xiii congresso nazionale di chimica dell`ambiente e dei beni culturali

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xiii congresso nazionale di chimica dell`ambiente e dei beni culturali
con il patrocinio di
REGIONE PUGLIA
PROVINCIA DI
TARANTO
COMUNE DI
TARANTO
ORDINE DEI CHIMICI
DI TARANTO
XIII CONGRESSO NAZIONALE
DI CHIMICA DELL’AMBIENTE E DEI BENI
CULTURALI
Dall’emergenza alla sostenibilità:
il contributo della Chimica
Taranto, Cittadella delle Imprese
10-14 settembre 2012
ATTI DEL CONGRESSO
SCOPO DEL CONGRESSO
La Chimica è una tra le più importanti discipline scientifiche in grado di fornire elementi
conoscitivi per lo sviluppo di azioni atte a salvaguardare l’uomo, la qualità della vita e l’habitat
naturale. La Chimica, inoltre, è in grado di supportare politiche di sviluppo sostenibile ed
affrontare emergenze planetarie, spesso legate ad un irrazionale uso delle risorse. La Chimica,
come scienza al servizio dell’umanità, dimostra dunque la sua forza creativa nell’innovazione
tecnologica, nei nuovi materiali e nei processi industriali puliti e, allo stesso tempo, nel settore dei
Beni Culturali, offre strumenti metodologici per la salvaguardia e valorizzazione. In questo senso,
la Chimica si propone come “Scienza di Vita” a difesa degli equilibri naturali e per la tutela delle
opere frutto dell’ingegno umano. Il XIII Congresso Nazionale della Divisione di Chimica
dell’Ambiente e dei Beni Culturali vuole dunque mettere in risalto questi aspetti, confrontando le
più avanzate esperienze scientifiche in campo nazionale.
La scelta di Taranto, connubio tra realtà industriali e pregevoli presenze archeologiche, a sede del
Congresso, vuole esaltare la connessione tra “Ambiente e Beni Culturali” in un’area dove la
conservazione del patrimonio storico-culturale rappresenta un potenziale volano di sviluppo
economico-sociale.
Taranto è la città dei due mari, antico e moderno porto che si affaccia sul mar Ionio nel cui golfo si
trovano alcune delle più belle spiagge della Puglia. Fondata dagli Spartani come colonia per
ampliare il raggio del commercio navale, Taranto oggi è un importante polo industriale e guarda al
mare per uno sviluppo futuro basato sul potenziamento del porto, sul turismo e sul rilancio di
antiche attività come la maricoltura.
Nicola Cardellicchio
Past-President della Divisione di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali
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COMITATO SCIENTIFICO
Giorgio Assennato
ARPA Puglia
Pierluigi Barbieri
Università di Trieste
Vincenzo Barone
Università di Pisa
Massimo Blonda
ARPA Puglia
Nicola Cardellicchio
CNR-IAMC - Taranto
Oscar Chiantore
Università di Torino
Alessandra Cincinelli
Università di Firenze
Gianluigi De Gennaro
Università di Bari
Franco Dell’Erba
CRC - Taranto
Lorenzo Ferrara
DIPAR
Giuseppe Geda
Ordine dei Chimici Piemonte e Valle d’Aosta - Torino
Nadia Marchettini
Università di Siena
Luciano Morselli
Università di Bologna
Luigi Lopez
Università di Bari
Fabrizio Passarini
Università di Bologna
Silvia Prati
Università di Bologna
Corrado Sarzanini
Università di Torino
Luigi Sportelli
Camera di Commercio Taranto
Vito Felice Uricchio
CNR-IRSA Bari
COMITATO ORGANIZZATORE
Cristina Annicchiarico
CNR-IAMC Taranto
Micaela Buonocore
CNR-IAMC Taranto
Nicola Cardellicchio
CNR-IAMC Taranto
Franco Dell’Erba
CRC Taranto
Antonella Di Leo
CNR-IAMC Taranto
Santina Giandomenico
CNR-IAMC Taranto
Roberto Giua
ARPA Puglia
Annamaria Demarinis Loiotile
Università di Bari
Lucia Spada
CNR-IAMC Taranto
Segreteria Scientifica e Organizzativa
Lucia Spada
CNR – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero
Via Roma 3, 74123 Taranto
Tel. 099-4542206; Fax 099-4542215
e-mail: lucia.spada@iamc.cnr.it
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Si ringraziano gli sponsor:
Appia Energy, Camera di Commercio di Taranto, Centro Interdipartimentale di Ricerca Industriale
Energia e Ambiente Università di Bologna, Chemical Research 2000, Hellma, Labozeta,
Lab Service analytica, Lenviros, Metrohm, Perkin Elmer, Project Automation, Sea Marconi, Solvay,
SolvAir, Systea, Thermo Fisher
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PROGRAMMA
LUNEDÌ 10 SETTEMBRE
15.00-17.00
Consiglio Direttivo della Divisione (Hotel Delfino Mercure)
18.00
Sala degli Specchi, Palazzo di Città
Cerimonia inaugurale
Introduzione: C. Sarzanini, Presidente della Divisione
Saluto delle Autorità
Consegna delle medaglie della Divisione a:
Nicola Cardellicchio, CNR-IAMC, Taranto
Giacomo Chiari, Getty Conservation Institute, Los Angeles, California
Chairman: F.Dell’Erba, C. Sarzanini
18.30-19.10
Plenary lecture
G. Chiari, Getty Conservation Institute, Los Angeles, California
Tendenze nella Scienza dei Beni Culturali: esempi dal Getty Conservation Institute.
20.00
Cocktail di benvenuto
Visita al Castello Aragonese in collaborazione con la Marina Militare
MARTEDÌ 11 SETTEMBRE
08.30-09.00
Registrazione dei partecipanti
09.00-09.40
Plenary lecture
Chairman: N. Marchettini, C. Sarzanini
N. Cardellicchio, CNR, Istituto per l’Ambiente Marino Costiero, Taranto
I siti contaminati: necessità di modelli integrati di “governance” per la gestione
sostenibile del territorio.
SESSIONE AMBIENTE
09.40-10.00
F. Morandi, S. Bastianoni, D. Caro, E. Neri
Multi-scalar emergy analysis and set theory.
10.00-10.20
P.Barbieri, S. Licen, A. Tolloi, G. Barbieri, S. Cozzutto, G. Candotti, P. Plossi
Metodi di indagine per sorgenti attive e gradienti di contaminazione multi-specie:
rilevanza negli studi di esposizione.
10.20-10.40
R. Fuoco, S. Giannarelli, M. Onor, S. Ghimenti, C. Abete, M. Termine,
S. Francesconi
A snow/firn four-century record of persistent organic pollutants (POPs) at Talos
Dome (Antarctica).
10.40-11.00
D. Vione, E. De Laurentiis, M. Minella, V. Maurino, C. Minero
Processi fotoindotti di trasformazione di inquinanti emergenti nelle acque di
superficie.
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11.00-11.30
Coffee break
SESSIONE AMBIENTE
Chairman: P. Barbieri, F. Passarini
11.30-11.50
E. Papa, L. Van der Wal, A. Rizza, S. Kovarich, S. Cassani, P. Gramatica
Applicazione di metodologie predittive QSAR per la predizione dell’attività’
biologica di nano particelle.
11.50-12.10
E. Papa, S. Kovarich, L. Ceriani, P. Gramatica
Modelli QSAR per la predizione della biodegradabilità delle fragranze.
12.10-12.30
A.Brunelli, G. Pojana, A. Marcomini
Studio del comportamento ambientale di nanoparticelle ingegnerizzate in matrici
reali.
12.30-12.50
E. De Laurentiis, M. Minella, D. Vione, V. Maurino, C. Minero, M. Brigante,
G. Mailhot
Matrice di fluorescenza: un potente strumento nello studio dei processi
fotosensibilizzati di trasformazione di inquinanti emergenti nelle acque naturali.
12.50-13.10
V. Leone, S. Canzano, P. Iovino, R. Paterno, S. Salvestrini, S. Capasso
A novel organo-zeolite adduct for environmental applications.
13.10-15.00
Pausa pranzo
15.00-15.40
Plenary Lecture
Chairman: O. Chiantore, G. Chiari
M. P. Colombini, Università di Pisa
Macromolecole d'autore contemporaneo.
SESSIONE BENI CULTURALI
15.40-16.00
S. Prati, G. Sciutto, E. Catelli, R. Mazzeo
Sviluppo di nuovi sistemi per la preparazione di sezioni stratigrafiche di interesse
artistico.
16.00-16.20
E. Zendri, L. Falchi, E. Balliana, F. C. Izzo, G. Biscontin
Effectiveness of nanosilica dispersions as consolidants for porous architectural
surfaces.
16.20-16.40
E. Imperio, G. Giancane, L. Valli
Italian mail stamps history through Fourier transform infrared spectroscopy (FTIR).
16.40-17.00
Coffee break
SESSIONE BENI CULTURALI
Chairman: S. Prati, E. Zendri
17.00-17.20
M. Vagnini, M. Palmieri, L. Pitzurra, L. Cartechini, B. G. Brunetti
Tecniche immunologiche per l’analisi di leganti proteici.
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17.20-17.40
F. C. Izzo, E. Zendri, K. J. Van den Berg, H. Van Keulen, B. Ferriani
20th century oil paint formulations: an analytical challenge in the conservation of
modern and contemporary heritage.
17.40-18.00
G. Botticelli, M. Matteini, S. Lugli, S. Minghelli, P. Zannini
Trattamenti innovativi a base di esteri silicici per il consolidamento di
manufatti a base silicatica.
MERCOLEDÌ 12 SETTEMBRE
09.00-09.40
Plenary lecture
Chairman: A. Cincinelli, L. Morselli
A. Marcomini, Università Ca’ Foscari, Venezia
Nanoparticelle ingegnerizzate: nuova frontiera di ricerca per la Chimica
Ambientale.
SESSIONE AMBIENTE
09.40-10.00
R. Comparelli, F. Petronella, A. Pagliarulo, E. Fanizza, A. Panniello, G. Mascolo,
M. Striccoli, A. Agostiano, M. L. Curri
Novel nanocrystalline composite photocatalysts for water remediation.
10.00-10.20
G. Mascolo, S. Murgolo, E. Lorusso, R. Comparelli, M. L. Curri, R. Gerbasi,
F. Vsentin
Degradation of iodinated contrast media by solar photo-fenton and photocatalysis
with supported TiO2.
10.20-10.40
R. Cucciniello, A. Proto, F. Rossi, O. Motta
Sviluppo di substrati inorganici a base di ossidi metallici per la determinazione
simultanea di NO ed NO2 con campionatori passivi.
10.40-11.00
G. Mascolo, G. Del Moro, E. Barca, C. Di Iaconi, F. Palmisano
Municipal landfill leachate treatment using electrooxidation coupled with a
biological reactor.
11.00-11.30
Coffee break
SESSIONE AMBIENTE
Chairman: L. Ferrara, V.F. Uricchio
11.30-11.50
D. Fibbi, L. Ciofi, L. Checchini, E. Coppini, C. Gonnelli, M. Del Bubba
Studio della distribuzione ed efficienza di rimozione di cromo trivalente ed
esavalente in un impianto di fitodepurazione operante come post-trattamento di
reflui industriali.
11.50-12.10
D. Cespi, F. Passarini, L. Ciacci, I. Vassura, L. Morselli, V. Castellani
Tecnologie di riscaldamento domestico a biomasse attraverso una prospettiva di
ciclo di vita.
12.10-12.30
G. Perra, S. Focardi, C.Guerranti, N. Marchettini,
Determinazione (LC-ESI-MS/MS) dei livelli di acrilammide in patate fritte in
relazione ai parametri nutrizionali di differenti cultivar.
7
12.30-12.50
S. Bodini, P. Moscetta
Analizzatore automatico per la caratterizzazione del livello di contaminazione da
sostanze tossiche nelle acque.
12.50-14.30
Pausa pranzo
14.30-15.10
Plenary Lecture
Chairman: A. Casoli, M.P. Colombini
G. Biscontin, E. Zendri, Università Ca’ Foscari, Venezia
Prospettive di sviluppo e innovazione della Chimica dei Beni Culturali.
SESSIONE BENI CULTURALI
15.10-15.30
F. C. Izzo, E. Zendri, Paola Biocca, B. Ferriani, Henk Van Keulen
Polyurethane in contemporary italian design: the case of “Pratoni” in the Triennale
Museum, Milan.
15.30-15.50
M. Quaranta, E. Catelli, S. Prati, G. Sciutto, R. Mazzeo
Applicazione della microscopia Raman per la caratterizzazione di pellicole
cinematografiche: studio di fenomeni di amplificazione SERS.
15.50-16.10
L. Falchi, E. Balliana, F. C.Izzo, E. Zendri, G. Biscontin
Mass hydrophobized lime cement mortar as tool for preventive conservation.
16.10-16.30
A. Daveri, F. Rosi, B. G. Brunetti, A. Sgamellotti, C. Miliani
Identificazione di leganti polimerici naturali e di sintesi con spettroscopia IR in
riflessione.
16.30-17.00
Coffee break
17.00-18.00
Sessione Poster
18.00
Assemblea della Divisione
GIOVEDÌ 13 SETTEMBRE
09.00 - 09.40
Plenary Lecture
Chairman: N.Cardellicchio, G. de Gennaro
G. Assennato, ARPA Puglia
Il ruolo dell'epidemiologia nella governance ambientale.
SESSIONE AMBIENTE
09.40-10.00
E. Andriani, L. Angiuli, G. Assennato, M. Blonda, A. M. D’Agnano, P. Dambruoso,
B. Daresta, G. de Gennaro, A. Demarinis Loiotile, A. Di Gilio, S. Ficocelli, R. Giua,
M. Mantovan, V. Musolino, M. Menegotto, A. Nocioni, R. Paolillo, V. Rosito,
M. Spartera e M. Tutino
Monitoraggio “diagnostico” del benzo(a)pirene nel PM10 a Taranto.
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10.00-10.20
V. Esposito, A. Maffei, L. Gigante, D. Bruno, M. Spartera, G. Assennato
Dioxin bioaccumulation in bottom-mussels from the Gulf of Taranto (Ionian sea,
Italy) collected in semienclosed transitional water basins near urban and industrial
pollution sources.
10.20-10.40
M. Amodio, E. Andriani, G. Assennato, P. R. Dambruoso, B. E. Daresta,
G. de Gennaro, A. Di Gilio, R. Giua, A. Laricchiuta, V. Musolino, J. Palmisani,
R. Paolillo, L. Trizio, M. Tutino
Studio dei nitro-IPA nel particolato atmosferico.
10.40-11.00
A. Morabito, R. Giua, A. Tanzarella, S. Spagnolo, T. Pastore, M. Bevere,
E.Valentini, G. Assennato, G. Tinarelli, G. Brusasca
Analisi modellistica di source apportionment per i macroinquinanti dell’area
tarantina.
11.00-11.30
Coffee break
SESSIONE AMBIENTE
Chairman: G. Assennato, R. Giua
11.30-11.50
B. E. Daresta, G. de Gennaro, M. Trotta, P. Veronico
Interazione del particolato atmosferico con batteri, nematodi e piante.
11.50-12.10
A. Nocioni, L. Angiuli, R. Barnaba, D. Calabrò, A. M. D’Agnano, V. Esposito,
S. Ficocelli, R. Giua, A. Maffei, M. Menegotto, V. Musolino, R. Paolillo, V. Rosito,
M. Spartera, G. Assennato
Rilevazioni vento-selettive nell’aria ambiente in Puglia per lo studio delle sorgenti
emissive di microinquinanti organici e di metalli.
12.10-12.30
A. Genga, F. Baglivi, M. Siciliano, T. Siciliano, C. Tortorella, D. Aiello
Single particle SEM-EDX analysis of particulate matter in three different sites.
12.30- 12.50
E. Andriani, P. R. Dambruoso, G. de Gennaro, A. De Marinis Loiotile, A. Di Gilio,
V.Di Palma, A. Marzocca, A. Mazzone, J. Palmisani, F. Porcelli, M. Tutino
Impatti delle combustioni di biomasse in ambienti indoor e outdoor.
12.50-14.30
Pausa pranzo
14.30-15.10
Plenary Lecture
Chairman: N. Marchettini, A. Marcomini
L. Morselli, E. Bernardi, L. Ciacci, Università di Bologna, sede di Rimini
Gli strumenti dell’industrial ecology nel contesto della green economy.
SESSIONE AMBIENTE
15.10-15.30
F. Bertocchi
SOLVAL® una realtà industriale consolidata per il recupero dei residui sodici dal
trattamento fumi.
15.30-15.50
F. Pieri, A. Cincinelli, T. Martellini, K. C. Jones, A. Sweetman
Volatile siloxanes in the atmosphere: emerging challenges, assessing sources,
spatial distribution and air quality.
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15.50-16.10
G. Sangiorgi, L. Ferrero, B. S. Ferrini, C. Lo Porto, M. G. Perrone, R. Zangrando,
A. Gambaro, Z. Lazzati, E. Bolzacchini
Modifica della composizione chimica del PM fine da outdoor a indoor: sorgenti
indoor (bpa) e perdita dei semi-volatili (IPA e ioni inorganici).
16.10-16.30
M. Brattoli, S.Catino, P. Dambruoso, G. de Gennaro, A. Demarinis Loiotile,
S. Petraccone
Applicazione di un approccio integrato per la valutazione delle emissioni
odorigene di un impianto di estrazione e lavorazione di petrolio greggio.
16.30-17.00
Coffee break
SESSIONE AMBIENTE
Chairman: G. Geda, E. Papa
17.00-17.20
D. Berto, F. Rampazzo, S. Noventa, F. Cacciatore, R. Boscolo Brusà, M. Gabellini.
Utilizzo degli isotopi stabili del carbonio e dell'azoto nel particellato organico in un
ambiente di transizione (laguna di Venezia).
17.20-17.40
M. Belmonte, A. Di Leo, F. Frontalini, S. Giandomenico, M. Greco, L. Spada,
L. Ferraro, F. Rubino
Utilizzo degli organismi marini nel monitoraggio ambientale di aree marino
costiere: un esempio dal Mar Piccolo di Taranto.
17.40-18.00
M. Masiol, S. Squizzato, G. Rampazzo, B. Pavoni
Influenza del clima, della circolazione atmosferica e dei trasporti esterni sul
particolato: due metodologie chemometriche a confronto.
20.00
Relais Histò S. Pietro, Mar Piccolo:
Assegnazione premi tesi di laurea: Dr. I. Mangili, Dr. S. Sasso
Cena Sociale: Gran Buffet di Puglia
VENERDÌ 14 SETTEMBRE
09.00-09.40
Plenary lecture
Chairman: F. Dell’Erba, C. Sarzanini
S. Lorusso, Università di Bologna, sede di Ravenna
Arte e ambiente come media per ecosostenibilità, etica, estetica.
SESSIONE BENI CULTURALI
09.40-10.00
A. Casoli
Che importanza viene data agli insegnamenti del SSD CHIM/12 nella formazione
di scienziati della conservazione, conservatori e restauratori.
10.00-10.20
V. Ros, V. Laterza, C. Turetta, J. Gabrieli, W. Cairns, E. Balliana, C. Baroni,
A. Bondesan, C. Barbante
Elemental and isotopic characterization of war resideus dating back to the first
world war.
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10.20-10.40
F. Di Girolamo, I. Bonduce, M. P. Colombini, T. Grøntoft, S. Lopez-Aparicio,
M. Odlyha, M. Sharff
Il ruolo degli inquinanti ambientali sul degrado delle vernici pittoriche di dipinti
conservati in cornici microclimatiche.
10.40-11.00
S. Marras, G. Pojana, R. Ganzerla, A. Marcomini, E. Sebastiani
Applicazione della HPLC-HR-TOF-MS all’analisi di pigmenti organici naturali in
manufatti artistici.
11.00-11.20
S. D’Amico
Chimica e gnomonica.
11.20-12.00
Conclusioni e chiusura del Congresso
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SESSIONE POSTER: AMBIENTE
AMB01 - G. Accoto, E. Acito, G. Anzilotta, D. Bochicchio, A. Mastore, V. Nola, A. Pipino, A. Palma.
IL PEPERONE (Capsicum annuum L.) COME ACCUMULATORE AMBIENTALE
AMB02 - M. Anselmo, V. Minganti, G. Drava, R. De Pellegrini, P. Modenesi.
BIOMONITORAGGIO DEL CROMO ESAVALENTE MEDIANTE L’USO DELLA SCORZA DI
LECCIO (Quercus ilex L.)
AMB03 - G. Anzilotta, M.R. Mauriello, A. Palma, T. Cataldi.
BIOACCUMULO E ANALISI DI “POLIBROMODIFENILETERI” IN MUSCHI E LICHENI
AMB04 - L. Barbieri, I. Lancellotti, E. Passaglia, T.Toschi.
INFLUENZA DI ZEOLITITE A CHABASITE SUL RILASCIO DI FOSFORO DA CENERI D’OSSA
ANIMALI CON FINI AGRONOMICI
AMB05 - A. Tolloi, G. Ghirardello, M. Romeo, S. Licen, A. Piazzalunga, S. Cozzutto, P. Plossi,
P. Barbieri.
VALUTAZIONI SU COMPONENTI ORGANICHE E SECONDARIE IN UN SITO DI BACKGROUND
DEL CARSO TRIESTINO
AMB06 - E. Bernardi, C. Chiavari, C. Martini, I. Vassura, F. Passarini, A. Motori, M. C. Bignozzi.
STUDIO DELLA CORROSIONE ATMOSFERICA DEL COR-TEN ATTRAVERSO ESPOSIZIONI IN
CAMPO ED INVECCHIAMENTI ACCELERATI
AMB07 - R. M. De Carlo, M. C. Bruzzoniti, C. Sarzanini, D. Caldarola, B. Onida.
UN PRECURSORE DI AL-MCM-41 NELLA RIMOZIONE DI NITRATI E DI ACIDI ALOACETICI
DALLE ACQUE
AMB08 - M. Buonocore, N. Cardellicchio, A. Di Leo.
TEMPORAL AND SPATIAL ACTIVE MOSS BIOMONITORING APPLIED TO URBAN AREA OF
TARANTO
AMB09 - C. Annicchiarico, G. Assennato, F. Basile, N. Cardellicchio, G. Castellano, M. Conversano, A. Di
Leo, S. Giandomenico, W. Martinelli, L. Spada, N.Ungaro.
VALUTAZIONE DEL RISCHIO ASSOCIATO AL CONSUMO DI MITILI ALLEVATI NEL MAR
PICCOLO E NEL MAR GRANDE DI TARANTO
AMB10 - S. Cassani, S. Kovarich, E. Papa, P. Pratim Roy, M. Rahmberg, S. Nilsson, T. Öberg,
N. Jeliazkova, N. Kochev, O. Pukalov, P. Gramatica.
MODELLI QSAR PER LA TOSSICITA’ ACQUATICA DI TRIAZOLI E BENZOTRIAZOLI:
RISULTATI NELL’AMBITO DEL PROGETTO CADASTER
AMB11 - A. Pagliarulo, F. Petronella, A.Calia, M. Lettieri, D.Colangiuli, A. Agostiano, M. L. Curri,
R. Comparelli.
NANOSTRUCTURED TiO2 BASED COATINGS FOR PROTECTION AND SELF-CLEANING OF
COMPACT AND POROUS STONES
AMB12 - F. M. Pulselli, L. Coscieme, V. Pelliciardi, F. Rossetti.
SUSTAINABILITY ASSESSMENT OF SOCIETY AND TRADITIONAL AGRICULTURE IN LADAKH
(INDIA) BASED ON EMERGY EVALUATION
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AMB13 - R. M. Pulselli, F. Morandi, L. Coscieme, N. Patrizi, S. Bastianoni.
EVALUATING ENVIRONMENTAL PERFORMANCES OF BUILDING ENVELOPES: THE CASE OF
VERTICAL GREENERY SYSTEMS
AMB14 - A. Fabbrocini, R. D’Adamo F. Del Prete, A. L. Langellotti, F. Rinna, R. Sessa, F. Silvestri,
G. Villani, V. Vitiello and G. Sansone.
SPERIMENTAZIONE DI NUOVI BIOSAGGI PER LE INDAGINI ECOTOSSICOLOGICHE:
IL TEST DI SPERMIOTOSSICITÀ CON SEME CRIOPRESERVATO
AMB15 - A. Specchiulli, M. Renzi, C. Manzo, L. Cilenti, T. Scirocco, R. D’Adamo.
L’ANGUILLA (Anguilla anguilla) COME INDICATORE DI INQUINAMENTO NELLE LAGUNE
COSTIERE DEL MEDITERRANEO
AMB16 - A. Dell’Erba, A. Primicino, M. Spartera, M. Blonda, G. Assennato.
RISULTATI DELL’ATTIVITA’ DI CONTROLLO DI ARPA PUGLIA SU DISCARICHE DEL
TERRITORIO DELLA PROVINCIA DI TARANTO
AMB17 - P.R. Dambruoso, G. de Gennaro, A. Di Gilio, J. Palmisani, M. Tutino.
IMPATTO DELLA SORGENTE “BIOMASS BURNING” SUI LIVELLI E SULLA COMPOSIZIONE
CHIMICA DEL PM
AMB18 - M. Amodio, P. R. Dambruoso, G. de Gennaro, A. Di Gilio.
CARATTERIZZAZIONE DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO MEDIANTE TECNICHE AD ALTA
RISOLUZIONE TEMPORALE
AMB19 - C. Annicchiarico, N. Cardellicchio, A. Di Leo, S. Giandomenico, L. Spada.
LIVELLI DI METALLI E POLICLOROBIFENILI IN SEDIMENTI ED ORGANISMI MARINI EDIBILI
DEL MAR PICCOLO DI TARANTO E VALUTAZIONE DEL RISCHIO PER LA SALUTE UMANA
AMB20 - C. Annicchiarico, N. Cardellicchio, A. Di Leo, S. Giandomenico, L. Spada.
CARATTERIZZAZIONE
DEL
RISCHIO
DA
MERCURIO,
METILMERCURIO
POLICLOROBIFENILI ASSOCIATO AL CONSUMO DI SPECIE ITTICHE
E
AMB21 - G. Oliva, F. Perri, M. Manigrasso, C. Vernale, V. Galasso, F. Bailardi, A. L. Pellegrini,
C. Giannico, P. Avino.
STUDIO DELLE ALTERAZIONI DEL FILM LACRIMALE IN POPOLAZIONE ESPOSTA A
PARTICOLATO ATMOSFERICO NELL’AREA URBANA DELLA CITTÀ DI TARANTO
AMB22 - A. Hofer, A. Piazzalunga, P. Tieppo, G. M. Formenton, S. Squizzato, M. Masiol, S. Ficotto,
P. Fermo, G. Rampazzo, B. Pavoni.
LA DETERMINAZIONE DEL CARBONIO IN ATMOSFERA – CONFRONTO TRA DUE METODI DI
MISURA
AMB23 - R. Lava, L. Menegus, G. Pojana, A. Marcomini.
SIMOULTANEOUS DETERMINATION OF CHLOROANILINES AND CHLORONITROBENZENES
IN DIFFERENT ENVIRONMENTAL WATERS
AMB24 - I. Mangili.
SEWAGE SLUDGE FROM URBAN WASTEWATER TREATMENT PLANT: ENERGY RECOVERY
AND ENVIRONMENTAL ASSESSMENT
AMB25 - S. Mosca, E. Guerriero, S. Guidone, M. Rotatori, G. Bonifazi, M. Ferrini, V. Giancontieri,
A. Manni.
PCDD/F NELLE MATERIE PRIME DI ORIGINE NATURALE: IL CAOLINO LAZIALE
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AMB26 - G. Marchetti, M. Minella, D. Vione, C. Minero, V. Maurino.
