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Spedizione in abb. postale 45% - art. 2 comma 20B - Legge 662/’96 - D.C./ D.C.I. - Torino - Tassa Pagata / Taxe Perçue
• ANNO XXVIII - MENSILE - N° 11 - DICEMBRE 2007
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MARIA
A U S I L I AT R I C E
RIVISTA DEL SANTUARIO BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE - TORINO
La Vita
Vita in
in mezzo
mezzo aa noi
La
noi
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Il saluto
La pagina
deldelRettore
Rettore
Carissimi fedeli lettori e lettrici,
M
i è caro in questo tempo di
Natale allargare i nostri
orizzonti e proiettarci dal
nostro Santuario verso l’Africa ove
molti missionari e fedeli si sentono
uniti fraternamente al cuore della
Congregazione salesiana e si sentono parte della realizzazione di un sogno. Infatti un giorno Don Bosco in
un sogno missionario dell’aprile 1886
è invitato a spingere lo sguardo molto lontano dalla sua guida – una “pastorella”, che gli chiede espressamente di ricordarsi il sogno dei Becchi a nove anni –: “Tira una sola linea da una estremità all’altra, da Pechino a Santiago, fanne un centro nel
mezzo dell’Africa e avrai un’idea esatta di quanto devono fare i Salesiani...
– Ma come fare tutto questo? Le
distanze sono immense, i luoghi difficili e i Salesiani sono pochi.
– Tira una linea da Santiago al
centro dell’Africa. Che cosa vedi?
– Vedo dieci centri di stazioni.
– Ebbene questi centri che tu vedi formeranno studio e noviziato e daranno moltitudine di missionari. E
ora volgiti da quest’altra parte. Qui
vedi dieci altri centri dal mezzo dell’Africa fino a Pechino, e anche questi centri somministreranno missionari...”.
Senza fare calcoli trigonometrici
per cercare di entrare a tutti i costi
nella topografia dei sogni del nostro
santo è senz’altro incoraggiante vedere che la realtà dà ragione al sogno
e che le case di formazione per nuo-
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Il pellegrinaggio v
di Maria in Afric
ve generazioni di “Don Bosco made
in Africa” fioriscono e si moltiplicano dall’est all’ovest sotto il Sahara.
Il 30 dicembre 2005 la Vice Province Blessed Artemide Zatti, che unisce le presenze salesiane nelle quattro nazioni di lingua inglese del West Africa (Sierra Leone, Liberia, Ghana, Nigeria) ha dato alla luce un nuovo noviziato in Sunyani, Ghana.
C’era già una comunità salesiana
all’opera fin dal 1993, con parrocchia, Oratorio e Centro giovanile,
cura pastorale di nove villaggi; scuola tecnica con vari indirizzi – muratura, falegnameria, disegno su stoffa, computer, agricoltura e allevamento –; casa famiglia per ragazzi
con gravi difficoltà familiari. Il Noviziato ha occupato una parte ancora incolta del terreno in dotazione
del settore agricolo della scuola.
Anche il noviziato era già in funzione come un settore della comunità
di Ondo in Nigeria.
Con il trasferimento in Ghana è
ora diventato una comunità autonoma, sotto il patrocino del venerabile salesiano coadiutore Simone Srugi, un brother dal cuore sconfinato,
un vero operatore di pace in un periodo di forti tensioni etnico religiose in Palestina, tra le due guerre mondiali e negli anni difficili dopo il conflitto.
Simone Srugi è nato a Nazareth,
poche centinaia di metri dalla basilica dell’Annunciazione. Il 30 dicembre 2005, giorno in cui si è concluso l’esodo dei novizi dalla Nigeria al Ghana con approdo nella nuova “terra promessa” era la festa della Sacra Famiglia.
Da quel giorno in poi la vita della casa ha avuto un costante riferimento a Nazareth, lasciando che Maria fosse la principale ispiratrice e
guida del cammino di questi giovani che son pronti a donare la loro vita per i ragazzi di questa terra, la più
popolosa dell’Africa, continente più
giovane del mondo (es: in Nigeria –
130 milioni di abitanti – il 44% della popolazione ha meno di 14 anni!).
Maria è una guida vocazionale
fatta tutta di Vangelo e può essere
davvero la “stella del mare”, modello e sostegno non soltanto per i grandi “sì” da dire nella vita, ma anche
per i passi da fare giorno dopo giorno, le trasformazioni, i cambi di stagione che sono il tessuto di crescita
di ogni discepolato sulle orme del
Maestro, di suo figlio (chi meglio di
lei le conosce?).
È così che i 12 mesi di noviziato
qui a Sunyani sono scanditi dalla
“Peregrinatio Mariae”, dal pellegrinaggio di vita di cui Maria ha lasciato una traccia luminosa nei Vangeli, in modo così discreto e pur così profondo. Il dipanarsi della sua risposta vocazionale dalla prima all’ultima pagina del Nuovo Testamento è un formidabile paradigma
del mistero nascosto in ogni vocazione.
Le “stazioni” regalate dai quattro Vangeli seguendo in ordine cronologico gli eventi in cui Maria è
presente, segnano di mese in mese il
cammino dei novizi. Il 7 settembre
il Noviziato ha preso il via. Al sette
di ogni mese un nuovo “mistero mariano” illumina i 30 giorni che seguono.
Si parte con L’Immacolata, sogno realizzato di quanto il Signore
vuole da ciascuna delle nostre vite e
per noi salesiani “Ave Maria” che
ha dato l’inizio a tutto quello che ha
fatto di Don Bosco il santo dei giovani e il nostro fondatore.
Secondo: Annunciazione, miste-
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Africa».
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Novizi salesiani con fr Jorge, Vicario ispettoriale.
ro di chiamata e risposta, dove il nostro nome diventa Parola di Dio.
Terzo: Visita di Maria a Elisabetta, unico movimento d’amore verso
Dio e verso chi ha bisogno di aiuto;
fede e carità in perfetta armonia, sostanza di ogni risposta vocazionale.
Quarto: Betlemme. Verbo che si
fa carne. Gesù è quanto siamo chiamati a diventare, Parola-chiamata da
trasformare nella carne della nostra
vita giorno dopo giorno.
Quinto: Presentazione al tempio...
icona preferenziale della chiamata
alla vita religiosa e anche invito a
vedere la realtà nel profondo, come
Simeone e Anna san fare.
Sesto: Fuga in Egitto. L’Africa
accoglie la Vita.
Settimo: l’obbedienza e la vita di
famiglia a Nazareth: tempo fecondo
di formazione.
Ottavo: Gesù nel Tempio. “Non
sapevate che devo occuparmi delle
cose del Padre mio?”... Rispondere
a Dio e rispondere alla propria fa-
miglia: un tema molto importante e
delicato per la cultura africana.
Nono: Cana... Fate quello che Lui
vi dirà. Sostanza di ogni discepolato.
Decimo: Beato chi ascolta e mette in pratica... la più alta beatitudine
mariana, strada maestra di autentica
crescita vocazionale.
Undicesimo: Stabat Mater. Partecipare nella Croce: compimento
della chiamata.
Dodicesimo: Pentecoste. Maria
casa dello Spirito, madre della Chiesa, modello di ogni vocazione, aiuto dei cristiani.
C’è un sogno nel cassetto. Riuscire a rappresentare questo pellegrinaggio anche fisicamente attraverso dodici stazioni che conducano alla grotta mariana. Il paesaggio tropicale attorno al noviziato
è già in se stesso un invito alla preghiera. Se tra gli alberi si riesce a
tracciare un percorso che aiuti a ripercorrere il pellegrinaggio di Maria
di tappa in tappa, quanto i novizi salesiani vivono può essere condiviso
con altri giovani del Don Bosco Centre (400 soltanto gli allievi della scuola tecnica) e con una cinquantina di
altri novizi di varie congregazioni
che vengono qui da Simon Srugi per
incontri, seminari, corsi, mediamente una volta al mese.
Può essere un modo nuovo di
sperimentare la presenza di Maria
nel cammino cristiano per giovani che saranno il futuro della vita
religiosa in Ghana e in West Africa, a loro volta educatori e evangelizzatori di migliaia di altri children of Mary in questo continente,
dove Maria è già di casa: Mother
Mary infatti non ha avuto bisogno
di grandi sforzi di inculturazione
per trovare accoglienza qui. Il bene che le si vuole e la filiale devozione che lega la gente d’Africa
con la madre di Gesù è già radicatissima e va ben oltre i confini
della Chiesa Cattolica. Lei, aiuto
dei cristiani, aiuto di tutti, è madre
della Chiesa: guida non soltanto per
il cammino individuale ma anche del
pellegrinaggio di tutto il popolo di
Dio.
Maria, madre dell’Africa: compagna di viaggio di questo popolo
che nel giro di vent’anni raddoppierà
in numero la popolazione presente
in Europa, un popolo in costante esodo e così bisognoso delle premure e della tenerezza della madre di tutti i viventi.
Cosa ne dite se entriamo anche
noi in questo sogno con un nostro
piccolo contributo aiutando a realizzare queste dodici stazioni? Non
solo vi sentirete aiutati dalla preghiera di chi passando davanti a quelle formelle pregherà per i benefattori ma potrete sempre dire: “Anch’io
ci sono e cammino con Maria e con
i miei fratelli Africani”. Coraggio,
allora, amici dell’ADMA e tutti voi
lettori e sostenitori delle Opere salesiane: mettiamoci in cammino. Sarà
sicuramente un Natale ed un anno
più felice! Auguri a tutti.
Don Sergio Pellini Rettore
Don Silvio Roggia Maestro dei Novizi
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Editoriale
A Natale celebriamo
la gloria di Dio che si è
fatta bambino.
A questo bambino che è
la Vita in mezzo a noi,
offriamo riconoscenti
il dono della nostra vita.
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Un Natale
d’amore
«Vi annuncio una grande gioia, che sarà per tutto il popolo, perché
oggi è nato a voi il Salvatore, che è Cristo, il Signore, nella città di Davide. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che
giace in una mangiatoia» (Lc 2,11-12). Questo l’annuncio che l’angelo
rivolse ai pastori per annunciare la nascita di Gesù.
Lasciamoci meravigliare da queste parole. Esse sono conosciute e rischiano, come tutto ciò che è noto, di non suscitare in noi più alcun stupore. Eppure l’annuncio dell’angelo ha qualcosa non solo di sorprendente;
possiede la forza capace di ribaltare un’intera esistenza e la storia tutta
degli uomini. All’improvviso, senza attesa, desiderio o previsione, l’angelo irrompe nella notte e con le sue parole squarcia la veglia dei pastori. Attendevano l’alba del giorno, non l’aurora dell’eternità. Altrove
erano i loro pensieri, per mete diverse divagavano le loro menti. Chi alla famiglia lontana, chi alla fatica imminente, chi alla durezza del vivere. Ispirazioni e desideri di altra natura li trascinavano nell’incedere
della notte. Quando vengono travolti dalla luminosa gloria di Dio. Per
un solo istante Dio si manifesta e la sua luce frantuma ogni notte. Simone Weil (1909-1943), ebrea convertita, aveva detto che all’uomo Dio pare assente perché se si rivelasse, la Sua gloria schiaccerebbe l’uomo. A
noi mortali, la gloria divina è insopportabile; non possiamo reggerne il
peso. Per questo, quando l’uomo è trafitto anche da un solo frammento
della luce di Dio, tutta la sua vita ne rimane sconvolta. Per questo i pastori provano una paura terribile. Enorme, ci dice Luca. Sproporzionata alla loro sopportazione. Per questo l’angelo li deve rassicurare: «Non
temete». Non temete perché alla paura grande deve subentrare la gioia
grande. La gioia dell’annuncio che Dio è in mezzo al suo popolo. I pastori tremano anche a nome di tutto il popolo a cui è rivolto il gioioso
annuncio dell’angelo. Essi tremano anche per noi. Perché a loro prima
e a noi poi è rivolto l’evangelo della gioia. Anzi, l’annuncio smisurato di
una gioia incontenibile: la notte si fa luce, il tempo diventa eterno e la
creazione si riveste di grazia. Essi tremano perché l’inaspettato si è compiuto e dell’inaudito si sente la voce poiché la Parola si è fatta carne.
Tremano i pastori, perché se Dio si rivela, chi può sopportare la sua abbagliante luce? Cosa rimane di noi davanti alla gloria di Dio? Ma ecco
che l’indicibile e possente gloria di Dio, è riconoscibile, non perché essa annienta l’uomo, ma perché si è fatta essa stessa uomo, si è fatta bambino. Così questo bambino nella sua povertà, debolezza e bisogno diventa
segno della imponente gloria divina: un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia. Nella povertà di quella grotta vi è la ricchezza, nella semplicità di quelle fasce, la gioia.
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A Natale,
è Dio che viene a curare
la nostra incapacità
d’amare.
Facendosi Lui stesso
uomo come noi
ci insegna ad amare
come solo Dio sa amare.
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Il grande predicatore Jacques-Bénigne Bossuet (16271704) diceva che «Se le grandezze che amiamo, se i piaceri
che ricerchiamo, fossero veri,
chi altri ne meriterebbe il godimento ed il possesso se non Dio?
Chi li avrebbe potuti avere con
più facilità e con più magnificenza? Quale guardia imponente lo circonderebbe! Quanto sarebbe magnifica la sua corte! Quale porpora sulle sue spalle! Quale oro sfavillante sulla
sua testa! Quante delizie la natura gli offrirebbe, essa che prontamente obbedisce ai suoi ordini!».
Già un cristiano dei primi tempi, Quinto Settimio Tertulliano (160220) affermava che Gesù: «Ha stimato che questi beni, questi godimenti
e questa gloria fossero indegni di Lui e dei suoi. Ci ha mostrato che queste grandezze, essendo passeggere ed illusorie, farebbero torto alla sua
vera grandezza».
Gesù non soltanto rifiuta la gloria umana, ma per mostrarci quanto
poco la consideri, va a stabilirsi all’estremità opposta. Il suo ingresso nel
mondo avviene in una stalla e i primi ad essere convocati nel suo palazzo non sono i potenti del mondo ma i pastori, rifiutati persino dal loro
popolo. Gesù si carica di tutto ciò che gli uomini evitano, di tutto ciò che
essi temono, di tutto ciò che ripugna ai loro sensi, per farci vedere quanto le ricchezze della vita presente sono da lui considerate vane ed illusorie: così dobbiamo figurarci la sua mangiatoia, non già come una culla indegna di Dio, ma come un carro trionfale mediante il quale trascina vittorioso il mondo sconfitto. E mi sembra che a motivo di questa vittoria ci dica con autorevole certezza: «Coraggio, io ho vinto il mondo».
Se il nostro vero bene non è nelle ricchezze, dove lo dobbiamo dunque cercare? Se Gesù ha voluto essere così povero, mediante cosa ci salva? Qual è la sua vera ricchezza, qual è la sua vera gloria? Là dove è
la vera gloria e la vera ricchezza di Gesù, lì è anche il nostro vero bene. Ma Gesù non ha voluto avere altra ricchezza ed altra gloria in mezzo a noi, se non quella della carità. La carità è la vita stessa della Trinità, la sua bellezza, il suo splendore. L’apostolo Giovanni, che ha penetrato a fondo i misteri di Dio, così ci insegna: «Chiunque ama è nato da Dio e conosce Dio, chi non ama non ha conosciuto Dio, perché
Dio è amore» (1 Gv 4,7-8).
Se il nostro maggior male è la nostra incapacità di amare, allora è
proprio di Gesù che abbiamo bisogno. Così, lasciarsi attirare ed animare dalla carità sarà anche il nostro vero bene e la nostra salvezza. È questo Natale di amore che auguro a tutti voi.
Don Giuseppe Pelizza
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Io sono la risurrez i
Gv cap. 11
Gesù racconta il Padre
D
opo tanti segni operati da
Gesù, ora parleremo del
segno più spettacolare:
Gesù ridona la vita a uno che è
nel sepolcro da quattro giorni. Il
risultato sarà che il Sommo Sacerdote deciderà che è meglio
far morire Gesù, uno per tutti
(11,49). Questa è in poche parole la sostanza del capitolo 11 che
è la chiusura della grande sezione iniziata nel capitolo 5. Lo dimostra il fatto che nel capitolo 5
si annota che i dirigenti giudei
cercavano di ucciderlo (5,18),
mentre alla fine del c. 11 si parla
di una vera sentenza di morte:
“Da quel giorno decisero di uc-
ciderlo” (11,53). Il tutto si struttura in tre tempi, separati da tre
località. Nel primo siamo oltre il
Giordano (11,1-16), nel secondo
presso Betania (11,17-44), nel terzo nel Sinedrio (11,45- 53) a cui
segue una nota su Gesù. Il discorso è oltremodo facile e comprensibile, anche se qualche nota non fa mai male.
Oltre il Giordano (11,1-16)
“Un certo Lazzaro era malato”: così inizia il racconto, ma la
parola “malato” nel Vangelo già
dice che la situazione sarà capo-
© Elledici / Maurilio Sacchi
La tomba di Lazzaro ai tempi di Gesù poteva essere simile a questa che oggi
è offerta alla visione dei pellegrini che si recano in Terra Santa.
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volta. E come! Lazzaro è un personaggio nuovo, ma subito si annuncia la sua provenienza: Era originario di Betania, il paese di
Maria e di Marta sue sorelle. Le
due saranno protagoniste del racconto di 12,1-8. Si dice questo
per anticipare quello che farà Maria che qui viene definita come
“quella che cosparse di profumo il Signore e gli asciugò i piedi con i suoi capelli”; poi si ripete che “il malato era suo fratello Lazzaro”. Ora viene il nuovo: “Le sorelle mandarono a dire al Signore: Signore, ecco, il
tuo amico è malato”. Come Maria a Cana non chiedono nulla,
solo informano Gesù sulla situazione di Lazzaro. Ma Gesù
non agisce mai per pura amicizia, egli agisce per amore. Comunque c’è una pausa prima del
suo intervento. In unione, come
sempre, con il Padre dice: “Questa malattia non porterà alla
morte, ma è per la gloria di Dio,
affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato”.
A questo punto si dice che
“Gesù amava Maria e sua sorella e Lazzaro”. È l’amore che
unisce Gesù ai suoi discepoli e,
sottinteso, al Padre. Gesù però
non si muove; rimane altri due
giorni dov’era. Solo dopo dice ai
suoi discepoli: “Andiamo di nuovo in Giudea”. I discepoli gli risposero: “Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci
vai di nuovo?”. E Gesù, riassumiamo, (vv. 9-13) dice loro chiaramente: “Lazzaro è morto e io
sono contento per voi di non essere stato là, affinché voi crediate. Andiamo da lui!”. Allora
Tommaso, chiamato Didimo,
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z ione e la vita
disse ai condiscepoli: “Andiamo anche noi a morire con lui”.
Il discepolo è colui che si lascia
coinvolgere totalmente nel destino di Gesù.
La rianimazione di Lazzaro, nel Vangelo di San Giovanni, è l’ultimo dei segni
operati da Gesù per dimostrare la sua divinità e la sua intimità con il Padre.
Gesù; e aggiunge: “Credi questo?”. Rispose: “Sì, o Signore, io
credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che deve venire in questo mondo”. È un perfetto atto di fede, ma dà l’impressione che sia una risposta evasiva alla domanda.
