n. 15 – 1 agosto - Rocca - Pro Civitate Christiana

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n. 15 – 1 agosto - Rocca - Pro Civitate Christiana
Rivista
della
Pro Civitate Christiana
Assisi
70
ANNO
periodico quindicinale
Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post.
dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46)
art. 1, comma 1, DCB Perugia
€ 2.70
15
1 agosto 2011
Africa
dalla guerra
alla governance
alimentare
l’ipoteca sulla
casa che brucia
il falso testamento
Alfano segretario
fine
del berlusconismo?
nuove energie rinnovanili
il mondo ci crede
unità sindacale
un compromesso
sensato tra dubbi
e contestazioni
lo Spirito
e le piccole cose
inserto
l’etica del convivere
TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE
ISSN 0391 – 108X
di mano in mano
se un giorno
portata da mani amiche
Rocca
è arrivata nelle tue mani…
oggi
portata dalle tue mani
Rocca
può arrivare
a farsi conoscere da altri amici
…magari con un abbonamento prova
che ne dici?
Rocca
4
6
sommario
10
11
13
14
16
19
20
23
24
27
1 agosto
2011
39
40
15
42
46
Ci scrivono i lettori
48
Anna Portoghese
Primi Piani Attualità
Giovanni Sabato
Notizie dalla scienza
50
Vignette
Il meglio della quindicina
52
Raniero La Valle
Resistenza e pace
Il falso testamento
54
Maurizio Salvi
Africa
Dalla guerra alla governance alimentare
57
Ritanna Armeni
Alfano segretario
Fine del berlusconismo?
58
Romolo Menighetti
Oltre la cronaca
Parole chiave
58
Roberta Carlini
Economia
L’ipoteca sulla casa che brucia
59
Tonio Dell’Olio
Camineiro
La pace del Sud Sudan
59
Fiorella Farinelli
Unità sindacale
Un compromesso sensato tra dubbi e contestazioni
60
Enrico Chiavacci
Etica
La morale del convivere
I peccati non confessati
Inserto
60
Oliviero Motta
Terre di vetro
La fatica di essere visti
61
62
Claudio Cagnazzo
Società
La rete e la bottiglia
Pietro Greco
Nuove energie rinnovabili
Il mondo ci crede
Stefano Cazzato
Maestri del nostro tempo
Alistair Cameron Crombie
Le vie della scienza sono infinite
63
Giuseppe Moscati
Nuova Antologia
Edgar Lee Masters
La grande ballata degli spiriti poetanti
Carlo Molari
Teologia
L’impegno di far avanzare il Concilio
Rosanna Virgili
Introduzione alla lettura della Bibbia
La gloria di Dio e la dignità dell’uomo
Lilia Sebastiani
Il concreto dello spirito
Lo Spirito e le piccole cose
Paolo Vecchi
Cinema
The Conspirator
Roberto Carusi
Teatro
In scena per passione
Renzo Salvi
Rf&Tv
Tamarreide
Mariano Apa
Arte
Bose
Ernesto Luzi
Spettacoli
Festival di Spoleto 2011
Alberto Pellegrino
Fumetti
Affari di famiglia
Giovanni Ruggeri
Siti Internet
Internet al femminile
Libri
Carlo Timio
Rocca Schede
Paesi in primo piano
Svizzera
Luigina Morsolin
Fraternità
Flash dal Togo
Numero 15 – 1 agosto 2011
70
ANNO
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ROCCA 1 AGOSTO 2011
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Città di Castello il 19/07/2011
4
ci scrivonoi lettori
quindicinale
della Pro Civitate Christiana
Energie
alternative
Ho letto le osservazioni
del sig. Nelvio Cesaroni
(Rocca n. 14) al mio articolo sulla riduzione di terra agricola (Rocca n. 12).
Sono d’accordo sulla concreta ed economica possibilità di ricavare quanta più energia dal solare.
Il problema non è tanto
di costi quanto di vincoli
paesaggistici. Nel senso
che le Sopraintendenze –
spesso giustamente – non
consentirebbero la massiccia installazione di
pannelli solari lungo le
autostrade e le linee ferroviarie. Una alternativa al
momento scarsamente
esplorata, potrebbe consistere nella installazione di
pannelli e/o celle fotovoltaiche nelle cave dismesse. In tal caso si otterrebbe la verticalizzazione dell’uso dello spazio salvando la dimensione orizzontale che spesso coincide
con terra agricola.
Cordialmente
Gli interventi
qui pubblicati
esprimono
libere opinioni
ed esperienze dei lettori.
La redazione
non si rende garante
della verità
dei fatti riportati
né fa sue
le tesi sostenute
Ugo Leone
Egregio Sig. Ugo Leone, la
ringrazio della sua risposta
alla mia lettera, cosa più
unica che rara, ma non sono
completamente d’accordo
su quanto lei scrive.
So che ci sono tratti di percorsi ferroviari e autostradali in cui l’applicazione di
pannelli solari è difficoltosa e crea un forte impatto
ambientale, ma come ben
sa le linee ferroviarie, specie l’alta velocità e le autostrade sono di norma poste
più in alto rispetto ai terreni circostanti.
In conseguenza di ciò le
scarpate poste in favore di
sole possono contenere non
una ma due, tre e forse anche quattro file di pannelli,
dal che deriva che ogni km
può sostituirne tre o quat-
CI SCRIVONO I LETTORI
Nelvio Cesaroni
Caro amico, mi creda, le
cose non stanno proprio
così. Glielo dico con buona cognizione di causa.
Io presiedo il Parco nazionale del Vesuvio e
devo fare spesso i conti
con la sovraintendenza
ai beni paesaggisti. Qualche giorno fa, dopo mesi
di attesa, siamo stati autorizzati a realizzare opere di ristrutturazione nel
giardino all’interno dell’edifico della nostra sede
(Il palazzo mediceo ad
Ottaviano). Ebbene, l’autorizzazione sarà esecutiva solo a condizione che
il previsto pannello solare venga sostituito con tegole. Dubito perciò fortemente sulla «chiusura
degli occhi» e devo dire
che spesso è bene che sia
così se si riflette ai dolorosi scempi apportati al
nostro celebrato paesaggio. Ma il problema di
fondo resta sempre quello della atavica mancanza di un Piano energetico nazionale che indichi
in modo chiaro ad investitori ed utenti in quale
direzione si prevede e propone di andare: specialmente dopo i risultati referendari.
Cordialmente
Ugo Leone
Sulla manovra
finanziaria
Due cose appaiono evidenti a ridosso dell’attuale lunga manovra finanziaria.
1. Pacifismo guerriero. Bossi e Berlusconi dicono di
non volere la guerra in Libia per risparmiare denaro. L’obiettivo sarebbe buono ma non ha senso logico-politico (umano) chiedere la fine della guerra in
Libia per fare meglio la
guerra contro persone in
cerca di futuro, schierando le navi della Nato davanti alle coste africane,
firmando un accordo con
i futuri governanti per respingere i partenti, allungando i tempi di trattenimento nei Cie a un anno e
mezzo, e poi tagliando le
spese sociali per tutti i cittadini, riducendo gli investimenti locali e mantenendo il progetto costosissimo dei cacciabombardieri F-35. Che tristezza il tragico vuoto della politica
estera italiana che coinvolge anche l’opposizione!
2. Economia di ingiustizia
e finanza nera. In un testo
recente, intitolato «Soldi
rubati», si dice che ogni
anno in Italia abbiamo 160
miliardi di evasione fiscale, 60 miliardi di corruzione e 350 miliardi di economia sommersa pari al 20%
della ricchezza nazionale.
Se aggiungiamo 500 miliardi nascosti nei paradisi fiscali esentasse, superiamo
i 1000 miliardi. Più della
metà dell’intero debito pubblico. Quante disuguaglianze gridano verso il cielo!
L’unica colpa
dei Napoletani
Giusto per fare un po’ di
chiarezza e rinfrescare la
memoria a qualcuno.
Le città del nord a cui è stato imposto il termovalorizzatore raggiungono – guarda caso – livelli di differenziata non proprio esaltanti.
Andate a vedervi cos’è il CIP6
e vi spiegherete il perché.
La responsabilità della raccolta e dello smaltimento
dei rifiuti non è dei cittadini ma di chi amministra.
In Campania – per chi non
lo sapesse o l’avesse dimenticato – dal 1994 responsabile della gestione è
il governo tramite un suo
commissario.
Affidataria dell’appalto
dello smaltimento dei rifiuti è stata la Fibe (ovvero
Impregilo più altre imprese). Nel maggio 2008 vengono arrestate 25 persone,
fra cui l’amministratore
delegato di Fibe.
Indagati, tra gli altri, ex
Commissari Straordinari
all’emergenza rifiuti e numerosi manager delle società operative.
Qualcuno ha ancora il coraggio di dire che la colpa
è dei Napoletani?! I Napoletani in tutto questo sono
parte lesa. I reati commessi ai loro danni – e ai danni
delle generazioni future –
sono di attentato alla salute pubblica e di disastro
ambientale. Ma per questo
finora nessuno ha pagato.
L’unica cosa che gli amministratori della cosa pubblica hanno saputo fare è aumentare la tassa sui rifiuti:
oltre al danno, la beffa.
Mi sbagliavo, in effetti una
colpa i Napoletani ce l’hanno: non ribellarsi e chiedere ragione del denaro pubblico (e del futuro) rubato,
come adesso stanno facendo i cittadini di Parma.
Gaspare Bisceglia
Napoli
ROCCA 1 AGOSTO 2011
tro non utilizzabili con un
risultato totale che ritengo
sia superiore o comunque
assolutamente non inferiore a quello ipotizzato e, a
mio avviso, senza alcun impatto ambientale.
Inoltre di fronte a un problema enorme come quello
di produrre energia pulita
ritengo che le Sopraintendenze debbano chiudere se
non entrambi almeno un
occhio e comunque un governo con le palle dovrebbe
imporre alle Sopraintendenze di non rompere appunto le palle.
L’importante sarebbe far
conoscere ai nostri governanti il progetto e ricevere
da loro direttamente le motivazioni per cui non è possibile attuarlo, ma questa è
pura utopia.
Un cordiale saluto.
Sergio Paronetto
Pax Christi – Italia
5
ROCCA 1 AGOSTO 2011
a cura di
Anna Portoghese
primipiani
ATTUALITÀ
6
Cina
ritornano
i vescovi
«patriottici»?
Carceri
la vita
è qui
invivibile
Da oltre mezzo secolo i cattolici cinesi (da 12 a 15 milioni)
sono divisi in ‘patriottici’ sotto il regime statale, e clandestini, fedeli al Papa di Roma.
Situazione complessa, che rivela tuttavia da una parte e
dall’altra dei vescovi, l’urgenza di un’evangelizzazione adeguata ai processi di secolarizzazione, oltre alle lacerazioni
nei rapporti col governo. Le incomprensioni circa l’atteggiamento della Santa Sede mostrano pure che un’intesa, anche parziale, tra Roma e il governo cinese, libererebbe molte energie e la Chiesa si alleggerirebbe di tanti pesi. Ci sono
stati taciti accordi, è vero, in
questi ultimi anni, relativi all’ordinazione di vescovi. Però
a novembre scorso, anche su
queste pagine, demmo notizia
dell’ordinazione del vescovo di
Chengde, Joseph Guao Jincao
senza l’avallo del Papa, avvenimento che il Vaticano qualificò come «triste episodio». In
seguito ci sono stati nuovi segnali di distensione.
A gennaio il Papa ha nominato vescovo il teologo Hon TaiFai, cinese di Hong Kong, considerato un uomo del dialogo
perché ha rapporti sia con i
cattolici ‘patriottici’, sia con la
Chiesa non ufficiale. A fine di
marzo, in Cina è stato ordinato vescovo, con l’assenso del
Papa questa volta, mons. Paolo Liang Jiansen, incaricato di
guidare la diocesi di Jiangmen
(Guangdong). Il 28 giugno a
sorpresa l’agenzia Eni News di
Ginevra ha riportato la notizia
di una quarantina di vescovi
‘patriottici’ che potrebbero essere ben presto ordinati senza
l’autorizzazione del Papa, notizia che naturalmente, se confermata, aggraverebbe di nuovo le tensioni tra Pechino e il
Vaticano.«La chiesa cinese si
trova davanti alla urgente situazione di designare vescovi
per oltre quaranta diocesi».
Così recita l’agenzia ufficiale
Xinhua.
«L’amnistia è il primo strumento contro il sovraffollamento delle carceri. Un provvedimento che mi vedrebbe
d’accordo, ma va studiato
bene». Lo ha dichiarato all’Agenzia di stampa Agi il 26
giugno monsignor Giancarlo
Maria Bregantini, arcivescovo
metropolita di CampobassoBojano che qui parlava in veste di presidente della Commissione Cei per i problemi
sociali. Raggiunto nella sua
casa di Denno, in Trentino,
dove si trovava per la morte
dell’anziana madre, monsignor Bregantini sottolineava
che «la vita nelle carceri è invivibile. Io sono stato anche
cappellano nelle carceri e so
bene che situazione c’è».
L’arcivescovo dice che si potrebbe pensare a «forme alternative», come impiegare i condannati in lavori più utili alla
realtà sociale, per il bene redentivo e non in una logica «di
semplice afflizione».
Il carcere in Italia è in crescita
esponenziale. Come riporta
l’Unità il 27 giugno, in venti
anni le presenze sono più che
raddoppiate: erano 25.804 il 31
dicembre 1990 e 67.961 alla
stessa data del 2010 (il che corrisponde a circa 90.000 ingressi nell’anno). La capienza regolamentare dei nostri istituti
è saltata e sono ben 11 le regioni che hanno superato il limite tollerabile: Campania,
Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche,
Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta
e Veneto. Altre due, inoltre, la
Lombardia e la Basilicata,
sono al limite. Tutto ciò a fronte di una pesante carenza di
organico nelle file della polizia penitenziaria. Il digiuno di
Marco Pannella e le manifestazioni di piazza dei Radicali
hanno portato visibilmente in
primo piano il problema irrisolto, che nel corso di questi
anni anche noi abbiamo denunciato, senza risposta!
Mosca
diritti umani
tradizione
e modernità
Quale rapporto tra diritti
umani e valori religiosi tradizionali? Non provengono entrambi da Dio? Un tema di
non facile soluzione soprattutto quando è affrontato in
un contesto interreligioso. A
Mosca, lo scorso 23 giugno,
una trentina di leader religiosi europei appartenenti a numerose comunità di fede e
raccolti nel Consiglio europeo
dei leader religiosi (European
Council of Religious LeadersEcrl), hanno trovato un minimo denominatore comune
basandosi sul valore della dignità umana che va rispettata sempre, indipendentemente dalle posizioni religiose o
morali.
Frutto del meeting, ospitato
dal Patriarcato della chiesa ortodossa russa, è stata la «Dichiarazione di Mosca» dal titolo «Difendere la dignità
umana attraverso i diritti
umani e i valori tradizionali».
Il Consiglio europeo dei leader religiosi nacque negli anni
’90 in concomitanza con le
guerre balcaniche dai rilevanti aspetti di conflitto tra religioni.
ATTUALITÀ
Thailandia
elezioni
in contesto
minaccioso
Milano
Angelo Scola
nuovo
arcivescovo
Francia
per vincere
la paura
musulmana
Il 3 luglio, tra le notizie preoccupanti dell’estremo oriente, giunge quella delle elezioni della Camera dei 500 Deputati in Thailandia, in un
contesto politico pesante e
minaccioso.
Negli ultimi sette anni, in
questo paese che è retto a
monarchia costituzionale,
nell’indifferenza generale,
oltre 4.600 persone sono state uccise. Un violento conflitto separatista attraversa il
sud del paese, opponendo
l’esercito governativo a insorti musulmani di etnia
malese. Il conflitto non è religioso, dicono gli insorti, ma
identitario. Alle elezioni si
sono affrontati il Partito democratico del primo ministro Abhisit Vejjajiva, 26
anni, che rappresenta gli interessi combinati del mondo
degli affari e delle forze armate reali, e Yingluk Shinawatra, sorella di Taskin, il
primo ministro rovesciato
nel 2006. La vittoria elettorale è andata a quest’ultima,
ma subito è stata contestata
dagli oppositori.
Il Papa ha nominato il 28 giugno arcivescovo Metropolita
di Milano il cardinale Angelo
Scola, finora Patriarca di Venezia, dopo aver accettato la
rinunzia del card. Dionigi Tettamanzi per raggiunti limiti di
età.
70 anni a novembre, Angelo
Scola è stato ordinato sacerdote nel 1970 e da allora ha
coperto vari incarichi, tra cui
quello di direttore dell’Istituto studi per la transizione
(Istra) di Milano e quello di
professore di Antropologia
teologica all’Università Lateranense. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale nel ’91; nel
1995 è stato nominato Rettore della Pontificia Università
Lateranense e Preside dell’Istituto «Giovanni Paolo II»
per gli studi su matrimonio e
famiglia. Dal 2002 era Patriarca di Venezia. La diocesi
di Milano è una delle più importanti e vaste del mondo:
conta 1107 parrocchie, raggruppate in 73 decanati e in
7 zone pastorali. Il numero
degli abitanti è superiore ai
5 milioni.
L’Islam è la seconda religione della Francia e tra i francesi serpeggiano atteggiamenti diversi che, legati spesso a stereotipi e pregiudizi,
ingenerano paure e sentimenti conflittuali, sino alla violenza.
Dal 3 al 10 luglio una cinquantina di laici, uomini e
donne, preti e religiosi, si
sono incontrati a riflettere
suilla mistica musulmana e
sulla storia dell’Islam in una
settimana di quasi-ritiro nell’ex seminario di Orsay. Numerosi credenti si dicono interpellati dal dinamismo dei
musulmani e piuttosto che
ignorarli o combatterli, preferiscono conoscerne più a
fondo le caratteristiche e le
speranze e poi, con acquistata competenza ed empatia,
instaurare un dialogo secondo la linea concliliare del testo «Nostra Aetate». C’è naturalmente chi – pensando
alla fede fragile di molti cristiani – non trova utile tale
dialogo. Ma tale linea non è
condivisa dai responsabili
ufficiali dell’insegnamento
cattolico.
Crotone
il grano sui terreni confiscati
ROCCA 1 AGOSTO 2011
È iniziato il 28 giugno, alla presenza del prefetto di Crotone
Vincenzo Panico, dei sindaci di Isola Capo Rizzuto Carolina
Girasole e di Cirò Mario Caruso, la trebbiatura del grano coltivato sui terreni
confiscati alla mafia. Lo scorso anno, ricorda l’Ansa, per portare a termine il lavoro, dovette intervenire direttamente il Prefetto perché nessuno voleva trebbiare il grano. Alla fine furono i volontari di Libera a raccoglierlo. Pochi giorni dopo furono incendiate le auto del responsabile dell’Ufficio tecnico, del
vicesindaco ed infine del sindaco. Oggi i volontari di Libera
sono tornati. Un raccolto, è scritto in una nota, «frutto di un
lavoro collettivo sostenuto da parte di tutte le associazioni e
gli enti che si riconoscono nell’Ats «Libera terra Crotone».
Quella di oggi, ribadisce Libera, è «una occasione per celebrare ‘una giornata per la legalità’» collegata all’utilizzo sociale e
produttivo dei beni confiscati.
7
ROCCA 1 AGOSTO 2011
a cura di
Anna Portoghese
primipiani
ATTUALITÀ
8
Sud Sudan
aiuti
alla giovane
repubblica
Assisi
la morte
di Adelaide
Vacirca
Il 9 luglio il Sud-Sudan ha
celebrato festosamente la sua
indipendenza da Karthum.
Alla vigilia, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha adottato
una risoluzione che istituisce
una Missione di assistenza
alla giovane repubblica (Minuss). L’obiettivo, sei anni
dopo l’accordo di pace globale che mise fine a ventidue
anni di guerra civile, è di «sostenere le autorità nazionali di
Juba (la nuova capitale), in
stretta consultazione con
partner internazionali, per
consolidare la pace e impedire il ritorno delle violenze».
Dovrà chiaramente assistere
le autorità locali durante la
transizione politica, prevenire i conflitti nelle zone di alto
rischio e difendere i civili. La
Minuss è dotata di 7000 militari, 900 poliziotti e di 900 civili di varie competenze. È
prevista che la durata della
Minuss sarà di un anno, ma
potrebbe prolungarsi oppure
diminuire il numero dei militari dopo l’esame della situazione.
Anche la Chiesa cattolica è
consapevole della fragilità della nuova Repubblica. L’arcivescovo di Juba Paolino Kucudu Loro, intervistato da Avvenire (9 luglio), spiega: «Le divisioni interne, le lotte tribali
sono la nostra tara storica:
anche a causa di esse la gente
del Sud è stata schiavizzata e
oppressa. Adesso il Sud Sudan
si affaccia per la prima volta
nella storia come stato-nazione unito e gran parte del merito va ai missionari, alla loro
opera di evangelizzazione e di
educazione». Il compito della
Chiesa è accompagnare questa nuova entità mediando i
conflitti.
La Santa Sede ha partecipato
con una delegazione ufficiale
alla proclamazione dell’indipendenza. È pronta a stabilire relazioni diplomatiche col
nuovo Stato.
Gli alunni e i docenti dei Corsi di Musicoterapia di Assisi
hanno voluto ricordare con
un concerto alla Cittadella
Adelaide Vacirca, la Volontaria della Pro Civitate Christiana, morta nella notte del 24
giugno. Anche noi ritroviamo
nelle loro parole «disponibilità», «sensibilità», «dolcezza», «riconoscenza», i tratti
di una figura indimenticabile. A dire la fede di Adelaide
c’è stata la voce forte e commossa di Eddie Hawkins con
lo spiritual cantato al suo funerale: «Conosco Colui a cui
ho affidato la mia vita». Sì,
Adelaide aveva scoperto la
vita come dono agli altri nel
Dio di Gesù Cristo. Allora,
giovane laureata in Matematica a Torino, con una tesi in
Geografia astronomica, aveva smesso di contare le stelle, ordinati i libri, raccolti i
lunghi capelli in una crocchia, preso il treno per Assisi.
Insieme agli studi teologici si
era impegnata nei convegni
della Cittadella, luogo della libertà e della diversità di idee,
accettando però anche il lavoro più umile dell’organizzazione. Trattava la fotocopiatrice come un altare e il fruscio
delle fatture come i fogli del
salterio.
Poi il lavoro nella Musicoterapia, questo modo nuovo di
incontrare, alleviare e curare
l’umanità sofferente, dalle applicazioni inedite anche nel
campo pedagogico preventivo
e nella riabilitazione.
Adelaide ci si era tuffata dentro con il suo sorriso che era
una delle sue caratteristiche
dominanti, sempre in procinto di spingersi più in là di
dove col cuore era già arrivata.
Siria
dialogo o
caduta
del regime?
L’11 luglio nella capitale siriana hanno preso il via gli incontri del cosiddetto «dialogo nazionale» voluto dallo
stesso capo dello Stato Assad,
come primo passo verso una
democrazia multipartitica.
Dubbi si nutrono sull’efficacia dell’iniziativa a causa dell’assenza dell’opposizione
che non si è presentata all’appuntamento perché, a dispetto del dialogo, la repressione
governativa continua. Rientrano alla spicciolata i profughi dalla Turchia, ma «il popolo vuole la caduta del regime». È questo lo slogan scandito nelle strade da centinaia, da migliaia di manifestanti ad Hama. Si sono sentiti
rafforzati dal sostegno senza
precedenti degli ambasciatori degli Stati Uniti e della
Francia, mentre il governo,
che ha condannato il gesto di
questi diplomatici, cerca una
via d’uscita contrattaccando
violentemente.
notizie
seminari
&
convegni
Per la pubblicazione in questa rubrica
occorre inviare l’annuncio un mese prima della data di realizzazione dell’iniziativa indirizzando
a: a.portoghese@
cittadella.org
Assisi (Pg). Un Progetto sperimentale di studio della lingua e cultura russa per bambini dai 7 ai 10 anni si è sviluppato dal 15 al 29 giugno alla
Cittadella. Congiuntamente
organizzato dalla Commisione
italiana per le adozioni internazionali e dal Ministero dell’istruzione di Russia, vi hanno partecipato 40 bambini e 35
coppie di genitori, 20 tutors
russi oltre a qualificati inse-
gnanti italiani. Coordinatrice
la dott.ssa M. Teresa Vinci.
Roma. La Fao, l’organismo
delle Nazioni Unite per la lotta mondiale contro la fame, ha
eletto il 26 giugno come nuovo direttore generale José Graziano da Silva, economista
brasiliano di 62 anni, già stretto collaboratore dell’ex presidente del Brasile Lula.
Johannesburg. La mappa industriale dell’Africa post colo-
niale si va ridisegnando. Il 12
giugno i capi di Stato di 26
paesi africani hanno avviato
negoziati per la creazione di
un’area di libero scambio, da
Città del Capo al Cairo. La
Grand Free Trade coinvolgerà
16 paesi con 700 milioni di abitanti e favorirà la produzione
su vasta scala, che a sua volta
contribuirà a ridurre i prezzi
dei beni industriali.
(da: The East African).
13-15 agosto. Ottiglio Monfalcone (Al). Giornate di riflessione e preghiera «Costruiamo
il Regno» alla Cascina G. Informazioni: don Gino Piccio –
Cascina G. 15038 Ottiglio (Al),
tel. 0142 921421; Edvige Bobba, via Guala10 –15033 Casale
(Al) 0142 74608.
14-15 agosto. Sant’Angelo in
Vado (Pu). Fine-settimana per
coppie all’Eremo di Caresto,
Riflessioni sul tema «La spiritualità matrimoniale». Informazioni: Tel. 0722.818497 (anche fax) 328.9455674; Sant’Angelo in Vado (Pu). E-mail:
eremocaresto@libero.it
15-20 agosto. Ostuni (Br).
Settimana per giovani (18-30
anni) sul tema «Cristo, il Vangelo di Dio» con Ludwig Monti, monaco. L’incontro è finalizzato all’apprendimento della lettura della Scrittura, alla
riflessione sulla vita interiore,
alla conoscenza del sé e degli
altri. Informazioni: Fraternità
Monastica di Bose. C. da Lamacavallo 72017 Ostuni (Br)
Tel. / Fax 0831.304390, e-mail:
boseostuni@libero.it.
20-25 agosto. Trevi (Pg).
«Sentinella, quanto resta nella notte? Oltre ogni crisi, per
un nuovo patto generazionale»: è il titolo del 50° Convegno del Centro Educazione
Mondialità (Cem), movimento educativo interculturale.
Comprende un ricco programma di relatori, laboratori interattivi, tavole rotonde e serate, nella convinzione della necessità di un nuovo patto educativo generazionale. Il convegno è specificamente ideato
per consentire il massimo
coinvolgimento dei partecipanti, nel confronto, dibattito
nella elaborazione culturale.
Informazioni e opuscolo illustrativo a: Cem mondialità, via
Piamarta 9 - 25121 Brescia, tel.
030 3772780, convegno@
saveriani.bs.it
22-27 agosto. Cerreto (Pg).
Settimana di spiritualità all’Eremo sulle tematiche di
«educazione come mistagogia»
con p. Cesare Locatelli. Per informazioni: 368 3366127; 349
0650671; e-mail: eremitidi
cerreto@gmail.com
22-30 agosto. Calascio (Aq).
L’Associazione Cvx e gli Amici
di Calascio organizzano un
Laboratorio di formazione
politica destinato a quanti vogliono affrontare il servizio del
prossimo attraverso l’impegno
politico. Relatori: Vincenzo
Sibilio S.J., Alberto Bazzucchi
ricercatore Cresa; Giovanni
Conso, antimafia Napoli; Luciano Larivera S.J.; Stefano
Fassina, economia e lavoro;
Giuseppe Lumia senatore,
Giulio Marcon, «Sbilanciamoci»; Francesco Giorgianni, affari istituzionali, Francesco
Occhetto, «La Civiltà Cattolica»; Giustino Perissa, «Il Centro» l’Aquila, Ernesto Ruffini
giurista; Roberto Segatori, sociologo Univ. Perugia. Inf.
Anna Maria le. 392 017 1749;
Daniela 349 8520 829; Raffaella 339 7459 6117, e-mail:
amicidicalascio@gmail,com.
24-28 agosto. Terzolas (Tn).
Scuola estiva organizzata da
Rosa Bianca e dalla casa editrice «Il Margine». Titolo
«(Dis)eguaglianze (In) differenze Mer(canti)»: un’occasione
per parlare di giustizia, di
diritto(i), di inclusione, passando attraverso i fondamenti dell’uguaglianza e i processi partecipativi. Informazioni: Fabio
Caneri, tel. 331 349 4283.
25-28 agosto. Pietrasanta
(Lu). Corso breve «La manutenzione dei tasti dolenti» sul
vivere la realtà emotiva come
spazio di decantazione creativa. È condotto dal pedagogista Daniele Novara e dalla
psicologa Anna Boeri. Il me-
todo si basa sul coinvolgimento attivo e diretto dei partecipanti. Informazioni: tel. 0523
498594; e-mail: info@cppp.it
26-28 agosto. Monte Giove
(Pu). Convegno biblico all’Eremo sul tema: «Se la giustizia è
nuda». Offre al dibattito sulla
giustizia i contributi di studiosi da prospettive di cultura
ebraica e storico-teologiche, tra
Occidente e Oriente. Relatori:
Rosanna Virgili biblista, Ubaldo Cortoni monaco e storico,
Amina Crisma esperta di Confucianesimo, Vittorio Rovati
Bendaud ebraista. Informazioni: 0721 864090 (fratel Marino).
28 agosto-4 settembre. Bibione (Ve). Settimana estiva
nazionale per famiglie di
bambini con sindrome di
Down al Villaggio Marino Pio
XII. Neuropsicomotricità, logopedia, metodo Feuerstein,
massaggi, gruppo genitori e
gruppo fratelli e sorelle, animazioni con gli Scout. Informazioni: Servizio consulenza
pedagogica, via Druso 7 –
38122 Trento, tel. 0461 8286
93; e-mail: calagati@tin.it
4-7 settembre. Avigliana
(To). Summer School «Salute
e diritto. Popolazioni invisibili, competenze, networking»
organizzata dal Laboratorio di
epidemiologia di cittadinanza
del Consorzio Mario Negri Sud
con il Centro Studi del Gruppo Abele e in collaborazione
con altre organizzazioni di lavoro socio-sanitario. Si svolge
alla Certosa del Gruppo Abele, uno spazio di confronto, conoscenza e condivisione situato in una vecchia abbazia recentemente ristrutturata, sotto la via Sacra di San Michele,
51 – Avigliana. Informazioni:
Animazione Sociale, corso
Trapani, 91/b – 10141 Torino
tel. 011 3841048 – fax 011
3841047, www.animazione
sociale.gruppo abele.org.
ROCCA 1 AGOSTO 2011
ATTUALITÀ
9
ATTUALITÀ
Sequenziare e curare
notizie
dalla
scienza
Il sequenziamento dell’intero genoma di un
individuo è stato usato per la prima volta come
strumento diagnostico per scoprire che malattia avesse. Per l’esattezza, i pazienti erano
due: una coppia di gemelli identici, nati con
difficoltà motorie simili a una paralisi cerebrale, ma giunti a 14 anni senza che si fosse
mai accertata la vera causa dei loro mali, man
mano che fallivano le varie ipotesi diagnostiche e i conseguenti tentativi di cura.
La vicenda è presentata su «Science Translational Medicine» da un team di vari istituti statunitensi tra cui il Baylor College of
Medicine di Houston. L’ultima diagnosi ipotizzata, a 5 anni d’età, era una rara malattia
muscolare, la distonia responsiva alla dopamina. Quando però i ricercatori hanno sequenziato il genoma dei due gemelli, non
hanno trovato le mutazioni che la causano.
Hanno scoperto invece un deficit non della
dopamina ma di un altro neurotrasmettitore, la serotonina. Somministrando un farmaco che aumenta i livelli di serotonina,
hanno così ottenuto un rapido e drastico
miglioramento dei sintomi.
Il sequenziamento genomico dimostra così le
sue potenzialità nel diagnosticare malattie
complesse e rare, che possono mettere a dura
prova i medici. Il grande nodo resta il costo:
rispetto ai miliardi di dollari spesi dal Progetto Genoma Umano i costi si sono abbattuti
drasticamente, ma i 10.000 o 20.000 dollari
tuttora necessari per decifrare un genoma restano eccessivi per un uso di routine.
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Motivare gli obesi
Giovanni
Sabato
10
Per motivare le persone in sovrappeso a dimagrire, l’ultima cosa da fare è farle sentire
in colpa o deriderle. Ripetuti studi mostrano che questi atteggiamenti non solo sono
inefficaci nello spronare a mangiare meno
e muoversi di più, ma non di rado ottengono l’effetto opposto. Lo psicologo Lenny
Vartanian, della University of New South
Wales di Sidney, sviscera su «Obesity» i meccanismi psicologici che portano al fallimento.
