Numero 1 - Kore Edizioni

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Numero 1 - Kore Edizioni
DESIGN+
“Poste Italiane Spa, spedizione in abbonamento postale 70% - DCB - Bologna” - N. 1 - luglio 2009
RIVISTA DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI DI BOLOGNA
Parigi: i dieci progetti per Grand Paris
La ricostruzione del Neues Museum. Fuksas e la Chiesa di Foligno
L’Urban Center di Bologna. Renzo Piano e la Fondazione Vedova
Fotografia e Architettura italiana in mostra a Londra
N.1
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CONTENUTI
DESIGN +
44
Neues Museum
La sua rinascita
Il restauro del museo
berlinese ad opera
dello studio inglese
David Chipperfield
Architects
60
Grand Paris
in progress
I dieci progetti che
concorrono per la
riqualificazione urbana
e periferica di Parigi
25
33
Piano, Vedova
e le opere mobili
Riciclare
gusci d’uovo
I nuovi spazi
espositivi studiati da
Renzo Piano per la
Fondazione Vedova
L’idea di Nicolas
Cheng che ha creato
un set di cancelleria
con gusci d’uovo
28
34
Un restauro
fatto ad arte
Nuovo tempio
della musica
Punta della Dogana
apre al pubblico
dopo il restauro
di Tadao Ando
Avrà un auditorium di
2.400 spettatori la
nuova Filarmonica
parigina di Jean Nouvel
30
36
Seduti sulla carta
Spazio per
l’architettura
Una poltrona creata
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Design Studio fatta
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per il dibattito e la
ricerca la Casa degli
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CONTENUTI
39
106
Un involucro
luminoso
Disobbedire
alle regole
A Reggio Calabria
sorgerà un centro
televisivo culturale
e sperimentale
Giulio Iacchetti,
industrial designer
milanese, tra i più
importanti in Italia
40
114
Un simbolo
per Modena
Comunicare la
città che cambia
Le ex Fonderie
diventeranno
un centro dedicato
all’arte e alla scienza
L’Urban Center
di Bologna, luogo
d’informazione
e confronto
52
Geometrie sacre
Il progetto di
Massimiliano Fuksas
per la Chiesa di
Foligno in Umbria
110
77
Fotografare
l’architettura
Anteprima
100 scatti esposti a
Londra indagano il
rapporto fotografiaarchitettura in Italia
tra gli anni ‘20 e ‘60
Appuntamenti di arte,
design e architettura
in Italia, in Europa
e nel mondo
90
Massimo
Iosa Ghini
DESIGN +
Iscritta con l’autorizzazione del Tribunale di Bologna al numero 7947 del 17 aprile 2009
Direttore Editoriale Alessandro Marata
Esplora il mondo
della progettazione
con fare critico ma
sempre costruttivo
Direttore Responsabile Maurizio Costanzo
Caporedattore Iole Costanzo
Coordinamento di Redazione Cristiana Zappoli
Art Director Laura Lebro
98
Gae Aulenti
Un’architettura
risultato di un
intreccio di più saperi
e consapevolezze
Responsabile Marketing Roberto Sanna
Redazione Nullo Bellodi, Silvia Di Persio, Monia Fantini, Manuela Garbarino, Antonio Gentili,
Claudia Gobbi, Enrico Iascone, Arianna Lancioni, Giulia Manfredini, Paola Mazzitelli,
Francesco Montanari, Luca Parmeggiani, Duccio Pierazzi, Saura Sermenghi,
Valeria Tancredi, Luciano Tellarini, Gianfranco Virardi, Gabriele Zanarini, Marco Zappia
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EDITORIALE
IL GIUSTO EQUILIBRIO TRA ETICA ED ESTETICA
A
volte ritornano. Anzi spesso. In Italia, madrepatria incontrastata dei lamentosi malati della sindrome nimby, trovano ampio spazio e anche,
purtroppo, grande seguito. Usano parole quali: bello, tradizionale, qualità. Parlano di architettura come se parlassero di gastronomia o di sport e sono diffidenti verso ogni
cosa che si discosti, anche di poco, dagli italici canoni.
Sono molto sensibili all’innovazione, ma solo se si parla di
telefoni cellulari o iPod. Accendono dibattiti anche molto
violenti e creano tifoserie opposte per supportare i differenti punti di vista. E così si palesa una grande folla di sedicenti “architetti” che risulta seconda, per numero,
solamente a quello degli allenatori della nazionale di calcio.
Dove si annidano questi nuovi conformisti della cultura
light? Tra gli amministratori, i committenti, gli imprenditori e anche, purtroppo, tra i progettisti. Questo il desolante panorama del dibattito architettonico in Italia.
Anche in campo editoriale si assiste ad una rinnovata attenzione a parlare di architettura da parte di autori che
nella vita, normalmente, si occupano di altro. In questo
caso, però, il fenomeno è di notevole interesse. Da questi
operatori della conoscenza vengono considerazioni e critiche al mondo autoreferenziale di una larga parte della
cultura architettonica di oggi. Purtroppo non sempre
sono critiche utili e costruttive e non sempre raggiungono
lo scopo prefisso. A volte provocano danni enormi alla già
molto difficile affermazione dell’architettura contemporanea in Italia. Altre volte, invece, propongono considerazioni molto utili e stimolanti. È il caso del libro di
Francesco Bonami, che appartiene al mondo dell’arte e
che in Dopotutto non è brutto, aiuta il lettore, con grande
lucidità a districarsi tra il brutto, il bello, la difesa della
tradizione, il senso estetico degli italiani. Ad esempio, parlando del nuovo grattacielo progettato da Renzo Piano
per Torino, a proposito del concetto di skyline, osserva
che il fatto che il profilo di una città sia piatto non ne garantisce la bellezza. Per contro, un edificio alto non rovina necessariamente lo skyline di una città, se è ben
progettato ed utile per i cittadini. Osservazione chiara e
semplice? Sì. Scontata? Mica tanto. Bonami termina il capitolo augurandosi che i “cittadini verticali” possano aver
la meglio sui “cittadini piatti”, così come avvenne ai tempi
di Antonelli e della Mole. Passando alla questione dell’Ara
Pacis e della sua paventata demolizione dice poi che, sebbene non sia un capolavoro, non fa nemmeno del tutto
schifo; “… si poteva fare meglio, ma si poteva anche fare
peggio e il Vittoriano è prova scientifica che il peggio esi-
ste, è possibile e vive tra di noi”. Prosegue poi con Isosaki
a Firenze, Calatrava a Venezia e altri casi emblematici dell’italica ignoranza da retrocultura conservatrice.
Architetture dell’assurdo è una interessante fatica editoriale
di John Silber, che pur occupandosi, nella vita, di filosofia e diritto, in questo libro descrive le aberranti derive
che hanno spostato il centro di interesse di un’opera architettonica verso lidi non condivisibili. I motivi? Il deliberato disprezzo, da parte di alcuni tra i più famosi
architetti contemporanei , nei confronti dei committenti
e dei fruitori dei loro edifici. Propone di non confondere
gli artisti con coloro che progettano pensando che l’architettura sia una disciplina che deve tener conto di molteplici fattori ognuno dei quali concorre alla sua
sostenibilità declinata nelle sue tre componenti; sociale,
architettonica e ambientale. A sentire lui, i primi, gli artisti, sono capricciosi, indifferenti al grado di soddisfazione dei fruitori e interessati a comparire sulle copertine
delle riviste di architettura.
Anche Franco La Cecla, sulla carta antropologo culturale,
nei fatti profondo conoscitore della nostra disciplina, si
scaglia contro l’architettura delle archistar, colpevoli di
trattare la loro produzione come fosse un brand commerciale, con il bel risultato di peggiorare, invece di contribuire a migliorarla, la qualità della vita e, di conseguenza,
dell’abitare del cittadino.
Un critico d’arte, un filosofo, un antropologo; potremmo
farci illuminare da tanti altri non architetti, ma forse le
considerazioni possono essere sufficienti per proporre una
sintesi.Più etica, meno estetica? Propongo di non chiedere meno estetica. Ce n’è bisogno e la quantità è giusta.
Ma sicuramente c’è bisogno di molta più etica. Mai come
in questo periodo, queste parole sono state così attuali e
importanti. Il ruolo e la responsabilità del progettista in
termini di sviluppo sociale sostenibile del pianeta, richiedono che l’architetto sia al centro dell’azione. Cerchiamo
di non perdere questa epocale occasione che la società e la
cultura contemporanea mettono nella mani degli architetti. Cerchiamo di reindirizzare il timone nella giusta direzione e procediamo con serietà, spirito innovativo e
volontà di cambiamento. Ma, come direbbe Gillo Dorfles, del quale abbiamo l’onore di ospitare alcuni pensieri
globali in questo numero: attenzione... il conformista si
aggira attorno a noi!
Alessandro Marata
DESIGN + 15
L
PENSIERI.GLOBALI
Gianfranco Maraniello
«Oggi l’arte tende a farci riflettere su quel che accade e spesso ci delude:
ci sbatte in faccia il nostro mondo e, anziché farci sognare, ci disillude»
L
In uno spazio museale, punto di arrivo di nuove dinamiche culturali, laboratorio di conoscenza e sviluppo,
luogo del pensare la cultura per il territorio e nel territorio, quali sinergie si creano?
In primo luogo si tratta di osservare la natura del museo di riferimento. Nel nostro caso si tratta di un’agenzia dedicata
alla sperimentazione, conservazione e formazione di uno specifico ambito di ricerca dell’arte. Il moderno è per definizione
una questione aperta, tesa alla necessità di continua revisione, investigazione, ripensamento produttivo. Ovviamente tutto
ciò si declina nelle caratteristiche e nella contingenza dei suoi luoghi di produzione. Occorre uno strabismo che ci aiuti a
tenere insieme l’esperienza del territorio in rapporto a dinamiche di più ampio respiro, non solo da un punto di vista
geografico, ma anche nel solco in cui si incrociano altre discipline e aree di intervento per creare quelle “sinergie” che, ad
esempio, sono state previste già nell’idea di collocare il MAMbo all’interno della Manifattura delle Arti. Non a caso sono
già intensi i rapporti con Cineteca e Università.
L
Carlo Scarpa scrisse “saper mostrare”. Oggi, forse è cambiato il modo di pensare un allestimento. La
galleria è diventato luogo di eventi. Quali stimoli oggi uno spazio museale ha bisogno di produrre per
attrarre più visitatori?
Nell’arte contemporanea l’allestimento non può essere un display per valorizzare l’opera. Il contesto, lo spazio, la
relazione con il luogo e il pubblico sono già tematizzati dagli artisti. Come per tutti i saperi e le arti della nostra epoca, si
dà ragione del proprio fare, si interrogano i fondamenti, si propone un’analitica dell’opera sapendo che questa non è
immune dalle sue condizioni di accadimento, anzi talvolta finisce con il coincidervi. Tutto il sapere del Novecento ha
rivelato l’inscindibilità di contenuti e modi di esperienza. Nell’arte non ci sono solo opere da mostrare, ma si compie un
esercizio che non può ingenuamente lasciarsi veicolare dall’allestimento di un progettista. Il saper mostrare non è una
delega al saper-fare di altri. Il museo è un luogo in cui questa sensibilità deve essere tenuta presente e mantenuta aperta,
senza una formula da applicarsi meccanicamente. In un recente seminario mi è capitato di esporre alcuni casi pratici di
problemi di allestimento. Uno di questi può forse tornare qui utile per spiegarmi meglio. Tra le opere più rilevanti
nell’arte concettuale c’è la celebre One and Three Chairs di Joseph Kosuth che presenta una sedia, la
sua riproduzione fotografica e, affissa a parete, la definizione da dizionario di “chair”(sedia).
Molto si è scritto di questo lavoro, della sua capacità di sollecitare l’attenzione su temi
ontologici, cognitivi, linguistici. Nella trinità in cui la “cosa” è coimplicata dalla sua
rappresentazione e dalla dialettica con il concetto di “sedia”, si comprende che l’opera e la
sedia stessa non si riducono a una delle tre ipostasi con cui possiamo intendere l’oggetto
proposto da Kosuth, ma viene agito nella riflessione e nel permanente rinvio segnico tra
queste, come del resto viene già alluso dal titolo che ci indica contemporaneamente “una
e tre” sedie. A questo punto diviene fondamentale capire cosa accade quando l’opera
viene esposta in un museo. Mi pare evidente che se si intende presentare il lavoro in
modo consapevole non è indifferente pensare al ruolo della didascalia che normalmente si
appone accanto ai lavori e occorre comprendere quali effetti provoca rispetto a questa
specifica opera. Da una parte il titolo è fondamentale nella natura del lavoro, dall’altro si
introduce un quarto elemento nella coerenza e nella complementarità di concetto-cosaimmagine attraverso l’introduzione della didascalia. Può considerarsi un mero strumento
informativo o non finisce con l’interferire con l’opera stessa? Bisognerebbe eliminarla o
sostituirla con altro? La soluzione non è univoca, ma occorre sapere che qualsiasi
formula si adotti, questa finirà con l’implicare un ruolo attivo del museo
Gianfranco Maraniello è Direttore dell'Istituzione Galleria d'Arte Moderna di Bologna
che comprende MAMbo - Museo d’Arte Moderna di Bologna, Museo Morandi,
Villa delle Rose e il Museo per la Memoria di Ustica. È stato curatore del MACRO
(2002-2005) e del Palazzo delle Papesse - Centro Arte Contemporanea di Siena
(2000-2001). Nel 2006 ha curato la Biennale di Shanghai. Dal 2001 al 2005
ha insegnato Estetica dei Nuovi Media all'Accademia di Belle Arti di Brera.
18 DESIGN +
nell’interpretazione e non solo nella presentazione dell’opera. Questa è la fondamentale necessità per un
approccio non solo spettacolare rispetto al saper-mostrare del museo. Anche la preoccupazione di attrarre
molto pubblico è un sintomo della confusione tra museo e luogo di eventi, termine che oggi è scaduto a
dispetto di una nobile interpretazione che ha caratterizzato anche la tradizione filosofica più recente. Il problema della
quantità di pubblico, però, è legato a una tipica inversione dei termini del problema come spesso accade nella nostra
società tecnocratica. Anziché incoraggiare e sensibilizzare verso ciò che, sperimentale, per definizione non può essere
popolare, i media creano modelli insostenibili e di scarso rilievo scientifico, proponendo continuamente come grandi
eventi ciò che nulla ha a che fare con la produzione culturale, che non crea patrimonio né storia e che, a breve termine,
ha addirittura effetti devastanti sulle economie locali.
L
L’arte, si sa, ha assimilato, nel suo processo creativo, il linguaggio dei media. Quanto conta, invece, per lo
spazio espositivo lo sviluppo di un giusto linguaggio mediatico?
C’è da considerare che oggi i musei propongono anche azioni a distanza, producono al di fuori della loro sede
espositiva, hanno un sito internet, sono editori di vari materiali in digitale. Chiaramente i media non sono trascurabili
per le nostre attività.
L
In un momento in cui l’arte è concettuale, il concetto di bello, storicamente tanto legato all’idea di arte e
della sua esperienza, è cambiato?
Questo accade da lungo tempo, altrimenti ci troveremmo solo nell’idealità di un permanente neoclassicismo. Ma non è
solo l’arte ad avere cambiato e spesso ignorato il concetto di bello. Il funzionalismo e la tecnocrazia imperanti hanno
modificato comportamenti, gusti e sensibilità in tutti gli aspetti del nostro vivere quotidiano che viene estetizzato dal
design, mentre l’arte ha, piuttosto, la tendenza a riflettere su quel che accade ed è per questo che spesso ci delude: ci
restituisce e sbatte in faccia il nostro mondo e, anziché farci sognare, ci disillude.
L
L’idea di museo, oggi più che mai, sembra legata a quella di edificio simbolo, allo spazio che ha
intrinsecamente la capacità di attrarre. Lei cosa ne pensa?
In generale pensiamo alla spettacolarità di questi nuovi edifici, spesso alla sola facciata, ma solo perché è più complesso
per il giornalismo odierno trovare modi e tempi per fare altro. Così si finisce con il parlare sempre delle stesse cose,
confermare cliché e, tra questi, quelli di una progettualità dominata dalle archistar: una semplificazione riduttiva della
ricerca odierna che è analoga a quelle delle “grandi mostre”.
L L
Quanto l’arte può essere il giusto investimento per dare una nuova spinta all’economia di una città?
Tanto quanto la ricerca scientifica e tecnologica per un Paese. Il problema va inquadrato nei medesimi termini.
L’Italia e la poca conoscenza del linguaggio artistico contemporaneo. Cos’è importante fare, secondo lei,
affinché questa lacuna venga colmata?
Occorre non rinunciare alla coerenza e alla forza progettuale, ma senza illusioni. È difficile pensare che ci siano
attualmente le condizioni per trattare seriamente non solo l’arte contemporanea, ma l’idea stessa di cultura in un’epoca
in cui la banalità del quotidiano ci ha anestetizzato. Ognuno deve trovare le motivazioni per fare il proprio: non c’è una
ricetta, nemmeno invocando l’importanza della scuola se questa stessa viene ormai ridotta ad agenzia formativa in vista
dell’“ingresso nel mondo de lavoro” e non un ginnasio di buoni cittadini.
L
Oggi per un museo è sempre più difficile avere un programma di acquisizione, a causa della crisi
economica e dell’elevato costo delle opere d’arte. Com’è riuscito ad attuarne uno per il MAMbo?
Sfruttando la sintonia con investimenti di altri soggetti a cui offrire in partnership le nostre competenze. E dirottando
parte delle risorse disponibili sull’arricchimento di un patrimonio, anziché sugli eventi. Con UniCredit, ad esempio,
scegliamo di produrre opere di artisti in occasione di importanti momenti delle loro carriere. La nostra consulenza qui
è fondamentale e il gruppo bancario investe per destinare i lavori al museo pur mantenendo la proprietà delle opere.
Ne beneficiamo tutti, compreso il pubblico, gli artisti e le gallerie che, seppur vendendo a prezzi inferiori a quelli di
mercato, ottengono un riconoscimento istituzionale spendibile per altre operazioni. Inoltre abbiamo realizzato una
politica di acquisizioni mirata a integrare e a dare organicità alle raccolte già presenti nel museo, per valorizzare il
patrimonio preesistente e offrire una prima storicizzazione della tradizione della Galleria d’Arte Moderna.
L
Le fiere d’arte, il relativo mercato, gli investitori. Tutto questo quanto condiziona il fare arte?
Molto, forse troppo. Ma i musei possono e dovrebbero sempre essere l’occasione di discriminazione scientifica di
dinamiche assai complesse e da non sottovalutare.
L
Quali sono le regole, le categorie, le capacità applicate da una galleria nella scelta e quindi nell’acquisto
di un’opera d’arte piuttosto che di un’altra?
Fermo restando che tutto ciò richiede ovviamente competenza e non regolette da applicare, ritengo che la cosa
fondamentale sia avere un progetto complessivo in cui muoversi e che sia fondamentale partire dalla contingenza in cui
si opera, dalla situazione ereditata e non da un’idea svincolata dal contesto di appartenenza. (di Iole Costanzo)
DESIGN + 19
PENSIERI.GLOBALI
L
Vittorio Gregotti
«Il design si sta trasformando in “packaging”, mentre l’architettura punta
ai successi mediatici. Bisogna ridare valore al senso della progettazione»
L
La città: monumento dell’uomo. Come crescerà nel futuro e quali responsabilità e ruolo avrà l’architettura?
Architettura e disegno urbano si sono collocati molto in basso nel sistema di valore del pubblico medio. Tanto in basso
da essere oggetto di pubblicazione sui settimanali di moda. Alla capacità di mediazione sociale peraltro l’architettura
sembra aver rinunciato.
L
L’urbanistica. I piani. L’architettura. Oggi esiste ancora una possibilità di dialogo tra le parti?
Mai come in questi anni l’urbanistica (attività diversa da quella della pianificazione territoriale) e quella parte
dell’architettura che si pensa come responsabile di un civile dialogo con il contesto urbano sono state unite.
L
La città italiana del ‘900 e la sua espansione da riprogettare e ricucire. Quali sono le strade da seguire?
Le città italiane (ma direi in generale la città europea) possono essere caratterizzate dalla diversità con cui è necessario
dialogare con ciascuna in modo specifico per pensare il loro sviluppo. Uno sviluppo abituato da secoli ad un
internazionalismo critico fondato proprio sulla loro differenza.
L
Il cittadino riesce oggi a identificarsi con i luoghi pubblici e la città in cui vive?
Nella città contemporanea la nozione stessa di “cittadino” si è andata indebolendo. Città e cittadini sembrano non più
identificarsi reciprocamente. Di questo sono responsabili architetti e istituzioni che lavorano per la privatizzazione dello
spazio pubblico ma massimamente l’omogeneità dei comportamenti collettivi indotti dalle comunicazioni di massa.
L
L’architettura, il design e l’arte si rincorrono seguendo la stessa filosofia di comunicazione estetica. I
linguaggi specifici di queste discipline forse in futuro tenderanno sempre più a unificarsi. Cosa potrebbe
comportare ciò?
Sarebbe una disgrazia fatale all’architettura che già oggi per ottenere successi mediatici tende a ridursi ad oggetto
ingrandito. Quanto al “design”, la sua funzione sembra trasformarsi progressivamente in “packaging”. Con le rare,
dovute, eccezioni.
L
Crede che l’avvento della tecnologia digitale nella fase della progettazione abbia
apportato un cambiamento migliorativo o peggiorativo nell’ambito
dell’architettura?
Altamente migliorativo sul piano dell’efficienza produttiva e altamente peggiorativo per
quanto riguarda il mondo dell’immaginazione. Al di là della grave perdita della capacità
del disegno.
L
Il libro di Franco La Cecla “Contro l’architettura”
accusa l’architettura di essersi ridotta a puro marchio
e strumento mediatico. Cosa pensa lei di questa tesi?
Ha ragione, ma non deve prendersela con l’architettura ma con gli architetti.
L
Lei polemizza spesso sull’uso che si fa del termine “creatività”. Perché?
Perché una volta era una capacità divina e comunque eccezionale ed oggi la si attribuisce
indifferentemente a tutto: cioè la si riduce a nulla.
L
Si parla sempre di grandi architetti e di grandi progetti:
auditorium, teatri, stadi, stazioni, grattacieli. Perché invece il
genio architettonico non si cimenta più con l’edilizia popolare?
Perché il nostro governo ha rinunciato ad occuparsene da anni e
perché l’edilizia popolare richiede un rigore progettuale ormai
sconosciuto alle prospettive di successo mediatico. (di Roberto Sanna)
Vittorio Gregotti si è laureato in architettura nel 1952 al Politecnico di Milano.
Dal 1953 al 1968 ha svolto la sua attività in collaborazione con L. Meneghetti e G.
Stoppino. Nel 1974 ha fondato la Gregotti Associati, di cui è presidente. Dal 1997 è
membro del BDA (Bund der deutschen Architekten) e dal 1999 è membro onorario
dell'American Institute of Architects. Nel 2000 ha ricevuto la medaglia d’oro della
Presidenza della Repubblica quale “Benemerito della scienza e della cultura”.
20 DESIGN +
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L
PENSIERI.GLOBALI
Gillo Dorfles
«Il marketing condiziona il design. Oggi un oggetto dovrà rispondere non
solo a esigenze pratiche e funzionali, ma anche simboliche ed edonistiche»
L
L’eccesso di comunicazione uccide la nostra capacità di selezionare, scegliere e preferire nell’arte, nella
musica, nell’architettura. Come possiamo difenderci?
Scegliere è diventata un’operazione molto difficile. Tutto dipende dal nostro gusto ma soprattutto dalla nostra
preparazione. È la preparazione che ognuno di noi ha che ci aiuta a selezionare quello che vogliamo ascoltare e vedere.
L
In un sistema informativo iperattivo come quello esistente, lei ci ricorda come l’intervallo, il silenzio e la
pausa siano importanti per far sì che ciò che si è visto o sentito si comprenda fino in fondo.
Il problema dell’intervallo è un problema fondamentale in qualsiasi settore, non solo nell’ascolto. In altre parole, viviamo
in un’epoca di sovraffollamento, e questo eccesso di formazione, di creazione e di manipolazione finisce per ottundere la
nostra sensibilità. Dipende dall’individuo sapersi regolare ma non sempre succede che ci riesca.
L
Nell’ambito del design, quanto la funzione e la linea costruttiva di un oggetto sono ormai soffocati da
un’ornamentazione spinta?
Passata l’epoca caratterizzata da un eccesso di ornamentazione, si era giunti a un’epoca di purificazione eccessiva dove, per
paura di esagerare nell’ornamento, si era finiti per creare un design sterile troppo monastico. Oggi c’è una ripresa verso
l’ornamentazione anche dell’oggetto industrialmente prodotto: si tratta di sapersi barcamenare tra l’eccesso di severità e
l’eccesso di edonismo, in pratica bisogna saper trovare un giusto equilibrio.
L
L’oggetto industriale un tempo era pensato in relazione alla funzione. Oggi è sempre più borderline,
instabile tra l’essere e il non essere opera d’arte. Quale sarà il suo futuro?
L’oggetto industriale non può non essere funzionale perché la sua esistenza stessa dipende dalla sua funzione. Sarà quindi
merito, e anche compito, del designer sapersi regolare tra quello che è la pura funzionalità, che non è sufficiente, e quello
che è l’estetica del prodotto, che del resto è indispensabile per attrarre il cliente. Entrambi sono indispensabili. Non
dimentichiamo che alla base di qualsiasi oggetto industriale c’è il marketing, che è necessario per vendere questo oggetto,
e che quindi dovrà rispondere non solo ad esigenze pratiche e funzionali, ma anche simboliche ed edonistiche.
L
Lei ha più volte detto che nel campo del disegno industriale “l’imitazione è alla base e dell’ispirazione”. Ma
ha anche affrontato il tema dell’originalità eccessiva. C’è un legame tra questi due concetti?
Quotidianamente abbiamo davanti oggetti che sono l’imitazione di quelli precedenti, a cominciare da
quello che si può chiamare “design senza progetto”, cioè oggetti elementari: dalla forbice al coltello.
Questi sono i prototipi di quello che poi diventeranno gli oggetti progettati. Bisogna sempre cercare
di essere a metà strada tra l’oggetto, per così dire, spontaneo e quello progettato dal designer.
L
Esiste nel design e nell’architettura un’estetica avulsa dalla logica del mercato?
Credo che oggi sia impossibile fare a meno del mercato, e questo vale perfino per l’arte, non solo
per il design. Dipenderà poi dalla presenza di giurie e di consulenze ben organizzate saper
giudicare quello che è positivo o negativo al di là del valore mercantile.
L
È stato proprio lei a segnalare quanto l’autoreferenzialità dei progettisti abbia portato
anche a un’innovazione formale. Dunque, gli architetti super star, tanto criticati, hanno
apportato del buono in questo campo?
Il fatto di avere una fantasia spigliata può sempre portare elementi di novità. C’è sempre una
parte di esibizionismo, e questo ovviamente vale anche per i grandi architetti, però
ciò non toglie che il valore autentico di questi architetti venga fuori lo stesso,
anche se in parte accentuato da questa forte volontà di autopubblicizzarsi.
(di Cristiana Zappoli)
Nato a Trieste nel 1910, filosofo e critico, studia a Roma e Milano. Si occupa di
estetica, psicologia e psichiatria. Professore di estetica presso le Università di
Trieste e di Milano, nel 1948 fu tra i fondatori del “Movimento per l'arte concreta” e nel 1956 diede il suo contributo alla realizzazione dell'ADI. Ha scritto
numerosi saggi, tra cui ricordiamo “Il disegno industriale e la sua estetica” del
1963 e il suo ultimo lavoro, presentato quest’anno, “Arte e comunicazione”.