Gesù e Maria. Maria è sempre là in casa a farsi consolare dai
giudei. Tutto porta il segno del
lutto. Quando Marta le dice che
Gesù la chiama subito le va incontro e i giudei la seguirono
pensando che andasse al sepolcro, ma appena arriva da Gesù si
Il paese di Betania come si presenta ai giorni nostri.
© Elledici / G. Pera
Tre scene strutturano il brano: l’incontro Gesù-Marta (11,1727); l’incontro con Maria e i giudei (11,28-36); e poi al sepolcro
dove Gesù agisce di fronte a una moltitudine di giudei.
Gesù e Marta. Marta appena
seppe che Gesù era in arrivo, gli
andò incontro, mentre Maria rimase là a farsi consolare dai giudei, tutta ripiegata sul suo dolore. Quello che Marta dice a Gesù non è un rimprovero, caso mai
esprime un po’ di fede nel suo
potere di vita. Infatti, dopo aver
detto a Gesù: “Signore, se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto”, subito aggiunge:
“ma anche ora so che qualunque
cosa tu chiederai a Dio, Dio te la
concederà”. Il Figlio infatti agisce sempre insieme al Padre. Gesù le dice: “Tuo fratello risorgerà”. E Marta ribatte, secondo
la fede del giudaismo ortodosso:
“So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno”, ma
dentro di sé deve aver detto: “Però
mio fratello ora non c’è più”. E
allora Gesù le dice: “Io sono la
risurrezione e la vita” e subito
completa con due sentenze: “Chi
crede in me anche se muore vivrà; Chiunque vive e crede in me
non morrà in eterno”. Il “vivrà”
ha il senso forte di vita eterna, di
quella vita che la morte non può
annullare. È questo che intende
© Elledici / G. Schnoor
Presso Betania (11,19-44)
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Marta e Maria incontro a Gesù, Giotto (1267-1337), Cappella degli Scrovegni, Padova.
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Le sorelle di Lazzaro, Marta e Maria, esprimono la fede ortodossa degli Israeliti nella risurrezione finale e al contempo Marta rinnova la sua fede in Gesù
vero Figlio di Dio.
getta ai suoi piedi piangendo, ripiegata sul suo dolore e gli dice:
“Se tu fossi stato qui mio fratello non sarebbe morto”. Come si
deve comportare Gesù di fronte
a gente che piange? Si turbò, capì
che la parola non serviva e che
era meglio allungare il lutto e
portarla al sepolcro. Le dice:
“Dove l’avete posto?”. Gli dissero: “Signore vieni a vedere”.
E Gesù incominciò a piangere, a
unirsi alle sofferenze di Maria. E
i giudei dissero: “Guarda come
lo amava”. Ma alcuni di loro
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dissero: “Lui che ha aperto gli
occhi al cieco, non poteva anche far sì che costui non morisse?”. Gesù fu scosso da un fremito, forse di indignazione non
vedendo nessun segno di speranza o di fede.
Al sepolcro (11,38-44). Era
una grotta su cui era stata posta
sopra una pietra. Dice Gesù: “Togliete la pietra! ”. Gli rispose
Marta: “Signore, manda già cattivo odore, è lì da quattro giorni”. Questa sua reazione è in contrasto con quello che ha detto
prima: “So che qualunque cosa
chiederai a Dio, Dio te la concederà” (11,22). Gesù appare così ancor più solo di fronte al potere della morte. Ora in senso di
rimprovero risponde a Marta:
“Non ti ho detto che se crederai
vedrai la gloria di Dio?”. L’ultima espressione rimanda i lettori
alla parola rivolta all’inizio ai discepoli (11,4). Alla fine tolsero
la pietra.
Ora l’immagine di Gesù si fa
solenne. Gesù alzò gli occhi e
disse: “Padre, ti rendo grazie
perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente
che mi sta intorno, perché credano che tu mi hai mandato”.
Poi urlò a gran voce: “Lazzaro,
vieni fuori”. Il morto uscì con i
piedi e le mani legate dalle bende e il viso avvolto in un sudario. Ed è una specie di miracolo che possa uscire legato in quel
modo. In ciò vi è un’allusione in
senso contrario alla risurrezione di Gesù che se ne va dal sepolcro lasciando le bende e il
sudario (20,2). Il racconto si
chiude dicendo che Gesù disse
loro: “Liberatelo e lasciatelo
andare ”. Gesù lascia che il miracolato se ne vada per la sua
strada. Dopo ciò, nonostante la
grandiosità del miracolo, Gesù
si mette da parte. Scompare dalla scena e l’evangelista passa a
raccontare la reazione al miracolo.
La riunione del Sinedrio
(11,47-53)
Quanto ora si dirà è l’esempio
più chiaro delle parole con cui
Gesù chiude la parabola del Ricco Epulone: “Anche se uno risorgesse dai morti non crederanno”. Nel contesto di Giovanni
questo racconto sembra un assurdo: vogliono mettere a tacere quello che è avvenuto davanti a molti testimoni.
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Interno della cosiddetta tomba di Lazzaro.
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tanto per la nazione ma anche
per riunire insieme i figli di Dio
dispersi”. L’insegnamento è che
Gesù, donando la sua vita, diventa vita e salvezza non solo
per la nazione, ma per tutti coloro che accolgono la sua parola. Infatti riunisce in uno tutti i
figli di Dio dispersi in modo che
ci sia un solo gregge e un solo pastore. Tutti uniti in piena comunione con il Padre e il Figlio nello Spirito Santo.
Il racconto si chiude con due
notizie: la prima è che da quel
giorno decisero di ucciderlo. La
seconda è che Gesù si rifugiò in
una città chiamata Efraim con i
suoi discepoli. Così finisce la vita pubblica di Gesù. Quanto segue è l’ora di Gesù. Il capitolo 12
infatti avrà come titolo: “È giunta l’ora”.
Mario Galizzi
Il miracolo di Betania attira su Gesù la condanna del Sinedrio, nonostante la
grande quantità di testimoni.
Quelli che videro la rianimazione di Lazzaro con i loro occhi non erano tutti dalla parte di
Gesù; alcuni di loro andarono
subito dai farisei e riferirono
quanto Gesù aveva fatto. Ci fu una riunione del Sinedrio in cui si
dicevano: “Che cosa facciamo?”.
Sono troppi i segni miracolosi
che egli compie e il suo movimento è in crescendo. Questo
può provocare urti con il giudaismo fedele e potrebbero intervenire i Romani e giungere ad
annullare tutte le nostre istituzioni. Per loro si tratta di un pericolo politico più che religioso
Non sapevano cosa fare.
Allora ecco intervenire Caifa, sommo sacerdote che dice:
“Voi non capite nulla; non vi
rendete conto che è conveniente
per voi che uno solo muoia per
il popolo e non vada in rovina la
nazione intera?”. L’evangelista
interpreta le parole di Caifa come una profezia di Dio la cui pa-
rola va sempre oltre la semplice
parola umana. Il senso vero è che
“Gesù doveva morire non sol-
CLAUDIO RUSSO
FRANCESCO
BESUCCO
Il pastorello di Don Bosco
Editrice Elledici, pagine 56, € 1,40
«Vidi un ragazzo vestito da montanaro, di mediocre corporatura, di aspetto rozzo e con il volto pieno di lentiggini. Stava con gli occhi spalancati ad osservare i suoi compagni a divertirsi». Così Don Bosco descrive Francesco Besucco appena entrato nell’Oratorio di Valdocco.
Questo libretto racconta la storia di Francesco, nato nel 1850 in montagna, ad Argentera, da una famiglia povera ma molto cristiana. Un
giorno gli vengono regalate le biografie di Domenico Savio e di Michele
Magone. Francesco le legge e ne rimane entusiasta. Va a Torino da
Don Bosco: «Vorrei farmi buono come Domenico e Michele. Mi aiuti».
E Don Bosco lo accoglie e lo educa secondo la formula della santità:
«Allegria, Studio, Pietà».
Il testo ripropone con linguaggio moderno ma fedele all’originale la biografia di Besucco scritta da San Giovanni Bosco.
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La Catechesi di Benedetto XVI
Gli Apostoli
testimoni e inviati
di Cristo
I Dodici
L
a Lettera agli Efesini ci presenta la Chiesa come una
costruzione edificata «sul
fondamento degli apostoli e dei
profeti, avendo come pietra angolare lo stesso Cristo Gesù»
(2,29). Nell’Apocalisse il ruolo degli Apostoli, e più specificamente dei Dodici, è chiarito
nella prospettiva escatologica
della Gerusalemme celeste, presentata come una città le cui
mura «poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli
dell’Agnello» (21,14). I Vangeli concordano nel riferire che la
chiamata degli Apostoli segnò
i primi passi del ministero di
Gesù, dopo il Battesimo ricevuto dal Battista nelle acque del
Giordano.
de dei primi discepoli, precisando che l’invito alla sequela giunge loro dopo aver ascoltato la prima predicazione di Gesù e sperimentato i primi segni prodigiosi
da lui compiuti. In particolare, la
pesca miracolosa costituisce il
contesto immediato e offre il simbolo della missione di pescatori
di uomini, ad essi affidata. Il destino di questi «chiamati», d’ora
in poi, sarà intimamente legato a
quello di Gesù. L’apostolo è un
inviato, ma, prima ancora, un «esperto» di Gesù.
Gesù chiama i Dodici
Stando al racconto di Marco
(1,16-20) e di Matteo (4,18-22),
lo scenario della chiamata dei
primi Apostoli è il lago di Galilea. Gesù ha da poco cominciato la predicazione del Regno di
Dio, quando il suo sguardo si posa su due coppie di fratelli: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni. Sono pescatori, impegnati nel loro lavoro quotidiano. Gettano le reti, le riassettano. Ma
un’altra pesca li attende. Gesù li
chiama con decisione ed essi con
prontezza lo seguono: ormai saranno «pescatori di uomini» (cf
Mc 1,17; Mt 4,19). Luca, pur seguendo la medesima tradizione,
ha un racconto più elaborato (5,111). Esso mostra il cammino di fe-
Coloro che hanno visto
La chiamata di Pietro e Andrea, Duccio di Buoninsegna (1308), National Gallery of Art, Washington.
Gesù chiama i Dodici
affinché siano nel mondo gli esperti,
non solo del suo messaggio, ma di Lui stesso,
quale Salvatore del mondo.
10
Proprio questo aspetto è messo in evidenza dall’evangelista
Giovanni fin dal primo incontro
di Gesù con i futuri Apostoli.
Qui lo scenario è diverso. L’incontro si svolge sulle rive del
Giordano. La presenza dei futuri discepoli, venuti anch’essi, come Gesù, dalla Galilea per vivere
l’esperienza del battesimo amministrato da Giovanni, fa luce
sul loro mondo spirituale. Erano uomini in attesa del Regno
di Dio, desiderosi di conoscere
il Messia, la cui venuta era annunciata come imminente. Basta
ad essi l’indicazione di Giovanni Battista che addita in Gesù
l’Agnello di Dio (cf Gv 1,36),
perché sorga in loro il desiderio
di un incontro personale con il
Maestro. Le battute del dialogo
di Gesù con i primi due futuri Apostoli sono molto espressive.
Alla domanda: «Che cercate?»,
essi rispondono con un’altra domanda: «Rabbì (che significa
Maestro), dove abiti?». La ri-
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© Elledici / G. Conti
sposta di Gesù è un invito: «Venite e vedrete» (cf Gv 1,38-39).
L’avventura degli Apostoli comincia così, come un incontro
di persone che si aprono reciprocamente. Comincia per i discepoli una conoscenza diretta
del Maestro. Essi infatti non dovranno essere annunciatori di
Dopo la Risurrezione di Gesù, i Dodici sono chiamati a partecipare alla stessa missione di Gesù, Pastore universale, che vuole radunare attorno a Sé tutti i popoli.
Gesù chiama i Dodici non per i loro
meriti, ma in base al Suo amore.
Particolare della chiamata di Matteo, Caravaggio (1599), San
Luigi dei Francesi, Roma.
un’idea, ma testimoni di una persona. Prima di essere mandati
ad evangelizzare, dovranno «stare» con Gesù (cf Mc 3,14), stabilendo con lui un rapporto personale. Su questa base, l’evangelizzazione altro non sarà che
un annuncio di ciò che si è sperimentato e un invito ad entrare
nel mistero della comunione con
Cristo (cf 1 Gv 13).
Inviati a tutti
A chi saranno inviati gli Apostoli? Nel Vangelo Gesù sembra restringere al solo Israele la
sua missione: “Non sono stato
inviato che alle pecore perdute
della casa d’Israele” (Mt 15,24).
In maniera analoga egli sembra
circoscrivere la missione affidata ai Dodici: “Questi Dodici, Ge-
sù li inviò dopo averli così istruiti: «Non andate fra i pagani
e non entrate nelle città dei Samaritani; rivolgetevi piuttosto alle pecore perdute della casa d’Israele»” (Mt 10,5s.). Una certa
critica moderna di ispirazione razionalistica aveva visto in queste
espressioni la mancanza di una
coscienza universalistica del Nazareno. In realtà, esse vanno
comprese alla luce del suo rapporto con Israele, comunità dell’alleanza. Secondo l’attesa messianica le promesse divine sarebbero giunte a compimento
quando Dio stesso, attraverso il
suo Eletto, avrebbe raccolto il
suo popolo come fa un pastore
con il gregge: “Io salverò le mie
pecore e non saranno più oggetto di preda... Susciterò per loro
un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà
al pascolo, sarà il loro pastore; io,
il Signore, sarò il loro Dio e Davide mio servo sarà principe in
mezzo a loro” (Ez 34,22-24). Gesù è il pastore escatologico, che
raduna le pecore perdute della
casa d’Israele e va in cerca di esse, perché le conosce e le ama (cf
Lc 15,4-7 e Mt 18,12-14; cf anche
la figura del buon pastore in Gv
10,11ss.). Attraverso questa “raccolta” il Regno di Dio si annuncia a tutte le genti: “Fra le genti
manifesterò la mia gloria e tutte
le genti vedranno la giustizia che
avrò fatta e la mano che avrò posta su di voi” (Ez 39,21).
Così, i Dodici, assunti a partecipare alla stessa missione di
Gesù, cooperano col Pastore degli ultimi tempi, andando anzitutto anche loro dalle pecore perdute della casa d’Israele, rivolgendosi cioè al popolo della promessa, il cui raduno è il segno di
salvezza per tutti i popoli. Lungi dal contraddire l’apertura universalistica dell’azione messianica del Nazareno, l’iniziale
restringimento ad Israele della
missione sua e dei Dodici ne diventa così il segno profetico più
efficace. Dopo la passione e la
Risurrezione di Cristo tale segno
sarà chiarito: il carattere universale della missione degli Apostoli diventerà esplicito. Cristo
invierà gli Apostoli “in tutto il
mondo” (Mc 16,15), a “tutte le
nazioni” (Mt 28,19; Lc 24,47, “fino agli estremi confini della terra” (At 1,8).
Benedetto XVI
L’Osservatore Romano, 23-03-2006
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Viene il nostro Dio
Vita liturgica
Come sentinella nella notte
La Chiesa è travolta da questo compito immane: annunciare a tutti che Dio viene, anzi che
Lui è il perenne veniente. Questo è il rivelarsi della sua azione
dinamica verso di noi, ma anche
dice qualcosa di Suo, di intimo
a Dio stesso. Dio è colui che è nel
suo incessante avvicinarsi. Il sopraggiungere improvviso, come
un lampo, non è solo una caratteristica di Dio ma è il suo stes12
so esserci nella storia dell’uomo.
Dio è l’improvviso ma è anche
l’inatteso, per questo sorprende
come un ladro o come uno sposo. È sposo per chi l’attende come l’amico dello sposo che gioisce alla sua venuta, per chi desidera il suo giorno, per chi brama
che i giorni del nostro trascorrere terreno siano tutti suoi, ripieni della gioia nuziale, dei flauti
della festa, del fervore del banchetto. Ma è ladro per chi vuole
trattenere qualcosa per sé, per chi
ha timore di perdere la sua vita,
per chi costruisce sulla sabbia del
mondo e non sulla roccia di Lui
che è la Parola che non muta.
sto!» (Ap 22,17-21). Perché Colui che era e che è rimane sempre colui che viene.
Sempre l’Apocalisse ricorda,
in sintonia con altri testi neo testamentari, che il Signore viene
come un ladro (cf 3,3; 16,15).
Questa metafora inconsueta, oltre ad evocare l’imprevedibile
della venuta del Signore, ci invita
a lasciarci «rubare» qualcosa da
colui che viene. Egli deve strapparci a noi stessi, alla certezza
dei nostri possessi, perché la relazione con il Signore diviene
autentica soltanto se, come dice
San Gregorio di Nissa ci fa passare attraverso «inizi sempre nuovi, che non hanno fine».
Inizi sempre nuovi
Il volto orientale
Giustamente il libro dell’Apocalisse si conclude con l’invocazione dello Spirito e della
sposa che dicono insieme «Vieni» e ascoltano la promessa del
Signore che dice: «Sì, verrò preI pastori sono i primi invitati alla gioia
del Regno di Dio che con la nascita
di Gesù irrompe nella storia umana.
Natività, Maestro di Flémalle (1420) Musée des Beaux-Arts, Dijon.
N
el cuore della nostra fede
c’è un’attesa. Questa
non è data da un’assenza, ma da una venuta. Gesù Risorto non è mai assente dalla sua
Chiesa. È vero che i segni della
sua presenza non sono sempre
immediatamente riconoscibili,
poiché dopo la sua Pasqua, come dice Sant’Ambrogio: «non
con gli occhi della carne, ma con
quelli dello Spirito si vede Gesù».
Tuttavia Gesù è sempre presente, però la Sua è la presenza di
un Veniente, che rimane altro rispetto ai nostri tentativi di catturarlo e di ricondurlo dentro i
confini delle nostre attese e dei
nostri bisogni. Il suo venire ci
converte sempre a un andare verso di Lui, in un esodo da noi stessi che ci consegna alla novità e
allo stupore. Uno stupore a cui è
chiamata tutta l’umanità, perché
l’invito di Dio è rivolto a tutti i
popoli. Infatti, proprio all’inizio
dell’Avvento la liturgia ci ricorda il nostro dovere di annunciare a tutti i popoli la venuta del Signore: «Date l’annunzio ai popoli: Ecco, Dio, il nostro Salvatore, viene» (Vespri, Antifona 1ª).
Benedetto XVI ci ha ricordato che l’Avvento richiama i credenti a prendere coscienza di
questa verità e ad agire in conseguenza. Questo «vieni!» risuona come un appello salutare
nel ripetersi dei giorni, delle settimane, dei mesi: Svegliati! Ricordati che Dio viene! Non ieri,
non domani, ma oggi, adesso!
L’unico vero Dio, «il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe»,
non è un Dio che se ne sta in cielo, disinteressato a noi e alla nostra storia, ma è il-Dio-cheviene. È un Padre che mai smette di pensare a noi e, nel rispetto estremo della nostra libertà,
desidera incontrarci e visitarci;
vuole venire, dimorare in mezzo
a noi, restare con noi. Il suo «venire» è spinto dalla volontà di liberarci dal male e dalla morte, da
tutto ciò che impedisce la nostra
vera felicità.