INDAGINE ELLISSOMETRICA DI FILM SOTTILI DI TiO2 PER L’OTTIMIZZAZIONE DEI PROCESSI
DI ABBATTIMENTO FOTOCATALITICO DI INQUINANTI REFRATTARI
AMB27 - E. Andriani, P. R. Dambruoso , G. de Gennaro , A. De Marinis Loiotile , A. Di Gilio,
V. Di Palma, A. Marzocca, A. Mazzone, J. Palmisani, M. Tutino.
IMPATTO DELLE COMBUSTIONI DOMESTICHE SULLA QUALITA’ DELL’ARIA INDOOR
AMB28 - M. Masiol, S. Squizzato, D. Ceccato, G. Rampazzo, B. Pavoni.
RELAZIONE TRA LA CIRCOLAZIONE ATMOSFERICA E LE DISTRIBUZIONI DIMENSIONALI DI
ALCUNI ELEMENTI NELL’AEROSOL DI VENEZIA
AMB29 - A. Morabito, R. Giua, S. Spagnolo, T. Pastore, M. Bevere, E. Valentini, G. Assennato,
M. G. Morselli, G. Tinarelli
ANALISI MODELLISTICA DI SOURCE APPORTIONMENT PER IL BENZO(A)PIRENE E GLI IPA
TOTALI PRESSO LA POSTAZIONE DI MONITORAGGIO DELLA QUALITA’ DELL’ARIA “VIA
MACHIAVELLI”A TARANTO
AMB30 - V. Librando, M. Pappalardo.
STUDY OF THE INTERACTION OF POLYCYCLIC AROMATIC HYDROCARBONS WITH THE
OXYGENASE (PHNI) AND THEIR SELECTED MUTANTS
AMB31 - F. Passarini, C. Corticelli, I. Vassura, L. Morselli.
CARATTERIZZAZIONE DI SEDIMENTI DA DRAGAGGIO: VALUTAZIONE DELLA MOBILITÀ DI
INQUINANTI INORGANICI, E DEGLI EFFETTI DEL TRATTAMENTO DI SOIL WASHING
AMB32 - L. Ciacci, F. Passarini, I. Vassura, L. Morselli.
ANALISI DEI FLUSSI E DELLE RISERVE DI ALLUMINIO IN ITALIA MEDIANTE MFA DINAMICA
AMB33 - N. Calace, L. Caliandro, L. Campanella, C. Cremisini, E. Nardi, B. M. Petronio, M. Pietrantonio,
M. Pietroletti
COMPOSTI ORGANICI AD ALTO PESO MOLECOLARE COME VEICOLO DI TRASPORTO PER I
METALLI: IL RUOLO DEI COMPOSTI UMICI
AMB34 - L. Caliandro, N. Cardelicchio, B. M. Petronio, M. Pietrantonio, M. Pietroletti.
L’INFLUENZA DELLE ATTIVITA' UMANE NELL’INQUINAMENTO DEI SEDIMENTI DEL MAR
PICCOLO DI TARANTO (MAR IONIO, ITALIA)
AMB35 - C. Annicchiarico, N. Cardellicchio, A. Di Leo, S. Giandomenico, L. Spada.
DIFENILETERI BROMATI (PBDEs) E COMPOSTI CLORURATI NEI MOLLUSCHI BIVALVI (Mytilus
galloprovincialis) DELLA REGIONE PUGLIA
AMB36 - S. Sasso, L. Scrano, S. A. Bufo, V. Trotta.
INFLUENZA DEI FATTORI CLIMATICI ED ANTROPICI NEL PROCESSO DI DETERIORAMENTO
DELLA CALCARENITE: UN CASO DI STUDIO
AMB37 - S. Sasso, S. A. Bufo, L. Scrano.
DETERIORAMENTO DELLA CALCARENITE ESPOSTA AGLI AGENTI ATMOSFERICI
AMB38 - A. Tanzarella, A. Morabito, R. Giua, G. Assennato.
APPLICAZIONE DI UN SISTEMA MODELLISTICO PER LA VALUTAZIONE SPEDITIVA
DELL’AREA DI IMPATTO DEI FUMI PRODOTTI DA UN INCENDIO
14
AMB39 - T. Trabace, G. Filippo, M. Casamassima, A. Marraudino, S. Longo, A. Palma.
EPI-D E IBE: DUE INDICI BIOLOGICI A CONFRONTO NELLE ACQUE SUPERFICIALI DELL’AREA
VAL D’AGRI CAMASTRA
AMB40 - V. Maurino, A. Bedini, D. Borghesi, D. Vione, C. Minero.
PHOTOSENSITISED PROCESSES OF PHENOL TRANSFORMATION BY QUINONES DETECTED IN
AIRBORNE PARTICLES
SESSIONE POSTER: BENI CULTURALI
BC01 - N. Marchettini, A. Atrei, F. Benetti, E. Gliozzo, I. Turbanti Memmi, G. Perra.
STUDIO DI UN CROCIFISSO LIGNEO DEL XV SECOLO MEDIANTE
MICROSCOPICHE, SPETTROSCOPICHE E CROMATOGRAFICHE
TECNICHE
BC02 - I. Bonacini, S. Prati, R. Mazzeo, M. Reggi, G. Falini, E. Scavetta, D. Tonelli.
SVILUPPO E SINTESI DI NANO SISTEMI INIBITORI DELLA CORROSIONE DEL BRONZO
BC03 - A. Buccolieri, G. Buccolieri, A. Castellano, M. Marabelli.
ANALISI EDXRF PER LA SALVAGUARDIA DEI BRONZI DI RIACE
BC04 - A. Buccolieri, D. Manno, F. Scigliuzzo, E. Filippo, A. Serra.
ANALISI DEL PROCESSO DI REIDROSSILAZIONE IN REPERTI CERAMICI
BC05 - A. Casoli, C. Isca, I. Saccani, F. Saggese.
“FARNESIA ARBOR": SPERIMENTAZIONE E VALUTAZIONE ANALITICA DEL TRATTAMENTO
DI DEACIDFICAZIONE
BC06 - A. Casoli, P. Cremonesi, C. Nardinocchi, G. Predieri, V. E. Selva Bonino, M. Tegoni.
STUDIO DI APPLICABILITÀ DI SOLUZIONI CHELANTI IN SISTEMI ADDENSATI CON GEL
ACQUOSI DI POLIACRILATO PER LA PULITURA DI DIPINTI MURALI
BC07 - A. Pagliarulo, F. Petronella, A. Calia, M. Lettieri, D. Colangiuli, A. Agostiano, M. L. Curri,
R. Comparelli.
NANOSTRUCTURED TiO2 BASED COATINGS FOR PROTECTION AND SELF-CLEANING OF
COMPACT AND POROUS STONES
BC08 - E. Zendri, L. Falchi, F. C. Izzo, M. Sgobbi, E. Balliana.
CHEMICAL CHARACTERISATION OF STUCCOES FROM THE ADDOLORATA CHAPEL IN ST.
PANTALON CHURCH IN VENICE
BC09 - E. Imperio, G. Giancane, L. Miotto, L. Valli.
FOURIER TRANSFORM INFRARED SPECTROSCOPY (FTIR) STUDIES ON PAPIER MACHE
COMPOSITIONS
BC10 - L. Martini, G.M.E.F.Martini-Ugurgieri, Anonimo
IMPIEGO DI “APPETIZING BALLS” A BASE DI JUVENIL HORMONES-WOOL CHERATIN
ANALOGS PER IL DEBELLAMENTO DELLE TARME NEI TESSUTI D’EPOCA.
BC11 - V. Librando, Z. Minniti.
ANALISI FTIR DI ANTICHI LIBRI DANNEGGIATI DA FENOMENI DI FOXING
15
BC12 - C. Riedo, O. Chiantore.
PREPARAZIONE DI IDROGELI PER APPLICAZIONI NEI BENI CULTURALI
BC13 - O. Chiantore, C. Riedo, A. Piccirillo, T. Poli, J. La Nasa, F. Di Girolamo, S. Orsini, F. Modugno,
I. Bonaduce, M. P. Colombini.
CARATTERIZZAZIONE DEI MATERIALI DEL MURALE “TUTTOMONDO” DI KEITH HARING
PRELIMINARE AL RESTAURO DELL’OPERA
16
Medaglie della Divisione
17
Prof. Nicola Cardellicchio
CNR – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero – Unità Operativa di Taranto
Nicola Cardellicchio si è laureato in Chimica presso l'Università degli Studi
di Bari con il voto di 110/110 e lode.
Dal 1983 è ricercatore del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Attualmente è
dirigente di ricerca presso l’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero - U.O.S.
di Taranto, di cui è il responsabile. E’ stato coordinatore di numerosi progetti
di ricerca nazionali ed internazionali. E’ stato docente in varie università
(Bari, Lecce, Potenza) e vincitore della cattedra di Chimica dell’Ambiente e
dei Beni Culturali presso l’Università del Salento.
Dal 1981 è iscritto alla Società Chimica Italiana ed è stato socio fondatore della Divisione di
Chimica Ambientale (ora Divisione di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali), di cui è stato
presidente per i trienni 2001-2003 e 2007-2009.
E’ autore di oltre 180 pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali, è editor di 5 volumi nel
settore della Chimica dell’Ambiente e del Monitoraggio Ambientale. Ha organizzato oltre 25
congressi e scuole e fatto parte di 75 comitati scientifici di varie iniziative.
I settori di interesse sono la chimica dell’ambiente marino, i fenomeni di inquinamento e degrado
ambientale, l’ecotossicologia e le tecnologie di remediation ambientale.
18
Prof. Giacomo Chiari
Getty Conservation Institute, Los Angeles, California
Giacomo Chiari, ha insegnato Mineralogia Applicata all’Università
di Torino dove ha lavorato come cristallografo nel campo dei Raggi
X applicandoli anche ai Beni Culturali. Tra i suoi numerosi lavori vi
e’ l’uso del silicato di etile come consolidante di superfici (anche
dipinte) in terra cruda (Iraq, Peru); l’analisi dei pannelli censori del
Giudizio Universale di Michelangelo in Sistina; un metodo di
datazione di affreschi basato sulla orientazione magnetica
preferenziale dell’ematite e la caratterizzazione (sincrotrone,
neutroni) del Maya Blu. Nel 2003 si è trasferito al Getty
Conservation Institute di Los Angeles come Chief Scientist, dove dirige un gruppo di circa venti
scienziati dedicati allo studio e conservazione di Beni Culturali. In questo ruolo ha facilitato
l’acquisizione di nuove tecnologie quali (CT-scan per bronzi, uno strumento a interferometria
Laser per vedere distacchi di intonaci a distanza, uno strumento XRD/XRF portatile per analisi
non invasive in loco ed ha reso totalmente portatile ed usabile in presenza di luce ambiente la
technica VIL (Visible Induced Luminescence) che permette di visualizzare il blu Egiziano su
dipinti murali e statue marmoree.
19
Premi Tesi di Laurea
Nell’ambito del Congresso sono stati bandini 2 premi da 500 € ciascuno per tesi di laurea sui temi
della Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali per laureati dell’anno accademico 2010-2011.
Dopo selezione, i premi, offerti da Sea Marconi e da Appia Energy sono stati assegnati a:
Dr. Ivan Mangili
Università di Milano Bicocca
Laurea specialistica in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente e il Territorio
Titolo della Tesi: “Valorizzazione energetica ed ambientale dei fanghi provenienti da impianto di
trattamento delle acque reflue urbane”
Dr. Sergio Sasso
Università della Basilicata
Laurea specialistica in Scienze e Tecnologie agrarie
Titolo della Tesi: “Deterioramento della calcarenite esposta agli agenti atmosferici”
20
SEWAGE SLUDGE FROM URBAN WASTEWATER TREATMENT PLANT: ENERGY
RECOVERY AND ENVIRONMENTAL ASSESSMENT.
Ivan Mangili
Dip. Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano-Bicocca, piazza della Scienza 1,
20126 Milano
i.mangili@campus.unimib.it
Sludge is by far the largest in volume amongst the by-products of wastewater treatment, and its
processing methods and disposal techniques are nowadays a matter of great concern. Currently, the
known sludge disposal methods are recycling as fertilizer, landfilling and incineration. Sludge
incineration presents several advantages, including volume reduction, thermal destruction of toxic
organic constituents, and energy recovery1. Moreover, sewage sludge, being a biosolid, can be
considered a renewable energy source, alternative to fossil fuels2.
Technologies available for thermal processing of sewage sludge can be grouped into three
categories, i.e. mono-incineration, co-combustion, and other thermal processes (gasification,
pyrolysis, wet oxidation)3. Among mono-incineration technologies, fluidized bed incineration is
becoming more and more attractive in comparison to the conventional multiple hearth type.
An integrated process where sludge is dried before incineration is presented and discussed. In order
to treat the sludge effectively, the knowledge of the sludge characteristics is crucial: physicochemical parameters as moisture content, ash content, ultimate composition (C, H, O, S, N, Cl as
%w/w dw), higher heating value, were determined together with the content of heavy metals, total
organic carbon, Polycyclic Aromatic Hydrocarbons (PAHs), PolyChloroDibenzo-p-Dioxins
(PCDDs) and PolyChloroDibenzoFurans (PCDFs).
A thermodynamic model was developed to simulate the integrated process, including indirect
thermal drying and combustion4. The heat of the exhaust gases from the furnace is recovered in a
downstream boiler and used for sludge drying.
The application of the algorithm described made clear that the sludge has to be fed to the fluidized
bed furnace at an optimal solid concentration of 52%, high enough to carry out a self sustaining
combustion, without any need of auxiliary fuel.
The energy efficiency, evaluated according to the criteria of the European Directive 2008/98, might
be as high as 50%, depending on the electric energy consumption for the integrated plant.
1. D. Fytili, A. Zabaniotou, Renew. Sust. Energ. Rev., 2008, 12, 116-140J.
2. E. Cartmell, P. Gostelow, D. Riddell-Black, N. Simms, J. Oakey, J. Morris, P. Jeffrey, P.
Howsam, S. Pollard, Environ. Sci. Technol., 2006, 40, 649-658
3. Werther, T. Ogada, Prog. Energy Combust. Sci., 1999, 25, 55-116
4. Mininni, G. Incineration with Energy Recovery. In Sludge into Biosolids: Processing, Disposal,
Utilization; Spinosa, L., Vesiling, P. A., Eds.; IWA Publishing: London, 2001
21
DETERIORAMENTO DELLA CALCARENITE ESPOSTA AGLI AGENTI
ATMOSFERICI
Sasso Sergio, Bufo Sabino Aurelio, Scrano Laura
Dipartimento di Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente, Università degli Studi
della Basilicata, Potenza
sergio.sasso@unibas.it
Il processo di deterioramento dei materiali lapidei è un problema che in questi ultimi decenni sta
assumendo sempre maggiore rilevanza poiché inerisce il nostro patrimonio storico-culturale. A
differenza degli esseri viventi, i monumenti non posseggono sistemi di autodifesa in grado di
proteggerli da eventuali attacchi di agenti esterni che iniziano la loro opera demolitrice subito dopo
la realizzazione dell’opera. E’ ben nota a tutti la responsabilità assunta dallo sviluppo delle attività
umane, come l’industrializzazione che immettendo inquinanti in atmosfera costituisce un rischio per
l’integrità dei materiali lapidei, in ogni caso soggetti a naturali fenomeni di alterazione nella loro
interazione con gli agenti climatici. Il presente lavoro esamina i vari processi degradativi causati dai
fattori naturali ed antropici sulle pareti in calcarenite (tufo biancastro proveniente dalle cave di
Gravina di Puglia) di un’antica masseria sita nel comune di Lavello (PZ) in contrada Gravetta
(coordinate 41° 03' 36.28"N e 15° 48' 26.69"E), tra il primo nucleo del parco archeologico di
“Forentum romana” (III-I secolo a.C.) e l’inceneritore “Fenice” (località san Nicola di Melfi), ad
una distanza di 11 Km da quest’ultimo. Per poter identificare l’origine dei principali processi
degradativi, il lavoro considera le alterazioni subite nel tempo da un provino cubico realizzato nel
luglio 2009, utilizzando lo stesso materiale, e posto a ridosso dell’antica struttura oggetto di
indagine. Obiettivo del lavoro, è quello di evidenziare come il clima e gli agenti trasportati in
atmosfera possano contribuire, in sinergia, al deterioramento della calcarenite. Il campionamento,
sia sulle pareti della masseria che sul provino cubico, è stato eseguito a cadenza trimestrale a partire
dal 18 Giugno 2010 prelevando una quantità adeguata di polveri superficiali. Sulle polveri sono
stati determinati i livelli di alcuni inquinanti: metalli pesanti, PCB, fitofarmaci clorurati e fosforati
ed anioni (nitriti, nitrati e solfati). Altre determinazioni hanno riguardato: pH, conduttività elettrica,
calcare totale, carbonio organico e sostanza organica. I dati climatici come direzione del vento,
piovosità, radiazione solare, temperatura ed umidità relativa sono stati forniti dall’Agenzia
Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Basilicata (ARPAB). I risultati ottenuti,
permettono di fare le seguenti considerazioni: il processo di deterioramento sulle superfici lapidee è
lento ed irreversibile ed i fenomeni di alterazione e degrado sembrano influenzati sia dall’accumulo
degli inquinanti organici ed inorganici sia dalle condizioni ambientali, nonché dall’azione sinergica
di tutti questi fattori. I metalli pesanti, derivanti dall’attività industriale ed agricola, oltre ad
accumularsi sulla superficie dei materiali lapidei, si raccolgono nel terreno circostante attraverso le
piogge che dilavano le superfici calcaree. Non è da sottovalutare l’azione degli organismi biologici
(muschi, licheni ed alghe); tali organismi, trasportati dal vento, in presenza di idonee condizioni
climatiche (alte umidità relative dell’aria e temperature non troppo elevate), colonizzano facilmente
le superfici lapidee. Sulle superfici del provino, in corrispondenza dei venti dominanti, si assiste nel
tempo ad una diminuzione della percentuale di carbonati a favore dell’aumento di sostanza organica
e di sali solubili ed un abbassamento del valore di pH.
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Conferenze ad invito
23
TENDENZE NELLA SCIENZA DEI BENI CULTURALI: ESEMPI DAL GETTY
CONSERVATION INSTITUTE
Giacomo Chiari
The Getty Conservation Institute 1200 Getty Center Drive, Suite 700, Los Angeles, CA 90049-1684
gchiari@getty.edu
La scienza dei beni culturali ha subito in anni recenti cambiamenti enormi. I problemi che ora sono
affrontati richiedono l’uso di molte tecniche diverse, appartenenti a differenti discipline, dalla
chimica alla fisica all’ingegneria. Gli oggetti studiati vanno dall’archeologia, all’arte antica o
contemporanea in tutte le sue forme e comprendono i materiali più svariati. Ovviamente la
determinazione del cambiamento, purtroppo inevitabile, e delle cause di alterazione di oggetti
culturalmente importanti, è fondamentale per la conservazione del patrimonio.
Il modo in cui lo scienziato della conservazione si rivolge agli oggetti studiati, è anch’esso
cambiato. Anni fa il prelievo di campioni, anche di dimensioni consistenti, non era un problema, e
spesso si possono ancora vedere
i risultati negativi di tale attitudine. Con l’enorme balzo in
avanti dell’informatica e della microtecnologia si è ora arrivati a un elevato numero di strumenti e
tecniche non invasive e portatili. Questo ha permesso di portare gli strumenti agli oggetti anziché
prelevare campioni da portare in laboratorio. Il numero di analisi così effettuate è aumentato
esponenzialmente, anche se questo ha portato ad alcuni aspetti negativi che saranno discussi.
Il Getty Conservation Institute di Los Angeles è particolarmente sensibile all’uso di tecniche non
invasive, e ne descriverò qui alcune, messe a punto da noi o modificate adattando strumenti
esistenti. Di solito questi lavori sono stati condotti in collaborazione con altri enti o università. Oltre
ad alcuni interessanti esempi di applicazione delle tecniche di “routine” saranno descritti strumenti
innovativi quali:
CT-scan per bronzi di notevoli dimensioni. In collaborazione con Franco Casali e Matteo Bettuzzi
– Universita’ di Bologna. Approfittando della presenza di un tubo a raggi-X molto potente (460
KeV) a conclusione della messa a punto del metodo, abbiamo operato una tomografia
computerizzata su di un Cupido Romano (50-150 A.D.) in bronzo, alto 67 cm. Saranno presentati
sia la tecnica che i risultati.
Conservazione preventiva - Microfedometro – Jim Druzik ha ampiamente modificato lo
strumento inizialmente prodotto da Paul Withmore che permette di valutare in modo non distruttivo
la sensibilità alla luce di coloranti e di superfici delicate in genere, onde poter stabilire in modo
quantitativo l’esposizione alla luce che non danneggi l’oggetto. Con l’aiuto di Andrew Lerwill lo
strumento è ora miniaturizzato, portatile e funzionante anche come spettrofotometro.
Diffrattometro a raggi-X e Fluorescenza-X non invasivi e portatili – Giacomo Chiari in
collaborazione con Philippe Sarrazin (InXitu) ha facilitato la produzione questo innovativo
strumento, ora commercializzato dalla Olympus (DUETTO), che permette di ottenere senza toccare
l’oggetto, sia l’analisi elementare che la composizione di materiali cristallini. Saranno discussi i
vantaggi e gli inevitabili svantaggi di condurre analisi su campioni non trattati. Vengono presentate
anche applicazioni non convenzionali, quali possibilità di ottenere la stratigrafia di oggetti a strati
oppure di misurare quantitativamente la composizione di due o più leghe binarie presenti nello
stesso punto. I primi risultati sono stati presentati in un articolo su Nature.
24
VIL – Visible Induced Luminescence – E’ una tecnica messa a punto da Giovanni Verri e
riadattata da Giacomo Chiari in modo da renderla totalmente portatile e utilizzabile anche in
presenza di luce diurna. Luce visibile, priva di componente IR, viene inviata sull’oggetto di cui
eseguire la mappa. Il Blu Egiziano (come il blu Han) è eccitato nel visibile ed emette nel vicino
infrarosso. Una normale macchina fotografica modificata con opportuni filtri permette di
visualizzare soltanto il blu egiziano. Oltre ad essere utile per mappe del pigmento, anche quando
questo non è visibile perché coperto da patine colorate (ossalati), il VIL può essere usato per
evidenziare minime quantità presenti su statue marmoree, provando la presenza di originale
policromia. Siccome il blu egiziano non era più usato nel Rinascimento, una piccola quantità di esso
è sufficiente per l’attribuzione di statue all’epoca Greco-Romana. Saranno mostrati anche i risultati
di una nuova applicazione del VIL su sezioni al microscopio. Si può in tal modo distinguere il blu
egiziano dal “verde egiziano”, un vetro di composizione chimica quasi identica.
Radiografia per Emissione Elettronica - Peter Reiching. Spesso la radiografia in trasmissione di
un quadro non può essere effettuata o perché il supporto è troppo spesso, o perché la preparazione è
uno strato di bianco di piombo, molto più assorbente della pittura in esame. Una tecnica nota già
negli anni 50 ma poco usata permette di ottenere una mappa simile al backscattered del SEM,
grande quanto un film radiografico e che coinvolge solo alcuni micrometri superficiali. Come
esempio sarà mostrato un quadro di Rembrandt che presenta un sotto-dipinto evidenziabile o no a
seconda del voltaggio del tubo.
Laser Speckle Interferometry – Lionel Keene e David Carson. Permette di evidenziare distacchi
di intonaci in modo non invasivo e a distanza, usando un leggero tocco oppure eccitazione sonora.
L’applicazione al soffitto delle terme di Ercolano ha permesso, senza l’uso di ponteggi, di
evidenziare parti sciolte da fissare, riducendo enormemente il costo dell’operazione.
In conclusione, le tecniche non invasive stanno diventando sempre più potenti e utili. Spesso però
convincono i responsabili che tutto si può fare senza prelevare campioni. Questo non è vero ed è
pericoloso in quanto la quantità/qualità di informazione ottenibile da campioni portati in laboratorio
è spesso essenziale per risolvere il problema in esame. Dovremmo quindi cercare di usare le
tecniche non distruttive come primo approccio all’analisi, per facilitare poi la scelta intelligente di
alcuni pochi punti da cui prelevare campioni, in conformità a specifici problemi non risolti.
25
I SITI CONTAMINATI: NECESSITÀ DI MODELLI INTEGRATI DI “GOVERNANCE”
PER LA GESTIONE SOSTENIBILE DEL TERRITORIO
Nicola Cardellicchio
CNR - Istituto per l’Ambiente Marino Costiero – U.O.S. Taranto, via Roma 3,
74123 Taranto
n.cardellicchio@iamc.cnr.it
Il problema dei siti contaminati, i conflitti che in questi anni si sono instaurati tra il mondo della
produzione, con le sue pressioni antropiche e la conseguente contaminazione ambientale. e le realtà
urbane con ricadute non solo sulla qualità ambientale ma anche sulla salute umana hanno imposto
una riflessione su nuovi modelli di governance incentrati su una visione sostenibile delle varie
problematiche e sulla riorganizzazione dei sistemi industriali secondo i principi dell’Industrial
Ecology. Tutto ciò per arrivare a una nuova politica che non veda più limiti fisici ed antitetici tra
ambiente urbano e ambiente industriale. Il caso del sito contaminato di interesse nazionale (SIN) di
Taranto, qui illustrato, è emblematico e viene riportato come esempio di quelle contraddizioni che
una realtà industriale “chiusa su se stessa” ha generato sul territorio. Il moderno concetto di
sostenibilità apre ora nuovi orizzonti, introducendo allo stesso tempo l’idea di limiti allo sviluppo e
invitando a rimettere in discussione le divisioni disciplinari, l’idea dominante della specializzazione
del lavoro, l’incomunicabilità dei saperi e la prevalenza delle verticalità organizzative. Questa
nuova idea impone di allontanarsi dall’individualismo metodologico, dagli insularismi economici e
dalle ingiunzioni disciplinari per ricostruire, nel transdisciplinare, il concetto di sviluppo e poter
collegare l’etica, la politica e la scienza. La giustificazione di questo nuovo orientamento risiede
nella necessità prosaica di riunire le condizioni di sopravvivenza minacciate dalle antinomie che
appaiono tra la logica insulare, lineare e reversibile dell’economia e le discontinuità, la debole
resilienza e l’irreversibilità dei fenomeni negli ecosistemi. L’attività economica è dunque
fortemente dipendente, nella sua origine e nel suo esito, dall’ambiente naturale nel quale l’attività si
sviluppa.
In pratica, le soluzioni per l’impresa sono il realizzare cooperazioni al di là degli steccati in seno
alle strategie di concorrenza e l’accrescere la produttività delle risorse e dell’informazione piuttosto
che quella del lavoro. L’ecologia industriale offre a questo proposito prospettive globali e strumenti
microeconomici quali l’ecoefficienza, per introdurre la sostenibilità nelle strategie di sviluppo delle
imprese, ridurre i costi e gestire preventivamente, globalmente e localmente il rischio. La
sostenibilità dunque non è più un onere ma un investimento. L’ecologia industriale trae ispirazione
dalla conoscenze degli ecosistemi e della biosfera per determinare le trasformazioni suscettibili di
rendere il sistema industriale compatibile con un funzionamento “normale” degli ecosistemi
biologici. Non deve confondersi però con le industrie ambientali, né con le tecnologie verdi o pulite
ma s’interessa all’evoluzione a lungo termine del sistema industriale nel suo insieme. La questione
dell’impatto delle attività umane in siti contaminati non si riduce più quindi a risolvere problemi di
inquinamento. Inspirata dall’intuizione iniziale di E.G. Hutchinson, espressa in uno studio
pubblicato nel 1948 sui cicli biogeochimici e nel quale il sistema industriale si presentava come un
sottosistema della biosfera, l’ecologia industriale tenta, in linea con la premessa di base proposta da
J. J. Kay, di riunire ecologia, economia, engineering design, teoria dei sistemi e termodinamica per
fornire la metodologia per la progettazione, l'implementazione e mantenimento di sistemi ecocompatibili. Questa metodologia si basa sui principi di interfacciamento, bionica, biotecnologia,
risorse non rinnovabili come capitale. L'interferenza tra sistemi artificiali ed ecosistemi naturali
porta a riflettere sulla limitata capacità degli ecosistemi naturali a fornire energia e assorbire rifiuti,
prima che il loro potenziale di sopravvivenza sia significativamente alterato. Il comportamento e la
struttura dei sistemi sociali su larga scala dovrebbe essere dunque il più possibile simile a quello
degli ecosistemi naturali. La continua contaminazione da sostanze xenobiotiche che ha riguardato
26
sia la popolazione che gli organismi in generale impone una nuova visione del sistema industriale.