Un centinaio di obesi hanno completato una
batteria di questionari sulle esperienze di
stigmatizzazione subite, su quanto condividessero gli standard sociali che associano
la bellezza alla magrezza e i pregiudizi negativi riguardo ai grassi, su aspetti psicologici quali autostima e soddisfazione per il
proprio corpo, e su esiti comportamentali
quali l’attitudine all’esercizio fisico e la sua
effettiva pratica.
Quasi metà dei partecipanti ha riferito atteggiamenti discriminatori frequenti, almeno una volta a settimana, e chi più si sente
stigmatizzato ha una peggiore immagine di
sé, è più depresso, è meno motivato all’atti-
vità fisica e la pratica meno. Non tutti però
ne risentono allo stesso modo: lo stigma
spegne la motivazione soltanto in chi ha
assorbito, più o meno consapevolmente, gli
standard sociali per cui essere grassi è un
male. Chi non condivide questi auto-pregiudizi, viceversa, è poco vulnerabile al giudizio altrui. Rispetto ad altre categorie, infatti, i grassi sono più propensi a far propri i
pregiudizi contro di loro, e meno a sviluppare quell’identità di gruppo che spesso fa
da argine psicologico ai danni del pregiudizio, anche perché vedono la loro condizione come modificabile se solo ne avessero la
forza di volontà.
A che serve il microcredito
Se quei 2,5 miliardi di persone che non hanno alcun accesso al credito ottenessero le
poche decine o centinaia di dollari necessarie a sviluppare piccoli business familiari,
riuscirebbero a uscire dalla povertà. È l’assunto fondamentale del microcredito, ma
forse non è vero. Lo afferma uno studio su
«Science» degli economisti statunitensi
Dean Karlan e Jonathan Zinman.
Negli ultimi tempi una serie di ricerche ha
vagliato il funzionamento del sistema inventato da Muhammad Yunus, con esiti spesso
diversi da quanto pronosticato dai promotori. Il nuovo studio su «Science» è il più
rigoroso, perché adotta un metodo mutuato dalle sperimentazioni dei farmaci: è uno
studio randomizzato e controllato. Vale a
dire che, anziché confrontare un gruppo di
famiglie che si è avvalso dei prestiti con altre che non ne hanno mai richiesti, ha scelto a caso a chi assegnarli e a chi no in un
pool di 1600 richiedenti filippini che, nel
vaglio preliminare della banca, avevano ricevuto tutti una valutazione simile. Si evitano così problemi come quello per cui le
famiglie che richiedono i prestiti, o che li
ottengono, possono essere già in partenza
in condizioni migliori, e dunque ottenere
solo per questo performance migliori a fine
studio.
L’esito, come si diceva, non è stato quello
atteso: due anni dopo, le imprese familiari
che avevano ricevuto il prestito non mostravano una crescita del volume d’affari o un
benessere soggettivo migliori delle altre.
Non per questo il microcredito era inutile: i
suoi benefici stavano nel permettere di affrontare meglio spese impreviste, per esempio per un problema di salute, e rafforzare
le reti informali di mutuo aiuto.
Questo naturalmente è solo uno studio in
uno dei tanti e diversi contesti in cui opera
il microcredito. L’invito degli autori è pertanto a replicarlo nelle situazioni più svariate e, se il quadro sarà confermato, a rivedere le basi teoriche e il funzionamento pratico del microcredito per adattarlo meglio
ai suoi reali utilizzi.
il meglio
della quindicina
vignette
ATTUALITÀ
da L’UNITÀ, 2 luglio
da IL CORRIERE DELLA SERA, 4 luglio
da IL CORRIERE DELLA SERA, 6 luglio
da LA REPUBBLICA 8 luglio
da L’UNITÀ, 4 luglio
da IL CORRIERE DELLA SERA, 12 luglio
da L’UNITÀ, 12 luglio
ROCCA 1 AGOSTO 2011
da LA REPUBBLICA 2 luglio
11
cittadella convegni 2011
2-4 settembre
19° incontro biblico
versetti pericolosi: lo scandalo
della misericordia nella Chiesa
con padre Alberto MAGGI, servo di Maria, direttore del ‘Centro Studi Biblici’ di Montefano
‘Valori non negoziabili’…’tolleranza zero’… sempre più nella Chiesa si sentono espressioni che appartengono
più a strutture di potere che difendono se stesse, che all’annuncio di Gesù.
Il potere quando si sente minacciato erige barriere difensive, si rifà all’ordine, alla disciplina e all’obbedienza. Ma
la Chiesa che non deve in alcun modo assomigliare alle strutture di potere esistenti, non può in alcuna maniera
imitare il linguaggio e i metodi del mondo: ‘I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi
esercitano su di esse il loro potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si
farà vostro servo’ Mt 20, 25-26.
Il tema si rifà allo scandalo della predicazione e del comportamento di Gesù, e alla difficoltà con cui le sue parole
furono accolte (ma spesso censurate) dalle prime comunità cristiane.
27 ottobre
Papa Benedetto XVI ad Assisi
pellegrini della verità, pellegrini della pace
un invito ai fratelli cristiani delle diverse confessioni, agli esponenti delle tradizioni religiose del mondo, e, idealmente, a tutti gli uomini di buona volontà, a trovarsi insieme, in una giornata di riflessione, dialogo e preghiera
per la pace e la giustizia nel mondo.
Un impegno per tutti a essere costruttori di fraternità e di pace.
7-11 novembre
esercizi spirituali
per presbiteri, suore, laici
libertà sulle Tavole: il libro dell’Esodo
con don Daniele MORETTO, monaco di Bose
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Il libro che è il “lieto annuncio” dell’Antico Testamento, la “lettera” in cui dobbiamo entrare per cercare il volto di
Dio e il volto dell’uomo. Nella storia di un pugno di uomini Dio ha scelto di svelarsi, di dare le coordinate del suo
agire verso tutti, di offrire una relazione.
Conoscere Dio, me stesso, il mondo, la storia per rispondere ad un appello di comunione nella libertà. Un tuffo
nell’Esodo, relativizzandolo in nome dell’oggi, attenti all’azione di Dio che è in atto (cf. Is 43,16-21).
indice tematico:
promesse di Dio e desideri dell’uomo (1,1-22); storie di donne: salvezza attraverso l’umano (2,1-22); paura di
guardare: rivelazione, vocazione, missione (2,23-4,17); lascia partire...: un cuore che resiste (4,18-11,10); che
significa questo?: liturgia che celebra (12,1-15,21); stare sulla roccia: la difficile libertà (15,22-18,27); se vorrete
ascoltare: alleanza (19,1-20; 24,1-18); tutte queste parole: la strada insegnata (20,1-23,33); se ho trovato grazia
ai tuoi occhi: alleanza nella misericordia (32,1-34,35); una dimora secondo quanto ti mostrerò: presenza di Dio
e obbedienza dell’uomo (25,1-31,19); come il Signore aveva ordinato a Mosè: presenza di Dio e obbedienza
dell’uomo (35,1-39,43); seguire una nuvola (40,1-38).
informazioni iscrizioni soggiorno
Cittadella Convegni – via Ancajani 3 – 06081 ASSISI/Pg
tel. 075/812308; 075/813231; fax 075/812445; ospitalita@cittadella.org; ospitassisi.cittadella.org; www.cittadella.org
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RESISTENZA E PACE
Raniero
La Valle
È
un pessimo segno dei tempi il fatto
che il Parlamento, non potendo occuparsi del bene del Paese rimasto
in poche sporchissime mani, si sia
incattivito nell’impresa di dettare
norme su come morire. Costituzionalmente disabile,per come è stato eletto, a
provvedere alla vita, si dedica alla morte. Il Parlamento lo fa non solo dettando per legge i
termini della «morte naturale», ma intromettendosi in quella sfera personalissima che una
volta era il cosiddetto testamento spirituale,
nel quale ciascuno pensava se stesso nel momento futuro della morte, per vedere quale
fosse l’ultima parola da lasciare ai vivi. Di questa parola il legislatore si appropria, del testamento fa carte false, o anche carta straccia; si
chiama testamento biologico, ma in realtà è
l’atto di fede in cui una persona dice come crede nella vita: se crede che la vita non stia tutta
nella vita fisica, sicché se si lascia questa non è
la vita intera che si lascia; se crede alla distinzione tra nuda vita, vegetale o animale che sia,
e una vita rivestita dell’umano, e magari umanizzata dallo spirito divino; oppure crede che
senza ventilazione non c’è nessuna vita.
È triste e pericolosa una società nella quale
si sente il bisogno di fare una legge sulla
morte, soprattutto per proibire una buona
morte, che in greco si dice eutanasia. Vuol
dire che siamo arrivati a un grado di tale
sospetto reciproco, di tale sfiducia nei parenti, nei medici, negli infermieri, nei giudici come se tutti fossero lì pronti a toglierci la
vita, che c’è bisogno di una legge, di una ferrea norma penale per vietarglielo. Una volta, quando si moriva in casa, e quando le
macchine non intercettavano quello che si
chiamava «il ritorno alla casa del Padre», ciò
sarebbe stato inconcepibile. Ma ora abbiamo a che fare con un legislatore che pretende di estendere il suo controllo su tutte le
pieghe della realtà, e con una maggioranza
parlamentare che ha patito come uno scacco, come un’intollerabile usurpazione il fatto che la povera Eluana Englaro morisse un
attimo prima che un suo sovrano decreto
glielo impedisse. Vuole una rivincita su tutte le Eluane Englaro del futuro.
La Chiesa farebbe bene a non mettercisi in
mezzo. Per molte ragioni. La più mondana
è che se la Chiesa detta alla politica l’agenda
etica, una politica cattolica, fatta o ispirata
dai cattolici, non è più possibile: è possibile
solo una politica ecclesiastica eseguita magari da miscredenti e corrotti per tutt’altri
motivi. Fino a quando la Chiesa dei vertici si
assume la titolarità delle scelte politiche che
giudica per lei rilevanti, la Chiesa della base,
cioè i fedeli laici non possono farci niente,
ed è inutile auspicare una nuova generazione di politici cattolici e magari proporre ad
attempati pionieri di una nuova Dc un codice della Segreteria di Stato arcaicamente
chiamandolo codice di Camaldoli.
La ragione più ecclesiale è che il declino
della Chiesa in Italia, dopo gli anni del Concilio, è cominciato quando essa si è tutta
concentrata ed esaurita nella lotta contro il
divorzio, e poi in quella dell’aborto, e poi,
sempre più polarizzandosi, in quella per la
vita «dal concepimento alla morte naturale»; ciò comportava una riduzione del cristianesimo a una sorta di Autorità di garanzia della vita fisica (purché «innocente»)
e un invilupparsi del movimento cristiano
nei movimenti per la vita. Di conseguenza
doveva venirne l’arretramento del suo progetto religioso in progetto culturale.
La ragione più spirituale è che nella riduzione della fede ad etica, cioè a casistica dei
comportamenti ammissibili, si perde l’essenziale del messaggio di salvezza. La religione
dei precetti c’era già, erano tanti, ed era il
giudaismo. Se c’era da aggiungerne di nuovi, a ogni cambiamento di culture e di tecniche, non c’era bisogno che partorisse Maria.
La novità del cristianesimo sta nell’aver portato l’etica, la norma dell’agire, dal dominio
della verità al dominio dell’amore, dal regno
dell’obbedienza al regno della libertà. Ogni
volta la Chiesa fa fatica ad essere la Chiesa
di quel messaggio lì: è più semplice affermare una verità, dichiararla oggettiva (intemporale universale e astorica) ed esigere comportamenti conseguenti.
L’ultima volta fu quando nella Pacem in terris Giovanni XXIII voleva dire agli uomini
che se volevano la pace, dovevano farsi guidare (ducibus) dalla verità, dalla libertà, dalla giustizia e dall’amore. I censori gli obiettarono che non si poteva mettere sullo stesso piano la verità e la libertà, perché il magistero dei recenti pontefici aveva stabilito
una gerarchia, era la verità che doveva decidere di tutto, la libertà era vigilata, doveva passare all’esame di chi deteneva la verità. Non parliamo poi dell’amore. Papa Giovanni lasciò quelle parole come stavano. La
dignità dell’uomo stava nel poter cercare liberamente la verità, l’etica stava nel farsi
discepoli dell’amore di Dio.
❑
13
ROCCA 1 AGOSTO 2011
il falso testamento
AFRICA
dalla guerra
alla governance alimentare
Maurizio
Salvi
U
na miniera di diamanti. Nelle
parole del ministro delle Finanze dello Zimbabwe, Tendai Biti,
«la più grande a carattere alluvionale di questa regina delle pietre preziose nella storia dell’umanità». Una scoperta, fatta nel 2006 a Marange (Zimbabwe orientale), che avrebbe
potuto e dovuto risolvere gran parte dei problemi economici di uno dei più poveri e violenti paesi dell’Africa nera. Invece no. Minacce, violenze, torture, assassinii hanno
spinto The Kimberley Process, l’organismo
creato dai paesi produttori di diamanti di
tutto il mondo, a proibirne lo sfruttamento. Una misura che ovviamente non è piaciuta al controverso presidente Robert Mugabe che ha ordinato, nonostante tutto, l’avvio dell’estrazione delle pietre.
le casse potenti delle multinazionali
ROCCA 1 AGOSTO 2011
È questo soltanto l’ennesimo capitolo di
una maledizione che sembra perseguitare
l’Africa, le cui materie prime sono state
saccheggiate prima dal colonialismo tradizionale, poi da quello più intelligente
gestito attraverso le élites locali. Le ingenti risorse provenienti da petrolio, diamanti, oro ed altri minerali, sono finite nelle
casse di potenti multinazionali, nei conti
bancari di ben custoditi paradisi fiscali ed
hanno contribuito in questi anni ad alimentare onerosi acquisti di materiale bellico per guerre civili che hanno insanguinato numerosi paesi africani. E pensare
che la miniera di Mrange secondo gli esperti renderebbe alle casse del Tesoro dello
Zimbabwe almeno due miliardi di dollari
l’anno. Una cascata d’oro per un paese il
cui Prodotto interno lordo (Pil) è stato nel
2010 di 7,5 miliardi di dollari. Proprio 50
anni fa con il celebre «I dannati della terra» lo scrittore francese discendente da
schiavi africani Frantz Fanon denunciava
lo stato pietoso di sfruttamento del continente nero preconizzando una rivoluzione, materiale delle coscienze, che portasse
alla simultanea creazione di un modello
14
economico e di un uomo «nuovi».
flagello siccità
Progressi si sono certo avuti in questo mezzo secolo, ma è un fatto che gli abitanti dell’Africa paghino un prezzo altissimo per
avere avuto la sorte di essere nati in un continente, il cui definitivo sviluppo continua
ad essere rinviato da decennio in decennio.
La crescita registrata in alcuni paesi africani negli ultimi anni (nel 2010, complessivamente, del 5,5%) è stata frenata di recente
nel Maghreb dalle rivolte popolari che, pur
benvenute per le potenzialità generate, hanno comunque inciso negativamente su economie ancora fragili. Più a sud, invece, alle
numerose guerre civili degli anni scorsi (Somalia, Sierra Leone, Sudan) è tornato ad
aggiungersi, nel Corno d’Africa, lo spettro
della siccità. Un flagello che secondo gli organismi internazionali e le associazioni
umanitarie, è il peggiore degli ultimi 60
anni. Elysabeth Byrs, portavoce dell’Ufficio
delle Nazioni Unite per la coordinazione degli affari umanitari (Ocha), ha assicurato
che oltre 10 milioni di persone risultano gravemente colpite nelle zone afflitte di Gibuti, Etiopia, Kenya, Somalia e Uganda. In
alcune zone del centro del Corno d’Africa
si è giunti apparentemente ad una emergenza molto vicina alla carestia. La situazione
continua a peggiorare e non si intravede
alcun miglioramento fino al 2012.
L’anno scorso, l’est del Corno d’Africa ha
registrato due scarse stagioni di pioggia che
hanno provocato uno degli anni più aridi
dal 1950/51 in molte zone rurali, afferma
l’Onu, precisando che l’impatto della siccità è stato esasperato anche da fattori quali
l’alto prezzo dei cereali o il conflitto in Somalia. «La malnutrizione dei bambini è
molto importante. In un paese come la Somalia – ha sottolineato la Byrs – un bambino su tre soffre di malnutrizione». In tutte
le zone colpite, l’azione umanitaria deve essere aumentata. Ma i finanziamenti ricevuti dall’Onu per gli aiuti alle popolazioni
colpite non trovano la risposta desiderata.
con paesi africani per l’acquisto o l’affitto
di vastissime estensioni territoriali da adibire alla produzione agricola di prodotti che
però non beneficeranno le popolazioni locali, ma quelle cinesi ed indiane.
la nascita del Sud Sudan
una buona notizia
Se ci fosse bisogno di fotografare ulteriormente le contraddizioni che è costretta ad
affrontare l’Africa, basterà esaminare la
bella notizia della nascita il 9 luglio, dopo
20 anni di guerra civile terminata nel 2005
e due milioni di morti, della Repubblica del
Sud Sudan, quale 193/o Stato del mondo e
il 54/o dell’Africa. La gioia della popolazione e del presidente Salva Kiir Mayardit è
stata grande, ma sono in molti a ritenere
che sarà di breve durata, perchè il neonato
Stato si colloca nelle ultimissime posizioni
nelle graduatorie degli organismi internazionali relative allo sviluppo. Il presidente
Mayardit ha detto nel suo discorso in occasione della celebrazione dell’indipendenza
che «occorrono 500 miliardi di dollari per
collocare il Sud Sudan alla stregua degli
altri paesi africani». Una cifra, ovviamente
irraggiungibile, per cui ben presto molti
nodi verranno al pettine di questo paese.
Utilizzeremo per raffigurare il dramma incipiente le parole del segretario generale
dell’Onu Ban Ki-moon, presente a Juba
nella storica giornata dell’indipendenza
sud-sudanese. «Le statistiche – ha detto il
capo del Palazzo di Vetro, da poco rieletto
per un nuovo mandato – sono davvero
umilianti. Ha il tasso di mortalità materna
più alto del mondo ed anche uno dei più
gravi di mortalità infantile; le stime dell’analfabetismo nella popolazione femminile raggiungono l’80%; oltre la metà della sua popolazione deve mangiare, vestirsi ed alloggiarsi con meno di un dollaro al giorno».
A questo si aggiunge che un gran numero
di malattie curabili hanno qui un carattere
endemico e che le carestie sono un pericolo latente che il giovane governo non potrebbe mai affrontare da solo in modo efficace. E pensare che una buona parte dei
620.000 chilometri quadrati di superficie
del Sud Sudan (poco più del doppio dell’Italia) sono terre agricole coltivabili. Una
efficace politica in questo settore potrebbe
costituire un terreno solido per una lenta
ma sicura politica di sviluppo. Sarà possibile agire di conseguenza? Purtroppo i primi elementi a disposizione dicono che molti
ostacoli si frappongono a questo progetto.
A cominciare dalla «voracità» dei grandi paesi emergenti (Cina ed India in primo luogo) che da anni stanno stringendo accordi
Ma fra tanti interrogativi negativi, le cronache ne hanno registrato di recente uno invece che fa ben sperare: l’elezione nella carica
di direttore generale della Fao, l’organizzazione dell’Onu per l’Agricoltura e l’Alimentazione, del brasiliano José Graziano da Silva, che ha svolto un ruolo importante nel
Programma ‘Fame Zero’ con cui il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva è riuscito a ridimensionare l’emergenza alimentare brasiliana. È la prima volta che una personalità proveniente da un paese emergente
(il primo in assoluto dell’America latina) con
una forte predisposizione operativa è eletta
in questa carica a spese, fra l’altro, di un candidato di peso come l’ex ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos. Si comprende quindi il
giudizio positivo
e pieno di speranza di una ong
come la britannica Oxfam nel
commentare
una nomina che
potrebbe accelerare la soluzione
dei problemi anche del Sud Sudan. «Graziano –
ha commentato la ong – ha proposto tre
obiettivi principali nella sua campagna elettorale: sradicare la fame, promuovere durevoli strumenti di produzione alimentare e
riparare il sistema di alimentazione planetario. Per poterlo fare – conclude Oxfam – è
necessario che i governi superino le divisioni passate, sostengano il suo programma e
si assicurino che la Fao disponga delle risorse finanziarie sufficienti al fine di assumere
pienamente il suo ruolo nella nuova governance alimentare mondiale».
E che smettano, aggiungiamo noi, di dilapidare risorse di un mondo in grave crisi
economica e finanziaria in costosissime
operazioni belliche. Siamo sicuri che per
risolvere il problema del leader libico
Gheddafi fosse proprio necessario spendere un miliardo di dollari in tre mesi?
ROCCA 1 AGOSTO 2011
L’appello di 39 milioni di dollari per lottare
contro la siccità a Gibuti è stato coperto al
30% e quelli di fondi per la Somalia (529
milioni) ed il Kenya (525 milioni) sono finanziati appena alla metà.
Maurizio Salvi
15
ALFANO SEGRETARIO
fine
del berlusconismo?
P
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Ritanna
Armeni
er Angelino Alfano, neonominato
segretario del Pdl, quelli che verranno non saranno mesi facili. La
sua scommessa è veramente impegnativa. Entro l’autunno deve ricostruire l’immagine di un partito che
finora si è fondato ed è coinciso, quasi
esclusivamente, con la figura di Silvio Berlusconi, è dipeso dalla sua leadership carismatica e indiscussa, dalle sue risorse, dal
suo impero mediatico. Un partito che oggi
è diviso e sconfitto e guarda con preoccupazione al dopo. Deve essere capace Alfano di farlo vivere sulle sue gambe, che dopo
gli insuccessi elettorali delle amministrative e dei referendum, appaiono fragili. E
non finisce qui. Il neosegretario deve essere in grado di conservare le alleanze che il
cavaliere di Arcore aveva garantito, quella
con la Lega in primis, che oggi appaiono
alquanto in discussione. Deve, infine mantenere in piedi un governo che da mesi vive
una crisi grave e profonda e che ha dato
tutte le prove possibili della sua incapacità a rispondere ai problemi del paese.
Riuscirà il giovane Alfano a fare tutto questo? La risposta è veramente difficile. Tanti sono i fattori che si incrociano, le possibilità che possono verificarsi. La politica
italiana naviga in un mare aperto e in tempesta dove le possibilità per il Pdl e per il
centro destra di arrivare in un porto sicuro sono quante quelle di essere sommersi
dai marosi. La grave crisi economica, la
manovra in discussione e gli attacchi della
speculazione internazionale non contribuiscono certo a rendere facile qualunque
operazione di ricostruzione politica.
la svolta
Nel tentativo di comprendere la situazio16
ne è intanto utile segnalare una novità: la
nomina di Alfano, per quanto voluta dal
«sovrano», indica una svolta, segnala il
tentativo, finora respinto e negato dal Pdl,
di vivere anche senza Berlusconi e di costruire un centro destra autonomo dalla
sua figura. È la presa d’atto, non solo da
parte del premier, ma da parte del gruppo
dirigente del partito, che una fase volge
definitivamente al termine, che la figura
del capo non garantisce più la vita dell’organizzazione e anzi, può danneggiarlo che,
quindi, occorre imprimere una svolta. Ha
torto il segretario del Pd Pierluigi Bersani
a non voler cogliere la novità, a ritenere
Alfano solo un clone di Berlusconi e l’operazione compiuta nel nominarlo di stampo gattopardesco. Non è così. Certo la sua
nomina non è la conseguenza di un procedimento di consenso o di uno scontro congressuale, come è normalmente nei partiti, ma, come ha sostenuto, immediatamente Pierferdinando Casini, è un atto politico importante che sancisce quel che il referendum e le elezioni amministrative avevano già dichiarato e che le lotte interne
al governo avevano confermato: la fine del
berlusconismo, di una fase storico politica, che è durata quasi un ventennio. L’inizio inevitabile di una nuova era in cui è
necessario ricostruire il Pdl per ricostruire un nuovo centro destra.
un nuovo centrodestra?
Le possibilità ci sono, e questo sì dovrebbe preoccupare il Pd e la sinistra tutta che
si potrebbe trovare tra non molto in un
quadro in cui l’antiberlusconismo che è
stato l’arma principale, il collante, di questa opposizione variegata, perda significato e quindi si disarticoli, con una nuova
tica. La loro collocazione all’opposizione
è stata la conseguenza della presenza di
Silvio Berlusconi, della scarsa democrazia
e collegialità dei gruppi dirigenti, della
impossibilità, quindi di avere un ruolo effettivo nello schieramento di appartenenza. L’uscita di scena del cavaliere di Arcore, o, almeno il suo annuncio, la rinuncia
alla leadership del Pdl apre anche per Casini e Fini una prospettiva diversa. Elimina la causa principale del loro allontanamento, costituisce una loro vittoria politica. E per Alfano la ripresa del dialogo con
i due sarebbe un successo non di poco con-
ROCCA 1 AGOSTO 2011
collocazione di quel centro politico rappresentato dal terzo polo. C’è, infatti, la
concreta eventualità che la fuoriuscita di
Berlusconi dalla prospettiva di un futuro
governo, come testimonia l’annuncio, fatto da lui stesso in una intervista a Repubblica, riporti al centro destra una parte
consistente di coloro che in questi anni
sono andati via. Che si possa, insomma,
assistere alla apertura di un nuovo confronto e al ritorno in quest’area sia di Pierferdinando Casini che di Gianfranco Fini.
I due, come si sa, hanno più volte ricordato la loro appartenenza a questa area poli-
17
ALFANO
SEGRETARIO
to. Il neosegretario, che è stato nominato
dal capo e che deve dimostrare le sue capacità di leadership, potrebbe dire di aver
rafforzato il centro destra e il Pdl, potrebbe esibire il ritorno dei due dirigenti del
terzo Polo come la conseguenza della sua
presenza e della sua politica. Non sarebbe
poco.
la lotta tra Berlusconi e Tremonti
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Eppure questa prospettiva della costruzione, a partire dai prossimi mesi fino alle
elezioni, di un centro destra e di un Pdl
più autonomo da Berlusconi, per quanto
possibile, non è certa. Essa è oggi minata
da una deriva la cui forza potrebbe essere
tanto possente da travolgere ogni tentativo del neosegretario e persino ogni oggettiva convergenza fra le forze dello schieramento di centro destra. Si tratta del processo di disfacimento del Pdl, delle forze
di maggioranza e del governo tutto che, ora
nella forma di farsa, ora di tragedia, si svolge ogni giorno sotto gli occhi degli italiani
e la cui massima espressione è la battaglia
che contrappone il ministro dell’Economia
al presidente del Consiglio.
Berlusconi ritiene Giulio Tremonti, il ministro più importante della compagine
governativa, il garante dei conti verso l’Europa, il principale responsabile della caduta di consensi del governo e dei partiti
della maggioranza. Dal suo punto di vista,
forse non proprio di statista, non ha molto torto. La stabilità economica e il pareggio di bilancio, promesse dal ministro dell’economia all’Europa e i conseguenti tagli alla spesa pubblica, sono stati la causa
del calo dei voti del Pdl e della Lega nei
comuni del nord. Sono state le scelte di
Tremonti a provocare le evidenti tensioni
e la crisi di quella alleanza di ferro fra Bossi
e Berlusconi su cui regge la forza del governo. La futura manovra finanziaria, per
quanto in gran parte rinviata a dopo le elezioni del 2013 (quando il centro destra o
non avrà vinto le elezioni, non sarà più al
governo e quindi lascerà alla sinistra la
patata bollente o sarà all’inizio di un nuovo mandato governativo e quindi, avendo
cinque anni davanti a sé, potrà permettersi anche una caduta di consensi), sta comunque provocando reazioni negative fra
le forze sociali e nuovi squilibri nelle forze
politiche di maggioranza e nel paese. La
lotta fra Berlusconi e Tremonti, liberata dai
suoi aspetti personalistici che pure ci sono
e contano (il premier è convinto che Tremonti con la fiducia dell’Europa aspiri alla
presidenza del Consiglio, il ministro del18
l’Economia evidentemente considera finito il premier e ha fondati sospetti che trami contro di lui e che sia all’origine dei
recenti scandali che lo hanno coinvolto)
esprime la incapacità del governo di dare
una risposta alla crisi economica e di risolvere con precise e concrete proposte
politiche il dilemma fra crescita e stabilità, in poche parole, di salvaguardare redditi e occupazione e di uscire dal continuo
ridimensionamento e declassamento internazionale del paese. La reazione dei mercati finanziari è la prova più evidente del
quadro di precarietà provocato dalla scarsa credibilità e dalla lotta interna al governo. Gli investitori comunque non si fidano più del governo, il valore dei titoli di
stato crolla, si teme insieme l’uscita di Tremonti dal governo, ma anche la possibile
caduta di Berlusconi.
clima da fine impero
In questo quadro, accanto alle scosse di
terremoto di alta intensità provocate dal
dissenso fra i due maggiori esponenti del
governo, si è creato ormai un clima da fine
impero di cui fanno parte le divisioni e i
reciprochi insulti fra i ministri, le minacce oramai neppure tanto velate della Lega,
gli scandali che si susseguono, gli episodi
di corruzione che non appaiono oramai
vistose e gravi eccezioni, ma elemento ricorrente (Abruzzo, Grandi opere, protezione civile, P4, caso Bisignani e in ultimo il
caso Milanese) dei metodi di governo della maggioranza.
Si tratta di una forza distruttiva potente di
fronte alla quale l’obiettivo di Angelino
Alfano di ricostruire, dopo le sconfitte alle
elezioni amministrative e al referendum,
un partito di centro destra che raccolga
attorno a sè le altre forze di maggioranza
appare molto difficile. Lo stesso ritorno
all’ovile di Fini e di Casini con un quadro
simile potrebbe essere rinviato. Per quanto appartenenti allo schieramento di centro destra che interesse avrebbero ad aprire il dialogo in questi mesi, quando massimo è il discredito, gli scandali si succedono agli scandali e la crisi morde come non
mai? È preferibile aspettare le elezioni
politiche quando la loro forza nella trattativa potrebbe essere maggiore e la situazione meno confusa. Nel frattempo meglio
tenersene fuori. Ma quella è già un’altra
storia, nella quale tutto potrebbe essere
rimesso in discussione, anche il neosegretario
Ritanna Armeni
OLTRE LA CRONACA
parole chiave
Spread. È un indicatore della salute finan-
(vedi Indice
ziaria di un Paese. Tecnicamente esprime la
in RoccaLibri
differenza tra due rendimenti di titoli pubwww.rocca.cittadella.org) blici. In pratica indica lo scarto tra i rendi-
menti dei Titoli di Stato decennali di un
per i lettori di Rocca
€ 10,00 anziché € 13,00 Paese e quelli tedeschi, intesa la Germania
spedizione compresa come il Paese più affidabile e solido.
richiedere a
Rocca - Cittadella
06081 Assisi
e-mail
rocca.abb@cittadella.org
Esso dà la misura di quanto costi finanziare
il debito pubblico di uno Stato. Indica quanti più interessi deve pagare uno Stato per
piazzare i propri titoli. Si misura in centesimi di punti percentuali. Quanto più alto è lo
spread tanto più grave è la salute finanziaria
di quel Paese.
Venerdì 8 luglio lo spread tra Btp italiani e
Bund decennali tedeschi aveva toccato il
record di 248 punti (all’inizio di luglio i
punti erano 190), ma già il lunedì successivo era a quota 301, e martedì 12 erano
304, in progress. Ciò significa che lo Stato
italiano per collocare i propri titoli con scadenza decennale deve garantire agli investitori, a causa del maggior rischio che corre chi compra i nostri titoli, più del 3 per
cento rispetto a ciò che paga la Germania.
Nell’arco di un anno l’aggravio per i conti
pubblici potrebbe superare i 7-8 miliardi
di euro. Il che significa che la manovra appena varata tra poco dovrà essere aggiornata con nuovi tagli e che, in mancanza di
decisivi interventi per diminuire il debito,
s’innescherà una spirale perversa.
Short selling. È la vendita allo scoperto fatta
dagli investitori che scommettono su un
ribasso dei titoli. Si vendono azioni senza
averne la proprietà, sperando di acquistarle
più tardi a un prezzo inferiore. Un personaggio chiave di quest’operazione è il proprietario fornitore del titolo, che lo presta
al venditore allo scoperto (scopertista) il
quale lo vende subito (senza possederlo).
Se va bene, e il titolo scende (ad esempio
da 100 a 70 euro) lo scopertista riacquista
il titolo e lo restituisce al fornitore, realizzando un guadagno di 30 euro, meno l’interesse che paga allo stesso fornitore. Il tutto a scapito del titolo che ha subìto il ribasso.
Credit Default Swap (Cds). È una sorta di polizza contro i rischi di fallimento di un Paese sovrano. Sono acquistati vendendo titoli
di Stato del Paese sotto tiro. Si tratta di
un’operazione speculativa che amplifica gli
effetti negativi già in atto.
