n. 15 – 1 agosto - Rocca - Pro Civitate Christiana
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n. 15 – 1 agosto - Rocca - Pro Civitate Christiana
Rivista della Pro Civitate Christiana Assisi 70 ANNO periodico quindicinale Poste Italiane S.p.A. Sped. Abb. Post. dl 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Perugia € 2.70 15 1 agosto 2011 Africa dalla guerra alla governance alimentare l’ipoteca sulla casa che brucia il falso testamento Alfano segretario fine del berlusconismo? nuove energie rinnovanili il mondo ci crede unità sindacale un compromesso sensato tra dubbi e contestazioni lo Spirito e le piccole cose inserto l’etica del convivere TAXE PERCUE – BUREAU DE POSTE – 06081 ASSISI – ITALIE ISSN 0391 – 108X di mano in mano se un giorno portata da mani amiche Rocca è arrivata nelle tue mani… oggi portata dalle tue mani Rocca può arrivare a farsi conoscere da altri amici …magari con un abbonamento prova che ne dici? Rocca 4 6 sommario 10 11 13 14 16 19 20 23 24 27 1 agosto 2011 39 40 15 42 46 Ci scrivono i lettori 48 Anna Portoghese Primi Piani Attualità Giovanni Sabato Notizie dalla scienza 50 Vignette Il meglio della quindicina 52 Raniero La Valle Resistenza e pace Il falso testamento 54 Maurizio Salvi Africa Dalla guerra alla governance alimentare 57 Ritanna Armeni Alfano segretario Fine del berlusconismo? 58 Romolo Menighetti Oltre la cronaca Parole chiave 58 Roberta Carlini Economia L’ipoteca sulla casa che brucia 59 Tonio Dell’Olio Camineiro La pace del Sud Sudan 59 Fiorella Farinelli Unità sindacale Un compromesso sensato tra dubbi e contestazioni 60 Enrico Chiavacci Etica La morale del convivere I peccati non confessati Inserto 60 Oliviero Motta Terre di vetro La fatica di essere visti 61 62 Claudio Cagnazzo Società La rete e la bottiglia Pietro Greco Nuove energie rinnovabili Il mondo ci crede Stefano Cazzato Maestri del nostro tempo Alistair Cameron Crombie Le vie della scienza sono infinite 63 Giuseppe Moscati Nuova Antologia Edgar Lee Masters La grande ballata degli spiriti poetanti Carlo Molari Teologia L’impegno di far avanzare il Concilio Rosanna Virgili Introduzione alla lettura della Bibbia La gloria di Dio e la dignità dell’uomo Lilia Sebastiani Il concreto dello spirito Lo Spirito e le piccole cose Paolo Vecchi Cinema The Conspirator Roberto Carusi Teatro In scena per passione Renzo Salvi Rf&Tv Tamarreide Mariano Apa Arte Bose Ernesto Luzi Spettacoli Festival di Spoleto 2011 Alberto Pellegrino Fumetti Affari di famiglia Giovanni Ruggeri Siti Internet Internet al femminile Libri Carlo Timio Rocca Schede Paesi in primo piano Svizzera Luigina Morsolin Fraternità Flash dal Togo Numero 15 – 1 agosto 2011 70 ANNO Gruppo di redazione GINO BULLA CLAUDIA MAZZETTI ANNA PORTOGHESE il gruppo di redazione è collegialmente responsabile della direzione e gestione della rivista Progetto grafico CLAUDIO RONCHETTI Fotografie Andreozzi B., Ansa-LaPresse, Associated Press, Ballarini, Berengo Gardin P., Berti, Bulla, Carmagnini, Cantone, Caruso, Cascio, Ciol E., Cleto, Contrasto, D’Achille G.B., D’Amico, Dal Gal, De Toma, Di Ianni, Felici, Foto Express, Funaro, Garrubba, Giacomelli, Giannini G., Giordani, Grieco, Keystone, La Piccirella, LaPresse, Lucas, Luchetti, Martino, Merisio P., Migliorati, Natale G. M., Oikoumene, Pino G., Riccardi, Raffini, Robino, Rocca, Rossi-Mori, Turillazzi, Samaritani, Sansone, Santo Piano, Scafidi, Scarpelloni, Scianna, Zizola F. Redazione-Amministrazione Via Ancaiani, 3 - 06081 ASSISI tel. 075.813.641 e-mail redazione: rocca@cittadella.org e-mail ufficio abbonamenti: rocca.abb@cittadella.org www.rocca.cittadella.org - www.cittadella.org http://procivitate.assisi.museum Fax Redazione 075/3735197 Fax Uff.abbonamenti 075/3735196 conto corrente postale 15157068 Bonifico bancario: UniCredit - Assisi intestato a: Pro Civitate Christiana - Rocca IBAN: IT 26 A 02008 38277 000041155890 (Paese IT Cin 26 Cin A Abi 02008 Cab 38277 n. 0000 41155890) dall’estero IBAN: IT 26 A 02008 38277 000041155890 BIC (o SWIFT) UNCRITM1J46 Quote abbonamento 2011 Annuale: Italia € 60,00; estero € 85,00; Sostenitore: € 150,00 Semestrale: per l’Italia € 35,00 una copia € 2,70 - numeri arretrati € 4,00 ROCCA 1 AGOSTO 2011 Spedizione in abbonamento postale 50% Fotocomposizione e stampa: Futura s.n.c. Selci-Lama Sangiustino (Pg) Responsabile per la legge: Gesuino Bulla Registrazione del Tribunale di Spoleto n. 3 del 3/12/1948 Numero di iscrizione al ROC: 5196 Codice fiscale e P. Iva: 00164990541 Editore: Pro Civitate Christiana Tutti i diritti di proprietà letteraria e artistica sono riservati. Manoscritti e foto anche se non pubblicati non si restituiscono Questo numero è stato chiuso il 13/07/2011 e spedito da Città di Castello il 19/07/2011 4 ci scrivonoi lettori quindicinale della Pro Civitate Christiana Energie alternative Ho letto le osservazioni del sig. Nelvio Cesaroni (Rocca n. 14) al mio articolo sulla riduzione di terra agricola (Rocca n. 12). Sono d’accordo sulla concreta ed economica possibilità di ricavare quanta più energia dal solare. Il problema non è tanto di costi quanto di vincoli paesaggistici. Nel senso che le Sopraintendenze – spesso giustamente – non consentirebbero la massiccia installazione di pannelli solari lungo le autostrade e le linee ferroviarie. Una alternativa al momento scarsamente esplorata, potrebbe consistere nella installazione di pannelli e/o celle fotovoltaiche nelle cave dismesse. In tal caso si otterrebbe la verticalizzazione dell’uso dello spazio salvando la dimensione orizzontale che spesso coincide con terra agricola. Cordialmente Gli interventi qui pubblicati esprimono libere opinioni ed esperienze dei lettori. La redazione non si rende garante della verità dei fatti riportati né fa sue le tesi sostenute Ugo Leone Egregio Sig. Ugo Leone, la ringrazio della sua risposta alla mia lettera, cosa più unica che rara, ma non sono completamente d’accordo su quanto lei scrive. So che ci sono tratti di percorsi ferroviari e autostradali in cui l’applicazione di pannelli solari è difficoltosa e crea un forte impatto ambientale, ma come ben sa le linee ferroviarie, specie l’alta velocità e le autostrade sono di norma poste più in alto rispetto ai terreni circostanti. In conseguenza di ciò le scarpate poste in favore di sole possono contenere non una ma due, tre e forse anche quattro file di pannelli, dal che deriva che ogni km può sostituirne tre o quat- CI SCRIVONO I LETTORI Nelvio Cesaroni Caro amico, mi creda, le cose non stanno proprio così. Glielo dico con buona cognizione di causa. Io presiedo il Parco nazionale del Vesuvio e devo fare spesso i conti con la sovraintendenza ai beni paesaggisti. Qualche giorno fa, dopo mesi di attesa, siamo stati autorizzati a realizzare opere di ristrutturazione nel giardino all’interno dell’edifico della nostra sede (Il palazzo mediceo ad Ottaviano). Ebbene, l’autorizzazione sarà esecutiva solo a condizione che il previsto pannello solare venga sostituito con tegole. Dubito perciò fortemente sulla «chiusura degli occhi» e devo dire che spesso è bene che sia così se si riflette ai dolorosi scempi apportati al nostro celebrato paesaggio. Ma il problema di fondo resta sempre quello della atavica mancanza di un Piano energetico nazionale che indichi in modo chiaro ad investitori ed utenti in quale direzione si prevede e propone di andare: specialmente dopo i risultati referendari. Cordialmente Ugo Leone Sulla manovra finanziaria Due cose appaiono evidenti a ridosso dell’attuale lunga manovra finanziaria. 1. Pacifismo guerriero. Bossi e Berlusconi dicono di non volere la guerra in Libia per risparmiare denaro. L’obiettivo sarebbe buono ma non ha senso logico-politico (umano) chiedere la fine della guerra in Libia per fare meglio la guerra contro persone in cerca di futuro, schierando le navi della Nato davanti alle coste africane, firmando un accordo con i futuri governanti per respingere i partenti, allungando i tempi di trattenimento nei Cie a un anno e mezzo, e poi tagliando le spese sociali per tutti i cittadini, riducendo gli investimenti locali e mantenendo il progetto costosissimo dei cacciabombardieri F-35. Che tristezza il tragico vuoto della politica estera italiana che coinvolge anche l’opposizione! 2. Economia di ingiustizia e finanza nera. In un testo recente, intitolato «Soldi rubati», si dice che ogni anno in Italia abbiamo 160 miliardi di evasione fiscale, 60 miliardi di corruzione e 350 miliardi di economia sommersa pari al 20% della ricchezza nazionale. Se aggiungiamo 500 miliardi nascosti nei paradisi fiscali esentasse, superiamo i 1000 miliardi. Più della metà dell’intero debito pubblico. Quante disuguaglianze gridano verso il cielo! L’unica colpa dei Napoletani Giusto per fare un po’ di chiarezza e rinfrescare la memoria a qualcuno. Le città del nord a cui è stato imposto il termovalorizzatore raggiungono – guarda caso – livelli di differenziata non proprio esaltanti. Andate a vedervi cos’è il CIP6 e vi spiegherete il perché. La responsabilità della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti non è dei cittadini ma di chi amministra. In Campania – per chi non lo sapesse o l’avesse dimenticato – dal 1994 responsabile della gestione è il governo tramite un suo commissario. Affidataria dell’appalto dello smaltimento dei rifiuti è stata la Fibe (ovvero Impregilo più altre imprese). Nel maggio 2008 vengono arrestate 25 persone, fra cui l’amministratore delegato di Fibe. Indagati, tra gli altri, ex Commissari Straordinari all’emergenza rifiuti e numerosi manager delle società operative. Qualcuno ha ancora il coraggio di dire che la colpa è dei Napoletani?! I Napoletani in tutto questo sono parte lesa. I reati commessi ai loro danni – e ai danni delle generazioni future – sono di attentato alla salute pubblica e di disastro ambientale. Ma per questo finora nessuno ha pagato. L’unica cosa che gli amministratori della cosa pubblica hanno saputo fare è aumentare la tassa sui rifiuti: oltre al danno, la beffa. Mi sbagliavo, in effetti una colpa i Napoletani ce l’hanno: non ribellarsi e chiedere ragione del denaro pubblico (e del futuro) rubato, come adesso stanno facendo i cittadini di Parma. Gaspare Bisceglia Napoli ROCCA 1 AGOSTO 2011 tro non utilizzabili con un risultato totale che ritengo sia superiore o comunque assolutamente non inferiore a quello ipotizzato e, a mio avviso, senza alcun impatto ambientale. Inoltre di fronte a un problema enorme come quello di produrre energia pulita ritengo che le Sopraintendenze debbano chiudere se non entrambi almeno un occhio e comunque un governo con le palle dovrebbe imporre alle Sopraintendenze di non rompere appunto le palle. L’importante sarebbe far conoscere ai nostri governanti il progetto e ricevere da loro direttamente le motivazioni per cui non è possibile attuarlo, ma questa è pura utopia. Un cordiale saluto. Sergio Paronetto Pax Christi – Italia 5 ROCCA 1 AGOSTO 2011 a cura di Anna Portoghese primipiani ATTUALITÀ 6 Cina ritornano i vescovi «patriottici»? Carceri la vita è qui invivibile Da oltre mezzo secolo i cattolici cinesi (da 12 a 15 milioni) sono divisi in ‘patriottici’ sotto il regime statale, e clandestini, fedeli al Papa di Roma. Situazione complessa, che rivela tuttavia da una parte e dall’altra dei vescovi, l’urgenza di un’evangelizzazione adeguata ai processi di secolarizzazione, oltre alle lacerazioni nei rapporti col governo. Le incomprensioni circa l’atteggiamento della Santa Sede mostrano pure che un’intesa, anche parziale, tra Roma e il governo cinese, libererebbe molte energie e la Chiesa si alleggerirebbe di tanti pesi. Ci sono stati taciti accordi, è vero, in questi ultimi anni, relativi all’ordinazione di vescovi. Però a novembre scorso, anche su queste pagine, demmo notizia dell’ordinazione del vescovo di Chengde, Joseph Guao Jincao senza l’avallo del Papa, avvenimento che il Vaticano qualificò come «triste episodio». In seguito ci sono stati nuovi segnali di distensione. A gennaio il Papa ha nominato vescovo il teologo Hon TaiFai, cinese di Hong Kong, considerato un uomo del dialogo perché ha rapporti sia con i cattolici ‘patriottici’, sia con la Chiesa non ufficiale. A fine di marzo, in Cina è stato ordinato vescovo, con l’assenso del Papa questa volta, mons. Paolo Liang Jiansen, incaricato di guidare la diocesi di Jiangmen (Guangdong). Il 28 giugno a sorpresa l’agenzia Eni News di Ginevra ha riportato la notizia di una quarantina di vescovi ‘patriottici’ che potrebbero essere ben presto ordinati senza l’autorizzazione del Papa, notizia che naturalmente, se confermata, aggraverebbe di nuovo le tensioni tra Pechino e il Vaticano.«La chiesa cinese si trova davanti alla urgente situazione di designare vescovi per oltre quaranta diocesi». Così recita l’agenzia ufficiale Xinhua. «L’amnistia è il primo strumento contro il sovraffollamento delle carceri. Un provvedimento che mi vedrebbe d’accordo, ma va studiato bene». Lo ha dichiarato all’Agenzia di stampa Agi il 26 giugno monsignor Giancarlo Maria Bregantini, arcivescovo metropolita di CampobassoBojano che qui parlava in veste di presidente della Commissione Cei per i problemi sociali. Raggiunto nella sua casa di Denno, in Trentino, dove si trovava per la morte dell’anziana madre, monsignor Bregantini sottolineava che «la vita nelle carceri è invivibile. Io sono stato anche cappellano nelle carceri e so bene che situazione c’è». L’arcivescovo dice che si potrebbe pensare a «forme alternative», come impiegare i condannati in lavori più utili alla realtà sociale, per il bene redentivo e non in una logica «di semplice afflizione». Il carcere in Italia è in crescita esponenziale. Come riporta l’Unità il 27 giugno, in venti anni le presenze sono più che raddoppiate: erano 25.804 il 31 dicembre 1990 e 67.961 alla stessa data del 2010 (il che corrisponde a circa 90.000 ingressi nell’anno). La capienza regolamentare dei nostri istituti è saltata e sono ben 11 le regioni che hanno superato il limite tollerabile: Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Veneto. Altre due, inoltre, la Lombardia e la Basilicata, sono al limite. Tutto ciò a fronte di una pesante carenza di organico nelle file della polizia penitenziaria. Il digiuno di Marco Pannella e le manifestazioni di piazza dei Radicali hanno portato visibilmente in primo piano il problema irrisolto, che nel corso di questi anni anche noi abbiamo denunciato, senza risposta! Mosca diritti umani tradizione e modernità Quale rapporto tra diritti umani e valori religiosi tradizionali? Non provengono entrambi da Dio? Un tema di non facile soluzione soprattutto quando è affrontato in un contesto interreligioso. A Mosca, lo scorso 23 giugno, una trentina di leader religiosi europei appartenenti a numerose comunità di fede e raccolti nel Consiglio europeo dei leader religiosi (European Council of Religious LeadersEcrl), hanno trovato un minimo denominatore comune basandosi sul valore della dignità umana che va rispettata sempre, indipendentemente dalle posizioni religiose o morali. Frutto del meeting, ospitato dal Patriarcato della chiesa ortodossa russa, è stata la «Dichiarazione di Mosca» dal titolo «Difendere la dignità umana attraverso i diritti umani e i valori tradizionali». Il Consiglio europeo dei leader religiosi nacque negli anni ’90 in concomitanza con le guerre balcaniche dai rilevanti aspetti di conflitto tra religioni. ATTUALITÀ Thailandia elezioni in contesto minaccioso Milano Angelo Scola nuovo arcivescovo Francia per vincere la paura musulmana Il 3 luglio, tra le notizie preoccupanti dell’estremo oriente, giunge quella delle elezioni della Camera dei 500 Deputati in Thailandia, in un contesto politico pesante e minaccioso. Negli ultimi sette anni, in questo paese che è retto a monarchia costituzionale, nell’indifferenza generale, oltre 4.600 persone sono state uccise. Un violento conflitto separatista attraversa il sud del paese, opponendo l’esercito governativo a insorti musulmani di etnia malese. Il conflitto non è religioso, dicono gli insorti, ma identitario. Alle elezioni si sono affrontati il Partito democratico del primo ministro Abhisit Vejjajiva, 26 anni, che rappresenta gli interessi combinati del mondo degli affari e delle forze armate reali, e Yingluk Shinawatra, sorella di Taskin, il primo ministro rovesciato nel 2006. La vittoria elettorale è andata a quest’ultima, ma subito è stata contestata dagli oppositori. Il Papa ha nominato il 28 giugno arcivescovo Metropolita di Milano il cardinale Angelo Scola, finora Patriarca di Venezia, dopo aver accettato la rinunzia del card. Dionigi Tettamanzi per raggiunti limiti di età. 70 anni a novembre, Angelo Scola è stato ordinato sacerdote nel 1970 e da allora ha coperto vari incarichi, tra cui quello di direttore dell’Istituto studi per la transizione (Istra) di Milano e quello di professore di Antropologia teologica all’Università Lateranense. Ha ricevuto l’ordinazione episcopale nel ’91; nel 1995 è stato nominato Rettore della Pontificia Università Lateranense e Preside dell’Istituto «Giovanni Paolo II» per gli studi su matrimonio e famiglia. Dal 2002 era Patriarca di Venezia. La diocesi di Milano è una delle più importanti e vaste del mondo: conta 1107 parrocchie, raggruppate in 73 decanati e in 7 zone pastorali. Il numero degli abitanti è superiore ai 5 milioni. L’Islam è la seconda religione della Francia e tra i francesi serpeggiano atteggiamenti diversi che, legati spesso a stereotipi e pregiudizi, ingenerano paure e sentimenti conflittuali, sino alla violenza. Dal 3 al 10 luglio una cinquantina di laici, uomini e donne, preti e religiosi, si sono incontrati a riflettere suilla mistica musulmana e sulla storia dell’Islam in una settimana di quasi-ritiro nell’ex seminario di Orsay. Numerosi credenti si dicono interpellati dal dinamismo dei musulmani e piuttosto che ignorarli o combatterli, preferiscono conoscerne più a fondo le caratteristiche e le speranze e poi, con acquistata competenza ed empatia, instaurare un dialogo secondo la linea concliliare del testo «Nostra Aetate». C’è naturalmente chi – pensando alla fede fragile di molti cristiani – non trova utile tale dialogo. Ma tale linea non è condivisa dai responsabili ufficiali dell’insegnamento cattolico. Crotone il grano sui terreni confiscati ROCCA 1 AGOSTO 2011 È iniziato il 28 giugno, alla presenza del prefetto di Crotone Vincenzo Panico, dei sindaci di Isola Capo Rizzuto Carolina Girasole e di Cirò Mario Caruso, la trebbiatura del grano coltivato sui terreni confiscati alla mafia. Lo scorso anno, ricorda l’Ansa, per portare a termine il lavoro, dovette intervenire direttamente il Prefetto perché nessuno voleva trebbiare il grano. Alla fine furono i volontari di Libera a raccoglierlo. Pochi giorni dopo furono incendiate le auto del responsabile dell’Ufficio tecnico, del vicesindaco ed infine del sindaco. Oggi i volontari di Libera sono tornati. Un raccolto, è scritto in una nota, «frutto di un lavoro collettivo sostenuto da parte di tutte le associazioni e gli enti che si riconoscono nell’Ats «Libera terra Crotone». Quella di oggi, ribadisce Libera, è «una occasione per celebrare ‘una giornata per la legalità’» collegata all’utilizzo sociale e produttivo dei beni confiscati. 7 ROCCA 1 AGOSTO 2011 a cura di Anna Portoghese primipiani ATTUALITÀ 8 Sud Sudan aiuti alla giovane repubblica Assisi la morte di Adelaide Vacirca Il 9 luglio il Sud-Sudan ha celebrato festosamente la sua indipendenza da Karthum. Alla vigilia, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha adottato una risoluzione che istituisce una Missione di assistenza alla giovane repubblica (Minuss). L’obiettivo, sei anni dopo l’accordo di pace globale che mise fine a ventidue anni di guerra civile, è di «sostenere le autorità nazionali di Juba (la nuova capitale), in stretta consultazione con partner internazionali, per consolidare la pace e impedire il ritorno delle violenze». Dovrà chiaramente assistere le autorità locali durante la transizione politica, prevenire i conflitti nelle zone di alto rischio e difendere i civili. La Minuss è dotata di 7000 militari, 900 poliziotti e di 900 civili di varie competenze. È prevista che la durata della Minuss sarà di un anno, ma potrebbe prolungarsi oppure diminuire il numero dei militari dopo l’esame della situazione. Anche la Chiesa cattolica è consapevole della fragilità della nuova Repubblica. L’arcivescovo di Juba Paolino Kucudu Loro, intervistato da Avvenire (9 luglio), spiega: «Le divisioni interne, le lotte tribali sono la nostra tara storica: anche a causa di esse la gente del Sud è stata schiavizzata e oppressa. Adesso il Sud Sudan si affaccia per la prima volta nella storia come stato-nazione unito e gran parte del merito va ai missionari, alla loro opera di evangelizzazione e di educazione». Il compito della Chiesa è accompagnare questa nuova entità mediando i conflitti. La Santa Sede ha partecipato con una delegazione ufficiale alla proclamazione dell’indipendenza. È pronta a stabilire relazioni diplomatiche col nuovo Stato. Gli alunni e i docenti dei Corsi di Musicoterapia di Assisi hanno voluto ricordare con un concerto alla Cittadella Adelaide Vacirca, la Volontaria della Pro Civitate Christiana, morta nella notte del 24 giugno. Anche noi ritroviamo nelle loro parole «disponibilità», «sensibilità», «dolcezza», «riconoscenza», i tratti di una figura indimenticabile. A dire la fede di Adelaide c’è stata la voce forte e commossa di Eddie Hawkins con lo spiritual cantato al suo funerale: «Conosco Colui a cui ho affidato la mia vita». Sì, Adelaide aveva scoperto la vita come dono agli altri nel Dio di Gesù Cristo. Allora, giovane laureata in Matematica a Torino, con una tesi in Geografia astronomica, aveva smesso di contare le stelle, ordinati i libri, raccolti i lunghi capelli in una crocchia, preso il treno per Assisi. Insieme agli studi teologici si era impegnata nei convegni della Cittadella, luogo della libertà e della diversità di idee, accettando però anche il lavoro più umile dell’organizzazione. Trattava la fotocopiatrice come un altare e il fruscio delle fatture come i fogli del salterio. Poi il lavoro nella Musicoterapia, questo modo nuovo di incontrare, alleviare e curare l’umanità sofferente, dalle applicazioni inedite anche nel campo pedagogico preventivo e nella riabilitazione. Adelaide ci si era tuffata dentro con il suo sorriso che era una delle sue caratteristiche dominanti, sempre in procinto di spingersi più in là di dove col cuore era già arrivata. Siria dialogo o caduta del regime? L’11 luglio nella capitale siriana hanno preso il via gli incontri del cosiddetto «dialogo nazionale» voluto dallo stesso capo dello Stato Assad, come primo passo verso una democrazia multipartitica. Dubbi si nutrono sull’efficacia dell’iniziativa a causa dell’assenza dell’opposizione che non si è presentata all’appuntamento perché, a dispetto del dialogo, la repressione governativa continua. Rientrano alla spicciolata i profughi dalla Turchia, ma «il popolo vuole la caduta del regime». È questo lo slogan scandito nelle strade da centinaia, da migliaia di manifestanti ad Hama. Si sono sentiti rafforzati dal sostegno senza precedenti degli ambasciatori degli Stati Uniti e della Francia, mentre il governo, che ha condannato il gesto di questi diplomatici, cerca una via d’uscita contrattaccando violentemente. notizie seminari & convegni Per la pubblicazione in questa rubrica occorre inviare l’annuncio un mese prima della data di realizzazione dell’iniziativa indirizzando a: a.portoghese@ cittadella.org Assisi (Pg). Un Progetto sperimentale di studio della lingua e cultura russa per bambini dai 7 ai 10 anni si è sviluppato dal 15 al 29 giugno alla Cittadella. Congiuntamente organizzato dalla Commisione italiana per le adozioni internazionali e dal Ministero dell’istruzione di Russia, vi hanno partecipato 40 bambini e 35 coppie di genitori, 20 tutors russi oltre a qualificati inse- gnanti italiani. Coordinatrice la dott.ssa M. Teresa Vinci. Roma. La Fao, l’organismo delle Nazioni Unite per la lotta mondiale contro la fame, ha eletto il 26 giugno come nuovo direttore generale José Graziano da Silva, economista brasiliano di 62 anni, già stretto collaboratore dell’ex presidente del Brasile Lula. Johannesburg. La mappa industriale dell’Africa post colo- niale si va ridisegnando. Il 12 giugno i capi di Stato di 26 paesi africani hanno avviato negoziati per la creazione di un’area di libero scambio, da Città del Capo al Cairo. La Grand Free Trade coinvolgerà 16 paesi con 700 milioni di abitanti e favorirà la produzione su vasta scala, che a sua volta contribuirà a ridurre i prezzi dei beni industriali. (da: The East African). 13-15 agosto. Ottiglio Monfalcone (Al). Giornate di riflessione e preghiera «Costruiamo il Regno» alla Cascina G. Informazioni: don Gino Piccio – Cascina G. 15038 Ottiglio (Al), tel. 0142 921421; Edvige Bobba, via Guala10 –15033 Casale (Al) 0142 74608. 14-15 agosto. Sant’Angelo in Vado (Pu). Fine-settimana per coppie all’Eremo di Caresto, Riflessioni sul tema «La spiritualità matrimoniale». Informazioni: Tel. 0722.818497 (anche fax) 328.9455674; Sant’Angelo in Vado (Pu). E-mail: eremocaresto@libero.it 15-20 agosto. Ostuni (Br). Settimana per giovani (18-30 anni) sul tema «Cristo, il Vangelo di Dio» con Ludwig Monti, monaco. L’incontro è finalizzato all’apprendimento della lettura della Scrittura, alla riflessione sulla vita interiore, alla conoscenza del sé e degli altri. Informazioni: Fraternità Monastica di Bose. C. da Lamacavallo 72017 Ostuni (Br) Tel. / Fax 0831.304390, e-mail: boseostuni@libero.it. 20-25 agosto. Trevi (Pg). «Sentinella, quanto resta nella notte? Oltre ogni crisi, per un nuovo patto generazionale»: è il titolo del 50° Convegno del Centro Educazione Mondialità (Cem), movimento educativo interculturale. Comprende un ricco programma di relatori, laboratori interattivi, tavole rotonde e serate, nella convinzione della necessità di un nuovo patto educativo generazionale. Il convegno è specificamente ideato per consentire il massimo coinvolgimento dei partecipanti, nel confronto, dibattito nella elaborazione culturale. Informazioni e opuscolo illustrativo a: Cem mondialità, via Piamarta 9 - 25121 Brescia, tel. 030 3772780, convegno@ saveriani.bs.it 22-27 agosto. Cerreto (Pg). Settimana di spiritualità all’Eremo sulle tematiche di «educazione come mistagogia» con p. Cesare Locatelli. Per informazioni: 368 3366127; 349 0650671; e-mail: eremitidi cerreto@gmail.com 22-30 agosto. Calascio (Aq). L’Associazione Cvx e gli Amici di Calascio organizzano un Laboratorio di formazione politica destinato a quanti vogliono affrontare il servizio del prossimo attraverso l’impegno politico. Relatori: Vincenzo Sibilio S.J., Alberto Bazzucchi ricercatore Cresa; Giovanni Conso, antimafia Napoli; Luciano Larivera S.J.; Stefano Fassina, economia e lavoro; Giuseppe Lumia senatore, Giulio Marcon, «Sbilanciamoci»; Francesco Giorgianni, affari istituzionali, Francesco Occhetto, «La Civiltà Cattolica»; Giustino Perissa, «Il Centro» l’Aquila, Ernesto Ruffini giurista; Roberto Segatori, sociologo Univ. Perugia. Inf. Anna Maria le. 392 017 1749; Daniela 349 8520 829; Raffaella 339 7459 6117, e-mail: amicidicalascio@gmail,com. 24-28 agosto. Terzolas (Tn). Scuola estiva organizzata da Rosa Bianca e dalla casa editrice «Il Margine». Titolo «(Dis)eguaglianze (In) differenze Mer(canti)»: un’occasione per parlare di giustizia, di diritto(i), di inclusione, passando attraverso i fondamenti dell’uguaglianza e i processi partecipativi. Informazioni: Fabio Caneri, tel. 331 349 4283. 25-28 agosto. Pietrasanta (Lu). Corso breve «La manutenzione dei tasti dolenti» sul vivere la realtà emotiva come spazio di decantazione creativa. È condotto dal pedagogista Daniele Novara e dalla psicologa Anna Boeri. Il me- todo si basa sul coinvolgimento attivo e diretto dei partecipanti. Informazioni: tel. 0523 498594; e-mail: info@cppp.it 26-28 agosto. Monte Giove (Pu). Convegno biblico all’Eremo sul tema: «Se la giustizia è nuda». Offre al dibattito sulla giustizia i contributi di studiosi da prospettive di cultura ebraica e storico-teologiche, tra Occidente e Oriente. Relatori: Rosanna Virgili biblista, Ubaldo Cortoni monaco e storico, Amina Crisma esperta di Confucianesimo, Vittorio Rovati Bendaud ebraista. Informazioni: 0721 864090 (fratel Marino). 