Le lezione del sito contaminato di Taranto, unitamente a tanti altri siti sparsi in Italia, vede dunque i
cittadini non più come soggetti passivi, ma come attori dello sviluppo del territorio. In questo
interfacciamento tra sistema industriale e sistema ecologico, la Chimica dell’Ambiente può dare un
notevole contributo, sia per una migliore comprensione dei fenomeni naturali, sia per la
riorganizzazione dei sistemi industriali.
Bibliografia
1) Kay, J., 2002, "On Complexity Theory, Exergy and Industrial Ecology: Some Implications
for Construction Ecology" in Kibert, C., Sendzimir, J. (eds), Guy, B., Construction Ecology:
Nature as a Basis for Green Buildings, Spon Press, pp. 72–107.
2) Kay. J., Regier, H., 2000. "Uncertainty, Complexity, And Ecological Integrity: Insights from
an Ecosystem Approach", in P. Crabbe, A. Holland, L. Ryszkowski and L. Westra (eds),
Implementing Ecological Integrity: Restoring Regional and Global Environmental and
Human Health, Kluwer, NATO Science Series, Environmental Security pp. 121–156.
27
MACROMOLECOLE DI AUTORE CONTEMPORANEO
Maria Perla Colombini
Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale- Università di Pisa
perla@dcci.unipi.it
Nel corso del ventesimo secolo, l’enorme sviluppo dell’industria chimica ha permesso agli artisti di
sviluppare nuove tecniche, coinvolgendo i nuovi prodotti industriali come vernici, colori e pigmenti
sintetici. Questo, combinato con numerosi stili pittorici ha creato un vasto panorama artistico che
nell’ottica della conservazione dei beni culturali richiede una corretta analisi chimica. Le numerose
sostanze coinvolte spesso non hanno formulazione nota, nè se ne conoscono le modalità di
interazione con altre sostanze e i meccanismi di degradazione. L’ampio uso di polimeri sintetici in
arte ed in restauro rende necessario lo studio della loro stabilità e della caratterizzazione dei loro
prodotti di degrado, mettendo in atto allo scopo metodologie analitiche adeguate. Se la diagnostica
di questi materiali pone dei problemi di difficile soluzione, la conservazione dei materiali sintetici
impiegati apre uno scenario vasto e complicato.
In particolare, verrà sottolineata l’importanza della spettrometria di massa, da sola o interfacciata a
tecniche cromatografiche, per la sua abilità a risolvere e caratterizzare miscele complesse anche a
concentrazioni molto basse come quelle che necessariamente si incontrano in campioni provenienti
da opere d’arte. Parallelamente, verrà mostrato come la sinergia di diverse tecniche applicate allo
stesso campione pittorico possono portare a definire la tecnica pittorica e a fornire informazioni
preziose per il restauro. Infine, passando da casi studio relativi a dipinti contemporanei, quali il
murale “Tuttomondo” di K. Haring, “il grande carico” di A. Kiefer, verrà illustrato il percorso che
dalla caratterizzazione dei materiali nelle opere d’arte passa a stabilire adatte procedure di restauro
e di conservazione
28
NANOPARTICELLE DI SINTESI: NUOVA FRONTIERA DI RICERCA PER LA
CHIMICA AMBIENTALE
Antonio Marcomini
Università Ca’ Foscari, Venezia, Dipartimento di scienze Ambientali, Informatica e Statistica
marcom@unive.it
Non c'è settore economico che non possa essere positivamente influenzato dallo sviluppo delle
nanotecnologie. Ciò sta generando la produzione e la commercializzazione di una ampia varietà di
nanomateriali. Con nanomateriale s’intende un materiale naturale, derivato o fabbricato contenente
particelle allo stato libero, aggregato o agglomerato, e in cui, per almeno il 50 % delle particelle
nella distribuzione dimensionale numerica, una o più dimensioni esterne siano comprese fra 1 nm e
100 nm. In casi specifici, e laddove le preoccupazioni per l’ambiente, la salute, la sicurezza e la
competitività lo giustifichino, la soglia del 50% della distribuzione dimensionale numerica può
essere sostituita da una soglia compresa fra l’1% e il 50% (2011/696/UE 18 ottobre 2011 ). Fra i
nanomateriali, le nanoparticelle di sintesi (ENP) stanno riscuotendo la maggiore attenzione per le
possibili conseguenze sulla salute umana e sull'ambiente. E' in atto, da parte della comunità
scientifica internazionale, uno sforzo cospicuo per identificare gli effetti tossicologici dei vari tipi di
ENP e correlare gli effetti osservati con le loro caratteristiche chimico-fisiche e comportamentali.
Lo studio delle ENP è, tuttavia, molto più complicato di quello delle sostanze chimiche, in quanto
sono instabili (elevata reattività superficiale e spiccate proprietà interfacciali) e sottostanno a
processi di agglomerazione e aggregazione che variano fortemente a seconda del mezzo, biologico
o ambientale, in cui si trovano. Ciò rallenta la forte richiesta di definire, dal punto di vista
regolamentativo, protocolli standardizzati per la determinazione e previsione dei parametri di
esposizione ed effetto che consentano la valutazione della pericolosità e del rischio associato a ENP
e ENM durante il loro intero ciclo di vita. La comunicazione si propone di evidenziare il contributo
che la Chimica Ambientale può offrire, e in parte sta già offrendo, all'avanzamento delle
conoscenze relative a nanoparticelle e nanomateriali ingegnerizzati. Con riferimento alle principali
ENP presenti in prodotti di largo consumo, si presentano i risultati più rilevanti che le metodologie
di indagine, sperimentale e modellistica, hanno finora prodotto per documentare la presenza, attuale
e futura, di ENP nell'ambiente e per accertare pericolosità e rischio di questi nuovi materiali nelle
matrici ambientali. Si segnalano, infine, le opportunità di finanziamento della ricerca avente come
oggetto la nanosafety.
29
PROSPETTIVE DI SVILUPPO E INNOVAZIONE DELLA CHIMICA DEI BENI
CULTURALI
Guido Biscontin, Elisabetta Zendri
Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica
Università Ca’ Foscari, Venezia
La Chimica applicata ai Beni Culturali ha consolidato negli ultimi anni le proprie attività di ricerca
in particolare nell’ambito della caratterizzazione dei materiali e del loro stato di conservazione,
attraverso lo sviluppo o l’implementazione di strumenti analitici sempre più raffinati. Meno
intensa, sebbene di evidente interesse ed attualità, è anche l’attività di ricerca sui fenomeni di
degrado legati ai cambiamenti climatici e sulla previsione a lungo termine dei rischi connessi.
Le ricerche applicate allo sviluppo e alla messa a punto di nuove metodologie (materiali e tecniche)
per la conservazione e il restauro dei manufatti e dell’architettura risultano essere invece marginali,
in termini numerici, nonostante in passato sia stato uno dei settori di punta nell’ambito dei Beni
Culturali.
La scelta d’investire in ricerche focalizzate sulla caratterizzazione dei materiali potrebbe produrre
come effetto una visione poco pervasiva del ruolo delle Scienze Chimiche nel settore della
conservazione del patrimonio culturale, con il conseguente rischio che questa disciplina venga
identificata esclusivamente in quella della diagnostica, che, seppur essenziale, tende però ad
escluderla dai processi gestionali.
Un esempio concreto è dato dai siti archeologici, di enorme interesse scientifico, culturale ed
economico: fino ad oggi sono stati sviluppati metodi analitici sempre più sofisticati, in grado di
definire la composizione dei materiali archeologici e fino alla loro provenienza, ma sono ancora
carenti gli studi relativi alla messa a punto di nuove tecnologie per il restauro e la conservazione dei
materiali in loco e di metodi di monitoraggio e controllo del loro stato, che permettano interventi di
prevenzione del danno, anche in relazione all’entità-qualità dell’impatto antropico.
La figura del Chimico può invece essere centrale e di riferimento in queste fasi , dando precisi
indirizzi anche riguardo ad aspetti gestionali del bene, cioè alla definizione di un adeguato rapporto
tra un ”usura” accettabile e la fruizione del bene stesso.
Negli ultimi anni sono inoltre emersi molti altri ambiti in cui gli aspetti chimici legati alla
conservazione del patrimonio sono di grande rilevanza e chiedono un contributo più attivo.
Facciamo riferimento agli aspetti legati al processo globale di conservazione e valorizzazione dei
beni culturali, che richiede ancora la definizione di indicatori in grado di indirizzare le scelte
progettuali, di definire le prestazioni ottimali dei prodotti e delle metodologie impiegate nelle
diverse fasi del restauro e di definire le modalità degli interventi manutentivi, sempre considerando
le specifiche caratteristiche dei materiali, dell’ambiente di conservazione e dell’uso.
Questi aspetti rientrano in modo significativo nella definizione del concetto di “conservazione
sostenibile”, che riconosce il valore culturale e sociale del patrimonio ma sollecita la ricerca in
ambito chimico, affinché vengano sviluppati nuovi materiali e nuove tecnologie in grado di
rispondere all’attuale esigenza di contenere i costi, essere facilmente smaltibili, a basso impatto
sull’operatore e sull’ambiente e compatibili con i materiali costituenti il bene culturale.
30
IL RUOLO DELL'EPIDEMIOLOGIA NELLA GOVERNANCE AMBIENTALE
Giorgio Assennato
Direzione Generale Arpa Puglia, Bari, 70126
L’esigenza di effettuare studi epidemiologici utili nella governance ambientale deriva dai limiti
intrinsecamente presenti nel tradizionale approccio di control&command. Per anni le agenzie
ambientali hanno prestato la propria attività tecnico-scientifica unicamente in funzione della
verifica del rispetto di limiti definiti nelle varie matrici ambientali. L’esempio dei limiti previsti
dalla legislazione italiana per le emissioni di diossine di origine industriali è un esempio
paradigmatico dell’inadeguatezza di tale approccio. I limiti,infatti, non sono in genere “health
based” e quindi non necessariamente il loro rispetto garantisce rispetto alla possibile insorgenza di
effetti avversi. Per rispondere alla elevata percezione del rischio delle popolazioni, è quindi
necessario realizzare studi epidemiologici in cui si definisca una stima della esposizione a livello
individuale che consenta di ricostruire la coorte degli esposti e di valutare in essa eventuali eccesso
di rischio rispetto a popolazioni di riferimento. In questo passaggio verso un approccio non
meramente repressivo ma basato sulla conoscenza è essenziale l’integrazione funzionale tra agenzie
per la protezione ambientale e dipartimenti di prevenzione della azienda sanitaria locale, essendo
evidentemente di competenza stretta delle prime la stima della esposizione a partire dalle emissioni
industriali, mentre delle seconde l’outcome sanitario, e di comune competenza la metodologia
epidemiologica necessaria pe la conduzione di studi che spesso appaiono molto complessi,
soprattutto in presenza di più sorgenti e di più inquinanti.
31
GLI STRUMENTI DELL’INDUSTRIAL ECOLOGY NEL CONTESTO DELLA GREEN
ECONOMY
Luciano Morselli, Elena Bernardi, Luca Ciacci
Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali
Università di Bologna - Polo di Rimini
luciano.morselli@unibo.it
Gli squilibri economici ed ambientali che stiamo vivendo sono direttamente collegabili alle attuali
crisi climatico-ambientale ed economico-finanziaria. Possibili soluzioni possono essere ricercate
nella Green Economy, un modello teorico di sviluppo economico sobrio e consapevole, che
considera non solo i processi produttivi, ma anche il loro impatto ambientale, proponendo, come
soluzione, l’incentivo di tutte quelle misure che consentono di ridurre il consumo di energia e
risorse, le emissioni, i rifiuti e che promuovono l’impiego di fonti di energia rinnovabile. Gli
strumenti necessari si rifanno ai principi della Industrial Ecology, disciplina che trae la sua origine
dalla Green Economy e si occupa della progettazione e della gestione di sistemi industriali,
prendendo come modello i sistemi naturali. Il suo obiettivo consiste nel comprendere le interazioni
tra attività economiche ed esigenze ambientali, cercando di bilanciarli, attraverso forme di
collaborazione tra imprese, per la soluzione strutturata e collettiva di problemi ambientali. L’UN
Environmental Program definisce l’Industrial Ecology come uno “studio, orientato ai sistemi, delle
interazioni ed interrelazioni fisiche, chimiche e biologiche sia all’interno dei sistemi industriali, che
tra sistemi industriali e naturali”. L’accostamento dei termini Ecologia ed Industriale risale alla fine
degli anni ’80 quando Frosh e Gallopoulos svilupparono l’idea che i sistemi industriali, essendo
parte di un sistema naturale, dovrebbero imitarne il comportamento. I sistemi naturali scambiano
energia e nutrienti attraverso un ciclo chiuso. Pertanto, i sistemi industriali, da lineari (con materiali
ed energia in ingresso e sottoprodotti e rifiuti in uscita nell’ambiente) dovrebbero organizzarsi
secondo un modello a ciclo chiuso in cui gli scarti di un processo industriale diventino materia
prima per un'altra industria e tutti i rifiuti generati e l’energia prodotta vengono recuperati per
alimentare nuovi processi.
I principi dell’Ecologia Industriale si rifanno ai principi della green chemistry e della green
engineering, che per primi si sono focalizzati sulla necessità di incentivare la prevenzione alla
produzione dei rifiuti, sviluppare processi chimici puliti, sintetizzare composti cosiddetti “green” e
impiegare fonti rinnovabili. Tali principi sono la base per l’attuazione di cinque elementi a sostegno
dell’Ecologia Industriale, ovvero analisi dei flussi delle materi prime e degli inquinanti interferenti,
ecodesign, politiche verdi, valutazione del ciclo di vita di prodotti, processi e sistemi, analisi di
rischio e simbiosi industriale. Strumenti, questi, che devono essere supportati ed attuati per
realizzare, in ambito industriale, il concetto di ciclo chiuso. L’Ecologia Industriale offre quindi alle
aziende nuovi strumenti per un’economia sostenibile e competitiva. I suoi principi, aggiornati ed
elaborati sulla base della ricerca industriale applicabile all’interno delle piattaforme tecnologiche
dedicate ai vari settori produttivi e di servizio, rispondono in modo sempre più esaustivo ai quesiti
posti a livello di attività produttive e di servizio ed, allo stesso tempo, rappresentano la base tecnicoscientifica a supporto della Sostenibilità e della Green Economy.
Bibliografia
- Allenby B.R., “Industrial Ecology: Policy Framework and Implementation” Prentice Hall, Upper
Saddle River, NJ, 1995
- Morselli L., Passarini F., Piccari L, Vassura I., Bernardi E., “Risk assessment applied to air
emissions from a medium-sized Italian MSW incinerator”, Waste Management and Research, 29
(10 suppl), S48-S56, 2011
32
ARTE E AMBIENTE COME MEDIA PER ECOSOSTENIBILITA’, ETICA, ESTETICA
Salvatore Lorusso
Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali
Alma Mater Studiorum Università di Bologna
salvatore.lorusso@unibo.it
“L'arte, in senso lato e stretto ad un tempo, ovvero il patrimonio culturale e ambientale considerando correttamente come tale anche l'ambiente con i suoi comparti aria, suolo, acqua - è
legata alla storia dell'uomo”.
In relazione a ciò, le varie espressioni artistiche e, quindi, le varie ondate generazionali, con
accadimenti e problematiche della società nel corso del tempo fino ai nostri giorni, sono fra loro
collegate temporalmente, in quanto ”il nostro passato è parte del nostro futuro e il futuro poggia sul
nostro passato”.
Tale verità è pragmaticamente alla base delle attività di formazione e di ricerca del sottoscritto
presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Alma Mater Studiorum Università di
Bologna. Infatti, nell’affrontare le problematiche relative alla tutela e valorizzazione del patrimonio
culturale e ambientale con l’impiego di tecnologie diagnostico-analitiche, non si possono non
considerare e valutare i trascorsi storici e storico-tecnici dei manufatti sottoposti allo studio e,
quindi, il loro “passato”, proiettando le indagini e l’intervento conservativo al “futuro”.
Su queste iniziali considerazioni poggia, appunto, il contenuto del presente intervento, anche in
relazione alla corretta e completa formazione dei giovani nell'ambito della tutela e valorizzazione
del patrimonio culturale e ambientale.
A tal riguardo saranno trattati i seguenti argomenti:
 ecosostenibilità, etica, estetica
 l’arte oltre il bello: dall’estetico all’etico
 l’evoluzione dell’arte e delle conoscenze tecnico-materiali nel corso dei secoli
 l’arte fra prezzo e valore
 l’interdisciplinarità e l’internazionalizzazione nel settore dei beni culturali
 le tecniche diagnostico analitiche: alcuni casi di studio
 la formazione
 conclusione.
33
Comunicazioni Orali
34
MULTI-SCALAR EMERGY ANALYSIS AND SET THEORY
Fabiana Morandi, Simone Bastianoni, Dario Caro, Elena Neri
Department of Chemistry, University of Siena, Via A. Moro 2, 53100 Siena
morandi2@unisi.it
Emergy, defined as the available energy of one kind previously used up directly and indirectly to
make a product or a service, is an important concept in ecology since it is able to consider all the
processes that sustain the biosphere on a common basis (Odum 1996).
Emergy analysis, with the calculation of emergy indicators, is an appropriate methodology for
analyzing the level of integration between humanity and environment.
In accordance with the fact that emergy can be described by the set of available solar energy inputs
that are directly and indirectly required to make a product, the language of set theory is utilized to
represent the emergy involved in all processes. A “new” definition of emergy rules is given using
set theory and then a multi-scale hierarchically-organized system is considered as a case study. This
model has been chosen because it is the model that better represents a territorial system. Three
levels of organization are considered: the system, its subsystems and its next larger system that
contain it. Each system, in fact, is characterized by energy fluxes to and from the system that
contains it; at the same time, the system’s internal dynamics may also be influenced by changes in
the management of its subsystems.
We describe how the emergy related to every flow in these systems can be uniquely determined
through the operation of the union of sets. In particular we consider the relationships between
emergy flows to and within the system and the respective flows in one of its subsystems. A case
study considering Italy, European Union and Tuscany as reference system is presented.
References
Odum, H.T., 1996. Environmental Accounting: Emergy and Environmental Decision Making. John
Wiley and Sons, NY.
35
METODI DI INDAGINE PER SORGENTI ATTIVE E GRADIENTI DI
CONTAMINAZIONE MULTI-SPECIE:
RILEVANZA NEGLI STUDI DI ESPOSIZIONE
Sabina Licen1, Arianna Tolloi1, Gianpiero Barbieri,2, Sergio Cozzutto2, Giovanni Candotti3, Paolo
Plossi4, Pierluigi Barbieri1,2
1
2
Università di Trieste – DSCF, Via Giorgieri, 1 34127 Trieste
ARCo Solutions srl spin off dell’Univesità di Trieste, Via Giorgieri, 1 34127 Trieste
3
CaSe Studio di Ingegneria - via del Giambellino, 2 - 34100 Trieste
4
Provincia di Trieste, Via S. Anastasio, 3 34132 Trieste
barbierip@units.it
La presenza di fonti attive di contaminazione richiede la valutazione dettagliata di gradienti di
inquinamento, anche al fine di stimare su microscala l’entità dell’eventuale esposizione della
popolazione. Campionatori passivi e sistemi di sensori a basso costo consentono di valutare
sperimentalmente i gradienti di concentrazione dei contaminanti, che spesso vengono stimati
soltanto per via computazionale. Si illustra uno studio che impiega sistemi passivi di campionatori
diffusivi per adsorbimento e sensori a basso costo per la determinazione di gradienti di
concentrazione di composti organici volatili in prossimità di uno stabilimento industriale. I sensori
possono fungere anche da strumenti di segnalazione per fughe accidentali di specie chimiche dalle
sorgenti considerate.
Si illustra, per il caso di emissioni diffuse non accidentali, una procedura per stimare la numerosità
della popolazione esposta a concentrazioni di inquinanti che richiedono attenzione, alle quali
corrispondono funzioni d’impatto sanitario. L’integrazione di informazione desunta da
strumentazione di riferimento posizionata in stazioni di misura fisse e dispositivi a basso costo
diffusi sul territorio consente valutazioni sull’estensione dei fenomeni di contaminazione fondate
sperimentalmente, utili per la stima di possibili costi sanitari associati all’inquinamento e quindi per
la scelta di alternative nel governo del territorio.
36
A SNOW/FIRN FOUR-CENTURY RECORD OF PERSISTENT ORGANIC POLLUTANTS
(POPs) AT TALOS DOME (ANTARCTICA).
Roger Fuoco1, Stefania Giannarelli1, Massimo Onor2, Silvia Ghimenti1, Carlo Abete3, Marco
Termine1, Sandro Francesconi1
1
Department of Chemistry and Industrial Chemistry - University of Pisa, Pisa, Italy
2
Institute for the Chemical-Physical Processes (CNR) – Pisa, Italy
3
Institute for the Chemistry of Organo-metallic compound (CNR) – Pisa, Italy
fuoco@dcci.unipi.it
A very important environmental issue with regard to the presence of Persistent Organic Pollutants
(POPs) concerns the evaluation of the net contribution of human activities to global environmental
pollution. Antarctica is a very unique continent and acts as an unparalleled natural laboratory for
research into the problems of global pollution and an ideal place both for performing baseline
studies of the environmental contamination, and for reading the natural archives of information
contained in the ice and sediment. At present, there is an almost total lack of data concerning
temporal trends of POPs in the past centuries. According to a simplified model, POPs are divided in
two main categories: accidentally formed and intentionally produced. Here polycyclic aromatic
hydrocarbons (PAHs) which belong to the former and polychlorobiphenyls (PCBs) to the latter
were determined in two snow/firn cores gathered at Talos Dome (Antarctica) which cover from
about 1600 to 2000 A.D.. As might be expected, our data highlighted the presence of several PAH
maxima which correlated with the major volcanic eruptions in the period of time observed, but
surprisingly it also revealed the presence of synchronous PCB maxima in the period 1600-1930.
Between 1930 and 2002, PAHs showed an overall 50% increase, with a slope of about 0.013 ng l 1
year-1. This can be predominantly attributed to the emission of incomplete combustion processes of
organic matter related to anthropogenic activities. PCBs show a much higher increase (+200%) with
a slope of 0.0034 ng l-1year-1 in a very limited period (1930-1980) which is almost totally due to the
massive industrial production and use of PCBs, here named “Industrial PCB excess”. The slight
tendency of PCBs to a constant level from 1980 to 2002 might be attributed to the reduction in the
industrial production of PCBs and the restricted use only in totally enclosed systems which started
in many countries in the late 1970s.
37
PROCESSI FOTOINDOTTI DI TRASFORMAZIONE DI INQUINANTI EMERGENTI
NELLE ACQUE DI SUPERFICIE
Davide Vione, Elisa De Laurentiis, Marco Minella, Valter Maurino, Claudio Minero
Dipartimento di Chimica, Università di Torino, Via P. Giuria 5, 10125 Torino
davide.vione@unito.it
I processi di trasformazione delle sostanze inquinanti nell’ambiente svolgono un ruolo
fondamentale nella definizione del loro impatto, regolandone la persistenza ambientale e portando
in certi casi alla formazione di intermedi pericolosi. Nelle acque superficiali i processi indotti dalla
radiazione solare ricoprono un ruolo chiave nella degradazione di inquinanti emergenti biorefrattari,
quali prodotti farmaceutici e per la cura della persona, ritardanti di fiamma e nuove sostanze
utilizzate nell’industria [1].
I processi fotochimici nelle acque naturali si distinguono solitamente in reazioni di fotolisi
diretta e fotosensibilizzate. Le prime interessano composti in grado di assorbire la radiazione solare
e di subire trasformazione. Le reazioni fotosensibilizzate coinvolgono specie reattive (radicali OH
e CO3, ossigeno singoletto 1O2, stati eccitati di tripletto della materia organica disciolta
cromoforica, 3CDOM*) prodotte in seguito ad assorbimento della radiazione solare da parte di
molecole fotoattive note come fotosensibilizzatori (CDOM, nitriti e nitrati). Le reazioni
fotosensibilizzate possono interessare anche composti che non assorbono la radiazione solare [2].
E’ possibile prevedere la persistenza fotochimica di sostanze inquinanti nelle acque mediante un
approccio fortemente innovativo, il quale combina la misura in laboratorio di parametri di reattività
fotochimica con l’applicazione di un modello che descrive le cinetiche dei processi fotoindotti nelle
acque superficiali [3]. Tale approccio, validato mediante confronto con dati di campo, ci ha
permesso finora di prevedere con successo la cinetica di trasformazione nell’ambiente di antibiotici
della famiglia dei macrolidi [4], dell’ibuprofene [5] e di nitroderivati aromatici quali 2,4dinitrofenolo [6], 2,4-dicloro-6-nitrofenolo [7] e 4-cloro-2-nitrofenolo [8].
Sarà qui presentata l’estensione dell’approccio sperimentale e modellistico descritto al caso
degli intermedi di trasformazione fotochimica della carbamazepina. Tale farmaco antiepilettico
reagisce nell’ambiente prevalentemente per fotolisi diretta e per reazione con OH. Tra i suoi
intermedi di trasformazione vi è l’acridina, composto mutageno e cancerogeno che rappresenta il
tipico esempio di un intermedio più pericoloso del composto di partenza. Il metodo qui descritto
consente di prevedere la cinetica di formazione dell’acridina in funzione di parametri ambientali
quali composizione chimica e profondità della colonna d’acqua.
[1] C. Tixier et al., Environ. Sci. Technol. 2003, 37, 1061-1068.
[2] A.L. Boreen, W.A. Arnold, K. McNeill, Aquat. Sci. 2003, 65, 320-341.
[3] D. Vione et al., Water Research 2010, 44, 6053-6062.
[4] D. Vione, J.F. Felizzola, C. Minero, S. Chiron, Water Res. 2009, 43, 1959-1967.
[5] D. Vione et al., Water Research 2011, 45, 6725-6736.
[6] A. Albinet, C. Minero, D. Vione, Chemosphere 2010, 80, 759-763.
[7] P.R. Maddigapu et al., Environ. Sci. Technol. 2011, 45, 209-214.
[8] B. Sur et al., Sci. Total Environ., in press. DOI: 10.1016/j.scitotenv.2012.03.034.
38
APPLICAZIONE DI METODOLOGIE PREDITTIVE QSAR PER LA PREDIZIONE
DELL’ATTIVITA’ BIOLOGICA DI NANOPARTICELLE
Ester Papa, Leon Van der Wal, Alessandra Rizza, Simona Kovarich, Stefano Cassani, Paola
Gramatica
QSAR Research Unit in Environmental Chemistry and Ecotoxicology, Department of Theoretical
and Applied Sciences, University of Insubria, Via Dunant 3, 21100, Varese
ester.papa@uninsubria.it
L'attuale impiego di nanoparticelle (“manifactured nanoparticles” MNPs) per applicazioni
industriali e farmacologiche è diventato un motivo di crescente preoccupazione a causa della loro
possibile attività tossicologica negli esseri umani ed in altri organismi.
