrutticolo. Il quarto paragrafo descrive il modello e propone anche uno scenario prospettico
circa le possibilità di osservare nel futuro l’acqua
come elemento caratterizzante le campagne pubblicitarie dei differenti comparti agro-alimentari.
2. Il vantaggio competitivo e la differenziazione
del prodotto
I mercati in cui vengono scambiati i beni alimentari presentano caratteristiche di complessità sostanzialmente analoghe in tutti i paesi industrializzati. In particolare, lo scenario che si
propone appare sempre più dipendente dalla
pressione, insieme separata e combinata, delle
“3 C”: i consumatori, la concorrenza e il cambiamento (Hammer e Champy, 1993). La crescita del potere di spesa del consumatore moderno, da una parte, e la progressiva liberalizzazione e globalizzazione dei mercati con il conseguente aumento della pressione competitiva,
dall’altra, sono fattori che contribuiscono a spiegare il perché l’assetto produttivo dei moderni
sistemi economici risulti particolarmente instabile. Il quadro risulta ulteriormente complicato
in quanto si inserisce in un contesto estremamente dinamico e continuamente cangiante.
Si giustifica, perciò, la crescente enfasi che
operatori pubblici e privati pongono sulla competitività delle aziende nazionali e quindi sulla
capacità di reagire alle tre forze sopra richiamate riuscendo a soddisfare (o ad anticipare) in
maniera adeguata le aspettative della clientela,
a posizionarsi correttamente rispetto ai concorrenti, a gestire in maniera distintiva il proprio
sistema di offerta alla luce delle costanti e repentine modifiche degli scenari.
In questo senso, una particolare attenzione è
rivolta, dagli operatori come dai ricercatori, al-
423
Nardone G., Zanni G.
la scelta di differenziare i prodotti e i servizi offerti in quanto strategia particolarmente appropriata per rispondere alle sfide poste da ciascuna delle “3 C” sopra richiamate..
Con riferimento al consumatore, appare evidente che l’aumentato potere di spesa e il mutamento più complessivo degli scenari socioeconomici abbia condotto ad una maggiore autonomia nelle scelte di acquisto. Di conseguenza alla visione dei mercati di massa si va progressivamente sostituendo una spinta segmentazione con gruppi diversi di consumatori che
privilegiano fattori di scelta basati su stili di vita individuali e soggettivi. Su questa base, lo stesso concetto di qualità del prodotto alimentare
muta la sua natura e assume un valore relativo
come capacità del bene di rispondere alle priorità di uno specifico segmento di mercato.
In un tale contesto, appaiono immediatamente evidenti i potenziali vantaggi derivanti alle imprese dall’adozione di un approccio marketing oriented finalizzato alla proposta ai mercati di sistemi di offerta non perfettamente sostituibili con quelli dei concorrenti perché maggiormente in grado di combaciare con le aspettative dei clienti.
La crescente esigenza di implementare strategie di differenziazione rivolte al cliente spiega l’importanza attribuita al marketing, ovvero
a quella particolare funzione aziendale tesa ad
identificare i bisogni e i desideri insoddisfatti, a
definirne e misurarne la magnitudine, a definire i segmenti (target) da servire perché più adatti alle caratteristiche dell’azienda, ad orientare
l’offerta nelle sue caratteristiche oggettive (nei
suoi attributi fisici o tangibili) e/o soggettive (in
termini di immagine percepita dall’utente), a comunicare con il cliente e a raggiungerlo logisticamente (Kotler e Turner, 1993).
Una differente spiegazione del vantaggio
competitivo delle imprese interpreta la strategia
di differenziazione come una modalità per posizionarsi in maniera più adeguata rispetto alla
concorrenza. Tale spiegazione può essere inquadrata nell’ambito di quella ricca letteratura
economica che, a partire dai contributi proposti
dalla scuola di Economia Industriale di Harvard
(Bain, Mason), ha collegato la competitività al
possesso da parte di un azienda di un potere di
monopolio. Secondo questa interpretazione, la
posizione monopolistica sarebbe la leva per elevare il livello del prezzo al di sopra del livello
di concorrenza perfetta (accrescendo così i ri-
424
cavi in maniera artificiale) ed abbassare la qualità del prodotto al di sotto dei livelli competitivi (diminuendo così artificialmente i costi).
Le implicazioni di questo tipo di impostazione sono che le fonti del vantaggio competitivo risiedono nelle condizioni strutturali del settore in
cui opera l’impresa, di cui i concorrenti rappresentano l’aspetto fondamentale, e dalla posizione che questa assume al suo interno.
In particolare, seguendo l’impostazione più
diffusa1, la struttura del settore assume un ruolo rilevante in quanto contribuisce a chiarire le
forze e le debolezze dell’impresa, indirizza il posizionamento all’interno del settore, evidenzia le
aree dove i mutamenti strategici possono realizzare i risultati più significativi, fa emergere le
tendenze significative di settore in termini di minacce e opportunità (Porter, 1982, p. 12).
Egualmente rilevanti, però, risultano le condotte strategiche poiché l’impresa non è prigioniera della struttura in cui opera poiché può influire sulla struttura dell’ambiente competitivo
adottando quelle strategie, reattive o anticipatorie, che meglio aderiscono alle sue caratteristiche e alle sue competenze2. In generale, però,
le strategie delle imprese monopolistiche verranno chiaramente indirizzate verso una restrizione del numero dei concorrenti che agiscono
nel settore o verso una diminuzione dell’intensità della competizione3. Obiettivo dell’impresa
1
2
3
Tra i modelli della scuola di Harvard quello più noto e diffuso in letteratura è certamente quello delle cinque forze di
Michael Porter (Thomas, 1987; Donna, 1992).
La rilevanza delle strategie aziendali come elemento che
contribuisce a conformare la struttura dei comparti era già
stata individuata da Vilfredo Pareto (1906) ed è stata ripresa successivamente dagli studiosi della New Industrial
Economics nella critica alla univocità del nesso causale
presente nel paradigma S-C-P (struttura-condotta-performance). Si veda al proposito Jacquemin (1989).
Secondo questo modello, il cartello è la strategia più appropriata al fine di conseguire un vantaggio competitivo. Perché una strategia di questo tipo possa dirsi di successo bisogna che essa sia in grado di garantire tre tipi
di azioni: la collusione, la prevenzione da nuovi ingressi
nel settore, la politica predatoria. La prima azione è resa necessaria perché solo cooperando, esplicitamente o
tacitamente, le imprese possono elevare il prezzo al di
sopra del livello di concorrenza perfetta (teoria del prezzo limite) e limitare la qualità dei prodotti. Se la collusione ha successo allora i profitti del settore potrebbero
attrarre altre imprese per cui diventa necessario adottare delle strategie (proliferazione di marche, elevati investimenti in pubblicità, leverage buy out) tese a scoraggiare i nuovi ingressi nel settore. La politica predatoria,
infine, deve essere utilizzata quale strumento di disciplina verso quelle imprese che possono ritenere vantaggioso uscire dalla pratica collusiva.
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:421-433
è quello di agire sulle attività creatrici di valore (si veda il concetto di “catena del valore” in
Porter, 1987) per fornire ai clienti risultati superiori alla spesa sostenuta. Il vantaggio competitivo nasce quando l’impresa svolge le attività strategicamente rilevanti in modo più economico o efficiente dei suoi concorrenti. Tali risultati possono essere individuati come capacità
di offrire prezzi più bassi della concorrenza per
vantaggi equivalenti (leadership in termini di costo) o di fornire vantaggi unici che controbilancino abbondantemente un prezzo più alto (leadership in termini di differenziazione)4. In questo modello, la differenziazione rappresenta una
strategia mediante la quale l’impresa tende a
posizionarsi rispetto ai concorrenti in ambiti di
mercato più protetti e redditizi grazie ad una attenta qualificazione dell’offerta e ad un’adeguata politica di immagine. Per quanto muova
da un’analisi di economia industriale, le implicazioni aziendali sono le stesse individuate in
precedenza e fanno perno su una corretta programmazione strategica oltre che su una gestione appropriata della funzione di marketing che
consenta di comprendere bisogni e desideri, esistenti e latenti, della clientela e di tradurli in un
adeguato sistema di offerta correttamente comunicato e veicolato.
Come anticipato, il continuo cambiamento
degli scenari di riferimento fa sì che il vantaggio competitivo debba essere continuamente
conquistato e che la strategia aziendale venga
costantemente monitorata e, se è il caso, prontamente modificata.
Anche per offrire utili suggerimenti di condotta rispetto a questo tipo di problematica, si
è sviluppata una letteratura a matrice “aziendalista” che ha spostato l’attenzione dalla posizione
dell’impresa nell’ambiente competitivo e ha dedicato maggiore rilievo alle risorse uniche ed induplicabili dell’impresa (Wernefelt, 1984; Barney,
1986; Hitt e Ireland, 1986; Prahalad e Hamel,
1990; Barney, 1991; Conner, 1991; Vicari, 1992;
Teece et al., 1997). Secondo tale modello, concorrono alla definizione di un vantaggio competitivo solo le risorse e le competenze che godono
di alcuni attributi specifici, ovvero scarsità, difen-
4
In realtà, Porter individua anche una terza strategia, detta di focalizzazione, che presenta sebbene su scala ridotta
le stesse caratteristiche della differenziazione.
dibilità, appropriabilità dei risultati economici che
ne derivano ed economicità (Peteraf, 1993).
In un ambiente altamente dinamico, l’impresa deve investire nella creazione di queste risorse distintive che possono agevolare la definizione ed il miglioramento continuo delle strategie competitive. Ciò implica che la strategia di
differenziazione (non solo dei prodotti ma anche delle risorse) è una scelta ineludibile per
l’impresa che vuole mantenere la leadership in
mercati complessi.
In particolare, per sostenere il carattere di
unicità dell’offerta aziendale, una risorsa sulla
quale investire è la conoscenza di marketing intesa come “conoscenza dei mercati, dei clienti
che li compongono, dei concorrenti che vi operano, dei meccanismi concorrenziali che li caratterizzano, delle modalità di interazione con
questi soggetti…” (Molteni e Troilo, 2003, p. 5).
La conoscenza presenta, infatti, gli attributi distintivi di cui sopra e vi è una relazione diretta
tra la disponibilità di conoscenze di marketing
differenziali e la capacità di offrire ai mercati di
riferimento prodotti e/o servizi differenziati e
più adeguati alle esigenze dei clienti.
3. Il contributo dell’acqua alla differenziazione
dei prodotti agro-alimentari
3.1 Aspetti teorico-metodologici
L’acqua rappresenta un elemento fondamentale per la dieta umana e per la preparazione degli alimenti, di cui costituisce in moltissimi casi
non solo un ingrediente sostanziale in termini
quantitativi, ma anche un determinante fattore
di qualità.
La qualità dell’acqua ricorre molto frequentemente anche nelle espressioni della cultura
popolare del nostro Paese. Per fare un esempio,
presso la popolazione napoletana la miracolosa
commistione di croccantezza e morbidezza della pizza è spesso attribuita alla qualità dell’acqua partenopea. Ancora, la superiorità di un
piatto di pastasciutta gustato in tante città d’Italia rispetto al medesimo consumato all’estero
è da molti imputabile alla bontà delle acque locali, utilizzate non solo nel processo di pastificazione, ma anche e soprattutto nella cottura casalinga. Del resto, questi aspetti della credenza
popolare non sono esclusivi della tradizione italiana: se per gli abitanti di Napoli (questa città
425
Nardone G., Zanni G.
ricorre spesso perché è una delle patrie principali della nostra cucina popolare) la fragranza
del caffé è legata all’acqua con cui è preparato,
nondimeno per quelli di Osaka il the verde è
da gustare a casa loro e non certo in Italia, essenzialmente perché l’acqua dell’isola di Honshu conferisce quella leggerezza alla bibita che
non si riscontra in altri Paesi.
Sul piano generale, giudicata come elemento di differenziazione alimentare, l’acqua possiede caratteristiche ambivalenti. Da una parte,
è una componente fisico-chimica pervasiva, presente ovunque e soprattutto in ogni alimento;
ha una formula di estrema semplicità, che tende a sottolinearne l’omogeneità; mostra caratteristiche generali orientate alle “assenze” piuttosto che non a particolari “presenze”. In altre
parole, l’acqua è un elemento semplice, ubiquitario, tipicamente incolore, insapore e inodore,
tutti aspetti non particolarmente incisivi sotto il
profilo della differenziazione del prodotto. Vi
sono, tuttavia, altri punti di vista in netta controtendenza: l’acqua rappresenta un costituente
primario della realtà fisica (insieme con il fuoco, l’aria e la terra), come la riflessione filosofico-scientifica ha evidenziato fin dai suoi esordi,
a partire da Talete di Mileto; ha un legame molto forte con la località e conseguentemente con
l’identità degli individui e delle comunità; infine, possiede una natura sacrale, connaturata
strettamente all’idea stessa della vita e dei suoi
significati più profondi. Questi, al contrario dei
precedenti, sono punti di forza piuttosto rilevanti per innescare processi di differenziazione
qualitativa.
Sul piano strettamente economico, una caratteristica che occorre sottolineare con attenzione, poiché di significativo rilievo per il fenomeno oggetto di questa analisi, è che la qualità
dell’acqua è, riguardo agli alimenti, un attributo sul quale pesa una non irrilevante asimmetria informativa nelle relazioni economiche tra
produttore e consumatore. La teoria economica
ha messo in stretta evidenza l’impatto negativo
delle asimmetrie informative sull’efficienza dei
meccanismi di mercato (Akerlof, 1970; Nelson,
1970; Darby e Karni, 1973). Quando i consumatori ignorano significativi attributi dei prodotti da acquistare possono verificarsi inefficienze nel funzionamento dei mercati. A questo
proposito, si distinguono tre gruppi di caratteristiche di un prodotto, cui corrispondono diffi-
426
coltà crescenti nel conseguire allocazioni efficienti a mezzo del mercato. Il primo gruppo è
rappresentato dagli attributi di qualità accertabili dall’acquirente prima del consumo (attributi “di ricerca”, o search). Prendendo a esempio
l’acqua minerale, un attributo di questo tipo è
il colore, almeno nel caso in cui le bottiglie siano completamente trasparenti. Il consumatore,
di fronte ad attributi così facilmente controllabili, è pienamente in grado di compiere scelte
coerenti rispetto alle proprie preferenze. Profilandosi una situazione di simmetria informativa
con il produttore, non emerge alcuna necessità
di intervenire sul piano legislativo con regole
che si spingano oltre all’ordinaria tutela civilistica delle parti contrattuali. Il secondo gruppo
è costituito dalle caratteristiche “di esperienza”
(experience), cioè quelle che possono essere conosciute dai consumatori solo dopo l’acquisto.
In questo caso, vi è un’oggettiva difficoltà, da
parte dei produttori, nel segnalare la qualità e i
consumatori sono obbligati a sperimentare il
prodotto per giudicarne la conformità alle proprie aspettative. Proseguendo con l’esempio dell’acqua minerale, questo è il caso del sapore o
dell’acidità. Per questo tipo di caratteristiche, i
produttori sono sollecitati a inviare segnali di
qualità attraverso l’offerta di garanzie circa il rispetto di standard autoimposti e specifiche politiche di marchio. Al livello più elevato di asimmetria informativa ci sono gli attributi “di fiducia” (credence o trust), i quali non sono conoscibili dai consumatori nemmeno dopo la sperimentazione, se non a fronte di non sopportabili spese per la verifica. In questo gruppo rientrano quegli aspetti della qualità che riguardano ingredienti la cui controllabilità si perde nei
processi di trasformazione e, soprattutto, tutto
ciò che ha a che fare con l’origine e la tipicità.
Per i beni caratterizzati da tali attributi, al consumatore non resta che “fidarsi”. Per conquistare la fiducia dei consumatori, le imprese tendono a inviare segnali di qualità mediante l’adesione volontaria a programmi di certificazione, di prodotto e di processo, gestiti da organizzazioni indipendenti e riconosciute, dotate
della necessaria reputazione. A rinforzo dei
meccanismi volontari di certificazione, per colmare lo iato informativo i governi possono intervenire con norme di sostegno al corretto funzionamento degli strumenti di tutela e con barriere di tipo istituzionale, volte a escludere gli
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:421-433
operatori che non dimostrano di essere in grado di soddisfare requisiti minimi appositamente prefissati.
Da quanto esposto, appare evidente che se
da una parte il nesso tra qualità dell’acqua e
qualità degli alimenti è molto forte sul piano
tecnico, dall’altra il riconoscimento di tale nesso è difficoltoso, sia per la complessità dei fenomeni fisico-chimici alla base della creazione
della qualità del prodotto finale sia per la specificità dei meccanismi, di natura più soggettiva,
che presiedono la percezione del consumatore
intorno a questa correlazione e, di conseguenza, la propensione dei produttori a fare dell’acqua lo strumento per differenziare la propria
offerta.
Per avviare una prima osservazione empirica del contributo dell’acqua nei fenomeni di differenziazione degli alimenti – cui far seguire l’elaborazione teorica e le successive verifiche sistematiche – si è ritenuto opportuno partire da
una categorizzazione del ruolo che il mezzo idrico gioca all’interno del processo di produzione
agro-alimentare. A tal fine, sono stati individuati
cinque livelli, in ragione della forma assunta dall’acqua all’interno del processo di avvicinamento al prodotto finito, che sono riportati in ordine di prossimità decrescente: i) ingrediente unico; ii) ingrediente principale; iii) ingrediente minore; iv) mezzo irriguo; v) materiale di consumo.
Nel primo livello l’acqua si identifica con il
prodotto finale, di cui rappresenta il solo componente alimentare: è il caso dell’acqua minerale. Nel secondo costituisce l’ingrediente principale, non esclusivo, ma comunque il più importante sul piano qualitativo e quantitativo.
Appartengono a questo gruppo le bibite, soprattutto quelle analcoliche. Anche il terzo livello si riferisce ai casi in cui l’acqua è certamente un ingrediente, ma ove il suo contributo
è da considerarsi quello prevalente. A tale categoria possono essere riferiti molti esempi di
alimenti, come il pane, la pasta o le bibite alcoliche, soprattutto i liquori. Una tipologia a sé è
quella che vede l’acqua come mezzo di irrigazione. Se da una parte, infatti, tale profilo è accostabile a quello di ingrediente (l’acqua rappresenta una componente basilare dei prodotti
vegetali), dall’altra abbiamo preferito collocarla
autonomamente perché i requisiti di qualità irrigua sono influenzati dalla collocazione agricola e dagli specifici processi biologici di produ-
zione. Infine, l’acqua può rivestire un mero ruolo di mezzo accessorio, in cui svolge i compiti
del materiale di consumo, come nel caso di impiego nei processi di lavaggio.
Per ciascuno dei livelli indicati in precedenza, sono stati individuati uno o più comparti
produttivi, riguardo ai quali è stata realizzata
un’indagine al fine di assumere informazioni circa il grado di impiego di strategie di differenziazione del prodotto basate sulla qualità dell’acqua5. Un primo obiettivo dell’esplorazione è
di mettere in evidenza l’esistenza di una propensione delle imprese dei comparti alimentari
presi in considerazione a differenziare il proprio
prodotto, puntando esplicitamente a comunicarne ai clienti la superiorità, dovuta all’impiego di acqua di particolare qualità. Un’ulteriore
finalità è di accertare se tale propensione sia
collegabile alla diversa collocazione dei comparti, in base al diverso ruolo dell’acqua nei vari processi produttivi impiegati nei comparti oggetto di analisi. Infatti, la congettura preliminare da cui l’indagine ha preso le mosse è che la
differenziazione sia più promettente per i produttori che agiscono nei comparti ove il ruolo
dell’acqua è maggiormente visibile e dimostrabile, quindi in prossimità delle fasi di consumo.
3.2 I risultati dell’esplorazione
Quando l’acqua è l’ingrediente unico, come nel
caso delle acque minerali, è spontaneo prevedere che l’attenzione si concentri su di essa.
Questo è ciò che effettivamente avviene per la
stragrande maggioranza delle marche di acqua
minerale italiane oggetto di analisi. Un esempio
tipico è dato dal seguente testo, estratto dal sito dell’acqua Levissima, in cui la differenziazione è tutta focalizzata su un primato naturale con
conseguenze dirette sulla qualità organolettica
del prodotto: …Nascere a quelle altezze, in un
ambiente incontaminato dall’uomo, permette a
Levissima di distinguersi in modo assolutamente unico tra le acque minerali italiane. La strut-
5
L’indagine, che si caratterizza come esplorazione preliminare, è stata condotta mediante un’analisi qualitativa
del contenuto dei siti internet ufficiali delle principali imprese, nazionali ed estere, appartenenti ai comparti citati. L’unità di analisi è il sito, mentre l’unità di classificazione è la pagina web. Operativamente, all’interno di ciascun sito sono stati selezionati tutti i riferimenti, testuali e iconografici, alla qualità e all’acqua e ne sono state
analizzate le relazioni logiche.
427
Nardone G., Zanni G.
tura geologica del territorio in cui nasce garantisce a Levissima la caratteristica leggerezza, limpidezza, purezza e bontà conosciute e apprezzate da un numero sempre crescente di consumatori…
Una testimonianza ancora più eloquente è
fornita dal sito dell’acqua minerale Sant’Anna,
che utilizza direttamente la pubblicità comparativa, che può essere considerata uno strumento paradigmatico delle strategie di differenziazione. In una tabella sono riportate le caratteristiche salienti (residuo fisso, contenuto in
sodio, durezza e simili) tratte dalle etichette di
una dozzina di acque minerali concorrenti. Il
consumatore è quindi invitato a confrontare le
prestazioni dell’acqua pubblicizzata con i dati
dei concorrenti e a constatarne il posizionamento.
Spostando l’ottica anche all’estero, si nota
che non tutte le marche di acqua minerale sono orientate a questo tipo di differenziazione.
Una strategia completamente diversa rispetto a
quella sopra riportata è mostrata da Perrier, leader mondiale del comparto, le cui bollicine sembrano in competizione addirittura con lo Champagne. Ciò che appare immediatamente chiaro
dai contenuti del sito ufficiale Perrier è l’orientamento a proporsi certamente come unica nel
suo genere, ma di un’unicità basata più sull’eleganza – trendy e spumeggiante, soprattutto in
senso metaforico – del prodotto piuttosto che
sulle sue caratteristiche qualitative intrinseche.
L’adeguatezza della composizione chimico-fisica non è del tutto trascurata, ma è relegata a
un ruolo secondario e comunque non ricopre
uno spazio privilegiato nella comunicazione. Le
parole chiave comunicate, infatti, sono: blue,
plaisir, fine petillance, audace, le quali sono, come è evidente, poco o per nulla correlate con
la qualità oggettiva dell’ingrediente.
Uno schema analogo è riscontrabile, in piccolo, dall’analisi del comparto delle bibite analcoliche. Mentre i leader mondiali (Coca-Cola e
Pepsi) adottano strategie in cui la qualità dell’acqua non trova spazi significativi, nel novero
delle bibite nazionali si fa largo la tendenza a
puntare sulla superiorità qualitativa della materia prima, soprattutto nel caso in cui questa può
contare sulla riconoscibilità di un’acqua minerale rinomata. È il caso, per esempio, di Belté e
dell’intera gamma delle bibite gassate di Acqua
Vera (aranciata, cola, chinotto, ecc.), per le qua-
428
li letteralmente “il punto di partenza della qualità” è rappresentato dalla materia prima principale, la stessa che si trova in commercio come
acqua minerale. Letteralmente, tali bibite “si avvalgono della purezza, della qualità e dei controlli” che contraddistinguono l’acqua minerale
con cui sono preparate. Nel caso delle bibite, la
differenziazione basata sull’acqua appare meno
intensa rispetto a quanto visto nel caso precedente. A riprova può essere citato l’esempio di
un’altra bibita a base di thé, come Estathé, per la
quale viene espressa esplicitamente una tensione
alla leadership di qualità, ma concentrata più sulla superiorità delle foglie di thé, appositamente
selezionate, che non sulla matrice acquosa.
La categoria degli alimenti per i quali l’acqua
costituisce un ingrediente minore è vastissima.
Uno di questi è il pane. Il pane è notoriamente un pilastro della dieta occidentale e la sua
storia affonda nei culti, nelle tradizioni e nei
progressi tecnici di diversi millenni. L’acqua ne
è da sempre un ingrediente di rilievo, in quanto è risaputo che sia le dosi di utilizzo, sia le caratteristiche di durezza influiscono sensibilmente sulla riuscita del prodotto finale. Solo in alcuni casi, tuttavia, la relazione tra qualità del
prodotto e qualità dell’acqua è utilizzata come
argomento per differenziare il prodotto. Per
esempio, l’azienda leader nazionale dei prodotti freschi da forno, Panem, afferma che una delle idee guida della propria filosofia aziendale è
la qualità delle materie prime, ma non enfatizza in particolare il ruolo dell’acqua. Una focalizzazione sulla qualità dell’acqua è invece mostrata dai produttori di pane tipico. Per esempio, il Consorzio per la tutela del pane di Altamura, il primo prodotto da forno in Europa a
fregiarsi del marchio DOP, conferisce notevole
importanza alla qualità dell’acqua e ne riporta
espressamente la specifica caratterizzazione nel
disciplinare di produzione. Minore accentuazione sulla qualità dell’acqua, invece, è riscontrabile nella comunicazione realizzata da Durum
Italia, l’azienda leader nella commercializzazione di questo prodotto, nell’ambito della quale
lo spazio maggiore è assegnato alle caratteristiche qualitative della semola.
Come lo è per il pane, anche per la pasta
l’acqua rappresenta un ingrediente con una certa influenza sulla qualità, pur rivestendone una
quota esigua dal punto di vista quantitativo, specialmente se si tratta di pasta secca. In questo
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:421-433
comparto, si possono rilevare tendenze simili a
quello appena illustrato per il pane: le grandi
aziende leader, pur adottando strategie di differenziazione che puntano sulla qualità delle
materie prime, non pongono accenti particolari
sulla superiorità dell’acqua. Presso molte aziende di nicchia, invece, l’acqua assurge a elemento chiave a dimostrazione dell’unicità del prodotto. Per esemplificare quanto affermato, si
possono confrontare i messaggi derivanti dal sito della pasta Agnesi e quello della pasta Del
Verde, sui rispettivi siti. Nel primo caso (Agnesi) alla domanda retorica “gli spaghetti sono
davvero tutti uguali?” sono elencate le ragioni
che rendono questa pasta unica. Si citano l’attenzione alla qualità, le proteine, i grani, l’essicazione e la cottura, ma dell’acqua non si fa
menzione. Al contrario, per la qualità della pasta Del Verde l’acqua è “un ingrediente speciale” e riveste la stessa dignità della semola. Infatti, si sottolinea con enfasi che per la produzione della pasta è utilizzata l’acqua leggerissima di un’esclusiva sorgente aziendale, “prelevata in profondità sotto le rocce della Majella”.
Questa breve rassegna dedicata al ruolo di
ingrediente minore è chiusa con un superalcolico, categoria che dovrebbe, secondo il senso comune, avere ben poco a che spartire con la stessa idea di acqua. Nel caso della vodka, invece,
esiste una relazione non insignificante con la
matrice acquosa, da cui anche il termine deriva
(voda significa acqua in russo). La vodka, infatti, è un distillato di grani (o, meno frequentemente, di zuccheri o amidi di altra provenienza) fermentati ed è costituita sostanzialmente di
due ingredienti, etanolo e acqua, in proporzione di 2 a 3. La caratteristica principe di questa
bevanda è di essere purissima, il che impone
successive operazioni di distillazione e filtrazione. Per questo, anche l’acqua a cui viene miscelato l’alcool etilico deve rispondere a requisiti di elevata purezza. Molte sono le imprese
che attuano strategie differenzianti nel comparto e anche in questo caso riscontriamo alcune
differenze nella comunicazione, che possono essere esemplificate dai due seguenti casi. La leader mondiale, la svedese Absolut Vodka, trasmette, fin dall’aggettivo utilizzato come marchio, una volontà di unicità sviluppata su molti
fronti: Absolut History, Legacy, Purity, Sanctity
e così via. In questo ambito, la purezza dell’acqua è certamente considerata fondamentale ed
è addirittura dichiarata un elemento sacro della filosofia aziendale. Tuttavia, questo orientamento non appare come il primo aspetto da comunicare, come invece accade nel caso della canadese Iceberg Vodka. Come si evince dalla denominazione e da tutta l’iconografia utilizzata
per la comunicazione, questa vodka è miscelata
con acqua prelevata dai ghiacciai incontaminati del mare Artico, la cui purezza è definita unica e insuperabile, dal momento che è stata per
millenni al riparo dalle impurità del mondo
esterno. Sorprende come la bevanda alcolica sia
pubblicizzata in coppia con l’acqua minerale, la
quale si fregia dello stesso marchio ed è confezionata in modo da renderla molto simile alla
vodka. Appaiate, fanno bella mostra di sé sulla
cima di un candido iceberg.
Una categoria a sé è dedicata ai prodotti di
origine vegetale, la cui componente idrica è assorbita attraverso i processi fisiologici della
pianta e, in molti casi, somministrata al terreno
mediante le pratiche irrigue. Le aziende che
commercializzano questo tipo di produzioni ricorrono abbastanza spesso alle strategie di differenziazione, soprattutto quando si tratta di
prodotti tipici e di elevata qualità, di cui il nostro Paese abbonda. Non sono, tuttavia, molto
frequenti le strategie che puntano sulla qualità
dell’acqua. Un esempio particolare è dato dal
pomodoro di Pachino, famoso per la sua sapidità, conferita da un mix di quattro fattori, doviziosamente elencati sul sito del Consorzio di
tutela di questo prodotto: salinità delle acque,
alte temperature, prolungata esposizione alla luce, appropriate tecniche agricole. Il disciplinare
di produzione prevede che l’irrigazione sia effettuata con acque di falda prelevate da pozzi
ricadenti nel comprensorio delimitato. Nonostante l’attenzione riservata dal Consorzio alla
qualità dell’acqua, le singoli imprese non appaiono molto inclini a utilizzare questo argomento per la propria comunicazione.
La presente rassegna si chiude con un’ampia
categoria di alimenti, per i quali l’acqua rappresenta un semplice materiale di consumo. L’esempio preso in considerazione riguarda l’acqua
di lavaggio nei prodotti di quarta gamma. Si
tratta di un’operazione di notevole importanza,
in quanto il lavaggio realizzato presso l’azienda
trasformatrice tende a sostituire quello tradizionalmente effettuato presso la cucina del consumatore. Da un punto di vista tecnico, si può
429
Nardone G., Zanni G.
affermare che la qualità dell’acqua di lavaggio,
influendo sui residui, condiziona in modo rilevante la sanità del prodotto destinato alla tavola del consumatore. Nonostante ciò, l’evidenza
empirica mostra che le aziende che commercializzano le produzioni di quarta gamma, pur essendo spesso focalizzate su strategie tendenti a
differenziare la propria offerta (materie prime
di alta qualità, tecniche a basso impatto, controlli severi ecc.), non attuano alcuna forma di
comunicazione basata sulla qualità dell’acqua
utilizzata per le operazioni di pulizia.
In conclusione, l’esplorazione ha rafforzato l’idea che alle varie tipologie di prodotto tendano
ad associarsi diversi gradi di propensione alla differenziazione mediante la qualità dell’acqua. Tale
propensione appare decrescere man mano che ci
si allontana dall’acqua come ingrediente unico e
si va verso ruoli di minore intensità, fino ad annullarsi in corrispondenza dell’ultimo gradino, cioè
all’acqua come materiale di consumo.
4. Un modello per interpretare e prevedere la
propensione delle aziende agro-alimentari a utilizzare l’acqua come elemento di differenziazione della propria offerta
La rassegna aneddotica appena esposta ha evidenziato l’esistenza di una certa propensione
delle imprese agro-alimentari ad utilizzare l’acqua come driver della strategia di differenziazione. Come visto, questo orientamento assume
intensità differenti a seconda del comparto considerato. Se indichiamo con PROPs tale propensione, è possibile interpretare le risultanze
empiriche alla luce di un modello interpretativo identificato dall’equazione [1]:
PROPi = f (TECNOi, CONSi, DIFFi)
[1]
Le variabili esogene misurano, in uno specifico comparto i, rispettivamente: il patrimonio
delle conoscenze tecnologiche disponibili circa
la relazione tra qualità dell’acqua utilizzata nel
processo produttivo e qualità del prodotto finale (TECNO); la percezione del consumatore di
tale relazione (CONS); l’intensità con cui le imprese ricorrono alla strategia di differenziazione, piuttosto che quella di costo (DIFF).
In particolare, l’interazione tra le variabili
esogene e quella endogena può essere così formalizzata:
430
∂ PROPi / ∂ TECNOi > 0
∂ PROPi / ∂ CONSi > 0
∂ PROPi / ∂ DIFFi > 0
poiché è credibile ritenere che, ceteris paribus,
le opportunità che le aziende agro-alimentari
possano utilizzare l’acqua come elemento di differenziazione del proprio sistema di offerta aumentino quanto più elevate sono:
– le conoscenze tecnologiche che consentono
di caratterizzare l’acqua utilizzata nel processo produttivo come determinante della
qualità del prodotto finale che mediante essa si ottiene;
– i convincimenti dei consumatori che determinate caratteristiche qualitative del prodotto acquistato (sapore, consistenza ecc.) dipendano dal tipo di acqua utilizzata per produrlo;
– l’importanza attribuita alla strategia di differenziazione nello specifico comparto. In ambienti competitivi in cui il ricorso alla differenziazione è maggiore è, infatti, più probabile che qualche competitor possa avvertire
l’opportunità di differenziarsi utilizzando attributi o aspetti non presi in considerazione
dai propri concorrenti.
Come si può evincere dalla tabella 2, il modello interpretativo appare promettente nel
spiegare le evidenze empiriche dell’uso dell’acqua come fattore di differenziazione. Un ruolo
particolarmente rilevante sembra quello giocato dalla percezione del consumatore.
Lo stesso modello può essere utilizzato non
solo a fini esplicativi, ma anche predittivi, almeno in termini di andamento qualitativo del fenomeno. Ciò è possibile nella misura in cui si possa disporre di indicazioni probabilistiche sufficientemente affidabili circa l’andamento nel tempo delle variabili esplicative. In particolare, si potrebbe prevedere un andamento di questo tipo:
∂ TECNOi / ∂ t ≥ 0
∂ CONSi / ∂ t ≥ 0
∂ DIFFi / ∂ t > 0
Il patrimonio tecnologico dipende essenzialmente dall’intensità delle attività di ricerca e
sviluppo, in campo pubblico e privato, dedicate
alla specifica tematica, oltre che dall’efficacia
delle iniziative di trasferimento tecnologico alle imprese. Per definizione, il progresso tecnico
porta ad un aumento delle conoscenze. Si può
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Tabella 2. La propensione a utilizzare l’acqua come elemento di differenziazione in funzione del ruolo che essa assume nel
processo produttivo e dell’intensità assunta dalle variabili esplicative.
Table 2. The propensity to use the water as an element of differentiation with respect to the role in the productive process an to the of the explicative variables.
RUOLO NEL PROCESSO PRODUTTIVO
Ingrediente unico (acqua minerale)
Ingrediente principale (bibite)
Ingrediente minore da industria (pane, pasta)
Ingrediente minore da irrigazione (pomodoro)
Materiale di consumo (quarta gamma)
PROP
TECNO
CONS
DIFF
Molto alta
Alta
Bassa
Bassa
Inesistente
Alta
Alta
Alta
Alta
Media
Molto alta
Alta
Bassa
Bassa
Inesistente
Molto alta
Molto alta
Alta
Alta
Media
ritenere che, in questo campo, l’incremento delle conoscenze sulla relazione tra qualità dell’acqua e qualità degli alimenti possa produrre
effetti di ampiezza maggiore, o al massimo pari, alla probabilità che nel futuro possano venire individuate tecnologie che consentano di predeterminare standard di qualità finali indipendentemente dalla qualità dell’acqua utilizzata
nel processo.
La percezione del consumatore rappresenta
il frutto della tradizione popolare (le credenze
e i pregiudizi) ovvero scaturisce da un processo di comunicazione pubblica (educazione, programmi di sensibilizzazione) o privata (pubblicità delle aziende). È plausibile ritenere che in
proiezione futura la consapevolezza dei consumatori circa l’influenza dell’acqua sulle caratteristiche qualitative degli alimenti non sia destinata a diminuire rispetto all’attualità. Anzi, si
potrebbe supporre anche un miglioramento della situazione, considerata la crescente azione
esercitata dal movimento consumeristico, molto
attento alla qualità dei processi alimentari e degli ingredienti, tra i quali l’acqua non sembra un
aspetto trascurato.
Già è stato affrontato, nel secondo capitolo,
il tema dell’importanza attribuita alle strategie
di differenziazione dai singoli comparti produt-
tivi. La scelta di puntare alla qualificazione della propria offerta è vista come una strategia
adeguata per reggere la competizione in mercati altamente segmentati e, considerando l’evoluzione dei moderni contesti globalizzati, si
può prevedere che le aziende sceglieranno sempre di più di adottare tale strategia come reazione alla crescente liberalizzazione dei mercati e alla sempre più spinta individualizzazione
degli stili di consumo.
In sostanza, si ritiene altamente probabile
che le tendenze rilevate empiricamente nel precedente paragrafo siano destinate a confermarsi nel corso dei prossimi anni, soprattutto in
virtù della sempre maggiore enfasi che sarà dedicata dalle imprese alla strategia di differenziazione (tabella 3).
Al limite, il processo potrebbe continuare fino al punto massimo in cui tutte le potenzialità
tecnologiche vengano esplorate e utilizzate in
chiave di comunicazione di marketing. Anche in
considerazione di questo fatto, i tassi di crescita dovrebbero crescere maggiormente per quei
comparti in cui la propensione all’utilizzo dell’acqua come fattore di differenziazione del prodotto finito è ancora molto ridotta, dando perciò luogo ad un trend quale quello evidenziato
nella figura 3.
Tabella 3. L’evoluzione della propensione ad utilizzare l’acqua come elemento di differenziazione in funzione del ruolo che
essa assume nel processo produttivo e dell’intensità assunta dalle variabili esplicative.
Table 3. The evolution of the propensity to use the water as an element of differentiation with respect to the role in the
productive process an to the of the explicative variables.
RUOLO NEL PROCESSO PRODUTTIVO
Ingrediente unico (acqua minerale)
Ingrediente principale (bibite)
Ingrediente minore da industria (pane, pasta)
Ingrediente minore da irrigazione (pomodoro)
Materiale di consumo
PROP
crescita
crescita
crescita
crescita
costante
TECNO
costante
costante
costante
costante
costante
CONS
DIFF
costante
costante
costante
costante
costante
crescita elevata
crescita elevata
crescita elevata
crescita elevata
costante
431
Nardone G., Zanni G.
5. Considerazioni conclusive
In un contesto agro-alimentare contrassegnato
da una sempre più elevata rilevanza della qualità come fattore di competitività, un’implicazione quasi naturale dei risultati di questo lavoro è che le imprese del settore dovrebbero
giovarsi maggiormente dell’opportunità di valorizzare la propria offerta utilizzando la qualità
dell’acqua come driver differenziante. Le vie per
ottenere questo risultato sono essenzialmente
due: l’ampliamento delle possibilità tecnologiche e la ricerca di nuovi spazi per implementare strategie di differenziazione. Per la prima, occorre un potenziamento delle attività di ricerca,
sviluppo e trasferimento tecnologico su questo
particolare argomento. Riguardo alla seconda, è
necessario realizzare appropriate indagini di
mercato, al fine di interpretare in modo corretto e tempestivo le esigenze dei consumatori. In
entrambi i casi, per i comparti che soffrono maggiormente delle inadeguatezze storiche della
struttura industriale italiana (imprese piccole,
settori tradizionali, bassa capacità di incorporare l’innovazione), occorrono iniziative ad hoc,
quali l’adesione a programmi cooperativi di trasferimento tecnologico.
Dal lato della domanda, dal momento che la
qualità dell’acqua è un attributo credence, per
favorire l’efficienza dei meccanismi di mercato
e l’instaurarsi di un ciclo virtuoso della qualità,
occorre sostenere il corretto funzionamento degli strumenti di informazione e di tutela del consumatore, quali le norme contro la pubblicità ingannevole, l’etichettatura, i marchi, le certificazioni di qualità, oltre ai controlli riguardanti il
rispetto degli standard normativi.
L’agenda di ricerca su questo argomento
prevede, da una parte, lo sviluppo dell’indagine
empirica, attraverso un’analisi quantitativa finalizzata alla falsificazione, su base statistica rigorosa, delle ipotesi accolte nel modello. Dall’altra, appare interessante realizzare un avanzamento del modello, in grado di spostare l’unità
di analisi dai comparti produttivi ai territori e
alle imprese, mediante l’ integrazione di variabili esplicative (per esempio: know how e strategie specifiche aziendali; risorse idriche locali
tipiche) in grado di spiegare, all’interno dei
comparti, il diverso comportamento di gruppi di
imprese o di singole unità.
432
Figura 3. Il trend dell’utilizzo dell’acqua nelle strategie di
differenziazione in funzione del ruolo che questa assume nel
processo produttivo.
Figure 3. Trends in the utilization of water in the differentiation strategies depending on the role it assumes in the
productive process.
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433
Le acque di irrigazione e la sicurezza alimentare
Bruno Biavati, Paola Mattarelli*
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroambientali, Università di Bologna
Via Fanin 44, 40127 Bologna
Società Italiana di Microbiologia Agroalimentare e Ambientale
Riassunto
Il 71% della superficie terrestre è costituito dagli oceani. L’acqua pertanto è un importante ambiente per i microrganismi oltre che per tutti gli altri esseri viventi. Una grande varietà di tipi microbici colonizzano l’habitat acquatico dai fototrofi ai chemiorganotrofi. Le dinamiche che si creano fra i diversi componenti microbici e l’ambiente sono spesso alterate da contaminazioni organiche, chimiche e fisiche. L’immissione di materiale organico può
anche essere fonte di inquinamento di microrganismi patogeni la cui presenza va monitorata al fine di evitare seri
problemi alla salute umana ed animale. L’acqua, infatti, può rappresentare un veicolo di trasferimento sia diretto
(acqua potabile) sia indiretto (acque di irrigazione) di microrganismi patogeni.
Parole chiave: biodiversità microbica, acqua potabile, acqua di irrigazione, microrganismi patogeni.
Summary
IRRIGUE WATER AND FOOD SAFETY
Seventy-one percent of the earth’s surfaces are covered by oceans. Water therefore are an important habitat for the
microorganisms and the other living things. A consistent microbial biodiversity is present in water from phototrophs
to chemioorganotrophs. The complex relathionships between different microorganisms and the environment are often modified by organic, chemical and physic contaminations. The input of organic material can determine pathogen pollution. The presence of pathogens has to be monitored to eliminate serious problems for animal and human
health. Water, in fact, can be a vehicle direct (drinking water) or indirect (irrigue water) for microbial pathogens.
Key-words: microbial biodiversity, drinking water, irrigue water, pathogens.
1. Ecologia microbica delle acque
Il 71% della superficie terrestre è costituita da
oceani. L’acqua quindi è l’habitat dominante
della terra. Gli ambienti acquatici comprendono sorgenti, paludi, fiumi, laghi, oceani ma anche bacini idrici, acque di scolo e altri habitat
acquatici. Gli habitat acquatici rispetto a quelli
terrestri, presentano una minore variabilità di
condizioni ambientali. La temperatura negli
strati superficiali dell’acqua ha meno variazioni
rispetto alla superficie terrestre. Le acque oceaniche hanno una temperatura che non supera i
4 °C. Questa uniformità si mette in evidenza anche nella distribuzione delle sostanze nutritive:
esse sono disponibili in forma solubile e ionica
*
e sono continuamente disperse per diffusione,
convezione e per mezzo delle correnti. La produttività negli ambienti acquatici è limitata agli
strati eufotici di superficie ed è dell’ordine di
grandezza della produzione primaria terrestre
fotosintetica. Per quanto riguarda l’ossigeno la
sua diffusione dall’atmosfera ai corpi acquatici
ed infine ai sedimenti è estremamente lenta.
Pertanto nei sedimenti sono presenti condizioni anossiche con limitato rimescolamento di acqua. Negli ambienti marini anossici l’anione più
importante è il solfato. In presenza di materiale organico il solfato viene utilizzato come accettore finale di elettroni da numerosi microrganismi in grado di svolgere la riduzione dissi-
Autore corrispondente: tel.: +39 051 2096275; fax: +39 051 2096274. Indirizzo e-mail: paola.mattarelli@unibo.it.
435
Biavati B., Mattarelli P.
milatoria del solfato. Da questa trasformazione
deriva la liberazione di acido solfidrico che costituisce il donatore di idrogeno per fototrofi
anaerobici come i batteri verdi e rossi. Gli habitat marini sono i maggiori ecosistemi anaerobici nella biosfera. Il Mar Nero ad esempio è
privo di ossigeno da 150 metri fino alla sua massima profondità di 2000 metri. Quasi tutto lo
zolfo presente deriva dalla riduzione del solfato (SO42-). L’ossidazione dell’acido solfidrico da
parte dei microrganismi fototrofi è condotta a
livello dell’interfaccia aerobica-anaerobica ed è
legata alla fissazione di grandi quantità di carbonio. Nelle acque anossiche marine la concentrazione del metano è minore rispetto agli ambienti anossici delle acque dolci. Nei sedimenti
con elevate concentrazioni di solfato (più di 10
mM) la tappa finale della degradazione del materiale organico è principalmente condotta dai
batteri solfato-riducenti. Diversamente in condizioni di basse concentrazioni di solfato la metanogenesi è il principale processo che conclude la serie di reazioni microbiche coinvolte nella degradazione della sostanza organica.
Un importante parametro della vita acquatica è
la luce. L’assorbimento della luce regola la distribuzione di fototrofi come produttori primari che
a loro volta influenzano la distribuzione dei chemorganotrofi. Per ogni metro di profondità, l’intensità della luce diminuisce di circa il 50%.
Il numero dei microrganismi è minore nella
maggioranza degli habitat acquatici rispetto a
quelli terrestri. I batteri più comuni negli habitat acquatici sono bastoncelli Gram negativi dei
generi Pseudomonas, Vibrio e Flavobacterium.
La domanda se esistano microrganismi marini
autoctoni è argomento di discussione da sempre. I batteri isolati dall’oceano non sono necessariamente di origine marina perché alcuni
microrganismi possono essere immessi dai fiumi. È quindi necessario distinguere i microrganismi che si trovano in oceano aperto da quelli che si trovano vicino alle coste. È tuttavia generalmente accettata l’esistenza di microrganismi autoctoni marini che richiedono NaCl e sono psicrofili. I microrganismi con guaina o appendici sono strettamente acquatici e vivono nel
bentos come anche quelli fototrofi che si stratificano nell’habitat planctonico. I batteri prostecati sono comuni nei corpi acquatici a basso
contenuto di nutrienti. La maggioranza degli organismi planctonici è in grado di fluttuare in
436
verticale. Il loro galleggiamento dipende da dimensioni, motilità, vescicole di gas che sono presenti ad esempio in fototrofi e cianobatteri. Strutture simili sono presenti negli alobatteri che si trovano nei bacini di acqua salmastra.
I funghi sono i microrganismi più diffusi nelle
acque dolci contrariamente a quelle marine: essi sono coinvolti principalmente nella degradazione di residui vegetali. I funghi più semplici,
come i chitridi, sono parassiti di alghe planctoniche. Gli oomiceti sono ampiamente distribuiti nei fiumi, paludi e laghi ma sono rari nel mare. Thraustochytridiales sono funghi marini autoctoni. Anche gli ascomiceti si trovano nei fiumi e nei laghi dove degradano i residui di piante. I lieviti si trovano negli oceani fino a 3.000
m di profondità. Le principali specie nelle acque costiere sono Rhodotorula e Torulopsis. Le
acque interne comprendono ambienti sia con
acque correnti sia stagnanti. I corsi d’acqua presentano condizioni più o meno uniformi in tutta la profondità grazie al continuo rimescolamento del corpo acquoso. Nei bacini stagnanti invece si differenziano diversi strati con temperatura, densità, composizione chimica e condizioni
biologiche diverse. Un esempio di tale stratificazione è data in figura 1. A causa del riscaldamento
della superficie gli strati superiori hanno una temperatura più elevata. Alla base dello strato “caldo” è presente un brusco abbassamento di temperatura, noto come termoclino. Il movimento
verticale dei soluti attraverso il termoclino è piuttosto lento. La profondità del termoclino è compresa fra 8 e 15 m. Gli strati sottostanti costituiscono l’ipolimnio e quelli superiori l’epilimnio. La
produzione primaria avviene nello strato aerobico superiore (epilimnio) grazie a cianobatteri e
alghe e nello strato anaerobico sottostante (ipolimnio) ad opera di batteri rossi e verdi. Siccome
parte del materiale organico sedimenta sul fondo
del lago, la degradazione anaerobica (fermentazione, produzione di SO4-2, riduzione di CO2 e
produzione di CH4) avviene nel sedimento grazie a batteri fermentativi, batteri solfato-riducenti e metanogeni.
I fiumi che sono poco contaminati appaiono trasparenti ed hanno una bassa concentrazione di
microrganismi: le piccole quantità di materiale
organico presenti sono facilmente degradate
(auto-purificazione). Le acque altamente contaminate invece rivelano una drastica alterazione
della microflora e della fauna.
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:435-440
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Figura 1. Profilo verticale della stratificazione di un lago.
Figure 1. Vertical profile of a lake stratification.
Il numero di batteri negli habitat acquatici dipende dalla interazione di molteplici fattori. I
microrganismi produttori primari attivi sono il
punto di partenza della catena alimentare. Ad
essi seguono i chemoorganotrofi. Nelle acque
oligotrofiche la concentrazione batterica è intorno a 103-104 CFU ml-1 mentre nelle acque
eterotrofiche è intorno a 107-108 CFU ml-1. Sulla superficie dei detriti dei sedimenti dei laghi,
è stata stimata una concentrazione microbica di
circa 109 CFU ml-1. Negli oceani dove una minor quantità di detriti raggiunge i sedimenti dei
fondali si ha una concentrazione microbica di
104-105 CFU ml-1. Poiché l’apporto di nutrienti è
molto lento il tempo di duplicazione nell’acqua
è relativamente lungo. Nei laghi oligotrofici il
tempo di duplicazione è stato stimato fra 60 e
180 ore. Invece in acque ricche di nutrienti e
calde è stata osservata una rapida crescita microbica con un tempo di duplicazione di 4 ore.
2. Contaminazione organica, chimica e fisica
dell’acqua
Nei diversi habitat acquatici sono presenti in numero variabile microrganismi di diversi generi.
La popolazione microbica indigena è in grado
di degradare composti organici ed è parte costituente della catena alimentare per protozoi,
insetti, vermi e pesci. In condizioni normali delle acque, la popolazione microbica è parte di un
ecosistema bilanciato e piccole quantità di composti organici non alterano il suo equilibrio. Tuttavia questo equilibrio può venire destabilizzato se un eccesso di materiale organico, come elevate quantità di acque di scolo, viene riversato
nei corpi acquatici. L’immissione di materiale
organico metabolizzabile causa un considerevole aumento della crescita del metabolismo della popolazione microbica aerobica dell’acqua.
Questo eccesso di crescita consuma tutto l’ossigeno disponibile disciolto nell’acqua rendendo
l’acqua anaerobica. La figura 2 illustra l’effetto
di aggiunta di materiale organico biodegradabile in un fiume. I livelli di ossigeno disciolto calano rapidamente nel punto dove è stato immesso il materiale organico ma se questo non è
troppo elevato i livelli di ossigeno saliranno lentamente quando il materiale si mescola e si
muove a valle del punto di aggiunta. Questo susseguente aumento nell’O2 disciolto è dovuto in
parte al rimescolamento dell’acqua, alla dilui-
437
Biavati B., Mattarelli P.
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Figura 2. Conseguenze dell’addizione di materiale organico
a un fiume in termini di ossigeno disciolto. L’ossigeno disciolto diminuisce vicino al punto di immissione ma con il
rimescolamento L’ossigeno disciolto raggiunge ancora il valore di saturazione. Questa caratteristica è nota come “riduzione del BOD”. Tuttavia se l’addizione di materiale organico è rilevante l’ossigeno disciolto non viene ripristinato e l’acqua diventa anaerobica.
Figure 2. Effects of organic materials addition to a river as
solved oxigen.
zione con acque fresche e al metabolismo del
materiale organico. Le acque stagnanti come
quelle di laghi e paludi diventano anaerobiche
più rapidamente quando viene aggiunto un eccesso di materiale organico in quanto non hanno un sistema di rimescolamento con acque pulite. Se l’immissione di materiale organico è rilevante l’eccessivo metabolismo microbico determina condizioni anaerobiche. In condizioni
anaerobiche i microrganismi aerobi diminuiscono o scompaiono mentre aumentano gli anaerobi. Il metabolismo anaerobico è più lento rispetto a quello aerobico così diminuisce la velocità di degradazione della sostanza organica e
si ha accumulo di materiale organico o sedimento nell’acqua. Il permanere delle condizioni anossiche determina la morte degli altri organismi acquatici come pesci e crostacei. Il metabolismo anaerobico nel sedimento produce
gas come acido solfidrico e metano; pertanto la
formazione di bolle gassose è indice di condizioni anaerobiche. Oltre al materiale organico
di origine fognaria, rifiuti industriali derivati da
processi come la produzione di birra, la panificazione, la produzione di carta, la lavorazione
dei metalli e dall’agricoltura possono essere im-
438
messi nelle acque: questi rifiuti sono generalmente più inquinanti degli scarichi fognari. Gli
impianti di trattamento dei reflui fognari normalmente trattano residui di origine domestica
mentre i residui industriali sono trattati dalle industrie stesse prima di essere immessi nei bacini idrici o nei reflui fognari. L’inquinamento dell’acqua è determinato non solo dall’addizione di
residui biodegradabili ma anche da inquinanti
di natura chimica e fisica. Inquinanti chimici derivano principalmente dall’industria col rilascio
di acidi, alcali e composti tossici che possono avvelenare gli organismi viventi dell’acqua. Gli inquinanti chimici come pesticidi possono derivare anche dall’agricoltura. L’inquinamento fisico
è causato dal rilascio di materiale che può cambiare le condizioni fisiche di un habitat, come
l’immissione nell’ambiente di grandi quantità di
acqua calda che modificano la temperatura. Il
cambiamento di temperatura dell’acqua può favorire la crescita degli organismi autoctoni o di
nuovi organismi alterando così l’equilibrio ambientale.
La principale funzione dei sistemi di trattamento dei residui fognari è di ridurre il contenuto
organico, i microrganismi patogeni e le particelle solide così da reintrodurre l’acqua nei bacini idrici, soprattutto quelli utilizzati come sorgenti di acqua potabile, senza causare inquinamento. Nei primi impianti venivano utilizzate
colture di singoli microrganismi per trattare i reflui: questi però sono complesse mescolanze per
cui sono stati sviluppati inoculi che utilizzano le
popolazioni microbiche che si trovano naturalmente nei reflui (Wagner et al., 2002). Poiché la
natura e la composizione dei reflui è molto variabile non esiste un processo universale di trattamento. Esistono tuttavia quattro fasi di trattamento che sono la fase preliminare, quella primaria, quella secondaria e quella terziaria. Il primo ed il secondo trattamento sono di natura fisica e permettono la rimozione dei detriti e delle particelle solide sospese. Il trattamento secondario che può essere di tipo anaerobico (in
bioreattori) o aerobico (in vasche a filtri drenanti o con fanghi attivi) utilizza l’attività biologica dei microrganismi per degradare la sostanza organica. Il trattamento terziario permette la rimozione di fosfati, nitrati e microrganismi patogeni per produrre acqua potabile e
per prevenire l’eutrofizzazione. Tale processo richiede reazioni chimiche, disinfezione con clo-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:435-440
ro, filtrazione e l’uso di stagni di maturazione.
L’applicazione di metodi molecolari per lo studio della microbiologia dei sistemi di trattamento dei reflui ha rivoluzionato le nostre conoscenze sull’ecologia microbica di questi sistemi. Diversi gruppi di batteri non coltivabili sono stati identificati e ad essi sono state attribuite
alcuni funzioni come aumentata rimozione del
fosforo, ossidazione del nitrito e denitrificazione. Il vantaggio di questi studi ha fornito le basi per un trattamento “guidato” dei reflui. Ad
esempio all’inizio o durante il trattamento secondario vengono addizionati microrganismi specializzati o fanghi attivati derivati da un altro sistema: questo processo prende il nome di
“bioaugmentation” (Rittman e Whiteman, 1994).
nocytogenes, Salmonella spp. (Gerba e Smith,
2005). Il controllo e un’adeguata disinfezione
sembrano essere i maggiori punti chiave nella
salvaguardia contro i patogeni dell’acqua. Una
rigorosa analisi dell’acqua è utile nell’individuare nuovi microrganismi patogeni. Successivamente all’identificazione microbica il problema può essere affrontato su diversi fronti: a) documentando la diffusione del patogeno attraverso l’acqua potabile e altre vie, b) sviluppando un sistema di monitoraggio accurato, c) mettendo a punto sistemi efficaci di disinfezione o
filtrazione, d) stabilendo i rischi relativi alla salute (Sharma et al., 2003).
4. Riutilizzo di acque derivate da reflui per l’irrigazione
3. Microrganismi patogeni dell’acqua
L’immissione di materiale organico oltre ad avere conseguenze ecologiche per l’ambiente acquatico può essere causa di contaminazione di
microrganismi patogeni costituendo un serio
problema per la salute umana. Alcuni patogeni
sono descritti come emergenti in quanto costituiscono un considerevole pericolo per la salute umana in paesi sia industrializzati sia in via
di sviluppo. Vibrio cholerae è un esempio di patogeno che ha causato e continua a determinare epidemie in diversi paesi (Karaolis et al.,
1995). Anche i ceppi che afferiscono alla specie
Escherichia coli fra cui E. coli O157:H7 enteroemorragico e “shiga toxin-producing” E. coli
(STEC) costituiscono un gruppo di patogeni
dell’acqua dell’occidente industrializzato (Khan
et al., 2002; Lawson, 2004). Cryptosporidium,
protozoo parassita, causa diarrea persistente in
individui immunocompromessi. Campylobacter,
importante patogeno dell’acqua che causa gastroenteriti acute, è considerato un patogeno
emergente (Engberg et al., 1998; Furtado et al.,
1998). Yersinia enterocolitica è un importante
patogeno del cibo e dell’acqua che causa problemi gastrointestinali di vario tipo (Ostroff,
1995). Altri agenti microbici patogeni che si possono trovare nell’acqua che non sono emergenti ma sono potenziali candidati sono vari virus
enterici (epatite, coxavirus, rotavirus), micobatteri ambientali, Helicobacter spp., aeromonadi,
Legionella pneumophila, Pseudomonas aeruginosa, Leptospira spp., Brucella spp., Listeria mo-
La risorsa idrica è un bene prezioso e purtroppo in questo ultimo decennio si è assistito sempre più frequentemente a periodi di scarsità di
acqua anche in paesi che non avevano avuto prima problemi di siccità. Il riutilizzo di acque derivanti da impianti di trattamento di reflui per
l’irrigazione in agricoltura potrebbe essere un
valido strumento per l’economia dell’acqua. Sono stati definiti tre principali approcci per stabilire delle linee guida per la qualità microbiologica di acque derivanti da reflui e riutilizzate
per l’agricoltura. Questi approcci hanno diversi
obiettivi come l’assenza di organismi indicatori
fecali nelle acque di scolo, l’assenza di un aumento misurabile di malattie enteriche nella popolazione esposta e un modello in grado di definire in modo quantitativo un rischio associato
ad un patogeno. Se il secondo approccio (che
usa studi epidemiologici empirici insieme a studi microbiologici della trasmissione di patogeni) è usato unitamente al terzo approccio (che
usa una definizione del rischio quantitativo
usando un modello per patogeni selezionati) si
ottiene uno strumento potente per aiutare lo
sviluppo di regolamentazioni. Questo approccio
combinato è più efficiente in termine di costi
del primo approccio e protegge adeguatamente
la salute pubblica (Blumenthal et al., 2000).
Le linee guida stabiliscono la concentrazione
dei coliformi fecali deve essere ≤ 1000 coliformi fecali/100 ml-1 per irrigazioni a pieno campo,
mentre per irrigazioni limitate a spazi ristretti il
limite è ≤ 105 coliformi fecali /100 ml-1 consi-
439
Biavati B., Mattarelli P.
derando la possibile esposizione agli aerosol di
agricoltori adulti. Il limite ≤ 103 coliformi fecali/100 ml-1 è raccomandato se viene utilizzata irrigazione per allagamento (ad es. risaie) o se sono esposti i bambini (Shuval et al., 1997).
Da quanto esposto risulta evidente che le acque rappresentano un habitat ideale per molti
microrganismi alcuni dei quali possiedono caratteri che possono determinare patologie di varie gravità nell’uomo e negli animali. Le acque
di irrigazione possono quindi rappresentare un
mezzo attraverso il quale avviene il trasferimento dei microrganismi a varie colture in particolare frutta e verdura trasformandole in possibile veicolo di trasmissione di agenti patogeni.
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Ruolo dell’acqua nel decadimento
della qualità degli alimenti
Laura Piazza*
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Alimentari e Microbiologiche, Università di Milano
Via Celoria 2, 20133 Milano
Società Italiana di Scienze e Tecnologie Alimentari
Riassunto
L’impatto dell’acqua sulla termodinamica e sulla fisica dell’alimento, e quindi sulla sua qualità, è maggiore di ogni
altro componente chimico. Applicando principi fondamentali di cinetica chimica, le velocità delle reazione responsabili del decadimento della qualità possono essere espresse in funzione della composizione e di fattori esterni al
prodotto: l’attività dell’acqua o il contenuto in umidità sono stati ampiamente utilizzati per determinare il ruolo
dell’acqua nelle reazioni cinetiche di degradazione. Scuole più recenti attribuiscono al concetto di attività dell’acqua alcune limitazioni: il ruolo dell’acqua negli alimenti è discusso in relazione allo stato di non-equilibrio dei prodotti alimentari amorfi nella stabilità degli attributi di qualità. Secondo questo approccio la dinamica dei cambiamenti è descritta in termini cinetici e può essere efficacemente predetta dalla temperatura di transizione vetrosa,
più che dall’attività dell’acqua. La transizione vetrosa, transizione di secondo ordine da uno stato vetroso allo stato gommoso dei materiali amorfi, è innanzitutto influenzata dall’acqua quale plasticizzante del sistema che quindi,
insieme alla temperatura, determina lo stato fisico delle fasi di sistemi multifase quali sono gli alimenti. Il tema del
ruolo dell’acqua nel decadimento della qualità degli alimenti verrà presentato in questo lavoro secondo i principi
della scienza dei materiali alimentari.
Parole chiave: acqua, qualità degli alimenti, scienza dei polimeri e dei materiali alimentari.
Summary
THE ROLE OF WATER IN FOOD QUALITY DECAY
The impact of water on food thermodynamics and physics, and therefore on its quality, is more important than any
other food chemical component. When fundamentals of chemical kinetics apply, the rates of the reactions that are
responsible of food quality decay can be described as a function of food composition and of other external elements interacting with foods. Among them, water activity and water content have been widely used to determine
the role of water in the kinetic reactions of deterioration. Recently, researchers have found limitations in using the
water activity parameter. According to them, the role of water in foods can be better described by evaluating the
role in the stability of the quality attributes of the non-equilibrium states of amorphous food products. Following
this approach, the dynamics of the changes are described in kinetics terms and can be efficiently better predicted
by the glass transition temperature more than by the water activity. The glass transition, which is a second order
transition in amorphous materials from the glassy to the rubbery state, is primarily dependent on water which is a
plasticizer and is responsible for the physical state of multiphase systems (as foods are) together with the temperature. The subject of the role of water in the decay of food quality will be presented in this paper according to
the principles of food material science.
Key-words: water, food quality, food polymer and material science.
*
Autore corrispondente: tel. +39 02 50316635; fax: +39 02 50316632. Indirizzo e-mail: laura.piazza@unimi.it
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1. La complessità chimica dell’acqua negli alimenti
La concentrazione dell’acqua nelle matrici alimentari è molto variabile, da frazioni percentuali fino a più dell’98%. L’acqua, costitutiva o
aggiunta nel corso del processo produttivo, svolge negli alimenti un ruolo funzionale importante per le caratteristiche e le proprietà dell’alimento: non è un diluente inerte ma è solvente,
veicolo, reagente, lubrificante ed agente strutturante e ne influenza sicurezza, stabilità, qualità
e proprietà fisiche.
Data la complessità della chimica dell’acqua,
l’impatto sulla termodinamica e sulla fisica dell’alimento, e quindi sulla sua qualità, è maggiore di ogni altro componente chimico (Le Meste
et al., 2006).
Lo stato dell’acqua nelle matrici alimentari
è il risultato della struttura della molecola d’acqua e delle sue interazioni con gli altri costituenti. La configurazione spaziale della molecola d’acqua è ben nota: è stata proposta da Bjerrum nel 1951 ed è rappresentata come un tetraedro regolare, con un diametro di Van der
Waals pari a 0.282 nm. Le cariche parziali allocate negli angoli dei tetraedro portano la molecola ad interagire con le molecole d’acqua circostanti. L’acqua liquida viene descritta come
un reticolo transiente di aggregati di molecole
d’acqua, nel quale ogni singola molecola è in un
ambiente che si rinnova dinamicamente: ogni
molecola può partecipare a quattro legami idrogeno con altre molecole d’acqua, coinvolgendo
in due legami i suoi atomi di idrogeno e nei rimanenti due gli elettroni dell’atomo di ossigeno. In particolare l’acqua liquida viene descritta come “gel transiente localmente strutturato”,
quindi come un reticolo connettivo con una vita di legame estremamente corta (dell’ordine di
picosecondi). I legami idrogeno possono essere
stirati, piegati e soprattutto si possono formare
e disfare con estrema facilità a causa di continui processi di protonazione e deprotonazione.
I legami idrogeno e gli effetti idrofobici sono particolarmente rilevanti per le interazioni
dell’acqua con gli altri componenti dell’alimento. Entrambe le tipologie di interazione riguardano, in ultima analisi, la struttura del reticolo
di legami idrogeno dell’acqua organizzati attorno ai gruppi dissolti. In presenza di soluti, la modificazione della struttura e della dinamica del-
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l’acqua è determinata dalla natura del soluto e
dalla sua geometria. I legami idrogeno sono legami mediati dall’idrogeno fra due atomi elettronegativi. In soluzione acquosa si crea una
competizione fra le tendenza dell’acqua ad essere coinvolta nei legami idrogeno o nei legami
sia con altre molecole d’acqua che con atomi
elettronegativi dei soluti disciolti. I soluti idrofilici (o gruppi idrofilici su una macromolecola)
sono propensi ad essere solubili in acqua, cioè
a respingersi l’un l’altro ed essere in contatto
con l’acqua: le molecole in soluzione perturbano l’ordine locale delle molecole d’acqua in
quanto la maggior parte delle molecole idrofiliche ha un effetto di disordine, mentre le molecole idrofobiche tendono ad aumentare il grado di ordine delle molecole d’acqua circostanti.
L’effetto degli ioni sulla struttura dell’acqua
ha un importante propagazione: nelle soluzioni
saline concentrate, ad esempio, gli ioni inducono una modificazione della struttura tetraedrica dell’acqua equivalente all’applicazione di
un’alta pressione (“structure-breaking effect”).
Inoltre l’influenza degli ioni sui legami idrogeno intermolecolari del lattice solvente e sulla velocità di scambio delle molecole d’acqua fra la
sfera di solvatazione degli ioni e la restante acqua può influenzare la viscosità della soluzione.
Gli effetti sull’acqua sono di solito più evidenti per gli anioni che per i cationi e dipendono dalla dimensione e dalla carica dello ione.
Le interazioni dipolo-dipolo, come le interazioni fra acqua e gruppi polari o molecole non cariche (zuccheri, polioli) non sono così forti come le interazioni ione-dipolo. Tuttavia anch’esse influenzano la struttura e le proprietà dinamiche delle molecole d’acqua.
La solvatazione ionica è un importante fattore nel determinare le proprietà di solubilizzazione, la conformazione, la reattività di numerosi biopolimeri. Nelle soluzioni acquose l’influenza degli ioni sulla solubilità degli altri soluti è espressa dai loro effetti “salting-in” e “salting-out”. Gli ioni influenzano il parametro di
interazione di Flory-Huggins (χ) che è la misura della qualità del solvente per un dato soluto:
χ < 0.5 per un buon solvente, χ > 0.5 per un solvente di scarsa qualità, χ = 0.5 per un solvente
“theta”, in assenza cioè di specifiche interazioni solvente-soluto. Dato che i soluti influenzano
l’organizzazione delle molecole d’acqua nelle
soluzioni acquose, l’acqua ha effetto sulla
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conformazione e organizzazione molecolare dei
soluti o dei biopolimeri. Negli alimenti, quindi,
la maggior parte delle interazioni fra gruppi o
molecole è mediata dall’acqua: ad esempio riducendo il contenuto d’acqua mediante essiccamento o cambiando la natura del solvente, si
possono avere modificazioni delle conformazioni molecolari e della velocità delle fluttuazioni
di conformazione dei biopolimeri.
2. Attività dell’acqua e reazioni di decadimento
della qualità negli alimenti
Gli alimenti sono sistemi multifase a livello micro, meso o macroscopico. I sistemi multifase sono sistemi dinamici nei quali le singole fase o i
singoli componenti perdono o acquistano umidità verso o dal loro intorno per raggiungere un
equilibrio termodinamico con i costituenti delle singole fasi o con l’ambiente. La migrazione
di acqua nei sistemi multifase è influenzata dall’equilibrio di attività dell’acqua (fattore termodinamico) e da fattori che regolano la velocità
dei fenomeni diffusivi (dinamica del trasporto
di materia). Negli anni ’70, Karel e la sua scuola hanno inquadrato in forma organica le relazioni fra le proprietà, le condizioni ed i principi teorici che governano la sicurezza e l’efficacia delle tecnologie di conservazione degli alimenti nell’ottica dell’ottimizzazione e del mantenimento della qualità (Karel, 1984). Punto focale nel disegno di Karel era la relazione “attività dell’acqua e conservazione degli alimenti”
che ha guidato per anni l’attività’ dei tecnologi
alimentari di tutto il mondo.
L’attività dell’acqua, o pressione di vapore
relativa dell’acqua in equilibrio con un dato sistema a temperatura costante, è considerato
l’indice di disponibilità di acqua in un materiale idratato e, in quanto tale, è considerato un
criterio molto utile per modellare e predire il
comportamento di prodotti alimentari durante
il processo produttivo e lo stoccaggio.
L’attività dell’acqua (aw) è legata al potenziale chimico dell’acqua ed è definita come la
pressione relativa di vapore, cioè come rapporto fra la pressione di vapore dell’acqua nello
spazio di testa sopra il campione e la pressione
di vapore dell’acqua nello spazio di testa sopra
l’acqua alla stessa temperatura.
Il potenziale chimico è la forza motrice per
il trasferimento di energia e di materia a temperatura costante ed è legato esponenzialmente alla attività dell’acqua. Come già discusso, la
presenza di soluti induce disordine nella struttura dell’acqua (maggior entropia), che si traduce in un potenziale chimico inferiore. Se i
soluti sono piccoli, la attività dell’acqua è controllata essenzialmente dal numero di molecole di soluto. In presenza di macromolecole o di
superfici idrofiliche i bassi valori di potenziale
chimico dell’acqua sono attribuiti alle interazioni delle molecole d’acqua con gli elementi
strutturati.
La stabilità dei materiali alimentari è influenzata in maniera significativa dalla attività
dell’acqua. Le isoterme di adsorbimento dell’acqua indicano la relazione fra l’attività dell’acqua (variabile fra 0 e 1) ed il contenuto in
acqua a temperatura costante. Gli studi di modellazione delle proprietà di adsorbimento sono particolarmente importanti nella predizione
della shelf-life degli alimenti (Labuza, 1980). Le
ben note equazioni di Braunauer-Emmett-Teller (BET) e Guggenheim-Anderson-deBoer
(GAB) sono i modelli più utilizzati e consentono il calcolo del monostrato (una volta definita
“acqua legata”) che si considera rappresentare
la quantità di acqua adsorbita sui siti primari
per assorbimento. Il monostrato è considerato il
contenuto ottimale di acqua per la stabilità di
alimenti a umidità bassa o intermedia. L’applicabilità del modello di BET è limitata all’intervallo di attività dell’acqua compreso fra 0,1 e
0,5, quello i GAB è applicabile in intervallo di
attività dell’acqua più ampio.
Le relazioni indicate dalle isoterme di adsorbimento descrivono il comportamento del
materiale alimentare:
1) in relazione alla shelf-life: il monostrato di
GAB (m0) indica massima stabilità per valori di aw compresi fra 0,2 e 0,3 (dove sono
minime le reazioni chimiche che richiedono
una fase acquosa); per valori di aw maggiori
della aw del monostrato la velocità delle reazioni è funzione dell’attività dell’acqua: la
velocità aumenta di 2 o 3 volte per ogni aumento di aw pari a 0,1;
2) nei confronti dell’instabilità fisica di matrici
solide: per aw maggiori di 0,5 si osserva la
modificazione delle proprietà meccaniche da
elasto-plastiche a proprtietà fragili-duttili;
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per aw pari circa a 0,3-0,5 si assiste alla perdita di friabilità e croccantezza delle matrici
a basso contenuto in umidità;
3) nei confronti dell’instabilità fisica delle polveri: per aw maggiore o uguale a 0,4 si ha
“caking” (presa in massa) e “sticking” (aumento di viscosità) delle polveri amorfe;
4) per la degradazione chimica e crescita microbica. Per gli IMF (intermediate moisture
foods) con aw compresa fra 0,6 e 0,9 sono
state osservate: la massima velocità delle reazioni di degradazione, la potenziale crescita
di patogeni, la perdita del valore sensoriale
e nutrizionale, l’imbrunimento non enzimatico, l’attività enzimatica (lipasi), l’ossidazione di lipidi, la perdita di nutrienti. La velocità delle reazioni di degradazione in funzione dell’attività dell’acqua è presentata nel
noto digramma di Karel. Ad esempio, la reazione di imbrunimento non enzimatico di
Maillard (NEB) mostra un picco di velocità
ad aw 0,6-0,7 e poi decresce. Secondo il modello diffusionale che descrive la NEB, a basse aw la reazione è limitata dalla diffusione,
mentre ad aw maggiori di 0,7 il decremento
di velocità è stato giustificato da una diluizione dei reattivi.
Anche la stabilità di sistemi macromolecolari composti, sistemi a due regioni distinte ciascuna a differente contenuto in umidità e differente texture (crosta della pizza e salsa, gelato
nel cono, prodotto da forno con ripieno a base
di frutta, cioccolatini con ripieno liquido, snack
di craker con formaggio), viene descritta in termini di attività dell’acqua: l’acqua si muove da
un dominio all’altro date le differenze di aw fra
le due regioni con conseguenze non desiderate:
la modificazione del contenuto in umidità porta alla crescita microbica, alla degradazione chimica, a modificazioni della texture, alla modificazione delle caratteristiche organolettiche. La
forza motrice della migrazione di acqua in tali
sistemi complessi è la differenza di potenziale
chimico fra le due fasi. La velocità di questi
scambi è controllata dalla diffusività dell’acqua
o, eventualmente, dalla presenza di barriere al
trasferimento di umidità (Labuza e Hyman,
1998).
A livello molecolare sono state proposte numerose correlazioni fra la struttura chimica dei
biopolimeri alimentari ed i parametri dei modelli delle isoterme, come ad esempio il nume-
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ro di gruppi polari nelle proteine ed il monostrato di GAB. La forma delle isoterme di adsorbimento e desorbimento, tuttavia, è fortemente influenzata dall’effetto plasticizzante dell’acqua, dove il termine plasticizzazione indica
un generico incremento della mobilità molecolare. I modelli attuali, quindi, non forniscono
informazioni attendibili sulla natura o l’entità
delle interazioni solido-acqua dal punto di vista
termodinamico.
Il concetto di acqua legata, legato al concetto di attività dell’acqua, ha ricevuto fino agli anni recenti una forte attenzione. Le più moderne vie di indagine, tuttavia, hanno fornito informazioni molto dettagliate sulle interazioni dell’acqua a livello molecolare che hanno portato
in disuso il termine “acqua legata”. Ad esempio
è stato osservato che anche nei prodotti solidi
a bassa umidità le molecole d’acqua hanno una
libertà di movimento relativamente elevata.
Persino nello stato vetroso (basse temperature
o in condizioni di umidità ridotta) l’acqua ha un
alto grado di mobilità. Anche se l’acqua non è
legata risulta impossibile, in pratica, separarla
completamente dagli altri componenti della matrice alimentare per disidratazione o trasformazione in ghiaccio. Ciò è dovuto al fatto che essiccamento e congelamento riducono la quantità di acqua plasticizzante e quindi il grado di
mobilità molecolare di tutti i componenti del sistema. Il concetto di attività dell’acqua è stato
così messo in discussione dal punto di vista teorico a favore di nuovi concetti di mobilità molecolare.
3. Mobilità molecolare e transizione vetrosa
Dalla metà degli anni ottanta è cresciuta l’esigenza di comprendere i meccanismi di decadimento della qualità negli alimenti a livello molecolare, di capire i principi coinvolti nei processi di conservazione e di sviluppare nuovi metodi per controllare il decadimento della qualità
negli alimenti. In questa esigenza di nuove conoscenze, il sapere sull’acqua ricopre un ruolo
primario. Nel corso di un ventennio si è passati dai concetti di “acqua legata” a nuove relazioni fra le proprietà di struttura/diffusione/termodinamica dell’acqua: l’acqua solvente migra
fra le fasi in seguito ad una azione di “osmosi
senza membrana”, i surfattanti ed i composti
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idrofobici sono confinati nelle interfasi e influenzano le proprietà delle interfacce.
È stato riconosciuto che l’acqua ha effetto
sulla struttura dei componenti alimentari anche
attraverso il suo effetto plasticizzante. Molte
operazioni industriali (come ad esempio essiccamento, liofilizzazione, scongelamento, cottura)
portano a prodotti alimentari che sono per la
maggior parte amorfi e quindi relativamente instabili. Se questi prodotti sviluppano sufficiente
mobilità molecolare attraverso l’idratazione o
l’aumento di temperatura, possono aver luogo
riorganizzazioni strutturali a lungo raggio (es.
cristallizzazione), che possono avere conseguenze deleterie sulla conservabilità dell’alimento.
Nella scienza degli alimenti sono stati quindi introdotti i principi della scienza dei materiali polimerici. I caposcuola sono Slade e Levine (Levine e Slade, 1988; Slade e Levine, 1991)
che, applicando i principi della scienza dei materiali polimerici, hanno proposto relazioni di
dipendenza della mobilità molecolare dalla temperatura. Slade e Levine guardano alla stabilità
degli alimenti secondo questi termini della nuova “Food Polymer Science”: la temperatura ed
il contenuto in acqua sono le variabili che governano le modificazioni desiderate o non desiderate degli attributi di qualità. Slade Levine
enfatizzano le similarità fra le proprietà chimico-fisiche dei biopolimeri alimentari e ed i polimeri sintetici nonché le proprietà di plasticizzante dell’acqua. Lo stato fisico e le proprietà
fisico-chimiche dei materiali alimentari determinano il comportamento dei materiali nei processi di trasformazione, nella conservazione, distribuzione e consumo.
I componenti primari degli alimenti, cioè i
carboidrati, i lipidi, le proteine e l’acqua sono
organizzati in materiali con caratteristiche strutturali e di composizione assai differenti: l’acqua
interagisce innanzitutto con i composti idrofilici, quali i carboidrati e le proteine oltre che con
i lipidi idrofobici; la composizione della frazione di carboidrati negli alimenti varia dagli zuccheri a basso peso molecolare sciolti nell’acqua
ai polimeri delle pareti cellulari che possono essere elasticizzati o “ammorbidititi” dall’acqua,
ma non possono essere solubili in acqua; la frazione proteica ha una struttura polimerica. Questi materiali possono essere considerati biomateriali compatibili con l’acqua che possono esistere in uno stato molecolare disordinato, lo sta-
to amorfo, tipico della maggior parte di materiali alimentai alla temperatura di consumo.
Secondo i principi della “Food Polymer
Science”, gli stati amorfi della materia (vetroso
o gommoso) sono stati di non-equilibrio con
proprietà tempo-dipendenti e l’intervallo di
temperatura nel quale avviene il cambiamento
di stato da solido vetroso al liquido viscoso o
gommoso è fondamentale per la modificazione
della stabilità dell’alimento. La maggior parte
dei materiali polimerici può essere raffreddata
al di sotto della temperatura di fusione senza
cristallizzare. Un liquido sottoraffreddato viene
trasformato in un vetro solido alla transizione
vetrosa. Secondo la teoria del volume libero, la
diminuzione del volume specifico con la temperatura nasce dalla diminuzione del volume interstiziale prodotta dai moti browniani di molecole o segmenti di molecole. La Tg è il punto al
quale non si osserva più una caduta del volume
libero perchè i riarrangiamenti molecolari sono
stati rallentati dall’abbassamento della temperatura e non possono aver luogo nella scala sperimentale dei tempi di raffreddamento. Un vetro è quindi un materiale solido che una struttura simile a quella di un liquido.
3.1 Effetto plasticizzante dell’acqua
La mobilità molecolare e le proprietà fisico-chimiche cambiano drasticamente nell’intervallo di
temperatura della transizione vetrosa. La transizione vetrosa ha le caratteristiche termodinamiche di una transizione di fase del secondo ordine e, nei materiali amorfi, avviene in un intervallo di temperatura, sebbene sia spesso riferita come una temperatura specifica. Nella
scienza di materiali polimerici la temperatura di
transizione vetrosa, Tg, è riferita come il fattore
più importante nel controllare le reazioni cinetiche e stato della matrice alimentare. La mobilità molecolare influenza le proprietà dell’alimento ed il comportamento nei processi di trasformazione e di conservazione e consente il
controllo dei cambiamenti desiderati. Il ruolo
della mobilità molecolare è tanto maggiore
quanto più basso è il contenuto in umidità e
quanto più elevata è la concentrazione. La temperatura di transizione vetrosa della matrice
(Tg) viene utilizzata come principale indicatore
di questa mobilità. Numerosi cambiamenti legati alla mobilità molecolare accompagnano la
transizione vetrosa: la transizione vetrosa è un
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fenomeno cinetico che dipende dal tipo e dalla
concentrazione dei soluti e dalla temperatura. I
digrammi di stato descrivono le proprietà fra macrostruttura della matrice alimentare amorfa e la
plasticizzazione dell’acqua. I diagrammi di stato
sono importanti per capire le proprietà e la stabilità del materiale nei processi e durante la conservazione (Ross, 1995).
L’approccio alla mobilità molecolare:
1) enfatizza l’influenza del volume libero e del
tempo di rilassamento molecolare della
struttura che sono in relazione alla mobilità
delle molecole e quindi alla cinetica delle
reazioni di decadimento in situazioni dove la
mobilità molecolare è il fattore di controllo
(diffusione di reagenti o prodotti);
2) enfatizza l’effetto dell’acqua come agente
plasticizzante dei materiali amorfi. La plasticizzazione dell’acqua può essere osservata
dalla depressione della temperatura di transizione vetrosa all’aumentare del contenuto
in acqua. La predizione della diminuzione
della Tg in seguito alla plasticizzazione dell’acqua è utile nella valutazione degli effetti
della composizione degli alimenti sulla Tg
poiché le modificazioni legate alla transizione vetrosa influenzano la shelf-life e la qualità. La equazione di Gordon Taylor (GordonTaylor, 1952) è riconosciuta essere particolarmente utile nel descrivere i dati sperimentali
di Tg in sistemi binari di solidi in acqua;
3) sancisce che la velocità dei processi di deterioramento è controllata dalla microviscosità
della matrice alimentare: allo stato vetroso
la matrice alimentare esibisce una microviscosità estremamente elevata. La microviscosità cambia con la temperatura.
Nello stato vetroso la maggior parte delle
modificazioni chimico-fisiche sono trascurabili.
3.2 Tempi di rilassamento e proprietà meccaniche
Le strutture amorfe o parzialmente amorfe tipiche degli alimenti si formano in vari processi
quali la cottura in forno, le operazioni di concentrazione, di essiccamento, di liofilizzazione,
di estrusione che prevedono tempi sufficientemente corti per rimuovere l’acqua o raffreddare i solidi concentrati. I materiali amorfi si trovano in uno stato di non equilibrio ed esibiscono cambiamenti meccanici o delle proprietà diffusive tempo-dipendenti quando si avvicinano
all’equilibrio. La velocità trasporto di materia
446
fra differenti regioni in una matrice alimentare
complessa , la velocità di disidratazione , la velocità di cristallizzazione del ghiaccio, le cinetiche di rilascio e ritenzione di aromi sono controllate dalla diffusività dell’acqua (Ross et al.,
1996).
L’introduzione dei principi di scienza dei polimeri nella caratterizzazione dei materiali alimentari ha migliorato la comprensione dei principi fisici che influenzano il tempo di rilassamento delle modificazioni meccaniche negli alimenti, dove per tempo di rilassamento si intende la velocità delle risposte alle sollecitazioni cui
sono sottoposti i materiali amorfi. I tempi di rilassamento delle modificazioni strutturali possono essere estremamente lunghi nello stato vetroso, ma decrescono sopra l’intervallo di temperature della transizione vetrosa come risultato della diminuzione di viscosità. Le modificazioni del comportamento meccanico the si verificano in prossimità della Tg sono di estremo interesse pratico. I vetri hanno un elevato modulo elastico e sono rigidi (spesso friabili). Quando la temperatura aumenta, il modulo elastico
cade ad una temperatura vicina alla Tg. I materiali polimerici assumono quindi un comportamento viscoelastico tipico di gomme debolmente reticolate o lunghe catene a legame di tipo fisico. Deve essere precisato che la transizione vetrosa ha luogo su un intervallo di temperature che corrisponde alla distribuzione dei
tempi di rilassamento.
La Tg può essere determinata sperimentalmente mediante calorimetria differenziale a
scansione (DSC), spettroscopia meccanica o
dielettrica.
Le proprietà meccaniche dei materiali alimentari amorfi sono legate alla transizione vetrosa e possono influenzare le caratteristiche di
texture. La velocità di cambiamento delle proprietà meccaniche è definita mediante i tempi
di rilassamento ed è dipendente dalla temperatura secondo la legge di Arrhenius o secondo la
relazione di William-Landel-Ferry (WLF). Nella WLF, il rapporto fra i tempi di rilassamento
τe e τo0 dei riarrangiamenti configurazionali alle rispettive temperature T e T0 riflette la differenze della mobilità indotte dalla temperatura. Questa equazione mette in relazione la viscosità o qualsiasi altra proprietà viscoelastica
temperatura dipendente alla Tg.
Altre modificazioni delle caratteristiche
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:441-449
meccaniche includono vari fenomeni che risultano da modificazioni della struttura o del flusso viscoso e che causano modificazioni di viscosità (“stickiness”), presa in massa (“caking”)
o perdita di porosità. La maggior causa della
“stickiness” è la plasticizzazione delle superfici
delle particelle a dare legami interparticellari e
formazione di aggregati. Il più comune meccanismo di presa in massa è la plasticizzazione dovuta all’assorbimento di acqua e la conseguente fusione interparticellare. La “stickiness” può
essere considerata una proprietà tempo-dipendente delle polveri amorfe. La viscosità allo stato vetroso è estremamente alta ed il contatto
fra le particelle richiede tempi molto lunghi per
la formazione di ponti. La importante riduzione di viscosità alla Tg riduce il tempo di contatto e causa “stickiness” o “caking”. Il collasso
della struttura si riferisce al flusso viscoso e ha
come conseguenza la perdita di qualità di alimenti disidratati specialmente liofilizzati.
