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NOVEMBRE 2014 NUMERO 58 JESUIT REFUGEE SERVICE ISTRUZIONE UN BISOGNO VITALE NELLE EMERGENZE Australia p. 4 SUD SUDAN p. 7 MEDIO ORIENTE p. 11 AMERICA p. 17 NOVEMBRE 2014 NUMERO 58 IN QUESTO NUMERO FOTO DI COPERTINA Ghada, una rifugiata siriana che frequenta la scuola del JRS a Jbeil, in Libano. (Andy Ash) Servir è disponibile in italiano, francese, inglese e spagnolo. È pubblicato due volte l’anno dal Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS). EditorialE La forza della tenacia 3 Australia Voci zittite4 FOCUS SUL SUD SUDAN Yambio Rispondere a un bisogno vitale DIREZIONE Peter Balleis SJ Maban Una speranza che rifiuta di morire REDAZIONE Danielle Vella PRODUZIONE Malcolm Bonello 7 9 APPELLO Aiuta la popolazione di Maban 10 MEDIO ORIENTE L’istruzione salva la vita11 SicilIA Soccorsi. E poi?14 Il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati è un’organizzazione cattolica internazionale creata nel 1980 da Pedro Arrupe SJ. La sua missione è accompagnare, servire e difendere la causa dei rifugiati e degli sfollati. Jesuit Refugee Service Borgo S. Spirito 4, 00193 Roma, Italia TEL: +39 06 69 868 465 FAX: +39 06 69 868 461 AMERICA LATINA Sostieni i rifugiati17 STATI UNITI Non è solo un problema politico18 AFGHANISTAN | RIFLESSIONE Ridateci il Signor Prem 19 LIBANO | QUARTA DI COPERTINA Uno spazio in cui apprendere 20 servir@jrs.net www.jrs.net e-SERVIR DISPONIBILE IN VERSIONE ELETTRONICA La versione elettronica di Servir è di facile accesso e piacevole lettura e il nuovo formato conserva l’impatto visivo della rivista stampata. Se volete ricevere Servir via email invece che per posta, scriveteci all’indirizzo servir@jrs.net o iscrivetevi online alla pagina www.jrs.net/signup?&L=IT. Grazie! 2 EDITORIALE Padre Peter nel campo di Kashuga a Mweso, nell’est della Repubblica Democratica del Congo. La forza della tenacia Arrivati quasi a fine anno abbiamo quattro grosse crisi umanitarie nel mondo: nella Repubblica Centrafricana, nel Sud Sudan, in Siria e più recentemente in Iraq. In un tale contesto, non è facile scrivere qualcosa di ottimistico su questo numero di Servir. Uno degli autori, Pau Vidal SJ, scrive a proposito della “gente crocifissa” di Maban, nel Sud Sudan. Lo stesso termine può essere usato per i protagonisti di tutti gli articoli, a cominciare da padre Prem, il nostro direttore in Afghanistan, rapito in giugno. Le popolazioni di Maban e di Yambio nel Sud Sudan e quella della Siria sono state crocifisse dalla guerra, dalla violenza brutale e dagli sfollamenti. La guerra in Siria sembra senza fine. Nel Sud Sudan i colloqui di pace alimentano la speranza, ma le persone sono ancora preoccupate, viste le frequenti interruzioni e i contrasti che hanno finora caratterizzato le trattative. Intanto, i richiedenti asilo negli Stati Uniti, in Sicilia e in Australia sono seriamente ostacolate dalle politiche e dalle prassi, inadeguate o, peggio, dannose. Nonostante le inesprimibili difficoltà affrontate dai rifugiati e dai richiedenti asilo, e alle volte anche dal nostro personale, dobbiamo perseverare. In questo numero di Servir vedo la tenacia delle équipe del JRS, che fanno tutto ciò che possono in circostanze diverse e sempre difficili. In Afghanistan, nel Sud Sudan e in Medio Oriente esse offrono la possibilità di accedere all’istruzione, un’opportunità che viene afferrata con entusiasmo dalle persone. Negli Stati Uniti, in Europa, in Australia e in America Latina il JRS accompagna coloro che subiscono le politiche dei governi, difende instancabilmente i loro diritti e opera per ottenere leggi giuste ed efficaci e per creare comunità locali più accoglienti. E poi vedo i rifugiati. Con la loro tenacia tengono viva la speranza: non un ottimismo superficiale, piuttosto una speranza profonda nata dalla sofferenza. In Afghanistan, i bambini dei nostri progetti pregano ogni giorno per il rilascio di Prem. Insieme a loro vogliamo credere che Prem sarà liberato e che tutti coloro che “seminano nelle lacrime mieteranno con giubilo”. Peter Balleis SJ | Direttore internazionale del JRS 3 ACCOMPAGNARE Australia Voci zittite Oliver White, responsabile per l’advocacy e le politiche del JRS Australia I richiedenti asilo vivono la frustrazione di una prolungata incertezza legale e molti finiscono per chiudersi nella propria disperazione. (Benizi Santamaria) Questa storia comincia in silenzio. Non perché i suoi protagonisti non abbiano niente da dire, ma perché temono le conseguenze del parlare apertamente, o sono convinti che farlo non serva a nulla. Nonostante i richiedenti asilo di cui scrivo siano fra i più fortunati in questa “nazione felice”, l’assenza della loro voce la dice lunga sul modo in cui vengono trattati dal governo australiano. Si tratta di 3.038 uomini, donne e bambini che sono detenuti in comunità, in Australia una forma alternativa ai centri di 4 detenzione. Altre 6.504 persone, fra cui 747 bambini, vivono ancora dietro al filo spinato dei centri, sia all’interno della nazione che nei due centri nazionali di smistamento nell’isola di Manus (in Papua Nuova Guinea) e a Nauru. DETENZIONE IN COMUNITÀ Il JRS ha svolto un ruolo importante nel processo di istituzione della detenzione in comunità nel 2010, facendo pressione sul governo per ottenere un’alternativa più umana ai centri di detenzione. Il programma pilota che ne è risultato ha permesso a minori non accompagnati di uscire dai centri di detenzione e vivere in comunità sotto supervisione durante il periodo di attesa di una risposta alla propria domanda di asilo. Questo programma è stato un successo grazie alle risorse finanziarie e materiali di cui disponeva, che hanno permesso un’assistenza “fuori casa” e un supporto più continuativi, e anche perché la maggior parte dei giovani poteva vivere nella Australia comunità grazie a permessi di soggiorno temporanei una volta raggiunti i 18 anni. Un programma simile rivolto a uomini e famiglie vulnerabili è invece terminato in un vicolo cieco di prigionia debilitante. UN’ATTESA INFINITA Quando è stato avviato il programma, gli aspetti positivi – la relativa libertà di movimento, un ambiente più naturale per i bambini, la crescente autonomia, l’accesso a scuola, servizi comunitari e reti di supporto – rispondevano agli aspetti negativi dei centri di detenzione. Ciononostante, la durata eccessiva dell’attesa prima di ricevere una risposta alla propria richiesta di protezione ha compromesso lo scopo originario di “minimizzare il danno” e “sostenere il benessere di coloro che sono in attesa di una decisione sul proprio stato di immigrazione”. Per