Tornando alla situazione italiana, la realtà è
che il mercato non crede più al risanamento
dei nostri conti pubblici, anche se l’Europa,
per comune interesse, continua a sostenerci. E a poco servirà il divieto di short selling.
Soprattutto non crede a un premier che pensa solo a sfangarsi dai suoi guai personali.
La carta estrema da giocare sarebbe un nuovo Governo e un nuovo Premier.
E in Borsa c’è già chi profetizza che, buttata
questa carta sul tavolo, i nostri titoli schizzerebbero in alto.
❑
19
ROCCA 1 AGOSTO 2011
I
n questi giorni i grandi investitori internazionali vendono dosi massicce di
titoli pubblici e azioni italiane. Essi riRomolo
tengono il rischio d’insolvenza del nostro Paese molto alto. Nel «lunedì nero»
Menighetti
(11 luglio) la Borsa di Milano ha perso
il 3,96 per cento, molto più di Parigi, Francoforte, Londra e Madrid, facendo diminuire di oltre 16 miliardi il valore complessivo dei titoli quotati a Piazza Affari. E se il
giorno dopo c’è stato un recupero del mercato italiano, si deve soprattutto a un massiccio intervento della Banca Centrale Europea (la tanto vituperata Europa da Berlusconi e dai suoi) che ha acquistato titoli
pubblici italiani per sostenerne il corso.
Alla base di questa situazione, che permane
drammatica, ci sono due ordini di rischi, uno
politico e l’altro finanziario.
Il rischio politico sta nel nostro Governo sempre più debole, con un premier che parla solo
a rimorchio del Presidente della Repubblica
Giorgio Napolitano, e con un Ministro dell’economia lambito da un grosso scandalo
che vede al centro uno dei suoi principali
collaboratori. Il rischio finanziario nasce da
un debito pubblico abnorme, che dovrebbe
essere ripianato entro tre anni, mentre la
manovra che il governo si appresta a varare
è minima rispetto al buco, il cui riempimento viene in gran parte irresponsabilmente
fatto gravare sui governi futuri.
dello stesso Autore Entro questo duplice rischio si è innestata la
speculazione internazionale che è la conseLE IDEE
guenza e non la causa dei nostri guai, guai
CHE DIVENTANO portati all’esasperazione dall’attuale Governo.
POLITICA
Ciò detto, penso sia utile per il cittadino rilinee di storia
sparmiatore, spiegare nel modo più semplidalla polis
ce possibile alcuni dei termini che più spesalla democrazia
so ricorrono nei notiziari televisivi e sui giorpartecipativa
nali.
pagg. 112 - € 13,00
Roberta
Carlini
a un giorno all’altro, chi aveva
un piccolo gruzzolo in banca
investito in titoli – Bot, obbligazioni, quelle forme di risparmio
a reddito fisso che di questi tempi danno ben poco ma «almeno
sono sicure» – si è trovato un balzello nuovo, all’improvviso. Un «bollo» fisso, pari a
120 euro all’anno per i risparmi sotto i
50mila euro e a 380 euro per quelli superiori. Effetto della manovra economica del
governo, quella che è stata presentata ai
primi di luglio tra gialli, insulti, scandali e
scene tragicomiche di fine regime.
D
la stangata sui Bot
ROCCA 1 AGOSTO 2011
La stangatina sul risparmio è uno dei pochi provvedimenti a effetto immediato di
una gigantesca manovra che sulla carta
«vale» 40 miliardi di euro di qui al 2014,
ma che per la sua parte più rilevante è affidata al prossimo governo: post-datata,
come un assegno di quelli staccati da debitori poco affidabili. Lo stesso governo –
e lo stesso ministro – che da vent’anni ripetono come un ritornello «non metteremo le mani nelle tasche degli italiani» hanno messo le mani, e alla grande, nei conti
in banca degli italiani, con un provvedimento tecnicamente regressivo perché colpisce in misura più che proporzionale i
meno abbienti; lo stesso governo – e lo
stesso ministro – che due anni fa hanno
regalato lo scudo fiscale ai grandi possessori di patrimoni all’estero quest’anno «re20
galano» la stangata sui Bot a 10 milioni di
piccoli risparmiatori; lo stesso governo – e
lo stesso ministro – che da vent’anni promettono di ridurre le tasse e varare il federalismo hanno impostato la manovra 2011
almeno per la metà sull’aumento delle entrate e per almeno un terzo su tagli alla
spesa di Regioni e sanità che mettono la
pietra tombale su ogni velleità federalista.
Il tutto, nel quadro di una doppia emergenza: la tragedia politica europea, con il
vento della speculazione che continua a
travolgere tutto quello che incontra sulla
sua strada nell’assoluta inanità dei governi; e la tragedia morale italiana, con le inchieste che mettono a nudo un quadro di
corruzione per niente scalfito – anzi rinvigorito – a quasi vent’anni dall’esplosione
dei Tangentopoli.
una manovra ingiusta e paradossale
Cominciamo dal fondo, dalla odiosa manovra sui Bot. Odiosa perché destinata a
pesare proprio sui piccoli risparmiatori: è
evidente che chi ha un patrimonio di un
milione, o due milioni, di euro (ammesso
e non concesso che li tenga in banca in
deposito titoli) si troverà a pagare percentualmente di meno di colui che abbia messo in Bot i piccoli risparmi di famiglia,
un’eredità, la liquidazione, i soldi messi da
parte per pagare l’università ai figli. Dati i
bassi rendimenti attuali, una tassa fissa
annuale di 380 euro è in grado di annullare completamente il guadagno dei più po-
ECONOMIA
l’ipoteca sulla
casa
che brucia
rendite finanziarie
Salendo un po’, sempre nella parte fiscale
della manovra, si dovrebbe incontrare anche una norma più comprensibile, quella
che uniforma le aliquote sulle rendite fi-
nanziarie: però non c’è ancora, essendo
parte della delega fiscale che è a sua volta
parte della manovra ma deve essere ancora scritta. In sé, portare tutte le rendite finanziarie allo stesso livello di tassazione è
giusto: perché, per esempio, si deve pagare il 12,5% sui Bot e invece il 20 sugli interessi dai conti correnti? In tutt’Europa funziona in un altro modo, le aliquote sono
parificate (motivo per cui, a differenza di
quanto dicono alcuni economisti allarmati, non ci sarebbe un evidente rischio di fuga
all’estero dei risparmi). Ma per sapere come,
quando e perché sarà aggiustata la tassazione delle rendite finanziarie dovremo
aspettare il varo della grande Riforma Fiscale, quella che ha al suo interno la semplificazione e riduzione delle aliquote Irpef.
Grande riforma è stata promessa nel 1994
– anno in cui è stata oggetto di un voluminoso Libro bianco –, presentata in parlamento per la prima volta nel 2001, ripresentata stavolta (quasi identica, frutto di
un poco fantasioso copia-incolla), e che
nell’anno 2011 dovrà fare il miracolo: ridurre le tasse per tutti, non fare pagare un
euro di più a nessuno, e ciononostante
portare nelle casse dello stato 14,7 miliardi in più. Come potrà succedere questo?
Non è dato sapere, però il mistero è parte
costituente della manovra dei 40 miliardi.
Il resto verrà – e c’è da giurare che in questo campo le misure saranno più precise –
da tagli alle Regioni (7,4 miliardi), alla sanità (5 miliardi), ai ministeri (6 miliardi),
alle pensioni (1 miliardo con il blocco del-
ROCCA 1 AGOSTO 2011
veri dei Bot-people. E poiché questi sono
tanti (e non possono difendersi, portando
i soldi all’estero: possono solo tenerli sotto al materasso), nel complesso vengono a
versare una bella fetta degli incassi previsti con la manovra: 3 miliardi e mezzo,
secondo le previsioni del governo.
Una manovra ingiusta, e anche paradossale che speriamo venga corretta da saggi
emendamenti. Infatti, ogni qual volta da
qualche ambiente coraggioso (scientifico,
di solito) si avanza la proposta di una tassazione patrimoniale, che chiami anche i
grandi patrimoni a contribuire al finanziamento delle necessità della collettività, si
alzano alte proteste, si grida allo scandalo, al comunismo o al bolscevismo; si invoca la sacralità del risparmio, si grida all’esproprio, si paventano scenari da fine
di mondo (finanziario). Di solito, è alla sinistra (o meglio, ai suoi spaventatissimi
eredi) che si attribuiscono queste tremende intenzioni. La sinistra smentisce, la
destra garantisce: noi i patrimoni non li
toccheremo mai. Dimentica però l’aggettivo: sono i grandi patrimoni ad essere in
salvo, giacché i piccoli, come dimostra l’ultima manovra, possono ben essere oggetto di raid estivi emergenziali.
21
ECONOMIA
le rivalutazioni, che però il governo ha già
promesso di voler correggere). E dalla prosecuzione dei tagli già avviati: come quelli
epocali della scuola, che si avvia per il terzo anno di seguito a riaprire le classi con
più studenti e (molti) meno insegnanti,
meno presidi, meno bidelli.
le scelte di Tremonti
È in questo strabismo tra vanagloriose promesse e quotidiana realtà che da anni va
avanti la Berlusconomics, affidata all’uomo che sempre ha accompagnato la parabola del berlusconismo, facendo da cerniera con i leghisti e loro garante; e che, in
questo frangente, si trova però ad essere
anche un potenziale e pericoloso rivale del
sovrano che muore. Messo sotto accusa dai
suoi stessi alleati perché non trova risorse
per spendere e spandere comprando consenso; trascinato nei guai dai suoi più fedeli collaboratori che – si scopre – prosperavano nella corruzione degli affari pubblico-privati; costretto a farsi scudo proprio con quei mercati finanziari che diceva di voler ridimensionare, bollando di
«mercatismo» la loro idolatria: è Tremonti, in questa terribile estate 2011, la maschera principale della tragedia del berlusconismo e dell’Italia. Sua la gestione dell’economia e della finanza pubblica italiana (salvo brevi interruzioni) per tutta l’era
berlusconiana. Sua la scelta di ignorare
fino all’ultimo l’impatto della crisi sull’economia reale. Sua la decisione di procedere con «tagli lineari», penalizzando, tra i
centri di spesa, quelli con meno «clientes»
della sua parte politica: la scuola, l’università e la cultura in primo luogo. Sua una
politica fiscale coerentemente e chiaramente regressiva, che ha spostato risorse
dalle classi medie a quelle superiori, che
ha tolto ai (quasi) poveri per dare ai molto
ricchi, e ha spostato fondi dalle regioni del
Sud a quelle del Nord. Sua (o da lui consentita) anche la svolta «privatistica» della gestione dei grandi appalti e dei grandi
interventi pubblici, quello che prima di
cadere in disgrazia si chiamava il sistemaBertolaso.
ROCCA 1 AGOSTO 2011
la polpetta avvelenata
E adesso è sua l’ultima gigantesca mazzata
sul futuro dell’Italia. «L’ultimo che se ne va
chiuda la porta», si dice di solito. In questo
caso invece, prima di lasciare la casa (ammesso che la lasci) Tremonti ci ha messo
sopra un’ipoteca, scrivendo nero su bianco
che il nostro paese dovrà raggiungere il pa22
reggio di bilancio nel 2014. «Pareggio di bilancio» vuol dire che le entrate devono essere uguali alle spese, comprendendo però
in queste anche le uscite per interessi sui
titoli pubblici, cioè per pagare i debiti del
passato. Non c’è nessuna legge che obblighi al pareggio, soprattutto in periodi nei
quali l’economia è debole: persino i costituenti di Maastricht, quelli che vedevano i
deficit pubblici come il fumo negli occhi e i
responsabili di ogni male nell’economia,
avevano posto l’asticella più in basso, indicando nel 3% il tetto massimo del rapporto
tra deficit e prodotto interno lordo. Ossia
consentendo un piccolo deficit, purché in
via di ridimensionamento e con un debito
sotto il 60%. Ora, l’Italia ha un debito gigantesco ed è vigilata speciale in Europa
da anni: ma neanche questa condizione
obbligava, e obbliga, a proporsi in questa
fase di economia agonizzante il «pareggio
di bilancio». Che vuol dire: togliere altro
ossigeno all’economia, tagliare i fondi per i
disoccupati, ridurre le spese sociali, e/o aumentare le tasse.
Aver promesso il pareggio di bilancio nel
2014 ha un solo scopo evidente: tranquillizzare i mercati, dare un calmante (o una
droga?) alla speculazione. Ma non è un
obiettivo a portata di mano, né è detto che
sia auspicabile, né sarebbe facile, per un
ipotetico governo di sinistra che avesse a
cuore la giustizia sociale, raggiungere lo
stesso obiettivo con manovre più eque e
senza massacrare la spesa sociale. Allo stesso tempo, non è neanche facile annunciare pubblicamente il contrario: ossia che il
prossimo governo, ove gli italiani decidessero di licenziare il berlusconismo, butterà via quell’ultima polpetta avvelenata, cioè
la promessa del pareggio di bilancio in una
fase di recessione economica. Come al solito, si teme l’emergenza finanziaria: come
reagirebbero i mercati? La finanza? Le
banche? Ma al contrario si potrebbe dire:
e chi se ne importa? Non sono proprio gli
eccessi di mercati, della finanza e delle
banche, ossia la bolla del debito privato,
all’origine dei mali che viviamo attualmente? Si può invertire l’ordine del discorso, e
cominciare ad aggiustare le cose che non
funzionano invece di sfasciare quelle che
ci possono ancora aiutare?
Sarebbe bene cominciare a porre subito
queste domande, e rispondere – possibilmente con un coordinamento tra forze
progressiste europee –, per evitare di trovarsi, tra qualche anno, a fare il tremontismo senza più Tremonti.
Roberta Carlini
CAMINEIRO
la pace del Sud Sudan
C
nare morte e violenze d’ogni tipo, né a scrutare il cielo ad ogni rombo d’aereo che potrebbe sganciare bombe su cose e persone. D’altra parte quel villaggio non era segnato sulle cartine perché ogni volta che
c’era un’incursione delle cavallette travestite da soldati, tutti scappavano con quel
poco che avevano per ricostruire le capanne in un altro luogo portandosi insieme
anche il nome del villaggio, Agangrial. Si
calcola che nei lunghi anni della guerra
siano morte più di 2,5 milioni di persone,
5 milioni sono emigrati all’estero, ed altri
hanno dovuto subire spostamenti dai loro
paesi o dalle loro zone d’origine. Ma ora è
la pace. Fragile e indecisa, ma è pace. Forse proprio come una mucca da tener ferma. Ma intanto è pace. Spetta a tutte le
coscienze solidali del mondo e a tutti i governi democratici vigilare perché nessuno
pensi più alla guerra come all’unità di misura delle proprie giornate.
Facundo Cabral
In alto le chitarre per dare l’estremo saluto a un cantastorie della pace. Un filosofo
e umorista che amava definirsi «violentemente pacifista» e «vagabondo di prima
classe». Soprattutto negli ultimi anni, questo argentino dalla vita saggia e spericolata, aveva sviluppato un suo pensiero originale che affidava a una musica folk e
che definiva «anarchismo filosofico e contemplativo». Ragazzo di strada nato da
una famiglia poverissima, imparò a leggere e scrivere a 14 anni in un riformatorio grazie a un gesuita che lo convertì alla
vita con il Discorso della Montagna. A 74
anni, quasi cieco e con un tumore al pancreas, è stato ucciso con un colpo alla testa sparato a distanza. Aveva da poco terminato un concerto in una città del Guatemala. Forse anche in quell’ultima sua
esibizione aveva cantato: «Per il tempo
che ho vissuto, io vi posso insegnare che
l’amore non muore mai: solo cambia posto».
23
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Tonio
Dell’Olio
’è festa per le strade di Juba.
Come sanno fare gli africani. Con
danze e tamburi e campane. È il
9 luglio. Non è soltanto l’orgoglio
d’aver messo al mondo il 54mo
Stato africano, ma la speranza di
porre veramente fine a una guerra lunga,
disperata, sanguinosa... non una guerra
etnica o tribale come l’anno spacciata per
anni e anni in occidente. Non una guerra
del nord arabo e islamico contro il sud africano, animista e cristiano. È stata una
guerra per decidere il corso del Nilo e per
succhiare il sottosuolo ricco di petrolio e
di minerali preziosi. Nei miei frequenti
viaggi nel Sud Sudan sono sempre rimasto colpito della lucidità con cui, soprattutto gli anziani dei villaggi, riuscivano a
leggere la filigrana degli eventi. All’indomani della firma del trattato di pace un
anziano catechista mi riferì la sua interpretazione dei fatti con un proverbio africano: «Adesso voglio tenere ferma la mucca per poterla mungere meglio!». Visitando un villaggio non segnato sulle cartine
geografiche entrai in una capanna più
grande delle altre che veniva utilizzata
come scuola dai missionari. Mi avevano
chiesto di parlare dei motivi della guerra e
delle speranze di pace. e un giovane Dinka
mi chiese cosa intendessi quando pronunciavo la parola pace. Non intendendo bene
il senso della domanda, risposi con un concetto forse troppo astratto e con una definizione che faceva riferimento alla giustizia. Mi accorsi che non aveva afferrato.
Guardai il missionario che mi suggerì:
«Prova a chiedergli quanti anni ha e capirai». Quel giovane aveva 17 anni ma il conflitto durava ormai da 20 anni. Quel ragazzo era stato concepito. Era nato e cresciuto con la guerra attaccata alla pelle.
Dunque il giovane africano percepiva la
guerra come la normalità e non aveva mai
sperimentato nella sua vita, il silenzio delle armi. La risposta più semplice e più corretta era che la pace è non dover più fuggire davanti agli uomini in uniforme che arrivano nel villaggio a distruggere e semi-
UNITÀ SINDACALE
un compromesso
sensato tra dubbi
e contestazioni
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Fiorella
Farinelli
24
on è piaciuta alla Fiom, e neppure all’amministratore delegato
della Fiat, l’intesa interconfederale sulla contrattazione e sulla
rappresentanza siglata da Cgil
Cisl Uil e Confindustria il 28 giugno scorso. Si vedrà più avanti – il pronunciamento di validazione dell’ipotesi di accordo si concluderà solo il 17 settembre –
che cosa ne diranno gli iscritti alla Cgil.
Per Susanna Camusso, e per la maggioranza del suo direttivo nazionale, il bicchiere
è comunque più pieno che vuoto. L’intesa
«non è risolutiva, ma è importante, ferma
una deriva e ci consente di ripartire in
un’altra direzione e con altre modalità da
una stagione di profonda divisione».
Da quattro anni, in effetti, non si vedevano
più accordi nazionali unitari, l’ultima firma
Cgil è stata nel 2007, per un’intesa sul welfare. E allora a palazzo Chigi c’era Romano
Prodi. In seguito nelle categorie industriali
la pratica contrattuale unitaria è certo andata avanti, talora con buoni risultati, ma la
riforma della contrattazione del 2009 è stata sottoscritta con Confindustria solo da Cisl
e Uil e gli ultimi rinnovi contrattuali del pubblico impiego, dei metalmeccanici, del commercio hanno visto una Cgil sempre all’angolo. Esclusa ed autoesclusa.
N
una mossa abile e rischiosa
Bisognava rientrare in gioco, e recuperare
spazio e ruolo. Bisognava interrompere quel
nefasto processo di bipolarizzazione del
movimento sindacale per cui, se c’è un sindacato che dice sempre di no, ce ne sono
immancabilmente altri a dire sempre di sì.
Un suicidio, a lungo andare, per la Cgil, e
niente di buono neanche per i lavoratori.
Perché permettere l’affermarsi della strategia di un governo che persegue accanitamente la divisione del mondo sindacale? Perché
devono essere considerati validi anche per i
non iscritti a Cisl e Uil, anche per i non associati a nessun sindacato, accordi firmati da
sindacati che rappresentano solo una parte
minoritaria del mondo del lavoro? La divisione non aiuta mai la gente che lavora, e
tanto meno quando si devono fronteggiare i
tanti che, galvanizzati da Marchionne, vorrebbero imporre condizioni peggiorative rispetto a quelle previste dai contratti nazionali. Stabilendo anzi, tramite accordi o addirittura leggi, che a contare dev’essere solo
la contrattazione aziendale, dove i lavoratori sono di solito più deboli e più ricattabili,
proprio come è successo a Pomigliano e a
Mirafiori. Dobbiamo dare per scontata anche da noi l’americanizzazione delle relazio-
il compromesso
Ma è anche dei contenuti della carta che
oggi si deve discutere. Molti, nella Cgil e
nella politica, sostengono si tratti di una
mediazione al ribasso, di un cedimento
unilaterale, e su tutta la linea. Un sacrificio
troppo grande pur di rientrare in gioco. Ma
non è così. Il «compromesso» c’è, ovviamente, come in tutti gli accordi. Tra imprese e
sindacati, e anche tra le diverse anime del
sindacalismo confederale. Ma in questo
accordo, il primo della storia sindacale italiana in cui il timone è stato saldamente in
mani di donne, è stata essenziale la sponda
che Susanna Camusso ha trovato in Emma
Marcegaglia. Che aveva bisogno di un’intesa solenne e «perfetta», con tutti i sindacati
confederali nessuno escluso, per stoppare
la pretesa di Marchionne di liquidare, insieme alla contrattazione nazionale, il ruolo della stessa Confindustria. E quindi anche quello della sua presidente.
Di qui un testo che ribadisce la supremazia
sulla contrattazione aziendale su quella nazionale, a cui viene infatti affidato il compito di definire gli ambiti delle materie oggetto di eventuali deroghe da contrattare a
livello di singola azienda. Da un lato, dunque, si conserva il contratto nazionale – di
fatto l’unico presidio dei diritti fondamentali dei lavoratori e delle regole del lavoro
dipendente nelle tante aziende piccole e pic-
ROCCA 1 AGOSTO 2011
ni sindacali che negli Usa ha portato al crollo dell’influenza dei sindacati e al dilagare
dei poor workers, quelli a cui non basta avere un lavoro per sfuggire alla povertà?
Mossa abile e di buon senso, dunque, quella della segretaria generale della Cgil. Sebbene rischiosa, e non solo perché la espone alle contestazioni interne del potente
sindacato dei metalmeccanici e delle diverse correnti o frange di opposizione.
Le difficoltà oggi sono enormi e terribilmente concrete. Sono in una crisi che costringe i lavoratori a ingoiare arretramenti
di ogni tipo pur di conservare il posto di
lavoro. Sono nella crescente deideologizzazione del mondo del lavoro e nel tracollo di
fiducia e di consenso nei confronti della sinistra politica e sociale. Sono, soprattutto,
nell’esclusione dalla contrattazione collettiva e dai diritti conquistati con le battaglie
di decenni di quote sempre più grandi del
lavoro dipendente, frammentate, sottoccupate, precarizzate. Quello che sta scritto su
una carta, si sa, è importante, ma non è mai
tutto quello che occorre per non essere
sconfitti, o almeno per riuscire a resistere.
25
UNITÀ
SINDACALE
colissime del nostro apparato produttivo –
dall’altro si prevede la possibilità di procedere con la contrattazione aziendale a
un’adattabilità delle regole nazionali (anche
sull’orario di lavoro, anche sulla produttività) alla specificità dei contesti aziendali.
Un equilibrio difficile, esposto alle tempeste delle delocalizzazioni e di ogni altra
pressione ricattatoria: soprattutto, come
mette in evidenza la Fiom, nella fase transitoria in cui i contratti nazionali non
avranno ancora definito gli spazi e i vincoli delle possibili «deroghe». Ma anche
una messa in mora, almeno in linea di principio, dei tentativi di destrutturazione delle relazioni sindacali voluti da Marchionne e dei sogni di deregulation di buona
parte della politica.
Non sono venute a caso – e per il momento portano acqua agli argomenti della Camusso – le proteste, tramite lettera formale a Confindustria, dell’amministratore delegato della Fiat, a cui proprio non va giù
che in Italia non si possa ancora spadroneggiare liberamente azienda per azienda
senza dover rispettare quanto sancito nei
contratti nazionali. Sarà anche questo un
argomento per venir meno agli impegni di
investimento nelle aziende Fiat italiane?
chi rappresenta chi
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Risultati meno problematici per il sindacato, e soprattutto per la Cgil, ci sono invece nel campo delle nuove regole sulla
rappresentanza. Campo minato dalla presenza di diverse tradizioni sindacali, quella della Cisl più orientata a sostenere il peso
dei soli iscritti, e quella della Cgil che, anche nel momento della scelta delle rappresentanze, guarda anche alla platea dei non
iscritti. Difficoltà antiche cui si sono aggiunte quelle, appunto, dei recenti accordi «separati». Com’è possibile l’erga omnes, cioè la validità per tutti i lavoratori di
ciò che viene concordato tra le parti, senza una verifica della rappresentatività effettiva di chi firma. In presenza di divisioni tra Cgil Cisl Uil le associazioni dei datori di lavoro hanno sempre preteso che l’efficacia dei contratti ci fosse comunque, la
magistratura viceversa ha sempre contestato questo orientamento, ma intanto,
senza una misurazione del consenso delle
diverse sigle sindacali, l’articolo 39 della
Costituzione sulla rappresentanza sindacale e quindi sul diritto alla contrattazione continuava ad essere eluso.
La svolta arriva oggi, finalmente, e con una
soluzione che miscela in modo equilibrato le diverse sensibilità sindacali. La misu26
razione si farà con un criterio ponderato
che tiene conto, da un lato delle iscrizioni
certificate dall’Inps, dall’altro del consenso ottenuto dalle liste sindacali nelle elezioni delle Rsu, quindi anche dei lavoratori non iscritti a nessun sindacato. Finisce,
insomma, l’era della «rappresentatività
presunta» e anche quella delle rendite di
posizione, mentre viene fissato al 5% la soglia di rappresentanza che consente a
un’organizzazione sindacale di accedere a
un ruolo contrattuale. Piuttosto equilibrate anche le clausole di validazione degli
accordi, che limitano il ricorso al voto di
tutti i lavoratori ai soli casi in cui non ci
sia il consenso pieno delle Rsu e in cui il
30% dei lavoratori lo richieda.
incapacità e frantumazioni
E tuttavia anche tra chi riconosce l’importanza del recupero di un ruolo protagonista da parte della Cgil, i dubbi e le contestazioni per ora ci sono. Forti, puntuali, a tratti convincenti. Preoccupa che ci possano
essere intese che «in situazioni di crisi o di
investimenti significativi» prevedano «tregue» del conflitto sindacale, anche se viene
specificato che questo riguarda solo le organizzazioni che le firmano e non può mai
significare un limite al diritto di espressione di dissenso dei singoli lavoratori.
Inquieta il rischio di un’eccessiva frammentazione delle regole – dei diritti e dei doveri
– attraverso la contrattazione aziendale «in
deroga», a fronte sia dell’incapacità dei sindacati a livello europeo di misurarsi con le
multinazionali a partire da regole condivise, sia della frantumazione attuale del mondo del lavoro dipendente. Dietro tutto ciò
l’evidente perdita di iniziativa e di autonomia dell’intero sindacalismo europeo. Ma
soprattutto, in Italia, lo choc di una Fiat per
decenni l’azienda italiana per eccellenza e
il centro delle relazioni sindacali nell’industria, che ha ormai la testa e gli interessi di
là dell’atlantico; il calvario delle delocalizzazioni; l’erosione, fabbrica per fabbrica, di
quanto previsto dai contratti nazionali; i
colpi di un governo e di una classe politica
ostile al mondo del lavoro dipendente e indifferente ai suoi problemi.
L’intesa, ha proprio ragione Susanna Camusso, «non è risolutiva», e il tentativo di ricostruzione di un’iniziativa sindacale unitaria
è ancora tutto da fare. Ma senza questa ultima intesa, e senza la firma Cgil sotto questo
testo, la situazione sarebbe migliore? Sostenerlo sembra davvero poco sensato.
Fiorella Farinelli
ETICA
la morale
del convivere
i peccati non confessati
Enrico Chiavacci
ROCCA 1 AGOSTO 2011
N
oi veniamo da una plurisecolare tradizione che ignora il
tema morale specifico del ‘convivere’. Ciò non deve meravigliare. Gli esseri umani, fin da tempi storicamente
indagabili, sono sempre nati e vissuti in gruppi ben definiti, con regole di comportamento valide – e insegnate e
collegate a sanzioni varie – all’interno del gruppo. Il gruppo originario era in genere di carattere familiare, legato e
guidato da un capostipite, l’anziano (o gli anziani) del
gruppo. Gradualmente nacquero i contatti fra gruppi
27
ETICA
ROCCA 1 AGOSTO 2011
e la formazione di unità più o meno politiche, ma sempre inevitabilmente approssimative.
Ricordiamo che il mezzo di comunicazione più veloce, sia per i singoli che per le
autorità sovrane, era solo il cavallo. Ferrovie, telegrafo, auto, si svilupperanno solo
dalla seconda metà del XIX secolo: tempi
quindi storicamente recentissimi.
Ricordiamo anche che la pubblica autorità era scaglionata, in genere a vari livelli e
non senza fratture o discordie: San Paolo
non volle esser giudicato dal potere locale, ma dal potere supremo dell’imperatore
romano. Dopo più di un millennio San
Tommaso definirà la legge, molto cautamente, come un precetto comune, giusto
e stabile, promulgato «ab eo qui curam
habet communitatis». L’idea di Stato sovrano così come lo conosciamo oggi è nata
solo fra il 1400 e il 1500, anticipata solo in
qualche misura da Francia e Inghilterra.
«Un popolo su un territorio, sotto un governo»: è questa l’idea di Stato sovrano che
ancora oggi è dominante, ed è l’ambito in
cui è nata e si è sviluppata la dottrina sociale della Chiesa, a partire dall’enciclica
Immortale Dei di Leone XIII del 1885 «Sulla costituzione degli Stati», anticipata di
poco dalla Diuturnum (1881) «Sul principato politico».
Ma oggi il tema del ‘sociale’ deve andare
ben oltre. Esso riguarda tutti i possibili
rapporti fra esseri umani. E ogni vita umana è inevitabilmente segnata dagli innumerevoli rapporti – diretti o indiretti – con
altri esseri umani. La teologia morale è stata – ed è ancora per molte istituzioni teologiche – legata ai dieci comandamenti. Ma
si è dimenticata del comando del Signore
‘ama il prossimo tuo come te stesso’ e della Sua definizione di ‘prossimo’ nella parabola del buon samaritano. E il Signore
stesso morì pregando per chi lo uccideva.
La riflessione teologico-morale deve dunque esser profondamente ripensata.
Ogni essere umano dipende fin dalla nascita dagli altri esseri umani, e in vari modi
– una volta cresciuto e consapevole delle
sue scelte – avrà influenza e subirà influenza nei tanti rapporti, diretti o indiretti, con
altri esseri umani. Ogni bambino impara
a parlare, a ragionare, a scegliere da altri
esseri umani. Appena cresciuto, consape28
volmente o inconsapevolmente, con le sue
scelte influirà e subirà costantemente l’influsso su e da innumerevoli esseri umani,
e quasi sempre senza rendersene conto.
Si pensi alla scolarizzazione dall’asilo all’università: essa è tutta, e per principio,
una presa di contatto attiva e passiva con
gli altri. E gli altri sono di tanti tipi diversi: compagni, insegnanti, autori di libri di
testo, ma anche autori classici che si leggono e possono appartenere a un passato
anche molto remoto: il giovane non subisce e incamera passivamente questa mole
di dati, ma in qualche misura sempre –
almeno nel suo interno e senza rendersene conto – interagisce con essi, più o meno
consapevolmente.
E infine occorre prestare molta attenzione alla crescente mobilità internazionale,
dovuta soprattutto allo sviluppo delle molte linee aeree, con riduzione dei costi e
forte aumento della domanda. Negli ultimi venti anni l’aereo ha cessato di essere
una prerogativa dei ricchi. La mobilità internazionale e intercontinentale in aereo
è ormai una normalità, e non è facile prenotare un volo solo uno o due giorni prima della partenza. Ciò comporta una presa di contatto diretta con altre culture, altre usanze, altri modi di convivere: si apprende che si può vivere e convivere in
modi diversi ma con pari umanità. Chi scrive ricorda la quasi solennità vigente in aeroporto e in volo degli anni ’50-’60, e l’attuale clima quasi da metropolitana, ed è
testimone diretto del graduale passaggio
da una mentalità nazionale a un sentirsi
parte di una comunità umana. E questo è
tuttora in rapido sviluppo.
Tutto ciò impone alla riflessione morale
in genere, e a quella cristiana in particolare per la radicalità e l’universalità del suo
annuncio, un serio ripensamento che stenta a emergere. Occorre dunque fermarsi a
riflettere.
passare oltre
Amare il prossimo è indubbiamente il supremo comandamento del Signore, comandamento non contenuto nel decalogo
e quindi ignorato nella catechesi normale
di un passato recente (e spesso anche odierna). Si osservi come tutta la catechesi mo-
le. Io devo vivere sempre con e per l’altro,
chiunque esso sia e comunque esso mi si
presenti.