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Dio ci offre la sua stessa gioia
eterna, poiché Lui è la novità assoluta sottratta alla corruzione
del tempo. Così, Dio viene portando con Sé il giorno nuovo, rapito alla dissoluzione del sepolcro della storia, perché Dio è l’eterno inizio, è la perenne alba nel
suo giorno senza tramonto. Con
grande intuito, un teologo contemporaneo, J. B. Metz ha detto
che il nostro Dio ha sempre un
«volto albeggiante». Il suo sguardo ha il colore e la profondità
dell’aurora. È come un sole che
sorge sulla nostra vita. Vir Oriens nomen eius, canta un’antifona del Tempo di Avvento, riprendendo un’espressione del
profeta Zaccaria (cf Zc 6,12). Oriente è il nome di Dio. L’Avvento è un tempo privilegiato nel
quale tornare a orientare la nostra vita, nel senso originario dell’espressione che esorta a volgerci verso oriente, che è il luogo di Dio. L’uomo che perde la
sua relazione con l’oriente si
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Natività, Maestro di Flémalle (1420) Musée des Beaux-Arts, Dijon.
Dio ci invita alla vigilanza perché chi ama cerca sempre qualcuno che lo attenda.
Natività, Gentile da Fabriano (1423), Galleria degli Uffizi, Firenze.
smarrisce. Nelle prime pagine
della Genesi viene ricordato il
peccato di Babele (11,19), che nasce anche da questo disorientamento radicale, «Emigrarono da
oriente», dice il testo e la conclusione è la costruzione di una
torre, simbolo di un uomo che
progetta la propria città, il proprio futuro, senza attendere e accogliere quella promessa di Dio
che sorge sempre in modo nuovo sulla vita. All’uomo di Babele Dio risponde con la chiamata
di Abramo, che è colui che si fida della promessa di Dio e, anziché progettare una città, lascia
la propria terra per andare verso
quella terra non ancora conosciuta che Dio promette di indicargli (Gen 12,1-4). L’uomo è
oggi malato di questa pretesa di
essere l’unico artefice della propria vita, e, volgendosi verso occidente, guarda soltanto a ciò che
le sue mani possono inventare e
produrre, fino alla manipolazione genetica della vita.
Le tre venute di Cristo
I Padri della Chiesa osservano
che il «venire» di Dio – continuo
e, per così dire, connaturale al
suo stesso essere – si concentra
nelle due principali venute di Cristo, quella della sua Incarnazione e quella del suo ritorno glorioso alla fine della storia (cf Cirillo di Gerusalemme, Catechesi
15,1). Il tempo di Avvento vive di
questa polarità. Nei primi giorni
l’accento cade sull’attesa dell’ultima venuta del Signore, come dimostrano i testi delle prime celebrazioni dell’Avvento.
Avvicinandosi poi il Natale, prevarrà invece la memoria dell’avvenimento di Betlemme, per riconoscere in esso la «pienezza
del tempo». Tra queste due venute
«manifeste» se ne può individuare
una terza, che San Bernardo chiama «intermedia» e «occulta», la
quale avviene nell’anima dei credenti e getta come un «ponte» tra
la prima e l’ultima.
In questo Avvento di mezzo
(medius Adventus), o «tempo della visitazione», noi celebriamo la
memoria dell’Incarnazione e attendendo la venuta nel compimento, facciamo del tempo della nostra attesa anche l’occasione in cui scopriamo con meraviglia che il nostro Dio desidera essere atteso. Non solo esige la nostra vigilanza, ma fa della nostra
attesa l’oggetto del suo desiderio. Ogni uomo gioisce nel sapersi atteso da qualcuno. Questo
è vero anche per il Signore Gesù
(...) Dio cerca e desidera qualcuno che lo accolga a lo lasci dimorare nella sua vita. La sua venuta suscita la nostra vigilanza, e
la nostra attesa manifesta la gioia
di Dio nell’incontrarci.
Egli ci invita alla vigilanza,
perché chi ama cerca sempre
qualcuno che lo attenda.
Lorenzo Villar
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“Passa la gioventù .
Studio
T
rentotto milioni: tanti sono
i giovani, divisi tra 250 associazioni in 216 Paesi (tra
cui, ultimi in ordine di tempo,
Albania, Guinea e Malawi), che
hanno festeggiato nell’estate del
2007 i 100 anni del movimento
scout. Il suo successo si deve alla capacità di essere apprezzato
tanto dai ragazzi quanto dai loro genitori. Ma se i grandi ne
condividono gli insegnamenti
morali (cioè il rispetto verso chi
ricopre ruoli superiori, il senso
del dovere, l’altruismo), è sui più
giovani però che si misura la vera forza di attrazione del movimento, basato sul rivoluzionario
principio messo in atto, per la
prima volta, da Robert BadenPowell, il fondatore degli scout:
trattare i ragazzi come “piccoli adulti”.
L’idea di Baden-Powell (18571941), sesto figlio di un reverendo inglese, e brillante ufficiale
dell’esercito britannico, fu una
conseguenza di circostanze fortuite e intuizioni notevoli. Durante il periodo di stanza in India, Baden-Powell aveva pensato di movimentare la noiosa vita di guarnigione insegnando a
gruppi di soldati le tecniche di ricognizione: seguire le tracce, osservare e interpretare gli indizi sul
terreno, vedere senza essere visti, sopravvivere in ambienti selvaggi. A quegli uomini, diventati
così “esploratori” (in inglese:
scouts), era concesso un apposito distintivo: un giglio, che sulle antiche carte segnava il nord
(e che, come distintivo dei boyscout, indica tuttora la “giusta
via da seguire”).
Quell’esperienza mostrò la sua
14
I 100 anni degli Scout
importanza durante la guerra sudafricana del 1899-1902 fra inglesi e boeri (i discendenti degli
antichi coloni olandesi), quando
Baden-Powell si trovò assediato
nella cittadina di Mafeking. Costretto a poter contare su un numero limitato di uomini, l’allora colonnello ebbe l’idea di impiegare alcuni ragazzini del luogo come vedette, piantoni, staffette e in qualunque altro compito
servisse a liberare dalle corvé i
militari validi per il combattimento. L’entusiasmo, l’impegno
e il coraggio con cui attesero ai
loro compiti fecero riflettere Baden-Powell sulle capacità che
hanno i ragazzi quando li si sappia motivare.
Un sorriso
per camminare di più
Una volta rientrato in patria,
il militare pensò allora di proporre ai giovani inglesi le attività dello scouting, trasformando quella che fino ad allora era
stata “un’arte utilizzata per scopi di guerra” in uno strumento
di pace e di fraternità. Il 29 luglio del 1907, sull’isola di Brownsea, una ventina di ragazzi cominciarono a sperimentare una
vita a contatto con la natura, affascinati tanto dall’avventura
quanto dalla personalità dell’eroe
di Mafeking, un personaggio versatile e pieno di humour (“Un
sorriso fa fare il doppio di strada di un brontolìo” amava dire),
provetto musicista e amante del
polo e della pesca. Quell’esperienza confluì nel libro Scouting
for boys (1908), che conteneva aneddoti e indicazioni su come riconoscere le impronte degli animali, o su come mimetizzarsi nei
boschi, ma soprattutto stabiliva
i rituali-base dell’identità scout,
e le regole morali tuttora vincolanti: coltivare il senso dell’onore, aiutare i poveri e i deboli,
essere cortesi verso chiunque (no
quindi alle discriminazioni), e
affrontare con coraggio le difficoltà. Nel volume, Baden-Powell
La maggioranza degli scout italiani è raggruppata nell’Agesci: Associazione guide e scout cattolici italiani. Così la fede è parte integrante del progetto educativo del gruppo.
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Powell trovò in
un romanzo lo
strumento adatto per trasmettere il suo metodo
educativo, fondato sull’“imparare facendo”: Il
libro della giungla di Rudyard
Kipling. Affascinato dalla vicenda di un bambino che diventa
uomo lontano
dalla civiltà, il
militare inglese
lo utilizzò come
testo di riferimento per i lupetti (i bambini
dagli 8 agli 11
anni), i cui capi,
per esempio, assumono il nome
di Akela, Bagheera e degli alLord Robert Baden Powell (1857-1941)
tri animali proil fondatore degli scout, seppe unire disciplina, pedagogia
e avventura in un movimento che diventerà presto uno dei tagonisti del lipiù grandi fenomeni educativi del mondo.
bro, a seconda
della funzione e
aggiunse anche una serie di nordel ruolo educativo svolto.
me supplementari, riassumibili
Per rafforzare poi l’impresnel motto “ogni giorno una buosione di ordine e decoro, favorina azione”, decisivo per conquire lo spirito di gruppo, e ridurre
stare all’idea scout i genitori delle differenze sociali, Badenl’epoca. Fu proprio la simpatia
Powell dotò i suoi scout di un’udegli adulti la “marcia in più”
niforme consona, facendo tesodegli scout rispetto alle altre orro della sua esperienza militare
ganizzazioni giovanili allora ein Sud-Africa. Un paio di calzosistenti, quali la Wandervogel,
ni corti (secondo la tradizione
associazione tedesca sorta nel
coloniale inglese), una camicia
1896 con l’intento di liberare i racomoda da portare con le manigazzi dai condizionamenti cittache rimboccate (in ossequio al
dini e farli godere del contatto
motto scout “Sii preparato”), un
con la natura; gli Woodcraft infazzolettone variopinto al collo
dians, diffusi in USA con ana(utile anche come bendaggio d’elogo desiderio di crescita nella
mergenza), e un cappello a tesa
conoscenza, la Church lads’brilarga – tipo quello dei Rangers
gade britannica, che univa alla dicanadesi – per proteggersi tanto
sciplina militare lo studio della
dal sole quanto dalla pioggia. Nel
Bibbia, e le Boys’brigades, che
1910, al primo raduno dei boysviluppavano lo spirito di osserscout inglesi, tra gli 11mila convazione studiando le avventure di
venuti sfilano anche alcune raSherlock Holmes.
gazze, che si definirono “girlPer la verità anche Badenscout”. Per loro venne creata
ù ...”
un’apposita sezione che BadenPowell (che aveva lasciato l’esercito per dedicarsi a tempo pieno ai suoi ragazzi) affidò prima
alla sorella Agnes, e in seguito alla moglie Olave Soames.
Gli scout in Italia
Per il carattere laico lo scautismo non fu subito valorizzato
dalle comunità ecclesiali. Presto,
però, queste decisero di aderirvi
con un’associazione confessionale. Il 16 gennaio del 1916 segna la nascita dell’Associazione
scout cattolici italiani, ASCI (chi
scrive ne fu membro) che oggi,
con il nome di AGESCI (Associazione guide e scouts cattolici
italiani) è la prima organizzazione scout del nostro Paese. Nel
1939 Baden-Powell (divenuto
lord nel 1929) e il movimento
scout furono proposti per il Nobel per la pace, ma il premio non
venne assegnato per lo scoppio
della 2ª guerra mondiale. Il fondatore dello scautismo muore nel
1941. Per lui si era decisa la tumulazione addirittura nell’abbazia di Westminster, ma ciò non
avvenne. Egli infatti sarà sepolto – come da sua volontà scritta
– nel piccolo cimitero di Nyeri,
in Kenya (dove si era ritirato a
vivere nel 1938), sotto una spoglia pietra tombale, che riporta
solo il suo nome e il segnale
scout di “Fine pista”.
Davanti a questa storia in
cammino la Chiesa non può che
esprimere gratitudine. Il movimento degli scout è stato e rimane segno di una grande speranza: per la capacità di accompagnare ogni persona in crescita, per la vitalità dell’esperienza
comunitaria in direzione della tutela di un bene comune, per quel
generale disegno educativo che
richiama a realtà ove il trascendente è continuamente riscoperto in un clima di festa e di servizio ai fratelli più deboli.
Pier Luigi Guiducci
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L’insegnamento di Giustino e Ireneo
T
utti ricordiamo la storica
visita di Giovanni Paolo II
alla Sinagoga ebraica di
Roma nel 1986. Nell’anno del
grande Giubileo del 2000, lo stesso Papa si recò a Gerusalemme
e pregò dinanzi al simbolo della
spiritualità giudaica, il Muro del
Tempio. Questi due gesti hanno
contribuito a rendere gli Ebrei
meno severi nei confronti dei
Cattolici.
Nei primi secoli della vita della Chiesa, invece, la situazione
era ben diversa e gli Ebrei si mostravano molto ostili nei confronti
dei Cristiani. Per questo motivo,
un filosofo palestinese, educato
alla cultura greca, una volta diventato cristiano, scrisse un’operetta per mostrare agli Ebrei che
il rifiuto che essi opponevano al
Cristianesimo era immotivato.
Questo filosofo è anche uno dei
Padri della Chiesa, Giustino, che
morì poi martire nel 165.
Il titolo dell’opera è Dialogo
con Trifone. Questo è il nome
del rabbino giudeo a cui si rivolge. Trifone conosceva molto
bene l’Antico Testamento, come
Giustino aveva potuto appurare
nelle conversazioni che ebbe con
questo maestro dell’ebraismo antico ad Efeso, la grande città, oggi in territorio turco e dove, ai
tempi di Giustino, erano presenti una fiorente comunità cristiana e un folto gruppo di Ebrei.
Ricordando quelle discussioni,
Giustino, qualche anno dopo,
scrisse il suo Dialogo, citando
molti passi dei Libri Sacri, venerati dagli Ebrei, che noi cristiani chiamiamo Antico Testamento. Voleva così dimostrare
come essi annunciavano con nu16
merose profezie ciò
che si sarebbe poi
realizzato in Cristo.
Seguendo questo
procedimento, introdusse un paragone tra
la Vergine Maria con
un personaggio importante del libro della Genesi, Eva. Lo
scopo di Giustino è
quello di dimostrare
non solo l’eccellenza della Madonna ma
anche il suo ruolo
fondamentale nella
storia della salvezza,
che proprio in Cristo,
il Figlio di Maria, ha
trovato il suo compimento. Scrive Giustino: “Il Figlio di
Dio si è fatto uomo
per mezzo della Vergine, affinché la disobbedienza provo- La disobbedienza provocò la caduta e l’allontanacata dal serpente fos- mento dell’uomo da Dio. L’obbedienza di Maria inise annullata attraver- ziò i tempi del ritorno dell’uomo al suo Creatore.
so la stessa vita per la
quale prese inizio. Come infatti
rigine e l’Annunciazione, Eva e
Eva, che era vergine e incorrotMaria. Questa contrapposizione
ta, dopo aver accolto la parola
serve a far risaltare il contributo
del serpente, partorì disobbedi Maria all’opera redentrice di
dienza e morte, allo stesso mosuo Figlio. Tale contributo è condo Maria, la Vergine, avendo risistito soprattutto in un atteggiacevuto dall’Angelo Gabriele il
mento spirituale, la sua obbebuon annuncio che lo Spirito
dienza alla Parola di Dio.
Santo sarebbe disceso su di lei e
Questa obbedienza, impreche la potenza dell’Altissimo l’aziosita dal fatto che nasceva da
vrebbe adombrata, concepì fede
un cuore verginale, ha reso pose gioia, per cui il nato da lei sasibile l’Incarnazione per opera
rebbe stato il Figlio di Dio”.
dello Spirito Santo.
Sono solo poche righe eppuGiustino lascia intendere che
re la loro importanza, nella stoil “sì” di Maria all’annuncio delria della teologia mariana, è nol’Angelo ha veramente cambiatevolissima. Giustino contrapto la direzione della storia: non
pone due scene: il peccato di opiù morte per l’anima e per il
L’espulsione di Adamo ed Eva, Milani Aureliano (1675-1749). Collezione privata.
Maria e i Padri
Maria la nuova Eva
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corpo, la triste sorte degli uomini senza l’Incarnazione, ma vita,
fede e gioia! Con questo raffronto
tra Eva e Maria, Giustino fa capire che nella storia della salvezza, raccontata nella Bibbia,
esiste una legge. Questa legge è
l’analogia. Che cosa significa?
Significa che i vari eventi con
cui Dio chiama l’uomo alla salvezza si richiamano e si integrano a vicenda. Tutti però convergono verso Cristo, il centro e il
perfetto compimento della salvezza. In questo intreccio di eventi e parole, la Madonna è presente con un suo ruolo insostituibile e indispensabile.
La Tradizione cristiana, a partire da Giustino, ha incessantemente scrutato le Scritture per
trovare adombrata la figura della Madonna in tanti episodi della Bibbia, proprio come l’autore
del Dialogo a Trifone era riuscito a scoprire nel parallelismo
tra Eva e Maria.
Il contributo di Ireneo
Questo paragone piacque tanto ai successivi Padri della Chiesa che uno di loro, Ireneo di Lione, non molti anni dopo Giustino, lo riprese e lo approfondì. Ireneo scrisse un’opera voluminosa in cinque libri, intitolata
“Contro le eresie”.
Negli anni in cui egli visse,
nella seconda parte del secondo
secolo, gli gnostici stavano confondendo le menti di molti cristiani, facendo una specie di “minestrone religioso”. Essi, infatti, mescolavano elementi della
Rivelazione cristiana con i miti
pagani e con dottrine della filosofia greca. Una delle conseguenze del loro insegnamento era questo: per ottenere la salvezza, Cristo non era necessario, si
poteva comprendere Dio e le sue
molteplici manifestazioni e salvarsi facendo ricorso alle proprie
forze, in particolar modo alla
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propria capacità di “conoscere”.
Lo gnosticismo era una specie di new age ante litteram. Pericoloso quello, pericoloso questo. Ireneo, che era dotato di una grande capacità di contraddire i suoi avversari, riesce a mostrare come tutta la storia dell’umanità si ricapitola, si riassume
in Cristo e nella sua opera di redenzione. Ed ecco che, a questo
punto, anche Ireneo paragona
Maria ad Eva e, a differenza di
Giustino, aggiunge anche un secondo parallelismo che spiega
meglio il primo, Cristo ed Adamo. “Era conveniente e giusto
che Adamo fosse ricapitolato in
Cristo, affinché la morte fosse
assorbita nell’immortalità e che
Eva fosse ricapitolata in Maria,
affinché la Vergine, divenuta avvocata di un’altra vergine, potesse annullare e distruggere, con
la sua verginale obbedienza, la
disobbedienza verginale”.
Questo passo di Ireneo, ed altri ancora simili a questo, illustrano un principio basilare della fede: Cristo ci ha procurato la
salvezza e, per disegno del Padre,
ha voluto la Madonna accanto a
sé, come sua cooperatrice.
Nei secoli successivi, la teologia cattolica ha adoperato un’espressione molto forte per spiegare questa cooperazione di Maria: corredenzione.
Per i Padri della Chiesa, questo
contributo della
Vergine Maria all’opera del Nuovo
Adamo, cioè suo
Figlio il Cristo,
“appariva giusto e conveniente”,
come si esprime Ireneo nel passo che abbiamo citato. Non ci
sfugga che in questo brano sant’Ireneo attribuisce alla Madonna
un titolo che sarebbe poi diventato molto comune tra i cristiani. Chiama la Madonna “avvocata”. Non ci spiega ancora in
che cosa consista questa sua prerogativa. È un compito che sarà
illustrato successivamente: la
Madonna intercede per i peccatori, che come Eva non obbediscono alla Parola di Dio.
Uno studioso contemporaneo,
commentando l’insegnamento di
Ireneo sulla Madonna, osserva:
“La dottrina attuale circa la collaborazione di Maria alla redenzione degli uomini e alla mediazione della grazia divina ha le
sue lontane ma visibili radici nell’insegnamento del grande vescovo di Lione”. E a questo giudizio volentieri ci associamo: una meravigliosa sinfonia canta
le lodi di Maria, essa è iniziata
nei primi anni della storia della
Chiesa con i Padri della Chiesa,
e viene, lungo i secoli e senza
sosta, proseguita da tutti i grandi devoti della Madonna.