i richiedenti asilo che arrivano in Australia via mare, la procedura di determinazione dello status di rifugiato (DSR) è stata di fatto sospesa dopo le elezioni nazionali del settembre 2013. Il governo è deciso a concedere lo status di rifugiato ai richiedenti asilo che ne avrebbero diritto solo nel caso possa concedere una protezione temporanea invece che un permesso di soggiorno permanente. Finora, però, tutti i tentativi di istituire una protezione temporanea sono stati bloccati dai tribunali o dal parlamento. La gran parte dei richiedenti asilo in detenzione comunitaria arrivati negli ultimi quattro anni è stata così lasciata in una situazione di prolungata incertezza legale. UNA GABBIA SENZA SBARRE Descritta da alcuni richiedenti asilo come “una gabbia senza sbarre”, la detenzione in comunità si è rivelata disastrosa per chi si trova intrappolato dietro i suoi muri invisibili. Sebbene non siano imprigionate fisicamente, le persone non ricevono un permesso di soggiorno; sono libere di girovagare nei quartieri in cui vorrebbero vivere ma non possono lavorare o studiare per ottenere un diploma. Anche i richiedenti asilo non in detenzione grazie a permessi temporanei non hanno vita facile. Devono firmare un codice di condotta sui comportamenti “antisociali” come “sputare o imprecare in pubblico”. Le violazioni del codice sono rare, ma possono portare alla cancellazione del permesso e al ritorno nei centri di detenzione. I richiedenti asilo in detenzione comunitaria non devono firmare il codice, ma risentono della paura che ne deriva e finiscono per rinchiudersi ancor più in sé stessi e nelle loro prigioni suburbane. Sebbene DSR e detenzione siano processi separati, i richiedenti asilo non li distinguono e li ACCOMPAGNARE considerano entrambi ostili, opachi e arbitrari. Vivono un forte senso di ingiustizia vedendo amici e anche familiari che hanno ricevuto un permesso di soggiorno durante il precedente governo mentre loro rimangono detenuti. La detenzione in comunità permette una certa autonomia, ma per i richiedenti asilo il punto centrale rimane lo stato del proprio visto. La frustrazione derivante dall’attesa e dalla detenzione, la preoccupazione per la propria famiglia lasciata indietro e i traumi del passato hanno trascinato molte persone in una spirale di disperazione, distacco e condizioni mentali in deterioramento. FRA ASSISTENZA E COLLUSIONE I richiedenti asilo in detenzione comunitaria sono confusi dai molti livelli di burocrazia e dal numero di persone coinvolte nella procedura – assistenti sociali del JRS, funzionari dell’immigrazione, consulenti, dottori e avvocati –, oltre che frustrati dall’impossibilità di ricevere aiuto In un primo momento, i richiedenti asilo a cui viene permesso di vivere in detenzione comunitaria apprezzano l’indipendenza ritrovata, possono scegliere cosa mangiare e possono cucinare i propri pasti! (Benizi Santamaria) 5 ACCOMPAGNARE Australia dagli assistenti sociali per le loro richieste di permesso di soggiorno e per le questioni legali. “Il personale non può garantire ai beneficiari un visto o il rilascio e ci è specificamente proibito di aiutarli per la loro domanda o altre questioni legali”, afferma Justin Glyn SJ, un gesuita coinvolto nel programma. La detenzione in comunità ha subito grossi cambiamenti dal 2010: c’è una percezione crescente che il Dipartimento dell’Immigrazione e della Protezione delle Frontiere abbia aumentato il livello di sorveglianza dei richiedenti asilo inseriti nel programma. Sebbene rimanga una forma di detenzione, il programma è nato con lo scopo di “rafforzare” il “benessere, la capacità di ripresa e di agire” e il rispetto della “dignità umana” dei richiedenti asilo. Questa terminologia è stata progressivamente ridimensionata e le agenzie sono state invitate a chiamare “detenuti” i richiedenti asilo e ad aiutare “i detenuti ad accettare le condizioni” della loro detenzione. Molte agenzie, incluso il JRS, si sono rifiutate di adottare il termine “detenuti” per riferirsi ai richiedenti asilo in detenzione comunitaria. Altre hanno tranquillamente accettato. Anche l’atteggiamento dei richiedenti asilo è cambiato. Se una volta parlavano positivamente della maggiore indipendenza di cui godevano potendo, ad esempio, andare a fare la spesa, scegliere e cucinare i propri pasti, adesso sono riluttanti a impegnarsi e scettici sul futuro. CONFORTO NELL’ACCOMPAGNARE Sebbene alcuni assistenti sociali si siano dimessi per la frustrazione, altri sono confortati dalla 6 possibilità di accompagnare i richiedenti asilo. “Tutto quello che possiamo fare è camminare con loro, essere presenti, ascoltare quello che hanno da dirci e, dove possibile, aiutarli a convivere con una situazione di profonda incertezza”, afferma Justin. Accompagnare i richiedenti asilo in detenzione comunitaria è particolarmente difficile perché, per ricevere i fondi, le agenzie che partecipano al programma devono collaborare con il governo. Agli operatori è richiesto di monitorare e comunicare gli spostamenti dei richiedenti asilo, specialmente quelli che tentano di scappare, e questo mina la fiducia. Di conseguenza i rapporti sono più forzati che in altri programmi del JRS, perché gli operatori sono inevitabilmente visti come parte del sistema. Tutto quello che possiamo fare è camminare con loro, essere presenti, ascoltare quello che hanno da dirci. IMPORTANTI PER CHI? Le agenzie che si occupano di adulti e famiglie non ricevono risorse per attività educative e ricreative. Grazie all’aiuto generoso di un gruppo di infaticabili volontari e in collaborazione con le organizzazioni della società civile, il JRS ha organizzato attività come giornate di sport, picnic e barbecue; lezioni di inglese, informatica e cucina; lezioni di musica; momenti di gioco e sessioni di yoga. Sebbene i richiedenti asilo siano grati per queste attività, continua a mancar loro la possibilità di agire, in particolare di riuscire a trovare una strada che li porti al loro obiettivo primario: un futuro sicuro per loro e per le loro famiglie. Alcuni sfogano la propria frustrazione nell’unico modo che la loro limitata autonomia permette, rifiutando di partecipare alle attività. La detenzione in comunità resta un modello attuabile per altri governi che ricerchino alternative migliori ai centri di detenzione. Ciononostante, la sospensione delle procedure di analisi delle richieste di asilo ha chiaramente compromesso l’efficacia del programma. Molti operatori sociali sentono la responsabilità etica di dare voce alle preoccupazioni dei richiedenti asilo, ma questo può contrastare con i doveri che hanno nei confronti