xiii congresso nazionale di chimica dell`ambiente e dei beni culturali
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xiii congresso nazionale di chimica dell`ambiente e dei beni culturali
con il patrocinio di REGIONE PUGLIA PROVINCIA DI TARANTO COMUNE DI TARANTO ORDINE DEI CHIMICI DI TARANTO XIII CONGRESSO NAZIONALE DI CHIMICA DELL’AMBIENTE E DEI BENI CULTURALI Dall’emergenza alla sostenibilità: il contributo della Chimica Taranto, Cittadella delle Imprese 10-14 settembre 2012 ATTI DEL CONGRESSO SCOPO DEL CONGRESSO La Chimica è una tra le più importanti discipline scientifiche in grado di fornire elementi conoscitivi per lo sviluppo di azioni atte a salvaguardare l’uomo, la qualità della vita e l’habitat naturale. La Chimica, inoltre, è in grado di supportare politiche di sviluppo sostenibile ed affrontare emergenze planetarie, spesso legate ad un irrazionale uso delle risorse. La Chimica, come scienza al servizio dell’umanità, dimostra dunque la sua forza creativa nell’innovazione tecnologica, nei nuovi materiali e nei processi industriali puliti e, allo stesso tempo, nel settore dei Beni Culturali, offre strumenti metodologici per la salvaguardia e valorizzazione. In questo senso, la Chimica si propone come “Scienza di Vita” a difesa degli equilibri naturali e per la tutela delle opere frutto dell’ingegno umano. Il XIII Congresso Nazionale della Divisione di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali vuole dunque mettere in risalto questi aspetti, confrontando le più avanzate esperienze scientifiche in campo nazionale. La scelta di Taranto, connubio tra realtà industriali e pregevoli presenze archeologiche, a sede del Congresso, vuole esaltare la connessione tra “Ambiente e Beni Culturali” in un’area dove la conservazione del patrimonio storico-culturale rappresenta un potenziale volano di sviluppo economico-sociale. Taranto è la città dei due mari, antico e moderno porto che si affaccia sul mar Ionio nel cui golfo si trovano alcune delle più belle spiagge della Puglia. Fondata dagli Spartani come colonia per ampliare il raggio del commercio navale, Taranto oggi è un importante polo industriale e guarda al mare per uno sviluppo futuro basato sul potenziamento del porto, sul turismo e sul rilancio di antiche attività come la maricoltura. Nicola Cardellicchio Past-President della Divisione di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali 2 COMITATO SCIENTIFICO Giorgio Assennato ARPA Puglia Pierluigi Barbieri Università di Trieste Vincenzo Barone Università di Pisa Massimo Blonda ARPA Puglia Nicola Cardellicchio CNR-IAMC - Taranto Oscar Chiantore Università di Torino Alessandra Cincinelli Università di Firenze Gianluigi De Gennaro Università di Bari Franco Dell’Erba CRC - Taranto Lorenzo Ferrara DIPAR Giuseppe Geda Ordine dei Chimici Piemonte e Valle d’Aosta - Torino Nadia Marchettini Università di Siena Luciano Morselli Università di Bologna Luigi Lopez Università di Bari Fabrizio Passarini Università di Bologna Silvia Prati Università di Bologna Corrado Sarzanini Università di Torino Luigi Sportelli Camera di Commercio Taranto Vito Felice Uricchio CNR-IRSA Bari COMITATO ORGANIZZATORE Cristina Annicchiarico CNR-IAMC Taranto Micaela Buonocore CNR-IAMC Taranto Nicola Cardellicchio CNR-IAMC Taranto Franco Dell’Erba CRC Taranto Antonella Di Leo CNR-IAMC Taranto Santina Giandomenico CNR-IAMC Taranto Roberto Giua ARPA Puglia Annamaria Demarinis Loiotile Università di Bari Lucia Spada CNR-IAMC Taranto Segreteria Scientifica e Organizzativa Lucia Spada CNR – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero Via Roma 3, 74123 Taranto Tel. 099-4542206; Fax 099-4542215 e-mail: lucia.spada@iamc.cnr.it 3 Si ringraziano gli sponsor: Appia Energy, Camera di Commercio di Taranto, Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale Energia e Ambiente Università di Bologna, Chemical Research 2000, Hellma, Labozeta, Lab Service analytica, Lenviros, Metrohm, Perkin Elmer, Project Automation, Sea Marconi, Solvay, SolvAir, Systea, Thermo Fisher 4 PROGRAMMA LUNEDÌ 10 SETTEMBRE 15.00-17.00 Consiglio Direttivo della Divisione (Hotel Delfino Mercure) 18.00 Sala degli Specchi, Palazzo di Città Cerimonia inaugurale Introduzione: C. Sarzanini, Presidente della Divisione Saluto delle Autorità Consegna delle medaglie della Divisione a: Nicola Cardellicchio, CNR-IAMC, Taranto Giacomo Chiari, Getty Conservation Institute, Los Angeles, California Chairman: F.Dell’Erba, C. Sarzanini 18.30-19.10 Plenary lecture G. Chiari, Getty Conservation Institute, Los Angeles, California Tendenze nella Scienza dei Beni Culturali: esempi dal Getty Conservation Institute. 20.00 Cocktail di benvenuto Visita al Castello Aragonese in collaborazione con la Marina Militare MARTEDÌ 11 SETTEMBRE 08.30-09.00 Registrazione dei partecipanti 09.00-09.40 Plenary lecture Chairman: N. Marchettini, C. Sarzanini N. Cardellicchio, CNR, Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, Taranto I siti contaminati: necessità di modelli integrati di “governance” per la gestione sostenibile del territorio. SESSIONE AMBIENTE 09.40-10.00 F. Morandi, S. Bastianoni, D. Caro, E. Neri Multi-scalar emergy analysis and set theory. 10.00-10.20 P.Barbieri, S. Licen, A. Tolloi, G. Barbieri, S. Cozzutto, G. Candotti, P. Plossi Metodi di indagine per sorgenti attive e gradienti di contaminazione multi-specie: rilevanza negli studi di esposizione. 10.20-10.40 R. Fuoco, S. Giannarelli, M. Onor, S. Ghimenti, C. Abete, M. Termine, S. Francesconi A snow/firn four-century record of persistent organic pollutants (POPs) at Talos Dome (Antarctica). 10.40-11.00 D. Vione, E. De Laurentiis, M. Minella, V. Maurino, C. Minero Processi fotoindotti di trasformazione di inquinanti emergenti nelle acque di superficie. 5 11.00-11.30 Coffee break SESSIONE AMBIENTE Chairman: P. Barbieri, F. Passarini 11.30-11.50 E. Papa, L. Van der Wal, A. Rizza, S. Kovarich, S. Cassani, P. Gramatica Applicazione di metodologie predittive QSAR per la predizione dell’attività’ biologica di nano particelle. 11.50-12.10 E. Papa, S. Kovarich, L. Ceriani, P. Gramatica Modelli QSAR per la predizione della biodegradabilità delle fragranze. 12.10-12.30 A.Brunelli, G. Pojana, A. Marcomini Studio del comportamento ambientale di nanoparticelle ingegnerizzate in matrici reali. 12.30-12.50 E. De Laurentiis, M. Minella, D. Vione, V. Maurino, C. Minero, M. Brigante, G. Mailhot Matrice di fluorescenza: un potente strumento nello studio dei processi fotosensibilizzati di trasformazione di inquinanti emergenti nelle acque naturali. 12.50-13.10 V. Leone, S. Canzano, P. Iovino, R. Paterno, S. Salvestrini, S. Capasso A novel organo-zeolite adduct for environmental applications. 13.10-15.00 Pausa pranzo 15.00-15.40 Plenary Lecture Chairman: O. Chiantore, G. Chiari M. P. Colombini, Università di Pisa Macromolecole d'autore contemporaneo. SESSIONE BENI CULTURALI 15.40-16.00 S. Prati, G. Sciutto, E. Catelli, R. Mazzeo Sviluppo di nuovi sistemi per la preparazione di sezioni stratigrafiche di interesse artistico. 16.00-16.20 E. Zendri, L. Falchi, E. Balliana, F. C. Izzo, G. Biscontin Effectiveness of nanosilica dispersions as consolidants for porous architectural surfaces. 16.20-16.40 E. Imperio, G. Giancane, L. Valli Italian mail stamps history through Fourier transform infrared spectroscopy (FTIR). 16.40-17.00 Coffee break SESSIONE BENI CULTURALI Chairman: S. Prati, E. Zendri 17.00-17.20 M. Vagnini, M. Palmieri, L. Pitzurra, L. Cartechini, B. G. Brunetti Tecniche immunologiche per l’analisi di leganti proteici. 6 17.20-17.40 F. C. Izzo, E. Zendri, K. J. Van den Berg, H. Van Keulen, B. Ferriani 20th century oil paint formulations: an analytical challenge in the conservation of modern and contemporary heritage. 17.40-18.00 G. Botticelli, M. Matteini, S. Lugli, S. Minghelli, P. Zannini Trattamenti innovativi a base di esteri silicici per il consolidamento di manufatti a base silicatica. MERCOLEDÌ 12 SETTEMBRE 09.00-09.40 Plenary lecture Chairman: A. Cincinelli, L. Morselli A. Marcomini, Università Ca’ Foscari, Venezia Nanoparticelle ingegnerizzate: nuova frontiera di ricerca per la Chimica Ambientale. SESSIONE AMBIENTE 09.40-10.00 R. Comparelli, F. Petronella, A. Pagliarulo, E. Fanizza, A. Panniello, G. Mascolo, M. Striccoli, A. Agostiano, M. L. Curri Novel nanocrystalline composite photocatalysts for water remediation. 10.00-10.20 G. Mascolo, S. Murgolo, E. Lorusso, R. Comparelli, M. L. Curri, R. Gerbasi, F. Vsentin Degradation of iodinated contrast media by solar photo-fenton and photocatalysis with supported TiO2. 10.20-10.40 R. Cucciniello, A. Proto, F. Rossi, O. Motta Sviluppo di substrati inorganici a base di ossidi metallici per la determinazione simultanea di NO ed NO2 con campionatori passivi. 10.40-11.00 G. Mascolo, G. Del Moro, E. Barca, C. Di Iaconi, F. Palmisano Municipal landfill leachate treatment using electrooxidation coupled with a biological reactor. 11.00-11.30 Coffee break SESSIONE AMBIENTE Chairman: L. Ferrara, V.F. Uricchio 11.30-11.50 D. Fibbi, L. Ciofi, L. Checchini, E. Coppini, C. Gonnelli, M. Del Bubba Studio della distribuzione ed efficienza di rimozione di cromo trivalente ed esavalente in un impianto di fitodepurazione operante come post-trattamento di reflui industriali. 11.50-12.10 D. Cespi, F. Passarini, L. Ciacci, I. Vassura, L. Morselli, V. Castellani Tecnologie di riscaldamento domestico a biomasse attraverso una prospettiva di ciclo di vita. 12.10-12.30 G. Perra, S. Focardi, C.Guerranti, N. Marchettini, Determinazione (LC-ESI-MS/MS) dei livelli di acrilammide in patate fritte in relazione ai parametri nutrizionali di differenti cultivar. 7 12.30-12.50 S. Bodini, P. Moscetta Analizzatore automatico per la caratterizzazione del livello di contaminazione da sostanze tossiche nelle acque. 12.50-14.30 Pausa pranzo 14.30-15.10 Plenary Lecture Chairman: A. Casoli, M.P. Colombini G. Biscontin, E. Zendri, Università Ca’ Foscari, Venezia Prospettive di sviluppo e innovazione della Chimica dei Beni Culturali. SESSIONE BENI CULTURALI 15.10-15.30 F. C. Izzo, E. Zendri, Paola Biocca, B. Ferriani, Henk Van Keulen Polyurethane in contemporary italian design: the case of “Pratoni” in the Triennale Museum, Milan. 15.30-15.50 M. Quaranta, E. Catelli, S. Prati, G. Sciutto, R. Mazzeo Applicazione della microscopia Raman per la caratterizzazione di pellicole cinematografiche: studio di fenomeni di amplificazione SERS. 15.50-16.10 L. Falchi, E. Balliana, F. C.Izzo, E. Zendri, G. Biscontin Mass hydrophobized lime cement mortar as tool for preventive conservation. 16.10-16.30 A. Daveri, F. Rosi, B. G. Brunetti, A. Sgamellotti, C. Miliani Identificazione di leganti polimerici naturali e di sintesi con spettroscopia IR in riflessione. 16.30-17.00 Coffee break 17.00-18.00 Sessione Poster 18.00 Assemblea della Divisione GIOVEDÌ 13 SETTEMBRE 09.00 - 09.40 Plenary Lecture Chairman: N.Cardellicchio, G. de Gennaro G. Assennato, ARPA Puglia Il ruolo dell'epidemiologia nella governance ambientale. SESSIONE AMBIENTE 09.40-10.00 E. Andriani, L. Angiuli, G. Assennato, M. Blonda, A. M. D’Agnano, P. Dambruoso, B. Daresta, G. de Gennaro, A. Demarinis Loiotile, A. Di Gilio, S. Ficocelli, R. Giua, M. Mantovan, V. Musolino, M. Menegotto, A. Nocioni, R. Paolillo, V. Rosito, M. Spartera e M. Tutino Monitoraggio “diagnostico” del benzo(a)pirene nel PM10 a Taranto. 8 10.00-10.20 V. Esposito, A. Maffei, L. Gigante, D. Bruno, M. Spartera, G. Assennato Dioxin bioaccumulation in bottom-mussels from the Gulf of Taranto (Ionian sea, Italy) collected in semienclosed transitional water basins near urban and industrial pollution sources. 10.20-10.40 M. Amodio, E. Andriani, G. Assennato, P. R. Dambruoso, B. E. Daresta, G. de Gennaro, A. Di Gilio, R. Giua, A. Laricchiuta, V. Musolino, J. Palmisani, R. Paolillo, L. Trizio, M. Tutino Studio dei nitro-IPA nel particolato atmosferico. 10.40-11.00 A. Morabito, R. Giua, A. Tanzarella, S. Spagnolo, T. Pastore, M. Bevere, E.Valentini, G. Assennato, G. Tinarelli, G. Brusasca Analisi modellistica di source apportionment per i macroinquinanti dell’area tarantina. 11.00-11.30 Coffee break SESSIONE AMBIENTE Chairman: G. Assennato, R. Giua 11.30-11.50 B. E. Daresta, G. de Gennaro, M. Trotta, P. Veronico Interazione del particolato atmosferico con batteri, nematodi e piante. 11.50-12.10 A. Nocioni, L. Angiuli, R. Barnaba, D. Calabrò, A. M. D’Agnano, V. Esposito, S. Ficocelli, R. Giua, A. Maffei, M. Menegotto, V. Musolino, R. Paolillo, V. Rosito, M. Spartera, G. Assennato Rilevazioni vento-selettive nell’aria ambiente in Puglia per lo studio delle sorgenti emissive di microinquinanti organici e di metalli. 12.10-12.30 A. Genga, F. Baglivi, M. Siciliano, T. Siciliano, C. Tortorella, D. Aiello Single particle SEM-EDX analysis of particulate matter in three different sites. 12.30- 12.50 E. Andriani, P. R. Dambruoso, G. de Gennaro, A. De Marinis Loiotile, A. Di Gilio, V.Di Palma, A. Marzocca, A. Mazzone, J. Palmisani, F. Porcelli, M. Tutino Impatti delle combustioni di biomasse in ambienti indoor e outdoor. 12.50-14.30 Pausa pranzo 14.30-15.10 Plenary Lecture Chairman: N. Marchettini, A. Marcomini L. Morselli, E. Bernardi, L. Ciacci, Università di Bologna, sede di Rimini Gli strumenti dell’industrial ecology nel contesto della green economy. SESSIONE AMBIENTE 15.10-15.30 F. Bertocchi SOLVAL® una realtà industriale consolidata per il recupero dei residui sodici dal trattamento fumi. 15.30-15.50 F. Pieri, A. Cincinelli, T. Martellini, K. C. Jones, A. Sweetman Volatile siloxanes in the atmosphere: emerging challenges, assessing sources, spatial distribution and air quality. 9 15.50-16.10 G. Sangiorgi, L. Ferrero, B. S. Ferrini, C. Lo Porto, M. G. Perrone, R. Zangrando, A. Gambaro, Z. Lazzati, E. Bolzacchini Modifica della composizione chimica del PM fine da outdoor a indoor: sorgenti indoor (bpa) e perdita dei semi-volatili (IPA e ioni inorganici). 16.10-16.30 M. Brattoli, S.Catino, P. Dambruoso, G. de Gennaro, A. Demarinis Loiotile, S. Petraccone Applicazione di un approccio integrato per la valutazione delle emissioni odorigene di un impianto di estrazione e lavorazione di petrolio greggio. 16.30-17.00 Coffee break SESSIONE AMBIENTE Chairman: G. Geda, E. Papa 17.00-17.20 D. Berto, F. Rampazzo, S. Noventa, F. Cacciatore, R. Boscolo Brusà, M. Gabellini. Utilizzo degli isotopi stabili del carbonio e dell'azoto nel particellato organico in un ambiente di transizione (laguna di Venezia). 17.20-17.40 M. Belmonte, A. Di Leo, F. Frontalini, S. Giandomenico, M. Greco, L. Spada, L. Ferraro, F. Rubino Utilizzo degli organismi marini nel monitoraggio ambientale di aree marino costiere: un esempio dal Mar Piccolo di Taranto. 17.40-18.00 M. Masiol, S. Squizzato, G. Rampazzo, B. Pavoni Influenza del clima, della circolazione atmosferica e dei trasporti esterni sul particolato: due metodologie chemometriche a confronto. 20.00 Relais Histò S. Pietro, Mar Piccolo: Assegnazione premi tesi di laurea: Dr. I. Mangili, Dr. S. Sasso Cena Sociale: Gran Buffet di Puglia VENERDÌ 14 SETTEMBRE 09.00-09.40 Plenary lecture Chairman: F. Dell’Erba, C. Sarzanini S. Lorusso, Università di Bologna, sede di Ravenna Arte e ambiente come media per ecosostenibilità, etica, estetica. SESSIONE BENI CULTURALI 09.40-10.00 A. Casoli Che importanza viene data agli insegnamenti del SSD CHIM/12 nella formazione di scienziati della conservazione, conservatori e restauratori. 10.00-10.20 V. Ros, V. Laterza, C. Turetta, J. Gabrieli, W. Cairns, E. Balliana, C. Baroni, A. Bondesan, C. Barbante Elemental and isotopic characterization of war resideus dating back to the first world war. 10 10.20-10.40 F. Di Girolamo, I. Bonduce, M. P. Colombini, T. Grøntoft, S. Lopez-Aparicio, M. Odlyha, M. Sharff Il ruolo degli inquinanti ambientali sul degrado delle vernici pittoriche di dipinti conservati in cornici microclimatiche. 10.40-11.00 S. Marras, G. Pojana, R. Ganzerla, A. Marcomini, E. Sebastiani Applicazione della HPLC-HR-TOF-MS all’analisi di pigmenti organici naturali in manufatti artistici. 11.00-11.20 S. D’Amico Chimica e gnomonica. 11.20-12.00 Conclusioni e chiusura del Congresso 11 SESSIONE POSTER: AMBIENTE AMB01 - G. Accoto, E. Acito, G. Anzilotta, D. Bochicchio, A. Mastore, V. Nola, A. Pipino, A. Palma. IL PEPERONE (Capsicum annuum L.) COME ACCUMULATORE AMBIENTALE AMB02 - M. Anselmo, V. Minganti, G. Drava, R. De Pellegrini, P. Modenesi. BIOMONITORAGGIO DEL CROMO ESAVALENTE MEDIANTE L’USO DELLA SCORZA DI LECCIO (Quercus ilex L.) AMB03 - G. Anzilotta, M.R. Mauriello, A. Palma, T. Cataldi. BIOACCUMULO E ANALISI DI “POLIBROMODIFENILETERI” IN MUSCHI E LICHENI AMB04 - L. Barbieri, I. Lancellotti, E. Passaglia, T.Toschi. INFLUENZA DI ZEOLITITE A CHABASITE SUL RILASCIO DI FOSFORO DA CENERI D’OSSA ANIMALI CON FINI AGRONOMICI AMB05 - A. Tolloi, G. Ghirardello, M. Romeo, S. Licen, A. Piazzalunga, S. Cozzutto, P. Plossi, P. Barbieri. VALUTAZIONI SU COMPONENTI ORGANICHE E SECONDARIE IN UN SITO DI BACKGROUND DEL CARSO TRIESTINO AMB06 - E. Bernardi, C. Chiavari, C. Martini, I. Vassura, F. Passarini, A. Motori, M. C. Bignozzi. STUDIO DELLA CORROSIONE ATMOSFERICA DEL COR-TEN ATTRAVERSO ESPOSIZIONI IN CAMPO ED INVECCHIAMENTI ACCELERATI AMB07 - R. M. De Carlo, M. C. Bruzzoniti, C. Sarzanini, D. Caldarola, B. Onida. UN PRECURSORE DI AL-MCM-41 NELLA RIMOZIONE DI NITRATI E DI ACIDI ALOACETICI DALLE ACQUE AMB08 - M. Buonocore, N. Cardellicchio, A. Di Leo. TEMPORAL AND SPATIAL ACTIVE MOSS BIOMONITORING APPLIED TO URBAN AREA OF TARANTO AMB09 - C. Annicchiarico, G. Assennato, F. Basile, N. Cardellicchio, G. Castellano, M. Conversano, A. Di Leo, S. Giandomenico, W. Martinelli, L. Spada, N.Ungaro. VALUTAZIONE DEL RISCHIO ASSOCIATO AL CONSUMO DI MITILI ALLEVATI NEL MAR PICCOLO E NEL MAR GRANDE DI TARANTO AMB10 - S. Cassani, S. Kovarich, E. Papa, P. Pratim Roy, M. Rahmberg, S. Nilsson, T. Öberg, N. Jeliazkova, N. Kochev, O. Pukalov, P. Gramatica. MODELLI QSAR PER LA TOSSICITA’ ACQUATICA DI TRIAZOLI E BENZOTRIAZOLI: RISULTATI NELL’AMBITO DEL PROGETTO CADASTER AMB11 - A. Pagliarulo, F. Petronella, A.Calia, M. Lettieri, D.Colangiuli, A. Agostiano, M. L. Curri, R. Comparelli. NANOSTRUCTURED TiO2 BASED COATINGS FOR PROTECTION AND SELF-CLEANING OF COMPACT AND POROUS STONES AMB12 - F. M. Pulselli, L. Coscieme, V. Pelliciardi, F. Rossetti. SUSTAINABILITY ASSESSMENT OF SOCIETY AND TRADITIONAL AGRICULTURE IN LADAKH (INDIA) BASED ON EMERGY EVALUATION 12 AMB13 - R. M. Pulselli, F. Morandi, L. Coscieme, N. Patrizi, S. Bastianoni. EVALUATING ENVIRONMENTAL PERFORMANCES OF BUILDING ENVELOPES: THE CASE OF VERTICAL GREENERY SYSTEMS AMB14 - A. Fabbrocini, R. D’Adamo F. Del Prete, A. L. Langellotti, F. Rinna, R. Sessa, F. Silvestri, G. Villani, V. Vitiello and G. Sansone. SPERIMENTAZIONE DI NUOVI BIOSAGGI PER LE INDAGINI ECOTOSSICOLOGICHE: IL TEST DI SPERMIOTOSSICITÀ CON SEME CRIOPRESERVATO AMB15 - A. Specchiulli, M. Renzi, C. Manzo, L. Cilenti, T. Scirocco, R. D’Adamo. L’ANGUILLA (Anguilla anguilla) COME INDICATORE DI INQUINAMENTO NELLE LAGUNE COSTIERE DEL MEDITERRANEO AMB16 - A. Dell’Erba, A. Primicino, M. Spartera, M. Blonda, G. Assennato. RISULTATI DELL’ATTIVITA’ DI CONTROLLO DI ARPA PUGLIA SU DISCARICHE DEL TERRITORIO DELLA PROVINCIA DI TARANTO AMB17 - P.R. Dambruoso, G. de Gennaro, A. Di Gilio, J. Palmisani, M. Tutino. IMPATTO DELLA SORGENTE “BIOMASS BURNING” SUI LIVELLI E SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA DEL PM AMB18 - M. Amodio, P. R. Dambruoso, G. de Gennaro, A. Di Gilio. CARATTERIZZAZIONE DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO MEDIANTE TECNICHE AD ALTA RISOLUZIONE TEMPORALE AMB19 - C. Annicchiarico, N. Cardellicchio, A. Di Leo, S. Giandomenico, L. Spada. LIVELLI DI METALLI E POLICLOROBIFENILI IN SEDIMENTI ED ORGANISMI MARINI EDIBILI DEL MAR PICCOLO DI TARANTO E VALUTAZIONE DEL RISCHIO PER LA SALUTE UMANA AMB20 - C. Annicchiarico, N. Cardellicchio, A. Di Leo, S. Giandomenico, L. Spada. CARATTERIZZAZIONE DEL RISCHIO DA MERCURIO, METILMERCURIO POLICLOROBIFENILI ASSOCIATO AL CONSUMO DI SPECIE ITTICHE E AMB21 - G. Oliva, F. Perri, M. Manigrasso, C. Vernale, V. Galasso, F. Bailardi, A. L. Pellegrini, C. Giannico, P. Avino. STUDIO DELLE ALTERAZIONI DEL FILM LACRIMALE IN POPOLAZIONE ESPOSTA A PARTICOLATO ATMOSFERICO NELL’AREA URBANA DELLA CITTÀ DI TARANTO AMB22 - A. Hofer, A. Piazzalunga, P. Tieppo, G. M. Formenton, S. Squizzato, M. Masiol, S. Ficotto, P. Fermo, G. Rampazzo, B. Pavoni. LA DETERMINAZIONE DEL CARBONIO IN ATMOSFERA – CONFRONTO TRA DUE METODI DI MISURA AMB23 - R. Lava, L. Menegus, G. Pojana, A. Marcomini. SIMOULTANEOUS DETERMINATION OF CHLOROANILINES AND CHLORONITROBENZENES IN DIFFERENT ENVIRONMENTAL WATERS AMB24 - I. Mangili. SEWAGE SLUDGE FROM URBAN WASTEWATER TREATMENT PLANT: ENERGY RECOVERY AND ENVIRONMENTAL ASSESSMENT AMB25 - S. Mosca, E. Guerriero, S. Guidone, M. Rotatori, G. Bonifazi, M. Ferrini, V. Giancontieri, A. Manni. PCDD/F NELLE MATERIE PRIME DI ORIGINE NATURALE: IL CAOLINO LAZIALE 13 AMB26 - G. Marchetti, M. Minella, D. Vione, C. Minero, V. Maurino. INDAGINE ELLISSOMETRICA DI FILM SOTTILI DI TiO2 PER L’OTTIMIZZAZIONE DEI PROCESSI DI ABBATTIMENTO FOTOCATALITICO DI INQUINANTI REFRATTARI AMB27 - E. Andriani, P. R. Dambruoso , G. de Gennaro , A. De Marinis Loiotile , A. Di Gilio, V. Di Palma, A. Marzocca, A. Mazzone, J. Palmisani, M. Tutino. IMPATTO DELLE COMBUSTIONI DOMESTICHE SULLA QUALITA’ DELL’ARIA INDOOR AMB28 - M. Masiol, S. Squizzato, D. Ceccato, G. Rampazzo, B. Pavoni. RELAZIONE TRA LA CIRCOLAZIONE ATMOSFERICA E LE DISTRIBUZIONI DIMENSIONALI DI ALCUNI ELEMENTI NELL’AEROSOL DI VENEZIA AMB29 - A. Morabito, R. Giua, S. Spagnolo, T. Pastore, M. Bevere, E. Valentini, G. Assennato, M. G. Morselli, G. Tinarelli ANALISI MODELLISTICA DI SOURCE APPORTIONMENT PER IL BENZO(A)PIRENE E GLI IPA TOTALI PRESSO LA POSTAZIONE DI MONITORAGGIO DELLA QUALITA’ DELL’ARIA “VIA MACHIAVELLI”A TARANTO AMB30 - V. Librando, M. Pappalardo. STUDY OF THE INTERACTION OF POLYCYCLIC AROMATIC HYDROCARBONS WITH THE OXYGENASE (PHNI) AND THEIR SELECTED MUTANTS AMB31 - F. Passarini, C. Corticelli, I. Vassura, L. Morselli. CARATTERIZZAZIONE DI SEDIMENTI DA DRAGAGGIO: VALUTAZIONE DELLA MOBILITÀ DI INQUINANTI INORGANICI, E DEGLI EFFETTI DEL TRATTAMENTO DI SOIL WASHING AMB32 - L. Ciacci, F. Passarini, I. Vassura, L. Morselli. ANALISI DEI FLUSSI E DELLE RISERVE DI ALLUMINIO IN ITALIA MEDIANTE MFA DINAMICA AMB33 - N. Calace, L. Caliandro, L. Campanella, C. Cremisini, E. Nardi, B. M. Petronio, M. Pietrantonio, M. Pietroletti COMPOSTI ORGANICI AD ALTO PESO MOLECOLARE COME VEICOLO DI TRASPORTO PER I METALLI: IL RUOLO DEI COMPOSTI UMICI AMB34 - L. Caliandro, N. Cardelicchio, B. M. Petronio, M. Pietrantonio, M. Pietroletti. L’INFLUENZA DELLE ATTIVITA' UMANE NELL’INQUINAMENTO DEI SEDIMENTI DEL MAR PICCOLO DI TARANTO (MAR IONIO, ITALIA) AMB35 - C. Annicchiarico, N. Cardellicchio, A. Di Leo, S. Giandomenico, L. Spada. DIFENILETERI BROMATI (PBDEs) E COMPOSTI CLORURATI NEI MOLLUSCHI BIVALVI (Mytilus galloprovincialis) DELLA REGIONE PUGLIA AMB36 - S. Sasso, L. Scrano, S. A. Bufo, V. Trotta. INFLUENZA DEI FATTORI CLIMATICI ED ANTROPICI NEL PROCESSO DI DETERIORAMENTO DELLA CALCARENITE: UN CASO DI STUDIO AMB37 - S. Sasso, S. A. Bufo, L. Scrano. DETERIORAMENTO DELLA CALCARENITE ESPOSTA AGLI AGENTI ATMOSFERICI AMB38 - A. Tanzarella, A. Morabito, R. Giua, G. Assennato. APPLICAZIONE DI UN SISTEMA MODELLISTICO PER LA VALUTAZIONE SPEDITIVA DELL’AREA DI IMPATTO DEI FUMI PRODOTTI DA UN INCENDIO 14 AMB39 - T. Trabace, G. Filippo, M. Casamassima, A. Marraudino, S. Longo, A. Palma. EPI-D E IBE: DUE INDICI BIOLOGICI A CONFRONTO NELLE ACQUE SUPERFICIALI DELL’AREA VAL D’AGRI CAMASTRA AMB40 - V. Maurino, A. Bedini, D. Borghesi, D. Vione, C. Minero. PHOTOSENSITISED PROCESSES OF PHENOL TRANSFORMATION BY QUINONES DETECTED IN AIRBORNE PARTICLES SESSIONE POSTER: BENI CULTURALI BC01 - N. Marchettini, A. Atrei, F. Benetti, E. Gliozzo, I. Turbanti Memmi, G. Perra. STUDIO DI UN CROCIFISSO LIGNEO DEL XV SECOLO MEDIANTE MICROSCOPICHE, SPETTROSCOPICHE E CROMATOGRAFICHE TECNICHE BC02 - I. Bonacini, S. Prati, R. Mazzeo, M. Reggi, G. Falini, E. Scavetta, D. Tonelli. SVILUPPO E SINTESI DI NANO SISTEMI INIBITORI DELLA CORROSIONE DEL BRONZO BC03 - A. Buccolieri, G. Buccolieri, A. Castellano, M. Marabelli. ANALISI EDXRF PER LA SALVAGUARDIA DEI BRONZI DI RIACE BC04 - A. Buccolieri, D. Manno, F. Scigliuzzo, E. Filippo, A. Serra. ANALISI DEL PROCESSO DI REIDROSSILAZIONE IN REPERTI CERAMICI BC05 - A. Casoli, C. Isca, I. Saccani, F. Saggese. “FARNESIA ARBOR": SPERIMENTAZIONE E VALUTAZIONE ANALITICA DEL TRATTAMENTO DI DEACIDFICAZIONE BC06 - A. Casoli, P. Cremonesi, C. Nardinocchi, G. Predieri, V. E. Selva Bonino, M. Tegoni. STUDIO DI APPLICABILITÀ DI SOLUZIONI CHELANTI IN SISTEMI ADDENSATI CON GEL ACQUOSI DI POLIACRILATO PER LA PULITURA DI DIPINTI MURALI BC07 - A. Pagliarulo, F. Petronella, A. Calia, M. Lettieri, D. Colangiuli, A. Agostiano, M. L. Curri, R. Comparelli. NANOSTRUCTURED TiO2 BASED COATINGS FOR PROTECTION AND SELF-CLEANING OF COMPACT AND POROUS STONES BC08 - E. Zendri, L. Falchi, F. C. Izzo, M. Sgobbi, E. Balliana. CHEMICAL CHARACTERISATION OF STUCCOES FROM THE ADDOLORATA CHAPEL IN ST. PANTALON CHURCH IN VENICE BC09 - E. Imperio, G. Giancane, L. Miotto, L. Valli. FOURIER TRANSFORM INFRARED SPECTROSCOPY (FTIR) STUDIES ON PAPIER MACHE COMPOSITIONS BC10 - L. Martini, G.M.E.F.Martini-Ugurgieri, Anonimo IMPIEGO DI “APPETIZING BALLS” A BASE DI JUVENIL HORMONES-WOOL CHERATIN ANALOGS PER IL DEBELLAMENTO DELLE TARME NEI TESSUTI D’EPOCA. BC11 - V. Librando, Z. Minniti. ANALISI FTIR DI ANTICHI LIBRI DANNEGGIATI DA FENOMENI DI FOXING 15 BC12 - C. Riedo, O. Chiantore. PREPARAZIONE DI IDROGELI PER APPLICAZIONI NEI BENI CULTURALI BC13 - O. Chiantore, C. Riedo, A. Piccirillo, T. Poli, J. La Nasa, F. Di Girolamo, S. Orsini, F. Modugno, I. Bonaduce, M. P. Colombini. CARATTERIZZAZIONE DEI MATERIALI DEL MURALE “TUTTOMONDO” DI KEITH HARING PRELIMINARE AL RESTAURO DELL’OPERA 16 Medaglie della Divisione 17 Prof. Nicola Cardellicchio CNR – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero – Unità Operativa di Taranto Nicola Cardellicchio si è laureato in Chimica presso l'Università degli Studi di Bari con il voto di 110/110 e lode. Dal 1983 è ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Attualmente è dirigente di ricerca presso l’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero - U.O.S. di Taranto, di cui è il responsabile. E’ stato coordinatore di numerosi progetti di ricerca nazionali ed internazionali. E’ stato docente in varie università (Bari, Lecce, Potenza) e vincitore della cattedra di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali presso l’Università del Salento. Dal 1981 è iscritto alla Società Chimica Italiana ed è stato socio fondatore della Divisione di Chimica Ambientale (ora Divisione di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali), di cui è stato presidente per i trienni 2001-2003 e 2007-2009. E’ autore di oltre 180 pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali, è editor di 5 volumi nel settore della Chimica dell’Ambiente e del Monitoraggio Ambientale. Ha organizzato oltre 25 congressi e scuole e fatto parte di 75 comitati scientifici di varie iniziative. I settori di interesse sono la chimica dell’ambiente marino, i fenomeni di inquinamento e degrado ambientale, l’ecotossicologia e le tecnologie di remediation ambientale. 18 Prof. Giacomo Chiari Getty Conservation Institute, Los Angeles, California Giacomo Chiari, ha insegnato Mineralogia Applicata all’Università di Torino dove ha lavorato come cristallografo nel campo dei Raggi X applicandoli anche ai Beni Culturali. Tra i suoi numerosi lavori vi e’ l’uso del silicato di etile come consolidante di superfici (anche dipinte) in terra cruda (Iraq, Peru); l’analisi dei pannelli censori del Giudizio Universale di Michelangelo in Sistina; un metodo di datazione di affreschi basato sulla orientazione magnetica preferenziale dell’ematite e la caratterizzazione (sincrotrone, neutroni) del Maya Blu. Nel 2003 si è trasferito al Getty Conservation Institute di Los Angeles come Chief Scientist, dove dirige un gruppo di circa venti scienziati dedicati allo studio e conservazione di Beni Culturali. In questo ruolo ha facilitato l’acquisizione di nuove tecnologie quali (CT-scan per bronzi, uno strumento a interferometria Laser per vedere distacchi di intonaci a distanza, uno strumento XRD/XRF portatile per analisi non invasive in loco ed ha reso totalmente portatile ed usabile in presenza di luce ambiente la technica VIL (Visible Induced Luminescence) che permette di visualizzare il blu Egiziano su dipinti murali e statue marmoree. 19 Premi Tesi di Laurea Nell’ambito del Congresso sono stati bandini 2 premi da 500 € ciascuno per tesi di laurea sui temi della Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali per laureati dell’anno accademico 2010-2011. Dopo selezione, i premi, offerti da Sea Marconi e da Appia Energy sono stati assegnati a: Dr. Ivan Mangili Università di Milano Bicocca Laurea specialistica in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e il Territorio Titolo della Tesi: “Valorizzazione energetica ed ambientale dei fanghi provenienti da impianto di trattamento delle acque reflue urbane” Dr. Sergio Sasso Università della Basilicata Laurea specialistica in Scienze e Tecnologie agrarie Titolo della Tesi: “Deterioramento della calcarenite esposta agli agenti atmosferici” 20 SEWAGE SLUDGE FROM URBAN WASTEWATER TREATMENT PLANT: ENERGY RECOVERY AND ENVIRONMENTAL ASSESSMENT. Ivan Mangili Dip. Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano-Bicocca, piazza della Scienza 1, 20126 Milano i.mangili@campus.unimib.it Sludge is by far the largest in volume amongst the by-products of wastewater treatment, and its processing methods and disposal techniques are nowadays a matter of great concern. Currently, the known sludge disposal methods are recycling as fertilizer, landfilling and incineration. Sludge incineration presents several advantages, including volume reduction, thermal destruction of toxic organic constituents, and energy recovery1. Moreover, sewage sludge, being a biosolid, can be considered a renewable energy source, alternative to fossil fuels2. Technologies available for thermal processing of sewage sludge can be grouped into three categories, i.e. mono-incineration, co-combustion, and other thermal processes (gasification, pyrolysis, wet oxidation)3. Among mono-incineration technologies, fluidized bed incineration is becoming more and more attractive in comparison to the conventional multiple hearth type. An integrated process where sludge is dried before incineration is presented and discussed. In order to treat the sludge effectively, the knowledge of the sludge characteristics is crucial: physicochemical parameters as moisture content, ash content, ultimate composition (C, H, O, S, N, Cl as %w/w dw), higher heating value, were determined together with the content of heavy metals, total organic carbon, Polycyclic Aromatic Hydrocarbons (PAHs), PolyChloroDibenzo-p-Dioxins (PCDDs) and PolyChloroDibenzoFurans (PCDFs). A thermodynamic model was developed to simulate the integrated process, including indirect thermal drying and combustion4. The heat of the exhaust gases from the furnace is recovered in a downstream boiler and used for sludge drying. The application of the algorithm described made clear that the sludge has to be fed to the fluidized bed furnace at an optimal solid concentration of 52%, high enough to carry out a self sustaining combustion, without any need of auxiliary fuel. The energy efficiency, evaluated according to the criteria of the European Directive 2008/98, might be as high as 50%, depending on the electric energy consumption for the integrated plant. 1. D. Fytili, A. Zabaniotou, Renew. Sust. Energ. Rev., 2008, 12, 116-140J. 2. E. Cartmell, P. Gostelow, D. Riddell-Black, N. Simms, J. Oakey, J. Morris, P. Jeffrey, P. Howsam, S. Pollard, Environ. Sci. Technol., 2006, 40, 649-658 3. Werther, T. Ogada, Prog. Energy Combust. Sci., 1999, 25, 55-116 4. Mininni, G. Incineration with Energy Recovery. In Sludge into Biosolids: Processing, Disposal, Utilization; Spinosa, L., Vesiling, P. A., Eds.; IWA Publishing: London, 2001 21 DETERIORAMENTO DELLA CALCARENITE ESPOSTA AGLI AGENTI ATMOSFERICI Sasso Sergio, Bufo Sabino Aurelio, Scrano Laura Dipartimento di Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente, Università degli Studi della Basilicata, Potenza sergio.sasso@unibas.it Il processo di deterioramento dei materiali lapidei è un problema che in questi ultimi decenni sta assumendo sempre maggiore rilevanza poiché inerisce il nostro patrimonio storico-culturale. A differenza degli esseri viventi, i monumenti non posseggono sistemi di autodifesa in grado di proteggerli da eventuali attacchi di agenti esterni che iniziano la loro opera demolitrice subito dopo la realizzazione dell’opera. E’ ben nota a tutti la responsabilità assunta dallo sviluppo delle attività umane, come l’industrializzazione che immettendo inquinanti in atmosfera costituisce un rischio per l’integrità dei materiali lapidei, in ogni caso soggetti a naturali fenomeni di alterazione nella loro interazione con gli agenti climatici. Il presente lavoro esamina i vari processi degradativi causati dai fattori naturali ed antropici sulle pareti in calcarenite (tufo biancastro proveniente dalle cave di Gravina di Puglia) di un’antica masseria sita nel comune di Lavello (PZ) in contrada Gravetta (coordinate 41° 03' 36.28"N e 15° 48' 26.69"E), tra il primo nucleo del parco archeologico di “Forentum romana” (III-I secolo a.C.) e l’inceneritore “Fenice” (località san Nicola di Melfi), ad una distanza di 11 Km da quest’ultimo. Per poter identificare l’origine dei principali processi degradativi, il lavoro considera le alterazioni subite nel tempo da un provino cubico realizzato nel luglio 2009, utilizzando lo stesso materiale, e posto a ridosso dell’antica struttura oggetto di indagine. Obiettivo del lavoro, è quello di evidenziare come il clima e gli agenti trasportati in atmosfera possano contribuire, in sinergia, al deterioramento della calcarenite. Il campionamento, sia sulle pareti della masseria che sul provino cubico, è stato eseguito a cadenza trimestrale a partire dal 18 Giugno 2010 prelevando una quantità adeguata di polveri superficiali. Sulle polveri sono stati determinati i livelli di alcuni inquinanti: metalli pesanti, PCB, fitofarmaci clorurati e fosforati ed anioni (nitriti, nitrati e solfati). Altre determinazioni hanno riguardato: pH, conduttività elettrica, calcare totale, carbonio organico e sostanza organica. I dati climatici come direzione del vento, piovosità, radiazione solare, temperatura ed umidità relativa sono stati forniti dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Basilicata (ARPAB). I risultati ottenuti, permettono di fare le seguenti considerazioni: il processo di deterioramento sulle superfici lapidee è lento ed irreversibile ed i fenomeni di alterazione e degrado sembrano influenzati sia dall’accumulo degli inquinanti organici ed inorganici sia dalle condizioni ambientali, nonché dall’azione sinergica di tutti questi fattori. I metalli pesanti, derivanti dall’attività industriale ed agricola, oltre ad accumularsi sulla superficie dei materiali lapidei, si raccolgono nel terreno circostante attraverso le piogge che dilavano le superfici calcaree. Non è da sottovalutare l’azione degli organismi biologici (muschi, licheni ed alghe); tali organismi, trasportati dal vento, in presenza di idonee condizioni climatiche (alte umidità relative dell’aria e temperature non troppo elevate), colonizzano facilmente le superfici lapidee. Sulle superfici del provino, in corrispondenza dei venti dominanti, si assiste nel tempo ad una diminuzione della percentuale di carbonati a favore dell’aumento di sostanza organica e di sali solubili ed un abbassamento del valore di pH. 22 Conferenze ad invito 23 TENDENZE NELLA SCIENZA DEI BENI CULTURALI: ESEMPI DAL GETTY CONSERVATION INSTITUTE Giacomo Chiari The Getty Conservation Institute 1200 Getty Center Drive, Suite 700, Los Angeles, CA 90049-1684 gchiari@getty.edu La scienza dei beni culturali ha subito in anni recenti cambiamenti enormi. I problemi che ora sono affrontati richiedono l’uso di molte tecniche diverse, appartenenti a differenti discipline, dalla chimica alla fisica all’ingegneria. Gli oggetti studiati vanno dall’archeologia, all’arte antica o contemporanea in tutte le sue forme e comprendono i materiali più svariati. Ovviamente la determinazione del cambiamento, purtroppo inevitabile, e delle cause di alterazione di oggetti culturalmente importanti, è fondamentale per la conservazione del patrimonio. Il modo in cui lo scienziato della conservazione si rivolge agli oggetti studiati, è anch’esso cambiato. Anni fa il prelievo di campioni, anche di dimensioni consistenti, non era un problema, e spesso si possono ancora vedere i risultati negativi di tale attitudine. Con l’enorme balzo in avanti dell’informatica e della microtecnologia si è ora arrivati a un elevato numero di strumenti e tecniche non invasive e portatili. Questo ha permesso di portare gli strumenti agli oggetti anziché prelevare campioni da portare in laboratorio. Il numero di analisi così effettuate è aumentato esponenzialmente, anche se questo ha portato ad alcuni aspetti negativi che saranno discussi. Il Getty Conservation Institute di Los Angeles è particolarmente sensibile all’uso di tecniche non invasive, e ne descriverò qui alcune, messe a punto da noi o modificate adattando strumenti esistenti. Di solito questi lavori sono stati condotti in collaborazione con altri enti o università. Oltre ad alcuni interessanti esempi di applicazione delle tecniche di “routine” saranno descritti strumenti innovativi quali: CT-scan per bronzi di notevoli dimensioni. In collaborazione con Franco Casali e Matteo Bettuzzi – Universita’ di Bologna. Approfittando della presenza di un tubo a raggi-X molto potente (460 KeV) a conclusione della messa a punto del metodo, abbiamo operato una tomografia computerizzata su di un Cupido Romano (50-150 A.D.) in bronzo, alto 67 cm. Saranno presentati sia la tecnica che i risultati. Conservazione preventiva - Microfedometro – Jim Druzik ha ampiamente modificato lo strumento inizialmente prodotto da Paul Withmore che permette di valutare in modo non distruttivo la sensibilità alla luce di coloranti e di superfici delicate in genere, onde poter stabilire in modo quantitativo l’esposizione alla luce che non danneggi l’oggetto. Con l’aiuto di Andrew Lerwill lo strumento è ora miniaturizzato, portatile e funzionante anche come spettrofotometro. Diffrattometro a raggi-X e Fluorescenza-X non invasivi e portatili – Giacomo Chiari in collaborazione con Philippe Sarrazin (InXitu) ha facilitato la produzione questo innovativo strumento, ora commercializzato dalla Olympus (DUETTO), che permette di ottenere senza toccare l’oggetto, sia l’analisi elementare che la composizione di materiali cristallini. Saranno discussi i vantaggi e gli inevitabili svantaggi di condurre analisi su campioni non trattati. Vengono presentate anche applicazioni non convenzionali, quali possibilità di ottenere la stratigrafia di oggetti a strati oppure di misurare quantitativamente la composizione di due o più leghe binarie presenti nello stesso punto. I primi risultati sono stati presentati in un articolo su Nature. 24 VIL – Visible Induced Luminescence – E’ una tecnica messa a punto da Giovanni Verri e riadattata da Giacomo Chiari in modo da renderla totalmente portatile e utilizzabile anche in presenza di luce diurna. Luce visibile, priva di componente IR, viene inviata sull’oggetto di cui eseguire la mappa. Il Blu Egiziano (come il blu Han) è eccitato nel visibile ed emette nel vicino infrarosso. Una normale macchina fotografica modificata con opportuni filtri permette di visualizzare soltanto il blu egiziano. Oltre ad essere utile per mappe del pigmento, anche quando questo non è visibile perché coperto da patine colorate (ossalati), il VIL può essere usato per evidenziare minime quantità presenti su statue marmoree, provando la presenza di originale policromia. Siccome il blu egiziano non era più usato nel Rinascimento, una piccola quantità di esso è sufficiente per l’attribuzione di statue all’epoca Greco-Romana. Saranno mostrati anche i risultati di una nuova applicazione del VIL su sezioni al microscopio. Si può in tal modo distinguere il blu egiziano dal “verde egiziano”, un vetro di composizione chimica quasi identica. Radiografia per Emissione Elettronica - Peter Reiching. Spesso la radiografia in trasmissione di un quadro non può essere effettuata o perché il supporto è troppo spesso, o perché la preparazione è uno strato di bianco di piombo, molto più assorbente della pittura in esame. Una tecnica nota già negli anni 50 ma poco usata permette di ottenere una mappa simile al backscattered del SEM, grande quanto un film radiografico e che coinvolge solo alcuni micrometri superficiali. Come esempio sarà mostrato un quadro di Rembrandt che presenta un sotto-dipinto evidenziabile o no a seconda del voltaggio del tubo. Laser Speckle Interferometry – Lionel Keene e David Carson. Permette di evidenziare distacchi di intonaci in modo non invasivo e a distanza, usando un leggero tocco oppure eccitazione sonora. L’applicazione al soffitto delle terme di Ercolano ha permesso, senza l’uso di ponteggi, di evidenziare parti sciolte da fissare, riducendo enormemente il costo dell’operazione. In conclusione, le tecniche non invasive stanno diventando sempre più potenti e utili. Spesso però convincono i responsabili che tutto si può fare senza prelevare campioni. Questo non è vero ed è pericoloso in quanto la quantità/qualità di informazione ottenibile da campioni portati in laboratorio è spesso essenziale per risolvere il problema in esame. Dovremmo quindi cercare di usare le tecniche non distruttive come primo approccio all’analisi, per facilitare poi la scelta intelligente di alcuni pochi punti da cui prelevare campioni, in conformità a specifici problemi non risolti. 25 I SITI CONTAMINATI: NECESSITÀ DI MODELLI INTEGRATI DI “GOVERNANCE” PER LA GESTIONE SOSTENIBILE DEL TERRITORIO Nicola Cardellicchio CNR - Istituto per l’Ambiente Marino Costiero – U.O.S. Taranto, via Roma 3, 74123 Taranto n.cardellicchio@iamc.cnr.it Il problema dei siti contaminati, i conflitti che in questi anni si sono instaurati tra il mondo della produzione, con le sue pressioni antropiche e la conseguente contaminazione ambientale. e le realtà urbane con ricadute non solo sulla qualità ambientale ma anche sulla salute umana hanno imposto una riflessione su nuovi modelli di governance incentrati su una visione sostenibile delle varie problematiche e sulla riorganizzazione dei sistemi industriali secondo i principi dell’Industrial Ecology. Tutto ciò per arrivare a una nuova politica che non veda più limiti fisici ed antitetici tra ambiente urbano e ambiente industriale. Il caso del sito contaminato di interesse nazionale (SIN) di Taranto, qui illustrato, è emblematico e viene riportato come esempio di quelle contraddizioni che una realtà industriale “chiusa su se stessa” ha generato sul territorio. Il moderno concetto di sostenibilità apre ora nuovi orizzonti, introducendo allo stesso tempo l’idea di limiti allo sviluppo e invitando a rimettere in discussione le divisioni disciplinari, l’idea dominante della specializzazione del lavoro, l’incomunicabilità dei saperi e la prevalenza delle verticalità organizzative. Questa nuova idea impone di allontanarsi dall’individualismo metodologico, dagli insularismi economici e dalle ingiunzioni disciplinari per ricostruire, nel transdisciplinare, il concetto di sviluppo e poter collegare l’etica, la politica e la scienza. La giustificazione di questo nuovo orientamento risiede nella necessità prosaica di riunire le condizioni di sopravvivenza minacciate dalle antinomie che appaiono tra la logica insulare, lineare e reversibile dell’economia e le discontinuità, la debole resilienza e l’irreversibilità dei fenomeni negli ecosistemi. L’attività economica è dunque fortemente dipendente, nella sua origine e nel suo esito, dall’ambiente naturale nel quale l’attività si sviluppa. In pratica, le soluzioni per l’impresa sono il realizzare cooperazioni al di là degli steccati in seno alle strategie di concorrenza e l’accrescere la produttività delle risorse e dell’informazione piuttosto che quella del lavoro. L’ecologia industriale offre a questo proposito prospettive globali e strumenti microeconomici quali l’ecoefficienza, per introdurre la sostenibilità nelle strategie di sviluppo delle imprese, ridurre i costi e gestire preventivamente, globalmente e localmente il rischio. La sostenibilità dunque non è più un onere ma un investimento. L’ecologia industriale trae ispirazione dalla conoscenze degli ecosistemi e della biosfera per determinare le trasformazioni suscettibili di rendere il sistema industriale compatibile con un funzionamento “normale” degli ecosistemi biologici. Non deve confondersi però con le industrie ambientali, né con le tecnologie verdi o pulite ma s’interessa all’evoluzione a lungo termine del sistema industriale nel suo insieme. La questione dell’impatto delle attività umane in siti contaminati non si riduce più quindi a risolvere problemi di inquinamento. Inspirata dall’intuizione iniziale di E.G. Hutchinson, espressa in uno studio pubblicato nel 1948 sui cicli biogeochimici e nel quale il sistema industriale si presentava come un sottosistema della biosfera, l’ecologia industriale tenta, in linea con la premessa di base proposta da J. J. Kay, di riunire ecologia, economia, engineering design, teoria dei sistemi e termodinamica per fornire la metodologia per la progettazione, l'implementazione e mantenimento di sistemi ecocompatibili. Questa metodologia si basa sui principi di interfacciamento, bionica, biotecnologia, risorse non rinnovabili come capitale. L'interferenza tra sistemi artificiali ed ecosistemi naturali porta a riflettere sulla limitata capacità degli ecosistemi naturali a fornire energia e assorbire rifiuti, prima che il loro potenziale di sopravvivenza sia significativamente alterato. Il comportamento e la struttura dei sistemi sociali su larga scala dovrebbe essere dunque il più possibile simile a quello degli ecosistemi naturali. La continua contaminazione da sostanze xenobiotiche che ha riguardato 26 sia la popolazione che gli organismi in generale impone una nuova visione del sistema industriale. Le lezione del sito contaminato di Taranto, unitamente a tanti altri siti sparsi in Italia, vede dunque i cittadini non più come soggetti passivi, ma come attori dello sviluppo del territorio. In questo interfacciamento tra sistema industriale e sistema ecologico, la Chimica dell’Ambiente può dare un notevole contributo, sia per una migliore comprensione dei fenomeni naturali, sia per la riorganizzazione dei sistemi industriali. Bibliografia 1) Kay, J., 2002, "On Complexity Theory, Exergy and Industrial Ecology: Some Implications for Construction Ecology" in Kibert, C., Sendzimir, J. (eds), Guy, B., Construction Ecology: Nature as a Basis for Green Buildings, Spon Press, pp. 72–107. 