E ciò vale anche per la comunicazione di
massa, che oggi assume forme e pone problemi impensabili fino ad anni molto recenti e quindi sconosciuta a tutta la tradizione morale cristiana recepita. Essa pone
problemi morali nuovi e gravissimi, su cui
manca ancora una seria riflessione etica
in genere e cristiana in specie: è anch’essa
una forma relativamente nuova e importantissima del mio rapporto con gli altri.
Io stesso, mentre sto scrivendo, sono attore di una comunicazione di massa (prevedibilmente di una massa assai piccola)
destinata cioè a un uditorio indeterminato e a me sconosciuto: ma è un uditorio
che io devo amare. E questo vale per ogni
comunicazione di qualunque genere – parlato, scritto, visivo – diretta a un pubblico
indeterminato. È questa un’area dei comportamenti umani relativamente nuova,
che di giorno in giorno si amplia, e che deve
pesare profondamente sulla riflessione etica cristiana.
il sociale nella vita di famiglia
In quest’area il primo problema è il neonato e il figlio piccolissimo. Egli ha già in
memoria molte sensazioni – soprattutto
uditive – ricevute negli ultimi mesi di gravidanza. Ma fin dalla nascita sorge il rapporto fisico con l’ «altro». Tutto quello che
vede o che sente resta nascosto in memoria, e col passare degli anni influisce sul
suo comportamento e anche sui suoi pensieri. Non vi è parola o gesto che in qualche modo, pur minimo, non lo condizioni.
Ogni tono di voce, ogni gesto, lo condiziona, ed è proprio qui che si impara a convivere e ad amare. Non basta il bacetto o la
carezza.
Ma il problema morale permanente è quello che potremmo chiamare ‘lo stile di vita’
in famiglia. E qui le situazioni sono tante
e diversificate: ma in qualunque occasione deve prevalere il Vangelo. E deve prevalere innanzi tutto nel rapporto fra coniugi.
È tale rapporto che segna tutta la vita della famiglia, e in primo luogo dei figli. È
tale rapporto che – per primo – insegna ai
figli ancora piccoli uno stile di conviven29
ROCCA 1 AGOSTO 2011
rale, e con essa la teologia, mirata a preparare preti per le confessioni, conosca in
pratica solo precetti di divieto – con l’eccezione dei doveri fondamentali verso Dio,
ma anche in essi prevale il momento negativo (non andare alla Messa la domenica, non dire le preghiere).
Il Vangelo chiede ben altro che il non-fare.
Chiede invece di vedere in ogni essere
umano un fratello da amare e servire: non
è rilevante, e tanto meno discriminante,
che si tratti di uno straniero, del colore
della pelle, di un amico o un nemico (per
il cristiano la stessa parola ‘nemico’ non
dovrebbe avere senso), di un uomo o di
una donna, del modo di vestire, dello stesso senso di simpatia o antipatia che mi suscita. Nella parabola del buon samaritano
Gesù lascia indeterminato il ferito: ‘un
uomo’. Ma determina bene i passanti: i
buoni ebrei, dediti al tempio e anzi al culto, passano oltre. Il samaritano, considerato eretico o miscredente, si ferma: non
gli interessa chi sia, gli interessa solo che
ha bisogno di aiuto, e glielo offre largamente. Il grande peccato per il cristiano,
che professa un minimo di fede nel Signore, è il passare oltre.
Il passare oltre è purtroppo la normalità
nella vita del cristiano, e anche direi di
gran parte della Chiesa ufficiale. Certo, in
quasi tutte le diocesi vi è un ufficio per la
carità. Certo associazioni variamente caritative esistono in molte città e parrocchie, in genere con finalità specifiche. E
questo è una cosa buona, ma la carità non
si esaurisce in un’associazione o in finalità specifiche.
In ogni essere umano con cui, anche casualmente, entro comunque in rapporto io
devo vedere il Signore. Analizzeremo nel
seguito le principali situazioni di incontro. Ma ogni situazione di prossimità – su
strada, in viaggio, in un bar – è sempre per
il cristiano una chiamata, una silenziosa
presenza della chiamata divina.
E del resto è comune esperienza che un
incontro, anche silenzioso, casuale, con
perfetti sconosciuti, resta in qualche modo
in memoria, e costituisce – sia pure in minima e subcosciente memoria – una pur
minima parte del mio essere ‘io’. Ma lo stesso vale anche per l’altro, e qui nasce la radice della vera morale che è sempre socia-
ETICA
ROCCA 1 AGOSTO 2011
za, di dialogo, e anche di sopportazione
dell’altro nella sua diversità. E la diversità
di opinioni, la discussione su scelte da fare
o su avvenimenti del giorno, e anche sul
tema della religione, deve sempre essere
discussione serena, rispettosa dell’altro.
Uno scontro verbale duro – per non parlare di fisico – non deve mai avvenire in presenza dei figli. Nel rapporto fra genitori i
figli trovano la prima scuola di vita sociale.
Ma, a prescindere dai figli, gli sposi debbono sempre ricordare le reciproche promesse del loro matrimonio. E la vera promessa – quella veramente fondamentale –
è la condivisione di vita, espressione particolarmente forte dell’amore del prossimo.
Nel matrimonio il con-vivere, doveroso in
forme diverse per ogni rapporto interumano, assume la sua forma più piena. Non a
caso Paolo paragona il matrimonio alla
fedeltà di Cristo alla sua Chiesa. La reciproca dedizione nella gioia e nel dolore,
nella salute e nella malattia, indica qualcosa di ben più profondo. Si tratta di convivere rispettando sempre la diversità dell’altro: una diversità che vi è sempre, e in
forme ed aree di vita diverse,
Si pensi all’atteggiamento di fronte alla
religione, alla vita politica, all’atteggiamento di fronte ai figli e agli altri familiari ed
amici o ad altre simili aree d dissenso stabile. Con-vivere non vuol dire esser d’accordo su tutto, ma accettare e rispettare la
diversità ed eventualmente saper giungere a quelle mediazioni e compromessi che
rendano possibile una serena e reciprocamente rispettosa convivenza.
È nella quotidianità, spesso nella durezza,
della convivenza che si impara uno stile di
convivenza, stile che poi si riflette in ogni
altro rapporto interumano. È questo un
punto su cui scarsamente si riflette, ma che
ritengo importante per un’autoeducazione al vivere sociale. Fino a pochi decenni
or sono, la vita familiare era compatta, era
un’area chiusa e privilegiata di convivenza. Oggi il nostro modo di vivere e convivere è cambiato. La famiglia non è più il
luogo ‘normale’ di convivenza. Ognuno è
impegnato in un mare di amicizie, contatti di lavoro, associazioni varie; e ciò vale
sia per i genitori che per i figli. Ma anche
in questa nuova, e ormai permanente,
moltiplicazione della vita associata la fa30
miglia deve esser vista come luogo privilegiato di amore e di con-vivenza: solo di qui
può nascere – e per i giovani maturare –
una ‘logica di convivenza’ che rispecchi il
Vangelo. Forse l’annuncio cristiano sulla
famiglia non ha ancora pienamente compreso l’importanza che la vita familiare ha
sulla vita sociale in generale. E forse non
ha ancora pienamente compreso – al di là
di qualche lamentela generica – l’impatto
che una realtà sociale in continua mutazione, che verrà discussa nel seguito, ha
sulla concezione stessa della vita familiare.
È comunque indubbio che, rispetto a un
passato anche recente, ognuno ha in genere due rapporti distinti – e spesso contrastanti – fra la vita e lo stile di vita familiare
e la vita associata nella sua odierna complessità. E la complessità è ancora maggiore nel campo dei rapporti telematici,
pubblici e privati, con gli ‘altri’, chiunque
essi siano e dovunque risiedano sulla faccia della terra. Si tratta di una capacità di
comunicazione planetaria completamente nuova, indubbia e sempre crescente, sui
cui problemi morali e sull’impatto con la
vita familiare manca ancora una approfondita riflessione morale, e anche specificamente cristiana. Quale sarà il futuro del
concetto stesso di comunicazione interumana, e della sua incidenza sulla vita familiare, nessuno può dirlo. Avremo occasione di riparlarne.
il sociale e la comunicazione
Non esiste vita sociale senza comunicazione, sia essa verbale, visiva, comportamentale. E ogni forma di comunicazione, presente o futura, per il cristiano deve sempre esser dominata dall’amore, chiunque
sia il ricevente: noto o ignoto, vicino o lontano, e tale anche nel tempo. Un libro, un
filmato, una registrazione o simili permangono nel tempo: si pensi ad Aristotele o
Platone nel nostro campo dell’etica, o a
Omero e ai tanti poeti greci o latini. Tutti
sono ancora presenti attivamente nella
nostra civiltà, e anche – direttamente o indirettamente – nel nostro animo. Del resto la guida morale fondamentale per il
cristiano è la Bibbia, e alla Messa si leggono e si meditano testi scritti, di cui alcuni
ogni parola dura, ogni pur modesta aggressione fisica, resta sempre nella memoria
dell’altro, sia in forma cosciente che incosciente, e influisce sempre in qualche
modo, consapevole o inconsapevole, sui
suoi futuri pensieri e comportamenti.
Ma questo vale anche per ogni forma di
rapporto con l’altro, chiunque esso sia. E
questo conduce a un gravissimo problema
morale, quasi completamente ignorato sia
dai singoli cristiani che dai trattati di morale cristiana. Si tratta del tema della violenza fisica. Il momento fisico è normale
nel rapporto con l’altro: il sorriso, l’abbraccio, lo sguardo di approvazione o riprovazione, ma anche la foto che teniamo accanto al letto, tutto rientra nella normalità quotidiana. Ma l’aggressione fisica,
modesta o robusta che sia, dovrebbe esser
sempre e severamente bandita dalla vita
del cristiano, prescindendo dalle possibili
conseguenze fisiche. Nella mente dell’altro ciò provoca inevitabilmente un’umiliazione e insieme il desiderio di reagire. È
comprensibile la piccola violenza dei bambini e dei giovanissimi, che non conoscono altra possibilità di affermarsi o di reagire. Ma essi vanno gradualmente educati: è un’educazione che manca. Anzi, spesso si elogia il ragazzino che non si lascia
sopraffare o che tenta di affermarsi di fronte all’altro.
Purtroppo non esiste nessuna seria tradizione nella prassi dell’educazione morale in
materia. Si guarda invece con implicita o
esplicita approvazione il ragazzino che dice:
«me ne ha date tante, ma gliel’ho rese tante». Ma il tema dovrebbe estendersi al rispetto esteriore e interiore della persona fisica dell’altro, e questo in ogni settore: penso al disprezzo di tanti ottimi cristiani per
il povero mendicante – tanto più se è uno
straniero esule per miseria – seduto sul bordo del marciapiede. Qui sembra – e non solo
sembra – che l’annuncio morale cristiano
non abbia niente da dire. E invece parroci,
preti, catechisti, buoni cristiani, dovrebbero dire, e dire molto e apertamente.
la violenza come normalità
È oggi urgente riflettere seriamente sul
tema della violenza. Oggi infatti la violenza è la normalità in tutte le situazioni di
31
ROCCA 1 AGOSTO 2011
vecchi di quasi 3000 anni.
Ma si pensi anche alla comunicazione non
verbale, al come noi ci presentiamo agli
altri, noti o sconosciuti che siano. Valga
un esempio di vita quotidiana di tutti noi:
quante volte, dovendo uscire o incontrare
qualcuno in casa, ci domandiamo «che
vestito mi metto?», e cioè «come voglio
comparire di fronte ad altri?». Queste domande e molte altre simili pongono sempre un problema morale, anche se in genere non ce ne accorgiamo: e qui si comprende la vera dimensione della cosiddetta ‘morale sociale’. Nella realtà quotidiana
la comunicazione può assumere molti
aspetti, dei quali ogni cristiano dovrebbe
esser cosciente, e cristianamente cosciente. Ne esamineremo alcuni, fra i tanti che
nuove possibilità tecnologiche sempre più
ci offrono: per il cristiano il moltiplicarsi
delle forme di convivenza – fisiche e telematiche – è in linea di principio un bene.
Ricordiamoci che il Signore ci ha chiesto
di annunciare il Vangelo a ogni creatura: e
il moltiplicarsi di tale possibilità è anche
una sfida alla coscienza.
Nell’ambito familiare e delle amicizie e
convivenze di prossimità costanti – stessa
casa, stesso luogo di lavoro, stessi luoghi
di ritrovo – vi è la conoscenza della vita,
della personalità, delle opinioni dell’altro.
Vi è una costante possibilità di offrire noi
stessi – e il Vangelo – nei modi e nella misura che sono possibili e adeguati alle varie situazioni.
Ma è da notare che in quest’ambito è facile
– e direi normale – che vi siano confronti,
critiche, disaccordi. E qui, nella quotidianità delle piccole cose, è facile e normale
che vi siano scontri momentanei, parole
dure o gesti inconsulti. È normale, e anche
comprensibile in una stabile convivenza,
che tali momentanei scontri vi siano, e siano anche frequenti. Ma il cristiano non può
mai dimenticare il Vangelo, tanto meno in
famiglia. La componente spontanea di rabbia deve essere controllata: la mancanza di
autocontrollo in ambiente familiare (e anche amicale) è qualcosa a cui in genere si
dà poco peso, ma che se frequente può indurre gravi conseguenze di cui, sul momento, non ci rendiamo conto. E in linea generale vi si dà poco peso.
Invece occorre tener sempre presente che
ETICA
ROCCA 1 AGOSTO 2011
convivenza umana. E non si tratta solo di
violenza fisica deliberata: oggi è sempre
più crescente la convinzione che occorre
farsi largo nella vita quotidiana, non importa se per questo devo violare la persona fisica o i diritti – scritti e non scritti –
dell’altro. Occorre «farsi largo nella vita»,
non «farsi prossimo», e in genere a scapito degli altri. Ciò è direttamente contrario
al Vangelo, ma sta divenendo prassi comune, neppure remotamente percepita come
il rovescio del Vangelo e della fede cristiana.
Chi mai oggi si sente in peccato per esser
passato davanti agli altri in una lunga coda,
sia in auto che davanti a uno sportello qualsiasi? ‘Farsi furbi’ è una normalità, e anzi
un vanto.
Chi mai oggi si sente in peccato per esser
riuscito a non pagare una tassa dovuta? E
in specie chi mai si sente in peccato per
una dichiarazione dei redditi inferiore alla
realtà?
Chi scrive è un vecchio parroco, che nel
mese di maggio sempre ricorda alla Messa domenicale il dovere di una onesta e
veritiera dichiarazione dei redditi. Alcuni
anni or sono era presente alla Messa un
vescovo, venuto per cresimare. E dopo la
Messa mi disse: «mi ha sorpreso il richiamo sulle tasse fra gli avvisi parrocchiali:
io non ci avevo mai pensato, ma hai fatto
bene».
Chi mai oggi si sente in peccato per essersi sentito disturbato, e in cuor suo adirato,
dalla presenza del misero, e in specie del
misero straniero o di colore, lungo le strade? «Ma vai a lavorare a casa tua!» è il commento che io ho spesso sentito, con varianti
assortite. «Sono sudici» si dice; «sono
straccioni» si dice. Ma dove mai potrebbero avere bagno o doccia quotidiana, o un
armadio con vestiti decorosi?
Sono domande terribili, su cui in parte
dovremo tornare più in dettaglio. Ma già
nella loro quotidianità mostrano come la
vita di tanti buoni cristiani, che si dichiarano tali e spesso sono sinceramente credenti e praticanti, sia una vita quotidiana
che ignora il Vangelo. Ed è terribile il silenzio dei catechismi e dei manuali di
morale in materia, non certo trascurabile
o irrilevante, di amore del prossimo: chiunque esso sia, povero o ricco, bianco o nero,
32
pulito o sudicio, è sempre un essere umano. E il Signore, nella parabola del buon
samaritano, lascia indeterminata la specificità del ferito (un uomo) mentre lascia
ben chiara la specificità di chi passa oltre
(veri credenti e addetti al culto).
la violenza privata
La violenza fisica (e anche verbale) fra privati deve essere senza esitazione e sempre
condannata dall’annuncio cristiano, qualunque sia l’offesa subìta. Ciò purtroppo
non avviene. E la violenza fisica o anche
verbale oggi dilaga, ed è vista quasi come
un diritto: l’affermazione di sé di fronte
all’altro, la voglia insana di dimostrarsi
superiore all’altro – sia in offesa che in difesa – sono ormai qualcosa di socialmente
accettato come del tutto normale.
Forse non ce ne accorgiamo, ma ormai si
vive in una società che è intrinsecamente
violenta. Violenze e uccisioni in famiglia
sono quotidianamente presenti sui giornali: i normali e inevitabili screzi familiari
sempre più si risolvono in violenza fisica,
fino anche all’uccisione fra padri e figli,
mariti e mogli. I pochi casi che leggiamo
sui giornali, quasi ogni giorno, ci mostrano solo la superficie estrema di una realtà
ben più ampia e profonda: sta sorgendo
una forma di incapacità di convivere: la
violenza fisica – e direi anche verbale –
domina nell’animo di molti, in qualunque
area della vita (inevitabilmente) comune.
Si pensi all’assurdità totale delle violenze
fisiche, oltre che verbali, fra gruppi di sostenitori di una squadra di calcio: non solo
dopo una partita, ma anche prima. Gli ‘altri’, conosciuti ma più spesso del tutto sconosciuti, sono sempre i nemici. Nemici
comunque da insultare e picchiare, anche
prima di aver vinto o perso una partita. La
rivalità sportiva è comprensibile, ma sempre ricordando che l’avversario è sempre
un essere umano, da amare e rispettare
solo perché è tale. Fra parentesi va sottolineato che ogni danneggiamento dei treni
da parte di tifosi, entusiasti per la vittoria
o arrabbiati per la sconfitta, è sempre un
furto al popolo italiano, e quindi alla parte
più debole di esso che ha bisogno di aiuto.
Quasi tutte le ferrovie in Italia sono finan-
la violenza sulla strada
La strada è luogo di violenza assai diffusa,
violenza fisica ma talora anche morale,
spesso trascurata dall’annuncio morale
cristiano: la responsabilità di fronte a Dio,
per l’utente della strada, è praticamente
inesistente. E invece è una responsabilità
gravissima.
Ogni città grande deve contare ogni giorno i morti e i feriti causati dalla strada.
Ma la strada non ha una coscienza: ce
l’hanno invece quelli che guidano veicoli
di ogni tipo, e sembra che non se ne accorgano: sulla strada il quinto comandamento sembra non esistere, per non parlare
dell’amore del prossimo. Sulla strada il
prossimo è considerato quasi sempre un
noioso nemico, sia esso un pedone o un’altra auto. L’amore del prossimo è un precetto dato dal Signore prima che esistessero le auto. Sulle strade con le attuali
moto e auto non vale più. Così sembra pensare l’autista in Italia e in altri Paesi, ma
non in tutti. Vi sono ovunque i codici della
strada: ma il cristiano non può fermarsi
alla osservanza dei codici. Deve voler bene
all’altro, e rispettarne a ogni costo l’integrità fisica: da ogni porta può emergere di
corsa un bambino, a ogni angolo vi può
essere una vecchietta che cammina lentamente, anche fuori degli attraversamenti
consentiti. E di casi simili ve ne sono tanti.
Ma la prima regola generale è rispettare il
codice: questo rispetto è importantissimo,
non tanto per evitare le possibili multe
quanto perché l’altro – pedone o autista che
sia – si aspetta che tu l’osservi e si comporta di conseguenza (e questo vale anche per
ogni altro codice civile).
La seconda regola generale è tenere il veicolo costantemente all’ordine con controlli
periodici, in specie su freni, gomme e luci:
sono gli elementi essenziali, molto più di
un guasto al motore, per il rapporto col
prossimo sulla strada.
La terza regola, al di là di ogni codice, è
non tentare di prevedere quello che farà
un pedone (e anche un ciclista): ricordiamo che sono esseri umani, e come tali possono avere gravi preoccupazioni tali da distogliere l’attenzione dovuta, possono essere persone anziane non abituate alle regole della circolazione stradale, possono
essere ragazzini ancora inesperti e facilmente distratti. Chi scrive ricorda che in
Giappone fu avvertito che la presunzione
di non-colpevolezza nella circolazione stradale è sempre per il più debole. E per il
cristiano l’attenzione al più debole dovrebbe essere una norma generale – e non solo
stradale – di convivenza.
una violenza generalizzata
Oggi siamo in presenza di una violenza generalizzata, presenza in ogni ambito di convivenza, stabile o occasionale che sia. Ma
non si vede un egualmente generalizzato
annuncio cristiano in materia. Eppure il
Vangelo – e in specie l’esempio della vita di
Gesù – non lascia dubbi o spazi di liceità.
Riteniamo che dietro a questa così diffusa
realtà vi sia un egoismo e una paura generalizzata dell’altro come potenziale nemico o ostacolo alla affermazione di me. L’affermazione di sé di fronte all’altro , comunque e dovunque, è ormai qualcosa di naturale e di ovvio anche per il buon cristiano.
Chi scrive ha ormai 60 anni di esperienza
in confessionale, e quasi mai il penitente si
accusa di mancata bontà, di rancore, di
sopraffazione verbale o fisica dell’altro: solo
dietro precisa domanda del confessore vengono fuori molte cose, cose che però il penitente non ha mai imparato né al catechismo né alla predica domenicale.
33
ROCCA 1 AGOSTO 2011
ziate dallo Stato. Ma a questo i tifosi (e non
solo loro) non pensano affatto. Tu, tifoso
scalmanato o viaggiatore sconsiderato, non
danneggi un vagone ma il tuo stesso popolo.
E qui si impone una breve riflessione sul
danneggiamento di beni pubblici. Che siano di proprietà dello Stato o di altro ente
pubblico, danneggiare i beni pubblici è
sempre un furto al popolo: ripararli costa,
e ciò riduce la disponibilità di spesa dello
Stato o dell’Ente pubblico per le necessità
del popolo: il che vuol dire in pratica una
riduzione delle capacità di sostegno dei più
deboli. Sostanzialmente il danno a un bene
pubblico si riconduce sempre ad un furto
ai più deboli della comunità.
ETICA
Forse per semplicità catechistica la morale cristiana consiste soprattutto nel non
fare: la ricerca, la preoccupazione e – direi
– l’ansia cristiana per il bene fisico e spirituale dell’altro sembrano cose estranee all’annuncio morale cristiano. Troppo si è
dimenticata la conclusione della parabola
del buon samaritano: «vai, e fai tu altrettanto». Preoccuparsi del bene materiale,
mentale e spirituale dell’altro sembra al
cristiano (e ai catechisti laici o preti che
siano) qualcosa di accessorio, o di supererogatorio: è invece l’essenza del Vangelo,
di quel Vangelo che noi non annunciamo,
se non come vaga e generica raccomandazione.
la convivenza entro strutture:
lo stato sovrano
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Convivere in una società complessa richiede regole di comportamento che siano osservate da tutti i membri, e perciò anche
munite di sanzione. Da questa esigenza
nasce lo Stato moderno, col triplice potere legislativo, esecutivo, giudiziario. Vi
sono molte varianti nel mondo. In uno Stato vi possono essere aree diverse, con tradizioni, esigenze e storie diverse, e quindi
con la necessità di differenze legislative:
sempre però entro i limiti riconosciuti dall’autorità centrale. Si pensi agli Stati Uniti
d’America, o alle regioni italiane, o a Stati
molto ampi con culture, lingue e tradizioni antiche diverse, come l’India o la Russia o la Cina. Ma sempre nel quadro di
un’autorità centrale.
In qualsiasi sistema di governo, centrale o
locale, le leggi devono sempre esser rispettate (con le eccezioni che vedremo in seguito). E questo vale anche per le leggi non
scritte, ma in vigore e accettate dai membri di un gruppo relativamente autonomo,
come ad esempio avviene ancora in alcune aree dell’Africa.
Quale che sia la fonte delle regole comuni
di comportamento, esse vanno osservate:
potranno naturalmente esser cambiate col
cambiare di situazioni sociali o di sistemi
di governo. Ma dovranno sempre essere accessibili da tutti per poter essere da tutti
osservate.
L’osservanza delle leggi è sempre dovero34
sa sul piano morale per due ragioni fondamentali. La prima ragione è che le leggi
riguardano – almeno in linea di principio
– il bene e la convivenza pacifica della comunità: nessuna legge è perfetta, e ogni
legge pone limiti alla libertà personale. Potrà e dovrà essere modificata, ma sempre
in vista di una migliore regolazione della
convivenza, e con una (almeno implicita)
accettazione della comunità. Ma fin che
sussiste deve essere osservata.
Ma il dovere di tale osservanza deriva anche da un’altra ragione, scarsamente presa in considerazione ma di grande rilevanza morale: l’altro si attende da me che io
mi comporti secondo la legge. Violare la
legge, o comunque tentare di violarla, è
sempre un tradire l’altro (e la comunità in
genere). Si pensi alla circolazione stradale
o al pagare le tasse: nel primo caso io tradisco le attese ragionevoli di ogni altro
utente della strada; nel secondo caso, assai più grave, io tradisco le attese del mio
stesso popolo, e sempre a danno dei più
deboli.
pagare le tasse
Pagare le tasse è sempre un dramma per
tutti. Ci riferiamo qui principalmente alla
tassa sul reddito. Essa è la principale fonte di reddito per lo Stato. Ogni Stato ha
una serie di spese fisse, necessarie per il
suo funzionamento: si pensi a ragionevoli
stipendi per tutti i suoi dipendenti; si pensi alle spese per un minimo di servizio militare o a un adeguato servizio civile. Si
pensi al sistema di sicurezza e cioè a polizia ed esercito, o al sistema carcerario o
giudiziario, o al dovere di offrire scuole
adeguate e di qualità buona eguali per tutti, e per tutti accessibili (così come vuole
la Costituzione Italiana).
Ma in ogni Paese, e specificamente in Italia, esistono masse di poveri, generate dalle cause più varie. Disoccupazione, pensioni insufficienti a sostenere un minimo di
abitazione e di cibo, anziani soli e senza
sostegno, immigrati o profughi da situazioni insostenibili, e molte altre cause ancora, fanno sì che viviamo in una realtà in
cui non la povertà in qualche modo sostenibile, ma una realtà tragica di situazioni
poteri e limiti dello Stato
Si deve obbedire alla legge. Ma la legge non
può essere arbitrio dei detentori del potere
legislativo, anche se eletti. In ogni Paese
democratico vi è una ‘Costituzione’, che
definisce lo Stato nelle sue finalità e procedure: una Costituzione scritta o orale e comunque frutto di una stabile tradizione. È
la Costituzione che definisce lo Stato, nei
suoi compiti e nei suoi limiti, e ne garantisce la permanenza. Nello Stato dunque non
esiste il potere di un singolo o di un gruppo. I tre poteri classici, e necessari, legislativo, esecutivo e giudiziario, di uno Stato
sono sempre sottoposti alle direttive, finalità e limiti definiti dalla Costituzione.
Ogni atto esecutivo (di governo), ogni scelta legislativa deve esser finalizzata (o almeno non contraria) al bene della comunità, e mai a interessi di parte, siano essi
personali, civili o economici.
E qui si apre una riflessione triste, ma necessaria quando il potere legislativo è – come
è bene che sia – frutto di una scelta che in
qualche modo coinvolge tutto il popolo.
Il parlamentare, comunque eletto, deve
sempre curarsi del bene comune, e non
invece degli interessi particolari di classi o
gruppi che lo hanno scelto e fatto votare.
Ciò spesso non avviene, mentre la Costituzione italiana specifica che il parlamentare deve agire «senza vincolo di mandato».
Ciò in genere non avviene. Vi è infatti per il
parlamentare il rischio di non esser riproposto in successive elezioni; e per chi è di
prima nomina col rischio aggiunto di per-
dere la pensione di parlamentare. Ma più in
generale un parlamentare vota sempre (o
quasi) secondo le direttive del partito che lo
ha fatto eleggere, anche se il voto è segreto.
E il rischio di perdere il posto con i suoi vantaggi prevale sulla preoccupazione del bene
comune. Spesso il parlamentare vota senza
neppur sapere per che cosa vota, e purtroppo non è raro che non abbia neppure letto
(per non dire studiato) la Costituzione.
E qui entra in scena un problema veramente serio, e ben poco affrontato: la preparazione del parlamentare. Ogni nuovo eletto
che non abbia già una competenza specifica in materie giuridiche dovrebbe seguire un corso breve di diritto costituzionale.
Non è una cosa strana, anche se senza precedenti. Basterebbero poche ore da parte
di un bravo costituzionalista per offrire un
quadro sufficiente dei compiti e dei limiti
del legislatore, sussidiate da un buon testo
di diritto costituzionale. Ciò potrebbe avvenire anche all’atto della iscrizione in una
lista, in modo che l’elettore sia certo del
fatto che i candidati per cui vota abbiano
un minimo di competenza istituzionale.
Ogni parlamentare può parlare in parlamento, ma non urlare solo per sostenere
una proposta, agli ordini del partito.
Fa veramente soffrire vedere le aule parlamentari semivuote durante un dibattito, e
invece piene quando è in gioco un voto.
Ma il dibattito non è inutile. In primo luogo esso serve ad informare l’opinione pubblica (giornali e radioTv) sui pro e sui contro di una determinata proposta, e anche
sul comportamento degli eletti. In secondo luogo può migliorare un testo o un progetto di legge presentato in aula. Ma in ogni
caso un eletto deve esser cosciente del peso
che grava sulle sue spalle: il bene comune
di decine di milioni di persone, e specialmente delle più deboli socialmente e finanziariamente, al di là degli interessi dei
gruppi che lo hanno sostenuto.
E lo stesso discorso deve farsi per la responsabilità morale degli uomini di governo, che un parlamento esprime ed è in grado di controllare.
il sociale e la scuola
È questo un tema che viene spesso ignora35
ROCCA 1 AGOSTO 2011
spesso irreversibili, ci circonda inevitabilmente. Tutti gli operatori in associazioni
caritative sono impegnati in quest’area di
vera miseria insanabile, e ne sono testimoni. Vivere senza un tetto stabile, senza possibilità di in lavoro stabile, senza prospettive per il futuro: lo Stato non può e non
deve ignorare tali situazioni disumane e
disumanizzanti.
Lo Stato potrà intervenire in varie forme,
che qui non è possibile specificare; ma comunque potrà intervenire nei limiti delle
risorse disponibili. E tali risorse sono condizionate sempre in qualche modo dalle
tasse realmente percepite.
ETICA
ROCCA 1 AGOSTO 2011
to dagli studiosi di etica sociale. Ma a torto: la scuola, dalle prime classi elementari
fino alla maturità, è il luogo della prima
convivenza fuori della famiglia. È il primo
luogo in cui il bambino deve imparare a
convivere con estranei. Merita perciò una
pur breve riflessione di etica sociale.
Prima di tutto occorre riflettere sull’importanza della scuola pubblica rispetto a quella privata. È lì che il bambino o l’adolescente può e deve imparare a convivere con
compagni di diversa provenienza sociale
ed economica, di sesso diverso, di diversa
educazione religiosa, e oggi anche di diversa tradizione culturale e storica. E si
noti che non sono amici scelti da lui o dai
suoi genitori: sono compagni di viaggio
quotidiani non scelti, ma trovati per caso
sulla sua strada. E questa è un’ottima preparazione alla vita sociale dell’adulto: convivere, ed eventualmente collaborare, con
chiunque uno trova sulla sua strada; un
‘altro’ che non ho scelto, ma che mi trovo
come ‘prossimo’. Questa è la primaria importanza della scuola pubblica, e di questo gli insegnanti, a qualunque livello o tipo
di scuola, devono farsi carico. Ma a questa
funzione della scuola raramente si pensa.
Ma a scuola si impara a leggere e scrivere.
Le attuali tecnologie sembrano aver superato, e reso in gran parte obsoleto, questo
modo di comunicare: è, questo, un argomento assai complesso e discusso. Non è
possibile affrontarlo sistematicamente in
questa sede. Ma occorre almeno rilevare
che leggere e scrivere, parlare e ascoltare,
sono attività radicalmente differenti.
Quando io parlo, in pubblico o in privato,
io dico quello che mi viene in mente e quasi
sempre senza riflettere sull’opportunità di
dire quella cosa precisa con parole precise
a quella o quelle precise persone. Ho invece la possibilità di accompagnare le parole con l’espressione del viso, col tono della
voce, col gesto. Un sorriso o un volto serio
o un particolare tono di voce fanno parte
essenziale della comunicazione.