dei loro datori di lavoro, che devono implementare il programma finanziato dal governo. Inoltre, anche se le persone inserite nel programma desiderano disperatamente di poter vivere libere grazie a permessi temporanei, essere rilasciate significa perdere l’assistenza degli operatori, non avere diritto al lavoro né aiuti per l’alloggio, e alla fine ritrovarsi più vulnerabili in una situazione peggiore di prima. Siccome il parlamento sta considerando una legge che toglierebbe ai rifugiati ogni speranza di permanenza e renderebbe invece legale uno stato di protezione temporanea con diritti limitati, le cose rischiano di peggiorare ulteriormente. Il JRS continuerà a far sentire la voce di chi è detenuto e a fare pressione per il ripristino delle procedure di asilo, senza dimenticare l’importanza della nostra presenza nelle vite di coloro che serviamo. Yambio Rispondere a un bisogno vitale SERVIRE FOCUS SUL SOUTH SUDAN Aidan Azairwe, direttore del JRS Yambio A Yambio i visitatori vengono accolti a braccia aperte. Può essere sorprendente per loro scoprire quanto la popolazione locale, in maggioranza di etnia zande, abbia sofferto negli ultimi anni. Prima la guerra civile, terminata nel 2005, in seguito, fra il 2007 e il 2009, i ribelli ugandesi dell’Esercito di resistenza del Signore e adesso l’ombra minacciosa dell’instabilità a causa delle nuove violenze nel Sud Sudan. Yambio è il centro strategico dello stato dell’Equatoria Occidentale (EO), dove si trovano le infrastrutture di comunicazione, la leadership politica, gli enti economici, le agenzie umanitarie, le istituzioni scolastiche e la sede della diocesi cattolica di TomburaYambio. Ciononostante, la qualità di vita non è migliore di quella nelle comunità rurali locali. All’inizio del 2013, rispondendo a un invito del vescovo, il JRS ha avviato dei progetti nel campo dell’istruzione a Yambio e nelle vicine contee di Nzara ed Ezo, con l’obiettivo di ripristinare la qualità dell’istruzione persa durante i lunghi periodi di instabilità. “Il JRS è per noi un modello nel campo dell’istruzione e ci offre riferimenti da copiare e metodi di lavoro applicare nelle scuole”, ha affermato l’on. Phillip Pia, ministro dell’istruzione dello stato. Ma il compito non è semplice. Molte scuole in EO sono prive di insegnanti qualificati e di strutture scolastiche adeguate. Come nel resto del Sud Sudan, il tasso di abbandono scolastico delle ragazze è alto. Raccolta degli ortaggi nell’orto della scuola di St Mary a Yambio, una scuola sostenuta dal JRS. (Aidan Azairwe/JRS) Il JRS sostiene cinque scuole primarie e cinque secondarie in cui studenti e insegnanti sono anche sfollati interni e persone di ritorno. Circa 1.252 studenti, di cui 401 ragazze, frequentano la scuola secondaria, e 2.054 quella primaria, di cui quasi 900 ragazze. Una delle priorità è la formazione degli insegnanti: grazie al JRS, dodici insegnanti della scuola primaria e cinque della scuola secondaria hanno potuto frequentare l’università in Uganda o nel Sud Sudan. Questa è una risposta al “bisogno vitale”, secondo le parole di Stanley Eisii Enosa, direttore statale dell’istruzione secondaria, “di avere cittadini preparati per sostenere il nostro sistema scolastico”. La situazione è particolarmente critica per l’istruzione secondaria: al momento circa il 60% degli insegnanti qualificati proviene dall’estero, soprattutto da Kenya e Uganda. Un’altra importante area d’intervento è il sostegno ai comitati di gestione delle scuole, perché la sostenibilità delle scuole comunitarie dipende da loro. Rafforzando le competenze dei comitati, il JRS spera che i 78 genitori che vi prendono parte attivamente diventino i motori dello sviluppo scolastico. “Non pensavamo che un’organizzazione avrebbe accompagnato il nostro cammino, i nostri progetti e gli sforzi che facciamo per cercare di realizzare i nostri sogni. In altri casi di interventi umanitari le attività ci vengono calate dall’alto, il JRS 7 SERVIRE Yambio Alunni della scuola di St Mary svolgono i loro esami finali del 2013 seduti sulle sedie che hanno portato da casa. (Aidan Azairwe/JRS) invece dedica del tempo a lavorare insieme a noi”, ha affermato un genitore che fa parte di un comitato. Lo sviluppo di infrastrutture scolastiche è un’altra priorità perché molte scuole non raggiungono gli standard minimi richiesti per avere strutture sicure e le lunghe stagioni delle piogge mettono a serio rischio gli edifici. Infine c’è la grande sfida dell’istruzione delle ragazze. La loro scarsa presenza è dovuta a molti fattori, dalle situazioni di sfollamento o di separazione familiare ai condizionamenti culturali, fino alla mancanza di orientamento da parte dei genitori. “Il nostro problema maggiore è che alcune di noi non hanno genitori che ci possano aiutare; ci dobbiamo arrangiare per la nostra istruzione”, ha affermato Ritah (nome di fantasia) durante un incontro per l’individuazione dei bisogni con alcune alunne. “Inoltre, quando andiamo a scuola e quando torniamo a casa ci sono uomini lungo la strada che ci gridano contro, dicendo che 8 avremmo dovuto sposarci invece che andare a scuola.” Recuperare terreno sul fronte dell’istruzione femminile rimane difficile, anche perché molte scuole secondarie non hanno abbastanza insegnanti femminili che possano diventare modelli da seguire e confidenti. Ma il governo e le agenzie umanitarie stanno facendo uno sforzo congiunto. Il JRS fornisce prodotti per l’igiene a più di 750 ragazze, gestisce seminari di orientamento per aumentarne la capacità decisionale e la sicurezza di sé e paga le tasse scolastiche per le studentesse della scuola secondaria con buoni profitti ma si trovano in situazioni di vulnerabilità. Nel 2013, 53 studentesse e 20 studenti hanno ricevuto un aiuto. Come altre agenzie umanitarie, nel dicembre 2013 il JRS a Yambio ha subito una battuta d’arresto a causa dell’inizio del conflitto tra il presidente del Sud Sudan, Salva Kiir, e il suo ex vicepresidente, Riek Machar. In EO le violenze e gli sfollamenti sono stati più limitati rispetto ad altri stati del Sud Sudan, grazie alla sua localizzazione e a una leadership politica stabile. Ciononostante, i prezzi dei prodotti sia locali che importati sono duplicati e i rifornimenti, soprattutto di carburante, sono diventati insufficienti. A causa delle violenze, i trasporti terrestri sono diventati molto insicuri e, come se non bastasse, le forti piogge hanno talvolta reso impraticabili le strade. Le persone temono per il proprio futuro, preoccupate che i colloqui di pace di Addis Abeba non portino a risultati concreti. Come conseguenza ci sono state manifestazioni