22 DESIGN +
Zanotti
TAPPEZZERIA
di Nicola Berni
Nata più di 30 anni fa, la tappezzeria Zanotti è una bottega artigianale che si occupa di tappezzeria
di alta classe: rivestimenti di pareti in tessuto, rivestimenti di salotti antichi fissi e sfoderabili
completamente lavabili, tendaggi di ogni tipo, dal classico al moderno, con utilizzo di elementi in
ferro battuto. Esegue rifacimenti e restauri di poltrone e seggioloni antichi in cuoio e tessuto, fregi per
paralumi in ferro battuto e, inoltre, la fornitura e messa in opera di zanzariere, tende da sole e tende
tecniche. Nicola Berni da più di 20 anni svolge questa attività, realizzando ogni lavoro a regola d'arte
con grande cura e passione, secondo la tradizione della tappezzeria Zanotti.
Rivenditore autorizzato
Negozio: Via Vittorio Veneto, 34/A,B
Laboratorio: Via Vittorio Veneto, 30/F
40131 Bologna - Cell. 339.8860547
Tel. 051.437910 - Fax 051. 435612
PENSIERI.GLOBALI
L
Marco Buriani
«La crisi nel settore delle costruzioni durerà ancora un anno. Resistono però
gli investimenti nel settore immobiliare. Più aiuto da banche e amministrazioni»
L
La situazione economica italiana non è tra le più felici. La crisi entra anche nel campo dell’edilizia. Si vedono i
primi segnali della stretta creditizia sulle piccole e medie imprese mentre assistiamo ad un aumento dei costi
delle materie prime. Secondo lei quali sono state le cause?
Nel 2008, dopo 9 anni di crescita, per il settore delle costruzioni arriva una recessione che durerà fino al primo semestre
2010. Alla base della crisi vi è l’eccesso di finanziarizzazione dei mercati internazionali che colpisce il sistema bancario con
conseguente riduzione del credito erogato alle imprese e alle famiglie. Negli ultimi anni anche il settore costruzioni ha
sofferto a causa di intermediari che hanno operato sul mercato immobiliare a scopo esclusivamente speculativo. Ne è
derivata un’artificiosa lievitazione delle quotazioni delle aree edificabili che ha limitato le capacità delle imprese di soddisfare
le esigenze della domanda, nonché di investire risorse sulla qualità del progetto e del prodotto edilizio/immobiliare finale.
L
Il settore delle costruzioni, se maggiormente aiutato in questo momento di difficoltà, potrebbe essere
determinante per uscire dal tunnel e dare stabilità all’economia?
Sì, se si assegna all’edilizia pubblica e privata un ruolo di sostegno della domanda globale espressa dalle famiglie, dalle
imprese e dalla Pubblica Amministrazione. Questa impostazione è condivisa, ma le scelte concrete delle Amministrazioni,
dello Stato, delle Regioni non producono politiche incisive di rilancio della domanda pubblica e privata nel settore delle
costruzioni. Da ultimo mi preme sottolineare che il valore degli immobili ha tenuto e ha contribuito a stabilizzare il
patrimonio di famiglia e imprese. L’investimento nel settore immobiliare ha perciò mantenuto nel nostro paese il carattere
di sicurezza patrimoniale ed economica che lo ha sempre caratterizzato.
L
Quali sostegni offre l’ANCE di Bologna per assicurare un ruolo centrale alle imprese, affinché riescano ad
ampliare il mercato e a rinnovarsi dal punto di vista organizzativo?
Contro la crisi abbiamo agito sul sistema creditizio cercando di evitare una traumatica ridefinizione delle regole di
erogazione del credito alle imprese e alle famiglie che avrebbe accelerato gli effetti della crisi globale della domanda.
Abbiamo inoltre sviluppato l’operatività del consorzio di garanzia collettiva Fidi (Fidindustria) nel settore delle costruzioni e
definito nuovi specifici prodotti di garanzia concordati con Fidindustria e primari Istituti di credito del territorio, in grado
di rendere più fluida l’erogazione del credito al settore delle costruzioni.
L
Da parte del governo sono sempre più esigui i finanziamenti per l’edilizia pubblica. Che tipo di richieste
l’ANCE pensa di fare alle amministrazioni pubbliche?
Abbiamo proposto loro di affidare i lavori pubblici fino a 500 mila euro, così come previsto dalla
legge, attraverso rapide trattative private, riservate alle imprese radicate sul territorio
comunale e provinciale e di accelerare l’attuazione dei piani dei lavori pubblici approvati e
di qualificare il processo realizzativo dei lavori pubblici ricorrendo alla verifica delle
offerte anormalmente basse. Sarebbe importante anche sbloccare il pagamento dei lavori
eseguiti dalle imprese superando i vincoli, posti dal patto di stabilità. E così pure
accelerare le procedure di approvazione dei piani urbanistici e dei permessi di costruire
ancora troppo incerte.
L
Con le problematiche che l’Abruzzo ha evidenziato è inevitabile chiedersi: quali
garanzie oggi possono dare i costruttori per una qualità accertata?
Gli immobili che verranno costruiti nei prossimi anni stanno cambiando struttura, pelle,
prestazioni. La normativa e l’impegno di ANCE Bologna vanno in direzione di un
miglioramento della qualità delle costruzioni, dei materiali dell’impatto ambientale,
anche attraverso la sensibilizzazione degli addetti del settore. (di Mercedes Caleffi)
Marco Buriani è Presidente della Sveco Buriani S.P.A, Costruzioni Cumuli S.r.l., Pentagruppo S.r.l., società operative nel campo della promozione di iniziative edilizie e
immobiliari e della realizzazione di opere pubbliche. Marco Buriani è componente
del comitato di Presidenza dell’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili) e
di Unindustria Bologna. È anche presidente di ANCEBOLOGNA – Collegio Costruttori Edili, la più importante associazione autonoma di imprese edili.
24 DESIGN +
s
E G N A L I
Foto di Michele Crosera
Renzo Piano in
compagnia di
Fabrizio Gazzarri,
Direttore della
Fondazione Vedova
PIANO, VEDOVA
E LE OPERE MOBILI
Venezia. Il canale della Giudecca. I Saloni, così li chiamavano i veneziani, gli antichi magazzini, che la Repubblica di Venezia utilizzava per conservare il sale. I magazzini che Emilio Vedova ha difeso da un possibile svuotamento interno, necessario alla collocazione di una piscina pubblica. Questi stessi magazzini, dopo tante vicissi-
tudini, a giugno sono stati inaugurati come spazi espositivi per le opere dell’artista Emilio Vedova, deceduto nel
2006. Lo spazio è stato curato dall’architetto Renzo Piano, amico dell’artista e da Germano Celant, Curatore
Artistico e Scientifico della Fondazione Emilio e Annabianca Vedova. Il legame affettivo tra Emilio Vedova e
DESIGN + 27
ART.CONTAINER
Renzo Piano risale ai tempi della rappresentazione del Prometeo di Luigi Nono,
nel 1984, opera che ha visto uniti molti
dei personaggi che oggi hanno partecipato alla realizzazione di quest’opera. Da
allora i due hanno più volte affrontato il
tema dell’allestimento di uno spazio per
la Fondazione, ma solo ora, dopo la
morte sia di Emilio che di Annabianca,
le loro idee hanno preso corpo.
Sia il progetto di restauro che la proposta
espositiva sono stati pensati con così tanta accortezza e delicatezza che, come dichiara la Soprintendente per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Venezia e
Laguna, Renata Codello: “la sua approvazione è avvenuta senza che fosse apportata alcuna modifica, nonostante lo
spazio, in cui si incontreranno l’opera di
Vedova e l’ingegno di Renzo Piano, sia
uno tra i più antichi ed evocativi della
città”. La novità di questo spazio consiste
nel fatto che non sarà più lo spettatore
ad andare verso l'opera bensì sarà l’opera
che andrà incontro allo spettatore. Questa affermazione però non deve sviare,
non si deve assolutamente pensare a una
fissità del visitatore, perché questi potrà
percorrere il lungo piano inclinato in legno, che lontanamente ricorda il ponte
di una nave, e a sua volta avvicinarsi alle
opere esposte. Le tele verranno alternate
secondo cicli che consentiranno al pubblico di conoscere l'intero lavoro dell’artista. Lavoro che vedranno “vibrare”
nell’aria e che con lentezza e delicatezza,
scorrendo lungo le capriate, vedranno
raggiungere la postazione prestabilita.
Dopo essere state ammirate, le opere torneranno nel loro deposito lasciando il
passo a un’altra serie di lavori. La macchina di movimentazione dei quadri ha
un braccio meccanico molto sensibile
che preleva le opere dallo stoccaggio e le
accompagna sempre delicatamente alla
postazione prevista dal piano espositivo,
che pertanto può variare.
La prima navata dei Magazzini del Sale
magistralmente restaurata, ospita la macchina robotizzata, perno del funzionamento dello spazio espositivo, ma ha anche un sistema di regolazione per garantire un ottimale ecosistema di conservazione delle opere, con sonde geotermiche
che ne regolano il consumo energetico.
Anche l’illuminazione, così come la cli28 DESIGN +
Uno scenario
in movimento
La tecnologia caratterizza lo
spazio della Fondazione Vedova
La macchina di stoccaggio delle opere
di Emilio Vedova, in uso nei Magazzini
del Sale ha un nome, Rack, e ha una
capacità di 30 opere. Un particolare
trasloelevatore deposita e preleva le
opere dalle locazioni di stoccaggio.
I movimenti di questo braccio sono
calibrati da microprocessori che fanno
sì che i movimenti siano precisi e
dolci. Per esporre le opere nello
spazio espositivo sono state
progettate 10 navette di trasporto e
posizionamento, veri e propri organi
semoventi, che correndo lungo un
binario ancorato alle capriate,
percorrono longitudinalmente tutta
l’area fino a lasciare l’opera lì dove
l’operatore ne aveva previsto il
posizionamento, abbassandola
all’altezza dello spettatore. Il tutto
è gestito da un software creato
appositamente che permette al
curatore della mostra di decidere
la sequenza di esposizione.
L’opera è stata eseguita dalla
Metalsistem secondo le rigide
direttive di Germano Celant.
matizzazione dell’ambiente, sono completamente computerizzati e controllati
secondo un programma di bassi costi manutentivi e di sostenibilità dell’opera. In
questa serie di accortezze rientra in pieno
anche l’uso del legno di larice, essenza
tradizionalmente in uso nelle costruzioni
venete, per i pavimenti leggermente inclinati che hanno sostituito quelli vecchi in
pietra e le pareti dei vani tecnici.
Funzionalità, qualità estetica e facilità di
manutenzione sono quindi le tre categorie presenti nel progetto, categorie che
garantiscono la lettura di quelle opere
che Emilio Vedova sognava esposte nel
suo spazio voltato, dai muri in mattoni e
dal caratteristico scheletro ligneo della
copertura. (di Mercedes Caleffi)
Sopra e a destra alcuni particolari degli interni
dello spazio Vedova nel Magazzino del Sale,
uno dei nove Saloni trecenteschi alle Zattere
Foto di Vittorio Dozzo
S
© Palazzo Grassi S.p.A., Orch Orsenigo_Chemollo
S
ART.CONTAINER
30 DESIGN +
Un restauro
fatto ad arte
P
unta della Dogana, monumentale
complesso della Città di Venezia, dopo il restauro
dell’architetto Tadao Ando, apre al pubblico come nuovo centro di
arte contemporanea gestito da Palazzo Grassi S.p.A.. L’edificio è caratterizzato da una struttura
semplice e razionale, di forma triangolare, segue la forma della punta dell’isola di Dorsoduro. Gli interni ripartiti
in lunghi rettangoli paralleli, ospiteranno le opere della vasta collezione di François Pinault. Il restauro ha previsto
la rimozione delle aggiunte fatte nelle precedenti ristrutturazioni e ha anche riportato alla luce le pareti in mattoni e le capriate, dando modo così all’ambiente di ritrovare i segni tipici delle antiche usanze marinare. Grazie
a una sapiente giustapposizione di elementi antichi e nuovi l’edificio fa dialogare passato, presente e futuro.
Il design moderno degli infissi in acciaio e vetro ha infatti attinto dall’artigianato veneziano tradizionale.
DESIGN + 31
S
FAST.DESIGN
Seduti sulla carta
P
Semplice carta resistente, schiuma di poliuretano e un tappo di plastica. Nasce
così l’innovativa Pleated Pleat, la poltrona creata da Shay Alkalay e Yael Mer.
Presentata quest’anno al Salone del Mobile di Milano, all’interno di Craft Punk
rendendo in prestito una tecnica utilizzata nel campo della
moda, il Raw - Edges Design
Studio ha inventato la Pleated
Pleat. La traduzione letteraria di questo
nome è “piega piegata”. Si parla di una
poltroncina realizzata con un materiale
speciale, il Tyvek, brevettato da DuPont,
simile alla carta ma molto più resistente.
Questo materiale viene piegato più volte e
riempito con una schiuma in poliuretano
attraverso un buco che poi viene chiuso
con il più classico dei tappi in plastica. In
pratica si assiste alla trasformazione di un
materiale rigido in qualcosa di elastico. I
designer di queste innovative sedute sono
un uomo e una donna: Shay Alkalay e Yael
Mer. Entrambi sono nati a Tel Aviv nel
1976 e si sono conosciuti alla Bezalel Art
& Design di Gerusalemme. Nel 2007
hanno aperto a Londra il Raw - Edges Design Studio. I due sono tra i designer del
futuro premiati da Design Miami /Basel e
le loro poltroncine sono state presentate,
quest’anno, al Craft Punk, un’esposizione
collegata al Salone del Mobile di Milano
organizzata da Fendi, Design Miami e
Ambra Medda. All’interno del loro
studio londinese, Shay Alkalay e Yael Mer hanno
un grande work
shop dove spe-
rimentare e lavorare la materia, sostengono
infatti che è solo toccando con mano i materiali, manipolandoli, che si riescono a conoscere a fondo. Essere innovativi, ma con
intelligenza: questa è una delle più importanti caratteristiche dei due designer di Tel
Aviv. I loro sono lavori intuitivi e allegri,
molto colorati, dedicati agli amanti delle
cose semplici. Per esempio la cassettiera
Stack, una pila di cassetti mobili colorati,
mezzi aperti per suscitare curiosità, senza
montanti che s’innalza fino a 13 livelli.
Oppure i Milk Cartons, dei contenitori per
il latte che oltre ad assolvere alla propria
funzione si pongono come oggetti d’arredamento. Fino ad arrivare ad una casa “a
testa in giù”, la Bat House, una casa per i
pipistrelli. E l’inventiva della coppia non si
limita agli oggetti che si trovano in casa:
nel 2006 hanno ideato l’Evacuation Skirt ,
un progetto di design per l’emergenza, ma
dall’aspetto decisamente particolare: un
costume con gonna incorporata che si
gonfia come un salvagente, realizzato dopo
l’uragano di New Orleans. Il loro obiettivo
è quello di creare qualcosa di inusuale partendo da oggetti e mobili di uso quotidiano. E lo fanno cominciando a mettere
su carta l’idea originale per poi cambiarla
pochissimo, in modo da svilupparla senza
tradirla, lasciandola quasi grezza (letteralmente “raw” vuol dire proprio grezzo).
(di Cristiana Zappoli)
Nelle foto, Pleated Pleat
la poltroncina che utilizza
un materiale speciale
simile alla carta ma più
resistente che, riempito di
una schiuma rigida in
poliuretano, dà vita a
infinite varianti
32 DESIGN +
BOLOGNA VERDE di Gianluca Diliberto
Via del Pontelungo, 4/3 - 40132 Bologna
Tel./Fax 051.562060 - Cell. 340. 4015662
ECO.DESIGN
Riciclare gusci d’uovo
P
S
Dopo un viaggio a Marrakech l’idea di progettare un set di cancelleria con materiale riciclabile. Questa l’originale idea del giovane designer Nicolas Cheng
uò il design abbracciare la causa ambientale
con una progettazione sostenibile per il pianeta
terra? Sì, con la forza della tecnologia e della
poesia. La ricetta è quella di Nicolas Cheng e si
compone di gusci d’uova, grafite, gomma, fibra di carta e
immagini dell'infanzia. Il risultato è la collezione da scrivania Childhood memories presentata alla settimana del
design del Salone Internazionale del Mobile di Milano
2009. Il giovane designer, nato a Hong Kong e stabilitosi
a Eindhoven dove ha fondato lo studio di architettura e
design Studioroom906, ha creato un set composto da una
matita, un reggi-matita, una gomma da cancellare e dei
fogli A5 utilizzando dei gusci di uova riciclati. Alta tecnologia per ottenere un risultato materico di grande compattezza e impatto estetico a partire da un materiale più
che noto per la sua fragilità. Cheng ha infatti utilizzato
una tecnica di pressurizzazione che ha trasformato i gusci
in un nuovo materiale stratificato in grado di conservare
le proteine e i cristalli minerali preesistenti. E la volontà
di realizzare una commistione tra concetto poetico e alta
tecnologia attraverso l’oggetto, dando voce a una suggestione infantile. Per la creazione degli oggetti lievi e resistenti di Childhood memories Cheng afferma di aver tratto
ispirazione da ricordi d’infanzia con un set da scrivania
fatto in casa. «Quello che mi affascina di più è la relazione
tra la natura e il lato artificiale umano che ci circonda. Il
progetto esplora le nuove possibilità e i nuovi orizzonti
dell'arte e dell'artigianato che spingono la gente a provare
nuove esperienze con nuovi prodotti che incoraggino a
pensare di più e a porsi delle domande intelligenti». A
partire da questi presupposti il designer, attraverso l’attività di progettazione del suo studio, mette al centro delle
proprie creazioni il concetto di benessere inteso come una
sorta di simbiosi tra ambiente, essere umano e realtà artificiale. Un benessere che passa anche attraverso la ricerca
dei materiali riciclabili, oggi al centro della progettazione dei designer più sensibili al tema della sostenibilità e degli interessi del mercato che chiede
oggetti che non solo siano il risultato di un processo di consapevolezza ambientale ma che sappiano anche dare una risposta efficace a un
problema di grande portata sociale come quello dello
smaltimento dei rifiuti. È proprio in questo senso che
l’idea di Cheng apre prospettive estremamente interes-
santi per il riutilizzo di un materiale finora poco utilizzato. Se si pensa che circa l’80% dei gusci d’uovo di
scarto viene bruciato rilasciando CO2 nell’atmosfera e che
oltre ai pochi siti di raccolta disponibili molte aziende
giungono a spendere fino a 100mila dollari all'anno per
smaltire tonnellate di gusci di diversa natura, è senz’altro
più conveniente riutilizzare gli scarti invece che smaltirli
in discarica. Una dimostrazione che la poesia è utile e, in
questo caso, non solo all'anima. (di Silvia Di Persio)
Sopra e sotto, alcune foto del set di cancelleria ottenuto
riciclando gusci d’uovo, sottoposti ad un’elevata pressione
DESIGN + 35
S
PRE.VISIONI
Nuovo tempio
Foto Gaston & Septet
della musica
J
Un auditorium di 2400 spettatori, un centro
per la formazione, spazi espositivi, locali per
le prove, biblioteca, ristorante, uffici. È la nuova
Filarmonica parigina di Jean Nouvel
ean Nouvel, il famoso e pluripremiato progettista
francese, è stato selezionato dal Ministero della
Cultura e della Comunicazione, in una rosa di celebri finalisti tra cui spiccavano nomi quali Coop
Himme(l)blau, Zaha Hadid, MVRDV, Christian de Portzamparc e Francis Soler per il progetto della futura Filarmonica
parigina, che sorgerà nel 2012, nel Parco de la Villette di Parigi. Non è la prima volta che l’architetto Nouvel si cimenta
con questo tema, con la musica e l’armonia e con tutto il
mondo che gli gravita intorno. Solo qualche mese fa è stata
inaugurata la sua Concert Hall a Copenhagen, la struttura
multisala in veste blu. Ma questa volta, a Parigi, la logica progettuale è completamente diversa. Tanto per cominciare la
nuova Filarmonica avrà un contesto con cui relazionarsi e difatti dovrà dialogare sia con il famoso Parco progettato da
Bernard Tschumi nel 1991, con Giscard D'Estaing come Presidente della Repubblica, sia con La Cité de la Musique, il
36 DESIGN +
progetto che fece guadagnare il premio Pritzker all’architetto
Christian de Portzamparc nel 1994. Si porrà, ovviamente, in
continuità con i temi tschumaniani del giardino orizzontale e
dei riflessi d’ombra sulle superfici architettoniche, mentre, dimensionalmente e cromaticamente, giocherà con i rossi padiglioni di metallo, noti con il nome “folies”, tipiche architetture appartenenti al linguaggio dell’architetto Tschumi.
Contemporaneamente però, sovverte prepotentemente l’idea
fondante de La Citè de la Musique che, come si sa, si articola
secondo la filosofia dell’isolato aperto, e che con la sua silhouette curva e il suo riflettersi nell’acqua, magistralmente, richiama il Palazzo dell’Assemblea a Chandigarh progettato da
Le Corbusier. L’architettura nouveliana, invece, consta di un
solo volume-minerale avvolto da più piani inclinati che i visitatori potranno percorrere seguendone le diverse pieghe rivestite di alluminio. In sostanza, in questa nuova architettura
coesisteranno due geometrie contrastanti che comunque si
Foto Ateliers Jean Nouvel
In alto a sinistra: rendering della sala interna pensata per creare tra l’orchestra e gli spettatori un rapporto molto intimo e ravvicinato. Al centro: fotografia
del plastico. Si ha modo di apprezzare l’insieme dei piani inclinati che avvolgono la struttura. In basso: rendering della Filarmonica inserito in una vera
immagine del Parco de la Villette accanto a La Citè de la Musique. Sopra: prefigurazione notturna della Filarmonica di Parigi vista dall’esterno del Parco
completeranno, d’altra parte si sa, le linee spezzate senza
quelle curve e armoniche esprimono molta meno forza e aggressività. La teoria di piani variamenti inclinati, omaggio che
l’architetto Jean Nouvel fa al suo maestro Claude Parent, padre dell’architettura obliqua, avvolgerà completamente il volume bloboidale e condurrà gradatamente il visitatore dal
giardino esterno all’armonico foyer dove avrà modo di guardare le vetrine delle boutique, sostare piacevolmente con gli
amici e mangiare e bere nei bistrò ammirando il giardino circostante e le sue tipiche architetture.
La sala interna della Filarmonica, invece, con le sue lunghe
balconate, corredate di comode sedute, che evocano vagamente dei fogli di musica, sorprenderà l’ascoltatore dandogli
l’impressione di essere sospeso tra musica e luce. L’esperienza
sarà unica, come ogni concerto è giusto che sia, ma sarà
un’esperienza sia visiva che sensoriale perché il rapporto che si
creerà tra l’orchestra e gli spettatori sarà a dir poco molto intimo e ravvicinato. In totale saranno 37mila mq che conterranno sala prove, uffici, un polo educativo, spazi espositivi,
un ristorante e i locali tecnici di cui l'opera abbisogna, e per
realizzarli servirà una spesa di 200 milioni di euro, che saranno finanziati per il 45% dal Ministero della Cultura e della
Comunicazione, per un altro 45% dalla città di Parigi, e per il
restante 10% dalla Regione Ile-de-France. Un progetto, a partecipazione economica, che nella sua avvolgente struttura luminosa, metallica e riflettente, darà a molti la possibilità di
partecipare ai grandi eventi musicali che la città di Parigi è
pronta a programmare. (di Gianfranco Virardi)
DESIGN + 37
S
PRE.VISIONI
Spazio per l’architettura
A
Sospeso su uno spazio concepito come piazza-giardino e con due facciate diverse tra
loro, la futura Casa degli Architetti di Firenze si propone di diventare un riferimento
per il dibattito, la ricerca e l’approfondimento dei temi legati alla professione
Firenze gli architetti sono di
Casa. È con la delibera comunale dello scorso 6 aprile
che si dà il via alla fase di
realizzazione della “Casa degli Architetti”, un progetto nato con l’accordo tra
il Comune e l'Ordine Architetti Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori di Firenze per la costruzione di una nuova
sede nel capoluogo toscano. La Casa, che
oltre all'Ordine ospiterà anche la Fondazione Professione Architetto, è il coronamento di un percorso iniziato nel 2003
con il quale si intendeva lanciare un segnale importante: l’architettura vuole situarsi tra il contesto e i cittadini, al
centro del suo progettare. E vuole farlo
in modo discreto ma dialogico, nell’ottica di un netto rifiuto di atteggiamenti
spesso autoreferenziali. È così che la
nuova sede testimonia fin nel nome la
propria vocazione di punto di riferimento paritario e di facile accesso per il
dibattito, la ricerca e l’approfondimento
dei temi legati alla professione. Un'aper-
tura nei confronti della città per sottolineare che la promozione del confronto
tra architettura, amministratori, imprenditori, media e cittadini non può che essere un fatto positivo, in primo luogo
per i professionisti dell’architettura che,
incontrando direttamente gli altri attori
della catena della progettazione e della
realizzazione, potranno uscire da una dimensione troppo spesso autoreferenziale.
Ma anche una grande opportunità per la
città stessa poiché il concetto guida dell’intera operazione è stato quello di fare
della Casa degli Architetti un’opportunità di qualificazione e riqualificazione
del paesaggio urbano attraverso l’innovazione architettonica, l’incentivazione
della cultura e delle forme di socialità.
L’edificio sorgerà in un’area pubblica
complessiva di 1.180 mq compresa nell'angolo tra via Corridoni e via Pisacane
nel quartiere 5 della città. Con il concorso di selezione bandito nel febbraio
2004 per scegliere il progetto della futura
Casa degli Architetti si è voluto favorire
il lavoro che più di tutti evidenziasse un
impegno architettonico misurato ma deciso e personale, e che miscelasse i segni
della contemporaneità e quelli della tradizione dell'architettura moderna fiorentina, prevedendo inoltre le soluzioni
appropriate per la sistemazione e l’arredo
dell’area pubblica circostante rapportata
con l’edificio. In linea con queste premesse e con le specifiche richieste del
bando, è stata premiata la scelta progettuale dei due giovani architetti Stefano
Niccoli e Chiara Remorini incentrata
sulla tensione tra la continuità con il territorio limitrofo, la permeabilità alle diverse attività sociali urbane, e un
progetto architettonico ricco di spunti
contemporanei. La sfida che la progettazione di questo non semplice lotto triangolare ha raccolto è stata quella di
riqualificare un’area verde abbandonata
da anni ricongiungendola come spazio
di aggregazione al tessuto urbano circostante. Il progetto ha risposto a questi requisiti con la creazione di due facciate
diverse tra loro che nelle rispettive identità guardano alla conformazione del
paesaggio di riferimento. Da una parte
la facciata ricurva e chiusa della struttura
che si adatta all’uniformità di via Corridoni percorrendola parallelamente. Grazie all'alta frequentazione di questa
strada l'edificio con l’ampia paratia e
l'ingresso sul lato avrà una notevole visibilità. Su questo lato si accede alle funzioni dell’Ordine che avrà la propria sede
al primo e al secondo piano. Sul lato opposto verrà invece realizzata una facciata
che dà sulla piazza aprendosi sulla parte
meno uniforme e più frastagliata della
città per raccogliere le suggestioni dello
spazio pubblico che la struttura ridefiniInserimento virtuale dell’edificio nel contesto
urbano. Si ha modo di apprezzare il prospetto
chiuso lungo il fronte su via Corridoni
38 DESIGN +
Di fianco: rendering del puro volume, ne mette in evidenza
la nitidezza formale e la copertura a brise-soleil. In basso:
rendering dello spazio interno. Il brise-soleil fa vibrare
il prospetto segnando ancor più il distacco da terra
sce, attraverso la permeabilità dello
sguardo. In netto contrasto con l’uniformità dell’altra facciata, questo lato dell’edificio prevede diaframmi, tessiture
più o meno trasparenti, sistemi frangisole a tratti apribili e una cortina a vetrata unica che gioca sulla disomogeneità
dei livelli del visibile e della luce.
