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la Biblioteca di via Senato
mensile, anno iv
Milano
n.6 – giugno 2012
UTOPIA
Mercier e il
mito del “buon
selvaggio”
di gianluca montinaro
MALAPARTE
Con Bartali
un’amicizia
a due ruote
di laura mariani conti
e matteo noja
FONDO ANTICO
Le esequie
di Carlo V
del Torrentino
di annette popel pozzo
FONDO MILANO
G. Ripamonti,
un cronista
irascibile
di beatrice porchera
RARITÀ
Il panettiere
degli editori
di valentina conti
la Biblioteca di via Senato - Milano
MENSILE DI BIBLIOFILIA – ANNO IV – N.6/32 – MILANO, GIUGNO 2012
Sommario
4 L’Utopia: prìncipi e princìpi
IL MITO DEL BUON
“SELVAGGIO”
di Gianluca Montinaro
12 BvS: il Fondo Antico
UN “TORRENTINO”
IGNOTO PER LE ESEQUIE DI
CARLO V
di Annette Popel Pozzo
20 BvS: Archivio Malaparte
MALAPARTE E BARTALI:
AMICIZIA SU DUE RUOTE
di Laura Mariani Conti
e Matteo Noja
29 IN SEDICESIMO - Le rubriche
ANTEPRIMA TEATRO
DI VERDURA – CATALOGHI –
SPIGOLATURE – RECENSIONI
L’INTERVISTA D’AUTORE –
ASTE – MOSTRE
46 BvS: il Fondo Milano
GIUSEPPE RIPAMONTI:
UN IRASCIBILE CRONISTA
SEICENTESCO
di Beatrice Porchera
51 BvS: rarità per bibliofili
MONALDO LEOPARDI,
IL RITRATTO DI UN
UTOPICO GALANTUOMO
di Arianna Calò
56 BvS: il libro ritrovato
DIARIO DEL SECOLO
DECIMONONO TRA
CRONACA E ANEDDOTO
di Paola Maria Farina
60 BvS: rarità per bibliofili
ALBERTO CASIRAGHY:
IL «PANETTIERE
DEGLI EDITORI»
di Valentina Conti
64 BvS: il Fondo Impresa
MARCELLO DUDOVICH:
L’ARTE APPLICATA
ALLA PUBBLICITÀ
di Giacomo Corvaglia
69 BvS: nuove schede
RECENTI ACQUISIZIONI
DELLA BIBLIOTECA
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Immagine in copertina:
Frontespizio dell’edizione
L’esequie di Carlo Quinto Imperadore,
L. Torrentino, Firenze 1559
Organizzazione Mostra del Libro Antico
e del Salone del Libro Usato
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Margherita Savarese
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Ex Libris Comunicazione
Questo periodico è associato alla
Unione Stampa Periodica Italiana
Reg. Trib. di Milano n. 104 del
11/03/2009
Canzone di giugno
Stormiscono le fronde
nell’aria greve, e il sole
ride alle prataiole
ed alle biche bionde,
E la canzone sale
dal campo del lavoro
e s’accompagna a un coro
stridulo di cicale:
e rende tutto d’oro
il campo donde arriva
la canzone giuliva
nell’agreste lavoro.
e sale il canto anelo
dalle bocche lontane
lodando in terra il pane
ed il buon Padre in cielo.
Ecco è piena la spica
e la falce è nel pugno;
e il buon sole di giugno
rallegra la fatica.
Marino Moretti
Il ciuchino. Poesie per i ragazzi,
Torino 1953
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
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L’Utopia: prìncipi e princìpi
IL MITO DEL BUON
“SELVAGGIO”
L’utopia settecentesca di Mercier, fra natura e individuo
GIANLUCA MONTINARO
D
i Louis Sebastian Mercier
(1740-1814) sono note soprattutto due opere: Tableau de Paris (1781-1788) e l’An
2440 (1770). Lavoro satirico-enciclopedico il primo, dedicato al
mondo, ai modi e ai costumi della
Parigi della fine del XVIII secolo
(12 volumi, per oltre mille capitoli),
raffinato romanzo utopico il secondo, nel quale si immagina la capitale
francese nel lontano 2440, settecento anni più tardi.
In mezzo, prima e dopo, una
gran quantità di altri scritti: riflessioni filosofiche, commedie, pagine
satiriche, articoli. Alcuni di essi, si
conservano, in rare edizioni, nella
Biblioteca di via Senato. L’Homme
sauvage (Neuchâtel, Société Typographique, 1784, con
in appendice un’opera giovanile, in sei atti, Les amours
de Cherale) è uno di questi. Testo fra i meno noti di Mercier, ha una genesi interessante, nella quale si mescolano dati biografici ed esperienze intellettuali.
Nato a Parigi, in una famiglia di estrazione borghe-
A sinistra: La France et le Temps, antiporta incisa
su rame del secondo volume L’an deux mille quatre cent
quarante (1801-1802). Sopra: ritratto di LouisSébastien Mercier inciso da Benoît-Louis Henriquez
su disegno di André Pujos, contenuto in L’an deux
mille quatre cent quarante (1801-1802)
se, Mercier apprende qualche rudimento di latino da un precettore e
quindi, nel 1749, frequenta come allievo esterno il collegio delle Quatre-Nations. Negli anni successivi,
anche grazie all’amicizia con Crébillon figlio, entra in contatto con l’effervescente ambiente teatrale parigino. Decide di intraprendere la carriera dello scrittore e inizia a produrre versi e saggi letterari. Nel frattempo, grazie all’espulsione dei Gesuiti
dalla Francia, gli giunge la nomina a
professore di retorica presso il collegio della Madeleine a Bordeaux
(1763). In Aquitania rimane però poco: il clima troppo provinciale non è
congeniale a Mercier che, rinunciando all’incarico, torna a Parigi. Si
tuffa, con poco successo, nella scrittura: romanzi e traduzioni si susseguono senza sosta fino a che Mercier non acquista un po’ di notorietà grazie ad alcuni drammi (imitati in buona parte da opere di origine inglese e tedesca) che
iniziano a girare per i teatri della provincia francese.
Nel 1767 pubblica L’Homme sauvage. L’opera però passa sotto silenzio, fino alla successiva - e non casuale - ristampa del 1784. La pubblicazione anonima dei
primi due volumi dei Tableau de Paris (1781) crea a Mercier numerosi problemi. Viene denunciato per diffamazione e, per evitare spiacevoli conseguenze giudiziarie, è costretto a lasciare la Francia e a rifugiarsi a
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Frontespizio dell’edizione di Louis-Sébastien Mercier,
L’homme sauvage, Neuchâtel, Société typographique,
1784
Neuchatel. In Svizzera rimane fino al 1785, continuando a scrivere e a pubblicare senza sosta (e a questo periodo risale proprio la seconda edizione francese de L’Homme sauvage).
Rientrato nella capitale francese, partecipa attivamente (dalle pagine di numerosi giornali) al dibattito intellettuale che porterà ai sanguinosi fatti del 1789. La Rivoluzione inizia a travolgere la monarchia. La mattina del
6 ottobre una folla di parigine affamate (sobillata dai rivoluzionari più estremisti) assalta la reggia di Versailles. Solo il sacrificio di alcune guardie svizzere, barbaramente
trucidate, permette a Maria Antonietta di trovare scampo
negli appartamenti del re. La famiglia reale e tutta la corte
sono costretti a lasciare Versailles e a installarsi a Parigi,
nel vecchio palazzo delle Tuileries. Mercier assiste a tutti
questi fatti, ma senza comprenderne la gravida tragicità.
Anzi, proprio in quei giorni di sangue inizia a pubblicare
gli «Annali patriottici», che dirige fino al 1791.
L’anno successivo, caduta la monarchia e imprigionato al Tempio Luigi XVI, Mercier è eletto alla Convenzione. Una volta all’interno dell’agone politico comprende velocemente il dramma che la Francia si stava apprestando a vivere. Prende posto fra i girondini, negli
scranni dei moderati. Vota contro la condanna a morte
del re, e a favore della sua detenzione. Agli appelli al sangue propugnati da Marat, Mercier risponde esprimendosi favorevolmente alla sua messa in stato di accusa. Interrompe Robespierre, che si stava paragonando a un antico
romano, gridandogli: «Voi non siete Romano ma l’ignoranza fatta a persona». Queste posizioni molto critiche
gli valgono presto, assieme ad altri 72 deputati moderati,
il carcere. Rimane in galera per oltre un anno, fino alla caduta dell’Incorruttibile, scampando miracolosamente ai
massacri del Terrore. Riprende quindi il suo posto in Parlamento e viene eletto nel Consiglio dei Cinquecento.
Inizia una forte battaglia culturale di retroguardia. Si oppone alla tumulazione di Cartesio nel Pantheon perché,
avendo teorizzato la libertà di pensiero, sarebbe stato all’origine delle correnti rivoluzionarie e contro-rivoluzionarie e quindi ‘mandante occulto’ del Terrore. Uguale
posizione Mercier assume verso la memoria di Voltaire,
che accusa di aver distrutto la morale. Di Bossuet dice che
la sua Histoire universelle non è altro che un arido elenco
cronologico, «senza vita né colore». Locke e Condillac
sono da lui bollati come ‘idiologi’, Lavater e la sua fisiognomica bellamente ridicolizzati con la frase «conosci
l’uomo dai piedi» e, al sistema eliocentrico di Copernico
e Newton, Mercier oppone l’idea di una Terra rotonda e
piatta, con il sole che orbita tutto attorno. Dalla battaglia
contro i filosofi, rei di sognare l’istruzione delle masse,
conserva solo Jean-Jacques Rousseau del quale Mercier,
fra il 1788 e il 1793, aveva curato la pubblicazione delle
opere, in 37 volumi. Neppure l’arte si salva in questo delirio iconoclasta. Raffaello, Correggio e Tiziano sono pittori pericolosi, rei di aver prodotto opere che hanno contribuito a minare i buoni costumi dei popoli.
Terminata l’esperienza politica Mercier riprende in
pieno la sua attività letteraria. Nel 1800 pubblica i sei vo-
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Frontespizio dell’edizione L’an deux mille quatre cent
quarante. Rêve s’il en fût jamais; suivi de L’homme de fer,
songe (Parigi, Lepetit, an X [i.e. 1801-1802])
lumi del Nouveau Paris, seguito del Tableau de Paris. Nel
frattempo, benché ammiri il genio di Napoleone, non apprezza l’instaurazione dell’Impero. Più volte si scontra
verbalmente con il ministro della polizia che lo ammonisce a tenere a freno la sua penna mordace. All’ennesima
minaccia del carcere pare che Mercier abbia ironicamente risposto: «non vivo che per vedere come finirà questa
triste vicenda». E in effetti, prima di spirare, riesce ad assistere alla caduta del piccolo Corso, al rientro dei Borbone e al insediamento sul trono di Luigi XVIII, il fratello
del re martire.
Il mondo letterario di Mercier è tipicamente settecentesco, imbevuto di illuminismo. Mercier, scrittore borghese fin nell’animo, accorda la propria preferenza alla prosa, relegando la poesia a forma letteraria
oramai desueta, solo patrimonio della classe nobiliare.
E’ con la prosa che lo scrittore raggiunge il grande pubblico, è grazie al romanzo che può comunicare idee,
raccogliere e ‘mettere in scena’ le istanze della borghesia, ed è grazie al mercato librario che lo scrittore può
raggiungere la piena autonomia economica, svincolandosi da perniciosi rapporti di mecenatismo.
Ma la libertà, legata a una penna mordace e a un
carattere puntuto, si paga cara. Si sconta con il carcere,
o con la fuga. Non è un caso se è proprio a Neuchatel
che vede la luce la ristampa de L’Homme sauvage. In
Svizzera era fuggito, vent’anni prima, colpito dalle ‘angherie’ della società parigina, anche l’amato Jean-Jacques Rousseau. In Svizzera, Mercier (probabilmente
rispecchiandosi in Rousseau) trova un clima di maggiore apertura. Qui inizia a riflettere, come già prima aveva fatto Rousseau, sulla natura dell’uomo. Annosa questione: portato inevitabilmente a compiere il male, o
spinto naturalmente al bene? La risposta dello scrittore
parigino ricalca quella del filosofo ginevrino: è il progresso, ciò che si chiama “civilizzazione”, a corrompere
l’individuo, instillandogli falsi valori e vani traguardi in
nome dei quali si esercitano sopraffazione e violenza.
L’utopia che Mercier narra nel suo L’Homme sauvage non è esente da richiami arcadici. Da quella visione,
idillica e pastorale, che nel primo Settecento si era diffusa
in tutte le corti europee. E al quale, in seguito, si erano aggiunti altre riflessioni, innescate dalle esplorazioni geografiche delle lontane isole dell’oceano Pacifico. Di quei
luoghi esotici si narrava il clima favorevole, la pace continua che regnava fra quelle popolazioni e la serenità degli
uomini, che nulla desideravano perché la natura provvedeva al loro sostentamento. Il mito del buon selvaggio,
ovvero dell’uomo primordiale, felice perché incorrotto
dal progresso, appariva all’uomo settecentesco così desiderabile proprio perché lontano nello spazio, posto in una
dimensione altra, al di là di un mare tanto infinito quanto
quello che divideva il Continente dall’isola di Utopia.
Beato quell’uomo che «vive sotto le leggi semplici della natura, seguendo i propri istinti e le proprie
idee, ascoltando la voce del proprio cuore, perché l’uomo è nato buono».1 In una sorta di sovrapposizione di
immagini, Mercier, Rousseau e il “buon selvaggio” di-
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Nella pagina accanto: Plonge-toi dans le Torrent, antiporta incisa su rame del terzo volume L’an deux mille quatre
cent quarante (1801-1802). Sopra da sinistra: Introduction de L’homme sauvage (1784); tavola “J’ai sept cens ans”
contenuta in L’an deux mille quatre cent quarante (1801-1802)
ventano la stessa figura, traboccante di naturale sensibilità, anelante alla sincerità, desiderosa di verità.
L’Homme sauvage si presenta come se fosse una storia vera. Nel proemio Mercier spiega come nel 1672 il cavaliere di Baltimore venne inviato, dalla corte inglese, in
America. Era un uomo di cultura, valoroso e razionale.
Nel nuovo mondo si dedicò allo studio dell’uomo, cercando di scoprire se, «sotto l’impero della natura, è buono oppure se porta originariamente nel suo cuore quel
germe di crudeltà che a volte si sviluppa in maniera sì terribile». In America del sud si imbatté in Williams, un indio vissuto «lungamente in stato selvaggio». Lo rincon-
trò, anni dopo, in Irlanda, legandosi a lui con amicizia
profonda e vera. Gli chiese quindi di mettere per iscritto
la sua storia, dall’infanzia nella tribù ai primi rapporti con
i colonizzatori e quindi alla sua “nuova vita europea”.
La vicenda, narrata da Williams in prima persona,
prende l’avvio dal II capitolo. Il lettore, pagina dopo
pagina, scopre che è nato presso la tribù dei Chebutois,
che il suo vero nome è Zidzem e che è di nobili origini.
Il mondo che racconta è riconducibile a un Perù idealizzato ed edenico, stravolto dalla conquista degli Spagnoli, «assetati d’oro e di sangue, con la croce in una
mano e la spada nell’altra».2 La storia procede in modo
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Da sinistra: Antoine-François Callet (1741–1823), ritratto di Luigi XVI di Francia (1754-1793) in abito reale, olio su tela,
Reggia di Versailles, Salone di Apollo; Jean-Baptiste Gautier Dagoty (1740-1786), ritratto di Maria-Antoinetta d’Austria,
moglie di Luigi XVI, olio su tela, Reggia di Versailles
abbastanza prevedibile ma Mercier pone attenzione alla godibilità del testo, che mai diventa pedante né cede a
tentazioni moraleggianti. La lettura scorre veloce,
mettendo anzi in luce le doti e il mestiere del narratore.
Ciò che più preme a Mercier è mostrare come il mondo
di Williams-Zidzem cambi in peggio, venendo in contatto sempre più stretto con la civiltà europea. E come
siano solo le doti personali del protagonista, forgiatosi
in un mondo primordiale e genuino, a permettergli di
non “perdersi” nell’apocalisse della sua civiltà. Se nelle
pagine appare un forte trasporto, quasi sentimentale,
verso tutto ciò che rappresenta il “selvaggio”, appare
anche una feroce condanna della religione cristiana e
dei suoi missionari, falsi perché moralmente corrotti;
colpevoli di distruggere la primordiale moralità natu-
rale a favore di un dio repressivo e assente.
Per lungo tempo l’opera di Mercier venne creduta
una traduzione della novella Der Wildemann dell’autore
tedesco Johann Gottlieb Pfeil. In realtà, benché Mercier
si sia ispirato a Pfeil, L’Homme sauvage è a tutti gli effetti
un romanzo originale che (quasi nemesi) più volte è stato
indicato da critici e traduttori come fonte diretta dell’Atala (1801) di François-René de Chateaubriand.
Con Chateaubriand e James Fenimore Cooper
(L’ultimo dei Mohicani, 1826) si chiude il ciclo settecentesco e romantico del mito del “buon selvaggio”. L’espansione e l’affermazione degli imperi coloniali porterà a una reinterpretazione di questo mito, ma in chiave prettamente politica e antimperialista. L’utopia lascia spazio all’utopismo, tragico e sanguinario.
Bibliografia:
Louis Sebastien Mercier, L’Homme sauvage, Neuchâtel,
NOTE
1
S. Mercier, L’Homme sauvage, Neuchâtel, Société Typo-
Société Typographique, 1784.
8vo; pp. [4], 314, [2].
graphique, 1784, pp. 3-4.
2
Ib., p. 15.
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BvS: il Fondo Antico
UN “TORRENTINO” IGNOTO
PER LE ESEQUIE DI CARLO V
La placchetta del 1559 sfuggita ai repertori
ANNETTE POPEL POZZO
A
l numero 272, in un catalogo
giunto poco tempo fa di
un’asta da tenersi in Germania, trovammo annunciato il seguente titolo: “Esequie di Carlo
Quinto Imperadore fatte nella villa di
Bruscelles. Florentiae MDLVIIII”. Il
volume veniva presentato in formato
4to di sole 4 carte, senza alcuna indicazione di autore o tipografo (la
scheda del catalogo resta muta di ulteriori informazioni, non per nulla
l’edizione è dichiarata bibliograficamente non reperibile), ma presenta
il titolo posto entro una cornice manieristica che riporta lo stemma dei
Medici in alto e una veduta di Firen-
Nella pagina accanto: frontespizio
dell’edizione L’esequie di Carlo Quinto
Imperadore fatte nella villa di
Bruscelles di Bernardetto Minerbetti,
stampata nel 1559 a Firenze
dallo stampatore ducale Lorenzo
Torrentino. A destra, dall’alto:
capolettera con scene di battaglia,
usato dal “typographus regius”
fiorentino; olio su tela raffigurante
la “Pazienza Minerbetti”, dipinto
da Giorgio Vasari, e ripreso da
Francesco Salviati e Battista Franco
ze in basso, secondo lo schema usato
in numerose edizioni dal tipografo
Lorenzo Torrentino – in realtà Laurens Leenaertsz van den Bleeck –
originario di Gemert, nel Brabante
settentrionale dei Paesi Bassi, invitato nel 1546 a Firenze dal duca Cosimo I de’ Medici. Un anno dopo,
nel 1547, apriva la sua tipografia nel
Garbo dietro la chiesa di S. Romolo,
stampando con privilegio mediceo
circa 250 edizioni, fino alla morte,
avvenuta nel 1563.1 A sostegno dell’attribuzione vi sono anche il materiale tipografico e il capolettera figurato con scene di battaglie di mm
41x41 del volume, che rimandano
inequivocabilmente alle edizioni del
“typographus regius” fiorentino.2
La copia acquistata per il nostro
Fondo Antico proviene verosimilmente da una miscellanea, come
suggeriscono la semplicissima legatura moderna in cartonato e le brachette da rinforzo – un dettaglio in
verità per nulla insolito per una
placchetta di poche carte.
Particolarmente interessante
è che l’edizione non solo non sia citata nel Censimento nazionale delle edizione italiane del XVI secolo
(EDIT 16 – ICCU), ma figuri addi-
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la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
Sopra: illustrazione della “Nave della vittoria” contenuta nella Descrittione della pompa funerale fatta in Brussele alli XXIX
di decembre MDLVIII per la felice, & immortal memoria di Carlo V imperatore (Milano, Moscheni, 1559) descritta anche da
Minerbetti nell’edizione torrentiniana. A destra: la “Nave della vittoria” colorata a mano e contenuta nell’edizione sulla
pompa funebre di Carlo V a Bruxelles (Anversa, Christophe Plantin, 1559)
rittura mondialmente in una sola altra copia posseduta
dalla Biblioteca Nazionale Centrale a Firenze. L’edizione pare esser completamente sfuggita ai repertori,
soprattutto a quelli dedicati a Lorenzo Torrentino.
Non è censita né negli Annali della tipografia fiorentina
di Lorenzo Torrentino di Domenico Moreni (prima edizione nel 1811 e ristampata nel 1989), né nel recente
studio Annali tipografici di Lorenzo Torrentino di Gabriella Leggeri (Dottorato di Ricerca, Firenze, 2004),
che pure ha avuto il notevole merito di aggiungere 17
nuove edizioni e un caso di riemissione rispetto alle
opere conosciute da Moreni.
La placchetta – al di là della sua effettiva rarità – si
rivela una stampa importante uscita dai torchi del tipo-
grafo fiorentino, sia per il suo contenuto, sia per la relazione dell’Autore con i Medici e con Firenze. Dietro
il “Servo obbligatissimo il Vescovo d’Arezzo” che firma il colophon di “Bruscelles li xxx. di Decembre
MDLVIII” si nasconde infatti Bernardo, detto Bernardetto Minerbetti (cfr. DBI 74, pp. 590-593).
Nato a Firenze nel 1507, Bernardo era dapprima
al servizio dello zio Francesco Minerbetti, vescovo di
Arezzo, che gli passava il vescovato nel 1537. Oltre al
presente volume, si è a conoscenza solo di altri due suoi
titoli: Le opere di Vergilio cioè la Buccolica, Georgica, et
Eneida (Venezia, Onofrio Farri & fratelli, 1559), nei
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quali volgeva in italiano in versi sciolti il nono libro
dell’Eneide; e una Breve et utile somma cavata d’una parte
de’ decreti del Sacrosanto oecumenico Concilio Tridentino
(Firenze, Bartolomeo Sermartelli, 1565).