Quando invece scrivo tutto ciò deve essere
espresso in parole e frasi, e da quello che
si scrive non si torna indietro. Scrivere
perciò richiede concentrazione, costante
attenzione all’effetto che può avere sul lettore. Il parlare si può correggere, di fronte
alla reazione di chi ascolta: lo scrivere in36
vece resta, e non si può migliorare o correggere di fronte alle reazioni del lettore.
Oggi, di fronte alle nuove tecnologie della
comunicazione, occorre riflettere sul vecchio detto: «scripta manent, verba volant».
Leggere e scrivere richiede sempre un minimo di concentrazione, che manca invece nel parlare e ascoltare. La scuola così è
in primo luogo scuola di comunicazione
nel senso più ampio. La parola dell’insegnante e dei i compagni, e i libri su cui si
deve studiare, devono insegnare a convivere e condividere conoscenze ed esperienze: e non solo col presente, ma anche con
il passato, e cioè di migliaia di anni di
pensiero umano, sia della nostra cultura che
di altre aree culturali. E non sempre gli insegnanti sono consapevoli di tale responso.
il sociale e la comunicazione di massa
In questa difficile area della comunicazione non intendiamo riferirci a libri o riviste di studio, che non sono propriamente
di massa. Ci riferiamo invece al mondo audio-televisivo e a quello della stampa periodica o quotidiana, quale può trovarsi
in tutte le edicole. E ci riferiamo in specie
all’area dell’informazione: l’utente è interessato ai fatti, e talora anche alle cause
prossime e alle immediate conseguenze di
un fatto. Il momento della riflessione sulle cause e le conseguenze di un fatto, sia
prossime che remote, non è invece quasi
mai interessante. Spesso i media offrono
qualche commento, ma è di rado interessante per l’utente: spesso, troppo spesso,
l’utente si ferma al titolo o alla descrizione dell’evento: «dò un’occhiata ai titoli».
Questo è moralmente riprovevole, almeno in linea di principio: ogni essere umano è mio prossimo, e un prossimo da amare. È certo impossibile seguire tutto, ma è
possibile interessarsi ai casi più umanamente seri. E qui occorre tener presenti
due cose.
Prima cosa: ogni giornale, ogni Tv, ha un
padrone, o almeno un controllore: in ogni
caso vi è un controllo umano – e sempre
legato a interessi vari – sull’informazione.
Di questo occorre tener conto: ricordo un
vecchio detto «temo l’uomo di un solo giornale».
nali, tali da non incidere sul proprio tenore di vita: il fatto che la gran parte della
famiglia umana con cui il Signore ci chiama a convivere, manchi del necessario per
vivere umanamente – e spesso per sopravvivere – non ha interesse.
Purtroppo la tradizione dell’insegnamento morale della Chiesa da molto tempo si
è ridotta a insegnare che cosa «non si deve
fare» per andare in Paradiso: per il resto si
può fare tutto quello che ci conviene (o che
ci viene in mente). È comprensibile la preoccupazione e la necessità di una breve
sintesi catechistica: ma non è né comprensibile né accettabile ridurre a questo l’annuncio morale cristiano. L’amore del prossimo, e il servizio al prossimo bisognoso
di aiuto, è quasi del tutto sparito dall’annuncio morale cristiano: rimane solo l’esortazione generica, senza alcuna enunciazione di obblighi gravi e specifici. In sostanza
per la mancata attenzione e servizio al
prossimo non si va all’inferno. Nell’esperienza di confessionale di chi scrive, alla
domanda se uno ha pagato le tasse dovute, è stato paziente in famiglia o sul lavoro
o con amici e conoscenti, o se si è preoccupato dei poveri secondo le sue possibilità, in genere si ha una reazione quasi di
sorpresa, e vagamente generica, come se
si trattasse di questioni di scarso peso in
confessionale. E si deve riconoscere che
non sempre i confessori interrogano – e
quindi educano moralmente – su questo
tipo di rapporto con l’altro, chiunque esso
sia.
un sociale sessuato
Fino agli inizi dello scorso secolo la donna
aveva scarsa o nessuna partecipazione alla
vita sociale, e tale è ancora la sua condizione in molte aree culturali. E anche in
Europa la partecipazione a pieno titolo al
sociale in genere è molto recente. Si pensi
che il diritto al voto della donna è sorto in
Italia dopo la guerra (1946). Chi scrive ricorda l’ingresso suo e di sua sorella alla
scuola media (1936): su quattro sezioni una
sola era una classe mista, e i genitori – pur
colti e illuminati – discussero a lungo prima di iscriverci nella sezione mista, cosa
che poi – da bravi pedagogisti – decisero di
37
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Seconda cosa: vi è una differenza profonda fra informazione dei giornali e della
televisione. Il giornale è scritto, e io posso
rileggere e riflettere sull’informazione e gli
eventuali commenti: la Tv è invece solo
ascoltata, e non consente una riflessione
pacata, basata su una rilettura di eventi e
di commenti.
L’informazione televisiva è più immediata, e corredata da immagini; quella giornalistica non è mai immediata, e non ha
immediata e sufficiente visibilità. Ma la
prima è irripetibile, mentre la seconda può
esser ripresa e riletta con calma. Così per
un cristiano, che ami veramente il prossimo, Tv e giornali sono fonti complementari di informazione e di comprensione della vita della famiglia umana: ormai il mio
prossimo non è solo il vicino di casa, ma
ogni essere umano, e ogni mia scelta si ripercuote in qualche misura su tutta la famiglia umana.
Siamo dunque di fronte a una nuova condizione della convivenza, e perciò su che
cosa vuol dire oggi amare il prossimo occorre riflettere. Le notizie sul prossimo e
sulla condizione della famiglia umana sono
oggi purtroppo solo fonte di curiosità, non
fonte di amore e condivisione: ma almeno
una preghiera è sempre possibile, e la ricerca di un qualche approfondimento della comprensione è in genere agevole. Troppo spesso ci dimentichiamo che il Signore
si è offerto sulla croce per noi e per tutti. E
oggi, in questa nuova condizione di convivenza, ogni nostra scelta si riflette, sia pure
remotamente e senza alcuna possibilità di
controllo da parte nostra, sull’intera famiglia umana.
Occorre perciò – ed è urgente – ripensare
al senso del nostro esistere. Noi siamo qui,
viviamo la nostra esistenza terrena nella
famiglia, con i nostri amici: solo scarsamente per gli abitanti della nostra città e
della nostra nazione. Pagare le tasse è per
noi una sofferenza, e cerchiamo in tutti i
modi, legittimi o illegittimi, di pagare il
meno possibile. Gli stranieri poveri, venuti fra noi per cercare un minimo di vita e
di lavoro per la loro umanità, sono visti
con disprezzo o noia. La grande maggioranza dei cristiani non vive da cristiani:
vive per sé e per il proprio tornaconto economico e sociale. Cerca di mettersi il cuore in pace con piccole elemosine occasio-
ETICA
ETICA
ROCCA 1 AGOSTO 2011
fare. Solo dopo la seconda guerra mondiale
la normale vita sociale dell’uomo si è veramente (e lentamente) aperta anche alla
donna. E ancora oggi, almeno per chi ha
passato i 50 anni, fa un certo effetto vedere una donna alla guida di un treno. E vedere, proprio mentre stiamo scrivendo, un
sindaco che sceglie metà della sua giunta
al femminile è qualcosa che fa notizia sui
giornali. Si ricordi il detto (ormai vecchio)
«donna al volante, pericolo costante».
Ma ormai oggi la donna è parte della vita
sociale in tutti i suoi aspetti. E il tema del
‘sociale’ ha acquistato una valenza sessuale che prima non aveva. Nessuna persona
che incontriamo o con cui comunque abbiamo qualche forma di rapporto, sia pur
fuggevole, è a-sessuata (salvo casi patologici che possono indebolire questa caratteristica). Nel complesso mondo del sociale
ciascuno di noi è presente e operante con
tutta la sua sessualità, anche se non se ne
accorge: questo si riferisce in primo luogo
non solo e non tanto alla diversità fisica
quanto alla diversità di organizzazione
mentale. Per fare un esempio, sicuramente diversa è la scala dei valori nell’organizzare la massa di memorie e la loro relativa
importanza di fronte a qualsiasi problema.
Ragionare, discutere, cooperare, o anche
trovarsi per caso con persona di sesso diverso, comporta sempre, e automaticamente, un atteggiamento mentale (e anche
fisico) particolare. L’attrazione per l’altro
sesso è sempre presente, anche se spesso
inavvertita: ciò è necessario in natura per
assicurare la prosecuzione della specie
umana.
Questa nuova dimensione del sociale, ormai inevitabile e irreversibile, deve esser
presa in seria considerazione. Essa è sicuramente un arricchimento per la convivenza, in tutti i suoi aspetti. Ma apre il problema morale della sessualità e del suo significato, sia nella coscienza personale che
nell’ambito della convivenza. È un tema
poco capito e ancora poco studiato. L’incontro e la collaborazione costante e quotidiana con l’altro sesso fa ormai parte della
convivenza in tutti i suoi aspetti, anche i
più intimi e personali. Oggi il medico, il
chirurgo, l’avvocato, può essere indifferentemente uomo o donna, quale che sia il
sesso del cliente.
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Tutto ciò può portare a una reciproca amicizia e intimità, fino al rapporto sessuale
completo, senza alcun riferimento a una
stabilità del rapporto. Ciò si riflette inevitabilmente nei giovani e giovanissimi, sostenuto da una forte e redditizia pubblicità. Stiamo assistendo a una banalizzazione della vita sessuale, storicamente nuova
e quasi tutta all’interno della cultura occidentale. Vi era, e ancora permane, una specie di ‘liturgia laica’ di approccio e di graduale avvicinamento e reciproca conoscenza, ma anche questa sta scomparendo. Tale
fenomeno è però gravido di pericoli per il
futuro (prossimo) della cultura occidentale, e della convivenza umana in generale.
Viene a mancare l’elemento fondamentale
del rapporto sessuale come punto di arrivo di una reciproca conoscenza fino al reciproco dono di sé, e con esso – se è sincero – la stabilità del rapporto e la connessa
convivenza, tale da consentire la procreazione e l’educazione della prole. Senza di
ciò, la comunità è destinata a un lento invecchiamento fino ad una lenta estinzione.
Così il mondo della sessualità non è riducibile a regole morali per i comportamenti sessuali dei singoli: esso coinvolge l’intera vita sociale e il suo futuro. Coinvolge
certo l’annuncio morale cristiano, ma coinvolge tutto il modo di concepire la convivenza umana. L’altro essere umano non
può mai essere ‘usato’ solo per la mia convenienza, anche se il rapporto di convenienza è reciproco ma consapevolmente
passeggero. E questo vale sempre, se vogliamo vivere umanamente: vale per la vita
sessuale come vale per ogni altra area di
convivenza sia stabile che occasionale.
Vi è infine il tema dell’economia, nei suoi
tanti aspetti fra loro collegati: ma è impossibile trattarlo in questa sede. Occorrono
studi dettagliati sul piano tecnico per ciascuno dei molteplici temi, studi che qui
rinviamo ad altri autori o a una ulteriore
opportunità. Ma anche in tale complessa
realtà non va mai dimenticato il principio
che io sono qui per gli altri, e non gli altri
per me e per la mia convenienza economica: sarebbe – ed è – un preciso tradimento
del Vangelo.
Enrico Chiavacci
TERRE DI VETRO
Oliviero
Motta
volte la domanda ti salta addosso quando non te l’aspetti: «ma,
alla fine di tutto, il succo qual è?
Che cosa si fa qui dentro, esattamente?». Sono settimane che ‘sti
punti interrogativi girano da soli.
E vanno. E tornano. Colti di sorpresa,
quasi mai si ha a disposizione la risposta
che soddisfa, quella che risolve le contraddizioni e comprende le mutevoli dimensioni del lavorare in una comunità. Ma oggi –
per caso? – ho ripreso in mano l’intervista
con Anna, ormai datata tre anni fa, proprio all’inizio del percorso di valutazione.
A un certo punto della nostra chiacchierata le avevo chiesto di riavvolgere il nastro
del tempo, in modo da individuare cosa
l’aveva portata a scegliere il mestiere
d’educatrice in comunità.
Ecco quello che era uscito: «Mi viene da
sorridere perché l’altra sera eravamo nel
dopocena con i ragazzi, a contarcela su,
quando hanno iniziato a farmi domande
tipo questa. Mi sono sentita proprio intervistata, con domande del tipo ‘ma come ti
è venuto in mente di lavorare in un posto
come questo? Ma te, come mai non hai
paura a stare con persone come noi?’. A
me lì è arrivato dritto in pancia questo loro
sentirsi davvero come a un certo punto si
sono descritti: ‘noi siamo un po’ come lupi,
come bestie feroci’. Quando fanno così mi
fanno un po’ accapponare la pelle, perché
emergono in modo lampante i loro vissuti di pesante emarginazione, dentro i quali il gioco si fa sempre più pesante: sento
che vengo considerata così e mi adeguo al
ruolo assegnato, rincarando sempre di più
la dose; si gioca al rialzo e tutto diventa
sempre più pesante, per sé e per gli altri.
Siamo andati avanti un’ora a parlare. Ho
raccontato un po’ come io li vedo e li sento, su cosa mi fa fare questo lavoro e loro
A
erano molto colpiti, tanto che nel corso del
giro della buona notte qualcuno di loro mi
ha detto: ‘ma lo sai che ci hai detto delle
cose proprio interessanti...’; che era poi il
fatto che io non li percepisco diversi da me.
È chiaro, ci sono delle problematiche e
delle storie diverse, ognuno ha sviluppato
un problema perché ha alle spalle un determinato percorso. Ma ciò non fa di te un
marziano e di me un venusiano o un terrestre; io percepisco la nostra comune umanità, fondamentalmente...
Domande del tipo ‘ma tuo marito cosa pensa, che tu sei qua, che fai questo lavoro?’
mi hanno permesso di mettere a fuoco le
mie motivazioni davanti a loro, mi hanno
fatto parlare di un certo modo di stare nel
mondo, di guardare e considerare gli altri,
di spendere la propria vita in relazione con
gli altri.
Quella sera si sono sentiti tanto riconosciuti, visti, visti al di là delle etichette: il mostro... il mostro. E questa cosa li ha abbastanza spiazzati; io li ho sentiti... turbati,
sì, un po’ turbati dal sentirsi così riconosciuti.
A volte succede; periodicamente facciamo
delle riunioni a tema basate su giochi pedagogici, e anche lì emergono aspetti di
riconoscimento reciproco. La gran parte
di loro fa una gran fatica, si emozionano,
e il clima che si vive è straordinario. C’è
una fatica enorme a essere visti e riconosciuti perché è una cosa alla quale loro non
sono per niente abituati. Manca proprio
l’esperienza dell’essere visto, dell’essere riconosciuto.
In quelle occasioni le emozioni che loro
vivono arrivano forti anche a noi operatori; così è stato per l’intervista quella sera.
E il nostro lavoro, in fondo, è tutto qua:
riconoscerti come persona e allenarti a riconoscere te stesso e gli altri come tali».
39
ROCCA 1 AGOSTO 2011
la fatica di essere visti
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Claudio
Cagnazzo
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na bottiglia sepolta nella sabbia.
In un arenile qualsiasi. In una
qualsiasi spiaggia media degli italiani medi. Per decenni, sotto i
piedi accaldati di connazionali
sempre più estranei a se stessi e
agli altri. Una bottiglia disseppellita e trovata intatta con il messaggio di una bambina che, lì, nel magico cerchio di sabbia
della sua infanzia, l’aveva seppellita. Una
donna commossa, quando, matura signora, l’hanno chiamata al riconoscimento
della «sua» bottiglia. Con il suo messaggino incorporato. Un messaggino, questo sì,
degno di tale nome, perché fatto da una
bambina, mentre quello del telefonino,
anche se fatto da un bambino, messaggino non è, perché la tecnologia, guardatevi
intorno, ci fa tutti adulti. Qualsiasi sia la
nostra età. Un bimbo con un secchiello, è
un gioiello chiuso nel suo scrigno infantile, con il telefonino, è un adulto in miniatura. Troppo esperto per essere piccolo.
Troppo piccolo per essere credibile. Un
ibrido anche se amabile. La tecnologia è
sofisticatezza, perizia dei movimenti, occhio allenato, tecnica raffinata. Un bimbo
che sa maneggiarla appartiene già esteticamente e visivamente al mondo dei grandi. Moralmente, decisamente no. Ma questo è un altro discorso. Quella bottiglia ritrovata è perciò insieme un segno, un segnale ed un simbolo. Un segno dei nostri
tempi, perché tanto clamore intorno a questa notizia si può avere solo se il mondo
intorno è profondamente cambiato anzi,
assolutamente irriconoscibile rispetto a
pochi decenni fa.
U
ricordi digitali
La bottiglia con il pezzo di carta logoro, sa
di ottocento, di bella epoque, ma soprattutto, nell’era di Internet, sa di folklore,
decisamente sfruttabile, anche a livello
pubblicitario, da bagnini ormai anch’essi
portati più per facebook che per la ciambella di salvataggio. Poi, è anche un segnale
di pericolo, in qualche modo, perché su di
essa si può ragionare per capire come la
nostra tradizionale memoria, intesa come
ricordi, personali e collettivi sia in pericolo di sopravvivenza. Essa, infatti, nell’era
di Internet, esce dalle bottiglie, dai diari,
dagli album fotografici, dalle lettere lise ai
bordi ed in bella calligrafia, per entrare
nell’archivio «mostruoso» della Rete digitale. Colei che non tutto contiene, ma tutto potrebbe contenere. Che non è la stessa
cosa, ma inquieta comunque. Dentro la
rete tutto ciò che abbiamo scritto, le nostre paure, i nostri sentimenti, gli amici
frequentati, gli amori, che un tempo si tenevano segretati nel diario e, al massimo,
la compagna o il compagno di banco potevano sbirciare. I gusti persino. Ciò che piace ad ognuno che la pubblicità ci ha insegnato a rendere pubblico e che tristemente comunichiamo al mondo intero: come
se preferire Guccini ai Pooh, o Maradona
a Pelè, o, per volare in alto, Céline a Balzac, non sia parte del proprio patrimonio
privato dell’anima, magari da confidare a
qualcuno di cui sei innamorato, in una serata stellata, o agli amici al bar. Loro sì,
depositari di segreti, rivelati solo per rabbia, per rancore, per amicizia tradita, ma
SOCIETÀ
la rete
e la bottiglia
indifferenza digitale
Internet non cela i ricordi, li alleva giorno
dopo giorno nel suo software, per resistere al tempo, ma non per romperlo e incar-
dinarlo su nuove basi. E certo, si può obiettare, che comunque, non tutti i ricordi
stanno in un archivio elettronico. Ci sono
quelli del cuore, che possono scatenarsi,
nel vedere un vecchio luogo, o nel rivivere
una sensazione già vissuta, ma, a parte che
ogni luogo, ogni esperienza vissuta ormai
la portiamo magari in una foto del telefonino o scaricata sul computer, con milioni
di persone che non fanno che scattare foto,
dimentichi che l’emozione nasce da qualcosa di irrepetibile e che anche le foto dovrebbero essere per questo rare e appunto
irrepetibili, resta il fatto che la sorta di
educazione sentimentale che è in atto si
fonda soprattutto sul fatto che per vivere
l’eterno presente che ci hanno condannati
tecnologicamente a vivere, siamo costretti
a tenere tutto continuamente con noi stessi, per non lasciare niente al passato. Accumuliamo notizie, immagini, news, video
per non smarrire nulla, ma non selezioniamo, non mettiamo da qualche parte della
nostra anima ciò che vale la pena ricordare e ciò che invece va scartato. Affastelliamo tutto in una sorta di follia indifferenziata che ci fa tutti, se non uguali, almeno
simili, e che non permette di sedimentare
ricordi ed emozioni. Con il che appunto,
la bottiglia ritrovata, assurge proprio a simbolo dei nostri tempi. Stampiglia sulla bandiera della globalizzazione tecnologica il
suo logo. Che vede una bottiglia solitaria
dentro il video di un computer. Sogni imbottigliati insomma. Come fossero vino,
che però non può invecchiare.
ROCCA 1 AGOSTO 2011
sempre per qualche forte sentimento, mai
banale, come una twitterata, tanto per inventarsi un neologismo. E poi i ricordi,
oltre i segreti, che, tenuti nel cassetto, o
nel vecchio baule, possono sempre essere
riscoperti, non solo per emozionarti, ma
anche per ripartire verso nuove battaglie
per la vita. Se, in fondo sono stato giovane, se ho preso la laurea come testimonia
la foto ritrovata incredibilmente nel fondo di una scatola per i lavori manuali, se
quel gol l’ho segnato, come si vede da quel
bianco e nero in un pomeriggio piovoso,
allora qualcosa so fare. Posso ancora farcela a non precipitare in depressione da
fine lavoro, o da fallimento matrimoniale, o da qualsiasi si voglia tra gli accidenti
della vita. I ricordi, a differenza di quel
che si dice, non avviliscono soltanto per
il loro carico di pathos, ma, allo stesso
tempo, ritemprano, ti fanno sentire vivo,
magari acciaccato dentro, ma vivo. Diverso invece portare tutto dentro un archivio. Portare in qualche file, nel proprio
profilo facebook, in qualche modo il tuo
vissuto, è come voler rinunciare ad emozionarti, come se ogni volta qualsiasi novità potesse riprendere il filo mai interrotto dei tuoi ricordi. Ma il ricordo è invece un interruzione, un taglio con il presente ed ha bisogno per esistere di essere
dimenticato.
Claudio Cagnazzo
41
Pietro
Greco
l pianeta ha fiducia che il futuro dell’energia – e dell’economia e dell’ecologia – è nelle «nuove rinnovabili». Le
nazioni pensano che solare, vento, biomasse, geotermia, onde e correnti marine costituiscono una grande opportunità. E un grande business, da almeno
duemila miliardi di euro.
Non si tratta di una mera speranza. Ma di
un concreto investimento. Come sostengono due rapporti pubblicati nelle scorse settimane. Il Global Trends in Renewable Energy Investment 2011 preparato dalla società
Bloomberg New Energy Finance di Londra
per conto dell’Unep, il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite e pubblicato. E
il Global Clean Power: a $2.3 Trillion Opportunity, pubblicato dalla Pew Charitable Trusts, un’organizzazione no profit americana
che si occupa dei rapporti tra scienza, economia e politica.
I
boom di investimenti
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Il primo rapporto, quello della Bloomberg,
calcola che nel 2010 gli investimenti globali nelle nuove fonti rinnovabili e «carbon
free» sono aumentati del 32% rispetto all’anno precedente, raggiungendo la ragguardevole cifra di 211 miliardi di dollari. Tra il
2004 e il 2010 gli investimenti in vento, solare, biomasse sono cresciuti del 540% imponendosi come il settore emergente nel
mercato mondiale dell’energia.
A tirare è soprattutto l’eolico (94,7 miliardi
di dollari, + 30% rispetto al 2009). Ma se si
prende in considerazione la spesa per i pic42
coli pannelli solari, il Sole tiene assolutamente botta, con un investimento di 86
miliardi in crescita del 52% rispetto all’anno precedente. Si tratta di un autentico
boom, che ha consentito di abbattere in un
solo anno del 18% il costo per megawatt
delle turbine eoliche e, addirittura, del 60%
il costo per megawatt dei pannelli fotovoltaici.
Molto più staccate sono le altre «nuove rinnovabili»: le biomasse, il recupero di energia da rifiuti, il mare: gli investimenti
complessivi ammontano a circa 30 miliardi di dollari.
L’Asia e l’Oceania sono l’area del mondo
dove si investe di più (oltre il 59%), seguita dall’Europa (35%), Nord America (30%)
e Sud America (13%). Chiudono Africa e
Medio Oriente col 5%. Per la prima volta
nel 2010 gli investimenti dei paesi a economia emergente hanno superato quelli
dei paesi di antica industrializzazione. La
Cina, con 49,8 miliardi di investimenti, è
il paese che traina la crescita. Il Dragone
sta puntando sull’eolico per la produzione
interna, ma non dimentica il solare: tanto
che ormai la metà dei pannelli fotovoltaici del mondo sono fabbricati sul suo territorio.
Seguono la Germania (41 miliardi di investimenti), che sta puntando moltissimo sul
«piccolo solare», e gli Stati Uniti (29,6 miliardi). Quarta è l’Italia (13,8 miliardi di investimenti), con una crescita equilibrata
delle grandi e piccole infrastrutture. Tra i
paesi a economia emergente si segnalano,
dopo la Cina, il Brasile e l’India.
NUOVE ENERGIE RINNOVABILI
il mondo
ci crede
2,5 milioni di nuovi posti di lavoro
Il secondo rapporto, quello elaborato dalla
Pew come aggiornamento del precedente
Who’s Winning the Clean Energy Race?
Growth, Competition and Opportunity in the
World’s Largest Economies, pubblicato nel
marzo 2010, sostiene che le «nuove rinnovabili» rappresentano non solo un business
esplosivo nel presente ma anche una grande opportunità per il futuro. Un’opportunità da 2.300 miliardi di dollari. Tanti quanti
ne potrebbero essere investiti, da qui al
2020, dai paesi del G20.
Il gruppo americano si chiede chi, tra i grandi paesi, sta vincendo quella che considera
la gara decisiva per il futuro ecologico, energetico ed economico: la gara, appunto, delle «nuove rinnovabili». La corsa, sostiene,
è già iniziata. E l’accelerazione dei protagonisti è possente, come dimostrano i dati
del recente passato, analoghi a quelli forniti Bloomberg New Energy Finance. Anche
i paesi che si sono portati avanti nella corsa
sono gli stessi: Cina e Germania, sugli altri.
Seguono staccati gli Stati Uniti. E poi a sorpresa l’Italia.
Ma quello che è forse più significativo è
che le «nuove rinnovabili» stanno producendo una forte domanda sia di innovazione tecnologica sia di lavoro qualificato:
in tutto il mondo il settore ha creato 2,5
milioni di nuovi posti di lavoro. Certo, la
maggior parte (1,5 milioni) è in Cina. Ma
anche in Europa i nuovi posti di lavoro non
sono stati pochi: 278.000 in Germania,
81.000 in Spagna; 21.000 nella piccola Danimarca.
scenari realistici
Ma fin qui il passato. Cosa avverrà in futuro prossimo, da qui al 2020? Gli scenari realistici, secondo la Pew Charitable Trusts,
sono tre.
1. Scenario minimo: tutto resta com’è.
È lo scenario che gli esperti chiamano del
business as usual. Dove non si verifica alcuna ulteriore accelerazione nella transizione dal paradigma energetico fondato sulle
fonti fossili a quelle rinnovabili e carbon free.
Dove non ci sono nuove politiche per prevenire i cambiamenti climatici. Ebbene,
anche in questo caso, sulla scorta di un abbrivio già in atto, entro il 2020 le 20 maggiori economie del mondo, che rappresentano il 90% degli investimenti in energia
pulita, investiranno 1.750 miliardi di dollari nelle «nuove rinnovabili: eolico, solare,
biomasse e altre.
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Un discorso specifico merita l’Europa. Che
è l’unica regione al mondo dove gli investimenti finanziari sono diminuiti (del
22%), ma sono stati ampiamente compensati dalla creazione di progetti a piccola
scala. In Germania, per esempio, i «pannelli sui tetti» rappresentano ormai quasi
il 90% dei nuovi investimenti. E anche in
Italia i piccoli progetti rappresentano la
metà degli investimenti. Al contrario, in
Cina sono i grandi investimenti finanziari
a rappresentare la quasi totalità della spesa.
43
NUOVE ENERGIE RINNOVABILI
2. Scenario intermedio: le politiche di Copenaghen.
È lo scenario della coerenza rispetto agli
impegni già presi. In particolare, rispetto
agli impegni (morali) assunti dai paesi del
G20 nella famosa Conferenza delle Parti
che hanno sottoscritto la Convenzione sul
Clima delle Nazioni Unite tenuta a Copenaghen alla fine del 2009. Se i governi del
G20 rispetteranno i patti, i loro investimenti nelle «nuove rinnovabili» da qui al 2020
saliranno a 1.860 miliardi di dollari.
un grande business
e una grande opportunità
ROCCA 1 AGOSTO 2011
3. Scenario più favorevole: nuove politiche.
È lo scenario più avanzato. E, per molti
versi, il più realistico. Perché è l’unico compatibile con la possibilità di contenere l’aumento della temperatura media del pianeta entro i 2°C da qui al 2100. Sta di fatto
che in questo scenario, vuoi per prevenire
i cambiamenti del clima, voi per rispondere al «picco del petrolio», vuoi per restare
competitivi in un settore ormai considerato strategico, i paesi del G20 – come peraltro più volte annunciato – attuano una serie di politiche attive per sviluppare le
«nuove rinnovabili».
In questo caso, anche mantenendo un approccio prudente, gli esperti della Pew Charitable Trusts prevedono investimenti per
una cifra prossima a 2.300 miliardi di dollari. Un grande business. Ma anche una
straordinaria opportunità da non perdere.
In termini ecologici, in primo luogo. Perché l’opportunità da 2.300 miliardi di dollari renderà possibile installare da qui al
2020 una potenza «rinnovabile» e «carbon
free» aggiuntiva di 1.180 GW. Una capacità che è pari a circa l’8% dell’attuale domanda di energia (pari a circa 15.000 GW).
Non è risolutiva, né per ultimare la transizione dal paradigma fossile al nuovo paradigma; né per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici. Ma non è
neppure poco. Se si tiene conto che questa
capacità installata potrebbe soddisfare una
parte notevole (quasi il 30%) della nuova
domanda di energia.
L’eolico sarà il settore dove prenderanno
corpo i maggiori investimenti. Si passerà
dagli attuali 60 miliardi di dollari per anno
a un valore compreso tra 110 e 190 miliardi di dollari per anno entro il 2020. L’eoli44
co rappresenterà il 50% degli investimenti
in «nuove rinnovabili» in Cina e oltre il
60% in Germania e Francia.
Il solare avrà uno sviluppo meno scontato
Si potrebbe realizzare persino una diminuzione rispetto agli investimenti attuali
– dai 50 miliardi di dollari odierni, ai poco
più di 40 miliardi di dollari per anno nel
2020 – come previsto negli scenari 1 e 2.
Ma si potrebbe avere un netto aumento
degli investimenti, fino a 78 miliardi di
dollari nel 2020, nel caso si realizzi il terzo
scenario.
Cresceranno in ogni caso, invece, gli investimenti in tecnologie per le altre «nuove
rinnovabili» (dalle biomasse alla geotermico), dagli attuali 20 miliardi di dollari per
anno fino a un valore che nel 2020 sarà
compreso tra un minimo di 37 miliardi e
un massimo di 69 miliardi.
In tutti gli scenari il pallino delle «nuove
rinnovabili» passerà nelle mani dell’Asia.
Perché è lì che si verificherà il più marcato incremento degli investimenti. In ciascuno dei tre scenari delineati, infatti, Cina,
India, Giappone e Corea del Sud si ritaglieranno una quota del 40% della spesa
nelle «nuove rinnovabili». America ed Europa si troveranno nella condizione di dover inseguire. Una condizione nuova, in un
settore strategico in cui l’innovazione tecnologica avrà un ruolo decisivo.
In tutti gli scenari sarà la Cina il maggiore
investitore, seguita nell’ordine da Stati Uniti, Germania, India e Regno Unito. Ma è
interessante considerare le cifre assolute.
Da qui al 2020 la Cina investirà nelle «nuove rinnovabili» da un minimo di 471 a un
massimo di 620 miliardi di dollari. Gli Stati
Uniti (minimo 245, massimo 342 miliardi
di dollari) seguiranno a notevole distanza.
Terza, in ogni scenario, figura la Germania (minimo 183, massimo previsto 208
miliardi di dollari). Quarta l’India (minimo 118, massimo 169 miliardi). Quinto il
Regno Unito (minimo 114, massimo 134
miliardi di dollari).
Cosa ci dicono, tutti questi numeri? Che le
«nuove rinnovabili» rappresentano appunto una grande opportunità per l’Asia – in
particolare per la Cina e per l’India – di
raggiungere tre diversi obiettivi: soddisfare la crescente domanda interna di energia; abbattere gli inquinanti, locali e globali; competere in un campo che richiederà, per forza di cose, grande capacità di
Usa e Europa in secondo piano
Stati Uniti ed Europa sono destinate certamente a perdere la gara quantitativa nel campo delle «nuove rinnovabili». Ma dovranno
fare grandi sforzi per non perdere anche la
gara «qualitativa», quella delle tecnologie più
avanzate. Non è, infatti, scontato che possano continuare a vincere la gara della qualità
e dell’innovazione. Negli Stati Uniti la politica energetica – anche a causa dei rapporti
di forze al Congresso – non è in questo momento abbastanza chiara e determinata.
Questa indecisione, come sembra aver chiaro il presidente Barack Obama, rischia di
compromettere la leadership tecnologica
americana a vantaggio della Cina.