pubbliche nell’EO per chiedere alle due fazioni rivali di attuare le risoluzioni concordate per arrivare alla formazione di un governo transitorio. Le manifestazioni hanno causato la chiusura temporanea delle scuole e l’interruzione delle attività del JRS. Nonostante questi contrattempi, il JRS è fiducioso che un cambiamento significativo sia in atto a Yambio nel campo dell’istruzione, dando speranza per il futuro. Maban Una speranza che rifiuta di morire SERVIRE FOCUS SUL SOUTH SUDAN Pau Vidal SJ, direttore del JRS Maban Quando sono scoppiate le violenze a Bunj, la capitale della contea di Maban, nell’Alto Nilo, io e Alvar – i due gesuiti dell’équipe del JRS – eravamo arrivati solamente da tre settimane. Il 3 agosto, verso le 16, mentre celebravamo un funerale in un villaggio, sono cominciati i combattimenti a Bunj. Abbiamo sentito spari e bombe e siamo corsi velocemente verso la più vicina zona ONU per cercare rifugio. Nel giro di pochi minuti siamo stati raggiunti da una marea di centinaia di donne e bambini terrorizzati in fuga dalla città. Era incredibile vedere che i mabanesi, gli abitanti delle comunità locali, stavano fuggendo in cerca di rifugio verso i campi profughi, già sovrappopolati da più di 127mila persone provenienti dal vicino Sudan. Alcuni mesi dopo ci sono state tensioni tra i rifugiati e le comunità locali, ma in quel momento critico i mabanesi sono stati accolti e messi al sicuro dai rifugiati. In un esempio eloquente di vera ospitalità, i ruoli si erano invertiti: chi prima accoglieva veniva ora ospitato e viceversa. Mentre correvo per mettermi in salvo insieme a quelle donne e a quei bambini, avevo un nodo allo stomaco e mi chiedevo chi mai guadagnasse da questa guerra senza senso che ha già fatto così tante vittime. Cinque operatori umanitari sono stati uccisi durante gli scontri. A causa della situazione di rischio, l’équipe del JRS (insieme ad altri 240 operatori umanitari) è stata evacuata da Maban. Partendo, eravamo confusi e colmi di tristezza. Dopo un mese di lontananza, siamo ora tornati a Maban e stiamo lentamente riprendendo le nostre attività principali: formazione per circa 150 insegnanti, attività sportive e ricreative per i giovani, un programma di assistenza psicosociale per visitare e sostenere circa 245 persone vulnerabili. Lavorare col JRS spesso significa testimoniare e toccare con mano il fallimento assoluto dell’umanità. Nella terza settimana degli Esercizi Spirituali (un manuale di preghiera e riflessione), Ignazio di Loyola, il fondatore dei gesuiti, ci invita a contemplare Gesù sulla croce, un fallimento assoluto secondo tutti i punti di vista. Eppure, è proprio questa dolorosa contemplazione che apre la possibilità di vedere Dio anche in un evento tragico come la morte violenta di una vittima innocente. Oggi a Maban, una zona remota del Sud Sudan, le vittime di ormai troppi conflitti sono i crocifissi del nostro tempo, che gridano “adesso basta”. La loro capacità di andare avanti è un segno della speranza profonda che rifiuta di morire. Il JRS è determinato a continuare ad accompagnare le persone costrette a fuggire dalle proprie case in questo angolo del mondo. Ganun, operatore del JRS (a destra), visita Tam (al centro) e suo fratello Ochaya nel campo di Doro, vicino alla città di Bunj. (Pau Vidal SJ/JRS) 9 SERVIRE Maban FOCUS SUL SOUTH SUDAN Aiuta la popolazione di Maban CARI AMICI, L’area di Maban è di nuovo tranquilla dopo le violenze di agosto. Sebbene non sia stato permesso a tutti i membri dell’équipe di tornare, il JRS è di nuovo all’opera a Maban col desiderio di fare di più, sia per la comunità locale che per i rifugiati sudanesi. Abbiamo bisogno del tuo aiuto per fornire istruzione e per ripristinare un senso di normalità e speranza, di sostegno psicosociale, di attività sportive per occupare i giovani. La popolazione di Maban ha bisogno del tuo aiuto. Partita di pallavolo nel campo di Doro. (Pau Vidal SJ/JRS) COSA PUOI FARE: 1 20 € / 25 $ 2 Un kit scolastico che permetterà a un bambino di frequentare la scuola primaria per un anno. 3 120 € / 150 $ Un corso di 12 settimane di inglese base, uno dei bisogni più impellenti per le persone. 4 Un corso di formazione di un mese sulla riconciliazione e la costruzione della pace per due leader locali, per poter risolvere i conflitti all’interno della comunità. 60 € / 75 $ 1.190 € / 1.500 $ Un set completo di attrezzature sportive per i giovani rifugiati, comprendente due palloni da calcio e due da pallavolo, le divise e le attrezzature per due squadre complete di ogni sport, incluse le reti e le porte. Visita il sito jrs.net per le ultime notizie e la pagina jrs.net/donate per fare una donazione online. In alcuni paesi è possibile dedurre dalle tasse le donazioni effettuate attraverso le nostre organizzazioni partner. Maggiori informazioni sono disponibili sul nostro sito. INTENDO SOSTENERE IL LAVORO DEL JRS Allego una donazione di: Il mio assegno è allegato Cognome: Nome: Banca: Banca Popolare di Sondrio, Circonvallazione Cornelia 295, 00167 Roma, Italia Ag. 12 Codice postale: Paese: Telefono: Fax: Email: Intendo ricevere gli aggiornamenti elettronici del JRS 10 PER BONIFICI BANCARI Nome del conto: JRS Indirizzo: Città: Grazie Numero del conto per euro: IBAN: IT 86 Y 05696 03212 000003410X05 Codice SWIFT/BIC: POSOIT22 Numero del conto per dollari USA: IBAN: IT 97 O 05696 03212 VARUS0003410 Codice SWIFT/BIC: POSOIT22 MEDIO ORIENTE SERVIRE L’istruzione salva la vita Zerene Haddad, responsabile per l’advocacy e la comunicazione del JRS Medio Oriente La cerimonia finale di un programma di apprendimento rapido del JRS a Jbeil, in Libano. (Peter Balleis SJ/JRS) Quando penso alla mia infanzia, i ricordi di scuola mi vengono subito alla mente. Le lunghe ore con gli amici, le materie preferite, i momenti imbarazzanti, i giochi nel cortile della scuola – tutte cose che hanno segnato la mia crescita come persona. Per milioni di bambini siriani forse non sarà mai così. Una delle conseguenze di maggiore portata del conflitto è che i bambini non hanno potuto frequentare la scuola (alcuni anche per tre anni), perdendo così fondamentali opportunità di sviluppo. I genitori sono drammaticamente coscienti di ciò che i loro figli perdono. “In Libano, ogni volta che ho chiesto a famiglie siriane qual era il loro bisogno più importante, la risposta è sempre stata l’istruzione”, afferma Andrea Lari, consulente per l’advocacy del JRS Internazionale. Eppure, nonostante l’istruzione sia riconosciuta sempre più come un fattore essenziale nelle situazioni di emergenza, spesso viene messa in coda alla lista delle priorità umanitarie. SIRIA