Minerbetti era assai noto agli intellettuali dell’epoca e figura anche tra i fondatori dell’Accademia degli Umidi.3 Ebbe infatti rapporti con personaggi importanti del suo tempo quali Michelangelo, del quale
fu grande ammiratore, e soprattutto Giorgio Vasari. Il
carteggio di Giorgio Vasari riflette una ricca corrispondenza tra i due che copre quasi un quarto di secolo, dal
1550 fino al 1573, anno precedente la scomparsa di Vasari e di Minerbetti. Già in una lettera del 4 ottobre
1551 Minerbetti si rivolgeva a Vasari per aiutarlo a coinvolgere Michelangelo nella realizzazione di un quadro raffigurante la “Pazienza”, che era l’impresa della
sua famiglia: “E poiché io son privo per mia mala fortuna di non poter aver di sua mano qualche cosa, siami almeno concesso dalla bontà sua, che io possa godere in
vita mia del suo infinito ingegno qualche cosa a mia
15
fantasia, e sia questa: che e’ vi dica, come si debba a iudizio suo dipinger la Pazienza, la quale, come a bocca vi
dissi, è la mia impresa e da me fu presa in quei tempi
che essendo giovanetto, al servizio di mio zio così strano e arabico, mi bisognava, oltre a mille bassi servizii
che io exercitavo, comportare infinite ingiurie. Imperò
conoscendomi povero e abandonato, mi resolvei, che
la Pazienza mi dovesse condurre a questo grado, el
quale merciè di Jesu tengo con molto contento”.4 E più
avanti in una lettera composta poco dopo precisa
“Aspetto con molto desiderio la Pazienza, formata dalle vostre benedette mani e ghiribizata insieme da quel
grandissimo Vecchio che tutto ’l mondo e ammira e
meritamente onora”.5 Alla fine è proprio lo stesso Vasari, consultatosi con Annibale Caro – visto che Michelangelo non dimostrava alcun interesse – a sviluppare un’inedita iconografia per la rappresentazione
della “Pazienza” in un disegno di bozzetto, per il quale
Minerbetti lo ringraziava il 28 novembre del 1551,
scrivendogli che “dove ho trovata la mia Pazienza di
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17
Nella pagina accanto: ritratto inciso raffigurante Filippo
II, figlio di Carlo V, contenuto in Cremona fedelissima citta
del 1585. A destra: ritratto inciso raffigurante Carlo V del
Sacro Romano Impero, contenuto in Cremona fedelissima
citta del 1585
vostra mano, così ben disegnata, che e’ si vede ben che
veramente la patisce; e se io trovassi che me la pintassi
così viva in una tela di tre braccia, io contenterei esso sì
bene, come io ne resterei contentissimo”.6 Sempre dietro supplica del vescovo di Arezzo, Vasari realizzava alla fine il quadro a olio, oggi noto, appunto, come la
“Pazienza Minerbetti”, conservato nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze,7 descritto con precisione dal pittore sia nelle Ricordanze sia nell’autobiografia
del 1568: “Una femmina ritta, di mezza età, ne tutta
vestita, ne tutta spogliata, accio tenga fra la Ricchezza
et la Povertà il mezzo, sia incatenata per il piè manco,
per offender meno la parte più nobile, sendo in libertà
sua il potere con le mani sciolte scatenarsi e partirsi a
posta sua. Haviamo messo la catena à quel sasso; et lei
cortese, con le braccia mostra segno di non voler partire, fin chel’ tempo non consuma con le gocciolo dell’acqua la pietra, dove ella è incatenata: la quale à goccia à goccia escie dalla eclissidera, oriuolo antico, che
serviva à gl’oratori mentre oravano. Così ristrettasi
nelle spalle, mirando fisamente quanto gli bisognava
spettare che si consumi la durezza del sasso, tollera et
spetta con quella speranza che amaramente soffron colore che stanno a disagio per finire il loro disegno con
patientia. Il motto mi pare che stia molto bene et a proposito nel sasso: ‘Diuturna tollerantia’: Che volendo la
Signoria Vostra servirsene per impresa, facci fare l’eclissidera sola che buchi la pietra, s’è per figura o rovescio di medaglia o altre fantasie, come la stà”.8
Minerbetti fu soprattutto anche molto vicino al
sovrano toscano Cosimo I de’ Medici, per il quale eseguì numerose incariche diplomatiche: “Nel 1550 svolse la sua prima missione, inviato a Mantova con istruzione del 13 marzo per fare le condoglianze per la morte del duca Francesco III […] Nel 1551 fu al servizio di
don Luigi di Toledo, fratello della duchessa di Firenze
Eleonora. Nel 1552 fu inviato a Napoli per congratularsi con Pedro di Toledo, suocero di Cosimo, delle sue
seconde nozze con Vittoria Spinelli”.9 Nel 1557 lo sappiamo in Inghilterra e nei Paesi Bassi (dove in quel periodo risiedeva Filippo II, figlio dell’imperatore Carlo
V) per rappresentare i Medici come ambasciatore.10
Quando Carlo V muore nel 1558 (avendo già affidato, fin dal 1556, al fratello Ferdinando i domini austriaci e al figlio Filippo II i Paesi Bassi, i regni di Aragona, la Sicilia, la Castiglia e le colonie americane),
Minerbetti venne incaricato da Cosimo I de’ Medici di
rappresentare il sovrano allo splendido funerale allestito da Filippo II, che si tenne a Bruxelles nel dicembre dello stesso anno per commemorare la scomparsa
dell’imperatore del Sacro Romano Impero. Gli ambasciatori presenti alla cerimonia spedirono vivide descrizioni dello spettacolo. Il nostro Minerbetti non si
limitò a descrivere l’evento per una corrispondenza diplomatica, ma rese pubblica la sua relazione nella placchetta L’esequie di Carlo Quinto stampata da Torrentino.
Il volume è particolarmente ricco di informazioni su
18
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
com’era il carro funebre, come si svolse la cerimonia e
quali i sovrani presenti: “Et benche tutto quello ch’io
ho descritto di sopra havesse mosso, non meno à compassione ch’à meraviglia i riguardanti, fu però poco appresso à quello che seguitò di poi, perche si vidde venir
una Nave simil’all’antiche con la poppa ornata d’intagli, di pitture, & d’oro, rostrata, di ragionevole grandezza con le vele raccolte, […] & per tutta la Nave quadri dipinti con l’Arme de Regni, & stati di S.M. Questa
caminando con belliss. artificio pareva esser tirata per
mare da due Mostri Marini che li andavano avanti per
prua, dove si vedeva una giovane donna vestita, & abbigliata gentilmente, che con un’Ancora c’haveva in mano di argento pareva che tutta lieta, volesse dar fondo
& pigliar Porto avanti all’arbore maestro, & à piedi
d’una ricchiss. sede pupale ch’era vota, sopra la pietra
quadra ov’era scritto Christus in tutte le faccie, la Fede
vestita d’un bianchiss. drappo con la Croce rossa in
mano, & dietro à lei nella poppa, mostrando di guidar
la Nave, col timone nella destra si vedeva la Carità piena d’ardore […] A questa tanto bella, & misteriosa Nave seguitavano come poste sopra due scogli nel mezo
del mare, & tirate da due Tritoni, due grandissime colonne con la Corona Imp. sopra ciascuna”.11
La descrizione minuziosa si conclude con la cerimonia in chiesa: “Arrivata S.M. alla chiesa, trovò che la
Nave, & le colonne erano fermate à piedi delle scale di
quella, & tutti i cavalli posti per ordine alla parte destra, la chiesa era ordinata in questo modo” e più avanti
“Il Catafalco posto fra la prima, & seconda colonna
NOTE
1
Tra le opere più rinomate di Lorenzo
Torrentino vanno ricordate le edizioni princepes de Le vite de piu eccellenti architetti,
pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino
a tempi nostri, descritte in lingua toscana, da
Giorgio Vasari pittore aretino (1550), il
Digestorum seu Pandectarum, cioè la codificazione del Diritto Romano raccolta da
Giustiniano (1553), e La historia di Italia di
Francesco Guicciardini (1561).
2
Descrizione fisica dell’edizione:
[Bernardo Minerbetti, 1507-1574], L’esequie
di Carlo Quinto Imperadore fatte nella villa di
verso il clero, & poco piu basso della sedia del Re, posava sopra quattro colonne copte di velluto nero, la forma del quale fatta con molt’arte, con il numero grande
de i lumi ch’ardevano era molto simile à una corona
Imperiale […] sotto questo Catafalco ch’io dico, coperta d’un ricchissimo panno d’oro arricciato con una
gran croce di raso cremesi rosso, era la cassa funebre in
un piano di legnami alto due gradi con panni neri per
terra, & all’intorno gran quantità di torcie ch’ardevano, d’avanti à questo Catafalco […] secondo che erano
arrivati si viddero posti per dritto tutti gli stendardi,
che tutti insieme per la loro varietà in mezo à tanti lumi
facevano un veder bellissimo”.12
L’elaborata relazione di Minerbetti ancora nel
1559 si trova realizzata in un’edizione riccamente illustrata dal titolo: La magnifique et sumptueuse pompe funèbre faite aus obseques et funérailles du très grand et très victorieux empereur Charles cinquième célébrées en la ville de
Bruxelles le 29 Jour du mois de Décembre 1558 par Philippes
Roy catholique d’Espaigne, son fils, a cura di Christophe
Plantin di Anversa, contenente 34 incisioni fatte dai fratelli Joannes e Lucas van Doetichum su disegno di Hieronymus Cock, e con versioni latina, francese, fiamminga, italiana e spagnola.13 Ritroviamo tra le in gran parte
ripiegate tavole (da vendere “en rouleau” per formare
un fregio continuo), raffiguranti l’apparato festivo e la
processione cerimoniale precisamente quella “Nave
della vittoria” (Victoriam Navem) e quella “Chappelle ar-
Bruscelles. Florentiae, [Lorenzo Torrentino],
1559; in formato 4to di [4] carte; segnatura:
A4; impronta: lili leco arhe ‘ogo (C) 1559 (R);
titolo entro cornice manieristica figurata.
3
Antonfrancesco Grazzini, detto il Lasca,
gli dedica per esempio la commedia La gelosia.
4
Il carteggio di Giorgio Vasari, lettera del
4 ottobre 1551 di Bernardetto Minerbi in
Firenze a Giorgio Vasari in Arezzo
(http://www.memofonte.it/autori/carteggio-vasariano-1532-1574.html; controllato
21-05-2012) .
5
Il carteggio di Giorgio Vasari, lettera del
31 ottobre 1551 di Bernardetto Minerbi in
Firenze a Giorgio Vasari in Roma
(http://www.memofonte.it/autori/carteggio-vasariano-1532-1574.html; controllato
21-05-2012) .
6
Il carteggio di Giorgio Vasari, lettera del
28 novembre 1551 di Bernardetto Minerbi in
Firenze a Giorgio Vasari in Roma
(http://www.memofonte.it/autori/carteggio-vasariano-1532-1574.html; controllato
21-05-2012) .
7
L’opera ebbe grande successo: non soltanto fu ripresa da Francesco Salviati e
Battista Franco, ma la soluzione iconografi-
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
19
un’eco immediata in Lombardia e a
dente” delle quali avevamo letto
Milano venne eretto un catafalco in
nell’edizione torrentiniana di MiDuomo su disegno (1559) di Vinnerbetti.
cenzo Seregni: la struttura ottagoTra le numerose altre edizioni
nale era sormontata da una piramiuscite tra il 1558 e il 1559 in comde di candele e da un obelisco a sua
memorazione della scomparsa delvolta coronato da una sfera (chiara
l’imperatore, sia in forma di racallusione al coronamento dell’obeconto delle esequie o di orazioni
lisco di San Pietro che secondo una
(basti pensare che lo stesso Lorencredenza allora diffusa avrebbe cuzo Torrentino stampa nel 1558
stodito le ceneri di Giulio Cesare) e
un’Oratio in sacris funeribus Caroli
dall’aquila bicipite”.15
quinti Caesaris Augusti a cura dello
L’impatto dell’edizione torstorico fiorentino Giovanni Battirentiniana di Minerbetti insieme
sta Adriani, riproponendo l’edizioall’edizione illustrata plantiniana
ne una seconda volta nel 1562), si
del 1559 fu talmente forte, che serdeve segnalare il volume Descrittiovì probabilmente come modello
ne della pompa funerale fatta in Brusper altri funerali come quello dello
sele alli XXIX di decembre MDLVIII,
stesso Michelangelo nel 1564 nella
stampato dal tipografo bergamasco
chiesa di San Lorenzo e quello di
Francesco Moscheni a Milano.14
L’opera non si basa soltanto con
Cosimo I nel 1574. La pompa funegrande probabilità sulla descrizioLa Chapelle Ardente, tavola contenuta
bre di Carlo V prende la forma di
ne di Minerbetti, come deriva dalla
un topos da imitare. “I funerali di
nell’edizione sulla pompa funebre di
dedica – “senon che hora m’è venuStato dell’imperatore divennero
Carlo V a Bruxelles (Anversa,
to alle mani (scritta da un gentil’Christophe Plantin, 1559)
così un modello imprescindibile
huomo dalla Corte di sua R.M.) la
per analoghe cerimonie principepompa funerale fatta in Brussele” –
sche e poiché il catafalco eretto nelma è una delle poche illustrate. Contiene infatti una tala cattedrale di Bruxelles era sormontato da una piravola a doppia pagina, sempre raffigurante la “Nave delmide composta da tremila candele, il motivo acquistò
la vittoria”. I funerali di Carlo V a Bruxelles “ebbero
per qualche decennio una rinnovata popolarità”.16
ca fu scelta come impresa personale da
Ercole II d’Este.
8
Giorgio Vasari, Le opere di Giorgio
Vasari, Firenze, Passigli, 1832-1838, parte
seconda, p. 1440.
9
Bernardo, detto Bernardetto Minerbetti,
DBI 74, p. 591. Cfr. Istruzioni agli ambasciatori e inviati medicei in Spagna e nell’”Italia spagnola” (1536-1648) – I: 1536-1586, Archivio
di Stato di Firenze (http://www.archiviodistato.firenze.it/; controllato 21-05-2012).
10
Cfr. Istruzioni agli ambasciatori e inviati toscani in Spagna e nell’Italia spagnola
(1536-1648), a cura di Alessandra Contini e
Paola Volpini, vol. I, Roma, Ministero per i
beni e le attività culturali, Direzione generale
per gli archivi, 2007.
11
Bernardetto Minerbetti, L’esequie di
Carlo Quinto Imperadore fatte nella villa di
Bruscelles, Firenze, Lorenzo Torrentino,
1559, carta A2 recto e verso.
12
Bernardetto Minerbetti, L’esequie di
Carlo Quinto Imperadore, 1559, carta A4
recto.
13
L’edizione fu ristampata nel 1619 da
Hondius insieme alla suite di Hogenberg raffigurante la ceremonia per l’incoronazione
di Carlo V a Bologna.
Francesco Moscheni (1547-1566) ebbe a Milano due botteghe in Piazza dei mercanti. Giovanni Antonio degli Antoni il vecchio acquistò nel 1561 il suo materiale tipografico e gli subentrò nell’affitto delle botteghe (cfr. EDIT 16).
15
Alessandro Nova, Dall’arca alle esequie. Aspetti della cultura a Cremona nel XVI
secolo, in: I Campi e la cultura artistica cremonese del Cinquecento, Milano, Electa,
1985, p. 430.
16
Alessandro Nova, Dall’arca alle esequie, 1985, p. 424.
14
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
21
BvS: Archivio Malaparte
MALAPARTE E BARTALI:
AMICIZIA SU DUE RUOTE
Una biografia ritrovata di Gino fa pensare alla mano di Curzio
LAURA MARIANI CONTI
E MATTEO NOJA
«M
i sono svegliato alle cinque, ho aperto la finestra, sono
rimasto a lungo a contemplare i tetti di ardesia umidi di rugiada, macchiati qua e là di macchie nere, di
macchie grige, di macchie verdi.
Un vento leggero e fresco soffiava
dal Bois de Boulogne…»1.
Curzio Malaparte torna a Parigi nel giugno 1947. Vi è stato diverse
volte prima, vi ha vissuto e lavorato
per molto tempo. Nel 1918, quando
ancora giovanissimo, vi giunge fisicamente e psicologicamente provato
dalle esperienze devastanti della prima guerra mondiale. Nel 1931, quando vi conosce un successo eccezionale, quando Parigi tutta, l’intera Francia lo
ama. E lui ricambia sinceramente, affascinato da quella
che per lui è anche una donna – o tutte le donne –, una stupenda donna che ha la sua età.
Ora torna a Parigi «dopo quattordici anni di esilio».
Anche questa volta è provato: ha conosciuto il confino,
l’ostracismo intellettuale di un regime, la guerra e la prigionia. E si sente in colpa: imbracciare di nuovo il fucile
nel 1940 sul fronte occidentale, proprio contro gli amici
francesi, non gli è piaciuto.
Nella pagina precedente, Malaparte si allena sul tetto
della sua casa di Capri;
sopra, Gino Bartali vincitore del Tour del 1948
Desidera rivedere i molti amici: Pierre Bessand Massenet, Max
Dorian, Jean Cassou, Jean Cocteau,
Blaise Cendrars, François Mauriac.
Ha desiderio di confrontarsi con loro, come prima, con intelligenza. È
curioso di vedere come la grande
capitale sia uscita materialmente e
culturalmente dalle miserie dell’ultima guerra.
Parigi infatti si è liberata dall’occupazione tedesca. Rispetto a
prima della guerra, ora la città ha
nuovi eroi, nuovi idoli, anche in letteratura e in filosofia. Ora, soprattutto
c’è Sartre e il suo esistenzialismo a influenzarne il pensiero. Verso di lui Malaparte nutre istintivamente un profondo disprezzo. È colpevole ai suoi occhi di aver esercitato l’arte francese per eccellenza «di volgarizzare, di rendere piacevole, comprensibile, alla portata di tutti, di rendere salottieri, di mettere alla moda le teorie, i problemi, le idee degli altri popoli. Di ridurre in profumo il fango di certi pesci […] Sartre ha scritto, insomma, L’existentialisme pour les dames […]. Non è con questo
ritorno ai vecchi sistemi che la Francia tornerà ad avere il
primo posto nella cultura europea»2. E il nostro scrittore
ricorda come, tra i primi, con la collaborazione di Moravia, all’esistenzialismo avesse dedicato un numero unico
di “Prospettive” presentando per la prima volta in Italia le
nuove idee filosofiche, attraverso gli scritti dei «migliori
cultori di Jaspers e Heidegger». Per aggirare la censura
22
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
Le prime pagine di alcuni capitoli delle Mémoires de Gino Bartali (a sinistra il primo, a destra l’ultimo), dall’Archivio BvS
aveva intitolato il fascicolo (n. 34-36, 15 ottobre-15 dicembre 1942) Le ultime anime belle, riuscendo così a pubblicare testi di Kierkegaard e Heidegger (scelti e annotati
da Emilio Oggioni), Galvano Della Volpe e Nicola Abbagnano.
Sartre, poi, ha la colpa gravissima di aver corrotto
la gioventù – gioventù che per Malaparte è sacra e va
mantenuta integra –, introducendo il marxismo, l’omosessualità…
Ma… questa è un’altra storia!
Cosa c’entra invece Malaparte con Bartali? Cosa
hanno in comune il campionissimo di Ponte a Ema e lo
scrittore pratese, oltre a essere nati sulle sponde dell’Arno, «il fiume divino che trapassa il cuore di Firenze come
una freccia scagliata al rallentatore»?
Da pochi giorni la nostra Biblioteca ha acquisito
una serie di documenti di Curzio Malaparte che arricchiscono il già ricco Archivio. Si tratta per la maggior
parte di lettere indirizzategli da vari personaggi, di al-
cuni suoi dattiloscritti e delle bozze di stampa del Don
Camaléo, romanzo satirico su Mussolini («una satira
nella tragedia e una tragedia nella satira») scritto nel
1928 e apparso a puntate su “La Chiosa”, supplemento
del “Giornale di Genova” e poi, parzialmente, su “L’Italiano” di Longanesi. Queste bozze sono molto importanti perché, probabilmente composte subito dopo
la stesura del testo per uscire con i tipi de La Voce, differiscono dall’edizione di Vallecchi del 1946.
Accanto a questi scritti, indubbiamente malapartiani, una cinquantina di veline, scritte a macchina, raggruppate in undici capitoli ben distinti. Sembrano bozze per
articoli, il titolo generale che si ripete a ogni primo foglio è
Les Mémoires de Gino Bartali. Queste Mémoires sono scritte
in francese; ogni capitolo è completo di titolo e sottotitolo; ognuno riporta in calce la firma: Gino Bartali. Nell’ultimo, inoltre, la parola “Fin”. Con loro, è stata conservata
una serie di ritagli di giornali francesi su Fausto Coppi.
Pare strano trovarli insieme alle carte di Malaparte,
ma non più di tanto. Lo scrittore pratese in una serie di articoli sul Tour del 1949, usciti sulla rivista francese “Sport
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
Digest”, si occupa di biciclette e corse ciclistiche per raccontare agli sportivi d’oltralpe della finta rivalità tra Coppi e Bartali3. Lo fa con grande professionalità confessando
che per lui la bici è una passione, un modo di vivere che appartiene materialmente e idealmente a un mondo antico
che lui ama e che vede con tristezza scomparire gradualmente nel dopoguerra.
È seriamente rammaricato quando scopre che non è
un’invenzione italiana: lo viene a sapere tardi, a Leeds, in
Inghilterra, ammirando la statua di un signore in redingote che regge con una mano il manubrio di una bicicletta.
Come può non essere italiana, si domanda… «In Italia la
bicicletta appartiene a pieno titolo al patrimonio artistico
nazionale, esattamente come la Gioconda di Leonardo, la
cupola di San Pietro o la Divina Commedia […] In Italia, se
per caso dite che la bicicletta non è stata inventata da un
italiano, intorno a voi gli sguardi si faranno cupi e sui volti
calerà una maschera di tristezza». E poi aggiunge: «Guardate la forma del manubrio, ricurvo come le antenne di un
insetto, e quelle due ruote che tanto ricordano il famoso
cerchio tracciato con un solo tratto di carboncino, su una
pietra, da un piccolo pecoraio di nome Giotto. (Era nato
vicino a Firenze, Giotto, e dunque era un compatriota di
Bartali). Che cosa significherebbe, la bicicletta, se fosse
un geroglifico scolpito in un obelisco egizio? Esprimerebbe il movimento o il riposo? Il fuggire del tempo o l’eternità? Non mi stupirei se significasse l’amore».
È talmente devoto alle due ruote che negli anni Cinquanta, Malaparte progetta addirittura l’attraversamento
degli Stati Uniti coast-to-coast, da New York a Los Angeles, in sella a una bici da corsa, con tanto di sponsorizzazione della Coca Cola (pare abbia addirittura calcolato il
fabbisogno personale della celebre bevanda: 2000 bottigliette ). Si allena severamente e con applicazione, sul tetto della casa di Capri, a volte accompagnato dai volteggi di
una ballerina americana: sono famose le foto che lo ritraggono in questi “duri” momenti… Il proposito dello scrittore, con il suo tour oltreoceanico, era quello di protestare
contro l’eccessiva motorizzazione nel mondo, negli USA
in particolare. Sempre lungimirante e attento ai mutamenti storici e sociali, dopo aver previsto l’ascesa di Hitler
nel suo La Technique du coup d’état, la crescita industriale
dell’Estremo Oriente, ha anche previsto con largo anticipo l’inquinamento delle città per via delle auto! E sì che le
auto gli piacciono, soprattutto quelle sportive, scoperte,
veloci…
Ma torniamo alla citazione dell’inizio. Vi è una sin-
23
L’inizio del dattiloscritto della prefazione del Journal d’un
étranger à Paris, dall’Archivio BvS
golare analogia del primo capitolo delle Mémoires del corridore con l’inizio del malapartiano Diario di uno straniero
a Parigi. Difficile dire a prima vista se quelle pagine sono
farina del sacco del nostro scrittore, però certi artifici retorici, le ripetizioni delle frasi e delle parole a incalzare il
ragionamento, una indiscutibile padronanza nel descrivere Parigi con la città che si staglia imponente sullo sfondo del trionfo sportivo, tutto ciò fa pensare che il testo
possa essere di Curzio, magari scritto a due voci, se non a
quattro mani, con il grande corridore.
Anche il carattere generale delle Mémoires di Bartali
sembra aderire a quanto scrive Malaparte nell’Abbozzo di
una prefazione del Diario: «Ogni “diario” è ritratto, cronaca, racconto, ricordo, storia. Note prese giorno per giorno non sono un diario: sono momenti scelti a caso nella
corrente del tempo, nel fiume del giorno che passa. Un
“diario” è un racconto: il racconto di una Tranche de vie 4
(definizione del romanzo di una celebre scuola), di un periodo, un anno, molti anni, della nostra vita. E come la vita
segue la logica d’un racconto, ha un inizio, uno sviluppo,
una conclusione (una vita è una serie di inizi, di sviluppi, di
24
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
conclusioni, all’interno del cerchio chiuso dell’inizio,
dello sviluppo, della conclusione della vita, nel cerchio
della vita)»5.
Così, anche per il ciclista, le Mémoires raccontano
come e perché è salito su una bicicletta, come è diventato
un campione, come ha vinto il suo secondo Tour a distanza di dieci anni dal primo, come la guerra gli abbia cancellato gli anni migliori, la sua fede nella Provvidenza. Nessun trionfalismo, nessuna autocelebrazione, solo la consapevolezza del proprio valore e il rispetto per quello degli
altri, fossero su due ruote oppure no.
«L’alba è fresca…» inizia e poi, poco oltre, continua: «una cosa di cui sono sicuro: è Parigi! E Parigi profuma di buono quando si aprono le finestre di buon’ora.
Guardo l’orologio. Sono le cinque. Sono le cinque sull’orologio di Gino Bartali, “garçon” di Toscana, che ha appena vinto il Tour de France…». Sembra di rileggere le parole dell’Arcitaliano quando narra del ritorno nella Ville
Lumière e scrive: «Un odore di pane arrostito saliva dalla
strada, e quell’odore fresco del selciato umido, quel sottile
odore dell’aria di Parigi all’alba, quando la polvere si risveglia e svanisce…»6.