3.3 Cristallizzazione
Negli alimenti ad alto contenuto in acqua, al di
sotto di 0 °C si ha formazione di ghiaccio. La
quantità massima di ghiaccio formato dipende
dalla temperatura e dalla composizione. La formazione del ghiaccio causa la “concentrazione
per congelamento” (“freeze concentration”) dei
solidi disciolti ed un decremento della temperatura di congelamento per l’acqua rimanente.
La “concentrazione per congelamento” nella
maggior parte degli alimenti risulta nella formazione di una fase amorfa concentrata all’interno della fase ghiaccio, che contiene acqua
non congelata. A temperature sufficientemente
basse, la fase concentrata per congelamento può
solidificare allo stato vetroso e la formazione di
ghiaccio cessa a causa di restrizioni cinetiche.
Le matrici alimentari congelate esibiscono
modificazioni che dipendono dalla temperatura
di stoccaggio e dall’entità della concentrazione
per congelamento: l’acqua nella fase concentrata non-ghiaccio diventa cineticamente “immobilizzata” e quindi non partecipa o agisce come
supporto alle reazioni di degradazione. Se il prodotto è sottoposto ad un processo che lo porta
allo stato di massima concentrazione per congelamento, la viscosità della fase concentrata diviene talmente alta da consentire la formazione
di un vetro metastabile. La concentrazione del-
la matrice liquida amorfa cresce parallelamente
alla separazione del ghiaccio.
Come esempio delle relazioni fra le proprietà fisiche e la stabilità è significativo illustrare l’effetto dei dolcificanti e degli stabilizzanti sulla cristallizzazione del ghiaccio e sulla
transizione vetrosa nella tecnologia di produzione del gelato: i dolcificanti abbassano il punto di congelamento, modificano la viscosità della matrice e la Tg e, infine, riducono il volume
della fase ghiaccio; i polisaccaridi causano aumento di viscosità della fase non congelata e
quindi un decremento delle proprietà diffusive
a temperature superiori alla Tg. Ciò spiega il loro effetto stabilizzante.
4. Reazioni cinetiche e stabilità
Negli alimenti a bassa umidità le modificazioni
di degradazione tipiche includono: imbrunimento non enzimatico, ossidazioni, reazioni catalizzate dagli enzimi, crescita microbica. La velocità
di tali reazioni di degradazione dipende dalla
mobilità. Le velocità delle reazioni sono controllate dalla diffusione nelle matrici amorfe. A
temperature inferiori alla temperatura di transizione vetrosa, le velocità delle reazioni controllate dalla diffusione sono attese essere estremamente basse. Un aumento significativo nelle
velocità di reazione sopra la Tg può essere osservata come risultato di un aumento dei processi diffusivi. Già nel l985 Karel (Karel, 1985)
aveva evidenziato che la mobilità dei componenti degli alimenti ha influenza sulle proprietà
fisiche e chimico fisiche del sistema. Karel suggeriva che nella maggior parte dei sistemi polimerici idrofilici la diffusione dell’acqua e di altri piccoli soluti, così come le proprietà termiche e meccaniche, sono dipendenti dal contenuto in acqua al di sopra dello strato monomolecolare di BET. Se la velocità delle reazioni è
legata alla diffusione, si può assumere che alla
Tg la velocità delle reazioni diventi estremamente bassa. Al di sopra della Tg la diffusività
aumenta poiché la viscosità decresce. Per l’imbrunimento non enzimatico, la dipendenza della velocità di reazione dalla temperatura, e quindi dalla mobilità dell’acqua, è stata ampiamente verificata. Altri esempi di reazioni influenzate dalla mobilità molecolare includono l’attività
enzimatica e la perdita di nutrienti. È stata os-
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servata una diminuzione dell’energia di attivazione all’aumentare dell’attività dell’acqua nella reazione di inversione del saccarosio ad opera delle invertasi: l’acqua garantisce mobilità all’enzima ed ai substrati. La plasticizzazione termica e la plasticizzazione da parte dell’acqua sono state indicate come cause della perdite di vitamine quali la tiamina e la riboflavina nel corso della conservazione di prodotti alimentari. La
inattivazione termica di spore batteriche può essere messa in relazione alla Tg e può aumentare al di sopra di questo limite.
Sono comunque necessari nuovi studi per
comprendere gli effetti della distribuzione non
omogenea di acqua e della separazione di fase
sulle velocità delle reazione.
La stabilità microbiologica è uno dei criteri
più importanti per la conservazione degli alimenti. L’attività dell’acqua è limitante per la
crescita dei microrganismi. I materiali alimentari, tuttavia, sono spesso sistemi in condizioni di
non-equilibrio ed esibiscono cambiamenti tempo-dipendenti. È stata ipotizzata l’influenza, anche se secondaria, della viscosità e della mobilità molecolare sulla crescita dei microrganismi.
La questione è ancora controversa: Slade e Levine hanno enfatizzato gli effetti della crescita
microbica sulla dinamica dell’acqua, basati su
teorie della “Food Polymer Science” ed hanno
criticato l’uso del concetto di attività dell’acqua
per predire la stabilità microbica. D’altra parte,
la scuola di Chirife indica la scarsa influenza
dello stato fisico sulla crescita microbica osservata (Chirife e Buera, 1996). Utilizzando come
esempio la farina, Chirife ha dimostrato la crescita di microrganismi anche in condizioni che
supportano lo stato vetroso.
Queste due interpretazioni devono comunque tener conto che l’attività dell’acqua è una
proprietà del sistema acqua-soluto, mentre la
transizione vetrosa è misurata come il comportamento di solidi plasticizzati dall’acqua.
Ross ha stabilito una relazione lineare fra attività dell’acqua e temperatura di transizione
vetrosa. Il regime di linearità è valido per aw
comprese fra 0,1 e 0,8, ma la relazione sull’intero intervallo di aw è sigmoidale. La relazione
fra Tg e aw a temperatura costante costituisce un
metodo semplice per la predizione degli effetti
dell’umidità relativa durante lo stoccaggio sulla
Tg. Questa predizione è utile nella valutazione
della stabilità di vari alimenti a bassa umidità
448
come polveri, cereali a bassa umidità e snacks.
La descrizione dell’effetto di plasticizzazione
dell’acqua è realizzata dall’uso combinato di
modelli di adsorbimento ed della relazione
equazione di Gordon-Taylor. Possono così essere identificati i valori critici di aw e contenuto
in acqua definiti come quelli che abbassano la
Tg a temperatura ambiente.
5. Conclusioni
Dagli anni Ottanta ad oggi è drasticamente
cambiato l’approccio allo studio del ruolo dell’acqua nel decadimento della qualità degli alimenti e, a partire dalle classiche osservazioni
macroscopiche, l’interesse scientifico si è spostato al livello molecolare. Il tema viene ora
trattato secondo i principi di scienza dei materiali alimentari che riconoscono la centralità degli aspetti di mobilità molecolare, in particolare
della mobilità dell’acqua, nel comprendere il
comportamento e la stabilità degli alimenti e
nello sviluppare metodologie per controllare
questo comportamento.
La caratterizzazione dello stato fisico dei
materiali alimentari e le applicazioni delle teorie della scienza dei polimeri alla descrizione
delle proprietà e di vari fenomeni cinetici hanno contribuito significativamente alla comprensione della stabilità degli alimenti.
Al momento attuale la relazione fra gli effetti combinati di contenuto in acqua e temperatura sulla cinetica delle varie reazioni chimiche di deterioramento non è ancora conclusiva.
La descrizione delle modificazioni dipendenti simultaneamente da tempo, temperatura, contenuto in acqua è complessa: lo studio della biofisica e chimica-fisica dei materiali alimentari è
la via necessaria per disegnare il ruolo dell’acqua nell’innovazione dei prodotti e dei processi di produzione degli alimenti.
Bibliografia
Chirife J., Buera M.P. 1996. Water activity, water glass
dynamic and control of microbiological growth in
foods. Crit. Rev. Food Sci. Nutr., 36:465-513.
Gordon M., Taylor J.S. 1952. Ideal copolymers and second order transitions in syntetic rubbers. I. non-cristalline copolymers. J. Appl. Chem., 2:493-500.
Karel M. 1985. Effects of water activity and water content on mobility in food components and their effect
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:441-449
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Labuza T.P. 1980. The effect of water activity on reaction kinetics in food deterioration. Food Technology,
34:36-59.
Labuza T.P., Hyman C.R. 1998. Moisture migration in
multi domain foods. Trends in Food Science and Technology, 9:47-55.
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Levine H., Slade L. 1988. Water as a plasticizer. physico-chemical aspects of low moisture polymeric systems. In: F. Franks (ed.). Water Science Review, vol.
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Ross Y.H. 1995. Characterization of food polymers using
state diagrams. Jnl. Food Eng., 24:229-360.
Ross Y.H., Karel M., Kokini J.L. 1996. Glass transition
in low moisture and frozen foods: effects on shelf life and quality. Food Technology, 50:95-108.
Slade H., Levine H. 1991. Beyond water activity: recent
advances based on an alternative approach to the assessment of food quality and safety. Crit. Rev. Food
Sci. Nutr., 30:115-360.
449
Irrigazione e sviluppo agricolo: evoluzione dell’uso
dell’acqua ed effetti sul valore del prodotto§
Pietro Columba*, Luca Altamore
Dipartimento di Economia dei Sistemi Agro-Forestali, Università di Palermo
Viale delle scienze, 90128 Palermo
Società Italiana di Economia Agraria
Riassunto
In Italia l’agricoltura, adattandosi ai diversi ambienti, ha sviluppato colture e tecniche con forti caratteri di specificità locali, tanto da originare distinti sistemi agricoli nei quali la pratica irrigua assume anch’essa caratteristiche assai differenziate. Da decenni si osserva una contrazione della superficie agricola che negli anni più recenti ha interessato anche le superfici irrigue. Pur in un contesto profondamente mutato che si caratterizza per un nuovo ruolo dell’agricoltura (multifunzionale), l’importanza dell’irrigazione nell’attivare processi di sviluppo non sembra declinare. In particolare le aree meridionali trovano nella disponibilità di acque irrigue l’elemento cruciale della propria efficienza ed il vincolo insormontabile alla diffusione delle colture di maggior valore e l’irrigazione diviene l’elemento centrale della qualità e dell’efficienza produttiva nonché lo strumento capace di valorizzare il patrimonio
di specificità e tipicità delle produzioni mediterranee.
Parole chiave: acqua, quadro normativo, sviluppo agricolo, economia aziendale.
Summary
Fitting to different environments in Italy, agriculture developed crops and techniques strongly characterized by local specificities so that it originated different agricultural systems in which irrigation practice, acquires itself really
different peculiarities. For decades it has been observed the reduction of agricultural lands, and in the last years
even a reduction has concerned to irrigated surfaces. In spite of a deeply transformed framework, characterized by
a new agriculture role (multifunctional), the importance of irrigation in activating development process has not faded. In particular Southern regions, irrigation water availability represents the efficiency crucial factor and the fundamental input for the diffusion of more profitable crops, hence irrigation represents the essential factor of productive quality and efficiency as much as the instrument capable to increase of value ensemble of mediterranean
production specificities and characters.
Key-words: water, norm framework, agricultural development, business economics.
§
Pietro Columba ha curato la stesura della Premessa, del paragrafo Il ruolo dell’irrigazione nell’economia dell’azienda e delle Conclusioni; Luca Altamore ha curato la stesura del paragrafo Irrigazione e produttività in agricoltura. Il paragrafo Disponibilità di risorse idriche è stato redatto dal dott. Giuseppe Corona; il paragrafo Il quadro
normativo è stato redatto dal dott. Dario Macaluso; la raccolta dei dati censuari è stata effettuata dalla dott.ssa Rosalia Nicolosi.
*
Autore corrispondente: tel.: +39 091 7041626; fax: +39 091 7041640. Indirizzo e-mail: pico@unipa.it
451
Columba P., Altamore L.
1. Premessa
Il territorio italiano è caratterizzato da una notevole estensione in latitudine1 e da una orografia mutevole che generano una grande variabilità delle condizioni climatiche, sotto l’aspetto delle escursioni termiche e delle precipitazioni, e quindi delle disponibilità di risorse
idriche in generale. L’agricoltura, adattandosi ai
diversi ambienti, ha sviluppato colture e tecniche con forti caratteri di specificità locali, tanto
da originare distinti sistemi agricoli nei quali la
pratica irrigua assume anch’essa caratteristiche
assai differenziate.
La realtà agricola, peraltro, è interessata da
un continuo processo evolutivo, sociale, tecnico
e politico che tende a modificare la destinazione d’uso del territorio. Da decenni si osserva,
infatti, una contrazione della superficie agricola2 (da 23,6 milioni di ettari del 1982 a 19,6 nel
2000; ISTAT, Censimenti) e dell’estensione effettivamente coltivata (SAU) (da 15,8 milioni di
ettari del 1982 a 13,2 nel 2000; ISTAT, Censimenti). A questo processo concorrono tanto le
estensioni marginali (collinari e montane, acclivi e poco fertili) che vengono abbandonate dalla pratica agricola, nel tempo divenuta non remunerativa, che le estensioni di maggiore potenzialità agricola, spesso irrigue, delle pianure
e fasce costiere, sottratte dall’espansione delle
aree urbane e degli insediamenti industriali.
Sebbene con gradazioni e problematiche differenziate, l’irrigazione in Italia risulta piuttosto
poco efficiente. Tra le cause si ricorda la scarsa
idoneità all’irrigazione di vasti territori collinari e montani ma anche il forte tasso di dispersione delle acque addotte determinato dall’inadeguatezza delle reti. A questi elementi si sovrappongono forti deficienze di gestione e di
monitoraggio dei sistemi idrici che determinano
bassa efficienza delle utilizzazioni e fenomeni,
sempre più frequenti, di decadimento qualitativo: salinizzazione delle falde costiere, inquinamento dei corpi idrici causato dai reflui delle attività produttive e dall’uso di fertilizzanti
e pesticidi, sostanziale assenza di interventi finalizzati al riciclo, riuso e risparmio delle risorse idriche.
Scopo del presente studio è quello di individuare gli elementi essenziali dell’attuale sfruttamento delle risorse irrigue e dell’impatto delle stesse sull’economia agricola nonché di pre-
452
figurare le principali problematiche alla base
della valorizzazione e della sostenibilità dell’uso dell’acqua in riferimento alle tendenze
evolutive che l’agricoltura evidenzia sotto le
spinte dei mutamenti politici e del commercio
globale.
2. Disponibilità di risorse idriche
Dalla “Relazione sullo stato dell’ambiente”
pubblicata dal Ministero dell’Ambiente, si apprende che le risorse idriche teoricamente disponibili nell’UE sono di circa 1.504 miliardi di
m3 anno-1. Di queste ne viene prelevato circa il
15% che è destinato alle differenti utilizzazioni:
il 46% a scopo energetico, il 14% per scopi civili, il 10% nell’industria, il 30% in agricoltura.
L’Italia, con i suoi 175 miliardi di m3 annui,
possiede un’ottima disponibilità teorica di acqua
e risulta essere preceduta solo dalla Francia. Di
questa, viene prelevato circa il 32%, equivalente ad una disponibilità pro capite di 980 m3 anno-1, superiore alla media europea che è di 612
m3 anno-1 3.
In conseguenza delle differenze di clima (temperato e sub-continentale al Nord, caldo-temperato e sub tropicale al Sud) e orografiche, le risorse idriche utilizzabili sono distribuite in modo
disomogeneo sul territorio nazionale con disponibilità decrescente da nord a sud (tabella 1).
La diseguale distribuzione delle risorse idriche influisce anche sullo sfruttamento delle stesse; infatti, il Sud con il 96% di utilizzo rispetto
alla disponibilità totale è l’area che maggiormente sfrutta le sue risorse, nel Nord si registrano i maggiori prelievi in termini assoluti, ma un
consumo percentuale che si attesta sul 78%; nel
Centro, invece, si registra lo sfruttamento minore (52%) della disponibilità totale (tabella 2).
L’agricoltura, con circa 20,14 miliardi di m3
annui, è il settore che utilizza la percentuale
maggiore dell’acqua dolce prelevata (48%); gli
1
La latitudine dell’Italia è compresa tra i 35°30’ e i 47°.
-4 milioni di ettari di superficie agricola totale; -2,6 milioni di ettari di superficie agricola utilizzata.
3
I dati elaborati dalla CNA (Conferenza Nazionale dell’Acqua) nelle due ultime campagne di studio del 1971 e
1989 risultano sensibilmente inferiori: 296 miliardi di m3 annui le piogge cadute, 164 miliardi di m3 di risorsa teoricamente disponibile, 52 miliardi di m3 annui i prelievi.
2
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:451-466
Tabella 1. Distribuzione geografica delle risorse idriche in Italia (milioni di m3).
Table 1. Geographic distribution of water resources in Italy (million diam3).
Compartimento
NORD
CENTRO
SUD
SARDEGNA
SICILIA
ITALIA
(1)
Precipitazioni
(2)
Acque
superficiali con
regolamentazione
(3)
Acque
sotterranee
(4)=(2)+(3)
Risorse
rinnovabili
utilizzabili
(4)/(1)
%
%
utilizzabili
121.000
77.600
60.400
18.300
18.800
296.100
27.429
5.391
4.274
1.841
738
39.673
6.496
2.434
1.849
217
1.151
12.147
33.925
7.825
6.123
2.058
1.889
51.820
28
10
10
11
10
18
65
15
12
4
4
100
Fonte: Elaborazione ANPA su dati CNA, 1971 e 1989 e CNR-IRSA, 1999.
78
52
96
78
Irrigui
Industriali
Civili
Italia
33.925
7.825
10.058
51.808
Energia
Isole
Prelievi rispetto
alle disponibilità
nell’area (%)
Sud
Nord
Centro
Sud-Isole
Italia
Disponibilità
nell’area
(milioni m3)
Centro
Area geografica
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
Nord E
Table 2. Utilization of suitable water resource in comparison with local availability.. Intensità di utilizzo della risorsa
disponibile rispetto alla disponibilità locale.
Nord O
Tabella 2. Intensità di utilizzo della risorsa disponibile rispetto alla disponibilità locale.
Fonte: elaborazione ANPA su dati CNA, 1971 e 1989 e CNRIRSA, 1999.
Figura 1. Ripartizione percentuale dell’utilizzo della risorsa
irrigua.
usi irrigui risultano prevalenti in tutto il paese
tranne che al Centro che registra un maggiore
utilizzo dell’acqua per scopi civili e industriali.
La percentuale di acqua destinata a scopi energetici è apprezzabile solo nelle aree del Nord
Ovest e del Nord Est (tabella 3, figura 1).
Il progressivo deterioramento della rete idrica si traduce, negli anni, in un aumento della
Figure 1. Utilization of water resource; partition in percentage.
quantità di acqua dispersa; questo tra il 1975 e
il 1987, è passato dal 26,5% al 39,9%. Nel 1999,
nel Sud, la frazione di acqua dispersa è stata del
58,9% (vedi tabella 4).
L’efficienza nella distribuzione dell’acqua
Tabella 3. Prelievi annui di acqua dolce in Italia (MLD mc; %).
Table 3. Yearly water withdrawal in Italy (MLD mc; %).3. Prelievi annui di acqua dolce in Italia (MLD mc; %).
Area geografica
Nord Ovest
Nord Est
Centro
Sud
Isole
Italia
Civili
2,27
13%
1,45
14%
1,62
35%
1,80
29%
0,80
23%
7,94
18,91%
Industriali
Irrigui
Energia
3,52
20%
1,65
16%
1,48
32%
0,88
14%
0,46
13%
7,99
19,02%
8,19
47%
5,28
52%
0,97
21%
3,51
56%
2,19
64%
20,14
47,97%
3,50
20%
1,80
18%
0,58
12%
0,04
1%
0,00
0%
5,92
14,10%
Totale
17,48
100%
10,18
100%
4,65
100%
6,22
100%
3,45
100%
41,98
100,00%
%
41,64
24,24
11,08
14,83
8,21
100,00
Fonte: elaborazione su dati IRSA-CNR, 1999.
453
Columba P., Altamore L.
Tabella 4. Acqua erogata e dispersa per ripartizione geografica (migliaia di m3).
Table 4. Distributed and scattered water by geographical partition (thousands of m3).a 3. Prelievi annui di acqua dolce in
RIPARTIZIONI
GEOGRAFICHE
Nord-ovest
Nord-est
Centro
Sud
Isole
Italia
Acqua erogata
Acqua dispersa
1987
000 m3
1999
000 m3
1987
000 m3
1999
000 m3
1987
%
1999
%
1.815.182
1.039.249
1.129.791
1.273.389
1.539.054
5.796.665
1.772.843
1.050.727
1.118.152
1.099.340
1.565.399
5.606.461
1.321.644
1.268.891
1.383.999
1.379.583
1.181.492
1.535.609
1.478.872
1.377.855
1.421.069
1.647.065
1.311.077
2.235.938
17,7
25,9
34,0
29,8
33,7
26,5
27,0
36,0
37,7
58,9
55,0
39,9
Fonte: elaborazione su dati Istat.
Tabella 5. Acqua immessa, erogata e dispersa per regione – Anno 1999 (migliaia di m3).
Table 5. A comparison among introduced, distributed
and scattered water by region (thousand of m3).a nela
REGIONI
Immessa
Erogata Dispersa
Piemonte
570.833
434.518
Valle d’Aosta
30.345
19.567
Lombardia
1.378.366 1.098.337
Liguria
272.171
220.421
Nord Ovest 2.251.715 1.772.843
TrentinoAlto Adige
161.100
121.986
Bolzano
71.960
56.149
Trento
89.140
65.837
Veneto
614.297
443.062
Friuli-Venezia
Giulia
196.149
137.344
EmiliaRomagna
457.036
348.335
Nord Est
1.428.582 1.050.727
% di
immessa
136.315
10.778
280.029
51.750
478.872
23,9
35,5
20,3
19,0
21,3
39.114
15.811
23.303
171.235
24,3
22,0
26,1
27,9
58.805
30,0
108.701
377.855
23,8
26,4
423.472
319.920
92.027
67.615
169.444
134.750
854.278
595.867
1.539.221 1.118.152
103.552
24.412
34.694
258.411
421.069
24,5
26,5
20,5
30,2
27,4
Abruzzo
Molise
Campania
Puglia
Basilicata
Calabria
Sud
191.098
116.806
41.224
26.048
712.119
476.297
464.871
234.672
82.364
54.557
254.729
190.960
1.746.405 1.099.340
74.292
15.176
235.822
230.199
27.807
63.769
647.065
38,9
36,8
33,1
49,5
33,8
25,0
37,1
210.054
101.023
311.077
33,6
40,2
35,5
7.842.399 5.606.461 2.235.938
28,5
Italia
625.384
251.092
876.476
415.330
150.069
565.399
Fonte: elaborazione su dati ISTAT.
454
3. Il quadro normativo
3.1 Comunitario
Toscana
Umbria
Marche
Lazio
Centro
Sicilia
Sardegna
Isole
appare decrescente da Nord verso Sud; il caso
limite è rappresentato dalla Puglia che disperde la metà dell’acqua condotta (tabella 5). Oltre al problema della quantità di acqua disponibile, esiste anche il problema riguardante la
qualità di queste acque. I settori che maggiormente incidono sulla qualità delle acque sono
l’agricoltura, la zootecnia, l’industria, il turismo
e il settore civile. L’agricoltura contribuisce
maggiormente all’inquinamento di nutrienti, dovuto al notevole utilizzo di fertilizzanti a cui
vanno aggiunti gli apporti di N e P della zootecnia.
I primi passi nella direzione della regolamentazione vengono mossi a partire dal 1972 con il
varo del primo programma quadro di azione
ambientale che, insieme ai successivi (siamo alla sesta edizione), contiene in embrione i principi della politica di settore, nata ufficialmente
soltanto quindici anni dopo, e rappresenta la base sulla quale si fonderanno i primi interventi
normativi in tema di acque prodotti nel decennio 1975/86: le direttive 75/440 sulle acque superficiali, le numerose direttive sulla qualità delle acque (76/160, la 76/464, la 78/659, 79/923,
86/280), la 80/68 sulla protezione delle acque
sotterranee dall’inquinamento provocato da
certe sostanze pericolose ed infine la 80/778 sulle acque potabili.
A seguito della Conferenza delle Nazioni
Unite per l’ambiente e lo sviluppo, tenutasi a
Rio de Janeiro nel 1992, tutti i paesi democratici hanno cominciato a sviluppare le politiche
pubbliche per l’ambiente, il cui orientamento
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:451-466
strategico è quello dello sviluppo sostenibile. Da
qui prende origine l’approccio che mira esplicitamente a ridurre l’impatto dell’agricoltura sull’ambiente idrico.
Effetti di questo si riconoscono tanto nelle
misure agroambientali introdotte nel 1992 con
la riforma Mac Sharry che nella più recente
riforma della PAC del 2003 che impone il rispetto delle norme derivanti dall’applicazione
della direttiva sulle acque sotterranee (direttiva
80/68) e della direttiva sui nitrati nel quadro della condizionalità obbligatoria.
3.2 Nazionale
In Italia, il primo strumento che affronta in maniera sistematica la materia della tutela delle acque è la legge Merli (legge n. 319 del 1976); a
questa venne affidato il compito di disciplinare
l’uso delle risorse idriche, gli scarichi, i servizi
fognari e depurativi e gli acquedotti. Essa prevede altresì la redazione di un piano generale
di risanamento delle acque ed il rilevamento sistematico delle caratteristiche qualitative e
quantitative dei corpi idrici. Tratto saliente della legge Merli, oltre che la formulazione di un
modello gestionale, risiede anche nel fatto che
essa attribuisce tutte le competenze individuate
ai differenti livelli istituzionali.
La legge n. 36/94, nota come legge Galli, pone l’accento sulla necessità del risparmio e del
rinnovo della risorsa e unifica all’interno di un
unico testo normativo i principi di salvaguardia
ambientale e di efficienza economica e introduce la nozione di “servizio idrico integrato”. Questo fa riferimento al raggiungimento di una gestione unitaria del ciclo idrico, inteso come l’insieme dei servizi di captazione, adduzione e distribuzione di acqua ad usi civili, di fognatura e
depurazione delle acque reflue; fasi del ciclo
dell’acqua che in precedenza competevano ad
operatori distinti che agivano, peraltro, su ambiti territoriali estremamente limitati.
La legge stabilisce altresì la priorità dell’uso
agricolo delle risorse idriche quando la risorsa
è sufficiente e a condizione che (le altre utilizzazioni) non ledano la qualità dell’acqua per il
consumo umano.
Il decreto legislativo 11 maggio 1999 n. 152
(modificato ed integrato dal d.lgs. n. 258 del 18
agosto 2000) viene emanato con l’obiettivo di
recepire le direttive comunitarie 91/271 e 91/676
riguardanti rispettivamente il trattamento delle
acque reflue urbane e la protezione delle acque
dall’inquinamento da nitrati. Di fatto però tale
atto normativo si è fatto carico di un intervento di più ampio respiro quale il riordino della
materia.
Il decreto legislativo definisce la disciplina
generale per la tutela delle acque superficiali,
marine e sotterranee, ponendosi i seguenti
obiettivi:
a) prevenire e ridurre l’inquinamento e attuare
il risanamento dei corpi idrici inquinati;
b) conseguire il miglioramento delle acque assicurando un elevato livello di tutela;
c) perseguire usi sostenibili e durevoli delle risorse idriche, con priorità per quelle potabili;
d) mantenere la capacità naturale di autodepurazione dei corpi idrici, nonché la capacità di
sostenere comunità animali e vegetali ampie
e ben diversificate.
Il decreto riduce la durata delle concessioni
temporali e le vincola alla pianificazione del bilancio idrico e della tutela qualitativa delle acque. Quest’ultima attività è subordinata alla
predisposizione del piano di tutela delle acque
concepito come un piano stralcio di settore del
piano di bacino.
Per quanto attiene le competenze, il provvedimento si raccorda con la legge 59/97 (c.d. legge Bassanini), che ne prevede la ripartizione tra
le amministrazioni pubbliche.
In particolare, allo Stato competono le funzioni di indirizzo e coordinamento, la formulazione di linee guida per il bilancio idrico di bacino, la definizione del minimo deflusso vitale,
la gestione delle dighe e l’emanazione delle
norme tecniche per il riutilizzo delle acque reflue e per il riutilizzo agronomico di determinati reflui.
Tutte le funzioni amministrative non specificatamente riservate allo Stato sono esercitate
dalle Regioni che, con riferimento alla tutela
delle acque, dovranno definire le classi e le destinazioni d’uso delle acque e predisporre le misure necessarie a mantenere o a raggiungere gli
obiettivi di qualità; elaborare i programmi per
la qualità delle acque che andranno recepiti nel
piano di tutela; formulare le misure e le direttive volte a favorire il risparmio idrico e a ridurre i consumi; adottare e approvare i piani di
tutela delle acque.
È tuttora in discussione lo schema di decreto legislativo “norme in materia ambientale” la
455
Columba P., Altamore L.
cui ultima versione è stata diramata il 24/10
/2005. L’obiettivo ambizioso di tale decreto sarebbe quello di rivedere la più recente produzione normativa nazionale, abrogando le leggi
183/89 e 36/94 ed il decreto legislativo 152/99, e
recepire contestualmente la direttiva comunitaria sulle acque 2000/60. Tale documento, che al
momento è soltanto una bozza, ha suscitato
moltissime polemiche che contestano sia i contenuti tecnici, che sarebbero, secondo i detrattori, in contrasto con la recente direttiva comunitaria, sia il nuovo assetto istituzionale che prevede un riaccentramento delle competenze verso nuove “Autorità di bacino distrettuali” di diretta emanazione del Ministero dell’ambiente e
del territorio, con il conseguente indebolimento
del ruolo delle Regioni (attualmente contitolari, insieme allo Stato, delle Autorità di bacino di
rilievo nazionale e titolari esclusive delle Autorità regionali e interregionali).
3.3 Lo stato di attuazione della legge 36/94 nelle Regioni
La legge 36/94, come si è detto, demanda alla
Regioni una serie di funzioni subordinate al recepimento della norma nazionale. L’iter applicativo può quindi essere schematizzato nelle seguenti fasi:
– approvazione delle leggi regionali di applicazione;
– definizione da parte delle Regioni della delimitazione territoriale e della forma istituzionale degli ATO;
– definizione da parte degli ATO del piano per
l’adeguamento delle infrastrutture e il raggiungimento degli obiettivi di miglioramento del servizio;
– affidamento al gestore da parte dell’ATO del
SII (Servizio Idrico Integrato) sulla base di
una convenzione/contratto;
– sviluppo dell’attività di controllo da parte
dell’ATO nei confronti del gestore con riferimento alla realizzazione del piano d’ambito.
Allo stato attuale tutte le Regioni hanno
emanato la relativa legge di recepimento. Uniche eccezioni sono il Trentino Alto Adige, che
non ha legiferato per gli effetti della sentenza
della Corte Costituzionale n. 412 del 1994, la
quale ha dichiarato l’illegittimità della norma in
quanto lesiva dell’autonomia delle Province autonome di Trento e di Bolzano, ed il Friuli Ve-
456
nezia Giulia che ha recepito solo in parte il dettato della legge con Deliberazione della Giunta regionale.
Complessivamente le regioni hanno individuato 91 Ambiti Territoriali mentre, per quel
che riguarda le indicazioni applicative contenute nelle leggi regionali di recepimento, si può
osservare che queste in alcuni casi non corrispondono esattamente ai dettami della norma
nazionale. Ad esempio la perimetrazione degli
ATO non è sempre riconducibile al bacino idrografico o al sub-bacino, secondo quanto prescritto dall’articolo 8, ma nella maggioranza dei
casi corrisponde alla Provincia.
Nella tabella seguente vengono riportati tutti gli elementi che riguardano lo stato di attuazione della legge in oggetto ed in particolare i
riferimenti normativi delle leggi regionali di recepimento, la forma associativa, il numero degli
ATO previsti e di quelli già insediati e l’Ente
coordinatore.
3.4 Lo stato di attuazione del decreto legislativo
152/99
Il d.lgs. 152/99, così come modificato dal d.lgs.
258/00, definisce la disciplina generale per la tutela delle acque superficiali, marine e sotterranee demandando alle Regioni numerosi compiti tra i quali la predisposizione, l’approvazione
e l’adozione del piano di tutela delle acque. L’elaborazione del piano rappresenta però l’ultima
fase di un lungo percorso che include il completamento dell’attività conoscitiva sullo stato
qualitativo delle acque, l’analisi dei risultati del
monitoraggio dei corpi idrici, la definizione dei
corpi idrici significativi ed infine la vera e propria attività di pianificazione. L’iter attuativo
dettato dal decreto prevede che le Regioni, sentite le province, avrebbero dovuto adottare il
piano di tutela delle acque e trasmetterlo alle
competenti Autorità di Bacino entro il 31 dicembre 2003. Entro sei mesi dall’adozione e comunque non oltre il 31 dicembre 2004 le Regioni avrebbero dovuto approvare il piano in
via definitiva. Allo stato attuale, però, la maggioranza delle Regioni non è riuscita a rispettare tali scadenze adottando, al più, un piano
preliminare (da verificare in sede di concertazione con tutte le parti interessate) e, a quanto
risulta, solo la Toscana ha completato l’iter procedurale.
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:451-466
Le scadenze successive riguardano invece il
raggiungimento dello stato di qualità sufficiente entro il 2008 per le acque superficiali e dello stato di qualità buono entro il 2016 per le acque superficiali e sotterranee.
Le Regioni Molise, Campania, Calabria, Puglia e Sicilia hanno affidato le attività di elaborazione dei piani alla Sogesid (società per azioni a capitale interamente pubblico controllata
dal Ministero dell’Economia e delle Finanze).
Tali attività per queste Regioni sono attualmente in corso.
In particolare per la Sicilia, in considerazione della peculiare situazione in materia di tutela delle acque superficiali e sotterranee e dei cicli di depurazione, il Governo nazionale ha dichiarato lo stato d’emergenza. Con l’ordinanza
n. 3052/2000 del 31 marzo 2000 (Interventi per
il superamento dell’emergenza idrica nella Regione Siciliana), il Presidente della Regione Siciliana è stato nominato Commissario delegato
per realizzare le azioni e gli interventi necessari al superamento della emergenza idrica ed in
seguito, con l’ordinanza n. 3136 del 25 maggio
2001, gli sono state attribuite anche alcune competenze previste dal d.lgs. 152/99 tra cui la predisposizione e l’approvazione del piano di tutela delle acque ivi comprese le attività preliminari.
A tal fine il Commissario per l’emergenza
idrica ha richiesto supporto alla Sogesid che ha
attualmente predisposto, in attuazione del punto 2.1.3 del Programma Operativo della suddetta attività di assistenza (approvato dallo stesso Commissario con propria Ordinanza n. 325
del 25 marzo 2004), il progetto del sistema di
monitoraggio per la prima caratterizzazione dei
corpi idrici superficiali la cui relazione tecnica
è stata presentata nel luglio 2004. Il completamento dell’attività di monitoraggio era previsto per lo scorso luglio. Per quanto attiene invece alla caratterizzazione dei corpi idrici sotterranei l’ufficio del Commissario delegato ha
stipulato con l’Istituto Nazionale di Geofisica
e Vulcanologia – Sezione di Palermo una convenzione che prevede lo studio qualitativo e
quantitativo delle risorse idriche sotterranee
per lo svolgimento del quale sono state predisposte le linee guida.
Contestualmente, nel marzo 2004, l’Ufficio
del Commissario delegato per l’emergenza rifiuti e la tutela delle acque, il Dipartimento re-
gionale Territorio e dell’Ambiente e l’Agenzia
Regionale per la protezione dell’Ambiente della Sicilia (ARPA) hanno stipulato un accordo
di programma al fine di pervenire alla predisposizione del piano di tutela delle acque che
prevede l’istituzione di un tavolo tecnico per il
rilevamento dello stato di qualità dei corpi idrici, al quale partecipano gli Enti istituzionalmente competenti e gli Enti incaricati dello
svolgimento di specifiche attività. Il tavolo tecnico, alla luce dei dati acquisiti nella prima fase conoscitiva, definirà il programma operativo
per le successive attività di caratterizzazione
delle acque sotterranee.
Sono stati raccolti in una tavola i riferimenti normativi relativi allo stato di attuazione del
d.lgs. 152/99 nelle Regioni che risultano attualmente attivate sul tema (tabella 6).
4. Il ruolo dell’irrigazione nell’economia dell’azienda
La grande varietà del territorio italiano fa sì che
il ruolo svolto dalla pratica irrigua sia tutt’altro
che uniforme. Suddividendo il territorio nelle
tre grandi aree del Nord, Centro e Sud, si possono tratteggiare degli scenari di relativa omogeneità sotto gli aspetti fisici, ma anche economici e produttivi. Tra le più marcate differenze
appare in primo luogo il grado di sviluppo economico che vede il Sud affetto da un rilevante
ritardo; tutte le regioni meridionali rientrano infatti all’interno delle aree dell’obiettivo 15.
Con funzione puramente indicativa, in riferimento alla pratica agricola ed all’irrigazione,
le principali caratterizzazioni del territorio si
possono riassumere come di seguito riportato
(tabella 7):
– il Nord beneficia di maggiori apporti di pioggia e di estensioni pianeggianti con grandi
disponibilità idriche superficiali. L’irrigazione costituisce, quindi, una pratica assai consolidata e diffusa (la superficie irrigata costituisce il 32,5% della SAU). Il settore agricolo risulta ben più industrializzato ed evoluto che al Sud ma, per effetto del più avanzato sviluppo economico, contribuisce in minor misura alla formazione del valore ag5
Abruzzo (fino al 1996), Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna.
457
Columba P., Altamore L.
Tabella 6. Stato di attuazione del d.lgs. 152/99.
Table 6. State of performance of the law by decree n. 152/99. 3. Prelievi annui di acqua dolce in Italia (MLD mc; %).
Regione
Approvazione
Piano preliminare
Adozione
Piemonte
D.G.R. n. 21-12180 del 06.04.2004
Valle d’Aosta
Lombardia
Veneto
Liguria
Emilia Romagna
D.G.R.
D.G.R.
D.G.R.
D.G.R.
D.G.R.
D.G.R. n. 23-13437 del 20.09.2004
D.G.R. n. 30-14577 del 17.01.2005
(modifiche e integrazioni)
nota*
n. 4995 del 30.12.2004
n. VII/19359 del 12.11.2004
n. 792 del 28.03.2003
D.G.R. n. 4453 del 29.12.2004
n. 1705 del 18.12.03
D.G.R. n.1119 del 08.10.2004
n. 2239 del 10.11.2003
D.C.R. n. 633 del 22.12.2004
Toscana
Marche
Lazio
Approvazione
definitiva
D.G.R. n. 24 del 22.12.2003
D.C.R. n. 302 del 29.02.2000
D.G.R. n. 319 del 15.3.2002
D.G.R. n. 687 del 30.07.2004
in via di
approvazione definitiva
D.C.R. n. 6 del
25.01.2005
da approvare nel 2006
(previa modifica)
Sardegna
D.G.R. n. 47/18 del 05.10.2005
Provincia autoD.G.P. n. 3243 del 06.09.2004**
noma di Bolzano
D.G.R. = Deliberazione di Giunta regionale.
D.C.R. = Deliberazione del Consiglio regionale.
D.G.P. = Deliberazione di Giunta provinciale.
*
La Giunta regionale della Regione Valle d’Aosta ha approvato il Piano regionale di tutela delle acque in data 28 ottobre 2005
proponendo la successiva approvazione da parte del Consiglio regionale.
**
Con tale delibera viene approvato il Piano stralcio al Piano di Tutela delle Acque.
giunto ed all’occupazione (2,1% del VA contro 4,3% e 3,9% dell’occupazione contro
9,3%);
– l’Italia centrale per caratteristiche socio economiche può essere assimilata al Nord ma
rivela caratteristiche agricole del tutto differenti come conseguenza della natura collinare e montana del territorio (91%). Ne consegue anche un ruolo assai meno importante della pratica irrigua, riassunto nel dato di
incidenza più basso nel rapporto tra superficie irrigata e superficie coltivata (7,3%);
– il Sud si caratterizza per il minore sviluppo
economico. Dal punto di vista agricolo si segnala anche in quest’area una scarsa dispo-
nibilità di aree idonee all’irrigazione (superficie irrigabile pari al 16,8% della superficie
coltivata) come conseguenza della estesa
presenza di aree montane e collinari. Il clima di tipo secco (nelle isole anche semi-arido) e la ridotta disponibilità di acque superficiali, insieme a limiti di tipo gestionale e
strutturale, determina un ammontare delle
estensioni irrigue pari al 12,1% della superficie coltivata. Il ruolo dell’irrigazione, in
queste regioni, appare particolarmente rilevante per la capacità di rimediare alla modesta disponibilità idrica naturale fornita
dalle piogge e per il ruolo assai più rilevante che la produzione agricola riveste in con-
Tabella 7. Valore aggiunto e occupazione dell’agricoltura silvicoltura e pesca – 2003.
Table 7. Added value and employment of agriculture forestry and fishing – 2003.3. Prelievi annui di acqua dolce in Italia
Valore aggiunto
Italia Nord
Italia Centrale
Mezzogiorno
Italia
Fonte: ISTAT.
458
Occupazione
milioni €
% del
VA totale
migliaia
occupati
% totale
occupati
13.971,78
4.212,13
12.787,85
30.971,77
2,11
1,64
4,29
2,54
1.480,4
1.162,2
1.629,1
1.271,7
3,9
3,2
9,3
5,2
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:451-466
Tabella 8. Produzione vegetale irrigua e totale nelle regioni dell’Ob. 1 (milioni di €) – 1998.
Table 8. Irrigated crops production and total production in the Ob. 1 regions (milion €) – 1998.
MLD mc; %).
Produzione vegetale
Abruzzo
Basilicata
Calabria
Campania
Molise
Puglia
Sardegna
Sicilia
Totale Ob. 1
Irrigua
%
Totale
%
Irrigua/
totale %
Da regime
irriguo
403,87
240,67
780,37
1.596,88
71,79
2.125,22
475,66
1.786,94
7.481,39
5
3
10
21
1
28
6
24
100
804,64
408,00
1.523,03
1.996,11
240,67
3.387,44
692,05
2.901,45
11.953,39
7
3
13
17
2
28
6
24
100
50
59
51
80
30
63
69
62
63
34
44
28
73
18
43
57
44
46
Fonte: elaborazione su dati INEA (valori convertiti in euro).
fronto al resto del Paese (4,3% del valore
aggiunto e 9,3% dell’occupazione).
4.1 Caratteristiche produttive ed economiche delle aree irrigue meridionali
In considerazione del grande impatto che l’irrigazione esercita sull’economia delle regioni meridionali, sembra opportuno dedicare un breve
ragionamento specificamente centrato sulle problematiche di queste aree.
Le valutazioni effettuate in tempi ancora abbastanza recenti (INEA, 2001) indicano che il
contributo delle colture agricole esclusivamente
irrigue nel meridione è del 46% (5,52 Mld €;
anno 1998) del valore delle produzioni vegetali
(PLV); considerando anche il contributo della
quota irrigua compresa nelle coltivazioni non
esclusivamente irrigue, l’incidenza complessiva
si eleva al 60-65% per un ammontare complessivo stimato tra i 7,2 e i 7,8 miliardi di euro.
Estendendo la valutazione all’intero settore
agricolo (comprese le produzioni animali) la
pratica dell’irrigazione inciderebbe per il 4550% del totale (tabella 8).
Il maggior contributo alla formazione della
PLV deriva quindi, dalle produzioni vegetali,
sempre sopra il 50%, sebbene con varie articolazioni regionali (tabella 9).
Il comparto che fornisce il maggior contributo è quello orticolo (42% della PLV irrigua)
seguito dalle coltivazioni arboree (22%) (tabella 10).
L’irrigazione costituisce il più importante
elemento di intensificazione della produzione
agricola; si osserva, infatti, la tendenza a compensare la minore produttività in asciutto con
l’incremento delle estensioni. La maggiore intensità colturale consentita dall’irrigazione determina anche la concentrazione di gran parte
delle risorse: il campione RICA rivela che il
Tabella 9. Produzione dell’agricoltura ai prezzi di base nelle regioni dell’Ob. 1 (migliaia di € correnti) – 1998.
Table 9. Production of agriculture at basic prices in the Ob. 1 regions (thousands of € at current prices) – 1998.a 3. Prelie
Abruzzo
Basilicata
Calabria
Campania
Molise
Puglia
Sardegna
Sicilia
Totale Ob. 1
Italia
Allevamenti
%
riga
Colt.
arboree
%
riga
Colt.
erbacee
%
riga
Servizi
annessi
%
riga
Totale
%
276.870
175.354
259.646
643.576
136.463
339.939
769.837
528.076
3.129.761
14.765.725
23,1
344.892
26,3
118.112
12,6 1.120.634
20,1
642.719
36,7
38.758
9,5
1.532.313
46,4
172.673
13,2 1.618.184
18,7 5.588.285
33,2 10.506.695
28,8
17,7
54,5
20,1
10,4
42,6
10,4
40,5
33,4
23,6
490.912
322.478
559.346
1.755.017
169.064
1.489.016
591.080
1.542.471
6.919.384
16.549.554
41,0
48,3
27,2
54,8
45,4
41,4
35,6
38,6
41,3
37,2
83.679
51.238
116.904
161.711
28.057
232.730
126.046
305.093
1.105.457
2.641.798
7,0
7,7
5,7
5,0
7,5
6,5
7,6
7,6
6,6
5,9
1.196.353
667.182
2.056.530
3.203.023
372.342
3.593.998
1.659.636
3.993.824
16.742.887
44.463.773
7,1
4,0
12,3
19,1
2,2
21,5
9,9
23,9
100,0
459
Columba P., Altamore L.
Tabella 10. Produzione vegetale irrigua e totale per comparto produttivo (milioni di €) – 1999.
Table 10. Irrigated crops production and total production by product group (million €) – 1999.
Arboree a frutto annuo
Altre legnose
Cereali
Fiori e piante ornamentali
Foraggi (in fieno)
Laguminose da granella
Patate e ortaggi
Piante industriali
Prodotti trasformati
Totale Ob. 1
%).
Irrigua
%
Totale
%
Irrigua su
totale %
Da regime
irriguo
1.665,29
130,14
132,05
742,98
117,90
12,36
3.156,58
293,09
1.230,39
7.480,77
22
2
2
10
2
0
42
4
16
100
2.173,61
131,81
1.459,99
742,98
471,62
35,37
3.375,46
329,69
3.232,53
11.953,05
18
1
12
6
4
0
28
3
27
100
77
99
9
100
25
35
94
89
38
63
62
99
3
100
0
23
83
85
3
46
Fonte: elaborazione su dati INEA (valori convertiti in euro).
Figura 2. Rapporto tra valori
della PLV/ha della classe SAU
irrigua > 50% e SAU irrigua
< 30%. Fonte: INEA.
Figure 2.A comparison between
GPV/ha with irrigated area
over 50% and below 30% in
different product groups.
Floricoltura p.a.
Bovini, latte, allevamento e carne
Floricoltura sotto vetro
Ortaggi in serra
Coltivazioni-allevamento
Bovini, orientamento latte
Colture ortive di pieno campo
Policoltura
Agrumi
Cereali e colture sarchiate
Coltivazioni permanenti
Tabacco
Viticoltura da tavola
Frutticoltura e agrumi combinati
Frutticoltura a guscio
Viticoltura da vino
Olivicoltura
68% della PLV, il 70% delle unità lavorative e
il 64% dei capitali impiegati riguardano l’agricoltura irrigua.
L’irrigazione esalta la capacità produttiva di
tutti gli altri fattori ma esprime il suo maggior
potenziale nel consentire l’espressione di tutta
la produttività della terra6; infatti, nelle aree fertili di pianura con elevata incidenza della SAU
irrigua si rilevano le maggiori differenze nel
confronto con l’agricoltura in asciutto. I valori
estremi osservati si attestano su circa 5.000 eu-
6
Osservazione, peraltro, formalizzata dall’analisi teorica microeconomica che individua la somministrazione dei fattori
in funzione della potenzialità (la distribuzione ottima di un
fattore tra più processi deve avvenire eguagliando i prodotti
marginali).
460
0,0
1,0
2,0
3,0
4,0
5,0
6,0
7,0
8,0
9,0
10,0
ro per ettaro delle aziende ricadenti all’interno
di sistemi irrigui con incidenza della SAU irrigua superiore al 50% della SAU totale, per ridursi a 800 euro per ettaro delle aziende ricadenti all’interno di sistemi non irrigui e nelle
quali l’incidenza della SAU irrigua risulta inferiore al 30%.
L’incidenza della superficie irrigua determina, quindi, forti ripercussioni sulla produttività
della terra (figura 2).
L’importanza dell’irrigazione è quindi cruciale per gli orientamenti tecnico economici
(OTE) irrigui ma questi risultano, peraltro, i più
rilevanti per gli effetti sull’economia agricola
nel complesso.
L’eccezionale valenza tecnica ed economica
dell’irrigazione risulta però fortemente mitigata
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:451-466
Ortaggi in serra
Bovini, latte, allevamento e carne
Cereali e colture sarchiate
Agrumi
Colture ortive di pieno campo
Floricoltura sotto vetro
Bovini, orientamento latte
Frutticoltura e agrumi combinati
Viticoltura da vino
Coltivazioni-allevamento
Coltivazioni permanenti combinate
Viticoltura da tavola
Olivicoltura
Figura 3. Rapporto tra i valori del RN/az della classe SAU
irrigua > 50% e SAU irrigua
< 30%. Fonte: INEA.
Policoltura
Frutticoltura a guscio
Tabacco
Floricoltura p.a.
0,0
0,5
1,0
1,5
2,0
2,5
se si osservano i risultati a scala aziendale. La
maggiore intensità economica dell’agricoltura
irrigua consente infatti una più spinta polverizzazione strutturale mentre le aziende non irrigue recuperano redditività grazie alle superiori
estensioni ed al migliore rapporto terra/lavoro
(figura 3).
Per alcuni OTE il reddito da lavoro è maggiore con un minore apporto dell’irrigazione; tra
di essi figurano ordinamenti sicuramente importanti per l’agricoltura meridionale come, ad
esempio, l’olivicoltura o la frutticoltura a guscio.
Tuttavia si deve anche considerare che la mag-
3,0
3,5
4,0
4,5
5,0
Figure 3.A comparison between
farms’ net income with irrigated area over 50% and below
30% in different product
groups.
giore concentrazione di UL si osserva dove
maggiore è il ricorso all’irrigazione. In altri termini, pur in presenza di maggiori redditi unitari la quota maggiore dei redditi da lavoro va pur
sempre alle aziende nelle quali più intenso è il
ricorso all’irrigazione (figura 4).
Tra le considerazioni che appaiono più rilevanti, oltre all’evidente capacità dell’irrigazione
di esaltare le potenzialità produttive ed economiche delle colture, si rileva anche l’effetto di
valorizzazione sulle colture non esclusivamente
realizzabili in irriguo.
In definitiva si sottolinea come, in ogni caso,
Ortaggi in serra
Bovini, latte, allevamento e carne
Floricoltura sotto vetro
Agrumi
Viticoltura da vino
Frutticoltura e agrumi combinati
Colture ortive di pieno campo
Cereali e colture sarchiate
Bovini, orientamento latte
Viticoltura da tavola
Coltivazioni-allevamento
Coltivazioni permanenti combinate
Olivicoltura
Policoltura
Figura 4. Rapporto tra il valore del RN/UL della classe
SAU irrigua > 50% e SAU irrigua < 30%. Fonte: INEA.
Floricoltura p.a.
Frutticoltura a guscio
Tabacco
0,0
1,0
2,0
3,0
4,0
5,0
Figure 4. A comparison between
net income per working unit
with irrigated area over 50%
and below 30% in different
product groups.
461
Columba P., Altamore L.
20.000
asciutto
18.000
irriguo
16.000
000 lire
14.000
12.000
10.000
8.000
6.000
Figura 5. Confronto tra valori
della PLV e margine lordo in
asciutto ed in irriguo. Fonte:
elaborazione su dati INEA.
4.000
le colture orticole e frutticole, che sono le più
importanti nel meridione, siano quelle più valide nel valorizzare l’apporto dell’acqua irrigua
(figura 5).
5. Irrigazione e produttività in agricoltura
L’acqua è senza dubbio uno tra i più importanti fattori di produzione per l’impresa agricola.
Lo sviluppo e l’introduzione di adeguati sistemi
irrigui nell’azienda agraria ha permesso un evidente miglioramento quanti-qualitativo delle
produzioni agricole contribuendo, insieme ad altri fattori, ad incrementare il valore delle produzioni.
L’analisi della evoluzione della PLV delle
30.000
25.000
20.000
15.000
10.000
5.000
0
MEDIA 58/62
MEDIA 78/82
ERBACEE
MEDIA 88/92
LEGNOSE
MEDIA 98/02
TOTALE
Figura 6. Valore della PLV in Italia (milioni di €; prezzi costanti ’95).
Figure 6. Gross production value in Italy (million €; constant prices ’95).
462
olivo olio
pesco
uva tavola
limone
pomodoro ind.
arancio
tabacco
melone
mais for.
olivo olio
uva tavola
pesco
pomodoro ind.
fava
girasole
Margine Lordo
orzo
Figure 5. A comparison between GPV values and gross
margins with and without irrigation.
frumento
2.000
Produzione
Lorda
colture arboree e delle colture erbacee (tabella
11) tra il 1958 ed il 2002 (a prezzi costanti
1995)7, evidenzia prima un trend crescente dall’inizio del periodo fino al 1992, rispettivamente del 32,2% e del 61,0%; successivamente si rileva invece una contrazione, (più evidente per
le colture annuali rispetto alle arboree) con valori comunque superiori, rispettivamente del
43,7% e del 13,0%, rispetto al quinquennio posto come base (figura 6).
Andamento simile lo si riscontra relativamente alla superficie agricola utilizzata ma con
decrementi, dal 1982 in poi, più contenuti (tabella 12).
Ciò come conseguenza dello sviluppo tecnologico applicato all’agricoltura, realizzatosi in
particolare nel trentennio 1950/1980, grazie anche agli orientamenti delle politiche agricole, tese a sostenere e mantenere elevato il livello delle quantità prodotte; in questo periodo si registra altresì un aumento delle quantità consumate di prodotti alimentari delle famiglie.
Dalla fine degli anni ’80, la tecnologia ha ormai espresso quasi interamente il suo potenziale e le innovazioni in agricoltura, riguardanti i
mezzi tecnici di produzione, sono finalizzate al
contenimento dei costi e soprattutto al miglioramento della qualità delle produzioni a maggiore valore, la cui domanda da parte del mer7
Si sono utilizzate le medie quinquennali 58/62, 78/82 88/92
e 98/02.
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:451-466
Tabella 11. Valore della PLV in Italia (medie quinquennali; 000 €; prezzi costanti ’95).
Table 11. Gross production value in Italy (five year average; 000 €; constant prices ’95).
MEDIA 58/62
MEDIA 78/82
MEDIA 88/92
MEDIA 98/02
Erbacee
Legnose
Allevamenti
Totale
10.039.352
7.583.693
9.657.690
27.280.734
13.482.352
9.993.702
15.598.077
39.074.130
16.161.322
10.028.501
16.399.184
42.589.008
12.417.498
8.572.180
13.020.087
34.009.765
Erbacee
Legnose
Allevamenti
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
134,3
131,8
161,5
143,2
161,0
132,2
169,8
156,1
123,7
113,0
134,8
124,7
Fonte: nostra elaborazione su dati INEA.
cato è in continua crescita. Gli orientamenti in
tema di politiche agricole, comunitarie e nazionali, sono volte anch’esse verso il contenimento
delle produzioni e la riduzione delle superfici.
Nel periodo compreso tra gli ultimi due censimenti (1990-2000), si assiste ad una forte contrazione del numero totale delle aziende
(-22,8%) mentre le superfici coltivate si riducono del 9,8% con differenze contenute tra gli arboreti (-8,2%) ed i seminativi (-10,4%). Sono le
aree del nord Italia quelle ad essere maggiormente interessate alle riduzioni sia delle aziende che delle superfici totali. Nello stesso periodo, la variazione del valore totale delle produzioni, calcolata come differenza tra i valori medi dei quinquenni 88-92 e 98-02, risulta anch’essa negativa (-12,2%). Da ciò risulta che nel
decennio in considerazione, in Italia, la produttività media per unità di superficie è leggermente diminuita mentre la produttività media
per azienda è notevolmente cresciuta. Il fenomeno è in parte spiegabile tanto con l’abbandono dell’attività da parte di molti agricoltori
(superfici meno produttive e con basso livello
di investimenti) che con l’accorpamento di superfici e aziende, che ha portato comunque ad
una maggiore ampiezza media di queste ultime
e ad una maggiore loro produttività. Tale cambiamento è risultato più sensibile nelle aree del
nord Italia che non in quelle del centro e ancora meno nel sud del Paese.
A partire dalla fine degli anni ’80, il ricorso
all’irrigazione ed alle tecniche irrigue efficienti,
diventa dunque imprescindibile per adeguare il
livello qualitativo delle produzioni di molte colture alle richieste del mercato. Di conseguenza
tra il 1980 ed il 1990 le superfici irrigate in Italia crescono mediamente dell’11,8%, a fronte di
una riduzione della SAU del 5,1%, ma ricontraendosi nel decennio successivo dell’8,8%
contro un decremento della SAU totale del
12,2% (tabelle 13 e 14). L’incidenza delle superfici irrigate sul totale della SAU passa quindi dal 15,3% del 1982 al 18,7% del 2000 ma con
percentuali più elevate nell’Italia nord-occidentale (42,1% contro il 37,7% nel 1982), data la
presenza della cerealicoltura estensiva della pianura padana, e nell’Italia nord-orientale (24,4%
contro il 19,3% del 1982) data la presenza delle produzioni ortive e dei frutteti. In queste aree
inoltre la disponibilità idrica da invasi e fiumi
risulta notevolmente più elevata rispetto alle al-
Tabella 12. Evoluzione della SAU in Italia (ettari).
Table 12. Evolution of UCA in Italy (hectares).3. Prelievi annui di acqua dolce in Italia (MLD mc; %).
Aree geografiche
Italia Nord-occidentale
Italia Nord-orientale
Italia Centrale
Italia Meridionale
Italia Insulare
Totale Italia
1982 = 100
1982
1990
2000
2.596.979,5
2.874.957,0
2.856.843,8
4.392.889,1
3.126.310,1
15.847.979,5
100,0
2.413.604,2
2.792.715,3
2.707.047,2
4.175.402,4
2.957.129,6
15.045.898,7
94,9
2.245.283,2
2.620.651,7
2.456.772,4
3.581.523,4
2.302.066,1
13.206.296,8
83,3
Fonte: ISTAT – Censimenti dell’agricoltura.
463
Columba P., Altamore L.
Tabella 13. Superficie agricola utilizzata e superficie irrigata per ripartizione geografica (ettari).
Table 13. Utilized crop area and irrigated area by geographical partition (hectares). Italia (MLD mc; %).
1982
Nord-Ovest
Nord-Est
Centro
Sud e Isole
Italia
1990
2000
SAU
Superficie irrigata
SAU
Superficie irrigata
SAU
Superficie irrigata
2.596.980
2.874.957
2.856.844
7.519.200
15.847.980
979.265
555.456
240.751
649.278
2.424.750
2.413.604
2.792.715
2.707.047
7.132.532
15.045.899
1.028.029
665.644
235.862
781.647
2.711.182
2.245.283
2.620.652
2.456.772
5.883.589
13.206.296
944.422
638.600
178.655
709.702
2.471.379
Fonte: elaborazione su dati ISTAT.
Tabella 14. Superficie agricola utilizzata e superficie irrigata per ripartizione geografica (numeri indice 1982 = 100).
Table 14. Utilized crop area and irrigated area by geographical partition (index numbers 1982 =100).. Prelievi annui diL
1982
Nord-Est
Centro
Sud e Isole
Italia
1990
2000
SAU
Superficie irrigata
SAU
Superficie irrigata
SAU
Superficie irrigata
100
100
100
100
100
100
100
100
100
100
92,9
97,1
94,8
95
94,9
105
119,8
98
120
111,8
86,5
91,1
86
78
83,3
96,4
115
74,2
109
101,9
Fonte: elaborazione su dati ISTAT.
tre aree della penisola. L’Italia centrale risulta
essere invece la zona con le minori superfici coltivate irrigate (alquanto stabili tra il 1982 ed il
1990) probabilmente a causa della orografia
(dorsale appenninica) ed alla disponibilità di acqua da precipitazioni piovose. Nell’Italia meridionale ed insulare, infine, il dato è invece pari
al 12,1% (8,6% nel 1982).
Relativamente alla destinazione colturale
delle superfici irrigate, nell’ultimo decennio, caratterizzato da un calo dell’8,8% di tali superfici, si è assistito tra le produzioni erbacee ad un
aumento di quelle a granoturco da granella
(+22,9%) e a frumento (duro e tenero) (+43,4%)
e a forti contrazioni per le superfici irrigue a
soia (-61,0%) e, tra gli ortaggi, della patata (23,2%); relativamente a quest’ultima è da rilevare però che l’incidenza delle superfici irrigue
sul totale è passata dal 28,8% del 1990 al 32,3%
del 2000 (tabella 15). Tra le coltivazioni arboree
da rilevare il dato della vite che nel decennio
ha visto aumentare le superfici irrigate del
12,5% passando così da una incidenza sul totale del 15,4% del 1990 al 20,1% del 2000. La patata, il pomodoro e la vite per uva da tavola sono tra le specie che nell’ultimo decennio hanno
maggiormente incrementato l’incidenza delle
superfici in irriguo sul totale ma a ciò non si
Tabella 15. Evoluzione delle superfici e del valore medio delle produzioni ad ettaro di agrumi, uva da tavola, patata e pomodoro in Italia (numeri indice 90/92=100).
Table 15. Evolution of area and average value of productions per hectare of citrus, table grape, potato and tomato in Italy
(index numbers 90/92=100).i acqua dolce in Italia (MLD mc; %).
Prodotti
Patata
Pomodoro
Agrumi
Uva da
tavola
464
Sup.ha
€/ha
Sup.ha
€/ha
Sup.ha
€/ha
Sup.ha
€/ha
media
90-92
media
91-93
100
100
100
100
100
100
100
100
92
97
97
93
100
98
101
99
media media
92-94 93-95
83
102
95
86
100
92
100
94
78
115
94
83
100
93
95
85
media
94-96
media
95-97
media
96-98
80
111
96
88
100
91
92
85
81
100
96
93
100
90
90
84
82
92
98
102
99
86
89
97
media media
97-99 98-00
77
102
101
108
99
84
88
104
75
107
104
110
99
85
87
113
media
99-01
media
00-02
71
112
105
105
97
93
88
120
69
123
101
101
97
91
88
126
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:451-466
può unicamente attribuire il diverso trend che
si evidenzia tra superficie totale e valore della
produzione, in particolare per la patata e la vite (tabella 16).
Sicuramente il ricorso all’irrigazione abbinata a una efficiente tecnica di distribuzione dell’acqua permette, alla singola azienda, una migliore gestione delle produzioni anche dal punto di vista qualitativo, ma il valore di queste dipende altresì anche da numerosi altri fattori di
natura prevalentemente economica.
6. Conclusioni
L’uso agricolo costituisce la principale utilizzazione della disponibilità idrica sul territorio nazionale (49%). In particolare, nelle aree del Sud
e delle Isole l’irrigazione incide per la quota più
rilevante (56-60%), sia per il maggior fabbisogno delle colture che per i minori apporti naturali; si differenzia solamente l’area del Centro
(20%) per la minore suscettività nei confronti
dell’agricoltura intensiva. La disponibilità effettiva di acqua viene, però, fortemente depauperata dalle ingenti perdite che si verificano nella
rete distributiva.
Ai problemi quantitativi di disponibilità idrica si affiancano quelli qualitativi; è noto, infatti, come le attività produttive, industriali e agricole, e gli insediamenti civili, concorrano nel determinare diffusi problemi di inquinamento delle acque. Problemi che in diverse aree, come per
esempio in Sicilia, costituiscono una autentica
emergenza.
Quanto al contributo che la pratica irrigua è
capace di fornire alla produttività agricola, il dato che sembra riassumerne emblematicamente
la rilevanza, è che circa la metà del valore proviene dalle colture irrigue realizzate su circa 1/5
della superficie agricola utilizzata dalle aziende
(SAU aziendale). In particolare, gli effetti più
importanti vengono sortiti dalle colture ad elevato valore unitario come le ortive e le frutticole, ma anche le colture “facoltativamente” irrigue beneficiano in modo evidente per l’accresciuta produttività in quantità e pregio.
La riduzione del regime protezionistico dell’Unione Europea, conseguente agli accordi internazionali, e l’accresciuta importanza della gestione sostenibile del territorio, hanno determinato l’avvio di un processo di ridimensiona-
mento dell’attività agricola che l’irrigazione, pur
accentuando la redditività dell’uso del territorio, non può sostanzialmente contrastare. Negli
ultimi anni, alla già consolidata tendenza alla
contrazione della superficie agricola si è unita,
infatti, una riduzione anche delle estensioni irrigue.
Il ridimensionamento dell’agricoltura costituisce un fenomeno fisiologico dello sviluppo
economico, quantunque non certo privo di risvolti problematici sotto l’aspetto sociale e ambientale. L’espulsione delle aree meno vocate
dall’attività agricola mette, infatti, a disposizione risorse territoriali per altre importanti utilizzazioni; tra queste, aree da destinare alla riconversione in senso naturalistico e risorse preziose, come l’acqua, da valorizzare negli usi più
produttivi.
Alla riduzione dimensionale si accompagna
anche una ristrutturazione del sistema agricolo
attraverso la progressiva fuoriuscita (oggi più
osservabile al settentrione) delle imprese più
deboli; fenomeno che, in linea di principio, può
concorrere a rendere più efficiente la produzione agricola e il relativo uso delle risorse, attraverso l’incremento della dimensione aziendale.
Proprio l’eccessiva polverizzazione dell’impresa agricola, specialmente al sud, costituisce
infatti il più grave problema che si oppone al
conseguimento di risultati soddisfacenti nelle
molteplici funzioni dell’agricoltura: reddito, occupazione, assetto del territorio, mantenimento
di valori ambientali, culturali, ecc.
Nel caso dell’irrigazione, il problema appare, se possibile, ancora più evidente. La dimensione economica dell’impresa, conseguente alla
capacità di investimento e imprenditoriali, viene, infatti, conseguita anche su più ridotte estensioni aziendali.
Per quanto osservato, l’irrigazione si conferma tra i più rilevanti fattori di sviluppo delle
produzioni agricole e l’impatto sortito sull’agricoltura italiana è di evidente rilievo. Sino agli
anni ’90 si sono verificate le evoluzioni più rilevanti: prima, insieme alla crescita della superficie agricola (fino agli anni ’80), quindi, nel decennio successivo, inducendo una crescita in termini di valore pur in presenza di superfici in
contrazione. Negli anni più recenti, infine, l’ulteriore riduzione della pratica agricola si è estesa anche a quella irrigua segnando per la prima
volta variazioni negative per quantità e valore.
465
Columba P., Altamore L.
Pur in un contesto profondamente mutato
che, non ha caso, coincide con una nuova visione del ruolo dell’agricoltura (multifunzionale), l’importanza dell’irrigazione nell’attivare
processi di sviluppo non sembra declinare. In
particolare le aree meridionali che tendono a
recuperare terreno nelle produzioni frutticole e
orticole, trovano nella disponibilità di acque irrigue l’elemento cruciale della propria efficienza ed il vincolo insormontabile alla diffusione
delle colture di maggior valore. Se quindi sembra concluso il ciclo della crescita quantitativa
dell’agricoltura – e in tal senso l’apporto dell’irrigazione è stato fondamentale – sembra
consolidato l’avvio di una fase in cui l’irrigazione diviene l’elemento centrale della qualità
e dell’efficienza produttiva nonché lo strumento capace di valorizzare il patrimonio di specificità e tipicità delle produzioni mediterranee.
La disciplina del governo dell’acqua è regolata da un impianto normativo che, negli anni,
si è profondamente evoluto acquisendo vieppiù
un approccio sostenibile e sistemico. Tuttavia i
tempi di attuazione delle politiche di governo
dell’acqua tendono ad estendersi oltre ogni previsione iniziale. Le Regioni avrebbero dovuto
adottare il Piano di Tutela delle Acque entro il
31 dicembre 2003 per poi approvarlo in via definitiva non oltre il 31 dicembre 2004. Allo stato attuale, però, la maggioranza delle Regioni
non è riuscita a rispettare tali scadenze adottando, al più, un piano preliminare (da verificare in sede di concertazione con tutte le parti
interessate) e, a quanto risulta, solo la Toscana
ha completato l’iter procedurale.
Il governo dell’acqua va però considerato all’interno del quadro complessivo che attiene all’utilizzazione corretta di tutte le risorse territoriali. L’evoluzione delle politiche economiche,
e tra queste anche della politica agricola, si è
sviluppata nel senso di abbracciare logiche sempre più vaste e complesse. Dalle politiche di
comparto si è passati alle politiche di filiera, prima, e alle politiche di sistema, poi (le politiche
di sviluppo rurale ne sono il prodotto). Nel governo delle risorse territoriali si pone quindi l’esigenza di affrontare con strumenti adeguati la
gestione della complessità ambientale e sociale.
La gestione delle risorse idriche, infatti, è anche gestione del territorio dal quale le stesse ri-
466
sorse derivano, in quantità e qualità e non può,
quindi, prescindere dal contrasto dei comportamenti illeciti: nello sfruttamento delle risorse,
nello smaltimento dei reflui, nella speculazione
sui bisogni della popolazione.
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Acque saline e qualità del suolo
Carmelo Dazzi*
Dipartimento di Agronomia Ambientale e Territoriale – Settore Pedologia, Università di Palermo
Viale delle Scienze, 90128 Palermo
Società Italiana della Scienza del Suolo
Riassunto
Fra le emergenze ambientali legate alla qualità dei suoli, assumono un rilievo particolare, per via della loro pericolosità, i processi di salinizzazione secondaria indotti dall’attività antropica. Particolarmente soggetti sono i suoli
dei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, in particolare laddove il clima è tendenzialmente caldo-arido. In questi ambienti, infatti, il ricorso all’irrigazione che consente di ridurre i rischi legati ai deficit di umidità e
di stabilizzare le produzioni, è un fatto imperativo. Spesso, si ricorre ad acque saline che causano un decadimento
della qualità dei suoli. Se per un verso la presenza di sali può avere effetti desiderabili determinando soprattutto
strutturalità dei suoli, oltre certi livelli di salinità, si producono una serie di conseguenze negative che si ripercuotono soprattutto sulla possibilità di vita per le colture. Quando a determinare salinità è prevalentemente il sodio,
sorgono problemi legati principalmente alla possibile degradazione della struttura, alla riduzione della conducibilità
idraulica e alla formazione di croste superficiali, elementi tutti che conducono ad una diminuzione della qualità dei
suoli. I processi di salinizzazione secondaria dei suoli determinati dall’irrigazione con acque saline, sono evidenti
anche nel nostro Paese, ove suoli salini, risultano prevalentemente distribuiti nella bassa padana, in lunghi tratti del
litorale tirrenico e adriatico, nella fascia costiera della Puglia, della Basilicata e della Sardegna e in ampi tratti della Sicilia. È ovvio che non sono possibili generalizzazioni poiché gli effetti dell’irrigazione con acque saline sulla
qualità dei suoli vanno visti caso per caso, considerando non solo la notevole variabilità che l’universo pedologico
fa naturalmente registrare ma, anche il fatto che nelle relazioni acqua-suolo interagiscono due diverse espressioni
di qualità che si influenzano a vicenda: quella relativa alle acque e quella relativa ai suoli.
Parole chiave: qualità del suolo, acque saline, relazioni acqua-suolo.
Summary
SALINE WATERS AND SOIL QUALITY
The processes of secondary salinization due to anthropic actions are considered one of the most important environmental emergencies owing to their level of dangerousness. The soils of the dry areas of the Mediterranean basin are particularly prone to these processes. In such environments, it is imperative to resort to irrigation that allow for the reduction of risks due to soil moisture deficit and for the stabilization of yields. Frequently, saline waters are used that cause a lowering of the soil quality. If on one hand the presence of salts can benefit the soils
mainly improving soil structure, on the other high levels of salts produce negative effects on soils and crops. When
sodium prevails problems of soil quality can rise such as structure degradation, low hydraulic conductivity, soil sealing. The processes of secondary soil salinization due to the use of saline waters for irrigation are particularly evident in our Country among others. In Italy, saline soils are mainly distributed in long strips of the coastal belt of
the Tyrrhenian sea and Adriatic sea, in the coastal belt of Apulia, Basilicata and Sardinia and in wide areas of Sicily. It is not possible to suggest general actions to combat soil salinization because we must take into consideration that in the relationship soil-water two different quality concept interact: one linked to the soils, the other to
the waters.
Key-words: soil quality, saline waters, soil-water relations.
*
Autore corrispondente: tel: +39 091 6650247; fax: +39 091 6650229. Indirizzo e-mail: dazzi@unipa.it.
467
Dazzi C.
1. Introduzione
Nel suo libro-cult Lo zen e l’arte della manutenzione della motocicletta Robert Pirsig (1974),
scrive che «il mondo è composto da tre elementi: mente, materia e qualità», sostiene che
«la qualità che può essere definita non è la qualità assoluta» e afferma che «il più immediato
equivalente intellettuale della qualità pura è la
reazione di un organismo al proprio ambiente».
Se consideriamo i suoli come degli “organismi viventi” poiché essendo dei sistemi aperti
evolvono in sintonia con la seconda legge della
termodinamica (come tutti gli organismi viventi), un’espressione che ne definisca la qualità deve tenere conto della «reazione degli organismi
suolo all’ambiente» cioè a tutti quegli eventi che
ne possono alterare l’equilibrio dinamico.
È intuitivo che il considerare un evento a carico di un suolo come azione di disturbo delle
sue qualità dipende, non solo dall’origine dello
stesso (che può essere naturale o antropica) ma,
anche, dalla scala spaziale che si considera e dal
tipo, intensità e durata dell’evento. Così, la formazione di un canalicolo in un suolo da parte
di un nematode è una azione naturale che è da
definire di disturbo se valutata a scala di aggregato ma che rientra nella normalità del sistema se considerata a scala di ecotessera (Seybold et al., 1999).
Se dobbiamo rifarci a quelle azioni di disturbo che ne causano un significativo cambiamento dal modello normale di funzionamento,
è ovvio che dobbiamo considerare i suoli sia
nella loro interezza che come elementi del paesaggio. Allora non sono tanto le azioni di disturbo naturali che condizionano le qualità dei
suoli, ma quelle che derivano dalle diverse attività dell’uomo e che comportano una riduzione
parziale o totale delle funzioni dei suoli o, più
chiaramente, delle loro capacità di produrre, in
quantità e qualità, beni e servizi.
Se indichiamo con Qs le qualità di un suolo, con Sn la sua condizione naturale prima di
un evento di disturbo, con Sf il suo rapporto di
formazione/evoluzione, con St la sua capacità tampone (fisica, chimica e biologica), in modo meramente speculativo, possiamo esprimere le sue qualità complessive con la seguente equazione:
t1
Qs = Sn + ∫ t0 (Sf + St)dt
Nel tempo (dt), ad inficiare le qualità dei
suoli sono quindi i disturbi antropici che agi-
468
scono su Sf e su St. Se le azioni antropiche di
disturbo sono tali da infliggere “ferite lievi” all’essere vivente suolo, esso si riprenderà in un
tempo dipendente dalla sua capacità di riorganizzarsi in equilibrio con l’ambiente per riespletare le sue funzioni. Se le azioni antropiche
di disturbo sono tali da inficiare di molto o totalmente le funzioni del suolo, questo si rigenererà rispettivamente in un periodo che supera
di gran lunga la scala temporale umana, ovvero
sarà perduto per sempre (Seybold et al., 1999).
Nei confronti di quelle azioni di disturbo determinate dall’irrigazione con acque saline, le risposte dei suoli e quindi le espressioni di qualità, vanno considerate non solo in relazione al
tipo e alla quantità dei sali presenti nelle acque
ma, anche in relazione alla variabilità che caratterizza l’universo pedologico.
2. La salinizzazione dei suoli indotta dall’attività
antropica
Fra le emergenze ambientali direttamente legate
alla salinità dei suoli, assumono un rilievo particolare, per via della loro pericolosità, i processi di
salinizzazione secondaria dei suoli indotti dall’attività antropica che rivestono una importanza,
scientifica e pratica, che cresce di anno in anno.
Questi processi non sono nuovi nella storia
del mondo. Il declino della civiltà mesopotamica (4-5.000 a.C.) viene attribuito dagli storici,
anche alla salinizzazione dei suoli conseguente
allo sviluppo della pratica irrigua. Il declino di
civiltà più recenti, come quella india della bassa valle del Viru in Perù, o della civiltà Harappa delle pianure dell’Indo, fra India e Pakistan
o degli Hohokam della valle del Salt River in
Arizona, sono da attribuire anche a processi di
salinizzazione secondaria dei suoli (Tanji, 1990).
Nonostante le esperienze negative, la salinizzazione delle aree irrigue, e talora anche di
quelle circostanti, non diminuisce ma, al contrario, aumenta (Szabolcs, 1994) e gli effetti sfavorevoli che si determinano sull’ecosistema suolo, non sono uniformemente distribuiti nelle
aree irrigue del mondo: in alcuni Paesi sono relativamente insignificanti, in altri assumono proporzioni inimmaginabili come ad esempio in
Pakistan ove su 16 milioni di ettari irrigui, le
aree salinizzate ammontano a circa 2,4 milioni
di ettari o come in tutte le aree irrigue alluvio-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:467-474
nali del Perù ove i caratteri di salinizzazione ed
alcalizzazione secondaria sono molto pronunciati (Szabolks, 1994).
Almeno in 75 Paesi del mondo vi sono gravi problemi di salinizzazione secondaria dei suoli (Goudie, 1990) e nulla fa presagire che nel futuro la situazione migliori. Stime proiettate al
2020 sullo sviluppo dell’irrigazione e della conseguente salinizzazione secondaria (Szabolks,
1998) indicano non solo che gli andamenti nell’incremento delle aree irrigue e delle aree salinizzate sono quasi paralleli ma, anche che i territori con salinizzazione secondaria sono più
estesi dei territori irrigui. Ciò avviene sia perché nei primi sono compresi anche i territori affetti da vecchi processi di salinizzazione, sia perché la salinizzazione secondaria influenza, in genere, una superficie maggiore rispetto a quella
irrigua (Szabolks, 1998).
Particolarmente soggetti ai problemi della
salinizzazione secondaria, sono i suoli dei Paesi
che si affacciano sul bacino del Mediterraneo,
in particolare laddove il clima è tendenzialmente caldo-arido. In questi ambienti, infatti, il
ricorso all’irrigazione consente di ridurre i rischi
legati ai deficit di umidità e di stabilizzare le
produzioni e, fatto oltremodo positivo, di ampliare la gamma di scelta delle coltivazioni.
Nelle ultime decadi le aree irrigue nei Paesi del bacino del Mediterraneo hanno subito un
incremento stimato intorno al 20% (Pla Sentis,
1996). Queste sono di solito localizzate in prossimità di zone ad alta concentrazione urbana ed
industriale, ove si consuma gran parte dell’acqua di buona qualità. Ne consegue che, per scopi irrigui, si ricorre ad acque di scarsa qualità
(principalmente saline, di reflui urbani o di effluenti industriali). A ciò si aggiunga il sovrasfruttamento delle falde lungo le pianure costiere, che conduce frequentemente ad intrusione
nell’acquifero di acque marine ed anche l’eccessivo ricorso a fertilizzanti e pesticidi che, usati in
grande quantità nell’agricoltura irrigua, possono
contaminare le acque superficiali o di falda impiegate per scopi agricoli (e anche civili).
Questi problemi sono destinati ad aggravarsi per effetto dei cambiamenti climatici globali
previsti per il prossimo futuro. Si specula, che nell’Europa mediterranea tali cambiamenti condurrebbero ad un incremento dell’indice di aridità
che, influenzando il regime di umidità ed il bilancio salino dei suoli, finirebbero col determina-
re una minore lisciviazione ed una maggiore salinizzazione, fino a raddoppiare, nei prossimi 40
anni, le aree affette da salinità (Szabolcs, 1996).
Previsioni basate su modelli generali di circolazione atmosferica (Barrow, 1993), ipotizzano per la regione mediterranea aumenti di temperatura da 0,5 a 3,5 °C entro il 2075, e un decremento nelle precipitazioni. Con tali variazioni di pioggia e temperatura, l’indice di aridità
secondo Lang (P/T = totale annuo di pioggia in
mm/temperatura media annua in °C) nei diversi paesi del bacino del mediterraneo diminuirebbe e, di conseguenza, aumenterebbe il rischio
di salinizzazione (Szabolcs, 1996).
3. Aspetti generali delle relazioni acqua/suolo
L’irrigazione, come è noto, consiste nell’apporto artificiale di acqua al suolo nei periodi dell’anno in cui vi è un deficit idrico. Tale semplice pratica continuata nel tempo, anche se condotta con acque di buona qualità, provoca mutamenti più o meno importanti, oltre che nelle
caratteristiche chimiche, fisiche, idrologiche e
biologiche, anche nell’assetto morfologico dei
suoli e dell’ambiente circostante (Fierotti et al.,
1999). Dall’interazione fra acqua e suolo, entrambi risultano profondamente modificati: il
suolo modifica l’acqua (tabella 1) e l’acqua modifica il suolo (tabella 2).
Tabella 1. Come il suolo modifica le acque.
Table 1. The way in which the soil changes the water features.
I principali processi nel suolo, responsabili di modificazioni nella qualità delle acque sono:
• l’erosione che determina trasporto di sedimenti dissolti e sospesi nelle acque di ruscellamento;
• la lisciviazione che determina movimento di elementi nutritivi, prodotti chimici e sostanza organica solubile nelle acque di percolazione in funzione anche
delle colture presenti;
• il flusso di acqua nei macropori e nelle crepacciature che determina il rapido trasporto dell’acqua e degli inquinanti dalla superficie al sottosuolo e nel sistema di drenaggio;
• l’estrazione idrica e di ioni da parte delle piante che
possono cambiare la concentrazione e la qualità dei
sali presenti nell’acqua (Amato, 2004);
• la mineralizzazione accelerata della sostanza organica che determina il passaggio in soluzione di composti facilmente trasportabili dall’acqua (Lal e Stewart,
1994).
469
Dazzi C.
Tabella 2. Come l’acqua modifica il suolo.
Table 2. The way in which the water changes the soil features.
L’intensità dei mutamenti determinati dalle acque nel
suolo dipende da:
• natura del suolo, in particolare granulometria e aggregazione; i più sensibili alla salinità sono i suoli argillosi o tendenzialmente tali in cui il continuo apporto di acqua provoca profondi cambiamenti nello
stato strutturale oltre che nella composizione chimica e fisica. Meno importanti sono i mutamenti che si
verificano nei suoli a tessitura sabbiosa, dove, invece,
sono molto attivi i movimenti di lisciviazione;
• tecniche di coltivazione che condotte in uno stato di
umidità del suolo diverso da quello usuale, possono
dare origine a fenomeni più o meno gravi di compattamento degli orizzonti superiori del suolo e di alterazione della morfologia superficiale con conseguente
accentuazione dei fenomeni di ristagno idrico;
• metodi di irrigazione che se applicati in modo irrazionale, come purtroppo accade di frequente, provocano la distruzione degli elementi strutturali superficiali e il conseguente riempimento dei micro e macropori;
• qualità delle acque;
• presenza di colture con diverse esigenze idriche;
• movimenti dell’acqua che, in regime irriguo, si ripetono con frequenze molto ravvicinate.
Prescindendo dalla qualità dell’acqua usata
per scopi irrigui, sotto l’aspetto puramente pedologico, si può affermare che i suoli sottoposti
ad irrigazione, pure se in tempi differenti, si
comportano alla stregua di un nuovo substrato,
su cui si svolgono nuovi processi fisici, chimici
e biologici spesso assai differenti da quelli presenti negli stessi tipi di suolo a regime asciutto
Tabella 3. Principali effetti che l’acqua provoca sul suolo in
chiave pedogenetica.
Table 3. Main effects of the water on soils from a pedogenetic point of view.
• cambiamento del pedoclima cioè dei regimi di umidità e di temperatura del suolo;
• possibili fenomeni erosivi in funzione principalmente
del metodo irriguo, della pendenza, e della stabilità
strutturale del suolo;
• possibili fenomeni di eluviazione e dispersione dei
colloidi;
• processi legati alla lisciviazione con formazione di
orizzonti di accumulo, argillici, molto spesso arricchiti di sali solubili e/o di carbonati secondari;
• effetti sulla tessitura;
• apporto di nuovi materiali contenuti nelle acque (sali o altro).
470
e che determinano nuovi indirizzi evolutivi e, di
conseguenza, lo sviluppo nel tempo di tipologie
di suolo nuove e diverse da quelle dalle quali
derivano (tabella 3).
Ma, quando per scopi irrigui si usano acque
saline, accanto ai su citati aspetti, si determinano processi di degradazione la cui intensità è
funzione oltre che della diversità pedologica,
della qualità e quantità di sali disciolti e di alcuni altri fattori ambientali, primi fra tutti quelli climatici.
Nei suoli salini e nelle condizioni tipiche di
semi-aridità dell’ambiente mediterraneo, ad un
periodo estivo, caldo e siccitoso durante il quale è imperativo ricorrere all’esercizio irriguo
spesso utilizzando acque anomale, segue una
stagione fredda e piovosa in cui si attivano importanti processi di lisciviazione che abbassano
i valori della conducibilità elettrica, mentre rimangono quasi inalterati quelli relativi al sodio
di scambio come conseguenza dell’accentuata
concentrazione raggiunta dall’acqua del suolo.
Dopo ogni intervento irriguo con acque saline, si raggiunge un certo equilibrio fra il sodio
scambiabile del suolo e il sodio presente nell’acqua di irrigazione che è soggetto a rompersi rapidamente sotto l’azione della temperatura
(Letey, 1994). Infatti l’evaporazione dell’acqua
del suolo comporta un notevole aumento della
concentrazione salina che compromette seriamente il normale svolgimento dell’attività vegetativa.
Durante la stagione irrigua, la notevole
quantità di sali solubili e le quantità di sodio
scambiabile, fanno sì che le argille si trovino allo stato flocculato, il che assicura un buono stato strutturale e la libera circolazione dell’aria e
dell’acqua lungo il profilo del suolo. Tuttavia, essendo gli aggregati strutturali fortemente instabili di fronte all’azione disgregante dell’acqua,
già con le prime piogge tendono a disperdersi
provocando la chiusura dei macro e micropori
e il passaggio dello stato di aggregazione del
suolo verso forme massive che riducono la conduttività idraulica e la naturale capacità del suolo di smaltire le acque in eccesso (Aringhieri,
1997).