28 agosto-4 settembre. Bibione (Ve). Settimana estiva nazionale per famiglie di bambini con sindrome di Down al Villaggio Marino Pio XII. Neuropsicomotricità, logopedia, metodo Feuerstein, massaggi, gruppo genitori e gruppo fratelli e sorelle, animazioni con gli Scout. Informazioni: Servizio consulenza pedagogica, via Druso 7 – 38122 Trento, tel. 0461 8286 93; e-mail: calagati@tin.it 4-7 settembre. Avigliana (To). Summer School «Salute e diritto. Popolazioni invisibili, competenze, networking» organizzata dal Laboratorio di epidemiologia di cittadinanza del Consorzio Mario Negri Sud con il Centro Studi del Gruppo Abele e in collaborazione con altre organizzazioni di lavoro socio-sanitario. Si svolge alla Certosa del Gruppo Abele, uno spazio di confronto, conoscenza e condivisione situato in una vecchia abbazia recentemente ristrutturata, sotto la via Sacra di San Michele, 51 – Avigliana. Informazioni: Animazione Sociale, corso Trapani, 91/b – 10141 Torino tel. 011 3841048 – fax 011 3841047, www.animazione sociale.gruppo abele.org. ROCCA 1 AGOSTO 2011 ATTUALITÀ 9 ATTUALITÀ Sequenziare e curare notizie dalla scienza Il sequenziamento dell’intero genoma di un individuo è stato usato per la prima volta come strumento diagnostico per scoprire che malattia avesse. Per l’esattezza, i pazienti erano due: una coppia di gemelli identici, nati con difficoltà motorie simili a una paralisi cerebrale, ma giunti a 14 anni senza che si fosse mai accertata la vera causa dei loro mali, man mano che fallivano le varie ipotesi diagnostiche e i conseguenti tentativi di cura. La vicenda è presentata su «Science Translational Medicine» da un team di vari istituti statunitensi tra cui il Baylor College of Medicine di Houston. L’ultima diagnosi ipotizzata, a 5 anni d’età, era una rara malattia muscolare, la distonia responsiva alla dopamina. Quando però i ricercatori hanno sequenziato il genoma dei due gemelli, non hanno trovato le mutazioni che la causano. Hanno scoperto invece un deficit non della dopamina ma di un altro neurotrasmettitore, la serotonina. Somministrando un farmaco che aumenta i livelli di serotonina, hanno così ottenuto un rapido e drastico miglioramento dei sintomi. Il sequenziamento genomico dimostra così le sue potenzialità nel diagnosticare malattie complesse e rare, che possono mettere a dura prova i medici. Il grande nodo resta il costo: rispetto ai miliardi di dollari spesi dal Progetto Genoma Umano i costi si sono abbattuti drasticamente, ma i 10.000 o 20.000 dollari tuttora necessari per decifrare un genoma restano eccessivi per un uso di routine. ROCCA 1 AGOSTO 2011 Motivare gli obesi Giovanni Sabato 10 Per motivare le persone in sovrappeso a dimagrire, l’ultima cosa da fare è farle sentire in colpa o deriderle. Ripetuti studi mostrano che questi atteggiamenti non solo sono inefficaci nello spronare a mangiare meno e muoversi di più, ma non di rado ottengono l’effetto opposto. Lo psicologo Lenny Vartanian, della University of New South Wales di Sidney, sviscera su «Obesity» i meccanismi psicologici che portano al fallimento. Un centinaio di obesi hanno completato una batteria di questionari sulle esperienze di stigmatizzazione subite, su quanto condividessero gli standard sociali che associano la bellezza alla magrezza e i pregiudizi negativi riguardo ai grassi, su aspetti psicologici quali autostima e soddisfazione per il proprio corpo, e su esiti comportamentali quali l’attitudine all’esercizio fisico e la sua effettiva pratica. Quasi metà dei partecipanti ha riferito atteggiamenti discriminatori frequenti, almeno una volta a settimana, e chi più si sente stigmatizzato ha una peggiore immagine di sé, è più depresso, è meno motivato all’atti- vità fisica e la pratica meno. Non tutti però ne risentono allo stesso modo: lo stigma spegne la motivazione soltanto in chi ha assorbito, più o meno consapevolmente, gli standard sociali per cui essere grassi è un male. Chi non condivide questi auto-pregiudizi, viceversa, è poco vulnerabile al giudizio altrui. Rispetto ad altre categorie, infatti, i grassi sono più propensi a far propri i pregiudizi contro di loro, e meno a sviluppare quell’identità di gruppo che spesso fa da argine psicologico ai danni del pregiudizio, anche perché vedono la loro condizione come modificabile se solo ne avessero la forza di volontà. A che serve il microcredito Se quei 2,5 miliardi di persone che non hanno alcun accesso al credito ottenessero le poche decine o centinaia di dollari necessarie a sviluppare piccoli business familiari, riuscirebbero a uscire dalla povertà. È l’assunto fondamentale del microcredito, ma forse non è vero. Lo afferma uno studio su «Science» degli economisti statunitensi Dean Karlan e Jonathan Zinman. Negli ultimi tempi una serie di ricerche ha vagliato il funzionamento del sistema inventato da Muhammad Yunus, con esiti spesso diversi da quanto pronosticato dai promotori. Il nuovo studio su «Science» è il più rigoroso, perché adotta un metodo mutuato dalle sperimentazioni dei farmaci: è uno studio randomizzato e controllato. Vale a dire che, anziché confrontare un gruppo di famiglie che si è avvalso dei prestiti con altre che non ne hanno mai richiesti, ha scelto a caso a chi assegnarli e a chi no in un pool di 1600 richiedenti filippini che, nel vaglio preliminare della banca, avevano ricevuto tutti una valutazione simile. Si evitano così problemi come quello per cui le famiglie che richiedono i prestiti, o che li ottengono, possono essere già in partenza in condizioni migliori, e dunque ottenere solo per questo performance migliori a fine studio. L’esito, come si diceva, non è stato quello atteso: due anni dopo, le imprese familiari che avevano ricevuto il prestito non mostravano una crescita del volume d’affari o un benessere soggettivo migliori delle altre. Non per questo il microcredito era inutile: i suoi benefici stavano nel permettere di affrontare meglio spese impreviste, per esempio per un problema di salute, e rafforzare le reti informali di mutuo aiuto. Questo naturalmente è solo uno studio in uno dei tanti e diversi contesti in cui opera il microcredito. L’invito degli autori è pertanto a replicarlo nelle situazioni più svariate e, se il quadro sarà confermato, a rivedere le basi teoriche e il funzionamento pratico del microcredito per adattarlo meglio ai suoi reali utilizzi. il meglio della quindicina vignette ATTUALITÀ da L’UNITÀ, 2 luglio da IL CORRIERE DELLA SERA, 4 luglio da IL CORRIERE DELLA SERA, 6 luglio da LA REPUBBLICA 8 luglio da L’UNITÀ, 4 luglio da IL CORRIERE DELLA SERA, 12 luglio da L’UNITÀ, 12 luglio ROCCA 1 AGOSTO 2011 da LA REPUBBLICA 2 luglio 11 cittadella convegni 2011 2-4 settembre 19° incontro biblico versetti pericolosi: lo scandalo della misericordia nella Chiesa con padre Alberto MAGGI, servo di Maria, direttore del ‘Centro Studi Biblici’ di Montefano ‘Valori non negoziabili’…’tolleranza zero’… sempre più nella Chiesa si sentono espressioni che appartengono più a strutture di potere che difendono se stesse, che all’annuncio di Gesù. Il potere quando si sente minacciato erige barriere difensive, si rifà all’ordine, alla disciplina e all’obbedienza. Ma la Chiesa che non deve in alcun modo assomigliare alle strutture di potere esistenti, non può in alcuna maniera imitare il linguaggio e i metodi del mondo: ‘I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il loro potere. Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo’ Mt 20, 25-26. Il tema si rifà allo scandalo della predicazione e del comportamento di Gesù, e alla difficoltà con cui le sue parole furono accolte (ma spesso censurate) dalle prime comunità cristiane. 27 ottobre Papa Benedetto XVI ad Assisi pellegrini della verità, pellegrini della pace un invito ai fratelli cristiani delle diverse confessioni, agli esponenti delle tradizioni religiose del mondo, e, idealmente, a tutti gli uomini di buona volontà, a trovarsi insieme, in una giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo. Un impegno per tutti a essere costruttori di fraternità e di pace. 7-11 novembre esercizi spirituali per presbiteri, suore, laici libertà sulle Tavole: il libro dell’Esodo con don Daniele MORETTO, monaco di Bose ROCCA 1 AGOSTO 2011 Il libro che è il “lieto annuncio” dell’Antico Testamento, la “lettera” in cui dobbiamo entrare per cercare il volto di Dio e il volto dell’uomo. Nella storia di un pugno di uomini Dio ha scelto di svelarsi, di dare le coordinate del suo agire verso tutti, di offrire una relazione. Conoscere Dio, me stesso, il mondo, la storia per rispondere ad un appello di comunione nella libertà. Un tuffo nell’Esodo, relativizzandolo in nome dell’oggi, attenti all’azione di Dio che è in atto (cf. Is 43,16-21). indice tematico: promesse di Dio e desideri dell’uomo (1,1-22); storie di donne: salvezza attraverso l’umano (2,1-22); paura di guardare: rivelazione, vocazione, missione (2,23-4,17); lascia partire...: un cuore che resiste (4,18-11,10); che significa questo?: liturgia che celebra (12,1-15,21); stare sulla roccia: la difficile libertà (15,22-18,27); se vorrete ascoltare: alleanza (19,1-20; 24,1-18); tutte queste parole: la strada insegnata (20,1-23,33); se ho trovato grazia ai tuoi occhi: alleanza nella misericordia (32,1-34,35); una dimora secondo quanto ti mostrerò: presenza di Dio e obbedienza dell’uomo (25,1-31,19); come il Signore aveva ordinato a Mosè: presenza di Dio e obbedienza dell’uomo (35,1-39,43); seguire una nuvola (40,1-38). informazioni iscrizioni soggiorno Cittadella Convegni – via Ancajani 3 – 06081 ASSISI/Pg tel. 075/812308; 075/813231; fax 075/812445; ospitalita@cittadella.org; ospitassisi.cittadella.org; www.cittadella.org 12 RESISTENZA E PACE Raniero La Valle È un pessimo segno dei tempi il fatto che il Parlamento, non potendo occuparsi del bene del Paese rimasto in poche sporchissime mani, si sia incattivito nell’impresa di dettare norme su come morire. Costituzionalmente disabile,per come è stato eletto, a provvedere alla vita, si dedica alla morte. Il Parlamento lo fa non solo dettando per legge i termini della «morte naturale», ma intromettendosi in quella sfera personalissima che una volta era il cosiddetto testamento spirituale, nel quale ciascuno pensava se stesso nel momento futuro della morte, per vedere quale fosse l’ultima parola da lasciare ai vivi. Di questa parola il legislatore si appropria, del testamento fa carte false, o anche carta straccia; si chiama testamento biologico, ma in realtà è l’atto di fede in cui una persona dice come crede nella vita: se crede che la vita non stia tutta nella vita fisica, sicché se si lascia questa non è la vita intera che si lascia; se crede alla distinzione tra nuda vita, vegetale o animale che sia, e una vita rivestita dell’umano, e magari umanizzata dallo spirito divino; oppure crede che senza ventilazione non c’è nessuna vita. È triste e pericolosa una società nella quale si sente il bisogno di fare una legge sulla morte, soprattutto per proibire una buona morte, che in greco si dice eutanasia. Vuol dire che siamo arrivati a un grado di tale sospetto reciproco, di tale sfiducia nei parenti, nei medici, negli infermieri, nei giudici come se tutti fossero lì pronti a toglierci la vita, che c’è bisogno di una legge, di una ferrea norma penale per vietarglielo. Una volta, quando si moriva in casa, e quando le macchine non intercettavano quello che si chiamava «il ritorno alla casa del Padre», ciò sarebbe stato inconcepibile. Ma ora abbiamo a che fare con un legislatore che pretende di estendere il suo controllo su tutte le pieghe della realtà, e con una maggioranza parlamentare che ha patito come uno scacco, come un’intollerabile usurpazione il fatto che la povera Eluana Englaro morisse un attimo prima che un suo sovrano decreto glielo impedisse. Vuole una rivincita su tutte le Eluane Englaro del futuro. La Chiesa farebbe bene a non mettercisi in mezzo. Per molte ragioni. La più mondana è che se la Chiesa detta alla politica l’agenda etica, una politica cattolica, fatta o ispirata dai cattolici, non è più possibile: è possibile solo una politica ecclesiastica eseguita magari da miscredenti e corrotti per tutt’altri motivi. Fino a quando la Chiesa dei vertici si assume la titolarità delle scelte politiche che giudica per lei rilevanti, la Chiesa della base, cioè i fedeli laici non possono farci niente, ed è inutile auspicare una nuova generazione di politici cattolici e magari proporre ad attempati pionieri di una nuova Dc un codice della Segreteria di Stato arcaicamente chiamandolo codice di Camaldoli. La ragione più ecclesiale è che il declino della Chiesa in Italia, dopo gli anni del Concilio, è cominciato quando essa si è tutta concentrata ed esaurita nella lotta contro il divorzio, e poi in quella dell’aborto, e poi, sempre più polarizzandosi, in quella per la vita «dal concepimento alla morte naturale»; ciò comportava una riduzione del cristianesimo a una sorta di Autorità di garanzia della vita fisica (purché «innocente») e un invilupparsi del movimento cristiano nei movimenti per la vita. Di conseguenza doveva venirne l’arretramento del suo progetto religioso in progetto culturale. La ragione più spirituale è che nella riduzione della fede ad etica, cioè a casistica dei comportamenti ammissibili, si perde l’essenziale del messaggio di salvezza. La religione dei precetti c’era già, erano tanti, ed era il giudaismo. Se c’era da aggiungerne di nuovi, a ogni cambiamento di culture e di tecniche, non c’era bisogno che partorisse Maria. La novità del cristianesimo sta nell’aver portato l’etica, la norma dell’agire, dal dominio della verità al dominio dell’amore, dal regno dell’obbedienza al regno della libertà. Ogni volta la Chiesa fa fatica ad essere la Chiesa di quel messaggio lì: è più semplice affermare una verità, dichiararla oggettiva (intemporale universale e astorica) ed esigere comportamenti conseguenti. L’ultima volta fu quando nella Pacem in terris Giovanni XXIII voleva dire agli uomini che se volevano la pace, dovevano farsi guidare (ducibus) dalla verità, dalla libertà, dalla giustizia e dall’amore. I censori gli obiettarono che non si poteva mettere sullo stesso piano la verità e la libertà, perché il magistero dei recenti pontefici aveva stabilito una gerarchia, era la verità che doveva decidere di tutto, la libertà era vigilata, doveva passare all’esame di chi deteneva la verità. Non parliamo poi dell’amore. Papa Giovanni lasciò quelle parole come stavano. La dignità dell’uomo stava nel poter cercare liberamente la verità, l’etica stava nel farsi discepoli dell’amore di Dio. ❑ 13 ROCCA 1 AGOSTO 2011 il falso testamento AFRICA dalla guerra alla governance alimentare Maurizio Salvi U na miniera di diamanti. Nelle parole del ministro delle Finanze dello Zimbabwe, Tendai Biti, «la più grande a carattere alluvionale di questa regina delle pietre preziose nella storia dell’umanità». Una scoperta, fatta nel 2006 a Marange (Zimbabwe orientale), che avrebbe potuto e dovuto risolvere gran parte dei problemi economici di uno dei più poveri e violenti paesi dell’Africa nera. Invece no. Minacce, violenze, torture, assassinii hanno spinto The Kimberley Process, l’organismo creato dai paesi produttori di diamanti di tutto il mondo, a proibirne lo sfruttamento. Una misura che ovviamente non è piaciuta al controverso presidente Robert Mugabe che ha ordinato, nonostante tutto, l’avvio dell’estrazione delle pietre. le casse potenti delle multinazionali ROCCA 1 AGOSTO 2011 È questo soltanto l’ennesimo capitolo di una maledizione che sembra perseguitare l’Africa, le cui materie prime sono state saccheggiate prima dal colonialismo tradizionale, poi da quello più intelligente gestito attraverso le élites locali. Le ingenti risorse provenienti da petrolio, diamanti, oro ed altri minerali, sono finite nelle casse di potenti multinazionali, nei conti bancari di ben custoditi paradisi fiscali ed hanno contribuito in questi anni ad alimentare onerosi acquisti di materiale bellico per guerre civili che hanno insanguinato numerosi paesi africani. E pensare che la miniera di Mrange secondo gli esperti renderebbe alle casse del Tesoro dello Zimbabwe almeno due miliardi di dollari l’anno. Una cascata d’oro per un paese il cui Prodotto interno lordo (Pil) è stato nel 2010 di 7,5 miliardi di dollari. Proprio 50 anni fa con il celebre «I dannati della terra» lo scrittore francese discendente da schiavi africani Frantz Fanon denunciava lo stato pietoso di sfruttamento del continente nero preconizzando una rivoluzione, materiale delle coscienze, che portasse alla simultanea creazione di un modello 14 economico e di un uomo «nuovi». flagello siccità Progressi si sono certo avuti in questo mezzo secolo, ma è un fatto che gli abitanti dell’Africa paghino un prezzo altissimo per avere avuto la sorte di essere nati in un continente, il cui definitivo sviluppo continua ad essere rinviato da decennio in decennio. La crescita registrata in alcuni paesi africani negli ultimi anni (nel 2010, complessivamente, del 5,5%) è stata frenata di recente nel Maghreb dalle rivolte popolari che, pur benvenute per le potenzialità generate, hanno comunque inciso negativamente su economie ancora fragili. Più a sud, invece, alle numerose guerre civili degli anni scorsi (Somalia, Sierra Leone, Sudan) è tornato ad aggiungersi, nel Corno d’Africa, lo spettro della siccità. Un flagello che secondo gli organismi internazionali e le associazioni umanitarie, è il peggiore degli ultimi 60 anni. Elysabeth Byrs, portavoce dell’Ufficio delle Nazioni Unite per la coordinazione degli affari umanitari (Ocha), ha assicurato che oltre 10 milioni di persone risultano gravemente colpite nelle zone afflitte di Gibuti, Etiopia, Kenya, Somalia e Uganda. In alcune zone del centro del Corno d’Africa si è giunti apparentemente ad una emergenza molto vicina alla carestia. La situazione continua a peggiorare e non si intravede alcun miglioramento fino al 2012. L’anno scorso, l’est del Corno d’Africa ha registrato due scarse stagioni di pioggia che hanno provocato uno degli anni più aridi dal 1950/51 in molte zone rurali, afferma l’Onu, precisando che l’impatto della siccità è stato esasperato anche da fattori quali l’alto prezzo dei cereali o il conflitto in Somalia. «La malnutrizione dei bambini è molto importante. In un paese come la Somalia – ha sottolineato la Byrs – un bambino su tre soffre di malnutrizione». In tutte le zone colpite, l’azione umanitaria deve essere aumentata. Ma i finanziamenti ricevuti dall’Onu per gli aiuti alle popolazioni colpite non trovano la risposta desiderata. con paesi africani per l’acquisto o l’affitto di vastissime estensioni territoriali da adibire alla produzione agricola di prodotti che però non beneficeranno le popolazioni locali, ma quelle cinesi ed indiane. la nascita del Sud Sudan una buona notizia Se ci fosse bisogno di fotografare ulteriormente le contraddizioni che è costretta ad affrontare l’Africa, basterà esaminare la bella notizia della nascita il 9 luglio, dopo 20 anni di guerra civile terminata nel 2005 e due milioni di morti, della Repubblica del Sud Sudan, quale 193/o Stato del mondo e il 54/o dell’Africa. La gioia della popolazione e del presidente Salva Kiir Mayardit è stata grande, ma sono in molti a ritenere che sarà di breve durata, perchè il neonato Stato si colloca nelle ultimissime posizioni nelle graduatorie degli organismi internazionali relative allo sviluppo. Il presidente Mayardit ha detto nel suo discorso in occasione della celebrazione dell’indipendenza che «occorrono 500 miliardi di dollari per collocare il Sud Sudan alla stregua degli altri paesi africani». Una cifra, ovviamente irraggiungibile, per cui ben presto molti nodi verranno al pettine di questo paese. Utilizzeremo per raffigurare il dramma incipiente le parole del segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, presente a Juba nella storica giornata dell’indipendenza sud-sudanese. «Le statistiche – ha detto il capo del Palazzo di Vetro, da poco rieletto per un nuovo mandato – sono davvero umilianti. Ha il tasso di mortalità materna più alto del mondo ed anche uno dei più gravi di mortalità infantile; le stime dell’analfabetismo nella popolazione femminile raggiungono l’80%; oltre la metà della sua popolazione deve mangiare, vestirsi ed alloggiarsi con meno di un dollaro al giorno». A questo si aggiunge che un gran numero di malattie curabili hanno qui un carattere endemico e che le carestie sono un pericolo latente che il giovane governo non potrebbe mai affrontare da solo in modo efficace. E pensare che una buona parte dei 620.000 chilometri quadrati di superficie del Sud Sudan (poco più del doppio dell’Italia) sono terre agricole coltivabili. Una efficace politica in questo settore potrebbe costituire un terreno solido per una lenta ma sicura politica di sviluppo. Sarà possibile agire di conseguenza? Purtroppo i primi elementi a disposizione dicono che molti ostacoli si frappongono a questo progetto. A cominciare dalla «voracità» dei grandi paesi emergenti (Cina ed India in primo luogo) che da anni stanno stringendo accordi Ma fra tanti interrogativi negativi, le cronache ne hanno registrato di recente uno invece che fa ben sperare: l’elezione nella carica di direttore generale della Fao, l’organizzazione dell’Onu per l’Agricoltura e l’Alimentazione, del brasiliano José Graziano da Silva, che ha svolto un ruolo importante nel Programma ‘Fame Zero’ con cui il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva è riuscito a ridimensionare l’emergenza alimentare brasiliana. È la prima volta che una personalità proveniente da un paese emergente (il primo in assoluto dell’America latina) con una forte predisposizione operativa è eletta in questa carica a spese, fra l’altro, di un candidato di peso come l’ex ministro degli Esteri spagnolo Miguel Angel Moratinos. Si comprende quindi il giudizio positivo e pieno di speranza di una ong come la britannica Oxfam nel commentare una nomina che potrebbe accelerare la soluzione dei problemi anche del Sud Sudan. «Graziano – ha commentato la ong – ha proposto tre obiettivi principali nella sua campagna elettorale: sradicare la fame, promuovere durevoli strumenti di produzione alimentare e riparare il sistema di alimentazione planetario. Per poterlo fare – conclude Oxfam – è necessario che i governi superino le divisioni passate, sostengano il suo programma e si assicurino che la Fao disponga delle risorse finanziarie sufficienti al fine di assumere pienamente il suo ruolo nella nuova governance alimentare mondiale». E che smettano, aggiungiamo noi, di dilapidare risorse di un mondo in grave crisi economica e finanziaria in costosissime operazioni belliche. Siamo sicuri che per risolvere il problema del leader libico Gheddafi fosse proprio necessario spendere un miliardo di dollari in tre mesi? ROCCA 1 AGOSTO 2011 L’appello di 39 milioni di dollari per lottare contro la siccità a Gibuti è stato coperto al 30% e quelli di fondi per la Somalia (529 milioni) ed il Kenya (525 milioni) sono finanziati appena alla metà. Maurizio Salvi 15 ALFANO SEGRETARIO fine del berlusconismo? P ROCCA 1 AGOSTO 2011 Ritanna Armeni er Angelino Alfano, neonominato segretario del Pdl, quelli che verranno non saranno mesi facili. La sua scommessa è veramente impegnativa. Entro l’autunno deve ricostruire l’immagine di un partito che finora si è fondato ed è coinciso, quasi esclusivamente, con la figura di Silvio Berlusconi, è dipeso dalla sua leadership carismatica e indiscussa, dalle sue risorse, dal suo impero mediatico. Un partito che oggi è diviso e sconfitto e guarda con preoccupazione al dopo. Deve essere capace Alfano di farlo vivere sulle sue gambe, che dopo gli insuccessi elettorali delle amministrative e dei referendum, appaiono fragili. E non finisce qui. Il neosegretario deve essere in grado di conservare le alleanze che il cavaliere di Arcore aveva garantito, quella con la Lega in primis, che oggi appaiono alquanto in discussione. Deve, infine mantenere in piedi un governo che da mesi vive una crisi grave e profonda e che ha dato tutte le prove possibili della sua incapacità a rispondere ai problemi del paese. Riuscirà il giovane Alfano a fare tutto questo? La risposta è veramente difficile. Tanti sono i fattori che si incrociano, le possibilità che possono verificarsi. La politica italiana naviga in un mare aperto e in tempesta dove le possibilità per il Pdl e per il centro destra di arrivare in un porto sicuro sono quante quelle di essere sommersi dai marosi. La grave crisi economica, la manovra in discussione e gli attacchi della speculazione internazionale non contribuiscono certo a rendere facile qualunque operazione di ricostruzione politica. la svolta Nel tentativo di comprendere la situazio16 ne è intanto utile segnalare una novità: la nomina di Alfano, per quanto voluta dal «sovrano», indica una svolta, segnala il tentativo, finora respinto e negato dal Pdl, di vivere anche senza Berlusconi e di costruire un centro destra autonomo dalla sua figura. È la presa d’atto, non solo da parte del premier, ma da parte del gruppo dirigente del partito, che una fase volge definitivamente al termine, che la figura del capo non garantisce più la vita dell’organizzazione e anzi, può danneggiarlo che, quindi, occorre imprimere una svolta. Ha torto il segretario del Pd Pierluigi Bersani a non voler cogliere la novità, a ritenere Alfano solo un clone di Berlusconi e l’operazione compiuta nel nominarlo di stampo gattopardesco. Non è così. Certo la sua nomina non è la conseguenza di un procedimento di consenso o di uno scontro congressuale, come è normalmente nei partiti, ma, come ha sostenuto, immediatamente Pierferdinando Casini, è un atto politico importante che sancisce quel che il referendum e le elezioni amministrative avevano già dichiarato e che le lotte interne al governo avevano confermato: la fine del berlusconismo, di una fase storico politica, che è durata quasi un ventennio. L’inizio inevitabile di una nuova era in cui è necessario ricostruire il Pdl per ricostruire un nuovo centro destra. un nuovo centrodestra? Le possibilità ci sono, e questo sì dovrebbe preoccupare il Pd e la sinistra tutta che si potrebbe trovare tra non molto in un quadro in cui l’antiberlusconismo che è stato l’arma principale, il collante, di questa opposizione variegata, perda significato e quindi si disarticoli, con una nuova tica. La loro collocazione all’opposizione è stata la conseguenza della presenza di Silvio Berlusconi, della scarsa democrazia e collegialità dei gruppi dirigenti, della impossibilità, quindi di avere un ruolo effettivo nello schieramento di appartenenza. L’uscita di scena del cavaliere di Arcore, o, almeno il suo annuncio, la rinuncia alla leadership del Pdl apre anche per Casini e Fini una prospettiva diversa. Elimina la causa principale del loro allontanamento, costituisce una loro vittoria politica. E per Alfano la ripresa del dialogo con i due sarebbe un successo non di poco con- ROCCA 1 AGOSTO 2011 collocazione di quel centro politico rappresentato dal terzo polo. C’è, infatti, la concreta eventualità che la fuoriuscita di Berlusconi dalla prospettiva di un futuro governo, come testimonia l’annuncio, fatto da lui stesso in una intervista a Repubblica, riporti al centro destra una parte consistente di coloro che in questi anni sono andati via. Che si possa, insomma, assistere alla apertura di un nuovo confronto e al ritorno in quest’area sia di Pierferdinando Casini che di Gianfranco Fini. I due, come si sa, hanno più volte ricordato la loro appartenenza a questa area poli- 17 ALFANO SEGRETARIO to. Il neosegretario, che è stato nominato dal capo e che deve dimostrare le sue capacità di leadership, potrebbe dire di aver rafforzato il centro destra e il Pdl, potrebbe esibire il ritorno dei due dirigenti del terzo Polo come la conseguenza della sua presenza e della sua politica. Non sarebbe poco. la lotta tra Berlusconi e Tremonti ROCCA 1 AGOSTO 2011 Eppure questa prospettiva della costruzione, a partire dai prossimi mesi fino alle elezioni, di un centro destra e di un Pdl più autonomo da Berlusconi, per quanto possibile, non è certa. Essa è oggi minata da una deriva la cui forza potrebbe essere tanto possente da travolgere ogni tentativo del neosegretario e persino ogni oggettiva convergenza fra le forze dello schieramento di centro destra. Si tratta del processo di disfacimento del Pdl, delle forze di maggioranza e del governo tutto che, ora nella forma di farsa, ora di tragedia, si svolge ogni giorno sotto gli occhi degli italiani e la cui massima espressione è la battaglia che contrappone il ministro dell’Economia al presidente del Consiglio. Berlusconi ritiene Giulio Tremonti, il ministro più importante della compagine governativa, il garante dei conti verso l’Europa, il principale responsabile della caduta di consensi del governo e dei partiti della maggioranza. Dal suo punto di vista, forse non proprio di statista, non ha molto torto. La stabilità economica e il pareggio di bilancio, promesse dal ministro dell’economia all’Europa e i conseguenti tagli alla spesa pubblica, sono stati la causa del calo dei voti del Pdl e della Lega nei comuni del nord. Sono state le scelte di Tremonti a provocare le evidenti tensioni e la crisi di quella alleanza di ferro fra Bossi e Berlusconi su cui regge la forza del governo. La futura manovra finanziaria, per quanto in gran parte rinviata a dopo le elezioni del 2013 (quando il centro destra o non avrà vinto le elezioni, non sarà più al governo e quindi lascerà alla sinistra la patata bollente o sarà all’inizio di un nuovo mandato governativo e quindi, avendo cinque anni davanti a sé, potrà permettersi anche una caduta di consensi), sta comunque provocando reazioni negative fra le forze sociali e nuovi squilibri nelle forze politiche di maggioranza e nel paese. La lotta fra Berlusconi e Tremonti, liberata dai suoi aspetti personalistici che pure ci sono e contano (il premier è convinto che Tremonti con la fiducia dell’Europa aspiri alla presidenza del Consiglio, il ministro del18 l’Economia evidentemente considera finito il premier e ha fondati sospetti che trami contro di lui e che sia all’origine dei recenti scandali che lo hanno coinvolto) esprime la incapacità del governo di dare una risposta alla crisi economica e di risolvere con precise e concrete proposte politiche il dilemma fra crescita e stabilità, in poche parole, di salvaguardare redditi e occupazione e di uscire dal continuo ridimensionamento e declassamento internazionale del paese. La reazione dei mercati finanziari è la prova più evidente del quadro di precarietà provocato dalla scarsa credibilità e dalla lotta interna al governo. Gli investitori comunque non si fidano più del governo, il valore dei titoli di stato crolla, si teme insieme l’uscita di Tremonti dal governo, ma anche la possibile caduta di Berlusconi. clima da fine impero In questo quadro, accanto alle scosse di terremoto di alta intensità provocate dal dissenso fra i due maggiori esponenti del governo, si è creato ormai un clima da fine impero di cui fanno parte le divisioni e i reciprochi insulti fra i ministri, le minacce oramai neppure tanto velate della Lega, gli scandali che si susseguono, gli episodi di corruzione che non appaiono oramai vistose e gravi eccezioni, ma elemento ricorrente (Abruzzo, Grandi opere, protezione civile, P4, caso Bisignani e in ultimo il caso Milanese) dei metodi di governo della maggioranza. Si tratta di una forza distruttiva potente di fronte alla quale l’obiettivo di Angelino Alfano di ricostruire, dopo le sconfitte alle elezioni amministrative e al referendum, un partito di centro destra che raccolga attorno a sè le altre forze di maggioranza appare molto difficile. Lo stesso ritorno all’ovile di Fini e di Casini con un quadro simile potrebbe essere rinviato. Per quanto appartenenti allo schieramento di centro destra che interesse avrebbero ad aprire il dialogo in questi mesi, quando massimo è il discredito, gli scandali si succedono agli scandali e la crisi morde come non mai? È preferibile aspettare le elezioni politiche quando la loro forza nella trattativa potrebbe essere maggiore e la situazione meno confusa. Nel frattempo meglio tenersene fuori. Ma quella è già un’altra storia, nella quale tutto potrebbe essere rimesso in discussione, anche il neosegretario Ritanna Armeni OLTRE LA CRONACA parole chiave Spread. È un indicatore della salute finan- (vedi Indice ziaria di un Paese. Tecnicamente esprime la in RoccaLibri differenza tra due rendimenti di titoli pubwww.rocca.cittadella.org) blici. In pratica indica lo scarto tra i rendi- menti dei Titoli di Stato decennali di un per i lettori di Rocca € 10,00 anziché € 13,00 Paese e quelli tedeschi, intesa la Germania spedizione compresa come il Paese più affidabile e solido. richiedere a Rocca - Cittadella 06081 Assisi e-mail rocca.abb@cittadella.org Esso dà la misura di quanto costi finanziare il debito pubblico di uno Stato. Indica quanti più interessi deve pagare uno Stato per piazzare i propri titoli. Si misura in centesimi di punti percentuali. Quanto più alto è lo spread tanto più grave è la salute finanziaria di quel Paese. Venerdì 8 luglio lo spread tra Btp italiani e Bund decennali tedeschi aveva toccato il record di 248 punti (all’inizio di luglio i punti erano 190), ma già il lunedì successivo era a quota 301, e martedì 12 erano 304, in progress. Ciò significa che lo Stato italiano per collocare i propri titoli con scadenza decennale deve garantire agli investitori, a causa del maggior rischio che corre chi compra i nostri titoli, più del 3 per cento rispetto a ciò che paga la Germania. Nell’arco di un anno l’aggravio per i conti pubblici potrebbe superare i 7-8 miliardi di euro. Il che significa che la manovra appena varata tra poco dovrà essere aggiornata con nuovi tagli e che, in mancanza di decisivi interventi per diminuire il debito, s’innescherà una spirale perversa. Short selling. È la vendita allo scoperto fatta dagli investitori che scommettono su un ribasso dei titoli. Si vendono azioni senza averne la proprietà, sperando di acquistarle più tardi a un prezzo inferiore. Un personaggio chiave di quest’operazione è il proprietario fornitore del titolo, che lo presta al venditore allo scoperto (scopertista) il quale lo vende subito (senza possederlo). Se