Gli 11 capitoli delle Mémoires di Gino Bartali, hanno i seguenti titoli e sottotitoli:
1 – Un professore di Firenze mi ha garantito che
avevo 15.000 chilometri nelle gambe. È per questo che, a
34 anni, ho voluto rivivere un sogno;
2 – Il primo visionario che ho conosciuto saliva al
Paradiso in bicicletta. Le sue parole rivelarono la mia vocazione, ma non sono assolutamente più del suo parere;
3 – Il popolo italiano mi vuol far pagare la mia gloria, ma per esso farò un sacrificio di cui non si potrà dubitare. La benedizione del Papa mi è valsa degli insulti e mi
han dato del traditore per il mio amore per le Fiandre;
4 – “Entro nove giorni, Gino Bartali morirà, avrà
una meningite o sarà tubercoloso” dichiarò nel 1937 il
professor Tognini. Ma dopo, mi ha detto che il mio organismo raggiungerà la quasi perfezione nel 1950;
5 – Nella mia cappella privata di Firenze, vestito da
carmelitano, prego per l’anima di mio fratello morto tragicamente. Tutte le autorità ecclesiastiche si fermano da
me, ma non sono austero: sono un terribile chiacchierone;
6 – La prima volta che ho visto il Papa, gli ho regalato una bicicletta da donna. Il cardinale Mella si è divertito
con il campanello e il Santo Padre mi ha ringraziato. Ma è
un missionario cinese che gira su quella bicicletta;
7 – Nessuno conosce il mio vero volto perché i miei
tratti attuali sono stati ricostruiti dal chirurgo del maresciallo Balbo. “Gueule cassée” del ciclismo, sono anche
Sartre a passeggio per Parigi e le copertine delle edizioni italiana e francese del Diario di uno straniero a Parigi
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
una vittima della guerra, perché la
sua dichiarazione mi privò del titolo
di campione del mondo;
8 – Il prestigioso Fausto Coppi,
mio amico, “rivale e carnefice”, è stato all’origine della mia seconda carriera. Mio supremo orgoglio è quello
di non lasciargli a nessun costo il ruolo di “uomo di ferro”;
9 – Non ho annientato nessuno
in questo Tour de France, dove Bobet, eroico e presuntuoso, si è distrutto da solo. Il mio miglior ricordo sarà
quello d’essere stato il “maestro” del
piccolo Col de Porte. Un ben misero
exploit!
10 – Nel 1940 mi hanno dato un
fucile… che doveva portarmi in prigione e poi davanti al Tribunale di
guerra. Le ragazze audaci passano il
loro tempo con me. Ho sposato
Adriana perché ha saputo nascondere il nostro amore per quattro anni;
11 – In corsa sulle strade di Romagna ho dovuto trattare con Guerra lo strano contratto della mia gloria
25
Sopra: ritagli di giornali francesi
su Coppi; a sinistra, Malaparte
in sella sua bici da corsa,
dall’Archivio BvS
di campione. Avevo 21 anni… Questo dialogo toccante e indimenticabile ispirerà formalmente la fine della
mia carriera sportiva.
Malaparte prova per Bartali
un’amicizia fraterna per la toscanità
che li accomuna e che caratterizza lo
spirito polemico di entrambi. Il testo
dei suoi articoli sul ciclismo comincia
proprio da Bartali. Gino è per lui il
corridore che meglio e più di tutti
esalta le capacità umane, «campione
di un mondo già scomparso, il sopravvissuto di una civiltà che la guerra ha ucciso». Coppi, al contrario, è
una macchina che corre per vincere.
L’anno delle Mémoires è il 1948,
anno delle elezioni e dell’attentato a
Togliatti. In questi scritti non si trova
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la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
Malaparte a Parigi nel 1948 ritratto col bassotto Pucci dall’amico Doisneau, dall’Archivio BvS
conferma della telefonata di De Gasperi che lo spinge a
vincere il Tour per l’Italia tutta, soprattutto per sviare l’attenzione dal drammatico gesto di un giovane studente
che aveva cercato di uccidere il segretario del Partito comunista. Gianni Mura, nella nota al testo di Malaparte su
Coppi e Bartali, scrive: «Il 14 luglio 1948 lo studente Pallante attenta alla vita di Togliatti (che, a differenza di
Gramsci, stimava Malaparte). Si teme un’insurrezione.
Bartali non sa nulla. Il Tour riposa a Cannes. Gino è in
spiaggia con la squadra. Dall’albergo gli vengono a dire
che c’è una chiamata urgente dall’Italia. È Alcide De Gasperi, che gli spiega in fretta la situazione e gli chiede: “Gino, puoi vincere il Tour?”. “Sono indietro in classifica, ma
la tappa di domani sì, la posso vincere, e poi si vedrà”»7.
Le Mémoires riportano diversamente l’episodio.
Nel sesto capitolo, Mala-Bartali (o chi ha veramente scritto questa autobiografia) racconta di come siano diffusi tra
gli sportivi amuleti e superstizioni. Bartali dice di non
averne mai portati. Anche se ammette di conservare
un’autentica reliquia di Santa Teresa del Bambin Gesù in
una medaglietta. Gli è stata regalata dalla sorella di Bernadette Soubirous, la pastorella di Lourdes, quando andò in
pellegrinaggio al Carmelo di Lisieux nel 1937. La indossa
sempre, anche quando dorme. L’aneddoto riconduce al
tema della religione, della fede incrollabile del corridore
che lo porta a dire che la classe di un campione è solo la divina volontà che si concretizza nella macchina umana in
un perfetto equilibrio organico. Fede che lo porta più di
una volta al cospetto del Santo Padre. La prima volta,
mentre si reca nelle stanze ponitificie a visitare Pio XII,
sente le gambe come «due fragili colonne di cristallo».
Poi, dopo che il papa lo chiama «“figlio mio”, tutte le paure svaniscono per far posto a una pace angelica». Alla fine
del racconto della visita al papa (durante la quale il corridore porta in dono una bicicletta al Santo Padre che a sua
volta ne fa dono a un missionario cinese), Bartali ci parla di
Un telegramma di De Gasperi mal interpretato.
Da Lourdes dove è arrivato con il Tour scrive al
papa, «come ho scritto ugualmente a De Gasperi». E
continua: «A questo proposito, tengo a precisare che è
falso che De Gasperi mi abbia inviato un telegramma di
felicitazioni, diciamo così, perché le mie vittorie avevano contribuito a riportare la calma in Italia. Il popolo
italiano era sovraeccitato per l’attentato di cui era stato
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Bartali e Coppi: al Giro del 1952 e prima di una partenza di tappa al Tour
vittima Togliatti; ma le mie vittorie non avevano distratto il popolo da questo fatto. Vorrei poter mostrare
il messaggio che mi ha inviato De Gasperi quando ero a
Cannes, cioè prima delle Alpi. Nel momento preciso
della resurrezione di Louison Bobet durante la tappa
Sanremo-Cannes, ero stato oggetto di una serie di scetticismi da parte di tutta la stampa sportiva italiana (di
cui darò prova in un prossimo articolo)».
«Sfortunatamente, non potrò mai rendere pubblico questo telegramma, perché mi fu sottratto da un
giornalista disonesto che avevo ricevuto nella mia camera durante la giornata di riposo a Cannes». Poi, tornando a parlare della fede, dice: «La risposta del Santo
Padre mi arrivò mentre ero a Mulhouse. Era un incoraggiamento, un autentico atto di fede nella mia vittoria finale tale che mi turbò. Mai avevo percepito così
fortemente, durante una gara, il suo sostegno paterno.
Da Parigi, gli inviai il seguente messaggio di riconoscenza: “I buoni auguri e la benedizione di Vostra Santità mi hanno guidato sulla strada della vittoria. Ringrazio Vostra Santità della paterna benevolenza e rinnovo
il mio omaggio filiale”».
Tra sport, fede e politica, il racconto della sua corsa continua: «… A Tolosa, per esempio, dopo i Pirenei
ero molto inquieto per i 18 minuti di ritardo che avevo
su Louison Bobet […] La sua resistenza in montagna
mi aveva enormemente sorpreso. Per ben che avessi
fatto l’Aubisque e il Tourmalet – poiché avevo fissato
l’ora del mio riscatto sulle Alpi – avevo anche vinto a
Lourdes e Tolosa. Ma Bobet aveva terminato con me.
Era quindi anche bravo come scalatore e non solo nelle
partenze o come passista, come credevo. – Ha 23 anni,
mi han detto a Tolosa. E per la prima volta mi son sentito vecchio… coi miei venti minuti di ritardo». Sul Col
de Turini, vicino a Cannes, poi fu peggio. Il distacco sul
traguardo della cittadina della Costa Azzurra aumenta
ancora: 21’ e 28”, al di là di ogni pessimistica previsione. Secondo la stampa italiana, Gino ha perso il Tour.
La tappa successiva porta da Cannes a Briançon. Gino parte calmo verso i tre colli che animano il percorso:
Allos, Vars e Izoard. «È sull’Izoard che ho voluto fare la
mia corsa». Robic scatta da solo e accumula un minuto di
vantaggio, Bartali scende «comme un fou» lo riprende
presto, e lo supera quando ormai è «épuisé de froid»; in
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la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
volta appesa la bici al chiodo, non abpoche decine di chilometri lo stacca
bia continuato a raccontarci altre
di sei minuti. Nel frattempo anche il
storie e altre avventure. Le loro pagigiovane Bobet continua a perdere
ne, che sono animate da numerose
minuti: per colmo di sfortuna, a testiconsiderazioni personali e da anedmonianza dello sforzo cui si sottopodoti vari, ci restituiscono l’immagine
neva per cercare di non farsi staccare
di un campione non solo dei pedali
dal toscano, gli si rompe l’asse dei pema anche di umanità e bontà. L’imdali. All’arrivo, avrà mantenuto solo
magine veritiera che di lui Malaparte
un minuto o poco più di vantaggio.
aveva e raccontava.
All’indomani, il colle del GaliNel nostro ricordo, Bartali è
bier, tra i più alti del Tour, vede attacrimasto purtroppo schiacciato dacare Bobet; Bartali rintuzza con calgli stereotipi tramandati da certa
ma olimpica i suoi tentativi. Sul Col
stampa che si ostinava a contrapde Porte, all’uscita di Grenoble, l’aBartali e Coppi si scambiano la
porlo a Coppi e dalla televisione
poteosi: Gino sfrutta il treno di un
borraccia al Tour del 1952
che, soprattutto nella parte finale
gruppo di corridori – tra cui Schotte,
della sua vita, lo volle ridurre a simVan Dyck e l’italo-francese Fermo
patica macchietta toscana.
Camellini – supera un disfatto Bobet
Questa autobiografia, vera o presunta che sia, ci
e salendo stacca tutti. «Bobet, il mio giovane avversario,
parla di un uomo d’altri tempi. Un uomo retto, si sarebcapitolò. Era fatale. Eroico e al tempo stesso presuntuoso,
be detto allora, giusto e pio, innamorato della sua famiaveva rifiutato di fare il suo apprendistato in una corsa a
glia e del suo lavoro, quello del ciclista, perché lo sport a
tappe ». La corsa è stata durissima: di 140 corridori alla
questi livelli è un lavoro, magari breve, ma sempre lavopartenza, in fondo ne arrivano solo 44.
ro: per lui durò venti anni, e in quegli anni vinse tutto.
A Losanna, il 18 luglio il campione italiano vince la
Bartali fu sempre coerente con se stesso anche nei
tappa e consolida il vantaggio in classifica nel giorno del
momenti più drammatici della sua vita. Un uomo così
suo 34 ° compleanno.Lo stesso giorno in cui, dieci anni
non poteva che piacere a Malaparte che (al di là di facili
prima, aveva vinto a Marsiglia. L’anno dopo arriverà sespeculazioni di chi, pur vicino a lui o da lui beneficiato,
condo dietro all’amico Fausto Coppi.
riuscì ad avvelenarne la memoria e a intorbidarne la fiSi dice che Bartali abbia salvato l’Italia da una guerra
gura) fu sempre fedele al suo pensiero.
civile: di certo la sua vittoria in Francia contribuì a calma“Uomo come me” avrebbe detto lo scrittore, che,
re la gente e a trasformare in euforia la rabbia che covava
se queste pagine ha dedicato al campione o con lui le ha
negli animi. L’impresa di Bartali alla trentacinquesima
concepite, nello sportivo vede l’Uomo che pur conoedizione della Grande Boucle rimane comunque nella
scendo a volte la sconfitta, riesce sempre a risollevarsi
storia del ciclismo mondiale.
rimanendo se stesso, tanto da restare umile anche nel
trionfo.
Il racconto delle Mémoires è vivace, appassionante:
Di questa leale coerenza sicuramente Malaparte
le avesse scritte Bartali da solo, è un vero peccato che, una
pagò pegno, durante la vita e anche dopo.
NOTE
1
C. Malaparte, Diario di uno straniero a
Parigi. Firenze, Vallecchi, 1966; p. 14.
2
C. Malaparte, Diario…, op. cit.; p. 82.
3
C. Malaparte, Coppi e Bartali. Con una
nota di Gianni Mura; Adelphi, Milano 2009;
56 p., 5,50.
4
Il termine tranche de vie venne usato per
la prima volta in Francia da Hippolyte A. Taine
riferendosi a Balzac e passò poi a definire la
“poetica” del naturalismo.
5
C. Malaparte, Diario…, op. cit.; p. 9.
6
C. Malaparte, Diario…, op. cit.; p. 15.
7
C. Malaparte, Coppi…, op. cit.; p. 49.
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
29
inSEDICESIMO
S P I G O L AT U R E – C ATA L O G H I – L’ I N T E RV I S TA D ’ A U T O R E –
RECENSIONI – MOSTRE – ASTE
TORNANO I “LIBRI IN SCENA”
AL TEATRO DI VERDURA
Riapre il giardino milanese della Cultura
di sonia corain
ome ogni estate, riapre nel
giardino di via Senato il Teatro di
Verdura, per la consueta serie di
Incontri, conferenze, presentazioni che
hanno come protagonista un libro, che
parli di arte, cultura, teatro,
mantenendo fede al tema che da
sempre è il sottotitolo della rassegna
promossa dalla Fondazione Biblioteca di
via Senato: Libri in scena.
Si inizia, come d’abitudine, a metà
giugno con i primi tre di cinque
appuntamenti sul tema dell’Utopia, una
delle tematiche più care alla Biblioteca
di via Senato, che ne conserva una delle
più vaste collezioni private d’Italia.
Ognuno di questi appuntamenti
prevede la lettura e il commento di un
testo conservato presso la nostra
Biblioteca, a cura di Gianluca
Montinaro, con la presenza di
importanti studiosi, giornalisti e critici,
da Claudio Bonvecchio a Lorenzo
Braccesi e Carlo Carena, da Alessandro
Sallusti a Valerio Massimo Manfredi,
Paolo Mieli, Stefano Zecchi.
Tra giugno (13 – 18 – 20 giugno)
e settembre (18 e 19 settembre)
saranno trattati i seguenti testi di
riferimento: G. Botero, Della ragion di
stato libri dieci, con tre libri delle cause
della grandezza, e magnificenza delle
C
INFORMAZIONI
Tutti gli Incontri al Teatro di
Verdura - Libri in scena 2012 sono a
Ingresso libero
SENZA PRENOTAZIONE
fino ad esaurimento posti
Per questioni di ordine pubblico si
invitano gli spettatori a presentarsi
in via Senato 14 non prima delle
ore 20.30, orario di apertura del
portone.
L’accesso è consentito solo fino
all’inizio degli Incontri
In caso di pioggia gli Incontri
saranno sospesi
Per informazioni
tel 02.76020794
www.bibliotecadiviasenato.it
città di Giovanni Botero Benese. In
Venetia, appresso i Gioliti. 1589;
Alessandro Magno nel quale si tratta
delle guerre che fece, e come conquistò
tutto il mondo. In Verona & in Padova
per Sebastiano Sardi. 1648; N.
Machiavelli, Il principe de Nicolo
Machiavelli, al magnifico Lorenzo di
Piero de Medici, 1537; E. Roterodamus,
De libero arbitrio Diatribe. Basileae apud
Ioannem Frobenium, anno 1524. Mense
septembri; B. Croce, Aesthetica in nuce,
Milano, Vanni Scheiwiller, 1966 (ed. a
tiratura limitata, n. 60/200).
Altra prestigiosa collaborazione è
con l’ISPI (Istituto per gli Studi di
Politica Internazionale), che promuoverà
tre incontri (4 – 10 e 11 luglio) a cura di
Paolo Magri riguardo al tema della
“Primavera araba”, gli interrogativi sugli
sviluppi politici interni dei paesi
coinvolti e la ridefinizione degli equilibri,
visti i cambiamenti in corso nell’area.
Il tema del diritto ricorrerà anche
nell’appuntamento proposto da Sua
Em.za il Cardinale Coccopalmerio, che
illustrerà e commenterà il discorso di
Papa Benedetto XVI al Parlamento
Federale Tedesco.
L’ultima grande diva del nostro
tempo, la Signora del teatro italiano,
Valentina Cortese, partendo dalla sua
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
© Marco Campoglioni
30
autobiografia, il 14 giugno racconterà
Quanti sono i domani passati in un
susseguirsi di ricordi, aneddoti, parole
poetiche riguardo alla sua straordinaria
vita di attrice tra cinema e teatro
internazionale.
Partiranno dai libri per estendere
il discorso all’arte, al teatro, alla musica
Enrico Beruschi che l’1 agosto proporrà
con Alessandro Gnocchi un nuovo
appuntamento sul genio comico di
Giovannino Guareschi dopo il successo
del Corrierino delle Famiglie della scorsa
Stagione; Beruschi farà anche da
precursore alle celebrazioni in onore di
Giuseppe Verdi (mercoledì 25 luglio) con
una serata “in-canto” con l’aiuto di
giovani talenti della lirica italiana tra
parole, digressioni e pensieri A Milano
con Verdi.
Davide Rondoni (lunedì 16 luglio)
presenterà Nell’arte, vivendo, un viaggio
tra poesia e prose sull’arte da
Michelangelo ai contemporanei.
Philippe Daverio, infine, illustrerà il suo
Museo Immaginato (giovedì 6
settembre), che è il luogo dove le muse
possono seguire l’ipotesi di un’idea.
Il professor Daverio sarà presente
anche il 3 luglio per una “chiacchierata”
riguardo al teatro, tentando di
rispondere alle domande: come l’Arte
rappresenta il Teatro? E quanto Teatro
c’è nella creazione dell’Arte? Perché le
due muse non sono forse poi così
distanti tra loro.
Di arte parlerà anche la
professoressa Alberta Gnugnoli (martedì
26 giugno) in una conferenza che
prende spunto dalla mostra Americani a
Firenze. Sargent e gli Impressionisti del
Nuovo Mondo, allestita a Palazzo Strozzi
di Firenze fino al 15 luglio 2012. Un
breve excursus sull’impressionismo
americano, che prosegue e
approfondisce il discorso
sull’Impressionismo iniziato l’anno
scorso con Gli impressionisti e la
trasgressione dello sguardo.
Tornano, poi, al Teatro di Verdura
due attori-registi che, come ogni anno,
propongono una serata che prende
spunto dalla grande letteratura: Antonio
Zanoletti presenterà le Novelle di
Pirandello in un percorso che dalla
Madre Terra si allontana fino alle
atmosfere rarefatte e misteriche legate
ai miti della Luna. Corrado d’Elia
affronterà, invece, l’Odissea in quanto
viaggio di noi stessi verso ciò che è
“ritorno a casa”, cioè ritorno alla nostra
essenza più profonda e al senso stesso
del viaggiare.
Incontri al Teatro di Verdura Libri in scena 2012: un’altra estate
milanese all’insegna della Cultura.
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
ET AB HIC ET AB HOC
«Caro Malaparte…» Lettere a Battibecco
tra le pieghe dei mali italiani
di laura mariani conti e matteo noja
Battibecco. Noto per Kaputt e La
Pelle, Curzio Malaparte fu anche un
arguto e tenace polemista. Sulle pagine
del settimanale “Tempo” tenne per
quattro anni, dal 1953 alla sua morte, nel
1957, una rubrica dal titolo Battibecco.
Così cercava di prendere le parti di chi
non aveva voce, di un’Italia diversa da
quella che Carducci chiamava “la patria di
lor signori”. «L’italia in cui credo – scriveva
nella prefazione alla raccolta dei suoi
interventi – […] è l’Italia degli uomini
semplici, onesti, buoni, generosi, chiusi da
secoli in quella “prigione gratis” della
miseria e della delusione, delle leggi
borboniche e degli arbitrii polizieschi, dei
privilegi di classe e della corruzione
amministrativa, che “lor signori”
chiamano libertà italiana». Il successo fu
enorme: moltissimi cittadini gli scrissero
proponendogli il proprio caso. La mole
della posta ricevuta fece sì che lo
scrittore, grazie all’amico ministro
Tambroni, facesse istituire presso il
Ministero degli Interni un apposito ufficio
per sbrigare le pratiche più urgenti.
Citiamo dalle lettere conservate in
Archivio, così come scritte.
Agricoltura in ginocchio. […] Oso
scriverle per renderla edotta della
situazione creatasi in provincia di Foggia
in conseguenza del raccolto deficitario di
questi due anni. Sono un modesto
agricoltore e sento tutto il dolore, direi
anche la vergogna, di non poter far
fronte ai miei impegni. Come me quasi
tutti gli agricoltori di qui sono in
difficoltà… Con il Credito Agrario
d’esercizio non si risolve niente.
Occorrono prestiti pluriennali a basso
tasso d’interesse [Un agricoltore dauno
suo ammiratore, 19.8.56].
Immigrazione. […] Un padre che
abbia un attività propria, azienda,
negozio, industria, ecc. cerca o fa il
possibile da mettere a lavorare i propri
figli, poi occorendo più manodopera,
prende altri. Così dovrebbe fare un
Governo, una provincia, un Comune,
invece quà in Italia và tutto a rovescio.
Quelli che hanno fatto qual’cosa di male
oltre cortina, Giuliani, Dalmati ecc.
scappano vengono a rifugiarsi in Italia, il
quale trovano lavoro, impiego e casa
bene allogiati, credo che fanno questo
perché dicono bene dell’Italia, il quale noi
italiani siamo costretti a dire male, molto
male, avendo qui migliaia di disoccupati
impiegati, maestri che non lavorano mai,
mentre loro subito a posto… [Un lettore di
Battibecco, senza luogo e senza data].
Assenteismo parlamentare. I
giornali odierni hanno riferito dell’elogio
rivolto dal Capo dello Stato ai deputati e
ai senatori per il loro comportamento in
genere, sempre e tutto dedicato al
benessere della nazione. Mi dica la verità:
l’elogio non le sembra leggermente
inopportuno, proprio all’indomani della
bella prova offerta dagli onorevoli del
Parlamento in occasione della discussione
del bilancio dei lavori pubblici, quando
cioè dopo aver apposto la firma sul
registo delle “presenze” (totale 177), si
presentarono poi all’assemblea in numero
notevomente ridotto (totale 4)? [Un suo
vecchio ammiratore, Torino 13.7.56]
31
Il nemico pubblico n. 1. […] Come
scrive lei ecco il nemico n. 1: Roma – lo
Staato – lui può rubare noi no. Anche sul
sangue delle sue vittime. In questo
momento il capo dei ladri è Gaava
[Criminale di guerra matricola 552985,
Casarsa della Delizia (PN), senza data].
I ladri? Tutti in taxi. […] Io sono
per la legge, un pericoloso individuo, e
sa il perché? Perché pensano ch’io
faccia dei furti sopra i tranvi, e per
questo non ho un minuto di pace, non
passa giorno che non vengo fermato, e
mi è stato detto che debbo prendere, o
il tassi o debbo camminare a piedi.
Possibile che un individuo non può
camminare per la città nativa? Gli faccio
presente che ciò non accade solo a me,
accade a tutti coloro che hanno avuto a
che fare con la legge, cioè
borseggiatori… [Mario C., Roma 25.7.56]
Scritto di suo pugno. Il pugno che
scrivi è pugno di agricoltore assiduo
lettore […] mi scusi se mi avanzo a
scriverci queste male scritte parole. (Lei
dice che l’on. Fanfani ha vinto il Giro di
Sicilia) Mà a mi parere mi sempra che
ha perso il giro politico nazionale – Non
ci sempra? Speriamo che a furia di
fanfanate; non perdiamo il giro della
democrazia politica. Che cosa
dovessimo dire noi disoccupati…
assistento a questa specie di
(chiarificazione) al Partito di
maggioranza, ma più che altro
Democratico Cristiano. Adesso mi
ravvedo, ah si… è il Popolo indegno di
vivere in Regime di Democrazia Politica,
è il Popolo che commette gli errori.