2) Kay. J., Regier, H., 2000. "Uncertainty, Complexity, And Ecological Integrity: Insights from an Ecosystem Approach", in P. Crabbe, A. Holland, L. Ryszkowski and L. Westra (eds), Implementing Ecological Integrity: Restoring Regional and Global Environmental and Human Health, Kluwer, NATO Science Series, Environmental Security pp. 121–156. 27 MACROMOLECOLE DI AUTORE CONTEMPORANEO Maria Perla Colombini Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale- Università di Pisa perla@dcci.unipi.it Nel corso del ventesimo secolo, l’enorme sviluppo dell’industria chimica ha permesso agli artisti di sviluppare nuove tecniche, coinvolgendo i nuovi prodotti industriali come vernici, colori e pigmenti sintetici. Questo, combinato con numerosi stili pittorici ha creato un vasto panorama artistico che nell’ottica della conservazione dei beni culturali richiede una corretta analisi chimica. Le numerose sostanze coinvolte spesso non hanno formulazione nota, nè se ne conoscono le modalità di interazione con altre sostanze e i meccanismi di degradazione. L’ampio uso di polimeri sintetici in arte ed in restauro rende necessario lo studio della loro stabilità e della caratterizzazione dei loro prodotti di degrado, mettendo in atto allo scopo metodologie analitiche adeguate. Se la diagnostica di questi materiali pone dei problemi di difficile soluzione, la conservazione dei materiali sintetici impiegati apre uno scenario vasto e complicato. In particolare, verrà sottolineata l’importanza della spettrometria di massa, da sola o interfacciata a tecniche cromatografiche, per la sua abilità a risolvere e caratterizzare miscele complesse anche a concentrazioni molto basse come quelle che necessariamente si incontrano in campioni provenienti da opere d’arte. Parallelamente, verrà mostrato come la sinergia di diverse tecniche applicate allo stesso campione pittorico possono portare a definire la tecnica pittorica e a fornire informazioni preziose per il restauro. Infine, passando da casi studio relativi a dipinti contemporanei, quali il murale “Tuttomondo” di K. Haring, “il grande carico” di A. Kiefer, verrà illustrato il percorso che dalla caratterizzazione dei materiali nelle opere d’arte passa a stabilire adatte procedure di restauro e di conservazione 28 NANOPARTICELLE DI SINTESI: NUOVA FRONTIERA DI RICERCA PER LA CHIMICA AMBIENTALE Antonio Marcomini Università Ca’ Foscari, Venezia, Dipartimento di scienze Ambientali, Informatica e Statistica marcom@unive.it Non c'è settore economico che non possa essere positivamente influenzato dallo sviluppo delle nanotecnologie. Ciò sta generando la produzione e la commercializzazione di una ampia varietà di nanomateriali. Con nanomateriale s’intende un materiale naturale, derivato o fabbricato contenente particelle allo stato libero, aggregato o agglomerato, e in cui, per almeno il 50 % delle particelle nella distribuzione dimensionale numerica, una o più dimensioni esterne siano comprese fra 1 nm e 100 nm. In casi specifici, e laddove le preoccupazioni per l’ambiente, la salute, la sicurezza e la competitività lo giustifichino, la soglia del 50% della distribuzione dimensionale numerica può essere sostituita da una soglia compresa fra l’1% e il 50% (2011/696/UE 18 ottobre 2011 ). Fra i nanomateriali, le nanoparticelle di sintesi (ENP) stanno riscuotendo la maggiore attenzione per le possibili conseguenze sulla salute umana e sull'ambiente. E' in atto, da parte della comunità scientifica internazionale, uno sforzo cospicuo per identificare gli effetti tossicologici dei vari tipi di ENP e correlare gli effetti osservati con le loro caratteristiche chimico-fisiche e comportamentali. Lo studio delle ENP è, tuttavia, molto più complicato di quello delle sostanze chimiche, in quanto sono instabili (elevata reattività superficiale e spiccate proprietà interfacciali) e sottostanno a processi di agglomerazione e aggregazione che variano fortemente a seconda del mezzo, biologico o ambientale, in cui si trovano. Ciò rallenta la forte richiesta di definire, dal punto di vista regolamentativo, protocolli standardizzati per la determinazione e previsione dei parametri di esposizione ed effetto che consentano la valutazione della pericolosità e del rischio associato a ENP e ENM durante il loro intero ciclo di vita. La comunicazione si propone di evidenziare il contributo che la Chimica Ambientale può offrire, e in parte sta già offrendo, all'avanzamento delle conoscenze relative a nanoparticelle e nanomateriali ingegnerizzati. Con riferimento alle principali ENP presenti in prodotti di largo consumo, si presentano i risultati più rilevanti che le metodologie di indagine, sperimentale e modellistica, hanno finora prodotto per documentare la presenza, attuale e futura, di ENP nell'ambiente e per accertare pericolosità e rischio di questi nuovi materiali nelle matrici ambientali. Si segnalano, infine, le opportunità di finanziamento della ricerca avente come oggetto la nanosafety. 29 PROSPETTIVE DI SVILUPPO E INNOVAZIONE DELLA CHIMICA DEI BENI CULTURALI Guido Biscontin, Elisabetta Zendri Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica Università Ca’ Foscari, Venezia La Chimica applicata ai Beni Culturali ha consolidato negli ultimi anni le proprie attività di ricerca in particolare nell’ambito della caratterizzazione dei materiali e del loro stato di conservazione, attraverso lo sviluppo o l’implementazione di strumenti analitici sempre più raffinati. Meno intensa, sebbene di evidente interesse ed attualità, è anche l’attività di ricerca sui fenomeni di degrado legati ai cambiamenti climatici e sulla previsione a lungo termine dei rischi connessi. Le ricerche applicate allo sviluppo e alla messa a punto di nuove metodologie (materiali e tecniche) per la conservazione e il restauro dei manufatti e dell’architettura risultano essere invece marginali, in termini numerici, nonostante in passato sia stato uno dei settori di punta nell’ambito dei Beni Culturali. La scelta d’investire in ricerche focalizzate sulla caratterizzazione dei materiali potrebbe produrre come effetto una visione poco pervasiva del ruolo delle Scienze Chimiche nel settore della conservazione del patrimonio culturale, con il conseguente rischio che questa disciplina venga identificata esclusivamente in quella della diagnostica, che, seppur essenziale, tende però ad escluderla dai processi gestionali. Un esempio concreto è dato dai siti archeologici, di enorme interesse scientifico, culturale ed economico: fino ad oggi sono stati sviluppati metodi analitici sempre più sofisticati, in grado di definire la composizione dei materiali archeologici e fino alla loro provenienza, ma sono ancora carenti gli studi relativi alla messa a punto di nuove tecnologie per il restauro e la conservazione dei materiali in loco e di metodi di monitoraggio e controllo del loro stato, che permettano interventi di prevenzione del danno, anche in relazione all’entità-qualità dell’impatto antropico. La figura del Chimico può invece essere centrale e di riferimento in queste fasi , dando precisi indirizzi anche riguardo ad aspetti gestionali del bene, cioè alla definizione di un adeguato rapporto tra un ”usura” accettabile e la fruizione del bene stesso. Negli ultimi anni sono inoltre emersi molti altri ambiti in cui gli aspetti chimici legati alla conservazione del patrimonio sono di grande rilevanza e chiedono un contributo più attivo. Facciamo riferimento agli aspetti legati al processo globale di conservazione e valorizzazione dei beni culturali, che richiede ancora la definizione di indicatori in grado di indirizzare le scelte progettuali, di definire le prestazioni ottimali dei prodotti e delle metodologie impiegate nelle diverse fasi del restauro e di definire le modalità degli interventi manutentivi, sempre considerando le specifiche caratteristiche dei materiali, dell’ambiente di conservazione e dell’uso. Questi aspetti rientrano in modo significativo nella definizione del concetto di “conservazione sostenibile”, che riconosce il valore culturale e sociale del patrimonio ma sollecita la ricerca in ambito chimico, affinché vengano sviluppati nuovi materiali e nuove tecnologie in grado di rispondere all’attuale esigenza di contenere i costi, essere facilmente smaltibili, a basso impatto sull’operatore e sull’ambiente e compatibili con i materiali costituenti il bene culturale. 30 IL RUOLO DELL'EPIDEMIOLOGIA NELLA GOVERNANCE AMBIENTALE Giorgio Assennato Direzione Generale Arpa Puglia, Bari, 70126 L’esigenza di effettuare studi epidemiologici utili nella governance ambientale deriva dai limiti intrinsecamente presenti nel tradizionale approccio di control&command. Per anni le agenzie ambientali hanno prestato la propria attività tecnico-scientifica unicamente in funzione della verifica del rispetto di limiti definiti nelle varie matrici ambientali. L’esempio dei limiti previsti dalla legislazione italiana per le emissioni di diossine di origine industriali è un esempio paradigmatico dell’inadeguatezza di tale approccio. I limiti,infatti, non sono in genere “health based” e quindi non necessariamente il loro rispetto garantisce rispetto alla possibile insorgenza di effetti avversi. Per rispondere alla elevata percezione del rischio delle popolazioni, è quindi necessario realizzare studi epidemiologici in cui si definisca una stima della esposizione a livello individuale che consenta di ricostruire la coorte degli esposti e di valutare in essa eventuali eccesso di rischio rispetto a popolazioni di riferimento. In questo passaggio verso un approccio non meramente repressivo ma basato sulla conoscenza è essenziale l’integrazione funzionale tra agenzie per la protezione ambientale e dipartimenti di prevenzione della azienda sanitaria locale, essendo evidentemente di competenza stretta delle prime la stima della esposizione a partire dalle emissioni industriali, mentre delle seconde l’outcome sanitario, e di comune competenza la metodologia epidemiologica necessaria pe la conduzione di studi che spesso appaiono molto complessi, soprattutto in presenza di più sorgenti e di più inquinanti. 31 GLI STRUMENTI DELL’INDUSTRIAL ECOLOGY NEL CONTESTO DELLA GREEN ECONOMY Luciano Morselli, Elena Bernardi, Luca Ciacci Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali Università di Bologna - Polo di Rimini luciano.morselli@unibo.it Gli squilibri economici ed ambientali che stiamo vivendo sono direttamente collegabili alle attuali crisi climatico-ambientale ed economico-finanziaria. Possibili soluzioni possono essere ricercate nella Green Economy, un modello teorico di sviluppo economico sobrio e consapevole, che considera non solo i processi produttivi, ma anche il loro impatto ambientale, proponendo, come soluzione, l’incentivo di tutte quelle misure che consentono di ridurre il consumo di energia e risorse, le emissioni, i rifiuti e che promuovono l’impiego di fonti di energia rinnovabile. Gli strumenti necessari si rifanno ai principi della Industrial Ecology, disciplina che trae la sua origine dalla Green Economy e si occupa della progettazione e della gestione di sistemi industriali, prendendo come modello i sistemi naturali. Il suo obiettivo consiste nel comprendere le interazioni tra attività economiche ed esigenze ambientali, cercando di bilanciarli, attraverso forme di collaborazione tra imprese, per la soluzione strutturata e collettiva di problemi ambientali. L’UN Environmental Program definisce l’Industrial Ecology come uno “studio, orientato ai sistemi, delle interazioni ed interrelazioni fisiche, chimiche e biologiche sia all’interno dei sistemi industriali, che tra sistemi industriali e naturali”. L’accostamento dei termini Ecologia ed Industriale risale alla fine degli anni ’80 quando Frosh e Gallopoulos svilupparono l’idea che i sistemi industriali, essendo parte di un sistema naturale, dovrebbero imitarne il comportamento. I sistemi naturali scambiano energia e nutrienti attraverso un ciclo chiuso. Pertanto, i sistemi industriali, da lineari (con materiali ed energia in ingresso e sottoprodotti e rifiuti in uscita nell’ambiente) dovrebbero organizzarsi secondo un modello a ciclo chiuso in cui gli scarti di un processo industriale diventino materia prima per un'altra industria e tutti i rifiuti generati e l’energia prodotta vengono recuperati per alimentare nuovi processi. I principi dell’Ecologia Industriale si rifanno ai principi della green chemistry e della green engineering, che per primi si sono focalizzati sulla necessità di incentivare la prevenzione alla produzione dei rifiuti, sviluppare processi chimici puliti, sintetizzare composti cosiddetti “green” e impiegare fonti rinnovabili. Tali principi sono la base per l’attuazione di cinque elementi a sostegno dell’Ecologia Industriale, ovvero analisi dei flussi delle materi prime e degli inquinanti interferenti, ecodesign, politiche verdi, valutazione del ciclo di vita di prodotti, processi e sistemi, analisi di rischio e simbiosi industriale. Strumenti, questi, che devono essere supportati ed attuati per realizzare, in ambito industriale, il concetto di ciclo chiuso. L’Ecologia Industriale offre quindi alle aziende nuovi strumenti per un’economia sostenibile e competitiva. I suoi principi, aggiornati ed elaborati sulla base della ricerca industriale applicabile all’interno delle piattaforme tecnologiche dedicate ai vari settori produttivi e di servizio, rispondono in modo sempre più esaustivo ai quesiti posti a livello di attività produttive e di servizio ed, allo stesso tempo, rappresentano la base tecnicoscientifica a supporto della Sostenibilità e della Green Economy. Bibliografia - Allenby B.R., “Industrial Ecology: Policy Framework and Implementation” Prentice Hall, Upper Saddle River, NJ, 1995 - Morselli L., Passarini F., Piccari L, Vassura I., Bernardi E., “Risk assessment applied to air emissions from a medium-sized Italian MSW incinerator”, Waste Management and Research, 29 (10 suppl), S48-S56, 2011 32 ARTE E AMBIENTE COME MEDIA PER ECOSOSTENIBILITA’, ETICA, ESTETICA Salvatore Lorusso Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali Alma Mater Studiorum Università di Bologna salvatore.lorusso@unibo.it “L'arte, in senso lato e stretto ad un tempo, ovvero il patrimonio culturale e ambientale considerando correttamente come tale anche l'ambiente con i suoi comparti aria, suolo, acqua - è legata alla storia dell'uomo”. In relazione a ciò, le varie espressioni artistiche e, quindi, le varie ondate generazionali, con accadimenti e problematiche della società nel corso del tempo fino ai nostri giorni, sono fra loro collegate temporalmente, in quanto ”il nostro passato è parte del nostro futuro e il futuro poggia sul nostro passato”. Tale verità è pragmaticamente alla base delle attività di formazione e di ricerca del sottoscritto presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna. Infatti, nell’affrontare le problematiche relative alla tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale con l’impiego di tecnologie diagnostico-analitiche, non si possono non considerare e valutare i trascorsi storici e storico-tecnici dei manufatti sottoposti allo studio e, quindi, il loro “passato”, proiettando le indagini e l’intervento conservativo al “futuro”. Su queste iniziali considerazioni poggia, appunto, il contenuto del presente intervento, anche in relazione alla corretta e completa formazione dei giovani nell'ambito della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale. A tal riguardo saranno trattati i seguenti argomenti: ecosostenibilità, etica, estetica l’arte oltre il bello: dall’estetico all’etico l’evoluzione dell’arte e delle conoscenze tecnico-materiali nel corso dei secoli l’arte fra prezzo e valore l’interdisciplinarità e l’internazionalizzazione nel settore dei beni culturali le tecniche diagnostico analitiche: alcuni casi di studio la formazione conclusione. 33 Comunicazioni Orali 34 MULTI-SCALAR EMERGY ANALYSIS AND SET THEORY Fabiana Morandi, Simone Bastianoni, Dario Caro, Elena Neri Department of Chemistry, University of Siena, Via A. Moro 2, 53100 Siena morandi2@unisi.it Emergy, defined as the available energy of one kind previously used up directly and indirectly to make a product or a service, is an important concept in ecology since it is able to consider all the processes that sustain the biosphere on a common basis (Odum 1996). Emergy analysis, with the calculation of emergy indicators, is an appropriate methodology for analyzing the level of integration between humanity and environment. In accordance with the fact that emergy can be described by the set of available solar energy inputs that are directly and indirectly required to make a product, the language of set theory is utilized to represent the emergy involved in all processes. A “new” definition of emergy rules is given using set theory and then a multi-scale hierarchically-organized system is considered as a case study. This model has been chosen because it is the model that better represents a territorial system. Three levels of organization are considered: the system, its subsystems and its next larger system that contain it. Each system, in fact, is characterized by energy fluxes to and from the system that contains it; at the same time, the system’s internal dynamics may also be influenced by changes in the management of its subsystems. We describe how the emergy related to every flow in these systems can be uniquely determined through the operation of the union of sets. In particular we consider the relationships between emergy flows to and within the system and the respective flows in one of its subsystems. A case study considering Italy, European Union and Tuscany as reference system is presented. References Odum, H.T., 1996. Environmental Accounting: Emergy and Environmental Decision Making. John Wiley and Sons, NY. 35 METODI DI INDAGINE PER SORGENTI ATTIVE E GRADIENTI DI CONTAMINAZIONE MULTI-SPECIE: RILEVANZA NEGLI STUDI DI ESPOSIZIONE Sabina Licen1, Arianna Tolloi1, Gianpiero Barbieri,2, Sergio Cozzutto2, Giovanni Candotti3, Paolo Plossi4, Pierluigi Barbieri1,2 1 2 Università di Trieste – DSCF, Via Giorgieri, 1 34127 Trieste ARCo Solutions srl spin off dell’Univesità di Trieste, Via Giorgieri, 1 34127 Trieste 3 CaSe Studio di Ingegneria - via del Giambellino, 2 - 34100 Trieste 4 Provincia di Trieste, Via S. Anastasio, 3 34132 Trieste barbierip@units.it La presenza di fonti attive di contaminazione richiede la valutazione dettagliata di gradienti di inquinamento, anche al fine di stimare su microscala l’entità dell’eventuale esposizione della popolazione. Campionatori passivi e sistemi di sensori a basso costo consentono di valutare sperimentalmente i gradienti di concentrazione dei contaminanti, che spesso vengono stimati soltanto per via computazionale. Si illustra uno studio che impiega sistemi passivi di campionatori diffusivi per adsorbimento e sensori a basso costo per la determinazione di gradienti di concentrazione di composti organici volatili in prossimità di uno stabilimento industriale. I sensori possono fungere anche da strumenti di segnalazione per fughe accidentali di specie chimiche dalle sorgenti considerate. Si illustra, per il caso di emissioni diffuse non accidentali, una procedura per stimare la numerosità della popolazione esposta a concentrazioni di inquinanti che richiedono attenzione, alle quali corrispondono funzioni d’impatto sanitario. L’integrazione di informazione desunta da strumentazione di riferimento posizionata in stazioni di misura fisse e dispositivi a basso costo diffusi sul territorio consente valutazioni sull’estensione dei fenomeni di contaminazione fondate sperimentalmente, utili per la stima di possibili costi sanitari associati all’inquinamento e quindi per la scelta di alternative nel governo del territorio. 36 A SNOW/FIRN FOUR-CENTURY RECORD OF PERSISTENT ORGANIC POLLUTANTS (POPs) AT TALOS DOME (ANTARCTICA). Roger Fuoco1, Stefania Giannarelli1, Massimo Onor2, Silvia Ghimenti1, Carlo Abete3, Marco Termine1, Sandro Francesconi1 1 Department of Chemistry and Industrial Chemistry - University of Pisa, Pisa, Italy 2 Institute for the Chemical-Physical Processes (CNR) – Pisa, Italy 3 Institute for the Chemistry of Organo-metallic compound (CNR) – Pisa, Italy fuoco@dcci.unipi.it A very important environmental issue with regard to the presence of Persistent Organic Pollutants (POPs) concerns the evaluation of the net contribution of human activities to global environmental pollution. Antarctica is a very unique continent and acts as an unparalleled natural laboratory for research into the problems of global pollution and an ideal place both for performing baseline studies of the environmental contamination, and for reading the natural archives of information contained in the ice and sediment. At present, there is an almost total lack of data concerning temporal trends of POPs in the past centuries. According to a simplified model, POPs are divided in two main categories: accidentally formed and intentionally produced. Here polycyclic aromatic hydrocarbons (PAHs) which belong to the former and polychlorobiphenyls (PCBs) to the latter were determined in two snow/firn cores gathered at Talos Dome (Antarctica) which cover from about 1600 to 2000 A.D.. As might be expected, our data highlighted the presence of several PAH maxima which correlated with the major volcanic eruptions in the period of time observed, but surprisingly it also revealed the presence of synchronous PCB maxima in the period 1600-1930. Between 1930 and 2002, PAHs showed an overall 50% increase, with a slope of about 0.013 ng l 1 year-1. This can be predominantly attributed to the emission of incomplete combustion processes of organic matter related to anthropogenic activities. PCBs show a much higher increase (+200%) with a slope of 0.0034 ng l-1year-1 in a very limited period (1930-1980) which is almost totally due to the massive industrial production and use of PCBs, here named “Industrial PCB excess”. The slight tendency of PCBs to a constant level from 1980 to 2002 might be attributed to the reduction in the industrial production of PCBs and the restricted use only in totally enclosed systems which started in many countries in the late 1970s. 37 PROCESSI FOTOINDOTTI DI TRASFORMAZIONE DI INQUINANTI EMERGENTI NELLE ACQUE DI SUPERFICIE Davide Vione, Elisa De Laurentiis, Marco Minella, Valter Maurino, Claudio Minero Dipartimento di Chimica, Università di Torino, Via P. Giuria 5, 10125 Torino davide.vione@unito.it I processi di trasformazione delle sostanze inquinanti nell’ambiente svolgono un ruolo fondamentale nella definizione del loro impatto, regolandone la persistenza ambientale e portando in certi casi alla formazione di intermedi pericolosi. Nelle acque superficiali i processi indotti dalla radiazione solare ricoprono un ruolo chiave nella degradazione di inquinanti emergenti biorefrattari, quali prodotti farmaceutici e per la cura della persona, ritardanti di fiamma e nuove sostanze utilizzate nell’industria [1]. I processi fotochimici nelle acque naturali si distinguono solitamente in reazioni di fotolisi diretta e fotosensibilizzate. Le prime interessano composti in grado di assorbire la radiazione solare e di subire trasformazione. Le reazioni fotosensibilizzate coinvolgono specie reattive (radicali OH e CO3, ossigeno singoletto 1O2, stati eccitati di tripletto della materia organica disciolta cromoforica, 3CDOM*) prodotte in seguito ad assorbimento della radiazione solare da parte di molecole fotoattive note come fotosensibilizzatori (CDOM, nitriti e nitrati). Le reazioni fotosensibilizzate possono interessare anche composti che non assorbono la radiazione solare [2]. E’ possibile prevedere la persistenza fotochimica di sostanze inquinanti nelle acque mediante un approccio fortemente innovativo, il quale combina la misura in laboratorio di parametri di reattività fotochimica con l’applicazione di un modello che descrive le cinetiche dei processi fotoindotti nelle acque superficiali [3]. Tale approccio, validato mediante confronto con dati di campo, ci ha permesso finora di prevedere con successo la cinetica di trasformazione nell’ambiente di antibiotici della famiglia dei macrolidi [4], dell’ibuprofene [5] e di nitroderivati aromatici quali 2,4dinitrofenolo [6], 2,4-dicloro-6-nitrofenolo [7] e 4-cloro-2-nitrofenolo [8]. Sarà qui presentata l’estensione dell’approccio sperimentale e modellistico descritto al caso degli intermedi di trasformazione fotochimica della carbamazepina. Tale farmaco antiepilettico reagisce nell’ambiente prevalentemente per fotolisi diretta e per reazione con OH. Tra i suoi intermedi di trasformazione vi è l’acridina, composto mutageno e cancerogeno che rappresenta il tipico esempio di un intermedio più pericoloso del composto di partenza. Il metodo qui descritto consente di prevedere la cinetica di formazione dell’acridina in funzione di parametri ambientali quali composizione chimica e profondità della colonna d’acqua. [1] C. Tixier et al., Environ. Sci. Technol. 2003, 37, 1061-1068. [2] A.L. Boreen, W.A. Arnold, K. McNeill, Aquat. Sci. 2003, 65, 320-341. [3] D. Vione et al., Water Research 2010, 44, 6053-6062. [4] D. Vione, J.F. Felizzola, C. Minero, S. Chiron, Water Res. 2009, 43, 1959-1967. [5] D. Vione et al., Water Research 2011, 45, 6725-6736. [6] A. Albinet, C. Minero, D. Vione, Chemosphere 2010, 80, 759-763. [7] P.R. Maddigapu et al., Environ. Sci. Technol. 2011, 45, 209-214. [8] B. Sur et al., Sci. Total Environ., in press. DOI: 10.1016/j.scitotenv.2012.03.034. 38 APPLICAZIONE DI METODOLOGIE PREDITTIVE QSAR PER LA PREDIZIONE DELL’ATTIVITA’ BIOLOGICA DI NANOPARTICELLE Ester Papa, Leon Van der Wal, Alessandra Rizza, Simona Kovarich, Stefano Cassani, Paola Gramatica QSAR Research Unit in Environmental Chemistry and Ecotoxicology, Department of Theoretical and Applied Sciences, University of Insubria, Via Dunant 3, 21100, Varese ester.papa@uninsubria.it L'attuale impiego di nanoparticelle (“manifactured nanoparticles” MNPs) per applicazioni industriali e farmacologiche è diventato un motivo di crescente preoccupazione a causa della loro possibile attività tossicologica negli esseri umani ed in altri organismi. Lo studio e la predizione delle proprietà tossicologiche e fisico-chimiche di tali sostanze rappresenta una sfida per il mondo scientifico e regolatorio. I principali problemi legati all’utilizzo di metodologie predittive in questo ambito sono dovuti alla mancanza di sufficienti dati sperimentali disponibili per descrivere sia le proprietà strutturali delle nanoparticelle, che le attività biologiche, testate in vivo o in vitro. Uno dei metodi attualmente utilizzati per indagare la potenziale attività biologica delle MNPs si basa sullo sviluppo di relazioni quantitative struttura-attività per nanoparticelle caratterizzate dallo stesso core metallico, ma differenziate in base alla tipologia di molecole organiche utilizzate come rivestimento, che possono essere descritte da descrittori molecolari convenzionali. In questo studio preliminare la variabilità strutturale di 109 MNPs, caratterizzate dallo stesso core metallico (cross-linked iron oxide), ma da un rivestimento organico eterogeneo (principalmente ammine, acidi, e anidridi ) [1], è stata inizialmente indagata mediante analisi multivariata. Tale analisi è stata eseguita sia al fine di individuare gruppi strutturali rilevanti per la creazione di modelli QSAR, che per la valutazione delle relazioni esistenti tra le proprietà di ripartizione misurate o stimate per le molecole organiche studiate singolarmente, o utilizzate come rivestimento. A partire dalle strutture 3D delle molecole organiche del rivestimento sono stati calcolati, mediante diversi software, centinaia di descrittori molecolari teorici (1D, 2D e 3D). I modelli QSAR sono stati sviluppati mediante regressione lineare multipla ed applicazione di opportune tecniche di selezione delle variabili (Algoritmo Genetico), seguendo i “principi OECD”, che forniscono un’indispensabile linea guida per lo sviluppo, la validazione e la corretta applicazione dei modelli QSAR in ambito regolatorio. In conclusione, i risultati preliminari ottenuti in questo studio dimostrano la possibilità di sviluppare relazioni QSAR per la predizione dell’attività biologica di MNPs, e forniscono informazioni utili sia nel disegno pre-sintesi e nello screening in silico delle proprietà delle MNPs, che, in ambito regolatorio, nelle procedure di valutazione del rischio 1. Fourches, D.; Pu, D.; Tassa, C.; Weissleder, R.; Shaw, S.Y.; Mumper, R.J., Tropsha, A. ACS Nano, 4, 2010, pp. 5703–5712. 39 MODELLI QSAR PER LA PREDIZIONE DELLA BIODEGRADABILITA’ DELLE FRAGRANZE Ester Papa, Simona Kovarich, Lidia Ceriani, Paola Gramatica QSAR Research Unit in Environmental Chemistry and Ecotoxicology, Department of Theoretical and Applied Sciences, University of Insubria, Via Dunant 3, 21100, Varese simona.kovarich@uninsubria.it Le fragranze sono un gruppo di sostanze chimicamente eterogenee utilizzate nell’industria cosmetica e nei prodotti per l’igiene personale come ingredienti di una grande varietà di prdotti di uso quotidiano (profumi, creme, lozioni, detergenti, ecc...). L’utilizzo massivo di queste sostanze ha determinato un incremento significativo delle loro concentrazioni ambientali, principalmente in aria (sia indoor che outdoor) e nel comparto acquatico. Diventa dunque necessario valutare e minimizzare i potenziali effetti negativi sull’uomo e sull’ambiente dovuti ad un’esposizione ormai cronica alle fragranze. Un’importante parametro per la caratterizzazione dell’esposizione è la persistenza ambientale e la biodegradazione rappresenta uno dei principali processi di rimozione dei composti chimici dall’ambiente. La necessità di valutare la biodegradabilità delle sostanze, possibilmente prima della loro sintesi, ha supportato l’utilizzo di modelli predittivi come le metodologie QSAR (quantitative structure-activity relationships), basati sulla definizione di relazioni quantitative tra la struttura e le proprietà (in questo caso biodegradabilità) delle sostanze. Lo scopo del presente lavoro è stato lo sviluppo di modelli QSAR per la predizione della biodegradabilità (Ready Biodegradability – OECD guidelines 301 A-F) delle fragranze. I dati sperimentali utilizzati per lo sviluppo e la validazione dei modelli sono stati raccolti, e in parte misurati, nell’ambito del progetto europeo CADASTER (CAse studies on the Development and Application of in-Silico Techniques for Environmental hazard and Risk assessment), nel quale è inserita la presente attività di ricerca. I modelli sono stati sviluppati utilizzando diversi metodi di classificazione (k-NN, CART, etc.) e sono basati su descrittori molecolari mono- e bi-dimensionali calcolati mediante i software DRAGON (commerciale) e PaDEL (gratuito). Diversi parametri statistici, tra cui accuratezza, sensitività (Sn) e specificità (Sp), sono stati calcolati per valutare la stabilità interna dei modelli e le loro capacità predittive. Il dominio strutturale di applicabilità dei modelli è stato analizzato mediante il calcolo dei leverage. In questo studio vengono proposti dei modelli QSAR di classificazione statisticamente robusti, esternamente predittivi e con un definito dominio di applicabilità. Tali modelli, facilmente riproducibili, possono essere applicati per lo screening di numerose fragranze in alternativa alle batterie di test, o utilizzati a priori nel disegno e sviluppo di nuove sostanze meno persistenti, in accordo con la filosofia della “green chemistry”. 40 STUDIO DEL COMPORTAMENTO AMBIENTALE DI NANOPARTICELLE INGEGNERIZZATE IN MATRICI REALI Andrea Brunelli, Giulio Pojana, Antonio Marcomini DAIS – Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica – Università Ca’ Foscari Venezia, Italia andrea.brunelli@unive.it Le nanoparticelle di sintesi (NP), grazie alle loro particolari proprietà chimico-fisiche, diverse rispetto alle stesse particelle o specie chimiche di dimensioni maggiori, sono impiegate in svariati settori tra cui quello tessile, sportivo, elettronico, farmaceutico e alimentare. A causa della loro notevole diffusione è stata dimostrata la conseguente dispersione incontrollata di tali particelle in ambiente. Tuttavia le scarse informazioni riguardanti i loro possibili effetti tossici spingono ad indagarne il loro comportamento ambientale in matrici reali. Questo lavoro mira ad approfondire lo studio delle possibili interazioni esistenti tra le NP di TiO2 ed alcuni mezzi biologici di norma utilizzati sia come mezzi di coltura cellulare, sia per realizzare saggi di natura (eco)tossicologica con organismi marini e d’acqua dolce. Per mezzo della tecnica Dynamic Light Scattering (DLS), che misura la variazione dell’intensità della luce diffusa di particelle disperse in una soluzione, sono stati compiuti degli esperimenti di laboratorio con dispersioni di NP nelle matrici scelte, simulando ipotetici livelli di concentrazione ambientali (0.0110 mg/l). I dati ottenuti sono stati interpretati in funzione delle modalità e del tasso di sedimentazione ed agglomerazione di tali particelle nei diversi mezzi di dispersione. I mezzi scelti sono stati preparati ricostruendo gradienti di forza ionica tipici delle zone di transizione. Il tasso di sedimentazione delle NP nelle soluzioni marine sintetiche è stato confrontato con quello di soluzioni marine reali, prelevate sia in mare aperto sia nella laguna di Venezia, evidenziando variazioni nel comportamento delle NP in funzione del mezzo di dispersione. Dai risultati sperimentali ottenuti si può supporre che le NP di TiO2 indagate, disperse in acqua dolce, siano trasportate come agglomerati anche a livelli di concentrazioni ambientali elevate (1-10 mg/l), mentre è probabile che sedimentino se disperse in acqua marina, a causa di elevata forza ionica e presenza di materia organica che favoriscono tale fenomeno. 41 MATRICE DI FLUORESCENZA: UN POTENTE STRUMENTO NELLO STUDIO DEI PROCESSI FOTOSENSIBILIZZATI DI TRASFORMAZIONE DI INQUINANTI EMERGENTI NELLE ACQUE NATURALI Elisa De Laurentiis 1, Marco Minella 2, Davide Vione 3, Valter Maurino 4, Claudio Minero 5, Marcello Brigante 6, Gilles Mailhot 7 1 2 Department of Chemistry, University of Turin, Via Pietro Giuria 5, 10125 Turin, Italy Clermont Université, Blaise Pascal, Institute de Chimie de Clermont-Ferrand (ICCF)ENSCCF, BP 10448, F-63000 Clermont-Ferrand. elisa.delaurentiis@unito.it La materia organica disciolta (Dissolved Organic Matter, DOM) costituisce uno dei componenti principali dei sistemi acquatici superficiali. Essa può essere prodotta in situ da alghe o batteri (DOM autoctona), oppure (DOM alloctona) raggiungere il corpo idrico per via meteorica, per dilavamento superficiale e per diffusione attraverso falde acquifere sotterranee (DOM pedogenica). Quest’ultima, ricca di acidi umici e fulvici assorbe la porzione UV-visibile della radiazione solare, contribuendo alla sua frazione cromoforica (Coloured Dissolved Organic Matter, CDOM). La CDOM è la principale responsabile della fototrasformazione di composti organici, naturali e xenobiotici, disciolti nei corpi idrici.1 I principali processi fotochimici coinvolti sono la fotolisi diretta, le trasformazioni indotte dagli stati eccitati di tripletto della CDOM (3CDOM*) e reazioni con specie transienti quali OH, CO3 e 1O2.2 I processi fotochimici svolgono un ruolo fondamentale nel promuovere la trasformazione di inquinanti emergenti persistenti, primari (IPA, pesticidi es. MCPA, principi attivi farmaceutici es. ibuprofene) e secondari (es. nitrofenoli), nelle acque superficiali.3 La CDOM svolge un ruolo chiave nella fotochimica e nella fotobiologia dei corpi idrici, con effetti importanti anche per la loro troficità. Infatti essa costituisce il maggior assorbitore UV nei corpi idrici e la sua fotodegradazione (photobleaching) favorisce la penetrazione di raggi UV pericolosi per gli organismi acquatici.4 Quanto esposto evidenzia l’importanza della caratterizzazione fisico/chimica della CDOM, la quale è però resa molto difficile dalla sua elevata complessità strutturale. Le tecniche di caratterizzazione ad oggi più utilizzate sono la spettrometria di massa e varie tecniche spettroscopiche quali C13 NMR, FTIR, UV-Vis e fluorescenza5. In questo lavoro si riporta l’utilizzo delle matrici di fluorescenza (Excitation/Emission Matrix, EEM) come strumento per la caratterizzazione della materia organica disciolta presente in sistemi aquatici di differenti caratteristiche e con diverso carico organico (es. sistemi fluviali e lacustri alpini 6). I risultati sono particolarmente significativi ai fini della comprensione della reattività fotochimica. Data l’elevata sensibilità, il facile utilizzo (applicazione immediata e senza necessità di aggiungere additivi) e la non distruttività della tecnica, la EEM risulta essere un importante strumento per la caratterizzazione della fotochimica della CDOM nelle acque naturali. 1 Loiselle, S. Bracchini, L., Cozar, A., Dattilo, A.M., Tognazzi, A., and Rossi, C., J. Photochem. Photobiol. B Biol., 2009, 95, 129 – 137. 2 Czaplicka, M., J. Hazard. Mater.,2006, 134, 45–59 3 Vione D., Maddigapu P.R., De Laurentiis E., Minella M., Pazzi M., Maurino V., Minero C., Kouros S., Richard C., Wat.Res., in press. DOI: 10.1016/j.watres.2011.10.014. 4 T. Brinkmann, D. Sartorius and F.H. Frimmel, Aquat. Sci., 2003, 65, 415. 5 K. Kalbitz, W. Geyer, S. Geyer,, Biogeochemistry , 1999, 47, 219–238. 6 De Laurentiis E., Minella M., Maurino V., Minero C., Brigante M., Mailhot G., Vione D., Chemosphere, in press. DOI: 10.1016/j.chemosphere.2012.03.071. 42 A NOVEL ORGANO-ZEOLITE ADDUCT FOR ENVIRONMENTAL APPLICATIONS Vicenzo Leone, Silvana Canzano, Pasquale Iovino, Roberto Paterno, Stefano Salvestrini and Sante Capasso Dipartimento di Scienze Ambientali, Seconda Università degli Studi di Napoli,Via Vivaldi 43, 81100 Caserta. sante.capasso.unina2.it A new organo-zeolite adduct has been synthesized by adsorbing humic acids (HA) onto zeolitic tuff (PCT), rich in phillipsite and chabazite, and then heating the resulting complex at 330 °C for 1.5 h. Desorption tests showed that this procedure effectively immobilized HA on the tuff. Powder XR and IR spectra showed that the crystal structure of the zeolitic tuff and the chemical structure of HA were not altered during the preparation. Phenol sorption analysis demonstrated that the HA-zeolite adduct has good adsorbing properties. Table 1 reports the Langmuir parameters (eq. 1) for the sorption of phenol onto two organo-zeolite adducts and for comparison onto immobilized calcium humate and onto the zeolitic tuff used. Table 1. Langmuir parameters for the sorption of phenol: PCT-ImHA-I = HA immobilized on zeolite, amount of organic carbon 0.31 %; PCT-ImHA-II = HA immobilized on zeolite, amount of organic carbon 0.56 %; ImCaHA = immobilized calcium humate; Ca-PCT = zeolitic tuff enriched in calcium ion. Sample r2 K qm L mg-1 mg kg-1 0.05 ± 0.01 15000 ± 1300 0.97 PCT-ImHA-II 0.04 ± 0.01 18000 ± 1000 0.99 PCT-ImHA-I ImCaHA 0.20 ± 0.03 174000 ± 5000 0.99 Ca-PCT 0.01 ± 0.01 Sorption Langmuir equation: 6000 ± 1000 0.94 (1) The two organo-zeolite adducts have much higher qm values than that the zeolitic tuff alone (CaPCT); moreover, qm increases with the percent of organic carbon in the sample. The constant K has, within the experimental error, an identical value, as expected considering that it is related to the energy of the binding, which obviously does not depend on the amount of adsorbing material. The results obtained in this study show that this new material has good potential application in water purification from organic pollutants. Moreover, it is easy to prepare, has a low cost and it is environmentally friendly. 43 SVILUPPO DI NUOVI SISTEMI PER LA PREPARAZIONIE DI SEZIONI STRATIGRAFICHE DI INTERESSE ARTISTICO Silvia Prati, Giorgia Sciutto, Emilio Catelli, Rocco Mazzeo Università di Bologna, M2ADL, Via Guaccimanni 42, 48100 Ravenna s.prati@unibo.it Un campione policromo può essere formato da più strati sovrapposti di spessore diverso (10-100 µm) costituiti da miscele di materiali organici ed inorganici la cui caratterizzazione e localizzazione risulta della massima importanza sia per studi storici che a supporto di interventi di restauro. La preparazione della sezione stratigrafica, che si realizza attraverso l'inglobamento del frammento in una resina polimerica seguita da levigatura o taglio attraverso microtomo, permette di ottenere un blocco che consente di gestire facilmente i piccoli campioni pittorici e di analizzarli con tecniche microscopiche. Tuttavia, la penetrazione della resina all'interno dei campioni porosi e le procedure di lucidatura che possono contribuire a distribuirla sulla superficie del campione, influenzano negativamente la caratterizzazione dei materiali organici presenti, ad esempio precludendone il riconoscimento quando vengono impiegate tecniche spettroscopiche quali la spettroscopia FTIR, dal momento che le bande di assorbimento dell’inglobante possono sovrapporsi a quelle caratteristiche degli altri componenti. Per ovviare a questo inconveniente sali inattivi all’infrarosso come AgCl, KBr, BaF2, CaF2 sono stati proposti come inglobanti per la preparazione di sezioni sottili e trasversali. Attualmente il KBr è risultato il materiale più promettente [1], anche se ne sono note le limitazioni legate al carattere idrofilico ed alla fragilità delle sezioni ottenute [2]. Questo lavoro si è focalizzato sulla ottimizzazione di metodi che permettano di superare gli inconvenienti derivanti dall'impiego del KBr come mezzo di inglobamento. Il primo approccio riguarda la messa a punto di una procedura che consente di inglobare i campioni precedentemente inglobati in KBr in una resina polimerica allo scopo di ottenere un blocco più resistente e che possa essere levigato con un holder. Inoltre i campioni inglobati in KBr sono stati lucidati impiegando Argon Ion Milling allo scopo di ottimizzare la planarità del campione e di ridurre la contaminazione derivante dalla levigatura a secco. In alternativa al KBr è stato testato il cloruro di sodio che presenta i vantaggi di essere meno igroscopico e meno costoso (solubilità di NaCl 35,8 g/100g di H2O rispetto alla solubilità di KBr 67,8 g/100 ml), non avere effetti negativi sulla salute e permettere di ottenere sezioni più resistenti. 1. Prati S., Jospeh E., Sciutto G., Mazzeo R. (2010), Acc. Chem. Res., 43(6)792-801. 2. Prati, S., Rosi,F. Sciutto, G. Mazzeo, M., Magrini,D., Sotiropoulou, S., Van Bos M., (2012), Micr. J., 103 79-89. Parte di questa ricerca è stata finanziata dal progetto PRIN08 “Setting up of diagnostic methodologies for the stratigraphical characterisation and spatial location of the organic components in artistic and archaeological polychrome works of art “e dal progetto europeo “CHARISMA” Cultural heritage Advanced Research Infrastructures: Synergy for a Multidisciplinary Approach to Conservation/Restoration, FP7 INFRASTRUCTURE n.228330. 44 EFFECTIVENESS OF NANOSILICA DISPERSIONS AS CONSOLIDANTS FOR POROUS ARCHITECTURAL SURFACES Elisabetta Zendri, Laura Falchi, Eleonora Balliana, Francesca Caterina Izzo, Guido Biscontin University Ca’ Foscari of Venice, Department of Environmental Sciences, Informatics and Statistics, Via Torino 155/b, 30174 Venice-Mestre elizen@unive.it The problem of chemical and physical decay of Cultural Heritage materials and, in particular, the loss of cohesion strength in the porous materials have been faced in many different ways during the last decades. Recently nanodispersion consolidant systems seem to play an increasing role reaching a growing importance thanks to their promising results. Alcohol-based nanodispersions of calcium and magnesium hydroxides and carbonates have been successfully employed for the consolidation and restoration of frescoes and mural paintings. Beside nanolime dispersions, aqueous dispersions of nanosilica particles could represent a valuable, compatible and ecological alternative to the use of the traditional solvent-based products. However, inorganic and organic dispersions seems to have low ability to penetrate really in depth in the support, leading to a reduced efficiency of the treatment. The chemical- physical interactions of the nanosilica dispersions and the substrate and the relationship between the porosity of supports and the dimension of the colloidal particles are to be taken into account to evaluate and comprehend the ability of such products to deeply penetrate. Therefore, this knowledge is essential for the choice of the most suitable materials for intervention, but unfortunately has not been well defined yet. The aim of this research is to study the chemical interaction between nanosilica dispersions and carbonatic and silicatic matrixes, and to understand the mechanism by which silica nanodispersions (particles size from 10nm to 50nm) penetrate into stone supports having different porosity and different pore radius distribution. This study takes into consideration the behaviour of some commercial water-based silica dispersions applied on Lecce stone and on brick substrates, focusing in particular on particle dimensions, physical-chemical characteristics and penetration depth of the colloidal dispersion in relation to the substrate. FT-IR analysis, XRD and 29Si NMR-MAS spectroscopy were used to characterise the nanodispersions and the interaction between them and the selected substrates. SEM-EDX analysis on brick and Lecce stone samples, on which equal volumes of silica dispersions were applied, allowed to study the distribution and penetration depth of the nanosilica dispersions. The 29Si NMR spectroscopy gave significant information for the variation of the chemical environment of silicon atoms of the different silica dispersions, but no reactivity between silica and calcium carbonate were detected. The most plausible hypothesis is that the substrate acts as a filter. In this way, there’s an initial passage of particles across the substrate. The increase of particle concentration may lead to a slowing down of the flow towards the internal part of the substrate and thus it may lead to the formation of a silica layer on the surface, as show the SEM observations. 