Quanto all’Europa, occorre parlare di svariate politiche energetiche, malgrado
l’Unione abbia un suo programma abbastanza coeso, chiaro e preciso (il famoso
programma 20-20-20 entro il 2020, 20% di
risparmio, 20% di fonti rinnovabili, 20%
di taglio delle emissioni di carbonio). Il
fatto è che i 27 paesi membri dell’Unione
ne hanno altri, talvolta contraddittori e
spesso confusi.
Chi in Europa e, forse, nel mondo crede di
più nelle «nuove rinnovabili» è la Germania. Consideriamo il solare. La nordica
Germania detiene la leadership mondiale
dell’innovazione tecnologica nel settore
con cui ha soddisfatto negli anni scorsi il
40% della domanda globale, anche perché
ospita il più grande mercato del mondo.
La sua politica dei «pannelli sui tetti» sta
dando risultati inattesi. Nei soli primi sei
mesi del 2010, la Germania ha installato
pannelli solari per una capacità pari a 3
GW (analoga a quella di tre centrali nucleari). La leadership delle aziende tedesche
è oggi minacciata dalla Cina, capace di
produrre una quantità di pannelli solari
pari al 50% del totale mondiale. Ma la Germania sta rilanciando, proponendo installazioni a tecnologia sempre più avanzata.
La storia di successo della Germania, spiegano gli esperti Pew, ha un imprinting squisitamente politico. E nasce quando, alla
fine degli anni ’90, i tedeschi si proposero
come obiettivo, appunto politico, di «coprire 100.000 tetti» con pannelli solari.
Quei tetti obbligati a catturare l’energia del
Sole non erano che la punta emergente di
una strategia fondata su una robusta (l’aggettivo è degli esperti PEW) ricerca scientifica e innovazione tecnologica, su un’accorta ridefinizione degli standard dell’energia rinnovabile e su un forte stimolo fiscale. Tutto questo ha creato un sistema di
imprese capaci di produrre e vendere nuove tecnologie in tutto il mondo e di dare
lavoro a 10.000 addetti.
il paese solare
E l’Italia? Con i suoi alti prezzi dell’energia ci aspettiamo, sostengono fiduciosi gli
esperti della Pew Charitable Trusts, che
l’Italia diventi da qui a pochi anni il primo
grande paese dove il solare raggiunge una
sostanziale «grid parity»: un costo per chilowattora analogo a quello da fonti tradizionali. Malgrado il governo abbia di recente ridotto gli aiuti alle rinnovabili, gli
esperti della Bloomberg New Energy Finance continuano a guardare all’Italia
come al mercato più attraente per il solare
fotovoltaico: gli investimenti esteri in Italia potrebbero ammontare nel 2020 a 10
miliardi di dollari.
È per questo che l’altro gruppo di analisti,
quello della Pew Charitable Trusts, rileva
che in uno scenario di politiche attive l’Italia si collocherebbe al sesto posto tra i paesi che investono di più nelle «nuove rinnovabili». Da qui al 2020 il nostro paese
potrebbe spendere 90 miliardi nello sviluppo del solare, installando pannelli per una
potenza complessiva di 47 GW (rispetto ai
2,4 GW attuali).
A ciò si aggiunga che oggi l’Italia è il terzo
mercato europeo per l’energia eolica (con
una potenza installata di 4,8 GW) e che ci
sono buone chance anche nelle biomasse
(capacità attuale 1,1 GW). Insomma, il nostro paese ha molte carte da giocare. Alcune le sta già giocando. Sarebbe davvero un
peccato perdere l’opportunità di agganciare il nuovo vagone dell’innovazione e di
partecipare, in quota parte, a quel grande
business da 2.300 miliardi di dollari che
sono le «nuove rinnovabili»
dello stesso Autore
BIOTECNOLOGIE
scienza
e nuove tecniche
biomediche
verso
quale umanità?
pp. 124 - i 15,00
(vedi Indice in RoccaLibri
www.rocca.cittadella.org)
per i lettori di Rocca
i 10,00 anziché i 15,00
spedizione compresa
ROCCA 1 AGOSTO 2011
innovazione tecnologica.
Quanto agli Stati Uniti e all’Europa, sarà
proprio lo sviluppo del settore delle «nuove
rinnovabili» a richiamarle alla nuova realtà, dove il ruolo propulsivo non sarà più
svolto da loro ma dall’Asia.
richiedere a
Rocca - Cittadella
06081 Assisi
e-mail
Pietro Greco rocca.abb@cittadella.org
45
C
on Thomas Khun e Paul Feyerabend, Alistair Crombie (Brisbane, Australia 1915 –
Oxford 1996) ci ha introdot
to nel mag-matico mondo della scienza moderna rivelandoci, da un
punto di vista storico e interdisciplinare, l’esistenza di una pluralità di metodi
e di verità. Il risultato di questa indagine
è un’opera in tre volumi il cui titolo (Stili del pensiero scientifico agli inizi dell’Europa moderna) dà l’idea dell’immenso lavoro di ricerca, di documentazione e di
analisi svolto dallo studioso australiano
al quale interessava meno quello che l’uomo conosce rispetto al modo in cui lo conosce. «La sua attenzione – ha scritto Ian
Hacking – si concentra sul modo in cui
scopriamo le cose, non sulle cose che scopriamo».
Si sarebbe tentati di definire kantiano
questo progetto se non fosse che i modi
della conoscenza sono per Crombie socialmente definiti, orientati cioè dalle
«circostanze» e dai «problemi da formulare e risolvere» in un preciso momento
storico. Si potrebbe al limite parlare di
un kantismo corretto in senso storico e
intersoggettivo dove al posto delle categorie apriori e dei metodi oggettivi di
conoscenza troviamo quelli che Crombie
chiama più debolmente «stili del pensiero». Ma va detto da subito che Crombie,
per quanto sia un pensatore postpositivista, non è un anarchico della conoscenza, alla maniera di Feyerabend, e la sua
non è una battaglia contro il metodo e
per la dissoluzione del metodo. Il suo non
è anarchismo ma pluralismo epistemologico.
ROCCA 1 AGOSTO 2011
gli stili della conoscenza
Certo è che egli sostituisce il concetto riduttivo di metodo, viziato dallo scientismo, con quello più generale di stile, derivato dall’arte e dalla letteratura. Uno
stile indica in senso lato il modo in cui
una certa comunità intende globalmente la cultura, i sistemi di verità e di dimostrazione che adotta, la concezione
del mondo e i valori intellettuali e morali che la guidano nei processi di ricerca,
di scoperta, di validazione e di sistemazione della conoscenza. In senso più ristretto lo stile indica un modo di procedere, di funzionare, di operare del pensiero. Oltre che essere un prodotto sociale, lo stile è anche il prodotto di una spe46
.
MAESTRI DEL NOSTRO TEMPO
Alistar
Cameron
Crombie
le vie della scienza sono infinite
Stefano Cazzato
la storia del pensiero
Si può naturalmente discutere se l’elenco di Crombie sia esaustivo ma quello che
conta segnalare è che uno stile non ne
esclude un altro (né all’interno di un’epoca né all’interno di una disciplina) e che
altri stili o combinazioni di stili, oltre a
quelli elencati, sono e saranno possibili.
Sostenendo il metodo delle «sensate
esperienze e delle necessarie dimostrazioni» Galileo ad esempio affermava implicitamente uno stile che combina esperienza e astrazione, fisica e matematica.
E gli esempi di incroci, di collaborazioni, di interdipendenza tra gli stili potrebbero essere innumerevoli sia nel periodo
considerato da Crombie che nei periodi
successivi, a conferma del fatto che l’esistenza di uno stile puro e ideale, in grado di conferire oggettività assoluta a tutte
le conoscenze, è una mera astrazione dovuta più a un’operazione ideologica che
a una necessità della scienza. La quale,
invece, procede per vie molteplici, talvolta inattese, come dimostrano i casi di serendipity, cioè di scoperte casuali o late-
rali rispetto all’interesse di ricerca dominante.
Ma l’aspetto più interessante dell’analisi
dello storico australiano è che il discorso
sugli stili fa cadere le barriere riduzioniste
erette in età positivistica tra scienza e non
scienza, rivelando l’esistenza di zone di
scambio e di confluenza tra le epoche (Medioevo e Rinascimento), le culture (Oriente e Occidente), le scienze (naturali e umane) e quindi tra il discorso scientifico e altri tipi di discorso come l’arte, la letteratura, la storia, la retorica, gli studi sull’uomo
e sulla società.
Quello che Crombie ha scoperto, andando indietro nel tempo, ai secoli della formazione e della diffusione della scienza,
è quindi l’inevitabile legame che esiste tra
un certo stile di pensiero e il tipo di contesto culturale e sociale in cui quello stile
ha senso ed è giustificato, cioè le condizioni materiali che lo fanno nascere, lo
rendono possibile e sufficientemente stabile. In questo modo Crombie ha indebolito la presa degli scienziati e degli epistemologi sulla scienza riportandola nell’ambito degli studi culturali, come lascia chiaramente intendere questa dichiarazione
che introduce il suo capolavoro: «l’intera
esperienza storica del pensiero scientifico è un invito a trattare la storia della
scienza, sia nel suo sviluppo in Occidente, sia nella sua complessa diffusione nelle altre culture, come una sorta di antropologia storica comparata del nostro pensiero».
Stefano Cazzato
per leggere Crombie
dello stesso Autore
A.C. Crombie, Svolte decisive in fisica, Bollati
Boringhieri, Torino 1962.
Id., Da Sant’Agostino a Galileo: storia della
scienza dal V al XVII secolo, Feltrinelli, Milano 1982.
Id., Le arti e le scienze visive e musicali in
Galileo, Istituto dell’Enciclopedia Italiana,
Roma 1991.
Id., Stili del pensiero scientifico agli inizi dell’Europa moderna, Bibliopolis, Napoli 1992.
Stefano Cazzato
Giuseppe Moscati
MAESTRI
DEL NOSTRO
TEMPO
pp. 240 - i 20,00
(vedi Indice
in RoccaLibri
www.rocca.cittadella.org)
su Crombie
per i lettori di Rocca
i 15,00 anziché i 20,00
G. Giorello, Introduzione alla filosofia della spedizione compresa
scienza, Bompiani, Milano 2006, p. 270.
I. Hacking, Lo «stile» per gli storici e i filosofi, richiedere a
in Id., Ontologia storica, Ets, Pisa 2011, pp. 231- Rocca - Cittadella
259.
06081 Assisi
A. Pagnini, Stili di verità nella scienza, Il Sole e-mail
24 Ore, 20 febbraio 2011.
rocca.abb@cittadella.org
47
.
ROCCA 1 AGOSTO 2011
cifica disciplina e delle difficoltà con cui
deve misurarsi. L’Europa moderna ha
messo in circolazione una varietà di stili
scientifici che secondo Crombie sono:
«a) la semplice postulazione stabilita dalle scienze matematiche,
b) l’esplorazione sperimentale e la misurazione di relazioni osservabili più complesse,
c) la costruzione ipotetica di modelli analogici,
d) l’ordinamento della varietà attraverso la
comparazione e la tassonomia,
e) l’analisi statistica delle regolarità delle popolazioni e il calcolo delle probabilità,
f) la derivazione storica dello sviluppo genetico».
Nella lista compaiono lo stile del matematico, del fisico, dello storico, del medico,
del naturalista, dell’umanista; compaiono
gli stili che vengono dalla tradizione empirista e quelli che vengono dal razionalismo; compaiono molteplici modelli di ragione e molteplici sistemi di argomentazione e di prova; compare l’impronta di
Galileo, di Cartesio ma anche quella di Vico
e di Hume; ma soprattutto compare l’idea
che si possa fare scienza in modi diversi,
in campi diversi, con oggetti e linguaggi
diversi.
NUOVA
ANTOLOGIA
Edgar Lee Masters
R
la grande ballata degli spiriti poetanti
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Giuseppe
Moscati
48
.
accontare la morte sulle rive di un
fiume. È un po’ questo quello che
fanno, magistralmente, le 244 poesie di una delle antologie più famose di tutta la storia della letteratura mondiale, la celebre Antologia di Spoon River – edita nell’aprile del
1915 e da subito un boom – di Edgar Lee
Masters (Garnett, Kansas 1869 – Melrose
Park, Pennsylvania 1950).
Il più delle volte insistiamo a dire: «Dante
non è solo La Divina Commedia», «quest’autore non si esaurisce in quest’opera», «quell’autrice non la puoi ridurre a quel suo solo
titolo e diversi altri suoi libri meritano» e
così via. Temo che per Edgar Lee Masters
le cose stiano diversamente, nonostante egli
abbia scritto tante e tante altre cose. Intanto lui, diventato avvocato di successo (1)
solo dopo una lunga serie di lavori varî (svolti soprattutto a Chicago) e dopo aver tentato invano di sfondare nel mondo del giornalismo (2), scrive altre poesie e testi drammatici che non reggono minimamente al
confronto con la vena eccezionale dell’Antologia e poi, a dirla tutta, il magnetismo
che le pagine del suo capolavoro esercitano sul lettore fanno sì che quest’ultimo non
si rivolga ad altro per un bel po’.
Dev’essere capitato così anche al nostro
Fabrizio De André che, circa vent’anni dopo
la morte dello scrittore americano, ha dato
vita all’intenso disco Non al denaro, non all’amore né al cielo (1971), con nove testi ispirati all’Antologia di Spoon River, da lui letta
nella bella traduzione di Fernanda Pivano
(Einaudi, 1943), spinta alla lettura di Masters da Cesare Pavese. È il suonatore Jones – il vecchio violinista (in De André flautista) Fiddler Jones – che subito torna alla
memoria, lui bevitore ribelle a petto nudo
contro neve e pioggia senza il pensiero di
una moglie, dei parenti, dei soldi, dell’amore o del cielo (Masters), cioè con «la faccia
al vento, / la gola al vino e mai un pensiero
/ non al denaro, non all’amore né al cielo»
(De André).
Ebbene, se conoscete l’album di De André
e vi mettete a leggere l’Antologia di Masters,
vi ritroverete ben presto a scorrere i versi
canticchiando le strofe del cantautore genovese; e allora un consiglio permettetemelo: se il disco lo avete in casa, mettetelo su,
aprite il libro e tendiamo insieme l’orecchio
alle voci di Spoon River...
fatti e misfatti, vizi e virtù
Sono già arrivate le prime note di La collina? Bene, leggetevi il verso della corrispondente poesia mastersiana The Hill: «Tutti,
tutti ora dormono sulla collina» e subito
l’eco si sdoppia. In un lampo siamo catapultati nell’altro intenso testo deandreiano,
posteriore di altri vent’anni (1981), Fiume
Sand Creek. Il contesto indiano è ben diverso eppure in qualche modo ‘vicino’: «ora i
bambini dormono nel letto del Sand Creek»,
sul cui fondo c’è un dollaro d’argento e a
volte anche i pesci cantano.
L’Antologia di Spoon River nasce appunto
sulle rive del fiume Spoon, a Lewistown
nell’Illinois, dove la famiglia del giovane
Edgar si era trasferita. Protagonista assoluto il piccolo cimitero di campagna della
cittadina americana, o meglio le sue lapidi
parlanti in collina che ci riportano fatti e
misfatti, vizi e virtù dei personaggi di quella comunità, ma possiamo anche dire – ecco
la grandezza della penna di Masters! – dell’umanità. Sì, perché quei fatti e misfatti
come pure quei vizi e quelle virtù danno da
pensare, da pensare a un ‘tipo’, a una ‘categoria’, a un topos della famiglia umana diremmo classicamente.
Certo è che tutti, o quasi, i soggetti protagonisti di questa ‘grande ballata’ hanno fatto una finaccia e tutte le donne hanno avuto i loro tormenti, chi impiccato e chi travolto da un carro, chi violentata e chi trucidata, chi morto in guerra, chi al lavoro e
chi «schiantata dalla vita» miserrima e
schiavista.
Né mancano momenti di tenerezza: l’ombra del procuratore legale Benjamin Pantier, per esempio, ricorda che alla fin fine,
parole di fuoco, d’amore, di rabbia
e di paura
Spesso c’è, nell’Antologia mastersiana, il gioco vitale e mortale insieme tra la comunità
dei vivi e quella dei morti, dove la prima
deride e giudica e la seconda ammutolisce
chi ha deriso e chi ha giudicato. Se la vita
tradisce e inganna, la morte livella e, con
‘falce egualitaria’ alla mano, azzera ogni
differenza.
Ma si ha l’impressione che solo dall’aldilà
si possa soppesare bene il valore (i valori?)
dell’aldiqua; che solo dal punto di vista della morte, ripulita da tutto il suo alone di
mistero e angosciosa percezione da parte
dei vulnerabili mortali, possiamo conquistarci la possibilità di carpire il senso della
vita, se essa uno ne ha. Ovvero il senso di
quella che Masters, attraverso le parole d’oltretomba di Robert Fulton Tanner, vede
come il meccanismo di un’inesorabile trappola per topi.
Per questo il poeta mette in bocca ai suoi
Tom Merritt, Kinsey Keene e Hod Putt, John
M. Church e Amanda Barker e tanti altri
parole di fuoco, accuse e denunce, memorie del dramma e dei drammi individuali
della guerra, confessioni di errori fatali e
proclami dalla polvere, ma anche brividi
emotivi e immortali dichiarazioni
d’amore, di rabbia e
di paura. Uno di
questi passaggi da
sentimenti forti vale
come appello alla
comunità di Spoon
River (leggi: umanità). Lo pronuncia
Harry Carey Goodhue: «E allora lo ricordate che / barcollando tra le rovine della disfatta / e le rovine di una carriera distrutta,
/ ho tirato fuori dal mantello il mio ultimo
ideale, fino allora nascosto agli occhi di tutti, come la preziosa mandibola di un asino
[...]?».
Ecco cos’è l’Antologia di Spoon River, queste che abbiamo rivisto insieme sono alcune delle sue impressionanti istantanee. Perché sembra proprio che con la sua penna
Masters abbia scattato delle memorabili
fotografie. Ci troviamo perciò in sintonia
con William Willinghton, fotoreporter che
ha lavorato sul testo, sui luoghi e sulle suggestioni mastersiane: «Ho sempre considerato l’Antologia di Spoon River come uno di
quei libri che insegnano a raccontare per
immagini, grazie all’immediatezza, all’assenza di retorica e alla semplicità che caratterizzano le poesie. E poi è un ‘libro silenzioso’, e chi meglio della fotografia è capace di rappresentare il silenzio?». Aggiungiamo noi: chi meglio della fotografia in
silenzio e della canzone in sottofondo? Allora buoni scatti, buon ascolto e buona
(ri)lettura a tutti.
Il cimitero
di Spoon River
(foto di William
Willinghton, 2006)
Giuseppe Moscati
Note
(1) Non a caso tornano spesso, nei versi di
Masters, giurie e giudici, procuratori legali, avvocati e uomini di legge.
(2) Cui il poeta dedica alcune amare considerazioni: si rileggano quelle intorno alle «parole anonime» di una «falsa coscienza» e alla figura di un
direttore di giornale: Whedon, il direttore appunto.
per leggere Masters
E.L. Masters, Antologia di Spoon River, a cura di
F. Pivano, Einaudi, Torino 2009.
Id., Il nuovo Spoon River [testo inglese a fronte], Newton Compton, Roma 2010.
Id., Spoon River (56 poesie), Mondadori, Milano 1996.
ROCCA 1 AGOSTO 2011
dopo tanti abbandoni subiti in vita, si ritrova accanto per l’eternità il suo cane Nig:
«Sotto il mio osso mascellare / è accoccolato l’osso del naso di Nig – / La nostra storia
si è perduta nel silenzio». E poi, subito dopo
e come diverse volte accade nella sua Antologia, Masters ci fa ascoltare la storia dalla
parte dell’altra campana, quella della signora Pantier. Lei, che sa bene che Benjamin
continua a lamentarsi anche da morto di
essere stato abbandonato da tutti, confessa
il proprio disgusto e la propria nausea nell’aver visto ogni volta davanti a sé l’immagine del marito dopo aver assaporato la
dolcezza dei versi di Wordsworth! Ma non
è finita qui: con un secondo colpo di scena
Masters fa presentare la storia dei coniugi
Pantier anche dall’esterno, da un ‘terzo’, il
farmacista Trainor che li percepisce come
«buoni in se stessi, ma un diavolo l’uno per
l’altra».
Il disco, intanto, vi avrà già raccontato a
suo modo di Selah Lively, il giudice cresciuto a invidia e vendetta; di Wendell P. Bloyd
il blasfemo; di Francis Turner, malato di
cuore e di solitudine; di Siegfried Iseman,
il medico accusato da tutti di essere un ciarlatano; e poi di Trainor il farmacista di cui
già sapete; di Dippold l’ottico e di Jones il
suonatore...
su Masters
T. Pisanti, Spoon River e altro Novecento, Liguori,
Napoli 1983.
W. Willinghton – F. Pivano, Spoon River, ciao, a
cura di E. Fantozzi, Dreams Creek, Milano 2006.
49
TEOLOGIA
l’impegno
di far avanzare
il Concilio
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Carlo
Molari
50
N
ell’ultimo articolo ho riassunto
alcuni momenti dell’attuale discussione sul valore del Vaticano II in particolare sulle scelte
della Dichiarazione Nostra Aetate sulla libertà religiosa, riferendo recenti interventi nel Blog di Sandro
Magister (www.chiesaespressonline.it).
Credo sia utile seguirne gli sviluppi non solo
per l’importanza dei temi discussi, ma soprattutto per accelerare il cammino di recezione del Concilio da parte della chiesa.
Il confronto è oggi più vivace perché i tradizionalisti, che fino ad ora nella Chiesa
hanno taciuto o lavorato in silenzio e in circoli ristretti, da qualche anno hanno iniziato
una campagna di contestazione sempre più
decisa e hanno chiesto in modo esplicito la
revisione dell’ultimo Concilio. La discussione non si affida solo alle pagine dei giornali
o delle riviste specializzate bensì anche ai
blog di internet, uno strumento più duttile
e immediato, anche se non ancora sufficientemente utilizzato dai teologi.
Ora aggiorno la riflessione con alcuni
spunti più sistematici.
Il 16 giugno scorso Enrico Maria Radaelli,
discepolo del filosofo Romano Amerio
(1905-1997), è intervenuto nel citato blog
con un proclama, dove denuncia la mancanza di direttive sicure e invita il Magistero a riprendere in modo deciso la propria funzione autoritativa. Convinto che
non vi sia stata continuità tra le affermazioni del Vaticano II e la Tradizione, egli
propone che per il cinquantesimo anniversario della Chiusura del Concilio (8 dicembre 2015) la Chiesa ripristini «la pienezza
di quel ‘munus docendi’, di quel magistero, sospeso cinquant’anni fa». In un volume pubblicato recentemente sviluppa più
ampiamente gli stessi temi (La bellezza che
ci salva, Pro manuscripto, Milano 2011).
Nel suo intervento, rispondendo ad interrogativi sollevati dal teologo domenicano P.
Giovanni Cavalcoli, propone alcune opinioni teologiche sulla natura dello sviluppo dogmatico per mostrare la possibilità della revisione dei documenti del Vaticano II.
Egli sostiene che non sempre gli sviluppi
storici delle dottrine rivelate si mantengono nella verità e sono quindi accettabili.
In tutti i Concili e molto più nella storia
della teologia è evidente il fatto che pur
partendo dalle stesse premesse dottrinali
si può pervenire a conclusioni molto diverse o anche opposte. Per questo sono
sorti errori che la Chiesa nei secoli scorsi
ha condannato come ‘eresie’.
Quanto ai testi dell’ultimo Concilio Radaelli ritiene che là dove essi contengono affermazioni difformi dalla Tradizione precedente deve essere corretto perché esprimono la prevaricazione di una minoranza. È
successo infatti, che alcuni vescovi e teologi presenti come esperti nel Concilio mentre a parole proclamavano «saldezza e continuità» con la tradizione, «compirono di
fatto rottura e discontinuità». «Tutti i maggiorenti neomodernisti o semplicemente
novatori... hanno cavalcato con ogni sorta
di espedienti la rottura con le detestate dottrine pregresse». Lo stesso atteggiamento
ambiguo è proseguito nel postconcilio cosicché a suo giudizio, da cinquant’anni nella Chiesa cattolica si sta verificando «un ricercato amalgama tra continuità e rottura».
Con tale metodo si sono messe da parte
dottrine poco adatte al cammino ecumenico e se ne sono introdotte altre, senza però
modificare l’impianto di fondo, in modo da
consentire la «conservazione storica» della
Chiesa stessa. Sono state inoltre trascurate
quelle strutture metafisiche che garantivano solidità alle dottrine teologiche. Con formule sfuggenti, con idee spurie «sotto la
copertura ... di un magistero volutamente
sospeso» e sotto il pretesto di un atteggiamento chiamato, «con ricercata imprecisione teologica, ‘pastorale’», si è tentato di cambiare la chiesa senza dichiararlo. «Ciò vuol
dire che in tal modo la Chiesa non pareggia
più la verità, ma neanche la perde, perché i
papi, persino in occasione di un Concilio,
si sono formalmente rifiutati sia di dogmatizzare le nuove dottrine sia di colpire d’anatema le pur disistimate (o corrette o raggirate) dottrine pregresse» (ib.). Di fronte a
questa devastazione egli ha creduto di dovere intervenire con il suo libro per proporre, come filosofo estetico: «alcuni chiarimenti per chi vuole ricostruire quella ‘Città
della bellezza’ che è la Chiesa e riprendere
così l’unica strada... che può portarci alla
rotture necessarie
La discussione ha fatto un passo avanti con
l’intervento dello storico orientalista Enrico Morini, discepolo di Giuseppe Dossetti
(1913-1996) e professore nell’Università di
Bologna. In una lettera del 21 giugno egli
mette in luce due dati che non sono stati
ancora presi in considerazione dai dialoganti. Che, cioè, nella Chiesa cattolica non esiste un’unica tradizione bensì «una pluralità di tradizioni» e soprattutto che «rotture» fanno parte essenziale dello sviluppo
storico della Tradizione cristiana. Per confermare queste affermazioni Morini, esperto delle Chiese orientali e del loro rapporto
con la Chiesa cattolica, porta alcuni esempi. In primo luogo ricorda «la svolta impressa dai riformatori lorenesi-alsaziani» alla
fine del primo millennio: si riferisce al Papa
Leone IX (1002-1054), e ai cardinali Umberto da Silva Candida (1000-1061) e Federico di Lorena (1020-1058), (futuro papa
Stefano IX) legati del Papa a Costantinopoli nel fatidico 1054, che registrò la definitiva rottura con l’Oriente. Ricorda poi la
«cosiddetta riforma gregoriana» (Gregorio
VII 1020-1085), che ha procurato alcuni
benefici effetti nella Chiesa, ma con negative compromissioni con lo stile del potere
mondano. Sottolinea «l’approccio eminentemente filosofico alle verità teologiche» e
«il debordante interesse per la canonistica
(già lamentata da Dante Alighieri), a scapito della Scrittura e dei Padri», caratteristici
del pieno medioevo. Richiama inoltre la «riforma tridentina, con la rigida dogmatizzazione» e quello che egli definisce il «sequestro della Scrittura ai semplici fedeli»
per finire con «l’apoteosi della ‘monarchia’
pontificia nel Concilio Vaticano I». A suo
giudizio di storico tutte queste riforme hanno relegato «ancora più sullo sfondo il profilo della Chiesa indivisa del primo millennio». Riforme tutte queste che in modo diretto o indiretto hanno avuto conseguenze
di ordine dottrinale soprattutto sulla Ecclesiologia e sulla funzione primaziale del Vescovo di Roma.
Quanto al Concilio Vaticano II Morini sostiene che «è stato ad un tempo, intenzionalmente, sia continuità che rottura». Continuità nei confronti di molte dottrine dei
Concili precedenti riprese e confermate,
rottura nei confronti di alcune deviazioni
realizzatesi lungo i secoli. Ciò d’altra parte non deve stupire «perché la Chiesa è un
organismo vivente, la sua tradizione è soggetta ad evoluzione, ma anche ad involu-
zioni» (Blog citato, 21 giugno).
Martin Rhonheimer, intervenendo a sua
volta, ha contestato il termine «rottura»: «È
un peccato... che per criticare le tesi continuiste e tradizionaliste, invece della terminologia usata dal papa, Morini torni a parlare di «rotture». A suo giudizio richiamandosi alle «rotture» lo storico finisce con lo
«spezzare una lancia a favore della ‘lettura
accrescitiva’ fatta dalla cosiddetta scuola di
Bologna». Secondo Rhonheimer il fatto di
considerare le innovazioni «come ‘rotture’
è dovuto a una distorsione della prospettiva che può, in un dato momento, condurre
a confondere qualcosa di secondario, di legato ai tempi e di accidentale, con un principio essenziale del ‘depositum fidei’. È quello che succede ai tradizionalisti, ma non di
rado anche ai ‘progressisti’, tant’è vero che
anche questi parlano di rottura. La vera fedeltà, pur essendo sempre aperta alla riforma, sa bene che a livello della fede e della
morale cattolica non ci sono propriamente
delle riforme, ma una sempre più profonda
comprensione dei principi, per riuscire ad
applicarli giustamente, forse in modo nuovo e diverso dal passato, in ogni momento
della storia. Vera riforma della Chiesa, dunque, non è mai rottura, ma, con le parole di
Benedetto XVI, ‘rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa’» (Blog
chiesa.it 22 giugno).
Anche Rhonheimer ammette che la riforma Gregoriana abbia rappresentato una
rottura, ma rispetto al Cesaropapismo
orientale che aveva contagiato la chiesa.
Egli scrive: «La riforma gregoriana – la ‘rivoluzione pontificia’ dell’undicesimo e
dodicesimo secolo – non era ‘rottura’ nel
senso in cui papa Benedetto usa il termine, ma certamente implicava discontinuità, quella discontinuità tipica per ogni vera
riforma che allo stesso tempo è fedeltà ai
principi – in quel caso al principio della
‘libertas ecclesiae’ – e ricupero di elementi
essenziali della tradizione apostolica».
Credo che ormai la discussione sia giunta
a un punto cruciale perché sono emerse le
ambiguità di fondo. Non è specificato in
modo sufficientemente chiaro in rapporto
a che cosa si parli di rottura o di continuità: alle dottrine? Ai modelli teologici? Alle
strutture ecclesiali? Non appare l’orizzonte teologale della vita ecclesiale e quindi
non si fa mai riferimento allo Spirito Santo e alle possibili novità che la sua azione
può immettere nella Chiesa in modo anche sorprendente.
(continua)
dello stesso Autore
CREDENTI
LAICAMENTE
NEL MONDO
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ROCCA 1 AGOSTO 2011
felicità eterna, che ci può cioè salvare» (ib.).
INTRODUZIONE ALLA LETTURA DELLA BIBBIA
la gloria di Dio e la dignità dell’uomo
Rosanna
Virgili
I
testi biblici sono duttili, innanzitutto
perché formati e trasformati dalle lingue e dalle traduzioni, e spesso si prestano ad esegesi, interpretazioni, intese, letture, elaborazioni dottrinali, usi,
interiorizzazioni, estremamente diverse e persino, in contrapposizione tra loro.
Un caso tra tanti è quello del Salmo 8, uno
dei più belli e noti dell’intero Salterio. Si
tratta di un solenne inno cosmico, elevato
in una notte di liturgia e di canto. Nelle sue
parole risuona la nenia che i sacerdoti cantillavano durante le veglie (cf. Sal 130,6),
secondo l’invito del profeta Isaia: «Voi innalzerete il vostro canto come nella notte in
cui si celebra una festa» (Is 30,29), o nel contesto di un rito di incubazione sacra nel
Tempio: «Io mi corico, mi addormento e mi
risveglio: il Signore mi sostiene» (Sal 3,6).
«che fai tu, luna in ciel?»
ROCCA 1 AGOSTO 2011
In modi e termini più laici un clima alquanto simile veniva evocato da Leopardi, sulle
note del suo Canto notturno di un pastore
errante dell’Asia, il quale, alzando lo sguardo
verso la «intatta luna», avvertiva più forte
l’impotenza dell’essere mortale. «Ma tu mortal non sei e forse del mio dir poco ti cale»
diceva il pastore/poeta, denunciando l’incolmabile distanza, l’estraneità che c’era tra l’alto della luna, e il basso teatro dell’uomo.