Quanto bene che ci viene infece da
parte dei Santoni. Credo che questo mio
povero scritto, lei non l’abbia a malo il
mio povero esprimermi. Se lo crede
gradibile di ricevere tanti Distinti saluti
di un’operaio [Lettera firmata, Chiusa
Sclafani (PA) 27.6.55]
32
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
IL CATALOGO
DEGLI ANTICHI
Libri da leggere
per comprare libri
di annette popel pozzo
OPULENZA CONDIVISA:
L’ECONOMIA NEI LIBRI
Il catalogo on-line, preparato per la
mostra mercato del libro antico a Londra,
si presenta come un curioso, ma
interessante mix di titoli d’argomento
economico-finanziario, inteso però in
senso lato. Poco comune è la prima
edizione di Luigi Arduino (1759-1833,
professore di agraria e direttore del
Giardino Reale di Agricoltura
dell’Università di Padova, Ispettore delle
piante tintorie) sull’Istruzione sull’olco di
cafreria (Padova, Penada, 1811)
contenente una tavola incisa e ripiegata
(brossure originali, £ 325). La sua scoperta
sull’estrazione dello zucchero dall’olco
cafro (pianta dello zucchero di sorgo
proveniente dall’Africa ma adattandosi
bene al clima europeo) era fondamentale
per l’epoca, considerando la dipendenza
degli europei dall’America e pensando che
si tratta di un dolcificante più economico
rispetto allo zucchero di canna. Antonio
Marsand – ricordato dai bibliofili
soprattutto per I manoscritti italiani della
Regia Biblioteca parigina (Parigi, 18351838) – prepara due anni dopo la
princeps del 1811 una versione francese
della dissertazione di Arduino (Mémoire
sur le sucre d’olcus-cafer et sur l’origine, le
progrès de l’état actuel de cette
découverte de M. Arduino de Padoue,
Parigi, 1813).
Altra opera rara è la prima e unica
edizione di Mauro Boni, Lettere sui primi
Libri a Stampa di alcune Città e Terre
dell’Italia superiore parte sinora
sconosciuti parte nuovamente illustrati
(Venezia, Carlo Palese, 1794; £ 1.250),
nella quale l’Autore (1746-1817) si dedica
ai primi monumenti tipografici dell’Italia
del nord, prevalentemente di Genova,
Pavia e Brescia. Particolarmente curiosa è
anche la prima edizione italiana di
Eustache Le Noble, Carta Topografica
dell’Isola del Maritaggio di Monsieur Le
Noble per la prima volta tradotta dal
Francese in Italiano (Cosmopoli, 1765; £
1.450). Il volume, arricchito da una tavola
ripiegata raffigurante l’allegoria dell’isola
del matrimonio e presentandosi come
una classica guida, non nasconde lo
scopo satirico sull’amore e sul
matrimonio.
Un metodo scientifico e sicuro per
vincere all’estrazione del lotto presenta
Fortunato Indovino con il suo Il vero
mezzo per vincere all’estrazione de’ lotti O
sia una nuova Lista Generale Contenente
quasi tutte le voci delle cose Popolaresche
appartenenti alle visioni e sogni, col loro
Numero. Esposte per ordine Alfabetico.
Opera di Fortunato Indovino, da esso
estratta dai Vecchi Libretti dell’Anonimo
Cabalista, e di Albumazar da Carpentieri.
Accresciuta di 985 voci ed ora in questa
ultima edizione se ne aggiungono altre,
oltre delle 90 ... Edizione Nuovissima con li
Numeri di tutte l’e trazioni passate sino a
quella seguita li 5. Agosto 1809. e la
nuova Tariffa in Lire Italiane a norma del
Decreto per qualunque Gioco. V’è annesso
il giuoco Romano, e i Numeri delle
Contrade (Venezia, Silvestro Gnoato,
1809). L’Ermamfibio ossia l’uomo
passeggiatore terrestre ed acquatico.
Descrizione d’una macchina che potrà
chiamarsi efidroforo dall’officio cui è
destinata, di portar l’uomo sulle acque
(Milano, Pirola, 1785; £ 1.200) di Agostino
Gerli si basa su una curiosa invenzione
che permetteva agli uomini di galleggiare
sull’acqua e di spostarsi stando eretti.
“L’attività dei fratelli Gerli proseguì con la
costruzione nel 1785 di
un’apparecchiatura ispirata a progetti di
Leonardo da Vinci e denominata
‘ermamfibio’, atta a trasportare l’uomo
per le acque, consentendogli, allo stesso
tempo, di camminare per le strade. Con
tale apparecchiatura, dopo un primo
collaudo nel laghetto della villa reale di
Monza, alla presenza dell’arciduca
Ferdinando d’Austria, gli inventori
passarono il fiume Po tra Pavia e Piacenza
e il Danubio a Vienna.” (DBI 53, p. 435).
Poco comune è anche la prima
edizione Regolamento sulla Istituzione del
Corpo dei Carabinieri Pontifici, legata
insieme all’opera Sentimenti morali e brevi
Istruzioni per un Carabiniere di Vincenzo
Galassi. Entrambi volumi stampati a
Roma da Poggioli nel 1816 (£ 1.250)
riguardano il Corpo dei Carabinieri
Pontifici, voluto dal cardinale Consalvi. La
polizia papale doveva essere formata sulla
base della gendarmerie napoleonica. La
prima edizione del Saggio di macchine
relative alla luce intermittente dei fari
tanto a olio che a gas di Giovanni Aldini
(Modena, 1825; £ 3.400) riflette l’insolito
tentativo del fisico italiano e nipote di
Luigi Galvani sull’elettricità e
l’illuminazione.
Susanne Schultz-Falster
Catalogue Shared Wealth – Olympia
Book Fair, Londra, 2012
22 Compton Terrace
London N1 2UN (United Kingdom)
http://www.schulzfalster.com/fairs/fair61.pdf
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
IL CATALOGO
DEI MODERNI
Libri da leggere
per comprare libri
di matteo noja
DAL GIOCO AL MASSACRO
ALLE AVANGUARDIE
Libraire L’Arrondi - Thomas Rossignol
Catalogue n. 2
Secondo catalogo per Thomas
Rossignol della Librairie L’Arrondi. Come
nel precedente ci offre una serie di libri
d’artista con litografie e documenti
originali. Ci colpisce tra questi volumi,
la rara edizione di Jeu de massacre. 12
personages à la recherche d’une di Fred
Deltor con prefazione di Henri Barbusse
[Bruxelles, Éditions Socialistes, (1928);
€ 6.900]. Si tratta di una raccolta di 12
pochoirs a colori ritoccati in argento e oro,
che presentano, dietro una copertina che
raffigura un teatrino da fiera, una galleria
di marionette che personificano i nemici
del socialismo: il militarismo, la proprietà,
la filantropia, la socialdemocrazia, la
giustizia, la colonizzazione, il fascismo, la
spiata, il parlamentarismo, lo spirito
medio, la religione, lo sciovinismo.
L’artista, il cui vero nome è Federico
Antonio Carasso (Carignano, Torino, 1899Amsterdam 1969), usò per i lavori su carta
lo pseudonimo di Deltor (da “del Torino”).
Operaio a 13 anni nelle officine della Fiat,
per sostenere il padre falegname, maturò,
soprattutto prestando servizio come
soldato durante la guerra di Libia nel
1917, idee anarco-comuniste e pacifiste.
All’avvento del fascismo emigrò dapprima
a Parigi, poi a Bruxelles, infine in Olanda.
Legato alle avanguardie alla fine degli
anni Venti, si affermò poi come scultore.
L’esemplare è completo della prefazione di
Henri Barbusse, il noto scrittore e
attivista comunista francese (1873-1935)
che definiva Deltor «il meccanico… che
sa destreggiarsi con la sintesi e ha fatto
della superrealtà».
Libraire L’Arrondi - Thomas Rossignol
8 Avenue du Général Leclerc
78220 Viroflay France
Tel. +33 (0) 1 83 59 06 43
www.librairie-larrondi.fr - email:
contact@librairie-larrondi.fr
L’ALTROVE DELLA
CONTROCULTURA
Studio Bibliografico L’Arengario
Controcultura in Italia
Altro catalogo è quello dello
Studio Bibliografico L’Arengario,
Controcultura in Italia. Circa trecento
volumi, foto, riviste e documenti
disposti in ordine cronologico. Una
cronologia di pensieri e parole che fa
emergere «una storia con le sue ragioni,
le aspirazioni, le conquiste, gli errori».
Quello che ci turba della vicenda che
per comodità siamo abituati a
etichettare con “il sessantotto” (come
nell’800 si etichettò ogni moto di
ribellione con “il quarantotto”), è che
non si è ancora conclusa. Siamo abituati
a considerare “storia” ciò che è finito,
sepolto da tempo, archiviato, non ciò
che è ancora presente. Ma allora perché
conservare questi documenti? Primo per
capire quello che è successo e che
succederà, e per trasmettere a chi verrà.
33
Poi per la rarità che deriva dal fatto che
pochi di coloro che hanno letto questi
fogli li hanno conservati. Molti se ne
sono disfatti come si fa con gli abiti
vecchi. Alla loro rarità ha contribuito
molto anche la scarsa qualità della
carta: «Ancora la carta stampata, che
diffonde e conserva i pensieri:
raramente di buona qualità, la carta,
fragile e destinata a non durare come le
parole di rabbia, d'amore e di rivolta che
veicolava». E perché Controcultura in
Italia? «La chiamiamo controcultura
perché non ha le certezze, né i carismi
estetici e morali della cultura, […]
perché, nell'essere contro, la cultura
comincia a cambiare in meglio la vita, e
lo fa con la bellezza delle parole, dei
colori, dei gesti liberati dalle
convenienze…». Molti, forse tutti, i libri
da citare: rimandiamo al catalogo che è
disponibile sul sito della libreria. E
mentre parliamo di questa, vogliamo
segnalare il blog che i fratelli Tonini
hanno creato: Touching Ideas Toccare le
idee. Non dedicato solo ai libri ma
anche ad avvenimenti, mostre,
fotografie. Tra le mostre segnalate, una
molto importante organizzata a Madrid
dalla Fundación Juan March dal 30.3 al
1.7: La vanguardia aplicada (1890 1950). «Più di 700 opere fra disegni
originali, bozzetti, fotomontaggi, libri,
riviste, illustrano la storia della
tipografia e del design grafico del ’900,
storia che coincide perfettamente con
l'evoluzione dell'avanguardia
internazionale dal futurismo a dada, dal
costruttivismo al bauhaus…».
L'ARENGARIO Studio Bibliografico
Dott. Paolo Tonini e Bruno Tonini
V. Pratolungo 192 - 25064 Gussago (BS)
Tel. 0039 030 252 2472
Fax 0039 030 252 2458
www.arengario.it - email:
staff@arengario.it
http://touchingideas.blogspot.com
34
la Biblioteca di via Senato Milano – maggio 2012
35
look!
Color your
look!
TTutti
utti i dir
diritti
itti sono riservati
riser vati ai rispettivi
rispettivi proprietari.
proprietari.
maggio 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
Un mondo di divertimento.
er timento.
gruppopreziosi.it
gruppopreziosi.it
r
reziosi.it
36
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
L’intervista d’autore
IL FORZIERE DI UN PIRATA: ROMOLO
ANSALDI E I SUOI SIMENON
di luigi mascheroni
ome, a volte, due persone che
rimangono insieme per una
vita, finiscono con
l’assomigliarsi nei tratti fisici o nel
carattere, così anche Romolo Ansaldi,
dopo quasi 70 anni passati con
Georges Simenon, del quale è
probabilmente il più grande
collezionista al mondo, e che legge e
rilegge da quando era
quattordicenne, oggi è molto simile,
in tante cose, al suo alter ego. Ha la
medesima corporatura, dicono
l’identico passo, la stessa passione
per la buona tavola, il “sano” vizio
della pipa («le ho collezionate per
anni, solo Dunhill però: per le mie
ossessioni scelgo sempre il meglio»),
la curiosità per la Parigi nascosta e
l’insofferenza per quella turistica
(«Simenon preferiva i bassifondi e i
quartieri defilati, gli stessi che
frequento io quando mi capita di
soggiornarci») e un debole per le
belle donne («Ma lui ne ebbe
centinaia, io una sola, la stessa, mia
moglie: da 55 anni. Sono uno
all’antica…»). Ed entrambi, a loro
modo sempre in giro per il mondo.
Simenon, scrittore tradotto ovunque,
in tutte le lingue del pianeta o quasi,
e Ansaldi, commercialista e
consulente economico, richiesto da
clienti di tutti i tipi, in ogni Paese:
«Ho avuto l’occasione di pranzare con
il presidente Mao, con Ronald Reagan
quando era alla Casa Bianca, con
Bokassa a Bangui… Sempre in giro».
C
di circa 27mila pagine. Più tutte
quelle non ancora trovate fra quelle
scritte sotto i vari pseudonimi
(«Quelli accertati sono 37…»).
Tradotto in 55 lingue e pubblicato in
44 nazioni, Simenon ha superato i
700 milioni di copie vendute.
Anche oggi che è in pensione, e
a 84 anni fa avanti e indietro tra
Lugano dove risiede, la Francia dove
va a caccia di “memorie
simenoniane” e Genova, dove ha i
nipoti, una casa, e le radici: «Sono
genovese di nascita, di cultura e di
memoria. Il nome della mia famiglia
compare per la prima volta negli
archivi del comune di Genova nel
1360. Gli Ansaldi erano pirati,
naturalmente…».
Ci vuole la precisione di un
commercialista, il carattere di un
mediatore e lo spirito di un pirata
per giocare a una caccia al tesoro
che dura dagli anni Quaranta, che è
certo che non avrà mai fine e che in
palio invece di un forziere ha una
biblioteca che contiene tutto ciò che
ha prodotto la fantasia prolifica di
Georges Simenon: 450 tra romanzi e
scritti brevi, di cui 107 sulle inchieste
del Commissario Maigret, più 117
romanzi “psicologici”, oltre tremila
tra articoli e reportage, per un totale
Come mai Simenon?
«A 14 anni, nel 1942, mese di
giugno, sto tornando da scuola dopo i
risultati di fine anno. Alle bancarelle di
piazza Bianchi, a Genova, vedo un libro
intitolato Pietro il lettone, in un’edizione
Mondadori degli anni Trenta, con in
copertina una donna bionda con le
gambe nude. Diventa subito il mio regalo
per la promozione. Quell’estate la passo
dai miei parenti in campagna, dove il
parroco un giorno vede quello che sto
leggendo. La mattina dopo non trovo più
il mio Simenon. La zia lo aveva bruciato:
il parroco le aveva detto che l’autore era
all’Indice. Quel giorno mi sono detto:
adesso voglio tutti i libri di Georges
Simenon».
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
37
E ce l’ha fatta, praticamente.
Cosa ha nella sua biblioteca?
«Dei 418 volumi pubblicati da
Georges Simenon, di cui 198 sotto
pseudonimo e 220 con il suo vero nome,
a partire proprio da Pietr-le-Letton, nel
1931, ce li ho tutti. E tutti in prima
edizione francese, naturalmente. E ho
tutte le prime edizioni italiane, e anche
in molte altre lingue. Poi ho manoscritti,
lettere autografe, fotografie originali,
riviste e giornali, locandine e affiches dei
film e sceneggiati ispirati ai libri di
Simenon, che sono quasi 200, e infatti
non ho più pareti libere in casa dove
appenderle… e poi centinaia di saggi e
biografie di Simenon. Dopo ho edizioni
pirata, edizioni di pregio, le copie dei
romanzi che venivano dati in lettura dai
vari editori per decidere se pubblicarli o
no… Ho parecchie cose, insomma».
E cosa invece non ha?
«Mi mancano soltanto alcuni libri
della collana in cui le Editions Prima di
Parigi tra il 1925 e il 1929 pubblicavano i
romanzi “pornografici”, una qualifica
che oggi fa ridere naturalmente.
Comunque Simenon ne scrisse 18 con lo
speudonimo Gom Gut, e io ne ho
soltanto sei. Ma ormai sono introvabili,
quelli che erano sul mercato li ho
comprati, a circa 2mila euro l’uno… Titoli
come Le otto orge borghesi, o Perversità
frivole, o L’uomo dai dodici orgasmi…
Tutta roba mai tradotta in italiano.
Appena sento che c’è qualcosa in giro,
prendo un aereo e parto».
Come acquista?
«Tutti i bouquinistes di Parigi mi
conoscono: se hanno qualcosa, mi
chiamano. È per questo che sono spesso
in Francia. Invece in Belgio non c’è più
nulla. Poi ci sono alcune librerie
antiquarie… le aste… e eBay. E qui me la
gioco con John Simenon, il figlio. Una
volta eravamo amici, ora diciamo che
siamo mezzi-nemici… Ci contendiamo i
pezzi più rari».
E quali sono i pezzi più rari che
possiede?
«Un’edizione del fotoromanzo
letterario La folle d’Ittevile, che inaugurò
un genere, ma fece fallire l’editore. Un
“pacchetto” di 29 lettere, completamente
inedite, che a John Simenon non
interessavano, e poi se n’è pentito, in cui
il padre per lo più si lamenta con gli
editori che non lo pagano. Una copia
del Testamento Donadieu, uscito da
Gallimard nel ’37, regalata, con dedica, a
Andrè Gide… La cosa curiosa è che ha
ancora le pagine da tagliare mentre però
qualche tempo dopo il destinatario
scrisse a Simenon: “Ho letto Il
testamento Donadieu, uno dei tuoi libri
migliori…” E poi, per questioni
sentimentali, considero molto preziose le
varie versioni di Pietro il Lettone, che ho
in trenta lingue diverse, anche in cinese».
E il romanzo che ama di più di
Simenon?
«Tra i romanzi Germogliano
sempre i noccioli e Le campane di
Bicêtre. Tra le inchieste del Commissario
Maigret invece L’affare Saint-Fiacre. E
ovviamente Pietro il Lettone».
38
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
PAGINE CHE PARLANO DI LIBRI
Ma i libri sono da fare o da leggere?
Due libri sul mestiere di editore e lettore
di matteo noja
SEDUTI SUL BORDO
ESTREMO DEL FUTURO
uscita la nuova edizione
dell’Almanacco Guanda, a cura di
Ranieri Polese. Come titolo reca:
Fare libri. Come cambia il mestiere
dell’editore. Esce giusto ottant’anni dopo
che Ugo Guandalini, col cognome
abbreviato in Guanda, fondò la sua casa
editrice. Correva infatti l’anno 1932, a
Modena. Il giovane aspirante editore
aveva appena pubblicato a proprie spese
un opuscolo di poesie in 150 copie,
Ballata delle streghe, e subito imparò
che c’è più sugo a stamparli i libri che a
scriverli (anche se continuò a cimentarsi
con la letteratura). Per il suo programma
culturale Guanda e la sua casa editrice
non trovò consensi nel regime fascista.
«Nella collezione Problemi d'oggi
figurano opere di E. Buonaiuti, A. Tilgher,
P. Martinetti, G. Renzi, G. A. Borgese, J.
Maritain, ecc. Particolare attenzione ha
sempre dedicato alla poesia con le
collane La Fenice e La piccola Fenice. Si
deve a Guanda la scoperta di alcuni lirici
È
italiani e la traduzione di molti poeti
stranieri del Novecento (García Lorca, T.
S. Eliot, W. H. Auden, E. Pound, D.
Thomas, P. Neruda, ecc.)» (citiamo da
Treccani.it, l’enciclopedia online).
Questo Almanacco riporta 36
interventi di vari autori, suddivisi per
specifiche competenze: lettori e filosofi,
editori europei, editori italiani, studiosi
del mondo del libro e della lettura,
librai, bibliotecari, scrittori affermati,
blogger, giovani scrittori. L’insieme degli
interventi dibatte del futuro del libro
nell’epoca degli e-books: soggetto ormai
trito, ma che ancora non è stato ben
definito o circoscritto.
Le voci che si spiegano nelle
pagine dell’Almanacco, infatti, sono
discordi. Molte nostalgiche, alcune
proiettate in un futuro ancora non
delineato. Come dice nel suo intervento
Ernesto Franco, della casa editrice
Einaudi, «in mancanza di un discorso
“geniale” e armonico che tenga insieme
ogni dettaglio» si prova a «procedere per
fondamenta e, inevitabilmente, per
fughe in avanti. Simulazioni».
Gli autori degli interventi partono
da esperienze diverse, da settori che pur
trattando il medesimo oggetto (in un
impeto di efficientismo commerciale
potremmo dire “la stessa merce”), il
libro, sembra che da lungo tempo non si
parlino neppure. Ne viene fuori un
mosaico di impressioni che stenta a
ritrovarsi in un’immagine univoca.
Per quello che ci riguarda, come
biblioteca, la sezione titolata Il futuro
delle biblioteche, riporta due importanti
interventi: un’intervista di Bruno Racine,
presidente della Bibliothèque Nationale
de France, e un saggio breve di Robert
Darnton, docente universitario e
direttore della Harvard University
Library. Il primo conclude l’intervista
rispondendo alla domanda se il libro di
carta diventerà un prodotto vintage, e
dice: «Non lo so, ma in ogni caso può
realmente diventare un prodotto
derivato dell’e-book e non viceversa,
come avviene oggi»; il secondo titola
con grande coraggio, infondendoci
speranza, Con la biblioteca digitale
rinasce l’illuminismo.
Dalla lettura dell’Almanacco si
ricava un’impressione abbastanza
strana: sembra che intorno a noi
succedano cose meravigliose o
pericolosissime, comunque ignote, e
ancora nessuno abbia un lessico e una
grammatica per poterle comprendere e
spiegare. E noi non siamo ancora capaci
di lavorare sul bordo estremo della
scoperta.
“Almanacco Guanda. Fare libri. Come
cambia il mestiere dell’editore”.
A cura di Ranieri Polese. Milano,
Guanda 2012; 248 p., € 28,00
UNA DIFESA APPASSIONATA
DEL LIBRO E DELLA LETTURA
ai prima d’ora mi ero
chiesto quanti libri
avessi, e del resto mai
prima d’ora avevo avuto la tentazione di
contarli».
Chi ha qualche libro in casa lo sa,
«M
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
è pericoloso mettersi a contarli. Si può
cercare di calcolarne lo spessore medio
e i centimetri occupati: difficilmente se
ne viene a capo e ognuno ha un suo
proprio metro (o centimetro) di giudizio.
Segnaliamo con questa breve
citazione un piccolo ma prezioso libro
uscito recentemente. Si tratta di Libri da
toccare, del giornalista spagnolo Jesús
Marchamalo, edito da Ponte alle Grazie.
Si rivolge a quanti, appunto,
amano toccare i libri, amano sfogliarli ed
esserne circondati. Amano desiderarli e
possederli, perderli, prestarli e regalarli. E
ci spiega con una ricca serie di aneddoti
e citazioni cosa voglia dire amare i libri. E
ci racconta quali siano i turbamenti di
questo amore che come quello che lega
due persone, diventa con il tempo
indissolubile e anzi aumenta con le
difficoltà, se è vero amore e non una
posa o una infatuazione.
Il primo turbamento è la quantità.
Scopriamo che Leonardo Sciascia aveva
accumulato diecimila libri, Cortázar
quattromila, Hemingway a Cuba
novemila. E, sempre a Cuba, il poeta
Gastón Baquero li aveva in ogni dove,
e li aveva stipati anche in bagno e nella
vasca. Chi ha avuto la fortuna di fare il
libraio antiquario, avrà almeno una volta
nella vita visitato la casa di qualcuno
che li aveva messi in casa in ogni locale,
cucina compresa (nello scolapiatti),
bagno compreso (se non nella vasca,
nell’armadietto delle medicine, sopra lo
sciacquone), negli armadi sotto i vestiti.
L’accumulo delirante provoca
poi un obnubilamento per cui
difficilmente si riesce a localizzare le
opere, tanto che Baquero quando gli
chiedevano un libro, rispondeva dicendo
di dare un’occhiata in giro.
Secondo turbamento: come
metterli. Cioè se sia meglio ordinarli in
qualche modo oppure lasciare che
vivano una loro vita. Se sia meglio
ordinarli alfabeticamente o
cronologicamete oppure lasciarli liberi
di vagare per casa. «In ogni modo
ordinare i libri è sempre un’impresa.
Diciamo che bisognerebbe evitare di
farlo, a meno che non si disponga di
tanto tempo libero o non si venga
pagati apposta. Come fece Caterina di
Russia quando comprò la biblioteca di
Diderot, a patto che lui stesso gliela
mantenesse sempre in ordine».
Quantità e ordine impongono
severamente un altro turbamento: come
disfarsi di alcuni libri. Hans Magnus
Henzensberger ha imposto un numero
preciso di “smaltimento”: cinquecento
libri. Ma di quali ci si può disfare? E poi
da quanti volumi dovrebbe essere
composta una biblioteca ideale? Da 343
come suggeriva Perec? E questi
dovevano essere libri o volumi? Perché
un libro può constare di diversi volumi…
«I libri si comprano anche solo per
capriccio, in maniera contraddittoria e
volubile. Certi argomenti ci attraggono
in determinate epoche della nostra vita
e poi li abbandoniamo, come
abbandoniamo le certezze. Quasi
fossero strati geologici di un sito
archeologico, i libri permettono di
portare alla luce i resti di tutti i
39
naufragi».
Con ironia Jesús Marchamalo ci
permette di scandagliare l’abisso dei
nostri sentimenti verso i libri, verso le
nostre biblioteche, capaci di riflettere
inconsciamente la nostra vita, di
ripeterne scaffale per scaffale ogni
momento, testimoniando amori e
pulsioni, inimicizie e odi, e anche i
nostri più nascosti naufragi, quelli
dell’animo, che nel migliore dei casi
tendiamo a dimenticare o a far finta di
dimenticare.