In Siria, il JRS ha ridimensionato molte delle sue attività psicosociali e di istruzione per ragioni di sicurezza e anche perché l’assistenza umanitaria è diventata la priorità più urgente dopo il drammatico aumento delle violenze all’inizio del 2014. Il supporto educativo è limitato quasi solo alle classi di recupero per aiutare gli studenti che hanno difficoltà. Alcune attività psicosociali come arte, musica e teatro proseguono a Homs e nell’area limitrofa in cui il JRS opera, e in misura minore a Damasco. LIBANO I bambini si trovano ovunque in Libano: nelle strade a vendere fiori e dolciumi, al lavoro nei negozi di alimentari, nei negozi di falafel, a chiedere soldi, sdraiati inerti fra le braccia delle loro madri che chiedono l’elemosina. L’agenzia per i rifugiati dell’ONU (ACNUR) afferma che il 50% dei siriani registrati in Libano – 1,2 milioni di persone – sono bambini. Dopo tre anni e mezzo di conflitto in Siria, il Libano cammina in modo precario sull’orlo dell’instabilità, faticando a fornire 11 SERVIRE MEDIO ORIENTE servizi pubblici, lavoro, assistenza sanitaria e istruzione sufficienti per i libanesi e i siriani presenti sul proprio territorio. Circa 400mila bambini siriani in età scolare vivono in Libano, ma solo un quarto ha accesso all’istruzione formale o informale fornita dal governo o dalle ONG. Le ONG e le organizzazioni della società civile che lavorano nel campo dell’istruzione hanno adottato il Programma di apprendimento rapido (ALP), pensato per aiutare i bambini siriani a integrarsi nelle scuole libanesi dopo un periodo di sei mesi di studio intensivo del francese, dell’inglese, dell’arabo e della matematica. Le scuole gestite dal JRS a Beirut, a Jbeil e nella valle della Beqà propongono il programma a mille bambini, cinque ore al giorno, cinque giorni alla settimana. Oltre alle materie principali, il corso è focalizzato sulla costruzione della pace, lo sport, l’arte e la musica. Sebbene lodevoli, gli interventi delle ONG non sono sufficienti. La realtà è che le scuole libanesi non 12 hanno la capacità e le risorse per poter accogliere tutti i bambini siriani bisognosi di istruzione. Il governo ha urgente bisogno di maggior sostegno per incrementare le capacità del proprio sistema scolastico. L’ACNUR e i suoi partner stanno lanciando il programma RACE (Reaching All Children with Education) insieme al governo. RACE sosterrà l’istruzione pubblica in Libano e, così facendo, migliorerà gli standard per gli studenti e il personale libanesi e coinvolgerà i bambini siriani. Ma al momento questo programma è finanziato solo parzialmente (il costo totale è di 300 milioni di dollari per tre anni) e, finché non sarà accessibile a tutti i bambini siriani in Libano, il vuoto sarà ancora colmato dal programma ALP. GIORDANIA I tre edifici prefabbricati situati lungo i leggeri pendii di Jabal Hussein risuonano di chiacchiere sotto il cielo polveroso dell’estate. All’interno uomini e donne, giovani e anziani, provenienti dal Sudan, Uno studente di JC:HEM ad Amman. (Zerene Haddad/JRS) Info point Difficoltà incontrate dai programmi d’istruzione per i rifugiati in Medio Oriente: - I percorsi di studio in Siria, Libano, Turchia e Giordania seguono standard diversi. Gli studenti rifugiati non riescono a integrarsi facilmente a causa delle barriere linguistiche, delle diverse modalità di insegnamento e delle materie differenti. - I governi locali hanno livelli di coinvolgimento diversi. - I finanziamenti dei governi e dei donatori. Le organizzazioni hanno un bisogno estremo di vedere incrementati i fondi destinati all’istruzione, vista sempre più come una parte fondamentale della risposta alle emergenze. - In alcune zone della Siria, l’attività scolastica ha subito interruzioni o è stata fermata del tutto; in altre aree con meno scontri i bambini frequentano ancora la scuola. Nelle aree controllate dallo Stato Islamico è stato imposto un nuovo curricolo che segue la sharia. MEDIO ORIENTE dalla Somalia, dall’Iraq, dalla Siria e dalla Giordania siedono intorno ai tavoli, lavorano al computer, leggono assorti o discutono fra loro in piedi. Ad agosto è cominciato il terzo anno di JC:HEM (Jesuit Commons – Istruzione superiore ai margini, Jesuit Commons – Higher Education at the Margins) ad Amman. Il primo gruppo di studenti iscritti nel 2012 ha iniziato il terzo e ultimo anno del corso di laurea in studi umanistici, in vista del diploma che verrà conferito dalla Regis University di Denver, negli Stati Uniti. “Rimango sempre impressionata dagli studenti. Uno mi ha detto: “Ora sono giovane, è il periodo della mia vita in cui devo lavorare sodo”. Anche se sono come tutti gli altri studenti – alle volte arrivano in ritardo, non svolgono i compiti o copiano il lavoro dagli amici – la loro motivazione è incredibile”, afferma Maya Perlmann, coordinatrice di JC:HEM ad Amman. Il JRS è una delle poche ONG a fornire istruzione universitaria gratuita ai rifugiati in Giordania, attraverso due corsi di studio: il diploma di laurea e i percorsi di apprendimento di servizio comunitario (CSLT), corsi intensivi di breve durata che forniscono agli studenti le competenze necessarie per aiutare efficacemente le loro comunità e per trovare lavoro. Mohammed, uno studente di JC:HEM, afferma: “All’inizio ero preoccupato di non riuscire a seguire le lezioni a causa dei miei orari di lavoro. Per fortuna JC:HEM è pensato per le persone che devono lavorare per poter vivere. Il primo giorno è stato eccitante, ho incontrato molte persone di varie nazioni. Mi sono sentito in sintonia con loro, forse perché affrontare gli stessi momenti di difficoltà avvicina le persone. Abbiamo molto in comune… non possiamo lavorare legalmente perché per i rifugiati in Giordania è difficile riuscire ad avere un permesso di lavoro, abbiamo tutti difficoltà ad avere accesso alle scuole, ci sentiamo tutti stranieri e siamo limitati nelle nostre vite da tutte queste regole.” La domanda di istruzione universitaria è alta all’interno delle diverse comunità di rifugiati in Giordania, ma la mancanza di fondi ostacola la capacità delle ONG di fornirne in misura maggiore. SERVIRE In Giordania, il JRS sta cercando il modo di portare JC:HEM a un numero maggiore di persone che vorrebbero un’istruzione universitaria e potrebbero beneficiarne ma non hanno le possibilità materiali o economiche per farlo. Trent’anni di esperienza in tutto il mondo hanno insegnato al JRS a essere flessibile e ad adattare i propri programmi di istruzione ai diversi contesti e ai diversi bisogni. In Medio Oriente abbiamo imparato che il sapere attivarsi rapidamente con risorse minime è fondamentale