45 ITALIAN MAIL STAMPS HISTORY THROUGH FOURIER TRANSFORM INFRARED SPECTROSCOPY (FTIR) Eleonora Imperio1, Gabriele Giancane2, Ludovico Valli3 1 Department of Engineering for Innovation, University of Salento, via per Monteroni - 73100, Lecce 2 Department of Cultural Heritage, University of Salento, via D. Birago, 64 - 73100, Lecce 3 Department of Biological and Environmental Science and Technology (Di.S.Te.B.A.), University of Salento, via per Monteroni - 73100, Lecce eleonora.imperio@unisalento.it From the inscription of the General Post Office in Washington DC: “The stamp is the propagator of news, links between distant families, messenger between friends, solace in solitude, a vehicle for commerce and industry, an element of human progress, promoting brotherhood, peace, goodwill among men and nations”. It’s hard to imagine how much history can be held in a small piece of paper and how many purposes this little object was destined to have. This is why postage stamps have reached so much importance and interest, which they began to be considered as work of art actually. In order to see beyond the careful eye of the philatelist, FTIR (Fourier Transform Infrared Spectroscopy) in ATR (Attenuated Total Reflection) mode has been successfully employed in material characterization of many stamps. Samples since 1861, year of the unification of the Kingdom of Italy, until to date, across a vast philatelic collection, has been characterized in this study. The immediate response of this type of spectroscopic technique let to achieve significant data information, which led to design history changes in paper making technologies, allowed to collect the entire palette of pigments used and permitted to outline which glue was chosen to form the adhesive layer on the back of the stamp. Nearly two hundred postage models have been subjected to analyses. The first mail Figure 1 stamps published in Italy portrayed King Vittorio Emanuele II and it showed to be made of sheet of paper sized with gelatin glue, as signals at 1640 cm-1 and 1550 cm-1 suggested, after comparison [1]. Going forward in years, many differences were detected in paper composition [2]. The analyses were performed without any alteration of the samples and no removal of material was needed, which represents the “conditio sine qua non” for spectroscopic investigations on these kinds of Cultural Heritage. [1] Infrared spectral interpretation, B.C.Smith, CRC Press, Boca Raton, London, New York, Washington D.C., 1999. [2] Infrared Spectroscopy in Conservation Science, M.R. Derrick, D. Stilik, J.M. Landry, The Getty Conservation Institute, Los Angeles, 1999. 46 TECNICHE IMMUNOLOGICHE PER L’ANALISI DI LEGANTI PROTEICI Manuela Vagnini3, Melissa Palmieri1, Lucia Pitzurra1, Laura Cartechini1,2, Brunetto Giovanni Brunetti1 1 Centro di Eccellenza SMAArt (Scientific Methodologies applied to Archaeology and Art) Università degli Studi di Perugia. 2 Istituto CNR-ISTM (Istituto di Scienza e Tecnologie Molecolari), c/o Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Perugia. 3 Associazione Laboratorio di diagnostica per i Beni Culturali, piazza Campello 2, 06049 Spoleto (PG) m.vagnini@diagnosticabeniculturali.it La tecniche immunologiche sono ampiamente utilizzate nei laboratori clinici e biochimici per la loro elevata sensibilità e specificità nel riconoscimento di proteine antigene grazie all’interazione altamente specifica che si stabilisce fra antigene e anticorpo. Per quanto detto le tecniche immunologiche offrono un potenziale diagnostico di grande valore per la caratterizzazione di componenti proteiche in materiali storico artistici [1,2]. Materiali proteici quali uovo, latte o caseina e colle animali sono state ampiamente usate in passato per la realizzazione di dipinti e per il loro restauro. L’identificazione di tali proteine e la determinazione della specie biologica di origine è un informazione di grande interesse sia per capire la tecnica pittorica usata dall’artista sia per la conservazione ed il restauro dell’opera stessa. Fra le tecniche immunologiche l’ELISA (Enzyme Linked Immunosorbent Assay) si distingue per rapidità, sensibilità e costi contenuti dell’analisi. In questo lavoro verranno presentati i risultati ottenuti nello sviluppo di protocolli immunologici ELISA per identificare proteine denaturate in micro campioni provenienti da opere d’arte antiche. A tutt’oggi protocolli ELISA sono stati ottimizzati per l’identificazione di ovalbumina, -caseina bovina, [3] fosvitina, e collagene di tipo I come marker dei più comuni leganti proteici quali: latte o caseina, albume, tuorlo d’uovo, e colla animale, rispettivamente. Una sperimentazione sistematica del protocollo ELISA è stata effettuata su provini di laboratorio invecchiati artificialmente. Strati pittorici costituiti da vari pigmenti e diversi leganti sono stati applicati su due diversi supporti, tavola di legno con preparazione a gesso e colla e intonaco, per valutare la presenza di possibili interferenze analitiche dovute sia ai pigmenti che al substrato inorganico. Infine i protocolli ELISA messi a punto sono stati applicati all’analisi di campioni provenienti da dipinti reali. [1] M. Vagnini, L. Pitzurra, L. Cartechini, C. Miliani, B.G. Brunetti, A. Sgamellotti, Anal. Bioanal. Chem. 392 (2008) 57–64. [2] L.Cartechini, M. Vagnini, M. Palmieri, L. Pitzurra, T. Mello, J. Mazurek, G. Chiari, Accounts of Chemical Research 43 (2010) 867-876 [3] M. Palmieri, M. Vagnini, L. Pitzurra, P. Rocchi, B.G. Brunetti, A. Sgamellotti , L. Cartechini, Anal. Bioanal. Chem. 399 (2011) 3011-3023 Ringraziamenti Il presente studio è stato svolto nell’ambito del progetto “Sviluppo e sperimentazione di prassi, procedure e tecniche in ambito di diagnostica-prevenzione-conservazione” del Laboratorio di diagnostica dei Beni Culturali di Spoleto. 47 20TH CENTURY OIL PAINT FORMULATIONS: AN ANALYTICAL CHALLENGE IN THE CONSERVATION OF MODERN AND CONTEMPORARY HERITAGE Francesca Caterina Izzo1, Elisabetta Zendri1, Klaas Jan Van den Berg2, Henk Van Keulen2, Barbara Ferriani3 1 University Ca’ Foscari of Venice, Department of Environmental Sciences, Informatics and Statistics, Via Torino 155/b, 30174 Venice-Mestre 2 Rijksdienst voor het Cultureel Erfgoed-Cultural Heritage Agency of the Netherlands, Hobbemastraat 22, 1071 ZC, Amsterdam Barbara Ferriani Srl, Via Vettabbia 1, Milano fra.izzo@unive.it From the 19th Century, artists’ oil paints were increasingly produced on an industrial scale and include a number of additives, e.g. stabilisers, dispersion agents and driers [1]. These additives allowed for faster production, stability, prolonged shelf life and uniform handling properties of the paints in and from the tubes. In particular, aluminium and zinc stearates were introduced as wetting and dispersion agents for the pigments and as stabiliser for the paint. However, the incorporation of stearates into manufactured oil paints may cause water sensitivity during surface cleaning of unvarnished paintings [2,3]. The aim of this research was to investigate 20th century manufactured oil paints by developing an analytical methodology for the detection of metal soaps and lipidic additives using Gas Chromatography Mass Spectrometry (GC-MS). A methodology for the detection of metal stearate and fatty acid additives was designed by analysis of selected oil paint films. In addition, commercial tube oil paints from Winsor&Newton, Old Holland, Talens, Gimborn, and Maimeri were tested.The developed analytical procedure was also used for the analysis of samples from 20th century oil paintings by Lucio Fontana, Jasper Johns, Karel Appel, Willem de Kooning, and others. The results obtained pointed out the employ of different kinds of oil media (such as linseed oil, rapeseed oil, castor oil, safflower oil, sunflower oil, etc) and the presence of additives (such as stearates, hydrogenated castor oil, waxes, etc). The identification of binding media and additives in paint samples is important for the knowledge about painting techniques and to understand degradation phenomena which occurr in modern and comtemporary works of art as well. This knowledge may also play a role in the design of conservative practice. [1] Gauld Bearn J., The chemistry of paints, pigments and varnishes, London, Ernest Benn 1923 [2] Burnstock A., van der Berg K. J., de Groot S. et alii, An investigation of water-sensitive oil paints in the 20th century paintings, in Learner T. J. S., Smithen P., Krueger J. et alii, Modern Paints Uncovered, Los Angeles, The Getty Conservation Institute 2007, pp. 177-188 [3] Wijnberg L., van den Berg K. J., Burnstock A. et alii, Jasper Johns’ Untitled 1964-65, in Art matters, (2007), pp. 68-80 48 TRATTAMENTI INNOVATIVI A BASE DI ESTERI SILICICI PER IL CONSOLIDAMENTO DI MANUFATTI A BASE SILICATICA Guido Botticelli1, Mauro Matteini2, Stefano Lugli3, Silvia Minghelli4, Paolo Zannini4 1 Restauratore, libero professionista già Direttore ICVBC – CNR Sesto Fiorentino 3 Università di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Scienze della Terra 4 Università di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Chimica, via Campi 183, 41125 Modena paolo.zannini@unimore.it 2 Viene proposto uno studio comparativo di 8 prodotti commerciali, a base di esteri silicici, utilizzati nel settore del consolidamento di superfici di pietre arenarie storiche. La natura chimica dei prodotti commerciali è stata preliminarmente studiata tramite alcune tecniche strumentali idonee: FTIR, H+, 12C e 29Si NMR ed HPLC-MS-IT.Dopo una fase di reperimento e caratterizzazione di pietre arenariche contemporanee, recenti ed invecchiate naturalmente nell’ area di Firenzuola (FI), si sono realizzati dei campioni artificiali che mimassero il più fedelmente possibile il comportamento di tali rocce, quando degradate e parzialmente decoese, miscelando polvere di taglio delle pietre arenariche e cementi non calcarei appositamente selezionati. Per ottenere un allentamento della tenacia delle pietre arenariche moderne, si sono, poi, sperimentati diversi tipi di trattamenti termici, nella speranza di poter mimare la resistenza superficiale di campioni storici degradati, raccolti nel frattempo. Con tutte queste nuove matrici sono stati realizzate svariate decine di provini, circolari o quadrati, di dimensioni circa cm. 10 x 10 x 2 su cui si sono sperimentati diversi tipi di trattamenti, semplici e multipli, con l’ intenzione di provocare la cementazione dei granuli di silice tramite penetrazione reattiva di soluzioni idonee. I consolidanti sono stati applicati con varie tecniche, alternando anche trattamenti a base di soluzioni acquose di sali inorganici, sulle superfici dei provini artificiali, verificando poi i livelli di impregnazione e distribuzione raggiunti e l’ eventuale interazione chimica, tramite SEM-EDS, FTIR, FRX, DRX ed altri saggi spot. La superficie dei provini trattati è stata poi caratterizzata tecnologicamente, controllando la resistenza all’ abrasione superficiale e profonda con metodi normati. 49 NOVEL NANOCRYSTALLINE COMPOSITE PHOTOCATALYSTS FOR WATER REMEDIATION Roberto Comparelli1, Francesca Petronella1,2, Antonella Pagliarulo2, Elisabetta Fanizza1, Annamiaria Panniello1, Giuseppe Mascolo3, Marinella Striccoli1, Angela Agostiano1,2, Maria Lucia Curri1 1 CNR-IPCF U.O.S. Bari c/o Dip. Di Chimica, Via Orabona 4, 70126 - Bari Università degli Studi di Bari – Dip. Di Chimica, Via Orabona 4, 70126 – Bari 3 CNR-IRSA Istituto di Ricerca sulle Acque, Via F. De Blasio 5, 70123 Bari, Italy r.comparelli@ba.ipcf.cnr.it 2 Advanced oxidation processes (AOPs) play a key role in removing recalcitrant pollutants in water and wastewater, thanks to the “in situ” generation of hydroxyl radicals, with a strong reactivity, ultimately leading to the complete mineralization of the target compounds. Nanosized semiconductors represent a promising class of materials for photocatalytic degradation of organic pollutants thanks to their size/shape dependent physical-chemical properties which provide the opportunity to develop innovative materials for heterogeneous catalysis. Nanostructured materials are characterized by a high surface-to-volume ratio leading to a high density of active sites for adsorption and catalysis and by the possibility to tune band gap and redox potential as a function of their size and shape. Such characteristics are expected to enhance their photocatalytic activity. Wide band gap semiconductors (TiO2, ZnO) are potential candidate to photocatalysis as the redox potential of •OH/H2O pair falls in their band gap, thus photogenerated electron-hole (e-/h+) pairs can react with dissolved oxygen or water, respectively, to generate •OH. Indeed, nanosized TiO2 exhibits a superior photocatalytic activity against its corresponding bulk equivalent although nanosized ZnO appears very promising for degradation of organic compounds in aqueous systems. Nonetheless, wide band gap semiconductors can be activated only by UV light, thus limiting the fraction of solar spectrum able to generate •OH to ~4%. Current efforts in the field of designing and synthesis of photocatalysts aims at improving charge separation, inhibiting charge carrier recombination and enhancing the catalytic activity in the visible region. We have investigated synthesis and characterization of nanostructured photocatalysts and their application in the degradation of organic pollutants in aqueous matrices. In particular, TiO2 and ZnO nanocrystals (NCs) have been prepared with control on size, shape and surface chemistry. Bifunctional catalysts have been also prepared, namely TiO2/Ag, TiO2/Au TiO2/CdS and TiO2/CNTs. The photocatalytic properties of the obtained nanomaterials have been tested in the photocatalytic degradation of several organic pollutants (pesticides, pharmaceutics, textile dyes) in comparison with their commercial counterpart. The obtained results point out the enhanced photoactivity of nanosized catalysts, the possibility to shift their photoactivity in the visible range and their viability for several environmental related applications.[1-4] This work was partially supported by Apulia Region Funded Projects RELA-VALBIOR, Network of Laboratories in the Apulia Region Framework Program for Scientific Research (Italy). [1] [2] [3] [4] A. Panniello, et al., Appl. Catal. B, 121-122 (2012) 190. F. Petronella, et al., J. Phys. Chem. C, 115 (2011) 12033. G. Mascolo, et al., J. Hazard. Mater., 142 (2007) 130. R. Comparelli, et al., Applied Catalysis B-Environmental, 55 (2005) 81. 50 DEGRADATION OF IODINATED CONTRAST MEDIA BY SOLAR PHOTO-FENTON AND PHOTOCATALYSIS WITH SUPPORTED TIO2 Giuseppe Mascolo1, Sapia Murgolo1, Elena Lorusso1, Roberto Comparelli2, Maria Lucia Curri2, Rosalba Gerbasi3, Francesca Visentin3 1 Istituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, Viale F. De Blasio 5, 70132 Bari 2 CNR, Istituto per i Processi Chimico-Fisici, Via Orabona 4, Bari 3 CNR, Istituto di chimica inorganica e delle superfici, Corso Stati Uniti 4, Padova giuseppe.mascolo@ba.irsa.cnr.it Although several treatment set-ups can be employed to effectively remove emerging organic pollutants from contaminated water and wastewater, the selection should also be cost-effective, allowing to comply the local discharge standards at the lowest cost. Advanced oxidation processes (AOPs) used for the complete mineralization of pollutants are generally expensive as the intermediates formed during the reaction tend to be more and more resistant to their complete oxidation (i.e., mineralization) [1]. Specifically, common drawback of AOPs is the high demand of electrical energy for devices such as ozonizers, UV lamps, ultrasounds, which results in rather high treatment costs [2]. Solar-based AOPs seem to be very promising due to its great advantage of working even with visible light, leading to a reduction of the operating costs [3]. Solar driven photo-Fenton appears as the preferable one from an integrated environmental and economic point of view based on the comparison between several AOPs for wastewater treatment considering their life-cycle greenhouse gas emissions and life-cycle cost [1]. In addition, solar-based photocatalysis is very attractive if the catalyst can be immobilized. In fact, many attempts have been made to immobilize catalysts onto substrates, such as glass beads, glass fibres, silica, stainless steel, textiles, honeycombs, activated carbon, and zeolites [4]. For these reasons, design and implementation of novel TiO2-based catalysts deposited onto suitable substrates to obtain materials exploitable for environmental applications is a challenging task. In addition a critical drawback of catalyst immobilization lies in the dramatic reduction of the active surface area, which turns into the consequent decrease in catalytic efficiency. In the present work, two solar-based AOPs, namely photo-Fenton and photocatalysis employing supported TiO2 have been tested and compared for the removal of an emerging organic pollutant in aqueous solutions. As for the supported TiO2, TiO2 anatase films realized by metallorganic chemical vapor deposition (MOCVD) were prepared achieving highly efficient catalytic materials. The morphological and structural characteristics of the obtained coatings have been elucidated by X-ray diffraction and scanning electron microscopy. As for TiO2 nanoparticles, they were synthesized in anatase phase by using a sol-gel route, namely a typical polymeric route was followed to produce TiO2 nanoparticles from metal alkoxides, allowing the deposition of the nanostructured material, by dip-coating technique, onto a silica fiber. [1] [2] [3] [4] I. Munoz, S. Malato, A. Rodriguez, X. Domnech, J. Adv. Oxid. Technol., 11 (2008) 270-275. A. Lopez, M. Pagano, A. Volpe, A. Claudio Di Pinto, Chemosphere, 54 (2004) 1005-1010. J.L. de Morais, P.P. Zamora, J. Hazard. Mater., 123 (2005) 181-186. R. Comparelli, E. Fanizza, M.L. Curri, P.D. Cozzoli, G. Mascolo, R. Passino, A. Agostiano, Applied Catalysis B-Environmental, 55 (2005) 81-91. 51 SVILUPPO DI SUBSTRATI INORGANICI A BASE DI OSSIDI METALLICI PER LA DETERMINAZIONE SIMULTANEA DI NO ed NO2 CON CAMPIONATORI PASSIVI Raffaele Cucciniello1, Antonio Proto1, Federico Rossi1, Oriana Motta2 1 Dipartimento di Chimica e Biologia, 2 DISUFF Università di Salerno via Ponte Don Melillo, 84084 Fisciano (SA) – Italia rcucciniello@unisa.it Gli ossidi di azoto (NOx) sono presenti in atmosfere urbane in elevate concentrazioni principalmente a causa del traffico veicolare e degli impianti di riscaldamento domestico. La determinazione della concentrazione degli NOx è effettuata in continuo con detector a chemiluminescenza il cui utilizzo è limitato dall’ingombro, dal costo di acquisto e della manutenzione. Da molti anni una soluzione alternativa, semplice ed economica, per determinare gli ossidi di azoto è quella di utilizzare i campionatori passivi. Questi sono piccoli dispositivi costituiti da un corpo diffusivo a geometria radiale di materiale poroso contenente un cilindro a rete metallica che ospita il substrato reattivo. Il substrato in commercio che viene utilizzato per captare l’NO 2 è la trietanolammina (TEA) che però non reagisce con l’NO (1) . Poiché sono noti numerosi processi industriali di conversione catalitica per l’abbattimento degli NOx dai gas di scarico che si basano sull’interazione degli ossidi di azoto con ossidi dei metalli alcalini e alcalino terrosi, in questo studio abbiamo provato ad utilizzarne alcuni con le caratteristiche morfologiche idonee per essere impiegati nei campionatori passivi (2) . In particolare, è stato sintetizzato e caratterizzato un substrato alcalino a base di ossido di calcio e mayenite (Ca12Al14O33) che in base alle sue caratteristiche morfologiche, legate al processo di sintesi, è un ottimo substrato che consente di determinare contemporaneamente sia NO che NO2 (3) . Campionatori passivi a base di ossido di calcio e mayenite sono stati selettivamente esposti, in differenti condizioni ambientali, a NO ed NO2 e i substrati sono stati studiati attraverso tecniche spettroscopiche e termo calorimetriche al fine di caratterizzare le specie formate in seguito all’adsorbimento degli NOx, riuscendo anche a definire le idonee tecniche analitiche per la determinazione e quantificazione degli ossidi di azoto adsorbiti. (1) T.Gorecki et all., Passive sampling in environmental analysis, Journal of Chromatography A, 1184 (2008) ,234-253. (2) J. Szanyi et all., NOx uptake on alkaline earth oxides (BaO, CaO, MgO and SrO) supported on γAl2O3, Catalysis today, (2008), 136, 121-127 (3) R.Cucciniello, A.Proto et all., Synthesis, characterization and exposition tests of a new based calcium CO2 absorbent for Radial diffusive sampler, Athmospheric Environment, in press 52 MUNICIPAL LANDFILL LEACHATE TREATMENT USING ELECTROOXIDATION COUPLED WITH A BIOLOGICAL REACTOR Giuseppe Mascolo1, Guido Del Moro1, Emanuele Barca1, Claudio Di Iaconi1, Francesco Palmisano2 1 2 Istituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, Viale F. De Blasio 5, 70132 Bari Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, Via E. Orabona 4, 70126 Bari giuseppe.mascolo@ba.irsa.cnr.it Municipal landfill leachate, is defined as the aqueous effluent generated by rain percolation through municipal wastes. It is a complex wastewater, containing a large amounts of organic matter, as well as ammonia-nitrogen, heavy metals, xenobiotic organic compounds, inorganic salts and other toxicants. Conventional biological treatments followed by classical physico-chemical methods are not able to efficiently treat this wastewater hindered by specific toxic substances and by the presence of high amount of refractory to biodegradation organic matter. Oxidative electrochemical technologies, widely recognized as highly efficient for recalcitrant wastewater treatment, offer a solution based on its higher versatility and energy efficiency, the absence of sludge production, and its ease of automation, compared to other available technologies. Accordingly, in the present investigation an electrooxidation process was applied as a finishing step to an effluent of a sequencing batch biofilter granular reactor (SBBGR), already proved to have higher performance [1]. A two steps approach based on experimental design followed by multi-response optimization was used to set up the electrooxidation stage. Specifically, a Box-Behnken experimental design was employed along with a multi-response optimization performed by response surface methodology (RSM) combined with the desirability function approach to form the so-called desirability optimization methodology (DOM) [2, 3]. COD and colour were chosen as parameters to be minimized because, according Italian legislation, they are among the most representative for leachate dispose of. In addition, the minimization of both residual chlorine and specific energy consumption was also considered in order to asses the magnitude of organochlorine by-product formation (measured as AOX) and process operating cost. After optimization at current density of 133 mA/cm2, stirring speed of 566 rpm and reaction time of 46.2 min, the COD removal percentage of 78.2% (corresponding to the receiving water bodies discharge limit) and a colour removal maximization of 99.3% were observed. In addition, the minimization of residual chlorine and specific energy consumption reached the values of 1213 mg/L and 42.4 kWh/m3, respectively. Moreover, the high residual chlorine production leading to final effluent AOX concentration up to 35 mgCl-/L, represents an intrinsic treatment drawback. As organo-chlorine compounds are likely to be more toxic than the parent organic molecules, they should be appropriately removed before the final discharge in the receiving water bodies. In spite of the cost for a possible residual chlorine removal treatment, the total cost amount (5.87 €/m3inf.) is far below the average reference cost for landfill leachate treatment (20 – 40 €/m3inf. ) [4-6]. 1. Di Iaconi C. et al., Int. J. Environ.Waste Manage., 2009, 4(3/4): p. 422-432. 2. Trautmann, H. and Weihs, C., Metrika, 2006, 63(2): p. 207-213. 3. Kamaruddin, M.A. et al., J. Sci. Ind. Res., 2011, 70(7): p. 554-560. 4. Berge, N.D. et al., Waste Manage., 2009, 29(5): p. 1558-1567. 5. Damgaard A. et al., Waste Manage., 2011, 31(7): p. 1532-1541. 6. Cassano D. et al., Chem. Eng. J. (Lausanne), 2011, 172(1): p. 250-257. 53 STUDIO DELLA DISTRIBUZIONE ED EFFICIENZA DI RIMOZIONE DI CROMO TRIVALENTE ED ESAVALENTE IN UN IMPIANTO DI FITODEPURAZIONE OPERANTE COME POST-TRATTAMENTO DI REFLUI INDUSTRIALI Donatella Fibbi1, Lorenzo Ciofi1, Leonardo Checchini1, Ester Coppini2, Cristina Gonnelli3, Massimo Del Bubba1 1 Dipartimento di Chimica “Ugo Schiff”, Università di Firenze, Via della Lastruccia 3, 50019 Sesto Fiorentino (FI) 2 GIDA S.p.A., Via di Baciacavallo, 36, 59100 Prato 3 Dipartimento di Biologia Evoluzionistica “Leo Pardi”, Via Micheli 1, 50121 Firenze donatella.fibbi@unifi.it Con il termine fitorimediazione viene inteso quell’insieme di tecniche basate sull’uso di essenze vegetali, aventi per scopo il miglioramento della qualità di acque reflue o di suoli contaminati da metalli pesanti. Le essenze vegetali possono avere un ruolo diretto nel processo fitorimediativo assorbendo il metallo presente nel mezzo di crescita ed accumulandolo nei vari organi, oppure partecipare ai processi chimici e biologici che avvengono nei diversi comparti ambientali. In questa ricerca è stata studiata l’efficienza di rimozione del cromo totale e del cromo esavalente in un impianto di fitodepurazione a flusso sub superficiale orizzontale piantumato con Phragmites australis che riceve l’effluente di un impianto a fanghi attivi. E’ stata condotta una campagna di monitoraggio in cui sono stati raccolti campioni di acqua in ingresso ed uscita all’impianto di fitodepurazione su cui sono state determinate le concentrazioni di cromo totale, cromo esavalente e trivalente [1]. Inoltre all’inizio e alla fine del monitoraggio sono stati raccolti alcuni campioni di sedimento e di Phragmites australis a diverse distanze dall’ingresso al fine di determinare la quantità di metallo presente in essi. I risultati ottenuti in questo studio hanno indicato che l’impianto di fitodepurazione è in grado di diminuire effettivamente le concentrazioni di cromo esavalente, soddisfacendo i requisiti previsti dalla normativa italiana. Tale diminuzione è una conseguenza della riduzione della forma esavalente del cromo in quella trivalente. Per quanto riguarda i sedimenti, indipendentemente dal periodo di campionamento, la concentrazione di cromo diminuisce in modo significativo con l'aumentare della distanza dall’ingresso. Nelle piante, la radice è risultata essere l'organo che ha mostrato maggiori differenze nelle concentrazioni di cromo con andamento analogo ai sedimenti [2]. Sulla base di questi dati è possibile, ampliando la dimensione dell’impianto su larga scala, soddisfare la richiesta di acqua riciclata del distretto industriale preso in esame. [1]: D. Fibbi, S. Doumett, I. Colzi, E. Coppini, S. Pucci, C. Gonnelli, M. Del Bubba, 2011. Total and hexavalent chromium removal in a subsurface horizontal flow (h-SSF) constructed wetland operating as post-treatment of textile wastewater for water reuse. Water Science and Technology 64.4, 826-831. [2]: D. Fibbi, S. Doumett, L. Lepri, L. Checchini, C. Gonnelli, E. Coppini, M. Del Bubba, 2012. Distribution and mass balance of hexavalent and trivalent chromium in a subsurface horizontal flow (SF-h) constructed wetland operating as post-treatment of textile wastewater for water reuse. Journal of Hazardous Materials 199– 200, 209– 216. 54 TECNOLOGIE DI RISCALDAMENTO DOMESTICO A BIOMASSE ATTRAVERSO UNA PROSPETTIVA DI CICLO DI VITA Daniele Cespi1,*, Fabrizio Passarini1,*, Luca Ciacci1, Ivano Vassura1, Luciano Morselli1, Valentina Castellani2 1 CIRI Energia e Ambiente & Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali, Università di Bologna, viale Del Risorgimento 4, Bologna - 40136 2 Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali, Università di Milano – Bicocca, Piazza della Scienza 1, 20126 Milano fabrizio.passarini@unibo.it daniele.cespi2@unibo.it La valutazione del ciclo di vita (Life Cycle Assessment, LCA) è una valutazione oggettiva dei carichi ambientali e sulla salute umana di un processo, prodotto o sistema, durante l’intero ciclo di vita. La metodologia è stata applicata a sistemi di riscaldamento domestico a biomassa, nell’ambito del progetto PRIN “L.En.S.” (Legno Energia Salute). L’LCA è stata condotta su due tecnologie di riscaldamento domestico differenti: una stufa innovativa a legna ed una stufa a pellet, entrambe modellate secondo le migliori tecnologie disponibili (Best Available Technologies, BAT); inoltre, per garantire un quadro di riferimento completo, un confronto con sistemi alternativi di riscaldamento domestico (boiler a gas, pannello solare termico e pompa di calore) è stato eseguito. Nello studio si è scelta come unità funzionale una stessa quantità di energia generata da ogni tecnologia (1MJ termico). Il software impiegato per eseguire l’analisi è il SimaPro 7.2; EcoInvent è il principale database per l’analisi di inventario. Il metodo di analisi scelto per condurre l’indagine è il ReCiPe 2008. I risultati emersi dal confronto tra i due sistemi a biomassa mostrano come lo scenario di riscaldamento a legna abbia un impatto tre volte maggiore rispetto alla stufa a pellet nella categorie di tossicità umana e formazione di materiale particolato. Il contributo maggiore alla categoria tossicità umana deriva principalmente dal metodo di smaltimento delle ceneri e dal processo di combustione in sé. I risultati ottenuti per la categoria formazione di materiale particolato sono in linea con le previsioni: l’impatto maggiore dello scenario a legna rispetto al pellet è dovuto alle diverse caratteristiche chimico-fisiche del combustibile, quali il grado di umidità, le dimensioni, la densità energetica. Inoltre, lo scenario a legna ha un maggior impatto per la categoria di occupazione del suolo agricolo, associato alla sottrazione di suolo necessario per la crescita di alberi destinati a fini energetici, diversamente dal pellet, che viene prodotto esclusivamente da scarti di lavorazione. Contrariamente allo scenario a legna il sistema di riscaldamento a pellet presenta carichi maggiori per categorie di impatto con danni più globali, come cambiamento climatico e consumo di combustibili fossili. Tali risultati sono ascrivibili principalmente al processo di pellettizzazione, caratterizzato dall’elevato impiego di combustibili nelle fasi che lo compongono. La comparazione con sistemi alternativi mostra come i due scenari a biomassa siano confrontabili, in termini di impatto globale, con le tre tecnologie investigate. In particolare i processi a biocombustibili hanno impatti minori in termini di consumo di risorse e cambiamento climatico, ma danni più rilevanti in termini di formazione di particolato e tossicità umana. Il modello creato permette il confronto tra diversi sistemi di riscaldamento domestico a biomassa ed è implementabile con dati primari derivanti da monitoraggio diretto di tali strumenti, inoltre fornisce un utile mezzo di confronto con tecnologie di riscaldamento domestico alternative. 55 DETERMINAZIONE (LC-ESI-MS/MS ) DEI LIVELLI DI ACRILAMMIDE IN PATATE FRITTE IN RELAZIONE AI PARAMETRI NUTRIZIONALI DI DIFFERENTI CULTIVAR Guido Perra1, Silvia Focardi1, Cristiana Guerranti2, Nadia Marchettini1 1 Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Siena, Via della Diana, 2A, 53100 Siena Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti”, Università degli Studi di Siena, Via P.A. Mattioli, 4, 53100 Siena guido.perra@alice.it 2 L’acrilammide è un composto tossico (probabile agente cancerogeno per l’uomo) che si forma naturalmente negli alimenti amilacei a seguito di processi di cottura (es. frittura) ad alta temperatura (superiori a 120°C). La via di sintesi dell’acrilammide non è ancora del tutto chiara, ma l’ipotesi più attendibile pare sia la stretta relazione con la reazione di Maillard. In particolare, la formazione di acrilammide sembra dipendere dalla presenza nella matrice alimentare di un amminoacido libero, l’asparagina, e di zuccheri riducenti, quali glucosio e fruttosio. Il primo obiettivo di questo studio è stato la caratterizzazione comparativa di alcuni parametri nutrizionali (aminoacidi e zuccheri) in due cultivar di patate a diffusione regionale ed una cultivar commerciale, presente sul territorio italiano. Inoltre, lo scopo della presente indagine è stato quello di determinare mediante LC-ESI-MS/MS, nelle diverse varietà di tuberi, i tenori di acrilammide formatasi inevitabilmente durante la frittura con diverse tipologie di olio a diverso punto di fumo. I risultati ottenuti in questa indagine indicano che cultivar di patate diverse sono caratterizzate da concentrazioni molto variabili di zuccheri riducenti, quali glucosio (range: 4,5-58,1 mmol/kg peso fresco, p.f.) e fruttosio (range: 5,7-55,1 mmol/kg p.f.) e, in minor misura, dell'amminoacido asparagina (range: 4,1-17,9 mmol/kg p.f.). Le concentrazioni di acrilammide variano nel range <LOD, limit of detection - 1616,15 ng/g p.f.. Le variazioni nelle concentrazioni di acrilammide nei diversi campioni sono, almeno in parte, causate dai diversi livelli dei precursori dell'acrilammide nei vari lotti di patate analizzate. I bassi livelli dei due zuccheri riducenti, glucosio e fruttosio, rilevati nelle varietà regionali (cui corrispondono bassi tenori di acrilammide nel prodotto fritto) rispetto alla varietà commerciali, lasciano presagire un buon comportamento organolettico e ridotte problematiche di formazione di acrilammide attraverso la reazione di Maillard. Tale aspetto, caratterizzante soprattutto le cultivar a diffusione regionale rispetto alla commerciale è un'importante conferma del valore della difesa e della conservazione della biodiversità in campo agricolo ed alimentare. 56 ANALIZZATORE DISCRETO PER L’ESECUZIONE IN AUTOMATICO DEL SAGGIO DI TOSSICITÀ ACUTA CON BATTERI BIOLUMINESCENTI Sergio Bodini e Pompeo Moscetta Systea SpA, via Paduni 2/A, 03012 Anagni (FR) sergio.bodini@systea.it Il controllo della qualità delle acque rappresenta una questione fondamentale per la tutela della sicurezza e della salute a livello mondiale. Per questa ragione, la possibilità di ottenere risultati riproducibili ad alta frequenza analitica, costituisce un’evoluzione tecnologica di estremo interesse. Il saggio che utilizza il batterio bioluminescente Vibrio fischeri è comunemente utilizzato per determinare gli effetti tossici a breve termine (15-30 min) di campioni d’acqua (superficiale, potabile o di scarico) o solidi (estratti e eluati di sedimenti e fanghi). Il saggio permette di calcolare per ciascun campione i valori di EC50, EC20 o la diluizione di non effetto. Un intenso lavoro di ricerca e sviluppo ha permesso di progettare, realizzare e sperimentare, in Systea S.p.A., un originale analizzatore discreto, basato su tecnologia random access a lettura diretta, per l’analisi in automatico di campioni, percolati ed estratti acquosi, al fine di determinare la presenza di sostanze tossiche, tramite l’utilizzo di sospensioni di Vibrio fischeri. Parallelamente, esso è stato predisposto per eseguire test rapidi di tossicità algale misurando le variazioni indotte da contaminanti con effetti erbicidi sull’emissione di fluorescenza di microalghe quali Chlamydomonas reinhardtii. Esso consiste di una struttura base contenitiva che consente l’alloggiamento di un modulo contenitivo per campioni, un modulo di stoccaggio dei tamponi acquosi e dei batteri bioluminescenti e/o delle microalghe, un braccio meccanico per prelievo, trasferimento e aggiunta di reagenti e campioni e di un carosello di reazione dotato di 80 cuvette di reazione da 500 microlitri, a cui sono associate una stazione di misura luminometrica, una stazione di misura fluorimetrica e una stazione di lavaggio e sterilizzazione con linea di scarico. Secondo la norma UNI EN ISO 11348-3:2009, i microrganismi indicati per l’analisi di tossicità acuta appartengono al ceppo di riferimento Vibrio fischeri NRRL B-11177. Questi batteri sono stati allevati, stabilizzati e liofilizzati in maniera originale, tale da garantirne un utilizzo continuativo, dopo la reidratazione in apposito tampone salino. In questo modo, essi mantengono per almeno una decina di giorni un segnale di bioluminescenza misurabile e un’inalterata sensibilità alle diverse tipologie di composti tossici definiti nella norma sopraccitata, quali solfato di zinco, potassio bicromato e 3,5-diclorofenolo. I cicli analitici e la frequenza, parametri e limiti del controllo qualità sono programmabili dall’operatore e gestiti in forma completamente automatizzata. Lo strumento è predisposto per eseguire analisi cinetiche, multistandard e differenziali con bianco campione. La misurazione continua di bianchi e campioni a concentrazioni crescenti e intervalli di tempo predefiniti, di ca. 30 secondi, risulta nella generazione di cinetiche di inibizione, che permettono di acquisire, fin dai primi minuti dell’analisi, informazioni preliminari sul livello di contaminazione presente nel campione. Dato che l’analizzatore è predisposto per eseguire un’analisi ogni 60 secondi, fino a 80 bianchi/campioni simultaneamente, è possibile eseguire immediatamente repliche, a concentrazioni uguali o maggiori di campione, per confermare una tossicità identificata o chiarire, in senso positivo o negativo, una tossicità dubbia. In conclusione, l’analizzatore di tossicità realizzato è completamente autonomo in ogni sua fase, di facile utilizzo e fornisce risposte rapide, sensibili, riproducibili e immediatamente verificabili, limitando in maniera significativa, l’evenienza di falsi positivi e negativi. 57 POLYURETHANE IN CONTEMPORARY ITALIAN DESIGN: THE CASE OF “PRATONI” IN THE TRIENNALE MUSEUM, MILAN Francesca Caterina Izzo1, Elisabetta Zendri1, Paola Biocca1, Barbara Ferriani2,3, Henk Van Keulen4 1 University Ca’ Foscari of Venice, Department of Environmental Sciences, Informatics and Statistics, Via Torino 155/b, 30174 Venice-Mestre 2 Barbara Ferriani Srl, Via Vettabbia 1, Milano 3 Triennale Museum, Milano 4 Rijksdienst voor het Cultureel Erfgoed-Cultural Heritage Agency of the Netherlands, Hobbemastraat 22, 1071 ZC, Amsterdam fra.izzo@unive.it Since it was synthesised in 1864 by C.A. Wurtz, Polyurethane (PUR) has been widely used for industrial purposes thanks to its great versatility. For this reason, it has been chosen also by designers and artists as a versatile material for the creation of works of art and daily-life objects. PUR, however, is one of the synthetic materials which are subjected to deterioration phenomena in shorter time if compared to historical and traditional art materials. This study takes into consideration three examples of “Pratone”, belonging to the “Multipli” series by the Italian brand Gufram srl and conserved in the Triennale Museum in Milano. “Pratone” is a sofa which reproduces on a higher scale a portion of grass; it was firstly projected in the 1970s using polyurethane foam painted in green colour to recall the natural element. These design objects, although produced in the last 10 years, were already interested by degradation processes. Therefore, they were analysed by optical microscopy, SEM-EDS, FTIR-ATR and TG-DSC techniques in order to obtain information on the compositional materials and the degradation observed and to give information for their conservation in terms of restoration practice and environmental storage conditions. The results pointed out that the three Pratoni were produced using ether-based polyurethane foams, in which additives (such as inorganic fillers, anti-flames retardants, dyestuff, etc) were introduced in the PUR composition. The green paint appeared to be a polyisoprene-based latex. The only difference among the Pratoni consists in the protective layers: two examples were covered by polymetacrilate-based varnish, while the third one was treated with polyetheretherketon (PEEK). The main deterioration processes (yellowing and brittleness of the alveolar structure) were largely due photo-oxidation and humidity problems. This research aims also to stress the importance of studying and understanding what is happening to contemporary art materials and to elaborate preventive conservation plans for their maintenance. 58 APPLICAZIONE DELLA MICROSCOPIA RAMAN PER LA CARATTERIZZAZIONE DI PELLICOLE CINEMATOGRAFICHE: STUDIO DI FENOMENI DI AMPLIFICAZIONE SERS Marta Quaranta, Emilio Catelli, Silvia Prati, Giorgia Sciutto, Rocco Mazzeo Laboratorio diagnostico di microchimica e microscopia per i beni culturali (M2ADL), Università di Bologna, sede di Ravenna, via Guaccimanni, 42 48100 Ravenna (I) marta.quaranta@unibo.it Il presente lavoro di ricerca è stato mirato alla caratterizzazione dei materiali costitutivi e dello stato di conservazione di pellicole cinematografiche in bianco e nero sottoposte a processi di colorazione. Nella storia del cinema, infatti, numerose sono le tipologie di materiali e tecniche impiegate al fine di creare particolari effetti sulle immagini proiettate. In particolare, all’inizio del XX secolo, sono state sperimentate tecniche alternative di colorazione come l’imbibizione e il viraggio, entrambe basate sul trattamento della pellicola con opportuni reagenti. Lo studio ha visto l’applicazione di un approccio analitico integrato per l’investigazione di alcuni fotogrammi relativi alla bobina del film Il tamburino sardo (1911, Cineteca di Roma), tramite impiego di microscopia SEM-EDX, FTIR e Raman. In particolare, la spettroscopia Raman è risultata efficace e valida per l’identificazione del colorante, a base di rodamina, rivelando i passati interventi subiti da alcuni fotogrammi della bobina e facendo luce sulla storia conservativa del film. Di particolare interesse è notare come questo risultato sia stato possibile grazie ad un effetto di amplificazione del segnale spontaneamente generato dalle particelle di argento disperse nello strato di gelatina (emulsione fotosensibile). Ciò ha consentito di identificare il colorante impiegato nonostante la matrice organica in cui esso è disperso, senza l’impiego di supporti ad hoc. RINGRAZIAMENTI Parte di questa ricerca è stata finanziata dal progetto PRIN08 “Setting up of diagnostic methodologies for the stratigraphical characterisation and spatial location of the organic components in artistic and archaeological polychrome works of art “e dal progetto europeo “CHARISMA” Cultural heritage Advanced Research Infrastructures: Synergy for a Multidisciplinary Approach to Conservation/Restoration, FP7 INFRASTRUCTURE n.228330. 59 MASS HYDROPHOBIZED LIME CEMENT MORTAR AS TOOL FOR PREVENTIVE CONSERVATION Laura Falchi, Eleonora Balliana, Francesca Caterina Izzo, Elisabetta Zendri, Guido Biscontin University Ca’ Foscari of Venice, Department of Environmental Sciences, Informatics and Statistics, Via Torino 155/b, 30174 Venice-Mestre laura.falchi@stud.unive.it Water represents without any doubt one of the most important degradation factors for a wide typology of materials like plasters, mortars, concretes, bricks and natural stones [1]. The degradation processes due to the water action towards architectural materials has been over time a problem with an increasing importance in the last years, as a consequence of the intensification of precipitations and world climate changes. The damages caused by water to buildings and architectures are often serious, with high costs for the reparation of materials and structures which are not well protected. Solutions able to prevent and limit this problem should be seen and studied as a sustainability tools for the protection of new and old buildings. This research deals with the study and development of in-mass-hydrophobized rendering mortars, which can be applied for the protection of building facades. Previous studies have focused on in mass water-repellent mortars, showing that hydrophobic compounds can be mixed to different binders and aggregates to obtain mortars whose water-repellent effectiveness depends most on the binder system chosen [2-5]. In this research lime cement mortars, which have not been deeply investigated yet, were taken in account. Integral water repellent lime cement mortars were prepared using different hydrophobic compounds. Calcium stearates, zinc stearates, powder silanes, liquid silanes were added to lime cement mortars. The influence of the additives on the setting and structure of mortars were investigated as well as the effectiveness of these agents in protecting the mortars against damages caused by the water action. Instrumental techniques such FT-IR and XRD were used in order to understand the chemical-physical interaction between agents and cement mortars. MIP analysis, ultrasonic measurements, water absorption tests and contact angle measurements were carried out to investigate the effectiveness of the water-repellent additives in hydrophobizing the final mortars. Workability variation of fresh mortars and a slight influence on the hydration times and products were observed. The water-repellent effectiveness changed with the additive chosen as well as the structure and the water vapor permeability. [1]T. Stambolov, " The deterioration and conservation of porous Building Materials in Monuments: A litterature review", International Centre for the study of the preservation and restoration of cultural property, 1972. [2]Pagona Maravelaki-Kalaitzaki, "Hydraulic lime mortars with siloxane for waterproofing historic masonry" CEMCONCRES 37 (2007) 283-290 [3]Giovanni Martinola, "Modified ECC by Means of Internal Impregnation", Journal of advanced Concrete Technology Vol.2, No2, 207-212, June 2004 [4]M. Lanzón, “Effectiveness and durability evaluation of rendering mortars made with metallic soaps and powdered silicone”, CONBUILDMAT 22 (2008), 2308-2315 [5] A. Izaguirre, "Effect of water-repellent admixtures on the behaviour of aerial lime basedmortars", CEMCONCRES 39 (2009), 1095-1104. 