Nei suoli dell’ambiente mediterraneo irrigati con acque saline, quindi, lo stato di aggregazione dei suoli è soggetto a cambiamenti stagionali, passando da forme ottimali, granulari o
poliedriche angolari e sub angolari a forme mas-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:467-474
Tabella 4. Definizioni dell’orizzonte salico.
Table 4. Definitions of the salic horizon.
Sistema di riferimento Definizione
Soil Taxonomy –
Soil Survey Staff,
2003
Orizzonte di accumulo di sali più solubili in acqua fredda del gesso; è spesso almeno 15
cm, e ha, per 90 giorni consecutivi, in anni normali, una conducibilità elettrica (CE)
dell’estratto saturo almeno di 30 dS m-1; il prodotto dello spessore in cm per la conducibilità (in dS m-1) deve essere almeno pari a 900.
FAO Rev. Legend
FAO-UNESCO, 1990
(proprietà saliche)
Conducibilità elettrica dell’estratto saturo nei primi 30 cm > 15 dS m-1 per qualche
periodo dell’anno oppure > 4 dS m-1 se il pH (H2O 1:1) > 8,5.
World Reference Base
IUSS-ISRIC, 1998
Orizzonte, di superficie o sottosuperficiale, con un arricchimento secondario in sali
prontamente solubili (cioè più solubili del gesso); deve mostrare per tutto il suo spessore:
una conducibilità elettrica (CE) dell’estratto saturo maggiore di 15 dS m-1 a 25 °C in qualche periodo dell’anno, oppure, una CE maggiore di 8 dS m-1 a 25 °C se il pH (in H2O) dell’estratto saturo è maggiore di 8,5 (per suoli alcalini ricchi in carbonati) o minore di 3,5
(per suoli acidi ricchi in solfati); almeno l’1% di sali; il prodotto dello spessore in cm per
la percentuale di sali almeno pari a 60, e lo spessore deve essere almeno di 15 cm.
Referentiel
Pedologique
AFES, 1995
Orizzonte caratterizzato da un accumulo marcato di sali più solubili del gesso: se arricchito
in cloruri e/o solfati o nitrati, il valore misurato sull’estratto saturo del pH è < 8,5 e della
CE, in un momento dell’anno, è ≥ 15 dS m-1; se arricchito in carbonati e bicarbonati, il valore misurato sull’estratto saturo del pH è > 8,5 e della CE, in un momento dell’anno, è ≥
8 dS m-1.
sive altamente indesiderabili e, nel caso dei suoli con elevato contenuto di sodio, la conseguente formazione di argille sodiche e la distruzione degli aggregati, dà origine a forme strutturali colonnari grossolane e massive, tipiche di
particolari orizzonti del suolo definiti “natrici”.
Fino a che le quantità di sodio apportate e
quelle asportate si equivalgono, si mantiene un
certo equilibrio; questo si rompe immediatamente quando, a causa di processi di lisciviazione attivati dalle piogge autunnali e invernali, le asportazioni superano gli apporti. In queste condizioni una parte del sodio scambiabile
si idrolizza formando idrato di sodio che reagisce immediatamente con gli ioni bicarbonici
presenti per formare carbonato di sodio e il suolo acquista forti caratteri di alcalinità.
Sotto l’influenza di notevoli quantità di sodio, la struttura si mantiene sempre allo stato
massivo, mentre nei suoli salino-sodici, rimane
allo stato disperso durante il periodo umido per
poi compattarsi durante la stagione secca dando luogo ad un sistema fessurato poligonale
(Aubert, 1976).
L’intensità di tale dispersione dipende dalla
tessitura del suolo e dalla sua mineralogia. Suoli con alta percentuale di argille montmorillonitiche sono molto sensibili all’azione del sodio
mentre le argille caolinitiche sono meno sensibili (Wagenet, 1984).
Il processo della sodicizzazione è più grave
di quello della salinizzazione e nei casi limite gli
effetti sui suoli sono irreversibili. Le due forme
di salinità spesso coesistono: i sali solubili, accumulandosi, possono dare origine ad un particolare orizzonte diagnostico, chiamato orizzonte “salico” (tabella 4), mentre l’accumulo di sodio sul complesso di scambio è responsabile della formazione di un altro particolare orizzonte
diagnostico, chiamato orizzonte “natrico” (tabella 5).
Nei suoli ad elevato contenuto di carbonati,
il movimento discendente può dare origine a
processi di decarbonatazione e carbonatazione
secondaria, con formazione di un orizzonte definito “calcico” (tabella 6).
4. La situazione italiana
I processi di salinizzazione secondaria dei suoli
determinati dall’irrigazione con acque saline, sono evidenti anche nel nostro Paese ove la situazione al riguardo non si presenta certo rosea. Ciò è particolarmente vero nelle aree centro-meridionali ed insulari. Anche se nel nostro
Paese, ancora oggi, non è disponibile una cartografia di dettaglio che dia conto delle caratteristiche e della distribuzione dei suoli salini,
471
Dazzi C.
Tabella 5. Definizioni dell’orizzonte natrico.
Table 5. Definitions of the natric horizon.
Sistema di riferimento
Definizione
Soil Taxonomy Soil Survey Staff, 2003
L’orizzonte natrico ha, oltre le proprietà dell’orizzonte argillico: struttura a colonne, o
prismi, in alcune parti (generalmente nella parte superiore) che possono rompersi a blocchi; un ESP >15, o un SAR > 13 nei suoi primi 40 cm; (magnesio sc. + sodio sc.) > (calcio sc. + acidità sc.) a pH 8,2 in uno o più orizzonti nei nei suoi primi 40 cm.
FAO Rev. Legend
FAO-UNESCO, 1990
L’orizzonte natrico ha, oltre le proprietà dell’orizzonte argillico: struttura a colonne, o
prismi, in alcune parti dell’orizzonte B; un ESP >15 nei suoi primi 40 cm; (magnesio sc.
+ sodio sc.) > (calcio sc. + acidità sc.) a pH 8,2 nei suoi primi 40 cm.
World Reference Base
IUSS-ISRIC, 1998
Orizzonte sottosuperficiale corrispondente alla definizione di orizzonte argico, con struttura
prismatica o colonnare; ESP > 15, con (magnesio sc. + sodio sc.) > (calcio sc. + acidità
sc.); spessore di almeno un decimo della somma degli orizzonti soprastanti e almeno di
7,5 cm;
Referentiel Pedologique
AFES, 1995
Orizzonte caratterizzato da una struttura degradata e compatta determinata da un tenore
in sodio di scambio almeno del 15% o anche minore in rapporto alla natura delle argille presenti.
una recente indagine conoscitiva (Dazzi et al.,
2005) ha messo in evidenza come questi risultino prevalentemente distribuiti nella bassa padana, in lunghi tratti del litorale tirrenico e
adriatico, nella fascia costiera della Puglia, della Basilicata e della Sardegna e in ampi tratti
della Sicilia (figura 1).
Probabilmente è in Sicilia che il problema
della salinizzazione secondaria dei suoli per irrigazione è maggiormente acuto, e ciò è da mettere in relazione non solo con la natura dei suoli presenti ma anche con la qualità delle acque
disponibili per l’irrigazione. Uno studio abbastanza recente (Fierotti et al., 1998) condotto allo scopo di monitorare la qualità delle acque di
16 serbatoi artificiali (7 dislocati nella Sicilia occidentale, 5 nella Sicilia centro-meridionale e 4
nella Sicilia orientale) ha permesso di accertare
come, queste acque, evidenzino valori più o meno elevati di salinità anche in un periodo insolitamente piovoso quale quello durante il quale
è stata condotta la ricerca (giugno 1995 - giugno 1996).
Per essi, più che per altri suoli, è necessario
tenere conto dei limiti posti dalla bassa permeabilità, dall’elevata capacità di ritenzione
idrica, dalla degradabilità della struttura, dal tipo di profilo del suolo e, in ultimo ma non per
ultimo, dal tipo di argille presenti: ove predominano le argille smectitiche, infatti, la struttura del suolo mostra gravi problemi di deterioramento già con acque che mostrano valori del
rapporto di assorbimento del sodio (adjRNa)
superiori a 9; laddove prevalgono le illiti e le
Tabella 6. Definizioni dell’orizzonte calcico.
Table 6. Definitions of the calcic horizon.
Sistema di riferimento
Definizione
Soil Taxonomy –
Soil Survey Staff,
2003
L’orizzonte calcico è un orizzonte illuviale in cui carbonato di calcio secondario o altri
carbonati si sono accumulati in modo significativo; è spesso almeno 15 cm, non è
cementato (→ petrocalcico), ha più del 15 % di CaCO3.
FAO Rev. Legend
FAO-UNESCO 1990
Orizzonte con accumulo di carbonato di calcio secondario, spesso più di 15 cm, che
contiene il 15% o più di CaCO3 e almeno il 5% in più rispetto al contenuto dell’orizzonte C.
World Reference Base
IUSS-ISRIC, 1998
Orizzonte con accumulo di CaCO3 secondario, sia in forma diffusa (∅ < 1 mm) che in
forma di concrezioni; ha più del 15% di CaCO3 equivalente (se è > 50% si parla di ipercalcico); è spesso più di 15 cm.
Referentiel Pedologique
AFES, 1995
Orizzonte con accumulo di carbonato di calcio secondario, con forme di concentrazione
non indurite, costituenti più del 15% dell’orizzonte in volume.
472
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:467-474
dionale dell’isola, ove la pratica irrigua continuata nel tempo ha determinato e determina,
accumulo di sali solubili nel suolo. Sono da segnalare anche suoli affetti da salinità per cause
naturali, legate alla presenza di substrati argillosi di origine marina.
5. Conclusioni
Figura 1. Le aree evidenziate in nero indicano la distribuzione dei suoli salini in Italia. Per la Sicilia, come descritto nel testo, sono compresi anche i suoli gessosi (da Dazzi
2005).
Figure 1. Black areas indicate the distribution of saline soils
in Italy. In Sicily, as reported in the work, they include also the gypsiferous soils (from Dazzi, 2005).
vermiculiti la struttura si degrada con valori di
adjRNa superiori a 16 mentre i suoli caolinitici
o ricchi in sesquiossidi cominciano a mostrare
un deterioramento della struttura per valori di
adjRNa superiori a 26. Ne consegue che il processo della sodicizzazione, soprattutto in questi
ambienti, è più grave di quello della salinizzazione. Spesso, tuttavia, le due forme di salinità
coesistono, come accade per alcuni suoli della
piana di Licata che sono divenuti al contempo
salini (con orizzonte salico) ed alcalini (con orizzonte natrico) nell’arco di una sola stagione irrigua (Indorante et al., 2001).
Attualmente in Sicilia, circa il 10% della superficie totale, cioè grossomodo 250.000 ettari,
è interessata da suoli affetti da salinità (Dazzi,
1999). La loro distribuzione è dovuta in parte
alla presenza della Serie Gessoso-Solfifera, in
parte è indotta dall’irrigazione; i primi sono particolarmente presenti nelle province di Caltanissetta e di Agrigento, cioè nella zona centrale e meridionale dell’isola, gli altri si rinvengono prevalentemente nella fascia costiera meri-
L’Accademia Nazionale delle Scienze degli Stati Uniti d’America considera la salinizzazione
del suolo come uno dei principali processi che
contribuiscono alla desertificazione dei suoli a
livello planetario (Francois e Maas, 1994). Questo processo, che con sempre maggiore frequenza è di origine antropica, rappresenta un
problema particolarmente acuto ed in continua
crescita nelle regioni del bacino del Mediterraneo ed ha la tendenza ad aumentare sempre di
più, in virtù della necessità di ricorrere all’irrigazione (Pla Sentis, 1996).
I problemi posti dai suoli salini per il loro
miglioramento e riscatto all’agricoltura, sono
quanto mai complessi e divengono anche più
complicati per il fatto che nelle relazioni acquasuolo interagiscono due diverse espressioni di
qualità: quella relativa all’acqua e quella relativa al suolo, che si influenzano a vicenda. Anche
con acque saline, l’irrigazione determina una serie di mutamenti nel suolo, la cui intensità dipende da alcuni importanti parametri che ne sono indicatori di qualità, primi fra tutti, struttura, capacità di ritenzione idrica, condizioni di
drenaggio, permeabilità.
Un metodo unico, sempre valido, universalmente applicabile per il controllo della salinità
non esiste. Di volta in volta, occorre ricorrere
alla combinazione di diverse pratiche che devono integrarsi fra loro, ed essere scelte secondo
i casi, tenendo sempre presente che le azioni
volte alla prevenzione dei processi di salinizzazione devono avere la priorità sulle azioni di recupero, poiché la salinità costituisce sostanzialmente un fattore di stress che influenza seriamente i parametri delle qualità dei suoli, e che
finisce per influenzare la stessa qualità della vita dell’uomo se è vero, come è vero, che quanto bassa è la qualità del Suolo, tanto bassa è la
qualità della vita dell’Uomo (Dazzi, 2002).
L’espansione della superficie irrigua dovrà
tenere conto della disponibilità di risorse idri-
473
Dazzi C.
che, della competizione esistente fra usi alternativi dell’acqua e della qualità di quest’ultima, oltre
che delle condizioni ambientali, climatiche, pedologiche e socio-economiche (Hillel e Vlek, 2005).
Il problema interessa anche i paesi industrializzati dove la competizione tra i diversi settori per l’uso delle acque, ha indirizzato verso il
reperimento di risorse idriche alternative, quali
acque saline o reflue urbane.
In queste condizioni è imperativo il ricorso
a precise strategie dirette a migliorare la gestione delle risorse idriche, aumentarne l’efficienza d’uso, evitare i pericoli di inquinamento
dei suoli e delle falde idriche, razionalizzare l’uso irriguo delle acque anomale, i cui effetti sul
suolo e sulle colture possono risultare estremamente gravi, coniugando l’esigenza prioritaria di
assicurare la nutrizione umana, con quella altrettanto importante di salvaguardare le risorse
ambientali, prime fra tutte il suolo e l’acqua.
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Efficienza d’uso dell’acqua nelle produzioni vegetali
a diverse scale spazio-temporali
Bruno Basso*
Dipartimento di Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente,
Università della Basilicata
Via Ateno Lucano 10, 85100 Potenza
Società Italiana di Agronomia
Riassunto
Il concetto di efficienza d’uso dell’acqua, water use efficiency (WUE), vale a dire la quantità di granella prodotta
per mm di acqua utilizzata, ha origine da misurazioni di campo e gran parte del suo sviluppo teorico è dipeso dalla scala di applicazione. Per aumentare la produzione agricola in condizioni idriche limitate, è necessario abbinare
alle cultivar migliori una gestione agronomica appropriata. Infatti, studi condotti in diverse parti del mondo hanno
dimostrato che pratiche agronomiche in grado di ridurre perdite di acqua per evaporazione, ruscellamento e drenaggio ed incrementare la produzione, indirettamente incrementano anche la WUE. Lo scopo della presente review
è quello di presentare lo stato dell’arte nel settore della WUE, i traguardi raggiunti e le prospettive future per una
migliore gestione delle risorse idriche nelle produzioni vegetali. I risultati conseguiti saranno presentati considerando il ruolo fondamentale che la scala spazio-temporale ricopre nell’applicazione di tali innovazioni.
Parole chiave: efficienza d’uso dell’acqua, ET, coefficienti colturali, modelli, irrigazione.
Summary
WATER USE EFFICIENCY IN CROP PRODUCTION AT DIFFERENT SPATIAL AND TEMPORAL SCALES
Water is essential for plant life but it is also the most limiting factor for their growth. The temporal variation in the
supply of soil water from precipitation, the spatial variability of soil factors and landscape irregularities influencing
soil water supply for crop plants affect food production and create a risky environment for growing crops. Increases in crop production per unit of water used is imperative for supplying adequate food, feed and fiber in an environment where future water supplies are not expected to increase substantially. Field studies indicate that when
yield from crops with common development patterns are increased by better crop management, water use efficiency
(WUE) is also increased. Increased yields from genetic improvement usually result in an increased WUE with the
possible exception where season length is different. The objective of this review is to present the state of the art of
research in the field of WUE and future perspective to optimize water resources in agriculture. Significant results
will be presented considering the important issue of spatial and temporal scale.
Key-words: Water use efficiency, ET, crop coefficients, models, irrigation.
1. Inquadramento del problema
L’acqua è un bene prezioso, rinnovabile ma limitato. È stata definita “l’oro blu del XXI secolo”, vista la sua importanza ed il ruolo cruciale che riveste in tutti i settori primari. Volendo fornire alcuni dati si resta sbalorditi dalla limitata disponibilità d’acqua dolce presente
*
nel nostro pianeta. In totale l’acqua esistente
sulla terra è pari a circa 1.400.000.000 km3; essa è in prevalenza salata ed è raccolta per il
97,2% negli oceani. Il rimanente, meno del 3%,
è dolce; di questa, la parte più consistente
(28.000.000 km3, pari al 2,15%) è bloccata nelle calotte polari e nei ghiacciai. I laghi di acqua
dolce hanno un volume di 120.000 km3 (0,009%
Autore corrispondente: tel: +39 0971 205387; fax: +39 0971 205378. Indirizzo e-mail: bruno.basso@unibas.it
475
Basso B.
del globo terrestre), quelli salati o i mari interni sono all’incirca equivalenti. I canali fluviali,
in media, raccolgono 1.200 km3 (0,0001%); le acque sotterranee ammontano indicativamente a
8.064.000 km3 (0,62%). Questo significa che le
acque dolci disponibili sono una parte piccola
di tutta la massa idrica; esse sono all’interno del
ciclo che, alimentato dall’energia solare, in un
flusso continuo, combinato con la circolazione
dell’aria, si muove dalle superfici degli oceani
alla terra ferma e ancora agli oceani in uno
straordinario movimento senza fine (FAO,
2006).
In effetti, se si considera che la disponibilità
idrica minima per abitante è calcolata in 1.700
m3 l’anno, attualmente un miliardo e quattrocento milioni di persone non hanno accesso all’acqua nella misura minima pro-capite e secondo l’UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) circa diecimila esseri umani
muoiono ogni giorno per mancanza d’acqua. Si
prevede che nel 2020 il numero delle persone
che non avranno accesso all’acqua arriverà a
quattro miliardi, cioè la metà della popolazione
mondiale.
Su scala mondiale, l’applicazione dell’acqua
in agricoltura e il consumo controllato delle risorse idriche sono stati fattori essenziali per l’incremento della produttività agricola e per assicurare la costanza dei risultati produttivi. L’acqua è una risorsa essenziale per esprimere il potenziale di resa del suolo e per permettere a specie di piante e di animali, con potenzialità produttive superiori, di sfruttare i fattori che ne accrescono il rendimento. Grazie all’incremento
della produttività, la gestione idrica sostenibile
(soprattutto se combinata con un’attenta gestione del suolo) contribuisce a garantire una
produzione agricola di qualità superiore sia per
il consumo diretto che per la vendita commerciale, generando surplus economici necessari alle economie rurali. A partire dagli anni ’60, la
produzione alimentare globale è riuscita per lo
meno a stare al passo con la crescita della popolazione mondiale, fornendo maggiori quantità
di cibo pro- capite a prezzi generalmente sempre più bassi, ma a un costo eccessivo per le risorse idriche del pianeta. Alla fine del XX secolo, a livello mondiale l’agricoltura consumava
mediamente il 70% di tutti i prelevamenti idrici e la FAO calcola che entro il 2030 le estrazioni idriche mondiali per l’irrigazione aumen-
476
teranno di circa il 14%. Anche se si tratta di un
tasso di crescita più basso di quello registrato
negli anni ’90, a livello locale e, in alcuni casi, a
livello regionale, si prevede che la crisi idrica subirà un ulteriore inasprimento, riducendo la
produzione alimentare locale (Tilman et al.,
2002).
Il miglioramento della gestione dell’acqua
nell’agricoltura irrigua e in quella non irrigua
avrà un ruolo chiave nella lotta contro la crisi
idrica prevista in futuro. Le organizzazioni delle Nazioni Unite per l’Agricoltura e l’Alimentazione (FAO) e CGIAR (Consultative Group
for International Agriculture Research) hanno
istituito reti di eccellenza e programmi di ricerca per combattere il problema della riduzione
della disponibilità idrica per l’agricoltura ed altri usi, accompagnata dalla riduzione delle superfici di terreni coltivabili ed all’aumento di richiesta di alimenti dovuto all’incremento della
popolazione mondiale. A tal proposito tali reti
e programmi hanno come obiettivo principale il
miglioramento della gestione delle risorse idriche nel mondo. Per produttività dell’uso delle
acque, si intende il perseguimento del maggior
raccolto utile possibile per volume d’acqua –
more crop per drop (“più raccolto per acqua impiegata”). Gli agricoltori più attenti al profitto
potrebbero mirare ad ottenere la massima redditività per unità d’acqua impiegate – more dollars per drop (“più dollari per acqua impiegata”), mentre gli amministratori e i politici delle
comunità locali potrebbero essere più propensi
al raggiungimento del massimo livello occupazionale e di profitto attraverso l’agricoltura –
more jobs per drop (“più posti di lavoro per acqua impiegata”). Pertanto, in senso lato, sono
molteplici i benefici economici che l’incremento della produttività in agricoltura può generare per ogni unità d’acqua prelevata dalle fonti
naturali.
I cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo di certo non aiutano a migliorare la
drammatica situazione dell’acqua. Il Comitato
Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici
(Intergovernmental Panel on Climate Change,
IPCC) ritiene che la temperatura media del pianeta sia aumentata di circa 0,6 °C dal 1861. Inoltre, sulla base delle tendenze attuali di emissione dei gas serra, si stima un ulteriore aumento
della temperatura terrestre compreso tra 1,4 e
5,8 °C nel periodo 1990-2100 (Hasselman, 1997;
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:475-495
Melillo, 1999). Le variazioni climatiche previste
potrebbero far aumentare il rischio di erosione
del suolo e accelerare i processi di desertificazione per aumento di aridità e degradazione dei
suoli. I processi degenerativi del suolo sono direttamente legati alle caratteristiche delle precipitazioni, ossia la frequenza di eventi piovosi
ed alla forza erosiva della pioggia stessa. La diminuzione prevista nel rapporto precipitazioneevapotraspirazione potenziale (P/ETo) avrà un
effetto particolarmente negativo su vegetazione
e terreni in aree che si trovano già in un regime di disponibilità idrica marginale.
Gli impatti negativi dei cambiamenti climatici previsti dai Global Circulation Models
(GCM) potrebbero essere in parte controbilanciati dall’incremento della concentrazione atmosferica di anidride carbonica (CO2) (Robertson et al., 2002). È ormai dimostrato, infatti, che
la risposta delle colture a concentrazioni di anidride carbonica superiori a quelle attuali è in
generale positiva (Policy et. al 1993; Smith et al.,
2000), specialmente per le specie C3, con un aumento dei raccolti da circa il 10-15% nel frumento (Kimball, 1995; Miglietta et al., 1996; Rosenzweig e Hillel, 1999; Tubiello et al., 2002), al
15-20% nella vite (Bindi et al., 1995), al 20-30%
nella patata (Miglietta, 1997). A sua volta però
l’effetto positivo dell’incremento della CO2 sui
raccolti è controbilanciato dall’incremento di
temperatura dell’aria che influisce negativamente sulla produzione, a causa dell’accelerazione dello sviluppo fenologico, riducendo così
i tempi di accumulo di carboidrati nella granella. Teramura et al. (2000) hanno inoltre dimostrato che se gli aumenti di CO2 avvengono contemporaneamente ad aumenti di radiazioni ultraviolette-B, gli effetti positivi della CO2 vengono cancellati.
Mentre la rivoluzione verde ha portato allo
sviluppo di nuove cultivar di frumento e di riso
adatte ad elevati input di fertilizzante e d’acqua,
in molte regioni del mondo la sopravvivenza dipende dall’agricoltura in regime asciutto, cosiddetta dryland e rainfed. La mancata disponibilità di acqua prevista per il futuro (Seckler et
al., 1999; Turner, 2001) accompagnata da un aumento della competizione per usi civili ed industriali, farà sì che l’agricoltura dipenda sempre di più dai soli apporti idrici naturali. La produzione agricola ottenuta mediante un’efficienza d’uso dell’acqua elevata sarà in futuro l’o-
biettivo principale della gestione agronomica di
qualsiasi agricoltore.
Quali sono i metodi e le conoscenze a disposizione delle scienze agronomiche che consentano di ottimizzare l’uso delle risorse idriche
al fine di produrre con il minor consumo di acqua possibile? L’obiettivo di questa review è
quello di rispondere a questa domanda discutendo i progressi ottenuti nelle scienze agronomiche ed affini negli ultimi anni che consentono di aumentare l’efficienza d’uso delle precipitazioni e dell’irrigazione, ovvero la quantità di
granella per mm di acqua utilizzata, sia in ambienti aridi che umidi. Tali risultati saranno presentati considerando il ruolo fondamentale che
la scala spazio-temporale ricopre nell’applicazione di tali innovazioni. Nella review non mi
sono preoccupato di riportare la miriade di risultati ottenuti da vari scienziati nel settore della WUE, ma bensì di selezionare i principali studi pubblicati su riviste scientifiche del settore
sulla WUE, dalla foglia alla singola pianta fino
alla scala di campo (figura 1). Inoltre sono discusse singolarmente le componenti dell’equazione proposta da Passioura (1977) per incrementare la produzione in ambienti aridi. Relazioni tra evapotraspirazione, irrigazione supplementare, WUE sono descritte nei paragrafi successivi. Le ultime innovazioni sui progressi ottenuti nel settore della tecnologia legata all’agricoltura, come la gestione dell’irrigazione a
dose variabile, sono descritte nell’ultimo paragrafo della review.
2. Scale temporali di risposte fisiologiche allo
stress idrico
Le risposte fisiologiche da parte di piante soggette a diverse condizioni ambientali avvengono su scale spazio-temporali differenti. Per
esempio, gli stomi variano in numero e densità
in risposta a condizioni climatiche, quali la concentrazione di CO2, la luce ecc (Hetherington
and Woodward, 2003). Lake et al., 2002 hanno
dimostrato che foglie mature sono in grado di
trasmettere a foglie giovani informazioni relative alle condizioni ambientali che modificano lo
sviluppo degli stomi. Gli stomi si adattano a modifiche climatiche locali e globali e a diverse scale temporali, da minuti a millenni (Hetherington e Woodward, 2003). Passioura (2004) pre-
477
Basso B.
! ., $%&' ! ! #! / , () *
Figura 1. Scale spaziali: stomi, piante, campo (a). Traspirazione (mm y-1) della vegetazione terrestre simulata utilizzando il
modello SDGVM e mediata per gli anni 90 (b). Da Hetherington and Woodward, 2003.
Figure 1. Spatial scales: stomata, plant and field (a). Traspiration (mm y-1) of terrestrial vegetation simulated with SDGVM
model and averaged for the 90s (b). From Hetherington and Woodward, 2003.
senta una serie di esempi di processi e loro ripercussioni su scala spazio-temporali (tabella 1).
Mentre è chiaro che l’efficienza d’uso dell’acqua è bassa in colture affette da attacchi parassitari o infestate da malerbe, ci sono altri
aspetti della gestione agronomica che influenzano in maniera sostanziale tale efficienza d’uso. Hatfield et al. (2001) nella loro dettagliata
revisione sui vari aspetti di gestione conservativa del suolo e mantenimento dei residui colturali suggeriscono che tali pratiche influenzano,
in maniera positiva il bilancio idrico del suolo,
incrementando l’infiltrazione e riducendo l’evaporazione. Kirkeegard et al. (2004) sottolineano
l’importanza della coltura precedente per migliorare il vigore vegetativo nei primi stadi di
sviluppo e conseguentemente di ridurre la superficie di suolo soggetta ad evaporazione. Tutte queste tecniche, come qualsiasi altra corretta
478
forma di gestione del suolo (Rasmussen et al.,
1998; Borin e Basso, 2004), influenzano l’efficienza d’uso dell’acqua, ma non coinvolgono direttamente le relazioni idriche delle piante.
Il ruolo delle relazioni idriche nel controllo
della crescita fogliare in condizioni di stress idrico è stato argomento di studio di diversi fisiologi vegetali negli ultimi anni. Alcuni autori sostengono che il turgore cellulare ed il contenuto idrico della foglia influenzano significativamente la crescita fogliare (Frensch, 1997; Hsiao
et al., 1998; Kramer, 1998), mentre altri hanno
sottolineato il ruolo dei segnali inviati dalle radici (Passioura, 1988a,b; Termaat et al., 1988;
Saab e Sharp, 1989; Gowing et al., 1990). Più in
particolare, i segnali inviati dalle radici in presenza di stress potrebbero essere ormoni del tipo dell’acido abscissico (Davies e Zhang, 1991)
o segnali di natura chimica come il pH (Bacon,
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:475-495
Tabella 1. Effetti di processi su varie scale sull’uso efficiente dell’acqua da parte delle colture per la produzione di granella. Da Passioura, 2006.
Table 1. The effects of processes at various scales on the effective use of water by crop plants in producing grains. From
Passioura, 2006.
Scale spaziale
Scala temporale
Effetto su WUE
Processo
Cloroplasto
secondi
moderato
Stomi
Foglia
Fiori
minuti-ore
secondi-ore
Ore-giorni-settimane
moderato
moderato
alto
Parte epigea e
sistema radicale
Campo
settimane-mesi
moderato
conduttanza stomatica e tasso di scambio istantaneo
tra CO2 e acqua
tasso di scambio istantaneo tra carbonio e acqua
effetto su strato superficiale, esposizione
harvest index, corrispondenza tra fasi fenologiche e
apporto idrico, fertilità fiorale, trasferimento di assimilati
LAI, bilancio idrico, profondità radicale
stagioni
moderato
1998). I pareri sul ruolo del contenuto idrico nei
tessuti vegetali sono molto discordi. Uno dei
motivi per i quali c’è confusione è determinato
dal ruolo fondamentale della scala temporale alla quale è stata fatta la sperimentazione.
Cambiamenti drastici e repentini delle condizioni ambientali sul contenuto idrico dei tessuti vegetali riducono il tasso di allungamento
delle foglie, ma solo in maniera temporanea,
cioè per poche ore. Se lo stress persiste, la riduzione si protrae anche più a lungo. Passioura
e Munns (2000) hanno dimostrato che piante di
orzo e frumento sottoposte a stress idrici e salini, ma con radici in pressione in modo tale da
mantenere il turgore cellulare, non riducono il
tasso di allungamento fogliare per diverse ore.
Alla scala temporale di giorni, però, la pressurizzazione delle radici non è sufficiente a mantenere alti tassi di allungamento fogliare, indicando che i messaggi inviati dalle radici prevalgono sugli effetti del turgore cellulare e le relazioni idriche fogliari. Le modifiche rapide che
avvengono nelle piante sottoposte a shock ambientali repentini non hanno ripercussioni su
scala giornaliera o sulla produzione finale.
Esiste un’estesa letteratura sulle risposte fisiologiche agli stress, ma come osservato già da
Slatyer (1969) è difficile associare le risposte
delle piante alla produzione finale. Diversi studi sulla determinazione dello stato idrico delle
foglie sono stati basati sull’idea che la diffusione stomatica fogliare dovesse essere il fattore
primario da monitorare, visto che la chiusura
degli stomi è strettamente legata alla fotosintesi ed alla traspirazione. Successivamente comparvero sul mercato sistemi di misura per la re-
movimento laterale (runon-runoff), variabilità spaziale, effetto residuo colture precedenti
sistenza stomatica (Kanemasu et al., 1969). Uno
degli svantaggi di questo approccio stava nella
difficoltà di ottenere un valore singolo per l’intera chioma da utilizzare nelle equazioni di evaporazione. Inoltre uno dei motivi per il quale
misure di resistenza stomatica hanno fornito risultati limitati deriva dal fatto che la pianta subisce danni irreversibili, prima che misure di resistenza stomatica possano fornire indicazioni
apprezzabili. Un’altra misura fisica molto utilizzata per il monitoraggio dello stato idrico delle
piante è il potenziale idrico fogliare (Scholander et al., 1965). Esistono ormai seri dubbi sull’utilità fisiologica di misurare il potenziale idrico fogliare (Ritchie, 1980; Sinclair e Ludlow,
1985; Passioura, 1994). Quando le condizioni atmosferiche sono costanti, non ci sono variazioni nelle misure del potenziale idrico fogliare
(anche se il contenuto idrico del suolo sta diminuendo), fino al raggiungimento di una soglia
oltre la quale si osservano rapidi cambiamenti
nei valori (van Bavel, 1967; Ritchie, 1973). Begg
e Turner (1976) hanno visto che la soglia di potenziale idrico varia in funzione della posizione
della foglia nella chioma, l’età della pianta e le
condizioni di crescita, come per esempio il numero di cicli di stress subiti o se la pianta è coltivata in campo o in ambiente controllato. Jordan e Ritchie (1971) hanno osservato la chiusura di stomi di piante di cotone coltivate in camera di crescita a potenziale di -1,6 Mpa, mentre stomi di piante coltivate in campo restano
ancora aperti al potenziale fogliare di -2,7 Mpa.
Per questo motivo, misure di potenziali idrico
hanno avuto poco successo nel quantificare
stress idrici o nel fornire indicazioni su quando
479
Basso B.
irrigare. Le piante reagiscono agli stressi idrici
prima che sia possibile osservare un cambiamento nelle misure di potenziale idrico fogliare
(Davies e Zhang, 1991). Quando il tasso di crescita delle foglie diminuisce, gli stomi si chiudono, apparentemente in risposta ai segnali ricevuti dalle radici che esplorano il suolo asciutto. Evidenza della mancata relazione tra potenziale idrico ed il tasso di estensione fogliare in
una pianta di mais è fornita nella figura 2. Watt
(1974) confrontò misure prese in campo con misure in ambiente controllato. Un ulteriore esempio per sottolineare le differenze riscontrabili
tra studi su piante in vaso o in pieno campo provengono da Denmead e Shaw (1962) che coltivarono piante di mais in vasi mentre Ritchie
(1973) coltivò piante in grandi lisimetri a pesata. Nello studio dei vasi, la traspirazione fu ridotta in condizioni di alta richiesta evapotraspirativa da parte dell’atmosfera ed in seguito
ad una lieve riduzione del contenuto idrico del
suolo. Nello studio di pieno campo di Ritchie
(1973) le piante non ridussero la traspirazione
anche se il 70% dell’acqua estraibile era già stato utilizzato. Studi di stress idrico in ambiente
controllato possono considerarsi corretti ed
estrapolabili in pieno campo purché la quantità
di suolo a disposizione delle piante non sia limitata, condizione tipica del pieno campo.
Vista la difficoltà nell’usare informazioni su
resistenza stomatica o potenziale idrico fogliare
per fini operativi, per determinare gli effetti dello stress idrico sul comportamento della coltu-
Tasso relativo del processo
1
Tasso allugamento fogliare
3
2.5
2
1.5
1
0.5
-2
0
Potenziale idrico fogliare (bars)
Figura 2. Relazione tra allugamento fogliare e potenziale
idrico fogliare per una coltura di mais in campo , o in ambiente controllato buio a 28 °C ▲, o in ambiente controllato alla luce a 30 °C ●. Da Watts (1974).
Figure 2. Relationship between leaf extension and leaf water potential for corn growth in the field , or grown in
controlled environment in the dark at 28 °C▲, or in the light at 30 °C ●. From Watts (1974).
480
Fotosintesi e traspirazione
0
0.1
0.2
0.3
0.4
0.5
0.6
0.7
Figure 3. Suggested possibilities for expressing the influence of extractable soil water on the relative rate of various
physiological processes. From Ritchie, 1980.
4
-4
0.2
Figura 3. Influenza dell’acqua disponibile massima dal suolo sul tasso relativo di vari processi fisiologici. Da Ritchie,
1980.
3.5
-6
Allungamento fogliare
0.4
Frazione dell'acqua disponibile massima nella zona radicale
5
-8
0.6
0
4.5
0
-10
Aborto dei semi
0.8
ra, sono necessarie valutazioni empiriche di vari processi in relazione allo stress idrico. Questo
tipo di valutazione è stata suggerita da Ritchie
(1980). Riconoscendo che lo stress idrico causa
risposte variabili per diversi processi fisiologici,
la serie di relazioni fornite da Ritchie è riportata in figura 3. Il concetto generale è che non
vi è riduzione nel processo considerato finché
la quantità di acqua estraibile non va oltre una
soglia, oltre la quale il processo è ridotto in proporzione all’acqua estraibile. Per esempio, il
processo di allungamento fogliare è più sensibile al deficit del contenuto idrico del suolo rispetto ad altri processi e l’allungamento fogliare termina anche se dell’acqua nel suolo è ancora disponibile. Allo stesso modo, variazioni di
processi possono essere causate da eccessivi
contenuti idrici e problemi di aerazione.
Un problema pratico con le relazioni mostrate è rappresentato dalla definizione di acqua
disponibile massima. Il metodo tradizionale usato dagli agronomi è quello di utilizzare il contenuto idrico della zona di esplorazione delle radici tra capacità di campo (CIC) e punto di appassimento (PA). I problemi legati a tale definizione sono dovuti alla difficoltà di stabilire la
profondità della zona esplorabile dalle radici, i
valori dei limiti idraulici CC e PA e la densità
apparente del suolo della zona radicale dove le
proprietà fisiche cambiano. Quando CC e PA
sono determinati in laboratorio, c’è incertezza
su quale potenziale utilizzare. Un potenziale di
meno un terzo di bar è spesso più basso delle
misure ottenute in pieno campo (Ritchie, 1980,
Ritchie, 1998). La quantificazione dei limiti
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:475-495
idraulici in campo risulta essere più precisa rispetto ai metodi di laboratorio sia per i valori
dei limiti che per la definizione di acqua estraibile in quanto tiene in considerazione il ruolo
fondamentale delle radici nei vari strati del suolo. Inoltre misure in campo di limiti idraulici risultano essere meno variabili spazialmente, rispetto alle misure di potenziale effettuate in laboratorio. Ritchie et al. (1987) hanno individuato in diversi suoli una riduzione della capacità dell’apparato radicale ad estrarre acqua da
regioni profonde del profilo. In tali zone, pur essendo presenti strutture radicali, è controverso
se l’acqua possa essere classificata come disponibile perché le piante non riescono ad estrarla
anche se essa si trova a valori di potenziale matriciale vicini a quelli della capacità di campo.
Ritchie ed Amato (1990) individuano fra le possibili ragioni del ridotto accesso all’acqua in tali casi, la distribuzione spaziale delle radici
profonde, che sono spesso confinate in biopori,
crepe o comunque zone limitate e non hanno
accesso all’intera riserva idrica.
3. Efficienza d’uso dell’acqua a livello stomatico
Le piante differiscono nella capacità di regolare quanta acqua viene persa per unità di carbonio assorbita. Tali differenze dipendono dalle
diverse capacità d’uso dell’acqua. Il termine utilizzato per spiegare tale comportamento è Intrinsic Water Use Efficiency Wt (Condon et al.,
2002) definito come:
Wt = A/T
dove A indica il tasso istantaneo dell’assimilazione di CO2 a livello stomatico e T la traspirazione. Sia A che T possono essere espresse separatamente con le seguenti equazioni:
A = gc (ca-ci)
T = gw(wi-wa)
Il fattore g indica la conduttanza stomatica
per la CO2 (gc) o per il vapore acqueo (gw), il
termine ca indica la concentrazione di CO2 o vapore acqueo wa all’esterno della foglia, ci e wi
indicano rispettivamente le concentrazioni di
CO2 e vapore acqueo all’interno della foglia.
La concentrazione di vapore acqueo all’interno della foglia è maggiore rispetto all’esterno,
mentre discorso inverso avviene per la CO2,
dove la contrazione è maggiore all’esterno della foglia.
Wt può essere anche riscritta:
ci
)
ca
wi
wa
(1 −
Wt = 0.6ca
Il fattore 0.6 indica la diffusività relativa di
CO2 e vapore acqueo nell’aria. Farquhar et al.
(1989) hanno riportato che un valore tipico per
specie C3 del rapporto ci/ca è di 0.7. Tale valore è determinato dal bilancio tra conduttanza
stomatica e capacità di fissazione fotosintetica.
La conduttanza stomatica influenza l’apporto di
CO2 all’interno della foglia, mentre la capacità
fotosintetica determina la richiesta di CO2. Un
valore basso di ci/ca e quindi di una migliore
Wt può essere ottenuto mediante bassa conduttanza stomatica o elevata capacità fotosintetica o la combinazione di entrambe.
Uno dei metodi più promettenti per migliorare l’efficienza traspirativa è la discriminazione isotopica del carbonio (13C). Tale metodo è
stato identificato come un’ottima tecnica alternativa alla Wt. Circa l’1% del carbonio della
biosfera si trova nella forma di isotopo stabile
13
C. Le piante, durante la fotosintesi discriminano contro l’isotopo pesante 13C e, pertanto, i
prodotti fotosintetici risultanti sono alleggeriti
isotopicamente rispetto alla CO2 atmosferica.
La composizione isotopica (13C) esprime il rapporto tra 13C/12C nelle piante rispetto al valore
dello stesso rapporto in un materiale standard
internazionale come la calce Pee Dee Belemnite. La discriminazione isotopica del C, invece, è
una misura del rapporto 13C/12C nelle piante rispetto al valore del rapporto nell’aria dove le
piante vivono (Farquhar e Richards, 1984). La
riduzione di 13CO2 a favore di 12CO2 durante
l’ingresso della 13CO2 negli stomi nella fotosintesi di piante C3 è altamente correlata con l’efficienza traspirativa della pianta. La 13C può essere utilizzata per esaminare stress idrici in
piante C3 perchè il ribulosio difosfato carbossilasi (RuBisCO), che catalizza la reazione tra
CO2 e ribulosio bifosfato per formare 3 molecole di 3-acido fosfoglicerico, discrimina la
13
CO2. Se non vi è deficienza idrica, gli stomi sono aperti e la discriminazione è alta.
La teoria è stata studiata da Farquhar et al.
481
Basso B.
(1982) e altri scienziati (Hubick e Farquhar,
1989; Condon et al., 1992; Ismail e Hall, 1992) i
quali hanno concluso che 13C è correlata positivamente con il rapporto ci/ca e visto che Wt è
correlata negativamente con il rapport ci/ca,
_13C risulta anche essa correlata negativamente
con Wt. Tale tecnica risulta semplice da utilizzare e più rapida rispetto alle stime dirette di
efficienza traspirativi (TE), ma fornisce i risultati migliori quando la coltura dipende principalmente dall’umidità accumulata nel suolo nei
periodi precedenti alla coltivazione. In questi
ambienti, la traspirazione costituisce la maggior
parte dell’uso dell’acqua, per cui una maggiore
TE consente di conservare l’acqua fino e dopo
l’antesi, fase cruciale per la determinazione della produzione finale in ambienti di estrema siccità. A tal proposito, la 13C viene utilizzata per
costituire nuove varietà di frumento con elevata efficienza traspirativa. Un esempio pratico è
quello della varietà Hartog (Rebetzke et al.,
2002) che ha fatto registrare aumenti di produzione del 10% in ambienti aridi con circa 250
mm di precipitazione stagionale. La tecnica di
13
C è stata anche utilizzata per determinare cause di variabilità della produzione dovute a stress
idrico su scala di campo in una coltura di soia,
come riportato da Clay et al. (2003).
Un limite all’uso della 13C risiede nel costo.
Tecniche alternative che consentano di identificare in maniera rapida le popolazioni da poter
utilizzare nella 13C sono: contenuto delle ceneri
della sostanza secca (Masle et al. 1992); stime di
riflettanza nel vicino infrarosso delle foglie
(Clark et al., 1995; Aparico et al., 2002); conduttanza stomatica (Araus et al., 1997).
Gli studi condotti con l’obiettivo di costituire nuovi genotipi con tasso fotosintetico più elevato (Moss e Musgrave, 1971) hanno dimostrato che l’aumento di fotosintesi su scala fogliare
non corrispondeva ad un aumento di produzione a livelli superiori (scala di pianta) (Sinclair
et al., 2003). Ulteriori studi su diverse colture
per la quantificazione della WUE a livello stomatico sono stati riportati da Rivelli et al.
(1999), Moriana et al. (2002).
4. Efficienza d’uso dell’acqua su scala di campo
Il termine efficienza d’uso dell’acqua o water
use efficiency (WUE) viene utilizzato per espri-
482
mere il rapporto tra la produzione di biomassa
e la quantità di acqua evapotraspirata. La WUE
viene generalmente espressa con la seguente
equazione:
WUE =
TE
Es
1+
T
Dove TE è l’efficienza traspirativa (sostanza
secca epigea/traspirazione), Es è la quantità di
acqua persa per evaporazione del suolo e T è
l’acqua persa per traspirazione da parte della
pianta (Steduto, 1996; Richards, 2002). Tale
espressione mostra che un uso efficiente dell’acqua può essere raggiunto o aumentando TE
o riducendo le perdite Es. Se la crescita di una
coltura dipende dall’acqua presente nel suolo
con basse probabilità di avere apporti aggiuntivi mediante precipitazioni, l’aumento di TE è
più favorevole per incrementare la WUE della
coltura. Se invece la crescita della coltura dipende dall’ammontare delle precipitazioni durante la stagione, allora la riduzione di perdite
per evaporazione risulterà essere più conveniente ai fini dell’incremento della WUE della
coltura. In ambiente mediterraneo, un valore tipico di Es di una coltura di frumento gestita con
le pratiche agronomiche appropriate è di circa
il 40% della evapotraspirazione (ET) e tende ad
aumentare se la coltura viene gestita in maniera errata.
L’incremento della produzione delle colture
attuate in condizioni di apporti idrici limitati è
ottenibile mediante una corretta gestione agronomica e la costituzione di varietà migliori. Una
più elevata WUE è ottenibile con colture che
utilizzano più efficientemente l’acqua apportata, che a parità di apertura stomatica scambiano l’acqua con anidride carbonica più efficacemente e che convertono più assimilati (biomassa) in cariossidi. Tutto ciò può essere trascritto
sottoforma di equazione come stabilito da Passioura (1977):
Y = T *WUE* HI
dove Y è la produzione in ambienti aridi, T è la
traspirazione ovvero il consumo idrico della coltura, WUE è l’efficienza d’uso dell’acqua e HI
è l’indice di raccolta, comunemente detto harvest index. I componenti di questa equazione sono indipendenti tra di loro per cui un aumento
di uno dei termini comporta un aumento nella
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:475-495
PRECIPITAZIONI
PERDITE
ACQUA IMMAGAZZINATA NEL SUOLO
Evaporazione
Ruscellamento
Percolazione
Acqua utilizzata
dalle colture
Acqua non
estratta dalle
colture
Water-Use -Efficiency
Produzione di sostanza secca
Harvest Index
Figura 4. Bilancio idrico e
WUE
PRODUZIONE
Figure 4. Water balance and
WUE.
produzione (Y) (Fisher, 1979; Ludlow e Muchow, 1990).
4.1 Ottimizzazione del bilancio idrico del suolo
Il bilancio idrico del suolo, inteso come la quantità di acqua presente all’interno di uno strato
di suolo (∆S) è definito dalla differenza tra le
variabili di apporto idrico (precipitazioni e irrigazione) e quelle di perdita (evaporazione del
suolo, traspirazione, percolamento e ruscellamento) (figura 4). Uno dei modi principali per
incrementare l’uso dell’acqua da parte delle colture è quello di incrementare la profondità radicale. Un sistema radicale profondo è sinonimo di assorbimento idrico maggiore. Il metodo
più semplice per incrementare la profondità delle radici e la loro distribuzione è quello di aumentare la durata del ciclo biologico anticipando le semine e utilizzando cultivar con vigore
vegetativo precoce in modo da assicurare uno
sviluppo di LAI più rapido. Inoltre la crescita
veloce consente lo sviluppo di radici avventizie
maggiore negli strati superficiali in modo da utilizzare l’acqua prima che venga persa per evaporazione. L’assorbimento idrico da parte delle
radici può essere limitato da fattori fisici legati
a struttura e densità apparente (Amato e Ritchie, 2004), tossicità (sale, pH, boro etc.), patogeni, disponibilità limitata di elementi minerali.
Pratiche agronomiche che limitano questi ostacoli hanno dimostrato d’incrementare l’efficienza d’uso dell’acqua. Rotazioni con specie come
colza e rape con radici capaci di penetrare negli strati più profondi creano biopori utili per la
coltura successiva (Angus et al., 1991; Kirkegaard et al., 2000). Ulteriori esempi provengono da lavorazioni ridotte (Asseng e Turner,
2003) e mantenimento sul campo dei residui colturali (Hatfield et al., 2001). L’introduzione della semina su sodo e l’uso di erbicidi come il
glifosate, hanno consentito una riduzione dei costi, tempi e numero di lavorazioni. Lavorazioni
eccessive con rimozione o bruciatura dei residui, distruggono la sostanza organica e quindi
la struttura e la sua stabilità ed aumentano l’evaporazione nonché riducono l’infiltrazione.
Basso e Ritchie (2006) hanno condotto uno studio con l’obiettivo di determinare il tasso d’infiltrazione nel suolo in diversi sistemi di lavorazione (convenzionale, minima e non lavorazione) e gestione dei residui (interrati o in superficie). Lo studio ha previsto l’apporto di acqua al tasso della conducibilità idrica del suolo,
ma i tempi necessari per generare ruscellamento nei vari sistemi di lavorazione sono risultati
molto diversi: da pochi minuti per la lavorazione convenzionale a ore per la non lavorazione
con residui in superficie (figura 5). Le lavorazioni minime o la non lavorazione hanno mostrato di incrementare la WUE diminuendo l’evaporazione dal suolo ed aumentando le produzioni (Stewardt e Robinson, 1997). Correzioni per acidità ed alcanità (Atwell, 1991, Tang et
al., 1993) e riduzione dei patogeni (Roget et al.,
483
Basso B.
100
Infiltrazione (mm/hr)
80
60
40
20
0
Foresta
Semina su sodo
Prati
! Lavorazione
Convenzionale
! Infiltrazione cumulata (cm)
!! "
Tempo (ore)
Figura. 5. Influenza dell’uso del suolo a) e delle lavorazioni del terreno e residui colturali (b) sull’infiltrazione dell’acqua nel suolo.
Figure 5. Influence of land use (a), tillage e crop residues
management (b) on soil water infiltration.
1996) sono altri esempi di gestione volta ad aumentare l’assorbimento idrico radicale e quindi
la WUE.
In zone dove lo strato di suolo a disposizione delle radici è limitato, la possibilità di avere
apparati radicali profondi non apporta alcun
vantaggio (Turner, 2004).
Semine anticipate del frumento prima dell’inverno consentono d’incrementare l’efficienza d’uso dell’acqua e la produzione (Richards
et al., 2002) grazie al rapido sviluppo di LAI, ad
un ridotta perdita di acqua per evaporazione dal
suolo (figura 4) (van Herwaarden e Passioura,
2001) e ad una ridotta presenza di erbe infestanti (Lemerle et al., 2001). Eastham e Gregory
(2000) hanno mostrato che semine anticipate di
frumento e lupino in ambienti mediterranei riducono l’evaporazione del suolo, rispetto a semine posticipate, grazie al LAI superiore nelle
prime fasi del ciclo. In alcuni casi, le semine an-
484
ticipate hanno mantenuto invariata la produzione rispetto a quelle tardive, per un basso harvest index (Turner, 2004). Oggi varietà a ridotto accestimento, consentono di ridurre l’uso di
carboidrati strutturali a favore di carboidrati solubili facilmente convertibili in granella. Le semine anticipate possono essere effettuate solo
con cultivar adatte, cioè quelle con fioritura in
periodi caldi altrimenti le gelate primaverili possono essere letali (Riffkin, 2003). Gregory e Eastham hanno dimostrato che le semine anticipate possono anche essere deleterie a causa della maggiore incidenza di malattie.
Varietà insensibili all’acido giberellico, cosiddette semidwarf o a taglia bassa, presentano
oltre all’altezza limitata anche dimensioni ridotte di altri organi, come il coleoptile (Miralles et al., 1998). L’adozione di queste varietà con
stentato vigore vegetativo iniziale determina
un’emergenza lenta e spazialmente variabile.
Nuove varietà di frumento, come quella costituita da Richards et al. (2002), presentano un
lungo coleoptile, ma allo stesso tempo taglia
bassa ed elevato vigore vegetativo iniziale tale
da assicurare una crescita immediata di superficie fogliare. Piante con vigore vegetativo iniziale tendono ad assorbire più acqua perché
l’apparato radicale è più profondo (Angus et al.,
2001). In altri casi la senescenza prematura non
consente un uso ottimale dell’acqua presente
nel profilo del suolo. Il carattere Stay Green, studiato inizialmente nel sorgo e successivamente
anche in altre colture, con la presenza di azoto
nelle foglie verdi anche durante la fase di riempimento della granella, fissa più carbonio e
quindi consente alle radici di continuare ad
estrarre azoto ed acqua rafforzando l’intero sistema come dimostrato da Borrel et al. (2001).
Basso (2000) e Batchelor et al. (2002) hanno dimostrato che le perdite per ruscellamento
ortoniano (intensità della pioggia maggiore della capacità d’infiltrazione dell’acqua nel suolo)
e scorrimento superficiale laterale possono essere elevate, ma parte di tali perdite diventa sorgente addizionale di acqua in aree con pendenza inferiore (figura 6). Silburn e Glanville (2002)
hanno dimostrato che con copertura vegetale di
residui maggiore del 50% dell’area, il ruscellamento viene notevolmente ridotto.
La quantità d’acqua normalmente persa per
fenomeni di percolazione è inferiore a l’acqua
persa per evaporazione del suolo, tranne in suo-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:475-495
-0.50
-1.00
-1.50
-2.00
-2.50
-3.00
-3.50
-4.00
-4.50
-5.00
Figura 6. Mappa simulata del flusso netto superficiale ottenuto dalla differenza tra ruscellamento da un sito e apporto ad
un altro (runoff-runon) utilizzando SALUS-Terrae (Basso, 2000).
Figure 6. Simulated map of net surface flux obtained from the difference between runoff-runon using Salus-Terrae (Basso, 2000).
li molto sabbiosi. Perdite per percolazione sono
difficili da stimare, ma normalmente variano da
0 a 100 mm per anno a seconda del tipo di suolo, gestione e stagione (Dunin et al., 2001). L’utilizzo da parte delle radici dell’acqua percolata può incrementare di molto le produzioni in
quanto nella maggior parte dei casi ciò avviene
dopo la fioritura quando i prodotti della fotosintesi vanno interamente traslocati verso la
granella e sono minime le perdite di respirazione. La cattura di 30 mm di acqua percolata si
traduce in un incremento di produzione di 1 t
ha-1 (Angus e van Herwaarden, 2001). In più,
l’acqua drenata negli strati più profondi è ricca
di nitrati lisciviati ed inutilizzati prima per il limitato apparato radicale nelle fasi iniziali del ciclo biologico (Angus, 2001).
I modelli previsionali del tipo CERES (Ritchie et al., 1985), SALUS (Basso, 2000; http://salus.gis.fcu.edu.tw) ecc. sono in grado di stimare
il bilancio idrico con margine di errore molto limitato (Basso e Ritchie, 2005).
4.2 Efficienza traspirativa
L’altro componente dell’equazione della WUE
è l’efficienza traspirativa (TE). Per efficienza
traspirativa delle foglie viene inteso l’ammontare di carbonio fissato per unità di acqua traspirata, e dipende sia dalla richiesta evapotraspirativa da parte dell’ambiente che dalla concentrazione della CO2 all’interno delle foglie
(Condon et al., 2002). In ambienti mediterranei
l’efficienza traspirativa è alta durante l’inverno,
quando tassi di evaporazione giornaliera da evaporimetri di classe A variano da 2 a 3 mm, che
in primavera o estate. Un metodo per incrementare TE sarebbe quello di assicurare che il
massimo accumulo di biomassa avvenga durante i periodi più freddi del ciclo biologico dato
lo stretto legame tra il deficit di pressione del
vapore saturo (richiesta evaporativa) e la TE. Il
consumo idrico risulta più basso in periodi freddi a causa della bassa richiesta evaporativa. Ottenere una crescita veloce nei primi periodi del
ciclo, mediante un anticipo delle semine di varierà con vigore vegetativo precoce, consente di
ridurre la superficie di suolo esposta all’evaporazione e la presenza di erbe infestanti con conseguente minore competizione.
Ad una determinata richiesta evapotraspirativa e conduttanza stomatica, più bassa è la concentrazione di CO2 all’interno della foglia e
485
Basso B.
maggiore è l’efficienza traspirativa. La bassa
concentrazione spinge ad una rapida diffusione
della CO2 nella foglia senza modificare di molto il tasso di scambio e diffusione del vapore acqueo all’esterno.
L’incremento d’infiltrazione e la riduzione di
ruscellamento, percolazione ed evaporazione e
quindi maggiore disponibilità d’acqua per la traspirazione, sono efficaci ai fini del raggiungimento di una WUE elevata (Asseng et al.,
2001).
Studi recenti condotti con l’obiettivo di identificare i geni responsabili della efficienza traspirativa e quindi capire il loro funzionamento,
hanno portato all’isolamento del gene ERECTA
(Masle et al., 2005), il quale partecipa a meccanismi legati alla densità stomatica, estensione di
cellule epidermiche, proliferazione di cellule del
mesofillo e contatto tra cellule. L’incremento
dell’efficienza fotosintentica consente una maggiore WUE modificando la pendenza della curva proposta in figura 7.
4.3 Harvest Index (conversione di biomassa in
granella)
Il rapporto tra produzione commerciabile e la
biomassa totale prodotta viene definito harvest
index o indice di raccolta. Tale rapporto varia in
funzione del consumo idrico prima e dopo la
fioritura (Fisher, 1981). Per esempio, colture invernali che raggiungono la fase di fioritura anticipatamente non accumulano biomassa sufficiente per poter formare e riempire un elevato
numero di semi. Il rischio di danni da gelate pri! " #$$ $ $
"
Figura 7. Esempi di WUE: la migliore attualmente; migliorata mediante scambi efficienti di CO2 con acqua; migliorata mediante riduzione di evaporazione con varietà con vigore vegetativo e tasso di sviluppo di area fogliare rapido
nei primi stadi fenologici.
Figure 7. Examples of WUE: best current; improved through better exchange of CO2 and water; improved with varieties with early vigour and faster leaf area development rate.
486
Figura 8. Evaporazione dalle piante (Ep) relativa alla stima
di evaporazione di riferimento (Eo) influenzata da LAI
quando il contenuto idrico del suolo nella zona radicale non
è limitante, per superfici di suolo asciutte e bagnate. Da Ritchie, 1971.
Figure 8. Plant evaporation (Ep) relative to estimated Eo
as influenced by LAI when soil water in the root zone is
non-limiting for dry and wet soil surface. From Ritchie, 1971.
maverili in questo caso è anche elevato. Per le
colture che fioriscono in ritardo, anche se hanno avuto la possibilità di formare un numero
elevato di cariossidi, la limitata disponibilità di
acqua nel suolo in quel periodo accompagnata
da alte temperature, non consente il completo
riempimento dei cariossidi (figura 8) (Fisher,
1979; Passioura, 1996, 2006). L’HI può essere
considerato indipendente o dipendente dalla
siccità. Un HI elevato, indipendente dalla siccità, si raggiunge grazie ad una maggiore traslocazione di sostanza secca delle cariossidi. Geni che contribuiscono alla riduzione della taglia
o al momento migliore per la fioritura in un determinato ambiente sono esempi che consentono il raggiungimento di un alto HI.
L’uso dell’acqua dopo l’antesi, invece sembra essere il fattore determinante per un HI che
dipende dalla siccità. Ad un elevato consumo
idrico dopo l’antesi corrisponde un HI elevato
(Passioura, 1972). Quindi in condizioni di apporti idrici limitati, conservare acqua fino alla
fioritura per la riempitura dei cariossidi dovrebbe portare a un HI alto. Cultivar di frumento con vasi xilematici delle radici più sottili avrebbero un assorbimento idrico più lento, a
causa della resistenza idraulica maggiore dei vasi più stretti, che in condizioni di disponibilità
idrica limitata consentirebbe di lasciare dell’acqua disponibile anche dopo l’antesi.
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:475-495
5. Relazioni tra evapotraspirazione e WUE
La proporzione tra evaporazione del suolo e
traspirazione della pianta varia in poco tempo.
Quando una coltura presenta un LAI basso, l’evaporazione del suolo è la parte sostanziale dell’evaporazione totale, specialmente se la superficie del suolo è inumidita frequentemente.
Quando la superficie del suolo è bagnata, anche
con piena copertura vegetale, la traspirazione è
ridotta in quanto una parte significante dell’evapotraspirazione (ET) è ad opera dell’evaporazione del suolo. Quando la superficie del suolo è asciutta, la traspirazione può essere quasi
al 100%. In uno studio dove traspirazione ed
evaporazione del suolo furono misurati separatamente, Ritchie e Burnett (1971) quantificarono l’influenza della copertura parziale sull’ET e
trovarono che il LAI di sorgo e cotone era più
correlato con la traspirazione come frazione
dell’evapotraspirazione potenziale (ETo) che la
copertura del suolo e sostanza secca della pianta. Normalmente la traspirazione è uguale all’evaporazione potenziale quando il LAI raggiunge il valore di 2.5 e quando la superficie del
suolo è asciutta. L’aumento di LAI oltre 2.5, determina aumenti di ET minimi per la maggior
parte delle colture con distanza tra le file di
< 1 m (figura 8).
Ritchie e Johnson (1990) nella loro esemplare revisione sui fattori che influenzano traspirazione ed evaporazione del suolo illustrano
questi concetti con diversi esempi ed inoltre
presentano un semplice approccio per la previsione del LAI specifico per colture, ma indipendente da sito, suolo, ecc.
Esiste una stretta correlazione tra ET e
WUE quando il fattore limitante la produzione
è l’acqua. Tanner e Sinclair (1983) trovarono che
quando la WUE veniva corretta inserendo un
fattore di correzione che considerava le condizioni climatiche locali, essa poteva essere considerata costante per quella particolare specie. Il
fattore di correzione climatica era la media stagionale del deficit di pressione di vapore. La
giustificazione teorica della loro affermazione
scaturisce dal fatto che la traspirazione è direttamente proporzionale alla produzione visto che
gli stomi fungono da ingresso per la CO2 (fotosintesi) e da uscita di acqua (traspirazione). Ritchie (1983) ha dimostrato che un valore costante di traspirazione non è corretto in quan-
to fotosintesi e traspirazione raggiungono il loro massimo a soglie di LAI differenti (LAI ~ 3
per la traspirazione e LAI ~ 7 per la fotosintesi). La causa principale di queste differenze risiede nella presenza di calore sensibile attorno
alle piante a valori di LAI basso che causa un
aumento della traspirazione rispetto alla fotosintesi. Quando la coltura in campo raggiunge
valori di LAI ~ 3 in assenza di stress idrico ETo
dipende essenzialmente dall’energia disponibile
(richiesta evaporativa) ed è quindi non modificabile. Con LAI > 3 la ripartizione di ET tra
suolo e pianta è influenzata dallo stato di umidità della superficie del suolo. Con LAI < 3 la
ripartizione di ET tra suolo e pianta è ancora
più influenzata dallo stato di umidità della superficie del suolo anche a condizione di ET potenziale. La ET potenziale si raggiunge solo con
suolo bagnato e nello stadio dominato dall’energia (energy dependent stage of drying, secondo stadio, Ritchie, 1972). Con LAI = 3 l’intercettazione luminosa di molte colture erbacee
è dell’80-85%; se si assume che la fotosintesi
giornaliera è proporzionale alla luce intercettata, la WUE sarebbe inferiore del 15% a LAI =
3 rispetto LAI = 7.
Gran parte degli studi di pieno campo che
hanno messo in relazione la traspirazione in
funzione della biomassa prodotta sono basati
solo su stime di biomassa epigea. Il rapporto tra
parte epigea e ipogea può essere influenzato da
diversi fattori e la proporzione di trasferimento
del carbonio tra le due parti dipende dalla competizione delle piante per luce o da fattori limitanti nel suolo. Questo argomento risulta poco documentato in letteratura, ma diversi studi
con misure di parte epigea e ipogea (shoot/root
ratio) hanno dimostrato il rapporto dinamico
delle differenze esistenti nella partizione degli
assimilati tra shoot e root. La stima della biomassa epigea o della produttività delle colture
basata solo su calcoli di ET e traspirazione deve necessariamente assumere un rapporto tra
shoot e root costante, cosa non corretta nè realistica.
Diversi autori hanno dimostrato che all’aumentare della produzione aumenta anche la
WUE (figura 7). Payne et al. (1997) hanno studiato gli effetti della gestione agronomica ed in
modo particolare concimazione azotata e densità di semina e dimostrato che esiste una relazione quasi lineare tra WUE e produzione. Esi-
487
Basso B.
stono però delle eccezioni. Ad esempio, se ibridi di mais sono messi a confronto in condizioni
pedo-climatiche identiche e la loro produzione
è differente, tali differenze possono essere dovute alla lunghezza del ciclo o semplicemente
alla superiorità di un ibrido rispetto all’altro. Le
differenze di produzione causate da lunghezza
differente del ciclo possono portare alla stessa
WUE, mentre l’idrido superiore con la stessa
lunghezza di ciclo se gestito alla stessa maniera
presenterà una WUE maggiore (Ritchie e Basso, 2006).
La produzione di mais è altamente correlata con il numero di cariossidi per unità di superficie alla raccolta. Studi hanno dimostrato
che il numero di cariossidi varia in funzione della radiazione solare intercettata nel periodo della fioritura (Andrade et al., 1983, Otegui e
Bonhomme, 1988) e al tasso di crescita della coltura (Kiniry et al., 1997; Andrade et al., 1999).
Quando il tasso di crescita è basso durante il
periodo della fioritura la produzione viene altamente compromessa. Nuovi ibridi hanno la capacità di formare più di 700 cariossidi per spiga con alta densità di popolazione visto che sono necessari solo 25 MJ per pianta di radiazione fotosinteticamente attiva intercettata (IPAR)
cumulata contro i 50 degli ibridi di vecchia generazione i quali formano solo 500 cariossidi.
L’adozione dei nuovi ibridi accompagnati da
una densità di semina elevata consente il raggiungimento di produzioni record (21 t ha-1 senza irrigazione ottenuta in Iowa negli ultimi 5 anni) e quindi una WUE elevata (Ritchie e Basso, 2006).
6. Irrigazione di soccorso, metodi di stima e WUE
L’irrigazione di soccorso viene utilizzata per stabilizzare la produzione, principalmente in regioni umide. La chiave dell’uso corretto risiede
nello sfruttamento efficiente ed efficace delle
precipitazioni. La gestione dell’irrigazione in regioni umide e regioni aride è molto diversa, in
quanto dipende dalla probabilità delle precipitazioni. In ambienti aridi è pratica comune irrigare fino alla capacità di campo del suolo in modo tale da ridurre il numero di interventi. Se la
stessa strategia venisse adottata nelle regioni
umide, precipitazioni a pochi giorni dall’ irrigazione causerebbero ristagno o eccessiva perco-
488
lazione e drenaggio, riducendo la WUE di quel
determinato apporto. Per minimizzare drenaggio e ristagno bisogna mantenere un deficit idrico senza compromettere le produzioni. È quindi necessario conoscere la risposta delle piante
al deficit idrico nelle varie fasi.
Zhang et al. (2006) hanno dimostrato che l’uso dell’irrigazione di soccorso nel frumento incrementa la WUE. Riducendo il numero delle
irrigazioni da 4 ad 1, hanno osservato un aumento significativo del numero di cariossidi. Diversi sono gli studi con risultati simili e con diverse colture (Steduto et al., 1997).
Ritchie et al. (1987) hanno dimostrato in uno
studio di simulazione sul mais che con irrigazioni di 6 mm invece di 32 mm, si otteneva una
riduzione del 40% degli apporti idrici senza
compromettere il reddito dell’agricoltore. Confrontando le misure con simulazioni con irrigazione a tasso variabile e uniforme in un terreno del Michigan coltivato a Mais, il risparmio di
acqua raggiungeva il 30%. (Ritchie, 1998; Braga e Basso, 2003).
I metodi di stima utilizzati per determinare
e prevedere la richiesta di acqua da parte delle
piante sono svariati. Gran parte di questi si basano sull’uso di coefficienti colturali basati sulla stima di Eo (Wright, 1981, 1985). L’equazione generale dei coefficienti colturali per la stima della ET è la seguente:
Kc=Et/Eo
quindi,
Et= (Kc)(Eo)
Kc è un coefficiente senza dimensione per
una determinata coltura in determinato stadio
fenologico. Il coefficiente colturale rappresenta
quindi la variazione stagionale dei valori di Kc
determinati empiricamente. Purtroppo la variazione stagionale dei coefficienti colturali non è
estrapolabile in altri luoghi, in quanto è dipendente dal tipo di gestione, dal sito, e dal clima
specifico del luogo. Valori di Kc sono influenzati dal tipo di gestione agronomica risultante
in variazioni di data di semina, numero di piante per m2, distanza tra le file, cultivar, profondità delle lavorazioni e quindi volume di terreno esplorato dalle radici. Inoltre i valori di Kc
sono sito-specifici a causa dell’elevata variabilità spaziale presente e non sono riproducibili
nella stessa forma da un anno all’altro e da un
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luogo all’altro in quanto variano in funzione del
clima, più specificamente temperatura, radiazione solare e che la frequenza delle precipitazioni che come discusso precedentemente in questo lavoro di review, influenza direttamente l’evaporazione del suolo e la traspirazione. Inoltre
variazioni di temperatura influenzano in maniera significativa il tasso di sviluppo delle piante. Hanks (1985) ha confrontato coefficienti colturali per la stessa coltura in due luoghi diversi riportando valori molto differenti, specialmente nella prime fasi fenologiche. Hanks concluse che le differenze erano dipese dall’evaporazione del suolo e i coefficienti variavano di
anno in anno per la stessa ragione. Valori di Kc
normalizzati, quantificando la percentuale di
tempo tra fasi iniziali e copertura piena sono
stati proposti da diversi autori (Barman et al.,
1983). Neale e Bausch (1985) criticano il metodo della normalizzazione rispetto al tempo di
crescita, in quanto condizioni climatiche diverse,
specialmente periodi di freddo, possono farsì che
la fase di crescita della coltura e i valori Kc non
siano in piena corrispondenza, per cui Et può essere sovrastimata. Wright e Jensen (1978) riconoscono i limiti nell’uso dei coefficienti colturali
e propongono una funzione generata utilizzando
solo dati quando la superficie del suolo era
asciutta. Tali coefficienti, definiti, “coefficienti
colturali basali” si sono mostrati utili in ambienti aridi dove il numero di giorni in cui la superficie del suolo è facilmente quantificabile. Wright
(1985) suggerisce di normalizzare i Kc con il tasso di sviluppo della coltura.
Kanemasu (1983) afferma che la mancanza
di una tecnica rapida per la stima del calcolo
del LAI è uno dei fattori limitanti al corretto
approccio per la programmazione degli interventi irrigui.
Ritchie e Johnson (1990) propongono l’uso
di modelli funzionali per la stima del LAI. Questo approccio considera gli effetti della temperatura sulla comparsa delle foglie (fillocrono,
quando espressi in gradi giorno), prevede la crescita e l’allungamento fogliare e include l’effetto della variazione nella densità di semina. L’approccio proposto da Ritchie e Johnson (1990) è
il seguente:
Ks+p= (Es+Ep)/Eo
dove Ks+p è il coefficiente colturale basato su
stime separate di evaporazione del suolo e del-
la pianta, e Eo è il tasso potenziale di evaporazione. Il calcolo di Es, Ep e Eo, nonché il modello per la stima del LAI sono descritti dettagliatamente in Ritchie e Johnson (1990). La previsione del LAI consente di prevedere in maniera corretta la richiesta idrica delle colture e
quindi programmare oculatamente l’intervento
irriguo.
7. Impatto della variabilità spaziale
La tecnologia al servizio dell’agricoltura può
contribuire ad aumentare il reddito agricolo sia
attraverso la riduzione dei costi sia grazie all’incremento produttivo unitario: un esempio
concreto di questa applicazione è rappresentato dall’Agricoltura di Precisione o Sito-Specifica (Basso et al., 2005). Le nuove tecnologie proposte dall’Agricoltura di Precisione possono assumere un ruolo di notevole importanza per
l’ottimizzazione delle risorse idriche (acqua meteorica ed irrigazione) a livello aziendale perché costituiscono un insieme di strumenti che
incrementano l’efficienza d’uso delle risorse e
ottimizzano l’economica della gestione del processo produttivo nel rispetto delle risorse naturali e a garanzia di un elevato standard qualitativo degli alimenti.
Un presupposto fondamentale che giustifica,
dal punto di vista tecnico ed economico, il ricorso ai principi, ai sistemi e alle tecnologie tipiche dell’agricoltura di precisione, è proprio la
presenza di variabilità all’interno dell’appezzamento, che con l’agricoltura tradizionale ritiene
invece una unità di coltivazione omogenea. La
variabilità è nello specifico il risultato dell’interazione tra una variabilità spaziale, una variabilità temporale e una variabilità colturale, dal
momento che gli stessi fattori (ad esempio
quantità d’acqua disponibile, nutrienti ecc) che
costituiscono dei limiti all’ottenimento della
massima produttività risultano variabili non solo spazialmente ma anche temporalmente (Basso et al., 2001; Machado et al., 2002; Basso,
2003).
L’irrigazione a quantità variabile all’interno
dello stesso appezzamento rappresenta un
esempio di notevole efficienza d’uso dell’acqua
ottenuto grazie al progresso tecnologico e scientifico nel settore dell’agronomia (figura 9). La
somministrazione a dosi variabili consiste nel di-
489
Basso B.
Figura 9. Mappa dell’apporto di acqua espressa in percentuale mediante irrigazione a tasso variabile (Da Farmscan).
Figure 9. Map of variable rate irrigation (From Farmscan).
stribuire il quantitativo di acqua mediante l’irrigazione solamente nelle aree e nelle quantità
strettamente necessarie alle richieste della pianta e del terreno. È necessario quindi individuare zone spazialmente e temporalmente omogenee e stabili al fine di incrementare la WUE e
la produzione. In questi ultimi anni abbiamo assistito a due significativi cambiamenti che hanno reso possibile la conoscenza in termini quantitativi della variabilità spaziale di tali fattori e
l’utilizzo di questa informazione per scopi gestionali. Uno riguarda lo sviluppo di tecnologie
che permettono di registrare con un’accuratezza e rapidità senza precedenti informazioni di
tipo geo-spaziale, grazie all’introduzione di sistemi di posizionamento satellitare (GPS) ed
agli sviluppi nella sensoristica e nel telerilevamento. L’altro riguarda l’impressionante progresso nelle possibilità di elaborare e gestire tali informazioni grazie a progressi scientifici teorici, come lo sviluppo della geostatistica e dei
modelli di simulazione del sistema suolo-coltura, ma anche alla diffusione di sistemi informatici appropriati. La complessità di una analisi
spazio-temporale del sistema suolo-pianta-atmosfera richiede necessariamente un adeguato
strumento informatico che funga da sistema di
supporto alle decisioni agronomiche. Esempio
di tale sistema è il DSSAT (Jones et al., 2002)
490
che permette di trasformare i dati raccolti in
informazioni e queste in concrete strategie. DSSAT permette di analizzare migliaia di interazioni tra gli elementi di input ed è quindi possibile analizzare le cause che hanno condotto ad
una certa situazione, oppure prevedere una casistica futura, ipotizzando diversi tipi di intervento o scenari possibili. La capacità di interpretare processi multifattoriali con integrazioni
incrociate permette di applicare con grande profitto i modelli all’agricoltura sito-specifica (Cora et al., 1999).
Diverse tecnologie sono state sviluppate negli ultimi decenni per l’acquisizione di informazioni sulle cause della variabilità spaziale delle
capacità produttive delle colture. Particolarmente promettenti per questo scopo sono le tecniche basate su sistemi di telerilevamento per
l’acquisizione di dati sullo stato delle piante, ad
esempio per la diagnosi di stress idrico od azotato (Basso et al., 2004). Misure effettuate con
sistemi di telerilevamento possono essere effettuate rapidamente su estese superfici, senza causare disturbo alla vegetazione. Si prestano ottimamente ad essere applicate nell’ambito dell’agricoltura di precisione essendo probabilmente
più fattibili di sistemi intensivi di campionamento del terreno, più costosi e con ulteriori difficoltà di correlare le proprietà del suolo alla risposta delle colture. De Vita e Basso (2005) hanno dimostrato che è possibile prevedere stress
idrici mediante l’uso di indici di vegetazione di
riflettanza delle piante nelle bande di assorbimento dell’acqua (900, 1400 e 1900 nm) prima
che siano visibilmente osservabili. Tale tecnica
consente di ottimizzare gli interneventi irrigui,
apportando acqua al momento e posto giusto.
L’agricoltura di precisione fornisce uno stimolo sempre maggiore agli agricoltori che in diverse zone del mondo, Italia compresa, hanno
capito che la gestione ottimale per incrementare il reddito e ridurre le spese può avvenire solo grazie a tale approccio (Passioura, 2002; Basso et al., 2006).
8. Considerazioni conclusive
La nozione di WUE è considerata molto utile
per gli agricoltori di zone aride. Valori inferiori
a 20 kg di granella ha-1 mm-1 (Passioura, 2006)
sono il risultato di palese cattiva gestione agro-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:475-495
nomica, che impone la ricerca di rimedi efficaci. L’intercetta della curva proposta da French
and Schultz (1984) varia se l’evaporazione del
suolo viene ridotta, mentre se si migliora l’efficienza traspirativa, varia solo la pendenza e non
l’intercetta.
Cultivar con vigore vegetativo precoce, basso numero di culmi di accestimento, vasi xilematici radicali sottili, con elevata efficienza traspirativa, accompagnata da tecniche agronomiche conservative come lavorazioni minime e ritenzione dei residui e corretta gestione della
concimazione, costituiscono le migliori opzioni
a disposizione degli agricoltori per poter migliorare la WUE e la produzione utile in ambienti aridi.
La riduzione del numero di interventi irrigui, e la corretta gestione dell’irrigazione utilizzando i sistemi di supporto alle decisioni e le
tecnologie innovative dell’agricoltura di precisione, consentono di ottimizzare l’uso dell’acqua. L’irrigazione a dose variabile diventerà una
realtà sempre più necessaria per ridurre sprechi
di acqua nei sistemi agricoli irrigui.
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495
Strategie per una gestione sostenibile delle risorse
idriche nel settore ortofloricolo
Antonio Elia*1, Enrico Farina2
1
Dipartimento di Scienze Agro-ambientali, Chimica e Difesa Vegetale, Università di Foggia
Via Napoli 25, 71100 Foggia
2
CRA – Istituto Sperimentale per la Floricoltura, Sanremo
Società Orticola Italiana
Riassunto
La necessità di un uso più efficiente della risorsa idrica in agricoltura impone, specie nel settore ortofloricolo, la
scelta di opportune strategie tecnico-agronomiche di gestione di tutte le risorse a disposizione miranti al risparmio
dell’acqua, al mantenimento degli equilibri naturali e alla redditività della coltura. Per l’orticoltura le strategie coinvolgono la scelta della cultivar, dell’epoca e della modalità d’impianto della coltura, del tipo di fertilizzazione e di
lavorazione del suolo, oltre che il controllo delle infestanti e l’uso della pacciamatura. I sistemi irrigui a microportata rivestono un ruolo determinante nel ridurre le perdite di acqua e nell’aumentare l’efficienza irrigua, anche se
non sempre sono economicamente applicabili a tutte le situazioni. La scelta della strategia di gestione dell’irrigazione implica la conoscenza dei fabbisogni idrici della coltura e delle sue risposte allo stress idrico, comprendendo
l’identificazione dei periodi critici e l’impatto economico sulla produzione. Nella programmazione dell’irrigazione
interessanti prospettive provengono dall’uso di sensori dell’umidità del terreno (TDR e FDR). Considerata la scarsità di acqua di buona qualità e la competizione con altri settori (industriale e civile), in agricoltura saranno sempre più destinate fonti idriche di scarsa qualità (saline e reflue). Entro limiti ben specifici legati al tipo di coltura
e al suo utilizzo, il loro impiego è possibile adottando ed integrando varie strategie di gestione, la cui scelta comunque presuppone una attenta analisi dei costi-benefici.
Parole chiave: acque reflue, tecniche irrigue, sensori, automazione.
Summary
STRATEGIES FOR A SUSTAINABLE MANAGEMENT OF WATER RESOURCES IN HORTICULTURE
AND FLORICULTURE
A more efficient use of water resources in agriculture, especially in horticulture and floriculture, is a concerning issue to choose sounder technical and agronomical practices for managing these resources vis-à-vis: a feasible water
economy, the enhancement of natural equilibria and at the same time an increased crop competitiveness. In horticulture, several options are suitable: cultivar choice, timing and type of cropping system, fertilization plan and soil
preparation, as well as, weed control and mulching.
Micro-irrigation systems play an important role to efficiently reduce water losses and to increase irrigation performance, even if not always are economically feasible in all the cases. The choice of the irrigation management strategy involves a deep understanding of crop water requirements and its responses to water stress, including the identification of critical periods and their economical impact over the crop return. Besides nowadays, there are several
new interesting perspectives in the irrigation arena by the employment of moisture sensors (TRD and FDR probes). Considered the scarcity of good quality water resources and its use-competition with other sectors (industrial
and civil), for the agriculture will be destinated even all low quality water resources (brackish and wastewater).
Within well-delimited standards of quality related to the type of crop and its main use, the use of those kind of water resources would be feasible by adopting and integrating all the possible management strategies, whose choice
indeed requires a deep glance on into its cost-benefit.
Key-words: Poor quality water, irrigation techniques, probes, automation.
*
Autore corrispondente: tel.: +39 0881 589237; fax: +39 0881 589342. Indirizzo e-mail: a.elia@unifg.it.
497
Elia A., Farina E.
1. Introduzione
Una ortofloricoltura competitiva e redditizia
non può non essere sostenuta dalla irrigazione,
in maniera particolare nelle regioni a clima mediterraneo dove la elevata domanda evapotraspirativa dell’ambiente e la scarsa piovosità concentrata in alcuni periodi dell’anno, non consentirebbero lo sviluppo di settori quali quello
ortofloricolo. Per la maggior parte delle colture
praticate, la produzione è strettamente correlata con l’uso dell’acqua e una riduzione della
quantità applicata comporta spesso una drastica riduzione dei livelli produttivi e qualitativi.
Considerando che all’agricoltura sarà destinata sempre meno acqua e di qualità scadente,
per l’applicazione sostenibile della irrigazione è
necessario integrare opportune strategie tecnico-agronomiche di gestione di tutte le risorse a
disposizione (di buona e scarsa qualità) miranti al risparmio dell’acqua, al mantenimento degli equilibri naturali (fertilità del suolo, salvaguardia dei corpi idrici) e alla redditività della
coltura.
Non molto tempo fa un assunto di fondo riguardante le produzioni ornamentali era: senza
acqua non si fanno fiori. Il concetto che per le
produzioni ornamentali non sia possibile sottostare a limitazioni nell’uso dell’acqua deve oggi
essere sostanzialmente rivisto: anche per le produzioni ornamentali razionalizzare l’uso dell’acqua è assolutamente necessario. L’acqua è diventata un bene prezioso, a livello di produzione rappresenta un costo, se mal impiegata può
rappresentare anche una fonte di inquinamento e quindi un problema e un ulteriore costo per
la comunità.
2. Orticoltura
In Italia quasi due terzi degli oltre 500.000 ettari destinati ad ortaggi si realizzano nelle regioni meridionali ed interessa prevalentemente
specie con elevati fabbisogni irrigui. Ma anche
nei contesti orticoli dove la disponibilità di acqua non rappresenta un fattore limitante, problemi di natura ambientale impongono la gestione più efficiente dell’irrigazione. L’intensificazione e specializzazione colturale che contraddistingue il settore orticolo viene sostenuta
dal forte impiego di fertilizzanti (soprattutto in
coltura protetta), spesso poco utilizzabili dalle
498
colture (cicli brevi, esiguo apparato radicale),
determinando un elevato rischio di contaminazione delle acque superficiali e sotterranee. La
gravità del rischio ambientale ed igienico-sanitario legato prevalentemente alla concimazione
azotata si esprime in funzione di numerosi fattori quali l’ambiente climatico, la natura e fertilità del terreno, il tipo di coltura e le caratteristiche genetiche della specie e della cultivar;
in questo si inserisce strategicamente la gestione della irrigazione. Anche la direttiva nitrati
della CE del 1991 ha imposto ai Paesi Membri
l’individuazione di aree vulnerabili all’inquinamento da nitrati entro le quali è obbligatoria
l’osservanza di precise condizioni di gestione
della irrigazione.
2.1 Tecniche agronomiche in orticoltura che favoriscono il risparmio idrico
Scelta della cultivar. Il risparmio delle risorse
idriche si può realizzare attraverso la scelta di
cultivar (quando disponibili) poco rigogliose
con minore espansione della superficie fogliare
e/o apparato radicale profondo con maggiore
capacità di esplorazione del suolo. È possibile
indirizzare la scelta verso cultivar a ciclo più
precoce, caratterizzate da un rapido accrescimento nella fase iniziale del ciclo per ridurre
l’evaporazione dalla superficie del suolo.
Epoca e modalità d’impianto. L’impiego del
trapianto rispetto alla semina diretta in campo
consente una maggiore brevità del ciclo colturale e quindi la riduzione dei fabbisogni irrigui;
per contro la semina diretta favorisce lo sviluppo di un apparato radicale fittonante con migliori capacità di approfondimento radicale.
L’impiego di basse densità di impianto riduce la competizione per l’acqua. La scelta dell’epoca di impianto (il ritardo in colture a ciclo autunnale o l’anticipo dell’impianto di colture primaverili) può evitare o ridurre la sovrapposizione della fase più critica della coltura in termini di esigenza idrica, con il periodo di maggiore domanda evapotraspirativa dell’ambiente.
Fertilizzazione. La nutrizione minerale equilibrata della coltura ha importanti implicazioni
anche sullo stato idrico della pianta in quanto
in grado di determinare una crescita ottimale ed
equilibrata della coltura (sviluppo radici e parte aerea), importante presupposto per migliorare la efficienza d’uso dell’acqua. Nel caso della
fertilizzazione organica, a questi aspetti si ag-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:497-506
giungono gli effetti indiretti connessi al miglioramento della struttura e della capacità di invaso del terreno; è favorita la crescita e l’approfondimento dell’apparato radicale, inoltre
sono ridotte le perdite per ruscellamento e percolazione profonda.
Lavorazioni, rotazioni e controllo delle infestanti. La lavorazione profonda (aratura, discissura) migliora la capacità di invaso del terreno,
riduce le perdite di acqua per ruscellamento e
percolazione e favorisce la crescita delle radici;
mentre le lavorazioni superficiali riducono l’evaporazione per interruzione della capillarità e
controllano le infestanti. La corretta gestione
della flora infestante riduce sensibilmente le
perdite di acqua per traspirazione e migliora la
capacità di utilizzo dell’umidità del terreno da
parte della coltura. Anche la scelta delle colture in rotazione in base alla disponibilità idrica
può consentire un risparmio idrico ed inoltre
una oculata rotazione consente l’esecuzione dei
lavori in modo appropriato e favorisce la crescita delle radici.
Pacciamatura. Sebbene una coltura pacciamata con film plastici non sia in grado di beneficiare a pieno degli apporti idrici meteorici,
l’efficienza d’uso dell’acqua è evidentemente
migliorata. La pacciamatura esplica effetti positivi sul bilancio idrico del suolo in quanto riduce lo sviluppo delle infestanti, la perdita di acqua per evaporazione e consente la realizzazione di cicli colturali più brevi.