Roberto Spataro
Studium Theologicum Salesianum
Gerusalemme
e-mail: silvaestudiosus@libero.it
La tentazione
di fare a meno di Dio
nella costruzione
del mondo
è una tentazione
profonda che
attraversa tutte le
generazioni umane.
Adamo ed Eva, Holbein il giovane
(1517), Kunstmuseum, Öffentliche
Kunstsammlung, Basilea.
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Giosuè Carducci,
Anniversari
I
l 16 febbraio 1907 moriva a
Bologna Giosuè Carducci,
nome che tutti ricordiamo
come legato alle esperienze letterarie delle scuole medie. Riuscire a non conoscere la nebbia
agli irti colli o i bei cipressetti di
San Guido è davvero un’impresa. Almeno per riconoscenza verso le sue belle poesie, che tanta
parte hanno avuto nella formazione scolastica di generazioni
di studenti, è bene ricordare il
fiero, sdegnoso, retorico, roboante, libero pensatore, massone e a suo modo credente professore.
La sua inventiva è molte volte raffinata ed elegante, tante altre terribilmente ordinaria e perfin volgare: sempre, in ogni caso, torrenziale. I pesanti lutti familiari che gli sconvolsero l’esistenza segnarono anche il carattere, di natura già riservato e ombroso. Soffrì molto, studiò con
ateo ma non troppo
passione, insegnò con estrema
dedizione e competenza, non seppe opporsi e tanto meno liberarsi dal giogo del bere.
Nacque a Valdicastello, frazione di Pietrasanta, in Versilia,
il 27 luglio 1835; per curiosità, un
mese e mezzo prima, il 2 giugno, nasceva a Riese (Treviso)
Giuseppe Sarto, tutt’altro genere di personaggio, che sarebbe
poi diventato San Pio X.
Il padre di Giosuè (così si
chiamò al battesimo), Michele, era medico condotto e la madre,
Ildegonda Celli, donna generosa
e credente, seguiva il marito nei
suoi trasferimenti da una condotta all’altra. Giosuè studiò a
Firenze dai Padri Scolopi, e poi
a Pisa, dove nel 1856 si laureò in
lettere. Nel 1857 era morto di
morte violenta l’amato fratello
Dante, in circostanze oscure, nel
corso di una lite con il padre; e
l’anno dopo moriva anche il pa-
La chiesa di San Donato in Polenta che ispirò il Carducci nel comporre la sua
ode alla Vergine.
18
dre, qualcuno dice suicida, in disperata solitudine, per cui su Giosuè ricadde il sostentamento della madre e del fratello minore
Valfredo. Nel 1859 si sposò con
Elvira Menicucci, dalla quale ebbe quattro figli: Dante (morto a
tre anni nel 1870, il famosissimo bambino dell’albero a cui
tendevi/la pargoletta mano), Beatrice, Laura e Libertà (la nota
Tittì di Davanti a San Guido).
Nel 1860 ebbe la cattedra di
letteratura italiana a Bologna, dove insegnerà per ben 42 anni. La
sua vita di professore, oltre che
dall’insegnamento e dalla poesia, fu animata da alcuni amori,
ad esempio con Annie Vivanti,
ma, soprattutto, con Carolina Piva, moglie di un ufficiale. Nel
1906 gli fu assegnato il premio
Nobel per la letteratura.
Prima massone
Tra le sue scelte politiche e
sociali (tutto sommato abbastanza limitate) campeggia quella della massoneria. Quando vi
entrò, mutò il nome di Giosuè in
quello di Giosue. Tra le sue caratteristiche umane, quella di essere un buon padre, un buon nonno, un mediocre marito e un amante senza condizioni del vino. Per lui il vino fu qualcosa di
simbolico, quasi di sacro, legato anche all’antichità classica, da
lui tanto amata. In quei tempi remoti il vino si libava per celebrare gli dèi, per onorare i morti, per consacrare i patti e i giuramenti. In tante poesie egli esalta
il vino simbolo del soprannaturale, ovviamente pagano. Nonostante questo non è da pensare ad
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un Carducci ateo, cinico e neppure anticlericale. Il sottoscritto
ha raccolto notizie dalla gentile
prof.ssa Giuseppina Marcheselli, bolognese, oggi avanti negli
anni, le cui ricerche letterarie sono molto preziose. Da perfetto
massone, Carducci celebrava con
enfasi il 20 settembre. I Mar-
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le. Fu una certa contessa Pasolini che lo condusse in quella
chiesa, e lui accettò, contro il
parere negativo del Gran Maestro della massoneria bolognese.
Per di più la poesia termina con
una commossa preghiera alla
Madonna, della quale il Poeta
fu sempre devoto.
Giosuè Carducci aderì alla Massoneria senza però
esprimere quei toni anticlericali e atei che caratterizzano tanti massoni italiani. Il poeta, interessato
al vino e ai piaceri, non rifiutò la fede, vedeva piuttosto nei tempi pagani, il
compimento delle idee di
libertà e di bellezza che i
suoi tempi non gli davano.
cheselli, nonni della professoressa, che abitavano poco distante
dalla casa del Carducci, avevano in casa un domestico, tal Domenico, che una sera vide il Poeta barcollare, sopraffatto da una
abbondante bevuta: professore,
vuole che lo accompagni? Azzardò Domenico in bolognese.
E lo sorresse fino a casa sua. Raccontava poi emozionato che il
professore lo aveva guardato con
una luce speciale negli occhi:
“grazie, brav’uomo!”. A 50 anni ebbe un primo lieve ictus, a 55
si innamorò della Vivanti e a 63
un altro ictus lo rese più invalido. È del 1891 l’episodio della
sua benevolenza verso un gruppo di studenti monarchici. Gli
studenti repubblicani lo fischiarono e ingiuriarono e gli fracassarono la cattedra.
Poi scopre la fede
In seguito si recò a Genova,
ove rese omaggio a Giuseppe
Verdi e, guardando il mare, disse io credo in Dio. Nel 1897
scrisse La chiesa di Polenta, in
occasione di una visita alla chiesa di San Donato in Polenta, poi
dichiarata monumento naziona-
Ave Maria! Quando su l’aure corre
l’umil saluto, i piccioli mortali
scovrono il capo, curvano la fronte
Dante ed Aroldo.
Una di flauti lenta melodia
passa invisibil fra la terra e il cielo:
spiriti forse che furon, che sono
e che saranno?
Un oblio lene de la faticosa
vita, un pensoso sospirar quïete,
una soave volontà di pianto
l’anime invade.
Taccion le fiere e gli uomini e le cose,
roseo ’l tramonto ne l’azzurro sfuma,
mormoran gli alti vertici ondeggianti
Ave Maria.
Nella poesia Ideale, la prima
delle Odi Barbare, comincia col
lodare la dea Ebe (la giovinezza)
e finisce con le lodi alla Madonna, la dolce fanciulla di Iesse / coronata di faville d’oro. E quando accompagnava le bambine a
scuola dalle suore, al ritorno si
fermava dinnanzi alla chiesa del
convento e sostava davanti all’effigie della Madonna sotto la
croce di Cristo. Qualcuno sarcasticamente gli chiese: prega, professore? Rispetto il dolore di una madre che ha visto morire il
figlio, fu la risposta. Numerose
sono le altre poesie nelle quali si
avverte il desiderio di Dio. In una lettera scovata dalla prof. Marcheselli il Poeta afferma: a Dio
voglio credere sempre più. Il cristianesimo cerco d’intenderlo storicamente. Al cattolicesimo sento impossibile ravvicinarmi con
intelletto d’amore, ma rispetto i
cattolici buoni (bontà sua!).
Basta ricordare la poesia dedicata alla Basilica di Sant’Antonio in Padova e quella, ancor
più densa di spiritualità, dedicata a San Francesco, prendendo
come spunto la Basilica di Santa Maria degli Angeli in Assisi.
Quando, cento anni fa, fu colto
da apoplessia, il nipote Manlio,
fervente massone, probabile figlio del fratello minore Valfredo,
faceva la guardia all’ingresso della casa perché non entrasse il prete; ma la moglie Elvira riuscì a
farlo entrare attraverso un passaggio segreto, cosicché il Poeta morì con i sacramenti.
L’ultima figlia, Libertà, nota
come la Tittì, morì alla fine degli anni ’60.
Merita questo nostro poeta di
essere ricordato. Fu un ingenuo?
La famosa ode Inno a satana farebbe rispondere affermativamente. Fu un autentico maestro
dei valori veri della vita? Senza
dubbio. Lo dimostra, negli errori e nei successi, il suo inesausto
amore alla vita e la sua costante
ricerca della verità.
Franco Careglio
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4 dicembre: Santa Barbara, martire (III-IV secolo)
Un mese un santo
SANTA BARBARA
patrona dei Vigili del Fuoco
N
on è la prima volta che
ci troviamo davanti a
qualche santo che può
vantare un culto popolare vastissimo (con milioni di persone
nel mondo che ne portano il nome) che furono oggetto di una
rilevante produzione iconografica, ma che purtroppo non gode
di una altrettanta vasta e sicura
produzione storiografica. Tanti
immagini artistiche ma poche o
pochissime informazioni storiche. Santi come Giorgio, Caterina di Alessandria, Barbara ed
altri (specialmente dei primi secoli) sono promossi a pieni voti
in arte ma purtroppo, ahimè, bocciati in storia. È proprio il caso
di santi appena ricordati (ma anche altri): tutti popolarissimi e
famosissimi per quanto riguarda
il culto popolare (sia in Oriente
sia in Occidente) e la presenza
nell’arte (sono delle vere “super
star” tutti e tre); ma, ahimè, poverissimi di fondamenti e riscontri storici, dei quali noi moderni (o post moderni) siamo affamati. Altro elemento, peraltro
ancora comune a tutti e tre, sono le narrazioni (o Passiones) del
loro martirio. Siamo in presenza
di racconti (molto spesso) leggendari, pieni di elementi inverosimili, e di esagerazioni oltre
Le tante feste di Santa Barbara
Facciata della chiesa di Santa Barbara a Roma. Sembra che un tempo vi fosse custodito il cranio della
martire.
20
Il culto di Santa Barbara è presente equamente sia in Oriente sia in Occidente, nell’Europa meridionale come in quella settentrionale.
Nell’Europa centrale, particolarmente in Germania, il culto di Santa Barbara (insieme a Caterina, Margherita, Cristoforo, Biagio, Egidio ecc.) è associato ad un gruppo di ben 14 santi (i cosiddetti Santi Ausiliatori) invocati congiuntamente in occasione di grandi calamità.
È ricordata inoltre in Lettonia, in Finlandia, a Cipro come in Grecia, in Armenia come nei Paesi Balcani, in Belgio, in Olanda, in Francia, in Inghilterra, in Svizzera ed in Austria. E naturalmente anche in Italia. Chiese e cappelle a lei dedicate si trovano un po’ dovunque. Ricordiamo in special modo quelle a Rieti (la Cattedrale), a Mantova (Basilica di Santa Barbara), a
Roma come a Torino e in altre città e paesi.
È una santa presente in tutta Italia, ma soprattutto nell’Italia centrale e meridionale. E anche in Sardegna. Qui la festa di Santa Barbara viene celebrata in molte cittadine e paesi, con processioni, canti, balli e ovviamente
robusti pranzi. Viene celebrata a Domusnovas, presso Cagliari, a Silius, a
Olzai, vicino a Nuoro, a Iglesias, a Villacidro.
E, “last but not least ” anche a Villagrande, in Ogliastra. Qui la Santa viene
celebrata ben due volte: d’inverno (il 4 dicembre) e specialmente nel mese di luglio, con una solenne processione che ne porta la statua fino ad una chiesetta fuori dal paese a lei doverosamente dedicata. Questa è immersa nel verde dell’omonimo Bosco di Santa Barbara, dove si può bere,
“gratis et amore Dei ”, ottima acqua dalle proprietà terapeutiche, dalla Fontana di Santa Barbara. L’ambiente è molto rilassante e riposante, adatto per
ritrovare un po’ di pace e tranquillità, contro la fretta che ci divora e contro
il quotidiano logorio della vita moderna. Ma è fortemente consigliato anche
per un po’ di riflessione spirituale ed esistenziale (se qualcuno ne ha il coraggio!). Normalmente però è usato per consumare pranzi solenni, sostenuti e sostenenti, in famiglia o con gli amici, in primavera ma specialmente d’estate. Il tutto in memoria di “Santa Barbara gloriosa, incoronata in cielo, come stella luminosa”. Amen.
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ogni limite del buon senso, che
talvolta possono dare anche fastidio quando si ha una certa
mentalità (o non si ha presente
il concetto di “genere letterario”
ivi usato).
Barbara di Antiochia
o di Nicomedia?
Su Santa Barbara martire esistono molte tradizioni, sia greche sia latine, e redazioni diverse della sua biografia. Si tratta
per lo più di racconti leggendari, quindi con scarso valore storico, anche perché non sono poche e piccole le divergenze ivi
contenute. Infatti per alcune “Passiones” (o racconti del martirio)
Barbara è stata martirizzata sotto l’imperatore Massimino il Trace (235-238) o di Massimiano
(286-305), per altre invece lo fu
sotto Massimino Daia (308-313).
Riguardo poi al luogo di origine
della santa vengono fuori i nomi
di Antiochia, di Nicomedia ed
infine di Eliopoli.
C’è anche una tradizione
latina che pone Barbara in Toscana. Infatti nel Martirologio
di Adone, si legge, per esempio:
“In Tuscia natale sanctae Barbarae virginis et maryris sub
Maximiano imperatore”. Secondo quindi questa tradizione Barbara fu martirizzata in Toscana,
e il corpo traslato nella cattedrale di Rieti, di cui è patrona. Al-
Particolare tratto da un dipinto del
milanese Giovanni Antonio Boltraffio
che raffigura Santa Barbara.
tra confusione. Ma non basta. Secondo la versione o tradizione
veneziana, l’imperatore Giusti-
La torre della basilica mantovana intitolata a Santa Barbara svetta tra i palazzi ducali della città lombarda.
no trasferì il corpo della martire
a Costantinopoli, e da qui i Veneziani lo avrebbero portato nel
1009 nella Chiesa di San Giovanni Evangelista a Venezia. Non
dimentichiamo però che anche il
Cairo, Costantinopoli e Piacenza rivendicano le sue reliquie.
Comunque al di là di queste notizie poco storiche e molto contradditorie, secondo qualcuno “si
può ragionevolmente affermare
che la martire doveva essere orientale, forse egiziana, e che il
suo culto fu portato in Italia verso il secolo VI, durante la dominazione bizantina. Altro di
certo non sappiamo.
Ma la sua leggenda, molto
popolare nel Medioevo, ha ispirato patronati e un’iconografia
così imponente che l’hanno radicata nell’immaginario occidentale” (Alfredo Cattabiani).
Secondo questi racconti Barbara era la figlia di Dioscuro, di
religione pagana. Poiché la ragazza era bellissima, per proteggerla dai troppi pretendenti, questi costruì una torre dove la fece
rinchiudere. Intanto la fanciulla
si era consacrata a Cristo e non
aveva quindi nessuna intenzione di sposarsi. Anzi prima di entrare nella torre, desiderando ricevere il battesimo... e non potendo per vie normali, ricorse all’auto battesimo. Passando vicino ad una piscina si immerse tre
volte nell’acqua con le parole:
“Si battezza Barbara nel nome
del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”.
Barbara,
devota della Santa Trinità
Approfittando poi dell’assenza del padre fece costruire, accanto alle due già esistenti, una
terza finestra, non per avere più
luce ed aria, ma per manifestare
così la propria fede nella Santa
Trinità. Questo elemento della
torre (che figura nella iconogra21
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Barbara, Barbi, Barbarella, Barbarina...
Santa Barbara è una santa invocata da una grande quantità di categorie professionali che ne richiedono la protezione.
Questa è una ulteriore prova non solo della estensione geografica del suo culto ma
anche della molteplicità e diversità dei
suoi devoti, anche se i motivi di questa
grande fama per lo più si devono trovare
in molti particolari del racconto della sua
Passio (secolo VII). Questa influenzerà
anche la sterminata iconografia che l’ha
illustrata e immortalata.
Santa Barbara innanzitutto è invocata
contro la morte improvvisa (il fulmine che
colpì il padre, insensato giustiziere). Ecco la preghiera: “Signore, per intercessione di Santa Barbara concedici di ricevere il sacramento prima di morire”. Esistono anche delle Confraternite della Buona Morte che onorano Barbara come lo-
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Particolare di un quadro del pittore fiammingo Jan Van Eyck.
Il nome Barbara deriva dal gre- ro santa patrona. La Santa è anche invocata da arco barbaròs, in latino Barbarus maioli, artiglieri, architetti, minatori, muratori, fonditori
e significa barbaro o straniero. di campane, costruttori di torri e di fortificazioni. Dopo
È un nome presente in tutte le la scoperta della polvere da sparo è diventata protetlatitudini... portato, integrale o trice di tutti quelli che hanno a che fare con gli esplonei diminutivi, da milioni di don- sivi. Venne eletta patrona anche dai lanzichenecchi (di
ne nel mondo, particolarmen- assai infelice storica memoria) perché essi usavano gli
te nei paesi di influsso anglo- archibugi, che quando sparavano facevano una gransassone, ma non solo...
de scintilla. Non dimentichiamo poi che il deposito delle munizioni nelle navi militari (ma non solo) si chiama,
Ecco alcuni suoi diminutivi:
ovviamente, la santabarbara. Infine ricordiamo anche
Latino: Barbara.
che è la patrona di una categoria sociale che è semInglese: Babs, Barb, Barbie, pre stata al servizio della collettività: i Vigili del Fuoco.
Particolare di un alta- Barby, Babete, Babetta, BarNonostante la loro santa sia stata “bruciata” dalle fiamre ligneo scolpito in
me della Riforma Liturgica, ovvero fu depennata dal
Germania (XVI sec.). bary, Barbra.
Francese: Babette, Barb, Bar- Calendario Liturgico del 1970 (salvo ripensamenti cobe, Barbot.
me nel caso di Caterina di Alessandria, “riabilitata” e
Spagnolo: Barbara, Barbabrita.
riammessa come Memoria facoltativa nel 2003), per i
Ceco: Bára, Barbora, Bora, Barcinka, Barka, Barunka, Vigili è rimasta ancora e comunque in servizio come patrona e come tale invocata.
Baruna, Baruska.
Ungherese: Borbála, Bora, Borhala, Boriska, Borka, Borsala, Brosca, Broska. Particolare di Barbara con alle spalle la torre della sua tradizione.
Irlandese: Baibre, Bairbre, Baibín.
Tedesco: Barbara, Bärbel, Bärbele.
Russo: Varvara, Varia, Varenka.
Scozzese: Barabal.
Haway: Palapi, Palapala.
Polacco: Basia.
Svedese: Barbro.
Italiano: Barbi, Barbarina, Barbarella, Barbaretta.
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La Madonna Sistina di Raffaello Sanzio. Ai piedi della Vergine sono inginocchiati Santa Barbara e San Sisto.
fia di Santa Barbara) è comune ad
altre sante (esempio Cristina di
Bolsena) ed era sempre stata nella tradizione come simbolo della “la porta del cielo” oltre che di
ascensione verso il cielo, di difesa
e di vigilanza spirituale.