60 IDENTIFICAZIONE DI LEGANTI POLIMERICI NATURALI E DI SINTESI CON SPETTROSCOPIA IR IN RIFLESSIONE Alessia Daveri1, Francesca Rosi2, Bruno Giovanni Brunetti,3,2, Antonio Sgamellotti3,2, Costanza Miliani2,3 1 Laboratorio di Diagnostica per i Beni Culturali di Spoleto P.zza Campello 2 - Rocca Albornoziana Spoleto (PG) 2 CNR-ISTM, c/o Dipartimento di Chimica, Università di Perugia, Via Elce di Sotto, 8, 06123Perugia 3 Centro di Eccellenza SMAArt, Dipartimento di Chimica, Università di Perugia, Via Elce di Sotto, 8, 06123 Perugia a.daveri@diagnosticabeniculturali.it Un ambito di forte interesse nel settore della diagnostica dei beni culturali è lo sviluppo di metodologie analitiche non invasive che permettano di ottenere informazioni sulla composizione chimica dei materiali artistici senza effettuare movimentazione dell’opera d’arte dal suo luogo di conservazione e senza effettuare prelievi che, se pur minimi, ne danneggino l’integrità. Numerosi sono gli studi conoscitivi condotti tramite il laboratorio mobile MOLAB su materiali pittorici attraverso l’integrazione di differenti tecniche di tipo elementare (XRF) e molecolare (FTIR in riflessione, riflettanza e fluorescenza UV-visibile, Raman, NIR) [1;2]. Ottimi risultati sono stati ottenuti per l’identificazione dei pigmenti inorganici [3], mentre più complesso è certamente lo studio dei leganti organici la cui conoscenza risulta essere di fondamentale importanza non solo per la tecnica pittorica ma anche per la conservazione ed il restauro dell’opera stessa. In questa direzione si indirizza il lavoro qui presentato che riguarda l’utilizzo della spettroscopia FTIR in riflessione per il riconoscimento di alcune classi di leganti utilizzate nella pittura antica ed in quella moderna. Per discutere le potenzialità e le limitazioni di questa tecnica viene dettagliato uno studio spettroscopico di modelli pittorici ottenuti mescolando leganti polimerici impiegati in pittura (tempera ad uovo, oli siccativi, resine acriliche, viniliche e alchidiche) con differenti pigmenti. In questo modo è possibile valutare le distorsioni spettrali delle bande diagnostiche della componente organica, causate dalla presenza congiunta della riflessione speculare e diffusa. Saranno inoltre presentati alcuni casi studio effettuati su policromie su tavola e tela realizzati con la spettroscopia nel medio infrarosso in riflessione nei quali è stato possibile fornire informazioni utili sulla classe di appartenenza del legante utilizzato. Riferimenti [1] C. Miliani, F. Rosi, B.G Brunetti, A. Sgamellotti: Acc. Chem. Res. 43, 728 (2010) [2] F. Rosi, C. Miliani, C. Clementi, K. Kahrim, F. Presciutti, M. Vagnini, V. Manuali, A. Daveri, L. Cartechini, B.G. Brunetti, A. Sgamellotti: Appl. Phys. A 100, 613 (2010) [3] C. Miliani, F. Rosi, A. Daveri, B. G. Brunetti Appl. Phys. A: Materials Science & Processing, 106, 295, (2012) Ringraziamenti Questo studio è stato svolto nell’ambito del progetto “Sviluppo e sperimentazione di prassi, procedure e tecniche in ambito di diagnostica-prevenzione-conservazione” del Laboratorio di Diagnostica per i beni culturali di Spoleto. 61 MONITORAGGIO “DIAGNOSTICO” DEL BENZO(A)PIRENE NEL PM10 A TARANTO Eleonora Andriani1, Lorenzo Angiuli2, Giorgio Assennato2, Massimo Blonda2, Anna Maria D’Agnano4, Piero Dambruoso1, Barbara Daresta1, Gianluigi de Gennaro1, Annamaria Demarinis Loiotile1, Alessia Di Gilio1, S. Ficocelli3, Roberto Giua 2, Maria Mantovan3, Vincenzo Musolino4, Micaela Menegotto3, Alessandra Nocioni4, Rossella Paolillo4, Valerio Rosito3, Maria Spartera3, Maria Tutino1 1 Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari 2 Arpa Puglia, Corso Trieste 27, 70126 Bari 3 Arpa Puglia, Ospedale Testa, Contrada Rondinella, 74123 Taranto 4 Arpa Puglia, Via Galanti 16, 72100 Brindisi Corresponding author. Tel:+39-80-5460252/+39-99-9946349 r.giua@arpa.puglia.it Keywords: benzo(a)pirene, PM10, Taranto, source apportionment Nel periodo novembre 2010÷luglio 2011, su incarico dell’Assessorato all’Ambiente della Regione Puglia, è stata svolta a Taranto una campagna di monitoraggio del benzo(a)pirene (BaP) nel PM10 in sette postazioni dislocate intorno all’area industriale e all’interno di essa, secondo due “transetti” disposti lungo le direzione dei venti dominanti. Tale campagna aveva l’obiettivo di fornire dati di concentrazione con una risoluzione temporale (valori giornalieri) e con una distribuzione spaziale tale da permettere di determinare la correlazione dei dati rilevati con le condizioni meteorologiche e con le sorgenti emissive presenti nell’area. Per il prelievo del particolato sul quale effettuare le analisi chimiche per la determinazione degli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono stati impiegati monitor bicanali o monocanali che hanno consentito, inoltre, la misura diretta della concentrazione del PM10 per attenuazione di raggi ß. A tali apparecchi sono stati affiancati alcuni monitor per l'analisi in continuo degli idrocarburi policiclici aromatici legati al particolato aerodisperso mediante fotoionizzazione selettiva, oltre ad un monitor per la misura del grado di rimescolamento dei bassi strati dello strato limite planetario (PBL) ed un monitor OPC (Optical Particle Counter) per il conteggio e la selezione dimensionale delle particelle aerodisperse mediante scattering di luce laser. Alla campagna “principale” sono state associate rilevazioni vento-selettive di microinquinanti organici ed inorganici e rilevazioni di IPA e BaP svolte all’interno degli ambienti di lavoro della cokeria. La metodologia impiegata per le misure del particolato aerodisperso e del BaP è stata, inoltre, validata con l’applicazione di uno specifico protocollo di qualità, riguardante sia le procedure analitiche che di campionamento. I risultati ottenuti hanno messo in evidenza, in concomitanza ad “eventi” corrispondenti a più alte concentrazioni di BaP, direzioni di provenienza del vento dall’area dello stabilimento siderurgico. Inoltre, la concentrazione del BaP “sottovento” rispetto allo stabilimento siderurgico è risultata, per la quasi totalità dei siti, superiore rispetto a quella “sopravento”, con rapporti particolarmente elevati per i siti più vicini all’area dello stabilimento siderurgico, in presenza di concentrazioni più alte di BaP nel particolato. 62 DIOXIN BIOACCUMULATION IN BOTTOM-MUSSELS FROM THE GULF OF TARANTO (IONIAN SEA, ITALY) COLLECTED IN SEMIENCLOSED TRANSITIONAL WATER BASINS NEAR URBAN AND INDUSTRIAL POLLUTION SOURCES Vittorio Esposito, Annamaria Maffei, Luca Gigante, Donato Bruno, Maria Spartera, Giorgio Assennato ARPA PUGLIA, Via Anfiteatro 8, 74100 Taranto, Italy. v.esposito@arpa.puglia.it The mainland used by Taranto industrial area and the bottom of two semienclosed transitional water basins, Mar Grande and Mar Piccolo, are part of one of the largest Italian remediation sites as listed by national legislation aimed at the identification and rehabilitation of polluted areas. POPs (dioxins, PCBs, PAHs, chlorinated pesticides) and heavy metals bioaccumulation studies in marine organisms as molluscs and necto-bentonic species have been performed in several Italian remediation sites as a preliminary assessment before sediment sampling and chemical analyses were started. The magnitude (or lack) of bioaccumulation was then used to steer the sampling effort, in both numerousness and array of chemical species analysed, towards the most critical areas as identified by the more polluted molluscs. ARPA Puglia performed the duplicate laboratory analysis for the determination of PCDD/Fs, dioxin-like PCBs, and total PCBs for 32 bottom-mussel samples with the aim of assessing the health of the seabed in relation with the pollutants discharged into local water basins by industrial, military an civil sources over the past decades and in order to validate the results obtained by contract laboratories. The Taranto area (Southern Italy) hosts several industrial facilities including thermal/combustion processes with remarkably high raw materials and high energy demand and known potential sources of PCDD/Fs and PCBs release to air, land, and water.3 These facilities include a large integrated steel plant, a medium-sized oil refinery, a large cement-works, two power plants, and three waste incinerators as well as a large naval base with military shipyards. Taranto is a relatively large southern Italian city, the capital of the Province of Taranto and an important commercial port, with a population of over two-hundred thousand inhabitants. The magnitude of the environmental pressure on the Taranto marine environment is known to some extent. Although there is some information on the potential impact of the measured environmental levels of heavy metals on the food chain through molluscs reared in Taranto coastal area, scarce data are available on presence of PCDD/F and dioxin-like PCBs in filter-feeding organisms at direct or close proximity with polluted sediments, like bottom-mussels, despite the presence of numerous rope-mussel culture installations. PCDD/Fs concentrations ranged from 0.27 to 2.48 pgWHO-TE/g and the lowest values were found for mussels collected in Mar Grande (mean 0,46 pgWHO-TE/g) while highest values were found for mussels from Mar Piccolo (mean 2.21 pgWHO-TE/g). Dioxin-like PCBs ranged from 1.55 to 12.59 pgWHO-TE/g with lowest values found for mussels collected in Mart piccolo east-side (mean 2.25 pgWHO-TE/g) while highest values were found for mussels from west-side (mean 11.22 pgWHO-TE/g). 63 STUDIO DEI NITRO-IPA NEL PARTICOLATO ATMOSFERICO Martino Amodio1, Eleonora Andriani1, Giorgio Assennato2, Paolo Rosario Dambruoso1, Barbara .E. Daresta1, Gianluigi de Gennaro1, Alessia Di Gilio1, Roberto Giua 2,, Antonello Laricchiuta1, Vincenzo Musolino3, Jolanda Palmisani1, Rossella Paolillo3, Livia Trizio1, Maria Tutino1 1 Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari 2 Arpa Puglia, Corso Trieste 27, 70126 Bari 3 Arpa Puglia, Via Galanti 16, 72100 Brindisi giangi@chimica.uniba.it Keywords: nitro-IPA, 2-nitro-fluorene, PM10, Taranto Gli idrocarburi policiclici aromatici nitrati, nitro-IPA, rappresentano una classe di composti organici caratterizzati dalla presenza di uno o più gruppi nitro sulla struttura degli idrocarburi policiclici aromatici [1-2]. I nitro-IPA presenti in atmosfera possono essere di origine primaria oppure prodotti in seguito a reazioni radicaliche tra IPA e agenti nitranti prodotti durante fenomeni di smog fotochimico. Gli impianti di trattamento del carbone, le cokerie, le acciaierie, le fonderie, il riscaldamento per uso domestico, la combustione di biomassa e gli scarichi autoveicolari, in particolare dei motori diesel, rappresentano le principali sorgenti antropiche di nitro-IPA in atmosfera [3]. Così come gli IPA, anche i composti nitrati sono da tempo oggetto di studio per il loro impatto sulla salute dell'uomo [4-5]. Alcuni di essi sono stati classificati dalla International Agency for Research on Cancer (IARC) in classe 2B: possibili cancerogeni per l’uomo e ancora particolare attenzione è rivolta al 2-nitrofluorantene per il suo elevato potere mutageno. Al fine di studiare il comportamento dei nitro-IPA in atmosfera in relazione alle diverse condizioni meteo, alla tipologia delle sorgenti emissive e alla distanza dei recettori sensibile, è stata condotta una campagna di monitoraggio di PM10 in 7 siti di campionamento posti a diversa distanza dall’area industriale della città di Taranto. Lo scopo ultimo del lavoro è determinare l’impatto di questi inquinanti sui siti recettori ed identificare eventuali marker di sorgente. Il campionamento delle poveri PM10 è stato effettuato con campionatori basso volume SWAM bicanale (FAI Instruments s.r.l.) su filtri da 47mm in fibra di quarzo. Contemporaneamente nei diversi siti è stata monitorata la concentrazione oraria di IPA totale utilizzando un analizzatore in continuo (ECOCHEM PAS 2000) e i principali parametri meteo. L’analisi dei campioni raccolti insieme ai dati meteo hanno mostrato che alte concentrazioni di nitro-IPA si registrano quando la direzione del vento è tale da permettere il trasporto degli inquinanti dall’area industriale sul sito sotto-vento. Inoltre lo studio delle concentrazioni dei singoli nitro-IPA ha permesso di identificare il 2-nitro fluorene come possibile marker delle emissioni industriali. Bibliografia [1] A. Cucinato et al., J Chromatogr. A, 846(1{2), 255-264 (1999). [2] J. Schnelle et al., Chemosphere, 31 (4), 3119-3127 (1995). [3] K. Levsen et al., Fresenius Z. Anal. Chem., 331, 467-478 (1988). [4] K. Hayakawa et al., Chromatogr J. Sep. Detect. Sci., 20(1), 37-43 (1999). [5] B. Beije et al., Mutat. Res. 196, 177-209 (1988). 64 ANALISI MODELLISTICA DI SOURCE APPORTIONMENT PER I MACROINQUINANTI DELL’AREA TARANTINA A. Morabito1, R. Giua1, A. Tanzarella1, S. Spagnolo1, T. Pastore1, M.Bevere1, E. Valentini1, G. Assennato1 , G. Tinarelli2, G. Brusasca2 1 ARPA Puglia, Centro Regionale Aria 2 ARIANET , Milano L’area tarantina è caratterizzata da emissioni in atmosfera di particolare rilievo per la presenza di rilevanti e molteplici complessi industriali nonché dell’area portuale. I risultati di diverse campagne di monitoraggio della qualità dell’aria, svolte da Arpa Puglia, hanno ormai accertato che l’area suddetta presenta criticità in relazione a sostanze inquinanti, di cui è riconosciuta la dannosità per la salute umana (benzo(a)Pirene, diossine e PM10). La stima delle emissioni, effettuata da Arpa Puglia per il 2007 con la redazione dell’inventario regionale emissivo Inemar, ha evidenziato inoltre nel comune di Taranto una presenza rilevante di inquinanti di origine primaria. Al fine di intraprendere opportune azioni di risanamento, è stata effettuata una valutazione quantitativa del contributo di diversi comparti emissivi sullo stato della qualità dell’aria (source apportionment) attraverso l’ausilio di tecniche modellistiche tridimensionali avanzate. La simulazione annuale, condotta per il 2007 con la catena modellistica SWIFT-SURFPRO-SPRAY con una risoluzione target pari a 500m, ha fornito l’impatto delle sostanze inquinanti primarie (benzene, PM10, PM2.5,ossidi di azoto e anidride solforosa) sul territorio tarantino, emesse da un alto numero di sorgenti che afferiscono a diversi comparti emissivi (sorgenti convogliate industriali, traffico, riscaldamento, attività portuali, sorgenti fuggitive, sorgenti diffuse industriali). L’utilizzo del codice lagrangiano a particelle SPRAY ha permesso in modo rapido e naturale di separare, identificare e calcolare l’apporto quantitativo di tali comparti all’interno delle matrici di concentrazione relativamente ad ognuna delle sostanze considerate. Il modello di dispersione è stato alimentato con i dati emissivi dell’inventario Inemar, predisposto da Arpa Puglia per il 2007. La meteorologia sull’area di studio è stata ricostruita con il codice meteorologico diagnostico SWIFT a partire dai campi meteorologici tridimensionali MINNI 2007, disponibili ad una risoluzione orizzontale di 4 km su un dominio spaziale che comprende l’Italia meridionale. La ricostruzione dei parametri turbolenti è avvenuta con il modello micrometeorologico SURFPRO. La metodologia messa a punto ha consentito di quantificare il contributo primario dei diversi comparti emissivi alle concentrazioni dei macroinquinanti, misurate dalle postazioni di monitoraggio della qualità dell’aria. La simulazione totale (somma di tutti i comparti emissivi), oltre ad individuare le aree maggiormente esposte ai fenomeni di inquinamento primario caratterizzando le condizioni meteorologiche più sfavorevoli, è stata utilizzata ai fini della verifica della conformità su base annuale dello stato della qualità dell’aria. 65 INTERAZIONE DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO CON BATTERI, NEMATODI E PIANTE Barbara Elisabetta Daresta1,*, Gianluigi de Gennaro1, Massimo Trotta2, Pasqua Veronico3 1 Università degli Studi di Bari, Dipartimento di Chimica, Via E. Orabona 4, 70126 Bari 2 CNR, Istituto per i Processi Chimici e Fisici, Via E. Orabona 4, 70126 Bari 3 CNR, Istituto per la Protezione delle Piante, Via G. Amendola 122/D, 70126 Bari barbara.daresta@chimica.uniba.it Il particolato atmosferico (PM) è costituito da una miscela di particelle solide e liquide aventi origine primaria e secondaria. La composizione chimica del PM varia notevolmente e dipende da fattori quali le fonti di combustione, il clima, la stagione e il tipo di inquinamento. Il PM è costituito da particelle di materiale carbonioso, da composti organici volatili o semi-volatili adsorbiti sulle particelle carboniose, da ioni, metalli di transizione, materiali di origine biologica e minerali. Se classificato in base alla sua granulometria, il PM è distinto in “coarse” e “fine” e le due frazioni comprendono le particelle aventi rispettivamente diametro aerodinamico superiore e inferiore ai 2.5 µm (PM2.5). Il particolato fine ed ultrafine è quello maggiormente associato agli effetti negativi sulla salute umana perché può raggiungere le vie respiratorie più profonde fino ad arrivare agli alveoli polmonari, tuttavia non si può escludere la pericolosità delle particelle, caratterizzate da diametro aerodinamico inferiore ai 10 µm (PM10). In generale gli effetti del PM sui diversi organismi variano a seconda della concentrazione in atmosfera, delle loro caratteristiche fisicochimiche e dal tempo di esposizione degli organismi a tale inquinante. In questo lavoro è stata studiata l’interazione del PM10 con tre differenti organismi. Estratti organici di PM10 (EOM) e soluzioni standard di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) sono stati testati sugli organismi modello Rhodobacter (R.) sphaeroides 2.4.1 e Caenorhabditis elegans. Campioni di PM10 raccolti su filtri in fibra di quarzo sono stati utilizzati come supporto per la crescita di piantine di pomodoro (Solanum lycopersicon). I risultati ottenuti indicano che gli effetti degli estratti organici di particolato atmosferico sono fortemente dipendenti dal tipo di organismo che ad essi viene esposto. Mentre il C. elegans subisce un effetto negativo, con una mortalità fino al 50% a partire dal secondo stadio larvale (Liuzzi et al, 2012), l’esposizione di R. sphaeroides agli EOM non mostra effetti dannosi, eccettuata una contenuta diminuzione della velocità di crescita. Le piante esposte al particolato mostrano un evidente cambiamento nella morfologia dell’apparato radicale e stress ossidativo rappresentato da un aumento del contenuto di radicali dell’ossigeno (ROS). Liuzzi V.C., Daresta B.E., de Gennaro G., De Giorgi C. Different effects of polycyclic aromatic hydrocarbons in artificial and in environmental mixture on the free living nematode C. elegans. Journal of Applied Toxicology, 2012; 32: 45–50. Lighty JS, Veranth JM, Sarofim AF. Combustion aerosols: factors governing their size and composition and implications to human health. Review. Journal of Air and Waste Management Association 2000; 50:1565–1618. Liuzzi V.C., Daresta B.E., de Gennaro G., De Giorgi C. Different effects of polycyclic aromatic hydrocarbons in artificial and in environmental mixture on the free living nematode C. elegans. Journal of Applied Toxicology, 2012; 32: 45–50. 66 RILEVAZIONI VENTO-SELETTIVE NELL’ARIA AMBIENTE IN PUGLIA PER LO STUDIO DELLE SORGENTI EMISSIVE DI MICROINQUINANTI ORGANICI E DI METALLI A. Nocioni4,*, L. Angiuli2, R. Barnaba4, P. Caprioli4, C. Colucci3, D. Calabrò3, F. Catucci, A.M. D’Agnano4, V. Esposito3, S. Ficocelli3, R. Giua2, A. Maffei3, M. Manca4, M. Menegotto3, V. Musolino4, R. Paolillo4, V. Rosito3, M. Spartera3, G. Assennato1 1 2 Direzione Generale Arpa Puglia, Bari, 70126 Direzione Scientifica Arpa Puglia, Bari, 70126 3 DAP Arpa Puglia, Taranto, 74100 4 DAP Arpa Puglia, Brindisi, 72100 Tel: 0831/536849, a.nocioni@arpa.puglia.it Keywords: Wind Select, Metalli, IPA, Diossine, PM10 A partire dal 2008, Arpa Puglia ha effettuato, sia nell’area tarantina che in quella brindisina, alcune campagne di monitoraggio vento selettive in aria ambiente di microinquinanti organici Policlorodibenzodiossine (PCDD) e Policlorodibenzofurani (PCDF), Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) e Policlorobifenili (PCB) mediante campionatori “Wind Select”; tali strumenti, dotati di sensore di direzione del vento e di tre cartucce composte da filtro piano per materiale particellare e adsorbente in schiuma di poliuretano (PUF), consentono di separare i volumi di aria in funzione della direzione di provenienza e di catturare su diversi supporti i microinquinanti organici provenienti da due differenti settori di vento ed in condizioni di calma di vento. Nell’ambito degli studi sulle fonti emissive ricadenti nelle aree monitorate, sono stati ottenuti interessanti risultati nell’area tarantina (Tamburi, Statte c/o Tecnomec, Masseria Carmine) dove sono state effettuate alcune campagne di monitoraggio finalizzate a valutare i contributi di sorgenti industriali, nell’area di Brindisi e della provincia (a Torchiarolo, sito industriale suburbano a pochi Km a Sud-SudEst rispetto alla centrale di ENEL) dove sono state ripetute rilevazioni nella stagione estiva ed invernale, per studiare i contributi delle emissioni da combustione di biomasse per riscaldamento domestico, differenziandoli da quelli industriali. Altre campagne sono state svolte a Melpignano (Lecce) e nell’area portuale del comune di Bari, al fine di determinare il contributo delle emissioni del traffico navale. Nel corso dell’anno 2011, tali strumenti sono stati implementati con ulteriori accessori che consentono di valutare le concentrazioni delle frazioni di materiale particolato PM10 e PM2.5 provenienti da diversi settori di vento e determinare, analiticamente, il relativo contenuto dei metalli: il primo campionamento è stato svolto a Brindisi, in un’area industriale limitrofa alla città, il secondo a Torchiarolo (BR), il terzo a Modugno (BA) in zona industriale/commerciale e il quarto a Taranto, in un sito industriale; contemporaneamente a quest’ultimo, in altri due siti limitrofi, sono state eseguite due campagne vento-selettive per microinquinanti organici. La caratterizzazione chimica dell’aria ambiente campionata in modalità vento-selettiva ha permesso, in alcuni casi, di identificare la provenienza degli inquinanti ricercati da determinate sorgenti emissive. I risultati degli studi effettuati dall’Agenzia sono resi pubblici sul sito www.arpa.puglia.it. Ringraziamenti Si ringrazia il dott. Antonio Fornaro di LabService Analytica s.r.l. per il supporto fornito nel corso dei campionamenti. 67 SINGLE PARTICLE SEM-EDX ANALYSIS OF PARTICULATE MATTER IN THREE DIFFERENT SITES Alessandra Genga1, Federico Baglivi1, Maria Siciliano1, Tiziana Siciliano1, Carmela Tortorella2, Domenico Aiello2 a Dipartimento di Scienza dei Materiali, University of Salento, via per Arnesano, 73100 Lecce, Italy. b Enel Ingegneria ed Innovazione - Area Tecnica Ricerca - Litoranea S.na Brindisi Casalabate Località Cerano - Tuturano (Br), Italy. alessandra.genga@unisalento.it The undeniable effect of the presence of particulates in the atmosphere is the increasing number of people affected by problems of the respiratory and cardiovascular. Epidemiological studies have shown an the associations between levels of particulate matter and respiratory and cardiovascular disease mortality in the short and long term exposure. The biological mechanisms are not yet been clarified and especially remains to be defined which parameters are more biologically relevant, for example the size fraction, the number or mass of the particles, the chemical composition of the same. The use of a scanning electron microscope has permitted the investigation of morphological and chemical parameters of the particles. In fact, the simultaneous characterization of both physicalchemical, morphological and dimensional parameters of a complex mixture of organic and inorganic particulate is one of the major aspects for the characterization and identification of emission sources which contribute to the concentration of particulate matter in the atmosphere (Contini et all. , 2010). The particles collected on filters, used for the sampling of urban air, have a large number of shapes and sizes (Ebert, Inerle-Hof, & Weinbruch, 2002; Ebert, Weinbruch, Hoffmann, & Ortner, 2004; Shi et al. 2003; Willis , Blanchard, and Conner, 2002). Disregarding this morphological and dimensional variety, the effects of many processes may not adequately considering , such as the absorption of volatile molecules of pollutants and water, the chemical reactivity and the origin of the particles. Morpho-chemical characterisation of particles was performed by ESEM - EDS microanalysis: 20 chemical parameters (C, O, Na, Mg, Al, Si, P, Cd, Cl, K, Ca, Sn, Ti, Cr, Mn, Fe, Co, Ni, Cu, Zn) were determined and 7 morphological parameters (area, aspect ratio, roundness, fractal dimension, box width, box height, perimeter) were measured by Image Pro Analyzer 6.3. A chemical and morphological characterization of particulate matter belonging to three sites was carried out: an urban site, a rural site and an industrial yard site. The particles were clustered according to their composition and. It has been made then a characterization of the three sites based on distribution of these clusters. References 1) Contini et all. 2010 2) Ebert, Inerle-Hof, & Weinbruch, 2002; 3) Ebert, Weinbruch, Hoffmann, & Ortner, 2004; 4) Shi et al. 2003; 5) Willis, Blanchard, e Conner, 2002 68 IMPATTI DELLE COMBUSTIONI DI BIOMASSE IN AMBIENTI INDOOR E OUTDOOR Eleonora Andriani, Paolo Rosario Dambruoso, Gianluigi de Gennaro, Annamaria De Marinis Loiotile, Alessia Di Gilio, Valerio Di Palma, Annalisa Marzocca, Antonio Mazzone, Jolanda Palmisani, Francesca Porcelli, Maria Tutino Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari di Bari, via Orabona, 4, 70126 Bari gianluigi.degennaro@uniba.it Parole chiave: Combustione di biomassa, Indoor, Outdoor, Materiale particellare Studi epidemiologici dimostrano che la combustione di biomassa determina l’emissione in aria di particelle fini e ultrafini in grado di raggiungere le vie aeree più profonde e di determinare effetti negativi sulla salute umana [1]. La combustione degli scarti della potatura degli alberi di ulivo è una pratica comune nelle aree rurali del Sud Italia e la prossimità delle zone rurali alle aree urbane determina una maggiore esposizione stagionale della popolazione agli inquinanti atmosferici. E’ crescente inoltre l’interesse della comunità scientifica nei confronti dei fenomeni di inquinamento indoor connessi alla combustione delle biomasse [2], come ad esempio l’utilizzo di stufe e caminetti. Il presente lavoro si pone come principale obiettivo un’attenta valutazione dell’impatto della sorgente emissiva “biomass burning” sui livelli e sulla composizione chimica del materiale particellare in ambienti indoor ed outdoor. Nell’ambito di due campagne di monitoraggio effettuate in un sito rurale interessato da un’attività di combustione di scarti di potature, sono stati collezionati campioni giornalieri di PM10 mediante l’ausilio di un campionatore alto volume (Tisch Environmental). Durante le campagne di monitoraggio sono stati raccolti campioni di PM10 inducendo e controllando la combustione degli scarti di potatura per circa tre ore al giorno. Il campionamento di PM10 è stato inoltre condotto in abitazioni con caminetti di differente tipologia (aperti, chiusi, termo camini) utilizzando un campionatore sequenziale (campionamenti di 12 ore). Al fine di studiare le distribuzioni dimensionali delle particelle prodotte durante gli eventi di combustione di biomassa e comprendere l’evoluzione temporale dei diversi inquinanti, è stata utilizzata strumentazione ad alta definizione temporale. In particolare, per entrambi gli studi sono state determinate la concentrazione numerica delle particelle e la concentrazione totale degli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) attraverso l’uso di un Contatore Ottico di Particelle (OPC) e di un analizzatore di IPA (EcochemPas 2000), rispettivamente. La caratterizzazione chimica dei campioni di PM10 è stata effettuata al fine di determinare quantitativamente ioni, elementi e IPA e l’analisi preliminare dei dati sperimentali raccolti ha messo in evidenza l’importanza di alcuni traccianti organici ed inorganici nell’interpretazione dell’influenza della sorgente emissiva “biomass burning” sulle concentrazioni atmosferiche di PM10. Riferimenti bibliografici: 1) Nadadur, S.S et al, Toxicol. Sci. 318-327, 100(2007). 2) Gehin, E., et al, Atmospheric Environment, 42, 8341–8352(2008). 69 SOLVAL® UNA REALTA’ INDUSTRIALE CONSOLIDATA PER IL RECUPERO DEI RESIDUI SODICI DAL TRATTAMENTO FUMI. Franco Bertocchi Solvay Valorizzazione Alcali – SOLVAL S.p.A. via Aurelia 247, 57013 Rosignano Solvay (LI) franco.bertocchi@solvay.com La protezione dell’ambiente e, più specificatamente, la preservazione della qualità dell’aria rappresentano oggi una priorità sia per la salute umana che per la salvaguardia sociale. Il controllo della qualità dell’aria attraverso il monitoraggio delle emissioni gassose in atmosfera rappresentano una delle sfide più impegnative per la nostra società, le autorità pubbliche e le aziende che svolgono attività industriali. In questo contesto, le aziende debbono soddisfare i requisiti sempre più impegnativi che le norme impongono per le emissioni gassose di origine industriale Nel più specifico contesto della gestione dei rifiuti, la legislazione Europea spinge sempre di più ad incrementare gli sforzi nel senso di minimizzare l’impatto ambientale indotto dai rifiuti generati da qualsiasi prodotto/processo produttivo, attraverso il loro riciclaggio o recupero. Il processo NEUTREC®, sviluppato da SOLVAY, rappresenta una semplice ed efficiente tecnologia basata sull’iniezione di bicarbonato di sodio finemente macinato direttamente nelle emissioni gassose che debbono essere purificate. Il bicarbonato di sodio, grazie alla struttura fisico-chimica dei grani che lo compongono, neutralizza efficacemente le componenti acide (acido cloridrico, SOx, acido fluoridrico etc.) tipiche dei fumi da combustione. Questo processo genera un rifiuto, i Prodotti Sodici Residui (PSR), che in alcuni contesti industriali possono essere direttamente riciclati all’interno dei cicli produttivi che li hanno originati, in altri casi si deve provvedere al loro smaltimento o recupero esternamente ai cicli produttivi di origine. Nel caso d’inceneritori di rifiuti urbani o ospedalieri, laddove sia utilizzato un doppio sistema di filtrazione dei fumi, i PSR raccolti nel secondo filtro sono costituiti principalmente da sali di sodio nelle forme cloruro, solfato e carbonato. Contengono inoltre altri contaminanti, costituiti essenzialmente da residuali quantità di ceneri volanti non trattenute dalla prima fase di filtrazione, carbone attivo e metalli pesanti. Questa tipologia di rifiuti non può essere riciclata all’interno del processo che li ha generati e deve quindi essere smaltita o recuperata in altro modo. Solvay ha sviluppato, brevettato ed industrializzato una nuova tecnologia - il processo SOLVAL® - come parte complementare del processo NEUTREC®: i PSR sono recuperati producendo una salamoia concentrata di tale purezza che viene utilizzata nel classico processo Solvay di produzione del carbonato di sodio, in sostituzione di una delle materie prime basilari che costituiscono questa tecnologia. Nel processo SOLVAL® i PSR sono disciolti in acqua a pH controllato, sono aggiunti opportuni additivi, e la sospensione è filtrata per filtropressatura, separando così la componente solubile da quella insolubile, costituita essenzialmente da metalli pesanti precipitati in varie forme, carbone attivo e ceneri volanti. Si ottengono così una salamoia grezza ed un rifiuto ultimo solido. La salamoia è sottoposta ad un ulteriore trattamento di raffinazione su carboni attivi granulari, mirato alla rimozione di eventuali tracce di sostanze organiche disciolte, ed un passaggio finale su colonne a resine scambiatrici di ioni per un più spinto abbattimento di metalli pesanti in tracce. La salamoia risultante da questo trattamento di ulteriore purificazione rappresenta il prodotto finito del processo SOLVAL® ed al contempo la materia prima destinata ad essere utilizzata nel processo Solvay di produzione del carbonato di sodio. Il rifiuto prodotto dalla filtropressatura è smaltito in apposite discariche autorizzate e se ne produce mediamente in ragione di 1 – 3 kg per tonnellata di rifiuto urbano incenerito. L’impianto 70 SOLVAL® non produce effluenti liquidi: qualsiasi fluido derivante da fasi di lavaggio o rigenerazione è intermante riciclato all’interno del processo. La tecnologia qui descritta è realizzata a livello industriale nell’impianto situato a Rosignano Solvay (LI), di proprietà di SOLVAY VALORIZZAZIONE ALCALI - SOLVAL S.p.A, società appartenente al Gruppo SOLVAY. L’elevato grado di eco compatibilità del processo SOLVAL® è riassumibile in almeno i seguenti aspetti: - elevato tasso di recupero: la componente del PSR recuperate è costtuita dalla loro porzione solubile, che rappresenta mediamente il 90-95% del rifiuto tal quale; - l’impiego industriale dei PSR così recuperati in sostituzione di una materia prima, produce una corrispondente riduzione dello sfruttamento di quelle risorse naturali usualmente impiegate per produrre tale materia prima; - elevato tasso di riduzione dei rifiuti destinati a smaltimento: il rifiuto finale derivante dal processo SOLVAL® rappresenta mediamente il 10 – 20% in peso dei PSR trattati; - la collocazione geografica del’impianto SOLVAL®, baricentrica rispetto al territorio nazionale, contribuisce ad ottimizzare gli aspetti logistici, in termini sia di riduzione dei chilometraggi medi di trasporto che di corrispondente riduzione delle emissioni di CO2. 71 VOLATILE SILOXANES IN THE ATMOSPHERE: EMERGING CHALLENGES, ASSESSING SOURCES, SPATIAL DISTRIBUTION AND AIR QUALITY Francesca Pieri1, Alessandra Cincinelli1,2, Tania Martellini1, Kevin C. Jones2, Andy Sweetman2 1 Dipartimento di Chimica “Ugo Schiff”, Università di Firenze, Via della Lastruccia 3, 50019 Sesto Fiorentino (FI) 2 Lancaster Environment Centre, Lancaster University, Lancaster, LA1 4YQ, U.K. francesca.pieri@unifi.it Cyclic and linear volatile methyl siloxanes are widely used in personal care products, cosmetics and industrial applications (biomedical products, surface treatment agents, plasticizers and construction materials). These compounds are of environmental concern due to their volatility, persistence and tendency to bioaccumulate. The purpose of this study was to investigate their occurrence and distribution in indoor air, including domestic (bathrooms, living rooms, boys-girls-adult rooms) and non domestic (supermarkets, offices, schools, waste disposal centre) environments, as well as outdoor air environments. An extensive air sampling campaign was performed contemporarily in the UK and Italy during 2011. Indoor air samples (n 100) were collected on adsorption Tenax GR cartridges, using conventional portable air sampling pumps. Sampling cartridges were desorbed using the Automatic Thermal Desorber UNITY2 coupled to a GC/MS-system. In addition, to investigate the global distribution of linear and cyclic volatile methyl siloxanes, 85 sorbent-impregnated polyurethane foam (SIP) disk passive air samplers were deployed at 18 sites worldwide, along a rural/remote latitudinal transect from Portugal to Norway and extracted in soxhlet. Source evaluation was also investigated by Compound Specific Isotope Analysis (CSIA). Source identification of siloxanes, using isotopic signatures assumes that the compound specific isotope composition is subject to less chemical and biological alteration than traditional molecular compositions. CSIA quantifies isotopic composition and hence provides additional and often unique means to allocate and distinguish sources of siloxanes, and identify and quantify transformation reactions. 72 MODIFICA DELLA COMPOSIZIONE CHIMICA DEL PM FINE DA OUTDOOR A INDOOR: SORGENTI INDOOR (BPA) E PERDITA DEI SEMI-VOLATILI (IPA E IONI INORGANICI) Giorgia Sangiorgi1, Luca Ferrero1, Barbara Sara Ferrini1, Claudia Lo Porto1, Maria Grazia Perrone1, Roberta Zangrando2, Andrea Gambaro2,3, Zelda Lazzati4, Ezio Bolzacchini1 1 Dipartimento di Scienze Ambientali, Università degli Studi di Milano - Bicocca, piazza della Scienza 1, 20126, Milano 2 Istituto per le Dinamiche dei Processi Ambientali - CNR, Dorsoduro, 2137, 30123 Venezia 3 Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, Università di Venezia, Ca’ Foscari, 30123 Venezia 4 Public Health Laboratory – Environmental Health and Water Chemistry, Local Public Health Unit USL 2, piazza Aldo Moro, 55012 Capannori, Lucca giorgia.sangiorgi1@unimib.it Negli ultimi anni, sono stati fatti molti sforzi per determinare la qualità dell’aria indoor, ma poca attenzione è stata rivolta agli uffici, nonostante siano gli ambienti dove molte persone trascorrono la maggior parte del proprio tempo lavorativo. L’obiettivo dello studio è stato valutare il livello di PM fine in alcuni uffici di Milano e nel corrispondente ambiente outdoor. Sono stati selezionati uffici caratterizzati dall’assenza di importanti sorgenti indoor di PM, quali fumo di sigaretta e impianti di condizionamento dell’aria. Durante due campagne di misura (ago-ott 2007, gen-mar 2008), sono stati raccolti campioni di PM1 e PM2.5, poi analizzati per determinare la concentrazione di composti con potenziale effetto negativo (diretto o indiretto) sulla salute umana: BpA, IPA e ioni inorganici solubili in acqua. Si è osservata una buona correlazione tra concentrazioni di PM indoor e outdoor (R2~0.87). Inoltre, il livello indoor di PM è risultato sempre minore rispetto all’outdoor (max I/O = 0.92). Dalla regressione lineare tra le concentrazioni outdoor e indoor si è ricavato un fattore d’infiltrazione, FINF, medio di 0.55, indicando che circa la metà del PM outdoor (~ 18 µg/m3) è entrato nell’ambiente indoor. Quindi, per gli uffici in studio, l’ambiente outdoor è una forte sorgente di PM indoor. La concentrazione di particolato generato da sorgenti indoor, Cig, invece è risultata molto bassa, con valori da 0 a 4.4 µg/m3 (<25% della concentrazione del PM indoor), confermando il piccolo contributo delle sorgenti indoor di PM per gli ambienti selezionati. L’analisi della regressione lineare tra la concentrazione indoor e outdoor delle specie chimiche analizzate nel PM ha dimostrato che non erano presenti negli uffici efficaci sorgenti di queste molecole (Cig <25% della concentrazione indoor). Unica eccezione è rappresentata dal BpA, per il quale si ha Cig~58%. Possibili sorgenti di questa specie negli uffici sono le componenti elettroniche dei computer (Salapasidou et al. 2011). L’analisi dei valori di FINF permette di dimostrare la presenza di un effetto di perdita per volatilizzazione dalla fase particolata alla fase gassosa dei composti semi-volatili organici (IPA a 4-5 anelli) e inorganici (nitrato d’ammonio). Per tenere conto di questo fenomeno viene suggerita l’introduzione di un nuovo parametro, chiamato volatilization effect vc, da inserire nell’equazione di regressione lineare tra concentrazione outdoor e indoor del PM. Salapasidou M., Samara C., Voutsa D. (2011) Atmos. Environ. 45(22), 3720-3729. 73 APPLICAZIONE DI UN APPROCCIO INTEGRATO PER LA VALUTAZIONE DELLE EMISSIONI ODORIGENE DI UN IMPIANTO DI ESTRAZIONE E LAVORAZIONE DI PETROLIO GREGGIO Magda Brattoli, Simona Catino, Paolo Dambruoso, Gianluigi de Gennaro, Annamaria Demarinis Loiotile, Stefania Petraccone Dipartimento di Chimica – Università degli Studi di Bari “A. Moro”, via Orabona, 4 70126 Bari m.brattoli@chimica.uniba.it La valutazione di un caso di molestia olfattiva richiede l’impiego di differenti metodologie che, opportunamente integrate, possono contribuire a comprendere in maniera efficace la problematica, che si caratterizza per la sua notevole complessità. Il presente lavoro ha focalizzato l’attenzione sullo studio delle emissioni odorigene di un impianto di estrazione e lavorazione greggio. L’obiettivo è stato quello di verificare, con approcci metodologici oggettivi, la reale entità della molestia olfattiva nonché di identificare un metodo oggettivo in grado di rilevare, in continuo, la percezione dell’odore. Per la particolare natura delle miscele odorigene, è necessario impiegare metodi e parametri di misura differenti da quelli utilizzati per gli altri inquinanti atmosferici e passare da un approccio più rigorosamente analitico ad uno sensoriale. Infatti, per questo specifico studio, sono state effettuate misurazioni puntuali in aria ambiente, attraverso la metodologia ufficiale per la determinazione delle concentrazioni di odore, l’olfattometria dinamica (standardizzata dalla norma tecnica UNIEN 13725/2004), e misurazioni in continuo attraverso l’impiego di un naso elettronico, installato presso il recettore. A supporto delle determinazioni strumentali, è stata coinvolta direttamente la popolazione residente nei dintorni dell’impianto attraverso la somministrazione di questionari per il rilevamento del disturbo olfattivo con lo scopo di segnalare gli episodi di molestia e la loro durata. Sia i risultati olfattometrici sia quelli ottenuti attraverso naso elettronico hanno evidenziato episodi significativi di emissione odorigena in aria ambiente. L’attribuzione di tali eventi alla sorgente è stata verificata attraverso l’analisi delle direzioni del vento, registrate in fase di campionamento. Dall’analisi integrata dei risultati sono emerse corrispondenze tra segnale strumentale, direzioni del vento e segnalazioni dei residenti. In conclusione, l’approccio integrato utilizzato nel presente lavoro si è dimostrato particolarmente adatto per la comprensione del fenomeno complessivo con particolare riguardo per l’implementazione del sistema di monitoraggio in continuo, indispensabile per la tipologia di sorgente, non caratterizzata da emissioni regolari nel tempo. Bibliografia [1] EN13725: Air Quality—Determination of Odour Concentration by Dynamic Olfactometry; Committee for European Normalization (CEN), Brussels, Belgium, 2003. [2] Brattoli, M.; de Gennaro, G.; De Pinto, V.; Demarinis Loiotile, A.; Lovascio, S.; Penza, M. Odour Detection Methods: Olfactometry and Chemical Sensors. Sensors 2011, vol. 11, pag. 52905322. [3] Walker, J.C. The performance of the human nose in odour measurement. Water & Science Technology, 2001Vol. 44, No. 9, pp. 1-7 74 UTILIZZO DEGLI ISOTOPI STABILI DEL CARBONIO E DELL'AZOTO NEL PARTICELLATO ORGANICO IN UN AMBIENTE DI TRANSIZIONE (LAGUNA DI VENEZIA) Daniela Berto1, Federico Rampazzo1, Seta Noventa1, Federica Cacciatore1, Rossella Boscolo Brusà1, Massimo Gabellini2 1 ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Brondolo, 30015 Chioggia ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, via Vitaliano Brancati 48, Roma 00144 daniela.berto@isprambiente.it 2 L'analisi dei rapporti degli isotopi stabili del carbonio e dell'azoto è una promettente tecnica analitica ampiamente utilizzata in studi ecologici (reti trofiche), in campo ambientale e nel settore alimentare. Le variazioni stagionali e spaziali rapporti isotopici stabili del carbonio e dell'azoto (δ13C e δ15N) permettono di identificare le possibili fonti, alloctone (input terrestri e antropici) e autoctone (produzione primaria fitoplantonica, microfitobentonica e produzione chemioautotrofa), che entrano in sistemi ecologici complessi, quali gli ambienti di transizione, soggetti ad apporti di diversa natura. L'utilizzo del δ13C e del δ15N nel particellato organico (POC), integra inoltre l'informazione relativa ai processi biogeochimici, quali la produzione primaria e i cicli dei nutrienti, che si verificano negli ambienti acquatici. Lo scopo del presente lavoro è stato di valutare δ13C e δ15N nel POC in Laguna di Venezia. Il campionamento della colonna d'acqua è stato eseguito stagionalmente da febbraio 2011 a febbraio 2012 in 30 stazioni della Laguna di Venezia, appartenenti alla rete di monitoraggio istituita per la Direttiva 2000/60/CE. Oltre alle analisi del particellato (POC, δ13C, δ15N e rapporto molare C/N) sono stati determinati anche i nutrienti (nitriti, nitrati, ammoniaca, ortofosfati) e il carbonio organico disciolto. I risultati evidenziano l'influenza sia di fonti autoctone che alloctone in tutte le stazioni della laguna. Tuttavia, in autunno, valori di δ13C più negativi e rapporti molari C/N più alti, potrebbero indicare una maggiore influenza delle fonti alloctone causata dall'aumento degli apporti di acque dolci dalla gronda. Sono state osservate, inoltre, fluttuazioni stagionali di δ15N con arricchimento dell'isotopo pesante (15N) nei periodi primaverili ed estivi, e una diminuzione dei valori δ15N nei periodi autunnali e invernali. Diversi processi, quali la fissazione dell'azoto e il riciclo dei nutrienti, potrebbero spiegare i bassi valori di δ15N, anche se non si esclude un possibile contributo stagionale di fonti alloctone, in particolar modo nelle stazioni più confinate e a minor salinità. I risultati ottenuti in questo studio evidenziano che l'utilizzo dei rapporti isotopici del carbonio e dell'azoto rappresenta un approccio alternativo rispetto alla determinazione dei parametri chimico-fisici classici, sia per tracciare e discriminare tra i differenti apporti, sia per lo studio dei processi biogeochimici in ecosistemi complessi come gli ambienti di transizione. 