va bene, e il titolo scende (ad esempio da 100 a 70 euro) lo scopertista riacquista il titolo e lo restituisce al fornitore, realizzando un guadagno di 30 euro, meno l’interesse che paga allo stesso fornitore. Il tutto a scapito del titolo che ha subìto il ribasso. Credit Default Swap (Cds). È una sorta di polizza contro i rischi di fallimento di un Paese sovrano. Sono acquistati vendendo titoli di Stato del Paese sotto tiro. Si tratta di un’operazione speculativa che amplifica gli effetti negativi già in atto. Tornando alla situazione italiana, la realtà è che il mercato non crede più al risanamento dei nostri conti pubblici, anche se l’Europa, per comune interesse, continua a sostenerci. E a poco servirà il divieto di short selling. Soprattutto non crede a un premier che pensa solo a sfangarsi dai suoi guai personali. La carta estrema da giocare sarebbe un nuovo Governo e un nuovo Premier. E in Borsa c’è già chi profetizza che, buttata questa carta sul tavolo, i nostri titoli schizzerebbero in alto. ❑ 19 ROCCA 1 AGOSTO 2011 I n questi giorni i grandi investitori internazionali vendono dosi massicce di titoli pubblici e azioni italiane. Essi riRomolo tengono il rischio d’insolvenza del nostro Paese molto alto. Nel «lunedì nero» Menighetti (11 luglio) la Borsa di Milano ha perso il 3,96 per cento, molto più di Parigi, Francoforte, Londra e Madrid, facendo diminuire di oltre 16 miliardi il valore complessivo dei titoli quotati a Piazza Affari. E se il giorno dopo c’è stato un recupero del mercato italiano, si deve soprattutto a un massiccio intervento della Banca Centrale Europea (la tanto vituperata Europa da Berlusconi e dai suoi) che ha acquistato titoli pubblici italiani per sostenerne il corso. Alla base di questa situazione, che permane drammatica, ci sono due ordini di rischi, uno politico e l’altro finanziario. Il rischio politico sta nel nostro Governo sempre più debole, con un premier che parla solo a rimorchio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, e con un Ministro dell’economia lambito da un grosso scandalo che vede al centro uno dei suoi principali collaboratori. Il rischio finanziario nasce da un debito pubblico abnorme, che dovrebbe essere ripianato entro tre anni, mentre la manovra che il governo si appresta a varare è minima rispetto al buco, il cui riempimento viene in gran parte irresponsabilmente fatto gravare sui governi futuri. dello stesso Autore Entro questo duplice rischio si è innestata la speculazione internazionale che è la conseLE IDEE guenza e non la causa dei nostri guai, guai CHE DIVENTANO portati all’esasperazione dall’attuale Governo. POLITICA Ciò detto, penso sia utile per il cittadino rilinee di storia sparmiatore, spiegare nel modo più semplidalla polis ce possibile alcuni dei termini che più spesalla democrazia so ricorrono nei notiziari televisivi e sui giorpartecipativa nali. pagg. 112 - € 13,00 Roberta Carlini a un giorno all’altro, chi aveva un piccolo gruzzolo in banca investito in titoli – Bot, obbligazioni, quelle forme di risparmio a reddito fisso che di questi tempi danno ben poco ma «almeno sono sicure» – si è trovato un balzello nuovo, all’improvviso. Un «bollo» fisso, pari a 120 euro all’anno per i risparmi sotto i 50mila euro e a 380 euro per quelli superiori. Effetto della manovra economica del governo, quella che è stata presentata ai primi di luglio tra gialli, insulti, scandali e scene tragicomiche di fine regime. D la stangata sui Bot ROCCA 1 AGOSTO 2011 La stangatina sul risparmio è uno dei pochi provvedimenti a effetto immediato di una gigantesca manovra che sulla carta «vale» 40 miliardi di euro di qui al 2014, ma che per la sua parte più rilevante è affidata al prossimo governo: post-datata, come un assegno di quelli staccati da debitori poco affidabili. Lo stesso governo – e lo stesso ministro – che da vent’anni ripetono come un ritornello «non metteremo le mani nelle tasche degli italiani» hanno messo le mani, e alla grande, nei conti in banca degli italiani, con un provvedimento tecnicamente regressivo perché colpisce in misura più che proporzionale i meno abbienti; lo stesso governo – e lo stesso ministro – che due anni fa hanno regalato lo scudo fiscale ai grandi possessori di patrimoni all’estero quest’anno «re20 galano» la stangata sui Bot a 10 milioni di piccoli risparmiatori; lo stesso governo – e lo stesso ministro – che da vent’anni promettono di ridurre le tasse e varare il federalismo hanno impostato la manovra 2011 almeno per la metà sull’aumento delle entrate e per almeno un terzo su tagli alla spesa di Regioni e sanità che mettono la pietra tombale su ogni velleità federalista. Il tutto, nel quadro di una doppia emergenza: la tragedia politica europea, con il vento della speculazione che continua a travolgere tutto quello che incontra sulla sua strada nell’assoluta inanità dei governi; e la tragedia morale italiana, con le inchieste che mettono a nudo un quadro di corruzione per niente scalfito – anzi rinvigorito – a quasi vent’anni dall’esplosione dei Tangentopoli. una manovra ingiusta e paradossale Cominciamo dal fondo, dalla odiosa manovra sui Bot. Odiosa perché destinata a pesare proprio sui piccoli risparmiatori: è evidente che chi ha un patrimonio di un milione, o due milioni, di euro (ammesso e non concesso che li tenga in banca in deposito titoli) si troverà a pagare percentualmente di meno di colui che abbia messo in Bot i piccoli risparmi di famiglia, un’eredità, la liquidazione, i soldi messi da parte per pagare l’università ai figli. Dati i bassi rendimenti attuali, una tassa fissa annuale di 380 euro è in grado di annullare completamente il guadagno dei più po- ECONOMIA l’ipoteca sulla casa che brucia rendite finanziarie Salendo un po’, sempre nella parte fiscale della manovra, si dovrebbe incontrare anche una norma più comprensibile, quella che uniforma le aliquote sulle rendite fi- nanziarie: però non c’è ancora, essendo parte della delega fiscale che è a sua volta parte della manovra ma deve essere ancora scritta. In sé, portare tutte le rendite finanziarie allo stesso livello di tassazione è giusto: perché, per esempio, si deve pagare il 12,5% sui Bot e invece il 20 sugli interessi dai conti correnti? In tutt’Europa funziona in un altro modo, le aliquote sono parificate (motivo per cui, a differenza di quanto dicono alcuni economisti allarmati, non ci sarebbe un evidente rischio di fuga all’estero dei risparmi). Ma per sapere come, quando e perché sarà aggiustata la tassazione delle rendite finanziarie dovremo aspettare il varo della grande Riforma Fiscale, quella che ha al suo interno la semplificazione e riduzione delle aliquote Irpef. Grande riforma è stata promessa nel 1994 – anno in cui è stata oggetto di un voluminoso Libro bianco –, presentata in parlamento per la prima volta nel 2001, ripresentata stavolta (quasi identica, frutto di un poco fantasioso copia-incolla), e che nell’anno 2011 dovrà fare il miracolo: ridurre le tasse per tutti, non fare pagare un euro di più a nessuno, e ciononostante portare nelle casse dello stato 14,7 miliardi in più. Come potrà succedere questo? Non è dato sapere, però il mistero è parte costituente della manovra dei 40 miliardi. Il resto verrà – e c’è da giurare che in questo campo le misure saranno più precise – da tagli alle Regioni (7,4 miliardi), alla sanità (5 miliardi), ai ministeri (6 miliardi), alle pensioni (1 miliardo con il blocco del- ROCCA 1 AGOSTO 2011 veri dei Bot-people. E poiché questi sono tanti (e non possono difendersi, portando i soldi all’estero: possono solo tenerli sotto al materasso), nel complesso vengono a versare una bella fetta degli incassi previsti con la manovra: 3 miliardi e mezzo, secondo le previsioni del governo. Una manovra ingiusta, e anche paradossale che speriamo venga corretta da saggi emendamenti. Infatti, ogni qual volta da qualche ambiente coraggioso (scientifico, di solito) si avanza la proposta di una tassazione patrimoniale, che chiami anche i grandi patrimoni a contribuire al finanziamento delle necessità della collettività, si alzano alte proteste, si grida allo scandalo, al comunismo o al bolscevismo; si invoca la sacralità del risparmio, si grida all’esproprio, si paventano scenari da fine di mondo (finanziario). Di solito, è alla sinistra (o meglio, ai suoi spaventatissimi eredi) che si attribuiscono queste tremende intenzioni. La sinistra smentisce, la destra garantisce: noi i patrimoni non li toccheremo mai. Dimentica però l’aggettivo: sono i grandi patrimoni ad essere in salvo, giacché i piccoli, come dimostra l’ultima manovra, possono ben essere oggetto di raid estivi emergenziali. 21 ECONOMIA le rivalutazioni, che però il governo ha già promesso di voler correggere). E dalla prosecuzione dei tagli già avviati: come quelli epocali della scuola, che si avvia per il terzo anno di seguito a riaprire le classi con più studenti e (molti) meno insegnanti, meno presidi, meno bidelli. le scelte di Tremonti È in questo strabismo tra vanagloriose promesse e quotidiana realtà che da anni va avanti la Berlusconomics, affidata all’uomo che sempre ha accompagnato la parabola del berlusconismo, facendo da cerniera con i leghisti e loro garante; e che, in questo frangente, si trova però ad essere anche un potenziale e pericoloso rivale del sovrano che muore. Messo sotto accusa dai suoi stessi alleati perché non trova risorse per spendere e spandere comprando consenso; trascinato nei guai dai suoi più fedeli collaboratori che – si scopre – prosperavano nella corruzione degli affari pubblico-privati; costretto a farsi scudo proprio con quei mercati finanziari che diceva di voler ridimensionare, bollando di «mercatismo» la loro idolatria: è Tremonti, in questa terribile estate 2011, la maschera principale della tragedia del berlusconismo e dell’Italia. Sua la gestione dell’economia e della finanza pubblica italiana (salvo brevi interruzioni) per tutta l’era berlusconiana. Sua la scelta di ignorare fino all’ultimo l’impatto della crisi sull’economia reale. Sua la decisione di procedere con «tagli lineari», penalizzando, tra i centri di spesa, quelli con meno «clientes» della sua parte politica: la scuola, l’università e la cultura in primo luogo. Sua una politica fiscale coerentemente e chiaramente regressiva, che ha spostato risorse dalle classi medie a quelle superiori, che ha tolto ai (quasi) poveri per dare ai molto ricchi, e ha spostato fondi dalle regioni del Sud a quelle del Nord. Sua (o da lui consentita) anche la svolta «privatistica» della gestione dei grandi appalti e dei grandi interventi pubblici, quello che prima di cadere in disgrazia si chiamava il sistemaBertolaso. ROCCA 1 AGOSTO 2011 la polpetta avvelenata E adesso è sua l’ultima gigantesca mazzata sul futuro dell’Italia. «L’ultimo che se ne va chiuda la porta», si dice di solito. In questo caso invece, prima di lasciare la casa (ammesso che la lasci) Tremonti ci ha messo sopra un’ipoteca, scrivendo nero su bianco che il nostro paese dovrà raggiungere il pa22 reggio di bilancio nel 2014. «Pareggio di bilancio» vuol dire che le entrate devono essere uguali alle spese, comprendendo però in queste anche le uscite per interessi sui titoli pubblici, cioè per pagare i debiti del passato. Non c’è nessuna legge che obblighi al pareggio, soprattutto in periodi nei quali l’economia è debole: persino i costituenti di Maastricht, quelli che vedevano i deficit pubblici come il fumo negli occhi e i responsabili di ogni male nell’economia, avevano posto l’asticella più in basso, indicando nel 3% il tetto massimo del rapporto tra deficit e prodotto interno lordo. Ossia consentendo un piccolo deficit, purché in via di ridimensionamento e con un debito sotto il 60%. Ora, l’Italia ha un debito gigantesco ed è vigilata speciale in Europa da anni: ma neanche questa condizione obbligava, e obbliga, a proporsi in questa fase di economia agonizzante il «pareggio di bilancio». Che vuol dire: togliere altro ossigeno all’economia, tagliare i fondi per i disoccupati, ridurre le spese sociali, e/o aumentare le tasse. Aver promesso il pareggio di bilancio nel 2014 ha un solo scopo evidente: tranquillizzare i mercati, dare un calmante (o una droga?) alla speculazione. Ma non è un obiettivo a portata di mano, né è detto che sia auspicabile, né sarebbe facile, per un ipotetico governo di sinistra che avesse a cuore la giustizia sociale, raggiungere lo stesso obiettivo con manovre più eque e senza massacrare la spesa sociale. Allo stesso tempo, non è neanche facile annunciare pubblicamente il contrario: ossia che il prossimo governo, ove gli italiani decidessero di licenziare il berlusconismo, butterà via quell’ultima polpetta avvelenata, cioè la promessa del pareggio di bilancio in una fase di recessione economica. Come al solito, si teme l’emergenza finanziaria: come reagirebbero i mercati? La finanza? Le banche? Ma al contrario si potrebbe dire: e chi se ne importa? Non sono proprio gli eccessi di mercati, della finanza e delle banche, ossia la bolla del debito privato, all’origine dei mali che viviamo attualmente? Si può invertire l’ordine del discorso, e cominciare ad aggiustare le cose che non funzionano invece di sfasciare quelle che ci possono ancora aiutare? Sarebbe bene cominciare a porre subito queste domande, e rispondere – possibilmente con un coordinamento tra forze progressiste europee –, per evitare di trovarsi, tra qualche anno, a fare il tremontismo senza più Tremonti. Roberta Carlini CAMINEIRO la pace del Sud Sudan C nare morte e violenze d’ogni tipo, né a scrutare il cielo ad ogni rombo d’aereo che potrebbe sganciare bombe su cose e persone. D’altra parte quel villaggio non era segnato sulle cartine perché ogni volta che c’era un’incursione delle cavallette travestite da soldati, tutti scappavano con quel poco che avevano per ricostruire le capanne in un altro luogo portandosi insieme anche il nome del villaggio, Agangrial. Si calcola che nei lunghi anni della guerra siano morte più di 2,5 milioni di persone, 5 milioni sono emigrati all’estero, ed altri hanno dovuto subire spostamenti dai loro paesi o dalle loro zone d’origine. Ma ora è la pace. Fragile e indecisa, ma è pace. Forse proprio come una mucca da tener ferma. Ma intanto è pace. Spetta a tutte le coscienze solidali del mondo e a tutti i governi democratici vigilare perché nessuno pensi più alla guerra come all’unità di misura delle proprie giornate. Facundo Cabral In alto le chitarre per dare l’estremo saluto a un cantastorie della pace. Un filosofo e umorista che amava definirsi «violentemente pacifista» e «vagabondo di prima classe». Soprattutto negli ultimi anni, questo argentino dalla vita saggia e spericolata, aveva sviluppato un suo pensiero originale che affidava a una musica folk e che definiva «anarchismo filosofico e contemplativo». Ragazzo di strada nato da una famiglia poverissima, imparò a leggere e scrivere a 14 anni in un riformatorio grazie a un gesuita che lo convertì alla vita con il Discorso della Montagna. A 74 anni, quasi cieco e con un tumore al pancreas, è stato ucciso con un colpo alla testa sparato a distanza. Aveva da poco terminato un concerto in una città del Guatemala. Forse anche in quell’ultima sua esibizione aveva cantato: «Per il tempo che ho vissuto, io vi posso insegnare che l’amore non muore mai: solo cambia posto». 23 ROCCA 1 AGOSTO 2011 Tonio Dell’Olio ’è festa per le strade di Juba. Come sanno fare gli africani. Con danze e tamburi e campane. È il 9 luglio. Non è soltanto l’orgoglio d’aver messo al mondo il 54mo Stato africano, ma la speranza di porre veramente fine a una guerra lunga, disperata, sanguinosa... non una guerra etnica o tribale come l’anno spacciata per anni e anni in occidente. Non una guerra del nord arabo e islamico contro il sud africano, animista e cristiano. È stata una guerra per decidere il corso del Nilo e per succhiare il sottosuolo ricco di petrolio e di minerali preziosi. Nei miei frequenti viaggi nel Sud Sudan sono sempre rimasto colpito della lucidità con cui, soprattutto gli anziani dei villaggi, riuscivano a leggere la filigrana degli eventi. All’indomani della firma del trattato di pace un anziano catechista mi riferì la sua interpretazione dei fatti con un proverbio africano: «Adesso voglio tenere ferma la mucca per poterla mungere meglio!». Visitando un villaggio non segnato sulle cartine geografiche entrai in una capanna più grande delle altre che veniva utilizzata come scuola dai missionari. Mi avevano chiesto di parlare dei motivi della guerra e delle speranze di pace. e un giovane Dinka mi chiese cosa intendessi quando pronunciavo la parola pace. Non intendendo bene il senso della domanda, risposi con un concetto forse troppo astratto e con una definizione che faceva riferimento alla giustizia. Mi accorsi che non aveva afferrato. Guardai il missionario che mi suggerì: «Prova a chiedergli quanti anni ha e capirai». Quel giovane aveva 17 anni ma il conflitto durava ormai da 20 anni. Quel ragazzo era stato concepito. Era nato e cresciuto con la guerra attaccata alla pelle. Dunque il giovane africano percepiva la guerra come la normalità e non aveva mai sperimentato nella sua vita, il silenzio delle armi. La risposta più semplice e più corretta era che la pace è non dover più fuggire davanti agli uomini in uniforme che arrivano nel villaggio a distruggere e semi- UNITÀ SINDACALE un compromesso sensato tra dubbi e contestazioni ROCCA 1 AGOSTO 2011 Fiorella Farinelli 24 on è piaciuta alla Fiom, e neppure all’amministratore delegato della Fiat, l’intesa interconfederale sulla contrattazione e sulla rappresentanza siglata da Cgil Cisl Uil e Confindustria il 28 giugno scorso. Si vedrà più avanti – il pronunciamento di validazione dell’ipotesi di accordo si concluderà solo il 17 settembre – che cosa ne diranno gli iscritti alla Cgil. Per Susanna Camusso, e per la maggioranza del suo direttivo nazionale, il bicchiere è comunque più pieno che vuoto. L’intesa «non è risolutiva, ma è importante, ferma una deriva e ci consente di ripartire in un’altra direzione e con altre modalità da una stagione di profonda divisione». Da quattro anni, in effetti, non si vedevano più accordi nazionali unitari, l’ultima firma Cgil è stata nel 2007, per un’intesa sul welfare. E allora a palazzo Chigi c’era Romano Prodi. In seguito nelle categorie industriali la pratica contrattuale unitaria è certo andata avanti, talora con buoni risultati, ma la riforma della contrattazione del 2009 è stata sottoscritta con Confindustria solo da Cisl e Uil e gli ultimi rinnovi contrattuali del pubblico impiego, dei metalmeccanici, del commercio hanno visto una Cgil sempre all’angolo. Esclusa ed autoesclusa. N una mossa abile e rischiosa Bisognava rientrare in gioco, e recuperare spazio e ruolo. Bisognava interrompere quel nefasto processo di bipolarizzazione del movimento sindacale per cui, se c’è un sindacato che dice sempre di no, ce ne sono immancabilmente altri a dire sempre di sì. Un suicidio, a lungo andare, per la Cgil, e niente di buono neanche per i lavoratori. Perché permettere l’affermarsi della strategia di un governo che persegue accanitamente la divisione del mondo sindacale? Perché devono essere considerati validi anche per i non iscritti a Cisl e Uil, anche per i non associati a nessun sindacato, accordi firmati da sindacati che rappresentano solo una parte minoritaria del mondo del lavoro? La divisione non aiuta mai la gente che lavora, e tanto meno quando si devono fronteggiare i tanti che, galvanizzati da Marchionne, vorrebbero imporre condizioni peggiorative rispetto a quelle previste dai contratti nazionali. Stabilendo anzi, tramite accordi o addirittura leggi, che a contare dev’essere solo la contrattazione aziendale, dove i lavoratori sono di solito più deboli e più ricattabili, proprio come è successo a Pomigliano e a Mirafiori. Dobbiamo dare per scontata anche da noi l’americanizzazione delle relazio- il compromesso Ma è anche dei contenuti della carta che oggi si deve discutere. Molti, nella Cgil e nella politica, sostengono si tratti di una mediazione al ribasso, di un cedimento unilaterale, e su tutta la linea. Un sacrificio troppo grande pur di rientrare in gioco. Ma non è così. Il «compromesso» c’è, ovviamente, come in tutti gli accordi. Tra imprese e sindacati, e anche tra le diverse anime del sindacalismo confederale. Ma in questo accordo, il primo della storia sindacale italiana in cui il timone è stato saldamente in mani di donne, è stata essenziale la sponda che Susanna Camusso ha trovato in Emma Marcegaglia. Che aveva bisogno di un’intesa solenne e «perfetta», con tutti i sindacati confederali nessuno escluso, per stoppare la pretesa di Marchionne di liquidare, insieme alla contrattazione nazionale, il ruolo della stessa Confindustria. E quindi anche quello della sua presidente. Di qui un testo che ribadisce la supremazia sulla contrattazione aziendale su quella nazionale, a cui viene infatti affidato il compito di definire gli ambiti delle materie oggetto di eventuali deroghe da contrattare a livello di singola azienda. Da un lato, dunque, si conserva il contratto nazionale – di fatto l’unico presidio dei diritti fondamentali dei lavoratori e delle regole del lavoro dipendente nelle tante aziende piccole e pic- ROCCA 1 AGOSTO 2011 ni sindacali che negli Usa ha portato al crollo dell’influenza dei sindacati e al dilagare dei poor workers, quelli a cui non basta avere un lavoro per sfuggire alla povertà? Mossa abile e di buon senso, dunque, quella della segretaria generale della Cgil. Sebbene rischiosa, e non solo perché la espone alle contestazioni interne del potente sindacato dei metalmeccanici e delle diverse correnti o frange di opposizione. Le difficoltà oggi sono enormi e terribilmente concrete. Sono in una crisi che costringe i lavoratori a ingoiare arretramenti di ogni tipo pur di conservare il posto di lavoro. Sono nella crescente deideologizzazione del mondo del lavoro e nel tracollo di fiducia e di consenso nei confronti della sinistra politica e sociale. Sono, soprattutto, nell’esclusione dalla contrattazione collettiva e dai diritti conquistati con le battaglie di decenni di quote sempre più grandi del lavoro dipendente, frammentate, sottoccupate, precarizzate. Quello che sta scritto su una carta, si sa, è importante, ma non è mai tutto quello che occorre per non essere sconfitti, o almeno per riuscire a resistere. 25 UNITÀ SINDACALE colissime del nostro apparato produttivo – dall’altro si prevede la possibilità di procedere con la contrattazione aziendale a un’adattabilità delle regole nazionali (anche sull’orario di lavoro, anche sulla produttività) alla specificità dei contesti aziendali. Un equilibrio difficile, esposto alle tempeste delle delocalizzazioni e di ogni altra pressione ricattatoria: soprattutto, come mette in evidenza la Fiom, nella fase transitoria in cui i contratti nazionali non avranno ancora definito gli spazi e i vincoli delle possibili «deroghe». Ma anche una messa in mora, almeno in linea di principio, dei tentativi di destrutturazione delle relazioni sindacali voluti da Marchionne e dei sogni di deregulation di buona parte della politica. Non sono venute a caso – e per il momento portano acqua agli argomenti della Camusso – le proteste, tramite lettera formale a Confindustria, dell’amministratore delegato della Fiat, a cui proprio non va giù che in Italia non si possa ancora spadroneggiare liberamente azienda per azienda senza dover rispettare quanto sancito nei contratti nazionali. Sarà anche questo un argomento per venir meno agli impegni di investimento nelle aziende Fiat italiane? chi rappresenta chi ROCCA 1 AGOSTO 2011 Risultati meno problematici per il sindacato, e soprattutto per la Cgil, ci sono invece nel campo delle nuove regole sulla rappresentanza. Campo minato dalla presenza di diverse tradizioni sindacali, quella della Cisl più orientata a sostenere il peso dei soli iscritti, e quella della Cgil che, anche nel momento della scelta delle rappresentanze, guarda anche alla platea dei non iscritti. Difficoltà antiche cui si sono aggiunte quelle, appunto, dei recenti accordi «separati». Com’è possibile l’erga omnes, cioè la validità per tutti i lavoratori di ciò che viene concordato tra le parti, senza una verifica della rappresentatività effettiva di chi firma. In presenza di divisioni tra Cgil Cisl Uil le associazioni dei datori di lavoro hanno sempre preteso che l’efficacia dei contratti ci fosse comunque, la magistratura viceversa ha sempre contestato questo orientamento, ma intanto, senza una misurazione del consenso delle diverse sigle sindacali, l’articolo 39 della Costituzione sulla rappresentanza sindacale e quindi sul diritto alla contrattazione continuava ad essere eluso. La svolta arriva oggi, finalmente, e con una soluzione che miscela in modo equilibrato le diverse sensibilità sindacali. La misu26 razione si farà con un criterio ponderato che tiene conto, da un lato delle iscrizioni certificate dall’Inps, dall’altro del consenso ottenuto dalle liste sindacali nelle elezioni delle Rsu, quindi anche dei lavoratori non iscritti a nessun sindacato. Finisce, insomma, l’era della «rappresentatività presunta» e anche quella delle rendite di posizione, mentre viene fissato al 5% la soglia di rappresentanza che consente a un’organizzazione sindacale di accedere a un ruolo contrattuale. Piuttosto equilibrate anche le clausole di validazione degli accordi, che limitano il ricorso al voto di tutti i lavoratori ai soli casi in cui non ci sia il consenso pieno delle Rsu e in cui il 30% dei lavoratori lo richieda. incapacità e frantumazioni E tuttavia anche tra chi riconosce l’importanza del recupero di un ruolo protagonista da parte della Cgil, i dubbi e le contestazioni per ora ci sono. Forti, puntuali, a tratti convincenti. Preoccupa che ci possano essere intese che «in situazioni di crisi o di investimenti significativi» prevedano «tregue» del conflitto sindacale, anche se viene specificato che questo riguarda solo le organizzazioni che le firmano e non può mai significare un limite al diritto di espressione di dissenso dei singoli lavoratori. Inquieta il rischio di un’eccessiva frammentazione delle regole – dei diritti e dei doveri – attraverso la contrattazione aziendale «in deroga», a fronte sia dell’incapacità dei sindacati a livello europeo di misurarsi con le multinazionali a partire da regole condivise, sia della frantumazione attuale del mondo del lavoro dipendente. Dietro tutto ciò l’evidente perdita di iniziativa e di autonomia dell’intero sindacalismo europeo. Ma soprattutto, in Italia, lo choc di una Fiat per decenni l’azienda italiana per eccellenza e il centro delle relazioni sindacali nell’industria, che ha ormai la testa e gli interessi di là dell’atlantico; il calvario delle delocalizzazioni; l’erosione, fabbrica per fabbrica, di quanto previsto dai contratti nazionali; i colpi di un governo e di una classe politica ostile al mondo del lavoro dipendente e indifferente ai suoi problemi. L’intesa, ha proprio ragione Susanna Camusso, «non è risolutiva», e il tentativo di ricostruzione di un’iniziativa sindacale unitaria è ancora tutto da fare. Ma senza questa ultima intesa, e senza la firma Cgil sotto questo testo, la situazione sarebbe migliore? Sostenerlo sembra davvero poco sensato. Fiorella Farinelli ETICA la morale del convivere i peccati non confessati Enrico Chiavacci ROCCA 1 AGOSTO 2011 N oi veniamo da una plurisecolare tradizione che ignora il tema morale specifico del ‘convivere’. Ciò non deve meravigliare. Gli esseri umani, fin da tempi storicamente indagabili, sono sempre nati e vissuti in gruppi ben definiti, con regole di comportamento valide – e insegnate e collegate a sanzioni varie – all’interno del gruppo. Il gruppo originario era in genere di carattere familiare, legato e guidato da un capostipite, l’anziano (o gli anziani) del gruppo. Gradualmente nacquero i contatti fra gruppi 27 ETICA ROCCA 1 AGOSTO 2011 e la formazione di unità più o meno politiche, ma sempre inevitabilmente approssimative. Ricordiamo che il mezzo di comunicazione più veloce, sia per i singoli che per le autorità sovrane, era solo il cavallo. Ferrovie, telegrafo, auto, si svilupperanno solo dalla seconda metà del XIX secolo: tempi quindi storicamente recentissimi. Ricordiamo anche che la pubblica autorità era scaglionata, in genere a vari livelli e non senza fratture o discordie: San Paolo non volle esser giudicato dal potere locale, ma dal potere supremo dell’imperatore romano. Dopo più di un millennio San Tommaso definirà la legge, molto cautamente, come un precetto comune, giusto e stabile, promulgato «ab eo qui curam habet communitatis». L’idea di Stato sovrano così come lo conosciamo oggi è nata solo fra il 1400 e il 1500, anticipata solo in qualche misura da Francia e Inghilterra. «Un popolo su un territorio, sotto un governo»: è questa l’idea di Stato sovrano che ancora oggi è dominante, ed è l’ambito in cui è nata e si è sviluppata la dottrina sociale della Chiesa, a partire dall’enciclica Immortale Dei di Leone XIII del 1885 «Sulla costituzione degli Stati», anticipata di poco dalla Diuturnum (1881) «Sul principato politico». Ma oggi il tema del ‘sociale’ deve andare ben oltre. Esso riguarda tutti i possibili rapporti fra esseri umani. E ogni vita umana è inevitabilmente segnata dagli innumerevoli rapporti – diretti o indiretti – con altri esseri umani. La teologia morale è stata – ed è ancora per molte istituzioni teologiche – legata ai dieci comandamenti. Ma si è dimenticata del comando del Signore ‘ama il prossimo tuo come te stesso’ e della Sua definizione di ‘prossimo’ nella parabola del buon samaritano. E il Signore stesso morì pregando per chi lo uccideva. La riflessione teologico-morale deve dunque esser profondamente ripensata. Ogni essere umano dipende fin dalla nascita dagli altri esseri umani, e in vari modi – una volta cresciuto e consapevole delle sue scelte – avrà influenza e subirà influenza nei tanti rapporti, diretti o indiretti, con altri esseri umani. Ogni bambino impara a parlare, a ragionare, a scegliere da altri esseri umani. Appena cresciuto, consape28 volmente o inconsapevolmente, con le sue scelte influirà e subirà costantemente l’influsso su e da innumerevoli esseri umani, e quasi sempre senza rendersene conto. Si pensi alla scolarizzazione dall’asilo all’università: essa è tutta, e per principio, una presa di contatto attiva e passiva con gli altri. E gli altri sono di tanti tipi diversi: compagni, insegnanti, autori di libri di testo, ma anche autori classici che si leggono e possono appartenere a un passato anche molto remoto: il giovane non subisce e incamera passivamente questa mole di dati, ma in qualche misura sempre – almeno nel suo interno e senza rendersene conto – interagisce con essi, più o meno consapevolmente. E infine occorre prestare molta attenzione alla crescente mobilità internazionale, dovuta soprattutto allo sviluppo delle molte linee aeree, con riduzione dei costi e forte aumento della domanda. Negli ultimi venti anni l’aereo ha cessato di essere una prerogativa dei ricchi. La mobilità internazionale e intercontinentale in aereo è ormai una normalità, e non è facile prenotare un volo solo uno o due giorni prima della partenza. Ciò comporta una presa di contatto diretta con altre culture, altre usanze, altri modi di convivere: si