La differenza con quanto recita il Salmo 8
sta proprio qui: sulla diversa concezione della distanza tra il cielo e la terra, in questo
caso, tra Dio e l’uomo mortale. Il Salmo stupisce proprio perché, nella sua versione
ebraico-masoretica, annuncia e denuncia
assolutamente il contrario, che l’uomo, cioè,
piuttosto di essere piccolo, impotente,
schiacciato sulla umiliante realtà umana,
sia, addirittura: «quasi come un dio». Probabilmente persino i traduttori greci della
Bibbia provarono un tale imbarazzo dinanzi a questa cosa, al punto che dovettero attutirla con una traduzione che diventa: «lo
facesti poco meno degli angeli». Ma vediamo il testo nella sua matrice ebraica.
occhi di meraviglia
Il canto si intona animato dalla lode stupita
e grata al nome di Dio:
O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile
il tuo nome su tutta la terra! (v. 2)
per continuare, poi, con altri versi di conferma verso questa grandezza di Dio:
52
Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza (v. 2)
e per finire nella chiusa di ripresa del versetto iniziale, a reiterare ed esaltare ulteriormente, come in un cerchio di voce, il
nome mirabile di Dio:
O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile
il tuo nome su tutta la terra! (v. 10).
Per la sua ragione inclusiva, perciò, il Salmo 8 potrebbe inizialmente sembrare consacrato esclusivamente alla lode del Nome
di Dio. Una grandezza che oscurerebbe la
realtà dell’uomo, il quale, dinanzi a Dio,
sarebbe un nulla, una briciola, una creatura piccola e agli antipodi della magnificenza divina, verso il quale, però, Dio si
sarebbe rivolto, nonostante tutto.
Ma è possibile ed, anzi, doveroso, intendere
qualcosa di completamente diverso a carico
dell’uomo e del suo rapporto con Dio, in
questo Salmo.
la geometria del mondo
Se proviamo a immaginare una geometria
letteraria del Salmo, vediamo tre piani dello spazio: il primo è il piano celeste, dove
Dio è Signore (cf. v. 4); il secondo è quello
terreno dove l’uomo è signore (cf. v. 7) e al
centro restano ancora la figura e il ruolo
dell’uomo. In altre parole, il cosmo del Salmo vede in alto il Cielo e Dio, in basso la
terra e l’uomo e in mezzo (cf. v. 5), ad articolare i due estremi, ancora l’uomo.
Nella prima parte, dunque, si celebra la
grandezza del Nome del: «Signore, nostro
Signore», dicendo: «quanto è grande». Tale
grandezza è comprovata dal creato stesso,
a partire dai cieli (cf. vv. 2-4). Ma il versetto 5 – che anima il cuore del Salmo – lancia un grido di meraviglia, attestando la
stessa precisa parola che viene usata in precedenza per lodare il Nome di Dio, per cui
si dovrebbe tradurre: «quanto è l’uomo!»
(nella lingua ebraica è: mah).
L’uomo è, dunque, il secondo oggetto di
meraviglia e di lode e la ragione della sua
grandezza è espressa nei vv. 6-9. Prima di
tutto perché egli è «fatto quasi come un Dio»
(v. 6). E la ripresa della lode del Nome del
Signore, alla fine, è ricca di un elemento determinante: Dio stesso viene esaltato per/attraverso la grandezza dell’uomo! (cf. v. 10).
grande è il Suo Nome (vv. 2-4)
La grandezza di Dio risplende attraverso
grande è l’uomo (vv. 5-9)
Ed ecco la lode alla grandezza dell’uomo:
«Grande è il mortale! Ti ricordi di lui! e il figlio dell’uomo! Ti prendi cura di lui!» (v. 5).
Il testo ebraico ci presenta l’uomo nella sua
fragilità e concretezza, non come concetto astratto. La semantica di enoš è quella
dell’essere malaticcio e decadere, perciò
può essere reso come «mortale». Nei Salmi assume un valore collettivo, per indicare l’umanità proprio in quanto caduca
(cf. Sal 90,3; 103,15). Senso analogo ha ben
adam, «figlio dell’uomo», cioè colui che
viene dalla polvere e ad essa ritorna (cf.
Gen 2,7; 3,19; Qo 3,20; 12,7). La meraviglia è proprio questa: che enoš e ben adam
sia paragonato ad Adon!!
«Davvero l’hai fatto quasi come (meat
eloim) un dio, di gloria e di onore lo hai
coronato» (v. 6).
Il salmo denuncia lo sconcerto proprio di
fronte alla grandezza dell’uomo che è posto ad una brevissima distanza da Dio. La
grandezza dell’uomo è caratterizzata e descritta dalle azioni concrete di Dio: il suo
ricordare (v. 5); il prendersi cura di lui (v.
5); il fare (v. 6); il coronare di gloria e di
onore (che sono cose normalmente attribuite a Dio) (v. 6); il governare (v. 7); 6. il
mettere tutto sotto i suoi piedi (v. 7).
ti ricordi di lui
Dio, dunque, si ricorda dell’uomo, cioè crede in lui. Il verbo zakar, infatti, è tipico dell’uomo biblico che deve ricordare Dio, cioè
confessarlo, seguirlo, restargli fedele, celebrarlo. Qui si capovolge la relazione: Dio
«crede» nell’uomo!! Il ricordarsi di Dio è
l’atteggiamento fondamentale dell’Alleanza. Dio si ricorda dei poveri (cf. Sal 9,13);
del suo popolo (cf. Sal 74,2); della sua parola e del suo amore. Che Dio si ricordi
dell’uomo è oggetto di grande meraviglia!
Un essere debole (cf. Sal 11,4; 12,2; 14,2;
31,20) destinato ad essere inghiottito dal
tempo e dalla terra, simile a un verme o ad
una larva (cf. Gb 25,6) è oggetto dell’efficace ricordo salvifico di Dio e della Sua
fede.
creatura e dignità
La fiducia che Dio conferisce all’uomo si
esprime ulteriormente nella facoltà di governare che mette nelle sue mani (per il
verbo mašal, cf. Gen 1,18; 3,16; 4,7;
45,8.26). Il «governo» dell’uomo si esprime in un ambito politico, sapienziale, culturale. È quanto si conferma con la seconda espressione: «tutto ha messo sotto i suoi
piedi» che non indica un potere arbitrario,
ma il compito e la dignità di aprire un ordine nelle cose della terra che ne realizzi
un cmpimento «quasi» divino.
Il fatto che sia Dio a conferire una tale autorità all’uomo rappresenta il limite essenziale all’interno del quale quest’ultimo può
estendere la sua azione. Stabilisce e ricorda all’uomo – che potrebbe diventare un tiranno esercitando senza limiti il governo! –
che quello stesso governo gli è dato da Dio,
pertanto deve essere esercitato non in maniera assoluta, ma condizionata e relazionale. Non c’è assoluta autonomia da nessuna parte, neppure da quella di Dio. Dio e
l’uomo, in questo gioco, si esaltano e si limitano a vicenda, così, nessuno dei due
cadrà nella deriva di distruggere l’altro, abusando di un «potere» fuori controllo.
L’uomo non potrà spadroneggiare neppure sulle altre creature terrestri, che pure
sono «ai suoi piedi», poiché sul suo rapporto con esse veglia e sorveglia Adon e
Adonai. La dignità dell’uomo e quindi anche di Dio e quindi di tutte creature può
fondarsi soltanto su una «grandezza» meravigliosa e vicendevolmente, meravigliosamente attesa e custodita.
ROCCA 1 AGOSTO 2011
un fascio di lettere, sacramento della sua
rivelazione nel corso degli eventi di Israele. Il Nome è la persona stessa di Dio, nell’atto di rivelarsi all’uomo. Il Salmo propone un duplice nome di Dio a riassumere
le molteplici esperienze di Israele. Egli è:
Yhwh Adonenu «Signore, Signore nostro».
Con Adon si declina il Dio del post-esilio,
legato al culto del Tempio che, unito a
Yhwh, assorbe l’aspetto del Dio dell’Alleanza, lo Sposo di Israele. Yhwh è, infatti,
il nome del Dio dell’Esodo, quindi dell’Alleanza mosaica e della Legge. Con questi
due nomi viene, quindi, celebrato il Dio
Creatore, il quale è ben superiore agli astri,
anzi essi sono: «(...) opera delle tue mani,
la luna e le stelle che tu hai formate» (v. 4)
A lodare il Dio signore, sposo e creatore di
Israele, si apre la «la bocca dei bimbi e dei
lattanti» (v. 3). Considerato il contesto cosmico è improbabile che si tratti di bambini,
come intende la lettura neotestamentaria che
rende: «Dalla bocca dei bimbi e dei lattanti ti
sei procurato una lode» (cf. Mt 21,15-16) citando questo testo dalla Settanta.
La lettura più coerente col testo ebraico ed
anche più suggestiva è, piuttosto, quella dei
miti egiziani ed ugaritici che raccontavano di «bambini divini», e di «stelle gemelle». Erano stelle e pianeti immaginati come
lattanti, cioè come neonati che succhiavano alle mammelle del cielo un latte di luce
che stava dentro e dietro di esse e che le
tenebre, lungo la notte, tentavano di sopraffare, gettando nel buio la terra.
Dalla loro bocca, mentre succhia la luce, esce
un canto di lode e ringraziamento a Dio. Esso
riecheggia nei canti che i nomadi odono ed
accompagnano, nelle notti stellate.
Rosanna Virgili
53
IL CONCRETO DELLO SPIRITO
lo Spirito e le piccole cose
Lilia
Sebastiani
uesta è una continuazione indispensabile – ..., o comunque inevitabile, dal mio punto di vista –
di quanto dicevo nell’ultimo articolo sul vivere nello Spirito.
Uno dei primi effetti/segno dello
Spirito infatti è un nuovo sguardo sulla nostra quotidianità più feriale. Siano abituati ad associare l’azione dello Spirito agli eventi eccezionali e folgoranti, perché meglio sembrano adatti a colpire la nostra attenzione e a esprimere il nuovo di Dio.
Le grandi cose non possono essere ignorate, nemmeno da chi non è in sintonia con
lo Spirito, da chi non ci pensa mai, da chi
non lo conosce e non sa come chiamarlo.
Ma lo Spirito è sempre all’opera, nutre e
rinnova la vita dall’interno e lavora anche
nelle situazioni più dolorose e antispirituali, anche in quelle più statiche e squallide.
Q
voce forte voce lieve dello Spirito
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Una metafora molto semplice e molto cara
ai mistici di ogni religione è quella del sole:
brilla nel cielo anche nelle giornate più cupe
e più livide. Il tempo può essere brutto, bruttissimo, ma non vuol dire che il sole non ci
sia, solo che noi non lo vediamo.
Essere cristiani significa accogliere il mistero come fondamento della nostra esistenza. Riconoscere l’evento di Dio nella nostra
quotidianità non è semplice né immediato:
vi è sempre il rischio di far passare per esperienza di Dio e del suo Spirito quello che è
portato dai nostri sentimenti e stati d’animo, da sogni e illusioni.
Vivere l’esperienza dello Spirito nel quotidiano richiede abitudine all’ascolto e al discernimento. Non esiste fede senza ascolto, e non si può incontrare Dio se non si
diventa capaci di vivere almeno piccoli spazi
di silenzio. Dopo – quando si è abituati ad
ascoltare la sua voce –, diventerà possibile
a volte distinguerla anche in mezzo al frastuono, alle distrazioni e alle contraddizioni. Ma questo riguarda un cammino spirituale già molto avanzato.
Lo Spirito parla di continuo dentro di noi,
intorno a noi; ma sottovoce. È lo Spirito di
Dio e Dio di solito è discreto. Non sempre:
54
può essere talvolta sorprendente, disturbante, sconvolgente; ma di solito è discreto nel
suo rispetto per l’uomo al punto di lasciarsi
ignorare. Lo Spirito di Dio tace o parla con
voce lieve prossima al silenzio; e nel suo silenzio apparente interpella e nell’apparente
non-agire continua ad agire in noi e attende
la nostra risposta autonoma. Non è sempre
uno Spirito ‘discreto’ però: può anche essere
uno Spirito ‘indiscreto’ che insiste e tormenta, e allora ci indica che c’è un problema in
noi, una contraddizione non ignorabile,
un’urgenza.
vivere, essere presenti
La chiave di un vivere spirituale-avvalorato, è vivere in ascolto; ma per vivere in ascolto occorre imparare ad essere presenti a
quello che si fa. E questo richiede non solo
una conversione interiore, ma un allenamento continuo e non facile.
Siamo abituati, anche i migliori tra noi, a
dividere almeno implicitamente le occupazioni della vita e di ogni singola giornata in
ambiti e cose e pensieri che ‘contano’ (lavoro, studio, famiglia e rapporti affettivi, preghiera, questioni economiche...) e altri che
‘non contano’, ma semplicemente, ‘servono’: talvolta casuali, altre volte magari indispensabili, ma non per questo importanti o
serie, cosicché sembra quasi fuori luogo
dedicare ad esse un’attenzione intensificata. Può trattarsi di occupazioni quali lavarsi, vestirsi, nutrirsi; di occupazioni finalizzate ad altre di maggior rilievo (come il fatto di spostarsi, a piedi o con un mezzo di
trasporto, per andare in qualche luogo).
Ecco, se spostarsi si classifica come fare una
passeggiata, è possibile che venga vissuto
con qualche consapevolezza. Possibile ma
non certo, perché sappiamo bene quanto
spesso in noi ogni andare non ad altro tende che all’arrivare (il più presto possibile,
grazie), e durante il tragitto siamo occupati da pensieri di ogni sorta anche ben poco
correlati a quanto stiamo facendo. Così non
si realizza un evento pienamente umano,
ma l’ennesimo stralcio di vita un po’ intasata e vissuta part-time.
E la distinzione tra le cose che consideria-
in genere a tutte le azioni volte a migliorare
e l’aspetto delle cose, a riportarle più vicino
a come dovrebbero essere.
Un discorso a parte meriterebbe poi tutto
quanto si riferisce al coltivare e curare le
piante, un giardino, un orto, per chi sa e
può farlo. (Del resto coltivare il proprio giardino è espressione e immagine simbolica
che allude alla coltivazione, al miglioramento della propria interiorità).
Sempre ci commuovono certi quadri di Jan
Vermeer che raffigurano donne dolci e pensose ma normalissime, intente ad azioni
comuni, apparentemente poco importanti.
Lo sguardo dell’artista sembra concentrato
non sulla donna, ma proprio su ciò che la
donna sta facendo: che sia ricamare o leggere una lettera..., o anche una non-proprioazione, come portare un orecchino di perla. Azioni minime ma illuminate in trasparenza tanto da sembrare cariche di risonanze misteriose e significati universali, azioni
che trasmettono a chi le osserva un senso
accentuato di calma e di intensificazione e
fanno comprendere meglio di qualsiasi discorso razionale come la quotidianità più
feriale possa essere una via provilegiata di
approccio al mistero.
lasciare spazio al gratuito e al creativo
Un discorso a parte, dicevamo, meriterebbe
tutto ciò che è rivolto alla coltivazione, al far
crescere-nutrire-proteggere la vita della natura, a migliorare il volto della creazione.
Non è questo il luogo per affrontare specificamente un tale discorso, e chi scrive non si
riconosce né le competenze né l’inclinazione né l’esperienza di vita che sarebbero necessari, ma si limita a raccomandare la lettura di un libro di Serena Dandini uscito da
poco, un libro bellissimo, arguto e inclassificabile, che verte sulla coltivazione di giardini e balconi, ma parla anche di molte altre
cose: Dai diamanti non nasce niente - Storie
di vita e di giardini (Rizzoli 2011).
Una vita ‘spirituale’, che non disprezza la
materia e le piccole cose ma le illumina e le
avvalora, ha bisogno di uno spazio proprio di
gratuità e di bellezza, uno spazio inviolabile.
Ci piacerebbe dire uno spazio per il gioco,
ma la parola è aperta a equivoci: per qualcuno la parola gioco, almeno se riferita agli
adulti, evoca subito qualcosa di poco serio.
Ci piacerebbe anche chiamarlo uno spazio
contemplativo; ma si sa che, nel nostro linguaggio corrente, così come il gioco sembra frivolo (e non lo è, a meno che non lo si
voglia confondere con certi simil-giochi stupidi e recisi dalla dimensione interiore), così
la contemplazione tende a sembrare troppo seria, pressoché professionale e riserva-
ROCCA 1 AGOSTO 2011
mo importanti e le altre non è così semplice. Anche all’interno delle cose riconosciute importanti (che poi sono propriamente
‘ambiti’ e non ‘cose’) si distinguono momenti intensi e fondamentali, abbastanza
pochi e di solito ben presenti al ricordo, e
momenti ‘in prosa’, momenti solo strumentali: innumerevoli.
Pensiamo al lavoro: non all’idea di fondo
che ne abbiamo e che possiamo declinare
in poche parole («io sono...», «io mi occupo di»), ma al modo in cui si configura giorno per giorno, momento per momento. Con
il suo carico di stress, che talvolta sembra
intensificare in noi le capacità di efficienza
e di reazione, ma più spesso sembra ottunderci strappandoci il gusto di vivere e di fare.
Con gli innumerevoli momenti preparatori, con quelli neppure difficili ma noiosi, con
i tentativi che non riescono, con la ripetizione e la preoccupazione e la stanchezza...
Momenti del genere esistono in ogni lavoro, e anche chi ha la fortuna di fare un lavoro amatissimo e interessantissimo ne incontra di continuo: certo più numerosi dei
momenti di grazia.
Il lavoro si presta bene a questa riflessione
perché è uno spazio infinito. Anche se è uno
di quelli considerati ‘intellettuali’, ha sempre una dimensione materiale, esecutiva;
anche se di quelli considerati manuali, ha
sempre una dimensione riflessiva e conoscitiva. Ogni lavoro degno di questo nome, poi,
ha una dimensione di progetto. Anche se non
fosse relativa al che fare (magari perché lavoro alle dipendenze di un altro e non alcun
controllo sul risultato del mio lavoro), vi è
sempre la dimensione di progetto relativa al
«come voglio fare», legata quindi al senso e
al fine di quello che sto facendo.
Abbiamo detto dimensione riflessiva e conoscitiva, mirata; non «di pensiero», per evitare confusioni. Non è il caso di aumentare i
pensieri. Già troppi pensieri intasano la nostra mente, non tutti belli né elevati né limpidi, spesso pensieri vaganti e qualunque,
pensieri in garbuglio, troppi e troppo frammentari forse anche per aver diritto all’impegnativo e umanissimo nome di pensiero.
Un cammino di ascesi/conversione fondamentale per il nostro tempo e il nostro ambiente (per ogni tempo e per ogni ambiente,
ma per il nostro in modo particolare, perché più occupato e convulso) è quello volto
a diventare più presenti a ciò che si fa, momento per momento. Al pasto, per esempio,
quando è il momento di mangiare; all’atto
di lavarsi, del resto collegato a significati esistenziali e simbolici di tutto rispetto; e a tutti i gesti con cui ci prendiamo cura di noi
stessi, al vestirci, che è sempre un modo di
parlare di noi; a lavare e pulire e riordinare e
55
IL
CONCRETO
DELLO
SPIRITO
ta a particolari categorie di persone.
Invece fantasia-gioco-contemplazione-mistero sono realtà strettamente connesse e
realizzare una vita spirituale tagliando via
questa dimensione è come voler aprire una
porta dopo aver intenzionalmente buttato
via la chiave. (Si può anche riuscire ad aprire la porta ugualmente, forzandola o abbattendola; ma a prezzo di scossoni e violenza, e facendosi un po’ male e quasi sempre
rendendo inservibile la porta).
Uno spazio prossimo al gioco e alla contemplazione è quello dell’arte. E ricordiamo com’erano connessi in altri tempi l’artigiano e l’artista. Potremmo anche noi riconoscere, con Lao Tzu, che le varie forme
dell’arte sono modi di meditazione, vie di
realizzazione di sé attraverso lo sviluppo
intuitivo della coscienza.
Dare valore al tempo è importante, ma usarlo talvolta in modo diverso e apparentemente non produttivo non significa sprecarlo: è
un altro modo, ugualmente necessario, di
riconoscere e intensificare il suo valore. La
nostra vita, il nostro quotidiano, hanno bisogno di bellezza e di libertà. «Oggi, dimentico di ogni lavoro, passerò il giorno suonando il flauto» scrive Rabindranath Tagore,
sottolineando con leggerezza il non-lavoro
(o l’oltre-lavoro?) di cui la nostra vita ha
sempre bisogno.
Il riposo di Dio al settimo giorno è il coronamento del lavoro della creazione, ne illumina il senso.
lo spirito del gesto
ROCCA 1 AGOSTO 2011
In uno scritto del lontano 1956 dal titolo
Fedeltà alle piccole cose, Divo Barsotti quantunque in una prospettiva che non è interamente la nostra (al centro della sua attenzione era infatti il senso delle regole e dell’osservanza scrupolosa delle regole nella
vita religiosa) avanzava osservazioni illuminanti per noi sulla vita quotidiana e il suo
spessore spirituale. L’idea di fondo è che l’essere umano non può, nella realtà, essere
‘desto’, cioè attento al senso e al fine, in ogni
singolo momento della sua vita, in ogni
azione anche minima che compie: non è
sempre consapevole e intenzionato. La
maggior parte dei nostri atti, dice Barsotti
usando un termine tradizionale della morale e dell’ascesi, sono remissi, «compiuti
nel dormiveglia». A questo ambito appartengono centinaia di atti quotidiani, interni ed esterni: gli atti realmente volontari e
coscienti nell’arco di una nostra giornata
sono pochissimi. Gran parte della nostra
vita è dettata dall’abitudine, molti dei nostri atti non sono che passaggio o preparazione ad altro. La maggior parte della no56
stra vita obbedisce a un certo automatismo
psichico ed è condizionata dall’ambiente.
Ora sappiamo che, al di fuori dell’importanza della regola, del ‘controllo’ di sé anche nelle piccole cose, l’etica cristiana sempre un po’ segnata dal sospetto e troppo focalizzata sul peccato, non ha sviluppato abbastanza la dimensione spirituale del quotidiano e delle piccole cose.
Molto più avanti, da questo punto di vista,
sembra trovarsi la spiritualità zen con la
pratica dello zanshin, ‘spirito del gesto’: significa in breve essere in una completa presenza (per noi difficile anche solo da concepire, oltre che da realizzare) a tutti i gesti
e momenti della vita, alleggerendosi del fardello rappresentato dalla dimensione mentale e usare ogni atto dell’esistenza come
possibilità di vita risvegliata e libera. «La
pratica dello ‘spirito del gesto’ permette che
la Via si incarni totalmente nella nostra vita
e non sia questione di uno spazio, di un tempo, poiché se rimanesse circoscritta a un
luogo, a una postura, a un tempo particolare, allora questa Via sarebbe profondamente
limitata e ci limiterebbe nella nostra dimensione di essere umano libero» scrive un monaco zen (Patrick Pargnien). E ancora:
«...Essere attenti ai gesti che facciamo non
vuole dire che bisogna tutto a un tratto mettersi a vivere al rallentatore, poiché questo
sarebbe una concentrazione cristallizzata,
una presenza centrata sull’ego. La concentrazione non deve essere dura, rigida, ‘tesa
verso’ ma piuttosto distesa, aperta, morbida nel corpo, nello spirito e nel cuore. E
realizzare così che la Via è una via di apertura. Essere concentrato, essere presente
non è un modo di fare ma un atteggiamento dello spirito».
Con questi (troppo) rapidi richiami all’induismo di Tagore e al monachesimo zen, si
potrebbe dare a qualcuno l’impressione dell’ennesima miscellanea in stile New Age.
Non è assolutamente la nostra intenzione,
benché ammettiamo che certi principi New
Age, vissuti con equilibrio e discernimento, potrebbero costituire una via semplice
e inconsapevole (ma anche un inizio di consapevolezza) verso una migliore esperienza dello Spirito. Almeno in quanto guardano all’essere umano in maniera olistica e
attingono a un serbatoio comune di spiritualità e saggezza in cui diverse religioni e
culture si incontrano e si fondono. E lo
Spirito di Dio che Gesù ci ha lasciato ha tra
le sue caratteristiche quella di abbattere le
barriere e far fiorire il dialogo, mentre avvalora le identità.
Lilia Sebastiani
CINEMA
S
econdo Internet Movie Database, prendendo in considerazione sia il grande che il piccolo schermo, fino a oggi sono
ventisette i film imperniati
sull’assassinio di Abraham
Lincoln o che da esso prendono l’avvio. Conoscendone
solo una piccola parte, e
volendo esercitare il diritto
legittimo dell’arbitrarietà, ci
piace ricordarne due: La nascita di una nazione (1915),
primo lungometraggio di
David Wark Griffith, cioè
l’inventore del cinema come
linguaggio narrativo, in cui,
nell’ambito di una sequenza di insuperata orchestrazione di campi e piani, John
Wilkes Booth è interpretato da un torvo Raoul Walsh, futuro regista di opere
memorabili come Una pallottola per Roy e Notte senza
fine, e Il prigioniero dell’isola degli squali (1936), un
Ford minore, forse, ma comunque sempre all’altezza
del proprio nome, in cui il
villain per eccellenza della
storia americana ha il volto
cereo e il corpo dinoccolato
di John Carradine (tre anni
dopo, l’immenso regista irlandese avrebbe dedicato
allo Young Mr. Lincoln del
titolo originale quello che da
noi è uscito come Alba di
gloria, un capolavoro in cui
il Presidente è uno straordinario Henry Fonda con
barba e naso posticcio).
Buon ventottesimo, dando
per attendibile il succitato
elenco, The Conspirator è
anche l’ottavo film diretto
da Robert Redford in
trent’anni, avendo il bravissimo attore di I tre giorni del
Condor esordito dietro la
mdp con il notevole Gente
comune (1980), che gli è valso un Oscar per la regìa al
primo tentativo.
Partendo da un soggetto di
Gregory Bernstein e James
D. Solomon, Redford fa precedere la vicenda vera e propria da un antefatto collocato sul campo di battaglia
della Guerra di Secessione,
The Conspirator
a introdurre il carattere di
Fredrick Aiken, eroico ufficiale ventisettenne prima
ancora che avvocato di belle speranze. Dopo l’omicidio
a teatro, il «Sic semper tirannis» gridato dall’attoreattentatore Booth dal palcoscenico, la sua fuga e la sua
morte violenta, il film si incardina sul processo alla
«cospiratrice» del titolo,
Mary Surratt, il cui unico
crimine, a parte la professione di fede cattolica e sudista, fu forse quello di essere la proprietaria della
pensione che ospitava i congiurati. Aiken, paladino delle ragioni del Nord ma anche convinto assertore della certezza del diritto, accetta la difesa contestando innanzitutto la competenza a
giudicare di un tribunale
militare e, grazie anche ai
colloqui con la figlia Anna,
comincia a nutrire seri dubbi sulla colpevolezza di
Mary. Contemporaneamente, si rende conto che la sentenza di morte della donna
è già scritta, che la sua celere esecuzione viene ritenuta fondamentale per mettere una pietra definitiva sopra la grande tragedia di
una nazione divisa, e perciò
i vertici dello Stato si sono
votati alla costruzione di
una verità ufficiale, corrompendo testimoni e aggirando le procedure, in applicazione del motto «Inter arma
sileant leges».
In assoluta coerenza con il
suo percorso registico, forse
marginale rispetto a quello
d’attore ma tutt’altro che disprezzabile (basterebbe in
proposito citare l’ecologico
In mezzo scorre il fiume,
1992, e il massmediologico
Quiz Show, 1994), Redford
ha realizzato un’opera nella
migliore tradizione del cinema democratico del suo Paese, andando a frugare nei
risvolti della storia americana per denunciarne lati
oscuri che rimandano a un
recente passato (il riferimento è al dopo 11 settembre,
alle varie Guantanamo e Abu
Ghraib). Cinema iper-classico e senza sussulti ma di apprezzabile professionalità,
capace di aggirare la staticità insita nel filone processuale mediante l’alleggerimento
di una serie di flash-back
esplicativi. Cinema di personaggi a tutto tondo, rifiniti
nella psicologia e nella rap-
presentatività simbolica, tra
i quali spiccano ovviamente
la pensosa determinazione
del giovane avvocato Aiken
di James McAvoy e soprattutto la tormentata dignità
della mater dolorosa Surratt
di Robin Wright, ex moglie
di Sean Penn che l’aveva diretta in un ruolo parimenti
incisivo nel durrenmattiano
La promessa, ma si segnalano anche il presidente del
tribunale dell’impagabile e
sottoutilizzato Colm Meaney, il pubblico ministero del
figlio d’arte Danny Huston e
il Segretario di Stato di un
Kevin Kline quasi irriconoscibile per il trucco, mentre
al Booth di Toby Kebbell viene concesso troppo poco
spazio perché possa inserirsi a pieno titolo nella galleria dei suoi illustri predecessori. Cinema di impeccabile
ricostruzione d’epoca, infine, grazie alle scenografie di
Kalina Ivanov e i costumi di
Louise Frogley, anche se la
fotografia di Newton Thomas Siegel, volutamente flou
per attribuire alle immagini
una patina di autenticità, finisce per risultare un po’
stucchevole per eccesso di
alonatura.
Si può concludere rilevando che le tecniche di Redford regista assomigliano
a quelle dell’attore. La sua
recitazione essenziale, tutta
giocata sulla sobrietà delle
sfumature più sottili, sul
massimo risultato ottenuto
col minimo sforzo mimicofacciale (tutto l’opposto del
metodo strasberghiano di
quell’Actor’s Studio che
pure ha frequentato), trova
il suo corrispettivo in una
messa in scena pacata, fatta di mezzi toni, quasi in
sordina. Rispetto agli esordi va segnalata un’evoluzione nel senso della coralità,
della capacità di padroneggiare storie complesse e di
vasto respiro, nelle quali
naturalmente eccelle come
direttore di attori.
❑
57
.
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Paolo Vecchi
RF&TV
TEATRO
Roberto Carusi
Renzo Salvi
In scena per passione
ROCCA 1 AGOSTO 2011
L
’amore per il teatro è
alla radice dell’espressione «teatro
amatoriale», meno riduttiva di quella che caratterizza come «dilettante» chi
faccia del teatro per passione e non per professione a
tempo pieno. E di autentica passione si può parlare
quando accada di assistere
a spettacoli insoliti sui palcoscenici milanesi.
Il primo caso è quello della
Compagnia Sant’Andrea (la
più antica del genere a Milano) che ha rappresentato
A ogni fioeu el sò cavagnoeu di Roberto Marelli. Marelli, professionista di grande esperienza (in compagnia con Peppino De Filippo, Patroni Griffi, Strehler)
ha rinverdito negli ultimi
anni la sua popolarità con
due presenze televisive. La
prima come «spalla» di
Raimondo Vianello e Sandra Mondaini nelle numerose puntate di Casa Vianello, la seconda come curioso ricervatore di Storie di
Lombardia. Né va dimenticato che fu anche primattore nella memorabile
Compagnia Stabile del Teatro Milanese, al Gerolamo.
È giusto ricordare la milanesità di Marelli perché fra
le sue molte «vesti» c’è quella di autore di commedie
brillanti in dialetto meneghino. Tra le quali va annoverata anche la pièce messa in scena dagli appassionati attori della Compagnia
Sant’Andrea. Quella di Marelli è una commedia che –
nella sua esemplare semplicità – si riallaccia alla tradizione da un lato della
Commedia dell’Arte per le
gustose caratterizzazioni
dei personaggi, dall’altro
delle commedie settecentesche (come quella, all’origine in lingua croata, dalla
quale l’autore ha preso
58
spunto) piene – come si sa
– di sorprese e agnizioni a
lieto fine. Il titolo richiama
un famoso detto lombardo
che – tradotto in lingua –
vuol dire «ad ogni bambino il suo panierino»: come
dire che chiunque venga al
mondo trova sempre di che
campare.
Nella commedia di Marelli infatti una paternità celata a lungo e poi rivelata
dà luogo a esilaranti equivoci che, una volta accertata la verità, consentono
di risolvere una crisi di
economia familiare. La
regia di Gian Luigi Gilardi ha ben evidenziato le
caratteristiche della «scatola a sorpresa», sostenuta dalle felici coloriture dei
vari personaggi.
Ancora più giocata la caratterizzazione attorale nel
secondo esempio di teatro
per passione: Attentati alla
vita di lei di Martin Crimp,
autore inglese contemporaneo. La scoppiettante
commedia fa pensare al
«teatro dell’assurdo» per la
ricorrente citazione di un
personaggio (qui una certa Anna) che sulla scena
non compare mai. Senonché alla lunga il gioco si fa
cabarettistico nel senso
più nobile del termine. I
toni quindi vanno dai più
ironici ai più grotteschi e i
brillanti monologhi si alternano a ben calcolati
momenti corali. La messinscena – piena di ritmo –
è nata da un laboratorio
condotto da Michela Blasi,
che di questo spettacolo è
regista.
Le attrici e gli attori sono
giovani ex-studenti del Liceo classico Carducci, dove
la Blasi gestisce tuttora stages inseriti nel curricolo
scolastico: passione per la
scena. Come volevasi dimostrare.