Ritornato, il padre si infuriò
per il fatto che Barbara si era fatta cristiana e per la costruzione
della terza finestra non autorizzata e dimostrativa della sua nuova fede. Una costruzione abusiva insomma. E così decise subito di ucciderla. Ma la figlia riuscì miracolosamente a sfuggirgli, passando attraverso le pare-
ti della torre. Una volta ritrovata, il padre, ancora furioso per il
tradimento, la fece consegnare
al governatore Marciano, per costringerla ad abiurare prima con
le buone, poi con le cattive e cioè
con la tortura e le crudeltà più raffinate. Coperta di ruvidi panni
dovette subire numerosi ed atroci supplizi finché fu rinchiusa
nella torre. A meditare e rinsavire, così speravano. Ma anche
questa volta fu miracolosamente guarita da un angelo che le apparve durante la notte. All’indomani naturalmente fu sottoposta
a nuovi tormenti, questa volta in-
sieme ad una certa Giuliana, che
nel frattempo, assistendo ai supplizi di Barbara, si era dichiarata anche lei cristiana. Sottoposta
alla flagellazione e alle fiamme,
accese ai fianchi, Barbara superò
anche questa crudele prova. Allora il governatore un po’ spazientito da tanta resistenza, privatala dei vestiti, la fece trascinare per le vie della città tra le
percosse e flagellazioni feroci.
Ancora un prodigio. Ascoltando
le preghiere della martire, il cielo si coperse di nuvole nere ed arrivò anche una fitta nebbia, sottraendola così agli sguardi dei
curiosi malintenzionati.
Ed ecco infine la condanna alla decapitazione. Esecutore finale lo stesso padre di Barbara, tanto crudele quanto incauto. Credeva di aver vinto la battaglia
contro quella figlia ostinata e cristiana. Ma non era così. Mentre
infatti tornava a casa fu colpito
da un fulmine a ciel sereno che
lo ridusse ad un mucchietto di
cenere. Morte improvvisa da non
augurare a nessuno. Fine della
storia (e della leggenda).
Il racconto, come si vede, è
ricco di elementi (quali la torre,
la spada, la corona, la palma e la
pisside con un’ostia, che significa il Viatico nell’ora della morte...) che servirono di ispirazione
agli artisti dei vari secoli che vollero celebrare Santa Barbara. Tra
quelli più famosi ricordiamo il
sommo Raffaello Sanzio ne La
Madonna Sistina, Jan van Eyck
(1437), Robert Campin (1418),
un autore della cerchia del Botticelli, Cosimo Rosselli (1468),
Luca Cranach il Vecchio, Lorenzo Lotto (Cappella Suardi, vicino a Bergamo), Giovanni Antonio Boltraffio e tanti altri, pittori, scultori e architetti, noti o
meno noti, bravi o molto bravi,
tutti impegnati a celebrare con
le loro opere d’arte una santa e
martire, anche se così poco documentata storicamente.
Mario Scudu
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I quattro peccati
che gridano vendetta
al cospetto di Dio
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Celebrazione
Omicidio volontario
/2
NON UCCIDERE!
Il perdono di Dio
N
All’alba della storia umana ecco il primo terribile avvenimento: Caino uccide suo fratello Abele. Spuntano i primi fiori e un’improvvisa tempesta recide il più bello. Il peccato originale ha già
affondato le sue radici nefaste, quali la cupidigia,
l’invidia, la gelosia, la collera, in uno dei primi due
nati: una catena che non finirà mai, e che arrecherà
un dolore acutissimo al cuore di Dio nostro Padre.
Il fratello nemico del fratello, è la negazione assoluta dell’amore, la negazione di Dio, la pretesa di
non dipendere da lui e anzi di prendere il suo posto, e per questo il sangue ingiustamente sparso
continua a gridare vendetta al suo cospetto.
“Che hai fatto?”, dice Dio a Caino, “la voce del
sangue di tuo fratello grida a me dal suolo. Ora sii
maledetto, lungi da quel suolo che per opera della
tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello”. Riprese Caino: “Chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere”. Il Signore gli disse: “Chiunque ucciderà Caino subirà la vendetta sette volte” (Gn 4).
Questa è dunque la volontà di Dio: Non uccidete
Caino!
E allora questi peccatori potranno salvarsi? Certamente sì, perché nulla è impossibile a Dio. Gesù,
on uccidere è il comandamento di Dio, ed è
precisamente il quinto, come si legge nel
libro dell’Esodo (20,13). Questo vale per
coloro che credono nel Dio di Abramo, di Isacco e
di Giacobbe, quindi per noi cristiani.
Lo stesso comando però è stato profondamente inciso dal Creatore nella mente e nel cuore di ogni creatura umana di tutti i tempi e di tutti i luoghi.
Il titolo di questo articolo, “omicidio volontario”, vuole fermare la nostra attenzione non tanto sull’omicidio in generale, quanto sulla sua volontarietà, come espressione di un vero atto libero, un atto di piena avvertenza e di deliberato
consenso.
La vita umana non è opera del caso, come del
resto non è opera del caso tutto ciò che ci circonda. Tutto è stato da Dio messo nelle mani dell’uomo ma non la vita del nostro simile. La vita dell’uomo appartiene a Dio, dal suo concepimento fino alla morte naturale.
È Dio che ha creato l’uomo! A sua immagine e
somiglianza Egli lo ha creato!
Per questo la vita umana è sacra e appartiene a
Dio in assoluto, dall’alba della vita al suo tramonto. Nessuno e in nessun caso uno può rivendicare
a se stesso la proprietà di una vita umana. Nessuno al mondo ha il diritto di distruggere una vita umana. Tanto è vero che nostro Signore Gesù Cristo, parlando di questo comandamento, lo ha confermato senza fronzoli: non uccidere e chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio. Poi ha incluso d’autorità, in questo comandamento, anche le offese, come: stupido, pazzo.
Commettono “omicidio volontario” anche coloro che procurano volontariamente l’aborto, l’eutanasia e quanti fanno esperimenti di ricerca scientifica sugli embrioni. Si tratta sempre di interruzione violenta della vita umana, sacra a Dio. Su tutto
ciò il Papa e i Vescovi non finiscono di parlarne e
in tutti i toni.
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La Bibbia ci insegna che l’inizio della convivenza umana
è già segnata dal peccato e dall’odio. Una frattura che si
annida all’interno della stessa famiglia e che dilagherà fra
tutti i popoli.
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incarnandosi, ha proclamato: “Io sono venuto per
i peccatori, sono venuto per salvarli”. Come si possono salvare?
Dio è amore, misericordia, compassione e perdono. Per salvarsi bisogna entrare nella sfera dell’amore, è necessario riconoscere di avere sbagliato, è bello soprattutto rivolgersi a Dio e dire di cuore: Padre, abbi pietà di me peccatore. Non temere
di convertirti, né per il tuo orgoglio, né per quello
che dirà la gente. È Gesù che bussa al tuo cuore e
ti viene incontro e ti butta le braccia al collo. Tu
stringiti, in pianto, al suo petto squarciato, e digli:
Signore Gesù, abbi pietà di me. Se è possibile riconciliati con la Chiesa per testimoniare a tutti la
tua adesione a Cristo.
Preghiamo con il Salmo 112
Rit.: Lo sguardo del Signore è sopra il povero.
Lodate, servi del Signore,
lodate il nome del Signore.
Sia benedetto il nome del Signore,
ora a sempre.
Rit.
Su tutti i popoli eccelso è il Signore,
più alta dei cieli è la sua gloria.
Chi è pari al Signore nostro Dio
che siede nell’alto e si china
a guardare nei cieli e sulla terra?
Rit.
Solleva l’indigente dalla polvere,
dall’immondizia rialza il povero,
per farlo sedere tra i principi,
tra i principi del suo popolo.
Rit.
Il martirio di Monsignor Romero
Mons. Romero, arcivescovo e pastore, fu assassinato, il 24 marzo di venticinque anni fa, sull’altare, mentre celebrava l’Eucaristia, diventando vittima offerta assieme al Signore. Proprio il giorno prima, aveva lanciato un appello per fermare la repressione: «Fratelli siete, come potete uccidere i vostri fratelli? Ogni ordine umano per uccidere deve
essere subordinato alla legge di Dio che dice: non
uccidere. Nessun soldato è obbligato a ubbidire a un
ordine contrario alla legge di Dio. Nessuno deve
ubbidire a una legge immorale. È ormai tempo di
ubbidire alle vostre proprie coscienze piuttosto che
a ordini di peccato. La Chiesa non può rimanere in
silenzio davanti a tale abominio... Nel nome di Dio,
nel nome del popolo che soffre e di cui il grido, ogni giorno, si alza alto verso il cielo, vi imploro, vi
prego, vi comando: fermate la repressione». L’indomani fu assassinato, dando ai suoi fedeli con la
sua morte più forza per «ubbidire alla loro coscienza
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La vita appartiene a Dio e Lui solo ha il potere di toglierla. Per questo l’uomo deve essere sempre rispettoso verso la vita impegnandosi a proteggerla e a sostenerla sempre.
che a ordini di peccato». Ed è stato assassinato il 24
marzo, vigilia della festa dell’Annunciazione, giorno in cui la Chiesa celebra la memoria della rivelazione dell’amore di Dio, nel mistero dell’Incarnazione del Verbo Eterno, fatto uomo, per «annunziare
ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista e per rimettere la libertà agli oppressi» (Lc 4,18).
Preghiamo
O Padre buono, nostro Dio e nostro Creatore, ci
rivolgiamo a te per ottenere misericordia in favore
di coloro che deliberatamente uccidono una tua
creatura umana. Abbi pietà di loro.
Purtroppo la superba pretesa di mettersi al tuo
posto, negando il tuo amore, li ha spinti a soffocare ogni compassione verso il proprio simile. Ti preghiamo, perdonali.
Grazie, Padre, perché vuoi salvare tutti i peccatori.
Caro Gesù, Figlio di Dio, tu, liberamente e con
grande amore, hai inchiodato sulla croce il tuo bellissimo corpo ricoperto dell’obbrobrio dei nostri
peccati. Abbi pietà di quelli che uccidono i loro
fratelli.
Mostra a loro, o Figlio della dolcissima Vergine Maria, le tue piaghe, tocca il loro cuore e stringili a te, perché non abbiano timore di pentirsi.
O buon Gesù, il tuo sangue prezioso ottenga dal Padre la salvezza di tutti i peccatori.
O Spirito Santo, Amore del Padre e del Figlio,
noi ti preghiamo, con suppliche e lacrime, per tutti quelli che organizzano ed eseguono stragi di persone umane. Ti chiediamo misericordia.
Entra nella mente e nel cuore di coloro che rubano o stuprano e poi sono pronti a uccidere.
Allontana da noi il nemico antico, donaci la pace e, per la gloria del Padre nostro e converti tutti
i peccatori.
Don Timoteo Munari
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Chiesa
e comunicazione
C
ome accogliere un documento magisteriale e come trasformarlo in opportunità catechetico-pastorale e
in formazione permanente del fedele? Propongo qui alcune considerazioni riservate alla stampa
cattolica, nazionale, diocesana,
parrocchiale e alle migliaia di pubblicazioni religiose di congregazioni o di associazioni di fedeli.
Anzitutto la stampa cattolica non
deve appiattirsi sull’agenda laica,
seguendo la corrente degli eventi religiosi «creati ad arte» dall’esterno. Mi riferisco, ad esempio,
al lancio esasperato del Codice
da Vinci, al Vangelo apocrifo di
Giuda, alle mille interviste su importanti questioni bioetiche. Né
la stampa cattolica deve essere
autolesionista, demolendo dall’interno le indicazioni magisteriali, ad esempio, sul sacerdozio
delle donne, sull’aborto, sulla difesa dell’embrione, sul celibato
sacerdotale. Se ospita, ad esempio,
opinioni contrarie al celibato sacerdotale nella Chiesa latina, dovrebbe sullo stesso numero dare
le ragioni convincenti che motivano il significato di questa tradizione. Non lasciare la difficoltà
senza una dovuta risposta, altrimenti sembra che l’indicazione
magisteriale sia una opinione che
si può condividere o meno. Inoltre, la stampa cattolica dovrebbe
avere una duplice attenzione: quella rivolta alle novità e quella rivolta alla formazione continua.
Informare criticamente
Occorre cioè che la comunicazione religiosa cattolica tenga
conto dell’attualità delle notizie,
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Accogliere gli insegna m
della Chiesa
ma con una precisa peculiarità. Se
zione alla fede. La tradizione crinella stampa laica il fatto viene
stiana ha duemila anni di civiltà
presentato in modo polemico o in
con una biblioteca amplissima da
modo cosiddetto «dialogico» (uvisitare e riproporre: i Padri delno dà un’interpretazione e l’altro
la Chiesa, i grandi teologi di one dà una diametralmente oppogni tempo, i santi, le scuole di
sta) ma in realtà «altamente prospiritualità con i loro capolavoblematico», nella stampa cattori, le tradizioni liturgiche, le conlica lo stesso fatto dovrebbe esquiste dell’arte. Tutto ciò non è
sere analizzato in base a un atun museo da visitare e da ammiteggiamento di ricerca e di corare, ma una realtà viva che imunicazione della verità. A prospira e sostiene e che ha tutti i nuposito, ad esempio, della scopermeri per essere valorizzata.
ta e della recente pubblicazione
del Vangelo di Giuda, la stampa
Assimilare gli insegnamenti
cattolica non può limitarsi a dare la notizia, come se si trattasse
Per quanto riguarda poi la redi una nuova e radicale reintercezione non effimera del Magipretazione del cristianesimo. Con
stero, ma la sua accoglienza dola competenza di studiosi espercile, la sua assimilazione e la
ti di antichità cristiana deve, insua efficacia nella vita personavece, offrire ai lettori quegli elele e comunitaria, mi limito a due
menti per comprendere che si tratdocumenti importanti del Santo
ta di un vangelo apocrifo, conoPadre Benedetto XVI: il Comsciuto dai Padri ma non accolto,
pendio e l’enciclica Deus cariinsieme a tanti altri, dalla Chietas est.
sa primitiva, perché dava un reCon rammarico, purtroppo, si
soconto falso della figura di Giudeve constatare che non mancada, non corrispondente alla realtà
no cosiddetti esperti che hanno edei fatti. In tal modo
si offrono ai fedeli L’uomo cerca sempre una verità superiore che lo guicattolici le risposte al- di nella sua vita. Purtroppo oggi sono tante le voci che
le loro domande, ai cercano di coprire questo suo naturale desiderio.
loro dubbi e soprattutto alle contestazioni altrui.
Mostrare
la cultura cattolica
La seconda attenzione è quella della
formazione, che implica un’agenda creativa, di alta qualità
culturale e soprattutto di profonda educa-
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a menti
La Chiesa si propone all’uomo come via che conduce alla verità di Cristo. Verità che vuole condurre l’uomo alla pienezza della vita e della gioia.
spresso non docilità e gioia, ma
«tristezza» e «critiche» nei confronti di questo dono pontificio.
La stampa cattolica dovrebbe dare anzitutto le motivazioni per
confutare questi giudizi negativi
e infondati – quando ci sono –,
ma poi dovrebbe avere un progetto di formazione permanente
dei fedeli per l’assimilazione
profonda del documento magisteriale. In questo, ad esempio, è
lodevole l’iniziativa di Famiglia
cristiana che a partire dal numero del 25 dicembre 2005 aveva
avviato una rubrica di commento al Compendio. Utili iniziative
sono state prese anche dal quotidiano l’Avvenire, che in più puntate ha presentato oltre al contenuto anche il significato del genere letterario dialogico e del significato teologico e catechetico
delle immagini. Lo stesso Avvenire poi nel suo inserto periodico intitolato «È vita» continua la
sua informazione accurata su tutti i temi bioetici più discussi oggi. In questi esempi, si nota l’iniziativa propria della stampa cattolica, che non solo insegue le
novità, ma anche si sofferma su
una sua agenda formatrice e illuminatrice. Anche per l’enciclica Deus caritas est è stato lo stesso Santo Padre a presentarla in
anteprima, parlandone per ben
tre volte prima della sua illustrazione in Sala Stampa. Questo per
dare subito a tutti i fedeli la retta interpretazione e per non dare
alla stampa laica il vantaggio di
distorcerne il significato e di distruggerne il valore. Per la stampa cattolica l’enciclica dovrebbe
costituire un progetto di educazione alla fede per i giovani e per
gli adulti. In questo i cattolici dovrebbero essere creativi e innovativi, dando visibilità e concretezza alle ricchezze contenute nell’enciclica con una programmazione a lungo termine. Questi due
documenti magisteriali formano
due colonne di autentica catechesi cristiana, la quale trova nel
Compendio la risposta alle mille domande di conoscenza religiosa, e nell’enciclica il nucleo essenziale dell’esistenza cristiana.
Una formazione straordinaria
I documenti allora diventano
portatori di luce all’intelligenza
e ispiratori di retti comportamenti
cristiani nel pellegrinaggio di fede di tutti i fedeli. Si tratta di pagine significative e quanto mai
attuali di catechesi ecclesiale, da
valorizzare al meglio in un tempo di globalizzazione. La recezione dei documenti ecclesiali
più che un peso insopportabile e
noioso può diventare una sorprendente e straordinaria formazione permanente dei pastori e
dei fedeli, nella continua riscoperta e accoglienza della verità
della rivelazione di Gesù. Per fare ciò ci vogliono professionisti,
soprattutto laici – ai quali è demandato proprio questo campo
di testimonianza cristiana nel secolo –, che conoscano le due lingue: quella della comunicazione
ma anche quella della teologia.
Spesso però la mancanza di professionalità, la fretta, la carenza
di aggiornamento teologico, la
superficialità, l’attenzione esclusiva all’attualità immediata impoveriscono la risposta dei media
cattolici, privando i fedeli delle
dovute risposte alle loro esigenze, e privando anche la società
di un contributo indispensabile
alla comprensione e alla valutazione più adeguata della realtà
dei fatti e delle persone.
A riguardo delle comunicazioni sociali, Benedetto XVI ha
riaffermato il duplice protagonismo dei media nella comunicazione della verità e nella promozione della vera pace: «Illuminare le coscienze degli individui
e aiutarli a sviluppare il proprio
pensiero non è mai un impegno
neutrale. La comunicazione autentica esige coraggio e risolutezza. Esige la determinazione di
quanti operano nei media per non
indebolirsi sotto il peso di tanta
informazione e per non adeguarsi a verità parziali o provvisorie.
Esige piuttosto la ricerca e la diffusione di quello che è il senso e
il fondamento ultimo dell’esistenza umana, personale e sociale (cf Fides et Ratio, 5). In questo modo i media possono contribuire costruttivamente alla diffusione di tutto quanto è buono
e vero». L’appello del Papa ai responsabili soprattutto cattolici, è
accogliere la sfida a essere protagonisti della verità e della pace che da essa deriva.