Accanto alla permeabilità dello sguardo
quella del movimento. L’edificio infatti
sarà sospeso su uno spazio concepito
come piazza-giardino. Grazie alla scelta
del volume rialzato le persone potranno
muoversi in tutte le direzioni, passare
agevolmente da un’area all’altra dello
spazio pubblico, socializzare, fermarsi a
osservare l'ambiente circostante, semplicemente “attraversando” la stessa
struttura che ha favorito ognuna
delle diverse opportunità.
Una di queste opportunità è costituita dalla Sala conferenze al
piano terra destinata
a convegni e
semi-
nari della struttura ma il cui accesso diretto dalla piazza potrà garantire anche
degli utilizzi indipendenti da quelli
dell’Ordine e configurare la sala come
luogo di aggregazione utilizzabile per le
diverse esigenze di quartiere. In questo
modo si rispettano e si incentivano l’indipendenza e la vocazione pubblica della
piazza favorendo allo stesso tempo un
rapporto forte con l’edificio.
Sul fondo della piazza, in un edificio a
parte, si troveranno il bar e la libreria, ulteriori punti di aggregazione e di riqualificazione. Seguendo la stessa logica di
continuità si è scelto di tutelare le zone
verdi e le alberature esistenti.
La convenzione tra l'Amministrazione
Comunale e l'Ordine degli Architetti,
prevede inoltre che la piazza e i parcheggi di superficie siano gravati da uso
pubblico e che la responsabilità della manutenzione sia a carico dell'Ordine. La
convenzione prevede inoltre che almeno
la metà dei parcheggi interrati dell’Ordine venga destinata all'uso dei residenti.
Ognuna di queste misure è mirata a configurare la presenza dell'edificio come un
supporto e non come un’interferenza rispetto alla mobilità e al traffico urbano
nel quartiere. I lavori che inizieranno nel
2009 dovranno essere conclusi tra due
anni. La profonda volontà di apertura
programmatica alla città di Firenze è
stata proiettata anche sul lungo periodo
con la scelta di realizzare la Casa degli
Architetti a spese dell'Ordine e di cederla
gratuitamente al Comune dopo il periodo di 25 anni necessario ad ammortizzare l’investimento. Da quel momento
l’Ordine continuerà a utilizzare la Casa
corrispondendo un regolare canone di
affitto al Comune. (di Giuliano Cirillo)
DESIGN + 39
Fai entrare in casa
l’Oriente
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Un involucro luminoso
PRE.VISIONI
S
Al posto degli stabilimenti dell’ex Italcitrus, a Reggio Calabria, sorgerà un centro
televisivo sperimentale e culturale, circondato da un enorme parco attrezzato
C
E.TE.S., centro televisivo
sperimentale. Ecco cosa il
comune di Reggio Calabria
ha pensato di creare negli
stabilimenti dell’ex Italcitrus, la fabbrica
oramai dismessa ma che in passato si occupava della trasformazione degli agrumi.
Nel 2008 il Comune ha indetto un concorso ed è risultato vincitore il gruppo
AKA (lo studio associato Caccavale, Casadei, Pineschi architetti), con un progetto facilmente identificabile con il
motto Digital Origami. È un serpente
che snodandosi nel paesaggio naturale
coinvolge e avvolge i vecchi e malandati
edifici di archeologia industriale. È
un'opera di land-art che, grazie a una
pelle metallica e multimediale, funge da
segnale mediatico non solo di giorno ma
anche in piena notte, quando il centro,
avvolto nella rete luminosa che parte dal
terreno e culmina nell'antenna-scultura, sarà ben visibile anche da lontano. La
rete che avvolge la struttura
ha funzione anche di pelle
bioclimatica sia perché, passivamente, protegge dal
caldo e dal freddo sia perché,
attivamente, ha nelle maglie della rete dei
pannelli fotovoltaici. Una pelle insomma
che protegge e manifesta. Che ripara e
contemporaneamente segnala. A questa
pelle reticolare verrà riconosciuto ulteriore appeal anche dall’inserimento di un
grande leadwall, che la trasformerà in
uno schermo polimorfo e sfaccettato su
cui proiettare performances digitali, installazioni multimediali, o la riproduzione degli eventi che all’interno sono in
corso. Un enorme parco attrezzato, lavorato come una vera e propria scultura,
cingerà senza alcuna soluzione di continuità la struttura nel cui cuore prenderà
posto una piazza/arena che sarà raggiungibile dagli itinerari posti a quote diverse
così come diverse saranno le tipologie dei
fruitori. L’intero complesso, concepito
come una rete/pelle che come un grande
origami variamente piegato avvolgerà le
quattro architetture industriali preesistenti, e che complessivamente occuperà
10.200 mq, avrà dei costi di realizzazione
che si aggireranno attorno ai 6 milioni e
650 mila euro. (di Mattia Curcio)
DESIGN + 41
S
MULTI.FUNZIONI
Un simbolo per Modena
L
A Modena tre studi associati si aggiudicano il premio per il Concorso delle ex
Fonderie. Nascerà un centro dedicato al design, all’arte, alla scienza e alla tecnologia
e ex Fonderie di Modena
sono un importante luogo
storico per il background della città. Luogo di lotte e diritti. Luogo di morti e di speranze. Una
grande area rimasta in disuso per anni,
forse anche dimenticata, ma che ora è
riemersa all’attenzione con il piano di recupero comunale. Quest’area avrà una
destinazione completamente diversa.
Dalla polvere di metallo e gli scarti metallurgici al DAST - Design, Arte, Scienza e Tecnologia. Sarà un centro integrato
e partecipato dove, discipline che normalmente faticano a dialogare tra loro,
sono chiamate a interfacciarsi. Secondo
la proposta elaborata, all'interno dello
stabile ristrutturato si darà vita a spazi di
Sopra: rendering diurno del DAST
inserito nel suo contesto. Sotto:
prospetto/sezione longitudinale
di tutto il complesso
42 DESIGN +
utilizzo comune, nei quali i visitatori saranno chiamati ad essere co-protagonisti,
sia di iniziative volte alla divulgazione
scientifica e alla valorizzazione delle competenze tecnologiche e meccaniche, sia di
manifestazioni in ambito culturale, storico e artistico. Lo spazio sarà adibito anche alla nuova Facoltà di Design Industriale che, promossa dall’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia,
farà sì che il design e la progettazione industriale diventino ponte di collegamento tra le arti e le scienze.
Le Fonderie Riunite, che hanno giocato
nella storia di Modena e del suo sviluppo
industriale un ruolo non solo simbolico,
con il nuovo riadattamento previsto non
perderanno il loro prestigio storico. Gli
elementi fondanti il progetto vincitore
sono infatti il recupero dell’intero impianto e un nuovo assetto planivolumetrico per tutta la restante area del concorso. La nuova proposta vuole conservare
l'identità del luogo quale simbolo per la
storia del movimento operaio italiano,
salvaguardare la palazzina degli uffici,
protetta dal vincolo storico, e rivalutare
gli altri edifici industriali planimetricamente posizionati secondo una sequenza
seriale e anche caratterizzati dalle lunghe
campate. La creazione di volumi edilizi
di diversa altezza e dalla sagoma planimetrica ridotta risponde, per tanto, all’esigenza di mantenere e rispettare la
struttura del fabbricato industriale e conservare la dimensione delle campate esi-
In alto: prefigurazione notturna di tutto il
complesso del DAST. Si ha modo di apprezzarne le ampie
superfici vetrate. Sopra: vista assonometrica parzialmente
esplosa della copertura e della struttura sottostante.
Sotto: vista prospettica dell’inserimento degli edifici ex novo
stenti. Questi nuovi volumi, ricoperti sul
lato nord e sud da una sorta di pelle traforata in lega di rame e alluminio, dall’effetto dorato e dalla peculiare inalterabilità nel
tempo, creano così un continuum materico, che dai prospetti accompagna lo sguardo fino alle coperture. La caratteristica colorazione dorata di questa nuova copertura, insieme alla rudezza propria del materiale metallico e allo stesso tempo alla delicatezza del ricamo e della sua tessitura,
evocano sì la passata destinazione di luogo
addetto alla fusione metallica ma allo stesso tempo comunicano, in modo univoco,
il cambio funzione che lo stabilimento sta
per subire. Sia per le diverse altezze che per
la colorazione luminosa, la nuova copertura, visibile dalla ferrovia e dal cavalcavia
adiacente, il cosìddetto cavalcavia Maserati
che collega le due parti della città, diventerà un elemento simbolico e di richiamo
per Modena. Diventerà emblema del recupero che la città fa della sua storia. Riverbererà con la luce del sole, e rifrangerà l’illuminazione notturna, per condurre a sé i
visitatori chiamati per i nuovi eventi.
Il DAST, quindi, consterà di diverse destinazioni. Nuove funzioni che conferiranno
alla nascente struttura la caratteristica di
luogo vitale votato sì alla ricerca e all'innovazione, ma che conterrà anche funzioni
commerciali e terziarie poste a supporto
del DAST stesso, così da creare un centro
importante per tutta la città e usufruibile
in tutto l'arco della giornata. Un luogo in
cui potranno coesistere momenti formativi
e ricreativi, eventi musicali e performance
e spazi dedicati alla storia sociale del lavoro
e alla realtà industriale. Un nuovo polo,
quindi, che cambierà i movimenti cittadini, che sposterà l’attenzione culturale e che
vivacizzerà ancora di più un territorio sempre pronto a cogliere le diverse esigenze
della collettività.
Erano circa sessanta i progetti al vaglio
della Commissione giudicatrice per il concorso delle ex Fonderie, ma il progetto
vincitore, ricordiamo, è stato preparato da
tre studi associati, il Modo Studio di
Roma, il Centro Cooperativo di Progettazione di Reggio Emilia e lo Studio Sofia
Cattinari di Modena. I vincitori si sono
aggiudicati un premio di 40 mila euro ma
ci si augura possano sempre loro, per continuità di linguaggio e di intenti, ricevere
anche il futuro incarico per la realizzazione
del progetto. (di Roberto Sanna)
DESIGN + 43
La nostra azienda è presente sul mercato piscine dal 1970, inizialmente con la denominazione Safe Pool, in seguito, con l’ingresso nell’assetto societario della Culligan Italiana S.p.a., cambiò in Culligan Piscine S.p.a. Dopo alcuni anni i soci originari
e fondatori ricomprarono le quote cedute a Culligan, e la ragione divenne definitivamente MT Costruzioni Piscine e Depurazioni s.r.l. Ad oggi, grazie alla nostra esperienza e professionalità, siamo riusciti a operare nel mercato con la costruzione di
oltre 15.000 piscine ex novo, numerose ristrutturazioni e realizzazioni di impianti di filtraggio, impiegando sempre prodotti di alta qualità. Abbiamo concentrato tutti i nostri sforzi per poter dare nel corso di
questi anni prodotti sempre più curati nei minimi particolari, adattandoci alle richieste del mercato, grazie a squadre di
dipendenti diretti e studi di progettazione a noi associati, riuscendo così a fornire prodotti di qualità, chiavi in mano. I
nostri articoli, dal 1970 ad oggi, sono stati costantemente oggetto di migliorie continue, per rimanere sempre al passo
con i tempi, in modo da fornire manufatti dotati dei più avanzati e sicuri sistemi di trattamento acqua per piscina, consentendo in ogni momento caratteristiche di alta affidabilità igienica per l’utente, ciò in considerazione della primaria importanza dell’acqua nel contesto dell’intera opera. Siamo inoltre in grado di dare un’assistenza a livello decisionale e
progettuale, per poter indirizzare il cliente finale alla scelta più consona in base ai suoi desideri e alle sue aspettative,
riuscendo ad integrare l’opera nel contesto paesaggistico, aspetto fondamentale per poter conciliare tecnologia ed
estetica. Creiamo un prodotto finale armonico, sempre in linea con le richieste del committente, offendo assistenza durante la costruzione e alla fine dell’opera, rimanendo sempre a disposizione per dare un competente aiuto tecnico,
specializzato nella manutenzione grazie ai numerosi collaboratori acquisiti in 38 anni di attività.
L’azienda è riconosciuta come venditore territoriale e di assistenza delle vasche idromassaggio americane Hot Spring, Tiger River, Limelight, Solana e Sanum, numeri uno sul mercato degli idromassaggi da esterno ed interno, per prestazioni, confort, risparmio energetico,
affidabilità e garanzia del prodotto.
Le nostre specializzazioni sono:
• Progettazione, costruzione, ristrutturazione, installazioni
di impianti idraulici ed elettrici, montaggi di tutti i tipi
di rivestimenti
• Commercio di prodotti chimici per la depurazione
dell’acqua
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e per la pulizia delle stesse
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Siamo in grado di realizzare e fornire:
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© Stiftung Preußischer Kulturbesitz/David Chipperfield Architects, photographer: Joerg von Bruchhausen
Progetto / 1
Un luogo
dove il presente
incontra il passato
e il nuovo dialoga con
il vecchio, evocandolo
e valorizzandolo. Grazie
al minuzioso progetto
dello Studio David
Chipperfield Architects,
le rovine del Neues
Museum di Berlino ci
restituiscono il senso
eterno della storia
di Iole Costanzo
NEUES MUSEUM
46 DESIGN +
SCHEDA
Gruppo di progetto
David Chipperfield Architects
Inizio lavori 2003
Area totale progetto 20mila e 500 mq
Controllo qualità Nanna Fütterer
con il David Chipperfield Architects
Ingegneria strutturale Jaeger,
Mornhinweg+ Partner Ingenieurgesellschaft
Exhibition Design
architetto Michele de Lucchi S.r.l
LA SUA RINASCITA
DESIGN + 47
© Stiftung Preußischer Kulturbesitz/David Chipperfield Architects, photographer: Ute Zscharnt
Progetto / 1
I
l Neues Museum, dopo tanti anni di
attesa, riapre le sue porte. I berlinesi
che da tanto tempo aspettavano questo momento finalmente avranno la
possibilità di visitarlo. Lo storico museo si
trova in pieno centro, sul fiume Sprea,
nella rinomata Isola dei Musei, dichiarata
patrimonio dell'umanità nel 1999 dall'Unesco. La sua storia è molto lunga e
piena di vicissitudini, ma la nascita, in un
certo senso, si può far risalire al ritorno a
Berlino - dopo la vittoria a Waterloo nel
1815 - di molte opere d’arte precedentemente trafugate da Napoleone. È allora
che nel Paese, sull’onda dello spirito rivoluzionario francese, crebbe l’idea di un
museo pubblico. Difatti i musei dell'isola
furono costruiti tra il 1820 e il 1930.
Per l’esattezza tutto inizia nel 1822, sotto
la famiglia Hohenzollern, con la costruzione del Regio Museo, più tardi chiamato Altes Museum "Museo Vecchio",
progettato dall’architetto Karl Friedrich
Schinkel. Solo qualche anno più tardi, nel
1841, viene chiesto all’architetto Stüler,
allievo di Schinkel, di progettare il Neues
Museum, concepito come un ampliamento stesso dell’Altes Museum schinkeliano, a cui si collegava con un passaggio
ad archi. Il Neues viene inaugurato nel
1866, quando giungono a termine i lavori
di costruzione e vengono esposte le ricche
collezioni d’arte - da eguagliare a quelle di
Parigi, Londra e Vienna - accumulatesi in
territorio tedesco sotto l’egida del Kaiser
del 1° Reich.
L’impostazione del progetto del Neues
Museum era classicista e ovviamente simmetrica, con un gran colonnato quadrato
posto all’interno dell’isola. Gli ambienti
erano impreziositi da decorazioni e sculture, mentre lo scalone principale era affrescato con un ciclo decorativo dedicato
© SMB/Zentralarchiv
Nella pagina precedente: il nuovo scalone nella
hall di ingresso del Neues Museum. In alto: vista
del fronte dell’Isola dei Musei. L’edificio
sull’estrema destra è l’ala ricostruita del Neues
Museum, quello a sinistra è l’Altes Museum
di K. F. Schinkel. Di fianco: una foto storica
che riprende la cupola sud distrutta dai
bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale
48 DESIGN +
PIANTA DEL LIVELLO 3
25
30
14
29
13
28
26
27
PIANTA DEL LIVELLO 2
22
24
23
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14
13
21
20
19
PIANTA DEL LIVELLO 1
9
11
Nelle piante, a fianco:
10
12
(©David Chipperfield Architects):
1. Collegamento con il
Pergamon Museum
2. Collegamento con
il nuovo edificio d’ingresso
3. Collegamento
con l’Altes Museum
4. Ala Est
5. Ala Ovest
6. Corte Egizia
7. Corte Greca
8. Locale tecnico
9. Ingresso principale
10. Vestibolo
11. Sala della Mitologia
12. Sala della Patria
13. Vuoto sulla Corte Greca
14. Vuoto sulla Corte Egizia
15. Sala storica
16. Sala di etnografia
17. Caffetteria
18. Sala Romana
19. Sala Medievale
20. Sala Moderna
21. Sala Greca
22. Sala di Bacco
23. Sala di Apollo
24. Sala di Niobidi
25. Sala d’Arte Est
26. Sala d’Arte Ovest
27. Sala delle Stelle
28. Sala Blu
29. Sala Verde
30. Sala Rossa
14
13
15
16
17
17
8
PIANTA DEL LIVELLO 0
4
4
1
2
7
6
5
3
5
DESIGN + 49
© Stiftung Preußischer Kulturbesitz/David Chipperfield Architects, photographer: Ute Zscharnt
Progetto / 1
Nella foto: la Sala
dei Niobidi. A destra
in alto: dettaglio
delle pitture murali
presenti nella Sala
di Bacco. A destra in
basso: serie di volte
a pennacchi della
Sala Medioevale
50 DESIGN +
© Stiftung Preußischer Kulturbesitz/David Chipperfield Architects, photographer: Ute Zscharnt
© Stiftung Preußischer Kulturbesitz/David Chipperfield Architects, photographer: Ute Zscharnt
alla storia dell’uomo. Con il passar degli
anni, intanto, nell’Isola dei Musei si accumulano diversi reperti: la porta di Mileto, alcune parti della facciata del castello
Mschatta, la porta di Ischtar di Babilonia e
il famoso Altare di Pergamon, raccolti in
giro per il mondo e portati a Berlino per il
puro godimento archeologico di esporre, all’interno di spazi museali, storiche e ineguagliabili testimonianze architettoniche.
Nel 1930 l’isola finalmente è compiuta, nonostante i molti ritardi dovuti alla Prima
Guerra Mondiale e alla conseguente crisi
economica. Ma purtroppo i bombardamenti
bellici del 1943 e del 1945 ne distrussero
l’assetto architettonico. Diverse opere furono custodite preventivamente nei dintorni
della città e in diverse cantine cittadine. Del
Neues Museum si salvò ben poco.
A guerra finita molte opere conservate nella
Berlino-est rimasero in mano ai russi e solo
nel 1958 furono restituite all’isola, che riprese così la sua normale attività durante la
Repubblica Popolare Tedesca.
Solo le macerie del Neues Museum rimasero
a testimoniare i bombardamenti subiti. Sarà
il 1989, con l’abbattimento del muro, a portare a conclusione la situazione schizofrenica
dei doppi istituti museali. E il desiderio di ripristinare finalmente il Neues Museum, ancora in stato di rovina, farà diventare il museo stesso il simbolo della Berlino unita.
Il concorso internazionale avente come tema
la ricostruzione muraria dell’edificio stüleriano e il collegamento del Neues con l’Altes e il Pergamon è stato indetto nel 1993.
Il concorso ha avuto varie vicissitudini e più
vincitori, ma solo nel 1997 è stato vinto
dallo Studio David Chipperfield Architects
con Julian Harrap. Il principale obiettivo del
progetto era quello di completare il volume
originale e restaurare quelle parti che si sono
conservate dopo l’azione distruttrice della
Seconda Guerra Mondiale. È stata ripristinata la sequenza originale delle stanze, resa
possibile grazie all’inserimento di nuove sezioni costruite che creano così continuità
con la struttura esistente.
Il restauro archeologico ha seguito le linee
guida della Carta di Venezia di cui ricordiamo il famoso art. 3 che dice: “la conservazione e il restauro dei monumenti mirano a salvaguardare tanto l’opera d’arte che
la testimonianza storica - nel rispetto dei
diversi stati di conservazione dell’edificio
storico”. Al Neues infatti, la ricostruzione
delle parti distrutte dell’edificio è stata eseguita, dallo studio Chipperfield Architects,
© Stiftung Preußischer Kulturbesitz/David Chipperfield Architects, photographer: Christian Richters
Progetto / 1
Una foto della nuova
struttura che sorregge
la copertura vetrata
della Corte Egizia.
Questa sala ospiterà
il famoso busto
di Nefertiti
SEZIONE SULLO SCALONE
SEZIONE SULLA CORTE EGIZIA
DAVID CHIPPERFIELD
Foto di Nick Knight
David Chipperfield è nato a Londra nel 1953.
Ha studiato alla Kingston School of Art and
the Architectural Association nella capitale
inglese, laureandosi nel 1977.
Successivamente ha lavorato negli studi di
Douglas Stephen, Richard Rogers e Norman
Foster. Nel 1984 ha fondato il David
Chipperfield Architects che, attualmente, ha
tre sedi principali, a Londra, Berlino e Milano,
e un ufficio anche a Shanghai. Negli anni ha
vinto più di 40 gare nazionali e internazionali
e numerosissimi premi per l’eccellenza del
suo lavoro. Nel 2007 è stato nominato socio onorario dell’American Institute
of Architects e membro onorario del Bund Deutscher Architekten. Nel 2008
è diventato membro della Royal Academy of Arts di Londra e Professore
Onorario della Kingston University.
con l’intento di non farle entrare in competizione con le parti superstiti. Il recupero
dell’esistente è stato, difatti, guidato dall’idea che la struttura originale dovesse essere valorizzata nel suo contesto spaziale e
nella sua materialità originale, mentre al
nuovo è stato affidato il compito di riflettere, evocare, ricordare ciò che è andato in
rovina, senza però imitarlo. Gli ambienti di
nuova costruzione sono stati realizzati con
i grandi elementi prefabbricati in cemento,
ottenuti con una gettata di polvere di
marmo della Sassonia miscelata al cemento
bianco, e con cui è stata anche ricostruita
la parte danneggiata della scalinata. I nuovi
volumi – l’ala Nordovest, la corte egizia,
l’abside nel cortile greco e la cupola meridionale – sono stati invece ricostruiti con
i mattoni riciclati. Senza falsi atteggiamenti retorici, il tempo con la sua patina,
le sue lacune, i suoi colori sbiaditi e in
questo caso anche con le sue ferite dovute
alle armi da guerra è stato bloccato e conservato. I colori originali, il blu cobalto,
giallo zafferano, rosso vermiglio e il verde
serpentino presenti nelle decorazioni murarie sono stati valorizzati nella loro capacità espressiva, mentre i segni grafici delle
stesse decorazioni, laddove mancavano,
non sono stati reintegrati, lasciando così
comunicare, anche in questo caso, il passaggio del tempo e il dilavamento che
hanno subito negli anni di completo abbandono. L’ambiente destinato alla corte
egizia, completamente distrutto, è stato
ricostruito con un nuovo escamotage, una
grande gabbia di cemento bianco che sorreggendo la nuova copertura in vetro crea
una nuova scansione ritmica nell’ambiente
che tra qualche mese ospiterà il famoso busto di Nefertiti. A ottobre 2009, dopo più
di 60 anni di abbandono, il Neues Museum riaprirà nuovamente al pubblico,
mettendo in mostra, questa volta, le collezioni del Museo Egizio e quelle del Museo
della Preistoria e della Protostoria. I preziosi oggetti saranno ospitati in vetrine, o
sorretti da piedistalli completamente progettati dall’architetto italiano Michele De
Lucchi. Mentre, sempre lo studio Chipperfield Architects, inizierà dal 2010 la costruzione di una nuova galleria che fungerà
da centro visitatori dell'Isola dei Musei e
sarà posta tra il Neues Museum e il fiume
Sprea, riproponendo complessivamente,
con questo nuovo volume, una situazione
urbanistica risalente a prima del 1938.
DESIGN + 53
Progetto / 2
Il rifiuto dei dettagli inutili e delle decorazioni è la filosofia che ha guidato
Massimiliano Fuksas nel progetto della Chiesa di Foligno. Essenziale e scarna
nella forma racchiude in sé i segni perfettamente leggibili di una religiosità
intima e lontana dalle umane apparenze di Iole Costanzo / Foto di Moreno Maggi
È
un volume nel volume. È cemento pesante gravitante sul
nulla. È materia che si fa spiritualità. È un parallelepipedo
che riesce a comunicare e a esprimere ciò
che oggi ci si attende da un’architettura sacra. Il volume principale della chiesa di Foligno, complesso sacro dedicato a San
Paolo e progettato da Massimiliano Fuksas, è puro e intarsiato da piccoli e sfaccettati tagli di vetro. Totemico, materico,
sobrio e carico di significato si distacca,
con un piglio unico e dominante, dal paesaggio circostante, ma non lo danneggia.
Catalizzatore di attenzione funge da guida
a un’area periferizzata, frammentaria, priva
di progetto e caratterizzata da un contesto
fatto di villette, un centro commerciale, un
piccolo ospedale in mattoni e qualche edificio in vetro e alluminio. «È sempre bene
evidenziare come un intorno può segnare
un progetto», ci spiega l’architetto Fuksas.
E continua: «La maggior parte degli edifici
progettati in Italia risultano essere fuori
contesto. Perché se solo volessero adattarsi
al contesto dovrebbero riprendere le linee
dell’edilizia abusiva dai tetti spioventi e
falde sfalsate». Aggiungendo: «Nella realizzazione della chiesa di Foligno non si
poteva fare altro che essere più sobri del sobrio e nascondere nella sobrietà le chiavi
per il mistero».
Il progetto, vincitore nel 2001 del concorso bandito dalla Conferenza Episcopale Italiana e definito dalla Giuria “come
segno deciso e innovativo, che risponde
alle ricerche internazionali più avanzate,
divenendo il simbolo della rinascita della
città dopo il sisma”, consta di tre elementi
54 DESIGN +
Ph.Gaston Bergeret
GEOMETRIE SACRE
MASSIMILIANO FUKSAS
Di origini lituane, Massimiliano
Fuksas è nato nel 1944 a Roma,
dove si è laureato in Architettura.
Nel 1967 crea il suo studio
romano, cui segue nel 1989 quello
di Parigi. Nel 1993 apre lo studio
a Vienna e nel 2002 a Francoforte,
attivi fino al 2001 e al 2009,
mentre dal 2008 è operativo lo
studio di Shenzhen in Cina. Dal
1998 al 2000 è stato Direttore
della VII Biennale Internazionale di
Architettura di Venezia. Dal 2000 è
l’autore della rubrica di architettura
del settimanale "L'Espresso" fondata
da Bruno Zevi. È stato Visiting
Professor presso numerose
università. Per molti anni ha
dedicato particolare attenzione
allo studio dei problemi urbani
nelle grandi aree metropolitane.