Un libro, forse un manuale, per
amanti quindi, che di amori e di
passioni parla, sentimenti che possono
cambiare nel tempo ma mai esaurirsi; e
dei luoghi deputati ad assistere a tali
incontri amorosi, appunto scaffali e
biblioteche. Un amore travolgente e
cieco, descritto minuziosamente in
queste pagine, pervase anche dalla
disarmante constatazione che i libri
prolificano incessantemente a nostra
insaputa, e debordando dalle loro
riserve invadono con sorprendente
velocità tutta la casa intorno, anche noi
stessi. Quei libri che leggiamo e
ricordiamo, oltre a quelli che tendiamo
a cancellare dalla nostra vista e dalla
nostra memoria: «Perché esiste di certo
– da qualche parte deve esistere –
un’immensa biblioteca immaginaria di
libri dimenticati, non solo da me (che
sarebbero già abbastanza), ma
dall’intera umanità». E inoltre quelli che
non leggeremo mai, perché, come
sostiene l’autore citando un amico
libraio, «ci sono libri da leggere e “libri in
quanto libri”. La questione è tutta qui».
Un libro da avere e da regalare a
chi spartisce con noi l’amore folle, forse,
ma inestinguibile versi questi oggetti
fantastici che sono appunto i libri.
Jesús Marchamalo, “Toccare i libri”
Milano, Ponte alle Grazie;
61 p., € 8,00
LA TUA TV. SEMP
PRE PIÙ GRANDE.
42
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
ANDANDO PER MOSTRE
Da Novate a Berlino, con uno sguardo verso
Oriente, scrivendo e cancellando
di luca pietro nicoletti
UNO SCRITTORE CHE
DISEGNA: PASOLINI A NOVATE
asa Testori a Novate rende
omaggio, fino al 1 luglio, a Pier
Paolo Pasolini. Nella casa in cui lo
scrittore e drammaturgo lombardo ha
passato buona parte della sua esistenza,
viene proposta una piccola mostra
sull’intellettuale friulano che mette in
luce i numerosi punti di contatto con
l’illustre padrone di casa. A fare da
legante è l’inedita occasione di poter
apprezzare una ampia selezione di disegni
di Pasolini, a partire dai primi cimenti
intorno al 1942, debitori della lezione di
De Pisis e dipinti direttamente con le dita
o con il rovescio del pennello, fino ai suoi
ultimi anni. Sono disegni affettuosi, come
si percepisce da una nota dei Quaderni
rossi¸ in cui lo scrittore parla di un
ritratto fatto ad Angelo Dus: «Poi disegnai
Angelo, che se ne stava rattrappito a
capotavola, con gli occhi bassi (mi accorsi
C
PASOLINI A CASA TESTORI
NOVATE, CASA TESTORI,
20 APRILE-1 LUGLIO 2012
http://www.associazionetestori.it/
solo allora che le sue pupille erano
azzurro chiaro!). Angelo è identico a sua
madre. Dei quattro o cinque disegni che
gli feci a pastello […] gliene feci scegliere
uno, sotto il quale, regalandoglielo, scrissi
questa straordinaria dedica: “Al piccolo
Giotto il suo Cimabue”. Arrossisco nel
ricordarlo» (13 ottobre 1947). Sono
disegni preziosi, gelosamente custoditi al
Gabinetto Viesseux di Firenze, fatti su
materiali insoliti come le pellicole di
cellophane o, più avanti, eseguiti a
matita, colla e petali di rosa.
Fra questi estremi, nelle otto sale
della mostra sono evocati i temi nodali
dell’esperienza intellettuale e militante di
Pasolini e che lo accomunano a Testori, a
partire dalla collaborazione con il
“Corriere della Sera” diretto da Piero
Ottone (dal 1973 per Pasolini), all’essere
identificati entrambi fra i “nipotini
dell’Ingegnere” da Alberto Arbasino nel
1960, in quanto, riconoscendosi nella
lezione di Gadda, condividono, secondo la
definizione di Contini, la medesima
“ricchissima esperienza plurilinguistica”.
Passando fra le predilezioni e gli amori di
Pasolini, da Ninetto Davoli a Laura Betti,
fino a Maria Callas -tutti fatti oggetto di
numerosi e affettuosi disegni- percorre
Sopra: Pier Paolo Pasolini, Autoritratto
A sinistra: Pier Paolo Pasolini, Roberto
Longhi, 1975, pastello o sanguigna
sottotraccia tutta la mostra la presenza di
Roberto Longhi, che fu un punto di
riferimento imprescindibile sia per Testori,
dal 1951 della mostra di Caravaggio, sia
per Pasolini, che conservò un ricordo
quasi epico delle lezioni bolognesi sui
Fatti di Masolino e Masaccio dell’anno
accademico 1941-1942. Al maestro, nel
1974-1975, Pasolini dedica una serie di
sedici grandi ritratti a partire da un
ritratto fotografico dello studioso: con un
segno danzante, attraverso la ripetizione
del profilo Pasolini si appropria del
soggetto, in una esecuzione seriale che,
come mostrano le foto scattate allora da
Dino Pedriali, sembrano quasi una vera e
propria performance.
EMILIO ISGRÒ
E LE SCULTURE ISLAMICHE
el 2010, in occasione di Istanbul
capitale della cultura europea di
quell’anno, Emilio Isgrò aveva
realizzato i quattordici Codici ottomani
ora presentati, fino al 27 luglio, dalla
Fondazione Marconi di Milano nella
mostra Var ve yok, che in turco significa
“c’è e non c’è”. Un titolo che rispecchia
efficacemente, a pensarci bene, lo spirito
del lavoro dell’artista italiano, nato in
provincia di Messina nel 1937. Sin dagli
anni Sessanta, infatti, la sua ricerca
verbovisiva sulla cancellatura ha
N
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
rinnovato il linguaggio artistico italiano,
giocando sulla soglia fra costruzione e
distruzione, quasi un intervento censorio
che approda sui lidi della suggestione
poetica e non dimentica, nella sua
operazione concettuale, l’impegno civile. Il
suo primo libro cancellato è del 1964, e
da allora Isgrò ha continuato a cancellare
sistematicamente, a mano, interi libri con
tratto nero largo e regolare (solo negli
anni Ottanta comparirà il segno bianco),
lasciando solo qualche parola che,
apparendo in un lago di righe nere,
Sopra: Emilio Isgrò, Var ve yok, 2010
appariva carica di un nuovo senso
espressivo: la parola si rivela con
un’essenza primaria inedita, spiega più
cose di quante non ne dica. Da allora, poi,
la cancellatura non ha risparmiato spartiti
musicali, enciclopedie e qualsiasi oggetto
veicolasse dei codici di scrittura. Nel caso
dei codici ottomani, poi, il discorso si
arricchisce di un ulteriore senso
metaforico quando tocca la storia del
paese turco in opere come Il sorriso di
Atat ürk: anche il noto statista padre della
Turchia moderna, in fondo, era stato un
“cancellatore”, tanto da indurre Isgrò a
scrivere: «Anche un gesto controverso
come la cancellazione integrale innesca di
fatto un processo dialettico, e per ciò
stesso vitale, tra l’essere e il non essere
delle cose, tra la morte e la vita delle
parole, e persino la lingua ottomana, un
tempo annichilita, viene in qualche modo
preservata e protetta dallo strato di colore
che la occulta e la copre, fino a
riemergere provvisoriamente non con il
peso nostalgico di una tradizione per
fortuna dissolta, bensì con il monito
disarmante di Pasolini: ‘Solo la rivoluzione
salva il passato’. Come dire che per
salvaguardare il mondo (non soltanto
l’Europa e i paesi che le stanno intorno
come la Turchia o la Russia) è a volte
necessario scuoterne le fondamenta».
LE OCHE DI PIETROGRANDE
VANNO A BERLINO
ino al 14 luglio, presso la galleria
Kuhn & partner di Berlino si può
apprezzare la mostra personale
curata da Gemma Clerici del pittore
veneziano, ma formatosi e vivente a
Milano, Lorenzo Pietrogrande. In titolo,
Licht un Gegenlicht (Luce e controluce),
riassume i motivi portanti della mostra e
degli esiti ultimi del lavoro dell’artista e la
sua attenzione, in anni recenti più
accentuata che in passato, per i fenomeni
luminosi. Il suo è un percorso che prende
le mosse, negli anni Ottanta, all’insegna
dell’espressionismo tedesco dei Nuovi
Selvaggi, per poi orientarsi verso una
traduzione pittorica del quotidiano. In
virtù dei suoi natali lagunari, spesso la
critica ha insistito nel riconoscere una
ascendenza del suo lavoro dalla grande
tradizione della decorazione murale
veneziana. In effetti, da quel modello
Lorenzo ha acquisito un modo di
dipingere ampio e compendiario, incline
alla sprezzatura pittorica. Ma il segno
largo, che restituisce un frammento di
realtà e del quotidiano in pochi segni, si
compiace di esibire la propria specificità
di medium pittorico, e fa leva proprio su
questo accentuato lato espressivo per
farne sostanza narrativa del dipinto. Al
tempo stesso dall’inizio degli anni
Novanta comincia a fare i conti con
l’ampliamento di iconografie offerto da
un altro medium, la fotografia, che
suggerisce possibilità di soluzioni
compositive prima inimmaginabili. In
F
43
questo modo, ecco che l’occhio scrutatore
del pittore riduce sempre più il raggio del
suo campo visivo, arrivando a tagliare le
teste fuori dai margini del dipinto. In
questo modo l’attenzione si focalizza sulla
massa dei corpi, esclude qualsiasi
possibilità di dialogo con il fruitore, a cui
viene negato lo sguardo. Si ha
l’impressione di essere investiti da queste
forme, di essere andati troppo vicini al
dipinto, fino a perdere la visione d’insieme.
Gli impermeabili sono i veri protagonisti di
questa fase della ricerca: oggetti che
evocano “per sineddoche” la figura, una
porzione vale per la presenza di un tutto
completo. La pittura si fa sempre meno
descrittiva: la liquidità delle velature mira
a sottolineare il valore pittorico puro, e le
superfici vibrano di una instabilità che
potrebbe far pensare al “mosso” in
fotografia. Ma quello che rimane costante,
fino alla sperimentazione sul controluce
delle tele più recenti, è l’impressione di
trovarsi di fronte a un’istantanea
“scattata” con grafite e pennello, come se
Pietrogrande aggiungesse, poco alla volta,
le pagine di un grande diario figurato: ma
un diario intimo, fatto di memorie
dell’occhio e di impressioni luminose.
Sotto: Lorenzo Pietrogrande, Galleria, acrilico
su tela, 2012
44
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
ASTE, FIERE E MOSTRE-MERCATO
Una piccola retrospettiva di maggio e giugno
con un prezzo record per un fumetto
di annette popel pozzo
IMPORTANT PRINTED
BOOKS AND AMERICANA
FROM THE ALBERT H.
SMALL COLLECTION
Asta del 18 maggio
New York www.christies.com
La vendita di 150 libri appartenuti al
filantropo americano Albert H. Small ha
confermato che i bibliofili generalmente
avveduti e selettivi sono disposti a
comprare libri importanti e rari a prezzi
elevati. La vendita di sole 10 edizioni ha
raggiunto circa due terzi del risultato
complessivo di $2.963.000. Una copia di
John James Audubons The Viviparous
Quadrupeds of North America (New
York, 1845) è stata aggiudicata per
$362.500 sulla basa di una stima di
$200.000-300.000, mentre un buon
esemplare delle Comedies, Histories, and
Tragedies di William Shakespeare
(Londra, 1664; nota come terza edizione
collettiva) cambia proprietario per
$374.500. Il libro antico e di pregio
d’argomento Americana è dunque
straordinariamente solido con risultati
fuori norma.
PRINTS AND ILLUSTRATED
BOOKS
Asta del 1 giugno
Parigi www.artcurial.com
In asta numerosi libri d’artista: il
volume Le parquet se soulève (Zurigo?,
1973) del poeta e drammaturgo
francese Jean Tardieu contenente sei
litografie originali di Max Ernst (con
triplice suite di tavole; esemplare II/XIII
firmato dall’artista) viene aggiudicato
per €9.803, triplicando il suo valore
sulla base di partenza di €2.500-3.500.
Il volume Calligrammes di Guillaume
Apollinaire (Parigi, Christophe
Czwiklitzer, 1967) contenente dieci
acqueforti di Ossip Zadkine, proveniente
dalla raccolta dell’editore (esemplare
11/13 con suite su un totale di 75) viene
aggiudicato per €3.896 su una base di
stima di soltanto €1.000-1.500.
L’UNIVERS DU CRÉATEUR
DE TINTIN
Asta del 2 giugno
Parigi www.artcurial.com
I fumetti godono soprattutto in
Francia un successo strepitoso e
continuo: Un disegno originale a colori,
pensato per la copertina dell’album
Tintin in America di Hergé del 1932 è
stato battuto al prezzo record di
€1.338.509. Esistono soltanto cinque
disegni a colori, tre dei quali sono
conservati presso il Musée Hergé. Il
precedente collezionista aveva
acquistato la copertina nel 2008 per
€764.218, il che significa che in
soltanto quattro anni il valore si è
raddoppiato.
UN’IMPORTANTE
COLLEZIONE DI LIBRI
E STAMPE
Asta del 6 e 7 giugno, Roma
www.bloomsburyauctions.eu
La sede romana della Bloomsbury
Auctions propone quasi 1.100 lotti
provenienti dalla biblioteca del barone
siciliano Alberto Pucci di Benisichi. “Si
tratta della vendita più corposa mai fatta
dalla Bloomsbury Italia, una miniera di
opere suddivise in lotti singoli e cartoni
tali da soddisfare tutti i gusti dei
collezionisti. Si spazia da volumi rari
siciliani, a incunaboli e cinquecentine
scientifiche, illustrati di varie epoche,
belle legature” (catalogo della casa
d’asta).
Nell’asta degli “Autografi, manoscritti
e fotografie” troviamo inoltre un vasto
insieme di documenti originali relativi ai
moti studenteschi del Sessantotto (lotto
349, stima € 4.000-6.000).
LIVRES ANCIENS
ET MODERNES
Asta dell’8 giugno
Parigi www.alde.fr
Un’asta mista contenente più di 400
lotti, tra l’altro anche con libri
d’argomento Italica. Partendo con una
stima moderata di €5.000-6.000 si
presenta La Gerusalemme liberata di
Torquato Tasso nella celebrata edizione di
Giambattista Albrizzi (Venezia, 1745)
recante le tavole su disegno di
Giambattista Piazzetta. Il volume è
inoltre completo della lista dei
sottoscrittori. In asta c’è anche una
prima edizione, seconda tiratura de Les
Chants de Maldoror de Lautréamont
(Parigi e Bruxelles, Rozez, 1874). La
raccolta stampata originalmente nel
1869 fu ritirata dal mercato dall’autore
stesso e ripubblicata soltanto dopo la sua
morte nel 1870. Si conoscono soltanto
sei esemplari della rarissima prima
tiratura (stima €3.000-4.000).
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
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46
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
47
BvS: il Fondo Milano
Giuseppe Ripamonti: un
irascibile cronista seicentesco
La storia della città ambrosiana tra cariche, arresti e censure
BEATRICE PORCHERA
G
iuseppe Ripamonti, il maggiore dei cronisti milanesi
del Seicento, a cui la città
ambrosiana ha dedicato una delle
sue più lunghe vie, nacque il 17 agosto 1577 nella frazione Nava di Tegnone (dal 1860 Ravellino, oggi nel
comune di Colle Brianza), da Bertolino e Lucrezia, piccoli proprietari
terrieri. Formatosi sotto la guida
dello zio Battista Ripamonti, parroco di Barzanò, a diciotto anni entrò
nel Seminario della Canonica di Milano, dove, a causa della scarsità dei
mezzi economici, restò un solo anno. Dedicatosi allo studio della logica presso le scuole di Brera, acquisì
un’ottima conoscenza del latino, del
greco e dell’ebraico, come testimoniato da Filippo Argelati nella sua
Bibliotheca scriptorum Mediolanensium: «Linguas Latinam, Graecam,
et Hebraicam adeo calluit, ut eis
quoties opus esset, quasi naturali
idiomate uteretur».1
Dopo aver svolto diversi incarichi tra Milano, Monza e Novara,
nel 1602 ricevette da Federico Borromeo il compito di insegnare
grammatica ed eloquenza sacra nel
Seminario di Porta Orientale, in cui
restò per quattro anni. Ordinato sacerdote nel 1605, nel 1609, in occa-
Nella pagina accanto: frontespizio
figurato del vol. III dell’Historia
patria, inciso in rame da Cesare
Bassano su disegno di Cristoforo
Störer. Sopra: ritratto dell’autore
contenuto nel vol. III dell’Historia
patria, inciso in rame da Gio. Paolo
Bianchi su disegno di Cristoforo
Störer
sione della fondazione della Biblioteca Ambrosiana, entrò a far parte
del Collegio dei Dottori con l’incarico di storiografo.
La prima decade della sua Historia Ecclesiae Mediolanensis uscì nel
1617 “ex Collegii Ambrosiani Typographia”. Tale pubblicazione suscitò
numerose polemiche e accuse, anche presso il Tribunale dell’Inquisizione: «per avere inserito nella Historia la vicenda di un prete Fortunato corredandola di false lettere di
Gregorio Magno; di non aver taciuto episodi vergognosi della vita di
Sant’Agostino; di avere trascurato i
propri doveri di sacerdote; e perfino
di negare l’immortalità dell’anima».2
Molto probabilmente la causa di
tanta ostilità va ricercata nel mancato apprezzamento, da parte dei superiori e dei colleghi, delle allusioni
presenti nell’opera. Il prezzo da pagare fu piuttosto alto: nell’agosto del
1618 Ripamonti venne arrestato e
incarcerato nel palazzo arcivescovile, privato di ogni libro, eccezion fatta per il breviario.
La severa sentenza del Tribunale fu emessa il 16 agosto 1622 e
prevedeva: il sottoporre l’opera alla
consueta censura ecclesiastica; cinque anni di carcere, tre dei quali da
scontare presso la curia, gli altri due
in un luogo pio; il divieto di conti-
48
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
Da sinistra: ritratto di Filippo II contenuto nel volume Rerum Hispaniarum a Philippo II regnante, inciso in rame
da Cesare Bassano, per il quale «erubuit pictor nomen praeferre Philippi»; frontespizio figurato del vol. I dell’Historia
patria, inciso in rame da Cesare Bassano su disegno di Ottavio Salvioni
nuare l’Historia Ecclesiae Mediolanensis fintanto che la prima parte non
fosse stata corretta; l’obbligo di ottenere l’admittitur dell’Inquisitore per
la pubblicazione di altri testi, di digiunare tutti i venerdì per un anno e
di recitare il rosario ogni settimana.
La pena venne alleggerita grazie all’intervento di Federico Borromeo, che mutò il carcere in un semplice confino in vescovado e ripristinò lo storico nelle sue funzioni di
dottore dell’Ambrosiana. Inoltre,
Filippo IV di Spagna lo nominò canonico di Santa Maria della Scala,
posizione importante dato che si
trattava della parrocchia di Corte.
La sopraggiunta tranquillità
gli permise di continuare la stesura
della Storia della Chiesa milanese: nel
1625 uscì Historiarum Ecclesiae Mediolanensis pars altera, mentre nel
1628 fu data alle stampe Historiarum Ecclesiae Mediolanensis pars III:
De origine et pontificatu D. Caroli libri VIII.3
Nel 1630 la peste colpì Milano. Ripamonti, pur prodigandosi,
secondo alcune testimonianze, per
aiutare i malati, riuscì a sfuggire al
contagio e, dopo essere stato insignito, nel 1635, della nomina di
“cronista patrio” da parte dei Decurioni, ricevette da questi l’incarico di
redigere un’opera sulla grande pestilenza, da lui vissuta in prima persona.4 Il De peste quae fuit anno
MDCXXX libri V desunti ex annalibus
urbis quos LX Decurionum autoritate
scribebat fu stampato a Milano da
Malatesta nel 1641 – edizione conservata presso la nostra Biblioteca –.5
L’opera, introdotta da un bel frontespizio figurato inciso in rame da Cesare Bassano su disegno di Ottavio
Salvioni, venne dall’autore dedicata
al Vicario e ai Sessanta Decurioni del
Consiglio Generale di Milano: «per
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
49
Da sinistra: frontespizio figurato del volume Rerum Hispaniarum a Philippo II regnante, inciso in rame da Cesare
Bassano su disegno di Cristoforo Störer; frontespizio figurato del De peste, inciso in rame da Cesare Bassano su disegno
di Ottavio Salvioni
la mia opera, modesta e pervasa dalla
morte, chiesi questo grande onore,
che uscisse sotto l’alto patrocinio del
Consiglio Generale e fosse a voi dedicata, come era del resto giusto e
doveroso. Un’impresa nata presso di
voi – infatti – a voi sarebbe dovuta
tornare, poiché davvero foste voi, in
quel tristissimo tempo, i padri della
patria e di questa città […]».6 Il lavoro comparve strutturato in cinque libri, il terzo dei quali incentrato sulla
figura di Federico Borromeo, protettore di Ripamonti e autore a sua
volta di un breve opuscolo intitolato
De pestilentia, redatto nell’agosto del
1630, prima della completa estinzione del contagio.7
Alessandro Manzoni, che annoverò il De peste tra le fonti storiche
da lui consultate per la stesura dei
Promessi sposi, scrisse che la relazione
di Ripamonti superava tutte le altre
riguardanti lo stesso argomento
«per la quantità e per la scelta de’ fatti, e ancor più per il modo d’osservarli» (cap. XXXI dei Promessi sposi).8
L’opera, redatta nella lingua
che «sola rerum memoriam facere
sempiternam potest»9, venne tradotta per la prima volta in italiano da
Francesco Cusani, che nel 1841 pub-
blicò a Milano presso Pirotta La peste
di Milano del 1630 libri cinque cavati
dagli annali della città e scritti per ordine
dei LX Decurioni dal canonico della Scala Giuseppe Ripamonti istoriografo milanese, un esemplare della quale è
conservato presso la BvS.10 A proposito del lavoro Cusani scrisse: «È libro importantissimo per autenticità,
si perché l’autore fu testimonio oculare di gran parte degli avvenimenti,
come perché ebbe a sua disposizione
gli archivi pubblici pei documenti
necessari. Il racconto è maestoso,
energico, pittoresco; la lingua forbita, elegante, ché il Ripamonti cono-
50
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
Il 1641 fu anche l’anno della
pubblicazione dei Iosephi Ripamonti
Canonici Scalensis chronistae urbis
Mediolani Historiae patriae libri X,
usciti sempre nella città meneghina
dai torchi di Giovanni Battista e
Giulio Cesare Malatesta.12 Si tratta
del primo dei volumi, scritti su incarico del Consiglio Generale, volti a illustrare la storia di Milano
proseguendo quella di Tristano
Calco che, partendo dalle origini, si
interrompeva al 1313.13 Tale tomo,
la cui narrazione giungeva fino al
1558, fu l’unico pubblicato durante
la vita dell’autore, che, ammalatosi
di idropisia, morì a Rovagnate il 14
agosto 1643.
Il secondo volume dell’Historia, dedicato al marchese Carlo
Gallarati e datato 1643, fu curato
da Stefano Sclatter. Esso ripercorreva le vicende intercorse tra il
1559, anno che segnò l’inizio della
dominazione spagnola a Milano e
nel Ducato, e il 1584, rimanendo
così in gran parte legato all’episcopato di san Carlo Borromeo. Seguì
il terzo volume, sempre a cura di
Sclatter, contenente la vita del cardinale Federico Borromeo; dedicatari del lavoro furono il prefetto
Giorgio Borro e i Decurioni. Nel
1648 uscì il quarto e ultimo volume
L’intera opera in edizione originale trova posto nel Fondo di Milano della Biblioteca di via Senato,
accanto agli altri lavori fin qui citati, concedendo così il giusto lustro
all’intemperante cronista del «più
fatale e miserando periodo della
storia milanese»14 che fu Giuseppe
Ripamonti.
NOTE
1
F. ARGELATI, Philippi Argelati Bononiensis
Bibliotheca scriptorum Mediolanensium […],
vol. II, t. I, Milano, Tipografia Palatina di Milano, 1745, coll. 1230-1232; edizione originale
conservata presso la BvS.
2
G. RIPAMONTI, La peste di Milano del 1630.
De peste quae fuit anno MDCXXX libri V, a cura di Cesare Repossi, Milano, Casa del Manzoni, 2009, p. XCII (Mediolanensia).