Mons. Angelo Amato
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Lo Spirito Santo
Meditazione
L
o Spirito Santo, anzitutto, è
l’Amore che intercorre
tra il Padre e il Figlio, nella Famiglia della Santissima trinità: il Padre ama così il Figlio
che lo rende perfettamente uguale a Sé; quindi anche il Figlio
ama il Padre con identico amore. Questo amore è talmente
grande che è una Persona divina,
uguale e distinta dal Padre e dal
Figlio. Non è che possiamo capir bene questa immensa meraviglia: per noi, troppo piccoli, è
un profondo mistero. Ma ne sappiamo qualcosa in base alla Parola di Gesù, il Figlio fatto uomo che la vive personalmente: è
Lui che riceve dal Padre tale Amore infinito, è Lui che glielo ricambia con il medesimo Amore!
Dalla Trinità verso di noi
Orbene, il Figlio ha voluto diventare anche uomo, perché possiamo far parte anche noi della vita divina: lo dicevano già i primi cristiani, con le famose parole latine: ut homines deos faceret, factus homo: Dio si è fatto uomo, perché gli uomini diventassero dèi... come figli nel
Figlio.
Per renderci tali, il Figlio di
Dio invia anche a noi lo Spirito
Santo, quello stesso Amore che
riceve dal Padre e che Gli ricambia. Così succede che lo Spirito Santo è l’Amore che il Padre offre al Figlio e a tutti i figli
uniti a Lui. A loro volta, noi figli diventiamo, a poco a poco,
capaci di corrispondere questo
altissimo Amore, donando lo
stesso Spirito con cui possiamo
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amare il padre, il Figlio e persino il nostro prossimo, con cui
Gesù si è voluto identificare. Per
questo i Cristiani possono essere amati dai fratelli e possono
riamarli ricevendo ed offrendo
lo Spirito Santo!
Spirito di Luce e di Forza
Ma quando lo Spirito è disceso sugli Apostoli e su Maria
nel Cenacolo, duemila anni fa, e
quando scende anche adesso su
molte persone, non si manifesta
soltanto come Amore, ma anche
come Forza e come Luce.
Quale Forza? In ultima analisi, la forza dell’amore, la pienezza di un amore così grande,
da far impallidire qualsiasi amore
puramente umano.
È una forza che vince le difficoltà, le paure e persino le impossibilità della nostra natura: si
pensi ai Martiri, a San Massimiliano Kolbe, a Madre Teresa di
Calcutta.
Si può capire, dunque, che
quando un amore è tanto potente da somigliare all’amore di Gesù, è già in azione lo Spirito Santo, anche in persone disperse nel
mondo che magari, ufficialmente, fanno parte di altre fedi. Lo
Spirito Santo non ha confini di
tempo, di luogo, e neppure di
culture e di religioni.
Per quanto riguarda la Luce,
Gesù, promettendo il Consolatore, cioè Spirito Santo, ci aveva promesso: «Egli v’insegnerà
ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò
che vi ho detto» (Gv 14,26).
Ma cosa c’entra la Luce con
l’Amore? Sovente si afferma che
Lo Spirito Santo è il dono dell’amore del Padre al Figlio e del Figlio agli uomini.
l’amore è cieco: ma è proprio
vero? Può essere cieca una passione, non ancora trasformata in
autentico amore. Le mamme, invece, che amano molto i loro
bambini, li conoscono molto bene, ne riconoscono anche i limiti, così da poterli aiutare meglio.
In latino si diceva: ubi amor,
ibi oculos, dove c’è amore, c’è
occhio. L’amore vero ci fa vedere
meglio e ci fa scoprire tutte le esigenze della persona amata!
Ecco l’azione dello Spirito
Santo. Egli ci fa comprendere
sempre più i desideri di Dio, ci
fa conoscere la strada per poterlo raggiungere.
Egli così ci dona Amore, Forza, Luce di saggezza attraverso
i Sacramenti e anche attraverso
“folate di vento”, a volte inattese e più spesso vicine a coloro
che lo chiamano, e con tutto questo ci dona una ricchezza e un’intima consolazione che ci rinnova la vita!
Antonio Rudoni
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L’ADMA nel mondo
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INSERTO
ASSOCIAZIONE DI MARIA AUSILIATRICE
Maria rinnova la Famiglia Salesiana
(Lettera del Rettor Maggiore Don Egidio Viganò del 25 marzo 1978)
Essere devoti all’Ausiliatrice comporta un impegno particolarmente definito dalla concretezza
storica e situazionale della vita cattolica. Questa
opzione realista, che può portare anche al martirio,
s’avvicina necessariamente a posizioni di lotta che
potrebbero assumere, in determinate situazioni, anche l’aspetto di una scelta politica; è ciò che accadde
un po’, proprio negli anni ’60, nell’Italia delle apparizioni di Spoleto e della caduta di Roma. Ebbene, Don Bosco eccelle nel fare della devozione all’Ausiliatrice un impegno reale per la Chiesa Cattolica, evitando sempre di trasformarla in una bandiera temporale a favore della rivoluzione o dell’antirivoluzione di turno.
Per saper tenere un tale atteggiamento si ispira
al criterio pratico caratteristico dell’«attività materna», che non è mossa da ideologie astratte ma da
esigenze vitali, che fa tutto il bene che può anche
se non può arrivare all’ottimo, e che cura più il tessuto delicato della vita che l’elaborazione dei grandi programmi.
Può essere sintomatico constatare che non c’è posto per una simile attività vitale (e quindi non si trova nessun elemento di parallelismo con Maria) nelle più famose ideologie sociali, per esempio nel
marxismo, che pur mostrano varie coincidenze parallele con la strutturazione ecclesiastica.
Il realismo pedagogico di Don Bosco ha espresso attraverso la sua devozione mariana un’autentica «mistica dell’azione», nel senso profondo
di San Francesco di Sales, unita permanentemente a una forte, anche se più volte nascosta, «ascesi dell’azione».
Per questo io mi permettevo di far osservare ai
Capitolari che la devozione all’Ausiliatrice «è legata agli avvenimenti concreti dell’esistenza, si immerge nel corso vivo della storia, nei suoi labirinti e nelle sue passioni, ma rimane chiaramente escatologica (Don Bosco direbbe “religiosa”); non
si trasforma in una “crociata di cristianità”; sente e
partecipa alle vicissitudini socioculturali e ai continui nuovi assetti dei popoli nell’ininterrotto loro
(8a parte)
processo di un nuovo grado di liberazione, ma non
diviene mai “politica” (nel senso ristretto e specifico del termine); è realista ma trascendente, in piena sintonia con la specifica missione della Chiesa».
L’A D M A nel mondo
Sabato 22 settembre 2007 alcuni dei membri del
Consiglio di presidenza dell’ADMA Primaria di
Torino hanno partecipato alla Consulta Regionale della Famiglia Salesiana del Piemonte e Valle d’Aosta, a cui hanno preso parte sia l’Ispettore
Don Pietro Migliasso che l’Ispettrice Sr. Celestina
Corna con la presenza dei Visitatori straordinari
Don Pier Fausto Frisoli e Sr. Carla Castellino.
Don Mariano Girardi, Delegato per la Famiglia
Salesiana, ha coordinato l’incontro vissuto nello spirito di crescere nella conoscenza reciproca e nella
condivisone comune del carisma salesiano sul territorio del Piemonte e Valle d’Aosta. Negli interventi di Don Pier Fausto e di Sr. Carla Castellino,
come pure nel dialogo e negli interventi dei partecipanti sono emersi la volontà e l’impegno di
rinnovare la presenza salesiana di fronte alle granIl nuovo Consiglio della Primaria con Don Pier Luigi Cameroni, nuovo Animatore spirituale dell’Associazione.
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di sfide poste dall’educazione dei ragazzi e dei giovani nel nostro tempo.
Lunedì 24 settembre 2007, commemorazione mensile di Maria Ausiliatrice; si è svolta la
riunione mensile dell’ADMA Primaria con la
presenza per la prima volta del nuovo animatore
spirituale don Pier Luigi Cameroni, introdotto e salutato dal predecessore Don Sebastiano
Viotti.
Don Pier Luigi ha presentato l’intervento del Rettor Maggiore Don Pascual
Chávez al recente Congresso di Maria Ausiliatrice svoltosi in Messico nel
mese di agosto, sottolineando la forte ispirazione
mariana del carisma salesiano e riproponendo la rilettura fatta dal Rettor Maggiore della pala di Maria
Ausiliatrice del Lorenzone. Segue poi la recita del
Santo Rosario e la celebrazione eucaristica nella
Basilica.
Domenica 7 ottobre 2007, festa della Madonna del Rosario; si è svolta a Valdocco la XVII
giornata mariana a cui hanno partecipato oltre 150
associati dei vari gruppi del Piemonte: oltre il consistente gruppo della Primaria con ben 80 partecipanti, To-Stura con la Presidente Lorenzina Cazzoli e l’animatrice Sr. Silvana Gardin; Torino-Agnelli con Sr. Maddalena Scarrone; Mappano con
il Presidente Germano Crivellaro e con Sr. Gina,
La Sala Don Bosco con i partecipanti alla XVII Giornata
Mariana.
30
Un momento dell’incontro della XVII Giornata Mariana in
cui è stata presentata la strenna del Rettor Maggiore per
il 2008.
Torino Sassi con Sr. Pia, To-Crocetta con Maria
Borelli; Casale Monferrato con una bella rappresentanza guidata dalla presidente Anna Aceto; Acqui con Margherita De Giorni; Giaveno con Sr. Agnese Caratto e Sr. Rina Coffele; Mornese con Sr.
Concetta Strada; Tortona con Sr. Marina; Nizza
Monferrato con Sr. Caterina Monge. Nel momento dell’accoglienza ha portato il suo saluto Don
Sebastiano Viotti, che è stato a sua volta ringraziato
per il prezioso lavoro svolto a favore dell’Associazione per oltre 20 anni. Nel saluto è stato omaggiato a Don Viotti un’artistica riproduzione
della Madonna di Guadalupe. Hanno salutato i partecipanti la Presidente della Primaria Sig.ra Giuseppina Chiosso, la Vicaria delle FMA del Piemonte Sr. Giuseppina Franco e Don Sergio Pellini, Vicario ispettoriale e Rettore della Basilica.
Nella prima parte della mattinata il nuovo Animatore spirituale Don Pier Luigi Cameroni ha presentato la strenna del Rettor Maggiore per il
2008: Educhiamo con il cuore di Don Bosco per
lo sviluppo integrale della vita dei giovani, soprattutto i più poveri e svantaggiati, promuovendo i loro diritti. Ricollegando la presente strenna
con le precedenti dedicate al tema della vita e della famiglia, ne sono stati sviluppati i contenuti fondamentali anche con l’aiuto di un power point: Educare con il cuore di Don Bosco è vivere il Sistema Preventivo, è carità che sa farsi amare, risvegliando la passione apostolica ed educativa di
Don Bosco per la salvezza della gioventù. Dopo
l’intervallo, rallegrato dalla tradizionale foto di
gruppo, è stato presentato, attraverso alcune immagini e fotografie, il V Congresso internazionale
di Maria Ausiliatrice svoltosi a Città del Messico dal 17 al 20 agosto scorso, non limitandosi solo alla cronaca dell’evento, ma anche sottolineando i messaggi che da esso sono scaturiti. È stato
molto bello vedere la grande devozione a Maria Au-
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siliatrice diffusa in tutto il mondo, raccogliere la
testimonianza di tante persone che nella loro semplicità vivono l’amore a Maria con il cuore apostolico di Don Bosco.
Con il passare delle ore è andato crescendo tra
i partecipanti un clima di gioia e di contentezza per
i messaggi ascoltati, per le provocazioni ricevute,
per il clima di famiglia condiviso. Questo clima si
è espresso anche nella fraternità vissuta durante il
momento del selfservice allietato dai dolci e dalle
torte preparate da alcune associate.
Nel pomeriggio ci si è ritrovati nella Basilica di
Maria Ausiliatrice per il santo Rosario e la celebrazione dell’Eucaristia presieduta da Don Pier
Luigi. Il Rosario è stato commentato con alcuni testi tratti dall’esortazione apostolica di Paolo VI Marialis cultus, mentre nell’omelia della messa Don
Pier Luigi ha messo in evidenza il senso evangelico del servizio che nasce dalla gioia di sentrirsi dei
salvati e di impegnarsi con zelo nell’annuncio del
Regno di Dio, sull’esempio e con l’aiuto di Maria
che magnifica il Signore e insieme si professa sua
umile ancella. Come ricordo di questa giornata è stato omaggiato ad ogni partecipante un pieghevole con
il testo della strenna e le proposte fatte dal Rettor
Maggiore durante il Congresso di Città del Messico, oltre un’immagine della pala dell’Ausiliatrice
restaurata con la preghiera composta dallo stesso
Rettor Maggiore.
È importante richiamare le consegne del Rettor
Maggiore al V Congresso:
1. L’ADMA è chiamata a diffondere nella Famiglia Salesiana la devozione all’Ausiliatrice come elemento costitutivo del carisma e dell’identità salesiana.
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Don Pier Luigi Cameroni offre a Don
Sebastiano Viotti
un’artistica riproduzione della Madonna di Guadalupe quale piccolo
ringraziamento per
il grandioso lavoro
svolto a favore dell’Adma in tutti questi anni.
2. Coinvolgere i giovani in questo cammino spirituale dell’ADMA, al fine di far loro sperimentare la maternità della Chiesa e di Maria.
3. Curare il cammino formativo dei membri dell’Associazione, riprendendo l’esortazione apostolica di Paolo VI Marialis Cultus e curandone in particolare una traduzione operativa.
Al termine della giornata molti associati hanno
espresso la gioia e la soddisfazione per questa giornata mariana che ha aiutato a crescere nell’identità
di appartenenza all’ADMA e nella volontà di impegnarsi a testimoniare il Vangelo nell’impegno
della carità.
Un particolare ringraziamento a tutti coloro
che in modo diverso hanno aiutato alla preparazione e allo svolgimento della buona riuscita della giornata.
Nel desiderio di rinnovare l’impegno e l’animazione dell’ADMA Primaria, il
Consiglio di Presidenza ha stabiliI partecipanti alla XVII Giornata Mariana posano davanti al monumento di Don to la redazione di un foglio mensiBosco nei cortili di Valdocco.
le di collegamento e di animazione on line a cura dell’ADMA Primaria di Torino, a servizio innanzitutto dei membri associati e come strumento di comunione per tutti i gruppi aggregati sparsi nel mondo. Tale notiziario è consultabile
al sito http://www.donbosco-torino.it/ita/page16.html.
Inoltre con il 24 ottobre, oltre
l’incontro pomeridiano è stabilito un
momento serale alle ore 21,00 presso la Cappella Pinardi ogni 24
del mese destinato in particolare
alle coppie e alle famiglie giovani
e a coloro che per motivi di lavoro
non possono essere presenti nel pomeriggio.
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LEÓN (Spagna). Ispettoria di LEÓN-SDB, a
nord-ovest della Spagna e comprende le regioni
della Galizia, Asturie con Castiglia e León a oriente
della Galizia e a sud delle Asturie.
Sabato 26 maggio 2007 in 700 della Galizia si
sono riuniti per l’Omaggio annuale a Maria Ausiliatrice ad Allariz al mattino e al pomeriggio a
Celanova (Ourense). Il resto dell’Ispettoria ha scelto La Robla (León).
Il tempo non prometteva bene, ma non si sono
scoraggiati!
Don Eleuterio Lobato, Animatore Spirituale
Nazionale ADMA, ha presieduto la Celebrazione Eucaristica con una dozzina di Concelebranti
ad Allariz: si sono recati all’altare processionalmente tra i partecipanti, che gremivano il cortile
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con stendardi e fiori; le offerte raccolte erano destinate alle Opere sociali dell’Ispettoria e per le
missioni.
Il pranzo è stato consumato in ristorante.
Al pomeriggio si sono trasferiti a Celanova,
ove è viva una sezione dell’ADMA eretta negli
anni in cui erano presenti e operanti i Salesiani
(1959-1967).
I 700 pellegrini si sono recati nell’antico Monastero di San Rosendo nel quale durante il 2007
si “celebra un anno di Giubileo” durante il quale,
oltre le preghiere previste per tutti i giubilei per ottenere l’indulgenza giubilare, i pellegrini dell’Omaggio annuale a Maria Ausiliatrice con entusiasmo hanno fatto echeggiare le note del popolare
canto all’Ausiliatrice “Rendidos a Tus plantas...”
(Prostrati davanti a Te) cui fece seguito la benedizione invocando Maria Ausiliatrice, composta da
Don Bosco, seguita da un fragoroso e interminabile applauso!
Don Pier Luigi Cameroni
GAETANO BRAMBILLA
MARIA
MADRE DEL SIGNORE
Immagine della Chiesa
Editrice Elledici,
pagine 152,
€ 14,00
ALLARIS (Spagna). Processione dei sacerdoti verso l’altare per la Concelebrazione Eucaristica nel giorno dell’Omaggio annuale a Maria Ausiliatrice.
ALLARIS (Spagna). Messaggio conclusivo della concelebrazione letto da Don Lobato Eleuterio, Animatore e
Coordinatore Nazionale ADMA.
Parlare di Maria, raccontando e approfondendo il
mistero attraverso l’arte liturgica. Attraverso i mosaici di Santa Maria Maggiore, questo testo celebra la vita, l’intercessione e la lode di Maria. Un
libro che esalta la Basilica romana per la sua bellezza e antichità e ne fa uno strumento di catechesi
capace di interessare e appassionare, un modulo di preghiera e di contemplazione per giungere
al mistero attraverso l’arte.
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esempi
esempi e pensieri
A cura di Mario Scudu
affollavano la mente. Però andavo avanti lo stesso.
Una vicenda così terribile le ha
lasciato qualcosa di positivo?
Solo una cosa, ho scoperto
quanto davvero Dio sia padre di
tutti, almeno nella preghiera: ho
pregato con i miei fratelli musulmani.
Intende i rapitori?
Loro. Se tutti pregavamo Dio,
non potevamo non essere fratelli. Io lo facevo in silenzio, ma
quando vedevano la mia posizione e le mani giunte non mi
venivano mai a disturbare.
Spesso dialogavo, chiedevo
se secondo loro ci stavamo rivolgendo allo stesso Dio, e loro
rimanevano un po’ lì, stupiti. Facevo notare però che loro pregavano con il fucile in mano e
che questo non era servire un
Dio di pace, finché un giorno mi
hanno risposto che “Allah è nel
nostro cuore ma non nel nostro
lavoro”. Una forte contraddizione, ma quanti cristiani nella
loro vita fanno scelte incoerenti con il Vangelo?
Non occorrono
azioni straordinarie
Dio Padre di tutti...
I santi non sono “una esigua
casta di eletti, ma una folla senza numero (...) non vi sono soltanto i santi ufficialmente riconosciuti, ma i battezzati di ogni
epoca e nazione, che hanno cercato di compiere con amore e fedeltà la volontà divina (...). Per
essere santi non occorre compiere azioni e opere straordinarie, né possedere carismi eccezionali (...). L’esempio dei santi è per noi un incoraggiamento
a seguire le stesse orme, a sperimentare la gioia di chi si fida
di Dio, perché l’unica vera causa di tristezza e di infelicità per
l’uomo è vivere lontano da Lui
(...). La santità esige uno sforzo
costante, ma è possibile a tutti
perché, più che opera dell’uomo,
è anzitutto dono di Dio, tre volte Santo (...). Con Lui l’impossibile diventa possibile e persino
un cammello passa per la cruna
dell’ago; con il suo aiuto, solo
con il suo aiuto ci è dato di diventare perfetti come è perfetto
il Padre celeste (...). L’esperienza della Chiesa dimostra che ogni forma di santità, pur seguendo tracciati differenti, passa sempre per la via della croce.