2.2 I sistemi e metodi irrigui per l’orticoltura
La scelta di metodi capaci di conseguire la massima efficienza d’uso, rappresenta una strategia
fondamentale ai fini del risparmio idrico.
I sistemi a microportata di erogazione (a
goccia, microsprinkers, subirrigazione) sono i
più efficienti e dovrebbero rappresentare ormai
la norma in orticoltura (Dellacecca et al., 1993;
Pimpini e Chillemi, 1993). Questi sistemi irrigui
sono stati ideati ed introdotti in aree caratterizate da più o meno grave carenza idrica; non a
caso attualmente in Italia sono particolarmente
diffusi nelle regioni del Sud, a clima mediterraneo piuttosto che al Nord dove persiste l’impiego di sistemi irrigui meno efficienti (aspersione, infiltrazione laterale da solchi) (Taglioli,
2004). Sono caratterizzati da una elevata efficienza di distribuzione in quanto l’acqua è erogata soltanto in prossimità dell’apparato radi-
cale e sono necessari minori volumi d’adacquamento; evitano fenomeni di ruscellamento, erosione e costipamento del terreno e riducono le
perdite per evaporazione. È possibile con questi sistemi irrigui mantenere costantemente l’umidità del terreno molto prossima alla CIC, evitare forti alternanze dell’acqua disponibile e migliorare allo stesso tempo la biodisponibilità dei
nutrienti; l’abbinamento della distribuzione dei
fertilizzanti (fertirrigazione) migliora l’efficienza d’uso dei fertilizzanti (Bar Yosef e Sagiv,
1982; Hochmuth, 1994; Mmolawa e Or, 2000;
Hebbar et al., 2004). Oltre a migliorare lo stato
idrico e nutrizionale della coltura, la mancata
bagnatura della pianta (goccia e subirrigazione)
riduce il rischio d’insorgenza di fitopatie (minore uso di fitofarmaci); per lo stesso motivo
questi sistemi hanno maggiore idoneità quando
si applicano acque salmastre (Tanwar, 2003).
I minori consumi energetici per la loro gestione legati alle basse pressioni di esercizio
(0,5-2,5 bar) consentono una ottima flessibilità
di intervento rispetto alle esigenze idriche della coltura e alla natura del suolo. Altri aspetti
tecnici concorrono a supportare la diffusione di
questi sistemi irrigui: funzionamento anche in
condizioni di forte ventosità, utilizzo di macchine operatrici contemporaneo alla irrigazione,
notevole limitazione della crescita delle infestanti. Hanno di contro la necessità dell’uso di
sistemi di filtraggio e di una accurata progettazione dell’impianto per garantire la uniformità
di distribuzione, presentano ridottissimi effetti
climatizzanti sulla coltura; per la elevata frequenza di intervento necessitano di adeguate
vasche di accumulo aziendali nel caso di distribuzione turnata dell’acqua.
I sistemi ad aspersione, sono meno efficienti ed andrebbero usati in orticoltura solo per alcune colture seminate, raramente trapiantate, a
ciclo autunnale o primaverile e per interventi di
soccorso, mentre i sistemi gravitazionali ormai
in disuso sono da sconsigliare per la loro bassa
efficienza (50-70%), anche nelle situazioni di
non limitate disponibilità idriche.
L’abbinamento tra un metodo/sistema irriguo e le caratteristiche della coltura e del terreno oggi non deve essere valutato soltanto sotto i profili agronomico, economico e gestionale,
ma soprattutto in chiave di risparmio idrico. Va
comunque sottolineato che nella realtà operativa, in particolare di pieno campo, non tutte le
499
Elia A., Farina E.
colture orticole sono utilmente irrigabili con i
sistemi a microportata, come nei casi di elevata
densità colturale e quando l’intervento irriguo
integra brevi periodi di assenza di pioggia (cicli
autunno-vernini). In ogni caso, scelto il metodo,
questo va impiegato in maniera corretta, adottando tutti gli accorgimenti tecnici e gestionali
possibili, per consentire la migliore efficienza
nella distribuzione e nell’uso dell’acqua.
2.3 Programmazione dell’irrigazione in orticoltura
La gestione razionale dell’irrigazione si propone di determinare il momento dell’intervento irriguo e il volume di adacquamento per realizzare i migliori risultati quali-quantitativi. Ci sono due tipi di approcci per ottenere le informazioni necessarie per la determinazione delle
variabili irrigue. Il tipo indiretto è basato sulla
stima del bilancio idrico del sistema terreno-coltura mediante la misura dei fattori ambientali
che influenzano le perdite per evapotraspirazione. Il sistema diretto si basa sulla misurazione, attraverso l’uso di sensori, dello stato idrico
del terreno (tensiometri, sonde TDR, FDR) o
della condizione di stress delle piante (misuratori della variazione di diametro di steli e bacche, termometri ad infrarosso). Per il primo esiste una discreta sperimentazione in orticoltura
che ha fornito modelli e coefficienti colturali applicabili con buona approssimazione a diverse
colture orticole praticate sia in campo che in
ambiente protetto (Baillè, 2001; Battilani, 2001;
Monteleone et al., 2003a). L’applicazione in orticoltura dei sensori riguarda principalmente i
misuratori di umidità del terreno e interessa soprattutto coltivazioni su substrato (Parente e
Santamaria, 2003; Farina, 2004); la sperimentazione nel settore della sensoristica (Moret et al.,
2006; Vazquez et al., 2006) è in continua evoluzione ed è probabile che nel prossimo futuro
siano estendibili con costi contenuti ed elevata
affidabilità alle colture di pieno campo.
Sono state identificate anche strategie che riducono in maniera controllata l’apporto idrico.
Nella irrigazione a deficit idrico controllato, la
coltura viene deliberatamente sottoposta ad un
certo grado di deficit idrico e di riduzione della produzione (English et al., 1990). L’adozione
della tecnica implica la conoscenza delle necessità idriche della coltura e delle sue risposte allo stress idrico, comprendendo l’identificazione
500
dei periodi critici e l’impatto economico sulla riduzione di produzione. Con la tecnica della parziale disidratazione dell’apparato radicale (partial rootzone drying) metà dell’apparato radicale viene irrigato normalmente, mentre l’altra
metà viene fatta disidratare fino ad un livello
prossimo al punto di appassimento, ottenendo
risparmi fino al 50% dell’acqua senza effetti negativi sulla produzione del pomodoro (Zegbe et
al., 2004).
2.4 Gestione di acque di scarsa qualità in orticoltura
Le aree a clima mediterraneo devono confrontarsi con il problema della salinizzazione dell’acqua irrigua. I rischi derivanti dalla applicazione delle acque salmastre riguardano sia la
fertilità del terreno sia la redditività della coltura e sono proporzionali a: a) grado e tipo di
salinità dell’acqua, b) durata ed intensità dello
stress salino, c) tolleranza della specie coltivata,
d) condizioni colturali e pedocliamatiche in cui
si opera (Caliandro et al., 2000).
Rispetto ad altri metodi irrigui, l’irrigazione
a goccia consente di raggiungere migliori risultati quando si opera con acque saline (Ragab et
al., 1984). Il sistema mantiene un alto potenziale matriciale e una bassa concentrazione di sali
nel volume di terreno umettato entro cui è concentrato l’apparato radicale. Al contrario, nell’irrigazione per infiltrazione laterale da solchi,
i sali tendono ad accumularsi nella zona dove si
accrescono gli apparati radicali in quanto la liscivazione dei sali avviene principalmente sotto
i solchi (Singh-Saggu e Kaushal, 1991).
In caso di acque saline si possono adottare
ed integrare varie strategie di gestione dell’acqua la cui scelta comunque presuppone una attenta analisi dei costi-benefici:
a) la miscelazione di acque di bassa qualità con
acqua di buona qualità (network dilution) in
un rapporto tale da mantenere la salinità
dell’acqua irrigua sotto la soglia di tollerabilità della coltura (Abdel Gawad e Ghaibeh,
2001);
b) la alternanza di acque di diversa qualità durante il ciclo colturale (soil dilution). Questa
gestione è più semplice della precedente in
quanto non ha bisogno di vasche di grandi
dimensioni per miscelare le due qualità di
acqua, inoltre consente di utilizzare l’acqua
di buona qualità durante i periodi critici del-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:497-506
la coltura e le acque di bassa qualità nei periodi di minore sensibilità (Pasternak e De
Malach, 1993);
c) la combinazione di interventi frequenti (anche cinque volte al giorno) con bassi volumi
irrigui (pulse-irrigation). Questa strategia consente di mitigare gli effetti negativi della salinità riducendo la concentrazione salina a livello della rizosfera durante le ore più calde
del giorno (Pasternak e De Malach, 1995).
d) la distribuzione di acqua irrigua eccedente il
fabbisogno della coltura e la capacità di campo del suolo (leaching) per mantenere la
concentrazione dei sali nello strato di terreno esplorato dalle radici, entro limiti di stabilità produttiva. L’applicabilità di questa tecnica è vincolata alla permeabilità del suolo, alla profondità della falda sotterranea, alla buona disponibilità di acqua e al livello salino di
quest’ultima (Monteleone et al., 2003b).
In ambiente protetto l’impiego di acqua salmastre è più complicato rispetto al pieno campo; il mancato effetto dilavante delle piogge e
le condizioni ambientali rendono più rapido il
fenomeno della salinizzazione del terreno; la situazione è spesso aggravata dalla distribuzione
eccessiva di fertilizzanti da parte del serricoltore. L’impatto sull’ambiente è notevole in considerazione della quantità di acqua lisciviante necessaria impiegata e del suo contenuto in nitrato. Le condizioni di elevata temperatura, elevato VPD (deficit di pressione di vapore) e radiazione luminosa innalzano la evapotraspirazione potenziale; in queste condizioni gli effetti
dello stress salino a cui è sottoposta la pianta
possono essere più evidenti e spesso si può aggiungere quello idrico.
Molteplici esperienze hanno dimostrato che
a parità di condizioni, la riduzione della produzione e/o la manifestazione di fisiopatie è più
intensa in ciclo primaverile-estivo in serre non
condizionate. In serre tecnologicamente avanzate i sistemi di ombreggiamento, di umidificazione dell’aria e di arricchimento carbonico possono contribuire in maniera sostanziale all’impiego sostenibile di acqua salmastra ancora di
più con tecnica di allevamento senza suolo.
La coltivazione senza suolo può consentire
l’attività agricola su aree già compromesse dalla salinizzazione e prescindendo dal terreno si
può superare i rischio di sodicizzazione. Tra i
vantaggi del senza suolo si ricorda la possibilità
di gestire e controllare la nutrizione idrica e minerale della piante mediante la formulazione bilanciata della soluzione nutritiva e la accurata
gestione (integrazione e distribuzione) durante
il ciclo colturale. Al risparmio idrico soprattutto se a ciclo chiuso, è possibile associare diverse strategie di applicazione delle acque salmastre che ne ridimensionano gli effetti. Queste
potenzialità è necessario che siano valutate in
funzione della specie, della qualità dell’acqua
presente in azienda e dal sistema di coltivazione adottato. Per specie tolleranti, in cui la riduzione della produzione è compensata dal miglioramento qualitativo del prodotto (es.: pomodoro tipo “cherry” o pomodoro insalataro a
bacca piccola) è proponibile l’allevamento in
NFT con CE di partenza della soluzione nutritiva pari a 3 dS·m-1 che può raggiungere 10-11
dS·m-1 a fine ciclo; in mezzo liquido la pianta
non sottoposta a stress idrico tollera meglio lo
stress osmotico. La distribuzione di acqua salmastra solo ad una porzione dell’apparato radicale (split-root) sfrutta l’assunto che l’adeguamento della piante alla salinità è sottoposta a
messaggi chimici che partono dalle radici, se una
porzione di queste è rifornita adeguatamente gli
effetti sono ridotti. La distribuzione di acqua
salmastra durante le ore di minore esigenze traspirative può contribuire a migliorare l’asportazione di calcio (per pressione radicale) e controllare la comparsa del marciume apicale. La
tecnica della subirrigazione in canaletta consente l’accumulo dei sali in eccesso sulla superficie del substrato non interessato dall’apparato
radicale e la stabilità della composizione della
soluzione nutritiva di partenza. Potrebbe essere
applicata per la produzione di piante tolleranti
a ciclo breve.
2.5 Riuso di acque reflue trattate in orticoltura
Nell’ottica del risparmio della risorsa idrica e
della riduzione dei prelievi da falda e da acque
superficiali, le acque reflue depurate vengono
considerate come “risorsa” da gestire in modo
razionale. Per la sua applicazione come acqua
irrigua bisogna attenersi strettamente alle norme legislative sulla qualità delle acque. Il tema
del riutilizzo delle acque derivanti da processi
di depurazione delle acque reflue sono affrontati dai d.l. n. 152/99 e 183/03 e dal recente decreto del Ministero dell’Ambiente n. 152/06, ove
vengono riportate le norme tecniche e i requi-
501
Elia A., Farina E.
siti di qualità per il riutilizzo delle acque reflue.
Il riutilizzo irriguo è comunque subordinato al
rispetto del Codice di Buona Pratica Agricola
(decreto del Ministro per le Politiche Agricole
e Forestali n. 86/99).
In termini generali nelle colture orticole, dove spesso avviene il contatto tra le parti eduli e
il refluo, sotto il profilo microbiologico e chimico-fisico questo, in particolare, deve avere la
massima qualità igienico-sanitaria e presentare
livelli di residui fitotossici al disotto della soglia
di tollerabilità. La presenza di particelle in sospensione e/o di sostanze precipitabili è da tenere in considerazione nel caso di possibile danno estetico del prodotto. Nel caso di colture destinate alla produzione di ortaggi in quarta gamma l’uso di acque reflue va assolutamente sconsigliato.
Per evitare i rischi di inquinamento dei prodotti vegetali va scelto opportunamente il metodo irriguo, tenendo in considerazione che la
mancata bagnatura della pianta con i sistemi “a
goccia” e in subirrigazione, rende questi ultimi
particolarmente idonei nel caso di acque reflue
(Tanwar, 2003). Nel caso si abbia a disposizione acqua reflua di media qualità è opportuno
orientarsi verso colture in cui è previsto un trattamento di trasformazione industriale che garantisce la distruzione di eventuali patogeni (es.
pastorizzazione nel pomodoro da industria). Va
attentamente valutata la quantità di fertilizzanti apportati con l’acqua e studiato il piano di
fertilizzazione in maniera da evitare inutili apporti di sali. È buona norma sospendere l’irrigazione con il refluo almeno 2 settimane prima
della raccolta.
3. Floricoltura e piante ornamentali
Le colture ornamentali consumano grandi quantità di acqua per mantenere elevati ritmi di crescita e livelli di qualità commerciale. La razionalizzazione della risorsa idrica dovrà pertanto
avvenire attraverso l’applicazione di criteri riguardanti l’uso dell’acqua applicati a vari livelli del processo di produzione. Acque reflue possono essere impiegate ma nei limiti di una sufficiente qualità che non incida sulla commerciabilità e appetibilità del prodotto finito (assenza di particelle in sospensione, odore, ecc.).
502
3.1 Scelta della cultivar nel settore floro-vivaistico
Ad un primo esame, poche speranze sono legate al fatto di poter scegliere specie o cultivar a
basse esigenze idriche: la volubilità di richiesta
di prodotti ornamentali, legati a mode, costumi,
ricorrenze, esigenze estetiche e sociali, la necessità di veloce ricambio varietale per una adeguata sollecitazione all’acquisto, rendono impraticabile la applicazione di questo criterio. Solo nel caso di arredo verde pubblico o privato
in contesti urbani o extraurbani, può prevedersi l’adozione di un criterio di scelta legato alle
scarse esigenze idriche (o tolleranza alla siccità)
del materiale vegetale, in ogni caso questo criterio non potrà essere l’unico adottato; ad esempio la scarsa esigenza di manutenzione, la ridotta produzione di materiale vegetale suscettibile di deterioramento (es., parti fiorali senescenti, frutti carnosi), sono due criteri sicuramente più forti di quello delle scarse esigenze
idriche.
3.2 Il risparmio idrico nel settore floro-vivaistico
Considerata la limitata possibilità di risparmiare acqua attraverso la scelta varietale, rimangono essenziali le scelte relative alle tecniche utilizzate per gestire le perdite di acqua nel sistema substrato-pianta-atmosfera, nonché alla logica con la quale provvedere al reintegro di tali perdite.
Le perdite di acqua avvengono essenzialmente, come in tutti i processi di produzione
agraria, attraverso i fenomeni di evaporazione e
traspirazione. Su questi ultimi è limitata la possibilità d’intervento, poiché è indispensabile, ai
fini economici, che in un processo produttivo ad
elevato input di risorse, l’acqua non diventi il
fattore limitante della produzione e della rapidità con cui viene concluso il ciclo. Dove invece si può intervenire è sui ritmi di evaporazione. L’evaporazione è un processo in certo qual
modo “parassita” nel ciclo agrario dell’acqua.
Esso contribuisce largamente alle perdite di acqua dal substrato di coltivazione ed è opportuno poterne regolare il ritmo. In ogni caso occorre tener conto che l’evaporazione non dovrà
essere azzerata, soprattutto per le produzioni in
ambiente protetto: il processo evaporativo contribuisce infatti al mantenimento di condizioni
idonee di UR dell’aria in serra e ad abbassare
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:497-506
la temperatura del terreno e dell’aria (calore latente di evaporazione).
La regolazione del ritmo evaporativo nei
processi produttivi ornamentali assume significati molto particolari. Il dato di cui occorre tener conto è che nel caso delle produzioni ornamentali, quasi mai si utilizza il terreno tal quale ma si coltiva su terreno ben ammendato o su
substrati artificiali (Farina, 2005). In substrati di
tal genere la porosità è elevata e gli spazi e le
superfici disponibili per i processi dinamici dei
gas sono molto consistenti, consentendo intensi
scambi gassosi con l’aria dell’ambiente di coltivazione. Nel caso delle colture in contenitore, si
verifica addirittura una ulteriore esaltazione dei
ritmi di tali scambi, sorretti dalle elevate temperature raggiunte all’interno del substrato, in
conseguenza dell’irraggiamento diretto del contenitore. Il processo evaporativo comunque è
responsabile non solo di una ampia quota della dissipazione delle risorse idriche, ma anche
del peggioramento delle condizioni nutrizionali
nel mezzo di coltura. Infatti, considerato che,
nelle coltivazioni in contenitore, il livello di nutrienti e di conducibilità elettrica della soluzione nel substrato viene regolato attraverso una
programmazione fissa delle fertirrigazioni, la
perdita di acqua per evaporazione tende a disturbare questo tipo di regolazione contribuendo alla salinizzazione del substrato colturale.
Condizioni anche particolarmente rischiose per
la coltura, responsabili di fenomeni di malnutrizione o di fitotossicità, sono state verificate in
aziende di produzione. Situazioni analoghe sono state confermate anche nell’ambito di sperimentazioni di modellizzazione del profilo di salinità nel substrato in rapporto alla adozione di
protocolli e tecniche di gestione di acqua e nutrienti. Questi stessi esperimenti hanno dimostrato come la semplice adozione di pacciamatura sia in grado di ridurre le perdite di acqua
e di mantenere contemporaneamente condizioni nutrizionali più idonee nel mezzo di coltura
(Farina et al., 2003). La adozione di tecniche di
pacciamatura deve essere incentivata con azioni di corretta informazione tecnica e supportata da attività sperimentali per trovare le soluzioni più opportune in funzione delle esigenze
della coltura e per individuare materiali pacciamanti ad elevata efficienza agronomica e ad opportuna degradabilità. I materiali oggi di maggior utilizzo infatti sono film plastici a bassissi-
ma degradabilità, impermeabili o permeabili,
adatti questi ultimi per cicli anche relativamente lunghi, ma entrambi assolutamente inadatti
per specie rizomatose. Nelle problematiche di
efficienza agronomica va inoltre certamente
considerato anche l’effetto termico prodotto dai
materiali pacciamanti di colore nero. Nel caso
di colture in contenitore l’impermeabilità dei teli pacciamanti sul suolo di supporto assume motivazioni d’uso specifiche, poiché in tal caso si
tratta di evitare l’infiltrazione di acqua nel terreno sottostante i contenitori e poter gestire
pertanto in modo più razionale l’acqua messa a
disposizione delle piante.
3.3 Tecniche irrigue nel settore floro-vivaistico
Per quanto attiene le modalità e la logica con
la quale provvedere alla distribuzione dell’acqua, si tratta di un’altra serie di problematiche
di notevole interesse tecnico, potenzialmente in
grado di determinare cospicui risparmi nei volumi irrigui. Le tecniche di distribuzione dell’acqua hanno avuto una costante evoluzione
per quanto concerne i materiali e le tecnologie
disponibili. Sicuramente l’irrigazione localizzata
a microportata deve essere considerata una rivoluzione nel modo di concepire la somministrazione dell’acqua. Nata per economizzare la
risorsa idrica in condizioni di limitata disponibilità, mantiene tutta la sua efficacia applicativa anche nel caso di allevamento di specie ornamentali in condizioni di limitato volume di
substrato disponibile (allevamento in contenitore). Essa inoltre, limitando il volume di substrato umettato ed esplorato dall’apparato radicale favorisce il contenimento delle erbe infestanti nel caso di impianti a bassa densità. La
notevole disponibilità di modelli di erogatori
con differenti caratteristiche tecniche, anche autocompensanti per ovviare alle perdite di carico, ha reso più facile adottare la microirrigazione (Yeager et al., 1997). Numerose sono comunque le colture ornamentali che presentano
caratteristiche che rendono problematica l’applicazione di tecnologie per distribuzioni localizzate, ad esempio pressoché tutte quelle di tipo erbaceo ad elevata densità colturale. In alcune situazioni (produzioni in contenitore) risulta praticabile una distribuzione dal basso attraverso tappetini capillari ad elevata capacità
di adsorbimento (Bartok, 1993; Beeson, 2002).
Questi materiali sono in una interessante fase
503
Elia A., Farina E.
di sviluppo tecnologico volta, ad esempio, a dotarli di capacità di rilasciare acqua o soluzione
nutritiva al vaso appoggiato sopra di essi, ma
non all’atmosfera (riduzione dell’evaporazione),
nonché a garantire una buona uniformità della
disponibilità idrica anche in posizioni non perfettamente in piano. Se sul fronte della razionalizzazione d’uso dell’acqua si intravedono
buone prospettive sul piano applicativo, si possono al contrario individuare sistemi di irrigazione che sono responsabili della dispersione di
risorse idriche se non opportunamente corredati di misure di salvaguardia. Fra queste tecniche
si colloca ad esempio l’irrigazione per aspersione o “a pioggia”, frequentemente utilizzata nell’ambito della attività vivaistica (Fain et al.,
1998) e che prevede per sua natura la distribuzione di una gran parte dell’acqua erogata al di
fuori del substrato coltivato. In conclusione, la
soluzione tecnica da adottare per la razionalizzazione dell’irrigazione nelle produzioni ornamentali va valutata caso per caso e non si può
pensare ad una acritica incentivazione d’uso di
una particolare tecnica di distribuzione che si è
rivelata ottimale in uno specifico contesto.
3.4 Gestione dell’irrigazione nel settore floro-vivaistico
Per quanto attiene ai criteri di gestione dell’irrigazione, intesi come processo che porta alla
decisione di effettuare il singolo intervento irriguo, ossia sul momento di intervento e sul relativo volume irriguo, molto vi è ancora da lavorare e grandi sono gli spazi di intervento e i
risultati ottenibili.
Anzitutto, occorre sempre più orientarsi verso sistemi di irrigazione basati sul criterio della
separazione fra ciclo “naturale” dell’acqua e ciclo delle acque coinvolte nel processo produttivo. Questo approccio deriva da una valutazione
della effettiva possibilità di adottare cicli chiusi
con ricircoli prolungati nelle colture senza suolo (o così dette, sebbene in modo spesso improprio, “idroponiche”). Non è certamente opportuno nel contesto di questa relazione, discutere in modo approfondito di come possano essere sostenuti ricircoli prolungati, tuttavia è necessario che vengano citati alcuni punti per chiarire alcune condizioni basilari e rendere praticabili tali soluzioni irrigue: a) le problematiche
fitopatologiche determinate da patogeni veicolabili con le acque sono estremamente impor-
504
tanti e rendono necessarie tecniche specifiche di
controllo (Runia, 1988; Minuto e Garibaldi,
2004); b) i livelli nutrizionali devono essere monitorati con frequenza ed attenzione; c) vanno
garantiti opportuni livelli di ossigenazione delle soluzioni ricircolanti evitando comunque proliferazioni di alghe; d) l’uso di substrati artificiali può essere considerato di prassi. Introdotti questi elementi nella discussione, anche se in
modo certamente generico, va comunque detto
che la durata del ricircolo, e quindi la effettiva
entità nel risparmio sull’uso dell’acqua, verrà
determinata dalla qualità dell’acqua all’origine
e dalla capacità di gestire la qualità della soluzione ricircolante ai fini nutrizionali; in tal senso verranno messi in atto tutti i mezzi tecnici e
gli accorgimenti gestionali che il produttore sarà
capace di garantire. Nel caso di nuovi impianti,
sono frequenti le scelte di produrre specie ornamentali da fiore reciso, ad esempio la rosa,
con coltivazione senza suolo. Sono semmai le
difficoltà di mercato del settore floricolo a frenare la diffusione di tale tecnologia produttiva,
che è ormai tecnicamente consolidata. I primi
impianti prevedevano il ciclo aperto, con volumi eccedenti le reali necessità di saturazione del
substrato e produzioni di grandi quantitativi di
drenato a perdere (Cabrera et al., 1993; Cabrera et al., 1995). Oggi il passaggio verso il ciclo
chiuso è praticamente pronto per l’adozione
nella comune pratica produttiva, ma non ancora adeguatamente sorretto da politiche di agevolazione da parte delle pubbliche amministrazioni. Soluzioni che prevedono il ciclo chiuso
esistono anche nelle produzioni di vaseria ornamentale da interno (“ebb and flood”) nonché
in alcune aziende che sviluppano produzioni vivaistiche da esterno (Skimina, 1996). Nel primo
caso si tratta di allagamenti a cadenza in basse
vasche di coltivazione seguiti da deflusso, nel secondo caso invece siamo di fronte a sistemi che
prevedono la impermeabilizzazione del terreno
mediante teli di plastica, il recupero delle acque
eccedenti (derivanti anche da distribuzione per
aspersione) per mezzo di pendenze precostituite e convogliamento, mediante un opportuno sistema idraulico, in una grande vasca di raccolta
da cui le acque vengono poi prelevate per la
successiva irrigazione.
Nei cicli chiusi può sembrare superflua la necessità di definire le variabili irrigue (momento
dell’intervento e volume irriguo), potendosi
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:497-506
procedere per eccesso presumibilmente senza
determinare maggiori consumi idrici. In realtà
non è proprio così, in quanto anche un eccessivo regime irriguo pone condizioni nutrizionali
non ottimali e provoca comunque un maggior
consumo di acqua. Certo, determinare quando
è il momento più opportuno per far scattare
l’intervento irriguo è problema fondamentale
non solo nelle produzioni ornamentali ma in
ogni tipo di agricoltura intensiva o industriale.
Esso assume importanza strategica nelle colture senza suolo a ciclo aperto a causa dello scarso volano idrico del substrato, frequentemente
caratterizzato da bassa capacità di ritenzione
idrica e da intensi fenomeni evaporativi. L’empirismo nel definire quando e quanto irrigare è
ancora largamente diffuso, ovviamente con frequenti sovrastime (irrigazione non ancora necessaria) o sottostime (piante già in stato di latente stress idrico). Nella necessità di disporre
di strumenti di supporto decisionale nella gestione dell’irrigazione, un posto di importanza
notevole è ricoperto dai sensori. A titolo di studio si può pensare a sensori dello stato idrico
della pianta o del terreno, nonché a sensori che
attraverso monitoraggio di fattori microclimatici possano calcolare le perdite di acqua dal sistema di allevamento utilizzando modelli di stima disponibili. Nella comune pratica produttiva
la possibilità l’applicabilità di questi supporti
decisionali, rimane alquanto limitata. Tuttavia
alcuni sensori presentano performances sicuramente interessanti. Senza sminuire l’importanza
ai fini di studio e di eventuali applicazioni future della attività sulla sensoristica relativa allo
stato idrico delle piante, dal punto dì vista delle applicazioni pratiche, affidarsi a valutazioni
dello stato idrico del terreno o del substrato
sembra una scelta sensata e pragmatica. Del resto, nel corso della loro evoluzione le piante si
sono adattate a utilizzare acqua presente nel
terreno in stati fisici (descritti attraverso il potenziale) determinati dalle interazioni dell’acqua con le particelle del terreno stesso. Sensori
ormai storicamente affermati, quali i tensiometri, oggi hanno conseguito miglioramenti tecnici e costruttivi che ne consentono un utilizzo più
generale e contraddistinto da buona affidabilità
(Bacci et al., 2004). E tuttavia i tensiometri sono strumenti ancora relativamente delicati per
applicazioni di campo, necessitano di non facile
e relativamente frequente manutenzione, non
sono impiegabili in substrati ad elevata porosità.
Un’altra branca della sensoristica di tipo più
avanzato offre oggi interessanti orizzonti su applicazioni pratiche in numerosi settori dell’agricoltura. Sensori facenti riferimento alla Time Domain Reflectometry (TDR) o alla Frequency Domain Reflectometry (FDR), offrono letture del
contenuto idrico del terreno o dei substrati in genere svincolate dal potenziale idrico o da limitazioni quali la porosità, offrendo nel contempo
prestazioni affidabili e meno soggette alla necessità di periodica manutenzione (Farina e Bacci,
2005). È questo un settore di studio – peraltro in
parte già in fase applicativa – che consentirà di
intervenire con l’irrigazione o la fertirrigazione
quando effettivamente necessario, aprendo una
ulteriore possibilità nella automazione irrigua e
nella razionalizzazione nell’uso di questa ormai
preziosa risorsa.
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L’irrigazione sostenibile in frutticoltura§
Cristos Xiloyannis*, Bartolomeo Dichio
Dipartimento di Scienze dei Sistemi Colturali Forestali e dell’Ambiente, Università della Basilicata
Viale dell’Ateneo Lucano, 85100 Potenza
Società Orticola Italiana
Riassunto
Nonostante l’innovazione tecnologica abbia reso disponibili, fin dagli anni ’70, strumenti e materiali che permettono l’ottenimento di una elevata efficienza dei metodi irrigui (90-95%), ancora oggi nel settore frutticolo si fa largo
uso di metodi con bassa efficienza (40-50%). Una prerogativa fondamentale per ottenere il massimo dell’efficienza dei metodi irrigui a microportata è disporre di acqua a domanda in modo da garantire la gestione dell’irrigazione con bassi volumi d’ adacquamento e turni brevi. Tale gestione permette di mantenere l’umidità del suolo a
livelli ottimali e controllare sia la nutrizione idrica che minerale delle piante. Inoltre in fase di progettazione dell’impianto irriguo bisogna tenere in considerazione le caratteristiche pedo-climatiche, la quantità e la qualità dell’acqua disponibile e le caratteristiche della specie coltivata. Le recenti conoscenze relative ai rapporti pianta-terreno-atmosfera permettono di migliorare ulteriormente l’efficienza dell’uso dell’acqua da parte delle piante, prendendo in considerazione la vocazionalità delle specie, cultivar e portinnesti, scegliendo l’architettura della chioma e
le tecniche innovative per la sua corretta gestione. Sono auspicabili azioni coordinate tra i servizi di Sviluppo agricolo, i Consorzi d’irrigazione, le Associazioni dei produttori, i tecnici e gli imprenditori che operano nel settore agricolo, per introdurre, alla luce delle attuali conoscenze, una nuova cultura dell’utilizzazione delle risorse idriche. Cultura che dovrà puntare ad un uso sostenibile della risorsa acqua mediante la combinazione di fattori che riguardano la scelta e la gestione del metodo irriguo e la conduzione della pianta e del suolo.
Parole chiave: stress idrico, volumi irrigui, architettura della chioma, apparato radicale, area fogliare.
Summary
SUSTAINABLE IRRIGATION IN FRUIT TREES
Water management in fruit growing, particularly in areas with high water deficit, low rainfall and limited availability of water for irrigation should aid to save water by: i) the choice of high efficiency irrigation methods and their
correct management; ii) the proper choice of the specie, cultivar and rootstock to optimise plant water use; iii) the
proper choice of the architecture of the canopy and it’s correct management in order to improve water use efficiency; iv) the application of regulated deficit irrigation at growth stages less sensitive to water deficit; v) strengthening the role of technical assistance for a rapid transfer of knowledge to the growers on the sustainable use of water in fruit growing.
Key-words: regulated deficit irrigation, irrigation volume, canopy architecture, root system, leaf area.
§
Lavoro svolto nell’ambito dei Progetti BRIMET e PRIN2005 (Metodologie e sistemi integrati per la valorizzazione di prodotti ortofrutticoli di particolare interesse degli areali di Brindisi e Metaponto). Il lavoro è da attribuirsi agli Autori in parti uguali.
* Autore corrispondente: tel.: +39 3293606262; fax: +39 0971 205378. Indirizzo e-mail: cristos.xiloyannis@unibas.it
507
Xiloyannis C., Dichio B.
1. Introduzione
Nel settore frutticolo, in particolare quello delle aree caratterizzate da elevato deficit idrico
ambientale, per una migliore utilizzazione delle
risorse idriche finalizzata al risparmio idrico, al
controllo dell’impatto ambientale e al miglioramento della qualità della produzione , è necessario intervenire su:
– scelta e progettazione del metodo irriguo;
– gestione del metodo irriguo;
– architettura della chioma ed efficienza dell’uso dell’acqua;
– stress idrico controllato.
2. Scelta e progettazione del metodo irriguo
Per un utilizzo razionale della risorsa idrica in
frutticoltura i metodi irrigui da adottare devono necessariamente essere quelli localizzati, ad
eccezione per gli impianti di actinidia, specie
molto sensibile alla carenza idrica e per terreni con bassa capacità di ritenzione idrica. Talvolta, però, l’adozione di tali metodi è ostacolata dallo stato attuale delle reti consortili di
distribuzione, che non sono in grado di erogare l’acqua a domanda, condizione essenziale
per la corretta gestione degli impianti ad erogazione localizzata. Per aziende di dimensioni
medio-grandi è possibile superare tale difficoltà, grazie alla possibilità di costruire invasi
aziendali che consentono di far funzionare gli
impianti microirrigui con turni di 1-2 giorni
(foto 1).
3. Conoscere il suolo
Le caratteristiche fisico-meccaniche del profilo
di suolo potenzialmente esplorabile dalle radici, la dotazione in sostanza organica ed il tipo
di gestione determinano la sua capacità di assorbire e trattenere l’acqua delle piogge e quella d’irrigazione. Convenzionalmente l’acqua disponibile per le piante viene definita come differenza tra la quantità contenuta alla capacità
idrica di campo (-0,03 MPa) e quella contenuta
al punto di appassimento (-1,5 MPa). La differenza tra il quantitativo di acqua contenuto alla CIC e quello contenuto all’inizio dello stress
idrico rappresenta la riserva di acqua facilmente utilizzabile dalle piante (RFU). In generale,
508
Foto 1. La realizzazione di impianti di accumulo aziendali
è indispensabile per fronteggiare una turnazione dell’acqua
da parte dell’Ente Gestore troppo lunga (7-10 giorni) nel
caso dei metodi irrigui localizzati.
Photo 1. The implementation of reservoirs to store surface
waters directly in the farms is indispensable when is applied
the microirrigation system.
le specie arboree da frutto, iniziano a presentare i primi sintomi di stress idrico quando il potenziale idrico del suolo oscilla tra -0,08 MPa
(olivo) e -0,04 MPa (actinidia).
Terreni profondi di medio impasto possono
trattenere fino a circa 2.000 m3ha-1, se si considera lo sviluppo dell’apparato radicale su tutta
la superficie a disposizione e fino alla profondità di 1 m. L’acqua contenuta in tale volume
di suolo può soddisfare il 30-40% del consumo
idrico annuale di un frutteto situato negli ambienti meridionali. Nei terreni leggeri, superficiali ed in quelli con falda freatica superficiale,
in cui l’apparato radicale non può svilupparsi
in profondità, la quantità di acqua immagazzinabile è molto limitata e, conseguentemente, le
piante sono più esposte ai danni per la carenza idrica.
Nei terreni con elevata capacità di ritenzione idrica (1.500-2.000 m3 ha-1), in assenza di irrigazione, il contenuto idrico del suolo decresce
lentamente durante l’anno permettendo alla
pianta di adattarsi e limitare così i danni da deficit idrico. Al contrario, in terreni leggeri e/o
superficiali ed in caso di apparato radicale superficiale, in assenza di irrigazione si verificano
rapide variazioni di umidità del suolo tali da
non permettere alla pianta di adattarsi allo stato di carenza idrica, determinando così una riduzione di turgore dei vari tessuti vegetali con
inevitabili danni alle piante. La gestione del suo-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:507-517
lo in condizioni di scarsa disponibilità idrica deve avere il duplice obiettivo di migliorare la
sua capacità di ritenzione idrica e di eliminare o ridurre le perdite per evaporazione e traspirazione di eventuali altre specie presenti
nel frutteto.
Le perdite di acqua per evaporazione possono raggiungere il 50% circa delle precipitazioni ed il 30% circa della evapotraspirazione
annuale. Le perdite per evaporazione aumentano con il diminuire del LAI e con l’aumentare degli interventi irrigui, soprattutto se praticati con metodi che bagnano tutta la superficie del suolo. Infatti, l’efficienza di distribuzione dei vari metodi irrigui per i frutteti in
piena produzione varia dal 50 al 90%, fondamentalmente in ragione della diversa quantità
di acqua che evapora dal suolo tra due interventi e durante la distribuzione stessa. Nei
frutteti giovani, in cui l’apparato radicale non
ha ancora raggiunto il massimo sviluppo e
l’ombreggiamento da parte della chioma è
molto limitato, l’efficienza dei vari metodi irrigui oscilla tra il 10 ed il 95% circa.
4. La conoscenza della pianta
Per la scelta e la progettazione del metodo irriguo e per la sua corretta gestione è necessario conoscere, in particolare durante i primi anni dall’impianto del frutteto, il volume di suolo
esplorato dalle radici e l’area fogliare per ettaro. Dato che le foglie rappresentano la parte
della pianta attraverso cui passa la quasi totalità dell’acqua (99,5%) assorbita dal suolo, è ovvio che notevoli variazioni del LAI nei primi
anni dall’impianto e durante ogni stagione vegetativa, incidono in maniera rilevante sui consumi idrici. Le variazioni dell’area fogliare durante la stagione, in quei frutteti che hanno
completato la loro struttura, sono notevoli nelle specie caducifoglie, mentre sono contenute
nelle specie sempreverdi.
La conoscenza del volume di suolo esplorato dalle radici e delle sue caratteristiche idrologiche, come già sopra riportato, permette di calcolare la capacità di ritenzione idrica di tale volume e la quantità di acqua facilmente utilizzabile dalla pianta (foto 2 e 3).
Il volume di suolo esplorato dalle radici varia molto nei primi anni del frutteto e si stabi-
Foto 2. Nel caso di impianti a microportata, la “doppia ala
gocciolante” permette di aumentare il suolo interessato dall’irrigazione e quindi la quantità di acqua disponibile per la
pianta.
Photo 2. Double drip line allows to increase the amount of
soil irrigated hence, increases the water available for trees.
Pesco
Missour
Actinidia
Pesco
MrS 2/5
Olivo
Foto 3. La conoscenza della dinamica di sviluppo dell’apparato radicale, in particolare nella fase di allevamento, permette di ottimizzare l’uso della risorsa idrica attraverso la
giusta stima del volume di suolo esplorato dalle radici.
Photo 3. The knowledge on the evolution of root system in
young trees allows to optimize the water use throughout the
correct evaluation of the soil volume explored from root.
lizza con il completamento della struttura dell’albero (tabella 1). Tali informazioni sono indispensabili sia per la progettazione dell’impianto irriguo sia per la sua corretta gestione, in particolare per la definizione dei turni e dei volumi di adacquamento. In considerazione di ciò, è
possibile adottare, nei primi anni dall’impianto,
una disposizione dei gocciolatori secondo lo
schema riportato in figura 1.
509
Xiloyannis C., Dichio B.
0,2 m
3m
1° anno
0,5 m
1,5 m
0,5 m
2° anno
3° anno
Figura 1. Esempio di posizionamento dei gocciolatoi nei primi 3 anni dall’impianto finalizzato ad aumentare l’efficienza
del metodo irriguo.
Figure 1. Example of dripper positioning in the first three years after planting, finalized to increase the efficiency of irrigation system.
5. L’architettura della chioma, la sua gestione e
l’efficienza dell’uso dell’acqua
Per “efficienza dell’uso dell’acqua” s’intende il
rapporto tra la quantità di anidride carbonica
fissata e quella di acqua traspirata. Di tutta l’acqua assorbita dalle radici e trasferita alla parte
aerea della pianta, il 99,5% circa viene emessa
nuovamente nell’atmosfera attraverso la traspirazione stomatica e cuticolare delle foglie. La
traspirazione dei frutti è trascurabile ma la loro presenza contribuisce ad aumentare il consumo idrico delle foglie (dal 5 al 15% circa).
Mentre durante il giorno l’attività traspirativa è
regolata prevalentemente dalla domanda evapotraspirativa dell’ambiente e secondariamente
dalla disponibilità luminosa, l’attività fotosintetica è controllata in primis dal fattore luce. Le
foglie che ricevono luce sufficiente per raggiungere il livello massimo di fotosintesi (800-1.000
µmol m-2 s-1 PPFD), anche traspirando di più,
hanno un’efficienza dell’uso dell’acqua di circa
10 volte superiore a quella delle foglie site nelle zone ombreggiate (< 20% della radiazione incidente).
Ad esempio: un volume di 1.000 litri di acqua traspirato da foglie bene esposte alla luce,
510
corrisponde ad una produzione di carbonio di
circa 3 kg, mentre, con lo stesso quantitativo di
acqua, le foglie ombreggiate producono appena
0,3 kg di carbonio; un quantitativo insufficiente
per far fronte al consumo di carbonio dovuto
alla respirazione notturna. La parte della chioma che riceve meno del 20% della radiazione
disponibile, quindi, non costituisce per il frutteto un centro di produzione di assimilati bensì
un altro centro di assorbimento, con notevoli
consumi idrici che, in alcune forme di allevamento, raggiungono circa il 30% del consumo
totale (es. tendone per actinidia ed uva da tavola) (Xiloyannis et al., 1999a).
Nella scelta della forma di allevamento,
quindi, bisogna tenere in debita considerazione
l’efficienza dell’uso della risorsa idrica, efficienza che aumenta con l’aumentare del rapporto
foglie esposte/foglie ombreggiate. Tale aumento
può essere ottenuto attraverso la riduzione delle dimensioni delle piante, l’adozione di quelle
forme che consentono di massimizzare la quota di foglie esposte, riducendo al minimo gli ombreggiamenti aumentando l’efficienza dell’uso
dell’acqua (figura 2).
È consigliabile eliminare, con più interventi
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:507-517
Tabella 1. Evoluzione dell’area fogliare, del volume di suolo esplorato dalle radici, della riserva idrica disponibile e del rapporto riserva idrica/area fogliare di piante irrigate di actinidia, pesco ed olivo nei primi quattro anni (Da Xiloyannis et al.,
1993 e 2000).
Table 1. Leaf area, soil volume explored by roots, soil available water, and soil available water/leaf area ratio in irrigated kiwifruit plants, peach trees, and olive trees during the first 4 years after planting (modified by Xiloyannis et al., 1993 e 2000).
Anni
I
II
III
IV
1,7
0,1
12,8
7,5
8,9
0,8
72,3
8,1
16,5
1,35
147,4
8,9
17,2
1,41
154,0
9,0
Pesco: Vega/Missour (4.5*1.25m)
Area fogliare (m2 p-1)
Volume di suolo esplorato dalle radici (m-3 p-1)
Riserva idrica (L p-1)
Ris. idrica/Area fogliare (L m-2)
3,8
1,2
137,9
36,3
11,8
3,4
383,1
32,5
16,5
3,6
406,8
24,6
16,5
3,6
406,8
24,6
Olivo: cv. Coratina (6.0*3.0 m)
Area fogliare (m2 p-1)
Volume di suolo esplorato dalle radici (m-3 p-1)
Riserva idrica (L p-1)
Riserva idrica/Area fogliare (L m-2)
0,6
0,5
160
263
1,9
2,9
910
481
6,1
8,6
2.710
443
6,9
12,5
3.950
571
Actinidia: cv. Hayward (4.5*3.0m)
Area fogliare (m2 p-1)
Volume di suolo esplorato (m-3 p-1)
Riserva idrica (L p-1)
Ris. idrica/Area fogliare (L m-2)
Potatura verde
Y Trasv.
)2
O 9
H 8
g
m
/ 7
2
Palmetta
O
C
g
(m
E
U
W
6
5
4
3
vasetto
palmetta
Figura 2. Efficienza dell’uso dell’acqua (WUE) in diverse
forme di allevamento (Da Giuliani et al., 1999, rielaborato).
Figure 2. Water use efficiency (WUE) in different training
system (modified by Giuliani et al., 1999).
di potatura verde, quella parte del legno non necessaria per la produzione dell’anno successivo.
In questo modo si riduce l’area fogliare (figura
3) e quindi il consumo idrico e inoltre si ottimizza l’esposizione alla luce dei frutti e dei rami per la produzione dell’anno successivo. Con
la potatura verde, in genere, si asportano da
5.000 a 10.000 m2 di foglie per ettaro in un frutteto maturo.
L’esposizione alla luce migliora le caratteristiche qualitative e gustative del frutto, facilita
l’accumulo degli elementi minerali che presen-
LAI
4
Y trasversale
Vasetto
Potatura verde
5
3
2
1
0
31-mar
20-mag
09-lug
28-ago
17-ott
06-dic
Figura 3. Con la potatura verde, da effettuare in più riprese durante la primavera-estate, oltre alla riduzione del LAI,
e quindi dei consumi idrici, si ottiene un miglioramento della qualità del prodotto e della preparazione della piante per
l’anno successivo. In figura, andamento del LAI in un pescheto (cv Sprincrest, Y trasversale, 1.111 p ha-1) al terzo anno dall’impianto (da Gallotta, 2000).
Figure 3. Trend of leaf area index (LAI) in 3- years-old peach orchard. The summer pruning reduce LAI, water consumption, and increase fruit quality and fruiting shoot quality (modified by Gallotta, 2000).
tano scarsa mobilità all’interno della pianta (calcio) e migliora le sostanze di riserva nel legno
e nelle gemme a fiore, e quindi anche la qualità
del fiore stesso (Xiloyannis et al., 2002).
6. Stima dei consumi idrici della coltura
Il consumo idrico di un frutteto è determinato
dalla somma della quantità di acqua trasferita
511
Xiloyannis C., Dichio B.
Tabella 2. Suddivisione del ciclo annuale di specie sempreverdi e caducifoglie (giorni) (rielaborata da Allen et al., 1998).
Table 2. Subdivision of annual cycle in evergreen and non-evergreen species. (modified by Allen et al., 1998).
Coltura
Inizio attività vegetativa
Iniziale
Sviluppo
Massimo
Finale
Totale
aprile
marzo
aprile
marzo
30
60
30
20
60
90
90
100
120
120
155
120
30
95
90
30
240
365
365
270
Actinidia
Agrumi
Olivo
Drupacee
dal terreno all’atmosfera attraverso i processi di
evaporazione e di traspirazione da parte del
frutteto e da altre specie eventualmente presenti sul terreno.
L’evapotraspirazione è, ai fini irrigui, il termine più importante del bilancio idrico. L’approccio più usato per la sua determinazione è
rappresentato dal metodo a “due fasi”. Nella
prima fase si stima l’evapotraspirazione di riferimento (ETo). Nella seconda fase si applica all’ETo il coefficiente colturale (Kc), che tiene
conto degli aspetti dell’evapotraspirazione legati allo stadio di sviluppo della coltura.
Il risultato della stima è ETc = Kc * ETo, ed
esprime il consumo idrico della coltura in esame in condizioni non limitanti o “standard”.
Questo approccio anche se spesso criticato
non è stato ancora superato da qualunque altro
metodo proposto per il calcolo di fabbisogni irrigui colturali, comprese le piante arboree.
6.1 Scelta del Kc
Nel quaderno FAO n. 24 del 1977 e nella sua
successiva revisione (Allen et al., 1998) il ciclo
annuale di una pianta arborea da frutto cadu-
Kc
6.2 Aggiustamento del Kc
Per i frutteti che non hanno ancora raggiunto
le dimensioni finali il Kc dovrà essere corretto
sottraendo una quota (Acm) pari alla frazione di
LAI non ancora sviluppato o pari alla frazione
di suolo non ancora ombreggiata.
Il termine Acm può essere determinato anche
attraverso la seguente espressione:
Acm = 1 - √fc/fcmax
inizio
sviluppo massimo
fine
stagione
stagione vegetativa
Figura 4. Andamento del Kc in piante a foglia caduca e sempreverdi durante le varie fasi della stagione vegetativa. (Allen et al., 1998).
Figure 4. Trend of Kc in evergreen and non-evergreen tree
during different growth stages.
512
cifoglia è suddiviso in quattro fasi: iniziale, sviluppo, massimo e finale (tabella 2, figura 4). La
lunghezza della fase iniziale è relativamente
breve. Successivamente, avviene una rapida crescita dell’area fogliare che raggiunge i valori
massimi tra la fine di giugno e la metà di luglio.
Questi valori si mantengono per tutto il mese
di ottobre e nel mese di novembre iniziano i
processi di senescenza fogliare, che si completano a dicembre.
Solo tre valori di Kc sono necessari per la
costruzione di una curva stagionale di Kc, cioè:
il coefficiente colturale della fase iniziale (Kcini), il
coefficiente colturale massimo (Kcmid) e il coefficiente colturale finale (Kcend) (tabella 3).
In tabella 2 si riportano i coefficienti colturali di alcune specie ripresi dal quaderno n. 56
della FAO. Questi coefficienti integrano l’effetto della traspirazione e dell’evaporazione dal
suolo per cui qualche aggiustamento può essere necessario per adattarlo alle reali condizioni
di campo.
dove fc indica la frazione di suolo attualmente
ombreggiata dalla coltura e fcmax indica la frazione di suolo potenzialmente ombreggiata da
un pescheto in piena produzione ed in condizioni biotiche ed abiotiche non limitanti (circa
il 70% del suolo ombreggiato nel mese di
luglio).
La frazione di suolo ombreggiata può essere misurata facilmente, anche se essa varia con
l’ora del giorno ed il giorno dell’anno, si consi-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:507-517
Tabella 3. Coefficiente colturale, Kc, ed altezza media della pianta per frutteti in ottime condizioni idriche, nutrizionali e
sanitarie in climi aridi-semiaridi (Umidità relativa minima (RHmin) = 30%, Velocità del vento (u2) = 2 m/s), raccomandato dalla FAO – Quaderno 56 – con il metodo Penman-Monteith per il calcolo dell’ETc (Kcmid calcolato per le condizioni
climatiche aride-semiaride) (rielaborata in accordo con Allen et al., 1998).
Table 3. Crop coefficient, and average height of fruit tree in well managed orchards (irrigation fertilization and health) in
arid and semi arid climate recommended by FAO Book 56 (modified by Allen et al., 1998).
Coltura
SUOLO NUDO
Actinidia
Agrumi1
Olivo1
Albicocco, pesco, susino2
SUOLO INERBITO
Olivo
Agrumi
Albicocco, pesco, susino, ciliegio
Kcini
Kcmid
Kcend
Altezza della pianta
(m)
0,40
0,70
0,60
0,55
1,10
0,72
0,77
0,96
1,05
0,75
0,70
0,65
2
4
4
3
O,70
0,77
0,80
0,85
0,80
1,21
0,77
0,83
0,85
4
4
3
1
Il Kc degli agrumi e dell’olivo si riferiscono ad alberi al massimo sviluppo che, nelle ore centrali della giornata (11:00 ÷ 15:00),
ombreggiano rispettivamente il 70% ed il 60% della superficie del suolo ed irrigati con sistemi che bagnano tutta la superficie.
2
Il Kc delle drupacee e dell’actinidia si riferiscono ad alberi al massimo sviluppo che, nelle ore centrali (11:00 ÷ 15:00) della giornata ombreggiano l’80% della superficie del suolo ed irrigati con sistemi che bagnano tutta la superficie. Il Kcend rappresenta il valore del Kc prima della caduta delle foglie. In assenza di foglie, con suolo nudo, il Kc è pari a 0,15-0,2.
glia di effettuare la misura intorno alle ore 12:00
solari nei periodi di massima richiesta evapotraspirativa (luglio):
– nei frutteti allevati a parete si misura l’ampiezza della zona ombreggiata, la si moltiplica per la lunghezza del filare, si divide l’area ottenuta per la superficie di un ettaro;
– nei frutteti allevati in volume con alberi singoli, l’area ombreggiata può essere approssimata all’area (cerchio) della proiezione della
chioma al suolo. Tale area sarà moltiplicata per
il numero di piante per ettaro, e si dividerà il
risultato per la superficie (m2) di un ettaro.
7. Inizio della stagione irrigua
L’inizio della stagione irrigua può essere stabilito valutando la riserva idrica utile del terreno
esplorato dalle radici, il fabbisogno idrico delle
piante e la piovosità. Diversi sono gli strumenti ed i metodi che permettono di valutare lo stato idrico del terreno (tensiometri, gessetti, sonda a neutroni, riflettometria nel dominio temporale, ecc.) e delle piante (potenziale idrico fogliare, flusso xilematico, diametro del tronco e/o
dei frutti, temperatura delle foglie, ecc.). Si tratta di strumenti e tecniche comunemente impiegate nella sperimentazione ma che non trovano
nessuna applicazione pratica. Nella quasi totalità delle aziende frutticole, l’inizio della stagio-
ne irrigua viene stabilito in modo empirico e,
dunque, dipende dalla preparazione e dalla
esperienza dell’operatore agricolo.
Nei terreni profondi ed in assenza di scheletro, possono essere impiegati i tensiometri per
la determinazione del primo intervento irriguo.
Tali strumenti, però, richiedono un’accurata manutenzione affinché i valori indicati siano vicini
a quelli reali. È consigliabile intervenire quando i tensiometri posti negli strati del terreno
maggiormente esplorati dalle radici, indicano
valori tra -0,08 MPa (olivo) 0,06 MPa (drupacee) e -0,04 MPa (actinidia, ecc.).
In presenza di metodi irrigui localizzati, che
bagnano solo una parte del volume di suolo interessato dall’apparato radicale, è consigliabile
iniziare la stagione irrigua quando il terreno è
ancora umido (60-70% dell’acqua disponibile),
per i seguenti motivi:
– l’inizio precoce della stagione irrigua consente di conservare, negli strati più profondi
e nei punti non interessati dagli erogatori, una
sufficiente riserva idrica costituita dalle piogge dal momento che l’assorbimento radicale
avviene maggiormente dai punti interessati
dall’irrigazione, dagli strati superficiali e dalle aree più prossime al tronco delle piante;
– la conservazione di una quota della riserva
idrica nel volume di terreno non interessato
dall’irrigazione è utile in quanto consente di
513
Xiloyannis C., Dichio B.
mantenere attive anche le radici presenti in
tali strati;
– durante il periodo di massimo consumo idrico da parte delle piante (luglio-agosto), è
forte anche la domanda di acqua da parte di
altri settori produttivi (in particolare turistico) che vengono spesso privilegiati rispetto
al settore agricolo; per le piante avere, in tale periodo, a disposizione la riserva di acqua
costituita dalle piogge significa avere la possibilità si superare eventuali periodi di mancanza di acqua per irrigazione, senza entrare in stress idrico severo;
– le piante difficilmente entrano in stress (soprattutto in terreni con elevata capacità di ritenzione idrica) per effetto di errori nel calcolo dei volumi e dei turni di adacquamento.
In pratica però, spesso, il primo intervento
irriguo viene effettuato quando le piante hanno
consumato gran parte della riserva idrica, creando così notevoli difficoltà nella gestione corretta del metodo irriguo, soprattutto nel periodo in
cui la domanda evapotraspirativa dell’ambiente
è massima.
8. Volumi e turni di adacquamento
Per definire i turni ed i volumi di adacquamento è necessario conoscere le necessità idriche delle piante, il volume di terreno esplorato dalle radici, le caratteristiche idrologiche del terreno ed
il tipo di impianto irriguo. Il fabbisogno idrico di
un frutteto è determinato dallo sviluppo della
chioma e dalla domanda evapotraspirativa dell’ambiente. La domanda evapotraspirativa dell’ambiente ed il contenuto idrico del suolo controllano sia la traspirazione sia l’evaporazione dal
suolo. Il fabbisogno irriguo di un frutteto può essere valutato attraverso un bilancio idrico giornaliero sulla base della seguente equazione:
(VI x 10) = (ETc + D + R – Pu –
Af – RU)/ em
(m3/ha)
In cui:
VI = Volume idrico da restituire (m3/ha)
em = Efficienza dell’impianto irriguo (0,3 ÷ 0,95)
10 = Coefficiente di conversione da mm a m3/ha
ETc = Evapotraspirazione colturale
(mm)
D = perdite per drenaggio e percolazione (mm)
R = perdite per ruscellamento superficiale (mm)
Pu = apporti idrici naturali da pioggia utili per
la coltura (mm)
514
Af = apporti idrici naturali da falda (mm)
RU = apporto idrico dalla riserva idrica del suolo (mm).
Questa equazione può essere calcolata per
periodi lunghi (pluriannuali, annuali, stagionali)
o brevi (mensili, decadali o giornalieri). La precisione dipende sia dalla possibilità di misurare
i singoli termini dell’equazione sia dall’ampiezza delle zone per cui si vuole farla valere.
Nei casi di corretta gestione dei volumi irrigui
e nelle situazioni di falda profonda i termini D, R,
Af sono trascurabili, pertanto la precedente equazione può essere approssimata alla seguente:
VI (m3/ha) = [(ETc – Pu ) / em)]*10
Per una programmazione irrigua è necessario conoscere, almeno settimanalmente, l’evapotraspirazione di riferimento e le precipitazioni. Dalla compilazione del bilancio tra l’acqua
contenuta nel suolo e quella persa per evapotraspirazione della coltura si determina il momento dell’intervento irriguo. Nelle fasi sensibili alla carenza idrica l’intervento irriguo deve essere effettuato quando la quantità di acqua l’evapotraspirata nei giorni è pari alla quantità di
acqua facilmente utilizzabile dalla pianta (circa
40-50% A.D.). Seguendo questo criterio i turni
di adacquamento dipenderanno dalla velocità
con la quale viene consumata l’acqua facilmente utilizzabile. Pertanto i turni di adacquamento saranno più frequenti durante i periodi caratterizzati da elevata domanda evapotraspirativa, da scarsa piovosità e nei terreni con bassa
ritenzione idrica. In tali situazioni, i turni da
adottare con il metodo di irrigazione a goccia,
durante il periodo giugno-agosto, dovranno essere di 1-2 giorni. Il distanziamento dei turni implica un aumento dei volumi di adacquamento
che potrebbe creare, nei terreni pesanti, condizioni asfittiche in corrispondenza degli erogatori ed indurre, nei terreni leggeri e/o superficiali, perdite di acqua negli strati profondi. All’inizio della stagione irrigua e durante l’autunno i
turni possono essere più distanziati (5-7 giorni)
in quanto i consumi idrici sono più bassi.
9. Fine della stagione irrigua
In molte aree frutticole, le favorevoli condizioni climatiche per l’attività delle foglie e l’assenza di apporti idrici naturali, rendono necessario
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:507-517
il funzionamento dell’impianto irriguo anche nel
periodo autunnale. Mantenendo attive le foglie
in un periodo in cui, in alcune specie (olivo, actinidia, agrumi) è ancora presente il frutto, si facilita l’accumulo di sostanze di riserva nei vari
organi della pianta. Queste sostanze di riserva
esplicano un ruolo importante nell’induzione,
nella differenziazione delle gemme e nella qualità del fiore, nella resistenza dei diversi tessuti
agli abbassamenti termici invernali e contribuiscono ad una migliore ripresa vegetativa nell’anno successivo. In zone in cui esiste il rischio
di repentini e precoci abbassamenti termici autunnali è consigliabile, soprattutto negli impianti giovani, abbassare gradualmente l’apporto
idrico per rallentare l’attività delle piante ed aumentare la loro resistenza al freddo. Interventi
irrigui durante il periodo invernale si possono
rendere necessari soltanto in caso di siccità prolungata o per immagazzinare una certa quantità
di acqua in zone contraddistinte da scarsa piovosità e da disponibilità idriche limitate nel periodo primaverile-estivo.
10. Lo stress idrico controllato
Al fine di conoscere, definire e governare situazioni di carenza idrica del frutteto, di seguito
viene riportata una descrizione di tre livelli di carenza idrica con i relativi effetti sulla pianta.
Leggero: la pianta ha assorbito una buona
parte dell’acqua facilmente utilizzabile contenuta nel suolo (30-40% della riserva idrica utile con potenziali idrici fogliari all’alba che oscillano da -0,4 a -0,6 MPa). Sintomi: riduzione dell’attività traspirativa e fotosintetica (20-30% circa) durante le ore più calde della giornata; durante il pomeriggio e la notte, la pianta recupera quasi tutte le riserve idriche dei vari tessuti;
rallentamento del ritmo di crescita dei germogli; leggero aumento della temperatura fogliare;
leggera diminuzione della crescita del frutto; immediato recupero di tutte le funzionalità, una
volta ripristinate le condizioni idriche ottimali
del suolo; nessun effetto negativo sull’attività
vegetativa e produttiva dell’anno successivo; effetti positivi sulla qualità del prodotto e sull’efficienza dell’uso dell’acqua, in particolare se la
carenza si verifica nelle fasi meno sensibili.
Moderato: la pianta ha esaurito tutta la riserva idrica facilmente utilizzabile (50-60% del-
la riserva idrica utile con potenziali idrici fogliari all’alba che oscillano da -0,7 a -0,9 MPa);
l’estrazione dell’acqua dal suolo continua, ma
con difficoltà. sintomi: blocco della crescita per
allungamento dei germogli; riduzione del 5060% dell’attività traspirativa e fotosintetica; aumento della temperatura fogliare nelle ore più
calde della giornata, anche di 4-5 °C rispetto a
quella di piante ben irrigate; moderata riduzione della crescita del frutto, in particolar modo
durante la distensione cellulare; nessun effetto
se lo stress idrico si verifica durante la seconda
fase di crescita del frutto; la pianta non riesce a
ristabilire, durante le ore notturne, le riserve
idriche nei vari tessuti che sono state cedute al
flusso traspirativo durante il giorno, con conseguente abbassamento del potenziale idrico fogliare rilevato all’alba; per il pieno recupero della sua funzionalità, la pianta necessita, una volta ristabilite nel suolo le condizioni idriche ottimali, di un periodo di 4-7 giorni; nessun effetto negativo sulla produzione dell’anno successivo se la carenza idrica si verifica dopo la raccolta, in particolare per le cultivar a maturazione precoce.
Severo: l’umidità del suolo è vicina al punto
di appassimento della pianta (potenziali idrici
fogliari all’alba da -1,5 a -2,0 MPa), la quale durante la notte riesce ancora ad estrarre dal suolo piccoli quantitativi di acqua che vengono accumulati nelle foglie e nei frutti; tali quantitativi sono sufficienti a sostenere una certa funzionalità delle foglie durante le prime 2-3 ore della mattina. sintomi: inizio dell’abscissione delle
foglie; blocco della traspirazione e della fotosintesi durante la maggior parte della giornata,
con conseguente aumento della temperatura fogliare anche di 8-10 °C rispetto a quella di foglie di piante ben irrigate; si evidenzia il disseccamento della lamina fogliare a partire dai margini; arresto totale della crescita di germogli e
frutti, che perdono acqua durante il giorno; con
la caduta delle foglie, le piante, se non disseccano, entrano in dormienza (eco-dormienza) per
poi riprendere a vegetare e fiorire (seconda fioritura) in coincidenza delle prime piogge autunnali o di un intervento irriguo di soccorso,
con forti ripercussioni sull’attività vegetativa e
produttiva dell’anno successivo. Spesso si verifica un aumento delle anomalie fiorali (es. fiori
con pistillo doppio).
L’applicazione del deficit idrico consiste nel-
515
Xiloyannis C., Dichio B.
Tabella 4. Fasi sensibili allo stress idrico (da moderato a severo) in alcune specie arboree (Da Xiloyannis et al., 2002).
Table 4. Growth stage more sensitive to deficit irrigation in
some fruit tree species.
Specie
Fase del ciclo
Albicocco, ciliegio,
susino e pesco a
maturazione precoce
Pesco e susino a
maturazione tardiva
Agrumi
Olivo
Dalla fioritura fino alla
raccolta
Pomacee
Actinidia
1a e 3a fase di crescita del
frutto
Fioritura, allegagione
Germogliamento, fioritura, 3a
fase di crescita del frutto (in
particolare per olivo da tavola)
Fioritura, allegagione e fase di
rapida crescita del frutto
Tutto il ciclo annuale
l’erogare una quantità di acqua inferiore a quella di cui la coltura necessita per il suo ottimale
sviluppo. Una delle modalità di applicazione di
recente più utilizzata è il deficit idrico controllato o regolato, attraverso il quale l’apporto idrico alla coltura viene ridotto e/o sospeso nelle
fasi fenologiche meno sensibili, garantendo, invece, un adeguato rifornimento idrico nelle fasi
più sensibili. Pertanto, per poter applicare lo
stress idrico controllato, con buoni risultati sia
in termini di risparmio della risorsa idrica, sia
in termini produttivi, è indispensabile conoscere gli effetti della carenza idrica sulla coltura ed
individuare le fasi fenologiche meno sensibili
(tabella 4).
Il periodo in cui applicare lo stress idrico e
la sua durata, è funzione delle caratteristiche
della specie e delle cultivar all’interno di essa.
L’applicazione del deficit idrico controllato è facilmente praticabile in suoli con una bassa capacità di immagazzinamento idrico e con impianti di irrigazione localizzata, caratteristiche
che permettono il controllo dell’umidità nel
suolo ed il raggiungimento di livelli di stress desiderati in tempi brevi. Per tutte le cultivar a
maturazione precoce lo stress idrico controllato
è applicabile con minore difficoltà nella fase post-raccolta. Durante tale fase è possibile applicare una riduzione del 50% del coefficiente colturale. La riduzione dei volumi irrigui non ha
effetti negativi sulla quantità e qualità della produzione dell’anno successivo, riduce la crescita
dei “succhioni” e degli “anticipati” ed aumenta
la concentrazione dei solidi solubili e dell’azoto
516
negli organi di riserva in quanto riduce il consumo di tali sostanze da parte degli apici vegetativi. Il maggior accumulo dei carboidrati e delle sostanze azotate migliora la qualità dei rami
e delle gemme ed inoltre, favorisce il processo
di ripresa vegetativa dell’anno successivo.
Durante il periodo di deficit idrico, per evitare che si determinano forti stress con riflessi
negativi sull’attività vegetativa, sulla qualità dei
fiori e sulla produzione, i valori del potenziale
idrico dello stelo rilevati nell’ora più calda devono essere compresi tra -1,5 e 1,7 MPa (Dichio
et al., 2004). Con l’applicazione di questa tecnica si possono risparmiare nella frutticoltura meridionale fino a 2.000 m3 di acqua per ettaro all’anno.
Per le cultivar a maturazione tardiva, si può
applicare agevolmente uno stress idrico controllato nella seconda fase di crescita del frutto
(indurimento del nocciolo per le drupacee).
Questa fase, in relazione alle cultivar, può durare anche un mese ed è caratterizzata da una
crescita rallentata del frutto ed in genere da una
elevata crescita dei germogli (Xiloyannis et al.,
2005). L’applicazione del deficit idrico controllato in questo caso oltre ad essere vantaggioso
per l’ottimizzazione della risorsa idrica, risulta
uno strumento efficace per rallentare la crescita dei rami vigorosi, determinando una economia sugli interventi di potatura verde. La riduzione della velocità di crescita determina una
migliore distribuzione della luce all’interno della chioma ed una migliore qualità del legno e
delle gemme.
11. Conclusioni
Per una gestione della risorsa idrica in frutticoltura finalizzata a risparmiare acqua è necessario intervenire:
– nella scelta e corretta progettazione dei metodi irrigui localizzati;
– nella gestione del metodo irriguo;
– applicando lo stress idrico controllato durante le fasi del ciclo annuale in cui la pianta è meno sensibile alla carenza idrica;
– nella scelta dell’architettura della chioma e
della sua corretta gestione, al fine di aumentare l’efficienza dell’uso dell’acqua da
parte della pianta;
– nella corretta gestione del suolo;
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:507-517
– nel rafforzamento del ruolo dell’assistenza
tecnica per un rapido trasferimento delle conoscenze sull’uso sostenibile delle risorsa
acqua;
– nella corretta programmazione degli ordinamenti colturali al fine di adottare, in particolare negli ambienti con scarse disponibilità idriche, quelle specie e portinnesti che
meglio riescono a valorizzare tale risorsa.
Bibliografia
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517
Il ruolo dell’acqua nell’allevamento animale
Giuseppe Enne1*, Gianfranco Greppi2, Monica Serrantoni3
1
Dipartimento di Scienze Zootecniche, Università di Sassari
Via Enrico De Nicola 9, 07100 Sassari
2
Dipartimento di Patologia Animale, Igiene e Sanità Pubblica Veterinaria, Università di Milano
Via Celoria 10, 20133 Milano
3
Istituto Sperimentale Italiano “Lazzaro Spallanzani”
Viale E. Forlanini 23, 20134 Milano
Associazione Scientifica di Produzione Animale
Riassunto
Il ruolo dell’acqua nell’allevamento animale non deve essere considerato solo relativamente al singolo comparto
zootecnico, ma va esteso ad un più ampio contesto di intera filiera della produzione animale, considerando che il
70% dell’acqua utilizzata sul pianeta è consumata dalla intera filiera produttiva (agricoltura e zootecnia). Risulta
quindi di grande importanza il collegamento con gli altri settori della filiera, quali la foraggicoltura e la cerealicoltura,
nonché la valutazione e quantificazione dell’impatto ambientale che ne deriva. L’acqua, che riveste un ruolo essenziale nell’allevamento, assume un significato molto differente a seconda sia della classe animale (uccelli, pesci e mammiferi), che della specie zootecnica considerata; da ciò deriva che risultano estremamente variabili i fabbisogni idrici ed i
relativi consumi, che sono inoltre fortemente influenzati da molteplici fattori, quali la quantità di sostanza secca ingerita, le condizioni climatiche di allevamento, nonché le caratteristiche individuali degli animali. Tutto ciò rappresenta la
premessa per poter determinare le strategie e le modalità di somministrazione dell’acqua di allevamento relativamente agli aspetti tecnologici, progettuali e gestionali. Oltre agli aspetti quantitativi, poiché l’acqua deve essere intesa come un vero e proprio alimento, in quanto è necessaria e insostituibile al fine della sopravvivenza degli animali, occorre sottolineare l’importanza della qualità dell’acqua utilizzata in allevamento ed il suo ruolo nutrizionale, che è strettamente legato alle caratteristiche qualitative, nonché alla presenza di residui e di sostanze inquinanti. La filiera zootecnica, inoltre, può produrre impatti ambientali sugli ecosistemi acquatici e quindi un’attenzione particolare va riservata
al problema dell’utilizzo finale dell’acqua come output dell’intera filiera di produzione animale ed alla quantificazione
degli impatti, che risulta estremamente articolata e difficile, poiché dipende da molteplici variabili. Le considerazioni
generali relative alla filiera zootecnica assumono, infine, una valenza significativamente diversa nel contesto produttivo
della gestione delle risorse idriche nei paesi in via di sviluppo.
Parole chiave: acqua, allevamento animale, fabbisogni, consumi.
Summary
THE ROLE OF WATER IN ANIMAL BREEDING
The role of water in animal breeding must be extended to a wider context than the animal production area, considering that 70% of the water used in the world is consumed by the whole production chain (agriculture and animal production). Therefore has a great importance the connection with other fields of the chain, as the fodder-growing and the
cereal-growing, together with the evaluation and quantification of the environmental impacts. Water, that plays an essential role in the breeding, assumes different importance in relation to the animal class (birds, fish and mammals) and
to the animal species. Therefore are extremely different the water requirements and the water consumptions, that are
moreover strongly influenced by many factors, such as the dry matter, the climatic breeding conditions, together with
the individual animal features. All that represents the starting point to determine the strategies and the ways of the water giving in animal breeding, related to the technological, project and management aspects. Besides the quantitative
aspects, water must be considered as food, because it is necessary to animal survival. The importance of the quality of
water used in animal breeding and its nutritional role is closely related to the qualitative characteristics and to the presence of residual and polluting substances. The animal production chain, moreover, can produce environmental impacts
on the aquatic ecosystems and therefore a particular attention goes to end uses of water as output of the whole animal production chain and to the quantification of the impacts, that is extremely complicate and difficult, depending on
many variables. The considerations related to animal production chain assume a different value in the productive context of the management of the water resources in the third countries.
Key-words: water, animal breeding, requirements, consumptions.
*
Autore corrispondente: tel.: +39 079 229300; fax: +39 079 229302. Indirizzo e-mail: giuseppe.enne@istitutospallanzani.it.
519
Enne G., Greppi G., Serrantoni M.
1. Introduzione
Il ruolo dell’acqua nell’allevamento animale
non deve essere considerato solo relativamente
al singolo comparto zootecnico, ma va esteso ad
un più ampio contesto di intera filiera della produzione animale, considerando che il 70% dell’acqua utilizzata sul pianeta è consumata dall’intera filiera produttiva (agricoltura e zootecnia). Risulta quindi di grande importanza il collegamento con gli altri settori della filiera, quali la foraggicoltura e la cerealicoltura, nonchè la
valutazione e quantificazione dell’impatto ambientale che ne deriva.
In particolare per quanto riguarda il settore
agricolo si è registrato negli ultimi vent’anni uno
spostamento dei consumi dalle attività industriali alle attività agricole.
Negli Stati Uniti l’agricoltura utilizza oggi il
49% dell’acqua dolce complessivamente consumata, di cui l’80% è impiegata per l’irrigazione;
in Africa ed in Asia questa percentuale si porta all’85-90%.
Secondo le stime relative all’anno 2000, il
settore agricolo ha utilizzato il 67% del totale
dell’acqua dolce prelevata (figura 1).
L’acqua, che riveste un ruolo essenziale nell’allevamento, assume un significato molto differente a seconda sia della classe animale (uc-
celli, pesci e mammiferi), che della specie zootecnica considerata, da ciò deriva che risultano
estremamente variabili i fabbisogni idrici ed i
relativi consumi, che sono inoltre fortemente influenzati da molteplici fattori, quali la quantità
di sostanza secca ingerita, le condizioni climatiche di allevamento, nonchè le caratteristiche individuali degli animali. Tutto ciò rappresenta la
premessa per poter determinare le strategie e le
modalità di somministrazione dell’acqua di allevamento relativamente agli aspetti tecnologici, progettuali e gestionali (figura 2).
2. Fabbisogni idrici
L’acqua, quindi, è un elemento essenziale per
garantire il benessere degli animali allevati e favorire il raggiungimento delle migliori performance produttive e riproduttive aziendali. A tale proposito, la direttiva 98/58/Ce riguardante la
protezione degli animali negli allevamenti stabilisce che “tutti gli animali devono avere accesso ad un’appropriata quantità di acqua, di
qualità adeguata, o devono poter soddisfare le
loro esigenze di assorbimento di liquidi in altro
modo” e che “le attrezzature per la somministrazione di mangimi e di acqua devono essere
concepite, costruite e installate in modo da ri-
2 4 ' ('
Figura 1. Settore agricolo: emungimenti in acqua dolce.
Figure 1. Agriculture: water consumptions.
520
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:519-527
5 l/die
Capi di piccola
taglia
50 l/die
Capi di media taglia
100 l/die
Capi di grande taglia
Figura 2. Fabbisogno idrico indicativo nelle diverse categorie zootecniche.
Figure 2. Indicative water requirements in animal classes.
durre al minimo le possibilità di contaminazione degli alimenti o dell’acqua e le conseguenze
negative derivanti da rivalità tra gli animali”.
L’organismo animale assume l’acqua di cui
necessita da tre fonti: dall’acqua di bevanda, dall’acqua di costituzione degli alimenti e da quella cosiddetta metabolica, che si origina, in varia
misura, nelle reazioni di ossidazione cui sono
soggetti carboidrati, proteine e grassi.
Il mantenimento del bilancio idrico è determinato dalle perdite di acqua attraverso feci,
urina, saliva, sudorazione, evaporazione dalla
superficie corporea e dalle vie respiratorie e
attraverso le produzioni (in particolar modo il
latte).
Mentre per ogni altro principio nutritivo
l’organismo presenta riserve più o meno rilevanti, per l’acqua le riserve dirette sono praticamente nulle e il “digiuno” idrico comporta
conseguenze sicuramente più rapide e gravi di
quello alimentare: l’organismo non sopravvive
alla perdita del 10% di acqua, mentre può perdere tutto il grasso di deposito e metà delle
proteine.
3. Fattori influenzanti i fabbisogni idrici
L’entità dei fabbisogni idrici degli animali è influenzata da molteplici fattori, quali:
1) le caratteristiche dell’animale (età, peso, attività, stadio fisiologico, stato sanitario);
2) il livello alimentare, la composizione della
razione e il tipo di alimento;
3) la tecnica d’allevamento e le modalità di stabulazione;
4) il microclima dell’ambiente d’allevamento
(temperatura, umidità, velocità dell’aria);
5) le caratteristiche dell’acqua.
L’assunzione di liquidi è positivamente correlata all’ingestione di sostanza secca ed è legata quindi a tutti i fattori che condizionano
quest’ultima azione. Il fabbisogno idrico è fortemente influenzato dalla composizione della
razione: l’ingestione di alimenti ricchi in acqua,
ad esempio il latte, riduce l’assunzione volontaria di acqua di bevanda. D’altra parte, il consumo d’acqua cresce all’aumentare della concentrazione salina e proteica della razione. In particolare, l’eccesso di un elemento minerale può
essere in parte eliminato dall’organismo con
l’aumento della diuresi che, a sua volta, provoca un aumento del consumo d’acqua.
Inoltre i fabbisogni idrici aumentano con
l’innalzamento della temperatura ambientale, in
quanto l’acqua rappresenta l’elemento fondamentale per la dispersione del calore; a parità
di temperatura i consumi scendono con l’aumentare del grado di umidità relativa.
Anche le caratteristiche qualitative dell’acqua di bevanda (salinità totale, durezza, pH,
ecc.) possono influenzare in maniera significativa l’entità del consumo ed anche la temperatura dell’acqua di bevanda influenza l’entità dei
fabbisogni idrici e le produzioni. In linea generale non si dovrebbe somministrare agli animali acqua con temperatura inferiore ai 15 °C,
mentre per gli esemplari più giovani è consigliabile una temperatura dell’acqua di circa 2022 °C. Al contrario, animali adulti ad intenso
metabolismo, quali le vacche da latte ad elevata produzione, sembrano beneficiare della somministrazione di acqua fresca (10-15 °C) durante i periodi estivi, che comporta una migliore
termoregolazione, un minore stress e maggiori
produzioni.
Le richieste idriche variano in funzione dello stato fisiologico degli animali. Un soggetto
che sta costruendo nuovi tessuti e sta aumentando di peso richiede maggiori quantità di acqua di uno in dimagrimento; lo stato di gravidanza comporta un maggiore fabbisogno idrico
(aumento di peso della madre e del feto).
Il fabbisogno idrico per la produzione di latte è legato essenzialmente alla quantità di latte
prodotto e quindi alla quantità di acqua persa
per questa via; nelle bovine da latte ad elevata
produzione, in particolar modo nei mesi caldi, è
521
Enne G., Greppi G., Serrantoni M.
41,5
Vacca in asciutta
189,5
Vacca in lattazione (45 kg/die)
151,5
Vacca in lattazione (36 kg/die)
96,5
Vacca in lattazione (23 kg/die)
60
Vacca in lattazione (13,5 kg/die)
32
Manza 18-24 mesi
24,5
Manza 15-18 mesi
16
Vitella 6 mesi
9,5
Vitella 3 mesi
l/giorno/capo
6,25
Vitella 1 mese
0
50
100
150
200
Figura 3. Fabbisogni idrici indicativi per bovine da latte.
Figure 3. Indicative water requirements in dairy cattle.
legato anche alla dispersione del calore proveniente dall’energia metabolizzata per sostenere
le alte produzioni.
È noto che gli animali sofferenti, anche se
mangiano poco o addirittura digiunano, nella
maggior parte dei casi continuano ad abbeverarsi. Particolari situazioni sanitarie, per esempio stati diarroici e febbrili, comportano aumenti dei fabbisogni idrici giornalieri.
Durante la stagione estiva, quindi, è particolarmente importante che acqua fresca e abbondante sia messa a disposizione delle vacche; ciò
che si ottiene nelle stalle a stabulazione libera
predisponendo un certo numero di abbeveratoi
a vasca di grande portata, collocati preferibilmente nella zona di alimentazione.
5. Fabbisogni idrici dei suini
4. Fabbisogni idrici delle bovine da latte
I fabbisogni idrici medi indicativi per le diverse
categorie di bovini da latte suddivise in base a
età, fase di lattazione e livello di produzione di
latte sono riportati nella figura 3; tali valori, ovviamente, sono riferibili a bovini allevati in condizioni microclimatiche ottimali, dato che alte
temperature e/o bassi livelli igrometrici dell’aria possono comportare aumenti nell’assunzione di acqua anche del 100%.
L’acqua totale assunta giornalmente da una
vacca in lattazione, comprensiva di acqua degli
alimenti e acqua di bevanda, varia da 4,5 a 5,5
kg per 1 kg di sostanza secca ingerita; quando
la temperatura dell’aria è di 15 °C, i valori aumentano del 30% a 20 °C, del 50% a 25 °C e
del 100% a 30 °C. In pratica, per lattifere con
produzioni di 25-30 kg giorno-1 di latte, alimentate a fieno e concentrati, il consumo procapite
di acqua di bevanda può variare da 70 kg giorno1
in situazione di benessere termico, fino a oltre
200 kg giorno-1 in situazione di stress a caldo.
522
I fabbisogni idrici medi indicativi per le diverse
categorie di suini sono riportati nella figura 4; i
valori, ovviamente, sono riferibili a suini allevati in condizioni microclimatiche ottimali.
Per suini in accrescimento-ingrasso, allevati in
condizioni normali di alimentazione e ambiente, i
fabbisogni idrici si considerano coperti da un rapporto di 2,1-2,6 a 1 fra acqua di bevanda e mangime secco somministrato. Un rapporto inferiore a
1,5/1 incide negativamente sull’accrescimento dei
soggetti e sulla qualità delle carcasse.
Altri studi dimostrano come un’eccessiva restrizione idrica provochi una diminuzione della
quantità di alimento ingerito; d’altra parte anche un iperconsumo, con rapporti acqua/mangime superiori a 4/1, può avere un effetto depressivo sull’accrescimento.
6. Fabbisogni idrici degli avicoli
Nel processo di allevamento nel settore avicolo il
consumo preponderante di acqua è richiesto per
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:519-527
12,5
Verro
27,5
Scrofa allattante
15
Scrofa gravida
7,5
Scrofa da rimonta
11
Suino in ingrasso (100-160 kg)
7,5
Suino in ingrasso (50-100 kg)
5,5
Suino in accrescimento (25-50 kg)
3
Suinetto in svezzamento (6-25 kg)
l/giorno per capo
0,3
Lattonzolo
0
5
10
15
20
25
30
Figura 4. Fabbisogni idrici indicativi per suini.
Figure 4. Indicative water requirements in pigs.
soddisfare le necessità fisiologiche degli animali.
Naturalmente i consumi variano a seconda della
specie e del sistema di allevamento e risultano
condizionati da diversi fattori che dipendono dallo stato di benessere dell’animale (stato di salute,
condizioni microclimatiche, tipologia di alimentazione e sistema di abbeveraggio). I fabbisogni medi sono riportati nella tabella successiva 1.
7. I consumi idrici
I consumi idrici negli allevamenti sono la risultante dell’acqua di abbeverata e dell’acqua utilizzata per il lavaggio delle diverse strutture.
In particolare, l’acqua di abbeverata è la
somma dell’acqua necessaria per il soddisfacimento dei fabbisogni di mantenimento dell’omeostasi e di accrescimento, dell’acqua ingerita
in più dagli animali rispetto a quella necessaria,
dell’acqua sprecata al momento dell’abbeverata
per difetti all’impianto di erogazione e infine
dell’acqua che trasborda dagli abbeveratoi per
soddisfare le esigenze comportamentali proprie
degli animali, quale ad esempio “il gioco”.
Tabella 1. Fabbisogni idrici indicativi per avicoli.
Table 1. Indicative water requirements in aviculture.
Broilers
Ovaiole fino alla produzione
Ovaiole fase di produzione
Tacchini
Faraone
4,5 l/capo per ciclo
10 l/capo per ciclo
80 l/capo per anno
70 l/capo per ciclo
9-10 l/capo per ciclo
Le acque di lavaggio sono rappresentate dalle quote utilizzate per asportare le deiezioni dalle pavimentazioni, per la pulizia dei locali di
mungitura (zona di attesa, sala di mungitura e
sala del latte) e per il lavaggio degli impianti di
mungitura.
Va precisato che il consumo idrico negli allevamenti suini italiani è ancora in larga parte
influenzato dall’uso dell’acqua per il lavaggio
dei pavimenti al fine di asportare le deiezioni.
A seconda del tipo di pavimento si va dai 15 l
capo-1 per giorno impiegati nelle porcilaie con
box a pavimento pieno, ai 5 l capo-1 per giorno
impiegati nei box con pavimento parzialmente
fessurato, a 0,l capo-1 per giorno nei box con pavimento totalmente fessurato. Per capo si intende un animale di 100 kg di peso vivo.
Per l’allevamento di bovine da latte, le zone
di mungitura delle stalle libere comportano un
consumo non indifferente di acque di lavaggio,
sia per la pulizia dei diversi locali (zone di attesa, sala di mungitura, sala del latte), sia per
l’accurato lavaggio dell’impianto di mungitura.
I valori unitari di consumo giornaliero sono
i seguenti (figura 5):
• lavaggio zona di attesa = 12 litri/m2
• lavaggio sala di mungitura = 8 litri/m2
• lavaggio buca del mungitore = 6 litri/m2
• lavaggio sala del latte = 6 litri/m2
• lavaggio mammelle = 4 litri/vacca
• lavaggio impianto di mungitura = 60 litri/gruppo
• lavaggio per WC = 100 litri/m2.
523
Enne G., Greppi G., Serrantoni M.
Sala del latte 6 l/m2
Sala di mungitura 8 l/m2
Zona di attesa 12/m2
Impianto mungitura 60 l/gruppi
, )
Figura 5. Acque di lavaggio e
zone di mungitura.
Figure 5. Washing water and
milkling area.
Per le sale a giostra il lavaggio della sala è
ridotto a soli 2 litri m2 per giorno, perchè in
realtà la particolare disposizione delle poste e
le modalità di accesso/uscita degli animali consentono di lavare soltanto la parte terminale
delle poste.