apprende che si può vivere e convivere in modi diversi ma con pari umanità. Chi scrive ricorda la quasi solennità vigente in aeroporto e in volo degli anni ’50-’60, e l’attuale clima quasi da metropolitana, ed è testimone diretto del graduale passaggio da una mentalità nazionale a un sentirsi parte di una comunità umana. E questo è tuttora in rapido sviluppo. Tutto ciò impone alla riflessione morale in genere, e a quella cristiana in particolare per la radicalità e l’universalità del suo annuncio, un serio ripensamento che stenta a emergere. Occorre dunque fermarsi a riflettere. passare oltre Amare il prossimo è indubbiamente il supremo comandamento del Signore, comandamento non contenuto nel decalogo e quindi ignorato nella catechesi normale di un passato recente (e spesso anche odierna). Si osservi come tutta la catechesi mo- le. Io devo vivere sempre con e per l’altro, chiunque esso sia e comunque esso mi si presenti. E ciò vale anche per la comunicazione di massa, che oggi assume forme e pone problemi impensabili fino ad anni molto recenti e quindi sconosciuta a tutta la tradizione morale cristiana recepita. Essa pone problemi morali nuovi e gravissimi, su cui manca ancora una seria riflessione etica in genere e cristiana in specie: è anch’essa una forma relativamente nuova e importantissima del mio rapporto con gli altri. Io stesso, mentre sto scrivendo, sono attore di una comunicazione di massa (prevedibilmente di una massa assai piccola) destinata cioè a un uditorio indeterminato e a me sconosciuto: ma è un uditorio che io devo amare. E questo vale per ogni comunicazione di qualunque genere – parlato, scritto, visivo – diretta a un pubblico indeterminato. È questa un’area dei comportamenti umani relativamente nuova, che di giorno in giorno si amplia, e che deve pesare profondamente sulla riflessione etica cristiana. il sociale nella vita di famiglia In quest’area il primo problema è il neonato e il figlio piccolissimo. Egli ha già in memoria molte sensazioni – soprattutto uditive – ricevute negli ultimi mesi di gravidanza. Ma fin dalla nascita sorge il rapporto fisico con l’ «altro». Tutto quello che vede o che sente resta nascosto in memoria, e col passare degli anni influisce sul suo comportamento e anche sui suoi pensieri. Non vi è parola o gesto che in qualche modo, pur minimo, non lo condizioni. Ogni tono di voce, ogni gesto, lo condiziona, ed è proprio qui che si impara a convivere e ad amare. Non basta il bacetto o la carezza. Ma il problema morale permanente è quello che potremmo chiamare ‘lo stile di vita’ in famiglia. E qui le situazioni sono tante e diversificate: ma in qualunque occasione deve prevalere il Vangelo. E deve prevalere innanzi tutto nel rapporto fra coniugi. È tale rapporto che segna tutta la vita della famiglia, e in primo luogo dei figli. È tale rapporto che – per primo – insegna ai figli ancora piccoli uno stile di conviven29 ROCCA 1 AGOSTO 2011 rale, e con essa la teologia, mirata a preparare preti per le confessioni, conosca in pratica solo precetti di divieto – con l’eccezione dei doveri fondamentali verso Dio, ma anche in essi prevale il momento negativo (non andare alla Messa la domenica, non dire le preghiere). Il Vangelo chiede ben altro che il non-fare. Chiede invece di vedere in ogni essere umano un fratello da amare e servire: non è rilevante, e tanto meno discriminante, che si tratti di uno straniero, del colore della pelle, di un amico o un nemico (per il cristiano la stessa parola ‘nemico’ non dovrebbe avere senso), di un uomo o di una donna, del modo di vestire, dello stesso senso di simpatia o antipatia che mi suscita. Nella parabola del buon samaritano Gesù lascia indeterminato il ferito: ‘un uomo’. Ma determina bene i passanti: i buoni ebrei, dediti al tempio e anzi al culto, passano oltre. Il samaritano, considerato eretico o miscredente, si ferma: non gli interessa chi sia, gli interessa solo che ha bisogno di aiuto, e glielo offre largamente. Il grande peccato per il cristiano, che professa un minimo di fede nel Signore, è il passare oltre. Il passare oltre è purtroppo la normalità nella vita del cristiano, e anche direi di gran parte della Chiesa ufficiale. Certo, in quasi tutte le diocesi vi è un ufficio per la carità. Certo associazioni variamente caritative esistono in molte città e parrocchie, in genere con finalità specifiche. E questo è una cosa buona, ma la carità non si esaurisce in un’associazione o in finalità specifiche. In ogni essere umano con cui, anche casualmente, entro comunque in rapporto io devo vedere il Signore. Analizzeremo nel seguito le principali situazioni di incontro. Ma ogni situazione di prossimità – su strada, in viaggio, in un bar – è sempre per il cristiano una chiamata, una silenziosa presenza della chiamata divina. E del resto è comune esperienza che un incontro, anche silenzioso, casuale, con perfetti sconosciuti, resta in qualche modo in memoria, e costituisce – sia pure in minima e subcosciente memoria – una pur minima parte del mio essere ‘io’. Ma lo stesso vale anche per l’altro, e qui nasce la radice della vera morale che è sempre socia- ETICA ROCCA 1 AGOSTO 2011 za, di dialogo, e anche di sopportazione dell’altro nella sua diversità. E la diversità di opinioni, la discussione su scelte da fare o su avvenimenti del giorno, e anche sul tema della religione, deve sempre essere discussione serena, rispettosa dell’altro. Uno scontro verbale duro – per non parlare di fisico – non deve mai avvenire in presenza dei figli. Nel rapporto fra genitori i figli trovano la prima scuola di vita sociale. Ma, a prescindere dai figli, gli sposi debbono sempre ricordare le reciproche promesse del loro matrimonio. E la vera promessa – quella veramente fondamentale – è la condivisione di vita, espressione particolarmente forte dell’amore del prossimo. Nel matrimonio il con-vivere, doveroso in forme diverse per ogni rapporto interumano, assume la sua forma più piena. Non a caso Paolo paragona il matrimonio alla fedeltà di Cristo alla sua Chiesa. La reciproca dedizione nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia, indica qualcosa di ben più profondo. Si tratta di convivere rispettando sempre la diversità dell’altro: una diversità che vi è sempre, e in forme ed aree di vita diverse, Si pensi all’atteggiamento di fronte alla religione, alla vita politica, all’atteggiamento di fronte ai figli e agli altri familiari ed amici o ad altre simili aree d dissenso stabile. Con-vivere non vuol dire esser d’accordo su tutto, ma accettare e rispettare la diversità ed eventualmente saper giungere a quelle mediazioni e compromessi che rendano possibile una serena e reciprocamente rispettosa convivenza. È nella quotidianità, spesso nella durezza, della convivenza che si impara uno stile di convivenza, stile che poi si riflette in ogni altro rapporto interumano. È questo un punto su cui scarsamente si riflette, ma che ritengo importante per un’autoeducazione al vivere sociale. Fino a pochi decenni or sono, la vita familiare era compatta, era un’area chiusa e privilegiata di convivenza. Oggi il nostro modo di vivere e convivere è cambiato. La famiglia non è più il luogo ‘normale’ di convivenza. Ognuno è impegnato in un mare di amicizie, contatti di lavoro, associazioni varie; e ciò vale sia per i genitori che per i figli. Ma anche in questa nuova, e ormai permanente, moltiplicazione della vita associata la fa30 miglia deve esser vista come luogo privilegiato di amore e di con-vivenza: solo di qui può nascere – e per i giovani maturare – una ‘logica di convivenza’ che rispecchi il Vangelo. Forse l’annuncio cristiano sulla famiglia non ha ancora pienamente compreso l’importanza che la vita familiare ha sulla vita sociale in generale. E forse non ha ancora pienamente compreso – al di là di qualche lamentela generica – l’impatto che una realtà sociale in continua mutazione, che verrà discussa nel seguito, ha sulla concezione stessa della vita familiare. È comunque indubbio che, rispetto a un passato anche recente, ognuno ha in genere due rapporti distinti – e spesso contrastanti – fra la vita e lo stile di vita familiare e la vita associata nella sua odierna complessità. E la complessità è ancora maggiore nel campo dei rapporti telematici, pubblici e privati, con gli ‘altri’, chiunque essi siano e dovunque risiedano sulla faccia della terra. Si tratta di una capacità di comunicazione planetaria completamente nuova, indubbia e sempre crescente, sui cui problemi morali e sull’impatto con la vita familiare manca ancora una approfondita riflessione morale, e anche specificamente cristiana. Quale sarà il futuro del concetto stesso di comunicazione interumana, e della sua incidenza sulla vita familiare, nessuno può dirlo. Avremo occasione di riparlarne. il sociale e la comunicazione Non esiste vita sociale senza comunicazione, sia essa verbale, visiva, comportamentale. E ogni forma di comunicazione, presente o futura, per il cristiano deve sempre esser dominata dall’amore, chiunque sia il ricevente: noto o ignoto, vicino o lontano, e tale anche nel tempo. Un libro, un filmato, una registrazione o simili permangono nel tempo: si pensi ad Aristotele o Platone nel nostro campo dell’etica, o a Omero e ai tanti poeti greci o latini. Tutti sono ancora presenti attivamente nella nostra civiltà, e anche – direttamente o indirettamente – nel nostro animo. Del resto la guida morale fondamentale per il cristiano è la Bibbia, e alla Messa si leggono e si meditano testi scritti, di cui alcuni ogni parola dura, ogni pur modesta aggressione fisica, resta sempre nella memoria dell’altro, sia in forma cosciente che incosciente, e influisce sempre in qualche modo, consapevole o inconsapevole, sui suoi futuri pensieri e comportamenti. Ma questo vale anche per ogni forma di rapporto con l’altro, chiunque esso sia. E questo conduce a un gravissimo problema morale, quasi completamente ignorato sia dai singoli cristiani che dai trattati di morale cristiana. Si tratta del tema della violenza fisica. Il momento fisico è normale nel rapporto con l’altro: il sorriso, l’abbraccio, lo sguardo di approvazione o riprovazione, ma anche la foto che teniamo accanto al letto, tutto rientra nella normalità quotidiana. Ma l’aggressione fisica, modesta o robusta che sia, dovrebbe esser sempre e severamente bandita dalla vita del cristiano, prescindendo dalle possibili conseguenze fisiche. Nella mente dell’altro ciò provoca inevitabilmente un’umiliazione e insieme il desiderio di reagire. È comprensibile la piccola violenza dei bambini e dei giovanissimi, che non conoscono altra possibilità di affermarsi o di reagire. Ma essi vanno gradualmente educati: è un’educazione che manca. Anzi, spesso si elogia il ragazzino che non si lascia sopraffare o che tenta di affermarsi di fronte all’altro. Purtroppo non esiste nessuna seria tradizione nella prassi dell’educazione morale in materia. Si guarda invece con implicita o esplicita approvazione il ragazzino che dice: «me ne ha date tante, ma gliel’ho rese tante». Ma il tema dovrebbe estendersi al rispetto esteriore e interiore della persona fisica dell’altro, e questo in ogni settore: penso al disprezzo di tanti ottimi cristiani per il povero mendicante – tanto più se è uno straniero esule per miseria – seduto sul bordo del marciapiede. Qui sembra – e non solo sembra – che l’annuncio morale cristiano non abbia niente da dire. E invece parroci, preti, catechisti, buoni cristiani, dovrebbero dire, e dire molto e apertamente. la violenza come normalità È oggi urgente riflettere seriamente sul tema della violenza. Oggi infatti la violenza è la normalità in tutte le situazioni di 31 ROCCA 1 AGOSTO 2011 vecchi di quasi 3000 anni. Ma si pensi anche alla comunicazione non verbale, al come noi ci presentiamo agli altri, noti o sconosciuti che siano. Valga un esempio di vita quotidiana di tutti noi: quante volte, dovendo uscire o incontrare qualcuno in casa, ci domandiamo «che vestito mi metto?», e cioè «come voglio comparire di fronte ad altri?». Queste domande e molte altre simili pongono sempre un problema morale, anche se in genere non ce ne accorgiamo: e qui si comprende la vera dimensione della cosiddetta ‘morale sociale’. Nella realtà quotidiana la comunicazione può assumere molti aspetti, dei quali ogni cristiano dovrebbe esser cosciente, e cristianamente cosciente. Ne esamineremo alcuni, fra i tanti che nuove possibilità tecnologiche sempre più ci offrono: per il cristiano il moltiplicarsi delle forme di convivenza – fisiche e telematiche – è in linea di principio un bene. Ricordiamoci che il Signore ci ha chiesto di annunciare il Vangelo a ogni creatura: e il moltiplicarsi di tale possibilità è anche una sfida alla coscienza. Nell’ambito familiare e delle amicizie e convivenze di prossimità costanti – stessa casa, stesso luogo di lavoro, stessi luoghi di ritrovo – vi è la conoscenza della vita, della personalità, delle opinioni dell’altro. Vi è una costante possibilità di offrire noi stessi – e il Vangelo – nei modi e nella misura che sono possibili e adeguati alle varie situazioni. Ma è da notare che in quest’ambito è facile – e direi normale – che vi siano confronti, critiche, disaccordi. E qui, nella quotidianità delle piccole cose, è facile e normale che vi siano scontri momentanei, parole dure o gesti inconsulti. È normale, e anche comprensibile in una stabile convivenza, che tali momentanei scontri vi siano, e siano anche frequenti. Ma il cristiano non può mai dimenticare il Vangelo, tanto meno in famiglia. La componente spontanea di rabbia deve essere controllata: la mancanza di autocontrollo in ambiente familiare (e anche amicale) è qualcosa a cui in genere si dà poco peso, ma che se frequente può indurre gravi conseguenze di cui, sul momento, non ci rendiamo conto. E in linea generale vi si dà poco peso. Invece occorre tener sempre presente che ETICA ROCCA 1 AGOSTO 2011 convivenza umana. E non si tratta solo di violenza fisica deliberata: oggi è sempre più crescente la convinzione che occorre farsi largo nella vita quotidiana, non importa se per questo devo violare la persona fisica o i diritti – scritti e non scritti – dell’altro. Occorre «farsi largo nella vita», non «farsi prossimo», e in genere a scapito degli altri. Ciò è direttamente contrario al Vangelo, ma sta divenendo prassi comune, neppure remotamente percepita come il rovescio del Vangelo e della fede cristiana. Chi mai oggi si sente in peccato per esser passato davanti agli altri in una lunga coda, sia in auto che davanti a uno sportello qualsiasi? ‘Farsi furbi’ è una normalità, e anzi un vanto. Chi mai oggi si sente in peccato per esser riuscito a non pagare una tassa dovuta? E in specie chi mai si sente in peccato per una dichiarazione dei redditi inferiore alla realtà? Chi scrive è un vecchio parroco, che nel mese di maggio sempre ricorda alla Messa domenicale il dovere di una onesta e veritiera dichiarazione dei redditi. Alcuni anni or sono era presente alla Messa un vescovo, venuto per cresimare. E dopo la Messa mi disse: «mi ha sorpreso il richiamo sulle tasse fra gli avvisi parrocchiali: io non ci avevo mai pensato, ma hai fatto bene». Chi mai oggi si sente in peccato per essersi sentito disturbato, e in cuor suo adirato, dalla presenza del misero, e in specie del misero straniero o di colore, lungo le strade? «Ma vai a lavorare a casa tua!» è il commento che io ho spesso sentito, con varianti assortite. «Sono sudici» si dice; «sono straccioni» si dice. Ma dove mai potrebbero avere bagno o doccia quotidiana, o un armadio con vestiti decorosi? Sono domande terribili, su cui in parte dovremo tornare più in dettaglio. Ma già nella loro quotidianità mostrano come la vita di tanti buoni cristiani, che si dichiarano tali e spesso sono sinceramente credenti e praticanti, sia una vita quotidiana che ignora il Vangelo. Ed è terribile il silenzio dei catechismi e dei manuali di morale in materia, non certo trascurabile o irrilevante, di amore del prossimo: chiunque esso sia, povero o ricco, bianco o nero, 32 pulito o sudicio, è sempre un essere umano. E il Signore, nella parabola del buon samaritano, lascia indeterminata la specificità del ferito (un uomo) mentre lascia ben chiara la specificità di chi passa oltre (veri credenti e addetti al culto). la violenza privata La violenza fisica (e anche verbale) fra privati deve essere senza esitazione e sempre condannata dall’annuncio cristiano, qualunque sia l’offesa subìta. Ciò purtroppo non avviene. E la violenza fisica o anche verbale oggi dilaga, ed è vista quasi come un diritto: l’affermazione di sé di fronte all’altro, la voglia insana di dimostrarsi superiore all’altro – sia in offesa che in difesa – sono ormai qualcosa di socialmente accettato come del tutto normale. Forse non ce ne accorgiamo, ma ormai si vive in una società che è intrinsecamente violenta. Violenze e uccisioni in famiglia sono quotidianamente presenti sui giornali: i normali e inevitabili screzi familiari sempre più si risolvono in violenza fisica, fino anche all’uccisione fra padri e figli, mariti e mogli. I pochi casi che leggiamo sui giornali, quasi ogni giorno, ci mostrano solo la superficie estrema di una realtà ben più ampia e profonda: sta sorgendo una forma di incapacità di convivere: la violenza fisica – e direi anche verbale – domina nell’animo di molti, in qualunque area della vita (inevitabilmente) comune. Si pensi all’assurdità totale delle violenze fisiche, oltre che verbali, fra gruppi di sostenitori di una squadra di calcio: non solo dopo una partita, ma anche prima. Gli ‘altri’, conosciuti ma più spesso del tutto sconosciuti, sono sempre i nemici. Nemici comunque da insultare e picchiare, anche prima di aver vinto o perso una partita. La rivalità sportiva è comprensibile, ma sempre ricordando che l’avversario è sempre un essere umano, da amare e rispettare solo perché è tale. Fra parentesi va sottolineato che ogni danneggiamento dei treni da parte di tifosi, entusiasti per la vittoria o arrabbiati per la sconfitta, è sempre un furto al popolo italiano, e quindi alla parte più debole di esso che ha bisogno di aiuto. Quasi tutte le ferrovie in Italia sono finan- la violenza sulla strada La strada è luogo di violenza assai diffusa, violenza fisica ma talora anche morale, spesso trascurata dall’annuncio morale cristiano: la responsabilità di fronte a Dio, per l’utente della strada, è praticamente inesistente. E invece è una responsabilità gravissima. Ogni città grande deve contare ogni giorno i morti e i feriti causati dalla strada. Ma la strada non ha una coscienza: ce l’hanno invece quelli che guidano veicoli di ogni tipo, e sembra che non se ne accorgano: sulla strada il quinto comandamento sembra non esistere, per non parlare dell’amore del prossimo. Sulla strada il prossimo è considerato quasi sempre un noioso nemico, sia esso un pedone o un’altra auto. L’amore del prossimo è un precetto dato dal Signore prima che esistessero le auto. Sulle strade con le attuali moto e auto non vale più. Così sembra pensare l’autista in Italia e in altri Paesi, ma non in tutti. Vi sono ovunque i codici della strada: ma il cristiano non può fermarsi alla osservanza dei codici. Deve voler bene all’altro, e rispettarne a ogni costo l’integrità fisica: da ogni porta può emergere di corsa un bambino, a ogni angolo vi può essere una vecchietta che cammina lentamente, anche fuori degli attraversamenti consentiti. E di casi simili ve ne sono tanti. Ma la prima regola generale è rispettare il codice: questo rispetto è importantissimo, non tanto per evitare le possibili multe quanto perché l’altro – pedone o autista che sia – si aspetta che tu l’osservi e si comporta di conseguenza (e questo vale anche per ogni altro codice civile). La seconda regola generale è tenere il veicolo costantemente all’ordine con controlli periodici, in specie su freni, gomme e luci: sono gli elementi essenziali, molto più di un guasto al motore, per il rapporto col prossimo sulla strada. La terza regola, al di là di ogni codice, è non tentare di prevedere quello che farà un pedone (e anche un ciclista): ricordiamo che sono esseri umani, e come tali possono avere gravi preoccupazioni tali da distogliere l’attenzione dovuta, possono essere persone anziane non abituate alle regole della circolazione stradale, possono essere ragazzini ancora inesperti e facilmente distratti. Chi scrive ricorda che in Giappone fu avvertito che la presunzione di non-colpevolezza nella circolazione stradale è sempre per il più debole. E per il cristiano l’attenzione al più debole dovrebbe essere una norma generale – e non solo stradale – di convivenza. una violenza generalizzata Oggi siamo in presenza di una violenza generalizzata, presenza in ogni ambito di convivenza, stabile o occasionale che sia. Ma non si vede un egualmente generalizzato annuncio cristiano in materia. Eppure il Vangelo – e in specie l’esempio della vita di Gesù – non lascia dubbi o spazi di liceità. Riteniamo che dietro a questa così diffusa realtà vi sia un egoismo e una paura generalizzata dell’altro come potenziale nemico o ostacolo alla affermazione di me. L’affermazione di sé di fronte all’altro , comunque e dovunque, è ormai qualcosa di naturale e di ovvio anche per il buon cristiano. Chi scrive ha ormai 60 anni di esperienza in confessionale, e quasi mai il penitente si accusa di mancata bontà, di rancore, di sopraffazione verbale o fisica dell’altro: solo dietro precisa domanda del confessore vengono fuori molte cose, cose che però il penitente non ha mai imparato né al catechismo né alla predica domenicale. 33 ROCCA 1 AGOSTO 2011 ziate dallo Stato. Ma a questo i tifosi (e non solo loro) non pensano affatto. Tu, tifoso scalmanato o viaggiatore sconsiderato, non danneggi un vagone ma il tuo stesso popolo. E qui si impone una breve riflessione sul danneggiamento di beni pubblici. Che siano di proprietà dello Stato o di altro ente pubblico, danneggiare i beni pubblici è sempre un furto al popolo: ripararli costa, e ciò riduce la disponibilità di spesa dello Stato o dell’Ente pubblico per le necessità del popolo: il che vuol dire in pratica una riduzione delle capacità di sostegno dei più deboli. Sostanzialmente il danno a un bene pubblico si riconduce sempre ad un furto ai più deboli della comunità. ETICA Forse per semplicità catechistica la morale cristiana consiste soprattutto nel non fare: la ricerca, la preoccupazione e – direi – l’ansia cristiana per il bene fisico e spirituale dell’altro sembrano cose estranee all’annuncio morale cristiano. Troppo si è dimenticata la conclusione della parabola del buon samaritano: «vai, e fai tu altrettanto». Preoccuparsi del bene materiale, mentale e spirituale dell’altro sembra al cristiano (e ai catechisti laici o preti che siano) qualcosa di accessorio, o di supererogatorio: è invece l’essenza del Vangelo, di quel Vangelo che noi non annunciamo, se non come vaga e generica raccomandazione. la convivenza entro strutture: lo stato sovrano ROCCA 1 AGOSTO 2011 Convivere in una società complessa richiede regole di comportamento che siano osservate da tutti i membri, e perciò anche munite di sanzione. Da questa esigenza nasce lo Stato moderno, col triplice potere legislativo, esecutivo, giudiziario. Vi sono molte varianti nel mondo. In uno Stato vi possono essere aree diverse, con tradizioni, esigenze e storie diverse, e quindi con la necessità di differenze legislative: sempre però entro i limiti riconosciuti dall’autorità centrale. Si pensi agli Stati Uniti d’America, o alle regioni italiane, o a Stati molto ampi con culture, lingue e tradizioni antiche diverse, come l’India o la Russia o la Cina. Ma sempre nel quadro di un’autorità centrale. In qualsiasi sistema di governo, centrale o locale, le leggi devono sempre esser rispettate (con le eccezioni che vedremo in seguito). E questo vale anche per le leggi non scritte, ma in vigore e accettate dai membri di un gruppo relativamente autonomo, come ad esempio avviene ancora in alcune aree dell’Africa. Quale che sia la fonte delle regole comuni di comportamento, esse vanno osservate: potranno naturalmente esser cambiate col cambiare di situazioni sociali o di sistemi di governo. Ma dovranno sempre essere accessibili da tutti per poter essere da tutti osservate. L’osservanza delle leggi è sempre dovero34 sa sul piano morale per due ragioni fondamentali. La prima ragione è che le leggi riguardano – almeno in linea di principio – il bene e la convivenza pacifica della comunità: nessuna legge è perfetta, e ogni legge pone limiti alla libertà personale. Potrà e dovrà essere modificata, ma sempre in vista di una migliore regolazione della convivenza, e con una (almeno implicita) accettazione della comunità. Ma fin che sussiste deve essere osservata. Ma il dovere di tale osservanza deriva anche da un’altra ragione, scarsamente presa in considerazione ma di grande rilevanza morale: l’altro si attende da me che io mi comporti secondo la legge. Violare la legge, o comunque tentare di violarla, è sempre un tradire l’altro (e la comunità in genere). Si pensi alla circolazione stradale o al pagare le tasse: nel primo caso io tradisco le attese ragionevoli di ogni altro utente della strada; nel secondo caso, assai più grave, io tradisco le attese del mio stesso popolo, e sempre a danno dei più deboli. pagare le tasse Pagare le tasse è sempre un dramma per tutti. Ci riferiamo qui principalmente alla tassa sul reddito. Essa è la principale fonte di reddito per lo Stato. Ogni Stato ha una serie di spese fisse, necessarie per il suo funzionamento: si pensi a ragionevoli stipendi per tutti i suoi dipendenti; si pensi alle spese per un minimo di servizio militare o a un adeguato servizio civile. Si pensi al sistema di sicurezza e cioè a polizia ed esercito, o al sistema carcerario o giudiziario, o al dovere di offrire scuole adeguate e di qualità buona eguali per tutti, e per tutti accessibili (così come vuole la Costituzione Italiana). Ma in ogni Paese, e specificamente in Italia, esistono masse di poveri, generate dalle cause più varie. Disoccupazione, pensioni insufficienti a sostenere un minimo di abitazione e di cibo, anziani soli e senza sostegno, immigrati o profughi da situazioni insostenibili, e molte altre cause ancora, fanno sì che viviamo in una realtà in cui non la povertà in qualche modo sostenibile, ma una realtà tragica di situazioni poteri e limiti dello Stato Si deve obbedire alla legge. Ma la legge non può essere arbitrio dei detentori del potere legislativo, anche se eletti. In ogni Paese democratico vi è una ‘Costituzione’, che definisce lo Stato nelle sue finalità e procedure: una Costituzione scritta o orale e comunque frutto di una stabile tradizione. È la Costituzione che definisce lo Stato, nei suoi compiti e nei suoi limiti, e ne garantisce la permanenza. Nello Stato dunque non esiste il potere di un singolo o di un gruppo. I tre poteri classici, e necessari, legislativo, esecutivo e giudiziario, di uno Stato sono sempre sottoposti alle direttive, finalità e limiti definiti dalla Costituzione. Ogni atto esecutivo (di governo), ogni scelta legislativa deve esser finalizzata (o almeno non contraria) al bene della comunità, e mai a interessi di parte, siano essi personali, civili o economici. E qui si apre una riflessione triste, ma necessaria quando il potere legislativo è – come è bene che sia – frutto di una scelta che in qualche modo coinvolge tutto il popolo. Il parlamentare, comunque eletto, deve sempre curarsi del bene comune, e non invece degli interessi particolari di classi o gruppi che lo hanno scelto e fatto votare. Ciò spesso non avviene, mentre la Costituzione italiana specifica che il parlamentare deve agire «senza vincolo di mandato». Ciò in genere non avviene. Vi è infatti per il parlamentare il rischio di non esser riproposto in successive elezioni; e per chi è di prima nomina col rischio aggiunto di per- dere la pensione di parlamentare. Ma più in generale un parlamentare vota sempre (o quasi) secondo le direttive del partito che lo ha fatto eleggere, anche se il voto è segreto. E il rischio di perdere il posto con i suoi vantaggi prevale sulla preoccupazione del bene comune. Spesso il parlamentare vota senza neppur sapere per che cosa vota, e purtroppo non è raro che non abbia neppure letto (per non dire studiato) la Costituzione. E qui entra in scena un problema veramente serio, e ben poco affrontato: la preparazione del parlamentare. Ogni nuovo eletto che non abbia già una competenza specifica in materie giuridiche dovrebbe seguire un corso breve di diritto costituzionale. Non è una cosa strana, anche se senza precedenti. Basterebbero poche ore da parte di un bravo costituzionalista per offrire un quadro sufficiente dei compiti e dei limiti del legislatore, sussidiate da un buon testo di diritto costituzionale. Ciò potrebbe avvenire anche all’atto della iscrizione in una lista, in modo che l’elettore sia certo del fatto che i candidati per cui vota abbiano un minimo di competenza istituzionale. Ogni parlamentare può parlare in parlamento, ma non urlare solo per sostenere una proposta, agli ordini del partito. Fa veramente soffrire vedere le aule parlamentari semivuote durante un dibattito, e invece piene quando è in gioco un voto. Ma il dibattito non è inutile. In primo luogo esso serve ad informare l’opinione pubblica (giornali e radioTv) sui pro e sui contro di una determinata proposta, e anche sul comportamento degli eletti. In secondo luogo può migliorare un testo o un progetto di legge presentato in aula. Ma in ogni caso un eletto deve esser cosciente del peso che grava sulle sue spalle: il bene comune di decine di milioni di persone, e specialmente delle più deboli socialmente e finanziariamente, al di là degli interessi dei gruppi che lo hanno sostenuto. E lo stesso discorso deve farsi per la responsabilità morale degli uomini di governo, che un parlamento esprime ed è in grado di controllare. il sociale e la scuola È questo un tema che viene spesso ignora35 ROCCA 1 AGOSTO 2011 spesso irreversibili, ci circonda inevitabilmente. Tutti gli operatori in associazioni caritative sono impegnati in quest’area di vera miseria insanabile, e ne sono testimoni. Vivere senza un tetto stabile, senza possibilità di in lavoro stabile, senza prospettive per il futuro: lo Stato non può e non deve ignorare tali situazioni disumane e disumanizzanti. Lo Stato potrà intervenire in varie forme, che qui non è possibile specificare; ma comunque potrà intervenire nei limiti delle risorse disponibili. E tali risorse sono condizionate sempre in qualche modo dalle tasse realmente percepite. ETICA ROCCA 1 AGOSTO 2011 to dagli studiosi di etica sociale. Ma a torto: la scuola, dalle prime classi elementari fino alla maturità, è il luogo della prima convivenza fuori della famiglia. È il primo luogo in cui il bambino deve imparare a convivere con estranei. Merita perciò una pur breve riflessione di etica sociale. Prima di tutto occorre riflettere sull’importanza della scuola pubblica rispetto a quella privata. È lì che il bambino o l’adolescente può e deve imparare a convivere con compagni di diversa provenienza sociale ed economica, di sesso diverso, di diversa educazione religiosa, e oggi anche di diversa tradizione culturale e storica. E si noti che non sono amici scelti da lui o dai suoi genitori: sono compagni di viaggio quotidiani non