Vive e lavora tra Roma e Parigi.
architettonici che identificano le funzioni
del centro religioso. Il primo elemento è la
Chiesa. Il suo volume interno, realizzato
con strutture reticolari di acciaio ricoperte
di intonaco, è appeso alle travi secondarie
della copertura ed è solidale al volume
esterno grazie all’ausilio dei cannoni di
luci, anch’essi realizzati in acciaio e cemento, che controventano e legano i due
volumi. Il secondo elemento, basso e allungato, ospita i locali del Ministero Pastorale, la Sagrestia e la Casa Canonica. È
un parallelepipedo rifinito con l’intonaco
grigio, e ha la facciata scandita da una tradizionale partitura di finestre. Il terzo
corpo, in vetro e di dimensioni minori,
mette in comunicazione i due edifici più
grandi e contiene invece la cappella feriale
e la penitenzieria. L’insieme risulta essere
molto semplice e assoluto e lo skyline che
crea è completamente nuovo e forse dirompente, perché graffia la ripetitività dell’intorno e si scaglia in alto per dialogare
con i monti. Nasce, infatti, da una scelta
progettuale importante: «il rifiuto dei dettagli inutili e delle decorazioni». «Mi è venuta voglia - prosegue Fuksas - di riprendere la mia vecchia vena degli anni ‘70
basata sul concetto del muro e sul dialogo
con la forza, la plasticità e la sobrietà del
cemento. Il progetto è nato quindi sotto
l’idea della semplicità». La Chiesa, con il
suo spiccato senso verticale raggiunge
quasi i 26m di altezza. È un volume sollevato da terra e collegato al piano di calpestio da una rampa-sagrato. Un ampio spazio antistante la chiesa che con un
andamento leggermente in salita accompagna i fedeli fino al momento dell’attra-
SCHEDA
Committente Conferenza Episcopale
Italiana - Diocesi di Foligno
Luogo Foligno, Italia
Data 2001-2009
Progetto Massimiliano e Doriana Fuksas
Complesso parrocchiale mq 1300
Costo 3.600.000 euro
Strutture Ing. Gilberto Sarti
Impianti A.I. Engineering
Interventi artistici Enzo Cucchi,
Mimmo Paladino
Progetto / 2
Sopra: planimetria generale del complesso sacro dedicato a San Paolo. A destra in alto: vista di uno
scorcio dei due volumi caratterizzanti il progetto. La chiesa con la parete di intarsi di vetro e il volume
basso che ospita i locali del Ministero Pastorale, la Sagrestia e la Casa Canonica. A destra in basso: vista
frontale del complesso. L’ampio spazio antistante la chiesa e che funge da sagrato ha un andamento
leggermente in salita. All’interno della chiesa si accede da una fessura rettangolare tagliata di netto nel
cemento e corredata di porte in vetro che ne esaltano la purezza della linea
QUANDO SI FA UNA
CHIESA SI DIVENTA
UMILI. SE SI È PRESUNTUOSI NON SI AMMETTE
CHE NEL PROGETTARNE
UNA SI PROVA PAURA
(Massimiliano Fuksas)
56 DESIGN +
versamento. All’interno vi si accede da
una feritoia, una fessura netta rettangolare, tagliata nel cemento e corredata di
semplici porte in vetro che ne esaltano la
purezza. L’intento del progettista era mirato, infatti, a «progettare un oggetto segreto, legato al mistero, in cui si potesse entrare inchinandosi». Difatti è grande il
rispetto che si prova per questo incombente e forse dominante muro contenente
le porte e per la purezza dei segni e dello
spazio liturgico che si ha modo, entrando,
di leggere. Le pareti, intorno, scarne, i gio-
chi di luci presenti, i gravitanti setti e l’essenzialità degli arredi fanno entrare il visitatore in contatto con la loro parte più celata e fragile. Il re, questa volta, si sentirà
nudo. La giusta condizione, forse, per avvicinarsi alla spiritualità, con umiltà e senza
vani fronzoli. La luce, altra peculiarità del
progetto, che penetra nel volume dagli intagli fatti sulle pareti, percorre le strombature, giunge all’interno del secondo volume e illumina l’altare, l’ambone, il fonte
battesimale e, contemporaneamente, segna graficamente la parete opposta. Quella
DESIGN + 57
Progetto / 2
In alto: veduta d’insieme ripresa da Nord-Est, il retro del complesso. In primo piano si scorge
l’impianto d’illuminazione dei campetti da tennis della canonica. Sul fondo le colline che stanno
intorno alla città di Foligno su cui si staglia nettamente la chiesa. In basso: pianta dei due
edifici del complesso sacro di San Paolo. Il collegamento tra i due volumi avviene attraverso un
terzo corpo in vetro e di dimensioni minori che contiene la cappella feriale e la penitenzieria
58 DESIGN +
In alto: interno della chiesa. La fotografia riprende dal basso lo spazio presente tra i due volumi
e la sala centrale. In basso a sinistra: isola dell’altare. Gli arredi sacri, insieme alle panche e ai corpi
illuminanti sono stati interamente progettati da Fuksas Design. In basso a destra: scorcio dell’altare
visto dallo spigolo di sinistra. Si ha modo di scorgere il giusto rapporto tra i due volumi, quello
esterno di cemento grigio e quello interno rivestito di cemento bianco
DESIGN + 59
Progetto / 2
In questa pagina: interno della chiesa. La fotografia riprende oltre alla sala centrale con l’altare
anche lo spazio laterale occupato sui due lati del parallelepipedo dai cannoni di cemento che
conducono la luce dall’esterno allo spazio più interno. In alto a destra: sezione longitudinale lungo
il volume della canonica, con prospetto laterale della chiesa. In basso a destra: sezione trasversale.
È possibile apprezzare il taglio dei cannoni di luci e il collegamento che creano tra i due volumi
che invece viene filtrata dai tagli della copertura, segnalando ed evidenziando lo
spazio tra i due volumi, disegna il peristilio, mancante di colonne, che circonda
l’aula centrale e il presbiterio. La luce naturale, dunque, che entra nell’edificio secondo due direzioni prevalenti, quella trasversale e quella verticale, esalta un
concetto fondamentale della Chiesa,
quello della luce riflessa. Luce che diventa
messaggero e che relazionandosi e scontrandosi con il cemento delle pareti del
primo involucro, con l’intonaco delle pareti del secondo e con il cemento levigato
e lucido del pavimento, vibra ed emoziona creando suggestioni attutite e soffuse. L’illuminazione artificiale invece,
progettata anch’essa dallo studio Fuksas, si
basa su molteplici sospensioni che declinano ritmicamente lo spazio. I punti di
luce presenti nella sala centrale e gravitanti
sopra l’altare esaltano, con una filiforme e
sottile sequenza, la trascendenza dell’ambiente. Una trascendenza che capovolge il
concetto di orizzontalità e di sala assembleare per dare maggior rilievo alla verticalità, all’ascensione e all’integrazione tra
il linguaggio liturgico, architettonico e artistico. La chiesa si è sempre servita dell’arte del proprio tempo per riuscire a comunicare ai proseliti l’emozione del sacro.
In questa occasione sono stati scelti due
grandi del mondo dell’arte contemporanea italiana. Enzo Cucchi, artista di fama
internazionale, appartenente alla corrente
della Transavanguardia, partecipa a quest’opera con un’esile ma monumentale
stele-croce alta 13 metri: una scultura in
cemento e marmo bianco di Carrara, che
posta sull’austera parete di cemento, all’esterno della chiesa, amplificherà la sacralità dell’insieme. Mimmo Paladino,
grande artista conosciuto in tutto il
mondo e le cui opere sono presenti anche
al Metropolitan Museum of Art di New
York, ha curato le quattordici stazioni
della Via Crucis usando una tecnica mista.
L’aspetto liturgico, solitamente sempre or-
ganizzato con particolare attenzione verso
gli schemi tradizionali e rispettosi della
prassi celebrativa, questa volta non ha rinunciato agli aspetti innovativi e dinamici. Ha abbracciato la filosofia di questa
architettura. E così pure gli arredi sacri,
insieme alle panche e ai corpi illuminanti
sono stati interamente progettati da Fuksas Design per far sì che il tutto rispondesse ad un unicum fondante: la linearità. Tema che fa di questo luogo sacro,
sorto su una terra segnata dal terremoto
del 1997, dalla sofferenza, dalla rassegnazione e dalla gioia della ricostruzione, un
segno di solidità. Edificio simbolo, e per
questo ancora più difficile e complesso
nello stesso tempo. Ma sicuramente interessante e forse anche intrigante. Una
sfida, insomma, senza perdere di vista la
semplicità e l’umiltà della forma.
«Quando si fa una chiesa - conclude Fuksas - si diventa umili. E solo se si è presuntuosi e arroganti non si ammette che
nel progettarne una si prova paura».
DESIGN + 61
Progetto / 3
GRAND PARIS
IN PROGRESS
1
Pensare/Agire: Dal concetto di finestre-progetto ai 2 progetti metropolitani è la proposta
dell’Atelier Christian de Portzamparc, che fa della ricerca metodologica sul sistema urbano il centro del progettare.
2
La grande Parigi stimolata è il progetto con il quale gli architetti e urbanisti dell’equipe parigina l’AUC
propongono un passaggio dalla situazione urbana ereditata dal passato alla Parigi contemporanea.
3
Parigi, Rouen, Le Havre: una sola città e la Senna come via principale. Una citazione di Napoleone I
per il titolo del progetto dello studio Antoine Grumbach & Associés per rispondere alla sfida della Parigi post-Kioto.
4
La grande Parigi metropoli dolce. L’equipe berlinese LIN degli architetti Finn Geipel e Giulia Andi si propone
di trasformare il modello di città europea in un prototipo di sviluppo urbano del futuro.
5
Parigi m/Parigi am a/Parigi si fa am are. Con questa proposta l’equipe degli Atelier Jean Nouvel,
Michel Cantal-Dupart, Jean-Marie Duthilleul eleva la Metropoli a potenza.
6
Capitale per l’uomo, capitale per il mondo. Alla base del progetto dell’equipe dell’Atelier
Roland Castro - Sophie Denissof - Silvia Casi, il proposito di riconciliare l’uomo con la città.
7
La metropoli porosa del XXI secolo. Come valorizzare gli strati monumentali, culturali ed etnici della città
secondo l’equipe di architetti italiani Bernardo Secchi e Paola Viganò di Studio09.
8
Parigi Più. L’equipe MVRDV con sede a Rotterdam propone di potenziare la metropoli attraverso
i quattro punti di Sintesi, software City Calculator©, dati e osservazione.
9
20 città sostenibili per l’equipe Ateliers Lion - Groupe Descartes è una strategia incentrata
sui quattro temi di governance, trasporti, habitat e clima.
10
Il progetto dell’agglomerato parigino del futuro dell’equipe londinese di Rogers Stirk Harbour + Partners
si articola su dieci principi chiave per la progettazione della Parigi metropolitana.
62 DESIGN +
Il bando lanciato dal presidente Sarkozy per la riqualificazione urbana
e periferica della metropoli parigina è una straordinaria occasione di
rinnovamento che rappresenta, per la Francia e per la capitale, una
nuova opportunità di rilancio e rivitalizzazione. Parigi diventa così un
punto di riferimento per il resto delle metropoli europee di Iole Costanzo
P
arigi. La mitica Parigi fatta di storia, di charme e di vita. La signora delle città francesi. La ville lumière. È anche la ville delle banlieue. Nove milioni di persone distribuite in cittadine satelliti che
con un lento processo di espansione si sono congiunte tra loro dando vita a nuclei abitativi informi
e mancanti di identità. Ma Parigi non ha voglia di fermarsi. È una città meravigliosa, con i classici
problemi delle metropoli dei nostri tempi, ma non accetta di sentirsi senza futuro. Ha voglia di crescere e di
cambiare. Non vuole restare imbrigliata in immagini stereotipate. Vuole partecipare al nuovo mondo. Vuole essere una città del XXI sec. Ecco perché Nicolas Sarkozy, il presidente della Repubblica francese, pronto a giocare un ruolo dominante nell’economia europea e mondiale, ha ufficialmente mobilitato dieci equipe di architetti
e urbanisti per strutturare dei megaprogetti che ridisegnino Parigi e la sua sconfinata regione. Riprogettare, ricostruire e ricucire le diverse parti della città
cresciute all’ombra di cambiamenti radicali
raccordo anulare. C’è chi l’ha pensata come una città "porosa", una
quali il decentramento del sistema produtcittà accessibile e permeabile che dà spazio all'acqua. E c’è chi imtivo diventa, quindi,un importante progetto
magina "venti città durevoli" con non più di 500 mila abitanti. Ci saper il futuro. La logica dell’integrazione,
ranno giardini pensili sui tetti e un bosco di un milione di alberi al
unica percorribile, riqualificherà le slabbranord, vicino all'aeroporto. Ma quel che conta è che nella futura Pature lasciate dalle pianificazioni precedenti e,
rigi non esisteranno più le banlieue. La "Grande Parigi" sarà la città
con interventi puntuali, renderà omogenei i
ideale del post-Kyoto. Ecologica, policentrica, sarà la città-mondo che
diversi tessuti che negli anni si sono creati.
avrà il suo porto sulla Manica raggiungibile in un'ora con una nuova
Per poter giungere ad una valida ipotesi prolinea Tgv. I lavori dovrebbero iniziare entro il 2012 e già a ottobre sarà
gettuale, le dieci equipe hanno mobilitato,
presentato un progetto di legge. La Parigi di domani, vista dagli aroltre agli specialisti del territorio, anche sochitetti di oggi, sarà una metropoli capace di rivaleggiare con Shanciologi e geografi per avviare una riflessione
ghai e Tokyo. Sarà la città del futuro, lontana dalla museizzazione,
su come riorganizzare la piccola capitale e la
sempre attuale e pronta ad aggiornarsi per essere al passo con i tempi.
sua affastellata banlieue, la Boulevard PeriDa due milioni di abitanti la città passerà a 12 inglobando tutta la repherique, vero pot pourri di problemi quali
gione, per la nascita di una "regione-capitale". Si tratta dunque di ediquelli politici e amministrativi o quelli urficare una città nuova a partire da quella esistente. Concetto combanistici e sociali.
pletamente diverso da quello delle new town. Questo progetto non
Come sarà la regione parigina fra venti o
scolla la crescita di una città dalla storia, ma prosegue con le stratifitrent'anni, per l’esattezza nel 2030? Archicazioni del tempo e le commistioni di linguaggi architettonici. L’attetti e urbanisti hanno risposto in modo dituale periferia conta molto sui futuri cambiamenti e soprattutto sulla
verso. Forse diventerà una megalopoli che si
rivoluzione dei trasporti, stanca degli attuali ritardi e continue attese
estenderà fino all'estuario della Senna? Connelle stazioni dei treni e degli autobus. C’è anche chi ha segnalato che
terrà venti nuove città e avrà un tessuto che
Parigi ha un vantaggio unico in Europa: un centro ferroviario ad alta
conterrà grattacieli e terrazze ricche di verde?
velocità tra Londra e Francoforte che non riesce a raggiungere il suo
Qualcuno ha immaginato una metropoli
potenziale a causa della griglia urbana del XIX secolo che mantiene
"dei poeti, dei flaneurs". Altri hanno pensato
le 2 stazioni Gare du Nord e Gare de l’Est all’interno dei confini della
a un avveniristico treno da costruire sopra il
città. E infatti, tra le promesse più prossime alla realizzazione, vi è il
LE DIECI EQUIPE, HANNO
MOBILITATO, OLTRE AGLI
SPECIALISTI DEL TERRITORIO,
PURE SOCIOLOGI E GEOGRAFI
miglioramento dei collegamenti dei treni locali Rer, i prolungamenti
della metro, il decongestionamento di certe stazioni ferroviarie e un
collegamento rapido con l’aeroporto Charles de Gaulle.
A noi, dunque, non resta altro che auspicare una scelta dei progetti
migliori in nome della futura crescita della città.
DESIGN + 63
1. TRASPORTI DINAMICI
Progetto / 3
Sopra: immagine di sintesi del rizoma, griglia di lettura analitica e descrittiva della
metropolizzazione e del programma degli spostamenti diretti necessari per la Grand Paris. Sotto:
sistema dei trasporti rapidi e aerei. 35.5 chilometri di circonferenza con circa venti fermate previste lì
dove vi saranno i più importanti passaggi radiali. In alto a destra: immagine di sintesi della nuova
Gare Nord Europa, un quartiere misto di abitazioni e realtà lavorative. In basso a destra: dalla
periferia a Parigi. Fa da sfondo boulevard Sebastopol che si fonde con un edificato verdeggiante
64 DESIGN +
Per esplorare la questione metropolitana e
la crisi che rappresenta, l’Atelier Christian de Portzamparc sceglie di analizzare i sistemi, i dinamismi e le immobilità urbane attraverso l’osservazione del sistema
dei collegamenti che sinergicamente lega
centro e periferia e l’identificazione di una
possibile forma di crescita rizomatica a partire dai luoghi deputati al trasporto rapido.
La metropoli è un’opportunità di modernità,
ma rappresenta anche lo spreco di risorse
ambientali ed economiche e l’alto rischio di
scavare trincee sociali e culturali. Per prevenire il soffocare di questo universo, Portzamparc propone di agire a cominciare dai
punti critici del dinamismo economico e della fluidità dei collegamenti. Una strategia mirata a riconciliare gli spazi funzionali su scala metropolitana e gli spazi fisici locali, rispondendo alle domande di gestione sostenibile. La proposta prevede sei “finestre-progetto” adatte a mostrare situazioni diverse.
La finestra “MASSY-SACLAY” è caratterizzata dai problemi di aree frammentate dall’anello esterno; la finestra “ORLY-RUNGIS”
incorpora Orly nel sistema urbano meridionale; la finestra “GRIGNY-EVRY” solleva la
questione della funzione di arcipelago dell'anello più esterno; la finestra “PANTINBOBIGNY” illustra i diversi modi per convertire il tessuto urbano sedimentato con la rimodellazione dell’impronta ferroviaria e delle zone industriali; la finestra “ROISSY- LE
BOURGET” riguarda lo spazio intermedio
tra le aree di estensione di Parigi e il centro
Roissy, un tessuto urbano frammentato. La
proposta complessiva è quella di organizzare queste aree in una città aeroportuale. La
finestra “PARIS - NORD” è il cuore del potenziale di sviluppo del rizoma settentrionale: la stazione nord europea.
Progetto / 3
2. GRANDE PARIGI STIMOLATA
Il progetto dell’Atelier l’AUC sviluppa
dei punti di intervento/stimolo chiave per il
passaggio dalla metropoli di oggi a quella
del futuro. Si parte dalla “metropoli delle
condizioni climatiche” con i temi della metropoli post-Kyoto e della diagnosi dell’agglomerato parigino sollevati dalla consultazione internazionale di ricerca sul futuro
della Parigi metropolitana. Si sviluppa un
nuovo sguardo sulla città contemporanea.
La pianificazione discreta
Parte dalla consapevolezza che la metropoli di domani è già qui, che il fatto metropolitano è prima di tutto un fatto culturale.
La storia delle grandi città e metropoli in
Europa e nel mondo mostra l’incapacità
della panificazione nell’affrontare realtà più
complesse. Per questa ragione la pianificazione rimane rilevante solo se “discreta”.
La metropoli ereditata
Quella post-Kioto del XXI secolo è già qui.
Non esiste più l’urbanistica dell’estensione, ma l’urbanistica del riciclo. Lo studio si
dirige dalla pianificazione verso la stimolazione dei territori metropolitani.
In alto: gruppo di immagini scelte dal
progettista per affermare che il fatto
metropolitano è prima di tutto un fatto
culturale. E che la storia delle grandi città
mostra l’incapacità della panificazione di
affrontare realtà più complesse.
A destra: “La Matrice” escamotage grafico di
sintesi per bypassare le incapacità dei piani di
risolvere i problemi della città metropolitana
contemporanea. Il gruppo “l’AUC”, infatti,
propone la sovrapposizione di situazioni così da
stimolare ciò che è già presente
Matrice per una metropoli
polifonica e polimorfica
La metropoli è globalizzata. La metropoli
del XXI secolo deve essere una costruzione aperta e collettiva, diversa da quella
pre-Kioto. La rappresentazione che oppone centro e periferie dovrà essere superata dalle realtà del territorio e dalla pratica
degli abitanti. L’AUC propone “La Matrice”
per sorpassare l’empasse del piano nei
confronti del problema della città metropolitana contemporanea.
La grande Parigi stimolata
Per rendere Parigi una metropoli contemporanea, “l’AUC” propone l’intensificazione di situazioni metropolitane che stimolano ciò che è già presente. Sono spazi funzionali in grado di afferrare in uno stesso
oggetto la micro-scala e il dettaglio delle
situazioni di ogni giorno così come la scala territoriale e strategica nel suo insieme.
Sopra: immagine rappresentativa dell’ipotesi progettuale: sostituire alla crescita
radio-centrica dell’agglomerato parigino una metropoli che si dirama lungo la
valle della Senna. La Senna diventerà luogo di formazione, informazione e
socializzazione. A sinistra: grafico sintetico dei nuovi punti nevralgici della lunga
Grand Paris pensata come la Seine Metropole, una città immersa nel verde,
sostenibile e solidale che, sfruttando la Senna come asse di sviluppo, diventerà
l’interfaccia europea con l’Atlantico
66 DESIGN +
3. LUNGO LA VALLE DELLA SENNA
Parigi, Rouen, Le Havre, una sola città e la Senna come strada
principale. L’equipe Antoin Grumbach & Associes parte dalla
considerazione che nel momento della globalizzazione la Francia, che rappresenta solo un centesimo della popolazione mondiale, dispone di una delle più grandi metropoli mondiali. Secondo questa equipe di architetti e urbanisti scegliere la città territorio Parigi, Rouen e Le Havre, non vuol dire fuggire dalle difficoltà
dell’Ile-de-France, bensì cercare un nuovo asse di sviluppo nonché prefigurare la giusta strada per una metropoli mondiale del
XXI secolo. Il piano impone di ridurre le emissioni che provengono dall’agricoltura, dai trasporti, dai fabbricati e dalle industrie.
Geopolitica
Per continuare a far parte del piccolo gruppo delle città del mondo del XXI secolo, la metropoli parigina dovrà proiettarsi al centro delle principali questioni mondiali tra le quali vi è quella del
trasporto marittimo. Ecco perché sarà necessario un efficace
polo fluviale come collegamento tra Europa e Atlantico.
La valle della Senna
Alla crescita radiocentrica dell’agglomerato parigino, si è sostituita l’identità geografica della valle della Senna, territorio di una
metropoli internazionale. Gli abitanti dei comuni che seguono il
fiume condividono lo stesso destino: grandi villaggi segregati a
causa dei corsi d’acqua e mancanza di trasporto collettivo. Secondo questo progetto la valle, per la sua vocazione industriale
e per la sua posizione geografica, potrebbe favorire la nascita
della terza rivoluzione industriale, quella dell’energia verde.
Città natura
L’opposizione ancestrale tra città e natura fa parte del passato. .
All’alternanza città, agricoltura, industria, si oppone uno sviluppo
diffuso da aggregare più o meno ai villaggi rurali, divenuti villaggi
urbani per loro vocazione e loro modo di vivere.
Intrecciare mobilità e territorio
Sia la grande scala, che l’esigenza di solidarietà, richiedono un
sistema della mobilità accessibile a tutti e distribuito su tutto il
territorio metropolitano.
Mettere il territorio in movimento
Piuttosto che creare dei nuovi livelli amministrativi, vengono ideati
progetti comuni. È quindi importante cominciare con azioni a breve termine, capaci di mobilitare organizzazioni pubbliche, partner
privati e abitanti della Seine Metropole attraverso esposizioni internazionali, piste ciclabili, interventi artistici su scala territoriale.
DESIGN + 67
4. UNA METROPOLI DOLCE
Progetto / 3
Una metropoli compatta e multipolare
in cui vivranno 13 milioni di abitanti,
questa la considerazione di base
dell’Equipe LIN. I punti di partenza
sono bellezza, forza economica e valore storico delle aree edificate. Seguendo strategie sostenibili, nel rispetto del protocollo di Kyoto, G. P. M.
D. sviluppa 3 concetti bipolari.
Città densa | leggera
Le aree di alta qualità urbana densamente popolate saranno poste vicino
a spazi naturali. Un sistema integrato
di “Eco-Stazioni” migliorerà la distribu-
zione di beni, servizi e informazioni e
permetterà un facile accesso allo stile
di vita moderno.
Città globale | accessibile
I sistemi innovativi di macro e micro
mobilità saranno integrati nel corpo di
Grand Paris Metropolis.
Grande Parigi | paesaggi
Sviluppare un sistema-paesaggio che
tenga in conto i corsi d’acqua, lo sviluppo di nuovi sistemi di mobilità e
l’integrazione di strutture ricreative e
residenziali.
In alto: planimetria simbolica per rappresentare un tessuto cittadino denso, accessibile e
sostenibile. A sinistra: rendering schematico. I grandi volumi prospicienti la Senna garantiranno
la densità necessaria a una sostenibilità che punta sull’integrazione di micro e macro mobilità
68 DESIGN +
5. QUEL PARI SUR PARIS
Cosa fare di una città esistente? Quale
scommessa, “quel pari”, su Paris? È da
questo interrogativo che parte la riflessione dell’Equipe di Jean Nouvel. Il motto
scelto sottolinea il fatto che una scommessa sulla città è accettabile solo perché si tratta di Parigi. Nasce così il progetto per Parigi Metropoli Parism basato
su una strategia ad hoc in nove punti:
1. Parism sarà assorbita da campi, foreste e valli del bacino parigino. Si recupereranno piantagioni, serre, promenade, e
aree di margine dei terreni agricoli.
2. Gli spazi della mobilità non saranno
solo funzionali, ma daranno anch’essi
l’immagine della città.
3. Le zone industriali saranno riconvertite
in appartamenti e luoghi di lavoro. Questa
flessibilità produrrà un equilibrio tra luoghi
di lavoro e di abitazione e una diminuzione dei tempi di trasporto.
4. I luoghi di incontro, di lavoro e di gioco
saranno complementari alle abitazioni.
5. L’impostazione radiocentrica dei trasporti è causa dell’infarto dei collegamenti. La strada giusta sarà: connessioni veloci tra i diversi centri.
6. Sulle interconnessioni principali saranno impiantati i nuovi centri. Parism
sarà la capitale delle interferenze.
7. Grazie alle 4 valli Parism si svilupperà
in 4 poli competitivi. Siti interessanti attrarranno ricercatori e insegnanti. Tutto avrà
una nuova impostazione urbana.
8. La Parigi storica sarà protetta e il suo
patrimonio sarà sempre la base per l’attualità. Il grande mito di Parigi si farà
sempre più affascinante.
9. L’arte diventerà l’aura parigina.
Una città, un’arte da vivere.