8. Qualità dell’acqua
In campo zootecnico non esistono norme specifiche relative alle caratteristiche qualitative delle acque destinate all’abbeverata degli animali.
La normativa nazionale che disciplina la qualità
delle acque ad uso umano è invece il decreto
legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, in cui vengono riportati i seguenti parametri:
– microbiologici (Escherichia coli, enterococchi);
– chimici (nitrati, nitriti, metalli pesanti, arsenico, cromo, rame, piombo, mercurio, ecc.);
– “indicatori” (colore, odore, sapore, torbidità,
durezza, presenza di alluminio, ammonio,
cloruro, ferro, manganese, solfato, sodio, batteri coliformi a 37 °C, ecc.).
L’acqua destinata all’abbeverata deve comunque essere di buona qualità, perchè in caso
contrario acque non idonee possono comportare problemi sanitari, riduzione delle prestazioni
produttive, alterazione della qualità dei prodotti e danni alle attrezzature.
9. Parametri di valutazione dell’acqua di bevanda
Diversi sono i parametri ritenuti fondamentali
per la valutazione della qualità dell’acqua di bevanda da somministrare agli animali di interesse zootecnico.
524
La durezza (o grado idiometrico) è una proprietà dell’acqua legata prevalentemente al contenuto di sali, in particolare carbonati, bicarbonati e solfati di calcio e magnesio, espresso generalmente in grammi di carbonato di calcio o
di ossido di calcio contenuti in 100 litri di acqua (rispettivamente gradi francesi °F e gradi
tedeschi °D). Acque ricche di sali di calcio e magnesio vengono definite “dure”, mentre acque
povere o esenti sono dette “dolci”.
Questo parametro, se mantenuto entro certi
limiti, non sembra avere alcun effetto su salute,
performance e consumo di acqua degli animali.
Acque particolarmente dure (> di 20 °F) possono essere poco digeribili, provocare una diminuzione dell’assorbimento intestinale degli
oligoelementi presenti nelle razioni e favorire la
formazione di incrostazioni calcaree all’interno
delle tabulazioni e negli orifizi degli abbeveratoi, con diminuzione della portata di questi ultimi o addirittura otturazione completa di parti
della rete idrica.
Normalmente il pH nell’acqua è compreso
tra 6 e 9, range che può essere considerato adatto per l’acqua di bevanda; infatti, la maggioranza degli autori riporta come accettabili valori
compresi fra 6,5 e 8,5.
In generale acque con pH al di fuori del range 6,5-8,5 possono contribuire all’insorgenza di
turbe del metabolismo e della fertilità, di diarrea, di scadente conversione dell’alimento e di
minore ingestione di acqua e alimento, oltre alla precipitazione di alcuni farmaci somministrati con l’acqua, con possibilità di tempi di sospensione prolungati e di presenza di residui di
prodotti farmacologici nelle carcasse. Acque
particolarmente acide (pH < di 5-5,5) possono
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:519-527
inoltre provocare problemi all’apparato urinario e digestivo, fenomeni di demineralizzazione
e fragilità scheletrica, corrosione dei materiali.
La salinità è un parametro molto importante da considerare per l’abbeverata degli animali; essa è equivalente ai solidi totali disciolti
(STD), i quali vengono espressi come milligrammi di residuo fisso per litro d’acqua dopo
essicamento a 180 °C. Acque con una concentrazione di STD superiore a 3.000 mg l-1 provocano i primi effetti negativi sull’organismo.
In generale il controllo microbiologico dell’acqua di bevanda in allevamento è in grado di
evitare conseguenze patologiche a carico degli
animali, quali problemi gastroenterici, digestivi,
respiratori, urogenitali e riproduttivi.
Tra i possibili indicatori di contaminazione
biologica dell’acqua vengono generalmente presi in considerazione i coliformi totali e fecali, gli
streptococchi fecali e i batteri totali. In campo
zootecnico un’acqua con un numero di coliformi inferiore a 50 per 100 ml può essere considerata “sicura”. Un numero di batteri totali superiore a 500 per 100 ml può indicare una scarsa qualità microbiologica e se questo numero è
superiore a 1.000.000 per 100 ml l’acqua non deve essere utilizzata per l’abbeverata.
L’inquinamento chimico delle acque è dovuto principalmente allo scarico di rifiuti industriali nei corsi d’acqua e nei terreni e all’utilizzo massiccio di fitofarmaci in agricoltura. Si
ritiene che attualmente siano alcuni milioni le
sostanze chimiche conosciute. Quelle effettivamente disponibili sul mercato sono circa
100.000, delle quali circa 8.000 tossiche e 200 ritenute cancerogene e/o sospette cancerogene;
solo per 2.100 prodotti sono state individuati i
rispettivi valori limite di tossicità.
10. La somministrazione dell’acqua
L’acqua di bevanda può essere somministrata
agli animali attraverso due differenti sistemi:
versandola direttamente in contenitori come
truogoli o mangiatoie oppure mediante abbeveratoi automatici.
In ogni caso il sistema di somministrazione
deve rispondere ad alcuni requisiti di base: l’erogazione di acqua fresca e pulita deve essere
proporzionale alle esigenze degli animali allevati, devono essere limitati gli sprechi idrici re-
sponsabili, fra l’altro, dell’aumento delle quantità di reflui zootecnici, il funzionamento deve
essere affidabile e richiedere scarsa manutenzione.
11. L’acqua come veicolo di farmaci
Alcune caratteristiche chimico-fisiche dell’acqua influenzano negativamente l’efficacia dei
farmaci somministrati in veicolo acquoso, pratica che si sta sempre più diffondendo.
In particolare, pH, durezza e salinità non
idonei possono diminuire la solubilità dei principi attivi e favorire la precipitazione degli
stessi come composti insolubili, favorendo la
possibilità di sottodosaggio del farmaco a causa della sua insolubilizzazione ed un’eventuale
successiva solubilizzazione dei precipitati, con
possibilità di contaminazione crociata e per
trascinamento.
Ciò comporterebbe, come conseguenza, la
presenza di principi attivi indesiderati nei prodotti zootecnici.
12. Acquacoltura
L’aumento del numero di allevamenti ittici in
Italia negli ultimi vent’anni sta creando una crescente preoccupazione per il loro possibile impatto ambientale, specialmente alla luce dei possibili effetti sinergici con altre fonti di inquinamento antropico.
L’acquacoltura è un’attività produttiva che
dipende dall’ambiente in cui essa si sviluppa.
L’acquacoltura, inoltre, può avere un impatto
sull’ambiente ma, nello stesso tempo, è colpita
e riflette tutti gli impatti creati dalle attività
umane.
Tra le forme di allevamento, sicuramente
l’allevamento di tipo intensivo è quello che
maggiormente può produrre impatti.
L’acquacoltura può produrre impatti sugli
ecosistemi acquatici, immettendo elevate quantità di nutrienti e di farmaci nell’ambiente o a
causa della fuga di organismi allevati che possono alterare gli equilibri delle comunità acquatiche naturali.
La quantificazione degli impatti ambientali
risulta difficile in quanto dipende da differenti
fattori quali: la densità di allevamento, il tipo di
alimento ed il regime alimentare. In generale le
525
Enne G., Greppi G., Serrantoni M.
conseguenze delle attività produttive sull’ambiente sono determinate dalla relazione tra la
quantità e la natura dei prodotti di rifiuto e dallo stato del corpo idrico recettore dei reflui. Gli
allevamenti di tipo intensivo, possono produrre
grandi quantità di residui inquinanti, come del
resto avviene per altre forme di produzione animale intensiva. Tuttavia, rispetto agli allevamenti terrestri (es. avicoli), i cui scarti non raggiungono direttamente i corpi idrici recettori, gli
impianti di acquacoltura intensiva possono creare impatti più diretti sugli ambienti acquatici,
per la localizzazione delle unità di produzione
negli stessi o per l’immissione in questi delle acque reflue da impianti ubicati a terra. Naturalmente, considerando i rapporti produttivi dell’acquacoltura intensiva con le altre forme di
zootecnia o con la stessa agricoltura, gli impatti complessivi dell’agricoltura, ad esempio su
uno stesso bacino idrografico, risultano nettamente più contenuti.
Alcuni dei potenziali impatti delle attività di
acquacoltura sugli ambienti acquatici al contorno e sugli altri usi degli stessi sono di seguito
riportati:
Relativamente alla qualità delle acque si può
avere:
• Aumento torbidità.
• Modifica del pH.
• Riduzione Ossigeno disciolto, aumento BOD
e COD.
• Apporto nutrienti (azoto e fosforo).
• Apporto sostanze tossiche (es. antifouling) e
residui chemioterapici.
• Aumento della carica batterica.
• Eutrofizzazione e blooms algali.
Per il sedimento e le comunità bentoniche:
• Aumento della sostanza organica.
• Aumento del BOD e COD del sedimento.
• Diminuzione del potenziale redox del sedimento.
• Produzione di gas (H2S, CH4).
• Incremento composti chimici (antibiotici, antifouling).
• Aumento di ceppi batterici resistenti agli antibiotici.
• Aumento dell’azoto organico ed inorganico.
• Alterazione delle comunità bentoniche.
• Crescita di alghe.
Per le popolazioni naturali può verificarsi:
• Introduzione di specie alloctone (possibili effetti di competizione trofica con le specie
autoctone).
526
• Introduzione di individui di “popolazioni alloctone” (possibile inquinamento genetico).
• Trasmissione di malattie alle popolazioni naturali.
• Introduzione di agenti patogeni esotici.
• Aumento dei predatori in vicinanza degli impianti di allevamento.
• Possibile alterazione delle popolazioni naturali per un uso improprio delle risorse idriche (deflusso minimo vitale).
Relativamente ai consumi idrici in acquacoltura, essi sono correlati alle differenti tipologie
di allevamento: intensivo, estensivo e semiestensivo.
L’allevamento intensivo richiede approvvigionamenti idrici elevati.
L’allevamento estensivo si caratterizza come
un’attività che si svolge su grandi estensioni e
in ambienti naturali o seminaturali. L’acquacoltura in ambienti marini e salmastri può essere
praticata in lagune, mentre, nel caso delle acque
dolci, in laghi e dighe.
L’allevamento semiestensivo costituisce lo
sviluppo del sistema estensivo e i fabbisogni
idrici sono contenuti.
13. Costi ambientali per produzioni zootecniche
Relativamente all’impatto ambientale delle produzioni zootecniche, esso può essere rappresentato dal consumo idrico della zootecnia intensiva
e dall’inquinamento dei corpi idrici recettori.
In particolare ci si riferisce alle acque reflue
di allevamento che derivano dal lavaggio di
strutture e attrezzature particolari utilizzate per
l’attività di allevamento. L’esempio classico è
quello delle acque di lavaggio dell’area della
mungitura nell’allevamento bovino e ovi-caprino. Inoltre, anche le acque reflue provenienti da
attività di trasformazione delle produzioni animali contribuiscono all’inquinamento dei corpi
idrici. Infine, ci sono gli effluenti di allevamento, ovvero di miscele di feci, urine, materiale di
lettiera, residui di acqua di abbeverata e di lavaggio, residui di mangime.
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527
Nuove tecnologie per l’ammodernamento e la gestione
degli impianti irrigui
Alessandro Santini*
Dipartimento di Ingegneria Agraria e Agronomia del Territorio, Università di Napoli Federico II
Via Università 100, 80055 Portici (Na)
Associazione Italiana di Ingegneria Agraria
Riassunto
Il miglioramento dell’efficienza dei sistemi irrigui rappresenta una premessa indispensabile per ottenere un’irrigazione
sostenibile in termini ambientali ed economici, non soltanto nelle aree con risorse idriche limitate, ma anche in quelle
ove la progressiva riduzione della disponibilità idrica è una preoccupante prospettiva. L’evoluzione nella disponibilità
di acqua ed i maggiori costi d’impianto hanno fortemente ridotto, nel corso degli ultimi venti anni, l’incremento delle
aree coltivate servite da reti di distribuzione irrigua. In Italia, la maggior parte degli investimenti nel settore irriguo negli ultimi anni sono stati quindi destinati all’ammodernamento delle reti di distribuzione a superficie libera costruite a
partire dagli anni ’50 in poi, mediante la loro progressiva sostituzione con reti di condotte in pressione. L’ammodernamento degli impianti in pressione ha visto lo sviluppo di soluzioni progettuali innovative, con l’introduzione di elementi
costruttivi in grado di migliorare la flessibilità di gestione delle reti, come ad esempio i sistemi di vasche di compenso
e di carico, o, nel caso di reti particolarmente complesse, di garantire un perfetto funzionamento attraverso torrini di
sconnessione idraulica. Accanto allo sviluppo di queste tecnologie, è possibile oggi avvalersi di un bagaglio di conoscenze molto ampio sui processi fisici che intervengono nella gestione di un sistema irriguo, a partire dagli scambi di
massa e di energia nel continuum suolo-pianta-atmosfera, fino a giungere alla descrizione dettagliata del funzionamento idraulico di una rete di distribuzione in diversi regimi di moto. Queste conoscenze possono essere utilizzate per lo
sviluppo e la messa a punto di modelli matematici per il supporto alle decisioni nella gestione operativa di un sistema
irriguo complesso. La raccolta delle informazioni necessarie per l’implementazione di questi modelli è notevolmente
migliorata grazie ai Sistemi Informativi Geografici (GIS) ed alle tecniche di analisi dei dati rilevati da satelliti per l’Osservazione della Terra, dotati oggi di risoluzioni spaziali, spettrali e radiometriche di grande efficacia, che consentono
la caratterizzazione ed il monitoraggio delle coperture vegetali.
Parole chiave: irrigazione, sistemi informativi geografici, osservazione della terra, satelliti, modelli idrologici.
Summary
NEW TECHNOLOGIES FOR MODERNIZATION AND MANAGEMENT OF IRRIGATION PIPING
Improving the efficiency of irrigation piping-systems represents a fundamental prerequisite to achieve a sustainable irrigation under both the environmental the economic point of view. Such an issue is important not only in areas with limited water-budget, but even in those areas where the increasing reduction of the water availability has become a worrying
perspective. In the last twenty years, the reduction in water-availability and the increasing costs of system-management
have highly limited the cultivated areas which are irrigated by means of water-distribution nets. In the recent years, most of the Italian investments in the irrigation-field have been oriented toward upgrading the open-channels irrigation nets,
which were built starting from 50’, by substituting these latter with pipes. The modernization of the piping-systems has
been achieved via innovative design solutions, such as back and loading water tanks or towers, which have lead to an
improvement into the flexibility of the net management. Nearby the employment of such technologies, nowadays it is also possible to use the knowledge of the physical processes involved in the management of an irrigation system, starting
from energy as well as mass exchange in the continuum soil-plant-atmosphere till to a detailed hydraulic description of
a water distribution net under different flow regimes. Such a type of knowledge may be used to improve as well as buildup mathematical models for a decisions-support toward the management of complex irrigation districts. The acquirement
of the data needed to implement such models has been deeply improved thanks to Geographical Information Systems
(GIS), and techniques to analyze satellite-data coming from the Earth observation, which enable to characterize and monitor vegetation at different spatial, spectral and radiometric resolutions.
Key-words: Irrigation, Geographical Information Systems, earth observation, satellites, hydrological models.
*
Autore corrispondente: tel.: +39 081 2539018; fax: +39 081 2539412. Indirizzo e-mail: santini@unina.it.
529
Santini A.
1. Introduzione
Nel corso degli ultimi cinquant’anni l’espansione dell’irrigazione ha determinato un incremento notevole della produzione agraria, consentendo di soddisfare il maggiore fabbisogno
alimentare derivante dall’esplosione demografica a scala mondiale. Nel 1950, la superficie irrigata nel mondo era circa 94 milioni di ettari; attualmente essa è stimata in oltre 240 milioni di
ettari, corrispondente al 16% della superficie
coltivata, ma da cui proviene oltre un terzo della produzione agraria mondiale (Postel, 1993).
L’incremento delle aree coltivate servite da reti di distribuzione irrigua è cresciuta al ritmo
dell’1% annuo durante i primi anni ’60, per
giungere ad un’espansione annua del 3-4% nella metà degli anni ’70. Negli ultimi venti anni,
questa tendenza è andata via via attenuandosi,
specialmente nelle zone aride e semi-aride, a
causa dei crescenti costi d’impianto e della ridotta disponibilità della risorsa idrica. Inoltre,
bisogna considerare che gran parte delle aree
coltivate sono particolarmente vulnerabili non
solo alla siccità ed all’erosione ma anche agli
squilibri nella gestione delle risorse idriche. Si
tratta spesso di agrosistemi fragili da un punto
di vista ecologico che necessitano di interventi
di conservazione dei suoli e che risentono in
modo sensibile delle conseguenze di cattive gestioni dell’acqua, la cui efficienza è attualmente
valutata in media pari al 45%. Pertanto, gli investimenti nel campo dell’irrigazione sono stati
sempre più mirati verso la modernizzazione degli impianti che li ha resi sempre più efficienti
e controllati.
2. Evoluzione e ammodernamento degli impianti collettivi
Dopo l’ultima guerra mondiale in Italia i comprensori irrigui erano localizzati prevalentemente nelle regioni settentrionali (in ragione
dell’85% circa della superficie agricola), ma a
partire dagli anni ’50 nel Mezzogiorno si è dato inizio alla realizzazione di impianti irrigui collettivi a servizio anche di aree di notevole estensione. I primi impianti furono realizzati con reti di distribuzione a pelo libero costituiti da canalette prefabbricate (figura 1) e furono messe
a punto apposite apparecchiature di misura e di
regolazione della rete.
530
Figura 1. Rete di distribuzione irrigua a superficie libera,
Piana del Sele, 1952.
Figure 1. Irrigation open channel net, Piana del Sele, 1952.
La gestione di questi impianti comporta perdite d’acqua notevoli, specie se la rete di canali ha notevole estensione, anche se le apparecchiature e le strumentazioni di controllo oggi disponibili hanno raggiunto un notevole grado di
sofisticazione. Apparecchiature automatiche che
comandano organi mobili possono essere impiegate con successo per la regolazione di grossi canali adduttori, ma un controllo dinamico
centralizzato pone ancora problemi legati alla
lentezza con cui risponde il sistema idraulico ed
alla mancanza di procedure soddisfacenti e sufficientemente consolidate per l’analisi e la progettazione dei sistemi automatici. Pertanto, la
maggior parte delle reti a pelo libero è regolata manualmente ed esistono nel mondo solo alcuni esempi di canali adduttori, a servizio di numerose utenze, controllate dinamicamente (Lefebre, 1977; Yeh et al., 1980) che utilizzano centrali operative collegate via radio o via cavo con
misuratori di livello e di portata e con attuatori per la manovra delle apparecchiature di regolazione.
In presenza di risorse idriche limitate e per
consentire un esercizio irriguo cui sia data ampia libertà agli agricoltori, specialmente per
quanto riguarda la scelta dei tempi degli adacquamenti e per la distribuzione dell’acqua nelle aziende, sono state realizzate reti in pressione che presentano minori problemi di gestione
e che, per la loro caratteristica di essere agevolmente regolate “da valle”, si adattano bene
ad un esercizio “alla domanda”. In questo caso,
oltre ad i vantaggi derivanti da un esercizio ir-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:529-539
riguo con minori vincoli per gli agricoltori, è
possibile ottenere una notevole riduzione delle
perdite d’acqua, con conseguente incremento
dell’efficienza globale del sistema irriguo. Per
questo motivo, uno dei principali interventi di
“riabilitazione” dei sistemi di distribuzione consiste nel sostituire le reti di canalizzazioni a superficie libera con condotte in pressione.
In particolare, per le reti irrigue in pressione, le variazioni giornaliere delle erogazioni
possono essere soddisfatte prevedendo in sede
di progetto capacità di compenso opportunamente localizzate. Nel caso poi di comprensori
che si sviluppano su forti dislivelli topografici,
opportuni manufatti di disconnessione a pelo libero consentono di contenere entro prefissati limiti le pressioni nella rete in condizioni di regime. Pertanto è quasi sempre possibile, con
l’impiego di un numero limitato di apparecchiature asservite ai livelli d’acqua nei manufatti, realizzare una soddisfacente regolazione
senza ricorrere ad una centralizzazione dei comandi.
L’esercizio di queste reti richiede principalmente un controllo dei volumi e delle portate
prelevati dalle utenze. Nei casi in cui la risorsa
idrica sia insufficiente, questo controllo è particolarmente importante se si vuole evitare una
ripartizione dell’acqua non programmata ed il
rischio di un troppo rapido esaurimento della
risorsa con conseguenti gravi danni per la produzione. Pertanto, in un contesto di crescente
conflittualità nell’uso delle risorse idriche ed
ambientali, il passo successivo verso una più efficiente irrigazione porterà allo sviluppo di tecniche di controllo e di gestione degli impianti
sempre più efficaci.
3. Dispositivi per il controllo delle reti
Con l’entrata in esercizio dei primi impianti di
irrigazione in pressione, spesso caratterizzati da
notevole estensione, si è subito individuata l’esigenza di installare opportune apparecchiature
idrauliche di intercettazione, regolazione e controllo, necessarie per dare attuazione alle diverse indicazioni progettuali. Sulla scia di questa
esigenza, sono state via via sviluppate apparecchiature idrauliche adatte al gravoso esercizio
richiesto negli impianti irrigui, anche in assenza
di una continua manutenzione. Particolare at-
tenzione è stata posta ai dispositivi atti ad evitare che alcuni utenti prelevino in modo indiscriminato l’acqua, determinando disfunzioni
nella rete collettiva ed inducendo, in alcuni tratti, valori delle pressioni inferiori ai limiti minimi previsti, con conseguenti funzionamenti anomali delle reti aziendali.
I tradizionali limitatori di portate muniti di
molle ed organi meccanici in movimento sono
stati via via sostituiti da dispositivi ad anello elastico, importati agli inizi degli anni ’60 dalla
Francia, ma che hanno subito in Italia modifiche e migliorie oggetto di brevetti. Queste apparecchiature sono ormai ampiamente utilizzate per la loro estrema semplicità ed affidabilità,
anche in presenza di acque che trasportino materiali sabbiosi o filiformi.
Di particolare rilievo appare, negli ultimi anni, l’introduzione dell’elettronica nei dispositivi
impiegati per l’erogazione dell’acqua sia ai diversi reparti in cui è suddiviso un comprensorio
sia alle singole aziende, comunemente denominati “gruppi di consegna”. Queste apparecchiature, in genere composte da un limitatore di
portata, da un contatore volumetrico e da un’idrovalvola, consentono in genere l’individuazione di sprechi e di prelievi anomali. Dopo alcune esperienze, peraltro limitate, di controllo e
raccolta dei dati presso stazioni centralizzate,
grande diffusione ha avuto l’adozione di dispositivi elettronici da collegare al gruppo di consegna attraverso un’idonea interfaccia per la lettura dei dati. Questi dispositivi possono essere
utilizzati anche in zone ove la proprietà è molto frazionata e consentono il monitoraggio dei
consumi ed il loro controllo e contabilizzazione,
purchè da parte degli Enti gestori vengano messi in atto gli opportuni adeguamenti organizzativi, nonché la qualificazione del personale necessario per la gestione e la manutenzione delle reti e delle apparecchiature.
4. Conoscenze e strumenti per una gestione integrata dei sistemi irrigui
Accanto agli interventi di tipo strutturale, oggi
peraltro in via di completamento in molti comprensori dell’Italia meridionale, la gestione irrigua può avvalersi del contributo di conoscenze
più approfondite sui processi fisici che intervengono nel funzionamento di un sistema irri-
531
Santini A.
guo nel suo complesso, oltre che di tecnologie
innovative che possono migliorare notevolmente l’esercizio degli impianti e la loro efficienza.
In particolare, la crescente disponibilità di avanzati modelli di calcolo consente di eseguire la
verifica idraulica delle reti di distribuzione in diverse condizioni di funzionamento, oppure di
valutare in dettaglio i processi di trasporto dell’acqua e dei soluti nel sistema suolo-pianta-atmosfera; quest’ultima tipologia di modelli consente di ottimizzare le strategie d’intervento ed
i volumi da applicare in funzione delle diverse
colture e delle condizioni pedo-climatiche. Inoltre, con l’impiego dei GIS, sempre più facilmente disponibili anche su elaboratori di capacità standard, è possibile gestire agevolmente sia
dati in formato vettoriale, relativi alla geometria delle reti di distribuzione ed ai limiti delle
parcelle irrigue, sia dati in formato raster, quali mappe, aerofoto o immagini ottenute con il
telerilevamento da satellite (Osservazione della
Terra).
Con il progredire delle conoscenze sui processi di scambio di massa e di energia che intervengono nel sistema suolo-pianta-atmosfera,
è possibile analizzare, tramite modelli numerici
di simulazione, i diversi termini del bilancio
idrologico con accuratezza sufficiente per gli
scopi pratici. In alcuni casi, è possibile ricorrere a modelli in grado di fornire una dettagliata
descrizione dei processi di trasporto idrico nel
sistema suolo-pianta-atmosfera in presenza di
fenomeni di stress idrico (Santini, 1982; 1992).
Questi modelli offrono la possibilità di valutare
l’evolvere nel tempo dei potenziali e dei contenuti idrici nel suolo nella zona interessata dall’apparato radicale, nonché degli attingimenti
radicali. Si possono così stimare i consumi d’acqua delle colture in funzione del livello freatico, della scelta di un calendario delle somministrazioni irrigue, oppure valutare la riduzione di
produttività delle colture per ridotti volumi d’irrigazione (Bastiaanssen et al., 2004).
Esistono in letteratura numerosi modelli di
simulazione idrologica che possono essere impiegati per pilotare la gestione dell’irrigazione
(FAO, 1994). L’evoluzione dello stato idrico del
suolo può essere descritta ricorrendo a schematizzazioni semplificate di tipo statico (Smith,
1992; Teixera et al., 1993) od attraverso la soluzione numerica dell’equazione del moto dell’acqua nel sistema suolo-pianta-atmosfera, in
532
cui il processo di moto (lungo l’ascissa verticale z) viene legato alla variazione di contenuto d’acqua θ nel tempo t attraverso l’equazione differenziale (Belmans et al., 1983; Santini, 1992):
∂θ ∂ ⎡
⎛ ∂ h ⎞⎤
=
K (h)⎜
+ 1⎟ ⎥ − S ( h )
⎢
∂t ∂ z ⎣
⎝ ∂ z ⎠⎦
(1)
dove h indica il potenziale dell’acqua nel suolo
e K(h) la funzione di conducibilità idraulica,
mentre S(h) descrive l’attingimento radicale
delle colture. Quest’ultimo termine viene in genere espresso ricorrendo a relazioni semi-empiriche, caratteristiche di ciascun tipo di coltura,
od a modelli che descrivono in dettaglio i processi di trasporto dell’acqua nelle piante (Santini et al., 1991). In ogni caso, S è da considerarsi funzione del potenziale dell’acqua nel suolo e di quello in corrispondenza dell’apparato
fogliare delle piante, delle condizioni atmosferiche che impongono i flussi di traspirazione, nonché delle diverse colture e del loro sviluppo vegetativo. Questa tipologia di modello è stata ampiamente validata in condizioni colturali e pedo-climatiche molto diverse, nel corso di campagne sperimentali condotte con l’ausilio di tecniche micro-meteorologiche (figura 2).
L’impiego di modelli basati sull’Eq. 1 richiede, però, la conoscenza delle caratteristiche
idrauliche dei suoli, nonchè la definizione delle
condizioni al contorno del dominio interessato,
dati il cui reperimento risulta particolarmente
oneroso quando si opera su vaste aree. Infatti,
per l’impiego di questi modelli alla scala di comprensorio, occorre definire:
a) l’interazione con la circolazione idrica sotterranea, necessaria per definire la condizione al contorno inferiore;
b) la variabilità spaziale delle proprietà idrauliche dei suoli presenti nell’area di studio;
c) la variabilità spaziale e temporale dello sviluppo e dello stato delle colture presenti, al
fine di descrivere la condizione al contorno
superiore attraverso i flussi massimi di evaporazione dal suolo e di traspirazione dalle
piante.
Il contorno inferiore rappresenta il punto di
collegamento fra i processi idrologici che avvengono nella zona satura (falda) e nel suolo
non saturo. Per semplicità, in genere può risultare vantaggioso scomporre la simulazione del
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:529-539
(a)
(b)
(c)
Figura 2. a) Installazione sperimentale su un campo di medica; b) confronto fra misure e risultati delle simulazioni riguardanti ET effettiva (b) e contenuto idrico nell’apparato radicale (c).
Figure 2. a) Experimental equipment in a lucerne-field; b) comparison between experimental data and simulation-results
concerning the effective ET (b), and water content in plant-roots (c).
moto dell’acqua in due sistemi separati: il primo, unidimensionale, per la zona che si presenta prevalentemente in condizioni di non-saturazione ed un secondo, per la zona satura, costituito da un reticolo bi- o tri-dimensionale. In
molti casi, è possibile individuare una relazione
analitica che stima il flusso di scambio idrico fra
suolo e falda in funzione dell’altezza freatica, sia
ricorrendo ad osservazioni sperimentali o, in alternativa, analizzando in maniera opportuna i risultati dei modelli bidimensionali di moto dell’acqua nel saturo (van Bakel, 1986).
Per quanto riguarda il punto (b), è stato verificato in diversi studi (v. Genuchten et al.,
1992; Romano e Santini, 1997; Palladino et al.,
2005) che l’impiego delle cosiddette pedo-transfer functions (PTFs), può consentire la stima
delle proprietà idrauliche dei suoli dalla sola conoscenza di quelle fisico-chimiche e risultare
particolarmente efficiente ed affidabile anche
nelle applicazioni di modelli a scale relativamente grandi (figura 3).
La condizione al contorno superiore del sistema è dettata soprattutto dallo stato di crescita del manto vegetale e dalle caratteristiche
climatiche che determinano i flussi di scambio
di massa e di energia fra il suolo e l’ambiente
circostante. Diversi studi hanno evidenziato come le tecniche di telerilevamento in differenti
regioni dello spettro elettromagnetico permettano la stima di alcune caratteristiche del manto vegetale, come ad esempio il grado di copertura del suolo e l’indice di area fogliare (Moran et al., 1991).
5. Telerilevamento da satellite per la valutazione dei fabbisogni irrigui
L’osservazione ciclica della superficie terrestre
mediante sensori multispettrali trasportati a bordo di piattaforme orbitanti è di uso corrente da
oltre un decennio in un vasto campo di applicazioni e di studi del territorio. In campo irriguo, i
metodi più comuni che utilizzano il telerilevamento possono essere suddivisi in due gruppi:
1) metodi per la stima di alcuni termini del bilancio idrologico, come, ad esempio, l’evapotraspirazione e lo stato idrico del suolo;
2) metodi mirati all’individuazione di parametri descrittivi del manto vegetale interessante la superficie osservata.
533
Santini A.
a)
b)
Figura 3. a) Carta dei suoli di un’area del comprensorio irriguo nella Piana del Sele con ubicazione dei siti di campionamento; b) Classificazione in base al comportamento idrologico con l’ausilio di PTF (D’Urso et al., 1997).
Figure 3. a) Soil map of an area belonging to the irrigation district of Piana del Sele with location of sampling sites; b)
Hydrological classification by means of PTF (D’Urso et al., 1997).
Numerose ricerche hanno mostrato, infatti,
la possibilità di stimare il valore istantaneo dell’evapotraspirazione e di individuare l’insorgenza di stress idrici mediante rilievi radiometrici
nella regione dell’infrarosso (Seguin et al., 1983;
Moran et al., 1991). Nella regione delle microonde, le potenzialità dei sensori radar oggi disponibili per la stima del contenuto idrico dei
suoli sono state definite in diversi studi recenti
(Engman et al., 1995; D’Urso et al., 2006).
I metodi rientranti nel secondo gruppo sono
stati diffusamente impiegati, per la mappatura
delle colture e per l’individuazione delle aree irrigate (FAO, 1995; Li Jiren et al., 1997), nonché
per la stima di alcune caratteristiche del manto
vegetale, come ad esempio il grado di copertura del suolo e l’indice di area fogliare (Clevers
et al., 1983). Combinando queste informazioni
con dati agrometeorologici acquisiti presso stazioni localizzate all’interno dei comprensori irrigui, possono essere ricavate le mappe dell’evapotraspirazione potenziale ETp o del coefficiente colturale Kc, rapporto fra ETp e valore
534
di riferimento ET0 (D’Urso et al., 1995). Qualora si adotti la schematizzazione proposta da
Monteith (1990) (Jensen et al., 1990), il calcolo
dell’ETp, e quindi del coefficiente Kc, in assegnate condizioni agrometeorologiche, è legato
ad alcuni parametri caratteristici del manto vegetale, quali l’albedo r, l’indice di area fogliare
LAI ed l’altezza del manto vegetale, hc:
Kc =
ETp
ETo
= f ( r , LAI , hc )
Poiché i citati parametri influenzano in maniera diretta la risposta spettrale delle superfici
vegetate, è possibile stabilire una corrispondenza fra la riflettanza superficiale, osservata da satellite, ed il corrispondente valore del coefficiente colturale Kc (Choudhury et al., 1994; Bausch, 1995; D’Urso et al., 1995).
Le mappe di Kc e di ETp così ottenute possono essere utilizzate per l’applicazione di modelli di simulazione, al fine di stimare i diversi
termini del bilancio idrologico nel sistema suolo-pianta, tenendo conto in maniera precisa del-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:529-539
Landsat
LandsatETM
ETM
Risoluzione
spaziale:
mm
Risoluzione
spaziale:30
30bande
Risoluzione
spettrale:
3
Risoluzione
3 bande
del
++spettrale:
44infrarosso
delvisibile
visibile
infrarosso
Data
di
acquisizione:
17
Data di acquisizione: 17Agosto
Agosto
2002
2002
ASTER TERRA
Risoluzione spaziale: 15 m
Risoluzione spettrale: 2 bande
del visibile + 7 infrarosso
Data di acquisizione: 7 Luglio
2002
QUICKBIRD
Risoluzione spaziale: 2.8 m
Risoluzione spettrale: 3 bande del
visibile +1 infrarosso
Data di acquisizione: 17 Agosto 2002
Figura 4. Acquisizioni con sensori satellitari di diversa risoluzione in colture di agrumi, Piana di Catania (Barbagallo
et al., 2003).
Figure 4. Citrus orchards monitoring via satellite devices working at different resolution, Piana di Catania (Barbagallo et
al., 2003).
la variabilità dei fabbisogni irrigui in relazione
all’effettivo sviluppo del manto vegetale (D’Urso et al., 1999). In base ai risultati del bilancio
idrologico, vengono individuate le zone ove si
verificano condizioni di stress idrico delle colture ed i corrispondenti deficit d’acqua nel suolo e si può determinare la distribuzione spaziale dei fabbisogni irrigui e dei conseguenti probabili prelievi d’acqua nei nodi della rete di distribuzione irrigua.
Queste procedure sono state applicate a numerosi casi di studio in Italia e all’estero, sia su
colture erbacee che arboree. Ad esempio, in figura 4, viene illustrata un’applicazione a coltivazioni di agrumi nella piana di Catania; in questo caso, la risoluzione spaziale del sensore è di
fondamentale importanza per l’individuazione
dei parametri geometrici degli agrumeti.
L’utilizzo di dati satellitari ad altissima risoluzione (1-2 m), sempre più agevolemente reperibili, è giunto ad un grado di maturazione ed
affidabilità tale da poter costituire la base per
applicazioni operative direttamente rivolte agli
utenti finali, fra cui i gestori delle risorse territoriali nel comparto agricolo ed i soggetti coinvolti nella pianificazione e distribuzione delle risorse idriche.
Un esempio notevole di trasferimento tecnologico del telerilevamento da satellite ad applicazioni operative è rappresentato dal proget-
to DEMETER (http://www.demeter-ec.net), finanziato nell’ambito del “V Programma Quadro” per la Ricerca dalla Commissione Europea. Questo progetto, a cui hanno partecipato
12 istituzioni europee, fra cui il Dipartimento di
Ingegneria Agraria ed Agronomia del Territorio
dell’Università di Napoli “Federico II”, è stato
interamente dedicato allo sviluppo di tecniche
per l’impiego di informazioni ottenute da telerilevamento satellitare nei programmi di assistenza all’agricoltura irrigua. Il progetto DEMETER è stato sviluppato e testato nel 2004-2005
nel Consorzio di Bonifica in destra del fiume Sele (Salerno) ed ha messo a punto, come risultato finale, uno strumento di Information Technology basato sull’integrazione fra dati satellitari e
mezzi di comunicazione, rivolto principalmente
ai Consorzi e le aziende agricole per la gestione
dell’irrigazione. Il prototipo sviluppato nell’ambito di DEMETER viene concepito come un sistema integrato di monitoraggio, in cui dati di
Osservazione della Terra, informazioni agro-meteorologiche e colturali e modelli di bilancio idrologico convergono in un GIS, arricchito da innovativi mezzi di Information Technology per il trasferimento dei dati all’utenza.
Il calcolo dei fabbisogni irrigui si basa sulla
metodologia FAO (1998), ove però i valori dei
coefficienti colturali vengono ottenuti mediante
l’algoritmo rappresentato dall’Eq. 1. Dalle map-
535
Santini A.
Figura 5. Esempio di foglio informativo distribuito settimanalmente ed in tempo reale alle aziende pilota nel corso della
stagione irrigua 2005 in agro di Eboli (SA).
Figure 5. An example of informative sheet distributed in real time and weekly to pilot-farms during the 2005 irrigation
season in agro di Eboli (SA).
pe spaziali dei fabbisogni irrigui si possono poi
estrarre dati ed informazioni personalizzate da
trasferire alle aziende agricole tramite telefonia
cellulare ed e-mail. Il GIS, in cui convergono immagini satellitari ad alta risoluzione opportunamente interpretate e dati meteorologici raccolti a terra, provvede a calcolare i fabbisogni irrigui settimanali ed a generare quest’informazione in due formati: uno grafico, sotto forma di
mappe, ed uno alfanumerico, consistente nella
quantità d’acqua da somministrare e nella durata dell’intervento in ciascuna parcella. Il primo tipo di dato, insieme all’immagine satellitare, viene reso disponibile su Internet, il secondo invece viene inviato tramite SMS ed MMS
direttamente al conduttore dell’azienda, che riceve così un “consiglio irriguo” personalizzato
in tempo reale. Un esempio dell’informazione
distribuita agli agricoltori è illustrata in figura
5. In qualsiasi istante, ciascuno di essi potrà poi
“osservare” la propria azienda sull’immagine satellitare disponendo di un personal computer o
di un telefono cellulare di nuova generazione.
536
Questo tipo di informazione, personalizzata
per ogni agricoltore, è di particolare utilità specialmente nei distretti ove i prelievi irrigui vengono controllati mediante schede elettroniche
dove programmare i prelievi d’acqua.
6. Sviluppo di Sistemi di Supporto alle Decisioni (DSS) in campo irriguo
Integrando fra loro strumenti quali dispositivi
di controllo e di telerilevamento, nonché software di simulazione e di gestione di grandi archivi di dati, è oggi pensabile lo sviluppo di “sistemi di supporto alle decisioni (DSS)” di notevole efficacia nella gestione degli impianti irrigui
collettivi (Rey et al., 1994). Questi strumenti
consentono di simulare diversi “scenari” e di
identificare per ciascuno di essi le possibili situazioni di crisi del sistema, dovute, ad esempio,
a carenze di tipo strutturale nella rete di distribuzione od a causa di limitazioni nella disponibilità della risorsa. L’utilizzazione di software in
grado di gestire dati georeferenziati consente
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:529-539
inoltre di rappresentare in forma cartografica i
risultati delle simulazioni, per una loro più agevole lettura ed interpretazione.
Un esempio di DSS e delle sue componenti
principali è descritto in figura 6. Il sistema informativo geografico rappresenta il nodo di scambio dei flussi di informazioni fra gli algoritmi
numerici di simulazione del bilancio idrologico
del suolo e del trasporto dell’acqua nella rete di
distribuzione irrigua, gli strumenti di rilevamento e misura e l’utente finale, rappresentato
dal gestore. All’interno della procedura, lo
scambio dei dati avviene utilizzando un formato compatibile con i software per l’analisi di dati territoriali e per la rappresentazione cartografica dei risultati delle simulazioni.
Il comprensorio irriguo è visto come un insieme di aree elementari connesse dalla rete di
distribuzione. Per la simulazione del bilancio
idrologico, in ogni unità elementare i processi di
trasporto dell’acqua nel suolo sono descritti secondo una geometria unidimensionale, ricavando alcuni dati attraverso l’analisi di immagini
multispettrali telerilevate da satellite. In base ai
risultati del bilancio idrologico, vengono individuate le unità ove si verificano condizioni di
stress idrico delle colture ed i corrispondenti deficit d’acqua nel suolo. Si può così determinare,
con cadenza giornaliera, la distribuzione spaziale dei fabbisogni irrigui e dei conseguenti prelievi d’acqua nei nodi della rete. Successivamente, viene eseguito il confronto fra il volume
irriguo richiesto e la disponibilità della risorsa
e si passa quindi alla verifica della capacità di
trasporto idraulico della rete di distribuzione. È
così possibile simulare diversi “scenari” ed iden-
SIMULAZIONE
BILANCIO
IDROLOGICO
ANALISI IMMAGINI
MULTISPETTRALI
SISTEMA
INFORMATIVO
GEOGRAFICO
SIMULAZIONE
RETE IDRAULICA
I (m3)
80000
osservazioni
DSS
70000
60000
50000
40000
30000
20000
10000
0
31/5
7/6
14/6
21/6
28/6
5/7
12/7
19/7
26/7
2/8
9/8
16/8
23/8
30/8
6/9
13/9
20/9
1994
Figura 7. Confronto fra i prelievi giornalieri complessivi simulati con il DSS “SIMODIS” e misurati presso i contatori volumetrici di reparto nel comprensorio “Gromola” di
Paestum.
Figure 7. Comparison between DDS “SIMODIS”-simulated
and measured total daily water-drawings at the volumetric
counters in the irrigation district “Gromola” di Paestum.
tificare per ciascuno di essi le possibili situazioni di crisi.
Presso il Dipartimento di Ingegneria Agraria ed Agronomia del Territorio dell’Università
di Napoli “Federico II” è stato messo a punto
un DSS denominato “SIMODIS” (Simulation
and Management of On-Demand Irrigation Systems, D’Urso, 2001), che è stato messo a punto nel comprensorio irriguo “Gromola”, ricadente nell’area d’interesse del Consorzio di Bonifica di Paestum (Salerno). I risultati del DSS sono stati confrontati con i volumi irrigui giornalieri misurati in corrispondenza dei contatori di
reparto. Come può evincersi dal grafico in figura 7, l’entità dei prelievi e la loro evoluzione temporale sono risultati molto prossimi alle osservazioni, confermando le ipotesi di funzionamento
assunte nelle simulazioni effettuate con il DSS.
Grazie al DSS SIMODIS, è stata effettuata
una simulazione di scenari in condizioni di scarsità della risorsa idrica. È stato così possibile valutare il volume minimo di ciascun intervento
irriguo, in modo da non compromettere la produzione e conseguire risparmi sul consumo stagionale d’acqua per l’intero comprensorio fino
al 25% (D’Urso e Santini, 2002).
GESTIONE
IRRIGUA
7. Conclusioni
Figura 6. Elementi costitutivi del sistema di supporto alle
decisioni.
Figure 6. Constitutive elements of the decisions supportsystem.
Il miglioramento dell’efficienza dei sistemi irrigui è un obiettivo di primaria importanza per
l’utilizzazione razionale delle risorse idriche in
537
Santini A.
agricoltura. Questo obiettivo può essere conseguito attraverso interventi di carattere strutturale, finalizzati al contenimento delle perdite di
distribuzione, e mediante una gestione della risorsa basata su un maggior controllo dei consumi e dei criteri di distribuzione. In questo caso, il comprensorio irriguo deve essere considerato come un sistema nella sua notevole complessità, ove la gestione della risorsa idrica è determinata non soltanto dalle condizioni idrologiche e climatiche, ma anche da elementi di natura economica ed ambientale sia a scala aziendale che territoriale. Pertanto, la definizione dei
criteri che intervengono nella gestione di un siffatto sistema devono includere, sempre più, l’analisi di diversi livelli d’informazione.
Lo sviluppo di nuove tecnologie, unitamente ad una migliore comprensione dei processi fisici presenti in un sistema irriguo, consente la
messa a punto di strumenti per il supporto alle
decisioni che i gestori devono assumere. Questi
sistemi, che possono essere realizzati, ad esempio, ricorrendo all’uso combinato di modelli di
simulazione e di dispositivi di monitoraggio dei
prelievi d’acqua, permettono di valutare l’efficienza del sistema irriguo in ogni punto della
rete, individuando l’equità di distribuzione ed il
corrispondente soddisfacimento dei fabbisogni
irrigui. I risultati di queste elaborazioni possono essere impiegati per il calcolo di “indicatori
di performance” del sistema irriguo o di parte
di esso, anche ricorrendo all’ausilio dei sistemi
informativi territoriali. L’analisi della distribuzione spaziale degli indicatori di performance
può mettere in evidenza le zone ove la risorsa
idrica non è utilizzata in modo ottimale a causa di sprechi o, diversamente, per limitazioni
strutturali nella rete di distribuzione.
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539
Acqua e malerbe: un binomio da gestire
per la produttività e l’ambiente
Antonio Berti1*, Paolo Bàrberi2, Francesco Vidotto3, Aldo Ferrero3, Giuseppe Zanin1
1
Dipartimento di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali, Università di Padova
Viale dell’Università 16, 35023 Legnaro (Pd)
2
Scuola Superiore Sant’Anna
Piazza Martiri della Libertà 33, 56127 Pisa
3
Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del Territorio, Università di Torino
Via Leonardo da Vinci 44, 10095 Grugliasco (To)
Società Italiana per la Ricerca sulla Flora Infestante
Riassunto
La gestione dell’acqua a livello di sistema colturale ed in particolare l’epoca e la modalità degli apporti idrici sono a tutti gli effetti una componente essenziale di una gestione integrata delle infestanti. Lo stato idrico del terreno, infatti, influenza la persistenza dei semi, può contribuire ad indurre o interrompere la dormienza regolandone
quindi la germinazione, influenza l’affrancamento delle plantule, l’esito della competizione in fase adulta ed il numero, la vitalità ed il grado di dormienza dei semi prodotti. Le interazioni tra stato idrico del terreno e competizione sono però molto complesse e solo parzialmente conosciute. Un approfondimento delle conoscenze sarebbe
quindi molto promettente in quanto potrebbe consentire di immaginare approcci anche nuovi e non scontati nella
gestione delle malerbe. Questi studi potrebbero portare un contributo importante allo sviluppo di una “Gestione
Ecologica delle Malerbe” che non mira semplicemente ad eliminare le malerbe, ma a ridurne la densità, a limitarne la competitività e a prevenire cambiamenti floristici dannosi.
Parole chiave: acqua, malerbe, competizione, sistema colturale, gestione integrata delle infestanti.
Summary
WATER MANAGEMENT AS A KEY COMPONENT OF INTEGRATED WEED MANAGEMENT
Water management within the cropping system is a key factor for an integrated weed management. Soil moisture
affects seed persistence and seed dormancy, thus influencing their germination, the establishment of seedlings as
well as the competition at adult stage and the number, vitality and dormancy of the new seeds produced by the
weeds. The interactions among water availability and competition are very complex and still not fully understood.
A research effort in this sector should the be very relevant for the development of new approaches of weed management, such as “Ecological weed management”, aiming to reduce weed density and competitiveness and, in the
medium term, to prevent undesired modifications of the weed flora.
Key-words: water, weeds, competition, cropping system, integrated weed management.
*
Autore corrispondente: tel.: +39 049 8272828; fax: +39 049 8272839. Indirizzo e-mail: antonio.berti@unipd.it
541
Berti A., Bàrberi P., Vidotto F., Ferrero A., Zanin G.
1. Introduzione
La quantità di acqua che può essere utilizzata
dalla pianta per la crescita è regolata sostanzialmente dalla sua disponibilità nell’arco della
stagione vegetativa (precipitazioni e irrigazioni),
dalla morfologia e dallo sviluppo dell’apparato
radicale e dalle caratteristiche fisiologiche della
pianta stessa, in particolare dalla sua efficienza
d’uso. In ambienti aridi o semi-aridi, la presenza di infestanti che utilizzano parte delle scarse
riserve idriche è chiaramente molto dannosa per
la coltura; anche in situazioni di elevata disponibilità idrica complessiva, comunque, si possono verificare fasi di stress idrico di intensità variabile in relazione alle variazioni della disponibilità naturale e degli apporti (distribuzione irregolare della piovosità, irrigazioni turnate con
turni prolungati). In queste condizioni la presenza di piante infestanti può determinare effetti competitivi anche intensi, in particolare nei
momenti di maggiori esigenze idriche delle colture, che, per le principali specie agrarie, corrispondono al periodo riproduttivo, durante il
quale è richiesta un’elevata traslocazione dei fotosintati ai frutti (Radosevich et al., 1997).
Lo stato idrico del terreno influenza la persistenza dei semi, può contribuire ad indurre o
interrompere la dormienza regolandone quindi
la germinazione, influenza l’affrancamento delle plantule, l’esito della competizione in fase
adulta ed il numero, la vitalità ed il grado di
dormienza dei semi prodotti. La gestione del sistema colturale ed in particolare l’epoca e la
modalità degli apporti idrici sono a tutti gli effetti una componente importante della gestione
integrata delle infestanti (Integrated Weed Management – IWM, Shaw, 1982).
2. Acqua ed ecofisiologia della germinazione dei
semi
Come in tutte le piante, anche nelle malerbe
l’acqua svolge un ruolo fondamentale nella regolazione delle funzioni vitali. Tuttavia, tra piante coltivate e malerbe esistono delle differenze
eco-fisiologiche, soprattutto per quanto riguarda l’effetto dell’acqua nel modulare i fenomeni
di germinazione dei semi ed emergenza delle
plantule; nelle malerbe tale azione è di solito
molto più pronunciata che non nelle colture. Le
malerbe, infatti, presentano una molteplicità di
542
condizioni fisiologiche del seme maturo (differenti stadi di dormienza primaria e/o suscettibilità alla dormienza indotta) che normalmente
non si riscontra nelle colture. Conoscere le relazioni che intercorrono tra acqua e malerbe nelle primissime fasi di crescita di queste ultime rappresenta pertanto un aspetto importante.
2.1 Germinazione, emergenza delle malerbe e
contenuto idrico del terreno
Il contenuto idrico del terreno è uno dei principali fattori ambientali in grado di influenzare
il tasso di germinazione dei semi e conseguentemente il flusso delle emergenze delle infestanti in campo. Il passaggio dalla fase di imbibizione a quella di germinazione del seme dipende dal raggiungimento di un valore critico
del potenziale idrico del terreno (ψ) e di un valore critico della percentuale di acqua assorbita
dal seme in rapporto alla propria massa (Boyd
e Van Acker, 2004). Entrambi questi valori sono specie-specifici, ma per motivi sia di importanza pratica che di facilità di misura, per una
data specie non si stima la dinamica della germinazione quanto quella delle emergenze in relazione a ψ.
Alcune specie (es. Alopecurus myosuroides,
Digitaria spp., Rumex crispus e Setaria faberii)
necessitano di più cicli di idratazione-disseccamento-reidratazione per avviare la germinazione dei propri semi. Il potenziale idrico del terreno non rappresenta generalmente un fattore
limitante per l’emergenza delle malerbe in climi temperati e temperato-freddi (es. in Canada;
Leblanc et al., 2002), ma può esserlo in climi
mediterranei, aridi e sub-aridi. In questi ambienti, la limitata disponibilità idrica è un fattore che può ridurre l’incidenza degli attacchi di
specie parassite quali Orobanche spp. (Manschadi et al., 2001), aspetto da tenere in debita
considerazione nei sistemi orticoli mediterranei
irrigui.
In alcune specie, tuttavia, il ridotto contenuto idrico del seme può invece rappresentare una
condizione favorevole alla germinazione. Ad
esempio, in Lolium rigidum si è osservato che
il tasso di rimozione della dormienza dei semi
è maggiore quando il loro contenuto idrico è <
9% (Steadman et al., 2003). In questa specie, sono importanti anche le condizioni ambientali in
cui si è formato il seme. I semi di L. rigidum
che maturano in condizioni di basse temperatu-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:541-552
emergenza (%)
0
20
40
60
emergenza (%)
80
100
0
20
40
60
80
100
0
profondità seme (cm)
re e limitata umidità relativa dell’aria presentano una dormienza più ridotta rispetto a quelli
che si formano in buone condizioni idriche
(Steadman et al., 2004).
Albrecht e Pilgram (1997), in uno studio volto ad esaminare l’effetto di diverse variabili colturali ed ambientali sulla densità della banca semi in agroecosistemi arativi, hanno osservato
che il contenuto idrico del suolo è risultato come la variabile ambientale più importante.
La sommersione costante o per periodi più
o meno prolungati del terreno condiziona fortemente le caratteristiche delle comunità vegetali presenti in un dato ambiente. Questo fenomeno è particolarmente evidente nell’agroecosistema risicolo, dove si è differenziata una flora infestante altamente specializzata. L’adattamento delle piante infestanti a tali condizioni
ambientali estreme può indurre l’insorgenza di
strategie germinative inusuali: ad esempio, i semi di Leptochloa chinensis possono germinare
anche in situazione di completa anossia (Benvenuti et al., 2004).
Tra le principali infestanti del riso, il riso crodo rappresenta forse la più importante infestante del riso a livello mondiale. Botanicamente è considerata appartenente alla stessa specie
del riso coltivato, rispetto al quale presenta analoghe esigenze idriche, oltre a numerose caratteristiche anatomiche, biologiche ed ecofisiologiche che la rendono particolarmente competitiva nei confronti della coltura. L’acqua di sommersione può tuttavia inibirne in misura variabile la germinazione e l’emergenza. Una delle
tecniche più diffuse per il controllo di questa
malerba è la falsa semina. Per una buona riuscita di questo intervento è indispensabile una
corretta gestione dell’acqua per stimolare la
germinazione e l’emergenza del riso crodo. È
stato osservato che, in generale, le più elevate
percentuali di emergenza, in relazione ad una
data banca semi, si ottengono quando il suolo è
in condizioni di saturazione. Viceversa, la sommersione rallenta e riduce la germinazione aumentandone la scalarità (figura 1), marcatamente nei terreni pesanti (Vidotto e Ferrero,
2000). Va tuttavia segnalato che ad una minore
emergenza in condizioni di sommersione corrisponde spesso lo sviluppo di plantule meno vigorose rispetto a quelle che si sviluppano in
condizioni di saturazione. Pertanto, se da un lato la sola saturazione consente un più rapido
2
4
6
8
10
Saturazione
Sommersione
Terreno Argilloso
Terreno Medio impasto
Figura 1. Relazione tra percentuale di emergenza del riso
crodo, profondità del seme e condizioni idriche in due tipi
di terreno. Da Vidotto e Ferrero (2000).
Figure 1. Relationship between emergence of red rice, seed
depth and soil water status in two types of soils. From Vidotto e Ferrero (2000).
depauperamento della banca semi della malerba, dall’altro la sommersione determina lo sviluppo di plantule più facilmente controllabili
con mezzi chimici o meccanici.
In condizioni ambientali non estreme, il flusso delle emergenze delle malerbe è maggiormente influenzato dalla distribuzione delle precipitazioni piuttosto che dalla loro quantità.
Normalmente, infatti, si osserva un sincronismo
tra il pattern stagionale delle emergenze e quello delle precipitazioni. Specie infestanti caratterizzate da pattern di emergenza più ampio (ad
es. quelle appartenenti al gruppo eco-fisiologico
delle “indifferenti”; Zanin et al., 2001) meglio si
adattano a distribuzioni irregolari delle precipitazioni rispetto a specie con pattern di emergenza più ristretto, che possono emergere abbondantemente solo quando, in corrispondenza
del loro picco stagionale d’emergenza, vi è una
adeguata quantità di pioggia.
2.2 Interazioni tra acqua del terreno e luce
Ai fini degli effetti sulla germinazione ed emergenza delle infestanti, molto importanti sono anche le interazioni tra acqua e luce. L’idratazione del seme, infatti, determina quella del fitocromo e la sua conseguente attivazione. In
agroecosistemi caratterizzati da sensibili variazioni stagionali nel contenuto idrico del terreno, la fotoinduzione della germinazione può essere fortemente ridotta (Gallagher e Cardina,
1997). Resta ancora da chiarire se un limitato
contenuto idrico del terreno riduca (Juroszek e
Gerhards, 2004) o aumenti (Botto et al., 2000)
l’efficacia del “fotocontrollo”, tecnica che mira
543
Berti A., Bàrberi P., Vidotto F., Ferrero A., Zanin G.
ad inattivare la germinazione dei semi delle malerbe evitando la loro esposizione alla luce (ottenibile ad esempio con la preparazione notturna del letto di semina). Verosimilmente, i risultati contrastanti di queste sperimentazioni sono
da porre in relazione con la presenza – nelle diverse situazioni – di specie prevalenti caratterizzate da diverso fotoblastismo e/o differenti
stadi di dormienza dei semi.
In alcune specie tipiche della risaia (es. Heteranthera limosa) si è osservato una complessa
interazione acqua/luce sulla dinamica della dormienza dei semi (Baskin et al., 2003), i cui effetti sono risultati dipendere sia dal contenuto
idrico del suolo sia dalla modalità di gestione
dell’acqua nel sistema colturale: le condizioni di
terreno asciutto in inverno ed inondato in estate rappresenterebbero una condizione favorevole alla germinazione della specie.
2.3. Interazioni tra acqua del terreno e temperatura
La germinazione e l’emergenza delle malerbe
variano fortemente anche in dipendenza degli
effetti delle interazioni tra acqua e temperatura dell’aria e del terreno. Ad esempio, in specie
come Amaranthus retroflexus ed Echinochloa
crus-galli, l’alternanza di temperatura diviene
un fattore importante per l’interruzione della
dormienza dei semi solo quando il contenuto
idrico del suolo supera una soglia critica. Studi
di laboratorio hanno evidenziato che, in queste
due specie, un’idratazione sub-ottimale del substrato abbinata a temperature costanti sembra
indurre nei semi lo stato di dormienza secondaria (Martinez-Ghersa et al., 1997). Tuttavia,
Oryokot et al. (1997) hanno osservato che quando la temperatura ambientale si avvicina all’optimum per la specie (T > 27,9 °C), la capacità germinativa di A. retroflexus diventa indipendente dal contenuto idrico del terreno. I risultati parzialmente contrastanti di queste due
esperienze suggeriscono che – anche nell’ambito della stessa specie – esistono differenze di
comportamento germinativo probabilmente imputabili alle condizioni in cui semi appartenenti a differenti popolazioni si sono formati.
Più in generale, è noto che le caratteristiche
della vegetazione delle aree naturali sono in
buona misura influenzate dai principali parametri ambientali. Considerando gli aspetti climatici, particolare importanza assumono l’an-
544
damento delle temperature e le caratteristiche
delle precipitazioni (quantità e distribuzione).
Negli ambienti agricoli l’effetto del clima sulla
vegetazione infestante risulta spesso fortemente
mitigato dall’attività dell’uomo, rendendo le comunità vegetali normalmente più semplificate rispetto a quelle naturali. Numerosi accorgimenti
agronomici sono infatti tesi a modificare in parte gli effetti del clima sulle piante coltivate e, conseguentemente, sulla vegetazione infestante. Pur
senza considerare le situazioni estreme in cui la
coltivazione si attua in modo svincolato dall’andamento climatico (es. in serra), anche le sistemazioni e le lavorazioni del terreno possono avere un effetto più o meno marcato sulle fluttuazioni termiche e idriche del suolo.
In alcuni casi, gli interventi agronomici non
sono tuttavia in grado di mascherare completamente l’effetto dell’andamento termo-pluviometrico sulla vegetazione infestante. In uno studio condotto in Piemonte analizzando i dati malerbologici relativi alla coltura del mais e acquisiti in ottanta stazioni di rilevamento, è stato comunque possibile individuare alcune relazioni tra le caratteristiche climatiche dei siti (in
particolare la disponibilità idrica) e la ricchezza
specifica della vegetazione spontanea. In particolare, facendo ricorso alla classificazione climatologica di Thornthwaite (riferita all’andamento evapotraspirativo stagionale), è stato
possibile individuare una minor ricchezza specifica negli areali tendenzialmente secchi ed un
maggior numero di specie, in particolare monocotiledoni, negli ambienti tendenzialmente umidi (Ferrero e Vidotto, 2006).
2.4. Previsione dei flussi di emergenze delle malerbe in campo
Dal punto di vista agronomico, riuscire a stimare con un buon livello di precisione il flusso
delle emergenze delle malerbe in campo rappresenta un’informazione molto importante ai
fini dell’impostazione di una corretta strategia
di gestione. Non sorprende quindi il fatto che
numerosi ricercatori si siano in questi ultimi anni dedicati allo sviluppo di modelli matematici
di previsione dell’emergenza delle malerbe. Recentemente, ad esempio, è stato sviluppato il
modello SHAW, basato sulla stima delle emergenze in relazione a quella simultanea dei flussi di calore e di acqua nel suolo (Flerchinger e
Hardegree, 2004).
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:541-552
In questo ambito, un’importante svolta metodologica si è avuta con lo sviluppo del concetto di Hydrothermal Time (ΘH), che in malerbologia ha subito trovato ampia applicazione
nello sviluppo e/o affinamento di modelli di previsione delle emergenze (Roman et al., 1999 e
2000; Shrestha et al., 1999; Grundy et al., 2000;
Hardegree et al., 2003, Masin et al., 2005). L’Hydrothermal Time rappresenta un’evoluzione del
concetto di Thermal Time (comunemente espresso come Growing Degree Days, GDD): esso
presuppone per ciascuna specie la stima, oltre
che di una temperatura basale (Tb), anche di un
potenziale idrico basale (ψb), al di sotto del quale il seme non è in grado di germinare (e quindi emergere). L’equazione per il calcolo dell’Hydrothermal Time è la seguente:
ΘH = Σ ni=1 (ψ - ψb ) [((Tmax + Tmin)/2) - Tb]
(espresso in Hydro Degree Days; HDD)
dove:
ψ = potenziale idrico del suolo (giornaliero),
ψb = potenziale idrico basale per l’emergenza
(specie-specifico),
Tb = temperatura basale per l’emergenza (specie-specifica),
Tmax = temperatura massima (giornaliera),
Tmin = temperatura minima (giornaliera).
Generalmente, l’Hydrothermal Time si adatta meglio del Thermal Time a simulare l’emergenza di specie (come spesso le malerbe) che
presentano dormienza dei semi. Leguizamón et
al. (2005) hanno simulato l’emergenza cumulata di Avena sterilis in funzione del Thermal time o dell’Hydrothermal time e in relazione all’epoca di semina basandosi su un set di dati novennale. Nonostante l’adattamento delle funzioni sia migliore per il Thermal time, in questo
caso è stato necessario sviluppare due funzioni
diverse: una per la semina anticipata, in cui la
minore percentuale di emergenza è dovuta allo
scarso contenuto idrico del suolo (ψ < ψb) e una
per la semina ritardata, in cui il contenuto idrico non è limitante (ψ > ψb). Nel caso dell’Hydrothermal Time, invece, un’unica funzione (funzione di Weibull) ha permesso di ottenere un
adattamento statisticamente significativo indipendentemente dalle condizioni ambientali e
dall’epoca di semina (figura 2). La possibilità di
utilizzare un’unica funzione di validità generale
rappresenta ovviamente un vantaggio dal pun-
A
Semina precoce
Semina tardiva
B
Semina precoce
Semina tardiva
Figura 2. Emergenza cumulativa di Avena sterilis in funzione del Thermal Time (A) o dell’Hydrothermal Time (B) in
relazione all’epoca di semina. Da Leguizamón et al. (2005).
Figure 2. Relationships between cumulated emergencies of
Avena sterilis and Thermal Time (A) or Hydrothermal Time (B), depending on time of emergence. From Leguizamón
et al. (2005).
to di vista della modellizzazione del flusso delle emergenze della specie. In sintesi, dal lavoro
citato risulta che per stimare le emergenze di A.
sterilis si possono usare indipendentemente
GDD e HDD quando le condizioni idriche del
suolo non solo limitanti, mentre quando lo sono l’uso di HDD permette una maggiore flessibilità.
3. Competizione radicale per l’acqua
La competizione idrica a livello radicale inizia
quando le “aree o zone di svuotamento” che circondano le radici (root depletion zones, cioè le
zone dalle quali provengono l’acqua e gli elementi nutritivi che le radici assorbono) di piante vicine si sovrappongono. La competitività relativa delle infestanti e delle piante coltivate per
545
Berti A., Bàrberi P., Vidotto F., Ferrero A., Zanin G.
i fattori presenti nel terreno è quindi in larga
parte determinata dal volume di suolo esplorato dalle radici di ciascuna specie (Sattin e Tei,
2001). La pianta schematicamente funziona come uno “stoppino”: le radici assorbono acqua
dal terreno, che è trasportata e utilizzata nella
pianta e poi traspirata nell’atmosfera. Questo
processo dipende: 1) dallo stato idrico del terreno; 2) dalle caratteristiche della vegetazione;
3) dalla domanda evaporativa dell’atmosfera
(cioè dal suo deficit di saturazione per il vapore d’acqua). Lo stato idrico del terreno e la domanda evaporativa dell’atmosfera sono strettamente dipendenti dalle caratteristiche pedo-climatiche del sito mentre le caratteristiche della
vegetazione più importanti sono: a) le resistenze che il flusso idrico incontra nell’attraversare
radici, fusto e foglie ; b) le dimensioni e la struttura dell’apparato sia fogliare che radicale; c)
l’efficienza nell’uso dell’acqua (Water Use Efficiency – WUE), cioè la quantità di sostanza secca prodotta per quantità di acqua traspirata.
La regolazione delle resistenze al flusso idrico dipende dalle specifiche caratteristiche genotipiche e fenotipiche della pianta; tra queste
ultime ha importanza particolare la presenza di
strutture di adattamento allo stress come la pubescenza fogliare, l’infossamento degli stomi, la
presenza di tessuti lassi che favoriscono la conservazione dell’acqua. A livello di campo coltivato, dove gli stress idrici non possono comunque essere eccessivamente prolungati per non
compromettere completamente la produzione,
la struttura dell’apparato radicale svolge un ruolo particolarmente importante.
3.1 Ruolo degli apparati radicali
Nel caso della competizione tra coltura ed infestanti, lo studio di apparati radicali concresciuti è particolarmente complesso e laborioso
per la difficoltà di distinguere le radici appartenenti a specie diverse. Negli anni ’30 e ’40 del
secolo scorso, Pavlychenko effettuò in Canada
una serie di studi quantitativi sulla struttura dell’apparato radicale di colture pure ed in competizione con infestanti (Pavlichenko, 1937). Effettuando rilievi su tutto il profilo radicale, questo Autore ricostruì la distribuzione spaziale e
lunghezza complessiva dell’apparato radicale
per orzo e frumento da soli o in competizione
con Avena fatua e Sinapis arvensis seminate nell’interfila e con emergenza contemporanea alla
546
Tabella 1. Lunghezza relativa dell’apparato radicale di orzo
e frumento in competizione con Avena fatua e Sinapis arvensis. Dati espressi in % del testimone non infestato. Modificato da Pavlychenko (1937).
Table 1. Relative root length (% of the weed-free check) of
barley and wheat in competition with Avena fatua and Sinapis arvensis. Modified from Pavlychenko (1937).
Coltura in
competizione con
Coltura
Orzo
Frumento
Giorni
dall’emergenza
A. fatua
S. arvensis
5
22
40
5
22
40
87
72
73
82
80
78
88
65
65
84
77
65
coltura. L’effetto competitivo delle infestanti si
estrinsecò in una riduzione della lunghezza delle
radici delle colture, evidente già subito dopo l’emergenza e progressivamente crescente nel tempo (tabella 1). L’effetto competitivo risultò più
marcato con la specie dicotiledone rispetto alla
graminacea, in relazione alla diversa morfologia
dell’apparato radicale. La ricostruzione della distribuzione degli apparati radicali, inoltre, mise in
evidenza che ambedue le infestanti erano in grado di colonizzare parte dello spazio al di sotto
della fila della coltura, concrescendo il proprio apparato radicale con quello dei cereali ed essendo
quindi in grado di competere attivamente per l’intercettazione delle risorse nutritive e idriche.
3.2 Strategie di utilizzo dell’acqua
L’effetto competitivo finale è comunque fortemente influenzato dalla richiesta complessiva di
acqua dei competitori e soprattutto dalla diversa strategia di utilizzo delle risorse idriche. Per
valutare il comportamento medio di specie diverse si può fare ricorso al coefficiente di evapotraspirazione (Cet), che esprime il consumo
idrico richiesto mediamente per produrre la sostanza secca (g H2O/g s.s. prodotta). In figura 3
sono riportati i Cet per alcune colture ed infestanti. Pur con un’ovvia variabilità, le colture erbacee tendono ad allinearsi su un ideotipo unico, mentre le infestanti presentano una maggiore variabilità, legata soprattutto al chimismo fotosintetico (C3 o C4). Le differenze nei consumi
idrici specifici forniscono una prima chiave interpretativa delle strategie competitive delle infestanti: le specie con Cet elevate saranno in-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:541-552
1200
Colture
Infestanti
Cet (g H 2O/g s.s.)
1000
Cet
604.8
493.8
e.s.
30.3
75.4
800
600
400
200
fatti più adatte ad ambienti in cui le limitazioni idriche sono modeste o intermittenti mentre
quelle con Cet ridotte potranno sfruttare al meglio la loro maggiore efficienza in condizioni di
limitazione più prolungata. Le differenze di
comportamento possono essere meglio evidenziate riferendosi al tasso medio di traspirazione
e ai potenziali idrici fogliari. In una serie di sperimentazioni effettuate presso il Dipartimento
di Agronomia Ambientale e Produzioni Vegetali dell’Università di Padova (Zanin e Berti, dati non pubblicati), si è studiato il comportamento idrico di una coltura (soia) e di alcune
infestanti estive in coltura pura. Nel corso dell’estate 1989 sono stati rilevati gli andamenti
giornalieri del potenziale idrico fogliare e la traspirazione fogliare. Ponendo in relazione il potenziale minimo (midday water potential) con il
tasso medio di traspirazione (figura 4), le specie studiate possono essere suddivise in specie
isoidriche (dette anche stabili) e anisoidriche
(dette anche labili) (Zanin et al., 1993). Le prime sono in grado di limitare le perdite d’acqua,
grazie alla loro efficiente regolazione dell’apertura degli stomi, e mantengono un’attività traspirativa fino a potenziali fogliari molto bassi.
Questo comportamento limita il loro consumo
di acqua, permettendo lo sviluppo anche in condizioni di stress prolungato. Appartengono a
questo gruppo la maggior parte delle piante C4
e più in generale le specie adattate a climi do-
Bromus inermis
Medicago sativa
Capsicum annuum
Ambrosia artemisiifolia
Cucumis sativus
Phaseolus vulgaris
Glycine max
Chenopodium album
Polygonum aviculare
Trifolium incarnatum
Lycopersicon esculentum
Figure 3. Evapotranspiration coefficient (Cet) of
some crop and weeds.
Modified from Radosevich et al. (1997) and Sattin
e Tei (2001).
ve la disponibilità di acqua è scarsa, nonché parecchie graminacee. Le specie anisoidriche (es.
riso, molte delle specie orticole, Abutilon
theophrasti, Solanum nigrum, Bidens spp.,
Xanthium strumarium) sono invece caratterizzate da una scarsa regolazione stomatica e perciò tendono a mantenere un elevato tasso di traspirazione, chiudendo però gli stomi a potenziali
45
Datura stramonium
40
Specie anisoidriche
35
mg H2 O cm-2 foglia
Helianthus annuus
Secale cereale
Avena spp.
Avena sativa
Solanum tuberosum
Citrullus vulgaris
Hordeum vulgare
Triticum durum
Triticum aestivum
Xanthium pennssylvaanicum
Brassica oleracea capitata
Zea mais
Beta vulgaris
Sorghum spp.
Amaranthus retroflexus
Panicum miliaceum
Portulaca oleracea
Setaria italica
Amaranthus graecizans
0
Figura 3. Coefficiente di
evapotraspirazione (Cet)
di alcune specie coltivate
ed infestanti. Modificato
da Radosevich et al. (1997)
e Sattin e Tei (2001).
Xanthium strumarium
30
Polygonum persicaria
Chenopodium album
25
Solanum nigrum
20
SOIA
10
Abutilon theophrasti
Phytolacca americana
15
Amaranthus cruentus
Sorghum halepense
Echinochloa crus-galli Panicum miliaceum
Specie isoidriche
5
0
-0.8
-0.9
-1
-1.1
-1.2
-1.3
-1.4
-1.5
-1.6
-1.7
W (MPa)
Figura 4. Relazione tra potenziale idrico fogliare minimo
(midday water potential) e traspirazione fogliare per la soia
ed alcune infestanti. Da Zanin e Berti, dati non pubblicati.
Figure 4. Relationship between midday water potential and
leaf transpiration in soybean and some weeds. From Zanin
and Berti, unpublished data.
547
Berti A., Bàrberi P., Vidotto F., Ferrero A., Zanin G.
ancora relativamente elevati. In questa maniera
la pianta massimizza l’accrescimento finché il
suolo ha dell’acqua facilmente disponibile, per
poi arrestarlo in attesa di un ritorno della disponibilità idrica a livelli non limitanti. Questo
comportamento può condurre alla morte della
pianta in caso di stress prolungati, ma, in presenza di fluttuazioni rapide della disponibilità
idrica, può essere fortemente pericoloso per la
coltura in quanto determina nelle fasi di sviluppo delle infestanti forti consumi d’acqua.
Queste differenze di comportamento possono essere interpretate, in termini ecologici, come degli adattamenti ad una competizione
asimmetrica (“gara” o “contest”) nel caso delle
isoidriche o ad una competizione simmetrica
(“zuffa” o “scramble”) per le anisoidriche (Vazzana, 1998). Nel primo caso ci sono vincitori e
vinti: un singolo ottiene tutte le risorse di cui ha
bisogno, mentre l’altro si accontenta di ciò che
rimane; nella competizione per zuffa, invece, le
limitate risorse sono ugualmente suddivise tra i
competitori, ma tutti vengono almeno in parte
limitati nel loro potenziale di crescita (Crawley,
1991). Le piante adattate a condizioni aride hanno generalmente un adattamento alla competizione di tipo gara; considerando le infestanti dei
nostri ambienti colturali, invece, si possono
identificare adattamenti diversi, sia di tipo gara
che zuffa. In ambienti tendenzialmente più aridi, come in ampie zone del centro-sud Italia, e
in assenza di irrigazione la capacità di mantenere un apprezzabile tasso di crescita anche in
condizioni di stress idrico da moderato a severo è chiaramente un vantaggio ecologico rilevante; in ambienti sub-umidi o umidi, invece, i
periodi di stress, se presenti, sono di durata limitata per il ritorno delle precipitazioni o per
eventuali interventi irrigui. In queste condizioni una tendenza ad un adattamento alla zuffa
(anisoidria) può essere vantaggioso per un competitore in quanto permette di sfruttare i periodi favorevoli con un tasso di crescita vicino
al potenziale e di utilizzare una notevole quota
delle riserve idriche. Un competitore isoidrico,
infatti, nella fase di elevata disponibilità idrica
può presentare un tasso di crescita proporzionalmente più ridotto per la tendenza a mantenere un tasso traspirativo moderato, non essendo poi in grado di recuperare lo svantaggio nella successiva fase di stress in quanto la pianta
anisoidrica ha comunque portato il potenziale
idrico a valori limitanti per entrambi i competitori. Questo comportamento è ben evidenziato da Berti et al. (1993), che hanno posto in
competizione in ambiente controllato (serra)
soia e Solanum nigrum. Questa infestante è caratterizzata da una tendenza all’anisoidria più
spiccata della soia, che può essere invece identificata come isoidrica (figura 4). Le piante erano allevate in vaso (4 piante per vaso) ed era
prevista una situazione di coltura pura (4 piante di soia per vaso) e di competizione (2 piante di soia e 2 di S. nigrum per vaso). Per valutare l’effetto differenziale della competizione
radicale, metà dei vasi previsti erano divisi in
quarti con setti impermeabili, in modo da contenere l’apparato radicale di ogni pianta in un
quarto del volume totale, mentre l’altra metà
dei vasi permetteva la crescita libera delle radici. Metà dei vasi di ogni tesi è stata quindi sottoposta ad un ciclo di stress sospendendo l’apporto idrico, mentre l’altra metà è stata mantenuta con un rifornimento ottimale. Al termine
del periodo di misure, la soia in coltura pura
non presentava differenze di accrescimento in
relazione alla modalità di crescita degli apparati radicali (concresciuti o separati) mentre la
soia in competizione con la solanacea raggiungeva un peso secco quasi dimezzato rispetto alla coltura pura se gli apparati radicali erano
concresciuti e superiore di un quarto se essi erano separati (tabella 2). L’effetto finale sulla biomassa dipende sostanzialmente dall’effetto della competizione per la luce, e quindi dallo sviluppo relativo dei competitori. Le differenze nel-
Tabella 2. Soia in competizione con Solanum nigrum: s.s. totale per pianta (g) a 42 giorni dall’emergenza. Da Berti et al.
(1993).
Table 2. Soybean in competition with Solanum nigrum: total dry weight per plant (g) after 42 days from emergence. From
Berti et al. (1993).
Stress idrico
App. radicali
Soia pura
Soia + SOLNI
548
sì
sì
no
no
concresciuti
5.5 g
-42%
separati
5.4 g
+24%
concresciuti
10.3 g
-50%
separati
10.1 g
+26%
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:541-552
Figura 5. Effetto del metodo irriguo e del controllo delle infestanti sul contenuto idrico del suolo, la biomassa delle infestanti e sulla resa commerciabile di pomodoro. Ridisegnato da Grattan, Schwankl e Lanini (1988).
Figure 5. Effects of irrigation methods and weed control on soil moisture content, weed biomass and marketable tomato
yield. Redrawn from Grattan, Schwankl e Lanini (1988).
lo sviluppo radicale tra le diverse tesi influenza
però l’intercettazione delle risorse di nutrienti e
di acqua, regolando l’accrescimento della parte
epigea. L’analisi completa dei dati ha in effetti
evidenziato che il S. nigrum si è avvantaggiato
nella competizione con la soia quando gli apparati radicali erano concresciuti ed in particolare
in situazione di stress idrico: in questa condizione l’infestante ha incrementato la biomassa del
39% passando dalla situazione di apparati radicali separati a quella di apparati concresciuti,
mentre in condizioni idriche ottimali l’incremento è risultato solo del 14%. La solanacea ha dunque dimostrato una notevole capacità di competizione radicale, legata probabilmente ad una più
ridotta resistenza radicale rispetto alla soia, che si
estrinseca in particolare in condizioni limitanti ma
che è rilevabile anche in condizioni ottimali.
4. Influenza dei metodi irrigui sulla dinamica
delle malerbe e sulla competizione
Come visto in precedenza, le piante infestanti
tendono ad avere un Cet mediamente inferiore
a quello delle colture. In altri termini, pur con
una fortissima variabilità interspecifica, le infe-
stanti degli ambienti agrari italiani tendono ad
una maggiore efficienza d’uso dell’acqua rispetto a gran parte delle colture erbacee. In queste
condizioni l’azione più rilevante che può essere
adottata è la localizzazione dell’apporto idrico:
l’apporto idrico direzionato specificamente sulla coltura determina un vantaggio competitivo
che compensa ampiamente l’eventuale differenza di efficienza d’uso dell’acqua. Questo è particolarmente evidente per colture ortive e per
le solanacee, spesso caratterizzate da un’elevata richiesta idrica. Negli Stati Uniti (California)
una serie di sperimentazioni su pomodoro
(Grattan et al., 1988) ha messo chiaramente in
luce questo aspetto: con irrigazioni a tutto campo (per scorrimento o a pioggia), il contenuto
idrico del suolo si mantiene elevato sia nella fila che nell’interfila (figura 5): ciò permette, in
assenza di controllo, lo sviluppo delle infestanti che possono produrre un’elevata biomassa e,
di conseguenza, determinare un rilevante danno produttivo. In queste condizioni il controllo
delle infestanti diviene quindi una pratica imprescindibile per l’ottimizzazione della produttività della coltura. Se il pomodoro viene invece irrigato tramite manichetta interrata forata,
il contenuto idrico del terreno nell’interfila ri-
549
!
#"
"
$% ! Berti A., Bàrberi P., Vidotto F., Ferrero A., Zanin G.
Figura 6. Flussi di emergenze conseguenti alla preparazione del letto di semina in epoche diverse, con e senza interventi irrigui. Le percentuali si riferiscono al totale delle
emergenze osservate in un periodo di 16 settimane successive all’intervento. Da Bond e Baker (1990).
Figure 6. Emergence fluxes following depending on timing
of seed bed preparation and with or without irrigation. Data expressed as % of the cumulative emergencies observed
over a 16 weeks period following seed bed preparation.
From Bond e Baker (1990).
sulta notevolmente ridotto, mentre in corrispondenza della fila e nella zona di massimo assorbimento da parte delle radici esso si mantiene su livelli elevati. Ciò da una parte favorisce
lo sviluppo della coltura e dall’altra determina
uno sviluppo fortemente ridotto delle malerbe
che devono svilupparsi in un ambiente estremamente secco. Di conseguenza, lo sviluppo
delle infestanti è particolarmente ridotto, tanto
da rendere, in condizioni favorevoli, non strettamente necessario il controllo delle malerbe.
Più in generale, oltre alla tecnica irrigua, la
distribuzione degli apporti idrici lungo la stagione colturale può condizionare i flussi germinativi delle infestanti, influenzando sia il quadro
550
malerbologico della coltura in atto, sia l’evoluzione negli anni delle popolazioni infestanti. In
studi condotti da Bond e Baker (1990) è stato
osservato che con irrigazioni effettuate dopo la
preparazione del letto di semina si ottengono
dei flussi di emergenza delle malerbe concentrati prevalentemente in primavera e tarda estate, mentre in assenza di tale apporto idrico le
emergenze sono generalmente più diluite nel
tempo e risultano influenzate dall’andamento
delle precipitazioni (figura 6).
Tale comportamento può essere efficacemente sfruttato in abbinamento alla falsa semina, effettuando una irrigazione 15-20 giorni prima dell’impianto di una coltura nei letti di semina preparati in anticipo. Oltre a stimolare l’emergenza
delle infestanti, l’intervento irriguo favorisce un
rapido insediamento della coltura seminata subito dopo l’intervento di pulizia del letto di semina, determinando un vantaggio competitivo sulle
infestanti emerse successivamente.
In risaia, attraverso la gestione dell’acqua è
possibile, in alcuni casi, modulare la crescita delle infestanti e del riso, con l’obiettivo di inibire
lo sviluppo delle malerbe, senza sfavorire troppo la coltura. La maggiore capacità del riso di
tollerare le condizioni di sommersione rispetto
ad altre graminacee infestanti della coltura viene da tempo valorizzata attraverso il mantenimento di un elevato strato d’acqua. In California, ad esempio, la coltivazione del riso in sommersione continua è stata introdotta a partire
dagli anni Venti prevalentemente per contrastare infestazioni abbondanti di Echinochloa crusgalli (Fischer et al., 2000; Hill et al., 2006). Oltre a inibire lo sviluppo di alcune infestanti, con
la sommersione si ottiene una maggiore sensibilità delle stesse agli interventi chimici di controllo. La sensibilità alle condizioni di sommersione può variare molto fra le varie specie, anche all’interno dello stesso genere. In esperienze condotte in California è stato osservato, ad
esempio, che E. crus-galli risulta maggiormente
sensibile alla sommersione rispetto a E. oryzoides
(Williams et al., 1990).
Nel caso di Murdannia keisak, commelinacea
infestante del riso in fase di recente espansione
in alcune aree risicole italiane, è stato osservato che le condizioni più favorevoli per la sua
crescita sono rappresentate da una gestione dell’acqua che consenta di mantenere il terreno in
condizioni di saturazione idrica fin dalla semina della coltura (figura 7). Viceversa, la som-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:541-552
4.0
3.5
Figura 7. Biomassa prodotta da
Murdannia keisak e da riso in
condizioni di saturazione, irrigazione turnata e sommersione. Le
tre modalità di gestione dell’acqua sono state applicate immediatamente dopo la semina (inizio irrigazione “precoce”) oppure dieci giorni dopo (“tardiva”).
Da Tesio et al. (2004).
-1
(g plant )
Biomassa
3.0
M. keisak
O. sativa
2.5
2.0
1.5
1.0
0.5
Inizio0.0
irrigazione
Gestione
acqua
precoce
tardiva
precoce
tardiva
satuazione
satuazione
irrigazione
turnata
irrigazione
turnata
mersione continua, che rappresenta la tecnica di
gestione di fatto maggiormente diffusa, determina un significativo contenimento della malerba, pur con qualche negativa, ma accettabile,
influenza sulla coltura (Tesio et al., 2004).
precoce
tardiva
sommersione sommersione
Figure 7. Biomass of Murdannia
keisak and rice in saturated soils,
with sprinkler irrigation and in
submersion. The three types of
water management were applied
from seeding or after 10 days.
From Tesio et al. (2004).
tati alle condizioni del contesto: la GEM può
avere successo solo se viene alimentata con continuità da nuove conoscenze.
Bibliografia
5. Conclusioni
Quanto illustrato evidenzia il ruolo decisivo dell’acqua nel modulare i rapporti tra coltura e malerbe e tra tecnica colturale e malerbe; detti rapporti sono molto complessi e scarsamente conosciuti in particolare per quanto riguarda gli
effetti delle interazioni acqua/luce/temperatura
sulla dinamica dei semi nel terreno (dormienza,
ciclicità, persistenza, scalarità di emergenza).
Questo campo di studio è molto promettente in
quanto può consentire di immaginare approcci
anche nuovi e non scontati nella gestione delle
malerbe. Questi studi potrebbero portare un
contributo importante allo sviluppo della cosiddetta “Gestione Ecologica delle Malerbe”
(GEM), strategia che non esclude il mezzo chimico ma lo minimizza attraverso la costituzione di “sistemi agricoli soppressivi”, che ostacolano le malerbe riducendo, a favore della coltura, le risorse disponibili (Liebman et al., 2001;
Kremer e Jianmei, 2003). La GEM non vuol infatti eliminare le malerbe ma ridurne la densità,
limitarne la competitività, prevenire i dannosi
cambiamenti floristici. La GEM si basa su una
serie di paradigmi che indicano i criteri generali di azione e che vengono di volta in volta adat-
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Acqua e insetti limitanti le produzioni agro-forestali
Mario Solinas*
Dipartimento di Scienze Agrarie ed Ambientali, Università di Perugia,
Borgo XX giugno 74, 06121 Perugia
Associazione Italiana Protezione Piante
Riassunto
Le attuali conoscenze sul ruolo (servizi ecologici) dell’entomofauna negli ecosistemi naturali terrestri, consentono
di identificare molti dei meccanismi omeostatici che regolano l’equilibrio biologico e la continuità di vita di detti
ecosistemi, e altresì rappresentano un riferimento sicuro per capire il funzionamento degli stessi meccanismi onde
poterli gestire negli ecosistemi antropizzati (agrari e forestali), e in particolare per individuare in questi ultimi il significato naturale delle cosiddette infestazioni distruttive (outbreaks) di insetti fitofagi, al fine di poterle prevedere e possibilmente prevenire, nonché per escogitare e mettere a punto all’occorrenza strategie efficaci d’intervento
con impatto ambientale minimo. Il fattore acqua, come si sa, ha un ruolo determinante, nella genesi, configurazione e conservazione di un ecosistema terrestre (naturale o antropizzato), nell’insieme e nelle singole componenti,
ma specialmente in relazione alla vita delle piante e alle interazioni di queste con gli invertebrati fitofagi, principalmente insetti. Sono soprattutto le interazioni trofiche insetti-piante che vengono profondamente influenzate dal
regime idrico dell’ecosistema, e in particolare l’impatto degli insetti fitofagi sulle piante coltivate. Condizioni estreme di carenza idrica, specialmente se prolungata, ostacolano lo sviluppo degli insetti parallelamente a quello delle
piante ospiti, ma uno stress idrico meno grave e non tanto prolungato, mentre deprime il vigore vegetativo delle
piante, può favorire paradossalmente lo sviluppo e la moltiplicazione degli artropodi fitofagi, con gravi conseguenze specialmente sulle piante arboree e soprattutto su quelle forestali.