scelti, ma trovati per caso sulla sua strada. E questa è un’ottima preparazione alla vita sociale dell’adulto: convivere, ed eventualmente collaborare, con chiunque uno trova sulla sua strada; un ‘altro’ che non ho scelto, ma che mi trovo come ‘prossimo’. Questa è la primaria importanza della scuola pubblica, e di questo gli insegnanti, a qualunque livello o tipo di scuola, devono farsi carico. Ma a questa funzione della scuola raramente si pensa. Ma a scuola si impara a leggere e scrivere. Le attuali tecnologie sembrano aver superato, e reso in gran parte obsoleto, questo modo di comunicare: è, questo, un argomento assai complesso e discusso. Non è possibile affrontarlo sistematicamente in questa sede. Ma occorre almeno rilevare che leggere e scrivere, parlare e ascoltare, sono attività radicalmente differenti. Quando io parlo, in pubblico o in privato, io dico quello che mi viene in mente e quasi sempre senza riflettere sull’opportunità di dire quella cosa precisa con parole precise a quella o quelle precise persone. Ho invece la possibilità di accompagnare le parole con l’espressione del viso, col tono della voce, col gesto. Un sorriso o un volto serio o un particolare tono di voce fanno parte essenziale della comunicazione. Quando invece scrivo tutto ciò deve essere espresso in parole e frasi, e da quello che si scrive non si torna indietro. Scrivere perciò richiede concentrazione, costante attenzione all’effetto che può avere sul lettore. Il parlare si può correggere, di fronte alla reazione di chi ascolta: lo scrivere in36 vece resta, e non si può migliorare o correggere di fronte alle reazioni del lettore. Oggi, di fronte alle nuove tecnologie della comunicazione, occorre riflettere sul vecchio detto: «scripta manent, verba volant». Leggere e scrivere richiede sempre un minimo di concentrazione, che manca invece nel parlare e ascoltare. La scuola così è in primo luogo scuola di comunicazione nel senso più ampio. La parola dell’insegnante e dei i compagni, e i libri su cui si deve studiare, devono insegnare a convivere e condividere conoscenze ed esperienze: e non solo col presente, ma anche con il passato, e cioè di migliaia di anni di pensiero umano, sia della nostra cultura che di altre aree culturali. E non sempre gli insegnanti sono consapevoli di tale responso. il sociale e la comunicazione di massa In questa difficile area della comunicazione non intendiamo riferirci a libri o riviste di studio, che non sono propriamente di massa. Ci riferiamo invece al mondo audio-televisivo e a quello della stampa periodica o quotidiana, quale può trovarsi in tutte le edicole. E ci riferiamo in specie all’area dell’informazione: l’utente è interessato ai fatti, e talora anche alle cause prossime e alle immediate conseguenze di un fatto. Il momento della riflessione sulle cause e le conseguenze di un fatto, sia prossime che remote, non è invece quasi mai interessante. Spesso i media offrono qualche commento, ma è di rado interessante per l’utente: spesso, troppo spesso, l’utente si ferma al titolo o alla descrizione dell’evento: «dò un’occhiata ai titoli». Questo è moralmente riprovevole, almeno in linea di principio: ogni essere umano è mio prossimo, e un prossimo da amare. È certo impossibile seguire tutto, ma è possibile interessarsi ai casi più umanamente seri. E qui occorre tener presenti due cose. Prima cosa: ogni giornale, ogni Tv, ha un padrone, o almeno un controllore: in ogni caso vi è un controllo umano – e sempre legato a interessi vari – sull’informazione. Di questo occorre tener conto: ricordo un vecchio detto «temo l’uomo di un solo giornale». nali, tali da non incidere sul proprio tenore di vita: il fatto che la gran parte della famiglia umana con cui il Signore ci chiama a convivere, manchi del necessario per vivere umanamente – e spesso per sopravvivere – non ha interesse. Purtroppo la tradizione dell’insegnamento morale della Chiesa da molto tempo si è ridotta a insegnare che cosa «non si deve fare» per andare in Paradiso: per il resto si può fare tutto quello che ci conviene (o che ci viene in mente). È comprensibile la preoccupazione e la necessità di una breve sintesi catechistica: ma non è né comprensibile né accettabile ridurre a questo l’annuncio morale cristiano. L’amore del prossimo, e il servizio al prossimo bisognoso di aiuto, è quasi del tutto sparito dall’annuncio morale cristiano: rimane solo l’esortazione generica, senza alcuna enunciazione di obblighi gravi e specifici. In sostanza per la mancata attenzione e servizio al prossimo non si va all’inferno. Nell’esperienza di confessionale di chi scrive, alla domanda se uno ha pagato le tasse dovute, è stato paziente in famiglia o sul lavoro o con amici e conoscenti, o se si è preoccupato dei poveri secondo le sue possibilità, in genere si ha una reazione quasi di sorpresa, e vagamente generica, come se si trattasse di questioni di scarso peso in confessionale. E si deve riconoscere che non sempre i confessori interrogano – e quindi educano moralmente – su questo tipo di rapporto con l’altro, chiunque esso sia. un sociale sessuato Fino agli inizi dello scorso secolo la donna aveva scarsa o nessuna partecipazione alla vita sociale, e tale è ancora la sua condizione in molte aree culturali. E anche in Europa la partecipazione a pieno titolo al sociale in genere è molto recente. Si pensi che il diritto al voto della donna è sorto in Italia dopo la guerra (1946). Chi scrive ricorda l’ingresso suo e di sua sorella alla scuola media (1936): su quattro sezioni una sola era una classe mista, e i genitori – pur colti e illuminati – discussero a lungo prima di iscriverci nella sezione mista, cosa che poi – da bravi pedagogisti – decisero di 37 ROCCA 1 AGOSTO 2011 Seconda cosa: vi è una differenza profonda fra informazione dei giornali e della televisione. Il giornale è scritto, e io posso rileggere e riflettere sull’informazione e gli eventuali commenti: la Tv è invece solo ascoltata, e non consente una riflessione pacata, basata su una rilettura di eventi e di commenti. L’informazione televisiva è più immediata, e corredata da immagini; quella giornalistica non è mai immediata, e non ha immediata e sufficiente visibilità. Ma la prima è irripetibile, mentre la seconda può esser ripresa e riletta con calma. Così per un cristiano, che ami veramente il prossimo, Tv e giornali sono fonti complementari di informazione e di comprensione della vita della famiglia umana: ormai il mio prossimo non è solo il vicino di casa, ma ogni essere umano, e ogni mia scelta si ripercuote in qualche misura su tutta la famiglia umana. Siamo dunque di fronte a una nuova condizione della convivenza, e perciò su che cosa vuol dire oggi amare il prossimo occorre riflettere. Le notizie sul prossimo e sulla condizione della famiglia umana sono oggi purtroppo solo fonte di curiosità, non fonte di amore e condivisione: ma almeno una preghiera è sempre possibile, e la ricerca di un qualche approfondimento della comprensione è in genere agevole. Troppo spesso ci dimentichiamo che il Signore si è offerto sulla croce per noi e per tutti. E oggi, in questa nuova condizione di convivenza, ogni nostra scelta si riflette, sia pure remotamente e senza alcuna possibilità di controllo da parte nostra, sull’intera famiglia umana. Occorre perciò – ed è urgente – ripensare al senso del nostro esistere. Noi siamo qui, viviamo la nostra esistenza terrena nella famiglia, con i nostri amici: solo scarsamente per gli abitanti della nostra città e della nostra nazione. Pagare le tasse è per noi una sofferenza, e cerchiamo in tutti i modi, legittimi o illegittimi, di pagare il meno possibile. Gli stranieri poveri, venuti fra noi per cercare un minimo di vita e di lavoro per la loro umanità, sono visti con disprezzo o noia. La grande maggioranza dei cristiani non vive da cristiani: vive per sé e per il proprio tornaconto economico e sociale. Cerca di mettersi il cuore in pace con piccole elemosine occasio- ETICA ETICA ROCCA 1 AGOSTO 2011 fare. Solo dopo la seconda guerra mondiale la normale vita sociale dell’uomo si è veramente (e lentamente) aperta anche alla donna. E ancora oggi, almeno per chi ha passato i 50 anni, fa un certo effetto vedere una donna alla guida di un treno. E vedere, proprio mentre stiamo scrivendo, un sindaco che sceglie metà della sua giunta al femminile è qualcosa che fa notizia sui giornali. Si ricordi il detto (ormai vecchio) «donna al volante, pericolo costante». Ma ormai oggi la donna è parte della vita sociale in tutti i suoi aspetti. E il tema del ‘sociale’ ha acquistato una valenza sessuale che prima non aveva. Nessuna persona che incontriamo o con cui comunque abbiamo qualche forma di rapporto, sia pur fuggevole, è a-sessuata (salvo casi patologici che possono indebolire questa caratteristica). Nel complesso mondo del sociale ciascuno di noi è presente e operante con tutta la sua sessualità, anche se non se ne accorge: questo si riferisce in primo luogo non solo e non tanto alla diversità fisica quanto alla diversità di organizzazione mentale. Per fare un esempio, sicuramente diversa è la scala dei valori nell’organizzare la massa di memorie e la loro relativa importanza di fronte a qualsiasi problema. Ragionare, discutere, cooperare, o anche trovarsi per caso con persona di sesso diverso, comporta sempre, e automaticamente, un atteggiamento mentale (e anche fisico) particolare. L’attrazione per l’altro sesso è sempre presente, anche se spesso inavvertita: ciò è necessario in natura per assicurare la prosecuzione della specie umana. Questa nuova dimensione del sociale, ormai inevitabile e irreversibile, deve esser presa in seria considerazione. Essa è sicuramente un arricchimento per la convivenza, in tutti i suoi aspetti. Ma apre il problema morale della sessualità e del suo significato, sia nella coscienza personale che nell’ambito della convivenza. È un tema poco capito e ancora poco studiato. L’incontro e la collaborazione costante e quotidiana con l’altro sesso fa ormai parte della convivenza in tutti i suoi aspetti, anche i più intimi e personali. Oggi il medico, il chirurgo, l’avvocato, può essere indifferentemente uomo o donna, quale che sia il sesso del cliente. 38 Tutto ciò può portare a una reciproca amicizia e intimità, fino al rapporto sessuale completo, senza alcun riferimento a una stabilità del rapporto. Ciò si riflette inevitabilmente nei giovani e giovanissimi, sostenuto da una forte e redditizia pubblicità. Stiamo assistendo a una banalizzazione della vita sessuale, storicamente nuova e quasi tutta all’interno della cultura occidentale. Vi era, e ancora permane, una specie di ‘liturgia laica’ di approccio e di graduale avvicinamento e reciproca conoscenza, ma anche questa sta scomparendo. Tale fenomeno è però gravido di pericoli per il futuro (prossimo) della cultura occidentale, e della convivenza umana in generale. Viene a mancare l’elemento fondamentale del rapporto sessuale come punto di arrivo di una reciproca conoscenza fino al reciproco dono di sé, e con esso – se è sincero – la stabilità del rapporto e la connessa convivenza, tale da consentire la procreazione e l’educazione della prole. Senza di ciò, la comunità è destinata a un lento invecchiamento fino ad una lenta estinzione. Così il mondo della sessualità non è riducibile a regole morali per i comportamenti sessuali dei singoli: esso coinvolge l’intera vita sociale e il suo futuro. Coinvolge certo l’annuncio morale cristiano, ma coinvolge tutto il modo di concepire la convivenza umana. L’altro essere umano non può mai essere ‘usato’ solo per la mia convenienza, anche se il rapporto di convenienza è reciproco ma consapevolmente passeggero. E questo vale sempre, se vogliamo vivere umanamente: vale per la vita sessuale come vale per ogni altra area di convivenza sia stabile che occasionale. Vi è infine il tema dell’economia, nei suoi tanti aspetti fra loro collegati: ma è impossibile trattarlo in questa sede. Occorrono studi dettagliati sul piano tecnico per ciascuno dei molteplici temi, studi che qui rinviamo ad altri autori o a una ulteriore opportunità. Ma anche in tale complessa realtà non va mai dimenticato il principio che io sono qui per gli altri, e non gli altri per me e per la mia convenienza economica: sarebbe – ed è – un preciso tradimento del Vangelo. Enrico Chiavacci TERRE DI VETRO Oliviero Motta volte la domanda ti salta addosso quando non te l’aspetti: «ma, alla fine di tutto, il succo qual è? Che cosa si fa qui dentro, esattamente?». Sono settimane che ‘sti punti interrogativi girano da soli. E vanno. E tornano. Colti di sorpresa, quasi mai si ha a disposizione la risposta che soddisfa, quella che risolve le contraddizioni e comprende le mutevoli dimensioni del lavorare in una comunità. Ma oggi – per caso? – ho ripreso in mano l’intervista con Anna, ormai datata tre anni fa, proprio all’inizio del percorso di valutazione. A un certo punto della nostra chiacchierata le avevo chiesto di riavvolgere il nastro del tempo, in modo da individuare cosa l’aveva portata a scegliere il mestiere d’educatrice in comunità. Ecco quello che era uscito: «Mi viene da sorridere perché l’altra sera eravamo nel dopocena con i ragazzi, a contarcela su, quando hanno iniziato a farmi domande tipo questa. Mi sono sentita proprio intervistata, con domande del tipo ‘ma come ti è venuto in mente di lavorare in un posto come questo? Ma te, come mai non hai paura a stare con persone come noi?’. A me lì è arrivato dritto in pancia questo loro sentirsi davvero come a un certo punto si sono descritti: ‘noi siamo un po’ come lupi, come bestie feroci’. Quando fanno così mi fanno un po’ accapponare la pelle, perché emergono in modo lampante i loro vissuti di pesante emarginazione, dentro i quali il gioco si fa sempre più pesante: sento che vengo considerata così e mi adeguo al ruolo assegnato, rincarando sempre di più la dose; si gioca al rialzo e tutto diventa sempre più pesante, per sé e per gli altri. Siamo andati avanti un’ora a parlare. Ho raccontato un po’ come io li vedo e li sento, su cosa mi fa fare questo lavoro e loro A erano molto colpiti, tanto che nel corso del giro della buona notte qualcuno di loro mi ha detto: ‘ma lo sai che ci hai detto delle cose proprio interessanti...’; che era poi il fatto che io non li percepisco diversi da me. È chiaro, ci sono delle problematiche e delle storie diverse, ognuno ha sviluppato un problema perché ha alle spalle un determinato percorso. Ma ciò non fa di te un marziano e di me un venusiano o un terrestre; io percepisco la nostra comune umanità, fondamentalmente... Domande del tipo ‘ma tuo marito cosa pensa, che tu sei qua, che fai questo lavoro?’ mi hanno permesso di mettere a fuoco le mie motivazioni davanti a loro, mi hanno fatto parlare di un certo modo di stare nel mondo, di guardare e considerare gli altri, di spendere la propria vita in relazione con gli altri. Quella sera si sono sentiti tanto riconosciuti, visti, visti al di là delle etichette: il mostro... il mostro. E questa cosa li ha abbastanza spiazzati; io li ho sentiti... turbati, sì, un po’ turbati dal sentirsi così riconosciuti. A volte succede; periodicamente facciamo delle riunioni a tema basate su giochi pedagogici, e anche lì emergono aspetti di riconoscimento reciproco. La gran parte di loro fa una gran fatica, si emozionano, e il clima che si vive è straordinario. C’è una fatica enorme a essere visti e riconosciuti perché è una cosa alla quale loro non sono per niente abituati. Manca proprio l’esperienza dell’essere visto, dell’essere riconosciuto. In quelle occasioni le emozioni che loro vivono arrivano forti anche a noi operatori; così è stato per l’intervista quella sera. E il nostro lavoro, in fondo, è tutto qua: riconoscerti come persona e allenarti a riconoscere te stesso e gli altri come tali». 39 ROCCA 1 AGOSTO 2011 la fatica di essere visti ROCCA 1 AGOSTO 2011 Claudio Cagnazzo 40 na bottiglia sepolta nella sabbia. In un arenile qualsiasi. In una qualsiasi spiaggia media degli italiani medi. Per decenni, sotto i piedi accaldati di connazionali sempre più estranei a se stessi e agli altri. Una bottiglia disseppellita e trovata intatta con il messaggio di una bambina che, lì, nel magico cerchio di sabbia della sua infanzia, l’aveva seppellita. Una donna commossa, quando, matura signora, l’hanno chiamata al riconoscimento della «sua» bottiglia. Con il suo messaggino incorporato. Un messaggino, questo sì, degno di tale nome, perché fatto da una bambina, mentre quello del telefonino, anche se fatto da un bambino, messaggino non è, perché la tecnologia, guardatevi intorno, ci fa tutti adulti. Qualsiasi sia la nostra età. Un bimbo con un secchiello, è un gioiello chiuso nel suo scrigno infantile, con il telefonino, è un adulto in miniatura. Troppo esperto per essere piccolo. Troppo piccolo per essere credibile. Un ibrido anche se amabile. La tecnologia è sofisticatezza, perizia dei movimenti, occhio allenato, tecnica raffinata. Un bimbo che sa maneggiarla appartiene già esteticamente e visivamente al mondo dei grandi. Moralmente, decisamente no. Ma questo è un altro discorso. Quella bottiglia ritrovata è perciò insieme un segno, un segnale ed un simbolo. Un segno dei nostri tempi, perché tanto clamore intorno a questa notizia si può avere solo se il mondo intorno è profondamente cambiato anzi, assolutamente irriconoscibile rispetto a pochi decenni fa. U ricordi digitali La bottiglia con il pezzo di carta logoro, sa di ottocento, di bella epoque, ma soprattutto, nell’era di Internet, sa di folklore, decisamente sfruttabile, anche a livello pubblicitario, da bagnini ormai anch’essi portati più per facebook che per la ciambella di salvataggio. Poi, è anche un segnale di pericolo, in qualche modo, perché su di essa si può ragionare per capire come la nostra tradizionale memoria, intesa come ricordi, personali e collettivi sia in pericolo di sopravvivenza. Essa, infatti, nell’era di Internet, esce dalle bottiglie, dai diari, dagli album fotografici, dalle lettere lise ai bordi ed in bella calligrafia, per entrare nell’archivio «mostruoso» della Rete digitale. Colei che non tutto contiene, ma tutto potrebbe contenere. Che non è la stessa cosa, ma inquieta comunque. Dentro la rete tutto ciò che abbiamo scritto, le nostre paure, i nostri sentimenti, gli amici frequentati, gli amori, che un tempo si tenevano segretati nel diario e, al massimo, la compagna o il compagno di banco potevano sbirciare. I gusti persino. Ciò che piace ad ognuno che la pubblicità ci ha insegnato a rendere pubblico e che tristemente comunichiamo al mondo intero: come se preferire Guccini ai Pooh, o Maradona a Pelè, o, per volare in alto, Céline a Balzac, non sia parte del proprio patrimonio privato dell’anima, magari da confidare a qualcuno di cui sei innamorato, in una serata stellata, o agli amici al bar. Loro sì, depositari di segreti, rivelati solo per rabbia, per rancore, per amicizia tradita, ma SOCIETÀ la rete e la bottiglia indifferenza digitale Internet non cela i ricordi, li alleva giorno dopo giorno nel suo software, per resistere al tempo, ma non per romperlo e incar- dinarlo su nuove basi. E certo, si può obiettare, che comunque, non tutti i ricordi stanno in un archivio elettronico. Ci sono quelli del cuore, che possono scatenarsi, nel vedere un vecchio luogo, o nel rivivere una sensazione già vissuta, ma, a parte che ogni luogo, ogni esperienza vissuta ormai la portiamo magari in una foto del telefonino o scaricata sul computer, con milioni di persone che non fanno che scattare foto, dimentichi che l’emozione nasce da qualcosa di irrepetibile e che anche le foto dovrebbero essere per questo rare e appunto irrepetibili, resta il fatto che la sorta di educazione sentimentale che è in atto si fonda soprattutto sul fatto che per vivere l’eterno presente che ci hanno condannati tecnologicamente a vivere, siamo costretti a tenere tutto continuamente con noi stessi, per non lasciare niente al passato. Accumuliamo notizie, immagini, news, video per non smarrire nulla, ma non selezioniamo, non mettiamo da qualche parte della nostra anima ciò che vale la pena ricordare e ciò che invece va scartato. Affastelliamo tutto in una sorta di follia indifferenziata che ci fa tutti, se non uguali, almeno simili, e che non permette di sedimentare ricordi ed emozioni. Con il che appunto, la bottiglia ritrovata, assurge proprio a simbolo dei nostri tempi. Stampiglia sulla bandiera della globalizzazione tecnologica il suo logo. Che vede una bottiglia solitaria dentro il video di un computer. Sogni imbottigliati insomma. Come fossero vino, che però non può invecchiare. ROCCA 1 AGOSTO 2011 sempre per qualche forte sentimento, mai banale, come una twitterata, tanto per inventarsi un neologismo. E poi i ricordi, oltre i segreti, che, tenuti nel cassetto, o nel vecchio baule, possono sempre essere riscoperti, non solo per emozionarti, ma anche per ripartire verso nuove battaglie per la vita. Se, in fondo sono stato giovane, se ho preso la laurea come testimonia la foto ritrovata incredibilmente nel fondo di una scatola per i lavori manuali, se quel gol l’ho segnato, come si vede da quel bianco e nero in un pomeriggio piovoso, allora qualcosa so fare. Posso ancora farcela a non precipitare in depressione da fine lavoro, o da fallimento matrimoniale, o da qualsiasi si voglia tra gli accidenti della vita. I ricordi, a differenza di quel che si dice, non avviliscono soltanto per il loro carico di pathos, ma, allo stesso tempo, ritemprano, ti fanno sentire vivo, magari acciaccato dentro, ma vivo. Diverso invece portare tutto dentro un archivio. Portare in qualche file, nel proprio profilo facebook, in qualche modo il tuo vissuto, è come voler rinunciare ad emozionarti, come se ogni volta qualsiasi novità potesse riprendere il filo mai interrotto dei tuoi ricordi. Ma il ricordo è invece un interruzione, un taglio con il presente ed ha bisogno per esistere di essere dimenticato. Claudio Cagnazzo 41 Pietro Greco l pianeta ha fiducia che il futuro dell’energia – e dell’economia e dell’ecologia – è nelle «nuove rinnovabili». Le nazioni pensano che solare, vento, biomasse, geotermia, onde e correnti marine costituiscono una grande opportunità. E un grande business, da almeno duemila miliardi di euro. Non si tratta di una mera speranza. Ma di un concreto investimento. Come sostengono due rapporti pubblicati nelle scorse settimane. Il Global Trends in Renewable Energy Investment 2011 preparato dalla società Bloomberg New Energy Finance di Londra per conto dell’Unep, il Programma per l’Ambiente delle Nazioni Unite e pubblicato. E il Global Clean Power: a $2.3 Trillion Opportunity, pubblicato dalla Pew Charitable Trusts, un’organizzazione no profit americana che si occupa dei rapporti tra scienza, economia e politica. I boom di investimenti ROCCA 1 AGOSTO 2011 Il primo rapporto, quello della Bloomberg, calcola che nel 2010 gli investimenti globali nelle nuove fonti rinnovabili e «carbon free» sono aumentati del 32% rispetto all’anno precedente, raggiungendo la ragguardevole cifra di 211 miliardi di dollari. Tra il 2004 e il 2010 gli investimenti in vento, solare, biomasse sono cresciuti del 540% imponendosi come il settore emergente nel mercato mondiale dell’energia. A tirare è soprattutto l’eolico (94,7 miliardi di dollari, + 30% rispetto al 2009). Ma se si prende in considerazione la spesa per i pic42 coli pannelli solari, il Sole tiene assolutamente botta, con un investimento di 86 miliardi in crescita del 52% rispetto all’anno precedente. Si tratta di un autentico boom, che ha consentito di abbattere in un solo anno del 18% il costo per megawatt delle turbine eoliche e, addirittura, del 60% il costo per megawatt dei pannelli fotovoltaici. Molto più staccate sono le altre «nuove rinnovabili»: le biomasse, il recupero di energia da rifiuti, il mare: gli investimenti complessivi ammontano a circa 30 miliardi di dollari. L’Asia e l’Oceania sono l’area del mondo dove si investe di più (oltre il 59%), seguita dall’Europa (35%), Nord America (30%) e Sud America (13%). Chiudono Africa e Medio Oriente col 5%. Per la prima volta nel 2010 gli investimenti dei paesi a economia emergente hanno superato quelli dei paesi di antica industrializzazione. La Cina, con 49,8 miliardi di investimenti, è il paese che traina la crescita. Il Dragone sta puntando sull’eolico per la produzione interna, ma non dimentica il solare: tanto che ormai la metà dei pannelli fotovoltaici del mondo sono fabbricati sul suo territorio. Seguono la Germania (41 miliardi di investimenti), che sta puntando moltissimo sul «piccolo solare», e gli Stati Uniti (29,6 miliardi). Quarta è l’Italia (13,8 miliardi di investimenti), con una crescita equilibrata delle grandi e piccole infrastrutture. Tra i paesi a economia emergente si segnalano, dopo la Cina, il Brasile e l’India. NUOVE ENERGIE RINNOVABILI il mondo ci crede 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro Il secondo rapporto, quello elaborato dalla Pew come aggiornamento del precedente Who’s Winning the Clean Energy Race? Growth, Competition and Opportunity in the World’s Largest Economies, pubblicato nel marzo 2010, sostiene che le «nuove rinnovabili» rappresentano non solo un business esplosivo nel presente ma anche una grande opportunità per il futuro. Un’opportunità da 2.300 miliardi di dollari. Tanti quanti ne potrebbero essere investiti, da qui al 2020, dai paesi del G20. Il gruppo americano si chiede chi, tra i grandi paesi, sta vincendo quella che considera la gara decisiva per il futuro ecologico, energetico ed economico: la gara, appunto, delle «nuove rinnovabili». La corsa, sostiene, è già iniziata. E l’accelerazione dei protagonisti è possente, come dimostrano i dati del recente passato, analoghi a quelli forniti Bloomberg New Energy Finance. Anche i paesi che si sono portati avanti nella corsa sono gli stessi: Cina e Germania, sugli altri. Seguono staccati gli Stati Uniti. E poi a sorpresa l’Italia. Ma quello che è forse più significativo è che le «nuove rinnovabili» stanno producendo una forte domanda sia di innovazione tecnologica sia di lavoro qualificato: in tutto il mondo il settore ha creato 2,5 milioni di nuovi posti di lavoro. Certo, la maggior parte (1,5 milioni) è in Cina. Ma anche in Europa i nuovi posti di lavoro non sono stati pochi: 278.000 in Germania, 81.000 in Spagna; 21.000 nella piccola Danimarca. scenari realistici Ma fin qui il passato. Cosa avverrà in futuro prossimo, da qui al 2020? Gli scenari realistici, secondo la Pew Charitable Trusts, sono tre. 1. Scenario minimo: tutto resta com’è. È lo scenario che gli esperti chiamano del business as usual. Dove non si verifica alcuna ulteriore accelerazione nella transizione dal paradigma energetico fondato sulle fonti fossili a quelle rinnovabili e carbon free. Dove non ci sono nuove politiche per prevenire i cambiamenti climatici. Ebbene, anche in questo caso, sulla scorta di un abbrivio già in atto, entro il 2020 le 20 maggiori economie del mondo, che rappresentano il 90% degli investimenti in energia pulita, investiranno 1.750 miliardi di dollari nelle «nuove rinnovabili: eolico, solare, biomasse e altre. ROCCA 1 AGOSTO 2011 Un discorso specifico merita l’Europa. Che è l’unica regione al mondo dove gli investimenti finanziari sono diminuiti (del 22%), ma sono stati ampiamente compensati dalla creazione di progetti a piccola scala. In Germania, per esempio, i «pannelli sui tetti» rappresentano ormai quasi il 90% dei nuovi investimenti. E anche in Italia i piccoli progetti rappresentano la metà degli investimenti. Al contrario, in Cina sono i grandi investimenti finanziari a rappresentare la quasi totalità della spesa. 