nelle situazioni di emergenza. Così come appoggiarsi alle reti di sostegno esistenti: le scuole gesuite nella regione, gli insegnanti delle comunità locali, le ONG locali con cui si può collaborare, le chiese e le moschee con cui si possono condividere strutture. Un altro fattore importante è la relazione con i leader locali che serve a creare legami di fiducia fra le comunità ospitanti e quelle dei rifugiati, e tra esse e il JRS, rendendo il nostro approccio all’istruzione un mezzo per incoraggiare la speranza e la riconciliazione. Una scuola del JRS in Libano. (Zerene Haddad/JRS) VEDI QUARTA DI COPERTINA 13 DIFENDERE SICILIA Soccorsi. E poi? Danielle Vella Gli occhi di Kofi lasciano un segno indelebile. Grandi, neri e tristi, pieni di lacrime, ci chiedono di comprendere le sue parole, semplici e ripetitive allo stesso tempo. “Ho troppa tensione, ho bisogno di liberare la mente perché sono molto stressato”, continua a dire. Come molti altri rifugiati e migranti forzati, Kofi – un giovane gambiano – è vittima di circostanze che sono uscite dal suo controllo. Dopo aver raggiunto Lampedusa, ha presentato domanda d’asilo in Sicilia e ha provato a raggiungere la Svizzera, ma è stato rimandato indietro secondo quanto previsto dal Regolamento Dublino II. Sua moglie e i suoi due figli, di sei e due anni, sono affogati nel Mediterraneo mentre cercavano di raggiungerlo in Europa. “Una volta ero una persona gioiosa, scherzavo tutto il tempo, ma adesso sono davvero cambiato. Se solo potessi avere un’altra famiglia, almeno un bambino, per poter ricominciare da capo.” Kofi stava scivolando verso una disperazione paralizzante che minacciava di annientare le sue riserve di forza, energie e speranza; la stessa disperazione che ho visto in altri richiedenti asilo e rifugiati in Sicilia. Alle volte, la loro disperazione è tanto più profonda quanto più tempo hanno trascorso in quella situazione, perché si rendono conto che non stanno andando da nessuna parte. Anche se ricevono protezione, non hanno un lavoro stabile, una casa che sentano propria… e stanno ormai rinunciando ai loro sogni. UN VIAGGIO PERICOLOSO Ho conosciuto Kofi quando sono stata a Catania, sulla costa siciliana, per incontrare rifugiati e altri migranti forzati per i quali l’isola è diventata la fine del viaggio. L’attenzione della comunità internazionale si è spesso focalizzata sul pericoloso viaggio Quando viveva per strada, Kofi dormiva su pezzi di cartone su questa panchina a Catania. (Oscar Spooner/JRS) 14 SICILIA attraverso il Mediterraneo che moltissime persone affrontano per cercare sicurezza in un paese più pacifico, più democratico e più sviluppato del loro. Migliaia di persone muoiono tentando la traversata sui barconi sovraffollati e inadeguati dei trafficanti. Le tragedie frequenti attirano l’attenzione. Nell’ottobre 2013, la coscienza dell’Europa è stata scossa da due incidenti che hanno fatto centinaia di vittime, avvenuti a una settimana di distanza. Poco dopo, l’Italia ha lanciato Mare Nostrum, un’operazione marittima per soccorrere i migranti in difficoltà che ha salvato più di 140mila vite. Questo sforzo umanitario, il salvataggio di un numero sempre crescente di persone in fuga da conflitti e altre minacce, ha fatto sì che molti più boat people raggiungessero le coste italiane nel 2014, soprattutto in Sicilia. Anche questo è finito sui giornali. Pochi si interessano, invece, di cosa succede ai migranti forzati che alla fine restano in Sicilia. Il JRS Europa e il JRS Italia hanno pubblicato un rapporto, presentato a inizio ottobre a Bruxelles, che si propone di attirare l’attenzione su questa realtà. VOGLIAMO UN PIANO D’AZIONE! L’immagine che ne esce non è buona. I sistemi di accoglienza dell’isola sono inadeguati e spinti ben oltre i loro limiti. Alle volte, i nuovi arrivati vengono sistemati in fretta e furia in tendoni, palestre o altri spazi pubblici. Le ONG e i media locali sostengono che le autorità siciliane insistono a trattare la marea di arrivi come “un’emergenza”, e di conseguenza a proporre risposte ad hoc e superficiali. Da tempo richiedono di attivare un piano d’azione strutturato che abbia le risorse, l’umanità e la supervisione necessarie per poter funzionare. Il governo italiano ha recentemente deciso di rinnovare il sistema di accoglienza, cosciente dell’inefficacia di una strategia che fa gravare sul sud del paese tutti gli oneri di accoglienza dei migranti forzati e le procedure di analisi delle loro richieste di asilo. Un piano triennale per smistare i nuovi arrivi nelle varie regioni è stato approntato, ma è ancora presto per valutarne l’efficacia. Nel frattempo in Sicilia la risposta rimane inadeguata. Molte ONG stanno lavorando incessantemente per andare incontro agli enormi bisogni, ma devono affrontare la corruzione dilagante e una quasi totale assenza di controllo ufficiale. “IN DEPOSITO” All’arrivo a Lampedusa o in Sicilia, molti richiedenti asilo vengono depositati al CARA di Mineo, un enorme centro di accoglienza dove vivono circa 4mila persone, situato in un’area rurale nell’entroterra di Catania. A chi arriva viene detto che la permanenza sarà di sei mesi, ma i ritardi frustranti nelle procedure di asilo fanno sì che spesso il periodo sia lungo il doppio, o anche più. “Qui al CARA di Mineo la vita è sempre dura, la mattina come la sera. Devi fare la coda per qualsiasi cosa”, dice Abdul. “Vogliamo uscire da questo sistema, essere liberi e poter essere utili allo stato che ci ha aiutati.” DIFENDERE Sara Prestianni SUL WEB Soccorsi. E poi? Voci di rifugiati arrivati in Sicilia può essere scaricato dal sito web del JRS Europa, jrseurope.org Il recinto del CARA di Mineo. (Oscar Spooner/JRS) LOTTARE PER SOPRAVVIVERE Contrariamente a quanto le persone sperano – se solo riuscissi ad avere dei documenti, tutto andrebbe bene –, le difficoltà che devono affrontare sono tutt’altro che finite se e quando ricevono protezione e lasciano il CARA. Sebbene in teoria i rifugiati abbiano diritto 15 DIFENDERE SICILIA a un alloggio, molti si ritrovano a dormire in strada per settimane o mesi a causa del numero insufficiente di posti disponibili. Tutti, senza eccezioni, vorrebbero lavorare, ma trovare un impiego in Sicilia è estremamente difficile – il tasso di disoccupazione dell’isola è stimato fra il 21% e il 35%. Eppure, nonostante le difficoltà che affrontano, molti restano aggrappati alla speranza. Perfino Kofi ha intravisto un barlume per poter ricominciare da capo. E quale che sia la loro sorte, praticamente tutti dimostrano gratitudine verso l’Italia per averli salvati dal mare e per averli ospitati. Tutti però