Parole chiave: ecosistemi agrario-forestali, interazioni insetti-piante, omeostasi, stress idrico.
Summary
WATER STRESS AND HARMFUL INSECTS IN AGRO-FOREST ECOSYSTEMS
Present knowledge on ecological services supplied by insects to natural terrestrial ecosystems, allow us to identify
many homeostatic mechanisms regulating biological balance as well as life perpetuation of the said ecosystems; at
the same time, that knowledge represents a sound referring point to understanding how those mechanisms do work
so as to manage them in the anthropized ecosystems (i.e., agriculture and forests), and especially in order to identify in the latter the natural meaning of the so called insect outbreaks, so as to forecast and possibly prevent them;
as well as, when needed, to conceive and formulate efficient control strategies having minimal environmental impact. Water factor is crucial with genesis, configuration and conservation of a terrestrial ecosystem (both natural or
anthropized) as a whole or in its individual components, but especially concerning plant life as well as plant interactions with phytophagous invertebrates, mainly insects. Insect-plant trophic interactions are principally influenced
by the water conditions in the ecosystem, and the impact of phytophagous insects on crops is markedly affected.
Extremely severe water stress, especially if prolonged, prevent insect life just like plant’s life but a moderate and
not so prolonged water stress, while depressing plant vigour, paradoxically can improve development and multiplication of phytophagous arthropods, with severe consequences on woody plants especially, and forest trees markedly.
Key-words: homeostasis, insect-plant interactions, phytophagous arthropods.
*
Autore corrispondente: tel.: +39 075 5856028; fax: +39 075 5856039. Indirizzo e-mail: msolinas@unipg.it.
553
Solinas M.
1. Premessa: contenuti e limiti del discorso
Il compito affidatomi dal Presidente dell’Associazione Italiana per la Protezione delle Piante,
professor Piero Cravedi, che ringrazio vivamente per la fiducia, di presentare in forma sintetica e compendiosa un argomento complesso a un
uditorio di alto livello scientifico ma alquanto
eterogeneo nelle competenze specifiche comunque convergenti nella sconfinata tematica del
problema acqua negli ecosistemi agrari e forestali, mi obbliga a tenere un discorso di carattere generale, onde possa essere facilmente seguito e risultare abbastanza interessante per
tutti. Perciò, la mia presentazione avrà carattere discorsivo e si articolerà in due parti: la
prima propedeutica, sul ruolo ordinario (servizi ecologici omeostatici) degli insetti fitofagi negli ecosistemi naturali e, comparativamente, in quelli agrari e forestali; la seconda
sul comportamento dei medesimi insetti negli
stessi ecosistemi in condizioni di carenza idrica più o meno grave e prolungata, con particolare riferimento alle conseguenze dirette e
indirette dello stress idrico sulle interazioni insetti fitofagi-piante coltivate.
Inoltre, al fine di agevolare la lettura del testo, delle numerose fonti bibliografiche verranno citate via via quelle strettamente necessarie
alla chiarezza del discorso, mentre per il resto,
trattandosi per lo più di conoscenze generali
ampiamente diffuse, si rimanda alle autorevoli
opere di sintesi e rassegne (reviews) internazionali sull’argomento, che si riportano comunque
in bibliografia.
2. Omeostasi negli ecosistemi terrestri e interazioni insetti-piante
Un ecosistema terrestre, costituito come è noto
da componenti fisiche (ecotopo) e biotiche (biocenosi: vegetali, animali e microrganismi), viene
anche considerato, per semplicità, limitatamente alle componenti vegetali e animali, le quali
vengono rappresentate graficamente nella cosiddetta “piramide ecologica”, per indicarne
sommariamente i rapporti di interdipendenza
tra biomassa degli accumulatori di energia solare (piante verdi, occupanti il ripiano basale
della piramide) e biomassa dei consumatori primari e secondari (animali fitofagi e carnivori,
occupanti rispettivamente il secondo e il terzo
554
ripiano della piramide). Detti ripiani sono chiamati propriamente “livelli trofici” (il loro studio
negli ecosistemi in questione si limita ordinariamente ai primi tre nominati), per il fatto che
gli organismi appartenenti a un determinato livello vivono a spese di quelli del livello inferiore. Ad esempio, gli organismi del “secondo livello trofico” (i fitofagi) vivono alimentandosi
degli organismi del “primo livello” (le piante),
e costituiscono a loro volta la risorsa alimentare per quelli del livello superiore (predatori e
parassitoidi). L’origine e la continuità di vita di
un determinato ecosistema dipendono sostanzialmente dai rapporti quantitativi di biomassa
tra detti livelli trofici (“piramide dei numeri”),
i quali si conservano automaticamente in equilibrio dinamico, grazie al fatto che, quando la
biomassa, ad esempio, dei fitofagi (2° livello trofico) aumenta, o tende ad aumentare più del
previsto, quella dei vegetali (1° livello) subisce
conseguentemente una riduzione, mentre quella degli zoofagi (3° livello) tende contemporaneamente ad aumentare, per l’aumentata disponibilità di risorse alimentari, con effetto a
feed-back di ridimensionamento della biomassa
dei fitofagi. Questo vale per l’intera biomassa di
un dato livello trofico, ma vale anche per le popolazioni delle singole specie di organismi che
la compongono. Ciò infatti si realizza mediante
una serie complessa di automatismi biologici
(meccanismi omeostatici), i quali regolano lo
sviluppo demografico delle singole specie (vegetali e animali), ciascuna delle quali risulta
dunque controllata direttamente dai suoi “regolatori demografici naturali” (detti anche “antagonisti” o “nemici naturali”) costituenti il livello trofico superiore, i quali assicurano in tal
modo sopravivenza e continuità di vita alle singole specie di organismi e, in ultima analisi, all’intero ecosistema.
Negli ecosistemi naturali in equilibrio, ciascun livello trofico è dunque costituito da un
grande numero di specie vegetali o animali, rappresentate però ciascuna da popolazioni relativamente limitate e poco variabili nel tempo attorno a valori di equilibrio controllati dai meccanismi omeostatici a feed-back sopra menzionati.
Di questi ultimi interessano particolarmente
il presente discorso quelli riguardanti le interazioni tra piante e animali, oppure, per accettabile approssimazione, tenuto conto che gl’inset-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:553-561
ti rappresentano i 4/5 del regno animale, tra
piante ed insetti.
Ritornando alla piramide ecologica, delle interazioni insetti-piante si possono prendere in
considerazione solamente i primi due livelli trofici (insetti fitofagi e relative piante nutrici), e
si parla allora di interazioni “bitrofiche”, le quali da parte delle piante consistono, oltre che nel
fornire risorse alimentari e rifugio ai fitofagi, anche nella produzione e rilascio di “metaboliti secondari” o “allelochimici” (Bernays e Chapman,
1978; Corcuera et al., 1987) che guidano selettivamente e con sicurezza le singole specie di fitofagi (monofagi e oligofagi) al riconoscimentoritrovamento delle rispettive piante nutrici (per
sé o per la propria prole), mentre funzionano
da efficaci barriere chimiche difensive nei confronti di tutti gli altri fitofagi, limitando anche
l’afflusso eccessivo dei primi (Hedin, 1983).
Inoltre, tali interazioni possono coinvolgere anche gl’insetti del terzo livello trofico, e si parla
allora di interazioni “tritrofiche”. Queste consistono principalmente in una serie di richiami
operati dalle piante anche sugl’insetti entomofagi, richiami soprattutto chimici, rappresentati
spesso dagli stessi “allelochimici” sopra menzionati (di solito in associazione con attrattivi
ottici ed olfattivi rilasciati dalle vittime), ma anche da altre sostanze odorose prodotte ex novo
dalle piante per induzione specifica provocata
sulla pianta medesima dall’azione trofica del fitofago (Solinas, 1992, e relative citazioni bibliografiche).
Si tratta di fenomeni biologici che evidenziano in maniera sorprendente il grado di integrazione delle componenti nell’ecosistema, ovvero la dimensione unitaria di quest’ultimo, la
quale lo assimila sostanzialmente ai sistemi biologici integrati che comunemente chiamiamo organismi.
Mi sembra importante, a questo punto, far
presente che tali acquisizioni sono il risultato di
un lungo e tenace lavoro portato avanti nell’ultimo mezzo secolo da gruppi di studio interdisciplinari, divenuti nel tempo sempre più numerosi e integrati, con competenze che vanno
dalla fisiologia della nutrizione, dello sviluppo e
della riproduzione degli insetti, alla biologia
sensoriale, all’ecologia comportamentale quantitativa e all’ecologia chimica dei medesimi, alla fitochimica, alla fisiologia e fisiopatologia vegetale, alla genetica molecolare, ecc. Tali gruppi
di studiosi e ricercatori fanno periodicamente il
punto della situazione in simposi internazionali
ormai classici (“Insect-Plant Relationships”),
giunti nel 2004 alla dodicesima edizione (Berlino, 7-12 agosto 2004).
Gli ecosistemi particolari vengono anche
considerati come “unità naturali specifiche” perché la natura genera ordinariamente e tende a
conservare nel tempo determinati modelli floristici e faunistici, ovunque esistano e permangano appropriate condizioni fisiche (ecotopo) ambientali. Basti pensare ai paesaggi naturali caratteristici delle varie latitudini e altitudini del
nostro Pianeta. Così la natura genera e mantiene in vita gli ecosistemi naturali mettendo in atto quei meccanismi omeostatici di cui si è accennato sopra. E la stessa natura provvede (in
tempi più o meno lunghi) a ripristinare secondo il modello originario un determinato ecosistema quando, per cause avverse (antropizzazione compresa), fosse andato distrutto o
profondamente modificato.
3. Ruolo naturale degli insetti fitofagi negli ecosistemi antropizzati
Vengono solitamente definiti “ecosistemi primari” i boschi naturali, mentre si definiscono
“terziari” gli agroecosistemi industriali (particolarmente, frutticoli, orticoli e floricoli), e si considerano “secondari” tutti gli altri ecosistemi
agrari e forestali da reddito o ricreativi. Mi riferirò soprattutto ai primi e agli ultimi, in quanto gli agroecosistemi industriali, a parte la loro
massima distanza ecologica dagli ecosistemi naturali, sono quasi sempre in condizioni idriche
artificialmente ben controllate.
Nei boschi naturali, gli insetti (ed altri artropodi) fitofagi svolgono servizi ecologici essenziali allo svolgimento dei cicli biogeochimici
in tempi adeguati alle esigenze di rinnovo del
consorzio arboreo. Tra questi servizi meritano
particolare attenzione l’attività trofica di alcuni
gruppi particolari di insetti (ed acari), detti anche fitofagi secondari, rappresentati da minatori tardivi delle foglie (es., Curculionidi), minatori della corteccia (Scolitidi, Buprestidi e Curculionidi) e del legno (Scolitidi e Cerambicidi,
Lepidotteri Cossidi). L’attacco iniziato sulla
pianta in piedi può continuare da parte degli
stessi insetti al suolo nelle foglie e nei rami ca-
555
Solinas M.
duti o nell’intera pianta abbattuta, ma a questo
punto si aggiungono e via via si sostituiscono
nuove schiere di demolitori (Coleotteri Cerambicidi, Scarabeidi e Lucanidi, Ditteri, Formiche,
Termiti, ecc.), le cui specie si susseguono, secondo schemi naturali ben noti e caratteristici
delle specie vegetali interessate e delle regioni
in cui essi si verificano. Detti schemi di attacco
si attuano in seguito al richiamo chimico selettivo delle piante sopra menzionato a proposito
delle interazioni “bitrofiche”. Le piante in questi casi, oltre ad indicare al fitofago la propria
identità specifica ne segnalano anche le condizioni fisiologiche di deperimento più o meno
avanzato (e infine la morte stessa), ovvero, in
altri termini, l’idoneità particolare dell’intera
pianta o di una parte di essa all’insediamento e
quindi allo sviluppo della prole dell’uno o dell’altro gruppo di detti insetti.
Il risultato finale dell’azione di questi ultimi
è quello di affrettare la morte delle piante senescenti e irrimediabilmente deperenti, e infine
di realizzare una “triturazione” e parziale trasformazione (digestione assimilazione-restituzione carcasse) della sostanza vegetale morta,
tale da rendere questa prontamente utilizzabile
dagli umificatori quali Lumbricidi, Enchitreidi,
Protozoi e microrganismi.
Nell’ambito di un consorzio arboreo le piante ricercate o preferite dai fitofagi secondari sono sempre (o quasi sempre) quelle meno vigorose, per cui viene esercitata una continua pressione selettiva da parte di detti fitofagi in favore delle popolazioni vegetali più idonee a vivere e svolgere il loro ruolo ecologico in quel determinato ecosistema. Inoltre, il richiamo chimico selettivo sopra ricordato verso i fitofagi secondari da parte delle piante vecchie e in finecarriera, viene esercitato anche da piante relativamente giovani (o parti di esse) sottoposte a
stress ambientali (compreso un grave deficit
idrico), i quali provocano in queste un deterioramento fisiologico molto simile a quello tipico
delle piante (o loro parti) senescenti, esponendole pertanto agli stessi attacchi dei fitofagi in
questione.
Negli ecosistemi “secondari” (agrari e forestali da reddito o turistico-ricreativi), viene sostituito al progetto naturale originario un progetto antropico inevitabilmente più o meno lontano ecologicamente (da un massimo: monocolture estese ed accuratamente diserbate, con im-
556
piego di cultivar selezionate per ottenere massime rese; ad un minimo: policolture funzionalmente diversificate) da quello naturale, e dunque soggetto fin dall’inizio alla reazione più o
meno energica dei meccanismi omeostatici naturali sopra menzionati. Questi infatti permangono sostanzialmente attivi e, indisturbati, tendono di per sé a ripristinare le condizioni originarie di equilibrio (quali-quantitativo) fra le
componenti del sistema, in particolare nel primo livello trofico (la vegetazione), nel senso di
tendere a riportare in quest’ultimo l’originario
grande numero di specie vegetali, al posto di
quell’unica o poche specie conservate o introdotte dall’uomo in quello spazio, e il cui “ridimensionamento demografico” viene (o verrebbe) effettuato naturalmente soprattutto da quei
fitofagi che l’uomo considera “dannosi” e distruttivi del progetto da lui ad hoc realizzato per
le finalità proprie dell’ecosistema antropizzato.
È infatti risaputo che le svariate pratiche agricole (coltivazioni e protezione delle piante) da
diecimila anni in qua, altro non sono che tentativi più o meno bene riusciti di ostacolare quel
processo naturale di “ripristino” dell’ecosistema
primigenio, per tenere in piedi invece l’ecosistema “artificiale” (agrario o forestale) voluto
dall’uomo e portarne a compimento le finalità
produttive. Questo significa in altri termini l’imperativo di stare dietro e non trascurare le coltivazioni, perché, come recita un antico detto:
“nella vigna abbandonata ritorna il bosco”.
4. Regime idrico e dannosità degli insetti negli
ecosistemi agrari e forestali
Dopo quanto fin qui riferito, sia pure in forma
inevitabilmente tanto (forse troppo) sintetica,
sulla ricchezza e complessità dei meccanismi che
regolano la vita degli ecosistemi naturali e antropizzati e ne sottendono i delicati equilibri,
specialmente nelle interazioni insetti-piante, in
condizioni ordinarie “normali”, diventa relativamente più facile parlare in breve ma con un
minimo di “cognizione di causa” dei complessi
fenomeni che avvengono nelle piante in condizioni di carenza idrica più o meno grave, e dei
relativi riflessi sul comportamento e sullo sviluppo degl’insetti fitofagi.
È risaputo che la disponibilità di acqua in
quantità sufficiente è essenziale alla vita delle
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:553-561
piante, specie in determinati momenti fenologici (nascita, crescita, sviluppo e riproduzione)
delle medesime. Lo stato idrico interno di queste ultime ne condiziona infatti la fisiologia, la
biochimica e i flussi delle varie sostanze, nonché il microclima attorno ad esse. È stato visto,
tra l’altro, che all’abbassamento del tenore idrico nelle foglie, cui si accompagna automaticamente una riduzione del volume idrico e del volume delle cellule epiteliali del floema, consegue un aumento passivo della concentrazione
dei soluti nelle foglie e nei vasi floematici; inoltre, molte piante aggiungono attivamente soluti
per una osmoregolazione che assicuri un minimo di turgore funzionale necessario, tra l’altro,
all’apertura degli stomi. In tale situazione è stato riscontrato nelle foglie e nel floema un considerevole aumento della concentrazione di ioni inorganici, acidi organici, carboidrati solubili,
proteine solubili, aminoacidi ed altri composti
azotati (Kramer, 1983; Wyn, 1984). Inoltre, le
stesse piante presentano significative alterazioni nella produzione di quei metaboliti secondari (Gershenzon, 1984; Kamata e Tanabe, 1999)
o allelochimici che regolano l’impatto dei fitofagi direttamente (limitandone l’afflusso e lo
sviluppo) e indirettamente (richiamandone gli
entomofagi), come sopra riferito.
Pertanto, la carenza idrica nelle piante ospiti si ripercuote inevitabilmente e in vari modi
sulle interazioni con gl’insetti fitofagi ed entomofagi, ma soprattutto e con effetti multipli e
tra loro interagenti sui fitofagi, con esito finale
non sempre facilmente prevedibile circa l’impatto dei medesimi sulle produzioni agrarie e
forestali. La complessità dei fenomeni in gioco
non consente infatti di dare interpretazioni lineari, semplici e ovunque valide, dei risultati
sperimentali, i quali non sempre tra loro concordano, talora risultano inattesi o addirittura
contradditori.
Riferirò pertanto brevemente sulle principali conoscenze finora acquisite circa le risposte
(nutrizionali, comportamentali e demoecologiche) degl’insetti fitofagi alle modificazioni metaboliche indotte sulla pianta ospite (potenziale idrico, concentrazione di composti azotati e
di zuccheri, produzione di allelochimici, ecc.) da
stress idrico nei più comini ecosistemi agrari e
forestali.
Prenderò in considerazione distintamente le
colture annuali e quelle perenni (legnose), es-
sendo per le prime disponibili più approfondite
conoscenze sulle modificazioni metaboliche indotte dallo stress idrico nella pianta, ma informazioni non facilmente coordinabili circa le relative risposte da parte degli insetti; mentre per
le colture legnose (soprattutto forestali) esistono conoscenze più sicure sulle risposte dei fitofagi (specialmente circa il loro comportamento
demoecologico), per cui risulta più facile individuare tendenze comuni dei fenomeni e potenzialità applicative più generalizzabili.
4.1 Stress idrico e sviluppo degli insetti fitofagi
sulle colture erbacee
Le risposte più evidenti degli insetti fitofagi alle condizioni di carenza idrica nelle piante erbacee sono di tipo comportamentale, nel senso
che le specie particolarmente mobili come afidi, cicaline e altri insetti succhiatori di linfa, sono attratti maggiormente e si concentrano preferibilmente sui soggetti più freschi e sui tessuti più giovani e turgidi. Ciò viene spiegato in
parte (Thomas et al., 1988) col fatto che il ridotto turgore delle piante sotto stress idrico ne
rende più faticosa la suzione della linfa da parte di tali insetti.
Solitamente le migliori condizioni idriche
della pianta favoriscono oltre che il richiamo anche lo sviluppo di detti fitofagi (Narang et al.,
1996; Thomas et al., 1988); ma in certi casi è stato visto che il deficit idrico delle piante favorisce lo sviluppo e il pullulamento di afidi su graminacee (Dorschner et al., 1986; Dorschner,
1987), di aleirodidi su cottone (Flint et al., 1996)
e di tripidi su semenzai di cottone (Wangboonkong, 1981). Tali differenze di comportamento degli insetti potrebbero spiegarsi con la
diversa disponibilità quali-quantitativa dei soluti nelle piante nutrici (specialmente di composti organici azotati nelle foglie in relazione alla
fase fenologica, come avviene, ad esempio, in alcune graminacee e leguminose: Hanson & Hitz,
1983) al momento dell’infestazione di tali insetti.
È ampiamente risaputo, ad esempio, che le
nottue sono richiamate maggiormente e si sviluppano più rapidamente su colture e pascoli rigogliosi (Farrow e McDonald, 1987; Jansen,
1993). Così pure, la maggior parte delle cavallette sono attratte dalle migliori condizioni vegetative delle piante nutrici (Bernays e Chapman, 1978); ma alcune specie preferiscono alimentarsi e con maggiore profitto su piante più
557
Solinas M.
o meno appassite (Lewis, 1984). Mentre le cavolaie si sa che ovidepongono preferibilmente
sulle piante irrigate da meno tempo (Wolfson,
1980).
Ma il risultato finale dello sviluppo e della
moltiplicazione di detti insetti non sempre è
quello atteso sulla base del loro comportamento iniziale. Infatti, in condizioni di carenza idrica prolungata, le piante in questione offrono
agli insetti fitofagi, come già detto, cibo qualitativamente migliore ma in quantità più o meno ridotta. Tuttavia, data la durata relativamente breve delle colture in questione, e quindi anche la permanenza dei fitofagi sulle medesime,
le possibilità reali di esplosioni demografiche di
fitofagi risultano limitate quasi esclusivamente
a quei gruppi con potenziale riproduttivo particolarmente elevato e a risposta rapida, come afidi e aleirodidi. Ma anche per questi, come già
detto, le ricerche sperimentali hanno dato risultati alterni (Thomas et al., 1988).
Bisogna inoltre ricordare, come sopra riferito, che le piante in deficit idrico non solo modificano la composizione quali-quantitativa dei
soluti a vantaggio dei fitofagi, ma anche presentano notevoli alterazioni nella produzione di
allelochimici difensivi, sia pure, anche in questi
casi, con significative differenze secondo la specie vegetale in questione (Miles et al., 1982; Gershenzon, 1984).
4.2 Stress idrico e sviluppo degli insetti fitofagi
sulle colture legnose (fruttifere e forestali)
Il comportamento degli insetti “succhiatori” e
dei defogliatori sulle piante arboree in carenza
idrica è fondamentalmente analogo a quello riferito per le piante erbacee, ma le conseguenze
pratiche sulle colture risultano assai diverse e
generalmente più gravi, soprattutto per l’ordinariamente più lunga scadenza dei riflessi del
deficit idrico sulle interazioni insetti-piante perenni.
È stato anche osservato che il deficit idrico
nelle foglie e nei vasi floematici crea le stesse
difficoltà di assunzione del cibo sopra menzionate per i “succhiatori” come afidi e cocciniglie,
ed ostacola anche la nutrizione (maggiore difficoltà di digestione e minore efficienza di assimilazione) e lo sviluppo dei defogliatori (Scriber e Slansky, 1981; Schmidt e Rees, 1987). Tuttavia, gli effetti favorevoli del deficit idrico delle piante legnose sullo sviluppo e la moltiplica-
558
zione dei fitofagi, ordinariamente prevalgono. È
quanto purtroppo dimostrano le esplosioni demografiche (outbreacks) di tanti defogliatori e
relative devastanti defogliazioni che si accompagnano ad uno stress idrico delle piante intenso e prolungato. Questo confermano anche
studi e ricerche in merito per vari gruppi di
piante forestali nel nostro Paese (Zocchi, 1959;
Masutti, 1971; Covassi e Masutti, 1998), per il
faggio in Giappone (Kamata e Tanabe, 1999),
per querce e pini in Ungheria (Csoka, 1997) e
per l’abete in Svezia (Larsson e Bjoerkman,
1993; Bjoerkman e Larsson, 1999); tanto per
portare qualche esempio.
È da notare che in questi casi, venendosi a
sommare sulle piante lo stress idrico e la defogliazione, si può arrivare (direttamente o indirettamente per successivi attacchi di fitofagi secondari, di cui parlerò appresso) alla morte delle medesime (Kamata e Tanabe, 1999), se non
s’interviene opportunamente.
Ma non sono solamente “succhiatori” e defogliatori a giovarsi delle modificate condizioni
metaboliche delle piante sotto stress idrico. Anche e ancor più approfittano della situazione
quei fitofagi “secondari”, sopra menzionati a
proposito del servizio ecologico loro affidato
dalla natura per l’eliminazione degli alberi vecchi e decrepiti, ma i quali (come sopra riferito)
possono attaccare anche piante relativamente
giovani in condizioni di stress idrico, e soprattutto quando, come spesso accade, allo stress
idrico si aggiunge l’attacco di defogliatori e/o
succhiatori di linfa. In questi casi, le piante stressate offrono ai fitofagi “secondari” condizioni
favorevoli peculiari di insediamento e di alimentazione per sé e per lo sviluppo della prole, tali da avviarne esplosioni demografiche formidabili e dalle conseguenze potenzialmente disastrose.
I lavori sperimentali al riguardo sono tanti e
i risultati concordano, anche in questo caso, per
piante e condizioni ambientali le più diverse, per
esempio, per attacchi del Coleottero Cerambicide Phoracantha semipunctata su Eucalyptus in
Portogallo (Caldera et al., 2002) e in Zambia
(Selander e Bubala, 1983), di Coleotteri Scolitidi su Pinus wallichiana in Pakistan (Gul e Khan,
2001), su abete negli USA (Powers et al., 1999),
su conifere in Ungheria (Csoka, 1997) e sull’olmo nei territori aridi tra il Volga e l’Ural in Russia, dove si lamentano anche altri gravi attacchi
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di corticicoli e silofagi tra cui varie specie di
Agrilus sulle querce e Zeuzera pyrina su frassino (Lindeman, 1988).
È da notare infine, che negli attacchi degli
insetti silofagi alle conifere, ancor più dei fattori nutrizionali sopra menzionati, gioca un ruolo
determinante il flusso delle oleoresine, il quale
nelle piante in carenza idrica risulta più o meno fortemente attenuato per l’abbassamento di
turgore delle cellule epiteliali dei vasi resiniferi
(Vité, 1961).
Sarebbe questa la causa principale della suscettibilità all’attacco iniziale come al successo
dello sviluppo della prole degli scolitidi del pino (Coulson, 1979).
5. Conclusioni
L’influenza del regime idrico delle piante sulla
vita e lo sviluppo degli insetti fitofagi potenzialmente limitanti le produzioni agrarie e forestali, si esplica attraverso una serie di fattori
complessi e tra loro interagenti il cui esito finale non sempre è facilmente prevedibile.
Tuttavia, le conoscenze attuali sulle interazioni insetti-piante negli ecosistemi naturali e,
comparativamente, in quelli antropizzati, consentono di fare delle previsioni sullo sviluppo
demoecologico degli insetti in detti ecosistemi e
in particolare circa l’impatto dei medesimi sulle colture in condizioni di siccità grave e prolungata.
Negli ecosistemi agrari le esigenze idriche
delle colture rispecchiano quasi sempre quelle
dei principali fitofagi (afidi, nottuidi, cavolaie,
cavallette, ecc.) per cui, in ultima analisi, si può
affermare tranquillamente che non ci sono problemi seri di infestazioni entomatiche legati a
carenza idrica delle piante agrarie. Se mai, possono esserci, come spesso ci sono, grossi problemi entomologici associati all’irrigazione delle colture.
Non altrettanto si può dire per le piante forestali, le quali in condizioni di carenza idrica,
specialmente se grave e prolungata, aumentano
notevolmente il valore nutritivo dei loro tessuti per gl’insetti fitofagi, i quali possono così svilupparsi più rapidamente e moltiplicarsi fino a
provocare infestazioni colossali, con danni alle
piante di vario genere (estese defogliazioni, sottrazioni di linfa, decadimento della corteccia e
del legno) e di varia entità, che nei casi più gravi possono culminare con la morte stessa delle
piante.
Ringraziamenti
Desidero esprimere i più vivi ringraziamenti ai
colleghi Luigi Masutti dell’Università di Padova per una competente lettura critica del testo,
e a Riziero Tiberi dell’Università di Firenze per
suggerimenti e indicazioni bibliografiche.
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Effetti interattivi dell’acqua e dei patogeni nello
sviluppo di malattie in ambito agro-forestale
Andrea Vannini*, Anna Maria Vettraino
Dipartimento di Protezione delle Piante, Università della Tuscia
Via San Camillo de Lellis, 01100 Viterbo
Società Italiana di Patologia Vegetale
Riassunto
Nella presente trattazione viene affrontato il ruolo dell’ acqua nell’ambito della patologia vegetale con particolare
riguardo alla sua funzione come possibile co-fattore di stress e vettore di agenti di malattia. In particolare quest’ultimo aspetto viene trattato in un contesto generale di rischio di diffusione di specie invasive in sistemi agro-forestali. Oltre gli aspetti prettamente epidemiologici vengono prese in considerazione le possibili metodologie diagnostiche e le strategie di contenimento. L’azione dell’acqua come co-fattore di stress è analizzata all’interno di uno
scenario di cambiamenti climatici globali che aumentano gradualmente il rischio di eventi climatici estremi come la
siccità. In tale ambito vengono descritti alcuni patosistemi modello in cui l’acqua gioca un ruolo come fattore di
modulazione dell’intensità dell’attacco o come vero e proprio fattore scatenante.
Parole chiave: vettori, sistemi idrici, siccità, patogeni invasivi, patogeni nativi.
Summary
INTERACTION BETWEEN PATHOGENS AND WATER IN DISEASE DEVELOPMENT IN AGRICULTURE AND FOREST ECOSYSTEMS
The present paper reports on the role of water in plant pathology as possible stress factor and vector of pathogen.
The latter aspect is considered in a scenario of general risk of introduction and spread of invasive plant pathogens.
In addition to peculiar epidemiology aspects, the possible diagnostic methodologies and control methods are considered. The role of water as stress factor is analysed in a general frame of climatic global changes that could enhance the risk of severe drought events. Within this frame some model pathosystems are described where water plays
a role as co-factor or inciting factor in disease development.
Key-words: epidemiology, vectors, drought, water stress.
1. Introduzione
L’argomento “acqua” non è di facile approccio
nello studio delle interazioni che legano le varie componenti sia in sistemi complessi come le
biocenosi naturali che più semplificati come
quelli agrari. Seppure molecola indispensabile
alla vita, l’acqua, per la sua reattività con altri
composti e per il livello di disponibilità e accessibilità, può rappresentare al contempo un
fattore limitante per alcune componenti biotiche e favorevole per altre. Nelle interazioni
*
ospite-parassita in patologia vegetale, ad esempio, l’acqua è tra i fattori in grado di determinare le condizioni ottimali per gli eventi di inoculazione ed infezione di un patogeno a totale
svantaggio dell’ospite. Non a caso quindi è anche sull’entità e durata degli eventi meteorici
che si basano alcuni modelli previsionali delle
malattie in campo agrario. Oltre che nella patogenesi, l’acqua è un fattore chiave nell’epidemiologia di numerose fitopatie. I meccanismi e
le modalità di diffusione nell’ambiente dei pa-
Autore corrispondente: tel.: +39 0761 357449; fax: +39 0761 357473. Indirizzo e-mail: vannini@unitus.it.
563
Vannini A., Vettraino A.M.
togeni tellurici sono di fatto in parte associabili alle vie di accumulo e di scorrimento delle acque, sia in sistemi naturali che in quelli artificiali. È inoltre ben noto il ruolo dell’acqua come contenitore e vettore di inoculo a livello di
bacini, reti idriche naturali e sistemi di irrigazione. A tale proposito basti ricordare la massiccia diffusione dell’inoculo delle Pythiaceae attraverso il recupero e riutilizzo dell’acqua di irrigazione nell’ambito delle colture protette.
Più particolare è il caso in cui il fattore acqua interviene direttamente, anche se in direzione opposta, sull’ospite e sul patogeno. Eventi quali eccessi o carenze idriche sono in grado
di indurre condizioni di stress nelle piante come conseguenza dell’alterazione di funzioni indispensabili quali l’assorbimento, il trasporto di
elemento nutritivi, gli scambi gassosi, la divisione e l’espansione cellulare. Tali eventi possono,
al contempo, favorire alcuni patogeni cosidetti
di debolezza o secondari che non solo si avvantaggiano dello stato di debilitazione della
pianta ospite, ma trovano nell’ambiente fisicochimico le condizioni ottimali per il loro sviluppo. Questo tipo di interazioni è da collocarsi in uno scenario più generale di dinamica delle consociazioni vegetali in ambienti naturali e
semi-naturali guidata, ad esempio, dai cambiamenti climatici ciclici e globali.
2. L’acqua come vettore di patogeni
Il ruolo dell’acqua come vettore di malattie in
ambito agro-forestale è ben conosciuto e documentato in patologia vegetale. Tuttavia la massiccia introduzione di specie patogene invasive,
facilitata dalla globalizzazione dei mercati e talvolta da norme non efficaci di quarantena, e il
loro rischio di diffusione aumentano l’importanza dell’acqua come vettore sia nei sistemi
agrari che in quelli naturali. Hong e Moorman
(2005) hanno recentemente affrontato il problema dell’impatto dell’acqua di irrigazione come vettore di patogeni vegetali, individuando
oltre 100 patogeni di specie agrarie e forestali
che utilizzano questo mezzo per diffondersi nello spazio e nel tempo. Certamente i generi Phytophthora e Phytium sono quelli maggiormente
rappresentati con rispettivamente ben 17 e 26
specie identificate in diversi sistemi di irrigazione. Questi organismi patogeni, appartenenti al-
564
la divisione Omycota e famiglia Phytiaceae, sono strettamente legati all’ambiente acquatico,
sia durante la fase di proliferazione che di diffusione dell’inoculo attraverso zoospore flagellate. È sorprendente rilevare come questi organismi siano presenti nell’acqua dei più diversi
sistemi di defluizione o raccolta, sia naturali che
artificiali, tra cui fiumi, ruscelli, canali, compluvi, stagni, laghi, cisterne, sistemi idroponici, sistemi di ricircolo e riutilizzo di acqua di irrigazione e più raramente pozzi.
Negli ambienti naturali le Phytiaceae si
diffondono efficacemente utilizzando i sistemi
di scorrimento naturali come compluvi, ruscelli
e fiumi. Citiamo ad esempio la massiccia diffusione di Phytophthora alni attraverso la rete di
fiumi e ruscelli in Bavaria con conseguente decorso epidemico sugli ontani degli ecosistemi riparali (Jung e Blaschke, 2004) o la diffusione di
P. lateralis attraverso i ruscelli nelle formazioni
riparali di Chamaecyparis lawsoniana in Oregon
(Jules et al., 2002).
Nei sistemi agrari la presenza e proliferazione di Phytiaceae è particolarmente allarmante
nelle colture protette che utilizzano impianti a
ricircolo per il recupero e riutilizzo dell’acqua
di irrigazione. Themann et al. (2002) hanno evidenziato come alcune specie afferenti alla suddetta famiglia siano presenti in vivai commerciali, nei drenaggi e nelle cisterne adibite alla
raccolta e ricircolo dell’acqua di irrigazione. Tra
le specie presenti vengono elencati alcuni dei
taxa più pericolosi come agenti di marciumi radicali e del colletto di colture perenni. In particolare gli autori hanno identificato fino a 12
specie diverse di Phytophthora tra cui le temibili P. cinnamomi, P. cambivora, P. cactorum, P.
cryptogea e P. ramorum.
Altrettanto frequente è la presenza nei sistemi idrici di Eumycota (i veri funghi). Hong
e Moorman (2005) hanno infatti isolato circa 26
specie, di cui alcune appartenenti ai generi Rhizoctonia, Fusarium, Verticillum, Sclerotium. La
presenza di altri agenti di gravi fitopatie vascolari, quali Verticillum dahliae e Fusarium oxysporum fs lycopersici, è stata rilevata attraverso
l’utilizzazione della tecnologia DNA-array (Lievens et al., 2003), in campioni di acqua di irrigazione di colture di pomodoro. A testimoniare
la facilità di diffusione dei patogeni in mezzi liquidi, Smither-Kopperl et al. (1998) hanno dimostrato una velocità di dispersione in acqua di
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:563-568
conidi di Fusarium 100 volte superiore rispetto
alla velocità di sedimentazione per gravità. D’altronde anche nel caso di patogeni dell’uomo, in
particolare di Fusarium spp., è ben documentata la diffusione attraverso i sistemi idrici degli
ospedali (Anaissie et al., 2001).
L’acqua e in particolare il suo movimento è
sfruttato anche dai procarioti per diffondersi
nelle colture agrarie. Almeno 8 specie di batteri fitopatogeni, tra cui alcune Erwinia, Xanthomonas e la pericolosa Ralstonia solanacearum,
sfruttano anche questo vettore per disperdersi
nell’ambiente (Hong e Moorman, 2005).
Esistono infine evidenze che supportano la
dispersione in acqua, anche se per brevi distanze e tempi ristretti, di alcuni virus, tra cui il PMV
e il PFBV (Hong e Moorman, 2005).
Da tali considerazioni è evidente come l’uso
dell’acqua in agricoltura e il suo naturale movimento, sia in sistemi agrari che naturali, possa
facilitare la diffusione di agenti fitopatogeni anche invasivi. Ne consegue la necessità di individuare, attraverso un monitoraggio accurato del
territorio, la presenza di sistemi idrici che possano rappresentare fattori di rischio per lo sviluppo e diffusione di eventuali patogeni presenti
e quindi di utilizzare idonei sistemi di diagnosi
per rilevare la presenza di patogeni. Ai sistemi
classici di diagnosi, che comprendono per gli
Omycota l’uso di trappole biologiche (“baitings”), l’isolamento diretto in coltura (Omycota, Eumycota e batteri) o i metodi serologici
(prevalentemente batteri e virus), si affiancano
oggi numerose tecniche molecolari che hanno
aumentato notevolmente la sensibilità diagnostica e ristretto i tempi di analisi. Tra queste, oltre alla amplificazione di sequenze bersaglio di
DNA tramite PCR tradizionale e più di recente real-time PCR, è importante ricordare la tecnologia del DNA-array (micro- e macro-array).
Tale tecnologia, applicata appositamente come
strumento diagnostico per i vari sistemi agricoli e/o naturali, permette la contemporanea individuazione di un numero elevato di sequenze
bersaglio corrispondenti ad altrettanti organismi.
La diagnosi rappresenta solo uno degli strumenti utilizzabili per pianificare tempestivamente gli interventi sul territorio, siano essi di
eradicazione o, a monte, di prevenzione. L’approccio all’intera problematica si deve articolare in diverse fasi tra loro complementari che
possono prevedere interventi nelle seguenti tematiche.
– Rafforzamento e adeguamento degli strumenti legislativi: norme preventive atte a limitare l’introduzione di inoculo nei sistemi
idrici naturali e artificiali. L’introduzione
sempre più massiccia di organismi dannosi
alle colture agrarie e dei sistemi naturali rivela una inadeguatezza degli strumenti di
prevenzione legislativa. È necessario ripensare le norme di quarantena sulla base delle nuove acquisizioni relative alla modalità
di movimento globale degli organismi dannosi.
– Sistemazioni idrauliche e regimazione delle
acque superficiali nei sistemi naturali e seminaturali. Questo tipo di intervento è delegabile localmente ma necessita, per il rilevante impegno economico, l’intervento pubblico.
– Ottimizzazione dei metodi di sanificazione
delle acque nei sistemi agricoli. È assolutamente necessario che nelle diverse tappe del
processo di filiera, dalla produzione di materiale di propagazione e vivaistico, fino alla
coltivazione e commercializzazione, si ponga
grande attenzione alla sanificazione anche
dal punto di vista fitopatologico dell’acqua
utilizzata. Oggi sono numerosi i sitemi di sanificazione in commercio che vanno dal controllo delle sorgenti di inoculo, alla filtrazione, soppressione biologica, clorazione ed irraggiamento UV. Certamente nuove risorse
in termini di ricerca devono essere utilizzate al perfezionamento delle tecniche esistenti e alla messa a punto di nuove.
3. L’acqua come co-fattore di stress
È oramai accettato come i cambiamenti climatici globali producano una intensificazione degli
eventi estremi tra cui quelli siccitosi (Easterling
et al., 2000; Beniston e Stephenson, 2004) con
conseguente forte impatto sugli ecosistemi naturali e semi-naturali in particolare sulle interazioni all’interno della frazione biotica. In termini specificatamente fitopatologici, l’equilibrio
tra ospiti e patogeni di debolezza nativi potrebbe pesantemente modificarsi con conseguenze difficilmente prevedibili. Il sistema oggetto delle nostre considerazioni è sicuramente
565
Vannini A., Vettraino A.M.
complesso e multifattoriale, comprendendo, oltre all’ospite, almeno 2 elementi di stress, uno
biotico (patogeno di debolezza) e l’altro abiotico (estremo climatico). Solo a titolo di esempio,
e riferendoci al solo ospite, va ricordato come
lo stress idrico causi in Arabidopsis thaliana
l’aumento di espressione di 1075 trascritti e la
diminuzione di espressione di 496 trascritti
(Rizhsky et al., 2004). Sulla stessa specie ospite-modello l’interazione con Alternaria brassicola causa l’aumento di espressione di 168 trascritti e la diminuzione in espressione di almeno
39 trascritti (Shenk et al., 2000). L’attivazione o
repressione dell’espressione di geni sotto la pressione di fattori multipli di stress potrebbe risultare in aumento nella resistenza ad uno dei fattori e diminuzione verso altri. Ciò in effetti è stato evidenziato da Xiong e Yang (2003) per i geni MAPK (mitogen-activated protein kinase) in
riso (OsMAPK5); questi geni regolano positivamente la tolleranza alla siccità e modulano negativamente la resistenza ai patogeni (Magnaporthe grisea e Burkholderia glumea).
In sistemi naturali o seminaturali i patogeni di debolezza svolgono normalmente un importante ruolo sulle piante legnose perenni favorendo fenomeni come l’autopotatura naturale o l’eliminazione dei fenotipi meno competitivi; in presenza di cambiamenti climatici
ciclici e transitori essi intervengono nella regolazione della mescolanza delle specie della
biocenosi sfruttando i periodi di forte siccità
(Vannini et al., 1996).
Diverso e difficilmente prevedibile è l’impatto dei patogeni nativi in presenza di un aumento progressivo e non transitorio dei periodi
di carenza idrica. Vaste superfici forestali e coltivate, nelle fasce temperate e temperato calde,
sono oggi a rischio di sostenibilità o già in fase
di sensibile degrado a causa delle modificazioni climatiche e dell’intensificazione dei fenomeni siccitosi. Non è semplice dimostrare nel loro
complesso il ruolo dei patogeni nativi in tali fenomeni di degrado. Tuttavia lo studio di alcuni
sistemi ospite-patogeno-siccità permette di formulare alcune ipotesi a riguardo. Certamente le
carenze idriche interagiscono direttamente sul
ciclo biologico dei patogeni. Nei funghi ad
esempio possono avere un grosso impatto sulla
germinazione dei propagali e nell’allungamento
ifale. Alcune specie sono tuttavia ben adattate
a condizioni di siccità.
566
Botryospheria dothidea, causa di necrosi dei
germogli su pistacchio, pesco, betulla e melo in
condizioni di siccità, pur presentando l’optimum
di germinazione delle spore, allungamento del
tubo germinativo e crescita miceliare a valori di
potenziale idrico di circa -2.0 MPa, mantiene comunque la capacità di esplicare tali funzioni anche a valori di potenziale idrico ben inferiori
(Ma et al., 2001).
Similmente Biscogniauxia mediterranea,
agente del cancro carbonioso delle querce in
ambiente mediterraneo, in condizioni di forte
siccità estiva è in grado di accrescersi efficacemente anche a valori di potenziali inferiori a
-3.0 MPa (Vannini e Scarascia Mugnozza, 1991).
Come evidenziato precedentemente per l’espressione genica, la siccità interagisce sensibilmente con numerosissime funzioni della pianta,
alcune delle quali collegabili con la resistenza
alla colonizzazione di agenti patogeni (DesprezLoustau et al., 2006), come ad esempio la diminuizione dell’efficienza fotosintetica e sintesi
proteica alterata, l’aumento di disponibilità di
substrato per il patogeno a causa del metabolismo alterato, il rallentamento nella formazione
di barriere chimiche e fisiche (Puritch e Mulklick 1975) e l’aumento di spazi disponibili per
la colonizzazione massale (es. fenomeni di cavitazione) (Vannini e Valentini, 1994).
In malattie causate da patogeni primari nativi, la siccità può produrre una intensificazione
dei processi patogenetici e quindi un aggravamento dei sintomi, come verificato nell’interazione Sphaeropsis sapinea – Pinus spp. (Blodgett et al., 1997). Diversamente, in altri binomi
come Cryphonectria cubensis – Eucalypus spp.
e Thyronectria austro-americana – Gleditsia triacanthos (Desprez-Loustau et al., 2006), la siccità
rallenta il decorso patogenetico. Nei binomi
ospite-patogeno di debolezza, la siccità agisce
come fattore scatenante del processo patogenetico. È il caso di Biscogniauxia mediterranea –
Quercus spp. Biscogniauxia mediterranea è endofita del genere Quercus in ambienti mediterranei ove colonizza i diversi organi e tessuti dell’ospite in un rapporto di simbiosi apparentemente indifferente (Vannini, 1998). Solo in presenza di intensi periodi di siccità, che inducono
condizioni di stress idrico nell’ospite, il fungo
aggredisce massivamente i tessuti xylematici,
meristematici e corticali causando il cosiddetto
“cancro carbonioso” che talvolta porta a morte
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:563-568
una pianta adulta in un’unica stagione vegetativa (Vannini e Valentini, 1994).
Le carenze idriche possono avere un grosso
impatto anche quando agiscono singolarmente
e in successione ad un’evento patogenetico.
L’attacco di Phytophthora spp., in condizioni di
siccità prolungata, su piante legnose con con apparato radicale fino, può innescare un accelerato stress idrico e repentini processi di deperimento (Jonsson et al., 2003; Vettraino et al.,
2003). Interessante è anche l’azione in successione, ma indipendente, di attacchi di Puccinia
lagenophorae su foglie di Senecio vulgaris, con
drastica riduzione della superficie fotosintetica,
e di periodi di siccità che limitano drasticamente la produzione di nuove foglie sane (Ayres,
1991).
Risulta evidente come l’acqua e la sua disponibilità condizionino sensibilmente le interazioni tra ospite e patogeno in sistemi anche molto differenti tra loro. In un’ottica di cambiamenti climatici globali il contenimento dei danni fitosanitari ascrivibili al progressivo aumento
dei fenomeni siccitosi deve essere affrontato in
modo integrato, ad esempio attraverso:
– sviluppo di modelli previsionali sulla frequenza, intensità e localizzazione dei fenomeni climatici estremi;
– implementazione delle reti di monitoraggio
esistenti;
– interventi atti a migliorare la sostenibilità di
sistemi agroforestali (ottimizzazione nella
utilizzazione delle risorse disponibili);
– modelli di intervento atti a guidare la transizione verso sistemi agroforestali più stabili in
uno scenario di inevitabili cambiamenti climatici.
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Il valore dell’acqua per il territorio e l’ambiente rurale§
Vittorio Gallerani*, Davide Viaggi
Dipartimento di Economia e Ingegneria Agrarie, Università di Bologna
Viale Fanin 50, 40127 Bologna
Centro Studi di Estimo ed Economia Territoriale
Riassunto
Il contributo illustra e discute le metodologie per la valutazione economica dell’acqua nel territorio rurale, alla luce della recente evoluzione del quadro normativo, in particolare della direttiva quadro 60/2000. Nell’applicazione
della direttiva hanno un ruolo centrale l’analisi economica e la definizione del costo pieno dell’acqua, comprendente costi finanziari, costi opportunità e costi ambientali. Queste tematiche assumono un rilievo particolare per
l’agricoltura, anche in considerazione dell’evoluzione progressiva del settore verso un ruolo multifunzionale. La soluzione prospettata per gli attuali problemi valutativi consiste in uno sviluppo parallelo e coerente di metodologie
di valutazione e di protocolli operativi mirati ai problemi posti dai decisori.
Parole chiave: acqua, irrigazione, valutazione economica, direttiva 60/2000.
Summary
THE VALUE OF WATER FOR THE LANDSCAPE AND THE RURAL ENVIRONMENT
The paper illustrates and discusses the methodologies for the economic evaluation of water in the rural territory,
in the light of the recent evolution of the legal framework, with the implementation of directive 60/2000. In the application of the directive, a major role is played by the economic analysis and by the concept of full cost of water.
The full cost includes financial costs, opportunity costs and environmental costs. Such issues are particularly important for agriculture, also taking into account the evolution of the sector towards a multifunctional role. The solution envisaged for the present evaluation problems is based on a parallel and consistent development of methodologies and operational protocols aimed at the problems raised by the decision-makers.
Key-words: water, irrigation, economic evaluation, directive 60/2000.
1. Introduzione e obiettivi
La corretta gestione delle risorse idriche rappresenta uno dei grandi temi ambientali e sociali sui quali si sta orientando l’attenzione dell’opinione pubblica. La scarsità di acqua è ormai un fenomeno ricorrente anche in paesi che
tradizionalmente ne erano relativamente ricchi.
L’acqua rappresenta un bene primario, nonché
un fattore fondamentale di sviluppo. Il dibattito attorno all’uso dell’acqua è particolarmente
ricco e riguarda una varietà di temi. In tale dibattito, l’economia svolge oggi un ruolo di primo piano. La visione dell’acqua come bene economico tende a porre l’accento sui valori d’uso
e sull’efficienza della sua allocazione, anche attraverso sistemi di mercato (Perry et al., 1997).
La visione dell’acqua come bene economico si
distingue (e a volte si contrappone) alla visione
dell’acqua come bene con funzioni sociali ed
ambientali. I due approcci, che tendono a pro-
§
Le riflessioni contenute in questo lavoro sono state ispirate dalla partecipazione degli Autori al progetto “Realizzazione di un sistema di supporto alle decisioni a livello di bacino per la gestione dell’acqua in agricoltura”, finanziato dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, PRIN 2003. Vittorio Gallerani ha scritto i paragrafi 3 e 4; Davide Viaggi ha scritto il paragrafo 2. L’introduzione e le conclusioni sono da attribuire ad entrambi
gli Autori.
*
Autore corrispondente: tel.: +39 051 2096113; fax: +39 051 2096105. Indirizzo e-mail: vittorio.gallerani@unibo.it
569
Gallerani V., Viaggi D.
durre diverse allocazioni della risorsa idrica, sono contemporaneamente presenti ed interagiscono nella maggior parte dei sistemi legali.
In generale si può ritenere più appropriato
un uso dell’acqua guidato da criteri economici
(valore economico totale) nei paesi o aree ad
economia avanzata, con alta disponibilità di reddito, mentre nei paesi in via di sviluppo appare
più forte la necessità di tenere conto di criteri
di equità, sviluppo e qualità della vita. L’utilizzo dell’uno o dell’altro approccio nella regolamentazione dell’uso dell’acqua presuppone, comunque, una dimensione economica ed estimativa della risorsa idrica.
L’agricoltura, soprattutto nei paesi caratterizzati da climi aridi o semiaridi, rappresenta la
principale forma di utilizzazione dell’acqua, anche se il peso economico del settore primario è
progressivamente decrescente, benché ancora
molto rilevante, soprattutto in numerosi paesi in
via di sviluppo o in transizione, nei quali esercita un importante ruolo ambientale, culturale e
sociale.
La valutazione economica delle risorse idriche rappresenta un tema non nuovo nella letteratura estimativa, che ha affrontato soprattutto i problemi connessi al valore privato del diritto di uso di fonti idriche e al beneficio privato derivante da attività di bonifica ai fini del
riparto dei contributi consortili.
Più recentemente, l’analisi del valore economico dell’acqua è sollecitata dalle innovazioni
in campo normativo, in particolare dall’applicazione della direttiva quadro sull’acqua
60/2000/EC, che costituisce il principale riferimento per la regolamentazione dell’uso dell’acqua in Europa. L’implementazione della direttiva passa attraverso diverse fasi e dovrebbe essere completata nel 2012, al fine del raggiungimento del buono stato dei corpi idrici per il
2015 (WATECO, 2003). L’Italia, benché in ritardo, ha recepito i contenuti della direttiva con
il decreto legislativo 152/2006, del 3 aprile 2006
(Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, 2006). Il decreto 152/2006 è stato emanato in applicazione della legge delega n.
306/2003 (legge delega in materia ambientale) e
costituisce il nuovo codice dell’ambiente.
La direttiva 60/2000, si distingue, sia per il
forte grado di decentramento previsto, sia per
l’importanza del ruolo attribuito all’analisi economica. È infatti a livello di distretto idrografi-
570
co che vengono definiti gli obiettivi ambientali
da perseguire, così come i “programmi di misure”, vale a dire i pacchetti di strumenti di politica dell’acqua da attuare per raggiungere gli
obiettivi fissati. Tra le misure da attuare, la direttiva pone l’accento su strumenti economici
(nel senso di creatori di incentivi), quale la tariffazione volumetrica. La direttiva inserisce
esplicitamente l’utilizzo di analisi economiche
nella scelta di tali pacchetti di misure e, più in
generale, nella gestione e nei processi politicodecisionali relativi alla risorsa idrica. A tal fine,
un concetto centrale nell’applicazione della direttiva è quello del “costo pieno”, che comprende i costi finanziari, i costi opportunità dovuti alla sottrazione dell’acqua ad altri impieghi
e i costi ambientali.
La direttiva prevede che il costo pieno rappresenti il punto di riferimento economico nel
determinare il sistema di incentivi a carico dell’utilizzatore dell’acqua. L’applicazione rigorosa
del recupero del costo pieno prevede che l’utente finale dell’acqua si faccia carico di tutti i
costi conseguenti al suo utilizzo e, quindi, paghi
un prezzo sufficientemente alto da consentirne
il recupero. La direttiva, tuttavia, prevede che
nella determinazione del prezzo dell’acqua si
debba tenere conto del costo pieno, ma non impone l’obbligo di un suo integrale recupero. La
scelta del livello di recupero del costo pieno viene lasciata alle amministrazioni locali responsabili dei piani di azione a livello di bacino, che
possono proporre deroghe, adeguatamente motivate, ai tempi e alle norme di applicazione della direttiva.
Un elemento di novità che costituisce una
sorta di ponte tra l’applicazione della direttiva
60/2000 ed il settore agricolo è costituito dalla
possibilità di includere, nei nuovi piani di sviluppo rurale, misure di compensazione per gli
agricoltori interessati dall’applicazione della direttiva 60/2000.
Infatti, il reg. 1698/2005, pubblicato sulla GU
CE del 21/10/2005 all’articolo 38 prevede la possibilità di concedere indennità per compensare
maggiori costi e perdite di reddito nelle zone
soggette all’applicazione della direttiva.
L’obiettivo di questo contributo è di illustrare e discutere le metodologie per la valutazione economica dell’acqua nel territorio agricolo e rurale, alla luce della recente evoluzione
del quadro normativo. Tali valutazioni devono
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:569-576
tenere conto della multifunzionalità, caratteristica
non solo del settore agricolo, ma anche dell’acqua
e dell’ambiente nonché degli scenari di sviluppo
del settore agricolo (Berbel e Gutierrez, 2004; Bartolini et al., 2007).
Il contributo è organizzato come segue. Nel
paragrafo 2 viene brevemente illustrato il quadro della disponibilità e delle funzioni dell’acqua. Nel paragrafo 3 vengono discussi i principali riferimenti teorici che supportano la definizione del valore economico totale delle risorse. Nel paragrafo 4 sono illustrate le metodologie di valutazione proposte, con particolare riferimento alla direttiva ed i relativi problemi di
applicazione. Nel paragrafo 5 viene riportata
una breve discussione conclusiva.
2. Disponibilità e usi dell’acqua
Il pianeta terra è ricco di acqua, che però, in
gran parte, non è utilizzabile. Infatti, solo il 3%
di tutta l’acqua disponibile è dolce, mentre il resto è costituito da mari e oceani. Dell’acqua dolce, il 79% è racchiuso nelle calotte polari e nei
ghiacciai ed il 20% è costituito da acque sotterranee. Solo l’1% è costituito da acqua superficiale. Di quest’ultima parte, solo poco più
della metà è presente in laghi e fiumi ed è quindi utilizzabile in modo relativamente semplice.
L’acqua è comunemente considerata una risorsa rinnovabile. È il caso di acque di superficie (fiumi, laghi) e di acque di falda superficiale con un certo grado di ricarica. Tali fonti possono essere utilizzate tenendo conto dei tempi
necessari al ripristino dell’acqua asportata. Un
utilizzo superiore alla velocità di ricarica risulterebbe non sostenibile.
Altre fonti idriche possono invece essere
considerate non rinnovabili, come nel caso di
acque fossili di falda profonda. In tal caso, l’uso dell’acqua è non sostenibile, in quanto non
esiste nessuna forma di reintegrazione della riserva di acqua utilizzata.
Una particolare fonte idrica è costituita dalla desalinizzazione dell’acqua marina. Data la
notevole quantità di acqua salata sul pianeta, la
disponibilità di tecnologie di desalinizzazione a
prezzi sufficientemente bassi potrebbe risolvere
il problema dell’approvvigionamento idrico in
molte realtà. Attualmente la rilevanza della desalinizzazione è limitata, a causa dell’alto costo
dei trattamenti e del successivo trasporto, che la
rende conveniente solo in situazioni e per attività ad altissimo valore economico e/o sociale.
Inoltre, la desalinizzazione può provocare problemi ambientali dovuti allo smaltimento del sale estratto.
In molte aree, tra cui l’Italia, i problemi di
gestione dell’acqua sono prevalentemente legati alla sua disomogenea distribuzione nello spazio e nel tempo, a causa della varietà microclimatica e dell’alternanza tra stagioni fortemente
piovose e stagioni siccitose.
La disponibilità di acqua in quantità e qualità sufficiente è un fattore primario per la sopravvivenza umana. In caso di inquinamenti chimici o biologici, anziché un indispensabile bene
primario, l’acqua diviene un pericoloso veicolo
di malattie.
La disponibilità di acqua, opportunamente
regimata e stoccata, permette di mantenere la
vitalità biologica del territorio, consentendo il
mantenimento dei flussi minimi nei corsi idrici
in grado di sostenere lo sviluppo della vita vegetale ed animale, e, da un punto di vista più
ampio, la conservazione del microclima locale.
D’altro canto l’acqua rappresenta evidentemente anche un fattore produttivo, utilizzato in
molteplici attività, di cui la più comune è l’irrigazione.
Inoltre l’acqua ha un’importante funzione legata ad usi voluttuari e ricreativi, che in parte
sono collegati a interi comparti dell’economia.
Lo svolgimento combinato di queste funzioni porta alla visione dell’acqua come motore di
sviluppo economico, umano e territoriale, soprattutto nelle aree più aride.
I numerosi problemi attuali legati all’acqua
possono essere distinti in qualitativi e quantitativi. Quelli qualitativi comprendono:
1) il deterioramento della qualità dell’acqua da
inquinanti;
2) la salinizzazione delle falde e dei suoli;
3) la subsidenza;
4) il deterioramento del paesaggio.
Gli aspetti quantitativi comprendono:
1) l’esaurimento di risorse idriche finite;
2) lo sfruttamento eccessivo di risorse idriche
rinnovabili;
3) la riduzione dei flussi idrici sotto i minimi
vitali.
L’insoddisfacente soluzione di questi problemi può in parte essere addebitata al sistema dei
571
Gallerani V., Viaggi D.
diritti di proprietà relativi all’acqua, che, a seconda dei casi, possono essere:
1) privati: diritti completamente definiti su base individuale;
2) comuni: forme regolamentate di utilizzo dello stesso bacino o dello stesso corpo idrico
da parte di una comunità di individui;
3) open access: risorse ad uso completamente libero, ad esempio acque sotterranee con utilizzo non regolamentato;
4) pubblici: usi senza rivalità ed escludibilità,
che, in genere, non prevedono il consumo
della risorsa, ad esempio per scopi ricreativi
o ambientali.
La mancanza o comunque le difficoltà nel
definire i diritti di proprietà è una delle cause
principali del verificarsi di esternalità. Con il
termine esternalità si intende l’effetto (positivo
o negativo) di una attività economica su un’altra attività economica, per il quale non viene pagata alcuna compensazione né direttamente, né
attraverso i prezzi dei beni e dei servizi prodotti.
Numerosi strumenti possono essere utilizzati per promuovere un uso socialmente ottimale
delle risorse idriche. I più diffusi sono la regolamentazione della quantità disponibile attraverso sistemi di razionamento e sistemi basati
su incentivi economici quali la tariffazione volumetrica e l’applicazione di tasse ambientali.
Più di recente si stanno diffondendo in alcuni
paesi meccanismi innovativi, quali i mercati dell’acqua. D’altro canto, in alcuni settori, quali
quello agricolo, il riconoscimento del valore sociale delle attività legate all’acqua ha giustificato un sistema di sussidi pubblici, soprattutto
orientato alla creazione di infrastrutture pubbliche o semipubbliche, oppure al supporto economico per la sostituzione degli impianti con
nuovi sistemi a maggiore efficienza.
Qualunque sia lo strumento utilizzato, la regolazione ottimale dell’uso dell’acqua presuppone la conoscenza del valore economico totale della risorsa.
3. Il valore economico totale
Una delle conseguenze del sistema di diritti di
proprietà e della molteplicità di funzioni dell’acqua è che il suo valore non è in tutto o in
parte esprimibile in base a prezzi riscontrabili
da transazioni di mercato o dai sistemi pubbli-
572
co o semi-pubblici di approvvigionamento idrico. Tali valori, infatti, riflettono solo una parte
del valore economico totale dell’acqua.
Il valore economico totale include (Pearce e
Turner, 1991):
1) valore d’uso reale;
2) valore d’opzione;
3) valore d’esistenza.
Il valore d’uso reale è il beneficio derivante
dall’utilizzo concreto che si fa della risorsa. Il
valore di opzione è determinato dai benefici derivanti dagli usi potenziali della risorsa da parte del singolo, degli altri individui, o delle generazioni future. Il valore di esistenza è il valore attribuito alla risorsa indipendentemente dall’uso.
Diversi elementi concorrono a qualificare
l’applicazione di queste categorie di valore all’uso delle risorse idriche. In primo luogo le caratteristiche di rinnovabilità o non rinnovabilità
dei corpi idrici interessati. Presumibilmente, solo nel secondo caso si avranno importanti elementi legati al valore di opzione.
In secondo luogo, il valore dell’acqua è funzione dei valori degli usi o delle emergenze ambientali legate alla sua presenza. Ad esempio, a
molti ecosistemi acquatici possono essere collegati valori di opzione o di esistenza che si riflettono anche sulla disponibilità della risorsa
idrica da cui essi dipendono. Analogamente, alla sopravvivenza di sistemi colturali e culturali
di molte aree può essere attribuito un valore di
opzione o di esistenza che, a sua volta, si riflette sulla risorsa idrica. Per quanto riguarda il settore agricolo, pertanto, l’uso dell’acqua per l’irrigazione è associato alla complessità degli
obiettivi economici, sociali ed ambientali del
settore. Inoltre, a molti sistemi agricoli sono associati elementi di valore culturale e di non rinnovabilità che portano indirettamente a considerare valori di opzione, se non di esistenza.
L’articolazione di queste considerazioni è incorporata nelle politiche irrigue della maggior
parte dei paesi, caratterizzate da un forte intervento pubblico giustificato non solo dalla necessità di produzione alimentare collegata al
settore agricolo, ma anche da ragioni di sviluppo e di preservazione di sistemi agricoli ritenuti meritevoli di supporto (OECD, 2001).
In terzo luogo, il valore economico totale e
le sue componenti sono fortemente legati al sistema di valori riguardanti le risorse naturali in
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:569-576
generale e l’acqua in particolare, che si presenta notevolmente differenziato a seconda dei
paesi. In particolare, a livello mondiale (World
Bank) e in alcuni paesi a più forte impostazione di mercato (USA, Australia), il valore dell’acqua sembra determinato in misura crescente dall’uso attuale e a tale fenomeno si associano sitemi di allocazione che fanno uso in misura sempre maggiore di meccanismi di mercato
(Lee, 1999). Altri contesti mostrano maggiore
resistenza ad allontanarsi da valori più fortemente determinati da aspetti storici, etici e culturali, con il conseguente uso prevalente di strumenti di carattere regolatorio.
La percezione dei valori legati all’acqua, così come la loro espressione attraverso i prezzi e
la loro traduzione in incentivi per i singoli attori è in gran parte determinata dalla struttura
istituzionale legata all’uso dell’acqua. Le istituzioni che regolano l’uso dell’acqua sono estremamente varie e rappresentano un tema di
grande rilevanza in vista dell’obiettivo della razionalizzazione dell’uso delle risorse idriche
(Dinar e Saleth, 2005).
4. Metodologie di valutazione
Nella definizione della direttiva 60/2000, il costo pieno comprende i costi finanziari (privati),
i costi opportunità dovuti alla sottrazione dell’acqua ad altri impieghi e i costi ambientali (figura 1).
I costi finanziari si riferiscono alla realizzazione delle infrastrutture e alla gestione dei servizi idrici. Sono divisi in costi correnti, costi per
deprezzamento e costi d’uso del capitale. I costi della risorsa riguardano le opportunità di
reddito perse a causa della sottrazione della risorsa ad usi alternativi. I costi ambientali comprendono il valore dei peggioramenti dell’ambiente prodotti a causa dell’uso dell’acqua. Se
le prime due componenti del costo pieno sono
riconducibili esclusivamente al valore d’uso, la
terza può includere anche altri elementi del valore economico totale.
Le tre componenti di costo evidenziate dalla direttiva presentano problemi diversi di valutazione e, potenzialmente, implicazioni diverse in termini di recupero del costo. Inoltre, si
prestano a interpretazioni non univoche ed è
prevedibile che sollecitino l’uso di un varietà di
Costi ambientali non
legati all’acqua
Costi ambientali (esterni)
Costi ambientali legati
all’acqua
Costi opportunità (di
scarsità)
Costi della risorsa
(esterni)
Costi economici
Altri costi diretti
Costi amministrativi
Costi del capitale,
operativi e di
manutenzione
Costi finanziari
(inclusi i costi ambientali e
opportunità già
internalizzati)
Figura 1. La struttura del costo pieno. Fonte: modificato da
WATECO, 2003.
metodologie con il rischio di risultati incongruenti (Heinz, 2005). A queste problematiche
si aggiungono inoltre le peculiarità dovute all’uso della risorsa idrica nel settore agricolo,
quali le potenziali esternalità positive prodotte
dal settore, l’uso “senza consumo” della risorsa
e la ridotta diffusione di sistemi di misurazione
dell’uso (Johansson et al., 2002; Massarutto,
2002). Infine, è necessario tenere presente la
complessità delle relazioni tra l’uso di criteri
economici potenzialmente rigorosi e la varietà
degli obiettivi e dei problemi decisionali locali
posti dalla direttiva.
Per quanto riguarda i costi finanziari, i metodi di valutazione fanno in genere riferimento
a tecniche consolidate e a problemi noti nella
letteratura estimativa. La parte forse più complessa riguarda il calcolo del deprezzamento del
capitale, in relazione alle diverse modalità possibili di calcolo del valore (costo storico, costo
storico rivalutato, costo di sostituzione). La scelta del metodo si profila differenziata anche in
relazione ai sistemi di contabilizzatone dei costi
in uso nei diversi paesi.
Per quanto riguarda il settore agricolo, ulteriori problemi derivano dal fatto che la maggior
parte delle infrastrutture è stata realizzata e
continua ad essere realizzata grazie al contributo pubblico. Esiste inoltre il problema di determinare in che misura possano essere poste a carico degli agricoltori che operano attualmente,
le spese per il deprezzamento di investimenti
realizzati in passato. Le strutture di distribuzione delle acque usate in Italia per l’irrigazione,
frequentemente vengono utilizzate per diverse
finalità, non esclusivamente agricole. Ad esem-
573
Gallerani V., Viaggi D.
pio molti canali durante il periodo estivo forniscono acqua alle aziende agricole, mentre nel
periodo invernale hanno funzioni di scolo. Alcune strutture forniscono acqua non solo agli
agricoltori, ma anche ad utenti civili ed industriali (usi plurimi), sollevando il problema di
come dividere gli oneri tra i diversi utenti.
Il costo opportunità presenta caratteristiche
più complesse e concettualmente innovative, in
quanto richiede la valutazione degli usi alternativi dell’acqua e del loro valore economico. Evidentemente, il costo opportunità è influenzato
dalle condizioni di scarsità della risorsa. Qualora l’acqua non fosse scarsa rispetto alla domanda, avrebbe un valore marginale nullo e quindi
un costo opportunità pari a zero. In caso contrario sarebbe necessario calcolarne il costo opportunità in base al valore marginale nell’uso
dei diversi settori. In genere, si ritiene che gli
usi civili o industriali dell’acqua presentino un
valore molto alto; gli usi agricoli, al contrario,
hanno rendimenti relativamente bassi. Tale assunzione, tuttavia, andrebbe valutata caso per
caso. Il calcolo del costo opportunità presuppone la conoscenza della funzione di domanda di
ogni settore, in modo da potere calcolare la variazione marginale del costo opportunità in relazione alla quantità di acqua sottratta al settore stesso. Tale funzione può avere andamenti anche molto diversi da quelli ipotizzabili in base
al calcolo di elasticità attorno al punto attuale
di utilizzo.
Per quanto riguarda la valutazione dei costi
ambientali, i metodi principali proposti in letteratura sono:
– market methods: utilizzati per beni e servizi
per i quali esiste un mercato (es. attività turistiche, abitazioni);
– cost-based valuation methods: basati sull’assunzione che il costo per misure di prevenzione/mitigazione del danno ai corpi idrici
sia una stima ragionevole del costo esterno;
– revealed preference methods: basati sul comportamento degli agenti (es. costo del viaggio, hedonic price);
– stated preference methods: basati sulla disponibilità a pagare rilevata attraverso interviste (es. contingent valuation);
– value transfer: basato sull’uso di informazioni sui costi e benefici derivanti da aree/casi
diversi da quello oggetto di valutazione
(Loomis, 2000).
574
Tali metodologie sono oggetto di discussione in merito al loro impiego sistematico e su
larga scala. Le perplessità derivano sia dalla affidabilità dei metodi (spesso ritenuta insufficiente), sia dal costo. Inoltre, l’uso dell’acqua in
agricoltura produce sia effetti ambientali negativi (es. abbassamento delle falde), sia effetti positivi (es. mantenimento di sistemi agricoli ad alto contenuto di biomassa). La gamma di effetti
da valutare diventa pertanto estremamente ampia, con potenziali risvolti sia a favore, sia a sfavore del settore agricolo. Inoltre, molti di questi effetti hanno natura di esternalità diffuse
(non point), caratteristica che aumenta le difficoltà di valutazione e rende più precaria l’attribuzione di responsabilità a singoli attori, se non,
in alcuni casi, al settore stesso.
Tra le metodologie elencate, il value transfer
(VT) presenta caratteristiche di grande interesse ai fini dell’applicazione della direttiva. Il VT
prevede la stima dei valori su un’area di interesse rispetto alle scelte di politica dell’acqua
(ad esempio un distretto idrografico) sulla base
di valori stimati empiricamente su un’area diversa (ad esempio un altro distretto o un subdistretto). Il metodo prende anche il nome di
benefit trasfer quando i valori da trasferire sono costituiti da benefici. L’interesse per questo
metodo deriva evidentemente dai costi più bassi rispetto a metodi di stima diretta del valore
degli effetti ambientali, per i quali l’utilizzo su
vasta scala risulta probabilmente non sostenibile economicamente, oltre a dare luogo, potenzialmente, ad inconvenienti metodologici.
Il VT può essere applicato secondo diverse
modalità. In particolare si distinguono (Bateman et al., 2000):
1) il trasferimento di valori unitari non aggiustati;
2) il trasferimento di valori unitari aggiustati;
3) il trasferimento di funzioni di beneficio.
L’uso diffuso del VT, se è auspicabile in termini di costo, può tuttavia condurre ad errori
notevoli soprattutto se si utilizzano i metodi più
approssimativi (Brouwer e Spaninks, 1999).
Inoltre è applicabile solo a problemi per i quali esistano comunque valutazioni prodotte con
altri metodi.
Al fine di garantire un uso oculato dell’acqua, la conoscenza del valore della risorsa idrica e dei suoi usi deve essere tradotto in opportune politiche. Nella scelta delle misure di in-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:569-576
tervento, al costo pieno della risorsa idrica devono essere aggiunte considerazioni legate ai
meccanismi di incentivo più opportuni e ai costi di transazione legati ai diversi meccanismi di
intervento. I costi di transazione possono essere privati o pubblici.
I costi privati comprendono: a) ex ante: raccolta ed elaborazione delle informazioni, formulazione della decisione, contrattazione, adozione di precauzioni e salvaguardia contrattuale, stesura del contratto; b) ex post: conduzione
della relazione, monitoraggio, misurazione delle
prestazioni, verifica della corretta applicazione
del contratto.
I costi pubblici comprendono: a) costi iniziali: informazione, disegno delle politiche, creazione del consenso; b) costi di implementazione, identificazione dei soggetti target e verifica
dell’eligibilità, processing dei contratti, pagamenti/riscossione, verifica di ottemperanza, dispute legali; c) costi finali: valutazione.
Diverse soluzioni di intervento possono avere diversi costi e tali costi devono essere inclusi nella valutazione preventiva delle misure. Per
quanto riguarda l’agricoltura, un tema di grande interesse è costituito dai costi di transazione
per la misurazione dei consumi e per i controlli di ottemperanza della normativa, dato che la
maggior parte dell’acqua utilizzata è prelevata
in modo non controllato da condotte a pelo libero o da pozzi privati.
5. Discussione: problemi aperti e linee di sviluppo
Le sfide poste dal tema della gestione delle risorse idriche aprono numerosi problemi di valutazione. Peraltro, tali problemi sono da affrontare non su un piano puramente metodologico, ma piuttosto su un piano operativo, basato sul presupposto che i benefici netti delle
informazioni prodotte giustifichino l’esercizio di
valutazione. Questo spiega lo sviluppo relativamente recente di metodologie quali il value
transfer, che tentano di conciliare una ragionevole qualità del risultato con il costo delle informazioni rilevate. Allo stesso tempo, è necessario tenere presente che la finalità della valutazione è quella di supportare il processo decisionale e deve pertanto prestarsi ad una diffusione trasparente e circostanziata di informa-
zioni utili a favorire processi partecipativi condivisi e costruttivi. Tutto questo implica anche
l’impossibilità di limitare la valutazione ai puri
elementi di valore legati agli aspetti produttivi
della risorsa, stimolando al contrario la considerazione di valori ambientali e sociali nella valutazione economica della risorsa acqua.
La soluzione di tali problemi sembra rinvenibile in un percorso di sviluppo parallelo e coerente di metodologie di valutazione e di protocolli operativi finalizzati alla loro applicazione
ai problemi posti dai decisori.
Queste argomentazioni rivestono un ruolo di
particolare rilievo per l’agricoltura, anche in
considerazione dell’evoluzione progressiva del
settore verso un ruolo multifunzionale, legato a
funzioni di salvaguardia del territorio e di produzione di una molteplicità di servizi in parte
rilevante costituiti da beni pubblici.
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DRAFT.
Effetti del cambiamento del regime delle precipitazioni
nevose sulla temperatura del suolo e sul ciclo
dei nutrienti in pedoambienti alpini
Ermanno Zanini, Michele Freppaz*
Dipartimento di Valorizzazione e Protezione delle Risorse Agroforestali,
Chimica Agraria – Laboratorio Neve e Suoli Alpini
Via Leonardo da Vinci 44, 10095 Grugliasco (To)
Società Italiana di Pedologia
Riassunto
Negli ambienti agro-forestali alpini la neve permane al suolo dai sei agli otto mesi all’anno in relazione alla quota
ed alla esposizione. L’acqua è quindi immobilizzata allo stato solido per la maggior parte del periodo invernale e
rilasciata al suolo in un breve periodo di tempo nel corso del disgelo primaverile. In questi ambienti il regime delle precipitazioni nevose esercita un ruolo fondamentale nel condizionare la temperatura e la dinamica degli elementi nutritivi del suolo, ed in particolare dell’azoto, con significative conseguenze sulla nutrizione vegetale. Il riposo vegetativo, le basse temperature e la diffusa copertura nevosa suggeriscono infatti che l’attività biologica del
suolo sia concentrata soltanto durante la stagione estiva. In realtà i suoli ricoperti da un consistente manto nevoso
sono isolati dalla temperatura dell’aria e possono non gelare nel corso dell’inverno. Un manto nevoso di sufficiente spessore, infatti, accumulatosi presto nella stagione invernale, è in grado di isolare il suolo dall’ambiente circostante mantenendo la temperatura prossima agli 0 °C nel corso della stagione invernale. L’innalzamento del limite
delle nevicate e la riduzione della permanenza della neve al suolo in seguito al riscaldamento globale (IPCC, 1996,
2001) può però determinare una riduzione dell’effetto isolante del manto nevoso, esponendo i suoli del piano montano superiore a temperature più basse e ad una maggiore frequenza di cicli gelo/disgelo che possono alterare la
dinamica della sostanza organica e la disponibilità di nutrienti nel suolo. Tali stress termici possono determinare la
lisi delle cellule microbiche ed il conseguente incremento della mineralizzazione dell’azoto e del carbonio ad opera dei microrganismi sopravvissuti. È inoltre emerso come l’azione dei cicli gelo/disgelo possa determinare l’esposizione di superfici di scambio prima non disponibili, con il rilascio ad esempio di forme di azoto organico di origine non microbica, successivamente mineralizzate. La ridotta o assente attività di immobilizzazione microbica può
concorrere a determinare l’accumulo di notevoli quantità di azoto inorganico nel suolo, potenzialmente lisciviabile
nel corso del disgelo primaverile, quando le piante non hanno ancora ripreso l’attività vegetativa. La riduzione delle precipitazioni nevose negli ambienti agro-forestali alpini può quindi avere un significativo effetto sul regime termico dei suoli e conseguentemente sul ciclo degli elementi nutritivi. Le ricadute ambientali non possono che essere valutate nel tempo, attraverso studi mirati, in grado di evidenziare gli effetti indiretti del cambiamento climatico in atto sulle caratteristiche dei pedoambienti alpini.
Parole chiave: suolo, azoto, temperatura, neve.
Summary
INFLUENCE OF SNOW COVER DISTRIBUTION ON SOIL TEMPERATURE AND NUTRIENT DYNAMICS
IN ALPINE PEDOENVIRONMENTS
In Alpine sites snow is present on the ground from six to eight months per year in relation to elevation and exposure. Water is therefore immobilized into the solid state for the greater part of the winter season and released
to the ground in a short period during spring snowmelt. In these areas, snow distribution exercises a fundamental
role in influencing soil temperature and nutrient dynamics, in particular of nitrogen, with great consequences on
plant nutrition. The dormant vegetation period, the low temperatures and the persistent snow cover suggest that
soil biological activity is only concentrated during summer. As a matter of fact, soils covered with a consistent snow
*
Autore corrispondente: tel.: +39 011 6708514; fax: +39 011 6708692. Indirizzo e-mail: michele.freppaz@unito.it.
577
Zanini E., Freppaz M.
cover are isolated from the air temperature and can not freeze during winter. A snowpack of sufficient thickness,
accumulated early in winter, insulates the ground from the surrounding atmosphere maintaining soil temperature
closed to 0 °C during the whole winter season. The elevation of the snow line and the shorter permanence of snow
on the ground, as a result of global warming (IPCC, 1996, 2001), might reduce the insulation effect of the snowpack, exposing soils of the mountain belt to lower temperatures and to a greater frequency of freeze/thaw cycles,
which might alter organic matter dynamics and soil nutrient availability. Such thermal stresses may determine the
lysis of microbial cells and the consequent increase of nitrogen and carbon mineralization by the survived microorganisms. Moreover, the freeze/thaw cycles can determine the exposure of exchange surfaces not available before, with release of organic matter of non-microbial origin, which may become available to surviving microorganisms for respiration. The reduced or absent microbial immobilization may cause the accumulation of remarkable
amounts of inorganic nitrogen in soil, potentially leachable during spring snowmelt, when plants have not still started the growing season. Changes of snow distribution in alpine sites can consequently have a great impact on the
thermal regime and nutrient cycle of soils. The environmental implications have to be estimated for a long time, through specific studies that aim to evidence the indirect effects of climatic change on characteristics of alpine pedoenvironments.
Key-words: soil, nitrogen, temperature, snow.
1. Introduzione
Uno dei più importanti sviluppi nelle ricerche
sui cambiamenti globali è stato il riconoscimento dell’importanza di effetti indiretti del cambiamento climatico sulla struttura ed il funzionamento degli ecosistemi. Numerosi studi hanno infatti evidenziato che i cambiamenti nella
frequenza degli incendi, di precipitazioni estreme e di annate prive di neve possono avere effetti sugli ecosistemi più significativi rispetto a
quelli determinati dalle semplici variazioni di
temperatura e precipitazioni (Johnson, 1992; Vitousek, 1994; Watson et al., 1998; Walker et al.,
1999). Si tratta di effetti complessi, difficili da
studiare in quanto estremamente variabili nel
tempo e nello spazio.
In particolare emerge come la distribuzione
della copertura nevosa sia estremamente sensibile ai cambiamenti climatici in atto (Cooley,
1990; Williams et al., 1996; Baron et al., 2000)
ed una riduzione della copertura nevosa, in seguito al riscaldamento globale, può essere uno
degli effetti più importanti nelle aree forestali
dell’Emisfero Nord.
I dati da satellite hanno evidenziato una riduzione della superficie innevata di circa il 10%
a partire dagli anni sessanta, mentre la temperatura media nel corso del ventesimo secolo è
aumentata di 0,6 ± 0,2 °C (IPCC, 2001). In particolare i modelli prevedono una ulteriore diminuzione della copertura nevosa nei prossimi
anni, con un incremento delle temperature medie stimato fra 1,4 e 5,8 °C entro il 2100, con
578
un valore più probabile di 2,5 °C (IPCC, 2001).
Nelle regioni di montagna, un incremento
della temperatura media di 1 °C è accompagnato da un innalzamento di circa 150 m del limite delle nevicate (Haeberli e Beniston, 1998).
Di conseguenza le aree montane a quote più
basse saranno interessate con sempre maggiore
frequenza da precipitazioni in forma liquida anche nel corso dell’inverno (Beniston, 2003), con
una riduzione complessiva della superficie innevata nella stagione invernale che per le Alpi
Svizzere è stata stimata del 25%, se si ipotizza
un incremento della temperatura di 3 °C (Beniston et al., 2003). Altri studi hanno previsto
per le Alpi Francesi una significativa riduzione
dello spessore e della permanenza della neve al
suolo a quote inferiori ai 1.500 m slm, in particolare nei settori più meridionali (Martin e Durand, 1998). Tali scenari potranno avere importanti implicazioni sulle località turistiche invernali, come evidenziato da numerosi studi condotti in Australia (Galloway, 1988), Est del Canada (Lamothe e Périard, 1988), Austria (Breiling e Charamza, 1999) e Svizzera (Abegg et al.,
1997) dove, un incremento della temperatura di
2-3 °C nei prossimi cinquant’anni potrebbe avere un impatto critico sulle stazioni sciistiche localizzate al di sotto dei 1.200-1.500 m slm
(Abegg e Froesch, 1994).
Non meno importanti possono essere le conseguenze sugli ecosistemi forestali. La neve, infatti, esercita una notevole azione isolante ed
una riduzione della sua permanenza al suolo nel
corso dell’inverno può determinare il congela-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:577-585
mento del suolo (e.g. Bleak, 1970; Anderson,
1991), con possibili effetti sulla vitalità degli apparati radicali (e.g. Tierney et al., 2001) e della
biomassa microbica del suolo, con importanti
conseguenze sulla dinamica degli elementi nutritivi (e.g. Groffman et al., 2001). Sul lungo periodo la resistenza a questi stress potrebbe essere un fattore chiave nel regolare la composizione specifica dei popolamenti forestali in relazione al cambiamento climatico in atto.
In questo lavoro si intendono evidenziare gli
effetti che una ridotta copertura nevosa può determinare a) sulla temperatura del suolo e di
conseguenza b) sulla dinamica degli elementi
nutritivi in pedoambienti alpini.
2. La neve e la temperatura del suolo
Numerosi studi hanno evidenziato che il manto
nevoso stagionale limita il congelamento del
suolo in relazione alla sua azione isolante. In
particolare un manto nevoso di sufficiente spessore (30-60 cm), accumulatosi presto nella stagione invernale è in grado di impedire il congelamento del suolo, indipendentemente dalla
temperatura dell’aria (Taylor e Jones, 1990;
Brooks et al., 1995; Stadler et al., 1996; Brooks
e Williams, 1999; Shanley e Chalmers, 1999). L’azione di riscaldamento deriva dall’elevato potere isolante del manto nevoso, in grado di rallentare il flusso geotermico (Cline, 1995). Il controllo della variabilità spaziale e temporale della relazione fra profondità del manto nevoso e
temperatura del suolo è però molto complesso
e dipende da diversi fattori quali la copertura
vegetale, la posizione topografica e le caratteristiche del suolo. Ad esempio Shanley e Chalmers (1999) hanno evidenziato che il congelamento del suolo nel corso dell’inverno è molto
più evidente nelle aree prive di copertura forestale rispetto alle aree boscate a causa del forte raffreddamento notturno che si verifica nel
tardo autunno, prima dell’accumulo del manto
nevoso. Gli stessi Autori hanno inoltre evidenziato che il maggiore accumulo di neve al suolo nelle foreste di specie caducifoglie contribuisce ad un minore raffreddamento del suolo rispetto alle foreste costituite da specie sempreverdi, dove l’accumulo di neve al suolo è maggiormente variabile.
La presenza di suoli non congelati al di sot-
Figura 1. Visione di una parcella sperimentale mantenuta
priva di neve nel corso della stagione invernale 2003-2004
in un lariceto localizzato a 1450 m slm (Riserva naturale
Mont Mars – Fontainemore, Aosta). I data loggers (UTL1) collocati negli orizzonti superficiali del suolo permettono la misura della temperatura con frequenza oraria.
Figure 1. Experimental plot where the snow cover has been
periodically shovelled during the winter season 2003-2004
under a Larch forest (Larix decidua) located at an elevation of 1450 m asl (Natural Reserve Mont Mars – Fontainemore, Aosta Valley, NW Italy). Data loggers (UTL-1) located in the soils at 10 cm depth recorded hourly soil temperature data.
to di manti nevosi stagionali è stata messa in
evidenza da numerosi ricercatori (e.g. Salisbury,
1985; Sommerfeld et al., 1993; Brooks et al.,
1993, 1996). Freppaz et al., 2001c hanno evidenziato che la temperatura del suolo è fortemente condizionata non solo dallo spessore del
manto nevoso e dal suo periodo di accumulo,
ma anche dalla densità. La conducibilità termica del manto nevoso, pari a 0.05 W m-1 K-1 per
neve fresca a bassa densità, aumenta infatti al
crescere della densità, fino a raggiungere valori
di 0.6 W m-1 K-1, con una conseguente significativa riduzione della sua azione isolante (Sturm
et al., 1997).