Lo studio e la predizione delle proprietà tossicologiche e fisico-chimiche di tali sostanze
rappresenta una sfida per il mondo scientifico e regolatorio. I principali problemi legati all’utilizzo
di metodologie predittive in questo ambito sono dovuti alla mancanza di sufficienti dati
sperimentali disponibili per descrivere sia le proprietà strutturali delle nanoparticelle, che le attività
biologiche, testate in vivo o in vitro.
Uno dei metodi attualmente utilizzati per indagare la potenziale attività biologica delle MNPs si
basa sullo sviluppo di relazioni quantitative struttura-attività per nanoparticelle caratterizzate dallo
stesso core metallico, ma differenziate in base alla tipologia di molecole organiche utilizzate come
rivestimento, che possono essere descritte da descrittori molecolari convenzionali.
In questo studio preliminare la variabilità strutturale di 109 MNPs, caratterizzate dallo stesso core
metallico (cross-linked iron oxide), ma da un rivestimento organico eterogeneo (principalmente
ammine, acidi, e anidridi ) [1], è stata inizialmente indagata mediante analisi multivariata. Tale
analisi è stata eseguita sia al fine di individuare gruppi strutturali rilevanti per la creazione di
modelli QSAR, che per la valutazione delle relazioni esistenti tra le proprietà di ripartizione
misurate o stimate per le molecole organiche studiate singolarmente, o utilizzate come rivestimento.
A partire dalle strutture 3D delle molecole organiche del rivestimento sono stati calcolati, mediante
diversi software, centinaia di descrittori molecolari teorici (1D, 2D e 3D). I modelli QSAR sono
stati sviluppati mediante regressione lineare multipla ed applicazione di opportune tecniche di
selezione delle variabili (Algoritmo Genetico), seguendo i “principi OECD”, che forniscono
un’indispensabile linea guida per lo sviluppo, la validazione e la corretta applicazione dei modelli
QSAR in ambito regolatorio.
In conclusione, i risultati preliminari ottenuti in questo studio dimostrano la possibilità di sviluppare
relazioni QSAR per la predizione dell’attività biologica di MNPs, e forniscono informazioni utili sia
nel disegno pre-sintesi e nello screening in silico delle proprietà delle MNPs, che, in ambito
regolatorio, nelle procedure di valutazione del rischio
1.
Fourches, D.; Pu, D.; Tassa, C.; Weissleder, R.; Shaw, S.Y.; Mumper, R.J., Tropsha, A. ACS Nano, 4, 2010, pp.
5703–5712.
39
MODELLI QSAR PER LA PREDIZIONE DELLA BIODEGRADABILITA’ DELLE
FRAGRANZE
Ester Papa, Simona Kovarich, Lidia Ceriani, Paola Gramatica
QSAR Research Unit in Environmental Chemistry and Ecotoxicology, Department of Theoretical
and Applied Sciences, University of Insubria, Via Dunant 3, 21100, Varese
simona.kovarich@uninsubria.it
Le fragranze sono un gruppo di sostanze chimicamente eterogenee utilizzate nell’industria
cosmetica e nei prodotti per l’igiene personale come ingredienti di una grande varietà di prdotti di
uso quotidiano (profumi, creme, lozioni, detergenti, ecc...). L’utilizzo massivo di queste sostanze ha
determinato un incremento significativo delle loro concentrazioni ambientali, principalmente in aria
(sia indoor che outdoor) e nel comparto acquatico. Diventa dunque necessario valutare e
minimizzare i potenziali effetti negativi sull’uomo e sull’ambiente dovuti ad un’esposizione ormai
cronica alle fragranze. Un’importante parametro per la caratterizzazione dell’esposizione è la
persistenza ambientale e la biodegradazione rappresenta uno dei principali processi di rimozione
dei composti chimici dall’ambiente. La necessità di valutare la biodegradabilità delle sostanze,
possibilmente prima della loro sintesi, ha supportato l’utilizzo di modelli predittivi come le
metodologie QSAR (quantitative structure-activity relationships), basati sulla definizione di
relazioni quantitative tra la struttura e le proprietà (in questo caso biodegradabilità) delle sostanze.
Lo scopo del presente lavoro è stato lo sviluppo di modelli QSAR per la predizione della
biodegradabilità (Ready Biodegradability – OECD guidelines 301 A-F) delle fragranze. I dati
sperimentali utilizzati per lo sviluppo e la validazione dei modelli sono stati raccolti, e in parte
misurati, nell’ambito del progetto europeo CADASTER (CAse studies on the Development and
Application of in-Silico Techniques for Environmental hazard and Risk assessment), nel quale è
inserita la presente attività di ricerca. I modelli sono stati sviluppati utilizzando diversi metodi di
classificazione (k-NN, CART, etc.) e sono basati su descrittori molecolari mono- e bi-dimensionali
calcolati mediante i software DRAGON (commerciale) e PaDEL (gratuito). Diversi parametri
statistici, tra cui accuratezza, sensitività (Sn) e specificità (Sp), sono stati calcolati per valutare la
stabilità interna dei modelli e le loro capacità predittive. Il dominio strutturale di applicabilità dei
modelli è stato analizzato mediante il calcolo dei leverage.
In questo studio vengono proposti dei modelli QSAR di classificazione statisticamente robusti,
esternamente predittivi e con un definito dominio di applicabilità. Tali modelli, facilmente
riproducibili, possono essere applicati per lo screening di numerose fragranze in alternativa alle
batterie di test, o utilizzati a priori nel disegno e sviluppo di nuove sostanze meno persistenti, in
accordo con la filosofia della “green chemistry”.
40
STUDIO DEL COMPORTAMENTO AMBIENTALE DI NANOPARTICELLE
INGEGNERIZZATE IN MATRICI REALI
Andrea Brunelli, Giulio Pojana, Antonio Marcomini
DAIS – Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica – Università Ca’
Foscari Venezia, Italia
andrea.brunelli@unive.it
Le nanoparticelle di sintesi (NP), grazie alle loro particolari proprietà chimico-fisiche, diverse
rispetto alle stesse particelle o specie chimiche di dimensioni maggiori, sono impiegate in svariati
settori tra cui quello tessile, sportivo, elettronico, farmaceutico e alimentare. A causa della loro
notevole diffusione è stata dimostrata la conseguente dispersione incontrollata di tali particelle in
ambiente. Tuttavia le scarse informazioni riguardanti i loro possibili effetti tossici spingono ad
indagarne il loro comportamento ambientale in matrici reali.
Questo lavoro mira ad approfondire lo studio delle possibili interazioni esistenti tra le NP di TiO2 ed
alcuni mezzi biologici di norma utilizzati sia come mezzi di coltura cellulare, sia per realizzare
saggi di natura (eco)tossicologica con organismi marini e d’acqua dolce. Per mezzo della tecnica
Dynamic Light Scattering (DLS), che misura la variazione dell’intensità della luce diffusa di
particelle disperse in una soluzione, sono stati compiuti degli esperimenti di laboratorio con
dispersioni di NP nelle matrici scelte, simulando ipotetici livelli di concentrazione ambientali (0.0110 mg/l). I dati ottenuti sono stati interpretati in funzione delle modalità e del tasso di
sedimentazione ed agglomerazione di tali particelle nei diversi mezzi di dispersione. I mezzi scelti
sono stati preparati ricostruendo gradienti di forza ionica tipici delle zone di transizione. Il tasso di
sedimentazione delle NP nelle soluzioni marine sintetiche è stato confrontato con quello di
soluzioni marine reali, prelevate sia in mare aperto sia nella laguna di Venezia, evidenziando
variazioni nel comportamento delle NP in funzione del mezzo di dispersione.
Dai risultati sperimentali ottenuti si può supporre che le NP di TiO2 indagate, disperse in acqua
dolce, siano trasportate come agglomerati anche a livelli di concentrazioni ambientali elevate (1-10
mg/l), mentre è probabile che sedimentino se disperse in acqua marina, a causa di elevata forza
ionica e presenza di materia organica che favoriscono tale fenomeno.
41
MATRICE DI FLUORESCENZA: UN POTENTE STRUMENTO NELLO STUDIO DEI
PROCESSI FOTOSENSIBILIZZATI DI TRASFORMAZIONE DI INQUINANTI
EMERGENTI NELLE ACQUE NATURALI
Elisa De Laurentiis 1, Marco Minella 2, Davide Vione 3, Valter Maurino 4, Claudio Minero 5,
Marcello Brigante 6, Gilles Mailhot 7
1
2
Department of Chemistry, University of Turin, Via Pietro Giuria 5, 10125 Turin, Italy
Clermont Université, Blaise Pascal, Institute de Chimie de Clermont-Ferrand (ICCF)ENSCCF, BP 10448, F-63000 Clermont-Ferrand.
elisa.delaurentiis@unito.it
La materia organica disciolta (Dissolved Organic Matter, DOM) costituisce uno dei componenti
principali dei sistemi acquatici superficiali. Essa può essere prodotta in situ da alghe o batteri (DOM
autoctona), oppure (DOM alloctona) raggiungere il corpo idrico per via meteorica, per dilavamento
superficiale e per diffusione attraverso falde acquifere sotterranee (DOM pedogenica).
Quest’ultima, ricca di acidi umici e fulvici assorbe la porzione UV-visibile della radiazione solare,
contribuendo alla sua frazione cromoforica (Coloured Dissolved Organic Matter, CDOM).
La CDOM è la principale responsabile della fototrasformazione di composti organici, naturali e
xenobiotici, disciolti nei corpi idrici.1 I principali processi fotochimici coinvolti sono la fotolisi
diretta, le trasformazioni indotte dagli stati eccitati di tripletto della CDOM (3CDOM*) e reazioni
con specie transienti quali OH, CO3 e 1O2.2 I processi fotochimici svolgono un ruolo
fondamentale nel promuovere la trasformazione di inquinanti emergenti persistenti, primari (IPA,
pesticidi es. MCPA, principi attivi farmaceutici es. ibuprofene) e secondari (es. nitrofenoli), nelle
acque superficiali.3
La CDOM svolge un ruolo chiave nella fotochimica e nella fotobiologia dei corpi idrici, con effetti
importanti anche per la loro troficità. Infatti essa costituisce il maggior assorbitore UV nei corpi
idrici e la sua fotodegradazione (photobleaching) favorisce la penetrazione di raggi UV pericolosi
per gli organismi acquatici.4 Quanto esposto evidenzia l’importanza della caratterizzazione
fisico/chimica della CDOM, la quale è però resa molto difficile dalla sua elevata complessità
strutturale. Le tecniche di caratterizzazione ad oggi più utilizzate sono la spettrometria di massa e
varie tecniche spettroscopiche quali C13 NMR, FTIR, UV-Vis e fluorescenza5.
In questo lavoro si riporta l’utilizzo delle matrici di fluorescenza (Excitation/Emission Matrix,
EEM) come strumento per la caratterizzazione della materia organica disciolta presente in sistemi
aquatici di differenti caratteristiche e con diverso carico organico (es. sistemi fluviali e lacustri
alpini 6). I risultati sono particolarmente significativi ai fini della comprensione della reattività
fotochimica. Data l’elevata sensibilità, il facile utilizzo (applicazione immediata e senza necessità di
aggiungere additivi) e la non distruttività della tecnica, la EEM risulta essere un importante
strumento per la caratterizzazione della fotochimica della CDOM nelle acque naturali.
1
Loiselle, S. Bracchini, L., Cozar, A., Dattilo, A.M., Tognazzi, A., and Rossi, C., J. Photochem. Photobiol. B Biol., 2009, 95, 129 – 137.
2
Czaplicka, M., J. Hazard. Mater.,2006, 134, 45–59
3
Vione D., Maddigapu P.R., De Laurentiis E., Minella M., Pazzi M., Maurino V., Minero C., Kouros S., Richard C., Wat.Res., in press. DOI:
10.1016/j.watres.2011.10.014.
4
T. Brinkmann, D. Sartorius and F.H. Frimmel, Aquat. Sci., 2003, 65, 415.
5
K. Kalbitz, W. Geyer, S. Geyer,, Biogeochemistry , 1999, 47, 219–238.
6
De Laurentiis E., Minella M., Maurino V., Minero C., Brigante M., Mailhot G., Vione D., Chemosphere, in press. DOI:
10.1016/j.chemosphere.2012.03.071.
42
A NOVEL ORGANO-ZEOLITE ADDUCT FOR ENVIRONMENTAL APPLICATIONS
Vicenzo Leone, Silvana Canzano, Pasquale Iovino, Roberto Paterno,
Stefano Salvestrini and Sante Capasso
Dipartimento di Scienze Ambientali, Seconda Università degli Studi di Napoli,Via Vivaldi 43,
81100 Caserta.
sante.capasso.unina2.it
A new organo-zeolite adduct has been synthesized by adsorbing humic acids (HA) onto zeolitic tuff
(PCT), rich in phillipsite and chabazite, and then heating the resulting complex at 330 °C for 1.5 h.
Desorption tests showed that this procedure effectively immobilized HA on the tuff. Powder XR
and IR spectra showed that the crystal structure of the zeolitic tuff and the chemical structure of HA
were not altered during the preparation. Phenol sorption analysis demonstrated that the HA-zeolite
adduct has good adsorbing properties. Table 1 reports the Langmuir parameters (eq. 1) for the
sorption of phenol onto two organo-zeolite adducts and for comparison onto immobilized calcium
humate and onto the zeolitic tuff used.
Table 1. Langmuir parameters for the sorption of phenol: PCT-ImHA-I = HA immobilized on
zeolite, amount of organic carbon 0.31 %; PCT-ImHA-II = HA immobilized on zeolite, amount of
organic carbon 0.56 %; ImCaHA = immobilized calcium humate; Ca-PCT = zeolitic tuff enriched
in calcium ion.
Sample
r2
K
qm
L mg-1
mg kg-1
0.05 ± 0.01
15000 ± 1300
0.97
PCT-ImHA-II 0.04 ± 0.01
18000 ± 1000
0.99
PCT-ImHA-I
ImCaHA
0.20 ± 0.03 174000 ± 5000 0.99
Ca-PCT
0.01 ± 0.01
Sorption Langmuir equation:
6000 ± 1000
0.94
(1)
The two organo-zeolite adducts have much higher qm values than that the zeolitic tuff alone (CaPCT); moreover, qm increases with the percent of organic carbon in the sample. The constant K has,
within the experimental error, an identical value, as expected considering that it is related to the
energy of the binding, which obviously does not depend on the amount of adsorbing material. The
results obtained in this study show that this new material has good potential application in water
purification from organic pollutants. Moreover, it is easy to prepare, has a low cost and it is
environmentally friendly.
43
SVILUPPO DI NUOVI SISTEMI PER LA PREPARAZIONIE DI SEZIONI
STRATIGRAFICHE DI INTERESSE ARTISTICO
Silvia Prati, Giorgia Sciutto, Emilio Catelli, Rocco Mazzeo
Università di Bologna, M2ADL, Via Guaccimanni 42, 48100 Ravenna
s.prati@unibo.it
Un campione policromo può essere formato da più strati sovrapposti di spessore diverso (10-100
µm) costituiti da miscele di materiali organici ed inorganici la cui caratterizzazione e localizzazione
risulta della massima importanza sia per studi storici che a supporto di interventi di restauro.
La preparazione della sezione stratigrafica, che si realizza attraverso l'inglobamento del frammento
in una resina polimerica seguita da levigatura o taglio attraverso microtomo, permette di ottenere un
blocco che consente di gestire facilmente i piccoli campioni pittorici e di analizzarli con tecniche
microscopiche. Tuttavia, la penetrazione della resina all'interno dei campioni porosi e le procedure
di lucidatura che possono contribuire a distribuirla sulla superficie del campione, influenzano
negativamente la caratterizzazione dei materiali organici presenti, ad esempio precludendone il
riconoscimento quando vengono impiegate tecniche spettroscopiche quali la spettroscopia FTIR,
dal momento che le bande di assorbimento dell’inglobante possono sovrapporsi a quelle
caratteristiche degli altri componenti. Per ovviare a questo inconveniente sali inattivi all’infrarosso
come AgCl, KBr, BaF2, CaF2 sono stati proposti come inglobanti per la preparazione di sezioni
sottili e trasversali. Attualmente il KBr è risultato il materiale più promettente [1], anche se ne sono
note le limitazioni legate al carattere idrofilico ed alla fragilità delle sezioni ottenute [2].
Questo lavoro si è focalizzato sulla ottimizzazione di metodi che permettano di superare gli
inconvenienti derivanti dall'impiego del KBr come mezzo di inglobamento. Il primo approccio
riguarda la messa a punto di una procedura che consente di inglobare i campioni precedentemente
inglobati in KBr in una resina polimerica allo scopo di ottenere un blocco più resistente e che possa
essere levigato con un holder. Inoltre i campioni inglobati in KBr sono stati lucidati impiegando
Argon Ion Milling allo scopo di ottimizzare la planarità del campione e di ridurre la contaminazione
derivante dalla levigatura a secco. In alternativa al KBr è stato testato il cloruro di sodio che
presenta i vantaggi di essere meno igroscopico e meno costoso (solubilità di NaCl 35,8 g/100g di
H2O rispetto alla solubilità di KBr 67,8 g/100 ml), non avere effetti negativi sulla salute e
permettere di ottenere sezioni più resistenti.
1. Prati S., Jospeh E., Sciutto G., Mazzeo R. (2010), Acc. Chem. Res., 43(6)792-801.
2. Prati, S., Rosi,F. Sciutto, G. Mazzeo, M., Magrini,D., Sotiropoulou, S., Van Bos M., (2012),
Micr. J., 103 79-89.
Parte di questa ricerca è stata finanziata dal progetto PRIN08 “Setting up of diagnostic
methodologies for the stratigraphical characterisation and spatial location of the organic
components in artistic and archaeological polychrome works of art “e dal progetto europeo
“CHARISMA” Cultural heritage Advanced Research Infrastructures: Synergy for a
Multidisciplinary Approach to Conservation/Restoration, FP7 INFRASTRUCTURE n.228330.
44
EFFECTIVENESS OF NANOSILICA DISPERSIONS AS CONSOLIDANTS FOR POROUS
ARCHITECTURAL SURFACES
Elisabetta Zendri, Laura Falchi, Eleonora Balliana, Francesca Caterina Izzo, Guido Biscontin
University Ca’ Foscari of Venice, Department of Environmental Sciences, Informatics and
Statistics, Via Torino 155/b, 30174 Venice-Mestre
elizen@unive.it
The problem of chemical and physical decay of Cultural Heritage materials and, in particular, the
loss of cohesion strength in the porous materials have been faced in many different ways during the
last decades. Recently nanodispersion consolidant systems seem to play an increasing role reaching
a growing importance thanks to their promising results. Alcohol-based nanodispersions of calcium
and magnesium hydroxides and carbonates have been successfully employed for the consolidation
and restoration of frescoes and mural paintings. Beside nanolime dispersions, aqueous dispersions
of nanosilica particles could represent a valuable, compatible and ecological alternative to the use
of the traditional solvent-based products. However, inorganic and organic dispersions seems to
have low ability to penetrate really in depth in the support, leading to a reduced efficiency of the
treatment. The chemical- physical interactions of the nanosilica dispersions and the substrate and
the relationship between the porosity of supports and the dimension of the colloidal particles are to
be taken into account to evaluate and comprehend the ability of such products to deeply penetrate.
Therefore, this knowledge is essential for the choice of the most suitable materials for intervention,
but unfortunately has not been well defined yet.
The aim of this research is to study the chemical interaction between nanosilica dispersions and
carbonatic and silicatic matrixes, and to understand the mechanism by which silica nanodispersions
(particles size from 10nm to 50nm) penetrate into stone supports having different porosity and
different pore radius distribution. This study takes into consideration the behaviour of some
commercial water-based silica dispersions applied on Lecce stone and on brick substrates, focusing
in particular on particle dimensions, physical-chemical characteristics and penetration depth of the
colloidal dispersion in relation to the substrate.
FT-IR analysis, XRD and 29Si NMR-MAS spectroscopy were used to characterise the
nanodispersions and the interaction between them and the selected substrates. SEM-EDX analysis
on brick and Lecce stone samples, on which equal volumes of silica dispersions were applied,
allowed to study the distribution and penetration depth of the nanosilica dispersions. The 29Si NMR
spectroscopy gave significant information for the variation of the chemical environment of silicon
atoms of the different silica dispersions, but no reactivity between silica and calcium carbonate
were detected. The most plausible hypothesis is that the substrate acts as a filter. In this way,
there’s an initial passage of particles across the substrate. The increase of particle concentration
may lead to a slowing down of the flow towards the internal part of the substrate and thus it may
lead to the formation of a silica layer on the surface, as show the SEM observations.
45
ITALIAN MAIL STAMPS HISTORY THROUGH FOURIER TRANSFORM
INFRARED SPECTROSCOPY (FTIR)
Eleonora Imperio1, Gabriele Giancane2, Ludovico Valli3
1
Department of Engineering for Innovation, University of Salento, via per Monteroni - 73100,
Lecce
2
Department of Cultural Heritage, University of Salento, via D. Birago, 64 - 73100, Lecce
3
Department of Biological and Environmental Science and Technology (Di.S.Te.B.A.), University of
Salento, via per Monteroni - 73100, Lecce
eleonora.imperio@unisalento.it
From the inscription of the General Post Office in Washington DC: “The stamp is the propagator of
news, links between distant families, messenger between friends, solace in solitude, a vehicle for
commerce and industry, an element of human progress, promoting brotherhood, peace, goodwill
among men and nations”. It’s hard to imagine how much history can be held in a small piece of
paper and how many purposes this little object was destined to have. This is why postage stamps
have reached so much importance and interest, which they began to be considered as work of art
actually. In order to see beyond the careful eye of the philatelist, FTIR
(Fourier Transform Infrared Spectroscopy) in ATR (Attenuated Total
Reflection) mode has been successfully employed in material
characterization of many stamps. Samples since 1861, year of the
unification of the Kingdom of Italy, until to date, across a vast
philatelic collection, has been characterized in this study. The
immediate response of this type of spectroscopic technique let to
achieve significant data information, which led to design history
changes in paper making technologies, allowed to collect the entire
palette of pigments used and permitted to outline which glue was
chosen to form the adhesive layer on the back of the stamp. Nearly two
hundred postage models have been subjected to analyses. The first mail
Figure 1
stamps published in Italy portrayed King Vittorio Emanuele II and it
showed to be made of sheet of paper sized with gelatin glue, as signals at 1640 cm-1 and 1550 cm-1
suggested, after comparison [1]. Going forward in years, many differences were detected in paper
composition [2]. The analyses were performed without any alteration of the samples and no
removal of material was needed, which represents the “conditio sine qua non” for spectroscopic
investigations on these kinds of Cultural Heritage.
[1] Infrared spectral interpretation, B.C.Smith, CRC Press, Boca Raton, London, New York,
Washington D.C., 1999.
[2] Infrared Spectroscopy in Conservation Science, M.R. Derrick, D. Stilik, J.M. Landry, The Getty
Conservation Institute, Los Angeles, 1999.
46
TECNICHE IMMUNOLOGICHE PER L’ANALISI DI LEGANTI PROTEICI
Manuela Vagnini3, Melissa Palmieri1, Lucia Pitzurra1, Laura Cartechini1,2,
Brunetto Giovanni Brunetti1
1
Centro di Eccellenza SMAArt (Scientific Methodologies applied to Archaeology and Art)
Università degli Studi di Perugia.
2
Istituto CNR-ISTM (Istituto di Scienza e Tecnologie Molecolari), c/o Dipartimento di Chimica,
Università degli Studi di Perugia.
3
Associazione Laboratorio di diagnostica per i Beni Culturali, piazza Campello 2, 06049 Spoleto
(PG)
m.vagnini@diagnosticabeniculturali.it
La tecniche immunologiche sono ampiamente utilizzate nei laboratori clinici e biochimici per la
loro elevata sensibilità e specificità nel riconoscimento di proteine antigene grazie all’interazione
altamente specifica che si stabilisce fra antigene e anticorpo. Per quanto detto le tecniche
immunologiche offrono un potenziale diagnostico di grande valore per la caratterizzazione di
componenti proteiche in materiali storico artistici [1,2]. Materiali proteici quali uovo, latte o caseina
e colle animali sono state ampiamente usate in passato per la realizzazione di dipinti e per il loro
restauro. L’identificazione di tali proteine e la determinazione della specie biologica di origine è un
informazione di grande interesse sia per capire la tecnica pittorica usata dall’artista sia per la
conservazione ed il restauro dell’opera stessa.
Fra le tecniche immunologiche l’ELISA (Enzyme Linked Immunosorbent Assay) si distingue per
rapidità, sensibilità e costi contenuti dell’analisi.
In questo lavoro verranno presentati i risultati ottenuti nello sviluppo di protocolli immunologici
ELISA per identificare proteine denaturate in micro campioni provenienti da opere d’arte antiche. A
tutt’oggi protocolli ELISA sono stati ottimizzati per l’identificazione di ovalbumina, -caseina
bovina, [3] fosvitina, e collagene di tipo I come marker dei più comuni leganti proteici quali: latte o
caseina, albume, tuorlo d’uovo, e colla animale, rispettivamente. Una sperimentazione sistematica
del protocollo ELISA è stata effettuata su provini di laboratorio invecchiati artificialmente. Strati
pittorici costituiti da vari pigmenti e diversi leganti sono stati applicati su due diversi supporti,
tavola di legno con preparazione a gesso e colla e intonaco, per valutare la presenza di possibili
interferenze analitiche dovute sia ai pigmenti che al substrato inorganico. Infine i protocolli ELISA
messi a punto sono stati applicati all’analisi di campioni provenienti da dipinti reali.
[1] M. Vagnini, L. Pitzurra, L. Cartechini, C. Miliani, B.G. Brunetti, A. Sgamellotti, Anal. Bioanal.
Chem. 392 (2008) 57–64.
[2] L.Cartechini, M. Vagnini, M. Palmieri, L. Pitzurra, T. Mello, J. Mazurek, G. Chiari, Accounts of
Chemical Research 43 (2010) 867-876
[3] M. Palmieri, M. Vagnini, L. Pitzurra, P. Rocchi, B.G. Brunetti, A. Sgamellotti , L. Cartechini,
Anal. Bioanal. Chem. 399 (2011) 3011-3023
Ringraziamenti
Il presente studio è stato svolto nell’ambito del progetto “Sviluppo e sperimentazione di prassi,
procedure e tecniche in ambito di diagnostica-prevenzione-conservazione” del Laboratorio di
diagnostica dei Beni Culturali di Spoleto.
47
20TH CENTURY OIL PAINT FORMULATIONS: AN ANALYTICAL CHALLENGE IN
THE CONSERVATION OF MODERN AND CONTEMPORARY HERITAGE
Francesca Caterina Izzo1, Elisabetta Zendri1, Klaas Jan Van den Berg2, Henk Van Keulen2, Barbara
Ferriani3
1
University Ca’ Foscari of Venice, Department of Environmental Sciences, Informatics and
Statistics, Via Torino 155/b, 30174 Venice-Mestre
2
Rijksdienst voor het Cultureel Erfgoed-Cultural Heritage Agency of the Netherlands,
Hobbemastraat 22, 1071 ZC, Amsterdam
Barbara Ferriani Srl, Via Vettabbia 1, Milano
fra.izzo@unive.it
From the 19th Century, artists’ oil paints were increasingly produced on an industrial scale and
include a number of additives, e.g. stabilisers, dispersion agents and driers [1]. These additives
allowed for faster production, stability, prolonged shelf life and uniform handling properties of the
paints in and from the tubes. In particular, aluminium and zinc stearates were introduced as wetting
and dispersion agents for the pigments and as stabiliser for the paint. However, the incorporation of
stearates into manufactured oil paints may cause water sensitivity during surface cleaning of
unvarnished paintings [2,3]. The aim of this research was to investigate 20th century manufactured
oil paints by developing an analytical methodology for the detection of metal soaps and lipidic
additives using Gas Chromatography Mass Spectrometry (GC-MS).