Sopra: esempio di collage fotografico,
rappresentativo delle diverse zone limitrofe che il
piano prevede integrare nell’idea di Parigim, la
Parigi metropoli griffe di se stessa. In basso:
rendering dell’ipotesi di grattacielo (pensato come
luogo di incontro, di lavoro, del tempo libero,
calato nel verde e complementare alle abitazioni)
inserito prospetticamente alla fine di avenue Foch
DESIGN + 69
Progetto / 3
6. UNA CAPITALE DEL MONDO
L’urbanità va ripensata. Quello dell’equipe dell’Atelier Castro Denissof Casi è un progetto a dimensione
sostenibile attraverso la creazione di
una civiltà urbana che anticipi l’impegno dell’uomo post-Kyoto. L’analisi
geografica ha permesso di individuare
8 entità compatte per una Grand Paris
avente un diametro di 40 km, ossia 15
volte più grande di Parigi, e 8 milioni di
abitanti. Per ciascuna area, si sono immaginati progetti di grande respiro che
ridisegnano il paesaggio, legano la storia e la modernità, l’esistente e l’immaginario. Questi spazi di deambulazione
poetica saranno pianificati e i trasporti
fluviali sviluppati. Le proposte relative
ai trasporti vigenti riguardano la rottura
dell’isolamento dei quartieri più lontani
e i collegamenti dei grandi poli di sviluppo grazie a un’altra costruzione di
metropolitana aerea sulla A86 o ancora
alla realizzazione di una tramvia della
Grand Paris. Questo nuovo legame tra
abitazioni e luoghi di lavoro assicura
una città più umana e più bella: trasporti più fluidi, più rapidi con treni, metro, tram e bus come mezzi che rendono più semplice il movimento e non
sono meri luoghi di transito.
Sarà un esempio di riconciliazione tra
città e natura: l’impresa consisterà nel
preparare intorno alle grandi aree verdi
dei bei percorsi ciclabili, così da godere meglio del paesaggio. All’interno
della metropoli il verde aumenterà e
tutti i giardini e parchi esistenti saranno
migliorati per contribuire a loro volta
alla poesia della nuova Grand Paris.
70 DESIGN +
I progetti portatori di simboli
L’obiettivo di Roland Castro è quello di
inventare un simbolismo dei nostri
tempi. Sette luoghi simbolici la cui vocazione è quella di rifondare l’identità
repubblicana usando i luoghi dell’immaginario collettivo: un memoriale sul
monte Valerien, il Campo Marzio della
Repubblica multirazziale alle Chelles
(dipartimento della Senna), un Panteon ai piedi di Vitry, la Fiera del mondo
multirazziale a Gonesse, l’Ecopianeta
sul porto di Gennevillier, il Canale della cultura sull’Ourcq e la Piazza della
Grand Paris alla confluenza tra la Senna e la Marne.
La Grand Paris,
capitale del mondo
L’ambizione è di fare di Grand Paris un
centro di influenza mondiale, un polo di
attrazione per i talenti di tutto il mondo.
Erede di un patrimonio universitario prestigioso, crocevia di studenti, centro di
ricerche e di cultura, la metropoli ha le
potenzialità per divenire leader mondiale di valori come creatività, innovazione
e sapere. Ma la nuova metropoli potrà
divenire anche la capitale del lusso, del
design e della moda per iscrivere la metropoli parigina nell’insieme delle metropoli mondiali creatrici di ricchezza. Questo nuovo rapporto tra l’uomo e la creatività potrà essere l’essenza di un nuovo
marchio parigino, il “made in Grand Paris”, che esprimerà il valore degli uomini
che vi vissero e anche il valore che ciascun cittadino sarà capace di creare in
questa città del domani.
A destra: rendering di
come è stato pensato lo
sviluppo dell’area “Ile de
Vitry”, una delle 8 entità
compatte che formeranno
la Grand Paris. In basso:
quattro immagini che
prefigurano i possibili
sviluppi delle diverse
entità, che formeranno la
nuova Parigi. La prima a
sinistra è un montaggio/
ipotesi di Manhattan e
Courneuve, mentre la
seconda rappresenta il
futuro porto di
Gennevilliers. La terza
simboleggia l’agorà
pensata alla confluenza
tra la Senna e la Marne.
L’ultima prefigura la
trasformazione del canale
dell’Ourcq in Canale del
Sapere
DESIGN + 71
Progetto / 3
A sinistra: rappresentazione
grafica del rapporto che
esiste tra il tessuto
storicizzato, stratificato della
città consolidata e le nuove,
ma comunque critiche,
banlieue. In basso: i centri
abitati e la Senna. La Senna
vista come luogo degli
scambi, di crescita e di
permeabilità. La regione,
coltivata e ricca di fabbricati
fluviali oramai abbandonati
e in disuso, acquisirà
pertanto tutt’altra valenza
7. UNA CITTÀ POROSA
Il progetto di città porosa, presentato da
Bernardo Secchi e Paola Viganò (studio09) consiste nel valorizzare le stratificazioni dei diversi periodi storici e delle diverse culture degli abitanti della città turistica intra-muros e delle banlieue dando
spazio all'acqua e agli scambi biotici. Nonostante l’acqua a Parigi sia importante,
l’effettiva capacità della rete idrica non è
valorizzata così come non lo sono i rischi
di un suo possibile aumento a causa dei
cambiamenti climatici. Per questo si ipotizzano delle piattaforme servite da ferrovie e
da canali. Luoghi di nuova relazione con lo
spazio fluviale che diventeranno di riqualificazione per i fabbricati fluviali. La porosità è allo stesso tempo misura della per72 DESIGN +
centuale di spazi aperti in relazione agli
spazi costruiti. La regione ha delle aree
coltivate così la città porosa ridisegnerà la
relazione tra spazio edificato e aperto.
Considerando le strategie di demolizione e
ricostruzione come non efficienti dal punto
di vista energetico, secondo Studio09 la
metropoli del dopo-Kyoto deve puntare a
una nuova interpretazione della città esistente. Quello della città porosa è un progetto di spazio isotropico, accessibile e
permeabile. Una maggiore fluidità è conferita alla rete TGV e una maggiore estensione alla rete RER e ai treni regionali,
mentre si suggerisce un grande investimento in una rete tramviaria da est a
ovest per i collegamenti in questo senso.
8. PROGETTARE UNA “PARIS PLUS”
“Paris Plus” significa di più: più
ambizione, più ottimismo, più densità, più efficienza, più ecologia e
più compattezza. Secondo gli architetti e urbanisti di MVRDV la
grande Parigi ha bisogno di una
combinazione forte di responsabilità e di ambizione per continuare il
proprio sviluppo, restare coerente
e sviluppare una coesione che sia
la base di un’impresa collettiva
volta a fare di Parigi una città
esemplare. Il programma spaziale
della città propone una serie di 17
interventi a larga scala che si basano sull’analisi del tessuto della
città, dei bisogni programmatici futuri e delle possibilità spaziali. Tra
le proposte, l’ambizione di rendere Parigi più accessibile attraverso
la creazione di una grande stazione centrale a Les Halles, di una
densificazione sotterranea del
Boulevard Périphérique, dell’aggiunta di una linea metro e di due
superstrade, della creazione di un
nuovo Grand Axe’s e di una serie
di infrastrutture sotterranee lungo
la Senna. Lo spazio liberato dallo
spostamento sotterraneo delle infrastrutture verrà utilizzato per un
programma abitativo in spazi verdi
e vivibili. Altre parti della visione di
questo gruppo riguardano gli investimenti nei trasporti, nella natura,
nell’educazione, nella coesione
sociale e nell’energia rinnovabile.
L’insieme di tutti i progetti è volta
a evitare l’espansione caotica e a
trasformare radicalmente la città
in una delle città più dense, compatte e quindi sostenibili tra le migliori europee: “Paris Plus petit”.
Il progetto prevede l’utilizzo del
City Calculator©, la versione
demo di un potenziale software e
strumento web che registra e
quantifica il comportamento e la
performance di una città, collega
parametri quantitativi e qualitativi,
permettendo di confrontare i risultati con quelli delle altre città. I
dati prodotti potranno essere così
utilizzati come uno strumento di
pianificazione sostenibile fornendo una panoramica della ricerca
dettagliata sul funzionamento e
sulla performance della città. Il
progetto prevede anche “le osservazioni”, una serie di articoli sui
fondamenti, sulla storia e sui problemi della città.
In alto: rappresentazione
ideogrammatica dei
bisogni futuri del vario
tessuto cittadino di
Parigi. In basso:
prefigurazione su larga
scala degli interventi
previsti per una nuova
Parigi densa, compatta e
sostenibile. Lo spazio
oggi destinato alle
infrastrutture sarà
sostituito con spazi
immersi nel verde
DESIGN + 73
Progetto / 3
9. VENTI CITTÀ SOSTENIBILI
Governance, trasporti, habitat e clima
sono i quattro temi su cui l’Equipe
Groupe Descartes suggerisce una
strategia. Venti città: affinché la Grand
Paris sia il mezzo per creare una metropoli, la proposta è che si costruiscano una
ventina di città che insieme comporranno
l’area metropolitana. Venti città sostenibili
con 500mila abitanti che avranno molti
aspetti complementari tra il metropolitano
e l’impostazione locale.
Abitazioni adatte all’attuale modo
di vivere: frenare la tendenza di allontanare gli abitanti. Si propone di ridurre i costi delle proprietà fondiarie così da far mutare gran parte degli espropri cosìddetti
intoccabili, e incoraggiare così la densità.
1/2ora al giorno per gli spostamenti: ridurre il tempo e i costi degli spostamenti. Ridurre l’inquinamento e il con-
sumo energetico e le distanze. Si sa che
la distanza domicilio/lavoro è la causa
principale della segregazione sociale.
-2°C: con il Meteò France si è giunti all’ipotesi della rigenerazione totale delle foreste e dei corsi d’acqua. Un’operazione
costosa ma semplice che contribuirà a ridefinire il paesaggio. La natura sarà una
frangia della città e fornirà la materia prima per la città sostenibile.
10. IL FUTURO IN 10 PUNTI
Il progetto dell’Equipe Rogers Stirk Harbour + Partners si articola in dieci punti programmatici: 1. Ristrutturare l'autorità metropolitana in Ile-de-France; 2. Costruire Parigi su Parigi “la città compatta” obiettivo contemporaneo.
3. Completare la rete di trasporti metropolitani. Promuovere
una rete tangenziale che colleghi i poli e la “Première Couronne” e un nuovo collegamento TGV verso ovest. 4. Creare
una Parigi metropolitana policentrica all'interno della “Proche
Couronne”. 5. Creare comunità bilanciate: un piano di azione sociale con interventi e investimenti orientati alle zone
svantaggiate della città. 6. Riequilibrare l’economia regionale con la distribuzione di nuove tecnologie verdi e occupazione nella regione. 7. Superare le barriere fisiche della città:
quelle occupate dalle ferrovie devono essere cancellate e
trasformate per produrre un tessuto urbano permeabile.
8. Creare una rete per gli spazi aperti per limitare l’espansione della città, una rete di corridoi ecologici che colleghino gli
spazi naturali della regione con il cuore della città. 9. Ridurre
l’impronta della Parigi metropolitana sull’ambiente: un nuovo
approccio metabolico per ridurre, riutilizzare e riciclare risorse. 10. Investire in design di alta qualità. Spazi pubblici ben
concepiti e ben mantenuti devono essere al centro dei diversi quartieri. Saranno le basi per un’integrazione sociale.
74 DESIGN +
A sinistra: la situazione attuale del punto di confluenza tra la Senna e la Marne. In alto: previsione di progetto nel punto di confluenza dei due fiumi. In basso
a sinistra: condizione dei corsi d’acqua della regione parigina. In basso a destra: rappresentazione di come potrebbe cambiare seguendo il progetto
Nella pagina a fianco: le Strutture Metropolitane. Nuovi trasporti rinforzati e potenziati per preparare
Parigi metropoli ad essere sobria nell’uso delle risorse. A sinistra: nuovo asse nord. Esempio di una delle
strutture metropolitane proposte. Un nuovo parco polivalente di circa 7 km che integra i nuovi spazi
pubblici. In basso: immagine prospettica degli spazi aperti che sono stati previsti nella futura metropoli
DESIGN + 75
Lo spazio è libero
Linea Lux
L’esclusivo sistema
di chiusura totale filo muro
Sistema protetto da duplice brevetto:
Tipologia costruttiva - Design
Per dare forma alle
esigenze dei progettisti
nasce la prima finestra
complanare raso-muro.
La finestra può
diventare così parte
integrante delle
progettazioni moderne
che vogliono linearità
e complanarità come
tema fondamentale
del percorso estetico.
Linea Lux sarà uno dei
prodotti proposti da
luglio 2009 in un nuovo
spazio di ambientazioni
esclusive,
HD_HOME DESIGN
SEBA
Via Stalingrado, 19/a b - Bologna
Tel. 051.356349 - Fax 051.357612
box@sebainfissi.it
HOME DESIGN
sarà il luogo dove le
idee dei progettisti
troveranno forma,
spazio e supporto
tecnico lungo tutto
il processo creativo
e realizzativo; sarà
il luogo dove alcune
fra le aziende più
rappresentative a livello
nazionale ed
internazionale avranno
spazio per dialogare con
il mondo dei progettisti.
Per informazioni
328.2853896
AN
T E P R I M A
IL POTERE EMOZIONALE DEI ROBOT
I
robot sono dappertutto. Il tema è d'attualità per la
massiccia presenza nel mondo dei media e nell'industria cinematografica. Tuttavia, le nostre conoscenze
ed idee intorno ai robot sembrano essere modellate sulla
fantascienza. Da un lato, la mostra esamina il rapporto
esistente oggi fra la realtà ed il romanzo e, dall’altro, si
interessa dell’effetto emozionale che provocano i robot,
generato dalle caratteristiche della forma e delle possibilità funzionali. In esposizione c’è tutto ciò che si deve
sapere sui robot: a che cosa assomigliano, dove sono
usati e che cosa dovrebbero potere compiere in avvenire. Molti degli oggetti sono interattivi e sono presentati mentre si muovono, fin dall’ingresso il visitatore è
accolto da un robot.
ZURIGO
Robot – From Motion to Emotion
Museo del Design (fino al 4 ottobre 2009)
DESIGN + 79
A
FIERE
TENDE E TECNICA RIMINI
Î
Il mercato della protezione solare ha identificato
nello scenario internazionale di T&T una grande
occasione di business, un palcoscenico in grado
di riassumere e valorizzare tutte le potenzialità
del settore ed esaltare l’intero processo
produttivo, dalla progettazione alla realizzazione.
La fiera offre una rappresentatività espositiva di
grande livello, dal sicuro appeal verso il pubblico
qualificato perché è un’agorà in cui esibirsi, dove
incontrare vecchi e nuovi clienti, dove far
crescere la cultura del prodotto, del progetto, del
confronto, dell’innovazione. In questa compagine
ci saranno molte novità da scoprire; grazie alla
cadenza biennale, la fiera consente un intervallo
di tempo ottimale per la messa a punto di
prodotti che segneranno l’evoluzione del
comparto, oggi investito dall’imperativo del
risparmio energetico. La manifestazione in sole 4
edizioni ha più che raddoppiato i propri numeri
raggiungendo il secondo posto a livello mondiale
tra le fiere del settore. Dal 2001 (prima edizione)
al 2007, i padiglioni occupati sono passati da 2 a
4 + 2 hall, e la superficie espositiva è giunta a
occupare 26.000 mq, dagli iniziali 11.000 (+
30% ogni edizione). Gli espositori da 100 sono
passati a 250, mentre i visitatori (2007) sono
stati oltre 9.000, il 10% dei quali stranieri. Per
un Paese come l’Italia che importa l’80% del
fabbisogno energetico, la più efficace fonte di
energia rinnovabile a disposizione di tutti, subito,
è il risparmio energetico. Partendo da queste
TecnicInfinity di Pratic. Una
pergola dal design classico e
lineare, progettata per essere
flessibile anche nelle misure
e coprire ampie metrature
considerazioni, il tema centrale della 5a edizione
di T&T sarà l’integrazione tra sistemi,
tecnologie, progettazione, normative e processi.
L’integrazione tra i sistemi di protezione gioca
infatti un ruolo primario nella qualificazione
energetica degli edifici e, di conseguenza, del
risparmio energetico. Le schermature solari,
intese come qualsiasi dispositivo che esclude la luce
solare da una costruzione, come ad es. un tendaggio
o una tenda da sole (www.es-so.com), grazie alla
loro resistenza termica, controllano la quantità
di calore e di luce immessa in una costruzione.
In questo modo partecipano alla riduzione del
consumo energetico per il riscaldamento, il
raffrescamento e l’illuminazione di un edificio,
che in Europa corrisponde al 40% dell’energia
primaria utilizzata e che si traduce in una
notevole riduzione di immissione di CO2
nell’aria. In inverno le schermature interne e le
persiane permettono una riduzione fattibile di
CO2 emessa pari a 31 Mtla grazie alla riduzione
di fabbisogno energetico per il riscaldamento. In
estate, tende e persiane permettono una
riduzione fattibile di CO2 pari a 80 Mtla grazie
alla riduzione di fabbisogno energetico per il
condizionamento. Il mercato della protezione
solare riconosce ancora una volta nella Biennale
Internazionale T&T la grande manifestazione di
riferimento. Non a caso, la European Solar
Shading Organization ha confermato la
partecipazione dell’organizzazione a T&T 2009.
T&T – TENDE
E TECNICA
Biennale Internazionale
di Prodotti e Soluzioni
per la Protezione,
l’Oscuramento,
il Risparmio Energetico,
la Sicurezza,
l’Arredamento / Rimini
7 - 10 ottobre 2009
Tempoteststar, di Parà. Un nuovo tessuto realizzato
con una innovativa fibra 100% poliestere tinta in
massa ad alta tenacità, addizionata con UV Absorbers
SUN RIMINI
Î
SUN, il Salone Internazionale dell’Esterno,
giunto alla 27a edizione, è l’unica manifestazione
fieristica B2B esclusivamente dedicata alla
progettazione e all’arredamento dell’outdoor a
360°. Piattaforma di business privilegiata e
osservatorio unico e autorevole per l’intero settore
dell’arredo per esterni, si sviluppa in 12 padiglioni
(90.000 mq) nella cornice di RiminiFiera. Nei 5
comparti espositivi, Out_Style, Sea_Style,
Sunaquae, Urban_Style e Giosun, il Salone
espone il meglio dell’intera filiera delle tecnologie,
delle soluzioni e del corredo da esterni, dal
complemento più semplice all’arredo di più alto
profilo. Innovazione, estro e creatività saranno il
fil rouge del Salone. I padiglioni saranno ritmati
da un importante novero di atmosfere, emozioni,
mostre, dibattiti e ambientazioni che si
snoderanno secondo percorsi originalissimi e di
grande impatto, accanto a spazi, laboratori e
concorsi internazionali: SUN come agorà, luogo,
palcoscenico, SUN come un grande cerchio che
tutto include e tutto filtra, trasforma, incuba,
rielabora, ripropone, ristilizza. SUN 2009 prevede
già una lunga trama di protagonisti,
collaborazioni ed eventi che guideranno il
pubblico in un parterre eccezionale a cui
prenderanno parte nomi del gotha planetario dei
produttori, archistar, università e giovani talenti. I
grandi temi del SUN 2009 saranno:
Illuminazione sostenibile, Outdoor Contract,
Urban Style&Design, SUN.Lab, Design VS
degrado, Palladio… con brio, Outdoor
Experience Design. 1.300 mq posti all’ingresso
principale del Salone saranno dedicati all’Outdoor
Contract, scanditi da prodotti innovativi in grado
di sopravvivere alle mode e proposti da aziende
protagoniste della rivoluzione estetica del III
millennio. Il SUN.Lab torna dopo l’esperienza
esaltante del 2008. Il concorso-laboratorio di
SUN dedicato ai giovani talenti della
progettazione (under 35) di tutto il mondo
presenterà una serie di novità, una grande vetrina
di prodotti non prodotti, di prototipi funzionanti,
testati e realizzati con gli stessi materiali e le
tecnologie previste in fase progettuale. Una
creatività imposta dai giovani alle aziende.
SUN Salone
Internazionale
dell’Esterno / Rimini
8 - 10 ottobre 2009
SWA di Setsu e Shinobu
Ito. La poltrona è una
cellula individuale per il
relax del singolo
individuo. Pensata con
dimensioni minime per
ottenere il massimo
comfort e il raccoglimento
necessario per rilassarsi
Anneau di Monica Graffeo
Un gioco di anelli: un
anello tiene insieme altri
due anelli dando forma
alla seduta e allo schienale
di una chaise longue, in
intreccio di filo tecnico
Nest di Aksu e
Suardi per De
Padova. La poltrona
è un guscio rigido,
dalla forma
circolare e dalle
dimensioni
generose, che
sostiene, protegge,
raccoglie e accoglie
DESIGN + 81
A
FIERE
DESIGN FESTIVAL LONDRA
Î
Il London Design Festival quest’anno si terrà per la prima
volta al V&A Museum, uno dei più importanti musei del
mondo dedicati ad arte e design. Al centro del Festival
sarà allestita a Trafalgar Square un’enorme scacchiera
interattiva che inviterà il pubblico a partecipare ad una
gigantesca partita a scacchi: in pratica un’interpretazione,
in chiave design, della battaglia di Trafalgar. Il Festival
prevede una grande varietà di più di 200 eventi collaterali
che interesseranno tutta Londra: esibizioni internazionali,
eventi commerciali, installazioni, incontri e seminari e
tanto altro. Tutto ciò a dimostrazione di come Londra sia
realmente il cuore del design mondiale. Ben Evans, il
direttore del London Design Festival, ha dichiarato che
spera che, in questo 2009 non facile per il mondo del
design, “il Festival sarà veramente l’espressione del meglio
che il design internazionale può offrire”. Tra i pezzi forti
del Festival c’è il Wallpaper Chair Arch, un’installazione
all’aperto che ripropone la migliore tradizione Vittoriana,
in onore della storia dell’industria creativa in Gran
Bretagna. Interessante anche la speciale installazione
realizzata all’entrata del V&A Museum, commissionata
da Arts Co e fatta con rifiuti reciclati. Da non perdere
anche una mostra di poster curata da Domenic Lippa,
che presenta il lavoro di 25 designer grafici.
THE LONDON DESIGN FESTIVAL
Londra 19 - 27 settembre 2009
Fragile Future,
2006-9 di
Lonneke Gordijn
and Ralph
Nauta, per la
mostra In Praise
of Shadows
People will always need plates (le
persone avranno sempre bisogno
di piatti). Soggetto disegnato:
miniera di carbone, per la mostra
Britain Can (still) Make It
La gigantesca scacchiera del designer
spagnolo Jaime Hayón, fatta con 32 scacchi di
ceramica alti più di due metri. L’installazione
sarà al centro di Trafalgar Square
82 DESIGN +
CERSAIE BOLOGNA
Î
Il Salone Internazionale della Ceramica per
l’Architettura e dell’Arredo bagno, il Cersaie, che
quest’anno si terrà dal 29 settembre al 3 ottobre a
Bologna, si rinnova ogni anno come appuntamento
irrinunciabile per tutti gli operatori del settore che
desiderino conoscere o presentare nuove soluzioni
estetiche e tecnologiche e che vogliano incontrarsi
e confrontarsi sulle tendenze emergenti nel design e
nell’architettura. Le due sezioni espositive Ceramica
ed Arredo bagno rappresentano i punti cardine del
Cersaie, attorno ai quali ruotano una serie di
iniziative volte alla sperimentazione e alla ricerca di
soluzioni innovative sia dal punto di vista estetico
sia dal punto di vista qualitativo. La Ceramica,
prodotto versatile e resistente, si consolida come
materiale funzionale, perfettamente adattabile a
tutti gli stili, dal moderno al classico, dall’etnico al
rustico, grazie ad una varietà di proposte che
spaziano dalle pietre naturali al gres porcellanato,
ricreando la preziosità di materiali come il marmo
e il legno ed utilizzando inserti, decori, mosaici. Al
Cersaie la sezione Ceramica propone idee di utilizzo,
per grandi e piccoli spazi, ripercorrendo usi consueti
e suggerendo ogni anno nuove opportunità
d’impiego. Luogo di benessere e relax, il Bagno a
Cersaie è concepito come spazio accuratamente
Atmosfere 01, Colacril. Gli elementi che compongono il progetto
giocano su forme geometriche elementari alleggerite da angoli
dolci e da profili sottili. Designer: Romano Adolini
CERSAIE Salone
Internazionale della
Ceramica per
l'Architettura
e l'Arredobagno.
Bologna - 29 settembre 3 ottobre 2009
Fornasettiana,
Ceramica Bardelli.
Piastrella in
bicottura 20x20 cm,
decalcomania.
Designer: Piero
Fornasetti
progettato ed arredato. Rubinetterie, vasche
idromassaggio, cabine doccia, materiali da
rivestimento, arredi sono tutti gli elementi proposti
da Cersaie per trasformare, personalizzare e rendere
funzionale la stanza da bagno senza tralasciare
qualità del prodotto ed armonia degli spazi. Gli
espositori presenti in fiera saranno 1074, disposti su
176.000 mq di esposizione, e rappresenteranno 34
nazioni diverse. Ecco i settori espositivi: Piastrelle di
ceramica; Apparecchiature igienico-sanitarie;
Arredamenti per ambiente bagno; Arredoceramica e
Caminetti; Materie prime, attrezzature per prodotti
ceramici; Attrezzature e materiali per la posa e
l'esposizione di prodotti ceramici; Attività di servizi.
L'architetto Renzo Piano sarà il protagonista della
Giornata dell'Architettura, l'appuntamento che da
alcuni anni caratterizza il Salone Internazionale della
Ceramica per l'Architettura e dell'Arredobagno.
Giovedì 1° ottobre, presso il Palazzo dei Congressi
di Bologna, Renzo Piano terrà una Lectio Magistralis
dal titolo “Fare Architettura”: l'evento avrà inizio
alle ore 11.00 e sarà preceduto da una conferenza
stampa prevista per le ore 10.00.
DESIGN + 83
A
FIERE
SAIE BOLOGNA
Î
Il SAIE è, ormai da parecchi anni, uno dei più
importanti appuntamenti mondiali per il settore
dell’edilizia. Quest’anno si terrà dal 28 al 31
ottobre, come sempre a Bologna. È un salone
internazionale delle costruzioni dove più di 1700
aziende mostrano i loro prodotti e sistemi e si
incontrano con 180.000 operatori del settore per
discutere e confrontarsi su soluzioni, progetti,
tecnologie per costruire il futuro. Gli spazi di
SAIE sono organizzati in maniera razionale, con
percorsi e saloni tematici che permettono di
ottimizzare i tempi di visita al salone, secondo
esigenze ed interessi individuali. Tra i saloni
espositivi di SAIE ricordiamo LATERSAIE,
Salone del laterizio, SAIEBit, dedicato ai sistemi
informatici e alle società di servizi, SecurSAIE,
Salone degli utensili e dei sistemi di fissaggio,
rivolto all’antinfortunistica e alla sicurezza,
STRUTTURALEGNO, destinato alle strutture
in legno. Un ricco calendario di convegni e
seminari completa l’offerta altamente qualificata
e professionale di SAIE, che si caratterizza anche
come momento formativo professionalizzante,
oltre che occasione di approfondimento di
tematiche legate al mondo delle costruzioni,
all’interno del più ampio dibattito internazionale.