3
La biografia di san Carlo composta da Ripamonti non ebbe fortuna. Cfr. C. MARCORA, La
storiografia dal 1584 al 1789, in San Carlo e il
suo tempo, Atti del Convegno Internazionale
nel IV centenario della morte (Milano, 21-26
maggio 1984), vol. I, Roma, Edizioni di storia e
letteratura, 1986, pp. 60-63.
4
Dopo il 1637 il governatore Diego Felipe
de Guzman marchese di Leganes lo nominò
“storiografo regio”.
5
Cfr. Argelati, II, I, 1230; Binda, 1435:
«Storia assai pregiata a giudizio dei migliori
critici e bibliografi»; Hoepli, 877; Lozzi, I, 2677:
«assai pregiata istoria»; Predari, p. 182.
6
Traduzione tratta dalla già citata edizione G. RIPAMONTI, La peste di Milano del 1630,
Milano, Casa del Manzoni, 2009, p. 9; ottimo
lavoro conservato nel Fondo di Milano della
BvS.
7
Cfr. F. BORROMEO, La peste di Milano, a cura di A. Torno, Milano, Rusconi, 19873.
8
Cfr. anche Appendice storica su la Colonna Infame (1823-1824), in A. MANZONI,
Storia della Colonna Infame, premessa di G.
Vigorelli, a cura di C. Riccardi, Milano, Centro
Nazionale Studi Manzoniani, 2002, p. 279
(Edizione Nazionale ed Europea delle Opere di
Alessandro Manzoni, 12).
9
G. RIPAMONTI, La peste di Milano del 1630,
Milano, Casa del Manzoni, 2009, p. 2.
10
Cfr. Binda, 1436; Hoepli, 878; Predari, p.
183.
G. RIPAMONTI, La peste di Milano del 1630
libri cinque cavati dagli annali della città e
scritti per ordine dei LX Decurioni dal canonico
della Scala Giuseppe Ripamonti istoriografo
milanese volgarizzati per la prima volta dall’originale latino da Francesco Cusani, Milano,
Pirotta, 1841, pp. XXVI-XXVII, XXX.
12
Binda, 1084: «Tra le più importanti opere di storia milanese»; Hoepli, 876; Predari, p.
182.
13
I libri XI e XII della storia di Calco, riguardanti gli anni 1313-1323, vennero pubblicati
solo nel 1644 e non erano quindi noti a Ripamonti. L’editio princeps dei primi venti libri,
datata 1828, è conservata presso la BvS.
14
G. RIPAMONTI, La peste di Milano del 1630
[…], Milano, Pirotta, 1841, p. XXX. Nella BvS si
trova anche l’opera G. RIPAMONTI, Alcuni brani
delle storie patrie di Giuseppe Ripamonti per
la prima volta tradotti dall’originale latino dal
c. T. Dandolo, Milano, Antonio Arzione, 1856.
sceva e maneggiava il latino da maestro. Lo stile però si risente del falso
gusto del tempo; quindi periodi intralciati, antitesi, arzigogoli, turgidezza di pensieri e d’immagini. I quali difetti rendono assai difficile ad intendersi, anche per valenti latinisti,
codesto libro. […] Il desiderio di far
conoscere a’ miei concittadini questa
storia della peste che rimaneva necessariamente ignota al più de’ lettori, m’indusse a tradurla».11
dell’Historia, relativo al periodo
1613-1641, i cui primi tre libri, incentrati sulla guerra per la successione di Mantova, erano seguiti dal
necrologio dell’autore scritto da
Gerolamo Legnano e da vari opuscoli di Ripamonti, pubblicati a cura di Orazio Landi. La serie degli
scritti storici dello storiografo milanese fu in seguito completata dal
tomo intitolato Rerum Hispaniarum a Philippo II regnante libri VII,
curato da Sclatter.
11
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
51
BvS: rarità per bibliofili
Monaldo Leopardi, il ritratto
di un utopico galantuomo
La verità tutta o niente su un controverso reazionario
ARIANNA CALÒ
«M
ultiforme e versatile io chiamai
l’ingegno di Leopardi, e non ritiro le mie parole.
Scrisse un po’ di tutto; di economia
e di politica, di filosofia e di critica,
di storia e di archeologia, di giurisprudenza, di morale e di religione;
scrisse perfino di matematiche, e
siccome non c’è un buon Italiano
che si rispetti, il quale non creda di
essere nato poeta o buono a fare almeno una tragedia od una commedia, volle essere eziandio tragico e
commediografo».1
Quando si parla di Leopardi, il
correlativo immediato è il genio di
Giacomo; eppure questo ritratto
stringato e persino ironico è del padre, il conte Monaldo. Uomo singolare, dotato di un «cuore ottimo e
grande quanto una piazza»2 e di
un’intelligenza non meno vasta,
“letteratissimo” secondo Pietro
Giordani, Leopardi padre ha dovuto subire in vita le conseguenze della
popolarità del figlio e in morte il
giudizio storico della critica, d’accordo nel tramandarlo conservatore
a oltranza, reazionario, bigotto,
gretto, quando non persino volgare.
Nacque a Recanati nel 1776
Ritratto di Monaldo Leopardi
dall’originale ad olio conservato
presso la casa-museo di Recanati
da una nobile famiglia guelfa, da
sempre sotto la stima e la protezione dei pontefici. Posto sotto l’ala
gesuitica dell’educazione più austera e tradizionale, il conte, in polemica con il proprio precettore,
decise di formarsi culturalmente da
sé, dedicandosi alla formazione di
una biblioteca personale3 arricchita
nel tempo con consigli mirati, ma
anche con acquisti fortuiti e inte-
grazioni provenienti dalle raccolte
di quegli ordini religiosi soppressi
per volere napoleonico. La passione per i libri era un dono dall’infanzia, quando gli acquisti erano alla
rinfusa e «bello è che io comprava
libri francesi, senza ancora intenderli, ma stava nella mia testa che
avrei col tempo appreso tutto lo scibile, e sarei diventato poco meno
un grand’uomo. Poco male; chi
prende la mira un po’ alta, coglie
meglio nel segno».4
Una raccolta di quindicimila
volumi, forse disorganica e disordinata, ma pur sempre il teatro della
formazione di Giacomo e degli altri
figli, un riparo dall’ambiente angusto e provinciale della piccola cittadina marchigiana.
Un punto fermo nella formazione del carattere del conte era la
rivendicata nobiltà di cui iniziò a
dare segno manifesto dai diciotto
anni, vestendosi sempre di nero,
con calzoni corti e la cravatta bianca, e portando al fianco la spada,
abitudine che lo portò a definirsi
«l’ultimo spadifero d’Italia».5
Tra un matrimonio annullato
e un altro condotto con Adelaide
Antici, nell’indifferenza per il pas-
52
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
Sopra: La santa casa di Loreto, ultima opera di Monaldo Leopardi pubblicata in Svizzera dall’editore Veladini. Nella pagina
accanto, da sinistra: frontespizio della celebre edizione dei Dialoghetti sulle materie correnti nell’anno 1831, pubblicate
senza alcuna indicazione editoriale e con il nome dell’autore celato sotto le cifre 1150; Vita di Niccolò Bonafede, vescovo di
Chiusi, ritratto storico di un personaggio ritenuto portatore di quegli alti valori morali di cui Monaldo era strenue difensore
saggio del generale Bonaparte sotto la finestra di palazzo («giudicando non doversi a quel tristo l’onore
che un galantuomo si alzasse per
vederlo»),6 dalla tranquilla vita
provinciale si ritrovò suo malgrado
coinvolto nella politica attiva, e nominato governatore di Recanati a
seguito a una sommossa anti-francese; durò poco, e al rientro delle
truppe d’oltralpe, fu condannato a
morte: solo l’intercessione dell’amico marchese Carlo Antici gli risparmiò il plotone d’esecuzione.
L’infelice esperienza gli valse
l’abbandono della vita pubblica;
scrisse nel frattempo delle tragedie,
alcune commedie e delle poesie,
delle quali, con il piglio ironico che
sempre coltivava, in età matura
confessò che «certamente era meglio dormire che scriver[le]».7 Poi,
per quasi un ventennio, più nulla: le
ristrettezze economiche e la cura
dei figli lo assorbirono.
Riprese nel 1828, quando nel
frattempo il figlio Giacomo cresceva di statura, di fama e di prestigio
tra i letterati, con il Memoriale di frate Giovanni Niccolò da Camerino francescano, scritto nell’anno 1371. Proprio Giacomo nel 1826 aveva pubblicato l’abilissimo falso trecente-
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
sco del Martirio dei SS. Padri del
Monte Sinai, ingannando persino i
più esperti in materia; Monaldo
scrive allora al figlio informandolo
che tra i vari manoscritti della biblioteca c’è un antico documento
anch’esso trecentesco sulla leggenda di San Girio francese: Giacomo,
sentendosi coinvolto con l’orgoglio
dello specialista, lo studia, propone
un’attribuzione e annuncia ulteriori
indagini. Di certo non avrebbe immaginato che si trattava di uno
scherzo del padre, anche lui cimentatosi con un falso volgarizzamento
«per pigliarsi un po’ di gusto col purismo; ma io credo che lo facesse an-
che per far vedere che sapeva pur lui
tentare qualcosa come il figlio».8
Ancora sotto l’incoraggiamento del
primogenito dà alle stampe nel
1832 La vita di Niccolò Bonafede, uomo medievale scelto perché giusto,
indomito, nemico di ogni abuso, generoso e magnanimo, portatore dei
più alti valori nobili e presentato
con grande nostalgia.
Il vero ingresso nel più ampio
mondo delle lettere avvenne solo
con la stampa dei Dialoghetti sulle
materie correnti nell’anno 1831, il cui
sottotitolo recitava a mo’ di pro-
53
gramma La verità tutta o niente.
Nessun luogo di stampa, né indicazione di tipografo (si rivolse ad Annesio Nobili, il fidato editore di Pesaro) e persino il nome celato sotto
le cifre 1150, che necessitavano di
essere tradotte in numeri romani
per avere MCL (Monaldo conte
Leopardi). L’opera ebbe improvviso e inaspettato successo; fiorirono
le edizioni e le ristampe (la Biblioteca ne possiede ben quattro esemplari, tra prime edizioni ed emissioni successive con varianti tipografiche)9 e grande eco si ebbe oltre i
confini nazionali.
Il contenuto è noto: tra il
54
plauso dei conservatori, Monaldo
afferma con piena franchezza e
convinzione che il popolo merita
eterna sfiducia, che l’anelito verso
il progresso cela in realtà sconvolgimenti tragici e che occorra accettare, come premessa all’ordine,
l’autorità, in ultima istanza quella
divina. Nel 1831 Monaldo faceva
parte del Comitato provvisorio governativo nato in seguito ai moti
scoppiati nell’Italia centrale e, con
la definitiva sconfitta dei liberali, i
Dialoghetti rappresentavano la presa di posizione definitiva sotto l’ala
pontificia.
Di seguito scrisse, quasi a
ideale completamento, una «mitraglia di altri piccoli scritti»:10 La
Predica recitata al popolo da don Muso
Duro, Una parola ai sudditi del papa
sulle riforme del governo, il Testamento di Don Pietro di Braganza ex Imperatore del Brasile e Il catechismo filosofico, edizioni anch’esse di notevole
fortuna. Certo sorprendeva la pur
consueta schiettezza di Monaldo
nel rivolgersi ai lettori «come si
parla ad un branco di malfattori, vi
sbatterò sul muso le verità della fede, e se poi non vorrete credermi e
convertirvi, farete quello che vi pare»,11 ma ancora una volta egli vuole sottolineare l’appoggio al potere
dello Stato Pontificio e insistere
con fermezza sulle convinzioni già
elaborate nei Dialoghetti: «che la
società non può sussistere senza un
capo il quale la regoli e la governi, e
perciò l’uomo nasce con il debito
della sottomissione […]; che allora
la sovranità è più giovevole all’ordine sociale quando risiede tutta intiera nella persona di un solo monarca; che la ribellione del popolo è
sempre contraria al comando di
Dio, ed è la maggiore di tutte le ca-
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
Esemplare completo della brossura
originale per l’edizione de La città
della filosofia, stampata dell’amico
editore Annesio Nobili nel 1833
lamità che possono affliggere un
popolo; […] è quindi necessario
moderare il troppo avanzamento
della civiltà; che ognuno deve amare la sua patria […] senza correre
dietro ai vaneggiamenti della indipendenza nazionale suscitata dalla
sedicente filosofia».12
Questi i passi che gli sono valsi l’etichetta di passatista e reazionario; eppure le sue idee così
espresse rivelano «l’utopia del galantuomo»13 convinto della possibilità di una società ideale in cui soprattutto i governanti siano guidati
da alti sentimenti morali e cristiani.
In questo «baldanzoso candore»14
gioca un ruolo determinante la sua
formazione, l’orgoglio di una elevata tradizione di vita e di costumi
che lo sconquasso delle rivolte minaccerebbe di travolgere insieme a
quelle istituzioni e a quei principi
basilari della società che per lui si
identificano con un ordine naturale
voluto da Dio. Allo stesso modo, la
sfiducia in ogni progresso è la sfiducia nelle possibilità dell’uomo,
immutabile nella sua natura. Il conte Monaldo contempla il mondo
distaccandosene; e dalla sua prospettiva si può sorridere e ironizzare di chi annuncia immutabili cambiamenti.
Un passo dalla sua Autobiografia ritorna appropriato: «Ho
fatta alcuna ricerca in me stesso per
conoscere quale fosse il deliquio
della mia ragione, e non avendolo
trovato, mi è venuta la tentazione di
credere che la mia mente fosse superiore a molte, non già in elevazione ma in quadratura».15 La quadratura di cui Monaldo parla è «l’equilibrio e il buon senso, che è il pilastro su cui egli fonda il proprio
orgoglio e intorno a cui ruota il suo
culto per la ragione e la verità, con
l’impegno di operare ragionevolmente fino “agli estremi”; un impegno sorretto anche da un’aristocratica dignità e da una coscienza di
galantuomo che non permettevano
tentennamenti».16
Indipendente e fiero, Monaldo fu sempre coerente e risoluto nel
far sentire la propria voce, non risparmiando critiche e osservazioni
neppure a quel governo pontificio
che pure aveva legittimato, anche a
rischio di una paradossale emarginazione. E così avvenne. Proprio la
curia romana intervenne per la
chiusura del caustico giornale, «La
voce della ragione», dalle cui colonne Monaldo discuteva a suo modo di religione e morale, e intervenne con fermezza censurando il
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
55
pamphlet La giustizia nei contratti e
l’usura, in risposta a un saggio dell’abate Marco Mastrofini che a giudizio del conte violava le pure dottrine della Chiesa, e soprattutto
quando il conte si schierò nella disputa Cesarini-Torlonia de legitima
vel illegittima filiazione, che a Roma
creava più di qualche mormorio nei
buoni salotti. Le duchesse Geltrude e Anna Sforza Cesarini tentavano l’estromissione dalla linea ereditaria di Lorenzo, figlio illegittimo di Geltrude ma riconosciuto
dalla Sacra Rota, a favore di Giulio
Torlonia, figlio di Anna. Monaldo,
invitato alla scrittura dall’avvocato
Niccola Manari, si pronunciò
esprimendo forti riserve sulla imminente sentenza del Tribunale ecclesiastico che, legittimando un
adulterio, avrebbe costituito, a suo
ragionato parere, un precedente
pericolosamente innovatore. L’opuscolo, Una causa celebre nella età
presente e nelle età future,17 recentemente acquisito dalla Biblioteca,
venne pubblicato anonimo. Ma che
proprio il conte recanatese ne fosse
l’autore era cosa ovunque risaputa,
e proprio a lui si rivolsero le gerarchie curiali quando lo costrinsero a
ritrattare le sue parole per una forse
troppo impavida affermazione
contenuta in un’aggiunta all’edizione.
Amareggiato dalla chiusura
umana e ideologica di quelle autorità pontificie che pure aveva sempre difeso, Monaldo decise di dare
libero sfogo alla propria verve critica pubblicando in Svizzera presso
l’editore Veladini. Oltre a Le illusioni della pubblica carità, oltre confine
comparve La santa casa di Loreto.
Discussioni istoriche e critiche del
1841, ultima opera animosamente
condotta per rendere omaggio alla
verità storica e dimostrare, attraverso lunghi e ragionati studi, che il
trasferimento della casa sui colli
lauretani non accadde sul finire del
Trecento, come pure molti studiosi
asserivano, ma molti anni dopo.18
Alla fine di una lunga malattia
che gli permetteva a fatica di scrivere, Monaldo morì il 30 aprile 1847,
in tempo per non assistere con sofferenza ai moti dell’anno successivo che sconvolsero l’Europa.
Chissà cosa ne avrebbe scritto.
NOTE
1
MONALDO LEOPARDI, Autobiografia, con
Appendice di Alessandro Avoli, Roma, Befani, 1883, p. 325.
2
Ibi, p. 31.
3
Si confronti a questo proposito: ANDREA CAMPANA, Catalogo della Biblioteca Leopardi in Recanati, Firenze, Olschki, 2011, recentemente acquisito dalla Biblioteca di via
Senato.
4
Citato in ALFREDO PANZINI, Casa Leopardi, Firenze, Le Monnier, 1948, p. 160.
5
M. LEOPARDI, cit. p. 75.
6
Ibi, p. 36.
7
ALVARO VALENTINI in Autobiografia, a cura di Anna Leopardi, Transeuropa, 2003, p.
VII.
8
M. LEOPARDI, Autobiografia, p. 339.
9
Possedute anche le Aggiunte alla prima, seconda, e terza edizione dei Dialoghetti e le Aggiunte alla sesta edizione, entrambe per Nobili, 1832.
DBI 64, p. 656.
M. LEOPARDI, Prediche recitate al popolo
liberale da Don Muso Duro curato del paese
della verità e nella contrada della poca pazienza, [s.l.], [s.n.], 1832.
12
M. LEOPARDI, Catechismo filosofico per
uso delle scuole inferiori proposto dai redattori della Voce della Ragione, Pesaro, Nobili,
1832.
13
CARLO GRABHER, in Autobiografia e Dialoghetti, Bologna, Cappelli, 1972, p. 11.
14
A. VALENTINI, p. VIII.
15
M. LEOPARDI , Autobiografia, p. 7.
16
C. GRABHER, cit. p. 10.
17
L’opuscolo divenne protagonista di un
gustoso botta e risposta a distanza che coinvolse il poeta romano Giuseppe Gioacchino Belli: anch’egli infatti si occupò a più riprese della celebre causa, ma con intenti opposti: con i sonetti romaneschi Li du’ senatori e La causa Scesarini, colse l’occasione
per farsi interprete della voce popolare,
condannando il cinismo di cui stavano dando prova nei tribunali le duchesse Cesarini.
18
Completano il gruppo delle edizioni di
Monaldo Leopardi presenti nel Fondo Antico della Biblioteca i seguenti titoli: Catechismo sulle rivoluzioni, Modena, Per gli eredi
Soliani tipografi reali, 1832; Otto giorni dedicati ai liberali illusi, del 1833; le Considerazioni sulla storia d'Italia continuata da
quella del Guicciardini di Carlo Botta nelle
tre edizioni di Livorno, Migliaresi, 1836; Venezia, Antonio Rosa,1834 (rarissima) e Nobili, 1834; Pensieri del tempo, Fossombrone,
Rossi e Lana, 1836; Le parole di un credente
come le scrisse l'abate F. de La Mennais
quando era un credente, Modena, Vincenzi,
1836; la Lettera al signor preposto Antonio
Riccardi di Bergamo in replica alla sua critica polemica sopra Le discussioni lauretane,
Lugano, Veladini, 1841 e l’Apologia della
corrispondenza di Monteverde contro il
giornale La Voce della Ragione […] del 1835.
10
11
56
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
BvS: il libro ritrovato
Diario del secolo decimonono
tra cronaca e aneddoto
Alfredo Comandini e la cronologia come “aritmetica della storia”
PAOLA MARIA FARINA
T
ra i volumi ordinatamente
disposti in fila sugli scaffali
della nostra biblioteca, in
attesa di essere consultati da qualche studioso o semplicemente curioso di storia dell’Ottocento, spiccano i cinque tomi piuttosto poderosi dell’opera intitolata L’Italia nei
cento anni del secolo XIX (1801-1900)
giorno per giorno illustrata compilata
da Alfredo Comandini (Faenza, 4
dicembre 1853 – Milano, 9 luglio
1923) e stampata a Milano da Antonio Vallardi tra il 1900 e il 1942.
Antonio Alfredo Comandini
(questo il nome completo dell’autore dell’impegnativa impresa storiografica) fu, oltre che storico, politico e giornalista apprezzato, appartenente a «quella generazione
di uomini che sui valori degli anni
eroici della creazione dello stato
italiano […] plasmarono la loro formazione ideale e il loro agire politicamente e civilmente impegnato».1
Infatti, l’intera famiglia Comandini
era attiva nella causa nazionale tanto che, quando il nostro nacque, il
padre Federico si trovava in carcere, dopo essere stato arrestato come
complice di una fallita rivolta.2
Alfredo Comandini trascorse
un’infanzia abbastanza serena tra
Faenza, Fabriano e soprattutto Ce-
Ritratto di Alfredo Comandini
contenuto nelle pagine introduttive
al volume IV (dedicato agli anni dal
1861 al 1870) de L’Italia nei cento
anni del secolo XIX (1801-1900)
giorno per giorno illustrata
sena, dove visse fino al 1874, quando si trasferì a Roma per frequentare la facoltà di Giurisprudenza; furono questi gli anni in cui l’autore si
legò ad ambienti e personalità della
cultura laica, come Pasquale Stanislao Mancini (1817 – 1888) e Terenzio Mamiani (1799 – 1855), e
abbracciò posizioni radicali che in
seguito avrebbero lasciato il posto a
idee più moderate.3 Tra l’altro, lo
studioso conquistò proprio nel periodo universitario una certa notorietà in virtù della fondazione del
Comitato che promuoveva l’erezione in città di un monumento a
Giordano Bruno, iniziativa che
venne lanciata nel 1876 ed ebbe risonanza internazionale.
Conseguita la laurea nel
1879, non esercitò mai l’avvocatura, preferendogli l’attività di giornalista, avviata con la collaborazione al periodico cesenatese di sinistra “Satana”; l’esordio vero e proprio avvenne in Veneto, dove fu direttore de “Il Paese” (dal 1879 al
1880), gazzetta liberal-progressista
della provincia di Vicenza, e, in seguito, a Verona, de “L’Alto Adige”
(dal 1880 al 1883). La carriera di
giornalista di Comandini conobbe
la sua stagione più brillante a Milano, con la direzione, dapprima, del
quotidiano “La Lombardia” (dal
1883 al 1891), che divenne in breve
una delle testate più seguite e autorevoli, e, successivamente, dal luglio 1891 al novembre 1892, del
“Corriere della Sera”.4 La collaborazione con il periodico di Eugenio
Torelli-Viollier continuò anche
negli anni 1893 e 1894, ma non più
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
nel ruolo di direttore politico-letterario; impegnato, infatti, in Parlamento nel gruppo di Sidney Sonnino a seguito dell’elezione come
deputato per il Collegio di Cesena,
Comandini rimase al “Corriere”
come corrispondente da Roma.5
Dopo il tentativo fallito di lanciare una nuova rivista, “Il Corriere
del Mattino”, e un’ultima esperienza di giornalista politico per “La Sera” (tra il 1895 e il 1896), l’autore decise di rivolgere ogni suo sforzo a
un’impresa di carattere storicocompilativo che proprio in quegli
anni aveva ideato.6 «Negli studi storici e risorgimentali, nelle ricerche
minute d’archivio Alfredo Comandini trovò una nuova ragione di vita e
ad essi si dedicò completamente
mettendo a frutto la ricca biblioteca
e la infinita ed eterogenea documentazione che già da tempo andava raccogliendo».7
L’Italia nei cento anni del secolo
XIX (1801-1900) giorno per giorno illustrata è una sterminata cronologia
dei fatti dell’Ottocento avvenuti nella Penisola, raccontati secondo una
scansione quotidiana; ideata originariamente in tre volumi e stampata da
Vallardi in dispense a partire dal dicembre 1899, l’opera andò via via dilatandosi per l’accumularsi del materiale reperito dallo studioso e per
l’amplissima documentazione iconografica selezionata, a tal punto
che, dopo i primi due volumi (usciti
nel 1901 e nel 1907), «fu necessario
ripartire i cinquant’anni ancora da
trattare in altri tre volumi che videro
la luce rispettivamente nel 1917,
1929 e 1942».8 Alla morte di Comandini la cronologia era giunta solo
all’89° fascicolo del quarto volume
(giugno 1864) e all’originario compilatore subentrò Antonio Monti
57
Dall’alto: un esempio delle molte illustrazioni di moda contenute nell’opera di
Comandini (volume I, pp. 1228-1229); frontespizio del volume II de L’Italia nei
cento anni del secolo XIX (1801-1900) giorno per giorno illustrata. In antiporta
è presentato il piano originario dell’opera, che prevedeva solamente tre volumi
(volume I: 1801-1825; volume II: 1826-1849; volume III: 1850-1900).