Ma la storia mostra che non esiste ostacolo e difficoltà che possa arrestare il cammino del cristiano impegnato sulle orme di
Cristo. Le biografie dei santi descrivono uomini e donne che, docili ai disegni divini, hanno affrontato talvolta prove e sofferenze indescrivibili, persecuzioni e martirio”.
Ecco alcuni passi tratti da
un’intervista a Padre Giancarlo
Bossi, Missionario nel Pime, per
39 giorni prigioniero di un gruppo di terroristi islamici, nelle Filippine.
Durante quel giorni bui, le è mai
capitato, dentro di sé, di gridare, come Cristo, “Padre, perché
mi hai abbandonato?”.
No, perché non mi sono mai
sentito abbandonato. Ho solo
chiesto tante volte a Dio il motivo per cui mi avessero rapito,
ma devo ancora capirlo. E l’altra cosa che gli dicevo sempre
era questa: ora che mi hanno preso, manda a Payao un altro prete che sappia amare la gente di
qui. Ero lì, da soli due mesi, imDa Avvenire, 1º settembre 2007
provvisamente mi trovavo prigioniero e non Un momento del commovente incontro tra Besapevo perché...
nedetto XVI e il missionario del Pime padre GianLa preghiera le dava carlo Bossi.
reale sostegno?
Molto. Ma le assicuro che quando si è in
quelle condizioni anche
pregare è dura. Anni fa
ero stato cappellano in
ospedale a Lecco e un
giorno chiesi a un malato di pregare per me. Lui
mi rispose che quello era il luogo meno indicato per la preghiera.
Una frase che allora
non capii ma che in prigionia mi è sembrata
lampante: avevo tutto il
tempo che volevo per
pregare, ma la concentrazione spesso spariva
e mille pensieri distraevano il mio rosario,
Benedetto XVI, 1º novembre 2006
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Santuari mariani
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Santuari
della Liguria
FINALE LIGURE (SV)
Santuario della Vergine Pia
Monaci benedettini Sublacensi
Indirizzo: Via Santuario 59.
Tel. 019.60.17.00
Diocesi: Savona-Noli.
Calendario: si celebrano la festa di San
Benedetto (21 marzo e 11 luglio); l’Assunta, patrona del monastero (15 agosto); la Natività di Maria Vergine (8
settembre).
Note: si tengono esercizi spirituali e
conferenze su temi liturgici. Intensa la
vita monastica della comunità, i cui momenti di preghiera possono essere condivisi anche dai laici. Sono accolti sacerdoti, seminaristi e laici (uomini) che
accolgano le regole monastiche. Negli
appartamenti vicini al secondo chiostro
e nella Villa Enrichetta sono ospitati
singoli e famiglie. Il negozio all’ingresso
del monastero vende prodotti del famoso apiario attivo dal 1920: miele, pappa reale, propoli e creme al miele. Nell’erboristeria del Convento, in Piazza
della Chiesa, oltre ai prodotti apiari, sono in vendita anche erbe officinali e medicine naturali.
La Madonna Pia, tavola di Niccolò
da Voltri (XVI secolo).
Antichi documenti fanno risalire al 1170 la presenza di una
cappella legata al culto della Madonna di Finale Pia, primo nucleo religioso di cui si ritrovano
tracce nell’attuale chiesa abbaziale barocca. Nel 1477 il mar-
Interno della chiesa a navata unica di Finale Ligure. Il Monastero sublacense
è ricco di opere artistiche, come il crocifisso del refettorio e la sala capitolare.
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/4
chese Disagio Galeotto del Carretto consentì ai monaci benedettini olivetani di sovrintendere
al Santuario e di avviare i lavori
di costruzione del monastero. Dopo la chiusura del monastero cinquecentesco, imposta dalle leggi
napoleoniche (1799), re Carlo Alberto nel 1845 chiamò i benedettini sublacensi che vi rimasero fino al 1855, quando Vittorio Emanuele II ne decretò nuovamente la chiusura. Nel 1905 venne definitivamente riaperto.
La chiesa abbaziale di Santa
Maria di Pia venne ricostruita totalmente da Girolamo Veneziano
nel XVIII secolo. La facciata è
in stile rococò. Del periodo medievale rimane il campanile romanico-gotico (XII-XIV sec.)
con quattro ordini di bifore e cuspide ottagonale.
L’interno barocco ha una sola navata. Sull’altare maggiore
vi è il quadro attribuito a Niccolò da Voltri (Madonna con il
Bambino e gli angeli). Dietro si
trova l’organo con cornice ed intagli lignei di Fra’ Antonio da
Venezia (1551). Nella sacrestia
ci sono armadi del Cinquecento
con intarsi di Fra’ Antonio da
Venezia ed un gruppo di ceramica dei Della Robbia. Un’altra
ceramica robbiesca si trova nell’atrio dell’Abbazia. I due chiostri, iniziati nel XVI secolo, vennero terminati nel 1921.
Inoltre è presente una splendida Sala capitolare con stalli
cinquecenteschi, nonché arredi
sacri e documenti, dove è allestito
il Museo. Da segnalare il refettorio con crocifisso ligneo dipinto nel XIV secolo. L’oratorio presenta invece affreschi di
Leandro Montini (1940-1943).
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SAN FRUTTUOSO (GE)
Santuario
Nostra Signora del Monte
Frati Minori francescani
Indirizzo: Salita Nuova Nostra Signora
del Monte, 15 - Tel. 010.50.58.54
Diocesi: Genova.
Calendario: La festa più importante si celebra la prima domenica di settembre
ed è la festa della Madonna del Monte,
con processione pomeridiana nel bosco
di lecci, adiacente, detto «bosco dei frati». Festa grande e caratteristica per i
bambini è il 13 giugno, giorno nel quale si ricorda Sant’Antonio da Padova.
Note: Intensa è l’attività di catechesi e
liturgia. Inoltre, a fianco del Santuario
e dentro il bosco si trova la Casa San
Francesco, che può ospitare fino a 54
persone ed è dotata di tre sale per incontri.
La statua lignea della Madonna con
Bambino di San Fruttuoso, un’opera
senese del XV secolo.
Il Santuario del Monte, di cui
fu celebrato il millenario nel
1958, è il più antico della città di
Genova, per tale ragione è considerato il Santuario principe.
Dall’inizio del XII secolo c’è stata la presenza dei Monaci di Santa Croce di Mortasa; dal 1444
l’insediamento dei Frati Francescani, salvo brevi interruzioni,
perdura tuttora. Il complesso è
costituito da una chiesa e da un
convento francescano, costruito
nel 1444 su un precedente edifi-
cio sacro (1183), eretto sul luogo
dove, secondo la tradizione popolare, erano apparsi voli di angeli e bagliori di luce in onore
della Vergine. I Frati Minori portarono la statua lignea della Madonna con Bambino, di scuola
senese del XV secolo, che si conserva nella cripta, che è la parte
più preziosa del Santuario ed è
forse tra le più belle dell’architettura genovese, opera dell’Ansaldo (1630).
Su di un impianto del 1400 la
La Vergine con i santi Antonio e Bernardino, un’opera di Bernardino Fasolo (1463-1518).
Il Santuario di Nostra Signora del Monte è il più antico Santuario mariano di
Genova.
Basilica fu profondamente rimaneggiata nel 1654-1658: è a croce latina con abside retta e tre navate. Nella volta vi sono affreschi di Andrea Ansaldo e nelle
cappelle dipinti di Fiasella, del
Semino e del Carlone (XVII sec.).
Nella galleria attigua sono raccolti numerosi ex voto donati in
prevalenza da marinai. Il convento
conserva la struttura quattrocentesca. Nel chiostro si ammira un
pregevole trittico marmoreo del
Cinquecento. Nel refettorio vi è
l’Ultima Cena di Orazio De Ferrari (1641) ed un piccolo pulpito
in ardesia del XVII secolo.
Cristina Siccardi
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23 DICEMBRE - NOSTRA SIGNORA DELLA ROVERE - SAN BARTOLOMEO A L
Calendario mariano
I
l 23 dicembre del 1820, il
cappellano ed i responsabili del Santuario, ottengono
dal Capitolo della Basilica Vaticana l’autorizzazione per l’incoronazione della statua di “Santa
Maria della Rovere”, venerata da
tempi remotissimi. Viene delegato il vescovo di Albenga, monsignor Carmine Cordiviola, che
compie la solenne incoronazione
l’8 settembre 1821 sul sagrato della Chiesa, affollato dalle popolazioni provenienti da Porto Maurizio, Oneglia, Diano, Cervo, Andora e da altri paesi vicini.
Il “Santuario di Nostra Signora della Rovere”, è tra i più
antichi e rinomati Santuari della
Liguria, sia per le guarigioni miracolose ivi avvenute, sia per il
flusso di pellegrini e di turisti che
ogni anno vi si recano in preghiera. È adagiato nella vasta
conca compresa tra Capo Cervo
e Capo Berta della Riviera dei
Fiori, nel comune di San Bartolomeo al Mare, poco lontano dalla Via Aurelia. È una perla incastonata in un borgo medioevale,
tra alberi di rovere e di ulivi, di
Avanti nei lav
pini, palme, oleandri e gerani, tra
siepi di buganville e viali odorosi
d’aranci e di limoni.
Un bosco antico
Cinque piante enormi di rovere che ancora oggi attorniano
il “Santuario della Rovere”, sono gli ultimi esemplari di un antico bosco pagano di età romana.
La Soprintendenza Archeologica della Liguria ha riportato alla
luce, a nord della chiesa, i ruderi di una “statio romana”, di un
sito cioè di sei vani, destinato alla sosta di truppe e al cambio di
cavalli. Inoltre, durante i lavori di
consolidamento della parte destra della facciata della chiesa,
sono state scoperte tre tombe del
III-IV secolo dopo Cristo, e resti
di un piccolo villaggio. Ciò autorizza a pensare che esistesse,
in quel luogo, un edificio sacro,
di epoca paleocristiana o almeno
bizantina. Di questa antica origine restano pochi indizi storici,
cioè parte di abside della primitiva chiesa, e una statua di Maria col Bambino, trovata su una
Il Santuario sorge sul luogo di un antico bosco
venerato in tempi pagani.
Rappresentazione dell’immagine della Vergine del Santuario di San Bartolomeo.
quercia, o forse realizzata con il
legno della quercia sulla quale si
dice sia apparsa la Madonna.1
La Statua è formata da un
tronco massiccio di legno di
quercia e raffigura la Madonna,
maestosamente seduta su scanno,
che tiene in grembo il Bambino
Gesù benedicente. Un ampio
mantello, color del mare, le avvolge tutta la persona conferendole un aspetto solenne e ieratico; il volto leggermente sorridente ispira filiale fiducia.
Le apparizioni della Madonna
Diverse sono le apparizioni
documentate della Madonna che
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A L MARE (IM)
avori!
rendono celebre il Santuario della Rovere. Nel luglio 1608 la
Vergine appare da una finestra
del Campanile, eretto pochi anni prima. Il vescovo Luca Fieschi incarica subito il prevosto
di Diano di raccogliere tutte le
informazioni necessarie per documentare l’autenticità dell’accaduto.
Il 18 aprile 1671 la Madonna
appare a Giacinto Perato, un contadino cinquantenne di Rollo paralizzato ad un braccio. Mentre
sta pascolando un suo giumento,
gli appare una donna, dimessa
nel vestito, che lo interroga sul
male che lo affligge. Egli con
semplicità risponde che ha intenzione di recarsi la settimana
seguente al Santuario della Rovere a chiedere la guarigione al-
la Madonna. La donna gli fa notare che, quando si ha una buona intenzione che riguarda un affare importante, non la si tramanda, ma si attua quanto prima.
Fatti poi pochi passi, la donna
scompare.
Il giorno dopo, Giacinto con
la moglie, si reca pellegrino al
Santuario della Rovere, dove, dopo la celebrazione
della Messa, si sente
Crocifisso catalano di epoca quattrocentesca.
guarito. Comprende
allora che la donna
che gli ha parlato il
giorno innanzi era la
Madonna.
Con l’aiuto dei
compaesani di Rollo
inizia subito la costruzione di una cappella sul luogo dell’apparizione, a ricordo del prodigio;
sorgono in seguito
difficoltà per cui la
costruzione viene sospesa, e la Madonna
apparendogli nuovamente gli domanda il
perché della sospensione e lo esorta a
proseguire.
Nell’archivio della Curia vescovile di
Alberga si conservano le testimonianze raccolte su queste apparizioni e su altre nove guarigioni avvenute nel 1671.
Il Crocifisso catalano
In fondo alla navata destra del
Santuario, in una stupenda cornice di marmi policromi, spicca
il Crocifisso catalano, di epoca
quattrocentesca. La storia di questo Crocifisso è legata al passaggio di un gruppo di pellegrini francesi, probabilmente una
compagnia di “flagellanti” che
si fermano per trascorrere la notte presso la chiesa della Rovere.
Il mattino seguente entrati in
chiesa per riprendere il crocifisso, lo trovano così saldamente
conficcato nel pavimento, in terra, che non possono muoverlo.
Mentre pregano sforzandosi di
alzarlo, sentono la voce del Cristo che dice: “Dov’è la Madre
può stare il Figlio...”. Così il
Crocifisso in legno d’ulivo restò
nella chiesa.
Don Mario Morra
1
LUCIANO CALZAMIGLIA, Le strade di
Maria. Santuari mariani nella Liguria
occidentale (Imperia, Dominaci editore 1988).
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Centro
di Documentazione
A
nche quest’anno, per le Festività Natalizie, il Centro
Salesiano di Documentazione Storica e Popolare Mariana allestisce, nella Cripta della
Basilica di Maria Ausiliatrice, la
IX Mostra di Presepi.
Dal 15 dicembre 2007 al 31
gennaio 2008 si può ammirare
una grande varietà di Presepi provenienti da ogni parte del mondo. Attirano in modo particolare l’attenzione dei più piccoli i
Presepi di movimento che ripropongono con arte gli antichi mestieri in azione che creano, attorno alla Capanna di Betlemme, l’atmosfera delle attività dei
tempi antichi; rivivono i mestieri artigiani ormai tramontati che
i bambini di oggi non hanno mai
avuto la fortuna di vedere e di conoscere.
Vi sono poi numerosi Presepi che provengono da ogni parte del mondo e che testimoniano
l’arte, la fantasia e l’abilità creativa di tante persone che dimostrano nei modi più svariati, nel-
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IX Mostra
di Presepi
le diverse culture, l’affetto per
Gesù Bambino.
Quest’anno sono particolarmente numerosi i piccoli Presepi che danno alla Mostra una coloritura tutta caratteristica, ricca
e varia: confluiscono nella medesima esposizione elementi provenienti da diverse collezioni realizzate nel tempo, con tanto amore e passione per il Presepio,
da persone competenti.
Attorno ai Presepi, completa
la Mostra, l’esposizione denominata «Maria ed il Natale nell’arte» che presenta riproduzioni artistiche riguardanti la Madonna e la Natività. In particolare
è esposta una Raccolta di Francobolli mariani di svariati Stati
del mondo, artisticamente decorati con fine arte dattilografica.
Due Confratelli Salesiani di Bologna, il sig. Giuseppe Marcati ed
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IX Mostra di Presepi
La
è allestita
nella Cripta della Basilica di Maria Ausiliatrice in
Torino, Via Maria Ausiliatrice, 32.
«Maria e il Natale nell’arte»:
– Opere d’Autore
– Francobolli disposti con fine arte dattilografica.
Dal 15 dicembre 2007 al 31 gennaio 2008.
Dal 15 dicembre 2007 al 6 gennaio 2008:
il sig. Angelo Gabusi, in anni
passati, hanno adornato i valori
di una consistente raccolta Filatelica riguardante la Madonna ed
il Natale, con fine gusto artistico, attraverso l’abile uso della
macchina da scrivere; un lavoro
di altri tempi, impensabile ai giorni nostri! La preziosa Raccolta è
stata donata a Don Pietro Ceresa, del Centro Mariano, ed ora
viene esposta all’ammirazione
dei visitatori.
Don Mario Morra
Feriali: ore 15-18
Festivi: ore 10-12; 15-18
Dal 7 al 31 gennaio 2008: (solo Sabato e Domenica)
Sabato: ore 15-18
Domenica: ore 10-12; 15-18
Ingresso libero facilitato ai disabili.
Per informazioni e per Comitive/Scolaresche:
Centro Salesiano di Documentazione Storica e Popolare Mariana - Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino - Tel. 011.5224.254
- 011.5224.222 - Cell. 331.6338289
E-mail: csdm.maus@libero.it
Sito: www.donbosco-torino.it
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Un diplomatico incont r
Santi di ieri e di oggi
A
mezza costa della collina
di San Michele di Costigliole (Asti), passa strada
Ville il cui nome deriva dalle ville dei signori del paese, costruite nell’Ottocento, quasi una dietro l’altra. Oggi, se ne sono aggiunte altre di nuovi signori.
A fianco della strada, sorge
ancora oggi una torre inglobata
in un vasto casolare di campagna:
comunemente è detta casa Camerana, proprietà un tempo della nobile famiglia di questo nome, i cui avi riposano nel cimitero di Costigliole.
La vera nobiltà
Questo è quanto sapevamo,
ma alla morte del nostro indimenticabile parroco, Don Renato Cellino (1910-1982), trovammo tra le sue carte un opuscolo
che si rivelò al lettore subito di
singolare interesse. Raccontava
che da questa famiglia, il 27 luglio 1885, era nato Carlo Camerana, la cui foto alquanto sbiadita era ancora visibile sulla copertina.
Carlo, intelligente e buono,
compì gli studi umanistici presso le migliori scuole di Torino –
ci è stato riferito – presso gli Scolopi. Nella famiglia e nella scuola, incontrò Gesù, come l’Amico incomparabile e fece di Lui la
Vita della sua vita.
Aveva 15 anni, quando all’inizio del secolo XX, Papa Leone XIII consacrò la Chiesa e il
mondo al Sacratissimo Cuore di
Gesù e lo indicò nell’enciclica
Tametsi futura, come via, verità
e vita, per il secolo ineunte. Sol40
il conte Carlo Camerana
tanto lì, nel Cuore di Gesù c’è la
sorgente della vita e dell’Amore che salva e a Lui devono rivolgersi gli uomini bisognosi di
salvezza.
Davanti al Cuore di Gesù,
Carlo quindicenne comprese che
l’unica nobiltà, la nobiltà vera
non era quella del sangue o della ricchezza, ma soltanto la santità, come piena configurazione
al divino Redentore. Imparò che
le imprese eroiche sono soltanto quelle a servizio di Dio, dei
piccoli e dei poveri suoi prediletti, che l’unica “storia d’amore” degna di essere vissuta – ben
al di là dei balli e del luccicore
della “belle époque” – è quella
che lega l’anima a Gesù, suo Dio.
Nell’ambiente dei nobili di
Torino, Carlo apparve presto come un anticonformista: distinto,
elegantissimo, il tratto gentile,
nel suo sguardo brillava una luce che non era di questo mondo.
Tutti i giorni, la lettura spirituale e la preghiera, cuore a cuore
con Gesù, molto spesso la Comunione eucaristica. Sempre la
vita intesa come “dono d’amore”,
come offerta di adorazione a Dio,
con Gesù, nella certezza che “a
chi più ha più ricevuto, più sarà
richiesto”.