Dall’anno scorso SAIE è anche SAIENERGIA il
salone tematico dedicato alle energie rinnovabili
e alle tecnologie a basso consumo per il costruire
sostenibile. Nell’ambito di SAIE 2009,
l’efficienza energetica sarà nuovamente il “filo
conduttore” che metterà in collegamento i
prodotti, le tecnologie, i materiali e l’attività
culturale del salone. Con un approccio
innovativo, che privilegia accanto all’esposizione
anche le occasioni di dibattito, SAIENERGIA
darà un fondamentale contributo all’integrazione
fra costruzioni e fonti rinnovabili di energia
pulita, raggiungibile attraverso l’applicazione di
soluzioni, tecniche costruttive e tecnologie
impiantistiche innovative. SAIE 2009 lancia
anche il concorso SAIE Selection. Social housing
ed efficienza energetica sono, oggi, fra le priorità
per il mondo delle costruzioni. SAIE dedica a
questi ambiti un’interessante iniziativa: un
concorso internazionale dedicato alle Soluzioni
abitative sostenibili e a basso consumo energetico,
riservato a studenti e giovani progettisti.
Ambiente Passiv, Stabil Italia.
Finestra in legno-alluminio
per case passive con anta
invisibile dall’esterno, ad alto
isolamento termico POLARIS
Internazionale
dell'Industrializzazione
Edilizia / Bologna
28 - 31 ottobre 2009
Solaio, Ripabianca.
Un solaio a
struttura mista
legno-lateriziocalcestruzzo, di
grande effetto
estetico e
funzionale
Grigliato Carrabile
MODÌ, Claudioforesi
Srl. Un grigliato
double face, due
facce contrapposte
di differente
sagomatura
84 DESIGN +
SAIE Salone
ABITARE IL TEMPO VERONA
Î
Architettura, design, artigianato e industria
concorrono a realizzare un’idea dell’abitare che,
in Italia, trova alcune espressioni di eccellenza.
Anche quest’anno, dunque, queste eccellenze si
danno appuntamento a Verona, dal 17 al 21
settembre, per la ventiquattresima edizione di
“Abitare il Tempo”, dove la tradizione dialoga
con l’innovazione, il talento italiano si rende
visibile al mondo e le idee prendono forma,
dando vita ai nuovi scenari dell’abitare. L’unica
rassegna italiana in grado di riunire 18 diversi
settori merceologici, tutti riconducibili alla sfera
dell’arredamento. Una prerogativa riassunta nel
concetto di total living. Un’offerta che spazia a
360°, a cui partecipano i vari comparti che
configurano il paesaggio degli interni: mobili,
cucine, bagni, imbottiti, complementi,
accessori, arte della tavola, illuminazione,
rivestimenti, tessile d’arredamento, di gusto
classico e contemporaneo, d’alta decorazione o
di design. Il tutto diviso in 7 padiglioni dal look
rinnovato rispetto alle precedenti edizioni.
Importante novità di questa edizione è il
progetto esterno di 15.000 mq interamente
Green Architecture, progetto di
Isacco Brioschi Architecture &
Design. Il muro viene abolito e
il verde diviene una tappezzeria
vegetale di piccoli volumi
dedicato all’arredamento outdoor, a cura di
Frassinago Lab. L’area sarà riservata alle
proposte delle migliori aziende rappresentative
di questo comparto, in costante crescita negli
ultimi anni, dando vita ad un piccolo ma
organico salone nel salone. “Abitare il Tempo”
2009 presenta una serie di installazioni, di
laboratori dove sperimentare un futuro che in
molti casi è già presente, di ipotesi di show
room d’arredamento. Saranno inoltre
organizzati diversi incontri e workshop, che
vedranno la partecipazione di esperti e
rivenditori che si confronteranno sul tema della
distribuzione e sulle prospettive di sviluppo di
mercato. Come di consueto verrà consegnato il
premio “Abitare il Tempo”, che quest’anno
andrà a Gillo Dorfles, importantissimo critico
d’arte e design, nonché professore universitario.
In concomitanza con la fiera, inoltre, si svolge la
quinta edizione di “ArtVerona”, manifestazione
espositiva che ospita 170 gallerie tra le più
importanti del mondo dell’arte moderna e
contemporanea in Italia. Un connubio in grado
di generare sinergie positive tra arte e design.
ABITARE IL TEMPO
Giornate internazionali
dell’arredo / Verona
17 - 21 settembre 2009
A sinistra: progetto
vincitore del Concorso
“Abitare x 2”,
designer: Ben Zur.
A destra: Green
Home, casa
prefabbricata by
Roberto Semprini
Progetto dell’architetto Mario
Botta per la mostra “Cleto
Munari: i magnifici 7”, il tavolo
era il tema comune su cui
dovevano esprimersi i partecipanti
DESIGN + 85
A
MOSTRE
Un’importante riflessione “antologica” - che
da molti anni mancava in Italia - sulla
carriera del maestro italiano
dell’architettura e del design, Alessandro
Mendini (1931), che ha colto e sostenuto i
valori della contemporaneità: trasversalità,
versatilità, capacità di ascolto, dinamicità e
apertura alle temperature variabili del
mondo. Grazie alla presenza armoniosa di
disegni di progetti, fotografie, modelli,
schizzi febbrili e coinvolgenti, riflessioni
puntuali e oggetti veri e propri, quella che
si apre al Museo dell’Ara Pacis è una
mostra colta e solare, letteraria e
comprensibile, adatta ad un pubblico
ampio, sia di addetti ai lavori sia di
semplici curiosi e appassionati. Saranno
circa 200 le produzioni di Alessandro
Mendini esposte e prestate alla mostra da
19 prestigiose aziende italiane (Alessi,
Baleri Italia, Bisazza, Byblos Casa –
Errestudio, Cassina, Cleto Munari, Corsi
Design, De Padova, Glas Italia, Alchimia,
86 DESIGN +
Mamoli Rubinetterie, Olivari, Segno,
Slamp, Superego, Swatch, Venini, Zanotta
e Zerodisegno) oltre all’Atelier Mendini, ad
8 prestatori privati, alla Fondazione Boschi
Di Stefano, al Museo Alessi e alla
Collezione Permanente Triennale di Milano
- Design Museum che mette a disposizione
circa 300 disegni originali. Il motto di
Mendini potrebbe essere “dall’infinito
all’infinitesimo”, vista la capacità di
operare con successo in tutte le diverse
scale di progetto, da quella più piccola a
quella più estesa. Seguendo questa traccia,
le sezioni della mostra approfondiscono le
tematiche che caratterizzano la carriera di
Mendini: dal “progettare orizzonti” (le tante
architetture pubbliche e gli interventi a
scala territoriale) al “progettare stanze”
(i mobili e gli ambienti interni), dal
“progettare corpi” (gioielli e orologi, vestiti
e borse, ma anche performance e azioni
“teatrali”) al “progettare pensieri”,
attraverso la sua fervida attività teorica e
Î
Dall’infinito all’infinitesimo
critica, anche come direttore di riviste (per
esempio Domus e Modo). Uno spazio
introduttivo ospita un racconto biografico
con opere e fotografie d’epoca, per
presentare la vita e l’opera del maestro
attraverso i momenti più significativi e le
opere maggiormente caratteristiche. Il
nucleo centrale dello spazio espositivo, la
“cripta” sotto l’Ara, conterrà la sezione
teorica “progettare pensieri”, con alcuni
scritti emblematici esposti e riprodotti,
alcune “mappe mentali” e alcuni
grafici/organigrammi ingranditi
(articolatissimi e cristallini al contempo) che
diventeranno texture parietali, mentre i tanti
numeri delle riviste “storiche” del design da
lui dirette verranno esposti (tutte le
copertine) e in parte saranno consultabili.
ROMA
Alessandro Mendini
Museo dell’Ara Pacis (fino al 6 settembre)
Dedicata alle donne
Valérie Jouve, Sans titre (Les Façades), 1994 © ADAGP Paris ‘09
PARIGI
Elles@centrepompidou
Centre Pompidou (fino al 24 maggio 2010)
Edifici per il teatro
Î
Filosofia e costruire
Bert Theis è nato in Lussemburgo nel 1952.
Da oltre quindici anni vive e lavora tra
Milano e Lussemburgo. All'inizio degli anni
Novanta, insieme ad altri artisti della sua
generazione, si è affermato con lo sviluppo
di strategie operative inserite in contesti
urbani e legate a modalità relazionali. I
suoi lavori sono concepiti come progetti
simbolici, filosofici o utopici, disseminati in
spazi dove l'arte può partecipare alla vita
individuale e collettiva configurandosi
quale luogo di riflessione, forma utilizzabile
o situazione di socialità. Padiglioni,
panchine, pedane, tribune, chioschi,
container, ispirati tanto al minimalismo
quanto all'architettura spontanea, si
propongono come dispositivi aperti la cui
interpretazione e destinazione d'uso è
affidata all'iniziativa del pubblico. Un
analogo carattere d'indeterminatezza si
trova in Building Philosophy, concetto
mutuato da Réalisation de la philosophie di
Guy Debord, introdotto da Theis nella sua
esposizione alla Federico Bianchi
Contemporary Art di Lecco nel 2008 e ora
riproposto a parete all'ingresso della
Lounge. Il concetto si può tradurre come
"costruire la filosofia", azione necessaria
dovuta alla mancanza di una teoria
adeguata alla crisi culturale
contemporanea, oppure come "filosofia del
costruire", realizzazione di "piattaforme" e
altre strutture come il "laboratorio" di
sperimentazione artistica e culturale “Isola
Art Center” e l’ufficio per la trasformazione
urbana “out”, promossi e coordinati
dall'artista a partire dal 2001.
Î
Curata da Vitale Zanchettin, la mostra è
dedicata a uno dei protagonisti
dell’architettura del ‘900, Carlo Scarpa, e in
particolare alle sue esperienze come
progettista di spazi teatrali. Presenta per la
prima volta al pubblico i progetti per edifici
teatrali elaborati tra la fine degli anni 20 e il
1970 e mai realizzati. Da ognuno di questi
lavori, in cui il teatro è concepito come
sintesi vitale di altre arti (musica, prosa,
recitazione, spazio architettonico) emerge
ancora una volta l’attualità della sua opera.
Î
Î
Dal 27 maggio luci puntate su tutte le donne
del Centre Pompidou, grazie ad “Elles”, una
mostra dedicata all’arte femminile delle
collezioni del museo, dal XX secolo. È la
prima volta al mondo che un museo fa
un’operazione del genere. La mostra
ripercorre la storia dell'arte del secolo scorso
in tutte le discipline, dalla scultura al design,
dalla fotografia all'architettura, dalla pittura
alle performances, la body art, la danza.
Sono più di 200 le donne del Centre
Pompidou: artiste, fotografe, architette. Le
loro opere si possono ammirare al quarto e
al quinto piano del centro, divise in 7 sezioni
tematiche. Presenti sette italiane: Gae
Aulenti, Cini Boeri, Anna Castelli-Ferrieri,
Carlotta De Bevilacqua, Lella Vigne, Milvia
Maglione e Carla Accardi.
Sculture futuriste
La mostra è un omaggio a Giacomo Balla
in occasione della ricorrenza del
centenario del movimento Futurista. Nel
giardino della Triennale saranno riprodotte
in scala 11:1 le sculture-fiore ideate da
Balla. Questi fiori si collocano fra le più
interessanti ricerche dell’artista futurista
nell’ambito dell’arte astratta. I fiori di Balla
hanno forme non esistenti in natura, sono
dipinti con colori squillanti e vivaci e sono
pensati dall’artista come miglioramento
della “decadente” flora naturale. Come i
veri fiori hanno la funzione di arredare,
colorare, profumare un ambiente e se ne
trovano di triangolari, di conici e di sferici.
TREVISO
Carlo Scarpa. Progetti per il teatro
PRATO - Bert Theis. Building Philosophy
Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci
MILANO
Flora Futurista
Archivio di Stato (fino al 21 novembre 2009)
(fino al 28 febbraio 2010)
Triennale (fino a settembre 2009)
DESIGN + 87
A
AGENDA
TRENTO
Egitto mai visto
Castello del Buonconsiglio (fino all’8 novembre 2009)
di BERTACCINI
TAGLIAMURI
ELIMINA
UMIDITÀ
TECNOLOGIE:
TAGLIO E DEMOLIZIONI
CEMENTO ARMATO
SABBIATURA
CAROTAGGI
SMALTIMENTO AMIANTO
CERTIFICATO ANTISISMICO
VENDITA DI
MATERIALE PROFILATO
INFO:
333.6441344
0545.53051
In anteprima mondiale, a oltre cento anni dalle scoperte,
l’esposizione permetterà di ammirare oltre 800 affascinanti
ritrovamenti che fanno parte di due sorprendenti collezioni
inedite, profondamente diverse tra loro, una proveniente dal
Castello del Buonconsiglio e l’altra
dal Museo Egizio. La più ricca e
straordinaria raccolta, proveniente
dai depositi del Museo Egizio di
Torino, l’istituzione museale più
importante dopo quella del Cairo, si
deve al grande archeologo Ernesto
Schiaparelli, celebre in tutto il mondo
per la scoperta della tomba di Kha,
l’architetto del faraone Amenofi III.
ROMA
Il Sogno del Bianco e le Pietre del Passato
Villa dei Quintili (fino al 31 ottobre 2009)
Le opere monumentali dello scultore giapponese Itto Kuetani
saranno esposte in tre diverse sedi tutelate dalla Soprintendenza
Speciale per i Beni Archeologici di Roma: la Villa dei Quintili e il
Mausoleo di Cecilia Metella sulla Via
Appia, e il Museo Nazionale Romano
di Palazzo Massimo alle Terme. Itto
Kuetani è uno scultore fortemente
interessato al dialogo con l’ambiente
urbano, ma non solo. Roma - città
alla quale egli è profondamente
legato - ha contribuito in maniera
significativa alla sua maturazione
artistica. Egli stesso afferma: “In
Giappone lavoravo solo sulla
concretezza dell’opera. In Italia ho
imparato a contestualizzare la
scultura in stretto riferimento allo
spazio nel quale essa è collocata”.
ROMA
Diabolik - Eva Kant. Una vita vissuta diabolikamente
Palazzo Incontro (fino al 13 settembre 2009)
La Provincia di Roma presenta la più grande e ricca mostra che
sia mai stata dedicata al Re del Terrore, Diabolik. In realtà si
tratta di ben sei mostre diverse distribuite sui tre piani di Palazzo
Incontro e arricchite da statue, cimeli, gadget che permettono al
visitatore di ripercorrere la lunga vita di Diabolik ed Eva Kant,
conoscerne caratteristiche e segreti, curiosare dietro le quinte
della casa editrice che ne pubblica le avventure, scoprirne – o
riscoprirne – l’intramontabile fascino. A quasi cinquant’anni dalla
nascita di Diabolik,
Eva e Ginko, il primo
fumetto rivolto a un
pubblico adulto e che
racconta le storie di
un antieroe, ancora
oggi siamo tutti
interessati alle loro
avventure e coinvolti
dalle loro vicende.
AGENDA
A
LUCCA
E lucean le stelle - Museo Italiano del fumetto e dell’immagine
(fino al 31 dicembre 2009)
Un viaggio per immagini e fumetti dal macrocosmo di Galilei al
microcosmo di Einstein. La mostra rende omaggio alla scienza e
ai suoi maggiori protagonisti attraverso le storie a fumetti dei più
grandi disegnatori internazionali. Un curioso e divertente excursus
per immagini nella storia della scienza guidati da un fantasioso
personaggio, Galileo, inventato da Cavazzano. La manifestazione
vede inoltre la preziosa partecipazione della Walt Disney
Publishing, il più grande editore al mondo di libri e periodici per
bambini pubblicati in oltre 75
paesi, che farà realizzare apposta
per questo evento alcune nuove
storie dai suoi più importanti
artisti italiani. L’allestimento è
particolarmente scenografico
e interattivo, realizzato con la
collaborazione dei maestri carristi
del Carnevale di Viareggio.
ROVERETO
Italia Contemporanea. Officina San Lorenzo
MartRovereto (fino al 27 settembre 2009)
La mostra vuole approfondire il lavoro di quel gruppo di artisti
che, alla fine degli anni Settanta, lavoravano negli spazi dismessi
dell'ex pastificio Cerere, nel cuore del quartiere San Lorenzo a
Roma. Negli anni, “Officina San Lorenzo” ha finito per
identificare le ricerche artistiche di Bruno Ceccobelli, Gianni
Dessì, Giuseppe Gallo,
Nunzio, Pizzi Cannella e Marco
Tirelli. Avvicinati non da un
programma, ma da una
poetica comune, questi artisti
hanno rimesso la pittura e la
scultura al centro della pratica
artistica. Un percorso intrapreso
riabilitando i concetti di unicità
dell’opera d’arte: un’ottica
controcorrente rispetto a molte
esperienze del periodo.
LA CURA DEL SUONO
Audiosystem Italia è una casa produttrice
di altoparlanti ad alta qualità per applicazioni civili
ed industriali. Un'ampia gamma di prodotti unita
alla qualità e precisione del Made in Italy.
Audiosystem Italia riproduce per voi qualunque
tipo di segnale e lo restituisce fedelmente
senza limiti di potenza.
VENEZIA
Robert Rauschenberg: Gluts
Collezione Peggy Guggenheim (fino al 20 settembre 2009)
La mostra, a cura di Susan Davidson, rende omaggio a una delle
più grandi forze creative dell'arte americana dagli anni ’50, Robert
Rauschenberg (ottobre 1925 - maggio 2008). Con circa quaranta
lavori, l’esposizione presenta un corpus di opere in metallo, poco
conosciute dal grande pubblico, provenienti dal Rauschenberg
Estate nonché da istituzioni e collezioni private americane e non
solo. Incline al riciclo, Robert Rauschenberg è
sempre riuscito a scoprire nuovi modi di
impiegare gli scarti donando loro una
seconda vita che li rinvigorisce. E così,
davanti agli oggetti più disparati,
ammucchiati nel suo studio, impiega
il medesimo approccio diretto per
affrontare i Gluts (1986–89 e 1991–
95) assemblaggi di oggetti di recupero,
la maggior parte in metallo, che
rappresentano la sua ultima serie di sculture.
Via Verdi, 15/3 - 40065 Pianoro (BO)
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92 DESIGN +
Massimo Iosa Ghini si laurea al Politecnico di Milano. Dal 1985
partecipa alle avanguardie del design italiano, per il gruppo
Bolidismo di cui è fondatore, e fa parte del gruppo Memphis.
Negli stessi anni apre lo Studio Iosa Ghini Associati a Bologna.
La sua evoluzione professionale matura nella progettazione
di architetture e installazioni culturali e commerciali nel mondo.
Dietro al progetto
BUSSTOP
Nel 1994 Iosa Ghini partecipa
a Busstop, un’iniziativa della
municipalità di Hannover che
prevede la realizzazione di nove
fermate d’autobus, e progetta
un organismo con una propria
vita, realizzato con materiali e
tecnologie moderne ma in sintonia
con la natura: la copertura è un
guscio in vetroresina in grado
di raccogliere l’acqua piovana
e incanalarla nel sottostante setto
portante in calcestruzzo
IOSA GHINI
Massimo
La cultura architettonica in Italia. Il complicato sistema normativo. Il rapporto tra
committente e architetto. Iosa Ghini esplora il mondo della progettazione con piglio
critico e costruttivo allo stesso tempo. Ricordandoci che il risultato eccellente
possiamo ottenerlo solo grazie «all’intuizione inesplicabile» di Alessandro Marata
DESIGN + 93
M
assimo Iosa Ghini, l’architetto bolognese che nel
1985 ha partecipato alle avanguardie del design italiano, fondando, con altri giovani colleghi il movimento del Bolidismo, ha oggi un suo segno caratterizzato da una linea fluida e dinamica. I suoi
primi oggetti di design sembravano provenire dal suo mondo di
comic strips ma non come “oggetti fumetto”, bensì come concretizzazione di un suo mondo immaginario. Con il tempo però
Massimo Iosa Ghini ha spostato il suo interesse dalle illustrazioni
al design e all’architettura, ed è arrivato a sviluppare progetti per
grossi gruppi come Ferrari, Maserati, Superga, Omnitel e Alitalia. Lavori che, come la nuova Sede SEAT - Pagine Gialle di Torino, evidenziano la modernizzazione e la logica consapevole del
rapporto uomo-benessere. Oggi cura spazi espositivi e luoghi
commerciali, crea concept per catene di negozi, e a tutte le sue architetture applica l’idea dell’involucro non più visto come guscio
bensì come membrana. La sua esperienza nel campo grafico e
della creazione è sfaccettata e la sua realtà relazionale passa da
Hannover a Miami, alle conferenze in varie Università quali Milano, Roma, Barcellona, Colonia e Vienna.
Massimo Iosa Ghini, il ruolo dell’architetto può essere anche
di “educatore” del committente, del costruttore o dell’amministratore?
«C’è in circolazione un interessante saggio di John Silber, Le architetture dell’assurdo. Come il genio ha tradito un’arte al servizio
della comunità. La teoria dell’autore è che ci sono architetti che,
dotati di arti seduttive, impongono ai committenti i loro voli pindarici tridimensionali come una sorta di educazione fatua che na94 DESIGN +
sce da una irrisolta volontà di imporre una propria visione del
mondo. Altri invece sanno compendiare le esigenze della committenza e della contingenza ed è in questa mediazione che starebbe la vera capacità. Proporre con volitività o mediare, sono
questi gli asintoti della questione. Educare a un proprio credo, ad
una propria etica o raccogliere istanze e dare risposte a tono? Autore o interprete? Io credo nel progetto come a uno strumento di
qualificazione. Cos’è il progetto se non un processo di ragionamenti i cui fini sono variabili? C’è un progetto più sensibile all’aspetto economico ed è quello che anche nell’architettura fanno
gli imprenditori e c’è un progetto più attento alla divulgabilità che
ha preso molto piede negli ultimi anni. Ragionamento, procedimento, più si pensa in profondità e più la soluzione sarà giusta
ma alla fine, come ci ha insegnato il big master Sottsass, il risultato che esce dalla mischia, il guizzo sorprendente dell’eccellenza, te lo dà solo l’intuizione inesplicabile e questo il committente, il costruttore o l’amministratore deve imparare ad
accettarlo. Credo che per migliorare il contesto sia necessario
creare una cultura di mecenatismo più che di committenza, per
lo meno per quello che riguarda le grandi opere, quelle che necessitano di significato e di senso».
Lei come vede l’attuale fenomeno dello star system?
«Le Corbusier, Kahan, Aalto, Wright, Vitruvio e così pure Michelangelo, Brunelleschi e Leon Battista Alberti, erano architetti
e ne Le Vite del Vasari di star grandi e piccole ve ne sono diverse.
Oggi però si è scoperto che per fare progetti ambiziosi e sorprendenti è necessario avere a disposizione un protagonista che
possa fare, eventualmente, anche la parte del capro espiatorio.
A sinistra: due foto della Stazione
Metropolitana di Kröpcke ad
Hannover. È la principale stazione
metropolitana della città,
convergono 10 linee e si sviluppa
su una superficie di circa 12mila mq.
Sotto: unità unifamiliari di lusso che
verranno costruite a Cipro. Le
abitazioni sono caratterizzate da
linee fluide integrate nel paesaggio,
Verranno adottati vetri camera
basso-emissivi, integrazione in
copertura di panelli solari mobili,
utilizzazione di sistemi di
accumulazione idrica per il
recupero delle acque meteoriche
Qualsiasi iniziativa di rilievo deve avere un padre che faccia da link
tra il globale e il locale. Questo ruolo, in passato, è stato coperto
da figure di architetti eccezionali, manager, che hanno saputo coniugare la creatività alla capacita del fare, del realizzare le cose.
Negli ultimi anni però c’è stata una proliferazione delle occasioni
architettoniche. Alla buona architettura media si tende a sostituire
quella eccezionale che perciò rischia di essere normalizzata. E vista la dovizia di architetture speciali e particolari che si stanno realizzando nel mondo e in Europa, il rischio è che questo tipo di
architettura diventi mediocre».
La cultura architettonica in Italia sembra spesso essere resistente alle innovazioni e alle istanze della modernità. Cosa
pensa potrebbero fare gli architetti italiani per migliorare questa situazione?
«Nel nostro paese l’innovazione non è sempre considerata positiva. Spesso ci si arrocca dietro una battaglia della conservazione
per impedire ai talenti progettuali di emergere. Non ha senso pensare che ci siano progettisti interessati a modificare negativamente il patrimonio artistico esistente, che mi pare abbondantemente tutelato. Credo giusta la salvaguardia del preesistente per
evitare l’effetto Disney con la simulazione dell’antico. L’importante è che l’intervento contemporaneo sia chiaramente distinguibile dalla preesistenza e a mio parere non deve essere necessariamente allineato in termini di linguaggio. Detto questo, certi
interventi in cui si pretende di riconoscere un senso estetico a un
manufatto edilizio solo perché gli è stata data un’impostazione tecnologica, mi sembrano aberranti. Io credo anzi che i principali
guai architettonici li si crea quando non si parte dall’uso, dal-
l’uomo, ma dall’aspetto tecnologico dell’edificio, contrapponendo un determinismo tra l’utilizzo di una buona tecnologia e
il buon uso di un edificio da parte della gente. Certamente il dibattito sull’innovazione si sposta oggi sulla ecosostenibilità dell’edificio e le risposte che si possono dare non devono essere impiantistiche e basta. Va pensato l’edificio come organismo e come
tale è fatto di equilibri tra esposizione, masse passive e attive, impianti e linguaggio. Sul linguaggio che l’architettura sostenibile
sta costruendo, penso che il nostro paese potrà certamente avere
un ruolo se si saprà riproporre la lezione dei maestri, dotando le
innovazioni di un linguaggio estetico non banale, non deterministico non ancorato al vetusto principio forma-funzione che invece mi pare (forse per pigrizia) farla da padrone. Un tema straordinario che fa parte della nostra cultura è invece quello della
intersecazione dei sistemi di verde con la massa architettonica
dove il nostro paese ha una tradizione secolare e che può essere
riattualizzata».
Il quadro normativo italiano, sempre sovrabbondante e spesso
contraddittorio, può essere migliorato?
«Tutti noi sappiamo quanto sia problematica l’interpretazione
della normativa anche per via della quantità di stazioni di emissione. È troppo facile dire che il codice normativo è complicato
e farraginoso, ma credo che si debba fare uno sforzo per renderlo
praticabile in maniera sintetica. Manca uno strumento di sintesi,
di accesso facilitato che forse implicherebbe una riduzione del numero delle norme. L’altro aspetto è quello legato alla certezza dei
tempi di risposta dell’amministrazione pubblica. È vero, sono stati
fatti degli sforzi enormi, ma non bastano, ancora oggi i tempi doDESIGN + 95
vuti alla risposta amministrativa sono purtroppo variabili e questo è l’elemento più pesante perché si impedisce un’effettiva pianificazione dei tempi di gestione».
Sempre più architettura e design tendono a coincidere. Secondo lei è un problema?