Successivamente, alla luce dell’abbondanza del materiale reperito, il progetto
editoriale fu rivisto e il numero dei tomi fu portato a cinque, con una diversa
suddivisione cronologica
58
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
A sinistra: tra le illustrazioni che
compaiono con maggior frequenza
nel testo vi sono ritratti di
personaggi illustri, monete, medaglie
e copie di documenti del tempo, per
ciascuno dei quali l’autore indica
la collezione di provenienza.
Sotto da sinistra: la Galleria Vittorio
Emanuele II in Milano inaugurata
il 15 settembre 1867; una vignetta
satirica contenuta nel volume III
rappresentante Cavour in qualità
di ministro delle Finanze.
Nella pagina accanto: illustrazioni
che accompagnano l’inizio della
sezione dedicata al 1876 (volume V):
un’immagine del calendario
di quell’anno e una riproduzione del
“Giuoco del Tesoro delle Famiglie”
(1885 – 1953), storico e direttore per
oltre un ventennio del Museo del Risorgimento di Milano, il quale si impegnò a portare a termine il lavoro,
finendo, però, con l’abbassarne livello e qualità dell’informazione.9
La precisa cronologia che si
snoda nei volumi permise all’autore
di esporre in maniera ordinata e
puntuale un’enorme quantità di informazioni, raccolte attingendo a
manuali, testi, periodici, fonti e altri
documenti coevi raffrontati tra loro
in modo da emendarne gli errori e
verificare eventuali incongruenze. Il
metodo di lavoro seguito appare
estremamente rigoroso ed è emblematico, a questo proposito, quanto
lo studioso dichiara nelle pagine introduttive al volume III, laddove afferma che «la cronologia è l’aritmetica della storia»,10 aggiungendo di
aver lavorato mirando «preferibilmente a mettere a posto – quanto più
possibile – le date».11
Attento non solo ai fatti storici
più rilevanti, ma anche agli eventi di
minor spicco e a quelle «minuzie che
troppi disdegnano come futilità immeritevoli di fermare l’attenzione di
scrittori ‘alati e geniali’»,12 lo storico
fu in grado di realizzare un autentico
diario del secolo XIX, zeppo di preziose informazioni che altrimenti
sarebbero andate irrimediabilmente
perdute. Servendosi della vivacità
stilistica e narrativa che gli derivava
dal suo lavoro di cronista, del metodo rigoroso e analitico dello storico
e della curiosità del bibliofilo, si dimostrò colto divulgatore, costruendo un’opera che sapientemente riesce a informare e insieme dilettare,
accostando gli eventi destinati a segnare la storia alla cronaca e alla nota
di costume. Nel testo si possono leggere notizie relative a cerimonie uf-
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
59
ficiali, feste cittadine, rappresentazioni teatrali, manifestazioni artistiche, registrazioni di nascite e morti,
vicende climatiche, fenomeni e catastrofi naturali, tutte in gran parte accompagnate da illustrazioni.
«L’Italia nei cento anni non è
un’opera di semplice compilazione
storica, anche se questa enciclopedia biografico-storica racconta attraverso le immagini le vicende di
ogni stato italiano in ciascun giorno, è facile accorgersi che le notizie
sono scelte da uno spirito acuto,
personalissimo, che sa essere obiettivo senza rinunciare ad una critica:
ma essa si evince dall’ordinamento
dei fatti, sempre accompagnati da
incisioni e illustrazioni rispondenti
al testo e ricavate da documenti dell’epoca».13 La seconda caratteristica sostanziale dell’edizione è proprio la ricchezza dell’apparato iconografico, tratto da materiali rigorosamente coevi ai fatti, ma comunemente ritenuti di scarso interesse
storico: fogli volanti, calendari,
monete, figurini di moda, costumi
militari, bandiere, stendardi, gazzette, periodici, strenne, inviti a feste, bigliettini intestati, ritratti, fotografie e opuscoli di varia natura.14
Alfredo Comandini con il suo
diario storico-aneddotico ha dato
testimonianza preziosa delle vicende italiane nel secolo dell’unificazione, fatto al quale l’autore guarda
come il momento cruciale dell’Ottocento, dimostrando, così, un’autentica fedeltà agli ideali della storia civile del Paese. Testo di grande
successo al momento della pubblicazione, è ancora oggi effemeride
storica che si lascia sfogliare con
piacere e che riserva a chi la scovi
tra gli scaffali della biblioteca non
poche sorprese.
NOTE
1
DANIELA SAVOIA, Dalla parte di Alfredo Comandini. Note per una biografia, in GIUSEPPINA
BENASSATI – DANIELA SAVOIA (a cura di), L’Italia nei
cento anni. Libri e stampe della biblioteca di
Alfredo Comandini, Bologna, Grafis Edizioni,
1998, p. 1.
2
Ibidem.
3
Ibi, p. 2.
4
GIUSEPPE MONSAGRATI, Comandini, Alfredo
(Antonio), in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 27, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, 1982, p. 516.
5
Proprio in quegli anni Comandini fu inviato in Sicilia per realizzare un reportage sui
disordini scoppiati nell’isola.
Continuò soltanto, in virtù del suo sodalizio con Emilio Treves, a curare una rubrica
settimanale per “L’Illustrazione italiana”.
7
D. SAVOIA, Dalla parte di Alfredo Comandini, p. 5. La biblioteca costituita da Alfredo
Comandini e dai suoi successori è stata donata al Comune di Cesena negli anni ’70; il fondo,
conservato presso la biblioteca Malatestiana,
comprende oltre 15000 volumi e quasi altrettanti opuscoli, 692 monete, 966 medaglie,
479 manoscritti, oltre a disegni, fotografie,
cartoline illustrate, dipinti e sculture (fonte:
http://www.malatestiana.it/page.asp?IDProdotto=81; controllato il 23/05/2012).
8
G. MONSAGRATI, Comandini, Alfredo (Antonio),p. 517.
Ibidem.
ALFREDO COMANDINI, L’Italia nei cento anni
del secolo XIX (1801-1900) giorno per giorno
illustrata. 1850-1860, Milano, Antonio Vallardi, 1907-1918, p. X.
11
Ibi, p. XI.
12
ALFREDO COMANDINI – ANTONIO MONTI, L’Italia nei cento anni del secolo XIX (18011900) giorno per giorno illustrata. 18711900, Milano, Antonio Vallardi, 1930-1942,
p. XI.
13
DANIELA SAVOIA, Tesori di carte, in G. BENASSATI – D. SAVOIA (a cura di), L’Italia nei cento anni, p. 17.
14
G. BENASSATI – D. SAVOIA (a cura di), L’Italia nei cento anni, p. 163.
6
9
10
60
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
BvS: rarità per bibliofili
Alberto Casiraghy:
«il panettiere degli editori»
La “casa” editrice Pulcinoelefante compie 30 anni
VALENTINA CONTI
«C
hi pianta sogni vive in
eterno», «L’altruismo è un’occasione
stupenda per essere felici», «La vita
è un capolavoro senza limiti di tempo», «Scrivo aforismi perché cerco!», «Scrivo aforismi perché amo
gli abissi di poche parole».1 Non c’è
modo migliore per presentare Alberto Casiraghi (o meglio Casiraghy
come ama firmarsi per distinguersi
dai suoi omonimi) se non citando i
suoi aforismi. È un uomo che vive di
poesia, nella sua casa a Osnago, in
Brianza, dove accoglie chiunque abbia voglia di “giocare” con lui, le parole e i colori per realizzare i suoi libretti.
Dal 1982, infatti, è editore delle pubblicazioni Pulcinoelefante,
piccole plaquette di 4 pagine, realizzate con pregiata carta tedesca a mano Hahnemühle. In copertina sono
sempre stampati il titolo e il nome
dell’autore, più in basso quello dell’artista, sulla prima pagina si trova
un breve testo (una frase, una citazione, un aforisma o una poesia) e sul
recto successivo un’opera ispirata
dalla frase, che può essere realizzata
in qualunque genere e materiale. Il
formato è generalmente 13,5 x 20 cm
e sull’ultimo foglio nel colophon sono riportati i dettagli dell’edizione e
Incisione di Adriano Porazzi
colorata a mano in Incidit, Osnago,
Pulcinoelefante, 1999
la data. Il testo è realizzato con caratteri mobili Bodoni, Garamond e Times (i tipi in piombo sono un dono
dello stampatore Giorgio Lucini),
che Casiraghy imprime personalmente utilizzando l’Audax Nebiolo,
una macchina tipografica, che troneggia nel salotto della casa, rappresentandone il cuore. L’editore l’acquistò a prezzo di liquidazione nel
1985 quando fu chiusa la tipografia
Same di Milano, dove aveva lavorato
come tipografo stampando alcuni
tra i quotidiani più importanti dell’epoca come “Il Giornale”, “la Notte”,
il “Corriere d’Informazione” e “l’Avanti!”.
La storia della Pulcinoelefante
cominciò in un «pomeriggio ventoso» del 1982 durante un incontro di
Casiraghy con il pittore Carlo Carnà: stamparono il primo libricino,
Una lirica di Carnà, con un torchio
manuale e come marca editoriale fu
scelto un disegno ideato dall’editore
brianzolo quando era ancora ragazzino per illustrare il racconto L’errore
del pulcino tratto da Il libro degli errori
di Gianni Rodari.
Il primo anno fu realizzato solo
quel libretto, ma oggi la Pulcinoelefante annovera 8600 pubblicazioni,
tutte conservate presso l’archivio
della “casa” editrice, ovvero la camera da letto dell’abitazione di Osnago.
In un totale clima egualitario,
la possibilità di stampare è offerta a
tutti, sia a grandi scrittori come Gillo
Dorfles, sia al bambino che passa e fa
una battuta (ad esempio un libretto è
stato realizzato con la frase di una
bambina di cinque anni: «Quando
non so cosa fare rido»). A prescindere da chi sia l’autore i libretti venduti
da Casiraghy hanno un costo fisso di
10 euro, un prezzo accessibile a tutti
perché l’editore crede nell’idea che
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
61
Frontespizio, testo di Alda Merini e illustrazione di Antonietta Viganoni in Una poesia, Osnago, Pulcinoelefante, 2001
«la bellezza deve essere un bene collettivo». Nonostante ciò, accade di
trovare alcuni libricini, che passando
di mano in mano, sono venduti ad un
prezzo di oltre 100 euro. È possibile
perché le tirature sono limitate, generalmente tra le 25 e le 33 copie, fattore che rende più preziose le pubblicazioni, e perché metà restano di
proprietà dell’editore, metà vengono lasciate all’autore.
Per Casiraghy la conditio sine
qua non del suo lavoro è la libertà, agli
autori e agli illustratori è totalmente
lecito esprimersi come preferiscono,
chi entra nella sua casa può usare ciò
che preferisce perché ricorda l’editore: «non bisogna essere gelosi delle proprie cose, ma essere generosi e
metterle a disposizione di chi le vuole usare» (fatta eccezione per l’Audax, ma solo perché è un macchinario delicato e bisogna saperlo maneggiare). Tra gli esempi più bizzarri
in campo di sperimentazione artistica basti ricordare le Crocifritture mistiche di Jacob De Chirico, un artista
nordico che realizzò dei crocefissi
impanati accompagnandoli a un
pensiero di Gianmarco Chiavari.
Spiega Casiraghy: «nel mio
lavoro c’è sempre la giocosità, ma
legata alla professionalità di fondo,
altrimenti diventa naïf. È come improvvisare jazz, bisogna aver studiato bene uno strumento per saperlo suonare improvvisando». Il
riferimento alla musica non è casuale perché l’editore dopo l’esperienza alla Same fu anche violinista
e liutaio oltre che scenografo, pittore e sculture.
Poliedrico nelle attività svolte,
ma anche nel rapportarsi con la gente, Casiraghy riconosce che incontrando molte persone diverse, bisogna avere la capacità di trasformarsi,
come un camaleonte, e adattarsi
ogni volta al proprio interlocutore,
in particolare «gli scrittori famosi
non sono mai dei bravi ragazzi, ma
bisogna sapersi adattare a tutti e soprattutto farlo con gioia».
Con questo atteggiamento l’editore ha vissuto molti incontri importanti, tra tutti va ricordato quello
con la poetessa Alda Merini, amica
inseparabile, che oggi ricorda con
nostalgia: «Era grande come Mozart. Una donna strepitosa con tante
sfaccettature, era unica, nessuno le
somiglia». La scrittrice, che definiva
la casa di Osnago «il grande manicomio privato di Alberto» compose per
l’amico editore il Manifesto del pulcinirismo: «il disegno per Casiraghy è
un mito / e la linea la logica della sua
distruzione. / Il colore è il vero ambiente per Alberto, / vale a dire che il
trauma della luce / opera in lui fantasiosi ricordi. / Scrive come un bambino, / portandosi dietro pesi che a
volte / sembrano pesanti, ma tutti all’insegna / di un’allegria sconsiderata che fa il cuore / di tutti i grandi
artisti. / …e come dice la sua insegna: è un pulcino che ha salvato le
parole di grandi elefanti. / Alda
Merini 13 maggio 1999» e realizzò
anche Breve storia del Pulcinoelefante
che contiene questa poesia: «Notte
tempo / il vecchio portò suo figlio /
sul monte dell’elefante, / ma lo salvò
il pulcino / perché dovevano nascere
62
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
Frontespizio, testo di Franco Loi e acquarello di Franco Spazzi, El ref, Osnago, Pulcinoelefante, 1998
i librini di Alberto». La collaborazione tra i due diede vita a più di 1500
libretti, tutti realizzati con illustratori differenti, tra cui l’editore stesso.
Dopo la morte della scrittrice, Casiraghy ha consegnato alle figlie di lei
gli scritti ancora non pubblicati, ma
durante il nostro incontro ha voluto
regalarci qualche aforisma inedito
della poetessa: «La mia parola vive in
uno spazio segreto»; «Ciò che un
editore sa dei suoi poeti sono le virgole»; «Come Picasso ha avuto i suoi
rosa e i suoi blu io sto attraversando il
mio periodo nero»; «La fama si conquista con la solitudine»; «Quando
non riesco a parlare vado a prendere
la legna nel bosco e accendo le mie
speranze» quest’ultimo delicatissimo pensiero la Merini lo dettò mentre era in ospedale.
Un altro incontro importante
per Casiraghy fu quello con Vanni
Scheiwiller che lo definì «Il panettiere degli editori: l’unico che stampi
in giornata»2 e giocando con il nome
della casa editrice disse: «al suo nome sono legate numerose tirature,
piccole come pulcini e degne della
memoria degli elefanti»3. Casiraghy
lo ricorda come un uomo difficile
con cui bisognava misurare le parole,
ma di grande talento e capace di dare
grandi consigli; diventarono grandissimi amici, e l’editore favorì la
collaborazione tra la Pulcinoelefan-
te e scrittori famosi come Ginsberg,
Corso e Ferlinghetti.4
Il brianzolo rappresentava l’editore ideale per Scheiwiller, perché
con la sua velocità di esecuzione e le
stampe limitate a poche copie si avvicinava al concetto di tiratura perfetta: -1.
Ogni Pulcinoelefante ha un’illustrazione diversa da tutte le altre e
circa un migliaio delle piccole opere
realizzate da svariati artisti sono state
intagliate nel legno di bosso dal
maestro artigiano Adriano Porazzi,
grande incisore e ultimo praticante
della xilografia commerciale in Italia. «Adriano Porazzi era un incisore
straordinario e un uomo di grande
NOTE
1
ALBERTO CASIRAGHY, Quando. Novantanove aforismi quieti e inquieti, Ro Ferrarese,
Book editore, 2011; ALBERTO CASIRAGHY, Gli occhi non sanno tacere. Aforismi per vivere meglio, Novara, Interlinea, 2011.
2
VANNI SCHEIWILLER, Edizioni Pulcinoelefante, catalogo generale 1982-2004, Libri
Scheiwiller, Milano, 2005, p. 1.
3
SEBASTIANO VASSALLI, Pulcinoelefante, i
piccoli libri diventano grandi in «La Stampa»,
Edizioni La Stampa S.P.A., Torino, 3 giugno
2007.
4
ALBERTO CASIRAGHY, Gli occhi non sanno
tacere, Novara, Interlinea, 2010, pag. 7.
5
ALBERTO CASIRAGHY, Adriano Porazzi Xilo-
grafie – Opere incise per le Edizioni Pulcinoelefante 1994-1996, a cura di Simone Bandirali,
Edizioni Pulcinoelefante, Milano, 1996, p. 9.
Cfr. Tesi di laurea di CLAUDIA TAVELLA, Stamperie private in Italia fra tradizione e modernità, Politecnico di Milano, facoltà del design,
corso di laurea in design della comunicazione,
a.a. 2009/2010, relatore prof. James Clough.
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
sensibilità. Nei nostri brevi incontri
non parlavamo mai di immagini incise, ma del senso della vita e del tempo che passa. Amava definirsi un “dinosauro che vede dall’alto”»5.
Tra gli esemplari della Pulcinoelefante conservati presso la Biblioteca di via Senato è possibile ammirare alcune opere di Adriano Porazzi, ad esempio in Incidit sono impresse 8 incisioni create dal maestro e
colorate a mano, realizzate a Osnago
nell’agosto 1999 in edizione limitata
a 33 copie, oppure in Un pensiero è
stampato un breve testo di Franco
Sciardelli accompagnato da un disegno di Alberto Casiraghy inciso da
Adriano Porazzi e colorato a mano,
in edizione limitata a sole 19 copie.
È dall’inizio degli anni Novanta che i Pulcinoelefante hanno cominciato ad acquistare la fama di cui
godono ora, ovvero dall’incontro di
Casiraghy con la rassegna annuale
dei piccoli editori Parole nel tempo organizzato al castello di Belgioioso, in
provincia di Pavia. Da allora sempre
più persone, famose e non, hanno
varcato la porta della casa di Osnago
per stampare nuovi libretti, e proprio come cita un altro aforisma della
Merini: «La casa della poesia non
avrà mai porte».
La notorietà dei Pulcinoelefante ha superato anche i confini italiani, come conferma Casiraghy:
«Questi libricini, soprattutto grazie
alle mostre, mi hanno fatto andare in
tutto il mondo: a New York, nell’Indiana, a Tokyo, Ravenna e la prossima esposizione sarà a Ferrara a partire da settembre 2012».
«Tutto quello che faccio è per
amore della poesia» questo ripete
Alberto Casiraghy a ogni intervista,
«sono un privilegiato che ha potuto
fare del suo hobby un lavoro. Colla-
63
Frontespizio, testo di Franco Sciardelli, illustrazione disegnata da Casiraghy e
incisa da Adriano Porazzi, in Un pensiero, Osnago, Pulcinoelefante, 2000
boro sempre con persone simpatiche, perché vado dove hanno voglia e
piacere di incontrarmi. Ma in fondo
faccio solo libricini.» Alberto Casiraghy è un uomo umilissimo, che
racchiude in sè un mondo meraviglioso che si percepisce attraverso i
suoi libretti. Bruno Munari riuscì a
descriverlo in un suo aforisma: «Un
bravo stampatore per fare buona impressione deve avere un ottimo carattere». Mentre parliamo tra tutti i
libricini Casiraghy ne sceglie uno
realizzato da Melyndra, pseudonimo di una giovane ragazza che spesso collabora con l’editore, il quale ci
confida di vedere in lei una sua possibile erede.
Da 30 anni la Pulcinoelefante
regala l’occasione di trascorrere del
tempo nella casa di Osnago, un privilegio concesso a tutti, un’opportunità di vivere per un giorno in un mondo fatto di poesia e libertà.
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
65
BvS: il Fondo Impresa
Marcello Dudovich: l’arte
applicata alla pubblicità
Il grande maestro della cartellonistica pubblicitaria
GIACOMO CORVAGLIA
S
ono trascorsi cinquant’anni
dalla morte di Marcello Dudovich. «Illustratore e cartellonista di successo, … spesso d’avanguardia ma mai di rottura, innovatore a ragion veduta, rispettoso della
tradizione figurativa seppur consapevole delle enormi potenzialità del
manifesto moderno, per la sua lunghissima e fortunata attività, costituisce uno dei riferimenti del cartellone pubblicitario in Italia.» dal Dizionario biografico degli italiani. Marcello Dudovich nasce a Trieste il 21
marzo del 1878. Suo nonno era un
pescatore di Traù, in Dalmazia e suo
padre Antonio un impiegato delle
Assicurazioni Generali di Trieste.
L’infanzia e l’adolescenza di Dudovich sono quelle di un ragazzo svogliato e indisciplinato ma molto curioso e portato per il disegno. Frequenta le scuole Reali ottenendo
buoni voti solo nel disegno. Come
ricorderà lo stesso Dudovich: «Ho
incominciato a disegnare ragazzino,
sui quaderni, sui muri, sui margini
dei giornali; una volta persino su un
lenzuolo steso ad asciugare e poi sono andato avanti a forza di bocciature». E ancora: «Impiegavo le ore
delle lezioni scolastiche a riempire
di figure e di figurine ogni foglio
bianco che mi trovassi fra le mani».
Sopra: Marcello Dudovich. Bozzetti
e manifesti per La Rinascente.
Nella pagina accanto: copertina
illustrata da Dudovich del depliant
pubblicitario del 1932 Quattro
crociere estive in Mediterraneo “Conte
Verde” luglio – agosto 1932 – X
Dopo aver frequentato le
scuole Reali, ancora adolescente,
viene introdotto da suo cugino
Guido Grimani nel Circolo Artistico Triestino ed entra in diretto contatto con le maggiori personalità
che animano l’ambiente culturale
della città. Eugenio Scomparini è il
presidente del Circolo ed è il maestro di molti degli artisti che qui si
riuniscono. Tra gli allievi di Scomparini emerge Arturo Rietti e proprio da lui che Marcello Dudovich
trae i primi insegnamenti improntati ad un realismo di stampo monacense. Ed infatti sarà proprio il
viaggio a Monaco di Baviera, avvenuto probabilmente attorno al
1896 a caratterizzare sensibilmente
l’opera di Dudovich negli anni seguenti. Il giovane artista frequenta
le lezioni di nudo all’Accademia
della città tedesca e si interessa anche di arte decorativa che sarà alla
base della sua opera di cartellonista
pubblicitario.
Attorno al 1898 si trasferisce a
Milano, il luogo più adatto allo sviluppo dell’istruzione professionale,
dell’arte applicata all’industria e della moderna pubblicità. Lì viene assunto alle Officine Ricordi come litografo, dal cartellonista Leopoldo
Metlicovitz, suo conterraneo, che
avverte l’eccezionale talento del giovane e gli affida, oltre al lavoro di
cromista, quello di pittore incaricandolo di eseguire dei bozzetti. Fino al 1889 la Ricordi era stata un’im-
66
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
riviste tra cui “Italia Ride”. Nel
1900 è premiato all’Esposizione
Universale di Parigi con la medaglia d’oro, negli anni successivi collabora alle illustrazioni di “Novissima” e dal 1906 a “Il Giornalino
della Domenica” di Firenze. Tra gli
altri periodici con cui collabora
vanno ricordati “Varietas”, “Ars et
Labor”, “Secolo XX” e le copertine
a colori de “La Lettura” e “Rapiditas”. Dopo una breve parentesi genovese, nel 1905 è nuovamente a
Milano presso le Officine Grafiche
Ricordi dove continua la produzione di manifesti, tra i quali restano
famosi quelli per i magazzini Mele
di Napoli (1907-1914) e per Borsalino. Nel Fondo dell’impresa italiana dall’unità ad oggi della nostra
Biblioteca è conservato un bellissimo volume pubblicato nel 1988 da
Arnaldo Mondadori editore e da De
Luca edizioni d’arte I manifesti Mele.
Immagini aristocratiche della “belle
époque” per un pubblico di Grandi Magazzini. Il catalogo della mostra tenutasi a Napoli e curato da Mariantonietta Picone Petrusallustra, ripercorre l’evoluzione dei cartelloni
pubblicitari proprio nel periodo di
maggior splendore che va dalla fine
dell’Ottocento sino allo scoppio
della Grande Guerra.
presa editoriale per la pubblicazione
di partiture di opere liriche ma, proprio dalle esigenze pubblicitarie di
questa attività, ne derivò la stampa di
“avvisi d’opera figurati”, così venivano chiamati in quel periodo i manifesti pubblicitari. Nacquero così le
Officine Grafiche Ricordi, specia-
lizzate appunto nella stampa del cartellone litografico e fucine per i giovani artisti italiani.