A methodology for the detection of metal stearate and fatty acid additives was designed by analysis
of selected oil paint films. In addition, commercial tube oil paints from Winsor&Newton, Old
Holland, Talens, Gimborn, and Maimeri were tested.The developed analytical procedure was also
used for the analysis of samples from 20th century oil paintings by Lucio Fontana, Jasper Johns,
Karel Appel, Willem de Kooning, and others.
The results obtained pointed out the employ of different kinds of oil media (such as linseed oil,
rapeseed oil, castor oil, safflower oil, sunflower oil, etc) and the presence of additives (such as
stearates, hydrogenated castor oil, waxes, etc). The identification of binding media and additives in
paint samples is important for the knowledge about painting techniques and to understand
degradation phenomena which occurr in modern and comtemporary works of art as well. This
knowledge may also play a role in the design of conservative practice.
[1] Gauld Bearn J., The chemistry of paints, pigments and varnishes, London, Ernest Benn 1923
[2] Burnstock A., van der Berg K. J., de Groot S. et alii, An investigation of water-sensitive oil
paints in the 20th century paintings, in Learner T. J. S., Smithen P., Krueger J. et alii, Modern
Paints Uncovered, Los Angeles, The Getty Conservation Institute 2007, pp. 177-188
[3] Wijnberg L., van den Berg K. J., Burnstock A. et alii, Jasper Johns’ Untitled 1964-65, in Art
matters, (2007), pp. 68-80
48
TRATTAMENTI INNOVATIVI A BASE DI ESTERI SILICICI PER IL
CONSOLIDAMENTO DI MANUFATTI A BASE SILICATICA
Guido Botticelli1, Mauro Matteini2, Stefano Lugli3, Silvia Minghelli4, Paolo Zannini4
1
Restauratore, libero professionista
già Direttore ICVBC – CNR Sesto Fiorentino
3
Università di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Scienze della Terra
4
Università di Modena e Reggio Emilia, Dipartimento di Chimica, via Campi 183, 41125 Modena
paolo.zannini@unimore.it
2
Viene proposto uno studio comparativo di 8 prodotti commerciali, a base di esteri silicici, utilizzati
nel settore del consolidamento di superfici di pietre arenarie storiche.
La natura chimica dei prodotti commerciali è stata preliminarmente studiata tramite alcune tecniche
strumentali idonee: FTIR, H+, 12C e 29Si NMR ed HPLC-MS-IT.Dopo una fase di reperimento e
caratterizzazione di pietre arenariche contemporanee, recenti ed invecchiate naturalmente nell’ area
di Firenzuola (FI), si sono realizzati dei campioni artificiali che mimassero il più fedelmente
possibile il comportamento di tali rocce, quando degradate e parzialmente decoese, miscelando
polvere di taglio delle pietre arenariche e cementi non calcarei appositamente selezionati.
Per ottenere un allentamento della tenacia delle pietre arenariche moderne, si sono, poi, sperimentati
diversi tipi di trattamenti termici, nella speranza di poter mimare la resistenza superficiale di
campioni storici degradati, raccolti nel frattempo. Con tutte queste nuove matrici sono stati
realizzate svariate decine di provini, circolari o quadrati, di dimensioni circa cm. 10 x 10 x 2 su cui
si sono sperimentati diversi tipi di trattamenti, semplici e multipli, con l’ intenzione di provocare la
cementazione dei granuli di silice tramite penetrazione reattiva di soluzioni idonee.
I consolidanti sono stati applicati con varie tecniche, alternando anche trattamenti a base di
soluzioni acquose di sali inorganici, sulle superfici dei provini artificiali, verificando poi i livelli di
impregnazione e distribuzione raggiunti e l’ eventuale interazione chimica, tramite SEM-EDS,
FTIR, FRX, DRX ed altri saggi spot. La superficie dei provini trattati è stata poi caratterizzata
tecnologicamente, controllando la resistenza all’ abrasione superficiale e profonda con metodi
normati.
49
NOVEL NANOCRYSTALLINE COMPOSITE PHOTOCATALYSTS FOR WATER
REMEDIATION
Roberto Comparelli1, Francesca Petronella1,2, Antonella Pagliarulo2, Elisabetta Fanizza1,
Annamiaria Panniello1, Giuseppe Mascolo3, Marinella Striccoli1, Angela Agostiano1,2,
Maria Lucia Curri1
1
CNR-IPCF U.O.S. Bari c/o Dip. Di Chimica, Via Orabona 4, 70126 - Bari
Università degli Studi di Bari – Dip. Di Chimica, Via Orabona 4, 70126 – Bari
3
CNR-IRSA Istituto di Ricerca sulle Acque, Via F. De Blasio 5, 70123 Bari, Italy
r.comparelli@ba.ipcf.cnr.it
2
Advanced oxidation processes (AOPs) play a key role in removing recalcitrant pollutants in water
and wastewater, thanks to the “in situ” generation of hydroxyl radicals, with a strong reactivity,
ultimately leading to the complete mineralization of the target compounds. Nanosized
semiconductors represent a promising class of materials for photocatalytic degradation of organic
pollutants thanks to their size/shape dependent physical-chemical properties which provide the
opportunity to develop innovative materials for heterogeneous catalysis. Nanostructured materials
are characterized by a high surface-to-volume ratio leading to a high density of active sites for
adsorption and catalysis and by the possibility to tune band gap and redox potential as a function of
their size and shape. Such characteristics are expected to enhance their photocatalytic activity. Wide
band gap semiconductors (TiO2, ZnO) are potential candidate to photocatalysis as the redox
potential of •OH/H2O pair falls in their band gap, thus photogenerated electron-hole (e-/h+) pairs
can react with dissolved oxygen or water, respectively, to generate •OH. Indeed, nanosized TiO2
exhibits a superior photocatalytic activity against its corresponding bulk equivalent although
nanosized ZnO appears very promising for degradation of organic compounds in aqueous systems.
Nonetheless, wide band gap semiconductors can be activated only by UV light, thus limiting the
fraction of solar spectrum able to generate •OH to ~4%. Current efforts in the field of designing and
synthesis of photocatalysts aims at improving charge separation, inhibiting charge carrier
recombination and enhancing the catalytic activity in the visible region. We have investigated
synthesis and characterization of nanostructured photocatalysts and their application in the
degradation of organic pollutants in aqueous matrices. In particular, TiO2 and ZnO nanocrystals
(NCs) have been prepared with control on size, shape and surface chemistry. Bifunctional catalysts
have been also prepared, namely TiO2/Ag, TiO2/Au TiO2/CdS and
TiO2/CNTs. The
photocatalytic properties of the obtained nanomaterials have been tested in the photocatalytic
degradation of several organic pollutants (pesticides, pharmaceutics, textile dyes) in comparison
with their commercial counterpart. The obtained results point out the enhanced photoactivity of
nanosized catalysts, the possibility to shift their photoactivity in the visible range and their viability
for several environmental related applications.[1-4]
This work was partially supported by Apulia Region Funded Projects RELA-VALBIOR, Network
of Laboratories in the Apulia Region Framework Program for Scientific Research (Italy).
[1]
[2]
[3]
[4]
A. Panniello, et al., Appl. Catal. B, 121-122 (2012) 190.
F. Petronella, et al., J. Phys. Chem. C, 115 (2011) 12033.
G. Mascolo, et al., J. Hazard. Mater., 142 (2007) 130.
R. Comparelli, et al., Applied Catalysis B-Environmental, 55 (2005) 81.
50
DEGRADATION OF IODINATED CONTRAST MEDIA BY SOLAR PHOTO-FENTON
AND PHOTOCATALYSIS WITH SUPPORTED TIO2
Giuseppe Mascolo1, Sapia Murgolo1, Elena Lorusso1, Roberto Comparelli2, Maria Lucia Curri2,
Rosalba Gerbasi3, Francesca Visentin3
1
Istituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, Viale F. De Blasio 5, 70132 Bari
2
CNR, Istituto per i Processi Chimico-Fisici, Via Orabona 4, Bari
3
CNR, Istituto di chimica inorganica e delle superfici, Corso Stati Uniti 4, Padova
giuseppe.mascolo@ba.irsa.cnr.it
Although several treatment set-ups can be employed to effectively remove emerging organic
pollutants from contaminated water and wastewater, the selection should also be cost-effective,
allowing to comply the local discharge standards at the lowest cost. Advanced oxidation processes
(AOPs) used for the complete mineralization of pollutants are generally expensive as the
intermediates formed during the reaction tend to be more and more resistant to their complete
oxidation (i.e., mineralization) [1]. Specifically, common drawback of AOPs is the high demand of
electrical energy for devices such as ozonizers, UV lamps, ultrasounds, which results in rather high
treatment costs [2]. Solar-based AOPs seem to be very promising due to its great advantage of
working even with visible light, leading to a reduction of the operating costs [3]. Solar driven
photo-Fenton appears as the preferable one from an integrated environmental and economic point of
view based on the comparison between several AOPs for wastewater treatment considering their
life-cycle greenhouse gas emissions and life-cycle cost [1]. In addition, solar-based photocatalysis is
very attractive if the catalyst can be immobilized. In fact, many attempts have been made to
immobilize catalysts onto substrates, such as glass beads, glass fibres, silica, stainless steel, textiles,
honeycombs, activated carbon, and zeolites [4]. For these reasons, design and implementation of
novel TiO2-based catalysts deposited onto suitable substrates to obtain materials exploitable for
environmental applications is a challenging task. In addition a critical drawback of catalyst
immobilization lies in the dramatic reduction of the active surface area, which turns into the
consequent decrease in catalytic efficiency.
In the present work, two solar-based AOPs, namely photo-Fenton and photocatalysis employing
supported TiO2 have been tested and compared for the removal of an emerging organic pollutant in
aqueous solutions. As for the supported TiO2, TiO2 anatase films realized by metallorganic
chemical vapor deposition (MOCVD) were prepared achieving highly efficient catalytic materials.
The morphological and structural characteristics of the obtained coatings have been elucidated by
X-ray diffraction and scanning electron microscopy. As for TiO2 nanoparticles, they were
synthesized in anatase phase by using a sol-gel route, namely a typical polymeric route was
followed to produce TiO2 nanoparticles from metal alkoxides, allowing the deposition of the
nanostructured material, by dip-coating technique, onto a silica fiber.
[1]
[2]
[3]
[4]
I. Munoz, S. Malato, A. Rodriguez, X. Domnech, J. Adv. Oxid. Technol., 11 (2008) 270-275.
A. Lopez, M. Pagano, A. Volpe, A. Claudio Di Pinto, Chemosphere, 54 (2004) 1005-1010.
J.L. de Morais, P.P. Zamora, J. Hazard. Mater., 123 (2005) 181-186.
R. Comparelli, E. Fanizza, M.L. Curri, P.D. Cozzoli, G. Mascolo, R. Passino, A. Agostiano, Applied
Catalysis B-Environmental, 55 (2005) 81-91.
51
SVILUPPO DI SUBSTRATI INORGANICI A BASE DI OSSIDI METALLICI PER LA
DETERMINAZIONE SIMULTANEA DI NO ed NO2 CON CAMPIONATORI PASSIVI
Raffaele Cucciniello1, Antonio Proto1, Federico Rossi1, Oriana Motta2
1
Dipartimento di Chimica e Biologia,
2
DISUFF
Università di Salerno
via Ponte Don Melillo, 84084 Fisciano (SA) – Italia
rcucciniello@unisa.it
Gli ossidi di azoto (NOx) sono presenti in atmosfere urbane in elevate concentrazioni
principalmente a causa del traffico veicolare e degli impianti di riscaldamento domestico. La
determinazione della concentrazione degli NOx è effettuata in continuo con detector a
chemiluminescenza il cui utilizzo è limitato dall’ingombro, dal costo di acquisto e della
manutenzione.
Da molti anni una soluzione alternativa, semplice ed economica, per determinare gli ossidi di azoto
è quella di utilizzare i campionatori passivi. Questi sono piccoli dispositivi costituiti da un corpo
diffusivo a geometria radiale di materiale poroso contenente un cilindro a rete metallica che ospita il
substrato reattivo. Il substrato in commercio che viene utilizzato per captare l’NO 2 è la
trietanolammina (TEA) che però non reagisce con l’NO (1) .
Poiché sono noti numerosi processi industriali di conversione catalitica per l’abbattimento degli
NOx dai gas di scarico che si basano sull’interazione degli ossidi di azoto con ossidi dei metalli
alcalini e alcalino terrosi, in questo studio abbiamo provato ad utilizzarne alcuni con le
caratteristiche morfologiche idonee per essere impiegati nei campionatori passivi (2) .
In particolare, è stato sintetizzato e caratterizzato un substrato alcalino a base di ossido di calcio e
mayenite (Ca12Al14O33) che in base alle sue caratteristiche morfologiche, legate al processo di
sintesi, è un ottimo substrato che consente di determinare contemporaneamente sia NO che NO2 (3) .
Campionatori passivi a base di ossido di calcio e mayenite sono stati selettivamente esposti, in
differenti condizioni ambientali, a NO ed NO2 e i substrati sono stati studiati attraverso tecniche
spettroscopiche e termo calorimetriche al fine di caratterizzare le specie formate in seguito
all’adsorbimento degli NOx, riuscendo anche a definire le idonee tecniche analitiche per la
determinazione e quantificazione degli ossidi di azoto adsorbiti.
(1)
T.Gorecki et all., Passive sampling in environmental analysis, Journal of Chromatography A,
1184 (2008) ,234-253.
(2)
J. Szanyi et all., NOx uptake on alkaline earth oxides (BaO, CaO, MgO and SrO) supported on γAl2O3, Catalysis today, (2008), 136, 121-127
(3)
R.Cucciniello, A.Proto et all., Synthesis, characterization and exposition tests of a new based
calcium CO2 absorbent for Radial diffusive sampler, Athmospheric Environment, in press
52
MUNICIPAL LANDFILL LEACHATE TREATMENT USING ELECTROOXIDATION
COUPLED WITH A BIOLOGICAL REACTOR
Giuseppe Mascolo1, Guido Del Moro1, Emanuele Barca1, Claudio Di Iaconi1, Francesco Palmisano2
1
2
Istituto di Ricerca Sulle Acque, CNR, Viale F. De Blasio 5, 70132 Bari
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, Via E. Orabona 4, 70126 Bari
giuseppe.mascolo@ba.irsa.cnr.it
Municipal landfill leachate, is defined as the aqueous effluent generated by rain percolation through
municipal wastes. It is a complex wastewater, containing a large amounts of organic matter, as well
as ammonia-nitrogen, heavy metals, xenobiotic organic compounds, inorganic salts and other
toxicants. Conventional biological treatments followed by classical physico-chemical methods are
not able to efficiently treat this wastewater hindered by specific toxic substances and by the
presence of high amount of refractory to biodegradation organic matter. Oxidative electrochemical
technologies, widely recognized as highly efficient for recalcitrant wastewater treatment, offer a
solution based on its higher versatility and energy efficiency, the absence of sludge production, and
its ease of automation, compared to other available technologies. Accordingly, in the present
investigation an electrooxidation process was applied as a finishing step to an effluent of a
sequencing batch biofilter granular reactor (SBBGR), already proved to have higher performance
[1]. A two steps approach based on experimental design followed by multi-response optimization
was used to set up the electrooxidation stage. Specifically, a Box-Behnken experimental design was
employed along with a multi-response optimization performed by response surface methodology
(RSM) combined with the desirability function approach to form the so-called desirability
optimization methodology (DOM) [2, 3]. COD and colour were chosen as parameters to be
minimized because, according Italian legislation, they are among the most representative for
leachate dispose of. In addition, the minimization of both residual chlorine and specific energy
consumption was also considered in order to asses the magnitude of organochlorine by-product
formation (measured as AOX) and process operating cost. After optimization at current density of
133 mA/cm2, stirring speed of 566 rpm and reaction time of 46.2 min, the COD removal percentage
of 78.2% (corresponding to the receiving water bodies discharge limit) and a colour removal
maximization of 99.3% were observed. In addition, the minimization of residual chlorine and
specific energy consumption reached the values of 1213 mg/L and 42.4 kWh/m3, respectively.
Moreover, the high residual chlorine production leading to final effluent AOX concentration up to
35 mgCl-/L, represents an intrinsic treatment drawback. As organo-chlorine compounds are likely to
be more toxic than the parent organic molecules, they should be appropriately removed before the
final discharge in the receiving water bodies. In spite of the cost for a possible residual chlorine
removal treatment, the total cost amount (5.87 €/m3inf.) is far below the average reference cost for
landfill leachate treatment (20 – 40 €/m3inf. ) [4-6].
1. Di Iaconi C. et al., Int. J. Environ.Waste Manage., 2009, 4(3/4): p. 422-432.
2. Trautmann, H. and Weihs, C., Metrika, 2006, 63(2): p. 207-213.
3. Kamaruddin, M.A. et al., J. Sci. Ind. Res., 2011, 70(7): p. 554-560.
4. Berge, N.D. et al., Waste Manage., 2009, 29(5): p. 1558-1567.
5. Damgaard A. et al., Waste Manage., 2011, 31(7): p. 1532-1541.
6. Cassano D. et al., Chem. Eng. J. (Lausanne), 2011, 172(1): p. 250-257.
53
STUDIO DELLA DISTRIBUZIONE ED EFFICIENZA DI RIMOZIONE DI CROMO
TRIVALENTE ED ESAVALENTE IN UN IMPIANTO DI FITODEPURAZIONE
OPERANTE COME POST-TRATTAMENTO DI REFLUI INDUSTRIALI
Donatella Fibbi1, Lorenzo Ciofi1, Leonardo Checchini1, Ester Coppini2, Cristina Gonnelli3,
Massimo Del Bubba1
1
Dipartimento di Chimica “Ugo Schiff”, Università di Firenze, Via della Lastruccia 3, 50019 Sesto
Fiorentino (FI)
2
GIDA S.p.A., Via di Baciacavallo, 36, 59100 Prato
3
Dipartimento di Biologia Evoluzionistica “Leo Pardi”, Via Micheli 1, 50121 Firenze
donatella.fibbi@unifi.it
Con il termine fitorimediazione viene inteso quell’insieme di tecniche basate sull’uso di essenze
vegetali, aventi per scopo il miglioramento della qualità di acque reflue o di suoli contaminati da
metalli pesanti.
Le essenze vegetali possono avere un ruolo diretto nel processo fitorimediativo assorbendo il
metallo presente nel mezzo di crescita ed accumulandolo nei vari organi, oppure partecipare ai
processi chimici e biologici che avvengono nei diversi comparti ambientali. In questa ricerca è stata
studiata l’efficienza di rimozione del cromo totale e del cromo esavalente in un impianto di
fitodepurazione a flusso sub superficiale orizzontale piantumato con Phragmites australis che
riceve l’effluente di un impianto a fanghi attivi. E’ stata condotta una campagna di monitoraggio in
cui sono stati raccolti campioni di acqua in ingresso ed uscita all’impianto di fitodepurazione su cui
sono state determinate le concentrazioni di cromo totale, cromo esavalente e trivalente [1].
Inoltre all’inizio e alla fine del monitoraggio sono stati raccolti alcuni campioni di sedimento e di
Phragmites australis a diverse distanze dall’ingresso al fine di determinare la quantità di metallo
presente in essi. I risultati ottenuti in questo studio hanno indicato che l’impianto di fitodepurazione
è in grado di diminuire effettivamente le concentrazioni di cromo esavalente, soddisfacendo i
requisiti previsti dalla normativa italiana. Tale diminuzione è una conseguenza della riduzione della
forma esavalente del cromo in quella trivalente. Per quanto riguarda i sedimenti, indipendentemente
dal periodo di campionamento, la concentrazione di cromo diminuisce in modo significativo con
l'aumentare della distanza dall’ingresso.
Nelle piante, la radice è risultata essere l'organo che ha mostrato maggiori differenze nelle
concentrazioni di cromo con andamento analogo ai sedimenti [2].
Sulla base di questi dati è possibile, ampliando la dimensione dell’impianto su larga scala,
soddisfare la richiesta di acqua riciclata del distretto industriale preso in esame.
[1]: D. Fibbi, S. Doumett, I. Colzi, E. Coppini, S. Pucci, C. Gonnelli, M. Del Bubba, 2011. Total
and hexavalent chromium removal in a subsurface horizontal flow (h-SSF) constructed wetland
operating as post-treatment of textile wastewater for water reuse. Water Science and Technology
64.4, 826-831.
[2]: D. Fibbi, S. Doumett, L. Lepri, L. Checchini, C. Gonnelli, E. Coppini, M. Del Bubba, 2012.
Distribution and mass balance of hexavalent and trivalent chromium in a subsurface horizontal flow
(SF-h) constructed wetland operating as post-treatment of textile wastewater for water reuse.
Journal of Hazardous Materials 199– 200, 209– 216.
54
TECNOLOGIE DI RISCALDAMENTO DOMESTICO A BIOMASSE ATTRAVERSO UNA
PROSPETTIVA DI CICLO DI VITA
Daniele Cespi1,*, Fabrizio Passarini1,*, Luca Ciacci1, Ivano Vassura1, Luciano Morselli1,
Valentina Castellani2
1
CIRI Energia e Ambiente & Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali, Università di
Bologna, viale Del Risorgimento 4, Bologna - 40136
2
Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali, Università di Milano – Bicocca, Piazza
della Scienza 1, 20126 Milano
fabrizio.passarini@unibo.it daniele.cespi2@unibo.it
La valutazione del ciclo di vita (Life Cycle Assessment, LCA) è una valutazione oggettiva dei
carichi ambientali e sulla salute umana di un processo, prodotto o sistema, durante l’intero ciclo di
vita. La metodologia è stata applicata a sistemi di riscaldamento domestico a biomassa, nell’ambito
del progetto PRIN “L.En.S.” (Legno Energia Salute). L’LCA è stata condotta su due tecnologie di
riscaldamento domestico differenti: una stufa innovativa a legna ed una stufa a pellet, entrambe
modellate secondo le migliori tecnologie disponibili (Best Available Technologies, BAT); inoltre,
per garantire un quadro di riferimento completo, un confronto con sistemi alternativi di
riscaldamento domestico (boiler a gas, pannello solare termico e pompa di calore) è stato eseguito.
Nello studio si è scelta come unità funzionale una stessa quantità di energia generata da ogni
tecnologia (1MJ termico). Il software impiegato per eseguire l’analisi è il SimaPro 7.2; EcoInvent è
il principale database per l’analisi di inventario. Il metodo di analisi scelto per condurre l’indagine è
il ReCiPe 2008. I risultati emersi dal confronto tra i due sistemi a biomassa mostrano come lo
scenario di riscaldamento a legna abbia un impatto tre volte maggiore rispetto alla stufa a pellet
nella categorie di tossicità umana e formazione di materiale particolato. Il contributo maggiore alla
categoria tossicità umana deriva principalmente dal metodo di smaltimento delle ceneri e dal
processo di combustione in sé. I risultati ottenuti per la categoria formazione di materiale
particolato sono in linea con le previsioni: l’impatto maggiore dello scenario a legna rispetto al
pellet è dovuto alle diverse caratteristiche chimico-fisiche del combustibile, quali il grado di
umidità, le dimensioni, la densità energetica. Inoltre, lo scenario a legna ha un maggior impatto per
la categoria di occupazione del suolo agricolo, associato alla sottrazione di suolo necessario per la
crescita di alberi destinati a fini energetici, diversamente dal pellet, che viene prodotto
esclusivamente da scarti di lavorazione. Contrariamente allo scenario a legna il sistema di
riscaldamento a pellet presenta carichi maggiori per categorie di impatto con danni più globali,
come cambiamento climatico e consumo di combustibili fossili. Tali risultati sono ascrivibili
principalmente al processo di pellettizzazione, caratterizzato dall’elevato impiego di combustibili
nelle fasi che lo compongono. La comparazione con sistemi alternativi mostra come i due scenari a
biomassa siano confrontabili, in termini di impatto globale, con le tre tecnologie investigate. In
particolare i processi a biocombustibili hanno impatti minori in termini di consumo di risorse e
cambiamento climatico, ma danni più rilevanti in termini di formazione di particolato e tossicità
umana. Il modello creato permette il confronto tra diversi sistemi di riscaldamento domestico a
biomassa ed è implementabile con dati primari derivanti da monitoraggio diretto di tali strumenti,
inoltre fornisce un utile mezzo di confronto con tecnologie di riscaldamento domestico alternative.
55
DETERMINAZIONE (LC-ESI-MS/MS ) DEI LIVELLI DI ACRILAMMIDE IN PATATE
FRITTE IN RELAZIONE AI PARAMETRI NUTRIZIONALI DI DIFFERENTI CULTIVAR
Guido Perra1, Silvia Focardi1, Cristiana Guerranti2, Nadia Marchettini1
1
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Siena, Via della Diana, 2A, 53100 Siena
Dipartimento di Scienze Ambientali “G. Sarfatti”, Università degli Studi di Siena, Via P.A.
Mattioli, 4, 53100 Siena
guido.perra@alice.it
2
L’acrilammide è un composto tossico (probabile agente cancerogeno per l’uomo) che si forma
naturalmente negli alimenti amilacei a seguito di processi di cottura (es. frittura) ad alta temperatura
(superiori a 120°C). La via di sintesi dell’acrilammide non è ancora del tutto chiara, ma l’ipotesi più
attendibile pare sia la stretta relazione con la reazione di Maillard. In particolare, la formazione di
acrilammide sembra dipendere dalla presenza nella matrice alimentare di un amminoacido libero,
l’asparagina, e di zuccheri riducenti, quali glucosio e fruttosio. Il primo obiettivo di questo studio è
stato la caratterizzazione comparativa di alcuni parametri nutrizionali (aminoacidi e zuccheri) in due
cultivar di patate a diffusione regionale ed una cultivar commerciale, presente sul territorio italiano.
Inoltre, lo scopo della presente indagine è stato quello di determinare mediante LC-ESI-MS/MS,
nelle diverse varietà di tuberi, i tenori di acrilammide formatasi inevitabilmente durante la frittura
con diverse tipologie di olio a diverso punto di fumo. I risultati ottenuti in questa indagine indicano
che cultivar di patate diverse sono caratterizzate da concentrazioni molto variabili di zuccheri
riducenti, quali glucosio (range: 4,5-58,1 mmol/kg peso fresco, p.f.) e fruttosio (range: 5,7-55,1
mmol/kg p.f.) e, in minor misura, dell'amminoacido asparagina (range: 4,1-17,9 mmol/kg p.f.). Le
concentrazioni di acrilammide variano nel range <LOD, limit of detection - 1616,15 ng/g p.f.. Le
variazioni nelle concentrazioni di acrilammide nei diversi campioni sono, almeno in parte, causate
dai diversi livelli dei precursori dell'acrilammide nei vari lotti di patate analizzate. I bassi livelli dei
due zuccheri riducenti, glucosio e fruttosio, rilevati nelle varietà regionali (cui corrispondono bassi
tenori di acrilammide nel prodotto fritto) rispetto alla varietà commerciali, lasciano presagire un
buon comportamento organolettico e ridotte problematiche di formazione di acrilammide attraverso
la reazione di Maillard. Tale aspetto, caratterizzante soprattutto le cultivar a diffusione regionale
rispetto alla commerciale è un'importante conferma del valore della difesa e della conservazione
della biodiversità in campo agricolo ed alimentare.
56
ANALIZZATORE DISCRETO PER L’ESECUZIONE IN AUTOMATICO DEL SAGGIO
DI TOSSICITÀ ACUTA CON BATTERI BIOLUMINESCENTI
Sergio Bodini e Pompeo Moscetta
Systea SpA, via Paduni 2/A, 03012 Anagni (FR)
sergio.bodini@systea.it
Il controllo della qualità delle acque rappresenta una questione fondamentale per la tutela della
sicurezza e della salute a livello mondiale. Per questa ragione, la possibilità di ottenere risultati
riproducibili ad alta frequenza analitica, costituisce un’evoluzione tecnologica di estremo interesse.