75 UTILIZZO DEGLI ORGANISMI MARINI NEL MONITORAGGIO AMBIENTALE DI AREE MARINO COSTIERE: UN ESEMPIO DAL MAR PICCOLO DI TARANTO Manuela Belmonte1, Antonella Di Leo1, Fabrizio Frontalini2, Santina Giandomenico1, Mattia Greco2, Lucia Spada1, Luciana Ferraro3, Fernando Rubino1 1 Istituto per l’Ambiente Marino Costiero (IAMC) – CNR, U.O.S. Talassografico “A. Cerruti”, Taranto 2 Dipartimento di Scienze della Terra, della Vita e dell’Ambiente, Università di Urbino 3 Istituto per l’Ambiente Marino Costiero (IAMC) – CNR, Sede di Napoli rubino@iamc.cnr.it Negli ultimi decenni innumerevoli perturbazioni hanno condizionato l'ecosistema marino causandone una degradazione sempre più allarmante, così come dimostrano anche i cambiamenti nella biodiversità causati, direttamente o indirettamente, da attività antropiche. Per tale motivo l’attenzione ai problemi ambientali si è notevolmente accresciuta e la ricerca di nuove metodologie e tecniche per il monitoraggio degli ecosistemi marini si è fatta più attiva ed accurata. In generale le aree costiere e gli ambienti di transizione sono le zone più esposte a stress legati ad attività umane, che si ripercuotono soprattutto sulle comunità bentoniche alterando i parametri strutturali quali densità e diversità, che costituiscono elementi da cui è possibile ricavare informazioni sullo stato di salute di un sito nel lungo periodo. Tra gli organismi bentonici i foraminiferi rappresentano un gruppo di protozoi ampiamente diffusi in tutti gli ambienti marini e salmastri e da molti anni vengono utilizzati in studi sulla valutazione della qualità ambientale di aree sottoposte ad intensa attività antropica. Questi organismi, vivendo in corrispondenza dell’interfaccia acqua-sedimento o pochi centimetri al di sotto, sono molto sensibili alla variazione, sia per cause naturali che antropiche, delle variabili fisico-chimiche ambientali (salinità, temperatura, ossigenazione, etc.). Tali variazioni influenzano sia la distribuzione che la struttura delle associazioni a foraminiferi, con la dominanza di poche specie opportuniste o la manifestazione in singoli individui di anomalie morfologiche e di taglia, soprattutto in aree soggette ad elevato stress ambientale. D’altra parte, la scoperta che molte specie planctoniche producono stadi dormienti che cadono verso il fondo del mare dove aspettano la successiva stagione favorevole, permette di utilizzare anche questi organismi, alla base della catena alimentare nel mare, quali bioindicatori di quanto avviene nella colonna dacqua. In questa maniera, il campionamento dei sedimenti di un’area marina costiera, permette di monitorare le risposte sia del microplancton che del microbenthos a possibili eventi di disturbo dell’equilibrio dell’ecosistema. In questo lavoro viene illustrato uno studio pilota condotto nel Mar Piccolo di Taranto, sito di bonifica di interesse nazionale, attraverso il prelievo di sedimenti superficiali in 10 stazioni per ciascun bacino (primo e secondo seno). I campioni sono stati analizzati allo scopo di definire sia le correlazioni tra le associazioni viventi a foraminiferi bentonici, gli stadi dormienti del plancton e la contaminazione dei sedimenti, sia l’utilizzo di questi organismi come bioindicatori del livello dello stress ambientale. 76 INFLUENZA DEL CLIMA, DELLA CIRCOLAZIONE ATMOSFERICA E DEI TRASPORTI ESTERNI SUL PARTICOLATO: DUE METODOLOGIE CHEMOMETRICHE A CONFRONTO Mauro Masiol, Stefania Squizzato, Giancarlo Rampazzo, Bruno Pavoni Dip. Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, Università Ca’ Foscari Venezia, Dorsoduro 2137, 30123 Venezia. masiol@unive.it La Pianura Padana presenta tra i più alti livelli di inquinanti atmosferici di tutta Europa, con livelli che eccedono frequentemente i limiti imposti dalle Direttive Comunitarie. Le cause di questi alti livelli di inquinanti sono da attribuire all’elevata urbanizzazione ed industrializzazione del territorio, ma soprattutto alle peculiari condizioni orografiche che favoriscono la stagnazione delle masse d’aria limitandone la dispersione. L’area veneziana si trova in una posizione ideale per studiare gli effetti della circolazione atmosferica locale e dei trasporti a scala regionale, poiché presenta scenari emissivi comuni ad altre grandi città del Nord Italia ed è situata tra la Pianura Padana ed il Mare Adriatico. Le fonti locali di inquinamento sono rappresentate da zone residenziali ad alta densità (~270000 abitanti), strade ed autostrade fortemente trafficate, l’estesa area industriale di Porto Marghera (che include impianti petrolchimici, inceneritori di rifiuti solidi urbani, una centrale termoelettrica a carbone, industrie metallurgiche, ecc.), il distretto del vetro artistico di Murano ed un inteso traffico marittimo dovuto a trasporti pubblici, imbarcazioni private, un porto turistico ed uno commerciale. Recentemente, alcuni studi condotti nell’area veneziana hanno permesso di individuare e quantificare le sorgenti di emissione più importanti, mettendo in luce sia l’influenza dei fenomeni di generazione locali che il ruolo dei trasporti esterni a scala continentale e regionale [1,2]. Questo contributo presenta i risultati di uno studio sul particolato atmosferico fine (PM 2.5) condotto in un sito industriale a Marghera. Le analisi hanno permesso di determinare quantitativamente la massa del particolato con il metodo gravimetrico, 6 ioni inorganici maggiori (Cl–, NO3–,SO42–, Na+, NH4+, Mg2+) in cromatografia ionica, 15 elementi (Mg, Al, Ca, K, Ti, V, Mn, Fe, Ni, Cu, Zn, As, Cd, Ba e Pb) in ICP-OES e ICP-MS e 11 congeneri di idrocarburi policiclici aromatici (Fluor, Pyr, BaA, Chry, BbF, BkF, BeP, BaP, IcdP, DBahA e BghiP) in GC-MS. L’applicazione di un modello a recettore ha permesso di individuare le sorgenti di emissione più importanti e di stimarne i contributi sulla massa del particolato. La successiva applicazione di due metodologie chemiometriche recentemente sviluppate [1,3] ha permesso di determinare l’influenza dei trasporti a scala regionale e continentale sulle varie sorgenti di particolato, di individuare la composizione chimica del fondo locale e di studiare il ruolo di alcuni parametri micrometeorologici sulla chimica dell’aerosol. [1] Masiol M. et al., Chemosphere 80 (2010) 771 [2] Squizzato S. et al. J. Aerosol Sci. 46 (2012) 64 [3] Masiol M. et al., Atmos. Environ. 54 (2012) 127 77 CHE IMPORTANZA VIENE DATA AGLI INSEGNAMENTI DEL SSD CHIM/12 NELLA FORMAZIONE DI SCIENZIATI DELLA CONSERVAZIONE, CONSERVATORI E RESTAURATORI Antonella Casoli Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Parma, viale G.P. Usberti 17/a; 43121 Parma antonella.casoli@unipr.it Vengono presi in esame: i corsi di laurea triennali, attivi negli Atenei italiani, delle classi L-1 Beni culturali e L-43 -Tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali, i corsi di laurea magistrale della classe LM-11 - Scienze per la conservazione dei beni culturali. Particolare attenzione verrà rivolta alle nuove istituzioni formative accreditate allo svolgimento dei corsi di formazione dei restauratori, impiegando la classe di laurea a ciclo unico LMR/02 - Conservazione e restauro dei beni culturali. Da questa indagine si vuole mettere in evidenza la presenza degli insegnamenti del settore scientifico disciplinare CHIM/12 – Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali nella offerta formativa degli atenei italiani e delle istituzioni accreditate. 78 ELEMENTAL AND ISOTOPIC CHARACTERIZATION OF WAR RESIDEUS DATING BACK TO THE FIRST WORLD WAR Veronica Ros 1, Vittoria Laterza 2,3, Clara Turetta 4, Jacopo Gabrieli 4, Warren Cairns 4, Eleonora Balliana 1, Carlo Baroni3, Aldino Bondesan2, Carlo Barbante 1,4 1 Department of Environmental Sciences, Informatics and Statistics, University Ca’ Foscari of Venice, Via Torino 155/b, 30175 Mestre (VE), 2 Geography Department, University of Padua 3 Earth Science Department, University of Pisa 4 Institute for the Dynamics of the Environmental Processes – National Research Council (IDPA-CNR), Venice eleonora.balliana@unive.it A comparison of the elemental and isotopic composition of bullets and projectiles from old conflicts could give useful information for forensic science and archaeometry. Projectiles, bullets, cartridge cases and Pb artillery shots, dated back to the First World War, were analysed by inductively coupled plasma quadrupole mass spectrometry equipped with an octopole reaction system (ORS-ICP-QMS) to determine both the trace elemental composition and the Pb isotope ratios. Multivariate statistical analysis techniques were applied to the dataset to evaluate the different origins and characteristic of the war residues. The core of rifle bullets of Italian and Austro-Hungarian origin is characterized by high levels of Li, Sr, Cd, Ga and Ba compared to Russian, German and British bullets which all show higher concentrations of Ag and Mo. The origin of the bullet cores cannot be discriminated through the study of Pb isotopic ratios, while the external jacketing of Italian and Austro-Hungarian samples are well discriminated. This could mean that while the bullet cores were made using seized or salvaged war materials, the external jacket, which represents the most important part of a bullet, is principally made higher quality materials using non re-cycled metal from definite sources. Moreover, the external armoured jacket is different depending on the weapon type and is nation specific. Similarly, the Pb isotope ratios of Italian and Austrian artillery lead shots (shrapnels) differ significantly, allowing a good discrimination between these two groups. The elemental and isotopic characterization of bullets and projectiles dating back to the First War World provides important information on the allocation of war materials in terms of country of provenance, production period and weapon typology. 79 IL RUOLO DEGLI INQUINANTI AMBIENTALI SUL DEGRADO DELLE VERNICI PITTORICHE DI DIPINTI CONSERVATI IN CORNICI MICROCLIMATICHE Francesca Di Girolamo1, Ilaria Bonduce1, Maria Perla Colombini1, Terje Grøntoft2, Susana Lopez-Aparicio2, Marianne Odlyha3, Mikkel Sharff4 1 Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, Università di Pisa, via Risorgimento 35, 56126 Pisa 2 Norwegian Institute for Air Research (NILU), P.O.box 100, NO-2027 Kjeller, Norway. 3 Birkbeck College, Malet St. Bloomsbury, London WC1E 7HX, UK 4 Danish School of Conservation, Royal Danish Academy of fine arts (RDAFA.SC), Esplanaden 34, DK 1263 Copenhagen K, Denmark francesca.digirolamo@ns.dcci.unipi.it Per valutare lo stato di conservazione di dipinti conservati in cornici microclimatiche in ambienti museali, durante le fasi di immagazzinamento ed esposizione, è stato effettuato uno studio dell’azione degradante degli inquinanti presenti in ambienti chiusi sulle vernici pittoriche a base di mastice e dammar. Dammar e mastice sono due resine comunemente usate per la preparazione delle vernici pittoriche, e rappresentano la prima barriera protettiva che il dipinto espone all’ambiente circostante. All’interno del progetto EC PROPAINT e EC MEMORI è stato studiato l’effetto degli inquinanti inorganici (NO2 and O3) e organici ( acido acetico e formico) su stesure di riferimento di vernici pittoriche, utilizzando tecniche basate su spettrometria di massa, come GC-MS, ESI-MS e SIMS insieme ad analisi termoanalitiche. Campioni di resina mastice, dammar, dammar e Tinuvin 292 sono stati sottoposti ad invecchiamento artificiale con differenti livelli di inquinanti e in seguito analizzati. I risultati dimostrano che è possibile stabilire una relazione tra la dose di inquinante e i fenomeni di degrado per ossidazione e cross-linking delle resine. Gli acidi organici hanno un potere ossidante comparabile a quello di NO2 e O3. Gli studi inoltre hanno dimostrato che le cornici microclimatiche utilizzate per la protezione dei dipinti, non sempre rappresentano il miglior metodo di prevenzione del degrado delle vernici pittoriche, a causa del possibile intrappolamento di acidi organici volatili emessi dal legno della cornice stessa e dal pannello di supporto. L’obiettivo principale di questo studio è duplice: da un lato capire come ridurre gli effetti degli acidi organici volatili, per migliorare l’effetto protettivo delle cornici microclimatiche, dall’altro stabilire dei livelli di tollerabilità basati sull’assenza di effetti di degrado (No Observable Adverse Effects Levels, NOAELS) e di ridotto effetto di degrado (Lowest Observable Adverse Effects Levels, LOAELS), al fine di fornire ai conservatori uno strumento utile per la definizione di efficaci protocolli di conservazione preventiva per i dipinti conservati in ambienti museali. 80 APPLICAZIONE DELLA HPLC-HR-TOF-MS ALL’ANALISI DI PIGMENTI ORGANICI NATURALI IN MANUFATTI ARTISTICI Susanna Marras1, Giulio Pojana2, Renzo Ganzerla1, Antonio Marcomini3, Eligio Sebastiani4 1 Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi, Università Ca’ Foscari Venezia, Calle Larga S. Marta 2137, 30123, Venezia, 2 Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali, Università Ca’ Foscari Venezia, Malcanton Marcorà, Dorsoduro 3484/D, 30123, Venezia 3 Dipartimento di Scienze Ambientali Informatica e Statistica, Università Ca’ Foscari Venezia, Calle Larga S. Marta 2137, 30123, Venezia 4 SRA Instruments S.p.A., Cernusco sul Naviglio, Milano susanna.marras@unive.it L’analisi di lacche e coloranti organici rappresenta una sfida nel campo della diagnostica dei beni culturali per via delle difficoltà intrinseche che la loro identificazione in matrici complesse implica. In questo studio si riporta l'applicazione della Cromatrografia Liquida ad Alte Prestazioni accoppiata a Spettrometria di Massa a Tempo di Volo ad Alta Risoluzione (HPLC-HR-TOF-MS) alla identificazione e caratterizzazio-ne dei pigmenti organici naturali tradizionalmente impiegati dagli artisti dall'antichità fino ai primi decenni del XX secolo. L'obiettivo principale è lo sviluppo di un approccio innovativo da utilizzare per l’analisi di routine di coloranti naturali presenti in manufatti pittorici. La combinazione di una efficiente procedura di estrazione dei coloranti da framenti microscopici di dipinto, seguita da una separazione cromatografica accoppiata all’elevata risoluzione dello spettrometro di massa impiegato, permettono di ottenere la selettività e la sensibilità richieste per tale obiettivo. L’approccio analitico prevede tre fasi operative: 1) la preparazione delle lacche secondo antichi trattati e ricettari e la realizzazione con esse di modelli da sottoporre ad invecchiamento artificiale; 2) lo sviluppo della metodologia analitica sulla base dei materiali di riferimento ottenuti; 3) la validazione del metodo sviluppato mediante sua applicazione a campioni reali di varie epoche e provenienza. Parallelamente si eseguirà una completa caratterizzazione delle lacche mediante tecniche spettroscopiche (Spettroscopia FTIR, spettrofotometria UV-Visibile, colorimetria) con conseguente creazione di un database completo di spettri di riferimento. Qui viene presentato lo stato dell'arte, i risultati ottenuti finora e le prospettive di sviluppo futuro di questa attività. 81 CHIMICA E GNOMONICA Sergio D’Amico Via Cremona, 13, 73100 – Lecce micromegas@libero.it Nella presente comunicazione si affrontano le problematiche relative alle analisi diagnostiche da effettuarsi su quadranti solari (meglio noti come “Meridiane”), in vista di successivi interventi, mirati alla datazione, al restauro, ed al ripristino di questa peculiare tipologia di manufatti. Che risultano essere, allo stesso tempo, opere d’arte, espressioni della cultura di una popolazione e strumenti scientifici, dedicati alla misurazione del tempo, ed allo studio dei fenomeni astronomici legati al moto apparente del Sole sulla volta celeste. Dopo un’introduzione sulle caratteristiche dei diversi modelli di quadranti solari – fissi e portatili -, e sui rispettivi principi di funzionamento, si mettono in evidenza gli elementi di criticità legati alla particolare natura di questi oggetti. Che richiedono competenze interdisciplinari, comprendenti nozioni di Astronomia, Chimica, Fisica e Tecniche di restauro. Dopo aver elencato le caratteristiche che devono avere le metodologie di analisi, datazione e diagnostica dei quadranti solari, si affronta una breve descrizione dei più utilizzati, fra i suddetti procedimenti (Fluorescenza a raggi X, Riflettografia multispettrale, Termografia infrarossa). Infine, si descrive un originale modello di quadrante solare, progettato e realizzato da due docenti universitari di Chimica, che incorpora numerosi elementi e simboli di questa scienza. 82 Poster “Ambiente” 83 AMB01 IL PEPERONE (Capsicum annuum L.) COME ACCUMULATORE AMBIENTALE Grazia Accoto, Eustachio Acito, Giuseppe Anzilotta, Dominga Bochicchio, Antonio Mastore, Vittoria Nola, Alessandro Pipino, Achille Palma. Metapontum Agrobios s.s. Jonica 106 km 448.2, 75014 Metaponto (Matera) gaccoto@agrobios.it Il comprensorio lucano della Val d’Agri Camastra Alto Sauro da più di 15 anni è interessato da coltivazioni petrolifere. Dal 2001 sono in corso, nell’area, attività di monitoraggio ambientale, finanziate dalla Regione Basilicata, basate su rilevamenti tradizionali di inquinanti dell’aria, suolo, acqua e sottosuolo in accordo alla legislazione nazionale e comunitaria. Contemporaneamente, vista l’unicità dell’area oggetto di studio, sono stati realizzati studi innovativi per lo studio della distribuzione ambientale degli inquinanti. In particolare, dal 2008 è attiva una rete di studio approfondito sull’ accumulo di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), Idrocarburi Volatili (VOC), e Policlorobifenili (PCB) nella classe di alimenti vegetali non sottoposti a trasformazione prodotti direttamente da privati o da aziende agricole situate intorno dell’area industriale di Viggiano sede dell’impianto di trattamento del petrolio greggio estratto dai pozzi situati nell’area (Centro Olii). Il regolamento CE N.1881/2006 del 19 dicembre 2006 definisce i tenori massimi di alcuni contaminanti nei prodotti alimentari, soprattutto quelli con elevato contenuto di materiale idrofobico. Tale regolamento tiene conto di alcuni tra gli inquinanti più diffusi come i più volte citati PCB, IPA e alcuni metalli pesanti. Tuttavia studi approfonditi hanno dimostrato che il benzo[a]pirene (l’unico IPA citato dal regolamento) contribuisce solo per 10-20% nel contenuto totale di IPA e altri composti aromatici possono essere presenti nell’ambiente generati da processi di combustione incompleta o da reazioni che avvengono nell’atmosfera. Nel 2008, il gruppo di esperti sui contaminanti nella catena alimentare dell’EFSA (CONTAM Panel) ha concluso che tra gli IPA studiati la somma del contenuto di otto IPA (PAH8) è attualmente l’unico possibile indicatori del potenziale cancerogeno degli IPA negli alimenti. Molto più scarsi gli studi sulla distribuzione di VOC e PCB su alimenti vegetali. Tra gli alimenti di origine vegetale campionati, particolarmente interessanti sono stati i risultati analitici ottenuti dai peperoni coltivati nella zona ed essiccati all’aria aperta nel periodo estivo dagli abitanti del posto. È noto che gli organismi superiori offrono notevoli possibilità come indicatori ambientali; infatti i muschi e licheni da anni sono impiegati nel biomonitoraggio di metalli pesanti presenti nell'aria . Nel presente lavoro vengono presentati alcuni risultati della distribuzione analitica di IPA VOC e PCB nel peperone. Tra alimenti vegetali assunti direttamente dall’uomo e analizzati nella zona oggetto di studio, il peperone essiccato, a differenza del prodotto appena raccolto, ha presentato valori di PAH8, PCB e VOC, normalizzati al peso secco, significativamente superiori ai valori medi riscontrati nelle altre matrici vegetali (cavoli, broccoli, mele, uva, drupe di olive, frumento e miele). Tale andamento è risultato fortemente correlato con le precipitazioni atmosferiche del periodo di esposizione. 84 AMB02 BIOMONITORAGGIO DEL CROMO ESAVALENTE MEDIANTE L’USO DELLA SCORZA DI LECCIO (QUERCUS ILEX L. ) Marco Anselmo1, Vincenzo Minganti1, Giuliana Drava1, Rodolfo De Pellegrini1, Paolo Modenesi2 1 2 Dipartimento di Farmacia, Università degli Studi di Genova, Viale Cembrano 4, 16148 Genova DipTeRis, Polo Botanico “Hanbury”, Università degli Studi di Genova, Corso Dogali 1 M, 16126 Genova anselmo@dictfa.unige.it Alcuni lavori in letteratura hanno messo in evidenza come si possa utilizzare la scorza, il rivestimento sugheroso del corpo secondario di una pianta legnosa, per stimare la presenza di Cr(VI) nell’atmosfera. In questo lavoro è stata utilizzata la scorza prelevata da porzioni di rami di leccio (Quercus ilex L.) in modo da avere informazioni oltre che sulle concentrazioni anche sulle loro variazioni temporali. E’, infatti, possibile stimare l’età delle porzioni di ramo in base alla posizione delle vecchie cicatrici delle gemme terminali, retrocedendo da quella apicale dell’ultimo anno. I campioni sono stati raccolti tra i comuni di Cogoleto e Arenzano (Genova) in una zona dove ha operato la “Luigi Stoppani S.p.A.”, azienda che produceva principalmente composti del cromo esavalente: cromato e bicromato di sodio e di potassio, e acido cromico. Tale ditta ha operato tra l’inizio del secolo scorso e il 2003, e attualmente il sito è sottoposto ad operazioni di bonifica. Le concentrazioni di Cr(VI) sono state misurate mediante spettrofotometria di assorbimento atomico con atomizzazione elettrotermica secondo un metodo derivato da Panichev e coll. [1]. La determinazione del cromo esavalente è resa possibile grazie alla solubilità dei suoi composti nell’ambiente alcalino in cui è eseguita l’estrazione dei campioni, mentre in tale ambiente sono scarsamente solubili i composti di cromo trivalente [2]. Per verificare l’accuratezza del metodo sono state fatte estrazioni su campioni con aggiunte di Cr(VI), ottenendo un recupero del 102±16 % (n=9); è stato inoltre analizzato un campione certificato (RTC SQC-012 Chromium VI in soil) ottenendo un ottimo accordo con il valore certificato (recupero 96±4 %, n=9). Campioni di scorza sono stati prelevati da porzioni di rami che rappresentano la crescita degli ultimi dieci anni circa. Le concentrazioni di Cr(VI) misurate sono in linea con i pochi valori riportati in letteratura sia per zone contaminate (impianto di produzione acciaio al cromo) sia per zone di controllo [1,3]. Le concentrazioni medie diminuiscono in maniera netta all’aumentare della distanza dal sito “Luigi Stoppani S.p.A.”. Studiando le variazioni temporali si osserva in molti campioni un brusco calo nelle concentrazioni, coincidente con la fine dell’attività dello stabilimento. Mentre esistono molte misure sulle concentrazioni di Cr(VI) all’interno del sito industriale e nella zona di mare antistante, esistono poche informazioni sulla distribuzione di tali composti nelle zone esterne alla fabbrica. Le tecniche di biomonitoraggio descritte hanno dimostrato che possono essere utilizzate per questo tipo d’indagini. [1] N. Panichev, K.L. Mandiwana, T. Resane, P. Ngobeni. J. Hazard. Mater. B137 (2006) 12411245. [2] K. Furtmann, D. Seifert. Fresenius J. Anal. Chem. 338 (1990) 73-74. [3] N. Panichev, K.L. Mandiwana, H.N. Sedumedi, P. Ngobeni. J. Hazard. Mater. 172 (2009) 16861689. 85 AMB03 BIOACCUMULO E ANALISI DI “POLIBROMODIFENILETERI” IN MUSCHI E LICHENI Giuseppe Anzilotta1, Mosè Rosario Mauriello1, Achille Palma1, Tommaso Cataldi2 1 2 Metapontum Agrobios, S.S. Jonica 106, Km 448.2, 75010 Metaponto, Matera Centro Interdipartimentale SMART, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Campus Universitario, Via E. Orabona, 4 - 70126 Bari ganzilotta@agrobios.it I polibromodifenileteri (PBDEs) sono una classe di sostanze organiche polibromurate che da alcuni decenni vengono largamente impiegate come ritardanti di fiamma (BFRs) in plastiche, rivestimenti e materiali elettronici per ridurre l’infiammabilità del materiale stesso. Tali molecole interagiscono con i radicali che si formano in fase gassosa durante il processo di combustione decomponendosi a una temperatura inferiore a quella di degradazione del polimero. Sono una famiglia di 209 congeneri, differenti per numero e posizione degli atomi di bromo sui due anelli aromatici; simili per struttura e per proprietà ai PCBs e ai PBBs: sono piuttosto stabili e lipofili. Nell’ultimo decennio le forti evidenze di pericolosità e di una diffusa presenza nell’ambiente e nell’uomo hanno indotto alcuni organismi nazionali e sovranazionali a emanare specifiche norme volte a limitarne l’uso (direttiva WEEE del 2003; messa al bando in Europa delle miscele penta-BDE e octa-BDE; EPA (PBDEs) Project Plan;). I modelli spaziali di deposizione atmosferica dei PBDEs nell’ambiente terrestre possono essere studiati analizzando campioni di muschio e di licheni. I muschi forniscono informazioni complementari ai tradizionali campionatori passivi, inoltre, possono essere particolarmente suscettibili ai PBDEs ad elevato peso molecolare adsorbiti sul particolato atmosferico per i quali le tecniche di campionamento passivo dell’aria non sono adatte. Scopo di questo studio è stato quello di verificare i livelli di concentrazione di PBDEs, in alcuni vegetali bioaccumulatori autoctoni (muschi della specie “Bryum sp” e licheni della specie “Xanthoria parietina”) nell’area industriale “La Martella” di Matera e in aree incontaminate, nonché testare la migliore risposta da parte delle matrici utilizzate al fine di selezionare il migliore “biomonitor”. Le principali attività individuate nell’area di studio come potenziali sorgenti di PBDEs sono quelle legate alla produzione di mobili imbottiti, di quadri elettrici e allo smaltimento di rifiuti. L’estrazione dei campioni è stata effettuata con solvente pressurizzato (PLE), la purificazione su colonna multistrato di silice acida e basica e l’analisi strumentale con gascromatografia accoppiata a un analizzatore di massa a triplo quadrupolo. La modalità scelta per l’acquisizione degli spettri di massa è il “monitoraggio di reazioni multiple” (MRM), ottimizzata sia nella scelta delle reazioni in fase gas da seguire sia nei valori di energia di collisione. La metodologia di analisi quantitativa adoperata è nota come “diluizione isotopica” che consiste nel quantificare gli analiti di interesse rispetto agli analoghi composti marcati al C aggiunti inizialmente al campione. Il confronto dei dati ottenuti con quanto riportato in letteratura evidenzia che i livelli ambientali misurati di PBDEs sono i più alti, fin’ora registrati, per queste matrici vegetali. Il sistema accoppiato GC-MS con rivelatore a triplo quadrupolo si è dimostrato un valido strumento di controllo dei microinquinanti organici persistenti (sensibilità nell’ordine del picogrammo e precisione, rappresentata dal CV% < 30 %). L’indagine ha previsto, tra l’altro, un confronto sperimentale tra le matrici utilizzate definendo il muschio come migliore organismo bioaccumulatore di PBDEs rispetto al lichene. 86 AMB04 INFLUENZA DI ZEOLITITE A CHABASITE SUL RILASCIO DI FOSFORO DA CENERI D’OSSA ANIMALI CON FINI AGRONOMICI Luisa Barbieri 2, Isabella Lancellotti2, Elio Passaglia1, Tanya Toschi2 1 Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Modena e Reggio Emilia 2 Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e dell’Ambiente, Università di Modena e Reggio Emilia luisa.barbieri@unimore.it; isabella.lancellotti@unimore.it L’uso dei tradizionali fertilizzanti non è garante assoluto di un corretto e bilanciato nutrimento dei terreni; non solo il tanto ingente, quanto sconsiderato, impiego di questi si rivela spesso inefficace ma persino promotore di impatti su ogni matrice ambientale. Il D. Lgs. n. 75 del 2010 indica azoto, potassio e fosforo quali elementi nutritivi principali per le colture. Di questi tre, quello di più difficile somministrazione ai terreni è certamente l’ultimo: nonostante il fosforo possa presentarsi legato a diverse specie nei suoli, i suoi composti non sono tutti ugualmente solubili (solubilità delle specie nutritive è sinonimo di assimilabilità per le piante); nella fattispecie, i fosfati solubili H2PO4- sussistono nel terreno solo qualora esso abbia pH neutro. Pertanto, causa la limitata stabilità del P solubile e la ridotta esigenza delle piante dell’elemento (rispetto ad N e K) è inefficace somministrarne al suolo smisurate quantità. Dunque, per un corretto apporto di fosforo, che esuli dalle inquinanti pratiche di concimazione massiva, una strada percorribile consiste nei sistemi di fertilizzazione a rilascio graduale, quali i substrati zeoponici: miscele a base di zeolititi (rocce con contenuto in zeolite maggiore del 50%) e fonti fosfatiche; questi suoli sintetici, frequentemente a base di zeolititi a clinoptilolite od a phillipsite ed apatite (quale fonte di P) furono ampiamente studiati, tanto da delineare una loro tendenza comune: nei substrati zeoponici le zeolititi, in virtù della loro elevata capacità di scambio cationico, ovvero accettando gli ioni Ca2+ derivanti dall’esigua dissoluzione dei fosfati di calcio propri dell’apatite, enfatizzavano e sollecitavano la dissociazione della roccia fosfatica. Nel presente lavoro ci si è proposti di analizzare un substrato zeoponico “alternativo”, ottenuto dalla compresenza di zeolitite a chabasite, molto diffusa in Italia, e ceneri fosfatiche, rifiuto del processo di gassificazione di farine animali. I risultati emersi a conclusione dell’attività hanno sottolineato una cessione di fosforo solubile più graduale e maggiore ad opera del substrato zeoponico, rispetto alla sola cenere d’ossa; si è inoltre riscontrato che la dissoluzione del fosforo cresce all’aumentare del rapporto massa zeolitite/massa cenere. Qualora la zeolitite sia stata preventivamente arricchita in ammonio viene ulteriormente favorito lo scambio cationico Ca/NH4 e di conseguenza aumenta la solubilizzazione del fosforo. 87 AMB05 VALUTAZIONI SU COMPONENTI ORGANICHE E SECONDARIE IN UN SITO DI BACKGROUND DEL CARSO TRIESTINO Arianna Tolloi1, Giulia Ghirardello1, Michele Romeo1, Sabina Licen1, Andrea Piazzalunga2, Sergio Cozzutto3, Paolo Plossi4, Pierluigi Barbieri1,3 1. Università di Trieste – DSCF, Via Giorgieri, 1 34127 Trieste 2. Università di Milano Bicocca - DISAT - piazza della Scienza, n. 1, 20126 Milano 3. ARCo Solutions srl spin off dell’Univesità di Trieste, Via Giorgieri, 1 34127 Trieste 4. Provincia di Trieste, Via Via S. Anastasio n. 3, 34132 Trieste barbierip@units.it Studi su processi di contaminazione atmosferica a scala regionale si basano generalmente su simulazioni modellistiche, che debbono essere validati con monitoraggi sperimentali, preferibimente in siti non condizionati da hot spot. A questo fine si è predisposta una stazione di campionamento per aerosol nel sito extraurbano/rurale di Borgo Grotta Gigante in provincia di Trieste. Nel sito, accanto alla rilevazione di dati meteorologici, si campiona, con campionatore ad alto volume, PM10 sul quale vengono misurati OC/EC, specie ioniche, traccianti di combustione di biomasse e composti biogenici. Tali misure possono corroborare quelle prodotte dalla rete istituzionale, aggiornata secondo le indicazioni del D.Lgs. 155/2010. Le evidenze sperimentali sono confrontate con stime modellistiche sulle concentrazioni di aerosol e gas biogenici, rappresentative di aree relativamente estese, anche al fine di valutare il peso di componenti biogeniche sui valori di PM10 nel territorio giuliano. L’integrazione di dati desunti dalla sperimentazione analitica e da approcci computazionali per la valutazione di un sito di background mirano a evidenziare realisticamente lo stato della conoscenza dei processi ambientali coinvolti nella generazione dell’aerosol, al fine di rafforzare il supporto scientifico alla gestione del territorio. 88 AMB06 STUDIO DELLA CORROSIONE ATMOSFERICA DEL COR-TEN ATTRAVERSO ESPOSIZIONI IN CAMPO ED INVECCHIAMENTI ACCELERATI Elena Bernardi1, Cristina Chiavari2, Carla Martini3, Ivano Vassura1,4, Fabrizio Passarini1,4, Antonio Motori5, Maria Chiara Bignozzi5 1 Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali 2 C.I.R.I. Meccanica Avanzata e Materiali 3 Dipartimento di Scienza dei Metalli, Elettrochimica e Tecniche Chimiche 4 C.I.R.I. Energia e Ambiente 5 Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e dei Materiali Università di Bologna, Via Risorgimento 4, 40136 Bologna elena.bernardi@unibo.it Il Cor-Ten, un acciaio basso legato con Cr, Cu, Ni e P come principali elementi di lega, vive oggi in Europa un periodo di grande popolarità ed è scelto sempre più frequentemente per la realizzazione di opere artistiche, architettoniche ed infrastrutturali di ampie dimensioni ed a diretto contatto con recettori ambientali. Questo materiale, oltre che per le caratteristiche cromatiche e la resistenza meccanica, è particolarmente apprezzato per la capacità di autoproteggersi dalla corrosione, mediante la formazione di una patina superficiale aderente e protettiva. Tuttavia, le condizioni ambientali (umidità, presenza di inquinanti, …) e di esposizione (geometria, orientazione, …) giocano un ruolo fondamentale nel determinare le prestazioni della patina ed anche il Cor-Ten, come ogni altro materiale esposto all’aperto, è soggetto ad un processo corrosivo ed al rilascio di metalli nell’ambiente. Nel caso del Cor-Ten tale rilascio è evidente dalle colature brune visibili, ad esempio, sui basamenti delle sculture. L’entità dei diversi metalli rilasciati dipende dunque da vari fattori: contenuto e caratteristiche dei metalli costituenti la lega, protettività/stabilità della patina formatasi, condizioni ambientali e struttura dell’opera. Il presente lavoro si concentra sul comportamento a corrosione del Cor-Ten esposto sia in condizioni riparate (con elevata umidità o ristagni di pioggia) che in condizioni di run-off. Tali condizioni sono riprodotte sia mediante test di invecchiamento accelerati che prove di esposizione naturale. Queste ultime sono in corso in un ambiente urbano costiero (Rimini), vicino a una stazione di monitoraggio in cui vengono periodicamente monitorati parametri microclimatici, inquinanti gassosi e deposizioni atmosferiche. L'influenza di diverse condizioni di finitura superficiale utilizzate in architettura/scultura è stata considerata testando campioni di Cor-Ten commerciale nudo o pre-patinato, con o senza un rivestimento di cera d'api. Il comportamento a corrosione della patina e la sua evoluzione sono stati studiati mediante misure elettrochimiche e analisi microstrutturali. Parallelamente è stato seguito il rilascio di Fe, Cu, Cr, Mn e Ni nell’ambiente, in funzione del tempo di esposizione. I risultati ottenuti fino ad ora hanno mostrato che la pre-patinatura, con o senza ceratura, non sembra determinare effetti benefici sulla corrosione ed hanno confermato il comportamento insoddisfacente (con un conseguente rilascio di metalli superiore) dell’acciaio nudo in presenza di ristagni, rispetto alle condizioni di run-off. 89 AMB07 UN PRECURSORE DI AL-MCM-41 NELLA RIMOZIONE DI NITRATI E DI ACIDI ALOACETICI DALLE ACQUE Rosa Maria De Carlo1, Maria Concetta Bruzzoniti1, Corrado Sarzanini1, Dario Caldarola2, Barbara Onida2 1 2 Dipartimento di Chimica, Università di Torino, Via P. Giuria 5, 10125 Torino, email: Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia, CR-INSTM for Materials with Controlled Porosity, Politecnico di Torino, Corso Duca degli Abruzzi 24, 10129 Torino mariaconcetta.bruzzoniti@unito.it La presenza di nitrati nelle acque sotterranee è origine di preoccupazione per la possibile contaminazione delle fonti di approvvigionamento delle acque successivamente destinate all’uso umano. Inoltre, la formazione di acidi aloacetici (HAA), quali sottoprodotti dei processi di disinfezione con cloro e possibili cancerogeni per l’uomo, è tuttora una problematica tossicologica ed ambientale rilevante. In questo studio vengono presentati i risultati relativi alla valutazione dell’affinità degli ioni NO3- e dei 5 HAA normati dall’EPA per un precursore dell’ Al-MCM-41 (materiale allumino-silicato mesostrutturato esagonale). Il materiale, caratterizzato mediante tecniche chimico-fisiche, è stato successivamente testato per l’adsorbimento degli inquinanti in oggetto da campioni simulati di acqua potabile, valutando le rese di recupero mediante cromatografia ionica. E’ stata inoltre studiata l’eventuale interferenza degli ioni comunemente presenti nelle acque potabili sul recupero delle specie. L’affinità mostrata dall’adsorbente nei confronti degli HAA è risultata essere TCAA=DBAA=DCAA>MBAA>MCAA con una completa ritenzione di DCAA, DBAA e TCAA a livelli di concentrazione di 7-25 ppm. Si è inoltre riscontrata, anche per lo ione nitrato, una elevata affinità dell’adsorbente (rimozione del 77% a concentrazioni di 13 mg/L). Lo studio delle isoterme e delle cinetiche di adsorbimento dello ione nitrato e del MCAA (scelto come molecola sonda), è stato condotto applicando i dati sperimentali ottenuti a tre modelli di adsorbimento (isoterme di Langmuir, Freundlich e Temkin) e a tre modelli di cinetica delle reazioni di adsorbimento (pseudoprimo ordine, pseudo-secondo ordine ed Elovich). E’ risultato che le isoterme di adsorbimento sono descrivibili dall’equazione di Freundlich, mentre la cinetica di adsorbimento segue un meccanismo di pseudo-secondo ordine. Alla luce dei risultati di affinità ottenuti, è stato ipotizzato un meccanismo di interazione adsorbente-inquinanti di scambio ionico, confermato dalle cinetiche di adsorbimento di pseudo-secondo ordine che controllano i meccanismi di scambio ionico [1-3]. Legenda: MCAA: acido monocloroacetico; MBAA: acido monobromoacetico; DCAA: acido dicloroacetico; DBAA: acido dibromoacetico; TCAA: acido tricloroacetico 1. Lei LC, Li XJ, Zhang XW Sep Purif Technol 58 (2008) 359-366 2. Zheng H, Han LJ, Ma HW, Zheng Y, Zhang HM, Liu DH, Liang SP J Hazard Mater 158 (2008) 577-584 3. Zhu WL, Cui LH, Ouyang Y, Long CF, Tang XD Pedosphere 21 (2011) 454-463. 90 AMB08 TEMPORAL AND SPATIAL ACTIVE MOSS BIOMONITORING APPLIED TO URBAN AREA OF TARANTO Micaela Buonocore, Nicola Cardellicchio , Antonella Di Leo CNR- Istituto per l’Ambiente Marino Costiero Via Roma 3, 74123 Taranto buonomicaela@libero.it The urban atmosphere is subjected to large inputs of anthropogenic contaminants produced by both stationary sources (power plants, industries and residential heating) and mobile sources related to traffic. Trace elements are widely dispersed in the environment and their interactions with different natural components result in toxic effects on the biosphere. The transport and mobilization of trace elements have already attracted much attention. Most trace elements in terrestrial ecosystems originate from atmospheric wet and dry deposition. From a biogeochemical perspective, the characterization of atmospheric deposition is relevant in order to identify the variability and sources of the atmospheric pollutants. The extensively employed direct collection of atmospheric deposition using bulk sampling devices offers a practical approach for monitoring deposition of atmospheric heavy metal and other elements on the surface environment. However, studies on atmospheric contamination have frequently been limited by the high cost of classical analytical methods and difficulties in carrying out extensive monitoring in time and space. There has been increasing interest in the use of indirect monitoring methods, such as the use of organisms that act as bioaccumulators. Many studies have demonstrated the ability of moss to absorb and accumulate atmospheric pollutants in tissue. In urban areas, where mosses are often scarce or even absent, the ‘‘bags technique’’ (active biomonitoring) has been initiated and developed with the aim of spatial and/or temporal assessment of contaminant deposition in highly polluted areas. In this work, active moss biomonitoring using the species bags Hypnum cupressiforme was used to examine trace element atmospheric deposition in the urban area of Taranto. Five moss transplants were deployed on monitoring stations located at representative urban sites. After exposure for about a month, the samples were analyzed for 12 elements (Cd, Cr, Ni, Cu, Mn, Pd, Hg, V, As, Fe, Al and Mn) using ICP –MS technique. The monitoring was repeated from 2006 for three years (2007 and 2008), considering the same seasonal weather conditions. Based on the results obtained the sampling variability is discussed in relation to the analytical variability, and the relative uptake of the different elements is assessed. Significant accumulation of most elements occurred in the exposed moss bags compared with the initial moss content. Correlations between the elements were also discussed. The deposition pattern was in some cases modified by a series of natural factors, like the main direction of winds or away from industrial sites. The deposition patterns of Cd, Cr, Ni, Cu, Mn, Pd, Hg, V, As, Fe, Al and Mn are substantially influenced by long-range transport; for V, Ni, Pb, and Cd the deposition patterns are largely determined by contributions from refinery processes while for As and Mn from iron and steel factory. The moss-bags using Hypnum cupressiforme demonstrate a high or a very high relative uptake for a majority of the 12 investigated elements, but the values depend on the initial element concentration in the moss. The obtained data is also compared with PM10 values. Contributions to the trace element concentrations in moss from sources other than atmospheric deposition are identified and discussed. 91 AMB09 VALUTAZIONE DEL RISCHIO ASSOCIATO AL CONSUMO DI MITILI ALLEVATI NEL MAR PICCOLO E NEL MAR GRANDE DI TARANTO Cristina Annicchiarico1, Giorgio Assennato3, Fabrizio Basile2, Nicola Cardellicchio1, Giacomo Castellano2, Michele Conversano2, Antonella Di Leo1, Santina Giandomenico1, Walter Martinelli2, Lucia Spada1, Nicola Ungaro3 1 CNR – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero – Unità Operativa di Taranto, via Roma 3, 74123 Taranto. 2 Azienda Unità Sanitaria Locale TA - Dipartimento di Prevenzione, C.da Rondinella, c/o Ospedale Testa, 74123 Taranto. 3 ARPA – Puglia, Corso Trieste 27, 70126 Bari n.cardellicchio@iamc.cnr.it Nell’ambito del Piano Straordinario di monitoraggio, sorveglianza attiva e di campionamento dell’ASL di Taranto per la valutazione e gestione del rischio associato alla contaminazione da diossine, furani e policlorobifenili dioxin-like (PCB-DL) negli alimenti e allevamenti prodotti nel raggio di 20 km dalle zone industriali di Taranto, da marzo 2011, è stata avviata un’indagine approfondita sui mitili (Mytilus galloprovincialis) allevati nel Mar Piccolo (I e II Seno) e nel Mar Grande di Taranto. In base al piano di monitoraggio, attualmente ancora in corso, effettuato con campionamenti mensili, sono state individuate 57 stazioni di prelievo nel I Seno del Mar Piccolo e 34 nel II Seno e nel Mar Grande. A seguito dei risultati relativi ai mitili prelevati nel I Seno nel mese di giugno 2011, risultati non conformi ai limiti imposti dal regolamento UE 1881/2006, per i livelli di diossine, furani e PCB-DL, l’ASL-TA, con ordinanza del 22.7.2011, ha disposto il blocco del prelievo e della movimentazione di tutti i molluschi bivalvi vivi presenti nel I° seno del Mar Piccolo. Le analisi effettuate hanno mostrato, inoltre, che la contaminazione derivava essenzialmente dalla presenza di PCB-DL. Nonostante i livelli di diossine, furani e PCB-DL dei mitili sono stati e continuano ad essere significativamente maggiori nel I Seno, le concentrazioni riscontrate nelle altre aree di indagine, sebbene inferiori ai limiti di legge, sono comunque preoccupanti. Il seguente studio ha avuto, pertanto, come obiettivo la valutazione del rischio per l’uomo associato al consumo di mitili allevati, oltre che nel I Seno, anche nel II Seno del Mar Piccolo e nel Mar Grande. A tale proposito è stato effettuato il calcolo della dose tollerabile giornaliera (Tolerable Dietary Intake, TDI). Per dose o assunzione tollerabile si intende la quantità di sostanza nociva che può essere assunta quotidianamente, senza che insorga un rischio rilevante per la salute. La valutazione del rischio è stata effettuata prendendo in considerazione l’esposizione per bambini e adulti, con riferimento al peso corporeo medio ed ai consumi alimentari medi italiani e di una popolazione, come quella di Taranto, che consuma elevate quantità di prodotti ittici. I risultati ottenuti hanno mostrato che, per forti consumatori, il TDI (pari a 1-4 pg TEQ/kg-peso corporeo per giorno) è stato superato, per i bambini, in tutti i mesi di campionamento per i mitili del I seno (range TDI 14-46.3 pgTEQ/Kg peso corporeo), del II seno del Mar Piccolo (range TDI 4.4815.90 pgTEQ/Kg peso corporeo) e del Mar Grande (5.90-15.85 pgTEQ/Kg peso corporeo). Per gli adulti, il TDI è stato superato sempre nel I seno (range TDI 8-17.3 pgTEQ/Kg peso corporeo); nel II seno del Mar Piccolo solo nel mese di luglio (TDI 5.96 pgTEQ/Kg peso corporeo) mentre nel Mar Grande, è stato superato nel periodo compreso tra luglio e ottobre (range 4.51-5.94 pgTEQ/Kg peso corporeo). 