Nel 1899 il litografo Edmondo Chappuis lo invita a Bologna
dove inizia a produrre cartelloni
pubblicitari e, in seguito, copertine, illustrazioni e schizzi per varie
Nel 1911 va a Monaco di Baviera per sostituire Reznicek come
disegnatore nella redazione di
“Simplicissimus”. Nella città bavarese resta sino al 1914 quando, a
causa dell’inizio della prima guerra
mondiale è costretto a tornare in
Italia a Torino, ottenendo l’esonero dal servizio di leva, in realtà non
per sua volontà, ma per l’accusa di
essere filo tedesco. Tale sospetto
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
derivava dal fatto di essere stato per
anni collaboratore del “Simplicissimus” di Monaco. Come affermato dallo stesso artista: «Io, figlio di
garibaldino, non potei partire. Una
lettera era giunta alle autorità in cui
mi si accusava di germanofilia…».
Nonostante ciò nel 1917 viene
chiamato dall’ufficio speciale del
Ministero della Marina a firmare la
copertina di un catalogo, edito da
Alfieri & Lacroix, Sommergibili. Il
“Monge” - l’“H. 3” - l’“U. C. 12” - I
Nostri. L’opuscolo di 64 pagine illustra con il testo del comandante
Guido Milanesi e 60 illustrazioni,
tra foto e disegni, i sommergibili
prodotti durante la guerra in Italia.
Quindi tra il 1917 e il 1919 lavora a Torino per varie aziende tra
cui la Fiat, l’Alfa Romeo, la Pirelli, le
Assicurazioni Generali e produce
anche molti cartelloni per il cinema.
Tra il 1920 e il 1929 realizza i manifesti per “La Rinascente” di Milano,
stampati dalle Officine d’Arti Grafi-
67
Sopra: serie di 3 cartoline postali
disegnate da Dudovich: Libro
domestico di risparmio della banca
agricola italiana; La Rinascente,
Piazza Colonna, Roma; Aurum
Liquor.
A sinistra: Marcello Dudovich.
Bozzetti e manifesti per
La Rinascente.
Nella pagina accanto: copertina
illustrata da Dudovich del catalogo
Sommergibili. Il “Monge” - l’“H. 3” l’“U. C. 12” - I Nostri
che Gabriele Chiattone, e nel 1922
diventa
direttore
artistico
dell’I.G.A.P. ossia l’impresa Generale di Affissioni e Pubblicità. Nel
1996 per volontà del Gruppo Rinascente viene pubblicato da Fabbri
editori Marcello Dudovich. Bozzetti e
manifesti per La Rinascente. Il volu-
me, curato da Roberto Curci ripercorre, attraverso una carrellata di
manifesti, tutta la prolifica collaborazione tra Dudovich e La Rinascente. Inoltre la biblioteca possiede
tre cartoline postali a colori illustrate dall’artista. La prima La Rinascente, Piazza Colonna, Roma ritrae l’e-
68
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
glio – 2 agosto. Una grande Crociera, dal Tirreno al Bosforo e all’Adriatico – Quattordici giorni su sei
mari, toccando nove dei porti più
famosi del Mediterraneo. Un viaggio indimenticabile per chi avrà la
fortuna di parteciparvi.” “3) Crociera Adriatica. 4 agosto – 9 agosto.
Una breve, deliziosa Crociera, tra
le spiagge più eleganti dell’Amarissimo – Cinque giorni di sole, d’azzurro lungo coste incantevoli.” “4)
Periplo Italico. 14 agosto – 22 agosto. Una Crociera Classica, su tutti
i mari che bagnano la Penisola – L’
intera visione delle coste d’ Italia in
un viaggio fantastico di nove giorni
– Un viaggio che ogni italiano dovrebbe fare”.
I manifesti Mele. Immagini aristocratiche della “belle époque” per un pubblico
di Grandi Magazzini.
sterno dell’edificio a Roma con davanti tre passanti, una donna e due
uomini. La seconda Aurum Liquor
pubblicizza il liquore prodotto dalle
Distillerie dell’Aurum di Pineta di
Pescara. La terza cartolina pubblicizza il Libro domestico di risparmio
della Banca Agricola Italiana.
Dalla fine degli anni ‘20 Dudovich accoglie alcuni dettami dello stile del Novecento prediligendo
le forme semplici con un accennato
chiaroscuro, pur senza abbandona-
re la sua tradizionale eleganza. Come si può notare nell’ illustrazione
della copertina del depliant pubblicitario del 1932 Quattro crociere estive in Mediterraneo “Conte Verde” luglio – agosto 1932 – X. Il foglio di
grande formato ripiegato più volte
pubblicizza gli itinerari delle 4 crociere: “1) Crociera Tirrena. 11 luglio – 16 luglio. Sei giorni in mare,
sul più azzurro dei mari, sotto il più
brillante dei cieli… sostando dinanzi alle spiaggie più incantevoli e
più frequentate da San Remo a Capri!” “2) Crociera il Levante. 19 lu-
Tra il 1937 e il 1936 Marcello
Dudovich si reca in Libia, chiamato da Italo Balbo, per un lungo soggiorno e vi ritornerà nel 1951 ospite di suo nipote. Gli anni della Seconda Guerra Mondiale sono anni
difficili e spesso drammatici con la
perdita della moglie Elisa Bucchi
nel 1945. Negli anni cinquanta la
pubblicità diviene una “scienza
esatta”, basata su preliminari indagini di mercato che condizionano
profondamente l’estro dell’artista e
la figura romantica del cartellonista finisce di esistere. Questo si può
vedere nel catalogo della mostra tenuta nel 1996 a Marina di Pietrasanta Da Dudovich a Testa. L’illustrazione pubblicitaria della Martini
& Rossi.
Marcello Dudovich muore a
Milano il 31 marzo del 1962 a ottantaquattro anni. In occasione del
cinquantesimo anniversario della
sua morte le poste italiane lo celebrano con un annullo postale.
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
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BvS: nuove schede
Recenti acquisizioni della
Biblioteca di via Senato
Novità per bibliofili arricchiscono i fondi antico e moderno
Arianna Calò, Valentina Conti,
Giacomo Corvaglia, Margherita
Dell’Utri, Paola Maria Farina,
Annette Popel Pozzo
e Beatrice Porchera
Accurata Utopiae Tabula Das ist
Der neu-entdeckten Schalck-Welt, oder
des so offt benannten, und doch nie erkannten Schlarraffenlandes […] anmuthig und nutzlich vorgestelt durch
Authorem Anonymum. Officina
Hommaniana [i.e. Norimberga, Johann Baptist Homann, 1716].
Carta di 520x615 mm, con colorazione coeva a mano, dall’Atlas
Novum Terrarum, raffigurante il
paese di Cuccagna, ricordato come
mitico luogo d’abbondanza, di delizie, di felicità e di libertà. La fittizia
carta geografica di chiara impronta
favolosa e utopica fu pubblicata per
la prima volta in Johann Andreas
Schneblins Erklärung der Wunderseltzamen Land-Charten Utopiæ
(1694). Il ricco uso letterario del
paese di Cuccagna (Vocabolario
Treccani: “dal lat. mediev. Cocania
‘paese dell’abbondanza’, nome
prob. foggiato con una voce germ.
indicante dolciumi (cfr. ted. Kuchen
‘dolce, torta’) e la terminazione ania di nomi di regione”) spazia da
La nave dei folli di Sebastian Brant del
1494 attraverso il paese di Bengodi
descritto da Boccaccio fino alle citazioni moderne di Collodi “Credi di
essere nel Paese della Cuccagna?”
nel Pinocchio o di Alessandro Manzoni “Che sia il paese di cuccagna questo?” nei Promessi sposi.
Tooley, Geographical Oddities
87. (A.P.P.)
Alighieri, Dante (1265-1321).
La Commedia di Dante Alighieri
fiorentino. Nuovamente riveduta nel
testo e dichiarata da Brunone Bianchi.
Firenze, Le Monnier, 1857.
Quinta edizione, a cura di Brunone Bianchi (1803-1869), in molti
luoghi ritoccata e contenente il Rimario con paginazione autonoma.
Sulla formazione del curatore Bianchi è noto che “si impiegò come correttore di bozze nella stamperia
Campiagi e passò poi in quella del
Borghi. Ben presto, per i suoi interessi letterari, il B. entrò in contatto
con l’ambiente culturale fiorentino
di tendenza liberale moderata e ne
subì l’influsso, in particolare del
Lambruschini e del Capponi; alle
idee di quest’ultimo egli si rifece in
seguito nel dettare i criteri per la
quinta edizione del Vocabolario della Crusca. La sua attività letteraria,
ostacolata dalle strettezze economiche, si avviò a risultati concreti con la
pubblicazione (1844) delle Aggiunte
alle Note di Paolo Costa alla Divina
Commedia, che, a partire dalla quinta
edizione (Firenze 1857), divennero
un commento tutto suo e nel 1868
arrivarono alla settima edizione”
(DBI 10, p. 72).
Fiske I, p. 26. Mambelli 296.
Sull’editore vedi P. GALEATI, Di due
tipografi editori, Imola, Tip. d’Ignazio Galeati e Figlio, 1895. (M.D.U.)
Azeglio, Massimo d’ (17981866).
La sacra di san Michele disegnata
e descritta dal Cav. Massimo D’azeglio.
Venaria (TO), Graf art, 2010.
Edizione anastatica curata dall’Associazione Amici della Sacra di
san Michele in occasione del 150°
anniversario dell’Unità d’Italia.
Quest’opera, realizzata in 500 esemplari, intende ricordare e onorare
Massimo d’Azeglio raccontando le
70
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
vicende personali che lo hanno condotto a stringere amicizia con Alessandro Manzoni e hanno permesso
l’incontro tra Antonio Rosmini e il
re. Carlo Alberto, affidando la Sacra
ormai in rovina e in completo abbandono all’Istituto di Carità, designò il nuovo destino dell’antico monastero. L’edizione originale (San
Michele disegnata e descritta dal cav.
Massimo D’Azeglio, Torino, Tipografia Chirio e Mina, 1829) è un’opera rarissima, censita solo in quattro biblioteche in Italia, e fu la prima
pubblicazione in Piemonte con illustrazioni in litografia (cfr. L. OZZOLA, La litografia italiana, Roma, Alfieri & Lacroix, 1923). Nei primi decenni dell’Ottocento le rovine della
Sacra attrassero, in pieno clima romantico, l’attenzione artistica e letteraria di alcuni e poi quella turistica
di molti. D’Azeglio seppe interpretare il fascino di queste rovine e della
leggenda di Bell’Alda: “S’ignora in
qual parte e da chi nascesse una donzella di mirabili forme detta Alda la
bella: essa pure col padre riparava
nelle sacre mura a sfuggir dal pericolo che le sovrastava per sua meravigliosa bellezza”. (V.C.)
Calcagni Abrami, Artemisia;
Chimirri, Lucia (a cura di).
Per sommi libri: gli artisti delle
avanguardie e il libro. Firenze, Centro Di, 2001.
Catalogo della mostra che si è
tenuta a Firenze nel 2001 in occasione della III Settimana per la cultura;
il volumetto, dall’aspetto grafico
particolarmente accurato, testimonia l’attenzione del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali e della Biblioteca Nazionale Centrale fiorentina per il libro d’arte contemporaneo. Nell’opera sono presenti nu-
merose riproduzioni fotografiche
dei testi esposti: 83 delle oltre 4300
edizioni in tiratura limitata, illustrate da grandi artisti delle avanguardie
novecentesche (come Picasso, Matisse, Mirò, Carrà e Warhol) appartenenti alla collezione Bertini.
(P.M.F.)
Cicero, Marcus Tullius (106
a.C.-43 a.C.).
Marci Tullii Ciceronis Orpheus
sive de Adolescente studioso, ad Marcum
filium Athenas. Firenze, Tipografia
Arcivescovile, 1831.
Edizione limitata, curata da
Etienne Audin de Rians, contenente
la riproduzione facsimilare dell’edizione stampata a Venezia da Giovanni Battista Ciotti nel 1594.
Nell’Avvertimento ai lettori Audin
scrive: “Non si tratta qui di una scoperta di manoscritto palimpsesto, né
di un’opera inedita; ma solo di riprodurre l’edizione originale d’un rarissimo opuscolo portante il nome di
Cicerone, e che non fu mai riunito
all’altre di lui opere. Essendone la
presente pressoché il fac-simile, tanto per i caratteri e gli ornamenti,
quanto per il sesto, inutile ne riescirebbe la descrizione, avendola noi
persino imitata anche nella distribuzione delle linee parola per parola,
ed in modo tale, che gli Amatori della Bibliografia Aldina possano ammettere la copia nelle loro collezioni, in mancanza dell’originale” (c. *2
recto e verso). Gli esemplari di tale
edizione, il cui testo fu considerato
di dubbia attribuzione dal curatore
stesso, furono impressi su differenti
tipi di carta.
Il nostro esemplare appartiene
al gruppo dei 6 stampati su carta verde. Al verso della carta di guardia anteriore nota manoscritta in inchio-
stro di S.L.G.E. Audin: “Uno de’ 6
esemp.ri impressi su questa carta”.
(B.P.)
Corna, Andrea (1867-1942).
Profili di illustri piacentini. Piacenza, Unione Tipografica Piacentina, 1914.
L’edizione, con prefazione a
cura di Angelo Maria Zecca, raccoglie le biografie di ventidue famosi
uomini piacentini, “anche personaggi non del tutto laudabili” (p.
VIII), vissuti tra il X e il XIX secolo.
Tra i più importanti figurano Guglielmo da Saliceto, Alberto Scoto,
Giulio Alberoni, Bonaventura Gazzola, Gaspare Landi, Gian Domenico Romagnosi, Melchiorre Gioia e
Pietro Giordani. Ciascun profilo
biografico è preceduto da un ritratto
del personaggio di cui si raccontano
vita e opere e concorre, nell’intento
dell’Autore, alla realizzazione di
un’opera che, conservando un “carattere popolare e di divulgazione”,
possa essere “un libro di storia vera
che resisterà” (p. XI). (P.M.F.)
Giraldi, Giovanni Battista
(1504-1573).
Orbecche tragedia di M. Giovanbattista Giraldi Cinthio da Ferrara.
Venezia, eredi di Aldo Manuzio il
vecchio, 1543.
Prima edizione recante il ritratto inciso dell’Autore entro medaglione sul verso del frontespizio,
da non confondere con la contraffazione fatta sempre nel 1543, con la
stessa segnatura, ma 63, [1] carte.
“La prima, e più famosa tragedia del
G., l’Orbecche, venne scritta in due
mesi e rappresentata per ben tre volte nel 1541 a Ferrara, di fronte alla
corte estense, che ne aveva finanziato gli allestimenti. In seguito venne
giugno 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
messa più volte in scena, nel 1543,
probabilmente, a Parma; nello stesso 1543 fu pubblicata per la prima
volta (Venezia, in casa de’ figliuoli
d’Aldo) e altre edizioni seguirono
nel corso del XVI secolo. All’interno
del panorama del teatro tragico italiano del Cinquecento, l’Orbecche
rappresenta il superamento dei tentativi di elaborare una nuova tragedia di stampo classicista intrapresi in
passato da G. G. Trissino, con la Sofonisba, e dai tragici fiorentini, in nome di una istanza di rappresentazione più diretta della realtà delle passioni umane. A questo fine, il G., oltre a rappresentare quello che è stato
definito l’“orrido”, mettendo in scena, come nell’Orbecche, perfino il
suicidio della protagonista, si giovò,
per questa come per le tragedie successive, di alcune innovazioni strutturali, tra le quali la non pedissequa
osservanza delle regole aristoteliche
e la divisione in cinque atti, ognuno
con il suo prologo. Il successo dell’Orbecche indusse il G. a comporre
nuove tragedie: in poco tempo, tra la
fine del 1541 e il 1543, scrisse e vennero messe in scena la Didone, la
Cleopatra e l’Altile, con le quali si precisano i caratteri della nuova tragedia che egli voleva realizzare” (DBI
56, p. 443). (A.P.P.)
Manenti Monzino, Emanuela.
All’insegna della sirena: storia ed
evoluzione di una famiglia di liutai milanesi dal 1750 ai nostri giorni. Milano, A. Monzino & Figli, 2007.
Il volume ripercorre, attraverso immagini e testo, duecentocinquant’anni di storia della famosa
fabbrica di strumenti musicali e corde armoniche di Milano. (G.C.)
Marigliani, Clemente; Biguz-
zi, Giancarlo.
La collezione sacra della bottega di
Antonio Lafréry (Christi Dei Optimi).
Anzio, Edizioni tipografia Marina,
2010.
Raccolta di 116 riproduzioni di
stampe appartenenti alla collezione
sacra della bottega di Antoine Lafréry (1512-1577). L’artista francese
impiantò la sua attività a Roma presso Piazza Navona e organizzò la sue
stampe per soggetto dividendole in
tre gruppi: lo Speculum Romanae Magnificentiae, le tavole di geografia sulla maggior parte del mondo e la raccolta a tema sacro Christi Dei Optimi
Maximi Virginisque Matris Dei et
complurium sanctorum. Molte delle
stampe della raccolta appartengono
a quest’ultimo gruppo di immagini
che furono realizzate per esaudire le
richieste dei devoti e dei pellegrini
che giungevano a Roma soprattutto
negli anni giubilari. Le 116 immagini sono distribuite cronologicamente lungo l’arco di 25 anni, dal 1557 al
1582, ovvero durante e subito dopo il
Concilio di Trento (1545-1563), e,
proprio in ossequio ai decreti conciliari che ammonivano la lascivia nelle
immagini ecclesiastiche, molte delle
nudità delle stampe furono censurate con interventi a inchiostro, presumibilmente realizzati da un solo autore. Questa raccolta rappresenta un
contributo importante per lo studio
dell’arte incisoria degli ultimi decenni del Cinquecento annoverando
stampe eseguite dagli incisori più rinomati di quel periodo. L’elenco non
è completo ma offre una buona documentazione circa i soggetti sacri
incisi nel periodo post tridentino, oltre a suggerire quale fosse la produzione sacra di Lafréry. (V.C.)
Marini, Egle (1901-1983).
71
Tout près de Marino. Dix eauxfortes originales de Marino Marini.
Parigi, Société Internationale d’Art
XXe Siècle, 1971.
Il testo di Egle Marini, sorella
di Marino, si accompagna, in quest’album a tiratura limitata a 153
esemplari, a 10 acqueforti dell’artista. Una di esse è interamente a colori su fondo rosa; sette hanno interventi di acquatinta a colori. Stampate su carta vélin d’Arches di grande
formato (570x393 mm), risalgono al
periodo migliore dell’opera grafica
dell’artista: vi compaiono figure maschili e femminili, cavalli, cavalieri,
giocolieri e acrobati.
Firma in lapis di Marini alla limitazione. Esemplare n. 82.
Guastalla p. 255. San Lazzaro
n. 63. (A.C.)
Martorana, Carmelo.
Notizie storiche dei Saraceni siciliani ridotte in quattro libri da Carmelo
Martorana. Palermo, Pedone e Muratori, 1832-1833.
Volume che raccoglie i soli due
libri pubblicati dei quattro annunciati nel titolo. L’Autore, storico,
nacque a Palermo alla fine del Settecento e morì intorno al 1870. Compì
studi di giurisprudenza e divenne, a
giudizio di Mira, integerrimo magistrato. Tra i suoi scritti, oltre alla
presente edizione, si citano diverse
opere di carattere economico; lo si
ricorda in particolare per la Lettera
sugli Annali di Agostino Inveges in rapporto alla storia saracenica del 1853 e la
Risposta a Nicolò Buscemi sopra i documenti della Storia ecclesiastica di Sicilia
nell’epoca saracenica, uscita a puntate
nel “Giornale di scienze lettere ed
arti per la Sicilia”. Copia appartenuta a Girolamo di Marzo-Ferro.
Mira II, p. 45: “Si pubblicaro-
72
la Biblioteca di via Senato Milano – giugno 2012
no i primi due libri. Nel primo descrisse l’Autore i fatti politici, e nel
secondo le cose civili e religiose; il
terzo doveva comprendere l’economia ed il commercio, e l’ultimo la
cultura letteraria de’ Musulmani in
Sicilia, ma nella rivoluzione del 1848
gli furono rubati i manoscritti e tutti i
libri della sua copiosa biblioteca, per
cui è da deplorare la perdita di questa
pregiata continuazione”. (A.C.)
Monteforte, Franco.
Un secolo di vita del Credito valtellinese 1908-2008. Sondrio, Credito 100 valtellinese, 2008.
Il volume fa parte della “Collana celebrativa della Fondazione
Gruppo Credito Valtellinese”. Il
giubilare, stampato in occasione del
centesimo anniversario, attraverso
la prefazione di Giovanni De Censi,
il testo di Franco Monteforte e numerose illustrazioni, ripercorre i
cento anni di storia della Banca.
(G.C.)
Moreau de Saint-Méry, Louis
Èlie (1750-1819).
De la danse. Par le conseiller d’état Moreau de Saint-Méry, administrateur général des états de Parme,
Plaisance et Guastalla, membre de plusieurs sociétés savantes et littéraires.
Parma, Giambattista Bodoni, 1803.
Ristampa, con qualche piccola
aggiunta, dell’edizione del 1801 dell’operetta antischiavista dedicata
dall’Autore, amministratore di Parma, Piacenza e Guastalla, «aux
Créoles», agli schiavi neri della Martinica e dei Caraibi, alle loro danze e
alle loro tradizioni.
Brooks, n. 896. De Lama II, p.
155. (B.P.)
Paletta, Giuseppe (a cura di).
La memoria del commercio: negozi storici e imprenditori commerciali
a Milano. Soveria Mannelli, Milano, Rubbettino, Camera di commercio, 2005.
Il volume, edito nella collana
“La Memoria dell’impresa”, attraverso il testo di Giuseppe Paletta e
con la presentazione di Carlo Sangalli e Maria Antonia Rossini Pigozzi, celebra la vita dei negozi che
hanno fatto la storia commerciale
di Milano. (G.C.)
Platone (428/427 a.C.348/347 a.C.).
La Republica di Platone, tradotta dalla lingua greca nella thoscana
dall’eccellente phisico messer Pamphilo
Fiorimbene da Fossembrone. Con gli
argomenti per ciascun libro, & con la
tavola di tutte le cose piu notabili, che
in quelli si contengono. Venezia, Gabriele Giolito de Ferrari, & fratelli,
1554.
Prima traduzione dal greco in
volgare a cura di Panfilo Fiorimbene (fl. ca. 1550-1553). Le scarse informazioni sul traduttore indicano
che fu professore di medicina e filosofia e che nel 1550 pubblicò una
Collectanea de febribus e nel 1553 un
Discorso, nel quale si tratta della gotta,
& con efficacissime ragioni si dimostra,
che li gottosi deltutto si possono risanare. (A.P.P.)
Praz, Mario (1896-1982).
Storia della letteratura inglese.
(Firenze), G. C. Sansoni, 1967.
Nona edizione dell’opera del
poliedrico critico e collezionista
romano. Grande appassionato di
letteratura inglese, ebbe modo di
approfondirne la storia durante il
suo soggiorno londinese (19231934), venendo tra l’altro diretta-
mente a contatto con i principali
esponenti del mondo letterario
d’oltremanica. Considerata ancora
oggi un ottimo strumento per avere
una visione d’insieme della letteratura inglese che tenga conto anche
dell’evoluzione del gusto nei secoli,
l’edizione in oggetto contiene un
ricco apparato iconografico costituito da cinquanta tavole in b/n
fuori testo per lo più con ritratti di
poeti e scrittori celebri. (P.M.F.)
Quadrio Curzio, Alberto (a
cura di).
Credito valtellinese: 100 anni
per lo sviluppo economico e sociale. Roma-Bari, Laterza, 2008.
Edito in occasione dei cento
anni del Credito Valtellinese nella
collana “Storia delle banche in Italia”, il volume ripercorre, attraverso immagini, grafici e documenti, i
cento anni di storia della Banca.
(G.C.)
Stoppelli, Pasquale.
Dante e la paternità del fiore.
Roma, Salerno editrice, 2011.
Il volume è pubblicato nel contesto della ricerca per la nuova edizione commentata delle opere di
Dante realizzata con il sostegno dell’Istituto Bandìco di Napoli – Fondazione Banco di Sicilia. L’Autore
vuole dissociare Dante dal testo del
Fiore, opera anonima trecentesca a
cui studi filologici hanno attribuito
molti padri: Brunetto Latini, Rustico Filippi, Cecco Angiolieri, Folgore da San Giminiano, Antonio Pucci
e Dante. Stoppelli analizza tutta la
bibliografia critica dal 1881 a oggi
per riconsiderare l’effettiva paternità di alcune rime oggi unanimemente riconosciute all’autore della Commedia. (V.C.)
la Biblioteca di via Senato
2
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