«Spesso quando faccio conferenze all’estero e mostro le realizzazioni del nostro studio mi chiedono come faccio a fare due lavori
diversi. In Giappone, in Germania, nei paesi anglosassoni non esistono designer /architetti ma designer e architetti. Eppure se
guardiamo nella storia del progetto italiano ci accorgiamo che una
gran parte di loro erano architetti/designer. C’è una diversità nel
design italiano perché è un design legato al mondo della casa, dove
l’architetto propone i pezzi su misura che poi diventano prodotti
di mercato. Progettare prima una casa, un luogo di architettura e
poi metterci dentro degli oggetti prima di artigianato che poi diventano di produzione industriale è un’idea sostanzialmente italiana che, se vogliamo, deriva ancora dal mecenatismo rinascimentale. Il nostro sistema produttivo, fatto principalmente di
piccole aziende fa sì che queste siano sensibili anche alle piccole
commesse, e questo meccanismo è in grado di generare un’offerta
molto variegata e ricca di varianti nel campo del design. Consente
anche ai progettisti di lavorare col design applicato alla realizzazione ad hoc, con le metodologie del pezzo unico e su misura, che
sono tipiche della prassi progettuale architettonica. Il progetto
d’architettura diventa quindi un unicum che parte, dal come
verrà usato quell’oggetto o parte di esso, con delle attenzioni di
dettaglio che si possono esprimere solo lavorando sulle componenti ad una a una, e giunge all’assemblaggio dentro e sulla pelle
dell’organismo edilizio. Si può anche affermare che l’architettura
prossima sarà un connubio tra progettazioni ad hoc di parti che
96 DESIGN +
diventeranno, nei casi migliori (per espansione virale), oggetti industriali con tirature più o meno significative, e oggetti a tecnologia più sofisticata, prodotti come componenti standard dell’edificio. Un edificio che sarà un sistema di oggetti speciali o
seriali, a diverso stato di ingegnerizzazione in funzione di una
eventuale produzione. Infine è importante considerare che in
un’architettura del segno, come quella degli ultimi anni, anche le
dinamiche della progettazione e della semantica si affinano in
quanto si rivolgono a un fruitore consumatore degli spazi come
se si rivolgesse ad un fruitore consumatore di oggetti. Gli elementi
di valutazione delle reazioni del consumatore fruitore, o cliente,
nati dal marketing della produzione industriale si sono trasferiti
nel marketing architettonico edilizio».
La formazione tecnica e umanistica dell’architetto viene ormai unanimemente riconosciuta come una tra le più adatte
per il ruolo di knowledge worker nei tanti ambiti della cultura del terzo millennio. Pensa sia un fatto positivo o costituisce un limite all’identificazione di un ruolo preciso per l’architetto?
«Trovo che il mestiere dell’architetto sia necessariamente orizzontale. Un coordinatore delle varie specialità, certo significa
anche avere una conoscenza diretta di ciò che si manovra. È nella
natura del ruolo d’architetto e credo che il riconoscimento di questo dia un valore maggiore alla professione».
Quali sono, secondo il suo modo di vedere, i personaggi (architetti e non) più interessanti e influenti per la cultura architettonica nazionale e internazionale?
«Ogni movimento architettonico che influenza una più generale
area del progetto è stato generato da una impostazione filosofica
che ha indirizzato la progettualità del materiale. Dal post modern
Nella pagina a fianco: il People
Mover progettato per la città di
Bologna. Presenta una lunghezza
totale di circa 5mila metri.
L’architettura è progettata per essere
inserita nel contesto urbano, con
elementi che creano trasparenza
e leggerezza. In questa pagina:
due foto del New York Residence
a Budapest, progetto in corso di
realizzazione. L’intervento prevede
l’ampliamento del New York
Palace Boscolo Luxury Hotel,
la zona congressuale con un grande
auditorium, la grande galleria
commerciale e la parte residenziale
di Habermas al decostruttivismo derivante da Derrida fino alla
piega deleuziana, ciò che mi pare interessante oggi è la descrizione
di una civiltà cruda e fluida proposta da Baumann. Baumann
non propone certo soluzioni ma la sua analisi, anche alla luce
della crisi globale, mi pare la più convincente anche se certo non
facile da interpretare su una strada di positività, ed io non sono
certo per l’architettura della catastrofe. In questo senso trovo interessanti le considerazioni che fa Barry Schuler sui temi legati
all’evoluzione umana e allo studio del genoma. Nelle sue conferenze spiega come funzioniamo metabolicamente e ci consiglia
di rimanere vivi ancora venti anni perché poi cosi potremo viverne altri trecento. In Italia leggo volentieri le considerazioni di
Stefano Cascinai e di Prestinenza Puglisi. Sul piano internazionale mi associo al plauso per Mendes da Rocha, seguo Greg Lynn
e Neil Denari e l’architettura californiana che già da tempo è influenzata da una insistita normativa per la ecosostenibilità».
Quali proposte si sente di fare per avviare Bologna ad un diverso futuro?
«Mi aggiungo ai sostenitori della necessità di uno scatto. Sono
davvero tanti anni che non ci sono mutazioni sostanziali nella politica urbanistica della città di Bologna. Il mio studio ha partecipato alla progettazione della metropolitana di Hannover, dove
abbiamo progettato la stazione principale, un’opera di 20mila
metri quadrati su cui convergono 11 linee. Ma Hannover è una
città poco più grande di Bologna. Io credo sia importante portare a conclusione le infrastrutture di trasporto della città e una
metropolitana che affianchi il people mover credo sia assolutamente indispensabile. C’è poi il tema della riqualificazione delle
periferie e delle aree marginali che può essere la grande occasione
per dare qualità al tessuto urbano e quindi alla vita dei cittadini.
Il policentrismo delle funzioni nobili pubbliche è una strada ma
bisogna guardare senza pregiudizi le iniziative private e credo che
questo potrà essere fatto solo eliminando finalmente il moralismo contro la redditività imprenditoriale. Bologna è una città
che ha sempre saputo creare e per questo mi pare importante
l’impostazione di un distretto della creatività e dell’innovazione
consentendo la creazione di strutture produttive pulite legate al
terziario. Penso al mondo della comunicazione, della pubblicità,
del design e degli artigiani, nonché laboratori per l’arte, gallerie e alcune facoltà. Un modo, dunque per distribuire la qualità
di queste attività in maniera più omogenea nel tessuto urbano.
Per le aree militari poi si può ragionare nello stesso modo, integrando attività terziarie pubbliche e accoglienza, equilibrando
bene il carico sociale. Infine, migliorare il look and feel della città.
Noi reagiamo e ci comportiamo in relazione al contesto e un
buon contesto urbano, un urban landscape di qualità, genera
comportamenti collaborativi, di cura, di attenzione e di partecipazione. Il verde e l’arredo urbano vanno quindi sfruttati
come episodi di ricucitura in tutta la città. Nel centro storico bisognerà fare uno studio approfondito di riqualificazione dei portici e proporre la creazione di coperture per alcune strade nevralgiche. Nelle aree più al margine, nelle piazze, nei punti
notevoli e nelle intersezioni, con progettazioni a media e piccola
scala, è necessario attuare una politica di qualificazione che
sfrutti al massimo le risposte tecnico progettuali legate alla produzione di energia pulita, del risparmio energetico e d’innesto
di sistemi a verde automanutentivi. E, anche se è un concetto
un po’ astratto e presuntivo, credo che dovremmo fare tutti uno
sforzo verso la bellezza che, come diceva l’amato Sottsass, è la
tensione che ci salverà».
DESIGN + 97
Il Ferrari Store di Roma (foto a
sinistra) è stato realizzato da una
preesistente struttura di tre piani
collegati verticalmente, con sei vetrine
affacciate su via Tomacelli e due
laterali. Ha l’ambizione di essere non
solo un negozio, ma il punto di raccolta
della storia e dello spirito di Ferrari,
dove si estrinseca - attraverso le forme,
le finiture e i materiali - l’anima duplice
del mondo racing e del mondo lusso.
Compito non facile dare un vestito a
un’azienda come Ferrari che,
nell’immaginario collettivo, rappresenta
la quintessenza dell’italianità.
FERRARI STORE-ROMA
Situato nel cuore della città, il New
York Palace (foto a sinistra) è
certamente uno degli edifici più famosi
di Budapest. Il progetto riguarda
l'ampliamento della storica struttura di
quattro piani, letteralmente 'affiancata'
da un nuovo edificio di sette livelli per
ospitare un esclusivo albergo a cinque
stelle. Il focus dell’intervento è sul
design di interni delle aree destinate a
meeting e congressi, aree che trovano
posto sia nello storico edificio che
nell’ala nuova, per un’estensione
complessiva di circa 1900 metri
quadrati. Nel dettaglio, la progettazione
riguarda sei sale meeting, un grande
auditorium da cinquecento posti, il
lounge vip e sala colazione ristorante
dell’hotel, l’area ‘business’, e tutti i
relativi spazi/foyers. Il design viene
concepito essenzialmente attraverso un
uso sofisticato e accorto di materiali
confortevoli e performanti.
NEW YORK PALACE HOTEL
DESIGN
98 DESIGN +
1. La figura irregolare della lampada
Spore è delineata da un velo di vetro che
racchiude e protegge la luce all’interno.
2. Alo presenta linee fluide e
dinamiche. Lo sgabello può essere
collocato in qualsiasi zona della casa.
L'imbottitura è in poliuretano espanso e
il rivestimento in Pelle Frau.
3. Pluff si presenta come un mix di
morbidi poliuretani effetto piuma e ha
un telaio interno realizzato in legno,
imbottito con extramorbido poliuretano.
4. Scudi è costituito da tre elementi
formati da una piastra in acciaio dalla
forma trapezoidale curvata.
5. Equo consiste in pareti vetrate curve
che modellano gli ambienti conferendo
un senso di trasparenza e apertura.
6. Disponibile in tre misure, questo
sistema di faretti è destinato a negozi,
centri commerciali, showroom, gallerie
e anche abitazioni private.
1
Alo, prodotta da poltrona Frau
2
Lampada Spore, prodotta
da Murano Due, brand
division di FDV Group
EXEDRA NICE HOTEL, NIZZA
L’edificio che ospita l’Exedra
Nice Hotel (foto sopra) è una
maestosa costruzione ricca di
stucchi e raffinati decori di facciata.
Il concept che dà vita al progetto è
l’interpretazione in chiave
contemporanea delle linee dal
gusto Belle époque che
caratterizzano l’involucro storico di
grande ricchezza.
Il progetto della nuova sede
Seat riguarda la progettazione
dello spazio architettonico delle
aree ufficio e delle sale. Si tratta di
sei nuove palazzine di quattro piani
ciascuna, per un totale 20mila mq. Il
progetto tiene presente la
consapevolezza delle problematiche
legate al rapporto uomo-benessere
nei luoghi di lavoro, dando vita ad
un innovativo modello aziendale
unico nel suo genere.
SEDE SEAT - PAGINE GIALLE DI TORINO
3
4
6
5
Pluff, prodotto
da Domodinamica
Solar II prodotta
da Zumtobel Staff
Radiatore
modello SCUDI
prodotto da
Antrax-2004
Equo, prodotto
da MioDino
DESIGN + 99
100DESIGN +
Gae Aulenti si laurea nel 1953 e collabora dal 1955 al 1965 con
la redazione di Casabella. Dal 1956 si occupa di progettazione architettonica, interior e industrial design, scenografia teatrale. Ha
lavorato a Parigi, all'allestimento del museo d'Orsay , a Barcellona,
per il Museo d'Arte Catalana, a Venezia per la ristrutturazione di
palazzo Grassi e poi ancora a Firenze, Milano, Roma, Tokyo.
Dietro al progetto
Allestimento mostra "The
Italian Metamorphosis
1943-1968", Solomon R.
Guggenheim Museum,
New York, 1993 - 1994
AULENTI
Gae
I numerosi riconoscimenti nazionali e internazionali testimoniano l’importanza
storica di alcuni suoi progetti. Si è cimentata nel campo dell’architettura, del
design e dell’interior design. Convinta da sempre che la buona architettura non
è altro che il risultato di una stratificazione dei diversi saperi di Maurizio Costanzo
DESIGN + 101
Dietro al progetto
G
ae Aulenti, la signora dell’architettura
italiana. Un’architettura fatta di regole e
sapienza, spazi pensati e mai gratuiti.
Un’architettura che esprime forza e decisione, gerarchia e continuità, che nel
rispetto dell’esistente guarda l’edificio del passato
come un oggetto contemporaneo e usa ciò che è
storicizzato come ponte per il nuovo. Quando si
pensa alla sua architettura si pensa alla luce, allo spazio, all’eleganza del Museo d’Orsay, alla scansione ritmica che ci prende e ci accompagna attraversando
piazza Cadorna a Milano, all’eleganza scenografica de
Il mondo della luna diretto da Salvatore Accardo con
la regia di Costa Gavras al San Carlo di Napoli o alla
lettura degli spazi aperti, luminosi, puri e monocromatici del Museo National d’Art de Catalunya.
Gae Aulenti, che nel ’47 viveva e studiava nella Milano dei bombardamenti, credeva e crede ancora
oggi nella forza rinnovatrice dell’architettura («cosa
mi ha spinto ad entrare nel mondo dell’architettura?
Le distruzioni della guerra, le macerie, un senso di ribellione che ancora oggi è presente per le rovine
della striscia di Gaza o per la catastrofe dell’Aquila»).
La ribellione come categoria, come grimaldello per
sviluppare un senso storico, critico, analitico e di sintesi? Perché no. Oggi potrebbe veramente servire, vista la piatta emulazione presente in questo campo.
102 DESIGN +
Ma ovviamente non basta. Per un’architettura di
qualità serve l’intreccio di più saperi, di più consapevolezze, di stratificazioni di sensibilità. Di questo
parliamo durante il nostro incontro con Gae Aulenti.
Quando progetta una nuova architettura, quali categorie di ordine estetico ritiene debbano starci affinché lei ci si possa riconoscere?
«Rispondo con un testo che si intitola: La Trama e
l’Ordito. L’architettura nella quale mi piacerebbe riconoscermi si esprime in tre capacità. La prima capacità è quella analitica nel senso che dobbiamo saper riconoscere la continuità delle tracce urbane e
geografiche sia concettuali che fisiche, come essenze
specifiche dell’architettura, così che sia sempre possibile anteporre la logica strutturale di un edificio alla
sua apparenza. Molte volte queste tracce sono nascoste e sotterranee, e metterle in evidenza è lavoro
lungo e paziente. Occorre saper analizzare, riconoscere e quindi fondare la differenza di ogni architettura; cioè rendere specifiche le singole soluzioni mettendole sempre in relazione alle condizioni del
contesto. La seconda capacità è quella sintetica, cioè
quella di saper operare le sintesi necessarie a rendere
prioritari ed evidenti i principi dell’architettura, in
grado di contenere qualsiasi variazione e cercando di
allontanare così dal progetto quel tanto di arbitrario
che esso naturalmente possiede. La terza capacità è
Sopra: la nuova
biblioteca comunale e
centro culturale, Paderno
Dugnano, 2005 - 2009.
In alto a destra: il New
Asian Art Museum of San
Francisco 1997 - 2003.
In basso: Istituto
Italiano di Cultura,
Tokyo 1998 - 2005
quella profetica, propria degli artisti, dei poeti, degli inventori.
Se la tradizione di una cultura non è qualche cosa che si eredita passivamente, ma qualche cosa che si costruisce ogni
giorno, questa terza capacità non può che essere un’aspirazione.
Un’aspirazione a creare un effetto di continuità della cultura,
a costruire le sue forme e le sue figure, con un contenuto personale e contemporaneo».
Le esperienze che ha fatto, progettazione architettonica, ristrutturazioni, allestimenti, scenografia, interior e industrial
design, sono molte e diverse tra loro. Come cambia o si adatta ogni volta la sua forma mentis?
«Ho difficoltà a definire queste esperienze come differenti, poiché per me il processo analitico è lo stesso, si tratta cioè di definire il contesto sia fisico che concettuale alla base di ogni progetto di creazione di un’esperienza spaziale. Non è un
paradosso dire che anche un testo di prosa o un testo musicale
subiscono lo stesso processo analitico integrato con un rapporto spazio-tempo primario per il Teatro. Certo i codici
compositivi sono differenti, per il teatro lo spazio è mutevole,
mentre per l’architettura è duraturo, ma unità, gerarchia, sequenza, progressione, continuità sono analoghi».
Lei ha dichiarato che da Rogers ha ricevuto come insegnamento fondante quello di essere ancora prima che architetti degli intellettuali. Quanto questo monito è stato
importante per la sua architettura?
«Non solo Rogers, ma anche Vitruvio: “L’architetto sappia di
lettere, sia perito nel disegno, erudito nella geometria, cono-
DESIGN + 103
Dietro al progetto
sca molte, molte istorie, diligente ascoltatore di filosofi, sappia di musica, non ignori la medicina, s’intenda di sentenze
giureconsulti, non sconosca l’astrologia e le leggi del cielo”».
Del suo bagaglio culturale fatto di viaggi, letture, iconografia, teatro e musica cosa trasferisce nelle sue architetture?
«Se leggo il grande poeta Josif Brodsky che in una dichiarazione d’amore all’Italia dice che è il luogo che custodisce una
macchina filatrice, un telaio che nella profondità del tempo
imbastisce una piega del paesaggio, un verso di una poesia,
la facciata di un palazzo, tutto questo rimarrà nel titolo La
Trama e l’Ordito del mio testo sul fare architettura. L’esperienza è come un deposito di un’officina che è necessario alla
produzione anche se in maniera indiretta».
Il luogo. La storia di un luogo. La cultura. La geografia.
I materiali. Tutto quello che Christian Norberg-Schulz
chiamava Genius Loci. Come rielabora questi principi il
linguaggio internazionale nell’architettura?
«Il luogo, la sua geografia, la sua storia, la sua cultura sono
gli elementi prioritari dell’analisi del contesto necessaria al
processo del fare architettura. Sono elementi da evocare, richiamare, sottintendere in maniera indiretta e il loro significato si infiltra, ma anche si cela nell’insieme».
Lei ha curato la Gare d’Orsay a Parigi, Palazzo Grassi a
Venezia, le Ex Scuderie Papali al Quirinale di Roma, il
Castello Estense a Ferrara e altri importanti edifici in tutta Europa. Qual è la giusta logica da adottare, secondo
104 DESIGN +
lei, nel pieno rispetto dell’architettura esistente?
«Lo studio delle leggi dell’esistenza degli edifici da ristrutturare e ai quali dare nuove destinazioni d’uso è
essenziale per poter determinare il terreno di fondazione della nuova architettura. Bisogna guardare l’edificio del passato come un oggetto contemporaneo,
senza storia, agendo per scontro, per opposizione,
per azioni polimorfe e non per continuità naturalistica
o stilistica, così che la nuova architettura necessariamente contemporanea possa mostrare analiticamente
il processo di scomposizione necessaria a dar forma
agli elementi costitutivi del nuovo linguaggio».
La scenografia e la sua collaborazione con Ronconi. Il teatro e la rappresentazione. L’architettura e il
simbolismo. La platea e il luogo della visione. Come si progetta, si pensa e si sogna tutto questo?
«La collaborazione con Luca Ronconi per il Teatro di
prosa e per il Teatro lirico, e ancora, per due anni, il
Laboratorio di Progettazione Teatrale di Prato è stata
per me molto importante perché ha arricchito la consapevolezza che un sapere critico è legato alla comprensione di processi complessi sia spaziali, sia letterari e che il sapere creativo è la capacità insieme di
studio e di lavoro, per produrre nuove forme. In Teatro la funzione della scenografia è la ricerca del riconoscimento di un luogo che l’azione continuamente
contraddice: una porta in teatro può dire il fuori e il
dentro; la breccia, il confine, il passaggio; in architettura una porta ha un’anta, due ante, è di sicurezza
o è REI… Ma lo scambio è utilissimo».
Spesso in Italia i tempi di realizzazione di un progettosonolunghissimi.Quantoquestoatteggiamento
svilisce l’architettura stessa?
«Ho un esempio di “tempi lunghi” positivo che però
non è italiano: la città di Barcellona vuole il Museo
dell’Arte Catalana e lo vuole nel Palau Nacional, sono
circa 50.000 mq: enorme per una città grande come
Milano. Gli amministratori della città sono giovani,
sono quelli del dopo Franco, entusiasti e intelligenti.
Nel 1986 comincia il progetto generale e lo si divide
in fasi: nel 1992 in occasione dei giochi olimpici, sono
inaugurate le zone pubbliche e quelle delle esposizioni
temporanee, nel 1995 l’esposizione dell’arte Romanica, nel 1997 l’arte gotica, nel 2005 è stato completato il Museo con le aree destinate al Rinascimento,
al Barocco, al Romanticismo, al Novecento fino alle
Avanguardie. Sono 18 anni di lavori, di pazienza (gli
amministratori cambiano) ma anche di orgoglio per
un’architettura che ha “resistito”».
Nel 2005 ha fondato la Gae Aulenti Associati, con
sedi a Milano, Barcellona e Parigi. Qual è il legame,
il modus operandi, il livello di comunicazione che
crea con i suoi collaboratori architetti per giungere
al progetto finale?
Nella pagina a fianco:
il Museu Nacional
d'Art de Catalunya
(MNAC), 1985 - 2004.
Sopra: Ristrutturazione
del Palavela di Torino
e realizzazione dello
Stadio del ghiaccio per
le gare di pattinaggio
artistico e short-track
2002 - 2005
DESIGN + 105
Dietro al progetto
«Gae Aulenti Architetti Associati è composta dalla
sottoscritta, da Marco Buffoni che lavora qui da 27
anni, da Francesca Fenaroli che è qui da 24 anni e da
Vittoria Massa che è qui da 21 anni. Abbiamo sempre progettato assieme anche con altri architetti sia
italiani che stranieri, che in tutte le pubblicazioni di
questi anni sono sempre stati citati. La sede della Gae
Aulenti Architetti Associati è a Milano e come un
commando ci spostiamo nel mondo (ultimamente
Pechino), il livello di comunicazione è di poche parole, poiché operiamo all’interno di una pratica di natura concreta (schemi, diagrammi, disegni, esecutivi, costruzioni) con continuità e impegno».
Lei ha ricevuto il titolo di Chevalier de la Legion
d’Honneur (Parigi, 1987), quello di Membro
Onorario dell'American Institute of Architects Hon. FAIA (1990), il titolo di Cavaliere di Gran
Croce al merito della Repubblica Italiana (Roma,
1995) e altri. Riconoscimenti per una carriera
espressa sempre all’apice. Qual è la strada per essere un’archistar senza essere egocentrica?
«Ho ricevuto anche, e ci tengo molto, il Praemium
Imperiale da The Japan Art Association a Tokyo e una
Laurea Honorem alla Rhode Island School of Design,
di Providence (USA). Mi piace pensare a questi premi
come a un confronto positivo con gli altri, perché noi
siamo senza pensiero se non siamo disponibili agli
106 DESIGN +
scambi, se non siamo attenti alla ragione degli altri».
Il Musée National d’art Moderne, di cui lei stessa
ha curato la progettazione, il 3 giugno scorso ha
inaugurato la mostra “Elles” per ospitare più di
200 protagoniste della cultura dai primi del ‘900
a oggi. Tra queste 7 italiane conosciute in tutto il
mondo. Ovviamente c’è anche lei. Cosa ne pensa?
«Un momento autobiografico e definitivo, negli
anni della mia formazione, rispetto all’epidemia culturale del femminismo, fu l’International Congress
of Women Architects a Rasmar, Iran, nel 1976, che
vedeva riuniti 25 architetti, solo donne, da tutto il
mondo. Non ci fu in quel convegno nessuna ricerca
del fascino esotico, di un altro possibile pensiero, di
un’altra modalità creativa, di una possibile immaginazione femminile; vi fu invece la consapevolezza
che il sapere è costituito dai processi che lo determinano e che l’architettura è potenzialità critica che
prepara gli strumenti che serviranno a definire la specificità della disciplina. A più di trent’anni di distanza la Mostra elles@centrepompidou. Artistes femmes dans les collections du Centre Pompidou; e
scopriamo che da anni il Museo ha fatto una vera e
propria campagna d’acquisizioni comprando o partecipando alle aste, così possiede più di 200 opere
fatte da donne nei vari campi artistici. Il Pompidou
non è stato misogino».
Sopra: gli edifici
del nuovo complesso
Industriale di
Termoutilizzazione
rifiuti di Forlì
2003 - 2008
Non solo un negozio, ma un punto
d'incontro del design, un laboratorio
di ricerca nella progettazione dello
spazio. Il negozio propone mobili di
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Autore di progetti
per Caimi Brevetti,
Coop, Guzzini,
Krios, Nava,
Mandarina Duck,
e tanti altri, Giulio
Iacchetti oggi è
considerato uno
dei più importanti
designer della
scena italiana.
Nel 2001 si è
aggiudicato il
compasso d’oro
con il progetto
di “Moscardino”
di Silvia Di Persio
108 DESIGN +
P
Giulio Iacchetti
ALLE REGOLE
DISOBBEDIRE
Nuovo design
acifismo, democratizzazione della catena distributiva, emergenza idrica. E una tensione continua tra un’attitudine dubbiosa che diventa motore creativo primario e la
certezza che gli oggetti possano essere molto, molto di più che meri strumenti utili
a rispondere e a corrispondere alle sole funzioni prestabilite. Basterebbero queste poche parole per tracciare le coordinate creative di Giulio Iacchetti, industrial designer milanese
classe 1966. Il resto lo raccontano i suoi oggetti ironici, giocosi, impegnati e lucidamente funzionali che negli anni gli hanno valso numerosi riconoscimenti, uno tra tutti il Compasso d’oro
2001 vinto insieme a Matteo Ragni per la posata multiuso biodegradabile Moscardino, oggi parte
dell’esposizione permanente del MOMA di New York.
Il 29 maggio Giulio Iacchetti ha aperto il ciclo di mostre dedicato al nuovo e giovane design
italiano nello spazio del Mini&Triennale CreativeSet del Triennale Design Museum di Milano
con la sua selezione di Oggetti disobbedienti. Paradigma e cifra stilistica di questa dubbiosa non
conformità è Pinocchio, il manufatto italiano per eccellenza e quello che meglio rappresenta
la disobbedienza degli oggetti. «L’idea di Pinocchio - ci spiega Giulio Iacchetti - è tratta da una
bellissima introduzione alla mostra scritta dalla direttrice del museo Silvana Annichiarico. La
storia del burattino che prende vita e va alla ricerca di una strada autonoma rispetto al suo destino di “oggetto inanimato” è una cosa che mi appassiona molto e nella quale mi sono ritrovato perché credo che la disobbedienza a un processo ormai contestualizzato e canonico, sia il
preambolo alla creatività». È così che accanto a una produzione seriale di lampade sedie o tavoli per grandi marchi del design italiano Iacchetti porta avanti un percorso parallelo che mette
in primo piano l'oggetto e la sua natura con esiti del tutto inaspettati. Prendono forma oggetti
anomali fino al punto da rasentare l’inutilità. È il caso dei Coltelli inutili creati in reazione a un
eccesso di specializzazione degli oggetti di cui i diversi coltelli “da pesce”, “da verdura” o “da
carne” per citarne solo alcuni. «Questa iperspecializzazione - chiarisce Iacchetti - ci porta su una
strada pericolosa perché a un certo punto non si sa più cosa utilizzare. È per questa ragione che
ho creato dei coltelli inutili e chiedo alle persone che li vedranno quale funzione attribuirgli».
Un singolo esempio, quello dei Coltelli inutili, che rende già la misura di creazioni progettate
con il sorriso ludico di una visione che sa concepirsi come possibilità, come alternativa al tracciato abituale, in linea con la vena ironica dei più grandi designer italiani del passato. «I miei
oggetti diventano auto-narranti, ovvero non punto di arrivo, epifania di tutto, ma anche momento di riflessione, sempre grazie all’ironia come mezzo e non come fine. L’ironia, del resto,
non è una novità nel design italiano degli ultimi ’50 anni, basti pensare alla Seduta per visite
brevissime di Bruno Munari, riferimento imprescindibile per ogni designer, e al modo in cui
in questo oggetto l'ironia riesce a stemperare un messaggio che altrimenti rischierebbe di essere moralistico».