Il saggio che utilizza il batterio bioluminescente Vibrio fischeri è comunemente utilizzato per
determinare gli effetti tossici a breve termine (15-30 min) di campioni d’acqua (superficiale,
potabile o di scarico) o solidi (estratti e eluati di sedimenti e fanghi). Il saggio permette di calcolare
per ciascun campione i valori di EC50, EC20 o la diluizione di non effetto. Un intenso lavoro di
ricerca e sviluppo ha permesso di progettare, realizzare e sperimentare, in Systea S.p.A., un
originale analizzatore discreto, basato su tecnologia random access a lettura diretta, per l’analisi in
automatico di campioni, percolati ed estratti acquosi, al fine di determinare la presenza di sostanze
tossiche, tramite l’utilizzo di sospensioni di Vibrio fischeri. Parallelamente, esso è stato predisposto
per eseguire test rapidi di tossicità algale misurando le variazioni indotte da contaminanti con effetti
erbicidi sull’emissione di fluorescenza di microalghe quali Chlamydomonas reinhardtii. Esso
consiste di una struttura base contenitiva che consente l’alloggiamento di un modulo contenitivo per
campioni, un modulo di stoccaggio dei tamponi acquosi e dei batteri bioluminescenti e/o delle
microalghe, un braccio meccanico per prelievo, trasferimento e aggiunta di reagenti e campioni e di
un carosello di reazione dotato di 80 cuvette di reazione da 500 microlitri, a cui sono associate una
stazione di misura luminometrica, una stazione di misura fluorimetrica e una stazione di lavaggio e
sterilizzazione con linea di scarico. Secondo la norma UNI EN ISO 11348-3:2009, i microrganismi
indicati per l’analisi di tossicità acuta appartengono al ceppo di riferimento Vibrio fischeri NRRL
B-11177. Questi batteri sono stati allevati, stabilizzati e liofilizzati in maniera originale, tale da
garantirne un utilizzo continuativo, dopo la reidratazione in apposito tampone salino. In questo
modo, essi mantengono per almeno una decina di giorni un segnale di bioluminescenza misurabile e
un’inalterata sensibilità alle diverse tipologie di composti tossici definiti nella norma sopraccitata,
quali solfato di zinco, potassio bicromato e 3,5-diclorofenolo. I cicli analitici e la frequenza,
parametri e limiti del controllo qualità sono programmabili dall’operatore e gestiti in forma
completamente automatizzata. Lo strumento è predisposto per eseguire analisi cinetiche,
multistandard e differenziali con bianco campione. La misurazione continua di bianchi e campioni a
concentrazioni crescenti e intervalli di tempo predefiniti, di ca. 30 secondi, risulta nella generazione
di cinetiche di inibizione, che permettono di acquisire, fin dai primi minuti dell’analisi,
informazioni preliminari sul livello di contaminazione presente nel campione. Dato che
l’analizzatore è predisposto per eseguire un’analisi ogni 60 secondi, fino a 80 bianchi/campioni
simultaneamente, è possibile eseguire immediatamente repliche, a concentrazioni uguali o maggiori
di campione, per confermare una tossicità identificata o chiarire, in senso positivo o negativo, una
tossicità dubbia. In conclusione, l’analizzatore di tossicità realizzato è completamente autonomo in
ogni sua fase, di facile utilizzo e fornisce risposte rapide, sensibili, riproducibili e immediatamente
verificabili, limitando in maniera significativa, l’evenienza di falsi positivi e negativi.
57
POLYURETHANE IN CONTEMPORARY ITALIAN DESIGN: THE CASE OF
“PRATONI” IN THE TRIENNALE MUSEUM, MILAN
Francesca Caterina Izzo1, Elisabetta Zendri1, Paola Biocca1, Barbara Ferriani2,3, Henk Van Keulen4
1
University Ca’ Foscari of Venice, Department of Environmental Sciences, Informatics and
Statistics, Via Torino 155/b, 30174 Venice-Mestre
2
Barbara Ferriani Srl, Via Vettabbia 1, Milano
3
Triennale Museum, Milano
4
Rijksdienst voor het Cultureel Erfgoed-Cultural Heritage Agency of the Netherlands,
Hobbemastraat 22, 1071 ZC, Amsterdam
fra.izzo@unive.it
Since it was synthesised in 1864 by C.A. Wurtz, Polyurethane (PUR) has been widely used for
industrial purposes thanks to its great versatility. For this reason, it has been chosen also by
designers and artists as a versatile material for the creation of works of art and daily-life objects.
PUR, however, is one of the synthetic materials which are subjected to deterioration phenomena in
shorter time if compared to historical and traditional art materials.
This study takes into consideration three examples of “Pratone”, belonging to the “Multipli” series
by the Italian brand Gufram srl and conserved in the Triennale Museum in Milano. “Pratone” is a
sofa which reproduces on a higher scale a portion of grass; it was firstly projected in the 1970s
using polyurethane foam painted in green colour to recall the natural element. These design objects,
although produced in the last 10 years, were already interested by degradation processes.
Therefore, they were analysed by optical microscopy, SEM-EDS, FTIR-ATR and TG-DSC
techniques in order to obtain information on the compositional materials and the degradation
observed and to give information for their conservation in terms of restoration practice and
environmental storage conditions.
The results pointed out that the three Pratoni were produced using ether-based polyurethane foams,
in which additives (such as inorganic fillers, anti-flames retardants, dyestuff, etc) were introduced in
the PUR composition. The green paint appeared to be a polyisoprene-based latex. The only
difference among the Pratoni consists in the protective layers: two examples were covered by
polymetacrilate-based varnish, while the third one was treated with polyetheretherketon (PEEK).
The main deterioration processes (yellowing and brittleness of the alveolar structure) were largely
due photo-oxidation and humidity problems.
This research aims also to stress the importance of studying and understanding what is happening to
contemporary art materials and to elaborate preventive conservation plans for their maintenance.
58
APPLICAZIONE DELLA MICROSCOPIA RAMAN PER LA CARATTERIZZAZIONE DI
PELLICOLE CINEMATOGRAFICHE: STUDIO DI FENOMENI DI AMPLIFICAZIONE
SERS
Marta Quaranta, Emilio Catelli, Silvia Prati, Giorgia Sciutto, Rocco Mazzeo
Laboratorio diagnostico di microchimica e microscopia per i beni culturali (M2ADL), Università
di Bologna, sede di Ravenna, via Guaccimanni, 42 48100 Ravenna (I)
marta.quaranta@unibo.it
Il presente lavoro di ricerca è stato mirato alla caratterizzazione dei materiali costitutivi e dello stato
di conservazione di pellicole cinematografiche in bianco e nero sottoposte a processi di colorazione.
Nella storia del cinema, infatti, numerose sono le tipologie di materiali e tecniche impiegate al fine
di creare particolari effetti sulle immagini proiettate. In particolare, all’inizio del XX secolo, sono
state sperimentate tecniche alternative di colorazione come l’imbibizione e il viraggio, entrambe
basate sul trattamento della pellicola con opportuni reagenti.
Lo studio ha visto l’applicazione di un approccio analitico integrato per l’investigazione di alcuni
fotogrammi relativi alla bobina del film Il tamburino sardo (1911, Cineteca di Roma), tramite
impiego di microscopia SEM-EDX, FTIR e Raman. In particolare, la spettroscopia Raman è
risultata efficace e valida per l’identificazione del colorante, a base di rodamina, rivelando i passati
interventi subiti da alcuni fotogrammi della bobina e facendo luce sulla storia conservativa del film.
Di particolare interesse è notare come questo risultato sia stato possibile grazie ad un effetto di
amplificazione del segnale spontaneamente generato dalle particelle di argento disperse nello strato
di gelatina (emulsione fotosensibile). Ciò ha consentito di identificare il colorante impiegato
nonostante la matrice organica in cui esso è disperso, senza l’impiego di supporti ad hoc.
RINGRAZIAMENTI
Parte di questa ricerca è stata finanziata dal progetto PRIN08 “Setting up of diagnostic
methodologies for the stratigraphical characterisation and spatial location of the organic
components in artistic and archaeological polychrome works of art “e dal progetto europeo
“CHARISMA” Cultural heritage Advanced Research Infrastructures: Synergy for a
Multidisciplinary Approach to Conservation/Restoration, FP7 INFRASTRUCTURE n.228330.
59
MASS HYDROPHOBIZED LIME CEMENT MORTAR AS TOOL FOR PREVENTIVE
CONSERVATION
Laura Falchi, Eleonora Balliana, Francesca Caterina Izzo, Elisabetta Zendri, Guido Biscontin
University Ca’ Foscari of Venice, Department of Environmental Sciences, Informatics and
Statistics, Via Torino 155/b, 30174 Venice-Mestre
laura.falchi@stud.unive.it
Water represents without any doubt one of the most important degradation factors for a wide
typology of materials like plasters, mortars, concretes, bricks and natural stones [1]. The
degradation processes due to the water action towards architectural materials has been over time a
problem with an increasing importance in the last years, as a consequence of the intensification of
precipitations and world climate changes. The damages caused by water to buildings and
architectures are often serious, with high costs for the reparation of materials and structures which
are not well protected. Solutions able to prevent and limit this problem should be seen and studied
as a sustainability tools for the protection of new and old buildings. This research deals with the
study and development of in-mass-hydrophobized rendering mortars, which can be applied for the
protection of building facades. Previous studies have focused on in mass water-repellent mortars,
showing that hydrophobic compounds can be mixed to different binders and aggregates to obtain
mortars whose water-repellent effectiveness depends most on the binder system chosen [2-5]. In
this research lime cement mortars, which have not been deeply investigated yet, were taken in
account. Integral water repellent lime cement mortars were prepared using different hydrophobic
compounds. Calcium stearates, zinc stearates, powder silanes, liquid silanes were added to lime
cement mortars. The influence of the additives on the setting and structure of mortars were
investigated as well as the effectiveness of these agents in protecting the mortars against damages
caused by the water action. Instrumental techniques such FT-IR and XRD were used in order to
understand the chemical-physical interaction between agents and cement mortars. MIP analysis,
ultrasonic measurements, water absorption tests and contact angle measurements were carried out to
investigate the effectiveness of the water-repellent additives in hydrophobizing the final mortars.
Workability variation of fresh mortars and a slight influence on the hydration times and products
were observed. The water-repellent effectiveness changed with the additive chosen as well as the
structure and the water vapor permeability.
[1]T. Stambolov, " The deterioration and conservation of porous Building Materials in Monuments:
A litterature review", International Centre for the study of the preservation and restoration of
cultural property, 1972.
[2]Pagona Maravelaki-Kalaitzaki, "Hydraulic lime mortars with siloxane for waterproofing historic
masonry" CEMCONCRES 37 (2007) 283-290
[3]Giovanni Martinola, "Modified ECC by Means of Internal Impregnation", Journal of advanced
Concrete Technology Vol.2, No2, 207-212, June 2004
[4]M. Lanzón, “Effectiveness and durability evaluation of rendering mortars made with metallic
soaps and powdered silicone”, CONBUILDMAT 22 (2008), 2308-2315
[5] A. Izaguirre, "Effect of water-repellent admixtures on the behaviour of aerial lime basedmortars", CEMCONCRES 39 (2009), 1095-1104.
60
IDENTIFICAZIONE DI LEGANTI POLIMERICI NATURALI E DI SINTESI CON
SPETTROSCOPIA IR IN RIFLESSIONE
Alessia Daveri1, Francesca Rosi2, Bruno Giovanni Brunetti,3,2, Antonio Sgamellotti3,2,
Costanza Miliani2,3
1
Laboratorio di Diagnostica per i Beni Culturali di Spoleto P.zza Campello 2 - Rocca
Albornoziana Spoleto (PG)
2
CNR-ISTM, c/o Dipartimento di Chimica, Università di Perugia, Via Elce di Sotto, 8,
06123Perugia
3
Centro di Eccellenza SMAArt, Dipartimento di Chimica, Università di Perugia, Via Elce di Sotto,
8, 06123 Perugia
a.daveri@diagnosticabeniculturali.it
Un ambito di forte interesse nel settore della diagnostica dei beni culturali è lo sviluppo di
metodologie analitiche non invasive che permettano di ottenere informazioni sulla composizione
chimica dei materiali artistici senza effettuare movimentazione dell’opera d’arte dal suo luogo di
conservazione e senza effettuare prelievi che, se pur minimi, ne danneggino l’integrità. Numerosi
sono gli studi conoscitivi condotti tramite il laboratorio mobile MOLAB su materiali pittorici
attraverso l’integrazione di differenti tecniche di tipo elementare (XRF) e molecolare (FTIR in
riflessione, riflettanza e fluorescenza UV-visibile, Raman, NIR) [1;2]. Ottimi risultati sono stati
ottenuti per l’identificazione dei pigmenti inorganici [3], mentre più complesso è certamente lo
studio dei leganti organici la cui conoscenza risulta essere di fondamentale importanza non solo per
la tecnica pittorica ma anche per la conservazione ed il restauro dell’opera stessa. In questa
direzione si indirizza il lavoro qui presentato che riguarda l’utilizzo della spettroscopia FTIR in
riflessione per il riconoscimento di alcune classi di leganti utilizzate nella pittura antica ed in quella
moderna. Per discutere le potenzialità e le limitazioni di questa tecnica viene dettagliato uno studio
spettroscopico di modelli pittorici ottenuti mescolando leganti polimerici impiegati in pittura
(tempera ad uovo, oli siccativi, resine acriliche, viniliche e alchidiche) con differenti pigmenti. In
questo modo è possibile valutare le distorsioni spettrali delle bande diagnostiche della componente
organica, causate dalla presenza congiunta della riflessione speculare e diffusa. Saranno inoltre
presentati alcuni casi studio effettuati su policromie su tavola e tela realizzati con la spettroscopia
nel medio infrarosso in riflessione nei quali è stato possibile fornire informazioni utili sulla classe di
appartenenza del legante utilizzato.
Riferimenti
[1] C. Miliani, F. Rosi, B.G Brunetti, A. Sgamellotti: Acc. Chem. Res. 43, 728 (2010)
[2] F. Rosi, C. Miliani, C. Clementi, K. Kahrim, F. Presciutti, M. Vagnini, V. Manuali, A. Daveri,
L. Cartechini, B.G. Brunetti, A. Sgamellotti: Appl. Phys. A 100, 613 (2010)
[3] C. Miliani, F. Rosi, A. Daveri, B. G. Brunetti Appl. Phys. A: Materials Science & Processing,
106, 295, (2012)
Ringraziamenti
Questo studio è stato svolto nell’ambito del progetto “Sviluppo e sperimentazione di prassi,
procedure e tecniche in ambito di diagnostica-prevenzione-conservazione” del Laboratorio di
Diagnostica per i beni culturali di Spoleto.
61
MONITORAGGIO “DIAGNOSTICO” DEL BENZO(A)PIRENE NEL PM10 A
TARANTO
Eleonora Andriani1, Lorenzo Angiuli2, Giorgio Assennato2, Massimo Blonda2,
Anna Maria D’Agnano4, Piero Dambruoso1, Barbara Daresta1, Gianluigi de Gennaro1,
Annamaria Demarinis Loiotile1, Alessia Di Gilio1, S. Ficocelli3, Roberto Giua 2, Maria Mantovan3,
Vincenzo Musolino4, Micaela Menegotto3, Alessandra Nocioni4, Rossella Paolillo4,
Valerio Rosito3, Maria Spartera3, Maria Tutino1
1
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari
2
Arpa Puglia, Corso Trieste 27, 70126 Bari
3
Arpa Puglia, Ospedale Testa, Contrada Rondinella, 74123 Taranto
4
Arpa Puglia, Via Galanti 16, 72100 Brindisi
Corresponding author. Tel:+39-80-5460252/+39-99-9946349
r.giua@arpa.puglia.it
Keywords: benzo(a)pirene, PM10, Taranto, source apportionment
Nel periodo novembre 2010÷luglio 2011, su incarico dell’Assessorato all’Ambiente della Regione
Puglia, è stata svolta a Taranto una campagna di monitoraggio del benzo(a)pirene (BaP) nel PM10 in
sette postazioni dislocate intorno all’area industriale e all’interno di essa, secondo due “transetti”
disposti lungo le direzione dei venti dominanti. Tale campagna aveva l’obiettivo di fornire dati di
concentrazione con una risoluzione temporale (valori giornalieri) e con una distribuzione spaziale
tale da permettere di determinare la correlazione dei dati rilevati con le condizioni meteorologiche
e con le sorgenti emissive presenti nell’area.
Per il prelievo del particolato sul quale effettuare le analisi chimiche per la determinazione degli
idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono stati impiegati monitor bicanali o monocanali che hanno
consentito, inoltre, la misura diretta della concentrazione del PM10 per attenuazione di raggi ß.
A tali apparecchi sono stati affiancati alcuni monitor per l'analisi in continuo degli idrocarburi
policiclici aromatici legati al particolato aerodisperso mediante fotoionizzazione selettiva, oltre ad
un monitor per la misura del grado di rimescolamento dei bassi strati dello strato limite planetario
(PBL) ed un monitor OPC (Optical Particle Counter) per il conteggio e la selezione dimensionale
delle particelle aerodisperse mediante scattering di luce laser.
Alla campagna “principale” sono state associate rilevazioni vento-selettive di microinquinanti
organici ed inorganici e rilevazioni di IPA e BaP svolte all’interno degli ambienti di lavoro della
cokeria.
La metodologia impiegata per le misure del particolato aerodisperso e del BaP è stata, inoltre,
validata con l’applicazione di uno specifico protocollo di qualità, riguardante sia le procedure
analitiche che di campionamento. I risultati ottenuti hanno messo in evidenza, in concomitanza ad
“eventi” corrispondenti a più alte concentrazioni di BaP, direzioni di provenienza del vento
dall’area dello stabilimento siderurgico. Inoltre, la concentrazione del BaP “sottovento” rispetto allo
stabilimento siderurgico è risultata, per la quasi totalità dei siti, superiore rispetto a quella
“sopravento”, con rapporti particolarmente elevati per i siti più vicini all’area dello stabilimento
siderurgico, in presenza di concentrazioni più alte di BaP nel particolato.
62
DIOXIN BIOACCUMULATION IN BOTTOM-MUSSELS FROM THE GULF OF
TARANTO (IONIAN SEA, ITALY) COLLECTED IN SEMIENCLOSED TRANSITIONAL
WATER BASINS NEAR URBAN AND INDUSTRIAL POLLUTION SOURCES
Vittorio Esposito, Annamaria Maffei, Luca Gigante, Donato Bruno, Maria Spartera,
Giorgio Assennato
ARPA PUGLIA, Via Anfiteatro 8, 74100 Taranto, Italy.
v.esposito@arpa.puglia.it
The mainland used by Taranto industrial area and the bottom of two semienclosed transitional water
basins, Mar Grande and Mar Piccolo, are part of one of the largest Italian remediation sites as listed
by national legislation aimed at the identification and rehabilitation of polluted areas. POPs
(dioxins, PCBs, PAHs, chlorinated pesticides) and heavy metals bioaccumulation studies in marine
organisms as molluscs and necto-bentonic species have been performed in several Italian
remediation sites as a preliminary assessment before sediment sampling and chemical analyses were
started. The magnitude (or lack) of bioaccumulation was then used to steer the sampling effort, in
both numerousness and array of chemical species analysed, towards the most critical areas as
identified by the more polluted molluscs. ARPA Puglia performed the duplicate laboratory analysis
for the determination of PCDD/Fs, dioxin-like PCBs, and total PCBs for 32 bottom-mussel samples
with the aim of assessing the health of the seabed in relation with the pollutants discharged into
local water basins by industrial, military an civil sources over the past decades and in order to
validate the results obtained by contract laboratories.
The Taranto area (Southern Italy) hosts several industrial facilities including thermal/combustion
processes with remarkably high raw materials and high energy demand and known potential
sources of PCDD/Fs and PCBs release to air, land, and water.3 These facilities include a large
integrated steel plant, a medium-sized oil refinery, a large cement-works, two power plants, and
three waste incinerators as well as a large naval base with military shipyards. Taranto is a relatively
large southern Italian city, the capital of the Province of Taranto and an important commercial port,
with a population of over two-hundred thousand inhabitants.
The magnitude of the environmental pressure on the Taranto marine environment is known to some
extent. Although there is some information on the potential impact of the measured environmental
levels of heavy metals on the food chain through molluscs reared in Taranto coastal area, scarce
data are available on presence of PCDD/F and dioxin-like PCBs in filter-feeding organisms at direct
or close proximity with polluted sediments, like bottom-mussels, despite the presence of numerous
rope-mussel culture installations.
PCDD/Fs concentrations ranged from 0.27 to 2.48 pgWHO-TE/g and the lowest values were found
for mussels collected in Mar Grande (mean 0,46 pgWHO-TE/g) while highest values were found
for mussels from Mar Piccolo (mean 2.21 pgWHO-TE/g). Dioxin-like PCBs ranged from 1.55 to
12.59 pgWHO-TE/g with lowest values found for mussels collected in Mart piccolo east-side (mean
2.25 pgWHO-TE/g) while highest values were found for mussels from west-side (mean 11.22
pgWHO-TE/g).
63
STUDIO DEI NITRO-IPA NEL PARTICOLATO ATMOSFERICO
Martino Amodio1, Eleonora Andriani1, Giorgio Assennato2, Paolo Rosario Dambruoso1,
Barbara .E. Daresta1, Gianluigi de Gennaro1, Alessia Di Gilio1, Roberto Giua 2,,
Antonello Laricchiuta1, Vincenzo Musolino3, Jolanda Palmisani1, Rossella Paolillo3, Livia Trizio1,
Maria Tutino1
1
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari
2
Arpa Puglia, Corso Trieste 27, 70126 Bari
3
Arpa Puglia, Via Galanti 16, 72100 Brindisi
giangi@chimica.uniba.it
Keywords: nitro-IPA, 2-nitro-fluorene, PM10, Taranto
Gli idrocarburi policiclici aromatici nitrati, nitro-IPA, rappresentano una classe di composti organici
caratterizzati dalla presenza di uno o più gruppi nitro sulla struttura degli idrocarburi policiclici
aromatici [1-2]. I nitro-IPA presenti in atmosfera possono essere di origine primaria oppure prodotti
in seguito a reazioni radicaliche tra IPA e agenti nitranti prodotti durante fenomeni di smog
fotochimico. Gli impianti di trattamento del carbone, le cokerie, le acciaierie, le fonderie, il
riscaldamento per uso domestico, la combustione di biomassa e gli scarichi autoveicolari, in
particolare dei motori diesel, rappresentano le principali sorgenti antropiche di nitro-IPA in
atmosfera [3]. Così come gli IPA, anche i composti nitrati sono da tempo oggetto di studio per il
loro impatto sulla salute dell'uomo [4-5]. Alcuni di essi sono stati classificati dalla International
Agency for Research on Cancer (IARC) in classe 2B: possibili cancerogeni per l’uomo e ancora
particolare attenzione è rivolta al 2-nitrofluorantene per il suo elevato potere mutageno. Al fine di
studiare il comportamento dei nitro-IPA in atmosfera in relazione alle diverse condizioni meteo, alla
tipologia delle sorgenti emissive e alla distanza dei recettori sensibile, è stata condotta una
campagna di monitoraggio di PM10 in 7 siti di campionamento posti a diversa distanza dall’area
industriale della città di Taranto. Lo scopo ultimo del lavoro è determinare l’impatto di questi
inquinanti sui siti recettori ed identificare eventuali marker di sorgente. Il campionamento delle
poveri PM10 è stato effettuato con campionatori basso volume SWAM bicanale (FAI Instruments
s.r.l.) su filtri da 47mm in fibra di quarzo. Contemporaneamente nei diversi siti è stata monitorata la
concentrazione oraria di IPA totale utilizzando un analizzatore in continuo (ECOCHEM PAS 2000)
e i principali parametri meteo. L’analisi dei campioni raccolti insieme ai dati meteo hanno mostrato
che alte concentrazioni di nitro-IPA si registrano quando la direzione del vento è tale da permettere
il trasporto degli inquinanti dall’area industriale sul sito sotto-vento. Inoltre lo studio delle
concentrazioni dei singoli nitro-IPA ha permesso di identificare il 2-nitro fluorene come possibile
marker delle emissioni industriali.
Bibliografia
[1] A. Cucinato et al., J Chromatogr. A, 846(1{2), 255-264 (1999).
[2] J. Schnelle et al., Chemosphere, 31 (4), 3119-3127 (1995).
[3] K. Levsen et al., Fresenius Z. Anal. Chem., 331, 467-478 (1988).
[4] K. Hayakawa et al., Chromatogr J. Sep. Detect. Sci., 20(1), 37-43 (1999).
[5] B. Beije et al., Mutat. Res. 196, 177-209 (1988).
64
ANALISI MODELLISTICA DI SOURCE APPORTIONMENT PER I
MACROINQUINANTI DELL’AREA TARANTINA
A. Morabito1, R. Giua1, A. Tanzarella1, S. Spagnolo1, T. Pastore1, M.Bevere1, E. Valentini1,
G. Assennato1 , G. Tinarelli2, G. Brusasca2
1
ARPA Puglia, Centro Regionale Aria
2
ARIANET , Milano
L’area tarantina è caratterizzata da emissioni in atmosfera di particolare rilievo per la presenza di
rilevanti e molteplici complessi industriali nonché dell’area portuale. I risultati di diverse campagne
di monitoraggio della qualità dell’aria, svolte da Arpa Puglia, hanno ormai accertato che l’area
suddetta presenta criticità in relazione a sostanze inquinanti, di cui è riconosciuta la dannosità per la
salute umana (benzo(a)Pirene, diossine e PM10). La stima delle emissioni, effettuata da Arpa Puglia
per il 2007 con la redazione dell’inventario regionale emissivo Inemar, ha evidenziato inoltre nel
comune di Taranto una presenza rilevante di inquinanti di origine primaria. Al fine di intraprendere
opportune azioni di risanamento, è stata effettuata una valutazione quantitativa del contributo di
diversi comparti emissivi sullo stato della qualità dell’aria (source apportionment) attraverso
l’ausilio di tecniche modellistiche tridimensionali avanzate. La simulazione annuale, condotta per il
2007 con la catena modellistica SWIFT-SURFPRO-SPRAY con una risoluzione target pari a 500m,
ha fornito l’impatto delle sostanze inquinanti primarie (benzene, PM10, PM2.5,ossidi di azoto e
anidride solforosa) sul territorio tarantino, emesse da un alto numero di sorgenti che afferiscono a
diversi comparti emissivi (sorgenti convogliate industriali, traffico, riscaldamento, attività portuali,
sorgenti fuggitive, sorgenti diffuse industriali). L’utilizzo del codice lagrangiano a particelle
SPRAY ha permesso in modo rapido e naturale di separare, identificare e calcolare l’apporto
quantitativo di tali comparti all’interno delle matrici di concentrazione relativamente ad ognuna
delle sostanze considerate. Il modello di dispersione è stato alimentato con i dati emissivi
dell’inventario Inemar, predisposto da Arpa Puglia per il 2007. La meteorologia sull’area di studio è
stata ricostruita con il codice meteorologico diagnostico SWIFT a partire dai campi meteorologici
tridimensionali MINNI 2007, disponibili ad una risoluzione orizzontale di 4 km su un dominio
spaziale che comprende l’Italia meridionale. La ricostruzione dei parametri turbolenti è avvenuta
con il modello micrometeorologico SURFPRO. La metodologia messa a punto ha consentito di
quantificare il contributo primario dei diversi comparti emissivi alle concentrazioni dei
macroinquinanti, misurate dalle postazioni di monitoraggio della qualità dell’aria.
La simulazione totale (somma di tutti i comparti emissivi), oltre ad individuare le aree
maggiormente esposte ai fenomeni di inquinamento primario caratterizzando le condizioni
meteorologiche più sfavorevoli, è stata utilizzata ai fini della verifica della conformità su base
annuale dello stato della qualità dell’aria.