L’effetto della mancanza di neve sulla temperatura del suolo è stato valutato mediante numerose prove sperimentali, basate generalmente sul confronto delle temperature registrate all’interno di parcelle indisturbate e di parcelle in
cui la neve è invece stata rimossa, sia mediante
spalatura (e.g. Pilon et al., 1994; Groffman et al.,
1999, 2001; Decker et al., 2003; Freppaz et al.,
2005) (figura 1), sia mediante la costruzione di
apposite tettoie in grado di intercettare la precipitazione nevosa (e.g. Sulkava e Huhta, 2003).
579
Zanini E., Freppaz M.
Le ricerche hanno in genere evidenziato temperature del suolo significativamente inferiori
nelle parcelle a ridotta copertura nevosa, con un
incremento del numero dei cicli gelo/disgelo ed
un incremento della porzione superficiale di
suolo interessata dal congelamento (Robitaille,
1995; Moore e McKendry, 1996; Williams et al.,
1998; Boutin e Groffman et al., 1999, 2001;
Hardy et al., 2001).
Freppaz et al. (2005) hanno evidenziato in
un lariceto localizzato a 1.450 m slm nelle Alpi
Italiane Nord-Occidentali che la temperatura
degli orizzonti superficiali del suolo sotto un
manto nevoso di circa 60 cm è rimasta prossima agli 0 °C nell’intero corso della stagione invernale, indipendentemente dalla temperatura
dell’aria (figura 2). La mancanza di copertura
nevosa, asportata in alcune parcelle sperimentali, ha invece causato una significativa riduzione della temperatura del suolo, con valori prossimi ai -5 °C (figura 3). Nel corso della primavera gli orizzonti superficiali del suolo privo di
copertura nevosa si sono però riscaldati più velocemente rispetto alla parcella indisturbata, in
relazione all’azione della radiazione solare incidente.
Indipendentemente dalle tecniche adottate,
tutti gli studi riportati evidenziano come l’assenza di manto nevoso determini un significativo raffreddamento dei suoli nel corso dell’inverno, con valori di temperatura che possono
raggiungere i -5 – -10 °C e la notevole frequenza
di cicli gelo/disgelo, con potenziali effetti sulla
dinamica degli elementi nutritivi.
3. La neve e il ciclo degli elementi nutritivi del
suolo
La diffusa copertura nevosa e le basse temperature suggeriscono che l’attività biologica del
suolo sia bloccata nel corso della stagione invernale. In realtà la presenza di un consistente
manto nevoso accumulatosi presto nella stagione invernale isola il suolo dall’ambiente esterno (figura 2), impedendone il congelamento, e
determinando condizioni favorevoli all’attività
dei microrganismi del suolo (Massman et al.,
1995; Brooks et al., 1996; Hénault et al., 1998;
Saarnio et al., 1999; Teepe et al., 2001). In generale l’attività dei microrganismi del suolo può
continuare fino a quando vi è acqua disponibi-
580
Figura 2. Andamento della temperatura del suolo (topsoil)
con copertura nevosa registrato nel corso della stagione invernale 2003-2004 in un lariceto localizzato a 1450 m slm
(Riserva naturale Mont Mars – Fontainemore, Aosta).
Figure 2. Soil temperature at 10 cm depth under a consistent snow cover recorded during the winter season 20032004 in a Larch forest located at an elevation of 1450 m asl
(Natural Reserve Mont Mars – Fontainemore, Aosta Valley,
NW Italy).
le, generalmente fino a -5 °C (Clein e Schimel,
1995; Schimel et al., 1995), benché attività microbica sia stata osservata fino ad una temperatura di -6.5 °C (Coxson e Parkinson, 1987).
I microrganismi del suolo producono emissioni gassose attraverso una grande varietà di
processi, quali la respirazione e la denitrificazione (Granli e Bockman, 1994, Brooks et al.,
1997). Le emissioni gassose al di sotto del manto nevoso rappresentano una significativa percentuale delle emissioni annuali, pari a più del
20% nel caso della CO2 (Winston et al., 1995)
e circa il 50% nel caso dell’N2O (Brooks et al.,
1996). Alcuni Autori hanno registrato significativi rilasci di N2O nel corso dell’inverno sia in
ambienti alpini (Sommerfeld et al., 1993), sia in
ambienti subalpini (Mosier et al., 1993), paragonabili a quelli che si registrano nel corso dell’estate.
La respirazione microbica nel suolo al di sotto del manto nevoso ed il conseguente rilascio
di CO2 è stato osservato in aree umide del Nord
Europa, in ecosistemi della fascia subalpina e
nella tundra artica (Oechel et al., 1997; Mast et
al., 1998; Bubier et al., 2002). Kelley et al. (1968)
hanno misurato elevate concentrazioni di CO2
al di sotto di un manto nevoso in Alaska, così
come Zimov et al. (1993) che hanno evidenziato come le emissioni di CO2 al di sotto del manto nevoso nella taiga siberiana corrispondano al
20% della produzione annuale di C. Ne deriva
che tali rilasci di CO2 debbono essere inclusi nei
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:577-585
Figura 3. Andamento della temperatura del suolo (topsoil)
in assenza di copertura nevosa registrato nel corso della stagione invernale 2003-2004 in un lariceto localizzato a 1450
m slm (Riserva naturale Mont Mars – Fontainemore,
Aosta).
Figure 3. Soil temperature at 10 cm depth under a shallow
snow cover recorded during the winter season 2003-2004 in a
Larch forest located at an elevation of 1450 m asl (Natural
Reserve Mont Mars – Fontainemore, Aosta Valley, NW Italy).
modelli di calcolo dei flussi annuali globali di
carbonio, al fine di ottenere una stima più attendibile dei flussi di carbonio negli ecosistemi
alle latitudini boreali (Jones 1999; Schürmann et
al., 2002).
La mineralizzazione della sostanza organica
nel corso dell’inverno al di sotto di un cospicuo
manto nevoso determina la produzione di un
pool di azoto e fosforo inorganico prima del disgelo primaverile (Brooks et al., 1996, Freppaz
et al., 2001a, b), potenzialmente lisciviabile se
non sincronizzato con i processi di immobilizzazione microbica e di assorbimento radicale
(Jaeger et al., 1999), meccanismo alla base della conservazione degli elementi nutritivi negli
ecosistemi forestali (Bormann e Likens, 1979;
Mullen et al., 1998). La produzione invernale di
N nel suolo è generalmente superiore a quello
che deriva dalla fusione del manto nevoso, anche di quattro (Williams et al., 1995) – venti volte (Schimel et al., 1994), rispettivamente in suoli poco evoluti di un bacino alpino ed in suoli
artici.
I ritmi di decomposizione e mineralizzazione della sostanza organica possono accelerare
in seguito al congelamento del suolo a causa del
maggiore apporto di sostanza organica labile in
seguito a: 1) incremento della mortalità delle radici fini e della biomassa microbica (Biederbeck
e Campbell, 1971; Meyer et al., 1975; Morley et
al., 1983; Sakai e Larcher, 1987; Skogland et al.,
1988; Tierney et al., 2001; Freppaz et al., 2006);
2) distruzione meccanica degli aggregati di suolo (Soulides e Allison, 1961; Hinman e Frederick, 1968; Bullock et al., 1988); 3) frammentazione della lettiera.
L’incremento della mineralizzazione dell’azoto, unitamente al ridotto sviluppo di un’attiva biomassa microbica nel corso dell’inverno,
sono i meccanismi alla base dell’aumento delle
perdite di azoto da suoli di tundra alpina registrati da Brooks et al. (1996, 1998) in annate con
scarso accumulo di manto nevoso. Le temperature raggiunte nelle parcelle prive di neve sono
dell’ordine di -6, -10 °C e tali da limitare lo sviluppo di un’attiva comunità microbica nel suolo, comportando un incremento delle perdite di
azoto nitrico dal suolo durante il disgelo primaverile (Brooks a Williams, 1999), con importanti conseguenze sulla qualità dei corpi idrici
(Rascher et al., 1987; Boutin e Robitaille, 1995).
L’effetto sulla biomassa microbica è invece
più ridotto rispetto agli altri fattori quando l’azione dei cicli gelo/disgelo è meno intensa, con
temperature minime dell’ordine di -5 °C, come
osservato in suoli forestali mantenuti privi di
manto nevoso nel New Hampshire e nell’Italia
nord-occidentale (Groffman et al., 2001; Freppaz et al., 2005) (figura 3). In questi casi l’incremento della concentrazione di azoto inorganico nel suolo è spiegato da una riduzione dell’assorbimento radicale, danneggiato comunque
dall’azione del gelo (Tierney et al., 2001) e dall’esposizione di superfici di scambio prima non
disponibili, con il rilascio di forme di azoto organico di origine non microbica, successivamente mineralizzate (Hermann e Witter, 2002).
Ne deriva che l’assenza di manto nevoso influenza significativamente il ciclo degli elementi nutritivi del suolo nel corso dell’inverno e del
disgelo primaverile. Gli effetti, variabili in funzione delle temperature minime raggiunte, consistono generalmente in un incremento dei processi di lisciviazione ed un conseguente depauperamento del pool di elementi nutritivi del suolo ed un effetto sulla qualità dei corpi idrici.
4. Conclusioni
Un manto nevoso di sufficiente spessore accumulatosi presto nella stagione invernale è in
grado di isolare il suolo dall’ambiente circostante, originando un ambiente favorevole al-
581
Zanini E., Freppaz M.
l’attività microbica. La ridotta permanenza del
manto nevoso al suolo, come si potrà verificare
con sempre maggiore frequenza alle quote comprese fra i 1.200 e 1.500 m slm nell’arco alpino,
determina invece il congelamento del suolo, con
un incremento dei cicli gelo/disgelo e conseguenti effetti sulla vitalità delle radici, della biomassa microbica e sulla stabilità degli aggregati. Tutto ciò si traduce in un incremento della
mineralizzazione della sostanza organica, con la
possibile perdita dal suolo di forme di azoto
inorganico durante il periodo primaverile. Il
congelamento del suolo e l’incremento dei cicli
gelo/disgelo compromettono infatti il bilancio
fra i processi di mineralizzazione, immobilizzazione microbica e assorbimento radicale, meccanismo alla base della conservazione degli elementi nutritivi nei pedoambienti alpini.
Il cambiamento di regime delle precipitazioni nevose nelle Alpi può quindi avere un significativo effetto sul regime termico dei suoli e
conseguentemente sul ciclo degli elementi nutritivi. Le ricadute ambientali non possono che
essere valutate nel tempo, attraverso studi mirati, in grado di evidenziare gli effetti indiretti
del cambiamento climatico in atto sulle caratteristiche dei pedoambienti alpini.
Ringraziamenti
Riserva naturale Mont Mars, Fontainemore
(AO). Regione Autonoma Valle d’Aosta, Assessorato Agricoltura e risorse naturali, Servizio
Aree protette; Assessorato Territorio, ambiente
e opere pubbliche, Direzione Tutela del territorio – Ufficio Neve e valanghe. Marco Marchelli, Davide Viglietti ed Enrico Bruno, tesisti entusiasti e infaticabili “spalatori”.
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585
586
Agrometeorologia ed esigenze idriche delle colture
Luigi Mariani*, Gabriele Cola
Dipartimento di Produzione Vegetale, Università di Milano
Via Celoria 2, 20100 Milano
Associazione Italiana di Agrometeorologia
Riassunto
Scopo del lavoro è quello di descrivere il ruolo del tecniche agrometeorologiche per la gestione idrica delle colture fornendo anche alcuni significativi esempi del attività di ricerca e sviluppo in corso in tale settore. Dopo una discussione generale in merito all’importanza dell’acqua per le piante e l’ecosistema si passa a discutere gli aspetti
legati al bilancio idrico delle colture. Vengono altresì presentate alcune considerazioni in merito agli effetti del cambiamento climatico sul rifornimento idrico delle colture.
Parole chiave: agrometeorologia, bilancio idrico, cambiamento climatico, previsioni meteorologiche.
Summary
AGROMETEOROLOGY AND WATER NEEDS OF CROPS
This paper aims to present some agrometeorological methods useful for water management in agriculture discussing the existing technology and giving some insights about research and development activities in this field. After
a general discussion about the importance of water for plants and more generally for the ecosystem the agrometerological aspects of water balance are discussed and opportunities of use of forecasts are also presented. Some
effects of climatic change on water needs of crops are also discussed.
Key-words: agrometeorology, climatic change, water balance, weather forecast.
1. Introduzione
L’agrometeorologia è una disciplina applicata
che si occupa di ecosistemi agricoli e forestali
analizzando in particolare i legami causali fra
variabili guida atmosferiche (radiazione, temperatura, umidità, vento, precipitazione, ecc.) e sistemi biologici (colture e specie forestali in primis) (Mariani, 2002).
Nella nostra materia esistono stretti legami
fra attività operative di servizio, attività di ricerca e sviluppo, attività di insegnamento, formazione ed aggiornamento, attività industriali e
utenza agricola. In particolare le attività operative di servizio vedono una struttura nazionale
di riferimento (l’Ufficio Centrale di Ecologia
Agraria del CRA) ed una serie di servizi ope-
*
rativi in ambito regionale e locale; le attività di
ricerca e sviluppo coinvolgono varie strutture
fra cui Università e Consiglio Nazionale delle
Ricerche, le attività di insegnamento, formazione ed aggiornamento si svolgono in prevalenza
in ambito universitario; inoltre alcune attività
relative ad ambiti specifici sono condotte dall’Aiam; infine le attività industriali vedono attive le industrie produttrici di sistemi e di strumenti di misura. L’utenza agricola è un bacino
assai vasto e diversificato che utilizza prodotti
agrometeorologici, dai dati alle previsioni ai bollettini informativi.
Le norme tecnico-operative che regolano le
attività agrometeorologiche a livello di servizio
sono fissate dall’Organizzazione Meteorologica
Mondiale (Word Meteorological Organisation –
Autore corrispondente: tel.: +39 02 50316587; fax: +39 02 50316575. Indirizzo e-mail: luigi.mariani@unimi.it
587
Mariani L., Cola G.
WMO) e dalla FAO. In particolare le normative WMO sono raccolte nella guida n. 134
(WMO, 1981), la quale è attualmente in fase di
revisione da parte di un gruppo di lavoro internazionale. Maggiori notizie su tale attività sono disponibili al sito dell’International Society
of Agricultural Meteorology – INSAM (http://
www.agrometeorology.org/). Fondamentale per
quanto attiene alle normative di settore è anche la guida alla strumentazione meteorologica
ed ai metodi di osservazione (WMO, 1996).
2. Agrometeorologia e ciclo dell’acqua
Fra gli scopi principali dell’agrometeorologia vi
è lo studio del ciclo dell’acqua nella sua frazione atmosferica e terrestre. La colonizzazione
delle terre emerse da parte delle piante avvenne molti milioni di anni fa (le prime piante vascolari sono del tardo siluriano – circa 420 milioni di anni fa – mentre nel Devoniano comparvero alcuni caratteri moderni quali gli stomi
con celle di guardia), attivando quello che può
essere a giusta ragione considerato come il “segmento mancante” del ciclo dell’acqua e cioè il
trasferimento dal suolo all’atmosfera (Boyce et
al., 2003; Kar, 2003).
Le piante, assorbendo acqua dal terreno e
cedendola all’atmosfera, ottengono grandi vantaggi in termini di omeostasi (stabilità del contenuto idrico dei diversi organi), di termoregolazione, di assorbimento di sostanze nutrienti
dal terreno e di possibilità di svolgere fotosintesi. Inoltre con la loro attività arricchiscono di
vapore acqueo l’atmosfera, ove tale gas svolge
due ruoli chiave a livello climatico globale:
– quello di vettore energetico, in grado di assorbire energia da grandi superfici tramite i
cambiamenti di stato e di liberare poi l’energia stessa in modo concentrato nelle aree
interessante da precipitazioni;
– quello di principale gas serra, responsabile in
larga misura di quel meraviglioso fenomeno
in virtù del quale la temperatura media di
superficie della terra risulta di 13 °C anziché
di -17 °C, rendendo il pianeta abitabile dagli
esseri viventi. Per una stima basata del peso
del vapore acqueo come gas serra occorre
premettere che ogni stima sull’importanza
relativa dei diversi gas in termini di effetto
serra è inficiata dal fatto che i diversi gas as-
588
sorbono radiazione a onda lunga secondo
peculiari bande che risultano in parte sovrapposte. Un modo ragionevole per affrontare il problema può essere dunque quello
proposto da Ramanathan e Coakley (1978)
e che si basa sull’utilizzo di un modello matematico per evidenziare cosa accadrebbe
sottraendo all’atmosfera un gas alla volta. In
tal modo si può dedurre che il 64% della radiazione a onda lunga emessa dalla Terra
viene intrappolata dal vapore acqueo, il 14%
dalle nubi (anch’esse in larghissima misura
composte d’acqua), il 12% da CO2 ed il 3%
da O3.
3. Esigenze idriche delle colture e prospettive
globali dell’agricoltura
Una chiave di lettura forte del concetto di “gestione idrica delle colture agrarie” ci viene da
una visione del contesto globale in cui oggi si
svolge l’attività agricola. Negli ultimi cinquant’anni la popolazione mondale è triplicata
passando da 2,5 miliardi del 1950 a 6,7 miliardi
di esseri umani odierni. Fatto ovvio, ma non a
tutti evidente, è che l’agricoltura, per reggere il
passo della crescita della popolazione, ha dovuto anch’essa triplicare le rese (ad esempio la
produzione italiana di frumento è passata dai 17
q per ettaro dei primi anni Cinquanta ai 50 q
degli anni intorno al 2000). Tale massiccio incremento quantitativo, noto come rivoluzione
verde, è stato in genere accompagnato da un miglioramento qualitativo delle produzioni; ad
esempio la qualità dei frumenti per la panificazione o per la pasta è oggi assai più stabile ed
elevata di quanto non fosse cinquant’anni orsono (Dexter e Marchylo, 2002).
La rivoluzione verde ha costretto il settore
agricolo a pagare gravi prezzi in termini di degradazione del suolo, di desertificazione, di erosione genetica e perfino di perdita d’identità
culturale. Per di più i cambiamenti non sono da
ritenere conclusi, in quanto per il 2050 è attesa
una popolazione di 9 miliardi di esseri umani,
peraltro soggetti ad un sempre più massiccio
inurbamento, il che richiederà un’ulteriore, sensibile evoluzione nel modo di fare agricoltura.
In particolare si imporranno ancora di più le
istanze di globalizzazione, con la necessità di ga-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:587-602
rantire grandi masse di produzione cui saranno
soprattutto chiamati i paesi detentori di terre di
buona qualità (Europa, Asia e Nord America in
primis).
In tale quadro è cruciale la disponibilità di
informazioni in grado di orientare verso un uso
razionale dell’acqua (Cavazza, 2003). Ciò può essere ottenuto mettendo a disposizione dati meteorologici pregressi, attuali e previsti di buona
qualità e prodotti con continuità. Tali dati sono
importanti di per sé per orientare le decisioni
strategiche (quelle che impegnano l’azienda per
uno o più anni, come ad esempio la progettazione delle reti irrigue) e tattiche (quelle del giorno
per giorno, come ad esempio la decisione su
quando irrigare e quant’acqua distribuire).
Un primo dato importante per orientare le
decisioni strategiche in ambito irriguo è costituito dalla produttività dell’acqua per le colture irrigue, che costituisce un’interessante indicatore per stime sintetiche di produzione. Senza trascurare il classico lavoro di Manzoni e
Puppo (1943) è oggi opportuno considerare i
dati assai più recenti riportati da Doorenbos e
Kassam (1979) e nella review di Zwart e Bastiaanssen (2004).
Al tema dell’efficienza irrigua afferiscono sia
lavori di analisi in aree agricole di grande rilevanza globale (Xi-Ping Deng, 2006; Ravelli e
Rota, 1999) sia lavori che mirano a valutare le
opportunità di crescita della produzione tramite azioni specifiche sulla fisiologia e sulle agrotecniche (Singlers et al., 2005).
È naturale attendersi che le condizioni economico-produttive dei prossimi anni portino a
ripensare in modo complessivo la struttura e la
dimensione delle aziende agrarie; tale revisione
dovrà necessariamente essere condotta anche
alla luce delle caratteristiche del clima, in virtù
ad esempio dell’inscindibile rapporto fra clima
e sistemazioni idraulico-agrarie (Bonciarelli,
1978).
Altri problemi che si stanno facendo sempre
più urgenti, in particolare nelle regioni sviluppate, sono da un lato la gestione della risorsa
idrica in agricoltura a fronte di usi concorrenti
della stessa da parte dei settori extra-agricoli e
dall’altro la gestione dei problemi di degrado
ambientale che possono derivare dall’uso irrazionale di tale risorsa. Un esempio di analisi relativo agli Stati Uniti d’America è riportato da
Hauer e Lorang (2004).
Da rilevare infine che in un contesto agricolo che mira a produzioni sempre più elevate
resterà ovviamente spazio per i prodotti d’elite,
alle cui esigenze di sempre maggiore qualificazione vengono incontro le tecniche agrometeorologiche che permettono di valutare da un lato le peculiarità dei diversi areali produttivi in
termini di vocazionalità e dall’altro l’influenza
dell’andamento di un’annata agraria su quantità
e qualità delle produzioni (WMO, 2005). Anche
in questo caso la gestione dell’acqua assume un
ruolo cruciale come determinante della qualità
dei prodotti.
4. Il bilancio idrico e le sue variabili guida meteorologiche
Il bilancio idrico è un bilancio di massa fra apporti (precipitazione, irrigazione e risalita di falda) e perdite (evapotraspirazione, ruscellamento, infiltrazione) riferito al serbatoio terreno
(Cavazza e Patruno, 2005). A seconda della scala di applicazione potremo avere bilanci di campo (microscala in termini meteorologici) ovvero bilanci territoriali (meso e macrocala). Esempi applicativi di bilanci idrici territoriali sono ad
esempio proposti da Ravelli e Rota (1999).
In questa sede trascureremo gli aspetti di fisica del terreno per dedicarci alle sole variabili
guida meteorologiche ed in particolare alle precipitazioni ed alle variabili da cui dipende l’evapotraspirazione delle colture (radiazione, temperatura, umidità relativa e vento).
Da rilevare per scopi di bilancio idrico aziendale alcune misure meteorologiche dovrebbero
essere condotte a livello aziendale, pena una
sensibile perdita di accuratezza. In particolare ci
riferiamo alle misure di precipitazione, grandezza affetta da considerevole variabilità a livello di microscala. Ciò non sminuisce affatto il
ruolo dei servizi agrometeorologici, impegnati a
mantenere attive reti di misura che consentano
di disporre di dati di buona qualità e con valenza generale, utilizzabili ad esempio per bilanci idrici a livello territoriale. Per quest’ultimo scopo si rivelano utili non solo le reti di stazioni meteorologiche meccaniche o automatiche
ma anche strumenti più sofisticati come i radar
meteorologici. Utili si rivelano pure le strategie
di controllo di qualità dei dati meteorologici
(Rana et al., 2004) e quelle volte ad utilizzare
589
Mariani L., Cola G.
strati informativi prodotti con strumenti diversi
(radar, satelliti, reti di stazioni, sistemi di monitoraggio dei fulmini, ecc.) utilizzati in modo
complementare.
Da segnalare anche i progressi nella messa
a punto di modelli per la ricostruzione di dati
meteorologici mancanti, modelli che sono ovviamente utilizzabili anche in sede di controllo
di qualità dei dati misurati. Ad esempio si segnalano le seguenti tipologie di modelli:
– modelli per la ricostruzione di variabili meteorologiche a partire da altre variabili meteorologiche ad esse correlate. Fra tale metodi si segnalano ad esempio quelli che a
partire dai dati giornalieri di temperatura
minima e massima generano dati giornalieri
di umidità relativa minima e massima (Benincasa et al., 1991; Mc Vicar e Jupp, 1999)
o di radiazione solare globale (Bechini et al.,
2000; Donatelli et al., 2003; Pammoli e Marletto, 2005);
– modelli di disaggregazione per la ricostruzione di dati giornalieri a partire da dati
mensili e di dati orari o suborari di precipitazione a partire da dati giornalieri (Conolly et al., 1998; Dunn, 2004);
– modelli geostatistici per la spazializzazione
di dati di interesse agrometeorologico (Bolstacf et al., 1998; WMO, 2005);
– modelli micrometeorologici per la ricostruzione degli andamenti delle diverse variabili
all’interno del boundary layer e della canopy
(Rana e Cellier, 1994; Lhommea e Guilioni,
2004; Acutis et al., 2005; Confalonieri et al.,
2005; Mariani et al., in corso di stampa).
Una variabile chiave per il bilancio idrico è
costituita dall’evapotraspirazione. Per le attività
operative di stima di tale grandezza un punto
fisso è oggi costituito dal quaderno FAO n. 56
(Allen et al., 1998) che indica, documentandoli
in modo assai ben dettagliato, alcuni metodi
standard per la stima ed in particolare l’equazione di Penman Monteith, l’equazione di Hargreaves e Samani e l’evaporimetro di classe A.
In tale settore è inoltre da segnalare una vivace attività di ricerca riferita al metodo di Penman Monteith (Allen et al., 2006), all’impiego
di metodi micrometeorologici (Rana et al., 1990;
Benincasa e Rana, 1992) ed all’impiego di atmometri (Magliulo et al., 2003).
Il confronto fra i risultati ottenuti con i diversi metodi di stima è tuttora oggetto di sva-
590
riate attività di ricerca così come sono oggetto
di studio i consumi idrici di singole colture erbacee (Rana et al., 2001; Rinaldi e Rana, 2004)
e arboree (Rana et al., 2005). L’efficacia dei metodi di stima viene in genere verificata tramite
misure ponderali, con lisimetri a pesata ovvero
con TDR (Mastrorilli et al., 1998).
La determinazione del consumo idrico in
colture soggette a stress è un altro settore in cui
sono in atto svariate attività di ricerca (Rana et
al., 1997; Steduto et al., 1997; Rana et al., 2004).
Da registrare infine il sempre più frequente
ricorso al remote sensing per la stima dell’evapotraspirazione (Courault et al., 2005). In tale
ambito gli approcci empirici, basati su dati da
aereo o dati NOAA, considerano come input i
dati di LAI oppure le caratteristiche di albedo
ed emissività delle superfici mentre gli approcci meccanicistici si basano in genere sulla soluzione dell’equazione del bilancio energetico di
superficie considerando come variabile indipendente l’evapotraspirazione della coltura.
Da segnalare anche il crescente uso di tecniche di remote sensing per il calcolo dei coefficienti colturali necessari per la stima dell’evapotraspirazione massima a partire dai valori di
evapotraspirazione da coltura di riferimento
(Allen et al., 2005; Garatuza e Watt, 2005; Neale et al., 2005).
5. I modelli operativi di bilancio idrico e il loro
possibile uso in sede previsionale
Gli ultimi anni hanno visto da parte di diversi
servizi agrometeorologici italiani l’attivazione di
modelli di bilancio idrico in grado di fornire agli
utenti indicazioni circa le necessità irrigue delle loro colture.
In tabella 1 sono elencati alcuni dei modelli operativi oggi disponibili insieme alle modalità di accesso da parte degli utenti. Fra le iniziative in fase sperimentale citiamo inoltre quella lanciata dai colleghi Giambattista Toller ed
Andrea Cicogna e che propone un formato
standard per la messa a disposizione dei gestori di impianti di irrigazione automatici dei dati
agrometeorologici generati da reti regionali o
locali (Toller e Corradini, 2006). Tale iniziativa
sfrutta le potenzialità della telematica per realizzare un servizio con ricadute potenziali notevolissime e coinvolge attualmente i servizi agro-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:587-602
Tabella 1. Esempi di modelli di bilancio idrico operativi presso i servizi agrometeorologici in Italia.
Table 1. Examples of water balance models operated by agrometeorological services in Italy.
Modello
Regione e Servizio
che lo gestisce
Anno di
attivazione
Modalità di accesso
da parte degli utenti
Riferimento
bibliografico
Criteria
Emilia Romagna
ARPA – SIM
-
Output del modello
diffusi dal sito del
servizio
Marletto et al., 2005
Irriguida
Abruzzo – ARSSA
Servizio Agrometeorologico
2002
Programma installabile Acutis et al., 2001;
su personal computer
Quaglietta Chiarandà
et al., 2001
Irriweb Basilicata
Basilicata – ALSIA
(Agenzia Lucana
Sviluppo e Innovazione
in Agricoltura)
2002
Internet e sms
Scalcione et al., 2006;
Giannerini, 1993 e 2004
Irrinet Sardegna
Consorzio SAR
(Servizio Agrometeorologico
per la Sardegna)
1998
Internet
Fiori et al., 1998; Fiori,
2005
Servizio Irriguo
Guidato alle
Aziende
ARPA – Friuli Venezia
Giulia
1994
E-mail
Cicogna et al., 1994;
Danuso et al., 1994
Servizio Irriguo
ARPA – Friuli Venezia
Guidato Territoriale Giulia
1997
Irriweb Veneto
ARPAV, Centro Meteo
di Teolo, Unità Operativa
di Agro-Biometeorologia
2005
Internet, sms
Giannerini, 1993 e 2004
Prodotti per
l’assistenza
all’irrigazione
ARSSA Calabria
2006
Internet
Caterisano,
comunicazione
personale
Irrisias
Regione Siciliana – SIAS
2004
Internet
Drago et al., 2003
Irrinet
Regione Emilia-Romagna
1999
– Consorzio di Bonifica
di secondo grado per il
Canale Emiliano-Romagnolo
meteorologici di Trentino, Friuli Venezia Giulia
ed Emilia Romana.
Abbiamo visto che le principali variabili guida dei modelli di bilancio idrico sono variabili
meteorologiche. Tali variabili sono oggetto di diverse tipologie di previsioni (WMO, 2001; Coiffier, 2004; Deutscher Wetterdienst, 2004): nowcasting, a breve termine, a medio termine e a
lungo termine. Per la definizione di tali tipologie e per le relative caratteristiche in termini di
accuratezza e utilità si rinvia alle tabelle 2 e 3.
Mentre le previsioni a lungo termine, salvo
casi particolari che non riguardano la nostra
area (Adams, 2003; ECMWF, 2005), sono oggi
da considerare come sperimentali e non ancora
passibili di impiego operativo, possiamo invece
affermare che nel breve e nel medio termine, fino a 5-7 giorni in avanti rispetto alla previsio-
Gani et al., 2000
Internet, sms, chiamata
esterna ad url
predefinita
ne, i dati previsti di temperatura, precipitazione,
vento e radiazione presentano un’accuratezza
tale da poter essere utilizzati come input per
modelli di bilancio idrico, il che offre oggi la
possibilità dell’uso di tali modelli in sede previsionale (Friesland et al., 1998).
In tali operazioni esiste un problema di gap di
scale (le piante agiscono alla microscala, mentre i
modelli forniscono prodotti utili alla mesoscala, e
cioè con pixel dell’ordine dei 5-40 km). Il gap esistente fra meso e microscala viene oggi superato
sia utilizzando modelli previsionali ad area limitata (LAM) sia impiegando modelli statistici di tipo MOS (Model Output Statistics) in grado di
adattare allo strato limite rurale gli output dei modelli previsionali numerici (Dobesch et al., 1993).
Un altro problema che si osserva in relazione
ai prodotti previsionali è la necessità di disporre
591
592
Definizione
Descrizione del
tempo presente e
previsione fino a
2 ore dall’emissione
Previsone fino a
12 ore dall’emissione
Descrizione delle
variabili meteorologiche da 12 a
72 ore
Acronimo
NC
VSRF
(Very Short
Range
Forecast)
SRF
(Short
Range
Forecast)
Tipo di
previsione
Nowcasting
Previsione
a brevissimo
termine
Previsione
a breve
termine (*)
Table 2. Types of weather forecast.
Tabella 2. Tipi di previsioni meteorologiche.
Tecniche di analisi, estrapolazione
di traiettorie, modelli empirici, metodi empirici frutto dell’esperienza
del previsore. L’informazione di
base è costituita dai dati prodotti
da reti di stazioni automatiche, da
mappe radar, da immagini da satelliti meteorologici, da sistemi di
monitoraggio dei fulmini, da osservazioni locali, ecc.)
Tecnologia predominante
Interpretazione di dati previsti e
Un set di variabili relativamen- Interpretazione di dati previsti e
te completo (vedere nowca- mappe da NWP (LAM e GM),
modelli empirici, metodi empirici
sting)
frutto dell’esperienza del previsore. L’informazione di base è costituita dai dati prodotti da reti di
stazioni automatiche, da mappe radar, da immagini da satelliti meteorologici, da modelli NWP, da osservazioni regionali e locali, ecc.)
Un set di variabili relativamente Tecniche di analisi, estrapolazione
di traiettorie, interpretazione di
completo (vedere nowcasting)
dati e mappe previste da modelli
NWP (LAM o GM), metodi empirici frutto dell’esperienza del previsore. L’informazione di base è
costituita dai dati prodotti da reti
di stazioni automatiche, da mappe
radar, da immagini da satelliti meteorologici, da modelli NWP, da osservazioni regionali e locali, ecc.)
Un set di variabili relativamente completo (temperatura dell’aria, umidità relativa, velocità e
direzione del vento, radiazione
solare, precipitazione (quantità
e tipo), nuvolosità (livello di copertura e tipo di nubi, ecc.)
Tecniche di analisi, estrapolazione di traiettorie, modelli empirici, metodi empirici frutto dell’esperienza del previsore. L’informazione di base è costituita dai
dati prodotti da reti di stazioni
automatiche, da mappe radar, da
immagini da satelliti meteorologici, da sistemi di monitoraggio
dei fulmini, da osservazioni locali, ecc.)
Caratteri dell’output
Nel SRF l’attenzione si concentra sulle caratteristiche a mesoscala dei differenti campi meteorologici. Le SRF possono essere diffuse attraverso una vasta gamma di media (quotidiani, radio, Tv, web, etc.) e deve
rappresentare un’informazione
fondamentale per gli agricoltori
Un fondamentale pre-requisito
per VSRF è la disponibilità di
un sistema efficiente di diffusione dell’informazione (esempio: la previsione di gelate
dev’essere diramata ai produttori in modo tempestivo per
permettere l’attivazione dell’irrigazione climatizzante)
Un fondamentale pre-requisito
per NC è la continuità operativa e la disponibilità di un sistema efficiente di diffusione dell’informazione (esempio: l’individuazione di temporali molto
intensi con grandine che interessano una data area deve essere seguita da un’informazione
continua per gli utenti finali
Altri aspetti
Risoluzione temporale tipica: 6 ore; Risoluzione spaziale tipica
è la mesoscala alfa o
beta (2000-20 km)
Risoluzione temporale tipica: 1-3 ore; Risoluzione spaziale tipica è la mesoscala
beta (200-20 km)
Risoluzione temporale tipica: un’ora; Risoluzione spaziale tipica
è la mesoscala gamma
(20-2 km)
Risoluzione spaziotemporale dei prodotti
più caratteristici
Mariani L., Cola G.
Descrizione delle
variabili meteorologiche da 72 a
240 ore
MRF
(Medium
Range
Forecast)
LRF
(Long
Range
Forecast)
Previsione
a medio
termine (*)
Previsione
a lungo
termine
Tecnologia predominante
Previsione di norma ristretta ad
alcune variabili fondamentali
(temperatura e precipitazione).
Altre variabili come vento, umidità relativa e contenuto idrico
del suolo sono a volte diffuse.
L’informazione può essere espressa come valori asoluti ovvero in termini d anomalie.
Metodi statistici (es: teleconnessioni) e NWP. L’accoppiamento dei
modelli atmosferici con modelli
circolatori oceanici è in vari casi
adottato per migliorare la qualità
dei prodotti a lunga scadenza
Un set di variabili relativamente mappe da NWP (GM), metodi empirici frutto dell’esperienza del
completo (vedere nowcasting)
previsore. L’informazione di base è
costituita dai dati dei modelli
NWP. Tecniche di “ensemble forecasting” sono adottabili con lo scopo di superare il problema dell’abbassamento con il tempo del
potere previsionale dei modelli
NWP. Anziché utilizzare un solo
output del modello si eseguono
molte run con condizioni iniziali
leggermente differenti. Si crea così la media e la deviazione standard delle varie previsioni ottenute. Tali prodotti forniscono un’idea
più realistica dei livelli di incertezza che si celano nelle uscite dei
modelli numerici
Caratteri dell’output
A volte si considera una previsione a scadenza estesa (ERF),
che va da 10 a 30 giorni
Nelle MRF l’attenzione è centrata sui caratteri sinottici delle
differenti variabili strutture meteorologiche. Le MRF possono
essere diffuse attraverso una vasta gamma di media (qutidiani,
radio, Tv, web, etc.) e deve rappresentare un’informazione fondamentale per gli agricoltori
Altri aspetti
Tipica risoluzione temporale di 1 settimana
/ 1 mese; tipica risoluzione spaziale dell’ordine della macroscala
beta (10.000-2.000 km)
Risoluzione temporale tipica: 12-24 ore;
Risoluzione spaziale
tipica è la mesoscala
alfa (2000-200 km)
Risoluzione spaziotemporale dei prodotti
più caratteristici
(*) Di recente si osserva il convergere tra SRF MRF verso un solo tipo di previsione, in virtù del fatto che il modelli di previsionali numerici (Numerical Weather Prediction models –
NWP) sono alla base tanto delle SRF che delle MRF. Sarebbe forse più corretto distinguere fra previsioni basate tanto su modelli globali (GM) che su modelli d area limitata (LAM) e
previsioni basate sui soli modelli globali (GM), tenendo in considerazione il fatto che i GM forniscono previsioni fino a 7-15 giorni dall’emissione e con pixel dell’ordine del mezzo grado
di latitudine/longitudine mentre i LAM forniscono previsioni fino a 72 ore dall’emissione e con pixel dell’ordine dei 10 x 10 km o meno.
Da 12-30 giorni
a 2 anni
Definizione
Acronimo
Tipo di
previsione
Table 2. Types of weather forecast.
Tabella 2. Tipi di previsioni meteorologiche.
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:587-602
593
Mariani L., Cola G.
Tabella 3. Accuratezza, utilità per gli agricoltori e principali limitazioni dei diversi tipi di previsioni meteorologiche.
Table 3. Accuracy, usefulness for farmers and main limitations for different types of weather forecasts.
Tipo di previsione
Accuratezza (*)
reale
Utilità
potenziale
Principali limitazioni
Nowcasting
Molto alta
Molto bassa
Moderata
Il sistema di diffusone è inadatto; la flessibilità
delle tecnologie agricole è insufficiente
Previsione
a brevissimo
termine
Molto alta
Bassa
Alta
Il sistema di diffusione è inadatto; la flessibilità
delle tecnologie agricole è insufficiente; l’agricoltore non conosce come fare un uso efficace
di tali prodotti
Alta
Molto alta
È auspicabile un ulteriore adattamento delle
previsioni alle esigenze degli agricoltori; l’agricoltore non conosce come fare un uso efficace
di tali prodotti
Previsione a
Alta o moderata Moderata
medio termine fino a 5 giorni;
più bassa in
seguito
Molto alta
È auspicabile un ulteriore adattamento delle
previsioni alle esigenze degli agricoltori;
l’agricoltore non conosce come fare un uso
efficace di tali prodotti
Previsione a
Molto bassa
lungo termine
Alta
L’efficacia delle LRF è più alta ai tropici che
ala medie latitudini. Ciò perché le aree tropicali
hanno una discreta quantità di segnale prevedibile mentre alle medie latitudini le fluttuazioni
casuali del tempo sono di norma più ampie della componente prevedibile
Previsione a
Alta
breve termine
Molto bassa
(*) Giudizio soggettivo di un previsore che opera alle medie latitudini. La valutazione è riferita alla copertura nuvolosa, alla temperatura dell’aria ed al verificarsi di precipitazione.
di dati in merito alla qualità dei prodotti stessi, in
modo tale da utilizzare solo prodotti di qualità
sufficiente. Da questo punto di vista occorre segnalare che mentre le tecniche di controllo di
qualità dei dati sono in progressivo miglioramento (Thornes e Stephenson, 2001) sarebbe quantomai auspicabile poter disporre di statistiche di
qualità per i prodotti operativi emessi dai servizi
meteorologici nazionali e locali. Su quest’ultimo
aspetto occorre da un lato sensibilizzare gli utenti, i quali dovrebbero assumere un atteggiamento
più cauto nei confronti della qualità dei prodotti
previsionali utilizzati, e dall’altro i produttori di
informazione. A titolo di esempio si segnala che
il Servizio Meteorologico dell’Emilia Romagna
pubblica da qualche tempo su web le verifiche di
qualità delle previsioni di temperatura e precipitazione (http://www.arpa.emr.it/smr/pagine/sapernedipiu/verifica/#precipitazioni).
6. Cambiamento climatico ed effetti sul rifornimento idrico delle colture
Lo studio dell’andamento del clima nell’area
euro-mediterranea dalla fine dell’ultima era gla-
594
ciale, condotto per lo più tramite l’analisi di
proxy data, mostra che il cambiamento è una
delle caratteristiche chiave del nostro clima, tanto che a livello storico il cambiamento può essere considerato sostanzialmente la norma e la
storia della civiltà umana potrebbe essere letta
come storia dei tentativi dell’uomo di affrancarsi dalla “dittatura del clima” (Mariani, in corso di stampa). Verso un tale obiettivo la civiltà
umana ha compiuto passi notevoli, specialmente nei Paesi sviluppati, tant’è vero che ad esempio in Europa le ultimi morti in massa per fame dovute a cause climatiche risalgono al 1740
(Leroy Ladurie, 2004).
Nonostante tutti gli sforzi compiuti le condizioni socio-economiche sono tuttavia tali da
indurre ancor oggi un’elevata sensibilità dei nostri sistemi agricoli alle avversità climatiche, siccità in primis. Da ciò deriva l’utilità delle iniziative di analisi, monitoraggio e previsione delle
condizioni di siccità e del rischio di desertificazione che a tali condizioni risulta almeno in parte connesso (Puigdefabregas, Mendizabal, 1997;
Mariani, 2002). Tali iniziative sono coordinate dalle Nazioni Unite attraverso l’U.N. Convention to
Combat Desertification (UNCCD), e mirano a
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:587-602
stimolare attività più specifiche a livello di singole nazioni.
Una review circa i trend storici delle variabili di interesse idrogeologico (precipitazione,
ruscellamento, vapore acqueo troposferico, umidità del suolo, bilancio di massa dei ghiacciai,
evaporazione, evapotraspirazione e lunghezza
della stagione di crescita) è stata di recente presentata da Huntington (2005). Pur nell’incompletezza in termini spaziali e temporali dei dati disponibili posta in evidenza dallo stesso autore, le informazioni raccolte lo spingono a propendere per l’intensificazione del ciclo dell’acqua e ad evidenziare altresì l’assenza di trend
particolari per quanto concerne le tempeste tropicali e le alluvioni.
A livello globale è da tempo evidente lo
strettissimo legame esistente fra il clima e la circolazione, che ha le sue radici nel fatto che la
circolazione è lo strumento attraverso il quale
il sistema climatico riequilibria gli scompensi
energetici a tutte le scale. In particolare la circolazione atmosferica a macroscala è responsabile
dell’80% dello scambio energetico fra basse e alte latitudini e quella oceanica del restante 20%,
il che porta ad affermare che parlare di clima e
cambiamento climatico senza considerare la circolazione atmosferica è come per un medico parlare di fisiologia umana senza considerare la circolazione sanguigna. Ciò giustifica l’interesse per
gli studi legati al rapporto fra circolazione e variabili meteorologiche al suolo (tabella 4).
Da tali studi emerge che l’area europea è
stata interessata sul finire degli anni Ottanta del
XX secolo da un cambiamento climatico che si
è tradotto in un aumento delle temperature e
dell’evapotraspirazione accompagnata, per l’area italiana, dal calo delle precipitazioni in particolare nei mesi invernali, primaverili ed estivi.
Con riferimento a molte variabili di interesse
Tabella 4. Alcuni indici circolatori e relativi effetti sulle condizioni meteorologiche al suolo.
Table 4. Some circulation indexes and their effects on surface meteorological conditions.
Indice
Significato
Effetti a livello euro-mediterraneo
NAO (North Atlantic
Oscillation)
Indice che esprime l’intensità
delle Grandi Correnti Occidentali (a NAO invernale molto positivo corrisponde una circolazione da ovest molto accentuata)
L’anomalia positiva del NAO invernale (situazione in atto dal 1989) provoca per l’area Mediterranea un’anomalia termica positiva e una anomalia precipitativa negativa, per il Nord Europa un’anomalia termica e precipitativa positiva.
AO (Artic Oscillation)
Esprime la robustezza del vortice circumpolare che si traduce
nella robustezza delle Grandi
Correnti Occidentali.
L’anomalia positiva di tale indice corrisponde all’anomalia positiva del NAO, pertanto i due indici (NAO e MO)
sono utilizzabili in modo relativamente intercambiabile. In
altri termini (Wallace, 2000) NAO e AO rappresentano lo
stesso fenomeno visto da due punti di vista diversi.
ENSO (El Nino Southern Oscillation)
Indice che esprime l’anomalia Gli effetti più eclatanti riguardano la fascia intertropicaciclica della temperatura del Pa- le anche se influenze discernibili si hanno anche sul clicifico che ha pesanti ripercus- ma delle medie altitudini
sioni sulla circolazione globale
Tipi di tempo al suolo
o in quota
Individuazione dei tipi di circo- Esempi di questi tipi di analisi sono i tipi circolatori di
lazione che agiscono su aree più Lamb per l’area britannica o i tipi circolatori a 850 hPa
o meno ampie
per l’area italiana. Si pensi ad esempio all’importanza per
il Nord Italia legata alla conoscenza di frequenza, persistenza e variabilità interannuale dei giorni con Foehn o
con ciclone di Genova o con anticiclone africano
Climatologia delle masse d’aria
Riconoscimento dei diversi tipi Per le medie latitudini questi studi sono interessanti in
di masse d’aria che insistono su virtù delle peculiarità delle diverse masse d’aria (artiche,
un certo territorio ed elabora- polari, subtropicali)
zione di statistiche specifiche
Studio di traiettorie
delle strutture meteorologiche
Studio dei tracciati di strutture Questi studi sono interessanti in quanto consentono di
meteorologiche quali depressio- cogliere la variabilità spazio-temporale di tali traiettorie
ni chiuse, saccature, anticicloni cogliendo i possibili effetti sulle aree interessante
595
Mariani L., Cola G.
Precipitazione annua (mm)
1600
1400
1200
1000
800
Figura 1. Precipitazioni totali annue – Milano Linate, 19512005.
Figure 1. Yearly precipitation – Milano Linate, 1951-2005.
a 150 mm. Per ragioni di semplicità si è considerato nullo il ruscellamento mentre l’eccesso
idrico rispetto all’AWC è stato considerato perso per infiltrazione.
In complesso l’equazione di bilancio utilizzata è stata:
CIm+1 = CIm+RR-ETM
la quale afferma che il contenuto idrico al mese m+1 (CIm+1) è pari al contenuto idrico al mese m più la precipitazione RR meno l’evapotraspirazione massima ETM. Il deficit pluviometrico annuo è stato quindi ottenuto cumuETM annua (mm)
850
830
810
790
770
750
730
710
690
2005
Figura 2. Evapotraspirazione massima annua – Milano Linate, 1951-2005.
Figure 2. Yearly values of Maximum Evapotranspiration –
Milano Linate, 1951-2005.
Table 5. Monthly crop coefficients adopted for the water balance.
596
2003
2001
1999
1997
1995
1993
1991
1989
1987
1985
1983
1981
1979
1977
1975
1973
1971
1969
1967
1965
1963
1961
1959
1957
1955
650
1953
670
Tabella 5. Coefficienti colturali mensili adottati per il bilancio idrico.
Kc
2005
2003
2001
1999
1997
1995
1993
1991
1989
1987
1985
1983
1981
1979
1977
1975
1973
1971
1969
1967
1965
1963
1961
1959
1957
1955
1951
400
1953
600
1951
agrometeorologico (temperatura, precipitazione, vento, evapotraspirazione) il cambiamento
ha assunto la forma di discontinuità climatica
(shift). La causa di questa discontinuità è da ricercarsi nel brusco ed inatteso cambiamento di
regime delle grandi correnti occidentali (Westerlies) che spingono l’aria atlantica verso la
massa continentale eurasiatica (Werner et al.,
2000). Tale cambiamento di regime è segnalato
ad esempio dall’andamento invernale dell’indice
NAO – North Atlantic Oscillation (Marshall et
al., 2001), che proprio dal 1989 ha inaugurato una
fase di spiccata anomalia positiva che si protrae
tuttora. In sostanza dal finire degli anni Ottanta
la circolazione si è occidentalizzata con una sequenza di inverni miti; in contemporanea l’irrobustirsi dell’anticiclone atlantico ha ridotto l’accesso delle perturbazioni atlantiche all’area mediterranea, il che spiega la diminuzione delle precipitazioni osservata in Italia. Un esempio illustrativo degli effetti di tale fenomeno a livello di
bilancio idrico emerge da un’analisi speditiva condotta sulle serie storiche mensili di Milano Linate con lo scopo di evidenziare le eventuali tendenze nel deficit idrico dei vegetali, indagine che
è stata intrapresa in relazione alla recrudescenza
di fitopatie osservata di recente su piante ornamentali di parchi pubblici milanesi e che secondo un’ipotesi sarebbe da ricondurre a situazioni
di stress indotte da carenza idrica. I valori di riferimento sono costituiti dai valori mensili di temperatura media delle minime e delle massime e
di precipitazione di Milano Linate per il periodo
1951-2005. Dai dati di temperatura è stata ricavata l’evapotraspirazione da coltura di riferimento mensile (ET0) tramite l’equazione di Hargreaves e Samani (Allen et al., 1998). La conversione da ET0 ad evapotraspirazione massima
(ETM) è stata ottenuta applicando i coefficienti
colturali mensili riportati in tabella 5.
Ai dati sopra elencati è stato applicato un
semplice modello di bilancio idrico a passo mensile fondato sul bilancio di massa riferito ad un
terreno con riserva utile massima complessiva
(AWC) per lo strato esplorato dalle radici pari
gen
feb
mar
apr
ma
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
0.1
0.1
0.2
0.3
0.6
0.9
1.1
1.1
0.8
0.5
0.3
0.1
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:587-602
DEFICIT annuo (mm)
450
400
350
300
250
200
150
100
2005
2003
2001
1999
1997
1995
1993
1991
1989
1987
1985
1983
1981
1979
1977
1975
1973
1971
1969
1967
1965
1963
1961
1959
1957
1955
1953
0
1951
50
Figura 3. Deficit idrico totale annuo – Milano Linate, 1951-2005.
Figure 3. Yearly values of water deficit – Milano Linate,
1951-2005.
lando tutti i valori mensili di CI minori di 0. In
figura 1 e 2 si riportano i valori di precipitazione annua ed evapotraspirazione massima mentre i deficit cumulati nei diversi anni sono riportati nel grafico in figura 3.
Ai dati annuali di deficit idrico è stata quindi applicata l’analisi di change point della libreria strucchange del software statistico R. In
tal modo si è evidenziato che nella serie è presente una discontinuità che con un livello di
confidenza del 90% ricade fra il 1983 ed il 1996;
anno più probabile della discontinuità è il 1989,
proprio l’anno del cambiamento di fase nella
circolazione atlantica. In figura 4 si riportano
graficamente i risultati dell’analisi statistica. Si
osservi che il deficit medio del periodo a monte del change point è di 152 mm mentre quello
a valle (dal 1989 ad oggi) è di 250 mm. In pratica quello che si osserva per la stazione in esame è un aumento dell’aridità estiva con maggiore stress per la vegetazione, di cui occorre tener conto in sede di valutazione della recrudescenza di varie fitopatie di origine biotica e
abiotica osservata nei vegetali delle aree a parco dell’area di Milano.
I dati in esame mostrano che il deficit idrico per la stazione di Milano risente in modo
sensibile del sopra discusso cambiamento climatico verificatosi alla fine degli anni Ottanta
nell’area europea. Tale cambiamento climatico
ci ha condotto alla nuova fase climatica che ci
interessa tuttora, e che, come dianzi accennato,
ha come maggiori effetti l’aumento delle temperature e dell’evapotraspirazione sull’intera
area euro-mediterranea, cui si accompagna un
calo delle precipitazioni per gli areali a clima
mediterraneo e di transizione (mesoclima padano).
Per l’area subalpina, di transizione fra areale a clima mediterraneo (Csa secondo Koeppen)
e areale a clima europeo (Cfb secondo Koeppen), i sintomi evidenziati in modo netto per le
aree Cfb e Csa appaiono più sfumati e spesso
non leggibili con chiarezza. Anche per questo il
segnale di shift climatico evidenziato per Milano appare interessante e meritevole di attenzione. Si deve infine segnalare che dalla presenza di un tale shift discendono svariate conseguenze pratiche fra cui ad esempio:
– la necessità di valutare l’anomalia dei diversi dati meteorologici (temperature, precipitazioni, vento, ecc.) con riferimento a serie
storiche (normali climatiche) relative al periodo successivo al 1989, in modo tale da ancorare la valutazione del livello di anomalia
e non ad un clima del passato;
Figura 4. Analisi di change point che evidenzia il cambiamento climatico avvenuto nel 1989, che si è tradotto in un
sensibile aumento del deficit idrico a Milano. La linea tratteggiata mostra il change point stimato. La linea orizzontale più in basso, i cui limiti sono il 1983 ed il 1997, indica
l’intervallo di confidenza al 90% della ripartizione della serie in due segmenti. Le tre linee orizzontali sovrapposte alla spezzata che collega i valori rappresentano rispettivamente la media dell’intero periodo e le medie del periodo
che precede e che segue il change point.
Figure 4. Change point analysis showing the climatic change of
1989 which produced a sensitive increase of water deficit for Milano. Dotted line shows the estimated change point. The lowest horizontal line, witch limits are 1983 and 1997, shows the confidence range of 90% for the change point. The other 3 horizontal lines superimposed to the diagram represent respectively
the mean of the whole period and the means for the period
before and after the change point.
597
Mariani L., Cola G.
– la necessità di tenere conto di tale evidenza
in sede di pianificazione (es: sarebbe opportuno tenere conto dei dati più recenti e comunque successivi alla discontinuità del 1989
per attività di programmazione irrigua, di gestione del livello dei laghi, di gestione dei
consumi energetici urbani e rurali, ecc.).
Effetti di questo tipo sono evidenti nell’intero bacino del Mediterraneo. Ad esempio la relazione fra indice NAO e precipitazioni è stata
indagata da Komuscu per la Turchia (2001).
Se il cambiamento climatico nell’area eurasiatica si manifesta con un aumento delle temperature, gli effetti sull’agricoltura potrebbero
rivelarsi addirittura positivi se si fa fronte in modo razionale alle esigenze idriche delle colture.
In tal senso si colloca la constatazione che a
fronte dell’aumento delle temperature la viticoltura europea sta espandendosi più a sud che
a nord, forte della disponibilità di acqua irrigua.
Se ciò da un lato ci tranquillizza rispetto ai foschi millenarismi cui i media ci hanno purtroppo sempre più spesso abituati, dall’altro deve
impegnarci nella ricerca di soluzioni razionali al
problema dell’acqua. Su quest’ultimo punto occorre a nostro avviso evitare la scorciatoie da
“maghi della pioggia” (Mariani, 2003), puntando invece in modo deciso su:
– investimenti nella gestione razionale degli
invasi, nella razionalizzazione delle reti di distribuzione e nell’efficienza della gestione a
livello di campo;
– attuazione di strategie di miglioramento genetico volte al miglioramento dell’efficienza
nell’uso dell’acqua e nell’accentuazione dei
caratteri di resistenza allo stress idrico (Magliulo et al., 2003).
Con riferimento a quest’ultimo punto occorre segnalare che da più parti giungono indicazioni secondo cui l’aumento dei livelli di CO2 si
tradurrebbe in una maggior resistenza allo
stress idrico (Idso e Kinball, 1992, Wall et al.,
2001). La ragione di tale effetto sarebe da ricercare anzitutto nel fatto che la fotosintesi in
presenza di elevati livelli di CO2 accrescerebbe
il pool totale di carboidrati non strutturali (Hendrix et al., 1994; Drake et al., 1997; Estiarte et
al., 1999), utilizzabile per sviluppare apparati radicali più robusti (Rogers et al., 1992; Rogers e
Runion, 1994; Wechsung et al., 1995, 1999). Ad
esempio nel sorgo le radici raggiungono una
profondità massima di 1,6-2,0 m (Mayaki et al.,
598
1976; Kiagama et al., 1977; Chaudhuri et al.
1986a). La presenza di CO2 elevate causa un incremento della massa radicale verificabile in
ogni stadio di crescita per il sorgo ed un anticipato raggiungimento del fondo di un mini-rizotrone da 1,6 m. Inoltre sorgo ed altre specie in
presenza di elevata CO2 manifestano un’accresciuta ramificazione delle radici con aumento
del numero di radici fini (Rogers et al., 1992).
Nel caso del riso è stato invece posto in evidenza che elevati livelli di CO2 aumentano la
crescita, la produzione di granella ed il livello
di fotosintesi della canopy riducendo altresì l’evapotraspirazione del 10%. Durante cicli di
stress idrico inoltre tale minor consumo idrico
si traduce nella possibilità di proseguire la fotosintesi per 1-2 giorni rispetto a quanto avviene in colture soggette a CO2 ambiente. Inoltre
gli elevati livelli di CO2 atmosferica migliorano
gli impatti negativi del deficit idrico del suolo e
gli stress indotti dalle alte temperature su specifici processi fisiologici (Baker et al., 2003).
Howden et al. (1999) hanno invece posto in
evidenza che in ambiente di savana l’accresciuta efficienza nell’uso dell’acqua in presenza di
più elevati livelli di CO2 è in grado di mitigare
gli effetti di stress idrico, specialmente in piante C4, proteggendo gli ecosistemi di savana dall’influenza dell’elevata variabilità pluviometrica
e dei periodici stress idrici tipici di tali ecosistemi. Tali fatti sono stati altresì posti in evidenza dal progetto australiano Ozface per l’arricchimento artificiale di CO2 in ambienti di savana (Stokes et al., 2003).
7. Verso il monitoraggio globale delle anomalie
Le anomalie pluviometriche costituiscono un
dato importante nell’ambito del sistema di allerta globale per le situazioni di stress idrico con
potenziali ripercussioni sui livelli produttivi. In
tale settore gli sforzi compiuti negli anni più recenti grazie alle tecniche di remote sensing sono stati considerevoli.
A tale proposito si segala il prodotto operativo aggiornato giornalmente sul sito http://disc.gsfc.nasa.gov/agriculture/ais_sup/current_con
ditions.shtml. Su tale sito si riportano le mappe
di precipitazione stimata e le anomalie pluviometriche globali per archi di tempo variabili (ultime 3 ore, ultime 24 ore, ultimi 10, 30, 60 e 90
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:587-602
giorni). Il pixel è dell’ordine del grado ed il metodo si fonda sul sensore a microonde TRRM
della NASA.
8. Conclusioni
L’analisi sommaria delle tecniche operative e
delle attività di ricerca e sviluppo mostra un settore vivace ed in grado di rispondere alle esigenze dei produttori agricoli e degli enti incaricati di programmare e gestire la risorsa acqua.
Si deve tuttavia constatare che proprio su quest’ultimo versante nel nostro Paese esistono spazi amplissimi per interventi di razionalizzazione
dell’uso di tale risorsa, rispetto ai quali l’agrometeorologia è in grado di fornire informazioni di grande rilevanza applicativa e che devono
essere sfruttate appieno.
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Foreste e uso dell’acqua: fattori di controllo
e possibilità di gestione
Federico Magnani*1, Francesco Ripullone2, Marco Borghetti2
1
Dipartimento di Colture Arboree, Università di Bologna
Via Fanin 46, 40127 Bologna
2
Dipartimento di Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente, Università della Basilicata
Viale Ateneo Lucano 10, 85100 Potenza
Società Italiana di Selvicoltura ed Ecologia
Riassunto
Le foreste coprono oltre un terzo della superficie nazionale italiana e l’evapo-traspirazione forestale ha quindi un
effetto di primo piano sul ciclo dell’acqua e sulla disponibilità di risorse idriche per usi alternativi. La possibilità di
regolare attentamente il bilancio idrologico delle foreste aprirebbe importanti prospettive per la gestione delle risorse idriche a scala locale e territoriale. Il presente lavoro prende in esame l’evidenza scientifica disponibile sugli
effetti sul ciclo dell’acqua di interventi di afforestazione e del trattamento selvicolturale delle foreste esistenti. La
trasformazione di uso del suolo a foresta ha un impatto talvolta drammatico su evapo-traspirazione e deflussi, anche se l’effetto dipende in larga misura dalle condizioni ambientali considerate. La gestione forestale ha effetti più
limitati, ma di grande rilevanza a causa dell’estensione delle foreste esistenti. In particolare, gli interventi di diradamento determinano solitamente un aumento dei deflussi, che risulta però di breve durata. L’evapo-traspirazione
dell’ecosistema viene ridotta in misura maggiore dai tagli di maturità, con un effetto variabile a seconda del trattamento applicato. L’allungamento dei turni forestali potrebbe costituire lo strumento più importante, sostenibile e
duraturo per incrementare la disponibilità idrica per usi alternativi, ma evidenze sperimentali contrastanti sono presentate in letteratura. Nuovi studi sono indispensabili per quantificare gli effetti dell’età sull’uso dell’acqua dell’ecosistema in ambienti rappresentativi del territorio nazionale.
Parole chiave: selvicoltura, afforestazione, evapo-traspirazione, diradamenti, turno forestale, retroazione.
Summary
FORESTS AND WATER: SILVICULTURE, AFFORESTATION AND THE CONTROL OF FOREST WATER
USE
Forests cover over one third of Italy; forest evapo-transpiration has therefore a primary role in the water cycle and
in determining the availability of water for alternative uses. The possibility of modulating carefully the water balance of forest ecosystem would pave the way for the management of water resources at the local and landscape
level. In the present work, we review available evidence on the effects on the water cycle of both afforestation and
the silvicultural management of existing forests. Afforestation is known to have a dramatic effect on site evapotranspiration and runoff, but the magnitude of the effect largely depends on local environmental conditions. The
management of existing forests has more modest local effects, but their extent suggests a greater role in the regulation of the water cycle. Forest thinnings result in an increase in runoff, albeit of short duration. Ecosystem evapo-transpiration is more strongly reduced by forest utilisation, to an extent which varies with management type. An
increase in rotation length could result the most effective and long-lasting measure for the sustainable increase in
water availability for alternative uses; contrasting evidence is provided in the literature, however, as the age-related
decline in tree transpiration could be counter-balanced by negative feed-backs at the ecosystem level. New studies
are required for the assessment of the effects of age on ecosystem water yield.
Key-words: silviculture, afforestation, evapo-transpiration, thinning, rotation length, feed-back.
*
Autore corrispondente: tel.: +39 051 2096466; fax: +39 051 2096401. Indirizzo e-mail: fmagnani@agrsci.unibo.it.
603
Magnani F., Ripullone F., Borghetti M.
I primi risultati del nuovo Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi Forestali di
Carbonio (INFC), in corso di realizzazione, mostrano come gli ecosistemi forestali coprano ben
il 35.4% della superficie nazionale, con coefficienti di boscosità che in diverse Regioni si spingono oltre il 50%; la comprensione di quale sia
il ruolo di queste formazioni vegetali sul ciclo
dell’acqua, e di come possa essere modulato dalla gestione forestale, risulta quindi di grande importanza, anche per l’effetto che una corretta
pianificazione potrebbe avere sulla disponibilità
di risorse idriche per altri usi alternativi.
La gestione forestale ricomprende due grandi classi di interventi, e sarà opportuno nella
presente analisi considerare separatamente i loro effetti sul ciclo idrologico. L’azione dell’uomo può in primo luogo modificare la superficie
occupata dalle foreste; nel contesto nazionale,
essendo la deforestazione (eliminazione del bosco per far spazio ad altre forme di uso del suolo) ovunque impedita dalla legislazione vigente,
la superficie forestata può solo aumentare, come risultato di attività di riforestazione o più di
frequente della naturale espansione del bosco
su terreni montani e collinari abbandonati dall’agricoltura negli ultimi decenni. Vista la rilevanza di questo fenomeno, è di grande importanza mettere a confronto l’uso dell’acqua del
bosco con quello di altre forme di uso del suolo; questo confronto costituirà l’oggetto della
prima parte della nostra analisi.
L’azione dell’uomo, d’altra parte, può regolare anche l’uso dell’acqua da parte delle foreste esistenti: tutti gli interventi selvicolturali (diradamenti, tagli di maturità), alterando in varia
misura il grado di copertura del suolo ed il microclima stazionale, modificano infatti l’evapotraspirazione dell’ecosistema e quindi i deflussi
e la disponibilità idrica per altri usi alternativi.
La prima e più importante scelta del selvicoltore consiste però non nell’applicazione di uno
specifico trattamento, ma nella definizione del
turno forestale, e cioè dell’età a cui gli alberi
debbano essere tagliati. Risulta pertanto di
grande interesse comprendere se ed in quale misura l’uso dell’acqua da parte del bosco vari in
funzione dell’età delle piante. L’effetto del turno forestale e dei trattamenti selvicolturali sull’uso dell’acqua da parte del bosco costituirà
l’oggetto della seconda parte della presente
analisi.
604
Le foreste presentano in genere tassi evapotraspirativi più elevati delle altre formazioni vegetali, tanto naturali quanto agricole, nonostante che i valori di conduttanza stomatica a livello di foglia e di intera copertura forestale siano
mediamente inferiori che nelle piante erbacee
(Kelliher et al., 1995). Questo è dovuto alla
maggiore altezza delle piante forestali ed al migliore accoppiamento aerodinamico delle chiome con l’atmosfera che ne deriva (Magnani et
al., 1998) e che fa sì che l’evaporazione dalle foglie bagnate e la traspirazione in condizioni di
aria immota sia maggiore nelle piante forestali.
Di conseguenza, l’afforestazione tanto di
praterie quanto di arbusteti porta normalmente
ad una riduzione dei deflussi superficiali (Farley et al., 2005); l’effetto relativo è tanto più
marcato quanto meno piovosa è la stazione (figura 1), potendo portare ad una riduzione dei
deflussi di oltre il 60% con piovosità annue inferiori ai 1000 mm, quali si incontrano in gran
parte del territorio nazionale. Questo effetto talvolta drastico della presenza del bosco sui deflussi, unitamente agli effetti paralleli sulla salinizzazione della falda e sul bilancio dei nutrienti
(Jackson et al., 2005), ha portato a mettere in
dubbio l’opportunità di interventi di afforestazione in ambienti sub-tropicali o aridi (UN
FAO, 2005). Se da un lato il bosco riduce i deflussi medi e minimi, d’altra parte, non bisogna
Figura 1. Effetti assoluti (cerchi neri) e percentuali (cerchi
bianchi) dell’afforestazione sui deflussi superficiali, in funzione delle disponibilità idriche stazionali. Da Farley et al.,
2005.
Figure 1. Absolute and percent effects of forestation on runoffs. From Farley et al., 2005.
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:603-608
dimenticare che la presenza del bosco tende a
limitare anche i deflussi massimi, grazie alla capacità di ritenzione idrica dei suoli forestali ed
al conseguente aumento dei tempi di corrivazione; è questo l’aspetto che in passato ha ricevuto la maggiore attenzione della comunità
scientifica, soprattutto in un Paese come l’Italia
particolarmente esposto a fenomeni di dissesto
del territorio montano (Susmel, 1968); numerosi studi hanno dimostrato infatti come la presenza del bosco porti ad una forte riduzione dei
picchi di piena, sempre che la capacità di ritenzione idrica del suolo non sia già stata saturata
da abbondanti precipitazioni nei giorni precedenti (Colpi e Fattorelli, 1982).
Nonostante l’importanza delle variazioni di
uso del suolo, ci si attenderebbe che un ruolo
ancora più rilevante nella regolazione del ciclo
idrologico spetti alla gestione selvicolturale delle foreste esistenti, a causa della loro grande
estensione e dell’impatto estremo che i tagli
possono avere sulla copertura forestale. Questa
aspettativa è stata però messa in dubbio da Roberts (1983), il quale ha sottolineato il ruolo stabilizzante della fitta rete di interazioni caratteristica degli ecosistemi naturali. Alcuni dei principali meccanismi di regolazione da prendere in
considerazione sono illustrati in figura 2. L’evapo-traspirazione dell’ecosistema è data dalla
somma dei contributi degli alberi del soprassuolo e delle piante del sottobosco; qualsiasi fattore che vada a ridurre il grado di copertura
esercitata dal soprassuolo (diradamenti, tagli, invecchiamento) determinerà un parallelo aumento dell’indice di area fogliare del sottobosco, a causa della maggiore radiazione disponibile. Ad una riduzione dell’evapo-traspirazione
degli alberi, quindi, si associerebbe un aumento
dell’uso dell’acqua da parte di erbe e arbusti, in
buon accordo con quanto osservato sperimentalmente (Law et al., 2002); questo meccanismo
di compensazione tenderà a stabilizzare le richieste idriche dell’intero ecosistema. Un ruolo
analogo sarebbe svolto dalla risposta della traspirazione alla disponibilità idrica nel suolo,
questa volta per un meccanismo di retro-azione
negativa: una riduzione della densità del bosco,
riducendo la traspirazione degli alberi, farà infatti sì che durante il periodo vegetativo le riserve idriche del suolo vengano esaurite in misura minore. A sua volta, questo permetterà tassi di traspirazione più elevati nelle foglie anco-
Figura 2. Rappresentazione schematica dei principali processi di regolazione omeostatica dell’evapo-traspirazione
(ET) di un ecosistema forestale (somma dei contributi di
foresta e sottobosco). Una riduzione dell’indice di area fogliare (LAI) del soprassuolo (per l’età, per diradamenti)
permette un maggior sviluppo del LAI e quindi della traspirazione del sottobosco (meccanismo di compensazione).
Una elevata traspirazione determina marcati deficit idrici
del suolo, che inducendo una chiusura stomatica in alberi e
piante del sottobosco limita l’evapo-traspirazione dell’ecosistema (meccanismo di retro-azione negativa).
Figure 2. Graphic diagram of main osmeostatic regulation
of evapo-transpiration (et) of a forestal ecosystem.
ra presenti, siano queste degli alberi o del sottobosco, andando a controbilanciare l’effetto del
disturbo; in pratica, l’evapo-traspirazione dell’intero ecosistema sarebbe controllata dalla disponibilità idrica, risultando in larga misura insensibile agli interventi di gestione forestale.
I dati sperimentali supportano l’ipotesi di
omeostasi di Roberts? Consideriamo in successione l’evidenza disponibile per quanto riguarda gli effetti dei diradamenti, dei tagli di maturità e della regolazione del turno forestale.
Numerosi studi dimostrano come, in risposta
al diradamento, si riduca non solo la traspirazione del soprassuolo, ma l’evapo-traspirazione
dell’intero ecosistema, con il conseguente aumento della disponibilità idrica estiva del suolo
(figura 3). L’effetto appare essere però di breve durata, scomparendo già completamente dopo pochi anni (Breda et al., 1995; Aussenac,
2000); questo potrebbe essere dovuto sia alla
chiusura delle chiome del soprassuolo, sia alla
maggiore crescita delle piante del sottobosco.
Interventi selvicolturali più intensi hanno un
effetto più marcato e duraturo. Studi a livello di
bacino idrologico hanno dimostrato come il taglio del bosco porti ad un forte aumento dei deflussi superficiali (Colpi e Fattorelli, 1982). L’effetto, peraltro, varia fortemente in funzione del
tipo di trattamento applicato: trattamenti quali
605
Magnani F., Ripullone F., Borghetti M.
Figura 3. Effetto di un intervento di diradamento sul contenuto idrico del suolo: l’effetto, per quanto marcato, è già
scomparso al secondo anno dal taglio intercalare. Da Breda et al., 1995.
Figure 3. Effect of a thinning on idric content of the soil.
From Breda et al., 1995.
i tagli a buche o i tagli successivi, che garantiscono una parziale copertura del suolo a scala
di bacino, risultano in un ridotto aumento dei
deflussi superficiali. Il rischio che agli aumentati deflussi superficiali si associno fenomeni di
erosione del suolo è in effetti una delle ragioni
per cui si preferisce evitare il trattamento a taglio raso su ampie superfici, soprattutto in ambienti caratterizzati da precipitazioni intense.
Studi replicati a livello di intero bacino (Cornish e Vertessy, 2001) dimostrano come il ripristino dei deflussi ai livelli precedenti al taglio
Figura 4. Dinamiche del deflusso a scala di bacino in seguito a un taglio di maturità in boschi australiani di Eucalyptus regnans. Da Cornish e Vertessy, 2001.
Figure 4. Runoff trends at bacin scale after a cut of Australian woods of Eucalyptus regnans. From Cornish and
Vertessy, 2001.
606
richieda diversi anni (figura 4), suggerendo che
tale dinamica non sia legata alla crescita di erbe e sottobosco in assenza di copertura, ma piuttosto alla progressiva chiusura delle chiome del
nuovo soprassuolo.
Pochi studi hanno invece investigato le dinamiche di lungo termine dell’evapo-traspirazione degli ecosistemi forestali al progredire
dell’età delle piante. È noto come la traspirazione dei soprassuoli forestali, dopo un picco al
momento della chiusura delle chiome, declini
con l’avanzare dell’età; questo sembra essere legato alle limitazioni idrauliche imposte sugli
scambi gassosi dalla crescente altezza delle
piante, che fa sì che il trasporto dell’acqua dalle radici alle foglie debba superare una resistenza idraulica sempre più gravosa, imponendo di conseguenza una progressiva chiusura degli stomi (Hubbard et al., 1999; Magnani et al.,
2006). Come si riflette questa progressiva chiusura stomatica sull’uso dell’acqua dell’intero
ecosistema? Nel caso di sistemi semplificati come le piantagioni forestali, la ridotta traspirazione degli alberi si traduce in un significativo
aumento dei deflussi superficiali all’aumentare
dell’età del soprassuolo (figura 5) (Farley et al.,
2005). L’evidenza disponibile per i boschi naturali è invece contraddittoria. In boschi di eucalitto di età compresa fra i 15 ed i 240 anni, ad
esempio, Vertessy et al. (2001) hanno osservato
un progressivo aumento della traspirazione del
sottobosco all’aumentare dell’età del soprassuolo forestale (figura 6), in accordo con quanto ipotizzato da Roberts (1983); questo meccanismo di compensazione, però, non arrivava a
controbilanciare completamente la ridotta traspirazione delle piante forestali mature, ed i deflussi superficiali mostravano un incremento
considerevole all’aumentare dell’età del bosco.
Altri studi di dettaglio sembrano puntare invece nella direzione opposta, dando supporto all’ipotesi di omeostasi del bilancio idrico dell’ecosistema. In uno studio dettagliato su una cronosequenza di Pinus ponderosa, combinando fra
loro metodologie diverse per la stima indipendente delle diverse componenti del bilancio
idrologico, Irvine et al. (2004) hanno dimostrato come nonostante la ridotta traspirazione delle piante arboree l’evapo-traspirazione dell’intero ecosistema non variasse all’aumentare dell’età del bosco; entrambi i meccanismi delineati in figura 2 sembravano contribuire all’omeo-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:603-608
più rappresentativo. La possibilità infatti di governare il bilancio idrico delle foreste (e quindi dell’intero territorio montano) attraverso l’attenta modulazione dell’età delle piante aprirebbe nuove importanti prospettive per aumentare
la disponibilità idrica per usi alternativi (agricoltura, industria,…), senza per questo compromettere l’integrità e la salute degli ecosistemi.
Bibliografia
Figura 5. Effetto sui deflussi idrici di interventi di afforestazione su praterie o su arbusteti, in funzione dell’età del
soprassuolo. Da Farley et al., 2005.
Figure 5. Effect on runoffs of forestation on grasslands or
on shrubs as a function of age and soil use. From Farley et
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Figura 6. Contributo al bilancio idrico stazionale (1) della
traspirazione degli alberi, (2) della traspirazione del sottobosco, (3) dell’evaporazione dalla lettiera, (4) dell’evaporazione dalle chiome bagnate e (5) dei deflussi idrici in boschi di eucalipto di età compresa fra 15 e 240 anni in Australia. Da Vertessy et al., 2001.
Figure 6. Contribution to water balance (1) of trees transpiration, (2) of underwood transpiration, (3) of bedding
transpiration, (4) of wet comas evaporation and (5) of runoffs in wood of eucaliptos. From Vertessy at al., 2001.
stasi osservata. Risultati simili sono stati riportati di recente anche per boschi francesi di
Pinus pinaster (Delzon e Loustau, 2005). Non
sappiamo a tutt’oggi quanto le discrepanze fra
i diversi studi siano frutto di differenze interspecifiche o ambientali o piuttosto delle diverse metodologie applicate; si impongono certamente al riguardo nuovi studi su un campione
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Mahli Y., Matteucci G., Meyers T., Monson R., Munger W., Oechel W., Olson R., Pilegaard K., Paw
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607
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Ruolo dell’acqua nella fisiologia della pianta:
aspetti termodinamici e cinetici
Cocucci Maurizio*
Dipartimento di Produzione Vegetale, Università di Milano
Via Celoria 2, 20133 Milano
Società Italiana di Chimica Agraria
Riassunto
Le proprietà della molecola dell’acqua ne determinano il ruolo nella fisiologia della pianta. A livello molecolare le
proprietà delle molecole dell’acqua condizionano il comportamento delle molecole della pianta; in particolare le
sue caratteristiche fisiche sono importanti per il funzionamento delle macromolecole e per la termoregolazione della pianta. L’approvvigionamento di acqua da parte della pianta è soprattutto legato alle grandezze termodinamiche,
potenziale chimico e sue componenti, ma attualmente sempre maggiori evidenze individuano nelle proprietà cinetiche, dovute alla presenza di specifici canali per l’acqua, le aquaporine, sulle membrane delle cellule, in particolare il plasmalemma, un importante ruolo di regolazione. Il controllo coordinato tra fattori termodinamici e cinetici
da parte di funzioni biochimiche e fisiologiche ed effettori molecolari, concorre a regolare l’approvvigionamento ed
il livello di acqua nella pianta per sostenere sopravvivenza, crescita e differenziamento e la produzione che da queste dipende.
Parole chiave: acqua, acqua: termodinamica e cinetica, potenziale chimico dell’acqua, canali per l’acqua, aquaporine, osmoregolazione, termoregolazione.
Summary
WATER IN THE PHYSIOLOGY OF PLANT: THERMODYNAMICS AND KINETIC
Molecular properties of water molecule determine its role in plant physiology. At molecular level the properties of
water molecules determine the behaviour of other plant molecules; in particular its physic characteristics are important in the operativeness of macromolecules and in plant thermoregulation. Plant water supply primarily dependent on thermodynamics properties in particular water chemical potential and its components, more recently
there are evidences that suggest an important role in the water kinetic characteristics, depending, at cell membrane level, in particular plasmalemma, on the presence of specific water channel, the aquaporines controlled in its activity by a number of physiological and biochemical factors. Thermodynamics and kinetic factors controlled by physiological, biochemical properties and molecular effectors, control water supply and level in plants to realize their
survival, growth and differentiation and the consequent plant production.
Key-words: water, water: thermodynamics and kinetic, water chemical potential, water channels, aquaporine, osmoregulatio, thermoregulation.
*
Autore corrispondente: tel.: +39 02 50316531; fax: +39 02 50316521. Indirizzo e-mail: maurizio.cocucci@unimi.it.
609
Cocucci M.
1. Premessa: l’acqua e la vita della pianta
L’acqua è una molecola essenziale per lo sviluppo della vita sulla terra, in particolare per la
vita delle piante. Le funzioni di questa molecola sono importanti ed articolate e sono strettamente legate alle caratteristiche chimico-fisiche,
uniche, della molecola stessa. Le caratteristiche
della molecola dell’acqua importanti per la fisiologia della pianta si manifestano ad almeno
tre diversi stadi di organizzazione: il primo, a livello molecolare, per interazione tra molecole
dell’acqua e molecole dell’acqua o per interazione con altre molecole, il secondo, a livello
cellulare, che vede l’acqua coinvolta in reazioni
metaboliche cellulari e alla attività delle macromolecole, il terzo, a livello sovracellulare, della fisiologia sistemica dell’acqua nella pianta.
Naturalmente questi tre livelli sono largamente
interdipendenti e legati alle specifiche e peculiari caratteristiche della molecola. La figura 1
mostra il livello di organizzazione ed il fatto che
dallo stato della molecola a tutti e tre i livelli
possono essere sviluppati segnali che mediante
un meccanismo di amplificazione, traduzione e
smorzamento possano attivare risposte che determinano nella pianta azioni metaboliche fisiologiche e differenziative.
2. Proprietà molecolari dell’acqua nella fisiologia della pianta
Le caratteristiche molecolari dell’acqua sono essenzialmente dipendenti dalle caratteristiche
chimico-fisiche della molecola ed alla sua composizione costituita da due atomi di idrogeno ed
uno di ossigeno. La forte differenza in elettronegatività tra ossigeno e idrogeno si manifesta
col fatto che la molecola costituisce un dipolo
elettrico, capace di formare legami deboli, ponti di idrogeno, tra molecola e molecola di acqua
e tra molecole di acqua e di altre componenti
strutturali e funzionali della cellula. I legami intermolecolari danno alla molecola dell’acqua
delle proprietà uniche se comparate con molecole simili di massa molecolare paragonabile.
L’energia dei ponti di idrogeno che legano le
molecole dell’acqua, determina che essa abbia
un elevato calore di evaporazione, e quindi le
dà la possibilità di essere utilizzata, durante il
cambiamento di stato da liquido a vapore, per
assorbire energia termica. Un elevato calore
610
L
I
V
E
L
L
I
SEGNALE
MOLECOLARE
D
I
O
R
G
A
N
I
Z
Z
A
Z
I
O
N
E
+
-
CELLULARE
AMPLIFICAZIONE
TRASDUZIONE
SMORZAMENTO
SISTEMICO
ADATTAMENTO
METABOLICO
FISIOLOGICO
DIFFERENZIATIVO
Figura 1. Rappresentazione schematica dei livelli di organizzazione delle molecole dell’acqua, molecolare, sistemico e loro interazioni; possibili segnali che da queste derivano ed attivazione di meccanismi di traduzione del segnale che agiscono a livello metabolico, fisiologico e differenziato.
Figure 1. Schematic representation of the organization of water molecules at increasing levels of complexity and their interaction; signal raising from water at different level and mechanisms of transduction of the stimulus acting at metabolic,
physiological and cell differentiation level.
specifico fornisce all’acqua la caratteristica per
costituire un ottimo tampone termico in grado
di tamponare termicamente le molecole funzionalmente attive. L’acqua possiede una alta costante dielettrica tale da renderla particolarmente adatta allo schermaggio dei campi elettrostatici, preservando le molecole biologiche da
denaturazione e condizionando in modo determinante il comportamento delle molecole cariche e delle molecole polari. Nel caso degli ioni,
le proprietà fisiologiche di questi, mobilità e
permeabilità alle membrane, non sono legate alle caratteristiche proprie dello ione, ma dipendono dallo ione con il suo guscio acquoso. L’acqua è un cattivo solvente per le molecole apolari, i lipidi. Tuttavia essa facilita la coesione tra
la parte apolare delle molecole dei lipidi, in particolare dei lipidi polari delle membrane, in
quanto i legami tra le molecole dell’acqua, ponti di idrogeno, tendono ad escludere le molecole idrofobiche dalla soluzione acquosa, stabilizzando la formazione delle membrane biologiche
(figura 2).
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:609-615
3. Fisiologia dell’acqua a livello cellulare
La disponibilità di acqua nelle cellule delle piante è un importante condizione di buon funzionamento metabolico. L’approvigionamento dell’acqua costituisce un fattore fortemente condizionante la fisiologia delle cellule delle piante.
L’acqua si trova nelle cellule in due stati diversi: acqua libera e legata. L’acqua libera può essere considerata avere le proprietà di un solvente ideale e per essa si possono applicare le
proprietà colligative delle soluzioni. L’acqua legata è quella che forma legami con le strutture
cellulari. Essa risulta essere legata alle strutture con energie molto elevate. Normalmente la
frazione di acqua legata risulta saturata ed in
equilibrio con l’acqua libera. La frazione di acqua legata ha un ruolo importante nell’attività
delle macromolecole biologiche determinandone struttura comportamento biochimico e fisiologico. Le forze in gioco per l’approvigionamenteo dell’acqua legata sono molto intense,
ma in una cellula metabolicamnete attiva tale
frazione è saturata. La frazione di acqua legata
ha un ruolo importante negli organi disidratati,
come ad esempio nei semi germinanti, in cui le
prime fasi di germinazione sono dominate dall’approvigionamento di acqua legata ed il livello di questa condiziona la ripresa delle attività
biochimiche. L’acqua libera che rispetta le proprietà colligative delle soluzioni, è caratterizzata da un potenziale chimico che dipende essenzialmente dal contenuto in osmoliti.
4. Approvvigionamento dell’acqua
L’approvigionamento dell’acqua per le cellule
delle piante è un importante fattore indispensabile per l’attività metabolica. L’approvigionamento dell’acqua dipende da un fattore termodinamico, l’energia disponibile per richiamare
acqua e da un fattore cinetico, il movimento dell’acqua attraverso le barriere cellulari, essenzialmente la membrana plasmatica. La parete
cellulare, in una cellula metabolicamente attiva,
è largamente permeabile all’acqua. Si è sempre
ritenuto che l’approvigionamento idrico fosse
dominato dal fattore termodinamico: il potenziale chimico dell’acqua che esprime l’energia
disponibile o necessaria all’acqua per compiere
lavoro, in questo caso per muoversi.
PROPRIETÀ
PROPRIETA’
FISICHE
I
N
T
E
R
A
Z
I
O
N
I
C
O
N
calore spec, cal ev.
cost dielettrica
proprietà colligative
(pressione osmotica).
LIPIDI POLARI
IONI
SOLUTI E
MACROMOL.
MEMBRANE
TRASPORTO
METABOLISMO
PROPRIETÀ FISIOLOGICHE
PROPRIETA FISIOLOGICHE
Figura 2. Rappresentazione schematica delle caratteristiche
chimico fisico dell’acqua ed implicazione fisiologiche.
Figure 2. Schematic representation of physiological implications of chemical-physical characteristics of water molecule.
4.1 La forza traente per il movimento dell’acqua
La cellula della pianta è una struttura in cui la
tendenza a richiamare acqua è bilanciata dalla
impossibilità di espansione del protoplasto contenuto meccanicamente dalla parete cellulare.
La presenza di osmoliti nella cellula e di matrici costituisce la massima energia disponibile che
è in grado di richiamare acqua nella cellula. Poiché abbiamo già osservato che le matrici, di norma, sono saturate dall’acqua, il livello di osmoliti risulta essere il parametro determinante.