43 NUOVE ENERGIE RINNOVABILI 2. Scenario intermedio: le politiche di Copenaghen. È lo scenario della coerenza rispetto agli impegni già presi. In particolare, rispetto agli impegni (morali) assunti dai paesi del G20 nella famosa Conferenza delle Parti che hanno sottoscritto la Convenzione sul Clima delle Nazioni Unite tenuta a Copenaghen alla fine del 2009. Se i governi del G20 rispetteranno i patti, i loro investimenti nelle «nuove rinnovabili» da qui al 2020 saliranno a 1.860 miliardi di dollari. un grande business e una grande opportunità ROCCA 1 AGOSTO 2011 3. Scenario più favorevole: nuove politiche. È lo scenario più avanzato. E, per molti versi, il più realistico. Perché è l’unico compatibile con la possibilità di contenere l’aumento della temperatura media del pianeta entro i 2°C da qui al 2100. Sta di fatto che in questo scenario, vuoi per prevenire i cambiamenti del clima, voi per rispondere al «picco del petrolio», vuoi per restare competitivi in un settore ormai considerato strategico, i paesi del G20 – come peraltro più volte annunciato – attuano una serie di politiche attive per sviluppare le «nuove rinnovabili». In questo caso, anche mantenendo un approccio prudente, gli esperti della Pew Charitable Trusts prevedono investimenti per una cifra prossima a 2.300 miliardi di dollari. Un grande business. Ma anche una straordinaria opportunità da non perdere. In termini ecologici, in primo luogo. Perché l’opportunità da 2.300 miliardi di dollari renderà possibile installare da qui al 2020 una potenza «rinnovabile» e «carbon free» aggiuntiva di 1.180 GW. Una capacità che è pari a circa l’8% dell’attuale domanda di energia (pari a circa 15.000 GW). Non è risolutiva, né per ultimare la transizione dal paradigma fossile al nuovo paradigma; né per contrastare in maniera efficace i cambiamenti climatici. Ma non è neppure poco. Se si tiene conto che questa capacità installata potrebbe soddisfare una parte notevole (quasi il 30%) della nuova domanda di energia. L’eolico sarà il settore dove prenderanno corpo i maggiori investimenti. Si passerà dagli attuali 60 miliardi di dollari per anno a un valore compreso tra 110 e 190 miliardi di dollari per anno entro il 2020. L’eoli44 co rappresenterà il 50% degli investimenti in «nuove rinnovabili» in Cina e oltre il 60% in Germania e Francia. Il solare avrà uno sviluppo meno scontato Si potrebbe realizzare persino una diminuzione rispetto agli investimenti attuali – dai 50 miliardi di dollari odierni, ai poco più di 40 miliardi di dollari per anno nel 2020 – come previsto negli scenari 1 e 2. Ma si potrebbe avere un netto aumento degli investimenti, fino a 78 miliardi di dollari nel 2020, nel caso si realizzi il terzo scenario. Cresceranno in ogni caso, invece, gli investimenti in tecnologie per le altre «nuove rinnovabili» (dalle biomasse alla geotermico), dagli attuali 20 miliardi di dollari per anno fino a un valore che nel 2020 sarà compreso tra un minimo di 37 miliardi e un massimo di 69 miliardi. In tutti gli scenari il pallino delle «nuove rinnovabili» passerà nelle mani dell’Asia. Perché è lì che si verificherà il più marcato incremento degli investimenti. In ciascuno dei tre scenari delineati, infatti, Cina, India, Giappone e Corea del Sud si ritaglieranno una quota del 40% della spesa nelle «nuove rinnovabili». America ed Europa si troveranno nella condizione di dover inseguire. Una condizione nuova, in un settore strategico in cui l’innovazione tecnologica avrà un ruolo decisivo. In tutti gli scenari sarà la Cina il maggiore investitore, seguita nell’ordine da Stati Uniti, Germania, India e Regno Unito. Ma è interessante considerare le cifre assolute. Da qui al 2020 la Cina investirà nelle «nuove rinnovabili» da un minimo di 471 a un massimo di 620 miliardi di dollari. Gli Stati Uniti (minimo 245, massimo 342 miliardi di dollari) seguiranno a notevole distanza. Terza, in ogni scenario, figura la Germania (minimo 183, massimo previsto 208 miliardi di dollari). Quarta l’India (minimo 118, massimo 169 miliardi). Quinto il Regno Unito (minimo 114, massimo 134 miliardi di dollari). Cosa ci dicono, tutti questi numeri? Che le «nuove rinnovabili» rappresentano appunto una grande opportunità per l’Asia – in particolare per la Cina e per l’India – di raggiungere tre diversi obiettivi: soddisfare la crescente domanda interna di energia; abbattere gli inquinanti, locali e globali; competere in un campo che richiederà, per forza di cose, grande capacità di Usa e Europa in secondo piano Stati Uniti ed Europa sono destinate certamente a perdere la gara quantitativa nel campo delle «nuove rinnovabili». Ma dovranno fare grandi sforzi per non perdere anche la gara «qualitativa», quella delle tecnologie più avanzate. Non è, infatti, scontato che possano continuare a vincere la gara della qualità e dell’innovazione. Negli Stati Uniti la politica energetica – anche a causa dei rapporti di forze al Congresso – non è in questo momento abbastanza chiara e determinata. Questa indecisione, come sembra aver chiaro il presidente Barack Obama, rischia di compromettere la leadership tecnologica americana a vantaggio della Cina. Quanto all’Europa, occorre parlare di svariate politiche energetiche, malgrado l’Unione abbia un suo programma abbastanza coeso, chiaro e preciso (il famoso programma 20-20-20 entro il 2020, 20% di risparmio, 20% di fonti rinnovabili, 20% di taglio delle emissioni di carbonio). Il fatto è che i 27 paesi membri dell’Unione ne hanno altri, talvolta contraddittori e spesso confusi. Chi in Europa e, forse, nel mondo crede di più nelle «nuove rinnovabili» è la Germania. Consideriamo il solare. La nordica Germania detiene la leadership mondiale dell’innovazione tecnologica nel settore con cui ha soddisfatto negli anni scorsi il 40% della domanda globale, anche perché ospita il più grande mercato del mondo. La sua politica dei «pannelli sui tetti» sta dando risultati inattesi. Nei soli primi sei mesi del 2010, la Germania ha installato pannelli solari per una capacità pari a 3 GW (analoga a quella di tre centrali nucleari). La leadership delle aziende tedesche è oggi minacciata dalla Cina, capace di produrre una quantità di pannelli solari pari al 50% del totale mondiale. Ma la Germania sta rilanciando, proponendo installazioni a tecnologia sempre più avanzata. La storia di successo della Germania, spiegano gli esperti Pew, ha un imprinting squisitamente politico. E nasce quando, alla fine degli anni ’90, i tedeschi si proposero come obiettivo, appunto politico, di «coprire 100.000 tetti» con pannelli solari. Quei tetti obbligati a catturare l’energia del Sole non erano che la punta emergente di una strategia fondata su una robusta (l’aggettivo è degli esperti PEW) ricerca scientifica e innovazione tecnologica, su un’accorta ridefinizione degli standard dell’energia rinnovabile e su un forte stimolo fiscale. Tutto questo ha creato un sistema di imprese capaci di produrre e vendere nuove tecnologie in tutto il mondo e di dare lavoro a 10.000 addetti. il paese solare E l’Italia? Con i suoi alti prezzi dell’energia ci aspettiamo, sostengono fiduciosi gli esperti della Pew Charitable Trusts, che l’Italia diventi da qui a pochi anni il primo grande paese dove il solare raggiunge una sostanziale «grid parity»: un costo per chilowattora analogo a quello da fonti tradizionali. Malgrado il governo abbia di recente ridotto gli aiuti alle rinnovabili, gli esperti della Bloomberg New Energy Finance continuano a guardare all’Italia come al mercato più attraente per il solare fotovoltaico: gli investimenti esteri in Italia potrebbero ammontare nel 2020 a 10 miliardi di dollari. È per questo che l’altro gruppo di analisti, quello della Pew Charitable Trusts, rileva che in uno scenario di politiche attive l’Italia si collocherebbe al sesto posto tra i paesi che investono di più nelle «nuove rinnovabili». Da qui al 2020 il nostro paese potrebbe spendere 90 miliardi nello sviluppo del solare, installando pannelli per una potenza complessiva di 47 GW (rispetto ai 2,4 GW attuali). A ciò si aggiunga che oggi l’Italia è il terzo mercato europeo per l’energia eolica (con una potenza installata di 4,8 GW) e che ci sono buone chance anche nelle biomasse (capacità attuale 1,1 GW). Insomma, il nostro paese ha molte carte da giocare. Alcune le sta già giocando. Sarebbe davvero un peccato perdere l’opportunità di agganciare il nuovo vagone dell’innovazione e di partecipare, in quota parte, a quel grande business da 2.300 miliardi di dollari che sono le «nuove rinnovabili» dello stesso Autore BIOTECNOLOGIE scienza e nuove tecniche biomediche verso quale umanità? pp. 124 - i 15,00 (vedi Indice in RoccaLibri www.rocca.cittadella.org) per i lettori di Rocca i 10,00 anziché i 15,00 spedizione compresa ROCCA 1 AGOSTO 2011 innovazione tecnologica. Quanto agli Stati Uniti e all’Europa, sarà proprio lo sviluppo del settore delle «nuove rinnovabili» a richiamarle alla nuova realtà, dove il ruolo propulsivo non sarà più svolto da loro ma dall’Asia. richiedere a Rocca - Cittadella 06081 Assisi e-mail Pietro Greco rocca.abb@cittadella.org 45 C on Thomas Khun e Paul Feyerabend, Alistair Crombie (Brisbane, Australia 1915 – Oxford 1996) ci ha introdot to nel mag-matico mondo della scienza moderna rivelandoci, da un punto di vista storico e interdisciplinare, l’esistenza di una pluralità di metodi e di verità. Il risultato di questa indagine è un’opera in tre volumi il cui titolo (Stili del pensiero scientifico agli inizi dell’Europa moderna) dà l’idea dell’immenso lavoro di ricerca, di documentazione e di analisi svolto dallo studioso australiano al quale interessava meno quello che l’uomo conosce rispetto al modo in cui lo conosce. «La sua attenzione – ha scritto Ian Hacking – si concentra sul modo in cui scopriamo le cose, non sulle cose che scopriamo». Si sarebbe tentati di definire kantiano questo progetto se non fosse che i modi della conoscenza sono per Crombie socialmente definiti, orientati cioè dalle «circostanze» e dai «problemi da formulare e risolvere» in un preciso momento storico. Si potrebbe al limite parlare di un kantismo corretto in senso storico e intersoggettivo dove al posto delle categorie apriori e dei metodi oggettivi di conoscenza troviamo quelli che Crombie chiama più debolmente «stili del pensiero». Ma va detto da subito che Crombie, per quanto sia un pensatore postpositivista, non è un anarchico della conoscenza, alla maniera di Feyerabend, e la sua non è una battaglia contro il metodo e per la dissoluzione del metodo. Il suo non è anarchismo ma pluralismo epistemologico. ROCCA 1 AGOSTO 2011 gli stili della conoscenza Certo è che egli sostituisce il concetto riduttivo di metodo, viziato dallo scientismo, con quello più generale di stile, derivato dall’arte e dalla letteratura. Uno stile indica in senso lato il modo in cui una certa comunità intende globalmente la cultura, i sistemi di verità e di dimostrazione che adotta, la concezione del mondo e i valori intellettuali e morali che la guidano nei processi di ricerca, di scoperta, di validazione e di sistemazione della conoscenza. In senso più ristretto lo stile indica un modo di procedere, di funzionare, di operare del pensiero. Oltre che essere un prodotto sociale, lo stile è anche il prodotto di una spe46 . MAESTRI DEL NOSTRO TEMPO Alistar Cameron Crombie le vie della scienza sono infinite Stefano Cazzato la storia del pensiero Si può naturalmente discutere se l’elenco di Crombie sia esaustivo ma quello che conta segnalare è che uno stile non ne esclude un altro (né all’interno di un’epoca né all’interno di una disciplina) e che altri stili o combinazioni di stili, oltre a quelli elencati, sono e saranno possibili. Sostenendo il metodo delle «sensate esperienze e delle necessarie dimostrazioni» Galileo ad esempio affermava implicitamente uno stile che combina esperienza e astrazione, fisica e matematica. E gli esempi di incroci, di collaborazioni, di interdipendenza tra gli stili potrebbero essere innumerevoli sia nel periodo considerato da Crombie che nei periodi successivi, a conferma del fatto che l’esistenza di uno stile puro e ideale, in grado di conferire oggettività assoluta a tutte le conoscenze, è una mera astrazione dovuta più a un’operazione ideologica che a una necessità della scienza. La quale, invece, procede per vie molteplici, talvolta inattese, come dimostrano i casi di serendipity, cioè di scoperte casuali o late- rali rispetto all’interesse di ricerca dominante. Ma l’aspetto più interessante dell’analisi dello storico australiano è che il discorso sugli stili fa cadere le barriere riduzioniste erette in età positivistica tra scienza e non scienza, rivelando l’esistenza di zone di scambio e di confluenza tra le epoche (Medioevo e Rinascimento), le culture (Oriente e Occidente), le scienze (naturali e umane) e quindi tra il discorso scientifico e altri tipi di discorso come l’arte, la letteratura, la storia, la retorica, gli studi sull’uomo e sulla società. Quello che Crombie ha scoperto, andando indietro nel tempo, ai secoli della formazione e della diffusione della scienza, è quindi l’inevitabile legame che esiste tra un certo stile di pensiero e il tipo di contesto culturale e sociale in cui quello stile ha senso ed è giustificato, cioè le condizioni materiali che lo fanno nascere, lo rendono possibile e sufficientemente stabile. In questo modo Crombie ha indebolito la presa degli scienziati e degli epistemologi sulla scienza riportandola nell’ambito degli studi culturali, come lascia chiaramente intendere questa dichiarazione che introduce il suo capolavoro: «l’intera esperienza storica del pensiero scientifico è un invito a trattare la storia della scienza, sia nel suo sviluppo in Occidente, sia nella sua complessa diffusione nelle altre culture, come una sorta di antropologia storica comparata del nostro pensiero». Stefano Cazzato per leggere Crombie dello stesso Autore A.C. Crombie, Svolte decisive in fisica, Bollati Boringhieri, Torino 1962. Id., Da Sant’Agostino a Galileo: storia della scienza dal V al XVII secolo, Feltrinelli, Milano 1982. Id., Le arti e le scienze visive e musicali in Galileo, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma 1991. Id., Stili del pensiero scientifico agli inizi dell’Europa moderna, Bibliopolis, Napoli 1992. Stefano Cazzato Giuseppe Moscati MAESTRI DEL NOSTRO TEMPO pp. 240 - i 20,00 (vedi Indice in RoccaLibri www.rocca.cittadella.org) su Crombie per i lettori di Rocca i 15,00 anziché i 20,00 G. Giorello, Introduzione alla filosofia della spedizione compresa scienza, Bompiani, Milano 2006, p. 270. I. Hacking, Lo «stile» per gli storici e i filosofi, richiedere a in Id., Ontologia storica, Ets, Pisa 2011, pp. 231- Rocca - Cittadella 259. 06081 Assisi A. Pagnini, Stili di verità nella scienza, Il Sole e-mail 24 Ore, 20 febbraio 2011. rocca.abb@cittadella.org 47 . ROCCA 1 AGOSTO 2011 cifica disciplina e delle difficoltà con cui deve misurarsi. L’Europa moderna ha messo in circolazione una varietà di stili scientifici che secondo Crombie sono: «a) la semplice postulazione stabilita dalle scienze matematiche, b) l’esplorazione sperimentale e la misurazione di relazioni osservabili più complesse, c) la costruzione ipotetica di modelli analogici, d) l’ordinamento della varietà attraverso la comparazione e la tassonomia, e) l’analisi statistica delle regolarità delle popolazioni e il calcolo delle probabilità, f) la derivazione storica dello sviluppo genetico». Nella lista compaiono lo stile del matematico, del fisico, dello storico, del medico, del naturalista, dell’umanista; compaiono gli stili che vengono dalla tradizione empirista e quelli che vengono dal razionalismo; compaiono molteplici modelli di ragione e molteplici sistemi di argomentazione e di prova; compare l’impronta di Galileo, di Cartesio ma anche quella di Vico e di Hume; ma soprattutto compare l’idea che si possa fare scienza in modi diversi, in campi diversi, con oggetti e linguaggi diversi. NUOVA ANTOLOGIA Edgar Lee Masters R la grande ballata degli spiriti poetanti ROCCA 1 AGOSTO 2011 Giuseppe Moscati 48 . accontare la morte sulle rive di un fiume. È un po’ questo quello che fanno, magistralmente, le 244 poesie di una delle antologie più famose di tutta la storia della letteratura mondiale, la celebre Antologia di Spoon River – edita nell’aprile del 1915 e da subito un boom – di Edgar Lee Masters (Garnett, Kansas 1869 – Melrose Park, Pennsylvania 1950). Il più delle volte insistiamo a dire: «Dante non è solo La Divina Commedia», «quest’autore non si esaurisce in quest’opera», «quell’autrice non la puoi ridurre a quel suo solo titolo e diversi altri suoi libri meritano» e così via. Temo che per Edgar Lee Masters le cose stiano diversamente, nonostante egli abbia scritto tante e tante altre cose. Intanto lui, diventato avvocato di successo (1) solo dopo una lunga serie di lavori varî (svolti soprattutto a Chicago) e dopo aver tentato invano di sfondare nel mondo del giornalismo (2), scrive altre poesie e testi drammatici che non reggono minimamente al confronto con la vena eccezionale dell’Antologia e poi, a dirla tutta, il magnetismo che le pagine del suo capolavoro esercitano sul lettore fanno sì che quest’ultimo non si rivolga ad altro per un bel po’. Dev’essere capitato così anche al nostro Fabrizio De André che, circa vent’anni dopo la morte dello scrittore americano, ha dato vita all’intenso disco Non al denaro, non all’amore né al cielo (1971), con nove testi ispirati all’Antologia di Spoon River, da lui letta nella bella traduzione di Fernanda Pivano (Einaudi, 1943), spinta alla lettura di Masters da Cesare Pavese. È il suonatore Jones – il vecchio violinista (in De André flautista) Fiddler Jones – che subito torna alla memoria, lui bevitore ribelle a petto nudo contro neve e pioggia senza il pensiero di una moglie, dei parenti, dei soldi, dell’amore o del cielo (Masters), cioè con «la faccia al vento, / la gola al vino e mai un pensiero / non al denaro, non all’amore né al cielo» (De André). Ebbene, se conoscete l’album di De André e vi mettete a leggere l’Antologia di Masters, vi ritroverete ben presto a scorrere i versi canticchiando le strofe del cantautore genovese; e allora un consiglio permettetemelo: se il disco lo avete in casa, mettetelo su, aprite il libro e tendiamo insieme l’orecchio alle voci di Spoon River... fatti e misfatti, vizi e virtù Sono già arrivate le prime note di La collina? Bene, leggetevi il verso della corrispondente poesia mastersiana The Hill: «Tutti, tutti ora dormono sulla collina» e subito l’eco si sdoppia. In un lampo siamo catapultati nell’altro intenso testo deandreiano, posteriore di altri vent’anni (1981), Fiume Sand Creek. Il contesto indiano è ben diverso eppure in qualche modo ‘vicino’: «ora i bambini dormono nel letto del Sand Creek», sul cui fondo c’è un dollaro d’argento e a volte anche i pesci cantano. L’Antologia di Spoon River nasce appunto sulle rive del fiume Spoon, a Lewistown nell’Illinois, dove la famiglia del giovane Edgar si era trasferita. Protagonista assoluto il piccolo cimitero di campagna della cittadina americana, o meglio le sue lapidi parlanti in collina che ci riportano fatti e misfatti, vizi e virtù dei personaggi di quella comunità, ma possiamo anche dire – ecco la grandezza della penna di Masters! – dell’umanità. Sì, perché quei fatti e misfatti come pure quei vizi e quelle virtù danno da pensare, da pensare a un ‘tipo’, a una ‘categoria’, a un topos della famiglia umana diremmo classicamente. Certo è che tutti, o quasi, i soggetti protagonisti di questa ‘grande ballata’ hanno fatto una finaccia e tutte le donne hanno avuto i loro tormenti, chi impiccato e chi travolto da un carro, chi violentata e chi trucidata, chi morto in guerra, chi al lavoro e chi «schiantata dalla vita» miserrima e schiavista. Né mancano momenti di tenerezza: l’ombra del procuratore legale Benjamin Pantier, per esempio, ricorda che alla fin fine, parole di fuoco, d’amore, di rabbia e di paura Spesso c’è, nell’Antologia mastersiana, il gioco vitale e mortale insieme tra la comunità dei vivi e quella dei morti, dove la prima deride e giudica e la seconda ammutolisce chi ha deriso e chi ha giudicato. Se la vita tradisce e inganna, la morte livella e, con ‘falce egualitaria’ alla mano, azzera ogni differenza. Ma si ha l’impressione che solo dall’aldilà si possa soppesare bene il valore (i valori?) dell’aldiqua; che solo dal punto di vista della morte, ripulita da tutto il suo alone di mistero e angosciosa percezione da parte dei vulnerabili mortali, possiamo conquistarci la possibilità di carpire il senso della vita, se essa uno ne ha. Ovvero il senso di quella che Masters, attraverso le parole d’oltretomba di Robert Fulton Tanner, vede come il meccanismo di un’inesorabile trappola per topi. Per questo il poeta mette in bocca ai suoi Tom Merritt, Kinsey Keene e Hod Putt, John M. Church e Amanda Barker e tanti altri parole di fuoco, accuse e denunce, memorie del dramma e dei drammi individuali della guerra, confessioni di errori fatali e proclami dalla polvere, ma anche brividi emotivi e immortali dichiarazioni d’amore, di rabbia e di paura. Uno di questi passaggi da sentimenti forti vale come appello alla comunità di Spoon River (leggi: umanità). Lo pronuncia Harry Carey Goodhue: «E allora lo ricordate che / barcollando tra le rovine della disfatta / e le rovine di una carriera distrutta, / ho tirato fuori dal mantello il mio ultimo ideale, fino allora nascosto agli occhi di tutti, come la preziosa mandibola di un asino [...]?». Ecco cos’è l’Antologia di Spoon River, queste che abbiamo rivisto insieme sono alcune delle sue impressionanti istantanee. Perché sembra proprio che con la sua penna Masters abbia scattato delle memorabili fotografie. Ci troviamo perciò in sintonia con William Willinghton, fotoreporter che ha lavorato sul testo, sui luoghi e sulle suggestioni mastersiane: «Ho sempre considerato l’Antologia di Spoon River come uno di quei libri che insegnano a raccontare per immagini, grazie all’immediatezza, all’assenza di retorica e alla semplicità che caratterizzano le poesie. E poi è un ‘libro silenzioso’, e chi meglio della fotografia è capace di rappresentare il silenzio?». Aggiungiamo noi: chi meglio della fotografia in silenzio e della canzone in sottofondo? Allora buoni scatti, buon ascolto e buona (ri)lettura a tutti. Il cimitero di Spoon River (foto di William Willinghton, 2006) Giuseppe Moscati Note (1) Non a caso tornano spesso, nei versi di Masters, giurie e giudici, procuratori legali, avvocati e uomini di legge. (2) Cui il poeta dedica alcune amare considerazioni: si rileggano quelle intorno alle «parole anonime» di una «falsa coscienza» e alla figura di un direttore di giornale: Whedon, il direttore appunto. per leggere Masters E.L. Masters, Antologia di Spoon River, a cura di F. Pivano, Einaudi, Torino 2009. Id., Il nuovo Spoon River [testo inglese a fronte], Newton Compton, Roma 2010. Id., Spoon River (56 poesie), Mondadori, Milano 1996. ROCCA 1 AGOSTO 2011 dopo tanti abbandoni subiti in vita, si ritrova accanto per l’eternità il suo cane Nig: «Sotto il mio osso mascellare / è accoccolato l’osso del naso di Nig – / La nostra storia si è perduta nel silenzio». E poi, subito dopo e come diverse volte accade nella sua Antologia, Masters ci fa ascoltare la storia dalla parte dell’altra campana, quella della signora Pantier. Lei, che sa bene che Benjamin continua a lamentarsi anche da morto di essere stato abbandonato da tutti, confessa il proprio disgusto e la propria nausea nell’aver visto ogni volta davanti a sé l’immagine del marito dopo aver assaporato la dolcezza dei versi di Wordsworth! Ma non è finita qui: con un secondo colpo di scena Masters fa presentare la storia dei coniugi Pantier anche dall’esterno, da un ‘terzo’, il farmacista Trainor che li percepisce come «buoni in se stessi, ma un diavolo l’uno per l’altra». Il disco, intanto, vi avrà già raccontato a suo modo di Selah Lively, il giudice cresciuto a invidia e vendetta; di Wendell P. Bloyd il blasfemo; di Francis Turner, malato di cuore e di solitudine; di Siegfried Iseman, il medico accusato da tutti di essere un ciarlatano; e poi di Trainor il farmacista di cui già sapete; di Dippold l’ottico e di Jones il suonatore... su Masters T. Pisanti, Spoon River e altro Novecento, Liguori, Napoli 1983. W. Willinghton – F. Pivano, Spoon River, ciao, a cura di E. Fantozzi, Dreams Creek, Milano 2006. 49 TEOLOGIA l’impegno di far avanzare il Concilio ROCCA 1 AGOSTO 2011 Carlo Molari 50 N ell’ultimo articolo ho riassunto alcuni momenti dell’attuale discussione sul valore del Vaticano II in particolare sulle scelte della Dichiarazione Nostra Aetate sulla libertà religiosa, riferendo recenti interventi nel Blog di Sandro Magister (www.chiesaespressonline.it). Credo sia utile seguirne gli sviluppi non solo per l’importanza dei temi discussi, ma soprattutto per accelerare il cammino di recezione del Concilio da parte della chiesa. Il confronto è oggi più vivace perché i tradizionalisti, che fino ad ora nella Chiesa hanno taciuto o lavorato in silenzio e in circoli ristretti, da qualche anno hanno iniziato una campagna di contestazione sempre più decisa e hanno chiesto in modo esplicito la revisione dell’ultimo Concilio. La discussione non si affida solo alle pagine dei giornali o delle riviste specializzate bensì anche ai blog di internet, uno strumento più duttile e immediato, anche se non ancora sufficientemente utilizzato dai teologi. Ora aggiorno la riflessione con alcuni spunti più sistematici. Il 16 giugno scorso Enrico Maria Radaelli, discepolo del filosofo Romano Amerio (1905-1997), è intervenuto nel citato blog con un proclama, dove denuncia la mancanza di direttive sicure e invita il Magistero a riprendere in modo deciso la propria funzione autoritativa. Convinto che non vi sia stata continuità tra le affermazioni del Vaticano II e la Tradizione, egli propone che per il cinquantesimo anniversario della Chiusura del Concilio (8 dicembre 2015) la Chiesa ripristini «la pienezza di quel ‘munus docendi’, di quel magistero, sospeso cinquant’anni fa». In un volume pubblicato recentemente sviluppa più ampiamente gli stessi temi (La bellezza che ci salva, Pro manuscripto, Milano 2011). Nel suo intervento, rispondendo ad interrogativi sollevati dal teologo domenicano P. Giovanni Cavalcoli, propone alcune opinioni teologiche sulla natura dello sviluppo dogmatico per mostrare la possibilità della revisione dei documenti del Vaticano II. Egli sostiene che non sempre gli sviluppi storici delle dottrine rivelate si mantengono nella verità e sono quindi accettabili. In tutti i Concili e molto più nella storia della teologia è evidente il fatto che pur partendo dalle stesse premesse dottrinali si può pervenire a conclusioni molto diverse o anche opposte. Per questo sono sorti errori che la Chiesa nei secoli scorsi ha condannato come ‘eresie’. Quanto ai testi dell’ultimo Concilio Radaelli ritiene che là dove essi contengono affermazioni difformi dalla Tradizione precedente deve essere corretto perché esprimono la prevaricazione di una minoranza. È successo infatti, che alcuni vescovi e teologi presenti come esperti nel Concilio mentre a parole proclamavano «saldezza e continuità» con la tradizione, «compirono di fatto rottura e discontinuità». «Tutti i maggiorenti neomodernisti o semplicemente novatori... hanno cavalcato con ogni sorta di espedienti la rottura con le detestate dottrine pregresse». Lo stesso atteggiamento ambiguo è proseguito nel postconcilio cosicché a suo giudizio, da cinquant’anni nella Chiesa cattolica si sta verificando «un ricercato amalgama tra continuità e rottura». Con tale metodo si sono messe da parte dottrine poco adatte al cammino ecumenico e se ne sono introdotte altre, senza però modificare l’impianto di fondo, in modo da consentire la «conservazione storica» della Chiesa stessa. Sono state inoltre trascurate quelle strutture metafisiche che garantivano solidità alle dottrine teologiche. Con formule sfuggenti, con idee spurie «sotto la copertura ... di un magistero volutamente sospeso» e sotto il pretesto di un atteggiamento chiamato, «con ricercata imprecisione teologica, ‘pastorale’», si è tentato di cambiare la chiesa senza dichiararlo. «Ciò vuol dire che in tal modo la Chiesa non pareggia più la verità, ma neanche la perde, perché i papi, persino in occasione di un Concilio, si sono formalmente rifiutati sia di dogmatizzare le nuove dottrine sia di colpire d’anatema le pur disistimate (o corrette o raggirate) dottrine pregresse» (ib.). Di fronte a questa devastazione egli ha creduto di dovere intervenire con il suo libro per proporre, come filosofo estetico: «alcuni chiarimenti per chi vuole ricostruire quella ‘Città della bellezza’ che è la Chiesa e riprendere così l’unica strada... che può portarci alla rotture necessarie La discussione ha fatto un passo avanti con l’intervento dello storico orientalista Enrico Morini, discepolo di Giuseppe Dossetti (1913-1996) e professore nell’Università di Bologna. In una lettera del 21 giugno egli mette in luce due dati che non sono stati ancora presi in considerazione dai dialoganti. Che, cioè, nella Chiesa cattolica non esiste un’unica tradizione bensì «una pluralità di tradizioni» e soprattutto che «rotture» fanno parte essenziale dello sviluppo storico della Tradizione cristiana. Per confermare queste affermazioni Morini, esperto delle Chiese orientali e del loro rapporto con la Chiesa cattolica, porta alcuni esempi. In primo luogo ricorda «la svolta impressa dai riformatori lorenesi-alsaziani» alla fine del primo millennio: si riferisce al Papa Leone IX (1002-1054), e ai cardinali Umberto da Silva Candida (1000-1061) e Federico di Lorena (1020-1058), (futuro papa Stefano IX) legati del Papa a Costantinopoli nel fatidico 1054, che registrò la definitiva rottura con l’Oriente. Ricorda poi la «cosiddetta riforma gregoriana» (Gregorio VII 1020-1085), che ha procurato alcuni benefici effetti nella Chiesa, ma con negative compromissioni con lo stile del potere mondano. Sottolinea «l’approccio eminentemente filosofico alle verità teologiche» e «il debordante interesse per la canonistica (già lamentata da Dante Alighieri), a scapito della Scrittura e dei Padri», caratteristici del pieno medioevo. Richiama inoltre la «riforma tridentina, con la rigida dogmatizzazione» e quello che egli definisce il «sequestro della Scrittura ai semplici fedeli» per finire con «l’apoteosi della ‘monarchia’ pontificia nel Concilio Vaticano I». A suo giudizio di storico tutte queste riforme hanno relegato «ancora più sullo sfondo il profilo della Chiesa indivisa del primo millennio». Riforme tutte queste che in modo diretto o indiretto hanno avuto conseguenze di ordine dottrinale soprattutto sulla Ecclesiologia e sulla funzione primaziale del Vescovo di Roma. Quanto al Concilio Vaticano II Morini sostiene che «è stato ad un tempo, intenzionalmente, sia continuità che rottura». Continuità nei confronti di molte dottrine dei Concili precedenti riprese e confermate, rottura nei confronti di alcune deviazioni realizzatesi lungo i secoli. Ciò d’altra parte non deve stupire «perché la Chiesa è un organismo vivente, la sua tradizione è soggetta ad evoluzione, ma anche ad involu- zioni» (Blog citato, 21 giugno). Martin Rhonheimer, intervenendo a sua volta, ha contestato il termine «rottura»: «È un peccato... che per criticare le tesi continuiste e tradizionaliste, invece della terminologia usata dal papa, Morini torni a parlare di «rotture». A suo giudizio richiamandosi alle «rotture» lo storico finisce con lo «spezzare una lancia a favore della ‘lettura accrescitiva’ fatta dalla cosiddetta scuola di Bologna». Secondo Rhonheimer il fatto di considerare le innovazioni «come ‘rotture’ è dovuto a una distorsione della prospettiva che può, in un dato momento, condurre a confondere qualcosa di secondario, di legato ai tempi e di accidentale, con un principio essenziale del ‘depositum fidei’. È quello che succede ai tradizionalisti, ma non di rado anche ai ‘progressisti’, tant’è vero che anche questi parlano di rottura. La vera fedeltà, pur essendo sempre aperta alla riforma, sa bene che a livello della fede e della morale cattolica non ci sono propriamente delle riforme, ma una sempre più profonda comprensione dei principi, per riuscire ad applicarli giustamente, forse in modo nuovo e diverso dal passato, in ogni momento della storia. Vera riforma della Chiesa, dunque, non è mai rottura, ma, con le parole di Benedetto XVI, ‘rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa’» (Blog chiesa.it 22 giugno). Anche Rhonheimer ammette che la riforma Gregoriana abbia rappresentato una rottura, ma rispetto al Cesaropapismo orientale che aveva contagiato la chiesa. Egli scrive: «La riforma gregoriana – la ‘rivoluzione pontificia’ dell’undicesimo e dodicesimo secolo – non era ‘rottura’ nel senso in cui papa Benedetto usa il termine, ma certamente implicava discontinuità, quella discontinuità tipica per ogni vera riforma che allo stesso tempo è fedeltà ai principi – in quel caso al principio della ‘libertas ecclesiae’ – e ricupero di elementi essenziali della tradizione apostolica». Credo che ormai la discussione sia giunta a un punto cruciale perché sono emerse le ambiguità di fondo. Non è specificato in modo sufficientemente chiaro in rapporto a che cosa si parli di rottura o di continuità: alle dottrine? Ai modelli teologici? Alle strutture ecclesiali? Non appare l’orizzonte teologale della vita ecclesiale e quindi non si fa mai riferimento allo Spirito Santo e alle possibili novità che la sua azione può immettere nella Chiesa in modo anche sorprendente. (continua) dello stesso Autore CREDENTI LAICAMENTE NEL MONDO pp. 168 - i 20,00 (vedi Indice in RoccaLibri www.rocca.cittadella.org) per i lettori di Rocca i 15,00 anziché i 20,00 spedizione compresa richiedere a Rocca - Cittadella 06081 Assisi e-mail Carlo Molari rocca.abb.