aggiungono di avere ancora bisogno urgente di aiuto. Il loro messaggio è chiarissimo: non basta salvarci dal mare, abbiamo bisogno di poter ricostruire le nostre vite. Le loro aspettative sono alte perché basate sull’incrollabile convinzione che l’Europa sia la mecca della pace, dei diritti umani e della democrazia – nonostante la delusione per come sono stati trattati finora. L’Italia e il resto dell’UE sono giuridicamente e moralmente chiamati a essere all’altezza delle loro aspettative. TESTIMONIANZA “Ho lasciato l’Afghanistan dopo che due miei fratelli sono stati uccisi. Hanno distrutto la mia casa , bruciato il negozio di mio padre, non è rimasto niente. Non voglio ricordare come sono morti i miei fratelli, per favore non chiedetemelo. Ho attraversato per due anni e mezzo l’Iran, la Turchia e la Grecia, valicando le montagne a piedi, viaggiando a cavallo, in camion, in barca. Ho visto morire molti compagni di strada. Alla fine sono arrivato in Italia e poi sono andato in Norvegia, in Francia, in Germania e in Belgio. Ho richiesto asilo in Norvegia, ma hanno rigettato la mia domanda, allora sono tornato in Italia. Ho passato due anni senza documenti, senza una casa. Per tre mesi ho vissuto per strada senza vestiti di ricambio e cibo. In inverno era molto freddo, specialmente quando pioveva, e mi sono ammalato. Volevo morire, mi chiedevo perché accadesse tutto questo. Ho ripensato alla mia famiglia e alla mia patria e mi sono sentito così triste – è così brutto laggiù, è così brutto qui, come posso vivere? Poi un amico mi ha aiutato e mi ha preso con sé. Quando potevo lo pagavo. Ho cambiato alloggio molte volte... un giorno in un posto, il giorno dopo in un altro, perché non avevo soldi, a parte quando trovavo qualche lavoretto. Voglio stare bene, ma il mio cuore è triste ogni giorno. Non ho contatti con la mia famiglia da sette mesi. Quando riesco a chiamare i miei genitori, sia io che loro piangiamo, non riesco neanche a parlare. Cosa possiamo farci? Quando sono da solo, piango ricordando le persone morte, i miei fratelli, gli amici che viaggiavano con me, annegati in mare o soffocati nei camion sotto la merce, senza spazio... Spero che il futuro sia migliore, senza problemi, senza paure, ma ancora non riesco a vederlo.” Abraham Il CARA di Mineo, un enorme centro di accoglienza nel mezzo del nulla. (Oscar Spooner/JRS) Qui al CARA di Mineo la vita è sempre dura, la mattina come la sera. Devi fare la coda per qualsiasi cosa. Vogliamo uscire da questo sistema, essere liberi e poter essere utili allo stato che ci ha aiutati. Abdul 16 AMERICA LATINA DIFENDERE Sostieni i rifugiati Sostieni i rifugiati. È questa l’essenza della campagna lanciata in America Latina all’inizio di quest’anno dal JRS e da altre organizzazioni legate ai gesuiti per promuovere una cultura dell’accoglienza. Guidata dalla Conferenza gesuita dell’America Latina, la campagna promuove il valore, la dignità e i diritti dei rifugiati, dei migranti e di chi è costretto ad abbandonare la propria casa, ponendo l’attenzione sulle violazioni di questi diritti nei paesi d’origine, di transito e di destinazione. La campagna risponde all’invito di papa Francesco a promuovere “un cambio di atteggiamento verso i migranti e rifugiati... il passaggio da un atteggiamento di difesa e di paura, di disinteresse o di emarginazione – che, alla fine, corrisponde proprio alla ‘cultura dello scarto’ – ad un atteggiamento che abbia alla base la ‘cultura dell’incontro’, l’unica capace di costruire un mondo più giusto e fraterno, un mondo migliore.” La campagna è molto diretta. Un poster per la Giornata Mondiale del Rifugiato del 20 giugno recitava: “Vogliamo e crediamo in un futuro pieno di speranza realizzato qui e adesso per tutti. Anche le tue azioni contano.” “Conosci i rifugiati e gli sfollati... rispettali e agisci affinché siano riconosciuti, accoglili e chiedi che i loro diritti vengano rispettati.” Attraverso la creatività, i messaggi sono più efficaci. Il 20 giugno, centinaia di persone da tutti gli angoli del continente hanno espresso la loro solidarietà con i rifugiati attraverso i social media, con lo slogan “Sostieni i rifugiati”. A El Alto e a La Paz, in Bolivia, alcuni giovani hanno offerto “abbracci di benvenuto” nelle strade. A Tacna, in Perù, alcune persone hanno scritto biglietti e donato generi di prima necessità per “zaini di benvenuto” che sono stati offerti ai migranti e ai richiedenti asilo in attesa di essere accettati in Cile sul lato peruviano della frontiera. A Tulcán, una città ecuadoriana vicino alla frontiera con la Colombia, il JRS Ecuador e il JRS Colombia hanno manifestato insieme ai colombiani marciando per 4 km. Sui palloncini e sui cartelli si poteva leggere: “Rifugiati... Non aspettare di essere uno di loro per capirli!” Lo scopo della marcia era sensibilizzare la comunità ospitante, che alle volte ha trattato i colombiani in modo discriminatorio. Oltre a invitare le persone ad agire in prima persona, la campagna mira a ottenere cambiamenti nelle politiche pubbliche. Fra i temi affrontati, il persistente conflitto armato in Colombia, la violenza crescente che spinge così tante persone dell’America Centrale a lasciare le proprie case e affligge il loro viaggio attraverso il Messico e fino agli Stati Uniti, la terribile situazione dei migranti bambini. SUL WEB • • facebook.com/porlahospitalidad campañaporlahospitalidad.com Partner della campagna Conferenza gesuita dell’America Latina JRS America Latina e Caraibi Rete dei gesuiti per i migranti di America Latina e Caraibi Federazione internazionale Fe y Alegría Comunità di Vita Cristiana Federazione delle scuole gesuite e ignaziane in America Latina Associazione delle università gesuite in America Latina L’accoglienza alla frontiera tra Venezuela e Colombia. (Paola Cordoba/JRS) 17 DIFENDERE STATI UNITI Frontiera meridionale del Texas: operatori dell’Ufficio statunitense delle dogane e della protezione delle frontiere forniscono assistenza a minori non accompagnati che hanno attraversato il confine entrando negli Stati Uniti. (Barry Bahler Customs and Border Protection) Non è solo un problema politico SUL WEB • I gesuiti e il JRS negli Stati Uniti stanno facendo pressione sul governo affinché non riduca la protezione solo perché più persone ne hanno bisogno. Negli ultimi anni, il numero di richiedenti asilo che arrivano negli Stati Uniti e in altre nazioni dal “triangolo nord” del Centro America – Guatemala, El Salvador e Honduras, tre dei luoghi più violenti al mondo – è aumentato bruscamente. Il numero di minori non accompagnati che arrivano negli Stati Uniti da queste nazioni è