La forza traente per l’approvigionamento
dell’acqua dipende quindi dalla differenza di
potenziale di soluto tra interno e l’esterno della cellula. Il potenziale di soluto è elevato, in valore assoluto, all’interno della cellula per la presenza di soluti ionici ed organici rispetto all’esterno, il fluido apoplastico che ha un ridotto
contenuto in soluti. In realtà l’effettiva possibilità di richiamare acqua dipende dal contenuto
di acqua della cellula e dalla reazione meccanica che la parete esercita sulla espansione del
protoplasto. Il passaggio dalla massima alla minima capacità di richamare acqua, avviene in un
611
Cocucci M.
relativo piccolo intervallo di volume cellulare
(non più del 10% del volume cellulare) e con
andamenti molto diversi in dipendenza dalle caratteristiche meccaniche della parete: modulo
elastico della parete. La forza traente, l’energia
capace di richiamare acqua, è costituita da una
grandezza termodinamica che era, fino a qualche anno fa, ritenuta l’unica forza in gioco capace di determinare il movimento dell’acqua, si
riteneva quindi che l’acqua si trovasse all’equilibrio termodinamico e che non vi fossero grandezze cinetiche capaci di limitarne il movimento, in altre parole che la permeabilità delle
membrane all’acqua, non avesse un ruolo importante nel controllo dell’approvigionamento
idrico.
La forza traente per l’acqua è costituita dal
contenuto in soluti del protoplasto e l’acqua viene richamata per le proprietà colligative delle
soluzioni, la pressione osmotica o se si preferisce il potenziale di soluto che rappresentano la
stessa grandezza cambiata di segno.
La presenza di soluti nel prototoplasto è costituita da soluti organici, frutto del metabolismo, principalmente presenti nel citoplasma, e
da soluti ionici, principalmente presenti nel vacuolo in quanto citotossici, e dipende dall’attività metabolica che produce i soluti organici ed
dalle attività di membrana che realizzano l’omeostasi ionica. Il contenimento dei soluti nel
protoplasto dipende da fattori di tipo statico: la
scarsa diffusibilità attraverso la membrana di
soluti prevalentemente organici e da un contenimento dinamico. Quest’ultimo dipende dall’attività di trasporto di membrana che grazie
all’energia metabolica convertita in energia utilizzabile per il trasporto, potenziale elettrico
transmenbrana e gradiente protonico, dai trasporti primari, principalmente la pompa protonica, contiene i soluti all’interno della cellula.
La riduzione della disponibilità di energia, sotto forma di ATP, produce un rilascio di soluti
attraverso la membrana e quindi di acqua.
La strategia adottata dall’evoluzione è quella di trasportare e contenere all’interno della
cellula i soluti, l’elevato livello di soluti richiama, per differenza di potenziale idrico, all’interno della cellula, l’acqua. Semplificando si
muovono i soluti per spostare l’acqua. Questa
strategia appare utile in quanto con sistemi di
accoppiamento energetico di relativamente po-
612
che molecole, i soluti, si muovono tante molecole di solvente, l’acqua.
4.2 Modulazione della forza traente
Una maggiore possibilità di richiamare acqua
può essere realizzata con un meccanismo metabolico, la osmoregolazione. Questi, come in parte già accennato, deve avvenire con modalità diverse nel citoplasma e nel vacuolo. Nel citoplasma possono accumularsi solo osmoliti metabolismo compatibili, molecole organiche: aminoacidi, basi, zuccheri, ecc, nei vacuoli possono essere accumulati anche soluti citotossici, quali gli
ioni: ioni sodio, calcio, cloro, ecc. La osmoregolazione si realizza con attivazione del metabolismo per sintetizzare osmoliti, con la degradazione di molecole polimeriche, l’amido e con
l’attivazione del trasporto di membrana per incrementare il contenuto ionico nei vacuoli
(Morgan, 1984).
4.3 Le grandezze cinetiche del movimento dell’acqua attraverso la membrana
Fino a qualche anno fa si riteneva che solo le
grandezze termodinamiche influenzassero il
movimento dell’acqua nelle cellule delle piante
e che quindi questa si trovasse sempre all’equilibrio termodinamico. Attualmente grazie ad indagini molecolari ed a omologie con entità biochimiche presenti in organismi animali si è potuto mettere in evidenza che anche la permeabilità delle membrane all’acqua può costituire
un importante fattore di controllo e che quindi
il movimento dell’acqua può essere regolato cineticamente. Le entità biochimiche che sono responsabili della permeabilità all’acqua sono
chiamate acquaporine. Queste sono proteine
idrofobiche con sei strutture ad α-elica che sono immerse nella membrana e la attraversano.
Queste racchiudono un poro idrofilico attraverso cui possono passare le molecole di acqua. Incrementando la permeabilità della membrana
all’acqua incrementano o riducono la velocità di
raggiungimento dell’equilibrio termodinamico.
4.4 Modulazione della cinetica del movimento
dell’acqua attraverso la membrana.
La permeabilità dell’acqua attraverso la membrana e quindi attraverso le acquaporine può
essere modulata attraverso due distinti meccanismi. Il primo consiste nel modulare l’espressione delle acquaporine e quindi di modulare il
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:609-615
numero delle molecole di acquaporine espresse. Il secondo consiste nel modulare la struttura delle acquaporine modificandone la capacità
del trasporto (Chaumont et al., 2005) (figura 3).
IL MOVIMENTO DELL’ ACQUA
FATTORI TERMODINAMICI
LOGICA GENERALE: SI MUOVONO I SOLUTI E L’ACQUA LI SEGUE
w
=
s
+
m
+
p
5. Traduzione del segnale della disponibilità di
acqua
s = potenziale di soluto (PO)
La traduzione del segnale della disponibilità di
acqua segue le logiche di traduzione del segnale di altri stimoli e deve essere caratterizzato da
un sistema di sensore, un sistema di aplificazione per incrementare la risposta ed un sistema
di smorzamento che deve fermare la risposta
quando l’attivazione dello stimolo viene a cessare. I sensori dello stress idrico non sono stati
evidenziati ancora in entità biochimiche, tuttavia alcuni parametri fisiologici, quale ad esempio il turgore delle membrane sembra essere
coinvolto. Inoltre vi sono indicazioni che alcuni
meccanismi di traduzione del segnale conosciuti, potrebbero essere implicati. In particolare il
calcio, come secondo messaggero, appare essere implicato nella traduzione del segnale dello
stress idrico, attraverso canali al calcio dipendenti dal potenziale elettrico transmembrana
(Hetherington e Brownlee, 2004). Nel meccanismo di risposta potrebbe essere coinvolto il sistema delle MAP-kinasi e il sistema dei fosfolipidi. È importante osservare che i sensori a livello cellulare possono attivare meccanismi di
risposta che pervadono a livello sistemico tutta
la pianta come ad esempio l’ABA (Zhu, 2002).
p = potenziale di pressione
6. L’acqua a livello sistemico
Nell’organizzazione sovracellulare, sistemico, la
pianta si approvvigiona di acqua con i meccanismi che sono alla base del suo movimento cellulare. Il meccanismo attraverso cui l’acqua si
muove di cellula in cellula o dal fluido apoplastico alle cellule sono coinvolti gli stessi meccanismi del suo movimento a livello cellulare.
La pianta perde ingenti quantità di acqua in
traspirazione e la sua crescita, differenziamento
e quindi la produttività è strettamente legata alla possibilità di traspirare acqua. Il significato fisiologico della traspirazione è complesso e certamente non unitario. A lungo si è dibattuto anche su un possibile ruolo esclusivamente secondario della traspirazione individuato solo come
m = potenziale di matrice
FATTORI CINETICI DELL’APPROVIGIONAMENTO IDRICO
=
L .
P
P = forza traente . d
L = coe fen. (permeb. Mol.)
Figura 3. Fattori termodinamici e cinetici del movimento
dell’acqua e loro formulazione.
Figure 3. Thermodynamics and kinetic elements in water
movement.
un prezzo che la pianta deve pagare per tenere
aperti gli stomi e far penetrare la CO2 per l’assimilazione. Il ruolo della traspirazione è stato
anche immaginato essere legato alla necessità di
muovere nutrienti all’interno della pianta; non
dall’esterno all’interno della pianta ove le barriere termodinamiche non consentono neppure
di formulare una tale ipotesi. Il ruolo ritenuto
essenziale della traspirazione è legato alla necessità di disperdere il calore assorbito dalla
pianta per irragiamento, che deve essere vista
come una antenna capace di assorbire radiazioni elettromagnetiche, luminose e termiche e
prodotto dalla pianta nel metabolismo. La dispersione dell’acqua nell’ambiente deve essere
interpretato come un meccanismo di termoregolazione. Il passaggio di stato dell’acqua, da liquido a vapore, grazie proprio alle sue particolari proprietà termodinamiche, sottrae una grande quantità di calore alla pianta, che riesce a
mantenere la sua temperatura su valori compatibili con l’attività metabolica. Bisogna tenere
nella massima considerazione questo aspetto ed
in generale la complessità del sistema, per non
incorrere in errori di interpretazione fisiologica.
Ad esempio ridurre la traspirazione può anche produrre un risparmio di acqua ma creare alla pianta
ben più gravi problemi di termoregolazione.
613
Cocucci M.
7. Adattamento ad eccesso e carenza di acqua
La disponibilità di acqua è un importante parametro che condiziona la vita e lo sviluppo delle piante. La mancanza di acqua costituisce un
importante parametro limitante e anche il suo
eccesso, non direttamente ma indirettamente
può creare problemi alle piante. Ambedue le
condizioni producono nelle piante forme di regolazione estrema chiamati stress.
7.1 L’eccesso di acqua
614
7.2 La carenza di acqua
La carenza idrica è uno delle condizioni che
producono riduzione di crescita e produttività
delle piante. La pianta risponde alla carenza di
acqua con meccanismi di regolazione estrema,
lo stress. Lo stress idrico è dovuto ad una riduzione della disponibilità di acqua e può essere
provocato da una effettiva riduzione della quantità di acqua, ad una riduzione del potenziale
chimico dovuta a presenza di soluti nell’acqua,
salinizzazione, od una perdita di acqua, per traspirazione superiore al suo approvvigionamento od infine ad una riduzione della capacità di
trasporto dell’acqua dagli organi che di norma
sono preposti al suo approvvigionamento, le radici, agli organi che la utilizzano. La riduzione della disponibilità di acqua porta ad imponenti e
complessi adattamenti metabolici che sono carat-
RIDUCE
ANAEROBIOSI
s
L’eccesso di acqua non costituisce per se un problema per le piante. Lo stress da eccesso di acqua è legato essenzialmente ai possibili aspetti
meccanici e di stabilità ma soprattutto è dovuto
alla scarsa solubilità e diffusione dell’ossigeno
nell’acqua e la competizione con altri organismi
capaci di consumare ossigeno. Questo porta le radici delle piante ad uno stato di microareobiosi o
addirittura di anaerobiosi. La carenza di ossigeno
conduce ad una riduzione della respirazione e
quindi alla incapacità di far fronte alla esigenza
di energia delle cellule sotto forma di legami fosforici ad altra energia dell’ATP prodotta nelle
cellule non fotosintetizzanti in massima misura
dalla respirazione, e quindi alla sofferenza di funzioni fisiologiche cellulari. Prima tra queste il trasporto di membrana. Anche se le membrane in
queste condizioni sono relativamente impermeabili ai soluti, il gradiente termodinamico presente ai loro lati, costituisce un impulso alla perdita
di soluti; cosa che effettivamente accade. La perdita di soluti si risolverebbe, come già osservato,
nell’incapacità di trattenere anche l’acqua, questo
particolarmente se non vi fossero di barriere cinetiche. È interessante osservare che in queste
condizioni alcune piante (riso mangrovie) sono
capaci di attivare differenziamenti morfologici capaci di incrementare la diffusione dell’ossigeno
(pneumatofori o parenchimi aeriferi). La reazione metabolica alla carenza di ossigeno consiste
nell’attivazione di metabolismi fermentativi capaci di produrre, anche se in misura molto inferiore, legami fosforici ad alta energia (ATP).
La perdita di ioni condurrebbe alla perdita
di acqua a meno che il fattore cinetico del movimento dell’acqua non si opponga al fenomeno, in altre parole a meno che la permeabilità
all’acqua non si riduca fortemente.
La carenza di ossigeno e le variazioni dell’attività metabolica producono consistenti ef-
fetti di riduzione del pH citoplasmatico. Alcune
famiglie di acquaporine posseggono dei residui
di istidina che costituiscono un sensore di pH.
L’incremento della concentrazione di protoni
porta ad una variazione conformazionale della
molecola di aquaporina che riduce fortemente
la permeabilità all’acqua. In conclusione l’anaerobiosi produce un abbassamento del pH citoplasmatico che sua volta riduce la permeabilità
delle membrane all’acqua facendo in modo che
questa non venga persa dalle cellule della pianta (Tournaire-Roux et al., 2003) (figura 4).
P
PERDITA
SOLUTI
pH decresce
AQUAPORINE
Inibita permeabilità
PERDITA
DI
H2 O
Figura 4. Rappresentazione schematica degli effetti dell’anaerobiosi sul metabolismo energetico e quindi su gli aspetti termodinamici del movimento dell’acqua e su gli aspetti
cinetici, permeabilità, del movimento dell’acqua attraverso
le membrane.
Figure 4. Schematic representation of the effects of anaerobiosis on energy metabolism and on the thermodynamics
and kinetics aspects, permeability, of water movement.
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:609-615
terizzati da sensori, meccanismi di traduzione ed
amplificazione del segnale e le risposte metaboliche che coinvolgono tutto il metabolismo cellulare. Il meccanismo di sensore della carenza di acqua è probalimente legato essenzialmente allo
stato di turgore delle cellule delle pianta che coinvolge in prima istanza la radice. Non si può tuttavia escludere che vi siano sensori attivati dallo
stato dell’acqua in particolare dal rapporto tra acqua libera e legata. Un sensore molto probabilmente coinvolto, risiede nella membrana cellulare e tramite attivazione dei canali del calcio, inalza il livello del calcio citosolico. Tale incremento
attiva un meccanismo a cascata di amplificazione
e demodulazione del segnale che coinvolge proteine capaci di legare il calcio ed attivare punti
chiave del metabolismo cellulare (Hetherington e
Brownlee, 2004). Sono anche coinvolti meccanismi che utilizzano come messaggeri i lipidi ed è
pure previsto il coinvolgimeto di ormoni quale
l’ABA (Zhu, 2002). Una importante consequenza dell’attivazione metabolica è la osmoregolazione (Morgan, 1984) che vede come meccanismo generale la attivazione della sintesi di
osmoliti, coinvolgendo quindi sia l’attivazione
del trasporto di membrana che la sintesi di betaine ed altri metaboliti compatibili con il metabolismo cellulare, quali la prolina.
La risposta osmoregolativa allo stress idrico
coinvolge l’incremento del potenziale di soluto
che fornisce l’incremento della forza traente per
l’approvigionamento idrico. Tuttavia la osmoregolazione richiede dei tempi per poter essere
realizzata in questi tempi la mancanza di una
adeguata forza per il contenimento dell’acqua
potrebbe risolversi con una perdita della stessa.
Lo studio dell’espressione delle acquaporine
mostra che in questi periodo, cioè dall’imposizione dello stress a quando viene realizzata la
osmoregolazione il livello di espressione delle
acquaporine subisce un forte decremento. Quindi in questo periodo la permeabilità delle membrane all’acqua si riduce impedendo che questa
possa fluire fuori dalle cellule con un grave danno per la fisiologia della cellula e della pianta
(Kirk et al., 2000) (figura 5).
Infine sarebbe tuttavia un grave errore vedere lo stress idrico come un meccanismo separato da altre importanti funzioni della pianta, nel senso che la carenza idrica porta, come
REGOLAZIONE TERMODINAMICA E CINETICA
STRESS OSMOTICO
RIDUZIONE ESPRESSIONE
AQUAPORINE
Inibita permeabilità
OSMOREGOLAZIONE
INCREMENTO ESPRESSIONE
AQUAPORINE
Incremento permeabilità
ripristino
turgore
aumento permeabilità
Figura 5. Rappresentazione schematica degli effetti dello
stress osmotico su osmoregolazione delle cellule e permeabilità delle membrane all’acqua.
Figure 5. Schematic representation of the effects of osmotic stress on plant cell osmoregulation and water permeability of plant plasmamembrane.
già osservato al surriscaldamento della pianta
con l’induzione dello stress termico molto più
difficile da contrastare rispetto allo stress idrico
e la chiusura degli stomi induce il disproporzionamento tra reazioni luminose della fotosintesi e reazioni oscure con l’accumolo di potenziale riducente e quindi la fotoinibizione.
Bibliografia
Chaumont F., Moshellon M., Daniels M.J. 2005. Regulation of plant aquaporin activity. Biol. Cell, 97:749-764.
Hetherington A.M., Brownlee C. 2004. The generation
of calcium signals in plants. Annu. Rev. Plant Biol.,
55:401-427.
Kirk H.H., Vera-Estrella R., Golldack D., Quigley F., Michalowski C.B., Barkla B.J., Bohnert H.J. 2000. Expression of water channel proteins in Mesembryanthemum
crystallinum. Plant Physiol., 123:111-124.
Morgan J.M. 1984. Osmoregulation and water stress in higher plants. Annu. Rev. Plant Physiology, 35:299-319.
Tournaire-Roux C., Sutka M., Javot H., Gout E., Gerbeau P., Luu D.T., Bligny R., Maurel C. 2003. Cytosolic pH regulates root transport during anoxic stress
through gating of aquaporins. Nature, 425:393-397.
Zhu J.K. 2002. Salt and drough stress signal transduction
in plant. Annu. Rev. Plant Biol., 53:247-273.
615
Risposte genetico-molecolari delle piante a carenza idrica
Stefania Grillo1*, Antonio Blanco2, Luigi Cattivelli3, Immacolata Coraggio4,
Antonella Leone5, Silvio Salvi6
1
CNR- IGV, Istituto di Genetica Vegetale, Via Università 133, 80055 Portici (Na)
Dipartimento di Biologia e Chimica Agro-Forestale ed Ambientale, Università di Bari, Via Orabona 4, 70125 Bari
3
CRA-Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura, Via San Protaso 302, 29017 Fiorenzuola d’Arda (Pc)
4
CNR-IBBA, Istituto di Biologia e Biotecnologie Agrarie, Via Bassini 15, 20133 Milano
5
Dipartimento di Scienze Farmaceutiche, Università di Salerno
Via Ponte Don Melillo, 84084 Fisciano (Sa)
6
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroalimentari, Università di Bologna
Via Fanin 44, 40127 Bologna
2
Società Italiana di Genetica Agraria
Riassunto
La produttività potenziale delle piante coltivate è fortemente limitata da condizioni ambientali limitanti (stress biotici e abiotici). Tra queste, la carenza idrica è uno dei fattori che maggiormente influenza la produttività sia in termini quantitativi che qualitativi. La tolleranza alla siccità, così come ad altre condizioni avverse, è un carattere poligenico: essa dipende, infatti, dall’espressione coordinata di interi set di geni comprendenti geni codificanti per proteine direttamente coinvolte nella protezione-riparo dai danni da stress (geni agenti a valle: deidrine, chaperonine,
enzimi per la sintesi di osmoprotettivi e detossificanti, ecc.) e geni implicati nella regolazione dell’espressione (geni agenti a monte: fattori trascrizionali, chinasi, fosfatasi, ecc.). Al fine di comprendere le basi genetico-molecolari
della tolleranza a tale condizione, negli ultimi anni, l’attenzione si è spostata dallo studio dei singoli geni a valle, a
quello dei geni a monte nel tentativo di identificare i determinati genetici responsabili della percezione e trasmissione del segnale di stress e capaci quindi di attivare una risposta complessa e più efficace. Lo sviluppo di nuove
tecniche ha permesso, inoltre, di spostare l’attenzione ad una visione d’insieme: è stato quindi possibile analizzare
i cambiamenti globali determinati in una pianta da carenza idrica, a livello di trascrittoma, proteoma e metaboloma. Inoltre, gli approcci di genetica mirata, permettendo la variazione di espressione di singoli geni permette di determinarne la funzione. Infine, lo sviluppo di sistemi informatici sempre più sofisticati permette di integrare l’enorme mole di informazioni continuamente generata: l’insieme di questi nuovi approcci sta dando grande impulso all’identificazione dei geni maggiormente responsabili della tolleranza a stress, all’identificazione importanti QTL, allo sviluppo di valide strategie di ingegneria genetica o di MAS per ottenere piante con migliorata tolleranza. In
questa review, sono riportati i più recenti risultati in campo internazionale sui succitati temi, riguardanti sia piante
modello che piante di interesse agronomico. È stata rivolta particolare attenzione agli studi sui network genici coinvolti nella risposta a stress idrico (pathway ABA-dipendenti ed ABA-indipendenti), sugli approcci innovativi per
identificare funzioni geniche importanti nel fenotipo di tolleranza (forward e reverse genetics), sulle strategie genetiche avanzate per ottenimento di genotipi con aumentata tolleranza (ingegneria genetica, MAS basati su QTL).
Parole chiave: tolleranza a stress idrico, geni indotti da carenza idrica, regolazione dell’espressione genica, marker
assisted breeding, QTL.
Summary
PLANT GENETIC AND MOLECULAR RESPONSES TO WATER DEFICIT
Plant productivity is severely affected by unfavourable environmental conditions (biotic and abiotic stresses). Among
others, water deficit is the plant stress condition which mostly limits the quality and the quantity of plant products.
Tolerance to water deficit is a polygenic trait strictly dependent on the coordinated expression of a large set of genes coding for proteins directly involved in stress-induced protection/repair mechanisms (dehydrins, chaperonins,
enzymes for the synthesis of osmoprotectants and detoxifying compounds, and others) as well as genes involved in
*
Autore corrispondente: tel.: +39 081 2539026; fax: +39 081 7753579. Indirizzo e-mail: grillo@unina.it
617
Grillo S., Blanco A., Cattivelli L., Coraggio I., Leone A., Salvi S.
transducing the stress signal and regulating gene expression (transcription factors, kinases, phosphatases). Recently,
research activities in the field evolved from the study of single genes directly involved in cellular stress tolerance
(functional genes) to the identification and characterization of key regulatory genes involved in stress perception
and transduction and able to rapidly and efficiently activate the complex gene network involved in the response to
stress. The complexity of the events occurring in response to stress have been recently approached by genomics
tools; in fact the analysis of transcriptome, proteome and metabolome of a plant tissue/cell in response to stress already allowed to have a global view of the cellular and molecular events occurring in response to water deficit, by
the identification of genes activated and co-regulated by the stress conditions and the characterization of new signalling pathways. Moreover the recent application of forward and reverse genetic approaches, trough mutant collection development, screening and characterization, is giving a tremendous impulse to the identification of gene
functions with key role in stress tolerance. The integration of data obtained by high-throughput genomic approaches, by means of powerful informatic tools, is allowing nowadays to rapidly identify of major genes/QTLs involved in stress tolerance, and to develop appropriate strategies to obtain, through genetic engineering or Marker Assisted Breeding (MAS) water stress tolerant plants. In the present review we reported the most recent results obtained, in both model and crop species, in the field of the plant genetics of water stress tolerance with special attention to new insights into the complex gene networks activated in response to water deficit (ABA-dependent and
-indipendent pathways), the innovative genetic approaches to determine key gene functions (forward-reverse genetics), and the application of new genetic strategies to obtain tolerant genotypes (genetic engineering, QTL-based
MAS).
Key-words: tolerance to drought stress, drought-induced genes, regulation of gene expression, marker assisted breeding, QTS.
1. Introduzione
Il potenziale produttivo delle piante coltivate
dipende dall’interazione genotipo-ambiente. In
condizioni ambientali non ottimali e/o di stress,
l’omeostasi cellulare è disturbata e cambiamenti fisiologici e biochimici sono attivati in modo
da ridurre al minimo danni cellulari irreversibili e ripristinare un nuovo equilibrio cellulare. La
carenza idrica è la condizione di stress che maggiormente influenza negativamente le produzioni agricole, riducendo anche la qualità dei
prodotti agricoli (Boyer, 1982; Bray, 2000).
La capacità di adattamento delle piante a carenza idrica, intesa come capacità a mantenere
un tasso di crescita e, quindi, di produzione in
condizioni idriche sub-ottimali, è strettamente
associata a cambiamenti dell’espressione di interi set di geni che codificano per proteine coinvolte in meccanismi di riparazione di strutture
cellulari (deidrine, chaperoni), enzimi per la sintesi di molecole osmoregolatrici e per la detossificazione delle specie reattive dell’ossigeno
(ROS), che sono tra i fattori principali di innesco del fenomeno di morte cellulare in condizioni estreme di carenza idrica, ma anche di altri insulti ambientali (congelamento, eccesso di
sali) che causano stress osmotico (Grillo e Leone, 1996). Ne consegue che la tolleranza a carenza idrica è un carattere poligenico, come documentato dai numerosi risultati ottenuti dal-
618
l’analisi globale del trascrittoma in risposta a
stress in piante modello come Arabidopsis thaliana (Kreps et al., 2002; Seki et al., 2004), e in
diverse specie di interesse agrario, quali, riso
(Rabbani et al., 2003), patata (Costa et al., 2005)
orzo (Oztur et al., 2002) e altre (Buchanan et
al., 2005). Nonostante la diversità delle risposte
di adattamento innescate, il ripristino di una
nuova omeostasi cellulare in condizioni di carenza idrica dipende da eventi di percezione, segnalazione ed amplificazione intracellulare, e
porta all’attivazione della trascrizione di geni a
valle i cui prodotti genici sono implicati nella risposta fisiologica cellulare. Negli ultimi anni
l’attenzione si è, quindi, spostata dallo studio del
contributo di singoli geni nell’acquisizione della tolleranza, a ricerche volte a comprendere
quali siano i determinati genetici della percezione e trasmissione intracellulare del segnale
di carenza idrica. Anche se a tutt’oggi non si conoscono il sensore/sensori primari di condizioni
di stress, è stato dimostrato che la cascata di
MAP-chinasi (Jonak et al., 2002) è un elemento fondamentale della trasmissione intracellulare del segnale di carenza idrica, che porta all’induzione della trascrizione di geni che codificano fattori di trascrizione capaci, a loro volta,
di attivare a valle la trascrizione di geni coinvolti nei meccanismi di tolleranza (Boudsocq e
Lauriere, 2005). Il controllo trascrizionale non
è, tuttavia, l’unico punto di controllo dell’e-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:617-638
Trascrittoma
Proteoma
Metaboloma
Fenotipizzazione
tessuto/cellula
specificità di
espressione
RNAi
sovra-espressione
Variabilità genetica
specie selvatiche
versus coltivate
Alleli
utili
Piante
Modello
Stress Abiotici
Tessuti/cellule
Linee, Marcatori
Ecotipi molecolari:
QTL, SNP
Figura 1. Flusso di informazioni e tecnologie disponibili per lo studio della risposta allo stress. Lo schema mette in relazione le tecniche di studio
dei pathway della risposta delle piante agli stress con l’isolamento di geni utili ed il trasferimento delle conoscenze dalle specie modello alle
specie coltivate di importanza economica (adattata da Bonhert et al., 2006).
Adattamento
versus shock
Sviluppo
Espressione
( trascritti, proteine e metaboliti )
Bioinformatica
Database: trascritti, proteine, ioni, metaboliti,
interazione tra proteine, pathway, network
spressione di proteine e/o enzimi responsabili
dei cambiamenti fisiologici che si verificano in
risposta a stress idrico. Modificazioni post-traduzionali, quali fosforilazione/de-fosforilazione,
dalle quali dipende l’attivazione/disattivazione
di proteine con ruolo chiave nel metabolismo
cellulare, miristoilazione o palmitolazione, che
controllano la corretta localizzazione intramembrana, glicosilazione ed altre modificazioni
sono cambiamenti molecolari determinanti per
la corretta trasmissione del segnale di stress idrico, così come di altri tipi di stress (Chinnusamy
et al., 2006; Kwon et al., 2006). Negli ultimi anni l’analisi globale dei cambiamenti del trascrittoma è stata affiancata dall’analisi dei cambiamenti del proteoma, che sta fornendo ulteriori
informazioni per la comprensione a livello globale dei meccanismi di segnalazione di carenza
idrica (Newton et al., 2004; Rose et al., 2004).
Tuttavia l’attivazione trascrizionale di uno o più
geni, e/o post-traduzionale delle proteine da essi codificate, non necessariamente indicano che
quel gene/i sono cruciali per la tolleranza a
stress idrico. Questo può essere stabilito analizzando la risposta a stress idrico con approcci
funzionali che si basano sull’uso di mutanti
knock-out (per T-DNA tagging o RNAi) per
quel determinato gene, o sullo studio dell’e-
Figure 1. Flow chart of information
and technologies available to study
plant stress response. The chart connects the approaches used to analyze
plant stress response pathways with
the isolation and mining of key genes and the transfer of knowledge
from model to crop species (adapted
from Bonhert et al., 2006).
spressione di un gene in linee ed ecotipi con livelli contrastanti di tolleranza (confronto suscettibili versus tolleranti). Inoltre, l’ultima arrivata delle discipline omics, la metabolomica,
mediante analisi globale dei cambiamenti metabolici in risposta a stress osmotici sta confermando la rapida attivazione in risposta a carenza idrica della biosintesi di metaboliti osmocompatibili o di metaboliti secondari con funzione antiossidante (Tohge et al., 2005).
L’integrazione mediante metodi informatici
dell’enorme mole di dati generati dalle analisi
del trascrittoma, del proteoma e del metaboloma, dell’analisi funzionale, insieme alle informazioni continuamente aggiornate provenienti
dalle banche di dati di sequenze del genoma di
piante modello e di piante di interesse agrario
(Hirai et al., 2004; Tuberosa e Salvi, 2006), sono
lo strumento straordinario che i ricercatori hanno oggi a disposizione per stabilire quali siano
i geni principali alla base della tolleranza a carenza idrica, identificare importanti QTL
(Quantitative Trait Loci) e disegnare strategie
efficaci di ingegneria genetica e di selezione assistita (MAS) per l’ottenimento di genotipi di
specie coltivate capaci di assicurare standard
produttivi accettabili anche in condizioni di
stress (figura 1).
619
Grillo S., Blanco A., Cattivelli L., Coraggio I., Leone A., Salvi S.
Di seguito saranno approfonditi gli argomenti su citati con particolare riferimento ai più
recenti risultati ottenuti: i) nell’identificazione
di geni e network genici coinvolti nella risposta
delle piante alla carenza idrica; ii) nell’utilizzazione di approcci innovativi per definire le funzioni geniche importanti per l’acquisizione della tolleranza; iii) nelle applicazioni di strategie
genetiche avanzate per lo sviluppo di genotipi
tolleranti.
2. Basi molecolari della risposta delle piante a
stress da carenza idrica
2.1 Geni e funzioni geniche coinvolte nella risposta a carenza idrica
Le piante, in quanto organismi sessili, incapaci
di sfuggire alle condizioni ambientali avverse,
hanno sviluppato un’ampia varietà di strategie
per adattarsi alle mutevoli condizioni ambientali. Le cellule vegetali hanno, di conseguenza,
evoluto pathway di segnalazione per percepire
ed integrare differenti segnali dall’ambiente e
rispondere modulando l’espressione di set di geni (Knight e Knight, 2001). La tolleranza allo
stress idrico è, quindi, il risultato del coordinamento di alterazioni biochimiche e fisiologiche
a livello cellulare e molecolare, come ad esempio la sintesi di ABA, l’accumulo di vari osmoliti e di proteine con un ruolo di riparazione e
protezione accoppiati con un efficiente sistema
antiossidante (Cushman e Bonhert, 2000). I
meccanismi di risposta attivati dipendono strettamente dalla durata e intensità dello stress e
dalla capacità di elicitare risposte cellulari a breve e a lungo termine tali da limitare i danni e
preservare le strutture cellulari (risposta a condizioni shock) e di ripristinare un nuovo equilibrio omeostatico (risposta adattativa) (Leone et
al., 1999).
Negli ultimi anni, diversi approcci sperimentali hanno portato all’identificazione e descrizione di un enorme numero di geni e funzioni
geniche coinvolti nei meccanismi di risposta delle piante a stress idrico e allo stress osmotico
ad esso associato (per recenti review consultare Bohnert et al. (2006), Yamaguchi-Shinozaki e
Shinozaki (2006)). L’analisi su larga scala del
trascrittoma ha, infatti, evidenziato che centinaia di geni sono attivati o repressi in risposta
a stress idrico ed osmotico (Bray, 2004; Seki et
620
al., 2004). I diversi geni individuati, oltre ad avere un ruolo diretto nella protezione delle cellule dai danni causati da stress osmotico, sono
coinvolti nell’attivazione di circuiti di regolazione che controllano l’intero network della risposta a carenza idrica. I geni coinvolti sono,
quindi, generalmente divisi in due categorie: i)
geni funzionali, che includono geni implicati nella sintesi di molecole e proteine con ruolo protettivo di processi cellulari cruciali (proteine
protettive, enzimi detossificanti, osmoliti compatibili ed altri), isolati da piante e organismi
procariotici, e ii) geni regolatori, codificanti proteine regolatrici coinvolte nella percezione e
trasduzione del segnale di stress (putativi recettori, calmoduline, calcium-binding proteins, fosfolipasi, chinasi e fosfatasi, fattori di trascrizione), che modulano l’espressione dei geni appartenenti alla prima categoria (Shinozaki e Yamaguchi-Shinozaki, 1997; Leone et al., 1999).
2.1.1 Geni funzionali. Geni coinvolti nella osmoregolazione cellulare. In condizioni di carenza
idrica, le cellule accumulano soluti per aumentare la pressione osmotica intracellulare, evitare la perdita di acqua e mantenere il turgore
cellulare. Tali soluti includono ioni come K+,
Na+, Cl-, e soluti organici, quali composti dell’ammonio quaternario (glicinbetaina), amminoacidi (prolina), polioli (inositolo, mannitolo)
e zuccheri (saccarosio, trealosio), chiamati anche osmoliti compatibili perché si accumulano
in quantità elevate nel citoplasma non interferendo con le normali funzioni cellulari. Geni codificanti per enzimi coinvolti nella biosintesi degli osmoliti sono stati isolati da diverse specie
vegetali e micro-organismi, che condividono con
le piante alcuni meccanismi osmoprotettivi. Negli
ultimi anni la manipolazione dei livelli di osmoliti mediante approcci di ingegneria genetica è
stata oggetto di numerose ricerche, i cui risultati
principali sono riportati nel paragrafo 3.1 e in recenti articoli (Wang et al., 2003; Vinocur e Altman, 2005; Umezawa et al., 2006; Valliyodan e
Nguyen, 2006). Il meccanismo di protezione cellulare fornito dagli osmoliti è ancora dibattuto.
Oltre al ruolo nell’aggiustamento osmotico, gli
osmoliti (prolina e mannitolo) sembrano svolgere anche altre funzioni, come l’inattivazione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) (Hong et
al., 2000) o la stabilizzazione strutturale delle
proteine (Carpenter et al., 1990).
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:617-638
Un’altra classe di proteine con ruolo cruciale per ridurre le perdite di acqua mediante
osmoregolazione cellulare sono i trasportatori;
proteine che facilitano il movimento dell’acqua
attraverso le membrane, come le acquaporine e
diverse pompe ioniche, quali ATPasi, proteine
antiporto Na+/H+ e trasportatori del K+.
Le acquaporine (water channel proteins) sono proteine canale che facilitano il passaggio
dell’acqua attraverso le membrane, regolando la
conduttività idraulica delle membrane (Maurel
e Chrispeels, 2001). Molti geni codificanti per
acquaporine sono sovra-espressi in risposta a
stress idrico, tra questi rd28 in A. thaliana (Yamaguchi-Shinozaki et al., 1992) e TRAMP (tomato-ripening-associated membrane protein) (Fray et
al., 1994).
Inoltre il mantenimento dell’omeostasi ionica cellulare, mediante regolazione dell’assorbimento, del sequestro, della esclusione e del trasporto ionico in condizioni di stress è garantito
dall’attività di trasportatori, che si accumulano
in risposta a stress osmotico associato a carenza idrica. Grazie a questa regolazione, nella cellula è prontamente ristabilito un rapporto equilibrato K+/Na+ e mantenuta una bassa concentrazione citosolica di Na+ (Zhu, 2003).
Geni coinvolti nella protezione delle strutture cellulari e riparo dei danni. Durante lo stress
idrico differenti prodotti genici si accumulano
per proteggere le strutture cellulari e importanti funzioni metaboliche dall’eccessiva disidratazione. La classe di geni più studiata è quella dei
geni codificanti proteine LEA (Late Embryogenesis Abundant). Questo gruppo di proteine,
inizialmente caratterizzate per il loro accumulo
nelle ultime fasi dell’embriogenesi, sono indotte anche in altri tessuti vegetali in risposta a carenza idrica, basse temperature, eccesso di sali
o trattamenti esogeni di ABA (Close et al.,
1989; Almoguera e Jordano, 1992; Gilmour et
al., 1992). Le proteine LEA sono altamente
idrofiliche per la loro composizione amminoacidica ricca in glicina e sembra agiscano da chaperonine, per prevenire ripiegamenti proteici errati e impedire la denaturazione proteica
(Xiong e Zhu, 2002).
La carenza idrica, come altri tipi di stress
ambientali, favorisce la generazione di specie
reattive dell’ossigeno (ROS), responsabili della
produzione di diverse forme di danni cellulari
(Smirnoff, 1993). Le cellule prevengono gli effetti negativi dello stress ossidativo sintetizzando composti antiossidanti ed enzimi detossificanti, quali la superossido-dismutasi, la glutatione S-transferasi, la ascorbato-ossidasi e la catalasi (Scandalios, 1997).
Geni coinvolti nella sintesi, processamento e
degradazione delle proteine. Molti geni codificanti per proteine coinvolte nella prevenzione e
riparo dei danni cellulari e nella rimozione di
composti tossici sono indotti da stress idrico ed
osmotico. La sintesi proteica è uno dei processi cellulari più sensibili ai danni da stress idrico. Una componente essenziale della sintesi proteica, il fattore di elongazione 1-alfa si accumula velocemente in cellule vegetali adattate a
stress salino (Zhu et al., 1994) e idrico (Costa
et al., 1999), e ciò sembra indicare l’esistenza di
un meccanismo adattativo di protezione della
sintesi proteica.
In risposta a stress osmotico si accumulano,
inoltre, anche enzimi coinvolti nella degradazione di proteine danneggiate irreparabilmente
dagli effetti dello stress osmotico, come l’ubiquitina e di alcune proteasi (Guerrero et al.,
1990), mentre attività opposta hanno gli inibitori di proteasi e le chaperonine, anch’esse indotte in risposta a questo tipo di stress. Mentre
la produzione di inibitori di proteasi sembra
avere il ruolo di proteggere le proteine dalle
proteasi rilasciate a causa di danni nelle membrane intracellulari, le chaperonine sono direttamente coinvolte nel favorire il corretto ripiegamento ed assemblaggio di proteine, processo
disturbato da condizioni di stress idrico ed
osmotico. Una classe ubiquitaria di chaperonine sono le heat shock proteins (HSP), tipiche
della risposta a stress da elevate temperature
(Vierling, 1991). Da recenti studi è emerso che
alcune HSP con una simile funzione sono indotte da stress idrico ed osmotico in tabacco e
patata (Zhu et al., 1993; Costa et al., 2005).
2.1.2 Geni regolatori. Negli ultimi anni gli sforzi dei ricercatori si sono concentrati sull’individuazione e caratterizzazione di geni regolatori
dell’espressione dei geni che agiscono nella cascata di trasduzione del segnale di stress. Gli studi sono stati volti a definire in che modo il segnale di stress è percepito e quali eventi cellulari e molecolari sono indotti per la trasmissione del segnale e l’attivazione di funzioni geni-
621
Grillo S., Blanco A., Cattivelli L., Coraggio I., Leone A., Salvi S.
che a valle (consultare review di Verslues e Zhu,
2005; Nakashima e Yamaguchi-Shinozaki, 2006;
Valliyodan e Nguyen, 2006). A tutt’oggi sono disponibili pochi dati riguardo l’identificazione di
putativi recettori del segnale capaci di monitorare i cambiamenti dell’ambiente. L’ipotesi comune è, comunque, che le piante abbiano meccanismi di percezione del segnale di stress ambientali simili a quelli di organismi eucariotici
semplici, come il lievito, dove alcuni sensori sono stati isolati e caratterizzati (Maeda et al.,
1994). Ad esempio, in Arabidopsis è stato identificata un nuovo tipo di istidina chinasi
(AtHK1) con similarità strutturali con l’osmosensore di lievito SLN1 e capace di complementare mutanti di lievito sln1 difettivi, indicando che ATHK1 potrebbe funzionare da
osmosensore anche in pianta (Urao et al., 1999).
Numerosi geni regolatori identificati sono,
invece, coinvolti nelle fasi successive di trasduzione del segnale di stress. Un ruolo di importanza primaria nella trasduzione del segnale è
svolto da una serie di chinasi e fosfatasi, attraverso reazioni di fosfo-defosforilazione di fattori trascrizionali (Mizoguchi et al., 1997). Sono
stati descritti nelle piante sistemi di MAP-chinasi specificamente attivi in condizioni di stress
osmotici (Mizoguchi et al., 2000). Un altro evento noto nel pathway di segnalazione di carenza
idrica è l’aumento della concentrazione di calcio intracellulare. Questo aumento porta all’attivazione di altri effettori, come le calmoduline,
proteine chinasi dipendenti da calcio (CDPKs)
e fosfatasi regolate da calcio (Knight et al.,
1997). I complessi eventi di trasduzione del segnale di stress mediati da cascate chinasi di tipo MAP o CDP sono stati recentemente descritti in dettaglio da Shinozaki et al. (2003).
Di estrema importanza è il ruolo di mediatore della risposta a stress svolto dall’acido abscissico (ABA), fitormone coinvolto nella regolazione dell’espressione di molti geni indotti da
stress (Bray, 2002; Verslues e Zhu, 2005). È ormai chiaro che la complessa risposta delle piante allo stress idrico coinvolge l’attivazione di almeno quattro pathway di risposta, di cui due
“ABA-dipendenti” e due “ABA-indipendenti”.
Le quattro vie sono tra loro interconnesse e l’espressione di singoli geni a valle è regolata da
una o più vie (Zhu, 2002; Shinozaki et al., 2003).
Recentemente molti dei fattori coinvolti nei
pathway di segnalazione di stress idrico e osmo-
622
tico sono stati identificati e descritti in dettaglio
(Yamaguchi-Shinozaki e Shinozaki, 2006). Come già accennato in precedenza, i risultati di tali studi indicano chiaramente che la risposta delle piante a stress idrico è in larga misura sovrapposta alla risposta cellulare a stress da eccesso di sali e da basse temperature (Nakashima e Yamaguchi-Shinozaki, 2006; YamaguchiShinozaki e Shinozaki, 2006). Di seguito sono
riportati i più recenti risultati sulla identificazione di geni regolatori della trasmissione intracellulare del segnale di stress idrico e sulle
interconnessioni con altri tipi di stress.
Reguloni ABA-dipendenti. Il più importante
pathway di segnalazione dello stress idrico ed
osmotico ABA-dipendente coinvolge geni che
presentano nel loro promotore la sequenza consenso ABRE (ABA Responsive Element). Tali
geni sono attivati grazie all’interazione di questi elementi in cis con fattori trascrizionali ABF
(ABRE Binding Factor, anche detti AREB). Tali fattori, appartenenti alla classe Basic domain
leucin zipper, costitutivamente espressi, sono attivati da modificazioni post-traduzionali dipendenti da ABA (Choi et al., 2000; Uno et al.,
2000). La loro sovra-espressione (ABF3 o
AREB2) induce ipersensibilità all’ABA, aumentata traspirazione e migliore tolleranza a
stress idrico (Kang et al., 2002).
Un altro pathway di segnalazione ABA-dipendente coinvolge fattori trascrizionali di tipo
Myb (AtMYB2) e Myc (AtMYC2), la cui sintesi dipende dall’accumulo di ABA e la cui azione è quindi più tardiva rispetto ai fattori ABF.
Similmente ai fattori ABF, la loro sovra-espressione costitutiva in piante transgeniche induce
ipersensibilità all’ABA e migliorata tolleranza a
stress (Abe et al., 2003). Geni attivati da tali fattori trascrizionali sono Rd22 ed altri geni coinvolti nello stress idrico, ABA-dipendenti, ma anche l’alcol deidrogenasi e geni regolati dall’acido jasmonico (Abe et al., 2003).
Reguloni ABA-indipendenti. Il pathway di regolazione che coinvolge i fattori DREB/CBF
costituisce il più importante regulone ABA-indipendente identificato in A. thaliana, sia per il
numero di geni a valle coinvolti, sia per gli effetti della sua sovra-espressione in piante transgeniche in termini di tolleranza agli stress (Yamaguchi-Shinozaki e Shinozaki, 2006). Nei promotori di diversi geni la cui espressione è in-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:617-638
dotta da carenza idrica, ma anche da temperature al di sotto di 0 °C, è presente un elemento DRE/CRT (Drought Responsive Element/C
Repeat) con sequenza consenso A/GCCGAC
responsabile della risposta a stress ABA-indipendente (Yamaguchi-Shinozaki e Shinozaki,
1994). Sono stati identificati diversi fattori trascrizionali (TF), appartenenti alla classe AP2
(Apetala2) in grado di legare elementi cis, raggruppabili nelle due classi DREB1 (DRE Binding protein 1) o CBF (C-repeat Binding Factor) e DREB2 (DRE Binding protein 2). In particolare, le proteine DREB2A e DREB2B sono
coinvolte nell’espressione di geni indotti da carenza idrica (Yamaguchi-Shinozaki e Shinozaki,
2006).
Recentemente sono stati isolati e caratterizzati altri tre membri della classe DREB1, la cui
espressione è regolata positivamente da stress
osmotico (DREB1D/CBF4) e stress salino
(DREB1E/DDF1 e DREB1F/DDF2). È stato
dimostrato che l’espressione di DREB1D dipende dall’accumulo di ABA (Haake et al.,
2002; Magome et al., 2004).
Tra gli otto TF della classe DREB2,
DREB2A e DREB2B sono i due maggiormente coinvolti nella risposta a carenza idrica ed eccesso di sali (Nakashima et al., 2000; Sakuma et
al., 2002). Tuttavia la sovra-espressione in piante transgeniche di tali TF non risulta in una migliorata tolleranza a tali stress, suggerendo la
presenza di meccanismi di regolazione post-trascrizionale (Liu et al., 1998). In accordo con tale ipotesi, l’uso di una forma deleta di
DREB2A-CA, mancante di un dominio di repressione, induce sia l’espressione di molti geni
implicati nella risposta a siccità, che una migliorata tolleranza a tale stress. È interessante
notare che nonostante le proteine di tipo
DREB1 e DREB2 legano lo stesso dominio
consenso presente su geni indotti sia da freddo
che da siccità (ad esempio RD29A), analisi microarray indicano una non completa sovrapposizione dei profili di espressione di piante costitutivamente sovra-esprimenti DREB1 e
DREB2-CA. Inoltre, mentre piante sovra-esprimenti DREB1 mostrano aumentata tolleranza
a siccità oltre che a freddo, non è vero il contrario per piante sovra-esprimenti DREB2 (Yamaguchi-Shinozaki e Shinozaki, 2006).
Recentemente è stato identificato un TF,
ICE1, Inducer of CBF Expression, appartenen-
te alla classe Myc basic domain in grado di transattivare il promotore del gene DREB1A/
CBF3, ma non quello di altri due membri della
stessa classe (Chinnusamy et al., 2003). Un diverso TF, sempre della classe Myc basic domain
è in grado di transattivare invece il gene
DREB1C/ (Yamaguchi-Shinozaki e Shinozaki,
2006). La scoperta che nel mutante cbf2, in cui
il gene DREB1C è silenziato, l’espressione dei
geni DREB1A e B, come pure la tolleranza a
stress abiotici, è aumentata, suggeriscono che
DREB1C/CBF2 possa avere un ruolo di regolatore negativo, il che sarebbe anche in accordo
con la presenza di TF diversi deputati all’attivazione dei singoli geni CBF (Novillo et al.,
2004). Tuttavia, l’induzione costitutiva di geni
coinvolti nella risposta a freddo e la migliorata
tolleranza a stress in piante sovra-esprimenti tale gene, indicano che l’interazione tra i diversi
ruoli di detti geni è molto più complessa (Vogel et al., 2005).
Sono stati descritti altri TF del tipo Myc
(ANAC019, 055 e 072) e TF del tipo tipo ZincFinger Homeodomain, uno dei quali (ZFHD1)
agisce in risposta a stress idrico in maniera
ABA-indipendente (Tran et al., 2004).
2.2 Analisi genomica della risposta a stress: assegnazione di funzioni geniche mediante forward
e reverse genetics
Nell’ultimo decennio le ricerche e gli studi sulla complessità dei meccanismi di risposta delle
piante a stress ambientali ed in ultima istanza,
della tolleranza, sono stati affrontati con strumenti di analisi e di studio integrati, capaci di
fornire una visione globale della complessa regolazione dell’intero set di geni coinvolti. L’impiego di nuove tecnologie per il clonaggio dei
geni e per il sequenziamento su larga scala ha
portato allo sviluppo di nuove metodologie che
sono capaci di sfruttare pienamente l’aumentata disponibilità di dati ottenuti dal sequenziamento di genomi vegetali.
Il sequenziamento di interi genomi o di Expressed Sequence Tags (EST) e il numero crescente di informazioni sui profili di espressione
genica derivanti dall’uso esteso di tecniche di
array, hanno consentito, infatti, di identificare
centinaia di geni la cui espressione è indotta o
variamente modulata in risposta a stress idrico
(drought-related genes) (Bray, 2004; Bonhert et
al., 2006). Tuttavia, questo tipo di informazioni
623
Grillo S., Blanco A., Cattivelli L., Coraggio I., Leone A., Salvi S.
non consente di conoscere l’effettivo ruolo ed,
in ultima analisi, il significato adattativo di geni indotti da carenza idrica. Sono state sviluppate quindi, negli ultimi anni, strategie genetiche funzionali, per definire, da una parte, la funzione dei geni isolati e dall’altra per isolare nuovi geni sulla base della loro specifica funzione
nei meccanismi di tolleranza. Gli studi di genomica funzionale mirano alla comprensione della funzione delle proteine codificate dai singoli
geni ovvero a stabilire il rapporto tra un gene
ed il suo fenotipo. Uno dei principali strumenti per studiare tale relazione è rappresentato
dallo studio di mutanti. L’analisi di mutanti può
essere effettuata seguendo principalmente due
vie: la prima, la strategia di forward genetics,
prevede lo studio di mutanti selezionati sulla base di un fenotipo di interesse (es. la suscettibilità e/o tolleranza ad un evento di stress) per
poi risalire al gene mutato responsabile di quel
fenotipo. L’altra strada, nota come approccio di
reverse genetics, sviluppata in tempi più recenti
in concomitanza dell’aumento di conoscenze sui
genomi vegetali, prevede la selezione di mutanti per una data sequenza genica alla ricerca di
un fenotipo dipendente dal gene in esame.
Le aumentate conoscenze del genoma della
specie modello A. thaliana e di tecniche efficienti di trasformazione genetica hanno permesso lo sviluppo di sofisticati strumenti genetici con la creazione di numerose popolazioni
mutanti utili sia in approcci di forward che di
reverse genetics (Bonhert et al., 2006; Koiwa et
al. 2006). Nell’utimo decennio sono state sviluppate numerose popolazioni dette loss-offunction o knock out, ottenute tramite mutagenesi inserzionale casuale mediante l’inserzione
di DNA esogeno, quali l’elemento T-DNA (TDNA tagging) o un elemento trasponibile (transposon tagging) all’interno di una pianta ospite
per inattivare sequenze geniche (Ramachandran e Sundaresan, 2001; Alonso et al., 2003).
Molti centri di ricerca si sono specializzati nella creazione e screening di mutanti di Arabidopsis e mettono oggi a disposizione ampie collezioni di mutanti relativi a quasi tutti i geni presenti nel genoma di questa specie (Krysan et al.,
1999; Alonso et al., 2003; Koiwa et al., 2006). La
mutagenesi inserzionale è utile nel caso in cui
il silenziamento di un gene produce un fenotipo evidente; tuttavia nei sistemi eucariotici, il
knock out genico non sempre porta a questo ri-
624
sultato, a causa della presenza di copie multiple
del gene di interesse, oppure, al contrario la mutazione può risultare letale. Una strada alternativa per evidenziare fenotipi associati a questi
geni consiste nel cercare di aumentare il loro livello di espressione producendo mutazioni dominanti dette gain-of-function.
L’acquisizione di una nuova funzione genica
può essere ottenuta direttamente mediante sovra-espressione/sotto-espressione di un gene
target in piante transgeniche (tecnologia senso/antisenso) oppure con tecniche ad approccio
casuale note come activation tagging. Quest’ultima si basa sulla trasformazione casuale con costrutti portanti enhancer o promotori forti capaci di indurre la sovra-espressione dei geni a
valle del punto di inserzione (Walden et al.,
1994; An et al., 2005). Inoltre sono stati sviluppati altri strumenti genetici per produrre ed
identificare mutanti anche in specie per le quali non sono disponibili collezioni di mutanti inserzionali. Tra di essi la tecnica nota come TILLING (Target Induced Local Lesion In Genome), capace di combinare la classica mutagenesi casuale per mezzo di agenti chimici (EMS)
con una selezione basata sull’amplificazione delle sequenze target mediante PCR, è probabilmente quella più nota (McCallum et al., 2000).
Lo studio di mutanti ha contribuito enormemente alla comprensione dei meccanismi di
resistenza alla siccità, e agli stress osmotici in
generale, permettendo l’identificazione di importanti componenti del pathway di trasduzione del segnale di stress (Bonhert et al., 2006;
Koiwa et al., 2006; Yamaguchi-Shinozaki e Shinozaki, 2006) Ad esempio, il ruolo svolto dall’ABA come mediatore della risposta molecolare a stress idrico è stato chiarito a partire dagli anni Ottanta attraverso l’uso dei mutanti
flacca di pomodoro (Neil e Horgan, 1985; Grillo et al., 1995). Negli anni Novanta, approcci di
forward genetics hanno consentito di descrivere
i pathway regolativi dipendenti da ABA e coinvolti in diversi meccanismi di resistenza mediante l’uso di mutanti insensibili all’ABA
(ABA insensitive) e mutanti incapaci di sintetizzare ABA (ABA deficient) isolati in diverse
specie (arabidopsis, girasole, pomodoro e patata). Lo studio di questi mutanti ha consentito di
identificare geni indotti da siccità la cui espressione è mediata dall’accumulo di ABA e di comprenderne il ruolo nell’ambito dei meccanismi
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:617-638
di resistenza (Shinozaki e Yamaguchi-Shinozaki,
1997; Bonetta e McCourt, 1998; Versleus e Bray,
2006). Ad esempio, i mutanti ABA insensitive
abi1 e abi2 di Arabidopsis hanno permesso di
identificare due geni che codificano per proteine fosfatasi 2C coinvolte nella risposta molecolare all’accumulo di ABA, i corrispondenti mutanti sono di conseguenza incapaci di indurre alcuni geni normalmente espressi in risposta a siccità (Chak et al., 2000).
Recentemente, un originale approccio per
selezionare mutanti coinvolti nella regolazione
della risposta a stress, è consistito nella ricerca
di genotipi caratterizzati da un alterato profilo
di espressione del gene drought-related RD29A,
il cui promotore è stato associato al gene reporter Luciferasi. Piante trasformate con il gene chimerico promotore RD29A-gene reporter
sono state mutagenizzate e dalla popolazione
sono stati isolati mutanti che esprimono il gene
reporter più intensamente del gene endogeno
RD29A (mutanti hos – high expression of osmotically responsive genes), meno intensamente
(mutanti los – low expression of osmotically responsive genes) o costitutivamente (mutanti cos
– constitutive expression of osmotically responsive genes) (Ishitani et al., 1997). Tale sistema ha
consentito di identificare numerosi geni che
controllano positivamente/negativamente i
pathway di segnalazione in risposta a stress
(Zhu, 2002; Yamaguchi-Shinozaki e Shinozaki,
2006). Molti dei mutanti hos, los e cos mostrano, inoltre, un fenotipo di maggiore o minore
tolleranza a stress dimostrando l’effettiva connessione tra espressione dei geni drought-related e la resistenza alla siccità (Ishitani et al.,
1997; Chinnusamy et al., 2003; Zhu et al., 2004).
Interessanti sono risultati i mutanti hos10, incapaci di acclimatare a freddo ed ipersensibili alla salinità e alla siccità, nonostante il livello di
espressione più alto di geni regolati dal TF
DREB. Hos10 codifica per un TF di tipo MYB
che sembra implicato nel controllo della biosintesi dell’ABA in seguito a stress. La maggior
sensibilità agli stress di questi mutanti deriva
probabilmente proprio dal ridotto accumulo di
tale ormone (Zhu et al., 2005). Anche i mutanti nel gene fly1, che codifica una inositolo fosfato 1-fosfatasi, implicato nella sintesi di inositolo 3 fosfato, presentano livelli di espressione
aumentati (in condizione di stress idrico o trattamento con ABA) dei geni indotti da stress, ma
maggior sensibilità agli stress stessi (Xiong et
al., 2001).
Un mutante con ridotta espressione dei geni a valle nel pathway DREB e minore tolleranza è sfr6. Poiché i livelli di mRNA codificante per i fattori trascrizionali DREB non sono invece modificati da tale mutazione, si suppone che SFR6 agisca a livello post-trascrizionale o intervenga nell’interazione tra i fattori
DREB ed i motivi CRT/DRE presenti nei promotori (Boyce et al., 2003). Altro fenotipo interessante è quello del mutante osm/syp61 che
mostra, a causa del silenziamento di un gene codificante una sintaxina, una modificata sensibilità all’ABA, ipersensibilità a stress idrico e salino per la perdita d’acqua conseguente a un alterato controllo della chiusura/apertura degli
stomi in condizioni di stress (Zhu et al., 2002).
Fenotipo interessante ha mostrato inoltre il mutante nel gene Atmyb60-1, un repressore della
trascrizione del tipo R2-R3 MYB, che mostra riduzione della apertura stomatica e della perdita d’acqua e maggiore tolleranza allo stress idrico (Cominelli et al., 2005).
3. Nuove strategie per il miglioramento della
tolleranza a carenza idrica
3.1 Ingegneria genetica e sviluppo di genotipi tolleranti
La modificazione dell’espressione, in piante
transgeniche, di molti dei geni identificati e descritti nei precedenti paragrafi è stato l’approccio più utilizzato per verificare il reale coinvolgimento dei diversi geni nei meccanismi di tolleranza e per poter definire la funzione biologica del prodotto genico, quando questa non era
nota. Inoltre, strategie di ingegneria genetica sono state disegnate e sviluppate per ottenere in
modo mirato piante tolleranti con alterati livelli di osmoliti, attività di enzimi anti-ossidanti e/o
con modificata espressione di fattori di trascrizione (tabella 1). In questo paragrafo, sono descritti i risultati più promettenti, le potenzialità
e limiti degli approcci utilizzati. Per un maggiore dettaglio possono essere consultate alcune recenti review pubblicate sull’argomento da Wang
et al. (2003), Vinocur e Altman (2005), Umezava et al. (2006), Valliyodan e Nguyen (2006).
Nell’ultimo decennio piante transgeniche
parzialmente tolleranti a stress osmotici sono
625
Grillo S., Blanco A., Cattivelli L., Coraggio I., Leone A., Salvi S.
Tabella 1. Esempi di piante transgeniche tolleranti stress da carenza idrica ottenute mediante sovra-espressione di
geni appartenenti a diverse categorie funzionali.
Table 1. Transgenic plants tolerant to water stress obtained by over-expressing plant and microbial genes belonging
to different functional categories.
Prodotto
Gene
Origine
Ospite
SacB
B. subtilis
Trealosio
Poliammine
Prolina
Tps1
ADC
P5CS
Lievito
D. stramonium
Arabidopsis
Tabacco,
barbabietola
Tabacco
Riso
Petunia
Pilon-Smits et al.,
1995, 1999
Romero et al., 1997
Capell et al., 2004
Yamada et al., 2005
PROTEINE PROTETTIVE
LEA
Chaperone
LEA
HVA1
Bip
LLA23
Orzo
Soia
Lilium
Riso
Tabacco
Arabidopsis
Xu et al., 1996
Alvim et al., 2001
Yang et al., 2005
ENZIMI DETOSSIFICANTI
Perossidasi
Superossido dismutasi
APX3
Mn-SOD
Arabidopsis
Tabacco
Tabacco
Alfalfa
Yan et al., 2003
McKersie et al., 1996
ZmBREB1A
DREB1A
/CBF3
SHN1/WIN1
ABF3
CpMYB10
Mais
Arabidopsis
Arabidopsis
Arabidopsis
Qin et al., 2004
Kasuga et al., 1999
Arabidopsis
Arabidopsis
C. plantagineum
Arabidopsis
Riso
Arabidopsis
Aharoni et al., 2004
Oh et al., 2005
Villalobos et al., 2004
NKP1
ERA1
Tabacco
Arabidopsis
Mais
Colza
Shou et al., 2004
Wang et al., 2005
AVP1
Chi-NADP
-Me
AtNCED3
Arabidopsis
Tabacco
Arabidopsis
Tabacco
Gaxiola et al., 2001
Laporte et al., 2002
Arabidopsis
Arabidopsis
Iuchi et al., 2001
METABOLISMO
Fruttano
OSMOLITI
FATTORI TRASCRIZIONALI
DREB1/CBF
DREB1/CBF
AP2/ERF
bZip
MYB
FATTORI DI SEGNALE
MAPKKK chinasi
Farnesyl transferasi
ALTRO
Pompa ionica H+
Enzima malico
(apertura stomatica)
Expoxi-dioxigenasi
(Biosintesi ABA)
DI STRESS
state ottenute sia in sistemi modello (tabacco e
Arabidopsis) sia in piante di interesse agrario,
utilizzando geni di origine batterica o vegetale
codificanti per enzimi della catena biosintetica
di molecole a funzione protettiva o osmoregolativa quali mannitolo, trealosio, prolina, glicinbetaina (Tarczynski et al., 1993; Kavi Kishor et
al., 1995; Lilius et al., 1996; Romero et al., 1997).
I più recenti risultati in questo settore includono la recente descrizione di un nuovo pathway
a partire dalla glicina per la sintesi della glicinbetaina, uno dei più importanti osmoprotettori
dei microoganismi alofiti (Nuccio et al., 1999).
Piante transgeniche di Arabidopsis sovra-esprimenti i geni glicina-sarcosina metiltransferasi e
dimetilglicina-metiltransferasi, coinvolti nella
sintesi delle betaine utilizzando il pathway a
partire dalla glicina, accumulano elevati livelli
626
Referenza
di glicinbetaina e sono maggiormente tolleranti
condizioni di carenza idrica rispetto a piante in
cui la glicinbetaina è prodotta attraverso il
pathway mediato dalla colina (Waditee et al.,
2005). Il meccanismo attraverso il quale gli
osmoliti inducono protezione non è completamente chiaro, infatti, le piante ingegnerizzate accumulano livelli bassi di osmoliti e tali da non
poter avere un ruolo primario nei meccanismi
di aggiustamento osmotico, ma probabilmente
possono cooperare con altre componenti per ridurre i radicali liberi che si accumulano in risposta a stress ossidativi indotti da eccessi di disidratazione cellulare (Shen et al., 1997).
In tale contesto, una strategia già percorsa
per ottenere piante tolleranti si è basata sulla
manipolazione dei livelli di enzimi anti-ossidanti in piante transgeniche. Diversi gruppi di ri-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:617-638
cerca hanno ingegnerizzato piante con geni codificanti per enzimi anti ossidanti (superossidodismutasi, glucatione-S-transferasi, catalasi) la
cui espressione è indotta da carenza idrica e la
cui attività conferisce alle piante protezione parziale dai danni di tipo ossidativo (Mittler, 2002).
Risultati positivi, confermati anche in esperimenti in pieno campo, sono stati ottenuti sovraesprimendo un gene codificante una Mn superossido-dismutasi in erba medica (Oberschall et
al., 2000). Nonostante nuovi e approfonditi studi sono ancori necessari per comprendere i meccanismi di azione e le interazioni tra i diversi sistemi anti-ossidanti attivi nella cellula, è ormai
chiaro che la riduzione degli effetti dell’accumulo dei radicali ROS e del conseguente stress
ossidativo, mediante manipolazione dei sistemi
di detossificazione, rappresenta la via più promettente per ottenere piante resistenti ai molteplici stress, che si verificano contemporaneamente durante l’allevamento di piante in pieno
campo (Bartels, 2001).
Altri geni target per approcci di ingegneria
genetica sono stati i geni codificanti proteine
che si accumulano notevolmente in risposta a
disidratazione come la classe di proteine LEA
che, come riportato nel paragrafo 2.1, hanno una
funzione di riduzione dei danni da stress e di
protezione delle strutture cellulari. La sovraespressione in tabacco di alcuni membri della
famiglia LEA di Craterostigma plantagineum
non ha prodotto fenotipi tolleranti (Iturriaga et
al., 1992), mentre l’accumulo in riso e grano del
gene LEA hva1 di orzo ha indotto tolleranza a
stress idrico (Xu et al., 1996; Sivamani et al.,
2000).
I risultati sin qui ottenuti, mediante sovraespressione di singoli geni, indicano chiaramente che questa strategia può permettere solo limitati miglioramenti della tolleranza agli stress,
molto spesso limitata alle condizioni sperimentali (durata e intensità dello stress) utilizzate,
che sono molto differenti dalle condizioni reali
di coltivazione in pieno campo. Appare chiaro,
infatti, che la risposta della pianta agli stress è
un fenomeno molto complesso, che richiede l’azione concertata di numerose funzioni geniche
e che quindi la sovra-espressione di un singolo
gene può solo marginalmente migliorare le
performance produttive in condizioni di carenza idrica. Inoltre, la parziale tolleranza acquisita è risultata spesso associata a effetti pleiotro-
pici negativi del prodotto del transgene il cui accumulo costitutivo può interferire con il normale metabolismo cellulare (Leone et al., 1999;
Umezava et al., 2006).
Una strategia recentemente utilizzata, anche
in base alle recenti acquisizioni sui meccanismi
di trasduzione del segnale di stress a livello intracellulare, è stata quella di sovra-esprimere in
piante transgeniche geni che sono a monte della complessa catena di eventi che va dalla percezione del segnale di stress alla sua trasmissione all’interno della cellula. Geni che codificano per chinasi, fosfatasi, sensori del calcio sono stati identificati e utilizzati in approcci di ingegneria genetica; i risultati più promettenti, sintetizzati da Boudsocq e Lauriere (2005), Umezawa et al. (2006), Yamaguchi-Shinozaki e Shinozaki (2006), chiaramente indicano che la induzione/repressione in risposta a stress di componenti dei diversi pathway di trasduzione del
segnale può essere utilizzata con successo per la
manipolazione biotecnologica della risposta delle piante a stress multipli. Infatti, la sovraespressione costitutiva della MAP-chinasi chinasi chinasi (MAP-KKK) di tabacco, NPK1, induce una cascata di eventi tipica della risposta
a stress ossidativo con induzione della tolleranza a stress idrico, basse temperature e eccesso
di sali (Shou et al., 2004). Inoltre, anche la soppressione di pathway di segnalazione può indurre meccanismi di tolleranza. Infatti, la riduzione mediante tecnologia antisenso dell’espressione di un regolatore negativo del
pathway di segnalazione dell’ABA coinvolto
nella chiusura degli stomi, la farnesiltrasferasi
ERA1, rapidamente induce il pathway di risposta all’ABA e un aumento della tolleranza a carenza idrica in piante di colza (Wang et al.,
2005).
La recente identificazione di numerosi fattori di trascrizione (TF) che regolano la risposta della pianta a carenza idrica, ha permesso lo
sviluppo di nuove strategie per l’ottenimento di
piante tolleranti mediante sovra-espressione di
singoli TF. La sovra-espressione, ad esempio, di
geni DREB1 in Arabidopsis risulta in piante
con aumentata tolleranza a freddo, temperature al di sotto di 0 °C, elevati livelli di sale e
stress idrico (Jaglo-Ottosen et al., 1998; Liu et
al., 1998; Kasuga et al., 1999; Gilmour et al.,
2004). L’operone DREB sembra estremamente
conservato tra le specie, come suggerito sia dal-
627
Grillo S., Blanco A., Cattivelli L., Coraggio I., Leone A., Salvi S.
l’isolamento di geni DREB simili in diverse specie, sia dal fatto che la sovra-espressione di
DREB di Arabidopsis in altre specie e viceversa, ne migliora la tolleranza a stress (Jaglo-Ottosen et al., 2001; Hsieh et al., 2002; Dubouzet
et al., 2003; Qin et al., 2004; Zhang J. et al., 2004;
Zhang X. et al., 2004). L’effetto pleiotropico negativo della sovra-espressione costitutiva dei geni target è stato, inoltre, superato ottenendo
piante transgeniche con il fattore di trascrizione DREB1A a valle di un promotore inducibile da stress idrico (Kasuga et al., 1999); in tal
modo l’espressione genica e la cascata di eventi di risposta della pianta allo stress sono attivate solo in condizioni di stress.
Analoghi risultati sono stati ottenuti sovraesprimendo in Arabidopsis e in altre specie di
interesse agrario un fattore trascrizionale di tipo Myb (Osmyb4) isolato in riso (Vannini et al.,
2004). La capacità di Osmyb4 e di CBF di aumentare la tolleranza agli stress in un ampio
spettro di specie indica che i meccanismi molecolari di risposta agli stress sono altamente conservati. Tuttavia gli specifici effetti a valle (grado di tolleranza ai singoli stress, tipo di metaboliti accumulati) variano nelle singole specie,
in conseguenza degli specifici geni a valle attivati in risposta a stress specie-specifici.
Una recente review di Zhang (2003) fornisce ulteriori dettagli sui risultati e sugli approcci innovativi per una più efficace manipolazione dell’espressione dei TF in piante transgeniche per l’ottenimento di piante tolleranti condizioni di stress ambientali, incluso lo stress da
carenza idrica.
3.2 Uso dell’analisi QTL per tolleranza alla siccità
La base genetica della tolleranza allo stress idrico è di tipo quantitativo (Blum, 1988; Passioura, 2002; Tuberosa e Salvi, 2006), cioè è sotto il
controllo di un elevato numero di funzioni geniche la cui espressione è fortemente influenzata da fattori ambientali. A causa della sua complessità, la tolleranza allo stress idrico è spesso
considerata il più difficile carattere da sottoporre a miglioramento genetico, anche per la tipica imprevedibilità dell’evento climatico, variabile nell’intensità e nella ricorrenza nel tempo. L’utilizzo dell’insieme di tecniche note nel
complesso come analisi QTL (Quantitative Trait
Loci: loci per i caratteri quantitativi) consente
628
l’identificazione delle regioni cromosomiche sede dei geni che controllano tali caratteri e lo
studio dei loro effetti.
3.2.1 Basi e obiettivi dell’analisi QTL. L’analisi QTL è stata introdotta alla fine degli anni
Ottanta ed è ora una tecnica standard nella genetica dei caratteri quantitativi (Lynch e Walsh,
1998). L’analisi si basa sulla caratterizzazione fenotipica, e con marcatori molecolari, di popolazioni sperimentali ottenute dall’incrocio di genotipi a fenotipi contrastanti per il carattere in
esame. Lo stato allelico a ciascuna regione cromosomica è poi correlato con il valore fenotipico del carattere in esame. La presenza di un
QTL nelle vicinanze di un locus marcatore comporterà una cosegregazione tra uno specifico allele al marcatore ed uno specifico al QTL, e
questo si rifletterà sui valori fenotipici medi delle classi genotipiche, producendo delle differenze rilevabili statisticamente.
Di più recente introduzione è un approccio
all’analisi QTL che non richiede la necessità di
produrre popolazioni sperimentali appositamente predisposte, ma utilizza una o più collezioni di germoplasma (es. varietà coltivate, razze locali, accessioni selvatiche, ecc.), su cui svolgere le analisi molecolari e le prove per il rilievo dei fenotipi. Tale approccio prende il nome
di mappaggio per associazione o basato su disequilibrio di linkage (LD) (Gupta et al., 2005).
Per l’applicazione di tale approccio è necessario conoscere preventivamente il livello di disequilibrio di linkage, dato che questo influenza il
numero di marcatori molecolari necessari per
svolgere l’analisi. Elevati livelli di LD (> 5-10
cM) consentono di utilizzare un basso numero
di marcatori molecolari al fine di svolgere una
ricerca di QTL sull’intero genoma di una comune specie coltivata. La stessa indagine in condizioni di bassi valori di LD (> 1 cM) richiede
invece la valutazione di un numero troppo elevato di marcatori, almeno sulla base delle tecnologie e dei costi accessibili al momento. Popolazioni a basso LD sono comunque utili per
valutare il ruolo, sul controllo del carattere
quantitativo, della variazione allelica di geni
candidati preventivamente identificati.
È noto che alleli utili al miglioramento genetico possono essere rintracciati in genotipi
non coltivati quali accessioni selvatiche, altre
sottospecie e specie filogeneticamente vicine
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:617-638
sessualmente compatibili (Tanksley e McCouch,
1997). L’utilizzo di tali risorse genetiche è particolarmente efficiente attraverso la produzione
di due tipologie di popolazioni, note come collezioni di linee di introgressione (IL) e popolazioni per Advanced Backcross QTL analysis
(AB-QTL). Le linee di introgressione IL sono
linee prodotte tramite reincrocio assistito da
marcatori, in cui ciascuna è quasi-isogenica con
il genitore ricorrente (il genitore elite), dal quale si differenziano solo per una breve regione
cromosomica (ca. 20-30 cM), introgressa dal genitore donatore (il genitore selvatico) (Zamir,
2001). Analisi QTL svolte su materiale IL sono
particolarmente informative in quanto si svolgono nel background genetico di un genotipo
adattato alla coltivazione. Nell’approccio ABQTL (Tanksley e Nelson, 1996), la popolazione
sperimentale ottenuta tramite reincrocio è sottoposta, nella primissime fasi, ad una selezione
contro eventuali caratteristiche negative apportate dal genitore selvatico (quali habitus di crescita, risposta al fotoperiodo, ecc) che ostacolerebbero la valutazione dei caratteri di interesse
agronomico.
I risultati dell’analisi QTL trovano una diretta applicazione nelle procedure di selezione
assistita da marcatori (MAS: Marker-Assisted
Selection). In tale approccio, i marcatori molecolari strettamente concatenati a QTL d’interesse sono utilizzati per selezionare le piante
con alleli ad effetto favorevole all’interno di popolazioni predisposte per il miglioramento varietale. L’applicazione della MAS è particolarmente
interessante in caratteri ad ereditabilità mediobassa quale appunto la tolleranza allo stress idrico, ed ogni volta che la valutazione fenotipica ai
fini di selezione è particolarmente costosa o difficoltosa (Varshney et al., 2005). Inoltre, l’analisi
QTL, identificando le regioni sede di geni rilevanti, pone le basi per il loro clonaggio sulla base di procedure di clonaggio posizionale (Salvi e
Tuberosa, 2005). Il clonaggio di geni coinvolti nella variabilità naturale della risposta allo stress
idrico consentirà una migliore comprensione dei
meccanismi della risposta allo stress idrico e fornirà informazioni potenzialmente utilizzabili in
approcci di miglioramento genetico basati su ingegneria genetica.
3.2.2 Esempi di analisi QTL per tolleranza
alla siccità nelle principali specie erbacee
Frumento. La resistenza alla siccità è un ca-
rattere estremamente complesso nei frumenti e
coinvolge numerosi fattori morfo-fisiologici e
biochimici quali sviluppo e profondità dell’apparato radicale, presenza di reste, potenziale
idrico fogliare, contenuto idrico relativo, efficienza di utilizzazione dell’acqua (WUE), aggiustamento osmotico (OA), cerosità, accumulo
di osmoliti e ABA, senescenza, ecc. In condizioni di carenza idriche severe il frumento duro ha una resa in granella inferiore a quella dell’orzo, ma superiore a quella del frumento tenero. Tale comportamento è il risultato di differenze nel ciclo vitale: specie a maturità precoce sono più adatte ad ambienti con piovosità
ridotta o nulla a partire dalla tarda primavera
e riserve idriche del suolo esaurite alla fine del
ciclo vitale. Pertanto, geni per caratteristiche
adattative alle variazioni ambientali possono assumere un ruolo più importante rispetto a loci
per la tolleranza alla siccità. Accanto ai geni per
la risposta alla vernalizzazione (vrn) localizzati
sui cromosomi omeologhi del gruppo 5 e ai geni per la risposta al fotoperiodismo (Ppd) localizzati sui cromosomi del gruppo 2, sono stati
mappati diversi QTL sui cromosomi 2B, 5AL,
3AS, 3AL (Snape et al., 2001).
Una misura integrata della capacità delle
piante di sintetizzare sostanza organica in condizioni idriche limitanti può essere ottenuta dal
rilievo della WUE. Gorny (2000) ha riscontrato
che il cromosoma 7D influenza positivamente la
WUE in linee di sostituzioni cromosomica del
genoma D. L’aggiustamento osmotico (OA) è ritenuto uno dei fattori più importanti della tolleranza alla siccità; a bassi livelli di umidità del
suolo, l’OA è responsabile del turgore cellulare.
QTL per OA sono stati mappati sul braccio corto del cromosoma 7A (Zhang et al., 1999) e sui
cromosomi 5A e 5D (Galiba et al., 1992). Un
QTL maggiore responsabile dell’accumulo di
ABA indotto da stress è stato mappato sul braccio lungo del cromosoma 5A, prossimo a un locus che controlla la resistenza al freddo e strettamente associato al locus Dhn1/Dhn2; ciò ha
suggerito un’associazione genetica tra l’accumulo di ABA e la tolleranza allo stress (Quarrie et al., 1994).
Per quanto riguarda l’approccio di mappaggio basato su linkage disequilibrium, è stata costituita ed è in via di utilizzo una collezione di
189 accessioni di frumento duro, provenienti
principalmente dalle regioni Mediterranee, e va-
629
Grillo S., Blanco A., Cattivelli L., Coraggio I., Leone A., Salvi S.
riamente tolleranti allo stress idrico (Maccaferri et al., 2006). In questa collezione il valore di
LD si riduce a valori non significatici a distanze superiori a 10 cM, suggerendo che possa essere usata per studi di mappaggio per associazione senza la necessità di un numero elevatissimo di marcatori.
Poiché i frumenti coltivati presentano una ridotta variabilità intraspecifica, alcune specie selvatiche sessualmente compatibili, quali il diploide Triticum urartu e il tetraploide Triticum
turgidum ssp. dicoccoides, sono state proposte
come fonte di geni utili (Valkoun, 2001). Incroci tra frumenti duri coltivati e la spp. dicoccoides hanno già consentito il mappaggio di un elevato numero di QTL per componenti della produttività in ambienti con limitate risorse idriche
(Blanco et al., 2001).
Un sommario dei principali loci e QTL coinvolti nella tolleranza a stress abiotici nelle Triticeae è stato compilato da Cattivelli et al.
(2002). Il gruppo 5 presenta la più alta concentrazione di QTL per caratteri adattativi alle variazioni ambientali, in particolare quelli che controllano l’epoca di spigatura, la resistenza al
freddo e alla salinità. Una regione cromosomica del gruppo 7 appare cruciale per la tolleranza alla siccità. Sebbene l’analisi QTL e il clonaggio genico siano stati utilizzati come due approcci differenti per lo studio delle risposte allo stesso stress, nei frumenti le relazioni tra QTL
e sequenze correlate a stress sono ancora da definire. Diverse sequenze geniche correlate allo
stress sono state mappate e alcune di esse sembrano in realtà cosegregare con QTL per la tolleranza a stress. Due loci Dhn sono stati localizzati nella stessa regione dove sono stati mappati
QTL maggiori per la tolleranza a stress salino e
da freddo e un altro cluster Dhn è risultato associato con un QTL per la tolleranza alla siccità
(Cattivelli et al., 2002). È stato ipotizzato che le
basi molecolari di alcuni QTL per la tolleranza a
stress siano spiegabili attraverso l’attività di un
gene regolatore in grado di controllare l’espressione di molti loci correlati con lo stress.
Riso. L’identificazione di QTL per l’apparato radicale con un impatto sulla tolleranza allo
stress idrico è uno degli obiettivi del miglioramento genetico del riso coltivato in asciutta. In
uno studio pionieristico, Champoux et al. (1995)
hanno investigato la coincidenza, in termini di
posizione sulla mappa genetica, di QTL per
630
morfologia radicale e QTL associati alla tolleranza allo stress idrico utilizzando una cultivar
della sottospecie indica, adattata alla coltivazione tradizionale, con una cultivar della sottospecie japonica, adattata alla coltivazione in asciutta e con un ampio apparato radicale. In totale,
sono state identificate quattordici regioni cromosomiche che influenzano la risposta allo
stress idrico, dodici delle quali influenzavano
anche la morfologia radicale. Successivamente,
la stessa popolazione di mappa è stata utilizzata per svolgere analisi QTL per aggiustamento
osmotico e tolleranza alla disidratazione (Lilley
et al., 1996). Un QTL ad effetto primario per
aggiustamento osmotico e due dei cinque QTL
per tolleranza alla disidratazione sono risultati
coincidere, almeno parzialmente, con QTL per
morfologia radicale, suggerendo una possibile
associazione di tipo genetico e non di tipo pleiotropico tra i caratteri. È tuttavia da segnalare
che, in altri studi, la coincidenza tra QTL per
caratteri radicali con QTL per tolleranza allo
stress idrico non è stata rilevante (Yue et al.,
2006, ed opere citate). Parallelamente, Price et
al. (2002) hanno osservato che la mancanza di
coincidenza, osservata in alcuni studi, tra QTL
per la resa in assenza di stress e QTL per lo sviluppo radicale in condizioni di stress idrico rendono questi ultimi potenzialmente utilizzabili in
programmi di MAS senza precludere la produzione in condizioni non limitanti.
Il processo di MAS per QTL per caratteri
radicali in riso è stato già applicato. A partire
dall’incrocio IR64 x Azucena, l’analisi delle linee prodotte attraverso MAS ha mostrato che
il processo ha avuto successo per 3 dei 4 QTL
e che, quando allevate in condizioni di stress
idrico in condizioni aerobiche, le linee con apparato radicale profondo superavano in resa le
linee di controllo (Courtois et al., 2003).
Mais e sorgo. È ben noto che in mais la fase dello sviluppo più critica per la produzione,
rispetto ad episodi siccitosi, è quella della fioritura (Saini e Westgate, 2000). La carenza idrica
in questa fase si ripercuote in un ritardo della
estrusione degli stili e quindi di conseguenza in
un aumento dell’intervallo tra la produzione di
polline e la fase di ricettività dello stilo/stigma.
Alcuni esempi di analisi QTL per caratteri collegati allo stress idrico svolte in mais sono: intervallo antesi maschile-femminile (Ribaut et
al., 1997; Sanguineti et al., 1999), concentrazio-
Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 2006, 3:617-638
ne di acido abscissico (ABA) nella foglia (Lebreton et al., 1995; Tuberosa et al., 1998), morfologia della radice (Lebreton et al., 1995; Tuberosa et al., 2002a). In alcune ricerche gli autori
hanno analizzato diversi caratteri contemporaneamente, compreso la resa, consentendo quindi di verificare l’eventuale coincidenza di QTL
per i diversi caratteri e valutare l’importanza di
tali regioni a fini di MAS e per tentare una delucidazione tra possibili effetti pleitropici o di
linkage. Sulla base di questi studi, particolare
importanza sembra rivestire la regione del cromosoma 1, bin 1.06 (Tuberosa et al., 2002b).
Inoltre, un QTL ad effetto principale sulla concentrazione di ABA della foglia è stato ripetutamente identificato da diversi autori sul cromosoma 2 (bin 04) (Lebreton et al., 1995; Tuberosa et al., 1998). L’effetto di tale QTL è stato confermato attraverso lo sviluppo di linee
quasi-isogeniche tramite MAS in due background genetici (Landi et al., 2005). Si è inoltre
dimostrato che la variazione allelica a tale regione ha effetto sull’allettamento della pianta,
lasciando quindi ipotizzare che la modifica del
contenuto in ABA della foglia sia un riflesso di
una diversa architettura radicale (Giuliani et al.,
2005; Landi et al., 2005).
A differenza del mais, il sorgo è particolarmente suscettibile a episodi siccitosi dopo la fioritura, nella fase di riempimento della granella.
Un indicatore di tolleranza alla siccità in questa fase è l’indice di ‘stay-green’ della foglia, oggetto di numero analisi QTL (Haussmann et al.,
2002; Sanchez et al., 2002). Da notare che, almeno in alcuni casi, QTL per stay-green in condizioni siccitose mostravano un effetto positivo
sulla resa anche quando saggiati in condizioni
irrigue (Tuinstra et al., 1998).
Orzo. In orzo, utilizzando una popolazione
di linee RIL, B. Teulat, D. This e collaboratori
(Teulat et al., 2002 e opere citate) hanno svolto analisi QTL per una serie di caratteri collegati allo stress idrico, tra i quali discriminazione dell’isotopo 13C (d13C), aggiustamento
osmotico, contenuto idrico relativo della foglia
(RWC) e resa in granella, in ambienti con e senza stress idrico.
Nella popolazione di linee RIL derivate da
un incrocio tra orzo coltivato con H. spontaneum, Baum et al. (2003) hanno svolto analisi
QTL per una serie di caratteri agronomici ed in
particolare per altezza della pianta, considerato
un importante indicatore dell’adattamento a
condizioni siccitose. Un QTL ad effetto principale per tale carattere è stato identificato sul
cromosoma 3H. Sempre a partire da un incrocio con H. spontaneum, Talamè et al. (2004) hanno utilizzato l’approccio di analisi AB-QTL per
identificare alleli utili in condizioni di stress idrico. Tra gli 81 QTL identificati per vari caratteri agronomici, H. spontaneum ha contribuito alleli positivi in 43 casi.
Pomodoro. È stata sviluppata ed analizzata
una collezione IL prodotta a partire dall’incrocio tra S. lycopersicum (Var. M82) con la specie
selvatica, tollerante allo stress idrico, S. pennellii (Eshed e Zamir, 1995). Su tale materiale sono stati mappati almeno tre diversi QTL a cui
gli alleli di S. pennellii contribuiva con gli alleli
di tolleranza (Gur e Zamir, 2004). A seguito di
MAS, tali alleli sono stati concentrati in un’unica linea che, quando utilizzata come genitore
nella produzione di varietà ibride, ha prodotto
incrementi di resa maggiori del 50% rispetto a
ibridi di riferimento, in condizioni di elevato
stress idrico (Gur e Zamir, 2004). In un diverso
esperimento, a partire dall’incrocio S. lycopersicum x S. pimpinellifolium (La722), sono stati individuati QTL per tolleranza alla germinazione
in condizioni di stress idrico a cui S. pimpinellifolium aveva contribuito gli alleli favorevoli
(Foolad et al., 2003).
Ringraziamenti
Si ringraziano tutti i componenti dei laboratori
dei gruppi SIGA di Bari, Bologna, Fiorenzuola
D’Arda, Milano e Portici, che hanno contributo in questi anni allo sviluppo delle conoscenze
nel settore della genetica della risposta a carenza idrica.
Pubblicazione n. 73 dell’Istituto di Genetica Vegetale (CNR-IGV), Portici.
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