@cittadella.org 51 ROCCA 1 AGOSTO 2011 felicità eterna, che ci può cioè salvare» (ib.). INTRODUZIONE ALLA LETTURA DELLA BIBBIA la gloria di Dio e la dignità dell’uomo Rosanna Virgili I testi biblici sono duttili, innanzitutto perché formati e trasformati dalle lingue e dalle traduzioni, e spesso si prestano ad esegesi, interpretazioni, intese, letture, elaborazioni dottrinali, usi, interiorizzazioni, estremamente diverse e persino, in contrapposizione tra loro. Un caso tra tanti è quello del Salmo 8, uno dei più belli e noti dell’intero Salterio. Si tratta di un solenne inno cosmico, elevato in una notte di liturgia e di canto. Nelle sue parole risuona la nenia che i sacerdoti cantillavano durante le veglie (cf. Sal 130,6), secondo l’invito del profeta Isaia: «Voi innalzerete il vostro canto come nella notte in cui si celebra una festa» (Is 30,29), o nel contesto di un rito di incubazione sacra nel Tempio: «Io mi corico, mi addormento e mi risveglio: il Signore mi sostiene» (Sal 3,6). «che fai tu, luna in ciel?» ROCCA 1 AGOSTO 2011 In modi e termini più laici un clima alquanto simile veniva evocato da Leopardi, sulle note del suo Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, il quale, alzando lo sguardo verso la «intatta luna», avvertiva più forte l’impotenza dell’essere mortale. «Ma tu mortal non sei e forse del mio dir poco ti cale» diceva il pastore/poeta, denunciando l’incolmabile distanza, l’estraneità che c’era tra l’alto della luna, e il basso teatro dell’uomo. La differenza con quanto recita il Salmo 8 sta proprio qui: sulla diversa concezione della distanza tra il cielo e la terra, in questo caso, tra Dio e l’uomo mortale. Il Salmo stupisce proprio perché, nella sua versione ebraico-masoretica, annuncia e denuncia assolutamente il contrario, che l’uomo, cioè, piuttosto di essere piccolo, impotente, schiacciato sulla umiliante realtà umana, sia, addirittura: «quasi come un dio». Probabilmente persino i traduttori greci della Bibbia provarono un tale imbarazzo dinanzi a questa cosa, al punto che dovettero attutirla con una traduzione che diventa: «lo facesti poco meno degli angeli». Ma vediamo il testo nella sua matrice ebraica. occhi di meraviglia Il canto si intona animato dalla lode stupita e grata al nome di Dio: O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! (v. 2) per continuare, poi, con altri versi di conferma verso questa grandezza di Dio: 52 Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza (v. 2) e per finire nella chiusa di ripresa del versetto iniziale, a reiterare ed esaltare ulteriormente, come in un cerchio di voce, il nome mirabile di Dio: O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! (v. 10). Per la sua ragione inclusiva, perciò, il Salmo 8 potrebbe inizialmente sembrare consacrato esclusivamente alla lode del Nome di Dio. Una grandezza che oscurerebbe la realtà dell’uomo, il quale, dinanzi a Dio, sarebbe un nulla, una briciola, una creatura piccola e agli antipodi della magnificenza divina, verso il quale, però, Dio si sarebbe rivolto, nonostante tutto. Ma è possibile ed, anzi, doveroso, intendere qualcosa di completamente diverso a carico dell’uomo e del suo rapporto con Dio, in questo Salmo. la geometria del mondo Se proviamo a immaginare una geometria letteraria del Salmo, vediamo tre piani dello spazio: il primo è il piano celeste, dove Dio è Signore (cf. v. 4); il secondo è quello terreno dove l’uomo è signore (cf. v. 7) e al centro restano ancora la figura e il ruolo dell’uomo. In altre parole, il cosmo del Salmo vede in alto il Cielo e Dio, in basso la terra e l’uomo e in mezzo (cf. v. 5), ad articolare i due estremi, ancora l’uomo. Nella prima parte, dunque, si celebra la grandezza del Nome del: «Signore, nostro Signore», dicendo: «quanto è grande». Tale grandezza è comprovata dal creato stesso, a partire dai cieli (cf. vv. 2-4). Ma il versetto 5 – che anima il cuore del Salmo – lancia un grido di meraviglia, attestando la stessa precisa parola che viene usata in precedenza per lodare il Nome di Dio, per cui si dovrebbe tradurre: «quanto è l’uomo!» (nella lingua ebraica è: mah). L’uomo è, dunque, il secondo oggetto di meraviglia e di lode e la ragione della sua grandezza è espressa nei vv. 6-9. Prima di tutto perché egli è «fatto quasi come un Dio» (v. 6). E la ripresa della lode del Nome del Signore, alla fine, è ricca di un elemento determinante: Dio stesso viene esaltato per/attraverso la grandezza dell’uomo! (cf. v. 10). grande è il Suo Nome (vv. 2-4) La grandezza di Dio risplende attraverso grande è l’uomo (vv. 5-9) Ed ecco la lode alla grandezza dell’uomo: «Grande è il mortale! Ti ricordi di lui! e il figlio dell’uomo! Ti prendi cura di lui!» (v. 5). Il testo ebraico ci presenta l’uomo nella sua fragilità e concretezza, non come concetto astratto. La semantica di enoš è quella dell’essere malaticcio e decadere, perciò può essere reso come «mortale». Nei Salmi assume un valore collettivo, per indicare l’umanità proprio in quanto caduca (cf. Sal 90,3; 103,15). Senso analogo ha ben adam, «figlio dell’uomo», cioè colui che viene dalla polvere e ad essa ritorna (cf. Gen 2,7; 3,19; Qo 3,20; 12,7). La meraviglia è proprio questa: che enoš e ben adam sia paragonato ad Adon!! «Davvero l’hai fatto quasi come (meat eloim) un dio, di gloria e di onore lo hai coronato» (v. 6). Il salmo denuncia lo sconcerto proprio di fronte alla grandezza dell’uomo che è posto ad una brevissima distanza da Dio. La grandezza dell’uomo è caratterizzata e descritta dalle azioni concrete di Dio: il suo ricordare (v. 5); il prendersi cura di lui (v. 5); il fare (v. 6); il coronare di gloria e di onore (che sono cose normalmente attribuite a Dio) (v. 6); il governare (v. 7); 6. il mettere tutto sotto i suoi piedi (v. 7). ti ricordi di lui Dio, dunque, si ricorda dell’uomo, cioè crede in lui. Il verbo zakar, infatti, è tipico dell’uomo biblico che deve ricordare Dio, cioè confessarlo, seguirlo, restargli fedele, celebrarlo. Qui si capovolge la relazione: Dio «crede» nell’uomo!! Il ricordarsi di Dio è l’atteggiamento fondamentale dell’Alleanza. Dio si ricorda dei poveri (cf. Sal 9,13); del suo popolo (cf. Sal 74,2); della sua parola e del suo amore. Che Dio si ricordi dell’uomo è oggetto di grande meraviglia! Un essere debole (cf. Sal 11,4; 12,2; 14,2; 31,20) destinato ad essere inghiottito dal tempo e dalla terra, simile a un verme o ad una larva (cf. Gb 25,6) è oggetto dell’efficace ricordo salvifico di Dio e della Sua fede. creatura e dignità La fiducia che Dio conferisce all’uomo si esprime ulteriormente nella facoltà di governare che mette nelle sue mani (per il verbo mašal, cf. Gen 1,18; 3,16; 4,7; 45,8.26). Il «governo» dell’uomo si esprime in un ambito politico, sapienziale, culturale. È quanto si conferma con la seconda espressione: «tutto ha messo sotto i suoi piedi» che non indica un potere arbitrario, ma il compito e la dignità di aprire un ordine nelle cose della terra che ne realizzi un cmpimento «quasi» divino. Il fatto che sia Dio a conferire una tale autorità all’uomo rappresenta il limite essenziale all’interno del quale quest’ultimo può estendere la sua azione. Stabilisce e ricorda all’uomo – che potrebbe diventare un tiranno esercitando senza limiti il governo! – che quello stesso governo gli è dato da Dio, pertanto deve essere esercitato non in maniera assoluta, ma condizionata e relazionale. Non c’è assoluta autonomia da nessuna parte, neppure da quella di Dio. Dio e l’uomo, in questo gioco, si esaltano e si limitano a vicenda, così, nessuno dei due cadrà nella deriva di distruggere l’altro, abusando di un «potere» fuori controllo. L’uomo non potrà spadroneggiare neppure sulle altre creature terrestri, che pure sono «ai suoi piedi», poiché sul suo rapporto con esse veglia e sorveglia Adon e Adonai. La dignità dell’uomo e quindi anche di Dio e quindi di tutte creature può fondarsi soltanto su una «grandezza» meravigliosa e vicendevolmente, meravigliosamente attesa e custodita. ROCCA 1 AGOSTO 2011 un fascio di lettere, sacramento della sua rivelazione nel corso degli eventi di Israele. Il Nome è la persona stessa di Dio, nell’atto di rivelarsi all’uomo. Il Salmo propone un duplice nome di Dio a riassumere le molteplici esperienze di Israele. Egli è: Yhwh Adonenu «Signore, Signore nostro». Con Adon si declina il Dio del post-esilio, legato al culto del Tempio che, unito a Yhwh, assorbe l’aspetto del Dio dell’Alleanza, lo Sposo di Israele. Yhwh è, infatti, il nome del Dio dell’Esodo, quindi dell’Alleanza mosaica e della Legge. Con questi due nomi viene, quindi, celebrato il Dio Creatore, il quale è ben superiore agli astri, anzi essi sono: «(...) opera delle tue mani, la luna e le stelle che tu hai formate» (v. 4) A lodare il Dio signore, sposo e creatore di Israele, si apre la «la bocca dei bimbi e dei lattanti» (v. 3). Considerato il contesto cosmico è improbabile che si tratti di bambini, come intende la lettura neotestamentaria che rende: «Dalla bocca dei bimbi e dei lattanti ti sei procurato una lode» (cf. Mt 21,15-16) citando questo testo dalla Settanta. La lettura più coerente col testo ebraico ed anche più suggestiva è, piuttosto, quella dei miti egiziani ed ugaritici che raccontavano di «bambini divini», e di «stelle gemelle». Erano stelle e pianeti immaginati come lattanti, cioè come neonati che succhiavano alle mammelle del cielo un latte di luce che stava dentro e dietro di esse e che le tenebre, lungo la notte, tentavano di sopraffare, gettando nel buio la terra. Dalla loro bocca, mentre succhia la luce, esce un canto di lode e ringraziamento a Dio. Esso riecheggia nei canti che i nomadi odono ed accompagnano, nelle notti stellate. Rosanna Virgili 53 IL CONCRETO DELLO SPIRITO lo Spirito e le piccole cose Lilia Sebastiani uesta è una continuazione indispensabile – ..., o comunque inevitabile, dal mio punto di vista – di quanto dicevo nell’ultimo articolo sul vivere nello Spirito. Uno dei primi effetti/segno dello Spirito infatti è un nuovo sguardo sulla nostra quotidianità più feriale. Siano abituati ad associare l’azione dello Spirito agli eventi eccezionali e folgoranti, perché meglio sembrano adatti a colpire la nostra attenzione e a esprimere il nuovo di Dio. Le grandi cose non possono essere ignorate, nemmeno da chi non è in sintonia con lo Spirito, da chi non ci pensa mai, da chi non lo conosce e non sa come chiamarlo. Ma lo Spirito è sempre all’opera, nutre e rinnova la vita dall’interno e lavora anche nelle situazioni più dolorose e antispirituali, anche in quelle più statiche e squallide. Q voce forte voce lieve dello Spirito ROCCA 1 AGOSTO 2011 Una metafora molto semplice e molto cara ai mistici di ogni religione è quella del sole: brilla nel cielo anche nelle giornate più cupe e più livide. Il tempo può essere brutto, bruttissimo, ma non vuol dire che il sole non ci sia, solo che noi non lo vediamo. Essere cristiani significa accogliere il mistero come fondamento della nostra esistenza. Riconoscere l’evento di Dio nella nostra quotidianità non è semplice né immediato: vi è sempre il rischio di far passare per esperienza di Dio e del suo Spirito quello che è portato dai nostri sentimenti e stati d’animo, da sogni e illusioni. Vivere l’esperienza dello Spirito nel quotidiano richiede abitudine all’ascolto e al discernimento. Non esiste fede senza ascolto, e non si può incontrare Dio se non si diventa capaci di vivere almeno piccoli spazi di silenzio. Dopo – quando si è abituati ad ascoltare la sua voce –, diventerà possibile a volte distinguerla anche in mezzo al frastuono, alle distrazioni e alle contraddizioni. Ma questo riguarda un cammino spirituale già molto avanzato. Lo Spirito parla di continuo dentro di noi, intorno a noi; ma sottovoce. È lo Spirito di Dio e Dio di solito è discreto. Non sempre: 54 può essere talvolta sorprendente, disturbante, sconvolgente; ma di solito è discreto nel suo rispetto per l’uomo al punto di lasciarsi ignorare. Lo Spirito di Dio tace o parla con voce lieve prossima al silenzio; e nel suo silenzio apparente interpella e nell’apparente non-agire continua ad agire in noi e attende la nostra risposta autonoma. Non è sempre uno Spirito ‘discreto’ però: può anche essere uno Spirito ‘indiscreto’ che insiste e tormenta, e allora ci indica che c’è un problema in noi, una contraddizione non ignorabile, un’urgenza. vivere, essere presenti La chiave di un vivere spirituale-avvalorato, è vivere in ascolto; ma per vivere in ascolto occorre imparare ad essere presenti a quello che si fa. E questo richiede non solo una conversione interiore, ma un allenamento continuo e non facile. Siamo abituati, anche i migliori tra noi, a dividere almeno implicitamente le occupazioni della vita e di ogni singola giornata in ambiti e cose e pensieri che ‘contano’ (lavoro, studio, famiglia e rapporti affettivi, preghiera, questioni economiche...) e altri che ‘non contano’, ma semplicemente, ‘servono’: talvolta casuali, altre volte magari indispensabili, ma non per questo importanti o serie, cosicché sembra quasi fuori luogo dedicare ad esse un’attenzione intensificata. Può trattarsi di occupazioni quali lavarsi, vestirsi, nutrirsi; di occupazioni finalizzate ad altre di maggior rilievo (come il fatto di spostarsi, a piedi o con un mezzo di trasporto, per andare in qualche luogo). Ecco, se spostarsi si classifica come fare una passeggiata, è possibile che venga vissuto con qualche consapevolezza. Possibile ma non certo, perché sappiamo bene quanto spesso in noi ogni andare non ad altro tende che all’arrivare (il più presto possibile, grazie), e durante il tragitto siamo occupati da pensieri di ogni sorta anche ben poco correlati a quanto stiamo facendo. Così non si realizza un evento pienamente umano, ma l’ennesimo stralcio di vita un po’ intasata e vissuta part-time. E la distinzione tra le cose che consideria- in genere a tutte le azioni volte a migliorare e l’aspetto delle cose, a riportarle più vicino a come dovrebbero essere. Un discorso a parte meriterebbe poi tutto quanto si riferisce al coltivare e curare le piante, un giardino, un orto, per chi sa e può farlo. (Del resto coltivare il proprio giardino è espressione e immagine simbolica che allude alla coltivazione, al miglioramento della propria interiorità). Sempre ci commuovono certi quadri di Jan Vermeer che raffigurano donne dolci e pensose ma normalissime, intente ad azioni comuni, apparentemente poco importanti. Lo sguardo dell’artista sembra concentrato non sulla donna, ma proprio su ciò che la donna sta facendo: che sia ricamare o leggere una lettera..., o anche una non-proprioazione, come portare un orecchino di perla. Azioni minime ma illuminate in trasparenza tanto da sembrare cariche di risonanze misteriose e significati universali, azioni che trasmettono a chi le osserva un senso accentuato di calma e di intensificazione e fanno comprendere meglio di qualsiasi discorso razionale come la quotidianità più feriale possa essere una via provilegiata di approccio al mistero. lasciare spazio al gratuito e al creativo Un discorso a parte, dicevamo, meriterebbe tutto ciò che è rivolto alla coltivazione, al far crescere-nutrire-proteggere la vita della natura, a migliorare il volto della creazione. Non è questo il luogo per affrontare specificamente un tale discorso, e chi scrive non si riconosce né le competenze né l’inclinazione né l’esperienza di vita che sarebbero necessari, ma si limita a raccomandare la lettura di un libro di Serena Dandini uscito da poco, un libro bellissimo, arguto e inclassificabile, che verte sulla coltivazione di giardini e balconi, ma parla anche di molte altre cose: Dai diamanti non nasce niente - Storie di vita e di giardini (Rizzoli 2011). Una vita ‘spirituale’, che non disprezza la materia e le piccole cose ma le illumina e le avvalora, ha bisogno di uno spazio proprio di gratuità e di bellezza, uno spazio inviolabile. Ci piacerebbe dire uno spazio per il gioco, ma la parola è aperta a equivoci: per qualcuno la parola gioco, almeno se riferita agli adulti, evoca subito qualcosa di poco serio. Ci piacerebbe anche chiamarlo uno spazio contemplativo; ma si sa che, nel nostro linguaggio corrente, così come il gioco sembra frivolo (e non lo è, a meno che non lo si voglia confondere con certi simil-giochi stupidi e recisi dalla dimensione interiore), così la contemplazione tende a sembrare troppo seria, pressoché professionale e riserva- ROCCA 1 AGOSTO 2011 mo importanti e le altre non è così semplice. Anche all’interno delle cose riconosciute importanti (che poi sono propriamente ‘ambiti’ e non ‘cose’) si distinguono momenti intensi e fondamentali, abbastanza pochi e di solito ben presenti al ricordo, e momenti ‘in prosa’, momenti solo strumentali: innumerevoli. Pensiamo al lavoro: non all’idea di fondo che ne abbiamo e che possiamo declinare in poche parole («io sono...», «io mi occupo di»), ma al modo in cui si configura giorno per giorno, momento per momento. Con il suo carico di stress, che talvolta sembra intensificare in noi le capacità di efficienza e di reazione, ma più spesso sembra ottunderci strappandoci il gusto di vivere e di fare. Con gli innumerevoli momenti preparatori, con quelli neppure difficili ma noiosi, con i tentativi che non riescono, con la ripetizione e la preoccupazione e la stanchezza... Momenti del genere esistono in ogni lavoro, e anche chi ha la fortuna di fare un lavoro amatissimo e interessantissimo ne incontra di continuo: certo più numerosi dei momenti di grazia. Il lavoro si presta bene a questa riflessione perché è uno spazio infinito. Anche se è uno di quelli considerati ‘intellettuali’, ha sempre una dimensione materiale, esecutiva; anche se di quelli considerati manuali, ha sempre una dimensione riflessiva e conoscitiva. Ogni lavoro degno di questo nome, poi, ha una dimensione di progetto. Anche se non fosse relativa al che fare (magari perché lavoro alle dipendenze di un altro e non alcun controllo sul risultato del mio lavoro), vi è sempre la dimensione di progetto relativa al «come voglio fare», legata quindi al senso e al fine di quello che sto facendo. Abbiamo detto dimensione riflessiva e conoscitiva, mirata; non «di pensiero», per evitare confusioni. Non è il caso di aumentare i pensieri. Già troppi pensieri intasano la nostra mente, non tutti belli né elevati né limpidi, spesso pensieri vaganti e qualunque, pensieri in garbuglio, troppi e troppo frammentari forse anche per aver diritto all’impegnativo e umanissimo nome di pensiero. Un cammino di ascesi/conversione fondamentale per il nostro tempo e il nostro ambiente (per ogni tempo e per ogni ambiente, ma per il nostro in modo particolare, perché più occupato e convulso) è quello volto a diventare più presenti a ciò che si fa, momento per momento. Al pasto, per esempio, quando è il momento di mangiare; all’atto di lavarsi, del resto collegato a significati esistenziali e simbolici di tutto rispetto; e a tutti i gesti con cui ci prendiamo cura di noi stessi, al vestirci, che è sempre un modo di parlare di noi; a lavare e pulire e riordinare e 55 IL CONCRETO DELLO SPIRITO ta a particolari categorie di persone. Invece fantasia-gioco-contemplazione-mistero sono realtà strettamente connesse e realizzare una vita spirituale tagliando via questa dimensione è come voler aprire una porta dopo aver intenzionalmente buttato via la chiave. (Si può anche riuscire ad aprire la porta ugualmente, forzandola o abbattendola; ma a prezzo di scossoni e violenza, e facendosi un po’ male e quasi sempre rendendo inservibile la porta). Uno spazio prossimo al gioco e alla contemplazione è quello dell’arte. E ricordiamo com’erano connessi in altri tempi l’artigiano e l’artista. Potremmo anche noi riconoscere, con Lao Tzu, che le varie forme dell’arte sono modi di meditazione, vie di realizzazione di sé attraverso lo sviluppo intuitivo della coscienza. Dare valore al tempo è importante, ma usarlo talvolta in modo diverso e apparentemente non produttivo non significa sprecarlo: è un altro modo, ugualmente necessario, di riconoscere e intensificare il suo valore. La nostra vita, il nostro quotidiano, hanno bisogno di bellezza e di libertà. «Oggi, dimentico di ogni lavoro, passerò il giorno suonando il flauto» scrive Rabindranath Tagore, sottolineando con leggerezza il non-lavoro (o l’oltre-lavoro?) di cui la nostra vita ha sempre bisogno. Il riposo di Dio al settimo giorno è il coronamento del lavoro della creazione, ne illumina il senso. lo spirito del gesto ROCCA 1 AGOSTO 2011 In uno scritto del lontano 1956 dal titolo Fedeltà alle piccole cose, Divo Barsotti quantunque in una prospettiva che non è interamente la nostra (al centro della sua attenzione era infatti il senso delle regole e dell’osservanza scrupolosa delle regole nella vita religiosa) avanzava osservazioni illuminanti per noi sulla vita quotidiana e il suo spessore spirituale. L’idea di fondo è che l’essere umano non può, nella realtà, essere ‘desto’, cioè attento al senso e al fine, in ogni singolo momento della sua vita, in ogni azione anche minima che compie: non è sempre consapevole e intenzionato. La maggior parte dei nostri atti, dice Barsotti usando un termine tradizionale della morale e dell’ascesi, sono remissi, «compiuti nel dormiveglia». A questo ambito appartengono centinaia di atti quotidiani, interni ed esterni: gli atti realmente volontari e coscienti nell’arco di una nostra giornata sono pochissimi. Gran parte della nostra vita è dettata dall’abitudine, molti dei nostri atti non sono che passaggio o preparazione ad altro. La maggior parte della no56 stra vita obbedisce a un certo automatismo psichico ed è condizionata dall’ambiente. Ora sappiamo che, al di fuori dell’importanza della regola, del ‘controllo’ di sé anche nelle piccole cose, l’etica cristiana sempre un po’ segnata dal sospetto e troppo focalizzata sul peccato, non ha sviluppato abbastanza la dimensione spirituale del quotidiano e delle piccole cose. Molto più avanti, da questo punto di vista, sembra trovarsi la spiritualità zen con la pratica dello zanshin, ‘spirito del gesto’: significa in breve essere in una completa presenza (per noi difficile anche solo da concepire, oltre che da realizzare) a tutti i gesti e momenti della vita, alleggerendosi del fardello rappresentato dalla dimensione mentale e usare ogni atto dell’esistenza come possibilità di vita risvegliata e libera. «La pratica dello ‘spirito del gesto’ permette che la Via si incarni totalmente nella nostra vita e non sia questione di uno spazio, di un tempo, poiché se rimanesse circoscritta a un luogo, a una postura, a un tempo particolare, allora questa Via sarebbe profondamente limitata e ci limiterebbe nella nostra dimensione di essere umano libero» scrive un monaco zen (Patrick Pargnien). E ancora: «...Essere attenti ai gesti che facciamo non vuole dire che bisogna tutto a un tratto mettersi a vivere al rallentatore, poiché questo sarebbe una concentrazione cristallizzata, una presenza centrata sull’ego. La concentrazione non deve essere dura, rigida, ‘tesa verso’ ma piuttosto distesa, aperta, morbida nel corpo, nello spirito e nel cuore. E realizzare così che la Via è una via di apertura. Essere concentrato, essere presente non è un modo di fare ma un atteggiamento dello spirito». Con questi (troppo) rapidi richiami all’induismo di Tagore e al monachesimo zen, si potrebbe dare a qualcuno l’impressione dell’ennesima miscellanea in stile New Age. Non è assolutamente la nostra intenzione, benché ammettiamo che certi principi New Age, vissuti con equilibrio e discernimento, potrebbero costituire una via semplice e inconsapevole (ma anche un inizio di consapevolezza) verso una migliore esperienza dello Spirito. Almeno in quanto guardano all’essere umano in maniera olistica e attingono a un serbatoio comune di spiritualità e saggezza in cui diverse religioni e culture si incontrano e si fondono. E lo Spirito di Dio che Gesù ci ha lasciato ha tra le sue caratteristiche quella di abbattere le barriere e far fiorire il dialogo, mentre avvalora le identità. Lilia Sebastiani CINEMA S econdo Internet Movie Database, prendendo in considerazione sia il grande che il piccolo schermo, fino a oggi sono ventisette i film imperniati sull’assassinio di Abraham Lincoln o che da esso prendono l’avvio. Conoscendone solo una piccola parte, e volendo esercitare il diritto legittimo dell’arbitrarietà, ci piace ricordarne due: La nascita di una nazione (1915), primo lungometraggio di David Wark Griffith, cioè l’inventore del cinema come linguaggio narrativo, in cui, nell’ambito di una sequenza di insuperata orchestrazione di campi e piani, John Wilkes Booth è interpretato da un torvo Raoul Walsh, futuro regista di opere memorabili come Una pallottola per Roy e Notte senza fine, e Il prigioniero dell’isola degli squali (1936), un Ford minore, forse, ma comunque sempre all’altezza del proprio nome, in cui il villain per eccellenza della storia americana ha il volto cereo e il corpo dinoccolato di John Carradine (tre anni dopo, l’immenso regista irlandese avrebbe dedicato allo Young Mr. Lincoln del titolo originale quello che da noi è uscito come Alba di gloria, un capolavoro in cui il Presidente è uno straordinario Henry Fonda con barba e naso posticcio). Buon ventottesimo, dando per attendibile il succitato elenco, The Conspirator è anche l’ottavo film diretto da Robert Redford in trent’anni, avendo il bravissimo attore di I tre giorni del Condor esordito dietro la mdp con il notevole Gente comune (1980), che gli è valso un Oscar per la regìa al primo tentativo. Partendo da un soggetto di Gregory Bernstein e James D. Solomon, Redford fa precedere la vicenda vera e propria da un antefatto collocato sul campo di battaglia della Guerra di Secessione, The Conspirator a introdurre il carattere di Fredrick Aiken, eroico ufficiale ventisettenne prima ancora che avvocato di belle speranze. Dopo l’omicidio a teatro, il «Sic semper tirannis» gridato dall’attoreattentatore Booth dal palcoscenico, la sua fuga e la sua morte violenta, il film si incardina sul processo alla «cospiratrice» del titolo, Mary Surratt, il cui unico crimine, a parte la professione di fede cattolica e sudista, fu forse quello di essere la proprietaria della pensione che ospitava i congiurati. Aiken, paladino delle ragioni del Nord ma anche convinto assertore della certezza del diritto, accetta la difesa contestando innanzitutto la competenza a giudicare di un tribunale militare e, grazie anche ai colloqui con la figlia Anna, comincia a nutrire seri dubbi sulla colpevolezza di Mary. Contemporaneamente, si rende conto che la sentenza di morte della donna è già scritta, che la sua celere esecuzione viene ritenuta fondamentale per mettere una pietra definitiva sopra la grande tragedia di una nazione divisa, e perciò i vertici dello Stato si sono votati alla costruzione di una verità ufficiale, corrompendo testimoni e aggirando le procedure, in applicazione del motto «Inter arma sileant leges». In assoluta coerenza con il suo percorso registico, forse marginale rispetto a quello d’attore ma tutt’altro che disprezzabile (basterebbe in proposito citare l’ecologico In mezzo scorre il fiume, 1992, e il massmediologico Quiz Show, 1994), Redford ha realizzato un’opera nella migliore tradizione del cinema democratico del suo Paese, andando a frugare nei risvolti della storia americana per denunciarne lati oscuri che rimandano a un recente passato (il riferimento è al dopo 11 settembre, alle varie Guantanamo e Abu Ghraib). Cinema iper-classico e senza sussulti ma di apprezzabile professionalità, capace di aggirare la staticità insita nel filone processuale mediante l’alleggerimento di una serie di flash-back esplicativi. Cinema di personaggi a tutto tondo, rifiniti nella psicologia e nella rap- presentatività simbolica, tra i quali spiccano ovviamente la pensosa determinazione del giovane avvocato Aiken di James McAvoy e soprattutto la tormentata dignità della mater dolorosa Surratt di Robin Wright, ex moglie di Sean Penn che l’aveva diretta in un ruolo parimenti incisivo nel durrenmattiano La promessa, ma si segnalano anche il presidente del tribunale dell’impagabile e sottoutilizzato Colm Meaney, il pubblico ministero del figlio d’arte Danny Huston e il Segretario di Stato di un Kevin Kline quasi irriconoscibile per il trucco, mentre al Booth di Toby Kebbell viene concesso troppo poco spazio perché possa inserirsi a pieno titolo nella galleria dei suoi illustri predecessori. Cinema di impeccabile ricostruzione d’epoca, infine, grazie alle scenografie di Kalina Ivanov e i costumi di Louise Frogley, anche se la fotografia di Newton Thomas Siegel, volutamente flou per attribuire alle immagini una patina di autenticità, finisce per risultare un po’ stucchevole per eccesso di alonatura. Si può concludere rilevando che le tecniche di Redford regista assomigliano a quelle dell’attore. La sua recitazione essenziale, tutta giocata sulla sobrietà delle sfumature più sottili, sul massimo risultato ottenuto col minimo sforzo mimicofacciale (tutto l’opposto del metodo strasberghiano di quell’Actor’s Studio che pure ha frequentato), trova il suo corrispettivo in una messa in scena pacata, fatta di mezzi toni, quasi in sordina. Rispetto agli esordi va segnalata un’evoluzione nel senso della coralità, della capacità di padroneggiare storie complesse e di vasto respiro, nelle quali naturalmente eccelle come direttore di attori. ❑ 57 . ROCCA 1 AGOSTO 2011 Paolo Vecchi RF&TV TEATRO Roberto Carusi Renzo Salvi In scena per passione ROCCA 1 AGOSTO 2011 L ’amore per il teatro è alla radice dell’espressione «teatro amatoriale», meno riduttiva di quella che caratterizza come «dilettante» chi faccia del teatro per passione e non per professione a tempo pieno. E di autentica passione si può parlare quando accada di assistere a spettacoli insoliti sui palcoscenici milanesi. Il primo caso è quello della Compagnia Sant’Andrea (la più antica del genere a Milano) che ha rappresentato A ogni fioeu el sò cavagnoeu di Roberto Marelli. Marelli, professionista di grande esperienza (in compagnia con Peppino De Filippo, Patroni Griffi, Strehler) ha rinverdito negli ultimi anni la sua popolarità con due presenze televisive. La prima come «spalla» di Raimondo Vianello e Sandra Mondaini nelle numerose puntate di Casa Vianello, la seconda come curioso ricervatore di Storie di Lombardia. Né va dimenticato che fu anche primattore nella memorabile Compagnia Stabile del Teatro Milanese, al Gerolamo. È giusto ricordare la milanesità di Marelli perché fra le sue molte «vesti» c’è quella di autore di commedie brillanti in dialetto meneghino. Tra le quali va annoverata anche la pièce messa in scena dagli appassionati attori della Compagnia Sant’Andrea. Quella di Marelli è una commedia che – nella sua esemplare semplicità – si riallaccia alla tradizione da un lato della Commedia dell’Arte per le gustose caratterizzazioni dei personaggi, dall’altro delle commedie settecentesche (come quella, all’origine in lingua croata, dalla quale l’autore ha preso 58 spunto) piene – come si sa – di sorprese e agnizioni a lieto fine. Il titolo richiama un famoso detto lombardo che – tradotto in lingua – vuol dire «ad ogni bambino il suo panierino»: come dire che chiunque venga al mondo trova sempre di che campare. Nella commedia di Marelli infatti una paternità celata a lungo e poi rivelata dà luogo a esilaranti equivoci che, una volta accertata la verità, consentono di risolvere una crisi di economia familiare. La regia di Gian Luigi Gilardi ha ben evidenziato le caratteristiche della «scatola a sorpresa», sostenuta dalle felici coloriture dei vari personaggi. Ancora più giocata la caratterizzazione attorale nel secondo esempio di teatro per passione: Attentati alla vita di lei di Martin Crimp, autore inglese contemporaneo. La scoppiettante commedia fa pensare al «teatro dell’assurdo» per la ricorrente citazione di un personaggio (qui una certa Anna) che sulla scena non compare mai. Senonché alla lunga il gioco si fa cabarettistico nel senso più nobile del termine. I toni quindi vanno dai più ironici ai più grotteschi e i brillanti monologhi si alternano a ben calcolati momenti corali. La messinscena – piena di ritmo – è nata da un laboratorio condotto da Michela Blasi, che di questo spettacolo è regista. Le attrici e gli attori sono giovani ex-studenti del Liceo classico Carducci, dove la Blasi gestisce tuttora stages inseriti