Giovane in carriera
Carlo fu avviato alla carriera
diplomatica. Laureatosi in legge, diventò segretario di Legazione a Istanbul. Da allora la sua
vita si svolse tutta tra Torino,
Roma, Istanbul e... Costigliole
d’Asti. Al primo posto, sempre
Gesù: da amare e da servire.
Del “lavoro” interiore com-
Costigliole d’Asti con il suo castello. Nonostante la sua nobile origine, Carlo di
Camerana seppe mantenere anche in mezzo alle mondanità la fede e l’amore a Gesù.
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Carlo di Camerana
t ro a Cristo:
(1885-1914)
Il busto che lo raffigura
è presente presso
la tomba della famiglia
a Costigliole.
piuto nella sua anima, Carlo lasciò traccia nelle lettere e negli
appunti personali ritrovati dopo
la sua morte: nella sua vita, appare lo stile dei principi santi del
Medioevo – i cavalieri senza
macchia e senza paura, i milites
Christi – dei quali egli sembrò
farsi emulo, per rassomigliare a
Gesù stesso.
Mentre l’indifferenza religiosa e la ricerca del piacere erano
diventati sistema di vita per molti, sotto l’influsso di positivismo,
decadentismo e, diciamolo spertis verbis, del paganesimo, nei
salotti, Carlo, rispecchiando la
sua giovinezza pura, scriveva:
“Gesù, io ti voglio tanto bene.
Piuttosto morire che commettere un solo peccato. Tutto per Te,
o Gesù, vivere per Te, morire
con Te, Gesù”.
Gesù, dunque come piacere
sommo, come gioia della vita:
Gesù crocifisso ed eucaristico
che è potenza e sapienza di Dio.
La grande nostalgia
In questo cammino di configurazione a Lui, la Madonna era la sua maestra: “A Gesù, per
Maria, diritto e puro per sempre.
Prega per noi, Vergine santa e
immacolata, difendici dal demonio, affinché superiori sempre
nella battaglia, veniamo in cielo
a ricevere il premio”.
Ricco, brillante, giovane uomo del bel mondo dell’aristocrazia, era così libero dalle cose
di questo mondo da avere nostalgia del Paradiso, già nella sua
giovanissima età. Per questo, incredibile ma vero, teneva fisso
il pensiero alla morte, non per
intristirsi, o per fare della letteratura, come i romantici, ma per
prepararsi al grande passo: “Nella mia vita, fin da fanciullo, mi
sono preparato ogni anno a morire. Il Paradiso è così bello per
meritarcelo che, se non fosse del
distacco dai miei cari, io sono
così felice di andarvi. Questo
pensiero calma, consola... Gesù
è così buono che perdona sino all’ultimo,
ma occorre essergli fedeli, fedeli anche nelle
piccole cose”.
Con uno stile così,
non poteva essere privo della croce, almeno
di quella di sentirsi un
esule sulla terra, perché
troppo diverso dalla terra: “Siamo rassegnati a
soffrire – scriveva Carlo – e ringraziamo Dio
di questa croce, perché
godremo di più lassù.
Anch’io gli chiedo di
soffrire maggiormente: sono nelle sue mani per tutto quello che
Egli vuole da me”.
Giovane e lieto, accettava la
sofferenza per partecipare alla
redenzione operata da Gesù Crocifisso: “Il Signore lascia spesso soffrire delle anime per salvarne delle altre che lo offendono molto”. Guardando ogni
giorno alla morte, o meglio, all’incontro definitivo con Dio,
Carlo si affinava: “Siano i miei
giorni vivificati dalla Grazia, nella pace e nella serenità di spirito, nel supremo proposito di purezza. Quando l’anima è in grazia di Dio e si lavora nel suo intimo, si gusta in anticipo le gioie
del Paradiso”.
Una vita per la pace
A casa e nel suo prestigioso lavoro, egli era l’uomo della carità, dell’impegno civile secondo Gesù Cristo, del dono totale
di se stesso. A Costigliole abbiamo conosciuto delle persone
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A Istanbul, Carlo di Camerana rappresenterà l’Italia presso la Sublime Porta
dell’Impero Ottomano.
anziane, coetanei o più giovani
di lui, che lo ricordavano ancora nella sua bella divisa da diplomatico, accostarsi a ricevere
Gesù Eucaristico alla Messa solenne della domenica, alle ore
undici, digiuno dalla mezzanot-
te, come allora era richiesto, dalle mani del parroco di allora, Don
Pietro Cadario.
Il 6 ottobre 1914, mentre l’Europa era già in fiamme per la 1ª
guerra mondiale, divampata il 28
luglio, il conte Carlo Camerana,
Cerchio Mariano
8 dicembre 1841 Nella chiesa di San Francesco d’Assisi in Torino, Don Bosco recita con il giovane Bartolomeo Garelli un’Ave
Maria che segna l’inizio della sua missione in mezzo ai giovani e
che «fu feconda di grandi cose», come dirà poi Don Bosco stesso.
8 dicembre 2007
2003 Nella Basilica di Maria Ausiliatrice, nelle Camerette di Don Bosco, nella chiesa di San Francesco d’Assisi e in
ogni Casa della Famiglia Salesiana, alle ore 12,00, idealmente uniti in Cerchio Mariano, recitiamo un’Ave Maria, in ringraziamento della materna protezione della Vergine Santa e per impetrarne
ancora il potente aiuto.
42
colpito da malattia allora incurabile, a soli 29 anni andava incontro a Dio.
Aveva offerto la sua vita per
la pace nel mondo, sull’esempio
del santo Pontefice Pio X, da poco scomparso? Aveva affrettato,
con il suo amore struggente, il
suo incontro a Gesù, teneramente amato? Non sappiamo, ma è
possibile.
Sul suo ricordino funebre, c’è
un’immagine di Gesù che raccoglie un giglio, sotto cui sta
scritto: “Gesù ha colto questo giglio nella sua freschezza per ornare le dimore del Cielo”.
Siamo contenti di averlo scoperto e di farlo conoscere, perché
il giovane Carlo Camerana – il
diplomatico incontro a Cristo –
si iscrive nella serie dei Servi di
Dio illustri d’inizio secolo XX,
come Charles de Foucauld, Ernest Psichari, Giosuè Borsi, Guido Negri, Adolfo Ferrero... che
illuminarono i decenni a venire
fino a oggi. Testimone e seminatore della Verità, dell’amore e
della sublime bellezza del Cattolicesimo.
Paolo Risso
Str. Lazzaretto, 5 - 14055 Costigliole d’Asti
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“Maria Ausiliatrice” vi r tua
Salesiani Don Bosco (SDB) Casa Madre di Torino-Valdocco
le
www.donbosco-torino.it
POLSKI
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solo in ITALIANO
• Liturgia della Domenica
• Rivista “Maria Ausiliatrice”
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Santuario Basilica di Maria Ausiliatrice
Foto galleria restauro Basilica di Maria Ausiliatrice
Cappella Pinardi
Chiesa di San Francesco di Sales
Camerette di Don Bosco
San Giovanni Bosco (Vita di) / Foto galleria
ADMA: ADMA-on-line, Storia e Notizie dal mondo
CSDM - Centro Salesiano di Documentazione Mariana
Rivista “Maria Ausiliatrice” (Storia della)
Informazioni su Valdocco
(virtuale dal 2000)
FORMAZIONE
CRISTIANA
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Meditazioni mariane
Santuari mariani
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Studi mariani
Vita del Santuario di Maria Ausiliatrice
MARIA
AUSILIATRICE
Nel 2007 l’edizione on line di «Maria Ausiliatrice» in lingua italiana è stata rinnovata e ampliata, con molte immagini nuove. Le due sezioni Formazione Cristiana e Formazione Mariana contengono più di 1700 articoli, che vengono usati come sussidio nei gruppi di catechesi parrocchiale, oppure da
singoli per l’aggiornamento e la lettura spirituale personale. Continua anche la nuova rubrica Liturgia della DoMARIO SCUDU
menica (2° anno) che ha avuto una buona accoglienza. Buona navigazione a tutti!
RIVISTA DEL SANTUARIO BASILICA DI MARIA AUSILIATRICE - TORINO
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notizie
notizie e avvenimenti
A cura di Mario Scudu
La violenza
dei “ragazzi bene”
Li chiamavamo fino a ieri “ragazzi della
società bene”. Ci lasciamo spesso colpire
dai ruoli professionali e sociali dei genitori per
decidere che etichette dare ai rispettivi figli.
È giunta l’ora di smontare i luoghi comuni. I
ragazzi non sono piantine da serra che una
volta abbeverate e collocate nel salotto
sbocciano belle, sane, educate. Crescere un
figlio è come montare un puledro. Lui farà di
tutto per buttarti giù, per distruggere qualsiasi
staccionata.
Non bastano nemmeno l’esperienza, i titoli
universitari, il peso sociale. Da qualche
tempo è esplosa la violenza anche tra i
ragazzi che sembravano protetti. I ragazzi in
giacca e cravatta che combinano guai
sono sempre di più. Negli ultimi giorni le
scazzottate si sono svolte davanti a due
discoteche milanesi, altre volte lungo le vie
principali, altre ancora nelle aule delle
scuole.
I motivi dei disagi dei ragazzi di buona
famiglia sono quasi più profondi e
sconcertanti di quelli delle famiglie povere e
dissestate. Abitare in una bella casa,
frequentare i licei più chic pensavamo che
preservasse i nostri figli. I quasi 50.000 docenti
Un gruppo di giovani fuori da un locale.
44
che anticipano il pensionamento, il 50 per
cento delle famiglie con problemi di coppia
ci segnalano grossi temporali in vista.
Giustifichiamo un po’ di meno le baggianate
dei nostri ragazzi e offriamo un po’ più di
tempo per parlare, ragionare, testimoniare.
Don Antonio Mazzi, da Famiglia Cristiana, 2007
Supernove
misura dell’Universo
Ogni tanto una stella massiccia esplode e
per qualche giorno brilla miliardi di volte più
del Sole. Questi astri effimeri sono le
supernove. Ce ne sono di vari tipi e sono
interessanti anche perché un tipo particolare
ci offre un metro per misurare l’Universo.
Science ha appena pubblicato uno studio
su 23 supernove osservate in remote galassie
negli ultimi vent’anni. Si è scoperto che
quelle del tipo «1a» hanno la stessa
luminosità per via del meccanismo che
innesca la loro esplosione: una nana bianca
che risucchia materia da un’altra stella, fino
a deflagrare. Nota la luminosità, è facile
calcolare la distanza della galassia in cui la
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supernova è apparsa e confrontarla con la
velocità di allontanamento della galassia
stessa. Firmano il lavoro su Science anche
due astrofisici italiani: Paolo Mazzali e
Stefano Benetti. Grazie a questa scoperta
abbiamo ora la certezza che l’espansione
dell’Universo continua ad accelerare. È il più
grande enigma attuale della cosmologia, un
indizio dell’esistenza della misteriosa “energia
oscura”.
La supernova più famosa dei tempi
recenti è la 1987A, apparsa vent’anni fa
nella Grande Nube di Magellano, a 160 mila
anni luce dalla nostra Via Lattea: rimane la
supernova più vicina a noi dal 1600 a oggi e
la prima che gli astronomi abbiano potuto
studiare con tutti gli strumenti più raffinati al
suolo e nello spazio. Alcuni risultati sono
ancora oggi controversi. Qualche neutrino
prodotto nell’esplosione fu captato in
Giappone, negli Stati Uniti e in un Laboratorio
del CNR sotto il Monte Bianco, ma gli istanti
di arrivo non coincidono. Come mai? E
furono davvero osservate onde
gravitazionali? A Torino hanno provato a
rispondere alcuni protagonisti di quelle
osservazioni: tra questi Piero Galeotti e Oscar
Saavedra per i neutrini e Guido Pizzella per le
onde gravitazionali. Il risultato? Le Supernove
creano grattacapi, ma sono un formidabile
strumento per sondare l’universo.
Piero Bianucci, da Specchio, marzo 2007
Lavoro:
diamo un po’ di numeri tragici
2,2 mln
Ogni anno, nel mondo, più di due milioni
di persone perdono la vita a seguito di
incidenti sul lavoro.
I costi di questa strage ammontano a
1.261 miliardi di dollari, pari al 4% del PIL
mondiale.
270 mln
Ogni anno, nel mondo, 270 milioni di
infortuni causano un’assenza-malattia di
oltre tre giorni: “Manca una cultura della
percezione del lavoro come rischio per la
salute”, dicono all’International Labour
Organization.
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Euro (il 3% del nostro PIL). Il rischio è
maggiore nelle aziende più piccole e a
bassa tecnologia.
3.600
Gli esperti confermano che il trend è in
diminuzione. Come sottolineano all’ufficio
statistiche dell’Inail, nel 1964 – negli anni
dell’Italia del boom – si registrarono 3.600
morti sul lavoro. Oggi siamo a circa un terzo.
126,3 mln
Nel mondo, su 217,7 milioni di
lavoratori-bambini nella fascia di età 5-17 anni,
126 milioni sono impegnati in hazardous
work, impieghi che possono mettere a
repentaglio la loro integrità fisica e la loro
vita. 74 milioni di bambini occupati in
lavorazioni ad alto rischio. 41 miliardi di euro:
il costo sociale in Italia.
4 morti al giorno in Italia
Una strage avvolta da troppo silenzio. Si
muore sul lavoro qualche volta per imprevisti
e fatalità. Talvolta per mancanza colpevole
delle misure di sicurezza dovute. Purtroppo,
però, può capitare che le misure di sicurezza
ci siano, ma non vengono applicate. Manca
un po’ la cultura della sicurezza sul lavoro, a
molti livelli. Ne vediamo le tragiche
conseguenze.
41 mld
Nel 2003 in Italia il costo sociale degli
incidenti sul lavoro è arrivato a 41 miliardi di
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I Viaggi
di Papa Benedetto XVI
A cura del Gruppo di Filatelia Religiosa
“Don Pietro Ceresa”
Filatelia religiosa
Ad Assisi
Sui sentieri di Piergiorgio Frassati
I
D
l Pontefice ha compiuto domenica 17 giugno
2007, una visita ad Assisi. Durante il pellegrinaggio del
Pontefice ha
ricordato gli
ottocento anni della conversione del
fondatore dei
Francescani.
Tra le questioni di attualità, ha citato “la ricerca della pace, la salvaguardia della natura, la promozione del dialogo tra
tutti gli uomini. Francesco è un vero maestro in queste cose”.
Il Circolo Numismatico Filatelico di Assisi ha
promosso un bell’annullo filatelico e realizzato
quattro cartoline commemorative.
A Loreto
“
aver paura di sognare”. È questo
Nonil dovete
messaggio che Benedetto XVI ha lasciato
nella veglia di preghiera che ha vissuto sabato sera insieme a
400.000 giovani italiani a
Loreto.
Benedetto XVI ha invitato mezzo milione di
giovani, domenica, 2 settembre 2007 ad andare contro la corrente di un
mondo che seduce con modelli di violenza, prepotenza o “successo ad ogni costo”.
“Non abbiate paura, cari amici, di preferire le
vie ‘alternative’ indicate dall’amore vero: uno
stile di vita sobrio e solidale; relazioni affettive
sincere e pure; un impegno onesto nello studio e
nel lavoro; l’interesse profondo per il bene comune”.
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al 9 al 27 luglio 2007, a Lorenzago di Cadore
il Santo Padre ha trascorso il suo tempo tra
lo studio, la preghiera, il pianoforte e brevi passeggiate tra i boschi con il suo segretario o il parroco locale.
In particolare il Santo Padre gradiva percorrere,
recitando il rosario, un tratto del sentiero dedicato
al beato Piergiorgio Frassati, benedetto nel 2002 dal
Vescovo Vincenzo Savio, recentemente scomparso. Il percorso fa parte del “Sentiero del Sinodo”
voluto dalla Diocesi Belluno-Feltre.
Il Comune di Lorenzago di Cadore ha promosso due annulli filatelici: il 9 luglio per ricordare anche il ventesimo anniversario del “1º soggiorno estivo S. S. Giovanni Paolo II - luglio 1987 e il 27
luglio “S. S. Benedetto XVI saluta Lorenzago”.
La visita del Papa in Austria
V
enerdì 7 settembre, durante il volo da Roma a
Vienna, Benedetto XVI ha spiegato che con il
suo settimo viaggio apostolico internazionale in
Austria, in occasione dell’850º anniversario della
fondazione del Santuario di Mariazell.
Mariazell rappresenta “il cuore materno
dell’Austria e possiede da sempre una particolare importanza per gli ungheresi e per tutti i popoli slavi”.
Nella cerimonia di commiato il Santo Padre ha
detto: “Vienna, nello spirito della sua esperienza storica e della sua posizione nel centro vivo dell’Europa, può recare il suo contributo, favorendo conseguentemente la penetrazione dei valori tradizionali del Continente, permeati di fede cristiana, nelle istituzioni europee e nell’ambito della promozione delle
relazioni internazionali, interculturali ed interreligiose”.
Angelo Siro
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Si sta completando l’ultimo lotto di
lavori per il restauro della nostra
Basilica.
Le foto testimoniano l’avanzamento dei lavori e la loro urgente
necessità.
Foto galleria del restauro, sul sito www.donbosco-torino.it
Per le tue offerte a favore del Santuario di Maria Ausiliatrice di Torino:
1) Con Bonifico bancario: Direzione Generale Opere Don Bosco - Basilica Maria Ausiliatrice
Banca Popolare di Sondrio - Agenzia 2 - Roma - c/c n. 000008000/27 - ABI 05696 - CAB 03202
2) Con Conto Corrente Postale: Ccp n. 214106
Direzione Opere Don Bosco - Via Maria Ausiliatrice 32 - 10152 Torino
Specificando nella causale: “Restauro Basilica”
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AVVISO PER IL PORTALETTERE
In caso di MANCATO RECAPITO inviare a:
TORINO CMP NORD per la restituzione al mittente - C.M.S. Via Maria Ausiliatrice, 32 - 10152 Torino
il quale si impegna a pagare la relativa tassa.
MENSILE - ANNO XXVIII - N° 11 - DICEMBRE 2007
Abbonamento annuo: € 12,00
• Amico € 15,00
• Sostenitore € 20,00
• Europa € 13,00
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Spediz. in abbon. postale - Pubbl. inf. 45%
SOMMARIO ➡
➲
FOTO DI COPERTINA:
«Venite a Betlemme e vedete
Colui la cui nascita cantano gli angeli;
venite e piegando le ginocchia,
adorate Cristo, il Signore,
il re appena nato.
Guardate: giace in una mangiatoia
è Lui che gli angeli cantano
nell’alto dei cieli; Maria e Giuseppe,
sosteneteci, mentre eleviamo i nostri
cuori all’amore».
Angels We Have Heard on High
Altre foto:
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Il pellegrinaggio vocazionale... - La
2 pagina
del Rettore - S
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Un Natale d’amore
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la Risurrezione e la vita
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il Padre - M. G
Apostoli, testimoni e inviati
10 Gli
XVI
I Dodici - B
il nostro Dio
12 Viene
V
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e Ireneo
16 Giustino
S
Maria e i Padri - R
Carducci, ateo ma non
18 Giosuè
troppo - Anniversari - F. C
Leone Magno
20 San
S
Un mese un santo - M
peccati che gridano vendetta
24 ICelebrazione
M
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ERGIO
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