92 AMB10 MODELLI QSAR PER LA TOSSICITA’ ACQUATICA DI TRIAZOLI E BENZOTRIAZOLI: RISULTATI NELL’AMBITO DEL PROGETTO CADASTER Stefano Cassani1, Simona Kovarich1, Ester Papa1, Parta Pratim Roy1, Magnus Rahmberg2, Sara Nilsson 2, Tomas Öberg 3, Nina Jeliazkova 4, Nikolay Kochev 5, Ognyan Pukalov5, Paola Gramatica1 1 QSAR Research Unit in Environmental Chemistry and Ecotoxicology, University of Insubria, Varese, Italy, 2 Swedish Environmental Research Institute, Stockholm, Sweden, 3 School of Natural Sciences, Linnaeus University, Kalmar, Sweden, 4 IdeaConsult Ltd., Bulgaria, 5 University of Plovdiv, Plovdiv, Bulgaria stefano.cassani@uninsubria.it Lo sviluppo e la validazione di modelli QSAR utilizzati come strumenti di supporto nell’applicazione della regolamentazione EU-REACH, è uno dei temi del progetto europeo FP7 CADASTER (CAse studies on the Development and Application of in-Silico Techniques for Environmental hazard and Risk assessment). Questo poster riassume i modelli QSAR sviluppati dai diversi partner del progetto CADASTER per lo studio della tossicità acquatica di triazoli e benzotriazoli (TAZ/BTAZs). Tali molecole sono considerate inquinanti emergenti a causa della loro diffusione ambientale e della loro potenziale tossicità. TAZ e BTAZs sono infatti largamente utilizzati in diversi processi industriali oltre che impiegati come componenti di liquidi deghiaccianti, farmaci e pesticidi, e sono stati misurati in concentrazioni rilevanti nell’ambiente soprattutto nel comparto acquatico (concentrazioni di mg/L, misurate in corsi d’acqua in zone aeroportuali). Gli endpoints presi in considerazione in questo studio sono relativi alla tossicità acuta acquatica misurata in alghe (EC50 72h in Pseudokirchneriella subcapitata), crostacei (EC50 48h in Daphnia magna), e pesci (LC50 96h in Onchorhynchus mykiss). I modelli QSAR sono stati sviluppati mediante diversi approcci (Regressione lineare multipa MLROLS e PLSR), a partire da descrittori molecolari teorici calcolati sia con il software commerciale DRAGON, che con software gratuitamente disponibili nel web (PaDEL-Descriptor, CADASTER online). I modelli proposti sono conformi ai principi OECD per la validazione dei modelli QSAR da utilizzare in ambito regolatorio. Tali modelli sono stati applicati per predire la tossicità acquatica di oltre 300 TAZ/BTAZs privi di dato sperimentale (di cui 88 inclusi nella lista di pre-registrazione della European Chemical Agency (ECHA)), dopo averne verificato l’applicabilità mediante analisi del dominio strutturale. L’utilità dei modelli proposti è particolarmente rilevante nelle procedure di valutazione del rischio chimico, sia per lo screening di molecole prioritarie che, in ambito REACH, per colmare la mancanza di dati per molecole di interesse quali quelle già incluse nella lista di pre-registrazione dell’ECHA. 93 AMB11 NANOSTRUCTURED TIO2 BASED COATINGS FOR PROTECTION AND SELFCLEANING OF COMPACT AND POROUS STONES A. Pagliarulo,1 F. Petronella,1, A.Calia2, M. Lettieri2, D.Colangiuli2, A. Agostiano,1,3 M. L. Curri,3 R. Comparelli3 1 Università degli Studi di Bari – Dipartimento di Chimica, Via Orabona 4, 70126, Bari 2 CNR-IBAM, Prov.le Lecce Monteroni, 73100 Lecce 3 CNR-IPCF, c/o Dipartimento di Chimica, Via Orabona 4, 70126, Bari r.comparelli@ba.ipcf.cnr.it Nanostructured TiO2 exhibits enhanced photocatalytic activity leading to the degradation of a wide range of organic pollutants resulting in self-cleaning effect. The deposition of TiO2 nanocrystalline (NCs) coatings on stone was investigated in order to provide surface protection and self-cleaning properties. Hydrophobic TiO2 NCs were prepared by colloidal chemistry routes and characterized by Scanning and Transmission Electron Microscopy (SEM and TEM). The selected substrates for NC deposition were calcarenite and limestone, as example of porous and compact stone, respectively. Different techniques have been investigated for coating preparation namely casting, dipping and spray coating. The morphological and physical properties of both coated and uncoated stones were investigated by contact angle measurements, colorimetry and environmental-SEM. The degradation of a selected organic dye has been used to test the self-cleaning properties of the NC coated surfaces under solar irradiation. The obtained results point out that such TiO2 NC coatings offer at the same time the opportunity, increasing surface hydrophobicity, to prevent the stone from water absorption and to convey selfcleaning properties, leaving unaltered the original colour and appearance of the stones. Acknowledgment This work was partially supported by Apulia Region Funded Projects PS_083 within the Scientific Research Framework Program 2006 94 AMB12 SUSTAINABILITY ASSESSMENT OF SOCIETY AND TRADITIONAL AGRICULTURE IN LADAKH (INDIA) BASED ON EMERGY EVALUATION. Federico M. Pulselli1, Luca Coscieme1, Vladimiro Pelliciardi2, Francesca Rossetti1 1 2 Dept. of Chemistry, University of Siena, Via A. Moro 2, 53100 Siena, ITALY CIRPS, University of Rome “La Sapienza”, Piazza San Pietro in Vincoli 10, 00184 Roma, ITALY. coscieme2@unisi.it Energy drives all processes of nature (and human society), but it has been noted that different kinds of energy have different quality and ability to do work (Odum, 1971). To give a measure of this difference in energy quality, emergy has been introduced to express the quantity of solar energy required, directly or indirectly to generate a flow or storage (Odum, 1996). Emergy evaluation is an environmental accounting methodology based on energy transformation in the biosphere. We present the results of the emergy evaluation of the socio-economic system and traditional agriculture in Ladakh, a region of West Himalaya (India), ranging from 2300 m to 7672 m a.s.l. The area, classified as “high cold desert”, is poor in natural resources and for centuries the population has led a self-reliant existence, mainly based upon subsistence agriculture and (marginal) trade with Tibet, central Asia, and the Indian plain. Local traditional agriculture, still the backbone of regional economy, is governed by seasonal cycles and supported by the careful management of local scarce resources. A picture of this system is presented along with the Unit Emergy Value calculation of some of the main products, namely barley, wheat, peas, mustard and fodder. At the regional level, population growth, the development of tourism, and the progressive openness to external resources are the characteristics of the current development trend, especially in the city of Leh. These steps towards modernization (e.g. infrastructural development or agriculture mechanization) are encouraged for economic purposes; however, they may also bring about unsustainable behavior in the use of resources and land, and a loss of traditional knowledge and environmental wisdom. Emergy evaluation highlights some peculiarities of the area and the crucial role of environmental resources involved in local processes and activities. The main points are: irrigation with melted water from glaciers, soil properties and their conservation, and an increasing dependence of the socio-economic system on flows of goods from the outside. The method gives the opportunity to systematically monitor the area, and helps to design future perspectives and identify possible threats of developmental dynamics. References Odum HT., 1971. Environment, Power and Society. John Wiley, New York, USA. Odum HT., 1996. Environmental accounting. Emergy and environmental decision making. John Wiley & Sons, New York, USA. 95 AMB13 EVALUATING ENVIRONMENTAL PERFORMANCES OF BUILDING ENVELOPES: THE CASE OF VERTICAL GREENERY SYSTEMS. Riccardo M. Pulselli, Fabiana Morandi, Luca Coscieme, Nicoletta Patrizi, Simone Bastianoni Dept. of Chemistry, University of Siena, Via A. Moro 2, 53100 Siena coscieme2@unisi.it Vertical Greenery Systems (VGS) is a vertical structure to be anchored on a building facade composed of plants fixed on felt layers that allow for a hydroponic culture (without substrate). A research project, namely GREENED, is aimed at investigating potential environmental impacts and benefits due to the application of VGS on building facades. A Life Cycle Assessment and an eMergy evaluation were performed for measuring ipotential inputs due to the manufacturing and maintenance of a VGS based on different categories such as, among others: abiotic depletion (AD); acidification potential (AP); eutrophication potential (EP); global warming potential (GWP); human toxicity potential (HTP); ozone layer depletion potential (ODP). Environmental costs were then compared with potential benefits in terms of energy saving due to the augmented thermal performances registered during the operational time of the VGS. In particular, the present study accounted for environmental resource use in the following phases: a) manufacturing of structural elements (materials and components, including plants); b) maintenance (including materials lifetime and the use of water, fertilizers and electricity); c) use (concerning the saved quantity of electricity for cooling and natural gas for heating). 96 AMB14 SPERIMENTAZIONE DI NUOVI BIOSAGGI PER LE INDAGINI ECOTOSSICOLOGICHE: IL TEST DI SPERMIOTOSSICITÀ CON SEME CRIOPRESERVATO A. Fabbrocini1, R. D’Adamo1 F. Del Prete3, A. L. Langellotti3, F. Rinna3, R. Sessa2, F. Silvestri3, G. Villani2, V. Vitiello2 and G. Sansone2,3 1 Istituto di Scienze Marine - UOS Lesina, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Italy 2 Dip. delle Scienze Biologiche, Università degli Studi di Napoli Federico II, Italy 3 CRIAcq, Università degli Studi di Napoli Federico II, Italy raffaele.dadamo@fg.ismar.cnr.it I saggi ecotossicologici con gameti ed embrioni di organismi acquatici sono comunemente impiegati nei programmi di monitoraggio ambientale, grazie alla relativa facilità di esecuzione dei test ed alla loro elevata sensibilità. D’altra parte, il loro utilizzo spesso strettamente dipendente dalla stagione riproduttiva, la elevata variabilità biologica e la difficoltà nello stabulare i riproduttori o trasferirli in base alle necessità restringono fortemente il numero di specie da poter inserire nelle batterie di test. Nell’ambito delle ricerche tese alla messa a punto di nuovi biosaggi, gli autori hanno sperimentato un approccio innovativo: l’utilizzo di gameti criopreservati quale sistema biologico test. La criopreservazione di gameti ed embrioni di specie acquatiche è infatti una biotecnologia ormai ampiamente affermata, che permette di ottenere “on demand” gameti ed embrioni di elevata ed omogenea qualità, potenzialmente utilizzabili non solo a fini acquacolturali, ma anche in campo ecotossicologico. Per la messa a punto di questo CRYO-ecotest sperimentale è stato utilizzato il seme dell’orata S. aurata, una specie eurialina diffusa e comunemente allevata nell’area Mediterranea, per la quale la fisiologia della motilità spermatica è stata ampiamente studiata e protocolli per la crioconservazione del seme sono disponibili ormai da diversi anni. Il seme criopreservato è stato scongelato ed immediatamente incubato sia in tossici di riferimento (metalli pesanti, IPA, pesticidi) che in matrici ambientali (sedimenti, percolati); al termine del periodo di incubazione i parametri di motilità sono stati valutati mediante videomicroscopia o sistema computerizzato (SCA – Sperm Class Anayzer®). La sensibilità del sistema biologico “seme criopreservato” e la riproducibilità del CRYO-ecotest sono stati valutati e confrontati con quelli relativi a seme fresco di numerose specie acquatiche. Il CRYO-ecotest è risultato essere rapido e di facile esecuzione; il seme criopreservato può essere facilmente trasportato e conservato anche per periodi relativamente lunghi, rendendo possibile condurre saggi indipendentemente dalla stagione riproduttiva, con la possibilità di utilizzare in luoghi o in momenti diversi lo stesso batch di seme. Inoltre, l’end point sperimentato non richiede elevate quantità di matrice da testare e soprattutto non prevede l’utilizzo di stadi larvali o di giovanili, aspetto questo molto importante per la scelta dei biosaggi con vertebrati da inserire nelle batterie di test. In conclusione, considerato l’elevato numero di specie acquatiche (sia invertebrati che vertebrati) per le quali esistono protocolli di criopreservazione di gameti ed embrioni ormai standardizzati, il CRYO-ecotest mostra notevoli potenzialità come punto di partenza per la messa a punto di biosaggi “universali”, ovvero estremamente versatili, da poter essere ottimizzati di volta in volta in base alle specifiche caratteristiche ecologiche ed ambientali dell’area da monitorare. 97 AMB15 L’ANGUILLA (ANGUILLA ANGUILLA) COME INDICATORE DI INQUINAMENTO NELLE LAGUNE COSTIERE DEL MEDITERRANEO A. Specchiulli1, M. Renzi2, C. Manzo1, L. Cilenti1, T. Scirocco1, R. D’Adamo1 1 2 Istituto di Scienze Marine - UOS Lesina, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Italy Department of Environmental Science, University of Siena, Via Mattioli 4, 53100 Siena, Italy raffaele.dadamo@fg.ismar.cnr.it L’anguilla europea è ampiamente usata come biomonitor nelle lagune costiere per la sua capacità di accumulare contaminanti durante la sua lunga vita, per i suoi bassi tassi di espulsione, per il suo comportamento ecologico e tolleranza ad alti livelli di inquinamento. In tale studio viene valutata la bontà dell’anguilla come bioindicatore di inquinamento in due lagune italiane (Orbetello e Varano). Campioni di sedimento superficiale e tessuti (fegato e muscolo) di anguille argentine, provenienti da catture commerciali, sono stati raccolti con lo scopo di determinare il contenuto degli inquinanti (organici ed inorganici), di valutare l’arricchimento nei tessuti e di correlare tali livelli alla potenziale differente pressione umana. Per valutare l’accumulo di contaminanti legato alle attività umane sono stati calcolati i fattori di arricchimento biologico (BEF), mentre l’analisi multivariata è stata usata per confrontare la pressione antropica sui due ecosistemi e l’influenza delle sorgenti di scarico. I risultati evidenziano una differenza significativa tra le lagune di Orbetello e Varano per ciò che riguarda i contaminanti organici nei sedimenti, con valori medi largamente più alti nella laguna di Orbetello. Stesso risultato è stato riscontrato dalle analisi dei tessuti delle anguille, evidenziando la presenza di un importante fonte locale di tale contaminazione ad Orbetello rispetto a Varano. In relazione agli inquinanti inorganici, arricchimenti significativi di alcuni elementi in traccia (per es. Zn e Cu) sono stati ritrovati in entrambi le lagune, con valori di BEF sensibilmente più alti nella laguna di Orbetello. In conclusione, i risultati ottenuti in questo studio confermano che l’anguilla europea rappresenta un buon indicatore della qualità delle lagune costiere. Sebbene la laguna di Varano risulti essere meno impattata da un punto di vista della qualità chimica rispetto ad Orbetello, dai fattori di accumulo è stato possibile differenziare la pressione antropica (origine) sulle due lagune. Nella laguna di Varano prevale l’inquinamento inorganico da elementi in traccia, dovuto ad intense attività agricole nel bacino imbrifero, mentre nella laguna di Orbetello è maggiore la biodisponibilità degli inquinanti organici, dovuti ad una maggiore industrializzazione ed urbanizzazione dell’area. 98 AMB16 RISULTATI DELL’ATTIVITA’ DI CONTROLLO DI ARPA PUGLIA SU DISCARICHE DEL TERRITORIO DELLA PROVINCIA DI TARANTO Adele Dell’Erba1,*, Adriana Primicino1, Maria Spartera1, Massimo Blonda2, Giorgio Assennato2 1 ARPA Puglia, Servizio Territoriale DAP Taranto, Contrada Rondinella, 74121 Taranto 2 ARPA Puglia, Corso Trieste 27, 70126 Bari Tel:+39-099-9946331, E-mail: a.dellerba@arpa.puglia.it Nel presente lavoro si riportano gli esiti del monitoraggio effettuato da ARPA PUGLIA nel biennio 2009-2011 sul percolato e sulle acque di falda prelevate dai pozzi spia di due discariche (una in esercizio e una in post-gestione) ubicate nel tarantino, autorizzate dalla Provincia di Taranto e classificate in categoria ex 2B ai sensi della Delibera Comitato Interministeriale 27/07/1984. Tali controlli sono previsti dall’art. 13 del D.Lgs. 36/03 in relazione alle fasi di gestione operativa e post operativa delle discariche; in particolare, l’Allegato 1 al predetto decreto prevede la captazione, raccolta e smaltimento del percolato e delle acque di discarica per tutto il tempo di vita dell’impianto e, comunque, per un tempo non inferiore a 30 anni dalla data di chiusura definitiva. Il punto 5.1 del citato Allegato 1 stabilisce che il controllo delle acque sotterranee venga espletato individuando almeno un pozzo a monte idrogeologico e due a valle dell’impianto, indicando altresì i parametri da monitorare e la frequenza delle misure. La finalità del monitoraggio delle acque sotterranee è quella di rilevare tempestivamente eventuali situazioni di inquinamento riconducibili alla discarica, al fine di adottare le necessarie misure correttive. Le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) per le acque sotterranee sono fissate dalla Tabella 2 dell’Allegato 5, Titolo V, Parte IV del D.Lvo 152/06. L’evidenza del nesso di causalità tra contaminazione e fonte-discarica si basa principalmente sul confronto dei valori riscontrati nel pozzo a monte e nei pozzi a valle del sito, lungo la linea di deflusso della falda. Dai dati del monitoraggio dei pozzi spia presenti nelle due discariche campione emergono superamenti delle CSC relative, in un caso, ai parametri solfati, piombo e nichel e, nell’altro, del parametro fluoruri. La valutazione finale dei risultati analitici per i siti in esame ha tenuto conto dell’ubicazione degli stessi in area SIN (Sito di Interesse Nazionale) la cui caratterizzazione ha evidenziato una contaminazione diffusa della falda da metalli pesanti e composti organici clorurati. La caratterizzazione chimica del percolato di discarica, obbligatoria per il gestore ai fini della classificazione del refluo per l’avvio agli impianti di destinazione finale, è stata utilizzata dall’Agenzia per supportare l’ipotizzato nesso di causalità tra contaminazione della falda e discarica. 99 AMB17 IMPATTO DELLA SORGENTE “BIOMASS BURNING” SUI LIVELLI E SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA DEL PM Paolo Rosario Dambruoso, Gianluigi de Gennaro, Alessia Di Gilio, Jolanda Palmisani, MariaTutino Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari alessia.digilio@uniba.it Keywords: Biomass burning, caratterizzazione chimica, fattori di arricchimento, particolato atmosferico, OPC, analizzatore di IPA in continuo. Studi epidemiologici dimostrano che la combustione di biomassa determina l’emissione in atmosfera di particelle fini e ultrafini in grado di raggiungere le vie aeree più profonde e di determinare effetti negativi sulla salute umana [1]. La combustione degli scarti della potatura degli alberi di ulivo è una pratica comune nelle aree rurali del Sud Italia; e la prossimità delle zone rurali alle aree urbane determina una maggiore esposizione stagionale della popolazione agli inquinanti atmosferici. Il presente lavoro si pone come principale obiettivo un’attenta valutazione dell’impatto della sorgente emissiva “biomass burning” sui livelli e sulla composizione chimica del PM10. Nell’ambito di due campagne di monitoraggio, ciascuna della durata di una settimana ed effettuate in due anni distinti, sono stati collezionati campioni giornalieri di PM10 mediante l’ausilio di un campionatore alto volume (Tisch Environmental). Nello specifico, nei primi tre giorni della campagna settimanale sono stati raccolti campioni giornalieri di PM10 definiti ‘Bianco’ mentre nei restanti tre giorni, sono stati raccolti campioni di PM10 caratterizzati dalla sorgente ‘biomass burning’ inducendo appositamente la combustione controllata degli scarti di potatura per circa tre ore al giorno. Durante la campagna di monitoraggio inoltre, un secondo campionatore alto volume è stato utilizzato al fine di effettuare campionamenti di PM10 a pochi metri di distanza dall’incendio ed esclusivamente nelle ore in cui si verificava la combustione degli scarti di potatura. Infine sono state determinate la concentrazione numerica delle particelle e la concentrazione atmosferica totale degli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) attraverso l’uso di un Contatore Ottico di Particelle (OPC) e di un analizzatore di IPA (EcochemPas 2000), rispettivamente. La caratterizzazione chimica dei campioni di PM10 è stata effettuata al fine di determinare quantitativamente gli ioni e gli elementi presenti nella componente inorganica, gli IPA e la frazione carboniosa (OC, EC). L’analisi preliminare dei dati sperimentali raccolti ha messo in evidenza l’importanza di alcuni traccianti organici ed inorganici nell’interpretazione dell’influenza della sorgente emissiva “biomass burning” sulle concentrazioni atmosferiche di PM10. Sono state osservate, infatti, elevate concentrazioni atmosferiche di OC, EC, K, Pb e di benzo(a)antracene, benzo(a)pirene e benzo(k)fluorantene. Saranno inoltre determinati i fattori di arricchimento (EF) relativi a ciascun elemento e studiate le distribuzioni dimensionali delle particelle prodotte durante eventi di combustione di biomassa. Bibliografia [1] Nadadur, S.S et al, Toxicol. Sci. 318-327, 100(2007). 100 AMB18 CARATTERIZZAZIONE DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO MEDIANTE TECNICHE AD ALTA RISOLUZIONE TEMPORALE Martino Amodio, Paolo Rosario Dambruoso, Gianluigi de Gennaro, Alessia Di Gilio Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari alessia.digilio@uniba.it Keywords: caratterizzazione chimica, frazione ionica, PM2,5, tecniche ad alta risoluzione temporale Per valutare la qualità dell’aria ambiente, nel 2008 la comunità europea ha sancito la necessità della speciazione chimica del particolato atmosferico (PM) in termini di frazione ionica e carbonio organico ed elementare (2008/50/CE). Negli ultimi anni, infatti, un numero crescente di pubblicazioni scientifiche ha dimostrato che la pericolosità del PM è correlata non soltanto alle dimensioni delle particelle ma anche alla variabilità della sua composizione chimica ed in particolar modo per quella che ne caratterizza la frazione più fine, in grado di raggiungere le vie aeree più profonde e di determinare effetti negativi sulla salute [1]. Al fine di comprendere i processi di trasporto, di interazione tra gli inquinanti e di trasformazione del PM, è stato sperimentato sul campo un Sistema Integrato costituito da una stazione di monitoraggio del particolato atmosferico composta da un campionatore doppio canale SWAM, un PBL Mixing monitor, un monitor OPC, un Fast Mobility Particles Size (FMPS) e un campionatore Ambient Ion Monitor (AIM 9000D-URG). L’ FMPS permette di studiare i modi di nucleazione e accumulazione delle particelle nel range di dimensioni comprese tra 5.6-560 nm mentre il campionatore AIM 9000D è un sistema automatizzato che, direttamente in campo campiona sia il gas che il particolato e determina la concentrazione oraria di anioni e cationi adsorbiti sul particolato fine (cloruro, nitrito, nitrato, fosfato, solfato, sodio, ammonio, potassio, magnesio, calcio) e dei loro precursori gassosi (acido cloridrico, acido nitrico, acido nitroso, anidride solforosa ed ammoniaca) in atmosfera. L’analisi dei dati raccolti dal sistema integrato durante una campagna di monitoraggio di un mese (1-31 Ottobre 2011) nel Campus Universitario di Bari, ha permesso di osservare eventi emissivi limitati nel tempo e di breve durata, evidenziare il ruolo di eventi di trasporto, l’impatto di sorgenti occasionali e la variazione temporale delle emissioni di importanti sorgenti. Bibliografia [1] CA Pope et al., New Engl J Med 360:376-386 (2009) 101 AMB19 METALS AND POLYCHLORINATED BIPHENYLS IN MEDITERRANEAN SEAFOOD AND SURFACE SEDIMENTS, INTAKE EVALUATION AND RISK FOR CONSUMERS Cristina Annicchiarico, Nicola Cardellicchio, Antonella Di Leo, Santina Giandomenico, Lucia Spada CNR – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero – Unità Operativa di Taranto, via Roma 3, 74123 Taranto dileo@iamc.cnr.it The aim of this work was to determine the concentrations of metals (Al, Fe, Cd, Cu, As, Hg, Mn, Ni, Pb, Sn, V, and Zn) and 32 polychlorinated biphenyls (PCBs) in the sediments, bivalve molluscs (Mytilus galloprovincialis, Chlamys glabra) and gastropod molluscs (Hexaplex trunculus) collected in 4 sites from first inlet of the Mar Piccolo of Taranto (Ionian sea, Italy) at March and July 2011, in order to investigate contamination level and public health risks, associated with consuming seafood harvested from these areas. Moreover the goal of this study was also to estimate the weekly intake, in children and adults, and compare it with the Provisional Tolerable Weekly Intake (PTWI) recommended by the European Food Safety Authority. Concerning the sediments the highest levels of PCBs, Mn, V, Sn, Pb, Ni and As were found in the stations 1 (located near to Military Navy Arsenal), in both sampling campaigns. In the organisms, in both sampling campaigns, the highest Zn, Cd, Hg, Cu, As and PCBs concentrations were observed in H. trunculus, while the highest Al, Fe and Mn levels were observed in C. glabra. Concerning Hg no organisms collected in March and July exceeded the legal limits set by EU Regulation n. 1881/06 (0.5 mg/kg w.w.), Pb levels only in station 1 at March in M. galloprovincialis and C. glabra were above the legal limits of 1.5 mg/kg w.w. while Cd levels in the stations 2, 3 and 4 at July in H. trunculus were above the legal limits of 1.0 mg/kg w.w.. The non-dioxin-like PCBs levels (as sum of the six congeners: 28, 52, 101, 138, 153 and 180) in the H. trunculus collected in all stations both March that July were above the legal limits of 75 ng/g w.w. by EU Regulation n. 1259/11, while in M. galloprovincialis only at July in stations 2 and 3 the nondioxin-like PCBs levels were above the legal limits. As regards C. glabra, the non-dioxin-like PCBs levels were under the legal limits in all station both March that July. The estimated weekly intake of Hg, Cd and Pb calculated for adults, were always below the established PTWI (4 µg/kg body weight for Hg, 7 µg/kg body weight for Cd and 25 µg/kg body weight for Pb) for all sampled organisms in all stations both March that July. Instead in children the estimated weekly intake of Cd were always above the established PTWI in the H. trunculus in all stations in both sampling campaigns, also the estimated weekly intake of Hg were above the established PTWI in the H. trunculus in all stations mostly at July. As regards, the estimated weekly intake of ndl PCBs were always above the established PTWI (0.07-0.45 µg/kg body weight) for all sampled organism both children that adult in all stations in both sampling campaigns. Thus, health risks due to the dietary Hg, Cd, Pb and ndl PCBs intake for children especially cannot be excluded. 102 AMB20 RISK CHARACTERIZATION FOR MERCURY, METHYLMERCURY AND POLYCHLORINATED BIPHENYLS ASSOCIATED WITH FISH CONSUMPTION Cristina Annicchiarico, Nicola Cardellicchio, Antonella Di Leo, Santina Giandomenico, Lucia Spada. CNR – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero – Unità Operativa di Taranto, via Roma 3, 74123 Taranto santina.giandomenico@iamc.cnr.it Contaminants in aquatic ecosystems, such as total mercury (THg), methylmercury (MeHg) and polychlorinated biphenyls (PCBs), have become a matter of concern because of their toxicity and tendency to accumulate in food chains. Fish are often located at the end of the aquatic food chain and may accumulate these pollutants and pass them to human beings through food, causing chronic or acute diseases. Fish consumption is the primary pathway of human exposure to THg, MeHg and PCB. To safeguard public health, concentration standards in seafood for many of these pollutants have been established in various countries. The European Community with Regulation No. 1881/2006 sets the maximum limit for THg in fish at 0.5 µg/g w.w. whereas the Regulation (EU) No. 1259/2011 sets the maximum limit for non-dioxin-like PCBs (ndl PCBs) as sum of the six congeners (PCB 28, 52, 101, 138, 153 and 180) at 75 ng/g w.w.. The aim of this work was to determine the levels of THg, MeHg and non-dioxin-like PCBs (ndl PCB) in different species of fish (Trachurus trachurus, Boops boops, Sarpa salpa and Gobius niger) collected from Mar Piccolo of Taranto (Ionian Sea, Southern Italy), in order to investigate contamination level and public health risks associated with consuming fish harvested from this area. Moreover the goal of this study was also to estimate the weekly intake both in children that adults and compare it with the provisional tolerable weekly intake (PTWI) recommended by the European Food Safety Autority (EFSA, 2004 and 2005). Concerning THg no fish collected exceeded the legal limits set by EU Regulation n. 1881/2006 (0.5 mg/kg wet weight) while the ndl PCBs concentrations, in the Trachurus trachurus and Boops boops were above the limit value of 75 ng/g wet weight by EU Regulation n. 1259/2011. The estimated weekly intake of THg, calculated for children, only in the Trachurus trachurus exceeded the PTWI (4 µg/kg body weight ) while the estimated weekly intake of MeHg exceeded the PTWI (1.6 µg/kg body weight) both children that adult for the Trachurus trachurus and Boops boops. Instead, the estimated weekly intake of ndl PCBs were always above the established PTWI (0.070.45 µg/kg body weight) for all sampled fish in children while in adults estimated weekly intake were above the established PTWI only for Trachurus trachurus and Boops boops. 103 AMB21 STUDIO DELLE ALTERAZIONI DEL FILM LACRIMALE IN POPOLAZIONE ESPOSTA A PARTICOLATO ATMOSFERICO NELL’AREA URBANA DELLA CITTÀ DI TARANTO Geremia Oliva1, Francesco Perri2, Maurizio Manigrasso3, Claudio Vernale3, Vincenzo Galasso2, Francesco Bailardi1, Antonia L. Pellegrini2, Carlo Giannico2, Pasquale Avino3 1 2 ASL TA/1, viale Virgilio 31 - 74100 Taranto INAIL ex-ISPESL, settore Ricerca, sex. Taranto, via D’Aquino 40 - 74100 Taranto 3 INAIL ex-ISPESL, settore Ricerca, via Urbana 167 - 00184 Roma. c.giannico@inail.it Recenti studi sugli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute umana hanno messo in evidenza l’emergere di nuove patologie dovute agli inquinanti ambientali, specialmente nelle aree urbane. Tra i vari inquinanti atmosferici una particolare attenzione viene data al particolato per le sue caratteristiche chimiche e fisiche: le particelle possono essere inalate e penetrare in profondità nel sistema respiratorio. L’esposizione a questo inquinante, in particolare a particelle fini ed ultrafini (<100 nm), può causare gravi danni alla salute umana. Lo scopo di questo studio è quello di determinare se il particolato può essere in grado di alterare il film lacrimale, una sottile pellicola trasparente che ricopre l’epitelio corneale e congiuntivale, che ha funzioni lubrificanti, protettive, nutrizionali e antimicrobiche. Le valutazioni sono state effettuate in una zona ad alta industrializzazione come la città di Taranto. La ricerca è stata condotta su due gruppi di individui, il primo composto di residenti nella zona urbana nei pressi del centro industriale, mentre il secondo è costituito da residenti in centro. Allo stesso tempo abbiamo studiato il comportamento del particolato atmosferico. Su una popolazione di 321 pazienti testati sono stati eseguiti diversi test (test di Schirmer, MA test e prove ferning oculari): sono stati confrontati i risultati tra soggetti normali e patologici, utilizzando anche un test di statistica. Dall’analisi dei dati, si evidenzia una maggiore incidenza di alterazione del film lacrimale nei pazienti selezionati per sesso ed età. In ogni caso, appare importante migliorare lo studio con misurazioni oculari altri per approfondire i livelli dei danni oculari. 104 AMB22 LA DETERMINAZIONE DEL CARBONIO IN ATMOSFERA – CONFRONTO TRA DUE METODI DI MISURA Angelika Hofer1, Andrea Piazzalunga2, Paulo Tieppo3, Gian Maria Formenton3, Stefania Squizzato1, Mauro Masiol1, Silvia Ficotto3, Paola Fermo4, Giancarlo Rampazzo1, Bruno Pavoni1 1 Dip. di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, Università Ca’ Foscari Venezia Dipartimento di Scienze Ambientali, Università di Milano Bicocca, Piazza della Scienza 1, 20126 Milano 2 Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto, Dipartimento Provinciale di Venezia, via Lissa 6, 30174 Venice – Mestre 3 Dipartimento di Chimica Inorganica Metallorganica e Analitica, Università degli Studi di Milano angelika.hofer@unive.it La componente carboniosa rappresenta una delle frazioni maggiori dei polveri sottili (PM2.5) in atmosfera, soprattutto in prossimità di sorgenti antropiche come aggregati industriali e zone urbane ad alto traffico veicolare, in quanto è in primis un prodotto della combustione di carburanti. Oltre ad influenzare l’effetto serra e causare una riduzione della visibilità, il materiale carbonaceo può provocare degli effetti negativi sulla salute umana [1]. Proprio per questo la Direttiva Europea 2008/50/CE, ratificata in Italia con il decreto legislativo n. 155 del 13 agosto 2010, richiede le analisi del carbonio elementare (EC), generato soprattutto dalla combustione incompleta di carburanti in ambienti poveri di ossigeno, e del carbonio organico (OC), il quale invece può essere di origine sia primaria sia secondaria. Tuttavia né la direttiva né il suo recepimento nazionale presentano un metodo analitico ufficiale per la determinazione di questi parametri, nonostante la WHO solleciti una standardizzazione dei vari metodi analitici in modo tale da poter confrontare i risultati ottenuti [1]. In questo lavoro sono stati messi a confronto i risultati ottenuti dalle analisi di filtri in fibra di quarzo (Ø = 47 mm) campionati durante l’inverno 2008/2009 nella zona industriale di Venezia – Mestre con un campionatore a basso volume (2.3 m3 h-1). Le analisi sono state eseguite mediante a) un analizzatore Shimadzu TOC-5000 accoppiato con SSM-5000A [2] e b) un Lab OC-EC Aerosol Analyzer (Sunset Laboratory Inc., USA), metodo NIOSH [3]. Nonostante l’analizzatore TOC sia utilizzato comunemente per analizzare il carbonio totale (TC) di campioni solidi come sedimenti o rifiuti, i risultati mostrano che può essere una valida alternativa ad un OC-EC Analyzer. I fattori di correlazione tra i due metodi presentano valori di 0.99, 0.79 e 0.95 per TC, EC e OC, rispettivamente. [1] WHO, 2012: Health effects of Black Carbon. [2] Formenton G., Libralesso B. (2007): Caratterizzazione chimica del particolato atmosferico di Venezia: la determinazione del carbonio. Il Bollettino 2-2007: 28-35 [3] Perrone M.R., Piazzalunga A., Prato M., Carofalo I. (2011): Composition of fine and coarse particles in a coastal site of the central Mediterranean: Carbonaceous species contributions. Atmospheric Environment 45: 7470-7477 105 AMB23 SIMOULTANEOUS DETERMINATION OF CHLOROANILINES AND CHLORONITROBENZENES IN DIFFERENT ENVIRONMENTAL WATERS Roberto Lava1,2, Luciana Menegus2, Giulio Pojana1, Antonio Marcomini1 1 Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, Universitá Cá Foscari Calle Larga S.Marta 2137, I-30123 Venezia 2 ARPAV – Agenzia Regionale di Protezione e Prevenzione Ambientale del Veneto, Via Lissa 6, 30171 Venezia Mestre lava_roberto@hotmail.com Chlorinated aromatic amines and chloronitrobenzenes are two classes of substances considered harmful and dangerous because of their toxicity. They are classified as pollutants of main concern for water resources by Italian environmental legislation [1], according to the national implementation of the EU Water Framework Directive [2]. A simple and efficient multiresidue method for the screening and simultaneous detection of seven chloroanilines and five chloronitrobenzenes, as pollutants of environmental waters, is described. The extraction is based on solid phase extraction (SPE) followed by gas chromatography coupled with mass spectrometry detection (GC-MS), without any derivatization. The first part of the study develops the best analytical conditions to obtain an easy and quick, yet rugged, method to be applied in a routine/control environmental laboratory. Moreover, investigations and considerations on different extraction cartridges, on pH conditions and on the final elution step, were made. Afterwards, the method was validated in terms of linearity, repeatability, recovery, breakthrough and LODs/LOQs on spiked environmental samples. Finally, the analytical method for the selected compounds was tested on different real environmental water samples such as ground water, surface water and waste water collected over the 2007-2009 period in different areas of the Veneto Region. References: 1. Decreto 14 Aprile 2009 n.56 del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare recante "Criteri tecnici per il monitoraggio dei corpi idrici e l'identificazione delle condizioni di riferimento per la modifica delle norme tecniche del decreto legislativo 3 aprile 2006 .153" Gazzetta Ufficiale n.124 del 30/05/2009 S.O. n.83, Allegato I 2. Directive 2000/60/EC of the European Parliament and of the Council of 23 October 2000 establishing a "Framework for Community action in the field of water policy", Official Journal, L 327; 22/12/2000: P. 0001-0073. 106 AMB24 SEWAGE SLUDGE FROM URBAN WASTEWATER TREATMENT PLANT: ENERGY RECOVERY AND ENVIRONMENTAL ASSESSMENT Ivan Mangili Dip. Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano-Bicocca, piazza della Scienza 1, 20126 Milano i.mangili@campus.unimib.it Sludge is by far the largest in volume amongst the by-products of wastewater treatment, and its processing methods and disposal techniques are nowadays a matter of great concern. Currently, the known sludge disposal methods are recycling as fertilizer, landfilling and incineration. Sludge incineration presents several advantages, including volume reduction, thermal destruction of toxic organic constituents, and energy recovery1. Moreover, sewage sludge, being a biosolid, can be considered a renewable energy source, alternative to fossil fuels2. Technologies available for thermal processing of sewage sludge can be grouped into three categories, i.e. mono-incineration, co-combustion, and other thermal processes (gasification, pyrolysis, wet oxidation)3. Among mono-incineration technologies, fluidized bed incineration is becoming more and more attractive in comparison to the conventional multiple hearth type. An integrated process where sludge is dried before incineration is presented and discussed. In order to treat the sludge effectively, the knowledge of the sludge characteristics is crucial: physicochemical parameters as moisture content, ash content, ultimate composition (C, H, O, S, N, Cl as %w/w dw), higher heating value, were determined together with the content of heavy metals, total organic carbon, Polycyclic Aromatic Hydrocarbons (PAHs), PolyChloroDibenzo-p-Dioxins (PCDDs) and PolyChloroDibenzoFurans (PCDFs). A thermodynamic model was developed to simulate the integrated process, including indirect thermal drying and combustion4. The heat of the exhaust gases from the furnace is recovered in a downstream boiler and used for sludge drying. The application of the algorithm described made clear that the sludge has to be fed to the fluidized bed furnace at an optimal solid concentration of 52%, high enough to carry out a self sustaining combustion, without any need of auxiliary fuel. The energy efficiency, evaluated according to the criteria of the European Directive 2008/98, might be as high as 50%, depending on the electric energy consumption for the integrated plant. 1. D. Fytili, A. Zabaniotou, Renew. Sust. Energ. Rev., 2008, 12, 116-140J. 2. E. Cartmell, P. Gostelow, D. Riddell-Black, N. Simms, J. Oakey, J. Morris, P. Jeffrey, P. Howsam, S. Pollard, Environ. Sci. Technol., 2006, 40, 649-658 3. Werther, T. Ogada, Prog. Energy Combust. Sci., 1999, 25, 55-116 4. Mininni, G. Incineration with Energy Recovery. In Sludge into Biosolids: Processing, Disposal, Utilization; Spinosa, L., Vesiling, P. A., Eds.; IWA Publishing: London, 2001 107 AMB25 PCDD/F NELLE MATERIE PRIME DI ORIGINE NATURALE: IL CAOLINO LAZIALE Silvia Mosca1, Ettore Guerriero1, Simone Guidone1, Mauro Rotatori1, Giuseppe Bonifazi2, Mauro Ferrini2, Vincenzo Giancontieri2, Andrea Manni2 1 Istituto sull’Inquinamento Atmosferico – CNR (CNR-IIA) – Via Salaria km 29,300 00015 Monterotondo (RM) 2 Dip. ICMA Università "La Sapienza" - Via Eudossiana 18, 00184 Roma; andrea.manni@uniroma1.it Il caolino trova utilizzo in una vasta gamma di applicazioni come nell’industria delle ceramiche e delle porcellane, nell'industria farmaceutica come eccipiente delle compresse, nell'industria della carta e come additivo alimentare nei mangimi. Negli ultimi anni la quantità di diossine (PCDD/F) contenuta in questo tipo di minerale ha creato seri problemi di contaminazione in diverse parti del mondo. Ancora non è ben chiara l’origine (naturale o antropogenica) di questi microinquinanti. Nella maggior parte dei dati disponibili in letteratura, l'analisi dei microinquinanti è stata effettuata sulla roccia che contiene la mineralizzazione, senza differenziare le diverse componenti mineralogiche. In questo lavoro, si è studiato il giacimento di caolino “primario” di Monte Sughereto, in località Sasso di Furbara, posto nel comune di Cerveteri (RM) e rientrante nel distretto vulcanico dei Monti Ceriti, in cui la caolinite si trova all’interno della trachite alterata per l’azione di fluidi idrotermali. I campioni (selezionati manualmente, e prelevati a due quote differenti del fronte della miniera) sono stati macinati mediante un frantoio a mascelle e sottoposti ad un processo automatico di attrizione al fine di liberare il caolino dalla matrice (ganga trachitica) e così generare due frazioni meglio definite sia dal punto di vista mineralogico che granulometrico. Lo scopo del lavoro è stato duplice: effettuare una valutazione multidisciplinare, chimica e geoingegneristica, del materiale caolinico rispetto alla ganga trachitica ed una valutazione della distribuzione di diossine sulle due componenti della roccia. Sia sui campioni di caolino che di trachite sono presenti le diossine ed i furani ad elevato grado di clorurazione (epta ed otta diossine e furani); in particolare si è potuto osservare una quantità maggiore di diossine sul caolino rispetto alla corrispondente trachite. Inoltre, i campioni prelevati a quota +20m rispetto al piano di cava risultano essere più contaminati. Tali risultati aggiungono informazioni che contribuiranno a definire meglio sia il processo di formazione dei microinquinanti organici sia il processo di formazione del giacimento minerario. Bibliografia Guerriero E., Pomponio S., Mosca S., Rotatori M., Bonifazi G., Giancontieri V., Manni A., Micropollutants in An Italian Kaolin: Assessment and Formation Proposal, Organohalogen Compds. (2011) 73: 138-141 Barrese E., Della Ventura G., Di Sabatino B., Giampaolo C., Nuovi dati chimici sul deposito di caolino di Monte Sughereto. Geologica Romana (1993) 29: 187-196 108 AMB26 INDAGINE ELLISSOMETRICA DI FILM SOTTILI DI TiO2 PER L’OTTIMIZZAZIONE DEI PROCESSI DI ABBATTIMENTO FOTOCATALITICO DI INQUINANTI REFRATTARI Giulia Marchetti, Marco Minella, Davide Vione, Claudio Minero, Valter Maurino Dipartimento di Chimica, Università di Torino, Via Pietro Giuria 5, 10125 Torino, giulia86.marchetti@libero.it L’inquinamento delle acque e dell’atmosfera è uno dei principali problemi della società contemporanea. Per un efficace abbattimento di inquinanti refrattari sono state messe a punto tecnologie avanzate di ossidazione (Advanced Oxidation Technologies, AOTs)7. Tra queste, la fotocatalisi su semiconduttori è in grado di abbattere e mineralizzare la quasi totalità degli inquinanti organici, promuovendone l’ossidazione a CO2, acqua e ioni inorganici, in condizioni di reazione blande8. Per la sua fotostabilità, atossicità, basso costo e buona fotoattività, il TiO2 policristallino, nella fase anatasio, è il semiconduttore di maggior interesse. Tuttavia la resa quantica e la resa fotonica dei fotoprocessi che avvengono negli ossidi semiconduttori è ancora piuttosto bassa. In questo lavoro sono stati prodotti e studiati film sottili di biossido di titanio, variamente drogati. Le loro proprietà ottiche sono state correlate con la loro attività fotocatalitica valutata monitorando la degradazione di un inquinante standard (fenolo) sotto irraggiamento UV e visibile. L’indagine delle proprietà ottiche dei film sintetizzati è stata condotta mediante ellissometria spettroscopica, una tecnica di misurazione ottica che, studiando le proprietà di riflessione (o trasmissione) della luce da parte di un campione, permette di ottenere le sue proprietà dielettriche (indice di rifrazione e coefficiente di assorbimento) e strutturali (spessore e rugosità)9. I due tipi di drogaggio indagati (con azoto e con cationi metallici) portano da un lato all’ottenimento di una riduzione del band gap del semiconduttore e conseguente assorbimento nel visibile, dall’altro all’inserimento di difetti nel reticolo cristallino che possono giocare un ruolo importante nella separazione e ricombinazione dei portatori di carica fotogenerati10. Le risultanze sperimentali hanno evidenziato che: (i) nei film sottili prodotti è presente un gradiente di proprietà ottiche in funzione dello spessore; (ii) la presenza di materia organica scarsamente volatile, come un tensioattivo non ionico, migliora l’attività fotocatalitica dei film; (iii) il drogaggio con azoto è efficace per ciò che riguarda l’attività nel visibile se il precursore organico contiene un elevato rapporto N/C e una buona capacità complessante nei confronti del Ti(IV); (iv) il drogaggio con cationi aliovalenti rispetto al Ti(IV) può condurre a buone fotoattività se il raggio cristallografico del catione si adatta al reticolo cristallino dell’anatasio; (v) determinanti nel controllo dell’attività fotocatalitica non sono solo le proprietà ottiche, ed in particolare il band gap, ma anche e soprattutto la presenza di difetti cristallini. 7 M. I. Bitter, Introduction to Photochemical Advanced-Oxidation Processes for Water Treatment, 325-366 in Handbook of Environmental Chemistry, Part M, 2005, Springer, Berlin. 8 E. Pelizzetti, V. Maurino, C. Minero, V. Carlin, E. Pramauro, O. Zerbinati, M.L. Tosato; Photocatalytic degradation of atrazine and other s-triazine herbicide, Environ. Sci. Technol., 1990, 24, 1559. 9 H. Fujiwara; Spectroscopic Ellipsometry: Principles and applications, John Wiley & Sons, 2007. 10 M.K. Nowotny, L.R. Sheppard, T. Bak, J. Nowotny; Defect chemistry of titanium dioxide. Application of defect engineering in processing of TiO2-based photocatalysts, J. Phys. Chem. C, 2008, 112, 5275. 109 AMB27 IMPATTO DELLE COMBUSTIONI DOMESTICHE SULLA QUALITA’ DELL’ARIA INDOOR Eleonora Andriani, Paolo Rosario Dambruoso , Gianluigi de Gennaro, Annamaria De Marinis Loiotile , Alessia Di Gilio, Valerio Di Palma, Annalisa Marzocca, Antonio Mazzone, Jolanda Palmisani, Maria Tutino Dipartimento di Chimica, Università di Bari, via Orabona, 4. 70126 Bari annalisa.marzocca@uniba.it E’ crescente l’interesse della comunità scientifica nei confronti dei fenomeni di inquinamento indoor connessi alla combustione delle biomasse, come ad esempio l’utilizzo di stufe e caminetti, in relazione anche alle nuove politiche energetiche che ne incentivano l’impiego. Studi bibliografici (1) mostrano che la combustione di biomassa è responsabile di elevate emissioni di particolato. La frazione più fine (diametro aerodinamico < 2.5 μm) può essere costituita da una complessa miscela di composti di differente tossicità per l’uomo già individualmente considerati, come gli idrocarburi policiclici aromatici, IPA, e i metalli pesanti (2). E’ opportuno ricordare che in ambienti domestici vi sono anche altre attività di combustione che possono contribuire all’aumento della concentrazione di detti inquinanti (cottura dei cibi, fumo di sigarette ecc…) (3). Nello studio in oggetto è stato condotto un monitoraggio in abitazioni con caminetti di differente tipologia (aperti, chiusi, termo camini). Le attività di campionamento sono state effettuate utilizzando un campionatore sequenziale per la raccolta della frazione PM10 (campionamenti di 12 ore) e, al fine di comprendere l’evoluzione temporale dei diversi inquinanti in ciascuno stadio di attività del caminetto, è stata utilizzata strumentazione ad alta definizione temporale: un contaparticelle ottico multicanale per la caratterizzazione in tempo reale della distribuzione granulometrica del materiale particellare aerodisperso ; un misuratore di particelle submicroniche nel range di dimensioni comprese tra 6 nm e 0,5 μm in grado di fornire uno spettro dimensionale delle particelle nel range indicato ; un analizzatore in continuo per la determinazione degli IPA adsorbiti sulla superficie degli aerosol carboniosi; un detector a fotoionizzazione per la misura di COV. Analizzando gli andamenti dei parametri monitorati è stato possibile distinguere nella maggior parte dei casi, i profili e i contributi delle sorgenti (caminetto, fumo di sigaretta, cottura cibi) nelle diverse fasi e la loro variabilità nel tempo in dipendenza dalle condizioni ambientali e di esercizio. Riferimenti bibliografici: 3) Energy and Fuels. Nussbaumer, T., 2003. 