65
INTERAZIONE DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO CON BATTERI, NEMATODI E
PIANTE
Barbara Elisabetta Daresta1,*, Gianluigi de Gennaro1, Massimo Trotta2, Pasqua Veronico3
1
Università degli Studi di Bari, Dipartimento di Chimica, Via E. Orabona 4, 70126 Bari
2
CNR, Istituto per i Processi Chimici e Fisici, Via E. Orabona 4, 70126 Bari
3
CNR, Istituto per la Protezione delle Piante, Via G. Amendola 122/D, 70126 Bari
barbara.daresta@chimica.uniba.it
Il particolato atmosferico (PM) è costituito da una miscela di particelle solide e liquide aventi
origine primaria e secondaria. La composizione chimica del PM varia notevolmente e dipende da
fattori quali le fonti di combustione, il clima, la stagione e il tipo di inquinamento. Il PM è costituito
da particelle di materiale carbonioso, da composti organici volatili o semi-volatili adsorbiti sulle
particelle carboniose, da ioni, metalli di transizione, materiali di origine biologica e minerali. Se
classificato in base alla sua granulometria, il PM è distinto in “coarse” e “fine” e le due frazioni
comprendono le particelle aventi rispettivamente diametro aerodinamico superiore e inferiore ai 2.5
µm (PM2.5). Il particolato fine ed ultrafine è quello maggiormente associato agli effetti negativi
sulla salute umana perché può raggiungere le vie respiratorie più profonde fino ad arrivare agli
alveoli polmonari, tuttavia non si può escludere la pericolosità delle particelle, caratterizzate da
diametro aerodinamico inferiore ai 10 µm (PM10). In generale gli effetti del PM sui diversi
organismi variano a seconda della concentrazione in atmosfera, delle loro caratteristiche fisicochimiche e dal tempo di esposizione degli organismi a tale inquinante.
In questo lavoro è stata studiata l’interazione del PM10 con tre differenti organismi. Estratti organici
di PM10 (EOM) e soluzioni standard di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) sono stati testati
sugli organismi modello Rhodobacter (R.) sphaeroides 2.4.1 e Caenorhabditis elegans. Campioni
di PM10 raccolti su filtri in fibra di quarzo sono stati utilizzati come supporto per la crescita di
piantine di pomodoro (Solanum lycopersicon). I risultati ottenuti indicano che gli effetti degli
estratti organici di particolato atmosferico sono fortemente dipendenti dal tipo di organismo che ad
essi viene esposto. Mentre il C. elegans subisce un effetto negativo, con una mortalità fino al 50% a
partire dal secondo stadio larvale (Liuzzi et al, 2012), l’esposizione di R. sphaeroides agli EOM non
mostra effetti dannosi, eccettuata una contenuta diminuzione della velocità di crescita. Le piante
esposte al particolato mostrano un evidente cambiamento nella morfologia dell’apparato radicale e
stress ossidativo rappresentato da un aumento del contenuto di radicali dell’ossigeno (ROS).
Liuzzi V.C., Daresta B.E., de Gennaro G., De Giorgi C. Different effects of polycyclic aromatic
hydrocarbons in artificial and in environmental mixture on the free living nematode C. elegans.
Journal of Applied Toxicology, 2012; 32: 45–50.
Lighty JS, Veranth JM, Sarofim AF. Combustion aerosols: factors governing their size and
composition and implications to human health. Review. Journal of Air and Waste Management
Association 2000; 50:1565–1618.
Liuzzi V.C., Daresta B.E., de Gennaro G., De Giorgi C. Different effects of polycyclic aromatic
hydrocarbons in artificial and in environmental mixture on the free living nematode C. elegans.
Journal of Applied Toxicology, 2012; 32: 45–50.
66
RILEVAZIONI VENTO-SELETTIVE NELL’ARIA AMBIENTE IN PUGLIA PER LO
STUDIO DELLE SORGENTI EMISSIVE DI MICROINQUINANTI ORGANICI E DI
METALLI
A. Nocioni4,*, L. Angiuli2, R. Barnaba4, P. Caprioli4, C. Colucci3, D. Calabrò3,
F. Catucci, A.M. D’Agnano4, V. Esposito3, S. Ficocelli3, R. Giua2, A. Maffei3, M. Manca4,
M. Menegotto3, V. Musolino4, R. Paolillo4, V. Rosito3, M. Spartera3, G. Assennato1
1
2
Direzione Generale Arpa Puglia, Bari, 70126
Direzione Scientifica Arpa Puglia, Bari, 70126
3
DAP Arpa Puglia, Taranto, 74100
4
DAP Arpa Puglia, Brindisi, 72100
Tel: 0831/536849,
a.nocioni@arpa.puglia.it
Keywords: Wind Select, Metalli, IPA, Diossine, PM10
A partire dal 2008, Arpa Puglia ha effettuato, sia nell’area tarantina che in quella brindisina, alcune
campagne di monitoraggio vento selettive in aria ambiente di microinquinanti organici
Policlorodibenzodiossine (PCDD) e Policlorodibenzofurani (PCDF), Idrocarburi Policiclici
Aromatici (IPA) e Policlorobifenili (PCB) mediante campionatori “Wind Select”; tali strumenti,
dotati di sensore di direzione del vento e di tre cartucce composte da filtro piano per materiale
particellare e adsorbente in schiuma di poliuretano (PUF), consentono di separare i volumi di aria in
funzione della direzione di provenienza e di catturare su diversi supporti i microinquinanti organici
provenienti da due differenti settori di vento ed in condizioni di calma di vento. Nell’ambito degli
studi sulle fonti emissive ricadenti nelle aree monitorate, sono stati ottenuti interessanti risultati
nell’area tarantina (Tamburi, Statte c/o Tecnomec, Masseria Carmine) dove sono state effettuate
alcune campagne di monitoraggio finalizzate a valutare i contributi di sorgenti industriali, nell’area
di Brindisi e della provincia (a Torchiarolo, sito industriale suburbano a pochi Km a Sud-SudEst
rispetto alla centrale di ENEL) dove sono state ripetute rilevazioni nella stagione estiva ed
invernale, per studiare i contributi delle emissioni da combustione di biomasse per riscaldamento
domestico, differenziandoli da quelli industriali. Altre campagne sono state svolte a Melpignano
(Lecce) e nell’area portuale del comune di Bari, al fine di determinare il contributo delle emissioni
del traffico navale. Nel corso dell’anno 2011, tali strumenti sono stati implementati con ulteriori
accessori che consentono di valutare le concentrazioni delle frazioni di materiale particolato PM10
e PM2.5 provenienti da diversi settori di vento e determinare, analiticamente, il relativo contenuto
dei metalli: il primo campionamento è stato svolto a Brindisi, in un’area industriale limitrofa alla
città, il secondo a Torchiarolo (BR), il terzo a Modugno (BA) in zona industriale/commerciale e il
quarto a Taranto, in un sito industriale; contemporaneamente a quest’ultimo, in altri due siti
limitrofi, sono state eseguite due campagne vento-selettive per microinquinanti organici.
La caratterizzazione chimica dell’aria ambiente campionata in modalità vento-selettiva ha
permesso, in alcuni casi, di identificare la provenienza degli inquinanti ricercati da determinate
sorgenti emissive.
I risultati degli studi effettuati dall’Agenzia sono resi pubblici sul sito www.arpa.puglia.it.
Ringraziamenti
Si ringrazia il dott. Antonio Fornaro di LabService Analytica s.r.l. per il supporto fornito nel corso
dei campionamenti.
67
SINGLE PARTICLE SEM-EDX ANALYSIS OF PARTICULATE MATTER IN THREE
DIFFERENT SITES
Alessandra Genga1, Federico Baglivi1, Maria Siciliano1, Tiziana Siciliano1, Carmela Tortorella2,
Domenico Aiello2
a
Dipartimento di Scienza dei Materiali, University of Salento, via per Arnesano, 73100 Lecce, Italy.
b
Enel Ingegneria ed Innovazione - Area Tecnica Ricerca - Litoranea S.na Brindisi Casalabate Località Cerano - Tuturano (Br), Italy.
alessandra.genga@unisalento.it
The undeniable effect of the presence of particulates in the atmosphere is the increasing
number of people affected by problems of the respiratory and cardiovascular. Epidemiological
studies have shown an the associations between levels of particulate matter and respiratory and
cardiovascular disease mortality in the short and long term exposure.
The biological mechanisms are not yet been clarified and especially remains to be defined
which parameters are more biologically relevant, for example the size fraction, the number or mass
of the particles, the chemical composition of the same.
The use of a scanning electron microscope has permitted the investigation of morphological
and chemical parameters of the particles. In fact, the simultaneous characterization of both physicalchemical, morphological and dimensional parameters of a complex mixture of organic and
inorganic particulate is one of the major aspects for the characterization and identification of
emission sources which contribute to the concentration of particulate matter in the atmosphere
(Contini et all. , 2010). The particles collected on filters, used for the sampling of urban air, have a
large number of shapes and sizes (Ebert, Inerle-Hof, & Weinbruch, 2002; Ebert, Weinbruch,
Hoffmann, & Ortner, 2004; Shi et al. 2003; Willis , Blanchard, and Conner, 2002). Disregarding
this morphological and dimensional variety, the effects of many processes may not adequately
considering , such as the absorption of volatile molecules of pollutants and water, the chemical
reactivity and the origin of the particles.
Morpho-chemical characterisation of particles was performed by ESEM - EDS microanalysis:
20 chemical parameters (C, O, Na, Mg, Al, Si, P, Cd, Cl, K, Ca, Sn, Ti, Cr, Mn, Fe, Co, Ni, Cu, Zn)
were determined and 7 morphological parameters (area, aspect ratio, roundness, fractal dimension,
box width, box height, perimeter) were measured by Image Pro Analyzer 6.3.
A chemical and morphological characterization of particulate matter belonging to three sites
was carried out: an urban site, a rural site and an industrial yard site. The particles were clustered
according to their composition and. It has been made then a characterization of the three sites based
on distribution of these clusters.
References
1) Contini et all. 2010
2) Ebert, Inerle-Hof, & Weinbruch, 2002;
3) Ebert, Weinbruch, Hoffmann, & Ortner, 2004;
4) Shi et al. 2003;
5) Willis, Blanchard, e Conner, 2002
68
IMPATTI DELLE COMBUSTIONI DI BIOMASSE IN AMBIENTI
INDOOR E OUTDOOR
Eleonora Andriani, Paolo Rosario Dambruoso, Gianluigi de Gennaro,
Annamaria De Marinis Loiotile, Alessia Di Gilio, Valerio Di Palma, Annalisa Marzocca,
Antonio Mazzone, Jolanda Palmisani, Francesca Porcelli, Maria Tutino
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari di Bari, via Orabona, 4, 70126 Bari
gianluigi.degennaro@uniba.it
Parole chiave: Combustione di biomassa, Indoor, Outdoor, Materiale particellare
Studi epidemiologici dimostrano che la combustione di biomassa determina l’emissione in aria di
particelle fini e ultrafini in grado di raggiungere le vie aeree più profonde e di determinare effetti
negativi sulla salute umana [1].
La combustione degli scarti della potatura degli alberi di ulivo è una pratica comune nelle aree
rurali del Sud Italia e la prossimità delle zone rurali alle aree urbane determina una maggiore
esposizione stagionale della popolazione agli inquinanti atmosferici. E’ crescente inoltre l’interesse
della comunità scientifica nei confronti dei fenomeni di inquinamento indoor connessi alla
combustione delle biomasse [2], come ad esempio l’utilizzo di stufe e caminetti.
Il presente lavoro si pone come principale obiettivo un’attenta valutazione dell’impatto della
sorgente emissiva “biomass burning” sui livelli e sulla composizione chimica del materiale
particellare in ambienti indoor ed outdoor.
Nell’ambito di due campagne di monitoraggio effettuate in un sito rurale interessato da un’attività
di combustione di scarti di potature, sono stati collezionati campioni giornalieri di PM10 mediante
l’ausilio di un campionatore alto volume (Tisch Environmental). Durante le campagne di
monitoraggio sono stati raccolti campioni di PM10 inducendo e controllando la combustione degli
scarti di potatura per circa tre ore al giorno.
Il campionamento di PM10 è stato inoltre condotto in abitazioni con caminetti di differente
tipologia (aperti, chiusi, termo camini) utilizzando un campionatore sequenziale (campionamenti di
12 ore).
Al fine di studiare le distribuzioni dimensionali delle particelle prodotte durante gli eventi di
combustione di biomassa e comprendere l’evoluzione temporale dei diversi inquinanti, è stata
utilizzata strumentazione ad alta definizione temporale. In particolare, per entrambi gli studi sono
state determinate la concentrazione numerica delle particelle e la concentrazione totale degli
Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) attraverso l’uso di un Contatore Ottico di Particelle (OPC) e
di un analizzatore di IPA (EcochemPas 2000), rispettivamente. La caratterizzazione chimica dei
campioni di PM10 è stata effettuata al fine di determinare quantitativamente ioni, elementi e IPA e
l’analisi preliminare dei dati sperimentali raccolti ha messo in evidenza l’importanza di alcuni
traccianti organici ed inorganici nell’interpretazione dell’influenza della sorgente emissiva
“biomass burning” sulle concentrazioni atmosferiche di PM10.
Riferimenti bibliografici:
1) Nadadur, S.S et al, Toxicol. Sci. 318-327, 100(2007).
2) Gehin, E., et al, Atmospheric Environment, 42, 8341–8352(2008).
69
SOLVAL® UNA REALTA’ INDUSTRIALE CONSOLIDATA PER IL RECUPERO DEI
RESIDUI SODICI DAL TRATTAMENTO FUMI.
Franco Bertocchi
Solvay Valorizzazione Alcali – SOLVAL S.p.A. via Aurelia 247, 57013 Rosignano Solvay (LI)
franco.bertocchi@solvay.com
La protezione dell’ambiente e, più specificatamente, la preservazione della qualità dell’aria
rappresentano oggi una priorità sia per la salute umana che per la salvaguardia sociale.
Il controllo della qualità dell’aria attraverso il monitoraggio delle emissioni gassose in atmosfera
rappresentano una delle sfide più impegnative per la nostra società, le autorità pubbliche e le
aziende che svolgono attività industriali. In questo contesto, le aziende debbono soddisfare i
requisiti sempre più impegnativi che le norme impongono per le emissioni gassose di origine
industriale
Nel più specifico contesto della gestione dei rifiuti, la legislazione Europea spinge sempre di più
ad incrementare gli sforzi nel senso di minimizzare l’impatto ambientale indotto dai rifiuti generati
da qualsiasi prodotto/processo produttivo, attraverso il loro riciclaggio o recupero.
Il processo NEUTREC®, sviluppato da SOLVAY, rappresenta una semplice ed efficiente
tecnologia basata sull’iniezione di bicarbonato di sodio finemente macinato direttamente nelle
emissioni gassose che debbono essere purificate.
Il bicarbonato di sodio, grazie alla struttura fisico-chimica dei grani che lo compongono,
neutralizza efficacemente le componenti acide (acido cloridrico, SOx, acido fluoridrico etc.) tipiche
dei fumi da combustione. Questo processo genera un rifiuto, i Prodotti Sodici Residui (PSR), che in
alcuni contesti industriali possono essere direttamente riciclati all’interno dei cicli produttivi che li
hanno originati, in altri casi si deve provvedere al loro smaltimento o recupero esternamente ai cicli
produttivi di origine.
Nel caso d’inceneritori di rifiuti urbani o ospedalieri, laddove sia utilizzato un doppio sistema di
filtrazione dei fumi, i PSR raccolti nel secondo filtro sono costituiti principalmente da sali di sodio
nelle forme cloruro, solfato e carbonato. Contengono inoltre altri contaminanti, costituiti
essenzialmente da residuali quantità di ceneri volanti non trattenute dalla prima fase di filtrazione,
carbone attivo e metalli pesanti. Questa tipologia di rifiuti non può essere riciclata all’interno del
processo che li ha generati e deve quindi essere smaltita o recuperata in altro modo.
Solvay ha sviluppato, brevettato ed industrializzato una nuova tecnologia - il processo
SOLVAL® - come parte complementare del processo NEUTREC®: i PSR sono recuperati
producendo una salamoia concentrata di tale purezza che viene utilizzata nel classico processo
Solvay di produzione del carbonato di sodio, in sostituzione di una delle materie prime basilari che
costituiscono questa tecnologia.
Nel processo SOLVAL® i PSR sono disciolti in acqua a pH controllato, sono aggiunti opportuni
additivi, e la sospensione è filtrata per filtropressatura, separando così la componente solubile da
quella insolubile, costituita essenzialmente da metalli pesanti precipitati in varie forme, carbone
attivo e ceneri volanti. Si ottengono così una salamoia grezza ed un rifiuto ultimo solido.
La salamoia è sottoposta ad un ulteriore trattamento di raffinazione su carboni attivi granulari,
mirato alla rimozione di eventuali tracce di sostanze organiche disciolte, ed un passaggio finale su
colonne a resine scambiatrici di ioni per un più spinto abbattimento di metalli pesanti in tracce. La
salamoia risultante da questo trattamento di ulteriore purificazione rappresenta il prodotto finito del
processo SOLVAL® ed al contempo la materia prima destinata ad essere utilizzata nel processo
Solvay di produzione del carbonato di sodio.
Il rifiuto prodotto dalla filtropressatura è smaltito in apposite discariche autorizzate e se ne
produce mediamente in ragione di 1 – 3 kg per tonnellata di rifiuto urbano incenerito. L’impianto
70
SOLVAL® non produce effluenti liquidi: qualsiasi fluido derivante da fasi di lavaggio o
rigenerazione è intermante riciclato all’interno del processo.
La tecnologia qui descritta è realizzata a livello industriale nell’impianto situato a Rosignano
Solvay (LI), di proprietà di SOLVAY VALORIZZAZIONE ALCALI - SOLVAL S.p.A, società
appartenente al Gruppo SOLVAY.
L’elevato grado di eco compatibilità del processo SOLVAL® è riassumibile in almeno i seguenti
aspetti:
- elevato tasso di recupero: la componente del PSR recuperate è costtuita dalla loro
porzione solubile, che rappresenta mediamente il 90-95% del rifiuto tal quale;
- l’impiego industriale dei PSR così recuperati in sostituzione di una materia prima,
produce una corrispondente riduzione dello sfruttamento di quelle risorse naturali
usualmente impiegate per produrre tale materia prima;
- elevato tasso di riduzione dei rifiuti destinati a smaltimento: il rifiuto finale derivante dal
processo SOLVAL® rappresenta mediamente il 10 – 20% in peso dei PSR trattati;
- la collocazione geografica del’impianto SOLVAL®, baricentrica rispetto al territorio
nazionale, contribuisce ad ottimizzare gli aspetti logistici, in termini sia di riduzione dei
chilometraggi medi di trasporto che di corrispondente riduzione delle emissioni di CO2.
71
VOLATILE SILOXANES IN THE ATMOSPHERE:
EMERGING CHALLENGES, ASSESSING SOURCES, SPATIAL DISTRIBUTION AND
AIR QUALITY
Francesca Pieri1, Alessandra Cincinelli1,2, Tania Martellini1, Kevin C. Jones2, Andy Sweetman2
1
Dipartimento di Chimica “Ugo Schiff”, Università di Firenze, Via della Lastruccia 3, 50019 Sesto
Fiorentino (FI)
2
Lancaster Environment Centre, Lancaster University, Lancaster, LA1 4YQ, U.K.
francesca.pieri@unifi.it
Cyclic and linear volatile methyl siloxanes are widely used in personal care products, cosmetics and
industrial applications (biomedical products, surface treatment agents, plasticizers and construction
materials). These compounds are of environmental concern due to their volatility, persistence and
tendency to bioaccumulate.
The purpose of this study was to investigate their occurrence and distribution in indoor air,
including domestic (bathrooms, living rooms, boys-girls-adult rooms) and non domestic
(supermarkets, offices, schools, waste disposal centre) environments, as well as outdoor air
environments. An extensive air sampling campaign was performed contemporarily in the UK and
Italy during 2011. Indoor air samples (n  100) were collected on adsorption Tenax GR cartridges,
using conventional portable air sampling pumps. Sampling cartridges were desorbed using the
Automatic Thermal Desorber UNITY2 coupled to a GC/MS-system.
In addition, to investigate the global distribution of linear and cyclic volatile methyl siloxanes, 85
sorbent-impregnated polyurethane foam (SIP) disk passive air samplers were deployed at 18 sites
worldwide, along a rural/remote latitudinal transect from Portugal to Norway and extracted in
soxhlet.
Source evaluation was also investigated by Compound Specific Isotope Analysis (CSIA). Source
identification of siloxanes, using isotopic signatures assumes that the compound specific isotope
composition is subject to less chemical and biological alteration than traditional molecular
compositions. CSIA quantifies isotopic composition and hence provides additional and often unique
means to allocate and distinguish sources of siloxanes, and identify and quantify transformation
reactions.
72
MODIFICA DELLA COMPOSIZIONE CHIMICA DEL PM FINE DA OUTDOOR A
INDOOR: SORGENTI INDOOR (BPA) E PERDITA DEI SEMI-VOLATILI (IPA E IONI
INORGANICI)
Giorgia Sangiorgi1, Luca Ferrero1, Barbara Sara Ferrini1, Claudia Lo Porto1, Maria Grazia Perrone1,
Roberta Zangrando2, Andrea Gambaro2,3, Zelda Lazzati4, Ezio Bolzacchini1
1
Dipartimento di Scienze Ambientali, Università degli Studi di Milano - Bicocca, piazza della
Scienza 1, 20126, Milano
2
Istituto per le Dinamiche dei Processi Ambientali - CNR, Dorsoduro, 2137, 30123 Venezia
3
Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, Università di Venezia, Ca’ Foscari,
30123 Venezia
4
Public Health Laboratory – Environmental Health and Water Chemistry, Local Public Health
Unit USL 2, piazza Aldo Moro, 55012 Capannori, Lucca
giorgia.sangiorgi1@unimib.it
Negli ultimi anni, sono stati fatti molti sforzi per determinare la qualità dell’aria indoor, ma poca
attenzione è stata rivolta agli uffici, nonostante siano gli ambienti dove molte persone trascorrono la
maggior parte del proprio tempo lavorativo. L’obiettivo dello studio è stato valutare il livello di PM
fine in alcuni uffici di Milano e nel corrispondente ambiente outdoor. Sono stati selezionati uffici
caratterizzati dall’assenza di importanti sorgenti indoor di PM, quali fumo di sigaretta e impianti di
condizionamento dell’aria. Durante due campagne di misura (ago-ott 2007, gen-mar 2008), sono
stati raccolti campioni di PM1 e PM2.5, poi analizzati per determinare la concentrazione di
composti con potenziale effetto negativo (diretto o indiretto) sulla salute umana: BpA, IPA e ioni
inorganici solubili in acqua. Si è osservata una buona correlazione tra concentrazioni di PM indoor
e outdoor (R2~0.87). Inoltre, il livello indoor di PM è risultato sempre minore rispetto all’outdoor
(max I/O = 0.92). Dalla regressione lineare tra le concentrazioni outdoor e indoor si è ricavato un
fattore d’infiltrazione, FINF, medio di 0.55, indicando che circa la metà del PM outdoor (~ 18
µg/m3) è entrato nell’ambiente indoor. Quindi, per gli uffici in studio, l’ambiente outdoor è una
forte sorgente di PM indoor. La concentrazione di particolato generato da sorgenti indoor, Cig,
invece è risultata molto bassa, con valori da 0 a 4.4 µg/m3 (<25% della concentrazione del PM
indoor), confermando il piccolo contributo delle sorgenti indoor di PM per gli ambienti selezionati.
L’analisi della regressione lineare tra la concentrazione indoor e outdoor delle specie chimiche
analizzate nel PM ha dimostrato che non erano presenti negli uffici efficaci sorgenti di queste
molecole (Cig <25% della concentrazione indoor). Unica eccezione è rappresentata dal BpA, per il
quale si ha Cig~58%. Possibili sorgenti di questa specie negli uffici sono le componenti elettroniche
dei computer (Salapasidou et al. 2011). L’analisi dei valori di FINF permette di dimostrare la
presenza di un effetto di perdita per volatilizzazione dalla fase particolata alla fase gassosa dei
composti semi-volatili organici (IPA a 4-5 anelli) e inorganici (nitrato d’ammonio). Per tenere conto
di questo fenomeno viene suggerita l’introduzione di un nuovo parametro, chiamato volatilization
effect vc, da inserire nell’equazione di regressione lineare tra concentrazione outdoor e indoor del
PM.
Salapasidou M., Samara C., Voutsa D. (2011) Atmos. Environ. 45(22), 3720-3729.
73
APPLICAZIONE DI UN APPROCCIO INTEGRATO PER LA VALUTAZIONE DELLE
EMISSIONI ODORIGENE DI UN IMPIANTO DI ESTRAZIONE E LAVORAZIONE DI
PETROLIO GREGGIO
Magda Brattoli, Simona Catino, Paolo Dambruoso, Gianluigi de Gennaro,
Annamaria Demarinis Loiotile, Stefania Petraccone
Dipartimento di Chimica – Università degli Studi di Bari “A. Moro”, via Orabona, 4 70126 Bari
m.brattoli@chimica.uniba.it
La valutazione di un caso di molestia olfattiva richiede l’impiego di differenti metodologie che,
opportunamente integrate, possono contribuire a comprendere in maniera efficace la problematica,
che si caratterizza per la sua notevole complessità. Il presente lavoro ha focalizzato l’attenzione
sullo studio delle emissioni odorigene di un impianto di estrazione e lavorazione greggio.
L’obiettivo è stato quello di verificare, con approcci metodologici oggettivi, la reale entità della
molestia olfattiva nonché di identificare un metodo oggettivo in grado di rilevare, in continuo, la
percezione dell’odore.
Per la particolare natura delle miscele odorigene, è necessario impiegare metodi e parametri di
misura differenti da quelli utilizzati per gli altri inquinanti atmosferici e passare da un approccio più
rigorosamente analitico ad uno sensoriale.
Infatti, per questo specifico studio, sono state effettuate misurazioni puntuali in aria ambiente,
attraverso la metodologia ufficiale per la determinazione delle concentrazioni di odore,
l’olfattometria dinamica (standardizzata dalla norma tecnica UNIEN 13725/2004), e misurazioni in
continuo attraverso l’impiego di un naso elettronico, installato presso il recettore. A supporto delle
determinazioni strumentali, è stata coinvolta direttamente la popolazione residente nei dintorni
dell’impianto attraverso la somministrazione di questionari per il rilevamento del disturbo olfattivo
con lo scopo di segnalare gli episodi di molestia e la loro durata.
Sia i risultati olfattometrici sia quelli ottenuti attraverso naso elettronico hanno evidenziato episodi
significativi di emissione odorigena in aria ambiente. L’attribuzione di tali eventi alla sorgente è
stata verificata attraverso l’analisi delle direzioni del vento, registrate in fase di campionamento.
Dall’analisi integrata dei risultati sono emerse corrispondenze tra segnale strumentale, direzioni del
vento e segnalazioni dei residenti. In conclusione, l’approccio integrato utilizzato nel presente
lavoro si è dimostrato particolarmente adatto per la comprensione del fenomeno complessivo con
particolare riguardo per l’implementazione del sistema di monitoraggio in continuo, indispensabile
per la tipologia di sorgente, non caratterizzata da emissioni regolari nel tempo.
Bibliografia
[1] EN13725: Air Quality—Determination of Odour Concentration by Dynamic Olfactometry;
Committee for European Normalization (CEN), Brussels, Belgium, 2003.
[2] Brattoli, M.; de Gennaro, G.; De Pinto, V.; Demarinis Loiotile, A.; Lovascio, S.; Penza, M.
Odour Detection Methods: Olfactometry and Chemical Sensors. Sensors 2011, vol. 11, pag. 52905322.