raddoppiato di anno in anno dal 2010. Dall’ottobre 2013 al settembre 2014, 66mila minori si sono consegnati alle autorità statunitensi. La protezione dei minori non accompagnati e dei richiedenti asilo, incluse le donne con bambini, è al centro dell’attività di difesa dei diritti del JRS e dei gesuiti negli Stati Uniti. “Il primo intervento del presidente Barack Obama su questo tema è stato chiedere al Congresso, a giugno, di ridurre il livello di protezione per i minori non accompagnati”, ha affermato Shaina Aber, direttrice delle politiche per la Conferenza gesuita degli Stati Uniti. “Questi ragazzi non sono un problema da risolvere, 18 sono stati affidati alle nostre cure per essere protetti.” Una delle modifiche legislative proposte permetterebbe l’espulsione rapida dei minori non accompagnati, una cosa al momento proibita. Il governo sta anche considerando l’ipotesi di detenere i bambini. Nel frattempo, le madri con bambini sono già soggette a detenzione e al processo di espulsione rapida. I rapporti indicano che il 98% delle madri e dei bambini al momento detenuti sono richiedenti asilo. I gesuiti si oppongono alle modifiche proposte, sono contrari alla detenzione di madri con bambini e stanno facendo pressione per identificare alternative alla detenzione e per proteggere i diritti dei richiedenti asilo. A settembre, Timothy Kesicki SJ, presidente della Conferenza gesuita degli Stati Uniti, si è unito ad altri 39 leader religiosi statunitensi per esortare il presidente Obama a non compromettere la vita dei ragazzi in fuga dalle violenze del Centro America. Già a luglio il precedente presidente Tom Smolich SJ si era rivolto ai 43 membri del Congresso che hanno frequentato scuole e università gesuite affinché jrsusa.org/asylum “sostenessero la dignità dell’essere umano e la sacralità della vita”, mentre consideravano soluzioni per affrontare l’afflusso di bambini. Padre Smolich diventerà direttore internazionale del JRS nel novembre 2015. I gesuiti stanno anche chiedendo alle autorità di intraprendere azioni per cercare di risolvere i problemi nelle nazioni da cui le persone fuggono disperatamente. Nel “triangolo nord”, la violenza mirata sta aumentando e le organizzazioni criminali transnazionali usano il loro potere per infiltrarsi nelle istituzioni e perseguire i loro interessi illeciti. I bambini rischiano aggressioni e reclutamento forzato da parte di gang che usano ricatti del tipo “o entri nel gruppo o muori”; inoltre sono presi di mira da gruppi di vigilantes – che alle volte includono poliziotti – che cercano di sradicare le gang. Gli esperti hanno notato un rapido aumento degli sfollamenti di ragazze adolescenti e donne, sempre più vittime dello sfruttamento sessuale da parte del crimine organizzato. Oltre a tutto ciò, le persone continuano a migrare per motivi più “tradizionali”: la povertà e la mancanza di opportunità. AFGHANISTAN RIFLESSIONE Ridateci il Signor Prem Stan Fernandes SJ, direttore del JRS Asia Meridionale La tragica notizia del rapimento di Prem, il 2 giugno, è stata uno shock per tutto il JRS. Non ho una risposta alla domanda che tutti si pongono – “Perché?” –, ma sento che ci può essere una sola ragione convincente. Il JRS gestisce una scuola a Sohadat, una località a 35 km dalla città di Herat, per i figli delle famiglie rifugiate di ritorno dall’Iran, sia bambini che bambine. Venendo da una famiglia di insegnanti di un piccolo villaggio del sud dell’India, Prem amava stare con i bambini. Durante le visite a casa amava raccontare a sua madre le esperienze che viveva insegnando a centinaia di giovani studenti entusiasti e la morte improvvisa della donna, lo scorso anno, lo aveva lasciato affranto. Credo che il giorno del rapimento Prem sia andato a Sohadat perché aveva profondamente a cuore i bambini, per garantire che potessero studiare e plasmare un futuro migliore per sé stessi, le loro famiglie e il loro popolo. Tutti noi desideriamo ardentemente che Prem ritorni presto, ma sappiamo che dobbiamo essere preparati a una lunga attesa. Proseguiamo senza sosta i nostri sforzi affinché sia rilasciato, operando su più fronti e attraverso diversi canali. Centinaia di persone in India, in Afghanistan e nel mondo intero che conoscono e vogliono bene a Prem ci chiedono di continuo notizie e ci sostengono. Poco dopo il rapimento di Prem, il JRS ha sospeso tutti i suoi progetti in Afghanistan. In seguito, però, abbiamo ripreso le attività sollecitati dal nostro profondo impegno a favore dell’istruzione dei bambini afghani. Questo è ciò che vorrebbe Prem. Gli insegnati della scuola di Sohadat e dei nostri centri di formazione cominciano la giornata pregando con gli studenti in classe per il “volontario indiano” che tanto manca loro. Sono convinti che sia al sicuro da qualche parte e il giorno della riapertura della scuola hanno lanciato un appello speciale: “Ridateci il Signor Prem, una persona a cui vogliamo bene, che si occupa della nostra istruzione con profonda dedizione e compassione.” Ci uniamo nella preghiera ai bambini, alla famiglia di Prem, ai suoi amici, ai suoi compagni e alle équipe del JRS in questo appello. Solidali con ciò a cui Prem tiene di più, proseguiamo il nostro impegno affinché venga rilasciato. Chiediamo a Dio di ridarci presto Prem, il suo sorriso allegro e il suo animo compassionevole, così che molte altre persone possano condividere il suo sogno di un futuro migliore per i bambini afghani. Padre Prem (a destra) nella scuola del JRS a Sohadat. (John Mezsia SJ/JRS) 19 Jesuit Refugee Service Borgo S. Spirito 4, 00193 Roma, Italia TEL: +39 06 69 868 465 FAX: +39 06 69 868 461 Servir è redatto, prodotto e stampato a Malta Mittente (per cortesia, rispedire al mittente anche gli invii a indirizzi non più validi) www.jrs.net Jesuit Refugee Service Malta, St Aloysius Sports Complex, 50, Triq ix-Xorrox, Birkirkara, Malta UNO SPAZIO IN CUI APPRENDERE LIbano Per rispondere alle necessità degli studenti siriani rifugiati, alcune scuole in Libano organizzano due sessioni di lezioni al giorno per poter raddoppiare le proprie capacità. Altre sono invece costrette a respingere gli studenti. In diverse comunità del paese, dalla valle della Beqà fino alla costa mediterranea, il JRS sta aprendo scuole per bambini siriani in aree in cui non ci sono mai state opportunità educative. Per avere maggiori informazioni, ascoltate Ghada, una studentessa siriana della nostra scuola a Jbeil, George Jekky del JRS Libano e lo sceicco Ghassan Lakkis, imam di Jbeil, che ha permesso al JRS di utilizzare uno spazio in una moschea per istituire una scuola. YOUTUBE youtube.com/watch?v=Fm6rqgd528U