Nel caso degli oggetti di Giulio Iacchetti si può ben affermare che se la considerazione moralistica viene sempre filtrata dalle maglie dell’ironia e del gioco, la riflessione puntuale sulla
realtà contemporanea modella di volta in volta il valore aggiunto in termini di forma, materiale e colore. Basti pensare al design elegante dello spremiagrumi da cocktail a forma di basilica di San Pietro St. Peter's squeezer, che offre allo stesso tempo una personale visione della
richiesta dell’8 per mille alla Chiesa Cattolica. Oppure al Vespa table, un tavolino illeggibile
perché la gamba è composta da libri di Bruno Vespa. Fino ai casi più ludici e sempre politicamente impegnati come la serie di diverse figurine ritagliabili di personaggi del pacifismo e
di soldatini del nono numero della rivista Un sedicesimo, un bel richiamo alle sperimentazioni giocose di Munari. «Un momento di riflessione attraverso l’ironia aggiunge Iacchetti - perché anche se non credo che un bambino che gioca con i soldatini diventerà un guerrafondaio, penso che sia importante introdurre un dubbio
insegnandogli che si può giocare anche a costruire il corteo della pace e non solo
ad allineare soldatini». E se non bastassero questi oggetti a mostrare, nella loro disobbedienza, tutta la concretezza dell’impegno di questo giovane designer, rimane
la non conformità delle iniziative, una per tutte il progetto Design alla Coop ideato
e coordinato da Giulio Iacchetti per portare il design nelle case di tutti a prezzi sostenibili. Tra i diversi oggetti di uso comune in vendita presso i supermercati
Coop e creati dagli 11 designer italiani che hanno aderito all’iniziativa, Iacchetti
ha proposto una Molletta da bucato monomaterica in polipropilene colorato, in una
formazione di 12 mollette disposte a corolla intorno a uno stampo circolare dal
quale verranno staccate dall’utente finale. «Il progetto - spiega Iacchetti - è in qualche modo dedicato al designer Gino Colombini e alla sua volontà di portare la qualità a tutti con la plastica, il materiale che ebbe il più grande valore di democrazia.
Oggi però la democraticità del prodotto non dipende più soltanto dal materiale e
dal designer, ma soprattutto dalla rete distributiva. Per questa ragione abbiamo scelto
di agire proprio sulla catena distributiva contattando la Coop invece che le boutique o grandi nomi del settore». Anche per quanto riguarda la sostenibilità ambientale, emergenza primaria condivisa in ogni settore, Iacchetti riesce ad avere una
visione e uno sguardo alternativo che supera la realizzazione della posata multiuso
Moscardino in Mater-bi, una bioplastica ricavata dall’amido di mais completamente
biodegradabile, e ancora una volta strizza l’occhio ai grandi designer italiani del passato. «I migliori designer si sono sempre relazionati con i problemi dell’ambiente
attraverso l'aspetto della maggiore durabilità dell’oggetto. In questo senso il design
è sostenibile se progetta oggetti che mantengano inalterati i propri valori estetici e
funzionali e da sempre i prodotti italiani lo sono attraverso l’atemporalità che li caratterizza.
Un esempio è la lampada Tojo che Achille Castiglioni ha progettato negli anni ’60 e che ancora adesso è nel catalogo di Flos. Nessuna persona che dovesse possedere una lampada così
la getterebbe. In più oggi ci sono i materiali riciclabili, in qualche modo riutilizzabili. Fortunatamente oggi più che mai il mercato stesso è attento a questo tipo di prodotti».
Attento a cogliere ogni tendenza emergente, il mercato ha saputo comprendere e valorizzare
anche il potenziale creativo di questo giovane designer, facendosi trovare in modo inaspettato
su uno dei suoi percorsi disobbedienti. È il caso della vaschetta forma ghiaccio in gomma siliconica Lingotto che Iacchetti ha disegnato per Guzzini, il cui prototipo era stato precedentemente presentato in una mostra di arte e design che si inseriva tra le manifestazioni dell’Anno
internazionale dell’acqua. «In occasione di quella mostra bisognava presentare un oggetto sul
tema dell’importanza dell’acqua e pensai a dei cubetti di ghiaccio a forma di lingotto con la
scritta “oro”, un messaggio politico forte, molto diretto. Rimasi positivamente sorpreso dal fatto
che Guzzini avesse notato quest’oggetto e decidesse di realizzarlo immediatamente».
Ora che siamo convinti dell'efficacia di questa visione anticonformista rimane da capire se ci
sarà qualcosa a cui Giulio Iacchetti obbedisce. «All’archetipo dell’oggetto che in ogni mia creazione cerco sempre di raggiungere. Un esempio è Drop, il soffione per doccia in silicone a forma
di goccia. E ai limiti del progetto sul quale lavorerò. Non c’è cosa peggiore di un industriale
che mi dice “fai quello che vuoi e io te lo realizzo”. A quel punto non so proprio cosa fare».
Nella foto a sinistra: POLLICINO,
tagliere per briciole di pane,
alluminio anodizzato, coltello in
acciaio inossidabile, edizione limitata.
Sotto: ODNOM, mappamondo da
tavolo, prototipo prodotto da Palomar
Odnom. Nasce dalla lettura specchiata
della parola Mondo: una riflessione
per porre attenzione al Sud del
mondo, sottomesso e poco visibile nei
mappamondo tradizionali. In basso:
CLAY FONT, alfabeto di argilla.
In collaborazione con MUNLAB
Ecomuseo dell’Argilla di Cambiano
nell’ambito di “Eco e Narciso
DESIGN + 109
Nuovo design
PANTHEON GAME
Simbolo multireligioso da
parete, legno, Corraini
Edizioni, Mantova.
“Pantheon Game è nato quale
reazione alla polemica sulla
presenza del crocifisso nelle
aule dei tribunali e nelle
scuole. Alla negazione violenta
di un simbolo. Pantheon Game
offre la possibilità di
contenerne molti in un solo
oggetto, equiparandoli
all’interno di un gioco di
immagini in mutamento”.
VESPA TABLE
Coffee table, edizione
limitata, libri di Bruno Vespa,
pannello truciolare, cinghia in
nylon. “Piano e base sono
ricavati da vecchie ante,
mentre la gamba è costituita
da una pila di libri di Bruno
Vespa. Un materiale facile da
reperire, sempre in ottimo
stato, praticamente mai usato.
Il formato dei volumi e della
copertina rigida concorrono a
migliorare la statica del
tavolino”.
110 DESIGN +
BYE BYE FLY
Souvenir, paletta scaccia
mosche, polipropilene
stampato a iniezione, prodotto
da Pandora Design.
L’idea nasce dalla richiesta di
disegnare un souvenir non
convenzionale per Milano. “Mi
sono ispirato alle tante
zanzare e mosche che
infestano le serate estive
meneghine: così è nato il
disegno di una paletta scaccia
mosche che riproduce il
tracciato stradale di Milano”.
ST. PETER SQUEEZER
Spremiagrumi da cocktail,
ceramica, prodotto da Pandora
Design. “Una riproduzione
stilizzata e miniaturizzata di
piazza San Pietro trasforma la
cupola della basilica in
spremiagrumi e la piazza
antistante nel contenitore del
succo spremuto. Il progetto di
St. Peter Squeezer declina e
associa il termine “spremitura”
al versamento volontario
dell’8xmille a favore della
chiesa cattolica”.
LUK LUK
Sistema antifurto per biciclette,
ferro verniciato, acciaio,
fusione in alluminio. Prototipo
di Extra Vega. “Il progetto Luk
sostiene la promozione
dell’uso della bicicletta in città
razionalizzando l’uso dei
dispositivi antifurto. Il sistema
assume la forma di un
lucchetto fissato ai numerosi
pali della città: intende
liberare il ciclista dal peso di
catene e lucchetti, in senso
fisico e metaforico. Solo chiave
e serratura sono personali”.
LINGOTTO
Vaschetta formaghiaccio,
gomma siliconica, prodotto da
F.lli Guzzini. Nome del
progetto originale H2Oro,
disegnato per la mostra
“Acqua”, Opos 2003. Il progetto
nasce dall’invito a pensare
soluzioni concrete per
introdurre una maggiore
consapevolezza sull’utilizzo
dell’acqua nella vita
quotidiana. L’acqua, sotto
forma di cubetti di ghiaccio, è
equiparata all’oro”.
FLEXIBLE BENCH
Panchina - Tettoia, tubolare
d’acciaio, legno multistrato,
laminato plastico, edizione
limitata. “È un’idea di seduta
per l’arredo urbano. Tramite
la rotazione dell’elemento
sedile/schienale la panchina si
trasforma in riparo per la
notte, oppure tettoia per
proteggersi dalla calura estiva
o dalle intemperie. Un
progetto per ricordare
l’ospitalità nelle città, dedicato
a chi non ha un tetto”.
UN SEDICESIMO 9
Rivista bimestrale a cura di
Pietro Corraini, Corraini Edizioni,
Mantova, illustrazioni di Maurizio
Prina. “Guerra e pace: le pagine
della rivista sono per metà
dedicate alle immagini di
soldatini, per metà raccoglie una
serie di sagome di un ipotetico
corteo della pace. Il gioco consiste
nel ritagliare le figure lungo i
bordi piegando la linguetta posta
in prossimità dei piedi.
A bambini e adulti la libertà di
scegliere se comporre un esercito
o una festosa manifestazione
a favore della pace”
DESIGN + 111
Architettura Story
FOTOGRAFARE
L’ARCHITETTURA
Cento scatti esposti a Londra per indagare il rapporto fotografia - architettura
in Italia tra gli anni Venti e Sessanta. Nasce così un nuovo modo di fotografare
il paesaggio urbano. Influenzando la grafica delle riviste di settore di Silvia Di Persio
112 DESIGN +
A sinistra: Artist’s house and studio, Milano, Triennale (1933). Architetti: Figini & Pollini. Foto: Crimella.
A destra: Stadio Comunale Giovanni Berta, Firenze (1932). Architetti: Pier Luigi Nervi. Foto: Gino Barsotti
DESIGN + 113
A
Architettura Story
Londra obiettivi puntati sull'architettura razionalista italiana. È proprio il caso di dirlo
per la mostra Framing Modernism: Architecture and Photography in Italy
1926-1965 appena conclusasi all'Estorick
Collection of Modern Italian Art di Londra. Una mostra che ha voluto raccontare
il modernismo italiano attraverso la fotografia del paesaggio urbano tra il 1926 e il
1965. Cento immagini provenienti dalla
biblioteca del Royal Institute of British
Architects per “incorniciare”, da qui il titolo della mostra, l’espressione architettonica del modernismo in Italia.
Contrasti tonali, dinamismo, astrattismo
formale. È in quegli anni che si sviluppa e
si consolida l'alleanza tra fotografia e architettura, stimolata dalle nuove suggestioni formali del Razionalismo. La fotografia accoglie con entusiasmo le nuove
modalità, allontanandosi dalla rappresentazione del paesaggio naturale e iniziando
il suo dialogo ininterrotto con il nuovo
paesaggio urbano esaltato dal Razionalismo, fino a scatenare le lamentele di molti
critici dell’epoca secondo i quali gli edifici
venivano costruiti al solo scopo della
buona riuscita fotografica. In Italia la fotografia coglie immediatamente il cambiamento del paesaggio urbano che il Razionalismo determina e si impegna a
interpretarne le nuove forme e i nuovi
materiali. A intercettare il cambiamento
nel rapporto tra le due arti, le riviste di settore come Domus, dalle cui pagine, nel
1932, l’architetto e designer Giò Ponti
proclama la nuova realtà fotografica, riconoscendo che lo sguardo indipendente
della fotografia ha rivelato aspetti delle
cose che prima erano nascosti. O come
Casabella che sotto la direzione artistica
dell’architetto Edoardo Persico, già curatore dell’allestimento fotografico della Sala
delle Medaglie d’Oro presso la Mostra dell’aeronautica italiana del 1934, sceglie una
nuova disposizione di formato più squadrato, con bordi ridotti e spazi bianchi
disposti liberamente in base all'impatto
visivo, attribuendo per la prima volta un
ruolo centrale e non solo illustrativo del testo alla fotografia, soprattutto con il rivoluzionario utilizzo della doppia pagina
come una grande pagina orizzontale.
A partire da questo momento l’obiettivo
114 DESIGN +
inizia il suo dialogo con le linee rette, curve
e diagonali, con il metallo cromato, il cemento e il vetro dell’architettura razionalista, raccogliendo anche le suggestioni
della pittura metafisica per le prospettive e
l’atmosfera compositiva. La fotografia architettonica si fa espressiva con la scelta di
inquadratura del particolare, con i contrasti netti di luci e ombre, con le prospettive insolite e deformanti.
Gino Barsotti fotografa lo Stadio Comunale Giovanni Berta di Firenze, realizzato
da Pier Luigi Nervi nel 1932 con un’in-
1. Ugolino Golf Club, Firenze (1934).
Architetto: Gherardo Bosio. Foto: Gino
Barsotti.
2. Clubhouse for AMILA, Tremezzo, Lago
di Como (1931); Architetto: Pietro Lingeri.
3. Mostra Nazionale della Moda, Torino
(1932); Architetto: Gino Levi Montalcini.
Foto: Augusto Pedrini.
4. Mussolini Stadium, Torino (1934);
Architetto: Raffaello Fagnoni.
Foto: Gino Barsotti.
5. Breda Exhibition, 29th Trades Fair,
Milano (1951); Architetto: Luciano
Baldessari. Foto: Foto Breda.
6. Sala delle Medaglie d’Oro,
Italian Aeronautical Exposition, Milano
(1934); Architetti : Edoardo Persico and
Marcello Nizzoli.
quadratura dal basso che accentua la verticalità dinamica della figura proiettata
verso il cielo. L’immagine sottolinea la presenza metafisica dell’edificio nello spazio
circostante utilizzando anche l’elemento
umano, secondario e minuscolo rispetto
alla grandezza evocata dall'edificio in questo intento compositivo.
La stessa prospettiva dal basso viene utilizzata dal fotografo per l’immagine del
trampolino dell'Ugolino Golf Club progettato dall’architetto Gherardo Bosio. Le
ombre tagliano lo spazio geometrico disegnato da linee decise e da piani sovrapposti. Un'immagine dolente e silenziosa che
racconta delle abitudini dell'epoca durante
il periodo estivo ma la cui protagonista
indiscussa è la plasticità scultorea del cemento. A conferma dell’interesse crescente
per la nuova impostazione, l’immagine
viene scelta per la copertina di Architettura, la rivista del Sindacato Nazionale Fascista Architetti diretto da Marcello Pia-
centini nell'aprile 1935. Un’atmosfera onirica aleggia invece nella fotografia anonima del 1931 della sede AMILA a Tremezzo realizzata dall’architetto Pietro
Lingeri. L’inquadratura angolare esalta il
dinamismo della forma navale della costruzione che sembra così quasi muoversi
nelle nebbie.
Parallelamente a questa nuova impostazione rappresentativa prosegue la fotografia di impostazione classica prevalentemente indirizzata alla realizzazione di
fotografie-souvenir per turisti, immagini di
supporto per insegnanti di storia dell'arte
e immagini esemplari per architetti. Gli
edifici, secondo le linee guida di Alinari, la
ditta più importante di questo settore fotografico, vengono fotografati da una prospettiva a due o a un punto, isolati dall'ambiente circostante quasi fossero opere
d'arte individuali, privi di effetti di luci e
ombre in favore di toni generalmente neutri per non far emergere nessun dettaglio in
particolare e ottenere un aspetto di omogeneità e oggettività documentaristica. Ne
è un esempio la fotografia della stazione di
Santa Maria Novella a Firenze realizzata
dall'architetto Giovanni Michelucci e dal
Gruppo Toscano nel 1935 e fotografata nel
1936 dallo stesso Barsotti.
Ma il cambiamento è ormai in atto e, soprattutto a partire dal dopoguerra, le
nuove potenzialità espressive del razionalismo italiano richiamano l’attenzione dei
principali architetti e fotografi stranieri
come testimonia il volume fotografico
The Italian townscape pubblicato nel 1963
da Ivor de Wolfe. La sperimentazione sull’immagine architettonica è ancora al centro ma lo sguardo sull’edificio tradisce ora
una critica al sistema-città e alla natura
spersonalizzante del paesaggio urbano.
Nella foto Shadows, Stazione Termini,
Rome del 1950, la proiezione delle ombre
sulla pavimentazione regolare della stazione ferroviaria rimanda in modo diretto
alla condizione umana alienata. Quest'attitudine non è che l'eco di una più ampia
metamorfosi della fotografia architettonica in atto. Una nuova sensibilità, quella
del fotogiornalismo, traspare dalla particolare attenzione all’uomo e alla sua quotidianità. E il contesto architettonico urbano appare ora affascinante, tentacolare
e ostile al tempo stesso.
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DESIGN + 115
Formazione
Luogo
d’informazione
e confronto.
Organizzazione di
seminari, convegni,
eventi. L’Urban
Center di Bologna
continua ad avere un
ruolo di primo piano
per quel che riguarda
l’aspetto comunicativo
delle trasformazioni
urbane e territoriali
di Valeria Tancredi
COMUNICARE
LA CITTÀ CHE CAMBIA
L
Formazione
’Urban Center è un servizio di cui da qualche anno si
stanno dotando i più grandi centri urbani per favorire
l’informazione, la comunicazione e la promozione
delle grandi trasformazioni che coinvolgono le città.
Comprende quindi un ambito di attività che, con qualche differenza da città a città, va dalle politiche urbanistiche tout - court
alla modalità di attuazione delle stesse e la successiva o contestuale
comunicazione ai cittadini. A Bologna, l’Urban Center - gestito
da un Comitato composto da alcuni tra gli enti e le istituzioni
maggiormente coinvolti nelle trasformazioni della città - è situato
al secondo piano della Salaborsa in piazza del Nettuno, ed è allestito in maniera da rendere intuitiva e immediata la sua fruizione: oltre agli spazi per le mostre temporanee e gli uffici, ospita
un’esposizione permanente che descrive l’evoluzione della città attraverso mappe, disegni, fotografie, testi, modelli in scala, postazioni interattive e animazioni tridimensionali. Si propone come
sede di confronto e di approfondimento sui progetti di sviluppo
e organizza seminari, convegni ed eventi, ospita esposizioni a
tema, collabora con i principali enti, associazioni e operatori attivi nel territorio comunale.
«L’Urban Center di Bologna ha tra i suoi principali obiettivi la
promozione del confronto pubblico in merito alle trasformazioni
urbane e territoriali», spiega Francesco Evangelisti, coordinatore
della commissione tecnica. «È pensato come un luogo di informazione e di dialogo sulla città e sul territorio. Prende parte attivamente ad alcuni laboratori di urbanistica partecipata organizzati dal Comune di Bologna, fornendo un supporto
nell’organizzazione delle attività e nella loro comunicazione».
Gli strumenti urbanistici classici non sono facilmente “leggibili”
dai cittadini perché, rivolgendosi agli addetti ai lavori, utilizzano
un linguaggio tecnico e specialistico. Qui entra in gioco l’Urban
Center che da qualche tempo cerca di coinvolgere i cittadini anche durante il processo di approvazione di un piano, e non solo
durante la sua realizzazione, quando tutto è già stato deciso. «Di
solito, la concretizzazione di un progetto avviene molti anni
dopo la sua approvazione», chiarisce Evangelisti. «È opportuno
coinvolgere il cittadino in ogni fase cruciale. Le osservazioni di chi
utilizza gli spazi pubblici in prima persona possono essere molto
utili per ideare progetti che vadano incontro alle esigenze degli
abitanti. L’Urban Center tra i suoi compiti non ha quello di proporre piani e progetti urbanistici, ma funge da supporto per
tutte le fasi che conducono alla realizzazione finale».
Bologna è una città dove tradizionalmente i cittadini intervengono attivamente nella “cosa pubblica” e questo avviene ancora
più frequentemente quando si tratta di urbanistica. «Non tutti i
progetti possono essere discussi nello stesso modo. Ci sono progetti che nessuno approverebbe mai, ma di cui una città ha bisogno, penso ad esempio al trasporto pubblico. I cittadini bolognesi non sempre sono d’accordo con le proposte presentate in
campo urbanistico. Spesso si creano situazioni di malessere e rifiuto. Esistono però casi in cui un piano viene modificato in seguito agli interventi e al confronto con la cittadinanza. È quel che
è successo per l’area dell’ex mercato ortofrutticolo, alla Bolognina,
dove i cittadini hanno suggerito, tra le altre cose, di creare un vasto parco al posto del verde pubblico frammentato, come previsto inizialmente. Hanno chiesto inoltre di spostare alcuni edifici
che facevano da barriera verso il resto del quartiere».
Un altro caso che ha visto i cittadini protagonisti è “Bella Fuori”:
Una delle sale espositive dell’Urban Center. Dal 24 giugno 2008 ha aperto la nuova sede presso Salaborsa, integrandosi nei nuovi spazi della Biblioteca
A sinistra: l’interno della Salaborsa visto dall’alto. A destra: uno dei tanti plastici esposti all’Urban Center. Oltre all’esposizione di mostre, l’Urban Center
promuove la discussione collettiva e la progettazione condivisa del futuro di Bologna e delle sue trasformazioni territoriali attraverso incontri e dibattiti
un programma di riqualificazione urbana, promosso e finanziato
dalla Fondazione del Monte, per riprogettare alcuni spazi pubblici
al centro di aree periferiche, che ha interessato finora i quartieri
San Donato e Corticella.
Questi e altri progetti fanno parte di “Come Cambia Bologna”
(www.comune.bologna.it/comecambiabologna/index), la campagna di informazione promossa dal Comune che illustra le
principali trasformazioni territoriali attuate, promosse, coordinate
o autorizzate dall'Amministrazione Comunale dal luglio 2004. I
progetti possono essere consultati sia presso l’Urban Center, che
distribuisce materiale informativo, sia nel sito internet di “Come
Cambia Bologna” dove, oltre ai progetti relativi alle trasformazioni
territoriali si può trovare la “Mappa dei servizi e opportunità per
i cittadini e le famiglie” (che comprende servizi in campo educativo e scolastico, sociale, culturale, sport e giovani, economico
e turistico, abitativo, ambiente e mobilità, comunicazione e rapporti con la cittadinanza, sicurezza urbana).
Il centro storico, invece, presenta problemi diversi: i cittadini autoctoni tendono ad abbandonarlo in favore della periferia o della
provincia, mentre aumenta la popolazione di origine straniera,
scompaiono le botteghe artigianali e si lascia molto spazio a megastore, uffici e banche. Emergono quindi
contraddizioni sempre più acute tra chi il centro storico lo abita di giorno per lavoro e studio e chi di notte lo frequenta per svago e
divertimento. Si tratta di tipologie di popolazione molto diverse e spesso in contrasto tra loro, basta pensare all’atavico
conflitto tra i giovani che tirano a far
tardi la notte alle prese con la movida e
chi giustamente desidera riposare. Su temi
come questi Urban Center ha cercato di
offrire spunti di riflessione, un contributo
culturale per ricercare nuove soluzioni, ad
esempio tramite i cicli di incontri “Città storica
contemporanea” e “Le città degli altri”, i cui esiti sono raccolti e
documentati sul sito web e nei volumi della collana “Leggere e
scrivere la città”.
Inoltre Bologna si è appena dotata di un Piano Strutturale Comunale (Psc), approvato a luglio 2008. Il piano, incentrato sull’obiettivo di aumentare l’abitabilità della città, ovvero la piacevolezza dell’abitare e la capacità di accoglienza di Bologna, prevede
un insieme articolato di interventi di trasformazione da realizzare
nei prossimi quindici-venti anni. Si tratta di riqualificare alcune
parti della città cui viene conferito un nuovo ruolo (Bolognina,
Battindarno, Rimesse, aree ferroviarie e militari) e di ampliare la
città urbanizzando aree oggi agricole (Corticella, Quarto, via
Mattei, Savena). Complessivamente il piano prevede la realizzazione di 12.000 nuovi alloggi, di cui 4000 costituiscono realizzazioni del vecchio PRG e 8000 nuove previsioni. «Urban Center non è un soggetto decisore - puntualizza Evangelisti - il
compito che si assume è quello di descrivere le scelte e gli effetti
presunti, perché i cittadini possano discuterle e contribuire a migliorarle. Nel caso del Psc Urban Center ha promosso, nel periodo
di tempo fra adozione e approvazione, la campagna “Bologna si
fa in sette” con l’intento di favorire la discussione e
raccogliere un contributo informato». Qualsiasi
cittadino, quindi, con una visita in Salaborsa
può scoprire molto sulle trasformazioni
che attendono la città. «Possiamo migliorare l’offerta», conclude Evangelisti.
«Quello che abbiamo fatto in questi
anni è una sorta di sperimentazione
raccogliendo molte idee ed esperienze.
In futuro perfezioneremo il modo in
cui la comunicazione si rivolge ai cittadini, ai quali non sempre arrivano le informazioni necessarie, appropriate e “tarate” sulla specifica fase di progettazione o
sulla realizzazione di una singola opera».
DESIGN + 119
Formazione
Una collana per segnalare
le trasformazioni urbane
Leggere e scrivere la città è la collana curata da Urban Center Bologna per Edisai per approfondire i temi legati alle trasformazioni della città contemporanea, ora raccontando un
singolo progetto, ora spaziando verso una più generale “cultura urbana”, con particolare (ma non esclusivo) riferimento
alla realtà di Bologna. Leggere e scrivere la città fornisce al
lettore strumenti di analisi e comprensione delle trasformazioni urbane, chiedendo a urbanisti, architetti e amministratori
pubblici di condividere pratiche, percorsi e progetti parlando
un linguaggio comprensibile anche ai “non addetti ai lavori”.
Volumi già pubblicati: Il Mercato: una storia di rigenerazione urbana a Bologna, a cura di Giovanni Ginocchini e
Cristina Tartari, dicembre 2007; La città storica contemporanea, a cura di Francesco Evangelisti, Piero Orlandi e Mario
Piccinini, luglio 2008; Percorsi di partecipazione. Urbanistica e confronto pubblico a Bologna 2004-2009, a cura
di Giovanni Ginocchini, aprile 2009. Volume in preparazione:
Le città degli altri. Spazio pubblico e vita urbana nelle
città dei migranti, a cura di Marco Guerzoni.
Programma delle attività tra settembre e dicembre 2009
La programmazione delle attività integra e coordina i
progetti ideati e realizzati da Urban Center Bologna e dagli
enti membri del Comitato con i progetti ideati e proposti da
altri soggetti. Il calendario è aperto all’inserimento di
nuove iniziative. Per il periodo settembre-dicembre 2009 la
programmazione è in corso di definizione. Sono previste
due mostre nello spazio Atelier: una sull’architettura
sostenibile progettata da giovani professionisti bolognesi e
una sui contratti di quartiere (in collaborazione con ACER
Bologna, con incontri di approfondimento e confronto con
altre realtà territoriali). È allo studio la seconda edizione di
“Progetti al cubo. Nuove architetture e spazi pubblici a
Bologna”, la rassegna di incontri e visite guidate a edifici,
spazi pubblici e infrastrutture appena realizzati o in corso
di progettazione in città. Proseguirà la collaborazione con
la Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bologna, per una
giornata di presentazione di studi e progetti degli studenti.
Saranno presentati i volumi Leggere il nuovo piano
urbanistico e Agenti metropolitani, nonché il quarto volume
della collana editoriale curata da UCB, Le città degli altri.
Sul fronte dei laboratori di progettazione partecipata che
agiscono sul territorio proseguiranno le attività del
Laboratorio Bolognina Est, saranno inaugurati i parchi di
Via Larga e San Donnino (progettati con gli abitanti delle
zone interessate) e si aprirà il nuovo Laboratorio
Access/SOS a Borgo Panigale.
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