17 (6),1510–1521 4) ‘Europart’. Airborne particles in the indoor environment. A European interdisciplinary review of scientific evidence on associations between exposure to particles in buildings and health effects. T. Schneider, J. Sundel, W. Bischof, M. Bohgard, J. W. Cherrie, P. A. Clausen1, S. Dreborg, J. Kildes, S. K. Kjærgaard, M. Løvik, P. Pasanen, K. Skyberg- Indoor Air 2003; 13: 38–48 5) Size distribution and emission rate measurement of fine and ultrafine particle from indoor human activities. Gehin, E., Ramalho, O., Kirchner, S. (2008).Atmospheric Environment, 42, 8341–8352. 110 AMB28 RELAZIONE TRA LA CIRCOLAZIONE ATMOSFERICA E LE DISTRIBUZIONI DIMENSIONALI DI ALCUNI ELEMENTI NELL’AEROSOL DI VENEZIA Mauro Masiol1, Stefania Squizzato1, Daniele Ceccato2, Giancarlo Rampazzo1, Bruno Pavoni1 1 Dip. Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, Università Ca’ Foscari Venezia, Dorsoduro 2137, 30123 Venezia. 2 Dip. Fisica e Astronomia “Galileo Galilei”, Università degli Studi di Padova, via Marzolo 8, 35131 Padova masiol@unive.it Le particelle che compongono l’aerosol hanno differenti dimensioni, forme, composizione chimica e giocano un ruolo diretto ed indiretto sul clima, influenzano la visibilità, possono subire reazioni chimiche in atmosfera e possono causare effetti negativi per la salute dell’uomo. Inoltre, le caratteristiche dimensionali e la composizione delle particelle sono strettamente relazionate alle sorgenti di emissione e ai processi chimici in atmosfera che le generano. Recentemente, alcuni studi condotti nell’area veneziana hanno permesso di individuare e quantificare le sorgenti di emissione più importanti, mettendo in luce sia l’influenza dei fenomeni di generazione locali che il ruolo dei trasporti esterni a scala continentale e regionale [1–4]. Questo contributo presenta i risultati preliminari di uno studio condotto in una stazione di fondo semi-rurale dell’area veneziana utilizzando un impattatore multistadio per determinare le relazioni tra la circolazione locale, il clima e la distribuzione dimensionale di alcuni elementi maggiori e minori dell’aerosol. Un totale di 18 campioni sono stati raccolti usando un impattatore a 8 stadi I-1 (PIXE International Co., tagli aerodinamici a 16, 8, 4, 2, 1, 0.5, 0.25 μm), per un totale di 144 singole membrane. Ogni membrana, unitamente a bianchi campo e bianchi filtro, è stata analizzata usando la tecnica PIXE presso i laboratori di Legnaro dell’INFN per la determinazione quantitativa di 14 elementi (Na, Mg, Al, Si, K, Ca, Ti, V, Cr, Mn, Fe, Ni, Cu e Zn). Gli elementi di origine tipicamente marina e di origine terrigena mostrano distribuzioni dimensionali con mode generalmente supermicrometriche, mentre zolfo, potassio e alcuni elementi associabili a sorgenti antropiche (Cr, Mn, Cu, Zn) presentano mode marcate nella regione submicrometrica. Lo studio della distribuzione dimensionale degli elementi ha permesso di ampliare la conoscenza delle caratteristiche chimico-fisiche dell’aerosol nell’area di studio e ha fornito importanti indicazioni sui principali processi di emissione primaria e di formazione secondaria. Lo studio di alcuni parametri micro-meteorologici, della circolazione atmosferica e dei trasporti a lunga distanza ha permesso di approfondire l’origine dell’aerosol e i principali meccanismi di generazione secondaria e di deplezione del cloro. [1] Masiol M. et al., Chemosphere 80 (2010) 771 [2] Squizzato S. et al. J. Aerosol Sci. 46 (2012) 64 [3] Masiol M. et al., Atmos. Environ. 54 (2012) 127 [4] Masiol M. et al., Environ. Sci. Pollut. Res. (2012) in stampa 111 AMB29 ANALISI MODELLISTICA DI SOURCE APPORTIONMENT PER IL BENZO(A)PIRENE E GLI IPA TOTALI PRESSO LA POSTAZIONE DI MONITORAGGIO DELLA QUALITA’ DELL’ARIA “VIA MACHIAVELLI”A TARANTO Angela Morabito1, Roberto Giua1, Stefano Spagnolo1, Tiziano Pastore1, Monica Bevere1, Ettore Valentini1, Giorgio Assennato1 , Maria Grazia Morselli2, Gianni Tinarelli2 1 ARPA Puglia, Centro Regionale Aria 2 ARIANET , Milano a.morabito@arpa.puglia.it L’area tarantina, insieme alle problematiche ambientali comuni a tutte le aree urbane, presenta un’elevata concentrazione di diverse tipologie di emissioni industriali che hanno provocato negli anni alti livelli di concentrazione di inquinanti in aria ambiente con conseguenti gravi alterazioni degli equilibri ambientali. Il monitoraggio annuale del benzo(a)pirene (BaP) svolto sul PM10 in aria ambiente da ARPA Puglia ha evidenziato negli anni 2009, 2010 e 2011 il superamento del valore obiettivo previsto dal D.Lgs. 155/2010 presso la postazione di monitoraggio sita in via Machiavelli, a ridosso della zona industriale. Al fine di identificare la causa di tali superamenti è stata effettuata con l’ausilio di tecniche modellistiche tridimensionali avanzate una valutazione quantitativa del contributo dei diversi comparti emissivi alle concentrazioni di BaP e IPA totali previste in corrispondenza della centralina Via Machiavelli. E’ stata quindi condotta una simulazione annuale per l’anno 2009 del BaP e degli IPA totali con la catena modellistica SWIFT-SURFPRO-SPRAY con una risoluzione target pari a 500m, considerando come sorgenti emissive le convogliate industriali, le diffuse industriali, il porto ed il traffico (limitatamente alle strade poste in prossimità di Via Machiavelli), stimate attraverso la metodologia internazionale CORINAIR. La meteorologia sull’area di studio è stata ricostruita con il codice meteorologico diagnostico MINERVE a partire dalle previsioni meteorologiche tridimensionali elaborate con RAMS. La ricostruzione dei parametri turbolenti è avvenuta con il modello micrometeorologico SURFPRO. L’utilizzo del codice lagrangiano a particelle SPRAY ha permesso in modo rapido e naturale di separare, identificare e calcolare l’apporto quantitativo di tali comparti all’interno delle matrici di concentrazione relativamente alle sostanze inquinanti considerate. La metodologia messa a punto ha consentito di identificare nelle emissioni diffuse della cokeria ILVA la causa dei superamenti per il BaP presso la centralina Via Machiavelli. 112 AMB30 STUDY OF THE INTERACTION OF POLYCYCLIC AROMATIC HYDROCARBONS WITH THE OXYGENASE (PHNI) AND THEIR SELECTED MUTANTS Vito Librando1,2, Matteo Pappalardo1 1 2 Dipartimento di Scienze Chimiche, Università di Catania, Viale A.Doria 6, 95125, Catania Research Center for Analysis, Monitoring and Minimization Methods of Environmental Risk, Chemical Science Building, Viale A.Doria 6, 95125, Catania vlibrando@unict.it The surrounding area of oil refinery is often contaminated by Polycyclic Aromatic Hydrocarbons (PAH). Their low reactivity, poor water solubility, and high hazard for human health represent one of the most challenging aspects in environmental chemistry. Recent approaches to PAH removal involved the use of enzyme able to degrade their molecular structure, but at present real and efficient solutions are not known. Recently some authors resolved structure of an enzyme with a good PAH removal capability for low weight molecules. Here we want to study that oxygenase (PhnI) with Molecular Dynamics (MD) and Docking calculation with the aim to point out new mutants with high degrading capability. Molecular Dynamics (MD) simulation was employed to optimize enzymatic geometry of the wild type enzyme and led us to the discovery of a network of channel spanning inside the enzyme. Moreover docking calculation confirmed literature data, and on these bases we generated six mutants of PhnI. The results indicate that the increase of the cavity of the active site in the mutants, allows inserting of high molecular weight PAH. Besides, resolution of Poisson-Boltzmann equation evidenced that a positive electrostatic potential on the active site of mutants F350A increase significantly its docking score versus high molecular weight PAH. Further studies are now in progress to increase in silico degrading efficiency for this enzyme, and we are planning parallel laboratory experiments. 113 AMB31 CARATTERIZZAZIONE DI SEDIMENTI DA DRAGAGGIO: VALUTAZIONE DELLA MOBILITÀ DI INQUINANTI INORGANICI, E DEGLI EFFETTI DEL TRATTAMENTO DI SOIL WASHING. Fabrizio Passarini,Claudio Corticelli, Ivano Vassura, Luciano Morselli Dip. di Chimica Industriale e dei Materiali - Università di Bologna fabrizio.passarini@unibo.it Il problema della ricollocazione dei sedimenti da dragaggio dei porti è sempre più pressante poiché i materiali di risulta sono volumetricamente consistenti, e le normative riguardanti il loro smaltimento sempre più vincolanti, a causa delle maggiori attenzioni riguardanti l’ambiente e la sua conservazione [1]. I sedimenti dragati sono spesso contaminati da inquinanti di diverso tipo, distinguibili in due grandi macroaree: metalli pesanti e idrocarburi, derivanti da attività industriali nelle aree portuali e dal transito di natanti. Nell’ambito della caratterizzazione di fanghi da dragaggio portuali, ci si è occupati di valutare la mobilità degli inquinanti inorganici in campioni contaminati prelevati dal porto canale di Ravenna. Si è lavorato su sedimenti tal quali e sui prodotti trattati tramite separazione granulometrica. Si è operato tramite l’utilizzo di due test di cessione, a pH controllato ed a percolazione, seguendo le specifiche tecniche UNI CEN/TS 14997 [2] e UNI CEN/TS 14405 [3], per valutare la lisciviabilità delle componenti inorganiche in processi analoghi a quelli che subiscono i sedimenti una volta stoccati nell’ambiente. L’utilizzo di test di cessione permette di valutare l’effetto del trattamento sulla mobilità degli inquinanti. Questo tipo di caratterizzazione fornisce informazioni indirette sulla pericolosità dei materiali e informazioni sui meccanismi di rilascio. Quindi l’utilizzo di test di cessione fornisce dati complementari all’analisi del contenuto totale di inquinanti, che permettono di comprendere, oltre al carico di contaminanti, la loro natura e la loro biodisponibilità, che può variare a seconda dello scenario di ricollocazione. La ripartizione degli inquinanti è influenzata notevolmente dalla distribuzione granulometrica, infatti, in particolare per i campioni maggiormente contaminati, si riscontrano, a seguito della separazione, concentrazioni circa 3 volte superiori nei sedimenti fini rispetto alle sabbie per i seguenti analiti: Cr, Fe, Ni, Pb, Cu, Zn. Questo studio preliminare, oltre a valutare la ripartizione dei contaminanti su base granulometrica, mostra come la mobilità di molti metalli pesanti sia più elevata nella frazione fine separata rispetto al sedimento tal quale, in particolare si è visto come il rilascio percentuale di Nichel e Zinco incrementi in modo consistente (fino a quattro volte tanto) sul materiale trattato rispetto a quello di partenza. [1] Apat Icram, Manuale per la movimentazione di sedimenti marini, 2006. [2] UNI CEN TS 14997, "Caratterizzazione dei rifiuti Prove di comportamento alla lisciviazione Influenza del pH sulla lisciviazione con controllo continuo del pH”, 2007. [3] UNI CEN TS 14405, "Caratterizzazione dei rifiuti Prove di comportamento alla lisciviazione Prova di percolazione a flusso ascendente (nelle condizioni specificate)", 2004. 114 AMB32 ANALISI DEI FLUSSI E DELLE RISERVE DI ALLUMINIO IN ITALIA MEDIANTE MFA DINAMICA Luca Ciacci, Fabrizio Passarini, Ivano Vassura, Luciano Morselli Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali & CIRI Energia e Ambiente, Università di Bologna, Viale del Risorgimento 4, 40136, Bologna. fabrizio.passarini@unibo.it Lo sfruttamento su larga scala di miniere e giacimenti naturali determina la trasformazione di molte risorse naturali in prodotti antropogenici. Nelle economie sviluppate, gli input di materiale superano solitamente gli output, determinando un accumulo di risorse all’interno delle società umane. L’analisi dei flussi di materia (Material Flow Analysis, MFA) è una metodologia che consente l’identificazione e la quantificazione di flussi e riserve in uso. Nello studio un modello di MFA dinamica è stato applicato per l’analisi dei flussi e delle riserve di alluminio in Italia per gli anni dal 1947 al 2009. Il modello elabora la struttura metodologica STAF (Stock And Flows Analysis) sviluppato dal Center for Industrial Ecology (Yale University), che divide il ciclo di vita di un metallo in quattro fasi principali: Produzione, Lavorazione e Fabbricazione, Uso e Gestione dei rifiuti e Riciclo. Ciascuna di queste fasi è suddivisa nei singoli processi, che nel caso dell’alluminio includono l’estrazione dei minerali (bauxite), raffinazione dell’allumina ed elettrolisi, forgiatura e produzione di semi-lavorati (es. laminati, estrusi) e prodotti finiti, quindi raccolta e trattamento dei rottami per la fusione secondaria. L’MFA si basa sul principio di conservazione della massa, che ha richiesto un’estesa raccolta dati riguardanti la produzione e il consumo di alluminio, inclusi i flussi recuperati, dissipati e depositati nell’ambiente. Inoltre, il database United Nations Commodity Trade Statistics Database ha permesso l’acquisizione delle informazioni riguardanti i flussi importati ed esportati di prodotti contenenti alluminio. La stima del contenuto di metallo in ciascun prodotto è stata condotta da dati riportati in letteratura, da industrie ed associazioni di categoria e, in alcuni casi, anche mediante l’impiego di dati proxy. Una considerazione a parte merita di essere fatta per la fase di Gestione dei rifiuti e Riciclo perché permette la stima dell’alluminio recuperato dalla fase di Uso e, mediante un approccio “top-down” la quantificazione del metallo presente nelle riserve in uso. Un aspetto chiave riguarda la generazione di rottami dai settori di applicazione per prodotti finiti (edilizia e costruzioni, trasporto, beni durevoli, imballaggi, applicazioni meccaniche ed elettriche, ecc.), aventi tempi di vita che possono variare da qualche mese a diversi decenni. La stima della generazione di rottami e prodotti obsoleti contenenti alluminio in uscita dalla fase di Uso è stata eseguita applicando un modello di distribuzione statistica (normale) e conoscendo l’input per ciascun anno alla fase di Uso: il principio di conservazione della massa è stato quindi applicato per il bilancio di flussi e riserve. I risultati mostrano un rapido incremento per produzione, importazione netta e consumo di alluminio, che causa una rapida accumulazione del metallo nelle riserve in uso. La stima cumulativa di tali riserve ammonta a circa 20 Mt, circa 340 kg pro capite. La produzione media annuale dell’ultimo decennio si attesta intorno a un milione di tonnellate di alluminio: dal confronto si evince la potenzialità associata allo sfruttamento di queste riserve, con conseguenti vantaggi ambientali in termini di consumo di risorse primarie e riduzione delle emissioni inquinanti. 115 AMB33 COMPOSTI ORGANICI AD ALTO PESO MOLECOLARE COME VEICOLO DI TRASPORTO PER I METALLI: IL RUOLO DEI COMPOSTI UMICI Nicoletta Calace3, Lucia Caliandro1, Luigi Campanella1, Carlo Cremisini2, Elisa Nardi2, Bianca Maria Petronio1, Massimiliana Pietrantonio2, Marco Pietroletti 3 1 Dipartimento di Chimica Università Sapienza,Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma 2 ENEA, PROT-CHIM, Via Anguillarese, 301- 00060 Roma 3 Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, via Curtatone 3, 00100 Roma biancamaria.petronio@uniroma1.it Il trasporto atmosferico a lungo raggio e la successiva deposizione a terra sono stati considerati essere la via più importante per il trasferimento di sostanze inquinanti dai luoghi di origine in aree remote. Per avere informazioni sul processo di trasferimento a terra di inquinanti adsorbiti sul particolato e/o presenti nell’ areosol marino, negli ultimi decenni sono stati effettuati numerosi studi su campioni di neve e ghiaccio provenienti da zone scarsamente popolate, in modo da rendere trascurabile l’apporto antropogenico locale. Particolare attenzione è stata rivota alla determinazione della concentrazione di metalli pesanti in Antartide sia nella neve che in carote di ghiaccio, concentrandosi in particolare sui metalli i cui cicli sono stati fortemente modificati dalle attività umane (Boutron e Görlach, 1990; G. Scarponi et al, 1997;. Wolff et al, 1999;. Planchon et al, 2000). Scopo di tali ricerche è stato lo studio dell’andamento delle emissioni nel tempo, partendo dal presupposto che, se l’efficienza delle deposizioni può essere considerata relativamente costante, le variazioni delle concentrazioni degli analiti in esame possono essere messe in relazione con le variazioni verificatesi a livello di “fonti” (Wolff et al., 1999). Studi precedenti da noi effettuati (Calace et al., 2001; 2005a) sui composti umici presenti nelle nevi dell’Antartide, hanno messo in evidenza l’origine marina di tali composti. Si può quindi supporre che una parte dei composti chimici derivanti da attività naturali ed antropiche e presenti in aree remote, trasportata “via aerosol marino” da composti organici ad alto peso molecolare, sia in effetti legata agli acidi umici. Lo scopo di questo studio è stato quindi quello di valutare il ruolo delle sostanze organiche ad alto peso molecolare nel trasporto a lunga distanza dei metalli pesanti e di evidenziare in quest’ambito il contributo derivante dalla presenza dei composti umici. Sono stati presi in esame campioni di neve provenienti da una trincea scavata a Dome C (Antartide) prendendo in considerazione sia i soli composti umici che l’insieme delle sostanze organiche ad alto peso molecolare. Quest’ultima frazione è stata isolata mediante ultrafiltrazione su membrane da 500 Dalton, con una procedura messa a punto nel nostro laboratorio. In questo modo sono stati recuperati anche i metalli fortemente legati alla materia organica. La concentrazione di Cu, Zn Cd, Pb, As, U è stata determinata mediante ICP-MS. I risultati ottenuti mostrano per i metalli legati alla materia organica un andamento crescente: Cd ~ As << Pb < Cu. Va ricordato che i dati riportati si riferiscono alla sola quantità di metallo legato in forma stabile alla materia organica ad elevato peso molecolare, inclusi i composti umici. Gli andamenti delle concentrazioni nel tempo, ricavate dall’analisi dei diversi strati di neve della trincea, variano con la natura del metallo. Particolarmente interessante è l’andamento della concentrazione del piombo che mostra valori crescenti lungo la carota di ghiaccio, quindi un decremento in tempi recenti, in accordo con i dati trovati da alcuni autori (Wolff and Suttie, 1994; Scarponi et al., 1997). Un confronto tra i valori ottenuti mediante ultrafiltrazione ed i valori della concentrazione totale dei metalli trovati da alcuni autori nella neve (Suttie and Wolff ,1992; Wolff et al., 1999; Planchon et al., 2002) fa pensare che nella neve i metalli siano presenti 116 prevalentemente sotto forma di complessi con sostanze organiche ad alto peso molecolare. Si può inoltre ipotizzare che gran parte del materiale organico ad elevato peso molecolare sia costituito da composti umici, dato che non si osservano variazioni nell’andamento delle concentrazioni dei metalli se queste vengono riportate normalizzando i valori rispetto al contenuto di composti umici. Questo fatto sottolinea il ruolo dei composti umici nel trasporto atmosferico a lunga distanza. Boutron C.F., Görlach U., (1990). The occurrence of heavy metals in Anterctic and Greenland ancient ice and recent snow. In: Metal speciation in the environment (J.A.C. Broekaert, C. Gücer, F. Adams eds.). Berlin and Heidelberg: Springer Verlag, 137-151. Görlach U., Boutron C.F., (1992). Change in heavy metals concentrations in Antarctic snow from the 1940 to 1980. J. Atmos. Chem., 14, 205-222. Scarponi G., Barbante C., Turetta C., Gambaro A., Cescon P., (1997). Chemical contamination of Antarctic snow: the case of lead. Microchem. J., 55, 24-32. Wolff E.W., Suttie E.D., Peel A.D., (1999). Antarctic snow record of cadmium, copper, and zinc content during the twentieth century. Atmospheric Environ., 33, 1535-1541. Planchon F.A.M., Boutron C.F., Barbante C., Cozzi G., Gaspari V., Wolff E.W., Ferrari C.P., Cescon P., (2002). Changes in heavy metals in Antarctic snow from Coats Land since the mid-19th to the late-20th century. Earth Planet. Sci. Lett. 200, 207-222. Calace N., Petronio B.M., Cini R., Stortini A.M., Pampaloni B., Udisti R. (2001). Humic marine matter and insoluble materials in Antarctic snow. Intern. J. Environ. Anal. Chem. 79, 331-348 Calace N., Cantafora E., Mirante S., Petronio B.M., Pietroletti M., (2005a). Transport and modification of humic substances present in Antarctic snow and ancient ice. J. Environ Monitor, 7, 1320 – 1327. Wolff E.W., Suttie E.D., (1994). Antarctic snow record of Southern-Hemisphere lead pollution. Geophys. Res. Lett., 21, 781-784. Suttie E.D., Wolff E.W., (1992). Seasonal input of heavy metals to Antarctic snow. Tellus 44B, 351-357. 117 AMB34 L’INFLUENZA DELLE ATTIVITA' UMANE NELL’INQUINAMENTO DEI SEDIMENTI DEL MAR PICCOLO DI TARANTO (MAR IONIO, ITALIA) Lucia Caliandro1, Nicola Cardelicchio2, Bianca Maria Petronio1, Massimiliana Pietrantonio3, Marco Pietroletti4 1 2 Dipartimento di Chimica, Sapienza, Piazzale Aldo Moro, 5- 00185 Roma CNR-Istituto per l’Ambiente Marino Costiero Via Roma 3- 74100 Taranto 3 ENEA, PROT-CHIM, Via Anguillarese, 301- 00060 Roma 4 ISPRA, Via di Casalotti, 300- 00166 Roma biancamaria.petronio@uniroma1.it Negli ultimi decenni i livelli dei contaminanti nell'ambiente marino sono aumentati notevolmente a causa delle attività antropiche. Questo fenomeno è particolarmente rilevante nel caso dei metalli pesanti, che, a differenza di altri inquinanti, non sono biodegradabili e quindi sono soggetti ad accumulo. Possono essere trasferiti dall'acqua ai sedimenti dagli ossidi di azoto (Murray 1975;. Rasmussen et al 1998), o dalla materia organica, accumularsi nei sedimenti e negli organismi, e successivamente trasferirsi nell’uomo attraverso la catena alimentare. I sedimenti quindi agiscono come “trappole” per i metalli (Shne et al. 1995), di conseguenza il contenuto dei metalli nei sedimenti è generalmente ben al di sopra dei limiti anche quando la loro concentrazione nelle acque è bassa. Per questo motivo l’analisi dei sedimenti è particolarmente importante per valutare correttamente la contaminazione da metalli in acque naturali in quanto consente di determinare sia l’entità degli ingressi dei metalli nell’ambiente acquatico che le sorgenti di inquinamento (Pardo et al., 1990; Wardas et al., 1996). Le zone costiere, in particolare quelle vicine a grandi centri urbani, sono fonte di preoccupazione in quanto esposte a contaminazione chimica, dovuta alla presenza di fonti di inquinamento differenti, quali, ad esempio, scarichi civili e industriali. In questo lavoro abbiamo considerato i sedimenti del Mar Piccolo di Taranto. Esso è un bacino semi-chiuso, costituito dal Primo e dal Secondo Seno, sottoposto a fenomeni di inquinamento e di eutrofizzazione, con una scarsa circolazione di acqua a causa della sua particolare morfologia, tanto da essere considerato un mare interno. Lo sviluppo di centri industriali e urbani intorno alle zone costiere ha portato ad un aumento dell'inquinamento diffuso ed ad alcuni cambiamenti sostanziali nella qualità delle acque, riducendo la qualità ambientale del Mar di Taranto. Precedenti lavori (Calace et al., 2008) hanno evidenziato che i sedimenti del Primo Seno sono molto più inquinati di quelli del Secondo Seno. L'obiettivo primario di questo studio è stato quello di evidenziare l'influenza delle diverse fonti di inquinamento analizzando tre serie di campioni di sedimenti superficiali. Ogni serie è costituita da un certo numero di campioni che, per la loro posizione, possono mettere in evidenza il contributo dovuto a singole fonti di inquinamento, quali il cantiere navale della Marina Militare Italiana, con i suoi bacini di carenaggio, o scarichi che raccolgono acque reflue con carichi inquinanti di natura differente. Oltre al contenuto di metalli pesanti è stata considerata anche la quantità totale di carbonio organico presente e la distribuzione del manganese nelle sue diverse forme chimiche, in particolare Mn(II) e Mn(IV) in modo da evidenziare le condizioni redox del sistema. I risultati ottenuti consentono di evidenziare le differenze, in termini di inquinamento, dovute alla diversa natura degli scarichi e sottolineano che a partire dal 2001 vi è stato un certo miglioramento nell’ambiente acquatico per quanto si riferisce allo stato di ossigenazione del sistema. 118 Murray, J.W. (1975). The interaction of metal ions at the manganese dioxide-solution interface. Geochimica et Cosmochimica Acta 39: 505–20. Rasmussen, P.E., Villard D.J., Gardner H.D., Fortescue J.A.C., Schiff S.L., Shilts W.W. (1998). Mercury in lake sediments of the Precambrian Shield near Huntsville, Ontario, Canada. Environmental Geology 33: 170–81. Shne, J. P., Ika, R. V., Ford, T. E. (1995). Multivariate statistical examination of spatial and temporal patterns of heavy metal contamination in New Bedform Harbor marine sediment. Environmental Science and Technology, 29, 1781–17963. Pardo, R., Barrado, E., Pèrez, L., Vega, M. (1990). Determination and speciation of heavy metals in sediments of the Pisuerga River. Water Research, 24, 373–379. Wardas, M., Budek, L., Rybicka, E. H. (1996). Variability of heavy metals content in bottom sediments of the Wilga River, a tributary of the Vistula River (Kraków area, Poland). Applied Geochemistry, 11, 197–202. Calace N., Cardellicchio N., Ciardullo S., Petronio B.M., Pietrantonio M., Pietroletti M. (2008). Metal distribution in marine sediments of the Mar Piccolo in Taranto(Ionian Sea, southern Italy) Toxicological and Environmental Chemistry 90, 549–564. 119 AMB35 DIFENILETERI BROMATI (PBDEs) E COMPOSTI CLORURATI NEI MOLLUSCHI BIVALVI (Mytilus galloprovincialis) DELLA REGIONE PUGLIA Cristina Annicchiarico, Nicola Cardellicchio, Antonella Di Leo, Santina Giandomenico, Lucia Spada CNR – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero – Unità Operativa di Taranto, via Roma 3, 74123 Taranto lucia.spada@iam.cnr.it Difenileteri bromati (PBDEs) e differenti composti clorurati come i policlorobifenili (PCB) (congeneri 28, 52, 77, 81, 101, 118, 126, 128, 138, 153, 156, 169, 180) e alcuni pesticidi clorurati (isomeri del DDT, isomeri dell’HCH, aldrin, dieldrin, alfa-endosulfan, esaclorobenzene, pentaclorobenzene) sono stati determinati nei tessuti dei molluschi bivalvi “Mytilus galloprovincialis” campionati lungo le coste della Regione Puglia. I mitili rappresentano efficienti organismi accumulatori dei contaminanti organici persistenti (POPs), per tale motivo essi sono largamente impiegati come bioindicatori dell’ambiente marino, grazie anche alla loro ampia distribuzione geografica, tolleranza a differenti condizioni ambientale e soprattutto alla loro reperibilità. Obiettivo della ricerca è stato quello di valutare la qualità delle aree marino-costiere utilizzando i molluschi come bioindicatori. Le informazioni ottenute hanno permesso di verificare i livelli dei suddetti inquinanti prioritari e la distribuzione spaziale nell’ambiente marino oggetto di studio. Idonee quantità di mitili sono state prelevate in trentadue siti distribuiti lungo le coste Pugliesi, 13 dei quali ubicati in corrispondenza impianti di allevamento di molluschi. Dopo il prelievo, per ciascuna stazione di campionamento, i molluschi sono stati opportunamente selezionati per taglia (3.0-5.0 cm), omogeneizzati e quindi liofilizzati. I PCB ed i pesticidi clorurati (OCPs) sono stati estratti con solvente mediante estrazione assistita da microonde (EPA Method 3546) e successiva determinazione in GC-MS. La determinazione dei PBDE è stata condotta secondo il metodo EPA 1614 e la determinazione analitica è stata effettuata mediante GC-MS/MS. Relativamente ai PCB, la concentrazione massima (Σ PCB = 395.0 µg/kg s.s.) è stata osservata nel I seno del Mar Piccolo di Taranto (Mar Ionio). La maggior parte dei pesticidi clorurati sono risultati al di sotto del limite di rivelabilità in quasi tutte le stazioni, ad eccezione dell’isomero 4,4’ DDE la cui massima concentrazione è stata riscontrata nel II seno del Mar Piccolo di Taranto (Mar Ionio). Per quanto riguarda invece i PBDE, l’isomero 85 è risultato non determinabile in tutte le stazioni mentre i livelli più alti dei congeneri PBDE-99 e 100 (2.7 e 1.2 µg/kg s.s. rispettivamente) sono stati osservati in corrispondenza della foce del fiume Lenne (Mar Ionio). L’analisi delle componenti principali PCA, condotta sui 32 siti, ha confermato la maggiore contaminazione del I seno del Mar Piccolo dove sussistono diverse realtà cantieristiche e dove sono accertate situazioni di contaminazione dei sedimenti marini. 120 AMB36 INFLUENZA DEI FATTORI CLIMATICI ED ANTROPICI NEL PROCESSO DI DETERIORAMENTO DELLA CALCARENITE: UN CASO DI STUDIO Sasso Sergio1,2, Scrano Laura2, Bufo Sabino Aurelio2, Trotta Vincenzo3 1 Dottorato di ricerca internazionale “Bioecosistemi e Biotecnologie”,Università degli Studi della Basilicata, Potenza 2 Dipartimento di Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente, Università degli Studi della Basilicata, Potenza 3 Dipartimento di Biologia, Difesa e Biotecnologie agroforestali, Università degli Studi della Basilicata, Potenza sergio.sasso@unibas.it Il deterioramento dei materiali lapidei è un processo progressivo ed irreversibile molto complesso inserito nel “ciclo della trasformazione della materia” [1]. La tempistica e la modalità di impatto sono diversi a seconda delle caratteristiche dei materiali da costruzione utilizzati, del microclima locale, dell'inquinamento atmosferico e della presenza di flora e fauna specifiche. La calcarenite, litotipo ampiamente utilizzato in passato come materiale da costruzione nell'area del Mediterraneo, a causa della sua natura chimico-fisica, una volta esposto all’atmosfera può subire facilmente fenomeni di alterazione per via dell’elevato contenuto di carbonato di calcio, inoltre, essendo un materiale lapideo molto poroso, è particolarmente sensibile all’attacco degli agenti chimici, fisici e biologici [2]. Facendo seguito ad una ricerca già conclusa da alcuni degli autori [3], che ha evidenziato la stretta correlazione tra parametri ambientali, attività antropica e degradazione di manufatti lapidei, in questo lavoro si è voluto affrontare lo studio dal punto di vista statistico al fine di validarne i risultati. Il manufatto lapideo oggetto d’indagine, ricadente nell’agro del comune di Lavello (PZ) (41° 03' 36.28"N e 15° 48' 26.69"E) ai margini di un pianoro che si affaccia sulla Valle dell'Ofanto, è sito tra il primo nucleo del parco archeologico di Forentum romana e l’area industriale di San Nicola di Melfi. I parametri utilizzato nello studio sono stati: VARIABILI AMBIENTALI (direzione ed intensità del vento, piovosità, radiazione solare, temperatura ed umidità relativa),VARIABILI CHIMICHE (Calcare Totale e Carbonio Organico; Metalli pesanti, Anioni), VARIABILI CHIMICO-FISICHE (pH, CE, esposizione),VARIABILI DI COLONIZZAZIONE BIOLOGICA, VARIABILI DI DEGRADAZIONE (capillarità e trasmissione suono). Per studiare le correlazioni tra i diversi indicatori ed individuare le eventuali differenze nel deterioramento imputabili a parametri ambientali, i risultati del presente studio sono stati sottoposti ad analisi multivariate (analisi delle componenti principali e MANOVA). Le elaborazioni sono state eseguite ricorrendo all'ambiente statistico R. L’analisi delle componenti principali ha messo in evidenza una forte interazione tra parametri chimico-fisici e degradazione legata alla colonizzazione biologica. Discreta è l’interazione tra alcune variabili chimiche e l’avanzamento del deterioramento. [1]Tiano P., Biagiotti L., Mastromei G. (1999): “Bacterial bio-mediated calcite precipitation for monumental stones conservation: methods of evaluation” Journal of Microbiological Methods 36, pp. 139–145; [2] Lipfert, F.W. (1989): “Atmosferic damage to calcareous stones comparison and reconciliation of recent experimental findings” Atmospheric Environment. Vol. 23, Number 2, pp.415-429; [3]Sasso S., Scrano L., Fraddosio Boccone L., Lovallo M., Palma A., Bufo S.A. (2011): “Air pollution Climate change and calcarenite stone, a case of rd study”; atti del 3 Meeting on Meteorology and Climatology of the Mediterranean, Castellaneta (TA) 06-09 giugno. 121 AMB37 DETERIORAMENTO DELLA CALCARENITE ESPOSTA AGLI AGENTI ATMOSFERICI Sasso Sergio, Bufo Sabino Aurelio, Scrano Laura Dipartimento di Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente, Università degli Studi della Basilicata, Potenza sergio.sasso@unibas.it Il processo di deterioramento dei materiali lapidei è un problema che in questi ultimi decenni sta assumendo sempre maggiore rilevanza poiché inerisce il nostro patrimonio storico-culturale. A differenza degli esseri viventi, i monumenti non posseggono sistemi di autodifesa in grado di proteggerli da eventuali attacchi di agenti esterni che iniziano la loro opera demolitrice subito dopo la realizzazione dell’opera. E’ ben nota a tutti la responsabilità assunta dallo sviluppo delle attività umane, come l’industrializzazione che immettendo inquinanti in atmosfera costituisce un rischio per l’integrità dei materiali lapidei, in ogni caso soggetti a naturali fenomeni di alterazione nella loro interazione con gli agenti climatici. Il presente lavoro esamina i vari processi degradativi causati dai fattori naturali ed antropici sulle pareti in calcarenite (tufo biancastro proveniente dalle cave di Gravina di Puglia) di un’antica masseria sita nel comune di Lavello (PZ) in contrada Gravetta (coordinate 41° 03' 36.28"N e 15° 48' 26.69"E), tra il primo nucleo del parco archeologico di “Forentum romana” (III-I secolo a.C.) e l’inceneritore “Fenice” (località san Nicola di Melfi), ad una distanza di 11 Km da quest’ultimo. Per poter identificare l’origine dei principali processi degradativi, il lavoro considera le alterazioni subite nel tempo da un provino cubico realizzato nel luglio 2009, utilizzando lo stesso materiale, e posto a ridosso dell’antica struttura oggetto di indagine. Obiettivo del lavoro, è quello di evidenziare come il clima e gli agenti trasportati in atmosfera possano contribuire, in sinergia, al deterioramento della calcarenite. Il campionamento, sia sulle pareti della masseria che sul provino cubico, è stato eseguito a cadenza trimestrale a partire dal 18 Giugno 2010 prelevando una quantità adeguata di polveri superficiali. Sulle polveri sono stati determinati i livelli di alcuni inquinanti: metalli pesanti, PCB, fitofarmaci clorurati e fosforati ed anioni (nitriti, nitrati e solfati). Altre determinazioni hanno riguardato: pH, conduttività elettrica, calcare totale, carbonio organico e sostanza organica. I dati climatici come direzione del vento, piovosità, radiazione solare, temperatura ed umidità relativa sono stati forniti dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Basilicata (ARPAB). I risultati ottenuti, permettono di fare le seguenti considerazioni: il processo di deterioramento sulle superfici lapidee è lento ed irreversibile ed i fenomeni di alterazione e degrado sembrano influenzati sia dall’accumulo degli inquinanti organici ed inorganici sia dalle condizioni ambientali, nonché dall’azione sinergica di tutti questi fattori. I metalli pesanti, derivanti dall’attività industriale ed agricola, oltre ad accumularsi sulla superficie dei materiali lapidei, si raccolgono nel terreno circostante attraverso le piogge che dilavano le superfici calcaree. Non è da sottovalutare l’azione degli organismi biologici (muschi, licheni ed alghe); tali organismi, trasportati dal vento, in presenza di idonee condizioni climatiche (alte umidità relative dell’aria e temperature non troppo elevate), colonizzano facilmente le superfici lapidee. Sulle superfici del provino, in corrispondenza dei venti dominanti, si assiste nel tempo ad una diminuzione della percentuale di carbonati a favore dell’aumento di sostanza organica e di sali solubili ed un abbassamento del valore di pH. 122 AMB38 APPLICAZIONE DI UN SISTEMA MODELLISTICO PER LA VALUTAZIONE SPEDITIVA DELL’AREA DI IMPATTO DEI FUMI PRODOTTI DA UN INCENDIO Annalisa Tanzarella1, Angela Morabito2, Roberto Giua1, Giorgio Assennato3 1 ARPA Puglia, Centro Regionale Aria, ex Ospedale Testa, Contrada Rondinella, 74121 Taranto 2 ARPA Puglia, Via Galanti 16, 72100 Brindisi 3 ARPA Puglia, Corso Trieste 27, 70126 Bari Tel:+39-099-9946352 a.tanzarella@arpa.puglia.it La normativa italiana con il decreto 155/2010 recepisce la direttiva europea 2008/50/CE attribuendo alla modellistica un ruolo di primaria importanza nella “valutazione preliminare della qualità dell’aria” utilizzandola anche come tecnica integrativa per completare il contenuto informativo delle misure dirette e un valido supporto alla gestione delle emergenze ambientali per la valutazione dell’impatto ambientale di eventi incidentali. In particolare l’utilizzo della modellistica permette di avere la visione spaziale e non solamente puntuale degli effetti dell’inquinamento atmosferico, rappresentando un importante strumento per fornire una informazione al pubblico nel più breve tempo possibile e il più possibile vicine allo “stato di fatto”. Il sistema modellistico MINERVE(1)-SURFPRO(2)-SPRAY(2), implementato presso l’ARPA Puglia, è stato applicato per valutare l’impatto di un incendio sviluppatosi nell’area industriale di Taranto, a circa 6km a nordovest rispetto al centro cittadino. L’evento è durato poco più di un’ora. In particolare, la meteorologia sull’area di studio è stata ricostruita mediante il modello diagnostico MINERVE a partire dalle misure al suolo dei parametri meteorologici misurati presso le postazioni di qualità dell’aria di ARPA Puglia; il pre-processore micro meteorologico SURFPRO ha permesso di ricostruire i parametri legati alla turbolenza atmosferica; infine le simulazioni del trasporto e della diffusione degli inquinanti primari in atmosfera sono state condotte con il modello lagrangiano SPRAY. A causa della prevalenza di venti di forte intensità, si è scelta una estensione del dominio di simulazione pari a 92x66km, centrato sulla sorgente emissiva. Poiché non si disponeva dell’informazione relativa alla tipologia degli inquinanti emessi e i relativi flussi di massa, la simulazione è stata condotta trattando l’emissione come una sorgente puntuale al suolo che ha emesso una sostanza inquinante generica con un quantitativo pari a 100 kg. L’algoritmo contenuto nel modello ha permesso di stimare l’altezza del plume prodotto dall’incendio mediante una formulazione che tiene conto della dimensione iniziale dell’incendio (3). Il modello di dispersione ha quindi riprodotto l’evoluzione del pennacchio e la sua ricaduta al suolo durante il periodo in cui si è sviluppato l’incendio: tale stima ha permesso di identificare le aree di maggior impatto. Sebbene nelle modalità in cui è stato condotto lo studio non è stato possibile fornire una valutazione quantitativa di tali ricadute, il confronto tra i dati stimati dal modello e le misure in una centralina della qualità dell’aria localizzata lungo la direzione di massima ricaduta, ha evidenziato un buon accordo temporale. (1) Geai P. (1987), Methode d'interpolation and reconstitution tridimensionelle d'un champ de vent: le code d'analyse objective MINERVE, EDF/DER report HE-34/87.03 (2) Arianet, 2007: SURFPRO (SURrface-atmosphere interFace PROcessor) User's guide, Version 2.2.10.; SPRAY 3.1 General Description and User’s Guide, R2007.08 (3) Fischer B.E.A. at al. (2001), “Modelling plume rise and dispersion from pool fires” – Atmospheric Environment 35, pp. 2101 - 2110 123 AMB39 EPI-D E IBE: DUE INDICI BIOLOGICI A CONFRONTO NELLE ACQUE SUPERFICIALI DELL’AREA VAL D’AGRI CAMASTRA. Teresa Trabace, Giovanna Filippo, Michela Casamassima, Annunziata Marraudino, Salvatore Longo e Achille Palma Metapontum Agrobios s.s. Jonica 106 km 448.2, 75014 Metaponto (Matera) ttrabace@agrobios.it L’indice diatomico di Eutrofizzazione/polluzione o EPI-D, messo a punto in Italia a seguito di ricerche sulle comunità algali dei corsi d’acqua dell’Appennino centrale e relativi confronti ad ambienti lotici alpini ed appennini meridionali (Dell’Uomo, 1981, 1986; Dell’Uomo e Masi, 1986, 1988; Dell’Uomo, 1991, 1992; Dell’Uomo e Tantucci, 1996; Grandoni e Dell’Uomo, 1996; Dell’Uomo e Grandoni, 1997; Dell’Uomo et al., 1999; Torrisi e Dell’Uomo, 2001a, 2001b, 2001c, 2003; Dell’Uomo, 2003), è un indice integrato che si basa sulla sensibilità delle Diatomee bentoniche (Divisione Chrysophyta) ai nutrienti, alla sostanza organica e al grado di mineralizzazione del corpo idrico. L’EPI-D (Dell’Uomo, 2004), come l ‘IBD (Indice Biologique Diatomées – Prygiel e Coste, 1999) e l’IDG (Indice Diatomique Generique – Coste e Ayphassorho, 1991) è un indice di qualità generale che integra le risposte delle diatomee bentoniche a più fattori di inquinamento; non è quindi ristretto all’inquinamento organico, come gli indici saprobici, quali l’IPS – Indice de poluosensibilité Specifique (Cemagref, 1982) e l’ SI – Saprobique Index (Rott. Et all., 1997), né al livello di trofia delle acque, come gli indici trofici, quali il TDI – Trophic Diatom Index (Kelly, 1998) e il TI – Trophic Index (Rott.et all., 1999). Il controllo biologico di qualità degli ambienti delle acque correnti mediante I.B.E. si basa sull’analisi delle comunità di invertebrati bentonici con taglia (alla fine dello sviluppo larvale o dello stadio immaginale) raramente < 1mm. Si tratta generalmente di organismi appartenenti agli Insetti (Crostacei, Molluschi, Irudinei, Tricladi, Oligocheti (raramente Briozoi, Poriferi o Nematomorfi) che vivono almeno una parte del loro ciclo vitale, sulla superficie dei substrati (epibentici) o all’interno dei sedimenti fluviali (freaticoli). Dal punto di vista trofico, la comunità macrobentonica viene suddivisa in organismi macro-predatori, -filtratori, -raccoglitori, -tagliuzzatori, se utilizzano il particellato più grossolano e producono residui con dimensioni < 1mm. Questi residui vengono trasportati a valle dalla corrente per essere utilizzati da organismi micro-predatori, -filtratori, -raccoglitori, -raschiatori. Nell’ambito delle attività del “ Progetto Val D’Agri - Studio finalizzato alla valutazione dell’impatto ambientale delle attività estrattive della Val D’Agri per il triennio 2009-2011” sono state svolte le indagini su campioni di diatomee e di macroinvertebrati prelevati nelle stazioni di monitoraggio del fiume Agri e suoi affluenti, del torrente Camastra e del torrente Sauro. I valori di I.B.E. ed EPI-D, per poter essere confrontati, sono stati convertiti in scala 0-20 (EPI-D 0-20) secondo Ciutti et all., 2003. Il confronto tra i dati di valutazione della qualità biologica ottenuti attraverso lo studio della comunità dei macroinvertebrati (I.B.E.) e della comunità diatomica (EPI-D), ha permesso di osservare che in linea di massima concordano; le discordanze sono dovute alla capacità delle comunità vegetali, essendo produttori primari, di rilevare l’impatto determinato dall’aumento di fattori eutrofizzanti e/o polluenti a seconda del tratto di fiume studiato. 124 AMB40 PHOTOSENSITISED PROCESSES OF PHENOL TRANSFORMATION BY QUINONES DETECTED IN AIRBORNE PARTICLES Valter Maurino, Andrea Bedini, Daniele Borghesi, Davide Vione, Claudio Minero Dipartimento di Chimica, Università di Torino, Via P. Giuria 5, 10125 Torino davide.vione@unito.it Quinone compounds are important photosensitisers in surface waters and in airborne particles [1,2]. They absorb a significant fraction of the sunlight spectrum, and absorption induces the formation of excited singlet states that can evolve into triplets by an often efficient inter-system crossing. Triplet states are chemically reactive and can sensitise the transformation of easily oxidised molecules upon electron or hydrogen abstraction, or upon energy transfer [3]. In this work, we have studied the transformation of phenol as model oxidisable compound in the presence of quinones that are commonly found in airborne particles, such as 2-ethylanthraquinone (EtAQ), benzanthracene-7,12-dione (BAD), 5,12-naphthacenequinone (NQ), 9,10anthraquinone(AQ), and 2,6-dihydroxyanthraquinone (DAQ). The quinone compounds were deposited on glass spheres, to simulate their occurrence on particulate matter. The sphere-loaded quinones were irradiated in aqueous suspension in the presence of phenol, under a solar simulator and under a blue lamp, the latter to enable easier calculation of the phototransformation quantum yields. EtAQ was the most active quinone to sensitise phenol transformation under simulated sunlight, allowing a complete kinetic study of its reaction pathways with phenol. Phenoxyphenols and dihydroxybiphenyls were detected as phenol intermediates, suggesting the formation of the phenoxy radical upon phenol oxidation by triplet EtAQ. Under the adopted conditions, EtAQ mostly underwent transformation of the alkyl lateral chain. In the case of blue-light irradiation, the quantum yield of phenol transformation was the highest for AQ and the lowest for DAQ. Such a different behaviour could be explained with a density functional theory (DFT) study of the spin density distribution in AQ and DAQ triplet states [4]. The results show that most of the spin density in triplet AQ is localised on a carbonyl group, which is likely involved in reaction with phenol to give phenoxyl and a semiquinone radical. In contrast, most of the DAQ spin density in the triplet state is distributed on the aromatic skeleton of the molecule. Photoactive EtAQ has similar spin distribution as AQ in the triplet state, suggesting an interesting correlation between electronic properties and photosensitising effects. Acknowledgements Financial support by MIUR – PRIN 2009 (project 20092C7KRC-ARCTICA) is kindly appreciated. [1] R.M. Cory, D.M. McKnight, Environ. Sci. Technol. 2005, 39, 8142-8149. [2] M. Jang, S.R. McDow, Environ. Sci. Technol. 1997, 31, 1046-1053. [3] D. Vione, V. Maurino, C. Minero, E. Pelizzetti, M.A.J. Harrison, R.I. Olariu, C. Arsene, Chem. Soc. Rev. 2006, 35, 441-453. [4] V. Maurino, A. Bedini, D. Borghesi, D. Vione, C. Minero, Phys. Chem. Chem. Phys. 2011, 13, 11213-11221. 