❑
Tamarreide
I
n due battute i dati positivi: ben girato e montato con un’idea di costruzione narrativa che sviluppa
il racconto per accostamenti
asincroni nel materiale (tv)
raccolto. Poi Tamarreide – su
Italia1, nelle serate estive, di
venerdì – risulta un parametro dello sciagurato tempo
italiano d’oggi: formalmente
è un docu-reality (per quanto possa dire questo termine
derivante da altri frantumi
linguistici) costruito organizzando un viaggio attraverso
l’Italia con un autobus/camper che ospita otto «tamarri».
Del termine il dizionario Sabatini/Coletti fornisce la definizione di «giovane provinciale o di periferia che si sforza di adeguarsi ai modi di
vita cittadini, ma in maniera
eccessiva, volgare»; si precisa che il termine spregiativo
data agli anni Ottanta. Nel
programma e nella vita rispecchiata il tamarrismo è
però approdato a stile, sin
identitario, di comportamento, pur in incertezza di contenuti.
Gli otto del gruppo, quattro
per sesso, girano, convivono,
giocano, si incontrano (tra
loro e con altri), frequentano luoghi per loro inconsueti – centri benessere o musei:
in totale equiparazione – e
forniscono occasioni di ripresa tv reagendo a queste occasioni, costruendo relazioni (dalla simpatia, allo scontro, alle «coccole» da lenzuola), e… spandendo parole: a
ruota libera (apparente), in
situazione di commento costruito dalla redazione, in
connessione con quella che
sarebbe la conduttrice (assolutamente omogenea al contesto e alla tematiche).
In trasmissione lo smarrimento della realtà in un suo
doppio composto ad arte si
costruisce per queste vie. E
così viene a far parte dell’offerta televisiva in quanto ha-
bitat per il loisir – che è più
del tempo libero – destinato al popolo dei teleutenti.
Di più. Per convenzione non
detta ma, in una puntata
almeno affermato a parole,
lo stile tamarro viene rivendicato e ammantato di dimensioni maggioritarie nel
Paese: chi s’è fatto da sé, chi
sta sempre in faccenda per
sfangarla ‘sta vita, chi stava
fuori «dde casa» a dormire
a nove anni (una lei) perché
con sua madre non si capiva… Poi la mamma s’affaccia in puntata e son pianti e
son (altre) parole; un lui che
«la sfanga» fa lo strip tease;
qualche self made man tamarro risulterebbe tale a
confronto con «un nobile»
chiamato in scena a interpretare la figura/raffronto
del dandy.
Il lessico dei nostri è nelle
dimensioni di quelle trecento parole che la Scuola di
Barbiana aveva individuato
come causa della subalternità dei ceti popolari negli
anni Sessanta; i termini ed
il loro comporsi vengono
invece dall’era più recente a
dominanza tv, in particolare Mediaset/oriented (pseudo Struttura Delta/Rai a
parte), e tabloid/pettegolante. Presunzione e seriosità di
posa derivano dagli angoli
in cui il concorrente si confessa, il conduttore o il direttore «supporta» o lo psicologo risponde. D’altro
canto non mancano nel programma gli angoli in cui il
sociologo e lo psico/antropologo dan ragione delle
dinamiche che si andrebbero determinando – secondo
i classici – nel tamarroteam. Monicelli ne avrebbe
tratto un film (psico/socio/
antropologico compresi)
con il disincanto dell’ironia:
qui si fa un intrattenimento
con pretese di realtà. È
un’Italia a fine ciclo. Si spera.
❑
SPETTACOLI
ARTE
Mariano Apa
Ernesto Luzi
I
l prossimo anno si compirà il decimo Convegno liturgico internazionale dedicato all’arte: la
Comunità di Bose in collaborazione con l’Ufficio
nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici della
Cei, ha felicemente realizzato anche in questo 2011,
il suo IX Convegno – dedicato all’«Ars Liturgica. L’arte a servizio della Liturgia», dal 2 al 4 di giugno –
; pervenendo così a confermare un percorso nella
qualità culturale ed ecclesiale che fa di questi convegni una oggettiva referenza istituzionale. Nei
due decenni ultimi trascorsi, numerose sono state le
occasioni di incontro e di
verifica tra artisti e mondo ecclesiale: vengono in
mente i numerosi Master
in uso presso Università
Pontificie e presso Accademie di Belle Arti e Università statali, e quindi i numerosi incontri espositivi
e le «tavole rotonde» al
Meeting di Rimini e i convegni e i Master della Stauros Italiana al Santuario di
San Gabriele, con il ricordo dei carissimi mons. Carlo Chenis e padre Adriano
Di Bonaventura, gli incontri lauretani della Associazione siciliana Il Baglio,
alcuni incontri realizzati
anche nella Cittadella di
Assisi, i Convegni su arte e
su architettura sacra che
sempre la Cei organizza a
Venezia con il Patriarcato,
con la collaborazione della Biennale di Venezia, e i
tantissimi altri incontri e
mostre di arte sacra che in
Italia e in Europa catalizzano il dibattito – che si
sono svolti in preparazione e a conseguenza del
Grande Giubileo del 2000,
legate, o di corollario, ad
importanti o anche a minori committenze eccle-
.
siastiche: prime su tutte i
Concorsi delle nuove chiese della Conferenza Episcopale Italiana e poi il fatidico e importante Concorso
internazionale per la chiesa del Giubileo a Roma –.
La pubblicazione, per la
cura del monaco di Bose
Goffredo Boselli, di «Liturgia e Arte» – atti del Convegno di giugno 2010, con l’introduzione del Priore di
Bose, Enzo Bianchi – segna
una importante precisazione, dopo aver affrontato
magistralmente le tipologie
liturgiche dall’altare all’ambone all’orientamento, dal
Battistero alla Comunità e
alla Città; su quel che giustamente è stata definita
«La sfida della contemporaneità». Infatti ecclesiologicamente anche dopo Sacrosanctum Concilium non
ci si può permettere la museificazione del vissuto antropologico nel definito della pluralità dei linguaggi
espressivi, pervenendo al
vissuto nella sincerità della
fede dei Padri e della Tradizione e quindi nella fonte
viva della unicità della Parola vivente del Gesù Morto e Risorto. Se non si vuole abdicare alla comoda superficialità dell’ideologia
tradizionalista o neomodernista che si vuole, non rimane che la fatica dell’informazione, la gioia del dialogo che arricchisce, del chiarimento concettuale che nel
Magistero informa la capace spiritualità che nella misericordia elimina orgogli e
pregiudizi, narcisismi e presenzialismi: ristabilendo da
parte di tutti – ad iniziare
anche dagli artisti e dagli
architetti, che meno son
bravi e più presenziano, che
più son maestri e più desiderano e sanno ascoltare –
il corpo vivo dello spirito di
sevizio.
❑
Festival di Spoleto 2011
I
l festival del due mondi
di Spoleto quest’anno si
è inaugurato con l’opera «Amelia al ballo» un
grande successo operistico
di Giancarlo Menotti al
quale è stata dedicata la
cinquantaquattresima edizione della rassegna per
onorare i cento anni della
sua nascita. Questo lavoro
teatrale ha visto in scena
l’Orchestra sinfonica di
Milano Giuseppe Verdi, diretta dal m.tro Johannes
per la regìa di Giorgio Ferrara. L’azione si svolge in
una imprecisata città europea del primo novecento.
Amelia giovane donna immersa nel lusso, desidera
ardentemente partecipare
al primo ballo della stagione. Aiutata da due cameriere Amelia si sta febbrilmente preparando per andare
al ballo. Ma il marito ha
appena scoperto di essere
tradito e vuole sapere il
nome dell’amante, in cambio della promessa di andare con lei al ballo. Amelia
confessa: l’amante è l’inquilino del piano di sopra. Seguono discussioni, minacce e litigi tra i tre personaggi. Amelia esasperata e impaziente perché vuole andare al ballo finisce per tramortire il marito lanciandogli un vaso. All’arrivo
della polizia Amelia incolpa dell’accaduto l’attonito
amante e riesce così a perseguire il suo unico scopo
di andare al ballo. Sarà il
galante e lusingato commissario ad accompagnarla.
Sempre per il settore teatro di Andrea Camilleri è
andata in scena la pièce
«Cannibardo e la Sicilia»,
ovvero l’unità d’Italia vista
dai siciliani.
In anteprima mondiale è
stato proposto al pubblico
festivaliero «la Modestia»
di Rafael Spregelburd una
delle figure più rilevanti e
influenti della scena contemporanea argentina, con
la regìa di Luca Ronconi.
Ancora per la sezione teatro è stato presentato «Leopardi e l’Italia» di
Corrado Augias e «Mi chiedete di parlare» di Monica
Guerritore, ovvero un’impossibile intervista alla più
famosa giornalista italiana
del novecento, Oriana Fallaci.
Ricco è stato il cartellone
della musica: tra i concerti eseguiti ricordiamo quello del 7 luglio in piazza
Duomo con la direzione
orchestrale del m.tro
Steven Mercurio; successo,
infine per «Il Sole smarrito» fiaba in musica per
voce recitante, immagini e
orchestra sinfonica G. Verdi di Milano direttore Gabriele Bonolis.
Non sono mancati i concerti di mezzogiorno ed il
concerto finale in piazza
duomo che ha visto in scena l’Orchestra del Teatro
San Carlo di Napoli diretta da James Conlon che ha
proposto musiche di G.
Verdi concerto dal titolo
«Viva l’Italia»; tra gli altri
spettacoli ricordiamo «Le
condanne a morte» di Jean
Genet.
Per la danza al teatro romano si è esibita la compagnia di ballo «Corella
Ballet» e la «Busk Aszure
Barton e Artists» grande
entusiasmo infine per la
coreografia «Il valore di
una vita» il racconto danzato di Alberto Testa.
Per il settore Arte diverse
sono state le mostre allestite, ricordiamo quella a
Palazzo Collicola curata
da Gianluca Marziani e
quella a Palazzo Racani
Arroni curata da Vittorio
Sgarbi.
❑
59
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Bose
SITI INTERNET
FUMETTI
Alberto Pellegrino
Giovanni Ruggeri
Affari di famiglia
ROCCA 1 AGOSTO 2011
W
ill Eisner (19172005) è considerato il maestro della graphic novel, cioè di quel
genere letterario che usa il
fumetto secondo le tecniche
narrative del romanzo. Nel
1998 egli ha realizzato
un’opera intitolata Affari di
famiglia che ora viene pubblicata dalla «Fandango Libri» e l’autore nell’introduzione, rievoca la famiglia del
passato che significava affetti, aiuto nel bisogno, assistenza, fatta di relazioni
durature che davano senso
di appartenenza e una dovuta devozione. La famiglia
di oggi non presenta più
queste caratteristiche, rifugge dalle responsabilità, soffre di sensi di colpa, diventa a volte un covo di vipere.
Eisner dice che quanto raccontato in questa storia è
frutto di avvenimenti di cui
è stato diretto testimone:
«Se dovesse trasparire un
senso di rabbia, il suo oggetto non sono tanto i protagonisti, quanto la complessità sempre maggiore della
società moderna». Ben il capostipite è un uomo molto
anziano divenuto ricchissimo con la raccolta e lo sfruttamento dei rottami, ma ora
immobilizzato su una sedia
a rotelle a causa di un ictus.
Egli vive con la figlia Greta
che ha deciso di riunire gli
altri figli per festeggiare il
suo novantesimo compleanno: Al è un alcolizzato che
sogna arricchire con un
pozzo di petrolio ed ha abbandonato il figlio Sammy
cresciuto in un centro psichiatrico; la bellissima Selma è un’attrice fallita costretta a fare la commessa;
Leo è diventato un avvocato affarista, nevrotico e ossessionato dal denaro; Molly ha sposato un uomo ricco e guarda dall’alto in basso tutti gli altri familiari;
infine il giovane Sammy che
arriva con il suo carico di
frustrazioni. La riunione di
famiglia intorno a una tavo-
60
Internet al femminile
L
la imbandita si trasforma in
un alterco per la suddivisione dell’eredità paterna, con
una narrazione spezzata dai
flash back (l’autoritarismo
del padre; la sua attenzione
morbosa per la bella Selma
e la fuga di questa dalla
casa; l’inesorabile declino
sociale di Al; il sospetto che
Ben abbia praticato l’eutanasia verso la moglie morente). Privo della parola ma
non dell’udito, il vecchio
sente non solo i litigi per la
divisione del suo patrimonio, ma anche la decisione
di rinchiuderlo in un pensionato per anziani possibilmente a basso costo (l’unica ad opporre una blanda
resistenza è Greta che mostra una certa umanità), per
cui accoglie come un dono
il contenuto di un tubetto di
pillole che il nipote Sammy
gli versa in una mano, liberando i suoi cari parenti
della sua ingombrante presenza ed evitando di passare gli ultimi giorni in «una
bellissima casa dove stare
benissimo in compagnia di
infermieri e passatempi».
Una conclusione tragica e
spietata che ci porta a riflettere sull’egoismo dominante e sul fatto che l’ultimo barlume di umanità si
trova in un giovane psicolabile e socialmente emarginato, che sa trovare l’unica
soluzione per lui possibile in
un mondo povero di speranze.
❑
’insospettabile, eppur
indiscutibile complicità stabilitasi tra Internet e il mondo femminile è un dato consolidato sin
dagli albori della rete. Creatività, senso pratico, interazione, apertura di orizzonti
– ingredienti strutturalmente all’opera nel mondo delle
nuove tecnologie – si saldano egregiamente con le corrispettive attitudini che il
senso comune da sempre riconosce al cosiddetto universo femminile. Le prospettive, come pure i piani
di interesse sono – anche in
questo caso dai primi tempi della rete – diversi, ma
prima di soffermarci sugli
aspetti qualitativi, vale la
pena segnalare alcuni dati
quantitativi.
Secondo una ricerca condotta dall’European Interactive Advertising Association, 8,3 milioni sarebbero
in Italia le donne che navigano regolarmente in Internet, con una quota di circa
3 milioni che accede al web
tutti i giorni. Questi numeri
si impennano se, oltre la
semplice navigazione, vengono prese in considerazione tutte le attività on line,
che coinvolgono addirittura il 72% delle italiane, con
un tempo medio settimanale trascorso in rete pari a
circa 12 ore (in Francia sono
12,6 le ore settimanali, in
Inghilterra 12,5, mentre in
Spagna 11,9). La fascia di
età più assiduamente connessa e quella delle giovani
tra i 16 e i 34 anni (13,7 ore
a settimana).
Tra le attività e gli interessi
più diffusi dopo la ricerca di
informazioni (68%), spiccano di gran lunga in primo
piano quelli di tipo relazionale (email 53%, social
network 40%, messaggistica varia 19%), ma non mancano ambiti di uso pratico
dove si ridefiniscono funzio-
ni un tempo accordate ad
altri strumenti e circuiti di
distribuzione, come ad
esempio l’ascolto della radio
via Internet e lo scaricamento di file musicali (25%).
Accanto a realtà on line che
vedono all’opera centri di
ricerca e istituzioni dedicate a questioni femminili e di
genere, la stragrande maggioranza delle «quote rosa»
della rete è legata ad interessi e aspetti della vita quotidiana, con le rispettive
sfaccettature e bisogni, dove
sempre e comunque primeggia l’interesse alla comunicazione. Il 68% del
campione dell’indagine apprezza e usa la rete principalmente per mantenere i
contatti con amici e parenti,
spesso materialmente lontani, mentre un buon 44% se
ne serve per ottenere informazioni sulla salute, il 43%
per prenotare viaggi e vacanze, il 34% per confrontare
pareri ed esperienze prima
di scegliere prodotti o servizi. Quest’ultimo fatto è ben
noto alle grandi aziende,
sempre più attive nell’universo di social network e blog,
per la rilevanza che questi
hanno nell’influenzare le decisioni di acquisto.
Non meno rilevante è la funzione espressiva che la rete
svolge: lo attestano i blog
che, nel caso di quelli realizzati in Italia da donne,
crescono esponenzialmente
al ritmo del 21% annuo. Numerosissimi quelli legati
alla maternità, e non solo:
accanto a realtà come
www.fattoremamma.com,
blog collettivo per lo scambio di informazioni tra le
mamme, c’è tutto un universo dove si sprigiona la più
vivace fantasia, come ad
esempio www.mammache
blog.com – aggregatore di
blog al femminile – ben evidenzia. Vento in poppa per
l’Internet al femminile. ❑
LIBRI
Don Paolo Farinella, biblista, scrittore e saggista,
«parroco nel centro storico
di Genova in una parrocchia senza parrocchiani e
senza territorio», reagisce
alle provocazioni del Vangelo con tutta la sensibilità di
studioso e di credente e vi
scopre l’immagine di un
Dio-Padre che è Giusto perché salva (là dove gli uomini, al contrario, invocano la
giustizia di Dio come castigo, rendendo il proprio concetto di giustizia parametro
su cui misurare quella di
Dio), in cui predomina l’eccesso d’amore, l’amore a
perdere, l’amore gratuito
per sé e non per quello che
riceve. Queste pagine non
lasciano indifferente il lettore: il messaggio evangelico
può essere sintetizzato nel
cap. 15 di Luca che per l’autore è strutturato come un
midrash, un commento al
cap. 31 del profeta Geremia,
perché «Gesù rompe con la
tradizione degli uomini ma
non con la tradizione biblica che, invece, Egli cerca di
portare alla genuina interpretazione». La parabola
non è un racconto edificante, non intende esporre una
morale o un sistema di valori ma vuol essere un affresco del nuovo modo di agire di Dio, un Dio folle
d’amore – comunque – per
l’uomo, un «Dio Padre che
fu anche Madre». Farinella
offre al lettore una grandissima quantità di informazioni e studi documentati
sulla «Parabola delle Parabole» che, a suo avviso, costituisce la chiave interpretativa della Buona Notizia.
Si può magari reagire con
disagio o con rifiuto perché
Luca 15 non appare come
un testo che consola e gratifica, ma mette in discussione il modo comune di vivere e pensare. Tuttavia, superata questa tentazione di
rigetto, dovuta a una mentalità dualistica che separa
le cose del cielo da quelle
della terra, si scopre che abbiamo la possibilità di aprire uno spazio alla presenza
di Dio in mezzo a noi. Con
competenza e forza, l’autore aiuta i cristiani a confrontarsi seriamente con il «cuore» e le esigenze della Buona Notizia – che è l’Amore
di Dio Padre – senza cercare facili alibi ma assumendo il proprio impegno di servizio e testimonianza.
Maria Rosaria Gavina
Romana Vigliani
La questione prostituzionale
Ovvero fallo... per soldi
Ed. Seneca, Torino 2011,
pp. 167
C’è una brevissima biografia sulla IV° di coperta di
questa bella signora dagli
occhi limpidi, che ci insegna
a leggere questo libro consapevoli che quanto è contenuto corrisponde alla scomoda verità che ognuno di
noi, infastidito ormai dalla
cronaca tanto volgare quanto becera, tenta di accantonare se non di rimuovere.
Romana Vigliani è un avvocato penalista ed è appunto
in questa veste che ha accesso ai tribunali e a tutte quelle situazioni border line che
per i benpensanti andrebbero taciute o, quanto meno
sussurrate nelle apposite
stanze. Sono verità scomode, crude a volte, dolorose
sempre anche se ci vengono vendute come scelte svincolate da ogni urgenza e
abbracciate con la disinvoltura di chi, lungi da ogni
impedimento morale o anche solo sociale, afferma la
propria libertà e la padronanza assoluta del proprio
corpo. Ma la Vigliani porta
sulla pagina scritta una disamina tanto attenta quanto documentata di quello
che, entrato ormai nel linguaggio di tutti definiamo
«il più antico mestiere del
mondo», ma che Lei guarda da altre angolazioni, apre
altre chiavi di lettura che riescono a spiazzarci. Nessuno
ci aveva proposto finora la
lettura del problema che riguarda il lato maschile. Ci
si accontentava degli adagi
d’antan... tanto l’uomo è per
sua natura, cacciatore, senza mai considerare quanto
la mistificazione di tali asserzioni giocasse sempre e
solo dalla parte del maschio,
quanto la sua stolidità abbia
sempre saputo nascondere,
dentro le pieghe di una conclamata autoassoluzione, il
loro: «Così fan tutti»! Cita
Rossana Rossanda, in una
lapidaria quanto veritiera
asserzione: «Essere donna è
tutto un lavoro, una percezione e un dubbio. Il proprio
corpo non si sente se stai
bene, è come l’aria; lo incontri nella malattia e poi nel
sesso, prima sorprendente e
oscuro e poi misto al corpo
altrui». Eccolo appunto quel
sesso «sorprendente» di cui
a milioni ormai di ragazze
giovani se non giovanissime,
viene negato lo stupore per
darlo in pasto a bocche volgari e fameliche che pare
non se ne sazino mai, tanto
che, all’approvazione della
famosa legge Merlin, i signori uomini hanno opposto resistenze e codardie indicibili. L’attualità parla ora
di escort, puttane suona volgare, ma è rinominandolo
che acquietiamo le nostre
coscienze senza renderci
consapevoli che degradando
l’Amore si riduce la donna a
soggetto sessuale degradato?
Caterina dalle Ave
Salvatore Veca
Etica e verità. Saggi brevi
Fondaz. Europea Guido
Venosta – G. Casagrande
Ed., Milano 2009, pp. 110
Nati dal confronto con la
figura di Guido Venosta
(1911-1998) in virtù di
un’intesa di fondo in chiave etico-solidaristica, questi cinque agili saggi del
filosofo della politica (ma
non solo) Salvatore Veca
ci offrono l’opportunità di
ripensare criticamente diversi aspetti del sapere e
dell’agire. Siamo così invitati a rileggere il concetto di morale; l’idea di verità; la questione nodale di
potere – in buona sostanza: cosa è veramente,
come viene gestito e cosa
potrebbe essere –; il risvolto di ciò che intendiamo
per progresso e quindi il
rapporto inaggirabile di
scienza-tecnica-società civile; ma poi, più o meno
direttamente, anche la relazione sempre cangiante
tra il pensiero filosofico e
la stessa scienza, le coimplicazioni di conoscenza e mass media…
Basilare è la posizione intorno alla duplice responsabilità cui siamo inchiodati: verso chi ci ha lasciato in eredità il mondo che
abitiamo e verso coloro ai
quali siamo chiamati a
consegnarla, ma a consegnarla mantenendone il
più possibile la ‘qualità
abitativa’. In un’epoca in
cui l’impresa scientifica e
l’innovazione tecnologica,
ricorda appunto Veca (cfr.
p. 38), hanno avuto e continuano ad avere uno sviluppo davvero straordinario, il nostro non può che
essere un atteggiamento
responsabile verso noi
stessi, verso gli altri e verso il mondo che condividiamo.
ROCCA 1 AGOSTO 2011
Paolo Farinella
Il Padre che fu Madre
Una lettura moderna della parabola del figliol prodigo
Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano (Vr) 2010,
pp. 312
Giuseppe Moscati
61
paesi
in primo
piano
Carlo Timio
Svizzera
ROCCA 1 AGOSTO 2011
S
tato dell’Europa centrale, la Svizzera è
una repubblica federale composta da ventisei
cantoni. È delimitata a nord
dalla Germania, a est dall’Austria e Liechtenstein, a
sud dall’Italia e a ovest dalla Francia. Nel territorio
sono compresi anche due
enclavi: Büsingen am Hochrhein che è un cantone
tedesco, e Campione d’Italia che si trova nel Canton
Ticino. La Svizzera, Paese
che adotta una posizione di
neutralità in politica estera,
deve questa sua posizione a
una dichiarazione di neutralità risalente al 1515,
quando rendendosi conto di
non poter aspirare a politiche espansionistiche, decise di seguire questa linea.
Dopo un periodo trascorso
sotto la sovranità francese,
durante il Congresso di
Vienna nel 1815, il Paese riconquistò la propria indipendenza e la permanente
neutralità. Questa posizione
fu mantenuta anche nel XX
secolo. Nel corso della prima guerra mondiale il Paese intervenne solo attraverso l’organizzazione della
Croce Rossa, che ha sede a
Ginevra. Nel corso del secondo conflitto mondiale
invece la Svizzera, pur mantenendo la sua neutralità,
creò una fitta rete di spionaggio, alleandosi con le potenze belligeranti. Agli inizi
degli anni Cinquanta, quando il resto d’Europa stava affrontando il processo di ricostruzione, la Svizzera rafforzò il suo apparato industriale, finanziario e commerciale. E così il Paese si
trasformò in un centro bancario e assicurativo di fama
mondiale, oltre a divenire
sede di importanti organismi internazionali. Oggi si
annoverano venticinque or62
ganizzazioni internazionali
tra cui: l’Organizzazione internazionale per le Migrazioni, l’Organizzazione
mondiale del Commercio,
l’Organizzazione mondiale
della Sanità, l’Organizzazione internazionale del Lavoro, l’Ufficio europeo delle
Nazioni Unite e l’Organizzazione internazionale della
Protezione Civile. Nel 2002
il Paese è entrato a far parte
delle Nazioni Unite.
Popolazione: la caratteristica della popolazione
svizzera, composta da quasi otto milioni di abitanti, è
quella di essere costituita
da circa il 22 per cento da
immigrati. I paesi maggiormente rappresentati sono
l’Italia, la Francia, la Germania, la ex Jugoslavia, la
Turchia, il Portogallo e la
Spagna. È il Paese europeo
con la più alta concentrazione di immigrati dopo il
Lussemburgo. La comunità più numerosa è quella
italiana seguita da quella
tedesca. Alto è anche il numero di richiedenti asilo
politico. Esiste poi un cospicuo numero di «frontalieri», cioè di persone che
varcano i confini della Svizzera per recarsi al lavoro.
Gli svizzeri emigrati all’estero sono anch’essi molto numerosi: tanto che si
parla di «Quinta Svizzera».
Le principali mete di questa comunità, formata da
700 mila svizzeri sono gli
Stati Uniti, la Francia, la
Germania, l’Italia, l’Australia e il Canada. Le lingue
parlate sono quattro: il tedesco (il 64 per cento degli
svizzeri), il francese (il 20
per cento), l’italiano (il 6,5
per cento) e il romancio (lo
0,5 per cento). Le prime tre
lingue sono riconosciute
ufficialmente. Dal 1938 anche il romancio rappresen-
ta una lingua nazionale, nel
senso che, su richiesta, si
devono fornire documenti
ufficiali anche in questa lingua. Una curiosità è rappresentata dal fatto che la
suddivisione territoriale dei
cantoni non coincide con i
confini linguistici. Esistono
infatti anche cantoni dove
si parlano più lingue. Sotto il profilo delle confessioni, il 32 per cento della popolazione si professa protestante, mentre i cattolici
sono il 31 per cento. I musulmani sono circa il 4 per
cento, gli ortodossi quasi il
2 per cento, mentre il 25 per
cento degli svizzeri si dichiara ateo.
Economia: la Svizzera è la
quarta economia più cosmopolita al mondo. Numerosi sono gli accordi di
libero scambio siglati con
paesi terzi. L’economia
svizzera è focalizzata su alcuni settori strategici quali
la meccanica, la chimica e
le banche. Il primo settore
si è poi specializzato nella
meccanica di precisione, da
cui è nata l’industria dell’orologeria, delle biotecnologie e dell’aerospaziale. Il
secondo settore ha permesso la nascita di multinazionali farmaceutiche, mentre
il terzo settore è suddiviso
tra comparto bancario e assicurativo. Dopo Stati Uniti e Gran Bretagna, la Svizzera è la terza piazza finanziaria del mondo. La ricerca scientifica e l’innovazione svolgono un ruolo di primo piano. Il Paese, riconosciuto come un centro di
ricerca di fama internazionale, investe circa il 3 per
cento del Pil su questo comparto. È il secondo Paese al
mondo per numero di brevetti pro capite e il primo
per produzione di articoli
scientifici. Il Cern, che è
rocca
schede
l’acronimo di Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, ha sede a Ginevra ed è il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle e il luogo
dove è nato anche il World
Wide Web (che in sigla si
scrive www.) anche conosciuto come grande rete
mondiale.
Situazione politica e relazioni internazionali: la
Confederazione svizzera è
l’unico Paese al mondo ad
essere governato tramite
una democrazia diretta. I
parlamentari non sono politici professionisti e si radunano soltanto quattro
volte all’anno. Con 50.000
firme raccolte in cento giorni, ogni cittadino può richiedere un referendum
nel quale il popolo è chiamato ad esprimersi sul
mantenimento o meno di
una legge. Con 100.000 firme invece si può richiedere la revisione totale o parziale della costituzione. La
figura del Presidente della
Confederazione non coincide con quella di capo del
governo e tutte le funzioni
che competono a questa
istituzione sono svolte dal
Consiglio federale. Il Presidente è il consigliere federale che funge da primus
inter pares nel Governo. Viene eletto ogni anno dalle
Camere federali unite. Oggi
il Presidente in carica è Micheline Calmy-Rey. La politica estera svizzera è affrontata con pragmatismo
e prudenza. Dato che la
Svizzera non è membro
dell’Unione europea, per
evitare l’isolamento, la Confederazione ha stipulato accordi bilaterali con i paesi
europei. Nel 2005 ha anche
aderito agli accordi di
Shengen. Data la sua storica posizione di neutralità,
la Svizzera svolge un ruolo
di cucitura delle divergenze tra Stati, ed è molto attiva sul fronte del rispetto dei
diritti umani. Inoltre, pur
non partecipando ai conflitti militari esteri, l’esercito viene spesso impiegato
in missioni di pace.
❑
Fraternità
raccontare
proporre
chiedere
Flash dal Togo
O
Buone notizie
Sankama. Il Progetto
Guinea, che prevede di
completare, in questo
villaggio rurale della
Guinea Conakry, la costruzione della nuova
scuola primaria dotandola di servizi igienici ha
raggiunto il fabbisogno
preventivato di 4.000
(quattromila) euro. La
presenza del blocco sanitario in muratura a 30
metri dall’edificio scolastico (4 gabinetti in totale, separati per maschi e
femmine) è una delle
condizioni poste dal
Pam (Programma Alimentare Mondiale delle
Nazioni Unite) per riprendere il rifornimento
gratuito del riso, alimento base della mensa scolastica, che può garantire – se in dispensa c’è la
materia prima – un pasto
alla novantina di bambini/ragazzi che frequentano la scuola (v. presentazione del Progetto su
Rocca 2, 3, 4, 5, 6/2011 e
ripreso poi anche su Rocca 11/2011). Lucio Cosentino, responsabile dell’Associazione italiana Ritmi
Urbani che ha promosso
questo intervento di sostegno all’alfabetizzazione della popolazione malinké, ci ha informato che
con il contributo di Fraternità a Sankama i lavori per costruire le latrine
cominceranno non appena finirà la stagione delle piogge. Da Mohamed
Prince Camara, referente guineano che in loco
segue i lavori, un «anichè/
grazie» a tutti i lettori e
benefattori di Fraternità.
una delle foto che Francois K. Zondokpo ha inviato assieme alla lettera, Fraternità dice «grazie» ai lettori ed amici
che l’hanno aiutata a sostenere questo piccolo/
grande Progetto «salvavita».
Luigina Morsolin
Per contribuire al presente progetto Burundi e/o al
Progetto Guinea e/o al
Progetto Haiti tuttora in
corso, si possono inviare contributi con assegni
bancari, vaglia postali o
tramite il ccp 10635068,
Coordinate: Codice
IBAN: IT76J 0760103
0000 0001 0635 068 intestato a Pro Civitate
Christiana – Fraternità –
Assisi. Per comunicazioni, indirizzo e-mail:
fraternita@cittadella.org
63
.
ROCCA 1 AGOSTO 2011
untivou. Un mese fa, è arrivato a Fraternità
un messaggio di ringraziamento inviato da
Francois Koffi Zondokpo, presidente del Sodeto (Associazione Solidarietà e Sviluppo del
Togo), quel Comitato
per lo sviluppo del villaggio che ha preso in
carico l’ambulanza ed i
materiali sanitari inviati dall’Italia per il locale dispensario (v.
«L’ambulanza è arrivata a Ountivou» in Fraternità, Rocca 23/
2010). Il contributo che
Fraternità ha dato alla
realizzazione del Progetto, finanziando le
spese per il trasporto
del veicolo e dei materiali su container prima da Livorno a Lomè
(Togo) e quindi a Ountivou, rende ora effettivo un miglioramento
nelle condizioni sanitarie della popolazione
del villaggio e dei suoi
dintorni (circa 20 mila
persone). È possibile,
in caso di necessità,
trasferire in ambulanza i malati dal dispensario all’ospedale regionale, che si trova a
65 km di strada sterrata. Sono finora una
quarantina gli interventi di soccorso effettuati dallo scorso ottobre, mese in cui il veicolo è entrato nella disponibilità del dispensario.
Con la pubblicazione di
70
R
C OMPIE
C
C
A NNI
e ti interpella
hai risposto al questionario
pubblicato su Rocca n.13
e ripetuto nel n.14
?
se per disguidi
non ti fosse ancora arrivato
puoi richiederlo in word a
rocca@cittadella.org
anche il tuo parere è per noi importante
DCOER0874
E TI INTERPELLA

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