nel curricolo scolastico: passione per la scena. Come volevasi dimostrare. ❑ Tamarreide I n due battute i dati positivi: ben girato e montato con un’idea di costruzione narrativa che sviluppa il racconto per accostamenti asincroni nel materiale (tv) raccolto. Poi Tamarreide – su Italia1, nelle serate estive, di venerdì – risulta un parametro dello sciagurato tempo italiano d’oggi: formalmente è un docu-reality (per quanto possa dire questo termine derivante da altri frantumi linguistici) costruito organizzando un viaggio attraverso l’Italia con un autobus/camper che ospita otto «tamarri». Del termine il dizionario Sabatini/Coletti fornisce la definizione di «giovane provinciale o di periferia che si sforza di adeguarsi ai modi di vita cittadini, ma in maniera eccessiva, volgare»; si precisa che il termine spregiativo data agli anni Ottanta. Nel programma e nella vita rispecchiata il tamarrismo è però approdato a stile, sin identitario, di comportamento, pur in incertezza di contenuti. Gli otto del gruppo, quattro per sesso, girano, convivono, giocano, si incontrano (tra loro e con altri), frequentano luoghi per loro inconsueti – centri benessere o musei: in totale equiparazione – e forniscono occasioni di ripresa tv reagendo a queste occasioni, costruendo relazioni (dalla simpatia, allo scontro, alle «coccole» da lenzuola), e… spandendo parole: a ruota libera (apparente), in situazione di commento costruito dalla redazione, in connessione con quella che sarebbe la conduttrice (assolutamente omogenea al contesto e alla tematiche). In trasmissione lo smarrimento della realtà in un suo doppio composto ad arte si costruisce per queste vie. E così viene a far parte dell’offerta televisiva in quanto ha- bitat per il loisir – che è più del tempo libero – destinato al popolo dei teleutenti. Di più. Per convenzione non detta ma, in una puntata almeno affermato a parole, lo stile tamarro viene rivendicato e ammantato di dimensioni maggioritarie nel Paese: chi s’è fatto da sé, chi sta sempre in faccenda per sfangarla ‘sta vita, chi stava fuori «dde casa» a dormire a nove anni (una lei) perché con sua madre non si capiva… Poi la mamma s’affaccia in puntata e son pianti e son (altre) parole; un lui che «la sfanga» fa lo strip tease; qualche self made man tamarro risulterebbe tale a confronto con «un nobile» chiamato in scena a interpretare la figura/raffronto del dandy. Il lessico dei nostri è nelle dimensioni di quelle trecento parole che la Scuola di Barbiana aveva individuato come causa della subalternità dei ceti popolari negli anni Sessanta; i termini ed il loro comporsi vengono invece dall’era più recente a dominanza tv, in particolare Mediaset/oriented (pseudo Struttura Delta/Rai a parte), e tabloid/pettegolante. Presunzione e seriosità di posa derivano dagli angoli in cui il concorrente si confessa, il conduttore o il direttore «supporta» o lo psicologo risponde. D’altro canto non mancano nel programma gli angoli in cui il sociologo e lo psico/antropologo dan ragione delle dinamiche che si andrebbero determinando – secondo i classici – nel tamarroteam. Monicelli ne avrebbe tratto un film (psico/socio/ antropologico compresi) con il disincanto dell’ironia: qui si fa un intrattenimento con pretese di realtà. È un’Italia a fine ciclo. Si spera. ❑ SPETTACOLI ARTE Mariano Apa Ernesto Luzi I l prossimo anno si compirà il decimo Convegno liturgico internazionale dedicato all’arte: la Comunità di Bose in collaborazione con l’Ufficio nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici della Cei, ha felicemente realizzato anche in questo 2011, il suo IX Convegno – dedicato all’«Ars Liturgica. L’arte a servizio della Liturgia», dal 2 al 4 di giugno – ; pervenendo così a confermare un percorso nella qualità culturale ed ecclesiale che fa di questi convegni una oggettiva referenza istituzionale. Nei due decenni ultimi trascorsi, numerose sono state le occasioni di incontro e di verifica tra artisti e mondo ecclesiale: vengono in mente i numerosi Master in uso presso Università Pontificie e presso Accademie di Belle Arti e Università statali, e quindi i numerosi incontri espositivi e le «tavole rotonde» al Meeting di Rimini e i convegni e i Master della Stauros Italiana al Santuario di San Gabriele, con il ricordo dei carissimi mons. Carlo Chenis e padre Adriano Di Bonaventura, gli incontri lauretani della Associazione siciliana Il Baglio, alcuni incontri realizzati anche nella Cittadella di Assisi, i Convegni su arte e su architettura sacra che sempre la Cei organizza a Venezia con il Patriarcato, con la collaborazione della Biennale di Venezia, e i tantissimi altri incontri e mostre di arte sacra che in Italia e in Europa catalizzano il dibattito – che si sono svolti in preparazione e a conseguenza del Grande Giubileo del 2000, legate, o di corollario, ad importanti o anche a minori committenze eccle- . siastiche: prime su tutte i Concorsi delle nuove chiese della Conferenza Episcopale Italiana e poi il fatidico e importante Concorso internazionale per la chiesa del Giubileo a Roma –. La pubblicazione, per la cura del monaco di Bose Goffredo Boselli, di «Liturgia e Arte» – atti del Convegno di giugno 2010, con l’introduzione del Priore di Bose, Enzo Bianchi – segna una importante precisazione, dopo aver affrontato magistralmente le tipologie liturgiche dall’altare all’ambone all’orientamento, dal Battistero alla Comunità e alla Città; su quel che giustamente è stata definita «La sfida della contemporaneità». Infatti ecclesiologicamente anche dopo Sacrosanctum Concilium non ci si può permettere la museificazione del vissuto antropologico nel definito della pluralità dei linguaggi espressivi, pervenendo al vissuto nella sincerità della fede dei Padri e della Tradizione e quindi nella fonte viva della unicità della Parola vivente del Gesù Morto e Risorto. Se non si vuole abdicare alla comoda superficialità dell’ideologia tradizionalista o neomodernista che si vuole, non rimane che la fatica dell’informazione, la gioia del dialogo che arricchisce, del chiarimento concettuale che nel Magistero informa la capace spiritualità che nella misericordia elimina orgogli e pregiudizi, narcisismi e presenzialismi: ristabilendo da parte di tutti – ad iniziare anche dagli artisti e dagli architetti, che meno son bravi e più presenziano, che più son maestri e più desiderano e sanno ascoltare – il corpo vivo dello spirito di sevizio. ❑ Festival di Spoleto 2011 I l festival del due mondi di Spoleto quest’anno si è inaugurato con l’opera «Amelia al ballo» un grande successo operistico di Giancarlo Menotti al quale è stata dedicata la cinquantaquattresima edizione della rassegna per onorare i cento anni della sua nascita. Questo lavoro teatrale ha visto in scena l’Orchestra sinfonica di Milano Giuseppe Verdi, diretta dal m.tro Johannes per la regìa di Giorgio Ferrara. L’azione si svolge in una imprecisata città europea del primo novecento. Amelia giovane donna immersa nel lusso, desidera ardentemente partecipare al primo ballo della stagione. Aiutata da due cameriere Amelia si sta febbrilmente preparando per andare al ballo. Ma il marito ha appena scoperto di essere tradito e vuole sapere il nome dell’amante, in cambio della promessa di andare con lei al ballo. Amelia confessa: l’amante è l’inquilino del piano di sopra. Seguono discussioni, minacce e litigi tra i tre personaggi. Amelia esasperata e impaziente perché vuole andare al ballo finisce per tramortire il marito lanciandogli un vaso. All’arrivo della polizia Amelia incolpa dell’accaduto l’attonito amante e riesce così a perseguire il suo unico scopo di andare al ballo. Sarà il galante e lusingato commissario ad accompagnarla. Sempre per il settore teatro di Andrea Camilleri è andata in scena la pièce «Cannibardo e la Sicilia», ovvero l’unità d’Italia vista dai siciliani. In anteprima mondiale è stato proposto al pubblico festivaliero «la Modestia» di Rafael Spregelburd una delle figure più rilevanti e influenti della scena contemporanea argentina, con la regìa di Luca Ronconi. Ancora per la sezione teatro è stato presentato «Leopardi e l’Italia» di Corrado Augias e «Mi chiedete di parlare» di Monica Guerritore, ovvero un’impossibile intervista alla più famosa giornalista italiana del novecento, Oriana Fallaci. Ricco è stato il cartellone della musica: tra i concerti eseguiti ricordiamo quello del 7 luglio in piazza Duomo con la direzione orchestrale del m.tro Steven Mercurio; successo, infine per «Il Sole smarrito» fiaba in musica per voce recitante, immagini e orchestra sinfonica G. Verdi di Milano direttore Gabriele Bonolis. Non sono mancati i concerti di mezzogiorno ed il concerto finale in piazza duomo che ha visto in scena l’Orchestra del Teatro San Carlo di Napoli diretta da James Conlon che ha proposto musiche di G. Verdi concerto dal titolo «Viva l’Italia»; tra gli altri spettacoli ricordiamo «Le condanne a morte» di Jean Genet. Per la danza al teatro romano si è esibita la compagnia di ballo «Corella Ballet» e la «Busk Aszure Barton e Artists» grande entusiasmo infine per la coreografia «Il valore di una vita» il racconto danzato di Alberto Testa. Per il settore Arte diverse sono state le mostre allestite, ricordiamo quella a Palazzo Collicola curata da Gianluca Marziani e quella a Palazzo Racani Arroni curata da Vittorio Sgarbi. ❑ 59 ROCCA 1 AGOSTO 2011 Bose SITI INTERNET FUMETTI Alberto Pellegrino Giovanni Ruggeri Affari di famiglia ROCCA 1 AGOSTO 2011 W ill Eisner (19172005) è considerato il maestro della graphic novel, cioè di quel genere letterario che usa il fumetto secondo le tecniche narrative del romanzo. Nel 1998 egli ha realizzato un’opera intitolata Affari di famiglia che ora viene pubblicata dalla «Fandango Libri» e l’autore nell’introduzione, rievoca la famiglia del passato che significava affetti, aiuto nel bisogno, assistenza, fatta di relazioni durature che davano senso di appartenenza e una dovuta devozione. La famiglia di oggi non presenta più queste caratteristiche, rifugge dalle responsabilità, soffre di sensi di colpa, diventa a volte un covo di vipere. Eisner dice che quanto raccontato in questa storia è frutto di avvenimenti di cui è stato diretto testimone: «Se dovesse trasparire un senso di rabbia, il suo oggetto non sono tanto i protagonisti, quanto la complessità sempre maggiore della società moderna». Ben il capostipite è un uomo molto anziano divenuto ricchissimo con la raccolta e lo sfruttamento dei rottami, ma ora immobilizzato su una sedia a rotelle a causa di un ictus. Egli vive con la figlia Greta che ha deciso di riunire gli altri figli per festeggiare il suo novantesimo compleanno: Al è un alcolizzato che sogna arricchire con un pozzo di petrolio ed ha abbandonato il figlio Sammy cresciuto in un centro psichiatrico; la bellissima Selma è un’attrice fallita costretta a fare la commessa; Leo è diventato un avvocato affarista, nevrotico e ossessionato dal denaro; Molly ha sposato un uomo ricco e guarda dall’alto in basso tutti gli altri familiari; infine il giovane Sammy che arriva con il suo carico di frustrazioni. La riunione di famiglia intorno a una tavo- 60 Internet al femminile L la imbandita si trasforma in un alterco per la suddivisione dell’eredità paterna, con una narrazione spezzata dai flash back (l’autoritarismo del padre; la sua attenzione morbosa per la bella Selma e la fuga di questa dalla casa; l’inesorabile declino sociale di Al; il sospetto che Ben abbia praticato l’eutanasia verso la moglie morente). Privo della parola ma non dell’udito, il vecchio sente non solo i litigi per la divisione del suo patrimonio, ma anche la decisione di rinchiuderlo in un pensionato per anziani possibilmente a basso costo (l’unica ad opporre una blanda resistenza è Greta che mostra una certa umanità), per cui accoglie come un dono il contenuto di un tubetto di pillole che il nipote Sammy gli versa in una mano, liberando i suoi cari parenti della sua ingombrante presenza ed evitando di passare gli ultimi giorni in «una bellissima casa dove stare benissimo in compagnia di infermieri e passatempi». Una conclusione tragica e spietata che ci porta a riflettere sull’egoismo dominante e sul fatto che l’ultimo barlume di umanità si trova in un giovane psicolabile e socialmente emarginato, che sa trovare l’unica soluzione per lui possibile in un mondo povero di speranze. ❑ ’insospettabile, eppur indiscutibile complicità stabilitasi tra Internet e il mondo femminile è un dato consolidato sin dagli albori della rete. Creatività, senso pratico, interazione, apertura di orizzonti – ingredienti strutturalmente all’opera nel mondo delle nuove tecnologie – si saldano egregiamente con le corrispettive attitudini che il senso comune da sempre riconosce al cosiddetto universo femminile. Le prospettive, come pure i piani di interesse sono – anche in questo caso dai primi tempi della rete – diversi, ma prima di soffermarci sugli aspetti qualitativi, vale la pena segnalare alcuni dati quantitativi. Secondo una ricerca condotta dall’European Interactive Advertising Association, 8,3 milioni sarebbero in Italia le donne che navigano regolarmente in Internet, con una quota di circa 3 milioni che accede al web tutti i giorni. Questi numeri si impennano se, oltre la semplice navigazione, vengono prese in considerazione tutte le attività on line, che coinvolgono addirittura il 72% delle italiane, con un tempo medio settimanale trascorso in rete pari a circa 12 ore (in Francia sono 12,6 le ore settimanali, in Inghilterra 12,5, mentre in Spagna 11,9). La fascia di età più assiduamente connessa e quella delle giovani tra i 16 e i 34 anni (13,7 ore a settimana). Tra le attività e gli interessi più diffusi dopo la ricerca di informazioni (68%), spiccano di gran lunga in primo piano quelli di tipo relazionale (email 53%, social network 40%, messaggistica varia 19%), ma non mancano ambiti di uso pratico dove si ridefiniscono funzio- ni un tempo accordate ad altri strumenti e circuiti di distribuzione, come ad esempio l’ascolto della radio via Internet e lo scaricamento di file musicali (25%). Accanto a realtà on line che vedono all’opera centri di ricerca e istituzioni dedicate a questioni femminili e di genere, la stragrande maggioranza delle «quote rosa» della rete è legata ad interessi e aspetti della vita quotidiana, con le rispettive sfaccettature e bisogni, dove sempre e comunque primeggia l’interesse alla comunicazione. Il 68% del campione dell’indagine apprezza e usa la rete principalmente per mantenere i contatti con amici e parenti, spesso materialmente lontani, mentre un buon 44% se ne serve per ottenere informazioni sulla salute, il 43% per prenotare viaggi e vacanze, il 34% per confrontare pareri ed esperienze prima di scegliere prodotti o servizi. Quest’ultimo fatto è ben noto alle grandi aziende, sempre più attive nell’universo di social network e blog, per la rilevanza che questi hanno nell’influenzare le decisioni di acquisto. Non meno rilevante è la funzione espressiva che la rete svolge: lo attestano i blog che, nel caso di quelli realizzati in Italia da donne, crescono esponenzialmente al ritmo del 21% annuo. Numerosissimi quelli legati alla maternità, e non solo: accanto a realtà come www.fattoremamma.com, blog collettivo per lo scambio di informazioni tra le mamme, c’è tutto un universo dove si sprigiona la più vivace fantasia, come ad esempio www.mammache blog.com – aggregatore di blog al femminile – ben evidenzia. Vento in poppa per l’Internet al femminile. ❑ LIBRI Don Paolo Farinella, biblista, scrittore e saggista, «parroco nel centro storico di Genova in una parrocchia senza parrocchiani e senza territorio», reagisce alle provocazioni del Vangelo con tutta la sensibilità di studioso e di credente e vi scopre l’immagine di un Dio-Padre che è Giusto perché salva (là dove gli uomini, al contrario, invocano la giustizia di Dio come castigo, rendendo il proprio concetto di giustizia parametro su cui misurare quella di Dio), in cui predomina l’eccesso d’amore, l’amore a perdere, l’amore gratuito per sé e non per quello che riceve. Queste pagine non lasciano indifferente il lettore: il messaggio evangelico può essere sintetizzato nel cap. 15 di Luca che per l’autore è strutturato come un midrash, un commento al cap. 31 del profeta Geremia, perché «Gesù rompe con la tradizione degli uomini ma non con la tradizione biblica che, invece, Egli cerca di portare alla genuina interpretazione». La parabola non è un racconto edificante, non intende esporre una morale o un sistema di valori ma vuol essere un affresco del nuovo modo di agire di Dio, un Dio folle d’amore – comunque – per l’uomo, un «Dio Padre che fu anche Madre». Farinella offre al lettore una grandissima quantità di informazioni e studi documentati sulla «Parabola delle Parabole» che, a suo avviso, costituisce la chiave interpretativa della Buona Notizia. Si può magari reagire con disagio o con rifiuto perché Luca 15 non appare come un testo che consola e gratifica, ma mette in discussione il modo comune di vivere e pensare. Tuttavia, superata questa tentazione di rigetto, dovuta a una mentalità dualistica che separa le cose del cielo da quelle della terra, si scopre che abbiamo la possibilità di aprire uno spazio alla presenza di Dio in mezzo a noi. Con competenza e forza, l’autore aiuta i cristiani a confrontarsi seriamente con il «cuore» e le esigenze della Buona Notizia – che è l’Amore di Dio Padre – senza cercare facili alibi ma assumendo il proprio impegno di servizio e testimonianza. Maria Rosaria Gavina Romana Vigliani La questione prostituzionale Ovvero fallo... per soldi Ed. Seneca, Torino 2011, pp. 167 C’è una brevissima biografia sulla IV° di coperta di questa bella signora dagli occhi limpidi, che ci insegna a leggere questo libro consapevoli che quanto è contenuto corrisponde alla scomoda verità che ognuno di noi, infastidito ormai dalla cronaca tanto volgare quanto becera, tenta di accantonare se non di rimuovere. Romana Vigliani è un avvocato penalista ed è appunto in questa veste che ha accesso ai tribunali e a tutte quelle situazioni border line che per i benpensanti andrebbero taciute o, quanto meno sussurrate nelle apposite stanze. Sono verità scomode, crude a volte, dolorose sempre anche se ci vengono vendute come scelte svincolate da ogni urgenza e abbracciate con la disinvoltura di chi, lungi da ogni impedimento morale o anche solo sociale, afferma la propria libertà e la padronanza assoluta del proprio corpo. Ma la Vigliani porta sulla pagina scritta una disamina tanto attenta quanto documentata di quello che, entrato ormai nel linguaggio di tutti definiamo «il più antico mestiere del mondo», ma che Lei guarda da altre angolazioni, apre altre chiavi di lettura che riescono a spiazzarci. Nessuno ci aveva proposto finora la lettura del problema che riguarda il lato maschile. Ci si accontentava degli adagi d’antan... tanto l’uomo è per sua natura, cacciatore, senza mai considerare quanto la mistificazione di tali asserzioni giocasse sempre e solo dalla parte del maschio, quanto la sua stolidità abbia sempre saputo nascondere, dentro le pieghe di una conclamata autoassoluzione, il loro: «Così fan tutti»! Cita Rossana Rossanda, in una lapidaria quanto veritiera asserzione: «Essere donna è tutto un lavoro, una percezione e un dubbio. Il proprio corpo non si sente se stai bene, è come l’aria; lo incontri nella malattia e poi nel sesso, prima sorprendente e oscuro e poi misto al corpo altrui». Eccolo appunto quel sesso «sorprendente» di cui a milioni ormai di ragazze giovani se non giovanissime, viene negato lo stupore per darlo in pasto a bocche volgari e fameliche che pare non se ne sazino mai, tanto che, all’approvazione della famosa legge Merlin, i signori uomini hanno opposto resistenze e codardie indicibili. L’attualità parla ora di escort, puttane suona volgare, ma è rinominandolo che acquietiamo le nostre coscienze senza renderci consapevoli che degradando l’Amore si riduce la donna a soggetto sessuale degradato? Caterina dalle Ave Salvatore Veca Etica e verità. Saggi brevi Fondaz. Europea Guido Venosta – G. Casagrande Ed., Milano 2009, pp. 110 Nati dal confronto con la figura di Guido Venosta (1911-1998) in virtù di un’intesa di fondo in chiave etico-solidaristica, questi cinque agili saggi del filosofo della politica (ma non solo) Salvatore Veca ci offrono l’opportunità di ripensare criticamente diversi aspetti del sapere e dell’agire. Siamo così invitati a rileggere il concetto di morale; l’idea di verità; la questione nodale di potere – in buona sostanza: cosa è veramente, come viene gestito e cosa potrebbe essere –; il risvolto di ciò che intendiamo per progresso e quindi il rapporto inaggirabile di scienza-tecnica-società civile; ma poi, più o meno direttamente, anche la relazione sempre cangiante tra il pensiero filosofico e la stessa scienza, le coimplicazioni di conoscenza e mass media… Basilare è la posizione intorno alla duplice responsabilità cui siamo inchiodati: verso chi ci ha lasciato in eredità il mondo che abitiamo e verso coloro ai quali siamo chiamati a consegnarla, ma a consegnarla mantenendone il più possibile la ‘qualità abitativa’. In un’epoca in cui l’impresa scientifica e l’innovazione tecnologica, ricorda appunto Veca (cfr. p. 38), hanno avuto e continuano ad avere uno sviluppo davvero straordinario, il nostro non può che essere un atteggiamento responsabile verso noi stessi, verso gli altri e verso il mondo che condividiamo. ROCCA 1 AGOSTO 2011 Paolo Farinella Il Padre che fu Madre Una lettura moderna della parabola del figliol prodigo Gabrielli Editori, San Pietro in Cariano (Vr) 2010, pp. 312 Giuseppe Moscati 61 paesi in primo piano Carlo Timio Svizzera ROCCA 1 AGOSTO 2011 S tato dell’Europa centrale, la Svizzera è una repubblica federale composta da ventisei cantoni. È delimitata a nord dalla Germania, a est dall’Austria e Liechtenstein, a sud dall’Italia e a ovest dalla Francia. Nel territorio sono compresi anche due enclavi: Büsingen am Hochrhein che è un cantone tedesco, e Campione d’Italia che si trova nel Canton Ticino. La Svizzera, Paese che adotta una posizione di neutralità in politica estera, deve questa sua posizione a una dichiarazione di neutralità risalente al 1515, quando rendendosi conto di non poter aspirare a politiche espansionistiche, decise di seguire questa linea. Dopo un periodo trascorso sotto la sovranità francese, durante il Congresso di Vienna nel 1815, il Paese riconquistò la propria indipendenza e la permanente neutralità. Questa posizione fu mantenuta anche nel XX secolo. Nel corso della prima guerra mondiale il Paese intervenne solo attraverso l’organizzazione della Croce Rossa, che ha sede a Ginevra. Nel corso del secondo conflitto mondiale invece la Svizzera, pur mantenendo la sua neutralità, creò una fitta rete di spionaggio, alleandosi con le potenze belligeranti. Agli inizi degli anni Cinquanta, quando il resto d’Europa stava affrontando il processo di ricostruzione, la Svizzera rafforzò il suo apparato industriale, finanziario e commerciale. E così il Paese si trasformò in un centro bancario e assicurativo di fama mondiale, oltre a divenire sede di importanti organismi internazionali. Oggi si annoverano venticinque or62 ganizzazioni internazionali tra cui: l’Organizzazione internazionale per le Migrazioni, l’Organizzazione mondiale del Commercio, l’Organizzazione mondiale della Sanità, l’Organizzazione internazionale del Lavoro, l’Ufficio europeo delle Nazioni Unite e l’Organizzazione internazionale della Protezione Civile. Nel 2002 il Paese è entrato a far parte delle Nazioni Unite. Popolazione: la caratteristica della popolazione svizzera, composta da quasi otto milioni di abitanti, è quella di essere costituita da circa il 22 per cento da immigrati. I paesi maggiormente rappresentati sono l’Italia, la Francia, la Germania, la ex Jugoslavia, la Turchia, il Portogallo e la Spagna. È il Paese europeo con la più alta concentrazione di immigrati dopo il Lussemburgo. La comunità più numerosa è quella italiana seguita da quella tedesca. Alto è anche il numero di richiedenti asilo politico. Esiste poi un cospicuo numero di «frontalieri», cioè di persone che varcano i confini della Svizzera per recarsi al lavoro. Gli svizzeri emigrati all’estero sono anch’essi molto numerosi: tanto che si parla di «Quinta Svizzera». Le principali mete di questa comunità, formata da 700 mila svizzeri sono gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, l’Italia, l’Australia e il Canada. Le lingue parlate sono quattro: il tedesco (il 64 per cento degli svizzeri), il francese (il 20 per cento), l’italiano (il 6,5 per cento) e il romancio (lo 0,5 per cento). Le prime tre lingue sono riconosciute ufficialmente. Dal 1938 anche il romancio rappresen- ta una lingua nazionale, nel senso che, su richiesta, si devono fornire documenti ufficiali anche in questa lingua. Una curiosità è rappresentata dal fatto che la suddivisione territoriale dei cantoni non coincide con i confini linguistici. Esistono infatti anche cantoni dove si parlano più lingue. Sotto il profilo delle confessioni, il 32 per cento della popolazione si professa protestante, mentre i cattolici sono il 31 per cento. I musulmani sono circa il 4 per cento, gli ortodossi quasi il 2 per cento, mentre il 25 per cento degli svizzeri si dichiara ateo. Economia: la Svizzera è la quarta economia più cosmopolita al mondo. Numerosi sono gli accordi di libero scambio siglati con paesi terzi. L’economia svizzera è focalizzata su alcuni settori strategici quali la meccanica, la chimica e le banche. Il primo settore si è poi specializzato nella meccanica di precisione, da cui è nata l’industria dell’orologeria, delle biotecnologie e dell’aerospaziale. Il secondo settore ha permesso la nascita di multinazionali farmaceutiche, mentre il terzo settore è suddiviso tra comparto bancario e assicurativo. Dopo Stati Uniti e Gran Bretagna, la Svizzera è la terza piazza finanziaria del mondo. La ricerca scientifica e l’innovazione svolgono un ruolo di primo piano. Il Paese, riconosciuto come un centro di ricerca di fama internazionale, investe circa il 3 per cento del Pil su questo comparto. È il secondo Paese al mondo per numero di brevetti pro capite e il primo per produzione di articoli scientifici. Il Cern, che è rocca schede l’acronimo di Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare, ha sede a Ginevra ed è il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle e il luogo dove è nato anche il World Wide Web (che in sigla si scrive www.) anche conosciuto come grande rete mondiale. Situazione politica e relazioni internazionali: la Confederazione svizzera è l’unico Paese al mondo ad essere governato tramite una democrazia diretta. I parlamentari non sono politici professionisti e si radunano soltanto quattro volte all’anno. Con 50.000 firme raccolte in cento giorni, ogni cittadino può richiedere un referendum nel quale il popolo è chiamato ad esprimersi sul mantenimento o meno di una legge. Con 100.000 firme invece si può richiedere la revisione totale o parziale della costituzione. La figura del Presidente della Confederazione non coincide con quella di capo del governo e tutte le funzioni che competono a questa istituzione sono svolte dal Consiglio federale. Il Presidente è il consigliere federale che funge da primus inter pares nel Governo. Viene eletto ogni anno dalle Camere federali unite. Oggi il Presidente in carica è Micheline Calmy-Rey. La politica estera svizzera è affrontata con pragmatismo e prudenza. Dato che la Svizzera non è membro dell’Unione europea, per evitare l’isolamento, la Confederazione ha stipulato accordi bilaterali con i paesi europei. Nel 2005 ha anche aderito agli accordi di Shengen. Data la sua storica posizione di neutralità, la Svizzera svolge un ruolo di cucitura delle divergenze tra Stati, ed è molto attiva sul fronte del rispetto dei diritti umani. Inoltre, pur non partecipando ai conflitti militari esteri, l’esercito viene spesso impiegato in missioni di pace. ❑ Fraternità raccontare proporre chiedere Flash dal Togo O Buone notizie Sankama. Il Progetto Guinea, che prevede di completare, in questo villaggio rurale della Guinea Conakry, la costruzione della nuova scuola primaria dotandola di servizi igienici ha raggiunto il fabbisogno preventivato di 4.000 (quattromila) euro. La presenza del blocco sanitario in muratura a 30 metri dall’edificio scolastico (4 gabinetti in totale, separati per maschi e femmine) è una delle condizioni poste dal Pam (Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite) per riprendere il rifornimento gratuito del riso, alimento base della mensa scolastica, che può garantire – se in dispensa c’è la materia prima – un pasto alla novantina di bambini/ragazzi che frequentano la scuola (v. presentazione del Progetto su Rocca 2, 3, 4, 5, 6/2011 e ripreso poi anche su Rocca 11/2011). Lucio Cosentino, responsabile dell’Associazione italiana Ritmi Urbani che ha promosso questo intervento di sostegno all’alfabetizzazione della popolazione malinké, ci ha informato che con il contributo di Fraternità a Sankama i lavori per costruire le latrine cominceranno non appena finirà la stagione delle piogge. Da Mohamed Prince Camara, referente guineano che in loco segue i lavori, un «anichè/ grazie» a tutti i lettori e benefattori di Fraternità. una delle foto che Francois K. Zondokpo ha inviato assieme alla lettera, Fraternità dice «grazie» ai lettori ed amici che l’hanno aiutata a sostenere questo piccolo/ grande Progetto «salvavita». Luigina Morsolin Per contribuire al presente progetto Burundi e/o al Progetto Guinea e/o al Progetto Haiti tuttora in corso, si possono inviare contributi con assegni bancari, vaglia postali o tramite il ccp 10635068, Coordinate: Codice IBAN: IT76J 0760103 0000 0001 0635 068 intestato a Pro Civitate Christiana – Fraternità – Assisi. Per comunicazioni, indirizzo e-mail: fraternita@cittadella.org 63 . ROCCA 1 AGOSTO 2011 untivou. Un mese fa, è arrivato a Fraternità un messaggio di ringraziamento inviato da Francois Koffi Zondokpo, presidente del Sodeto (Associazione Solidarietà e Sviluppo del Togo), quel Comitato per lo sviluppo del villaggio che ha preso in carico l’ambulanza ed i materiali sanitari inviati dall’Italia per il locale dispensario (v. «L’ambulanza è arrivata a Ountivou» in Fraternità, Rocca 23/ 2010). Il contributo che Fraternità ha dato alla realizzazione del Progetto, finanziando le spese per il trasporto del veicolo e dei materiali su container prima da Livorno a Lomè (Togo) e quindi a Ountivou, rende ora effettivo un miglioramento nelle condizioni sanitarie della popolazione del villaggio e dei suoi dintorni (circa 20 mila persone). È possibile, in caso di necessità, trasferire in ambulanza i malati dal dispensario all’ospedale regionale, che si trova a 65 km di strada sterrata. Sono finora una quarantina gli interventi di soccorso effettuati dallo scorso ottobre, mese in cui il veicolo è entrato nella disponibilità del dispensario. Con la pubblicazione di 70 R C OMPIE C C A NNI e ti interpella hai risposto al questionario pubblicato su Rocca n.13 e ripetuto nel n.14 ? se per disguidi non ti fosse ancora arrivato puoi richiederlo in word a rocca@cittadella.org anche il tuo parere è per noi importante DCOER0874 E TI INTERPELLA
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