125 Poster “Beni Culturali” 126 BC01 STUDIO DI UN CROCIFISSO LIGNEO DEL XV SECOLO MEDIANTE TECNICHE MICROSCOPICHE, SPETTROSCOPICHE E CROMATOGRAFICHE Nadia Marchettini1, Andrea Atrei1, Francesca Benetti1, Elisabetta Gliozzo2, Isabella Turbanti Memmi2, Guido Perra1 1 2 Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Siena, Via della Diana 2a - 53100 Siena Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Siena, Via Laterina 8 - 53100 Siena nadia.marchettini@unisi.it; benetti2@unisi.it In questo lavoro vengono presentati i risultati preliminari di una campagna diagnostica condotta su un crocifisso ligneo policromo, risalente al XV secolo, in cattive condizioni di conservazione ed interessato da numerosi rimaneggiamenti e ridipinture, effettuati nel tempo. Prima di pianificare idonee strategie di restauro sono state effettuate una serie di indagini chimiche, per poter valutare lo stato di conservazione dell’opera e caratterizzare i materiali impiegati dall’artista, nonché la tecnica artistica. Sui frammenti prelevati dal manufatto ligneo sono state effettuate le seguenti indagini: microscopia ottica, per la caratterizzazione della stratigrafia dei campioni; microscopia elettronica a scansione corredata di microanalisi a dispersione di energia (SEMEDS), per la caratterizzazione chimica delle componenti inorganiche presenti negli strati pittorici; la spettrometria di massa di ioni secondari abbinata ad un analizzatore a tempo di volo (ToFSIMS), per la caratterizzazione delle componenti organiche ed inorganiche e della loro distribuzione negli strati pittorici; la gas-cromatografia abbinata alla spettrometria di massa (GC-MS), per l’identificazione dei leganti organici; la tecnica HPLC-FL (Cromatografia Liquida ad alta Pressione accoppiata a Rivelatore a Fluorescenza) per la caratterizzazione chimica degli amminoacidi e degli acidi grassi presenti in un campione di polvere di legno. Dai primi risultati è emerso che la stratigrafia dei campioni analizzati è caratterizzata, da due o più strati di preparazione, composti da gesso e da colla animale, in cui si alternano vari strati di pigmento. Le misure hanno mostrato chiaramente la presenza di più strati pittorici, che si sono sovrapposti nel tempo. I principali pigmenti identificati sono la biacca (PbCO3 2Pb(OH)2 il cinabro (HgS) e con l’incertezza tra il realgar (AsS-rosso) e l’orpimento (As2S3-giallo). Per quanto riguarda il legante organico, è stato identificato l’impiego di colla animale, anche se non è stato possibile escludere con certezza l’utilizzo di miscele di colla-uovo o colla-latte. Dalle analisi effettuate, mediante HPLC-FL, su un campione di polvere di legno, raccolto dalla statua policroma, sono stati evidenziati alcuni picchi di amminoacidi (in particolare la cistina) ed un ulteriore intenso segnale relativo a residui azotati, che potrebbero rappresentare un’indicazione di fenomeni degradativi del legno, dovuti a insetti xilofagi. Il presente studio rientra nell’ambito del progetto “S.I.C.A.M.O.R. – Sviluppo di Indagini Chimiche Applicate al Mantenimento delle Opere e al Restauro”, finanziato dalla Regione Toscana, PAR FAS REGIONE TOSCANA - Linea di Azione 1.1.a.3. 127 BC02 SVILUPPO E SINTESI DI NANO SISTEMI INIBITORI DELLA CORROSIONE DEL BRONZO Irene Bonacini1, Silvia Prati1, Rocco Mazzeo1, Michela Reggi2, Giuseppe Falini2, Erika Scavetta3, Domenica Tonelli3 1 2 :Università di Bologna, M2ADL, Via Guaccimanni 42, 48100 Ravenna, :Università di Bologna, Dipartimento di Chimica“G. Ciamician”, via Selmi 2, 40136 Bologna 3 :Università di Bologna, Dipartimento di Chimica Fisica e Inorganica, Viale Risorgimento 4, 40136 Bologna irene.bonacini2 @unibo.it La corrosione dei materiali metallici avviene attraverso un processo di ossido-riduzione che si instaura in conseguenza dell’interazione tra il materiale e l’ambiente che lo circonda; uno degli esempi più significativi è la corrosione elettrolitica ciclica delle leghe in rame, chiamata “cancro del bronzo”[1]. Numerosi studi sono stati condotti per comprendere a fondo questo processo e, parallelamente, per proteggere la superficie con differenti inibitori di corrosione. Gli inibitori interagendo con il materiale metallico aumentano la resistenza alla corrosione della lega Facendo penetrare questi prodotti all’interno delle micro porosità delle patine di corrosione, l’efficacia del trattamento aumenterebbe notevolmente. A tal fine si è pensato di ridurne le dimensioni a livello nanometrico. Pertanto in questo lavoro vengono proposti nuovi sistemi di inibizione della corrosione, ottenuti intrappolando le sostanze attive all’interno di nano particelle di calcite. Le dimensioni e la natura delle particelle dovrebbero contribuire a favorire da una parte la penetrazione del materiale all’interno delle micro porosità della patina, dall’altra il rilascio controllato dell’inibitore in risposta all’instaurarsi di condizioni di acidità tali da indurre fenomeni di corrosione attiva. Sono state quindi sintetizzate nano-micro particelle di carbonato di calcio cocristallizzato in presenza di diverse sostanze, normalmente utilizzate quali inibitori di corrosione, come: Benzotriazolo (BTA), 5-ammino-1,2,3,4-tetrazolo monoidrato (ATM), Decanoato di Sodio, L-Cisteina, Etanolammina (ETH), Potassio Etil-Xantato (KEX) [2]. Analisi in XRD, SEM e microFTIR hanno consentito di selezionare gli inibitori che, avendo modificato la geometria dei cristalli di carbonato di calcio, sembrano essere stati incapsulati al loro interno. Inoltre sono stati eseguiti test elettrochimici per studiare l’efficienza dei diversi inibitori al fine di scegliere quelli con il maggior potere inibitorio. A tal fine sia le curve di polarizzazione che le misure di impedenza hanno permesso di selezionare quattro sostanze da testare: L-Cisteina, Benzotriazolo, Etanolammina e Decanoato di Sodio. Lo step successivo prevederà l’applicazione dei materiali sintetizzati su provini standard di bronzi corrosi, allo scopo di valutarne l’efficacia inibitoria ed i possibili fenomeni di interazione tra patina di corrosione e sistemi nano inibitori, quali, ad esempio, la comparsa di variazioni cromatiche, sbiancamenti superficiali o variazioni di colore della patina. [1] Mazzeo R. (2005) Patine su manufatti metallici, in ‘Le Patine. Genesi, significato, conservazione’ Kermesquaderni Nardini Editore: 29-43; [2] Goffredo S., Vergini P., et al. (2011) “The Skeletal Organic Matrix from Mediterranean Coral Balanophylliaeuropaea Influences Calcium Carbonate Precipitation”, PLoS ONE. 128 BC03 ANALISI EDXRF PER LA SALVAGUARDIA DEI BRONZI DI RIACE Alessandro Buccolieri1, Giovanni Buccolieri2, Alfredo Castellano2, Maurizio Marabelli3 1 Università del Salento, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali, 73100, Lecce. 2 Università del Salento, Dipartimento di Matematica e Fisica, 73100, Lecce 3 Istituto Centrale del Restauro (ICR), 00198, Roma alessandro.buccolieri@unisalento.it I Bronzi di Riace, famosissima coppia di statue bronzee (statua A alta 205 cm e statua B alta 198 cm) di provenienza greca o magnogreca o siceliota e databili al V secolo a.C., sono state ritrovate il 16 Agosto 1972, in eccezionale stato di conservazione, nei pressi di Riace, in provincia di Reggio Calabria, a trecento metri dalla riva e otto metri di profondità. Le ipotesi sulla provenienza e sugli autori delle statue sono diverse, ma non esistono ancora elementi che permettano di attribuire con certezza le opere a uno specifico scultore. Dopo il ritrovamento furono restaurati presso la Soprintendenza di Reggio Calabria fino al 1975 e poi trasferiti presso il Laboratori di Restauro dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze dove furono analizzati e restaurati fino alla fine del 1980. Nel capoluogo toscano furono esposti per sei mesi e successivamente riportati a Reggio Calabria. Nel 1990 sono comparsi preoccupanti fenomeni di degrado e per tale cagione ambedue le statue sono state svuotate dai resti delle terre di fusione. Dal 12 Marzo 2010 fino a Marzo 2011 sono stati trasferiti presso il Laboratorio di Restauro e Mostra di Palazzo Campanella, sede del consiglio regionale, di Reggio Calabria in attesa del completamento dei lavori presso il Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, ove i Bronzi avranno, ci si augura, la definitiva collocazione. Sono considerati tra i capolavori scultorei più significativi del ciclo ellenico, e tra le poche testimonianze dirette dei grandi maestri scultori del mondo greco classico. Numerose analisi chimico-fisiche sono state eseguite dal giorno del loro ritrovamento al fine di conoscere la composizione delle leghe, delle cere, dei chiodi presenti e delle patine, di comprendere i processi di corrosione ma, soprattutto, pianificare un adeguato progetto di conservazione dopo la lunga permanenza in mare durata più di 2000 anni. In questo lavoro si mostreranno i risultati sperimentali delle analisi di fluorescenza dei raggi X in dispersione di energia (EDXRF) eseguite, su ambedue le statue, durante le ultime investigazioni svolte presso il Laboratorio di Restauro e Mostra di Reggio Calabria. Tali investigazioni avevano l’obiettivo principale di identificare la composizione delle diverse patine e valutare le condizioni ambientali più adeguate per la conservazione delle preziose statue. Mediante un strumento portatile è stata determinata la concentrazione di zolfo, cloro, calcio, manganese, ferro, rame, zinco, stagno e piombo della superficie e delle patine. I risultati sperimentali hanno mostrato presenza significativa di zolfo e cloro, rispetto alla superficie dei due bronzi, e in quantità differente per le due statue. Inoltre, è stato possibile comprendere la composizione chimica e la formazione delle patine e alcuni meccanismi di corrosione. 129 BC04 ANALISI DEL PROCESSO DI REIDROSSILAZIONE IN REPERTI CERAMICI Alessandro Buccolieri1, Daniela Manno1, Federica Scigliuzzo2, Emanuela Filippo2, Antonio Serra2 1 Università del Salento, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali, via Monteroni, 73100, Lecce 2 Università del Salento, Dipartimento di Beni Culturali, via Birago, 73100, Lecce alessandro.buccolieri@unisalento.it Un materiale ceramico assorbe acqua dall’atmosfera aumentando di peso e tanto più è pesante, tanto più è antico. Sfruttando questa semplice relazione, alcuni scienziati hanno cercato di datare dei reperti ceramici (Wilson et al., 2009). L’innovativa tecnica di datazione, nota come “rehydroxylation dating”, consiste nel riscaldare un reperto in ceramica in un forno a 500 °C, rimuovendo l’acqua catturata nel corso del tempo, per riportalo al suo peso originario. Una volta fuori dal forno, il reperto deve essere pesato con una bilancia ad alta precisione, a intervalli di tempo regolari e sotto controllo di temperatura e umidità, per determinare la velocità dell’aumento di peso, e quindi, quella del riassorbimento di acqua dall’atmosfera. In tal guisa, è possibile stabilire quanto tempo occorrerebbe al campione per tornare al peso che aveva quando è stato trovato e, quindi, calcolare quando è stato fabbricato. L’argilla, durante la cottura, perde prima l’acqua molecolare debolmente legata e poi, a temperature nell’intervallo tra 500-900 °C, perde l’acqua dal foglio ottaedrico con la deidrossilazione chimica. Con la reidrossilazione avviene, invece, il processo inverso. Successivamente, riguadagna acqua in due stadi: un primo stadio (idratazione) in cui viene assorbita l’acqua legata fisicamente e ciò causa un rigonfiamento delle argille e quindi un aumento del peso e un secondo stadio (reidrossilazione) in cui l’acqua idrossile inizia a penetrare nei fogli dei minerali argillosi nella forma di gruppi –OH strutturali e si verifica la ricombinazione chimica. Durante il secondo stadio, la velocità di aumento della massa e l’espansione del volume per i manufatti ceramici è dovuto alla reidrossilazione, governata da una legge t1/4. Utilizzando tale legge e, relazionandola con il comportamento relativo all’aumento della massa della ceramica, è possibile stimare il tempo trascorso tra l’ultima cottura del materiale e il momento dell’analisi. Occorre considerare che è basilare che la ceramica sia compatta. Non è importante, invece, la quantità d’acqua con cui è stato a contatto il reperto nel corso del tempo poiché il tasso di reidrossilazione è controllato completamente da processi interni e non aumenta quando l’acqua è eccessivamente disponibile nell’ambiente. Il metodo di datazione per reidrossilazione offre alcuni vantaggi rispetto al complesso metodo della termoluminescenza, infatti, essendo una tecnica gravimetrica, è piuttosto semplice ed economica e consiste essenzialmente in un metodo autocalibrante, basato su una precisa legge cinetica ma, analogamente alla termoluminescenza, è necessario annoverare che se il materiale è esposto a condizioni estreme di calore l’orologio di datazione interno viene azzerato. In questo lavoro è stato studiato il meccanismo di reidrossilazione per otto campioni ceramici al fine di valutare l’applicabilità e i limiti nel campo della datazione di reperti ceramici. M.A. Wilson, M.A. Carter, C. Hall, W.D. Hoff, C. Ince, S.D. Savage, B. Mckay, I.M. Betts. Proceeding of the Royal Society A. (2009). 1-9. 130 BC05 “FARNESIA ARBOR": SPERIMENTAZIONE E VALUTAZIONE ANALITICA DEL TRATTAMENTO DI DEACIDFICAZIONE Antonella Casoli1, Clelia Isca1, Ilaria Saccani2, Fulvia Saggese1 Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Parma, viale G.P. Usberti 17/a 43121 Parma 2 CESMAR 7 Via Mentana 5 , 37128 Verona antonella.casoli@unipr.it L'opera “Farnesia Arbor” (fine del XVII secolo - inizi del XVIII ) è un'incisione su carta, dipinta, intelaiata e incorniciata. E' proprietà privata di una famiglia parmigiana, e molto probabilmente è una delle poche copie dell'albero genealogico falsificato che Francesco Farnese commissionò al fine di giustificare e autenticare la propria discendenza da Costantino il Grande, per acquistare il titolo di Gran Maestro del Sacro Ordine Costantiniano di San Giorgio. L'incisore è Mauro Oddi, morto a Parma nel 1702. Il lavoro svolto sull'opera “Farnesia Arbor” è stato articolato in diverse fasi e propone futuri programmi di intervento conservativo. Da un punto di vista conservativo l’opera presenta dei distacchi all’interfaccia tra carta e tela, della carta dalla tela, macchie di diversa natura, deformazione della superficie. Col passare del tempo tutti i manufatti a base di cellulosa subiscono in maniera più o meno evidente il problema dell’acidificazione, spesso connesso a fenomeni di tipo ossidativo. L’acidità dei supporti cellulosici può essere causata da tanti fattori: interazione con ambienti inquinati, presenza di inchiostri ferro-gallici, eventuale presenza di allume nelle colle. Il fenomeno di acidificazione è inoltre una conseguenza diretta dell’inevitabile ossidazione della cellulosa stessa. Dopo un'accurata osservazione dell'opera, sono state effettuate le prime indagini in situ, come analisi mediante XRF per la caratterizzazione dei pigmenti e misura del pH di superficie in più punti. La misurazione del pH rappresenta uno stadio importante per la conoscenza dello stato di alterazione, di acidificazione del substrato e per pianificare un intervento di deacidificazione del manufatto. Dopo avere analizzato l’impasto fibroso del supporto cartaceo e l’adesivo presente tra la carta e la tela (test chimici con i reattivi, 4- dimetilamminobenzaldeide e lugol, reazioni con fluoroglucinolo; analisi mediante microspettrofotometria FTIR) sono stati preparati dei provini in laboratorio con carte fatte a mano a diversa grammatura, incollate su tela di lino, utilizzando una miscela di colla di coniglio e colla d’amido in diverse proporzioni. Tali provini sono stati sottoposti a cicli di invecchiamento termo-igrometrico per testare diversi trattamenti di deacidificazione della carta. Misurazione del pH, analisi colorimetriche sono a tal fine di primaria importanza per monitorare il trattamento, per valutarne l’efficacia e per garantire l’idoneità dell’intervento sull’opera. La sperimentazione e l’applicazione di diverse sostanze deacidificanti sui provini ha permesso di selezionare un metodo idoneo per il trattamento dell’opera “Farnesia Arbor”. 131 BC06 STUDIO DI APPLICABILITÀ DI SOLUZIONI CHELANTI IN SISTEMI ADDENSATI CON GEL ACQUOSI DI POLIACRILATO PER LA PULITURA DI DIPINTI MURALI Antonella Casoli1, Paolo Cremonesi2, Claudia Nardinocchi1, Giovanni Predieri1, Valentina Emanuela Selva Bonino1, Matteo Tegoni1 1 Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Parma, viale G.P. Usberti 17/a 43121 Parma 2 Via Pascoli 1, 26854 Cornegliano Laudense (LO) antonella.casoli@unipr.it Nell’ambito della conservazione dei beni culturali, si sta assistendo con sempre maggiore incidenza, alla crescente richiesta di un concreto supporto scientifico alle scelte operative che il restauratore compie nella pratica del mestiere. Tra i composti maggiormente utili ai fini della conservazione dei beni culturali, in particolare nella pulitura dei dipinti murali, vi sono gli agenti chelanti in grado di creare dei complessi stabili con alcuni ioni, tra cui lo ione calcio, costituente di molti prodotti di degrado (velature di ricarbonatazione, solfatazioni, patine di ossalati), ma anche del materiale costitutivo l’intonaco, il carbonato di calcio. Da qui l’interesse a studiare l’interazione degli agenti chelanti con il supporto murale al fine di poter condurre un’operazione selettiva nei confronti dei materiali da rimuovere nel rispetto del substrato costitutivo l’opera d’arte. Nello specifico, tra gli agenti chelanti ne sono stati presi in esame due, i più diffusi in ambito conservativo: EDTA trisodico diidrato e il citrato di sodio tribasico diidrato. In prima istanza è stata studiata l’interazione tra tre principali composti presenti nell’intonaco (carbonato di calcio, solfato di calcio biidrato e ossalato di calcio monoidrato, presi singolarmente e in miscele binarie) e soluzioni chelanti a diversi pH. Mediante l’impiego di tecniche analitiche, si è giunti a determinare e a quantificare la maggiore affinità dei suddetti composti rispetto all’uno e all’altro chelante; sono stati realizzati modelli termodinamici (Hyss-Hyperquad Simulation and Speciation) con l’obiettivo di confermare i risultati ottenuti nella fase sperimentale e, infine, a identificare la formazione di un prodotto secondario (citrato di calcio e sodio), in seguito caratterizzato. Parallelamente a tale ricerca, si sono indagate le caratteristiche di una sostanza gelificante derivata dall’acido poliacrilico, il Carbopol®, impiegato come supportante di soluzioni acquose. Ecco quindi la scelta di unire chelanti e Carbopol® allo scopo di studiarne le interazioni chimico-fisiche con il supporto murale, per poter condurre un’operazione selettiva nei confronti del materiali da rimuovere nel rispetto del substrato carbonatico. A tal fine, campioni di intonaco realizzati ad hoc, sono stati trattati con il gel di Carbopol® contenente i chelanti considerati, a diversi pH, applicati con e senza interposizione di carta giapponese, materiali in seguito caratterizzati mediante tecniche analitiche. E. Beltrami, M. Berzioli, M. Cagna, A. Casoli, V.E. Selva Bonino, La pulitura dei dipinti murali: uno studio di applicabilità di sistemi tradizionali e sistemi addensati con gel acquosi di poliacrilato, QUADERNO N. 10 /CESMAR7. Casa Editrice Il Prato, Saonara (PADOVA), 2012. 132 BC07 NANOSTRUCTURED TIO2 BASED COATINGS FOR PROTECTION AND SELFCLEANING OF COMPACT AND POROUS STONES Antonella Pagliarulo,1 Francesca Petronella,1, Angela Calia2, Mariateresa Lettieri2, Donato Colangiuli2, Angela Agostiano,1,3 Maria Lucia Curri,3 Roberto Comparelli3 1 Università degli Studi di Bari – Dipartimento di Chimica, Via Orabona 4, 70126, Bari 2 CNR-IBAM, Prov.le Lecce Monteroni, 73100 Lecce 3 CNR-IPCF, c/o Dipartimento di Chimica, Via Orabona 4, 70126, Bari r.comparelli@ba.ipcf.cnr.it Nanostructured TiO2 exhibits enhanced photocatalytic activity leading to the degradation of a wide range of organic pollutants resulting in self-cleaning effect. The deposition of TiO2 nanocrystalline (NCs) coatings on stone was investigated in order to provide surface protection and self-cleaning properties. Hydrophobic TiO2 NCs were prepared by colloidal chemistry routes and characterized by Scanning and Transmission Electron Microscopy (SEM and TEM). The selected substrates for NC deposition were calcarenite and limestone, as example of porous and compact stone, respectively. Different techniques have been investigated for coating preparation namely casting, dipping and spray coating. The morphological and physical properties of both coated and uncoated stones were investigated by contact angle measurements, colorimetry and environmental-SEM. The degradation of a selected organic dye has been used to test the self-cleaning properties of the NC coated surfaces under solar irradiation. The obtained results point out that such TiO2 NC coatings offer at the same time the opportunity, increasing surface hydrophobicity, to prevent the stone from water absorption and to convey selfcleaning properties, leaving unaltered the original colour and appearance of the stones. Acknowledgment This work was partially supported by Apulia Region Funded Projects PS_083 within the Scientific Research Framework Program 2006 133 BC08 CHEMICAL CHARACTERISATION OF STUCCOES FROM THE ADDOLORATA CHAPEL IN ST. PANTALON CHURCH IN VENICE Elisabetta Zendri, Laura Falchi, Francesca Caterina Izzo, Manuela Sgobbi, Eleonora Balliana University Ca’ Foscari of Venice, Department of Environmental Sciences, Informatics and Statistics, Via Torino 155/b, 30174 Venice-Mestre laura.falchi@stud.unive.it Stuccoes have been widely in architecture to decorate interiors and external walls of houses, churches and palaces. The Barocco style exalted the use of stuccoes in decorations, often polychrome, which are characteristic of walls and ceilings friezes in churches, public and private buildings. The classical stuccoes were realized in different layers, with lime-based impasto, marble dust, organic and inorganic additives which varied in relation to the period and local habits. Recent studies outlined some peculiarities concerning the ‘500 stuccoes applied in the Church of S.Maria Formosa and in Grimani Palace in Venice. The recent restoration of St. Pantalon church in Venice allowed the analysis of the stuccoes from the decoration of the Addolorata Chapel, dating back the end of the XVII century. A widespread presence of magnesite (MgCO3), already found out in stuccoes from the XVI century, was detected together with gypsum and magnesium sulphate. The presence of magnesite, identified by TG-DSC and FTIR-ATR analyses, appears to be typical of venetian stuccoes done between ‘500 and ‘700. This compound does not come from carbonation processes occurring in dolomitic limes, which lead to the formation of hydromagnesite Mg5(CO3)4(OH)2*4H2O or other magnesium basic carbonates neither from the use of particular magnesium aggregates. It is likely a widespread presence into the binder fraction of stuccoes, as detected by SEM-EDX analysis, so presumably it was added as powder to the impasto to confer workability properties-in particular to slow down the drying process or to improve the resistance in a humid environment. The study of these stuccoes has furthermore pointed out the use of gypsum, typical of the technique called “stucco forte”. It could be the responsible for indirect deterioration processes, due to the exchange reaction with MgCO3 which leads to the formation of epsomite, detected in many analysed samples and considered to be the man cause for the widespread decohesion problems in the finishing layers. The results have addressed adequate and compatible techniques for the restoration of stuccoes, taking into account the environmental conditions as well. Moreover, the results allowed to obtain interesting indications for the choice of new materials to be used for the realization of finishing intonacoes able to resist to high humidity conditions. 134 BC09 FOURIER TRANSFORM INFRARED SPECTROSCOPY (FTIR) STUDIES ON PAPIER MACHE COMPOSITIONS Eleonora Imperio1, Gabriele Giancane2, Lidiana Miotto3, Ludovico Valli4 1 Department of Engineering for Innovation, University of Salento, via per Monteroni - 73100, Lecce 2 Department of Cultural Heritage, University of Salento, via D. Birago, 64 - 73100, Lecce 3 Centro Restauro Materiale Cartaceo, Via Roberto Caracciolo 6 - 73100 Lecce 4 Department of Biological and Environmental Science and Technology (Di.S.Te.B.A.), University of Salento, via per Monteroni - 73100, Lecce eleonora.imperio@unisalento.it Today’s new non-destructive methodologies let to perform physical and chemical analysis to Cultural Heritage. The goal of these studies was to reach a wider knowledge of technical proceedings used in the production of papier mache statues by baroque artists of Salento. Samples from two different statues were investigated: the first spaceman belongs to Madonna della Divina Provvidenza and the other one is an half-length statue of a bishop of Lecce. The analyses were carried out using a FTIR spectrometer. Infrared Spectroscopy have been used to characterize different types of singular papier mache layers, identifying the principal peaks [1]. In addition, some comparisons permitted to identify glue typology spread between the papier mache layers and which pigments were employed, including their medium and varnish, contributing to discover antique artists secretes, that otherwise would be lost in the course of time. In fact, it was possible to distinguish different kinds of medium employed by the artist in order to disperse a particular color. Protein or Oil Figure 1 derivatives were easily recognized through their respective IR signals [2] and all data recorded was achieved without modifying fragments, which were just placed onto the ATR (Attenuated Total Reflection) tool plate, ready to be scanned. This is the important characteristic of the FTIR-ATR technique, considering the priceless value of Cultural Heritage: no sample preparation is needed and no damage is caused to the sample. [1] Infrared spectra of crystalline polysaccharides, C.Y Liang., R.H. Marchessault, 1959. [2] Infrared Spectroscopy in Conservation Science, M.R. Derrick, D. Stilik, J.M. Landry, The Getty Conservation Institute, Los Angeles, 1999. 135 BC10 IMPIEGO DI “APPETIZING BALLS” A BASE DI JUVENIL HORMONES-WOOL CHERATIN ANALOGS PER IL DEBELLAMENTO DELLE TARME NEI TESSUTI D’EPOCA. Lorenzo Martini¹, Ginevra M.E.F.Martini-Ugurgieri², Anonimo³ ¹Dipt. Di Chimica, Università di Siena,²Liceo Ginnasio E.S.Piccolomini, Siena, ³Eremo dei Cappuccini della Maddalena, Montepulciano (SI) lorenzo.martini@unisi.it La Tarma è il nome comunemente utilizzato per indicare alcune specie di lepidotteri le cui larve si nutrono a spese delle cheratine alfa e beta costitutive dei tessuti di origine animale, come lana, seta, bisso e crinoline ma anche di origine vegetale, quali cotone e filati di esso medesimo, lino,rafia ma anche di altre cheratine, caratteristiche delle piume di uccelli, unghie, corno di mammiferi e volatili e livree di rettili e addirittura jais. Anche se né Linneo né Fabricius riportano nei loro studi sistematici e tassonomici nel XVIII sec. La specie più comune, ovvero la Tineola bisselliella, gli esperti concordano nell’asserire che le varie specie infestanti furono portate in Europa via mare accidentalmente alla fine del 700 e inizi 800 tramite i trofei di guerra dall’Africa e dall’Asia e che grazie all’avvento del riscaldamento centrale nelle magioni borghesi e nei musei si siano ben ambientate e si stanno vieppiù propagando grazie al surriscaldamento del globo terrestre. E’ noto dalla pratica popolare che alcune fragranze ad elevato pool di terpeni volatili repellono le tarme adulte, grazie all’aroma a loro sgradito (Canfora, Cedro Rosso Americano dell’Est, ma non il Cedro Rosso Americano dell’Ovest, Lavanda e Lavandino, Pepe Cubebe, Timo Bianco e Rosso, Eucalipto, Geranio Bourbon e Menta (var. pulegium), Assenzio, Alloro e Chiodo di garofano, ma è un mito da sfatare quello per cui dette sostanze odorose possano riuscire utili come tarmicide, giacché gli addetti ai lavori sanno bene che solo le larve, alla schiusa delle uova deposte dalle femmine adulte, trovano nutrimento nelle fibre delle cheratine vegetali e animali e si costruiscono intorno un vero e proprio bozzolo (case o cocoon, alla stessa stregua del baco da seta) nel quale dopo 65-70 giorni, se le condizioni di temperatura e umidità ambientali sono loro favorevoli, diventano adulte per il tramite della pupazione e danno luogo allo sfarfallamento per poter di nuovo, emerse ad adulte, ovideporre e proseguire il loro ciclo vitale. Quindi laddove le tarme adulte qualora allontanate grazie all’azione di fragranze terpeniche hanno già deposto le uova, queste ultime permangono e alla ricerca di cibo nelle fibre cheratiniche e apportano danni seri a capi di vestiario, preferibilmente vetusti, poiché ricchi in residui di sporcizia e umidità e rappresentano un vero problema per la conservazione di vestiari antichi e campioni tassidermici, custoditi in ambito museale. Scopo della nostra ricerca è di intervenire a livello della schiusa e dell’impupamento, cioè sui passaggi da Uovo a Larva e da Larva a Pupa del ciclo vitale della tarma, tentando di inibirli ambedue grazie all’ausilio di analoghi dell’Ormone Giovanile (J.H.) di origine biologica. Tali principi odorosi simili strutturalmente agli JH I e III, sottoforma di esteri del farnesolo e dell’acido farnesoico (ma anche diesteri) e di esteri dell’ acido undecadienoico e decadienoico, sono repertabili nelle bucce di ibridi di citracee allo stato acerbo. Abbiamo quindi valutato l’efficacia di detti J.H. analogs su esche a loro volta costituite da analoghi di cheratina alfa e beta. 136 BC11 ANALISI FTIR DI ANTICHI LIBRI DANNEGGIATI DA FENOMENI DI FOXING Vito Librando, Zelica Minniti Dipartimento di Chimica dell’Università di Catania, Viale A. Doria 6, 95125, Catania envch1@unict.it I beni archivistici e librari costituiscono una parte importante del patrimonio culturale nazionale. Al fine di identificare le metodiche di conservazione e restauro più appropriate, è importante comprendere l'attuale stato di conservazione del manufatto da un punto di vista chimico-fisico e come tale stato di conservazione possa essere influenzato dalla microstruttura delle fibre che lo compongono. La spettroscopia è uno dei più potenti strumenti per la caratterizzazione di materiali cartacei e l'identificazione dei prodotti di degradazione. Questo lavoro descrive l'applicazione della spettroscopia FTIR su campioni carta provenienti da libri fortemente macchiati per studiare le cause del cosiddetto "foxing". Allo stato attuale, la natura del foxing è ancora in discussione. Alcuni autori hanno osservato un attacco biologico, altri la presenza di sali, altri ancora entrambe le attività evidenziando in particolare spore fungine e prodotti chimici. La complessità del problema è relativo a una varietà di reazioni chimiche e processi fisici che determinano l’invecchiamento e la degradazione della carta e che si influenzano a vicenda. L’analisi ATR-FTIR di macchie dovute al fenomeno di foxing su campioni di carta di composizione diversa ha confermato la natura biotica di tali macchie imputabili alla presenza di ceppi fungini attivi o tracce di attività fungina pregressa. 137 BC12 PREPARAZIONE DI IDROGELI PER APPLICAZIONI NEI BENI CULTURALI Chiara Riedo, Oscar Chiantore Dipartimento di Chimica e NIS Centro di Eccellenza, Università degli Studi di Torino Via Pietro Giuria 7, 10125 Torino chiara.riedo@unito.it Gli idrogeli e le dispersioni polimeriche ad alta densità sono di grande interesse nel campo del restauro, in particolare nelle procedure di pulitura e in applicazioni legate alla diagnostica dei beni culturali. Convenzionalmente le operazioni di pulitura vengono effettuate con solventi, i quali danno luogo ad inconvenienti quali penetrazione nel supporto, rigonfiamento e asportazione indesiderata di materiale originale. Questi inconvenienti si possono limitare aumentando la viscosità del sistema pulente, utilizzando quindi come base un gelo o una dispersione polimerica ad alta densità. Nuove formulazioni polimeriche sono state investigate con l’obiettivo di ottenere geli rigidi facilmente rimovibili e compatibili con solventi non acquosi. A differenza di quanto già proposto in letteratura, per ottenere un materiale che racchiuda le proprietà desiderate sono state testate formulazioni con combinazioni di differenti polimeri. Le proprietà del gel vengono calibrate cambiando la concentrazione e i rapporti dei diversi componenti del sistema. Come punto di partenza è stato scelto il poli(vinilalcol) (PVA) che, come è già noto[ 11], è in grado di formare geli stabili in presenza di borace. Per migliorare le proprietà meccaniche del gel e renderlo maggiormente compatibile con vari tipi di solventi organici è stato studiato un sistema contenente come additivo il poli(etilenossido) (PEO). Il PEO non è completamente miscibile con il PVA, ma sono stati ottenuti geli trasparenti, con buone capacità di ritenzione del solvente e facilmente asportabili. In particolare, tramite misurazioni termogravimetriche è stato possibile appurare che in presenza di PEO la ritenzione di acetone a temperatura ambiente migliora rispetto alla formulazione a base di solo PVA. Prove di pulitura su materiali lapidei trattati con protettivi acrilici sono state effettuate e sono tutt’ora in corso con lo scopo di verificare l’efficacia nella rimozione del protettivo, la rimovibilità del gel e l’eventuale presenza di residui del medesimo sul supporto sottoposto a pulitura. 11 [ ] Carretti E.; Grassi S.; Cossalter M.; Natali, I.; Caminati G.; Weiss R. G.; Baglioni, P.; Dei L., Langmuir 2009, 25, (15), 8656-8662 138 BC13 CARATTERIZZAZIONE DEI MATERIALI DEL MURALE “TUTTOMONDO” DI KEITH HARING PRELIMINARE AL RESTAURO DELL’OPERA Oscar Chiantore1, Chiara Riedo1, Anna Piccirillo1, Tommaso Poli1, Jacopo La Nasa2, Francesca Di Girolamo2, Sibilla Orsini2, Francesca Modugno2, Ilaria Bonaduce2, Maria Perla Colombini2 1 Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Torino 2 SCIBEC-INSTM, DCCI , Università di Pisa perla@dcci.unipi.it, oscar.chiantore@unito.it Il murale “Tuttomondo” fu realizzato da Keith Haring nel 1989. L’artista tracciò a mano libera i contorni in nero dell’opera su una superficie di 200 mq sul muro esterno della chiesa di S. Antonio Abate a Pisa. I materiali usati dall’artista sono stati forniti dalla Caparol (Vicopisano, Pisa). Dopo 22 anni dalla sua creazione l’opera, rimasta esposta agli agenti atmosferici e inquinanti, presentava fenomeni di deterioramento in grado di minare la persistenza nel tempo dell’opera: alterazioni cromatiche, ingiallimento e ingrigimento dello strato preparatorio bianco, con perdita di colore e spolvero delle linee di contorno nere. Nel settembre 2011, nell’ambito del Progetto COPAC – Preventive Conservation of Contemporary Art, finanziato dalla Regione Toscana, e grazie al supporto del Comune di Pisa e della Friends of Heritage Preservation (Los Angeles) è stato intrapreso un intervento di conservazione che ha previsto una campagna diagnostica mirata a valutare lo stato di conservazione dei materiali costituenti il murale. Analisi stratigrafiche e microanalisi chimiche sono alcune delle tecniche utilizzate, a supporto dell’intervento di pulitura e protezione dell’opera. Sono stati effettuati campionamenti minimamente invasivi dalle diverse campiture di colore, dai bordi neri e dal fondo di preparazione bianco. Alcuni campioni sono stati osservati in microscopia ottica e sottoposti ad indagine SEM-EDX, sia tal quali che preparati in sezione. L’osservazione diretta al microscopio ottico e le microfotografie SEM hanno permesso di evidenziare che la superficie colorata esposta all’esterno è irregolare e presenta rigonfiamenti e spaccature. Le sezioni osservate in ottico permettono di rilevare sulla superficie dei campioni uno strato di colore meno saturo, sotto il quale è ancora osservabile uno strato in cui il colore ha mantenuto la sua saturazione originale, suggerendo quindi un degrado solo superficiale dello strato pittorico. L’analisi EDX effettuata sulle sezioni permette di ricostruire una sequenza comune alla maggior parte dei campioni: patina superficiale (carbonato di calcio e solfato di bario), strato di colore (ossido di titanio, solfato di bario, caolino), strato di maltina idraulica (base silicatica), malta idraulica/cementizia (base silicatica) e carbonato di calcio. Il degrado della superficie si ritiene dovuto alla migrazione e ricristallizzazione del carbonato di calcio e solfato di bario presenti negli strati più profondi. Le analisi Py-GC/MS e DE-MS mirate alla caratterizzazione del legante organico della pittura, hanno evidenziato un copolimero stirene-nbutilacrilato. Tramite analisi FTIR è stato possibile confermare la presenza del carbonato di calcio nella sottile patina bianca che ricopriva la superficie del murale. In seguito all’intervento di pulitura effettuato dai restauratori Antonio Rava e Will Shank, è sorta la necessità di identificare un protettivo idoneo ad essere applicato sulla superficie . Ulteriori indagini sono state quindi svolte per valutare l’efficacia e la stabilità dei protettivi silossanici Hydrophase (Phase Restauro, Trento, Italia ) e Disboxan 450 (Caparol, Vicopisano, Italia). 139 ADDENDUM AMB41 DISCRIMINANT FUNCTION ANALYSIS AND NEURAL NETWORKS APPLIED TO APULIA REGION GROUND WATERS AND SOILS DATA SETS: COMPARISON OF THE CLASSIFICATION AND FORECASTING PERFORMANCE Pierina Ielpo1*, Livia Trizio2, Daniela Cassano1, Antonio Lopez1, Giuseppe Pappagallo1, Vito felice Uricchio1 1 Institute of Water Research - CNR Via F. de Blasio, 5 - Bari Italy *present address: Institute of Atmospheric Sciences and Climate, Lecce, Italy 2 Arpa Puglia, Direzione scientifica U.O. Aria, corso Trieste 27, Bari piera.ielpo@ba.irsa.cnr.it During the years 2004-2007 Agricultural and Food Authority of Apulia Region has implemented the project “Expansion of regional agro-meteorological network” in order to assess, monitor and manage regional ground waters and soils quality. In fact in 2004 a Water and Soil Monitoring Campaign was launched with the aim to check the quality of soils and ground waters, used for irrigation, and then the quality level of the regional agricultural produces. The wells monitored during this activity amounted to 473, and the water samples analyzed were 1021. The amount of soil samples collected was 417. The Project founded on a tight soil and water sampling collection, carried out all around the region, and on the determination of the main physical and chemical parameters of soils and waters. The large water and soil data sets were subjected to different multivariate statistical techniques with a view to extract information about the similarities or dissimilarities among the sampling sites, identification of water and soil quality variables responsible for spatial and temporal variations, the influence of the possible sources (natural and anthropogenic) on the water and soil quality parameters and the source apportionment of pollutants sources (Ielpo et al, 2012). In order to have information about the classification of the ground waters and soils of the different provinces of Apulia region Discriminant Function Analysis (DFA) and Radial Basis Function Neural Network (RBF NN) were applied to the data sets collected. In a previous paper we have shown that for ground water data set the methods pointed out the effective division among waters quality of different provinces. Even if both methods DFA and RBF NN applied to water data set gave good results in terms of classification and forecasting, the RBF NN showed better performance (Ielpo et al, 2012). In this work a comparison between Discriminant Function Analysis and Radial Basis Neural Network results on water and soil data sets will be shown. P. Ielpo, D. Cassano, A. Lopez, G. Pappagallo, V. F. Uricchio, P. Abbruzzese De Napoli. Chemistry Central Journal 2012, 6(Suppl 2):S5 P. Ielpo, D. Cassano, A. Lopez, G. Pappagallo, V. F. Uricchio, L. Trizio, G. de Gennaro, 21st Century Watershed Technology Workshops, Proceedings, May 27-June 1, 2012, Bari, Italy 140 Indice degli Autori 141 AUTORI PAGINA Abete C. Accoto G. Acito E. Agostiano A. Aiello D. Amodio M. Andriani E. Angiuli L. Annicchiarico C. Anselmo M. Anzilotta G. Assennato G. Atrei A. Avino P. 37 84 84 50,94,133 68 64,101 62,64,69,110 62,67 92,102,103,120 85 84,86 31,62,63,64,65,67,92,99,112,123 127 104 Baglivi F. Bailardi F. Balliana E. Barbante C. Barbieri G. Barbieri L. Barbieri P. Barca E. Barnaba R. Baroni C. Basile F. Bastianoni S. Bedini A. Belmonte M. Benetti F. Bernardi E. Berto D. Bertocchi F. Bevere M. Bignozzi M.C. Biocca P. Biscontin G. Blonda M. Bochicchio D. Bodini S. Bolzacchini E. Bonacini I. 68 104 45,60,79,134 79 36 87 36,88 53 67 79 92 35,96 125 76 127 32,89 75 70 65,112 89 58 30,45,60 62,99 84 57 73 128 142 Bonaduce I. Bondesan A. Bonduce I. Bonifazi G. Borghesi D. Boscolo Brusà R. Botticelli G. Brattoli M. Brigante M. Brunelli A. Brunetti B.G. Bruno D. Brusasca G. Bruzzoniti M.C. Buccolieri A. Buccolieri G. Bufo S.A. Buonocore M. 139 79 80 108 125 75 49 74 42 41 47,61 63 65 90 129,130 129 22,121,122 91 Cacciatore F. Cairns W. Calabrò D. Calace N. Caldarola D. Calia A. Caliandro L. Campanella L. Candotti G. Canzano S. Capasso S. Caprioli P. Cardellicchio N. Caro D. Cartechini L. Casamassima M. Casoli A. Cassani S. Cassano D. Castellani V. Castellano A. Castellano G. Cataldi T. Catelli E. Catino S. Catucci F. Ceccato D. Ceriani L. Cespi D. Checchini L. Chiantore O. 75 79 67 116 90 94,133 116,118 116 36 43 43 67 26,91,92,102,103,118,120 35 47 124 78,131,132 39,93 140 55 129 92 86 44,59 74 67 111 40 55 54 138,139 143 Chiari G. Chiavari C. Ciacci L. Cilenti L. Cincinelli A. Ciofi L. Colangiuli D. Colombini M.P. Colucci C. Comparelli R. Conversano M. Coppini E. Corticelli C. Coscieme L. Cozzutto S. Cremisini C. Cremonesi P. Cucciniello R. Curri M.L. 24 89 32,55,115 98 72 54 94,133 28,80,139 67 50,51,94,133 92 54 114 95,96 36,88 116 132 52 50,51,94,133 D’Adamo R. D’Agnano A.M. D’Amico S. Dambruoso P. Daresta B.E. Daveri Alessia De Carlo R.M. de Gennaro G. De Laurentiis E. De Marinis Loiotile De Pellegrini R. Dell’Erba A. Del Bubba M. Del Moro G. Del Prete F. Di Gilio A. Di Girolamo F. Di Iaconi C. Di Leo A. Di Palma V. Drava G. 97,98 62,67 82 62,64,69,74,100,101,110 62,64,66 61 90 62,64,66,69,74,100,101,110 38,42 62,69,74,110 85 99 54 53 97 62,64,69,100,101,110 80,139 53 76,91,92,102,103,120 69,110 85 Esposito V. 63,67 Fabbrocini A. Falchi L. Falini G. Fanizza E. Fermo P. Ferraro L. 97 45,60,134 128 50 105 76 144 Ferrero L. Ferriani B. Ferrini B.S. Ferrini M. Fibbi D. Ficocelli S. Ficotto S. Filippo E. Filippo G. Focardi S. Formenton G.M. Francesconi S. Frontalini F. Fuoco R. 73 48, 58 73 108 54 62,67 105 130 124 56 105 37 76 37 Gabellini M. Gabrieli J. Galasso V. Gambaro A. Ganzerla R. Genga A. Gerbasi R. Ghimenti S. Ghirardello G. Giancane G. Giancontieri V. Giandomenico S. Giannarelli S. Giannico C. Gigante L. Giua R. Gliozzo E. Gonnelli C. Gramatica P. Greco M. Grøntoft T. Guerranti C. Guerriero E. Guidone S. 75 79 104 73 81 68 51 37 88 46,135 108 76,92,102,103,120 37 104 63 62,64,65,67,112,123 127 54 39,40,93 76 80 56 108 108 Hofer A. 105 Ielpo P. Imperio E. Iovino P. Isca C. Izzo F.C. 140 46,135 43 131 45,48,58,60,134 Jeliazkova N. Jones K. C. 93 72 145 Kochev N. Kovarich S. 93 39,40,93 Lancellotti I. Langellotti A.L. La Nasa J. Laricchiuta A. Laterza V. Lava R. Lazzati Z. Leone V. Lettieri M. Librando V. Licen S. Lo Porto C. Longo S. Lopez-Aparicio S. Lopez A. Lorusso E. Lorusso S. Lugli S. 87 97 139 64 79 106 73 43 94,133 113,137 36,88 73 124 80 140 51 33 49 Maffei A. Mailhot G. Manca M. Mangili I. Manigrasso M. Manni A. Manno D. Mantovan M. Manzo C. Marabelli M. Marchetti G. Marchettini N. Marcomini A. Marras S. Marraudino A. Martellini T. Martinelli W. Martini C. Martini L. Martini-Ugurgieri G.M.E.F Marzocca A. Mascolo G. Masiol M. Mastore A. Matteini M. Mauriello M.R. Maurino V. 63,67 42 67 21,107 104 108 130 62 98 129 109 56,127 29,41,81,106 81 124 72 92 89 136 136 69,110 50,51,53 77,105,111 84 49 86 38,42,109,125 146 Mazzeo R. Mazzone A. Menegotto M. Menegus L. Miliani C. Minella M. Minero C. Minganti V. Minghelli S. Minniti Z. Miotto L. Modenesi P. Modugno F. Morabito A. Morandi F. Morselli L. Morselli M.G. Mosca S. Moscetta P. Motori A. Motta O. Murgolo S. Musolino V. 44,59,128 69,110 62,67 106 61 38,42,109 38,42,109,125 85 49 137 135 85 139 65,112,123 35,96 32,55,114,115 112 108 57 89 52 51 62,64,67 Nardi E. Nardinocchi C. Neri E. Nilsson S. Nocioni A. Nola V. Noventa S. Öberg T. Odlyha M. Oliva G. Onida B. Onor M. Orsini S. 116 132 35 93 62,67 84 75 93 80 104 90 37 139 Pagliarulo A. Palma A. Palmieri M. Palmisani J. Palmisano F. Panniello A. Paolillo R. Papa E. Pappagallo G. Pappalardo M. Passaglia E. Passarini F. 50,94,133 84,86,124 47 64,69,100,110 53 50 62,64,67 39,40,93 140 113 87 55,89,114,115 147 Pastore T. Paterno R. Patrizi N. Pavoni B. Pellegrini A.L. Pelliciardi V. Perra G. Perri F. Perrone M.G. Petraccone S. Petronella F. Petronio B. M. Piazzalunga A. Piccirillo A. Pieri F. Pietrantonio M. Pietroletti M. Pipino A. Pitzurra L. Plossi P. Pojana G. Poli T. Porcelli F. Prati S. Pratim Roy P. Predieri G. Primicino A. Proto A. Pukalov O. Pulselli F.M. Pulselli R.M. 65,112 43 96 77,105,111 104 95 56,127 104 73 74 50,94,133 116,118 88,105 139 72 116,118 116,118 84 47 36,88 41,81,106 139 69 44,59,128 93 132 99 52 93 95 96 Quaranta M. 59 Rahmberg M. Rampazzo F. Rampazzo G. Reggi M. Renzi M. Riedo C. Rinna F. Rizza A. Romeo M. Ros V. Rosi F. Rosito V. Rossetti F. Rossi F. Rotatori M. Rubino F. 93 75 77,105,111 128 98 138,139 97 39 88 79 61 62,67 95 52 108 76 148 Saccani I. Saggese F. Salvestrini S. Sangiorgi G. Sansone G. Sarzanini C. Sasso S. Scavetta E. Scigliuzzo F. Scirocco T. Sciutto G. Scrano L. Sebastiani E. Selva Bonino V.E. Serra A. Sessa R. Sgamellotti A. Sgobbi M. Sharff M. Siciliano M. Siciliano T. Silvestri F. Spada L. Spagnolo S. Spartera M. Specchiulli A. Squizzato S. Striccoli M. Sweetman A. 131 131 43 73 97 90 22,121,122 128 130 98 44,59 22,121,122 81 132 130 97 61 134 80 68 68 97 76,92,102,103,120 65,112 62,63,67,99 98 77,105,111 50 72 Tanzarella A. Tegoni M. Termine M. Tieppo P. Tinarelli G. Tolloi A. Tonelli D. Tortorella C. Toschi T. Trabace T. Trizio L. Trotta M. Trotta V. Turbanti Memmi I. Turetta C. Tutino M. 65,123 132 37 105 65,112 36,88 128 68 87 124 64, 140 66 121 127 79 62,64,69,100,110 Ungaro N. Uricchio V.F. 92 140 149 Vagnini M. Valentini E. Valli L. Van den Berg K.J. Van der Wal L. Van Keulen H. Vassura I. Vernale C. Veronico P. Villani G. Vione D. Visentin F. Vitiello V. 47 65,112 46,135 48 39 48,58 55,89,114,115 104 66 97 38,42,109,125 51 97 Zangrando R. Zannini P. Zendri E. 73 49 30,45,48,58,60,134 150