[3] Walker, J.C. The performance of the human nose in odour measurement. Water & Science
Technology, 2001Vol. 44, No. 9, pp. 1-7
74
UTILIZZO DEGLI ISOTOPI STABILI DEL CARBONIO E DELL'AZOTO NEL
PARTICELLATO ORGANICO IN UN AMBIENTE DI TRANSIZIONE (LAGUNA DI
VENEZIA)
Daniela Berto1, Federico Rampazzo1, Seta Noventa1, Federica Cacciatore1,
Rossella Boscolo Brusà1, Massimo Gabellini2
1
ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, Brondolo, 30015 Chioggia
ISPRA - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, via Vitaliano Brancati 48,
Roma 00144
daniela.berto@isprambiente.it
2
L'analisi dei rapporti degli isotopi stabili del carbonio e dell'azoto è una promettente tecnica
analitica ampiamente utilizzata in studi ecologici (reti trofiche), in campo ambientale e nel settore
alimentare. Le variazioni stagionali e spaziali rapporti isotopici stabili del carbonio e dell'azoto
(δ13C e δ15N) permettono di identificare le possibili fonti, alloctone (input terrestri e antropici) e
autoctone (produzione primaria fitoplantonica, microfitobentonica e produzione chemioautotrofa),
che entrano in sistemi ecologici complessi, quali gli ambienti di transizione, soggetti ad apporti di
diversa natura. L'utilizzo del δ13C e del δ15N nel particellato organico (POC), integra inoltre
l'informazione relativa ai processi biogeochimici, quali la produzione primaria e i cicli dei nutrienti,
che si verificano negli ambienti acquatici.
Lo scopo del presente lavoro è stato di valutare δ13C e δ15N nel POC in Laguna di Venezia. Il
campionamento della colonna d'acqua è stato eseguito stagionalmente da febbraio 2011 a febbraio
2012 in 30 stazioni della Laguna di Venezia, appartenenti alla rete di monitoraggio istituita per la
Direttiva 2000/60/CE. Oltre alle analisi del particellato (POC, δ13C, δ15N e rapporto molare C/N)
sono stati determinati anche i nutrienti (nitriti, nitrati, ammoniaca, ortofosfati) e il carbonio organico
disciolto.
I risultati evidenziano l'influenza sia di fonti autoctone che alloctone in tutte le stazioni della laguna.
Tuttavia, in autunno, valori di δ13C più negativi e rapporti molari C/N più alti, potrebbero indicare
una maggiore influenza delle fonti alloctone causata dall'aumento degli apporti di acque dolci dalla
gronda.
Sono state osservate, inoltre, fluttuazioni stagionali di δ15N con arricchimento dell'isotopo pesante
(15N) nei periodi primaverili ed estivi, e una diminuzione dei valori δ15N nei periodi autunnali e
invernali.
Diversi processi, quali la fissazione dell'azoto e il riciclo dei nutrienti, potrebbero spiegare i bassi
valori di δ15N, anche se non si esclude un possibile contributo stagionale di fonti alloctone, in
particolar modo nelle stazioni più confinate e a minor salinità. I risultati ottenuti in questo studio
evidenziano che l'utilizzo dei rapporti isotopici del carbonio e dell'azoto rappresenta un approccio
alternativo rispetto alla determinazione dei parametri chimico-fisici classici, sia per tracciare e
discriminare tra i differenti apporti, sia per lo studio dei processi biogeochimici in ecosistemi
complessi come gli ambienti di transizione.
75
UTILIZZO DEGLI ORGANISMI MARINI NEL MONITORAGGIO AMBIENTALE DI
AREE MARINO COSTIERE:
UN ESEMPIO DAL MAR PICCOLO DI TARANTO
Manuela Belmonte1, Antonella Di Leo1, Fabrizio Frontalini2, Santina Giandomenico1,
Mattia Greco2, Lucia Spada1, Luciana Ferraro3, Fernando Rubino1
1
Istituto per l’Ambiente Marino Costiero (IAMC) – CNR, U.O.S. Talassografico “A. Cerruti”,
Taranto
2
Dipartimento di Scienze della Terra, della Vita e dell’Ambiente, Università di Urbino
3
Istituto per l’Ambiente Marino Costiero (IAMC) – CNR, Sede di Napoli
rubino@iamc.cnr.it
Negli ultimi decenni innumerevoli perturbazioni hanno condizionato l'ecosistema marino
causandone una degradazione sempre più allarmante, così come dimostrano anche i cambiamenti
nella biodiversità causati, direttamente o indirettamente, da attività antropiche. Per tale motivo
l’attenzione ai problemi ambientali si è notevolmente accresciuta e la ricerca di nuove metodologie
e tecniche per il monitoraggio degli ecosistemi marini si è fatta più attiva ed accurata. In generale le
aree costiere e gli ambienti di transizione sono le zone più esposte a stress legati ad attività umane,
che si ripercuotono soprattutto sulle comunità bentoniche alterando i parametri strutturali quali
densità e diversità, che costituiscono elementi da cui è possibile ricavare informazioni sullo stato di
salute di un sito nel lungo periodo.
Tra gli organismi bentonici i foraminiferi rappresentano un gruppo di protozoi ampiamente diffusi
in tutti gli ambienti marini e salmastri e da molti anni vengono utilizzati in studi sulla valutazione
della qualità ambientale di aree sottoposte ad intensa attività antropica. Questi organismi, vivendo
in corrispondenza dell’interfaccia acqua-sedimento o pochi centimetri al di sotto, sono molto
sensibili alla variazione, sia per cause naturali che antropiche, delle variabili fisico-chimiche
ambientali (salinità, temperatura, ossigenazione, etc.). Tali variazioni influenzano sia la
distribuzione che la struttura delle associazioni a foraminiferi, con la dominanza di poche specie
opportuniste o la manifestazione in singoli individui di anomalie morfologiche e di taglia,
soprattutto in aree soggette ad elevato stress ambientale.
D’altra parte, la scoperta che molte specie planctoniche producono stadi dormienti che cadono verso
il fondo del mare dove aspettano la successiva stagione favorevole, permette di utilizzare anche
questi organismi, alla base della catena alimentare nel mare, quali bioindicatori di quanto avviene
nella colonna dacqua.
In questa maniera, il campionamento dei sedimenti di un’area marina costiera, permette di
monitorare le risposte sia del microplancton che del microbenthos a possibili eventi di disturbo
dell’equilibrio dell’ecosistema.
In questo lavoro viene illustrato uno studio pilota condotto nel Mar Piccolo di Taranto, sito di
bonifica di interesse nazionale, attraverso il prelievo di sedimenti superficiali in 10 stazioni per
ciascun bacino (primo e secondo seno). I campioni sono stati analizzati allo scopo di definire sia le
correlazioni tra le associazioni viventi a foraminiferi bentonici, gli stadi dormienti del plancton e la
contaminazione dei sedimenti, sia l’utilizzo di questi organismi come bioindicatori del livello dello
stress ambientale.
76
INFLUENZA DEL CLIMA, DELLA CIRCOLAZIONE ATMOSFERICA E DEI
TRASPORTI ESTERNI SUL PARTICOLATO: DUE METODOLOGIE
CHEMOMETRICHE A CONFRONTO
Mauro Masiol, Stefania Squizzato, Giancarlo Rampazzo, Bruno Pavoni
Dip. Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, Università Ca’ Foscari Venezia, Dorsoduro
2137, 30123 Venezia.
masiol@unive.it
La Pianura Padana presenta tra i più alti livelli di inquinanti atmosferici di tutta Europa, con livelli
che eccedono frequentemente i limiti imposti dalle Direttive Comunitarie. Le cause di questi alti
livelli di inquinanti sono da attribuire all’elevata urbanizzazione ed industrializzazione del territorio,
ma soprattutto alle peculiari condizioni orografiche che favoriscono la stagnazione delle masse
d’aria limitandone la dispersione.
L’area veneziana si trova in una posizione ideale per studiare gli effetti della circolazione
atmosferica locale e dei trasporti a scala regionale, poiché presenta scenari emissivi comuni ad altre
grandi città del Nord Italia ed è situata tra la Pianura Padana ed il Mare Adriatico. Le fonti locali di
inquinamento sono rappresentate da zone residenziali ad alta densità (~270000 abitanti), strade ed
autostrade fortemente trafficate, l’estesa area industriale di Porto Marghera (che include impianti
petrolchimici, inceneritori di rifiuti solidi urbani, una centrale termoelettrica a carbone, industrie
metallurgiche, ecc.), il distretto del vetro artistico di Murano ed un inteso traffico marittimo dovuto
a trasporti pubblici, imbarcazioni private, un porto turistico ed uno commerciale.
Recentemente, alcuni studi condotti nell’area veneziana hanno permesso di individuare e
quantificare le sorgenti di emissione più importanti, mettendo in luce sia l’influenza dei fenomeni di
generazione locali che il ruolo dei trasporti esterni a scala continentale e regionale [1,2].
Questo contributo presenta i risultati di uno studio sul particolato atmosferico fine (PM 2.5) condotto
in un sito industriale a Marghera. Le analisi hanno permesso di determinare quantitativamente la
massa del particolato con il metodo gravimetrico, 6 ioni inorganici maggiori (Cl–, NO3–,SO42–, Na+,
NH4+, Mg2+) in cromatografia ionica, 15 elementi (Mg, Al, Ca, K, Ti, V, Mn, Fe, Ni, Cu, Zn, As,
Cd, Ba e Pb) in ICP-OES e ICP-MS e 11 congeneri di idrocarburi policiclici aromatici (Fluor, Pyr,
BaA, Chry, BbF, BkF, BeP, BaP, IcdP, DBahA e BghiP) in GC-MS.
L’applicazione di un modello a recettore ha permesso di individuare le sorgenti di emissione più
importanti e di stimarne i contributi sulla massa del particolato. La successiva applicazione di due
metodologie chemiometriche recentemente sviluppate [1,3] ha permesso di determinare l’influenza
dei trasporti a scala regionale e continentale sulle varie sorgenti di particolato, di individuare la
composizione chimica del fondo locale e di studiare il ruolo di alcuni parametri micrometeorologici sulla chimica dell’aerosol.
[1] Masiol M. et al., Chemosphere 80 (2010) 771
[2] Squizzato S. et al. J. Aerosol Sci. 46 (2012) 64
[3] Masiol M. et al., Atmos. Environ. 54 (2012) 127
77
CHE IMPORTANZA VIENE DATA AGLI INSEGNAMENTI DEL SSD CHIM/12
NELLA FORMAZIONE DI SCIENZIATI DELLA CONSERVAZIONE, CONSERVATORI
E RESTAURATORI
Antonella Casoli
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Parma, viale G.P. Usberti 17/a; 43121 Parma
antonella.casoli@unipr.it
Vengono presi in esame: i corsi di laurea triennali, attivi negli Atenei italiani, delle classi L-1 Beni
culturali e L-43 -Tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali, i corsi di laurea
magistrale della classe LM-11 - Scienze per la conservazione dei beni culturali. Particolare
attenzione verrà rivolta alle nuove istituzioni formative accreditate allo svolgimento dei corsi di
formazione dei restauratori, impiegando la classe di laurea a ciclo unico LMR/02 - Conservazione e
restauro dei beni culturali.
Da questa indagine si vuole mettere in evidenza la presenza degli insegnamenti del settore
scientifico disciplinare CHIM/12 – Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali nella offerta
formativa degli atenei italiani e delle istituzioni accreditate.
78
ELEMENTAL AND ISOTOPIC CHARACTERIZATION OF WAR RESIDEUS DATING
BACK TO THE FIRST WORLD WAR
Veronica Ros 1, Vittoria Laterza 2,3, Clara Turetta 4, Jacopo Gabrieli 4, Warren Cairns 4,
Eleonora Balliana 1, Carlo Baroni3, Aldino Bondesan2, Carlo Barbante 1,4
1
Department of Environmental Sciences, Informatics and Statistics, University Ca’ Foscari of
Venice, Via Torino 155/b, 30175 Mestre (VE),
2
Geography Department, University of Padua
3
Earth Science Department, University of Pisa
4
Institute for the Dynamics of the Environmental Processes – National Research
Council (IDPA-CNR), Venice
eleonora.balliana@unive.it
A comparison of the elemental and isotopic composition of bullets and projectiles from old conflicts
could give useful information for forensic science and archaeometry.
Projectiles, bullets, cartridge cases and Pb artillery shots, dated back to the First World War, were
analysed by inductively coupled plasma quadrupole mass spectrometry equipped with an octopole
reaction system (ORS-ICP-QMS) to determine both the trace elemental composition and the Pb
isotope ratios. Multivariate statistical analysis techniques were applied to the dataset to evaluate the
different origins and characteristic of the war residues.
The core of rifle bullets of Italian and Austro-Hungarian origin is characterized by high levels of Li,
Sr, Cd, Ga and Ba compared to Russian, German and British bullets which all show higher
concentrations of Ag and Mo. The origin of the bullet cores cannot be discriminated through the
study of Pb isotopic ratios, while the external jacketing of Italian and Austro-Hungarian samples are
well discriminated. This could mean that while the bullet cores were made using seized or salvaged
war materials, the external jacket, which represents the most important part of a bullet, is principally
made higher quality materials using non re-cycled metal from definite sources. Moreover, the
external armoured jacket is different depending on the weapon type and is nation specific.
Similarly, the Pb isotope ratios of Italian and Austrian artillery lead shots (shrapnels) differ
significantly, allowing a good discrimination between these two groups.
The elemental and isotopic characterization of bullets and projectiles dating back to the First War
World provides important information on the allocation of war materials in terms of country of
provenance, production period and weapon typology.
79
IL RUOLO DEGLI INQUINANTI AMBIENTALI SUL DEGRADO DELLE VERNICI
PITTORICHE DI DIPINTI CONSERVATI IN CORNICI MICROCLIMATICHE
Francesca Di Girolamo1, Ilaria Bonduce1, Maria Perla Colombini1, Terje Grøntoft2,
Susana Lopez-Aparicio2, Marianne Odlyha3, Mikkel Sharff4
1
Dipartimento di Chimica e Chimica Industriale, Università di Pisa, via Risorgimento 35, 56126
Pisa
2
Norwegian Institute for Air Research (NILU), P.O.box 100, NO-2027 Kjeller, Norway.
3
Birkbeck College, Malet St. Bloomsbury, London WC1E 7HX, UK
4
Danish School of Conservation, Royal Danish Academy of fine arts (RDAFA.SC), Esplanaden 34,
DK 1263 Copenhagen K, Denmark
francesca.digirolamo@ns.dcci.unipi.it
Per valutare lo stato di conservazione di dipinti conservati in cornici microclimatiche in ambienti
museali, durante le fasi di immagazzinamento ed esposizione, è stato effettuato uno studio
dell’azione degradante degli inquinanti presenti in ambienti chiusi sulle vernici pittoriche a base di
mastice e dammar. Dammar e mastice sono due resine comunemente usate per la preparazione delle
vernici pittoriche, e rappresentano la prima barriera protettiva che il dipinto espone all’ambiente
circostante. All’interno del progetto EC PROPAINT e EC MEMORI è stato studiato l’effetto degli
inquinanti inorganici (NO2 and O3) e organici ( acido acetico e formico) su stesure di riferimento di
vernici pittoriche, utilizzando tecniche basate su spettrometria di massa, come GC-MS, ESI-MS e
SIMS insieme ad analisi termoanalitiche. Campioni di resina mastice, dammar, dammar e Tinuvin
292 sono stati sottoposti ad invecchiamento artificiale con differenti livelli di inquinanti e in seguito
analizzati. I risultati dimostrano che è possibile stabilire una relazione tra la dose di inquinante e i
fenomeni di degrado per ossidazione e cross-linking delle resine. Gli acidi organici hanno un potere
ossidante comparabile a quello di NO2 e O3. Gli studi inoltre hanno dimostrato che le cornici
microclimatiche utilizzate per la protezione dei dipinti, non sempre rappresentano il miglior metodo
di prevenzione del degrado delle vernici pittoriche, a causa del possibile intrappolamento di acidi
organici volatili emessi dal legno della cornice stessa e dal pannello di supporto. L’obiettivo
principale di questo studio è duplice: da un lato capire come ridurre gli effetti degli acidi organici
volatili, per migliorare l’effetto protettivo delle cornici microclimatiche, dall’altro stabilire dei
livelli di tollerabilità basati sull’assenza di effetti di degrado (No Observable Adverse Effects
Levels, NOAELS) e di ridotto effetto di degrado (Lowest Observable Adverse Effects Levels,
LOAELS), al fine di fornire ai conservatori uno strumento utile per la definizione di efficaci
protocolli di conservazione preventiva per i dipinti conservati in ambienti museali.
80
APPLICAZIONE DELLA HPLC-HR-TOF-MS ALL’ANALISI DI PIGMENTI ORGANICI
NATURALI IN MANUFATTI ARTISTICI
Susanna Marras1, Giulio Pojana2, Renzo Ganzerla1, Antonio Marcomini3, Eligio Sebastiani4
1
Dipartimento di Scienze Molecolari e Nanosistemi, Università Ca’ Foscari Venezia, Calle Larga
S. Marta 2137, 30123, Venezia,
2
Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali, Università Ca’ Foscari Venezia, Malcanton Marcorà,
Dorsoduro 3484/D, 30123, Venezia
3
Dipartimento di Scienze Ambientali Informatica e Statistica, Università Ca’ Foscari Venezia,
Calle Larga S. Marta 2137, 30123, Venezia
4
SRA Instruments S.p.A., Cernusco sul Naviglio, Milano
susanna.marras@unive.it
L’analisi di lacche e coloranti organici rappresenta una sfida nel campo della diagnostica dei beni
culturali per via delle difficoltà intrinseche che la loro identificazione in matrici complesse implica.
In questo studio si riporta l'applicazione della Cromatrografia Liquida ad Alte Prestazioni
accoppiata a Spettrometria di Massa a Tempo di Volo ad Alta Risoluzione (HPLC-HR-TOF-MS)
alla identificazione e caratterizzazio-ne dei pigmenti organici naturali tradizionalmente impiegati
dagli artisti dall'antichità fino ai primi decenni del XX secolo. L'obiettivo principale è lo sviluppo di
un approccio innovativo da utilizzare per l’analisi di routine di coloranti naturali presenti in
manufatti pittorici.
La combinazione di una efficiente procedura di estrazione dei coloranti da framenti microscopici di
dipinto, seguita da una separazione cromatografica accoppiata all’elevata risoluzione dello
spettrometro di massa impiegato, permettono di ottenere la selettività e la sensibilità richieste per
tale obiettivo. L’approccio analitico prevede tre fasi operative: 1) la preparazione delle lacche
secondo antichi trattati e ricettari e la realizzazione con esse di modelli da sottoporre ad
invecchiamento artificiale; 2) lo sviluppo della metodologia analitica sulla base dei materiali di
riferimento ottenuti; 3) la validazione del metodo sviluppato mediante sua applicazione a campioni
reali di varie epoche e provenienza.
Parallelamente si eseguirà una completa caratterizzazione delle lacche mediante tecniche
spettroscopiche (Spettroscopia FTIR, spettrofotometria UV-Visibile, colorimetria) con conseguente
creazione di un database completo di spettri di riferimento. Qui viene presentato lo stato dell'arte, i
risultati ottenuti finora e le prospettive di sviluppo futuro di questa attività.
81
CHIMICA E GNOMONICA
Sergio D’Amico
Via Cremona, 13, 73100 – Lecce
micromegas@libero.it
Nella presente comunicazione si affrontano le problematiche relative alle analisi diagnostiche da
effettuarsi su quadranti solari (meglio noti come “Meridiane”), in vista di successivi interventi,
mirati alla datazione, al restauro, ed al ripristino di questa peculiare tipologia di manufatti.
Che risultano essere, allo stesso tempo, opere d’arte, espressioni della cultura di una popolazione e
strumenti scientifici, dedicati alla misurazione del tempo, ed allo studio dei fenomeni astronomici
legati al moto apparente del Sole sulla volta celeste.
Dopo un’introduzione sulle caratteristiche dei diversi modelli di quadranti solari – fissi e portatili -,
e sui rispettivi principi di funzionamento, si mettono in evidenza gli elementi di criticità legati alla
particolare natura di questi oggetti. Che richiedono competenze interdisciplinari, comprendenti
nozioni di Astronomia, Chimica, Fisica e Tecniche di restauro.
Dopo aver elencato le caratteristiche che devono avere le metodologie di analisi, datazione e
diagnostica dei quadranti solari, si affronta una breve descrizione dei più utilizzati, fra i suddetti
procedimenti (Fluorescenza a raggi X, Riflettografia multispettrale, Termografia infrarossa).
Infine, si descrive un originale modello di quadrante solare, progettato e realizzato da due docenti
universitari di Chimica, che incorpora numerosi elementi e simboli di questa scienza.
82
Poster “Ambiente”
83
AMB01
IL PEPERONE (Capsicum annuum L.) COME ACCUMULATORE AMBIENTALE
Grazia Accoto, Eustachio Acito, Giuseppe Anzilotta, Dominga Bochicchio, Antonio Mastore,
Vittoria Nola, Alessandro Pipino, Achille Palma.
Metapontum Agrobios s.s. Jonica 106 km 448.2, 75014 Metaponto (Matera)
gaccoto@agrobios.it
Il comprensorio lucano della Val d’Agri Camastra Alto Sauro da più di 15 anni è interessato da
coltivazioni petrolifere. Dal 2001 sono in corso, nell’area, attività di monitoraggio ambientale,
finanziate dalla Regione Basilicata, basate su rilevamenti tradizionali di inquinanti dell’aria, suolo,
acqua e sottosuolo in accordo alla legislazione nazionale e comunitaria. Contemporaneamente, vista
l’unicità dell’area oggetto di studio, sono stati realizzati studi innovativi per lo studio della
distribuzione ambientale degli inquinanti. In particolare, dal 2008 è attiva una rete di studio
approfondito sull’ accumulo di Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA), Idrocarburi Volatili (VOC),
e Policlorobifenili (PCB) nella classe di alimenti vegetali non sottoposti a trasformazione prodotti
direttamente da privati o da aziende agricole situate intorno dell’area industriale di Viggiano sede
dell’impianto di trattamento del petrolio greggio estratto dai pozzi situati nell’area (Centro Olii).
Il regolamento CE N.1881/2006 del 19 dicembre 2006 definisce i tenori massimi di alcuni
contaminanti nei prodotti alimentari, soprattutto quelli con elevato contenuto di materiale
idrofobico. Tale regolamento tiene conto di alcuni tra gli inquinanti più diffusi come i più volte
citati PCB, IPA e alcuni metalli pesanti.
Tuttavia studi approfonditi hanno dimostrato che il benzo[a]pirene (l’unico IPA citato dal
regolamento) contribuisce solo per 10-20% nel contenuto totale di IPA e altri composti aromatici
possono essere presenti nell’ambiente generati da processi di combustione incompleta o da reazioni
che avvengono nell’atmosfera. Nel 2008, il gruppo di esperti sui contaminanti nella catena
alimentare dell’EFSA (CONTAM Panel) ha concluso che tra gli IPA studiati la somma del
contenuto di otto IPA (PAH8) è attualmente l’unico possibile indicatori del potenziale cancerogeno
degli IPA negli alimenti. Molto più scarsi gli studi sulla distribuzione di VOC e PCB su alimenti
vegetali. Tra gli alimenti di origine vegetale campionati, particolarmente interessanti sono stati i
risultati analitici ottenuti dai peperoni coltivati nella zona ed essiccati all’aria aperta nel periodo
estivo dagli abitanti del posto.
È noto che gli organismi superiori offrono notevoli possibilità come indicatori ambientali; infatti i
muschi e licheni da anni sono impiegati nel biomonitoraggio di metalli pesanti presenti nell'aria .
Nel presente lavoro vengono presentati alcuni risultati della distribuzione analitica di IPA VOC e
PCB nel peperone. Tra alimenti vegetali assunti direttamente dall’uomo e analizzati nella zona
oggetto di studio, il peperone essiccato, a differenza del prodotto appena raccolto, ha presentato
valori di PAH8, PCB e VOC, normalizzati al peso secco, significativamente superiori ai valori medi
riscontrati nelle altre matrici vegetali (cavoli, broccoli, mele, uva, drupe di olive, frumento e miele).
Tale andamento è risultato fortemente correlato con le precipitazioni atmosferiche del periodo di
esposizione.
84
AMB02
BIOMONITORAGGIO DEL CROMO ESAVALENTE MEDIANTE L’USO DELLA
SCORZA DI LECCIO (QUERCUS ILEX L. )
Marco Anselmo1, Vincenzo Minganti1, Giuliana Drava1, Rodolfo De Pellegrini1, Paolo Modenesi2
1
2
Dipartimento di Farmacia, Università degli Studi di Genova, Viale Cembrano 4, 16148 Genova
DipTeRis, Polo Botanico “Hanbury”, Università degli Studi di Genova, Corso Dogali 1 M, 16126
Genova
anselmo@dictfa.unige.it
Alcuni lavori in letteratura hanno messo in evidenza come si possa utilizzare la scorza, il
rivestimento sugheroso del corpo secondario di una pianta legnosa, per stimare la presenza di
Cr(VI) nell’atmosfera. In questo lavoro è stata utilizzata la scorza prelevata da porzioni di rami di
leccio (Quercus ilex L.) in modo da avere informazioni oltre che sulle concentrazioni anche sulle
loro variazioni temporali. E’, infatti, possibile stimare l’età delle porzioni di ramo in base alla
posizione delle vecchie cicatrici delle gemme terminali, retrocedendo da quella apicale dell’ultimo
anno. I campioni sono stati raccolti tra i comuni di Cogoleto e Arenzano (Genova) in una zona dove
ha operato la “Luigi Stoppani S.p.A.”, azienda che produceva principalmente composti del cromo
esavalente: cromato e bicromato di sodio e di potassio, e acido cromico. Tale ditta ha operato tra
l’inizio del secolo scorso e il 2003, e attualmente il sito è sottoposto ad operazioni di bonifica. Le
concentrazioni di Cr(VI) sono state misurate mediante spettrofotometria di assorbimento atomico
con atomizzazione elettrotermica secondo un metodo derivato da Panichev e coll. [1]. La
determinazione del cromo esavalente è resa possibile grazie alla solubilità dei suoi composti
nell’ambiente alcalino in cui è eseguita l’estrazione dei campioni, mentre in tale ambiente sono
scarsamente solubili i composti di cromo trivalente [2]. Per verificare l’accuratezza del metodo sono
state fatte estrazioni su campioni con aggiunte di Cr(VI), ottenendo un recupero del 102±16 %
(n=9); è stato inoltre analizzato un campione certificato (RTC SQC-012 Chromium VI in soil)
ottenendo un ottimo accordo con il valore certificato (recupero 96±4 %, n=9). Campioni di scorza
sono stati prelevati da porzioni di rami che rappresentano la crescita degli ultimi dieci anni circa. Le
concentrazioni di Cr(VI) misurate sono in linea con i pochi valori riportati in letteratura sia per zone
contaminate (impianto di produzione acciaio al cromo) sia per zone di controllo [1,3]. Le
concentrazioni medie diminuiscono in maniera netta all’aumentare della distanza dal sito “Luigi
Stoppani S.p.A.”. Studiando le variazioni temporali si osserva in molti campioni un brusco calo
nelle concentrazioni, coincidente con la fine dell’attività dello stabilimento. Mentre esistono molte
misure sulle concentrazioni di Cr(VI) all’interno del sito industriale e nella zona di mare antistante,
esistono poche informazioni sulla distribuzione di tali composti nelle zone esterne alla fabbrica. Le
tecniche di biomonitoraggio descritte hanno dimostrato che possono essere utilizzate per questo tipo
d’indagini.
[1] N. Panichev, K.L. Mandiwana, T. Resane, P. Ngobeni. J. Hazard. Mater. B137 (2006) 12411245.
[2] K. Furtmann, D. Seifert. Fresenius J. Anal. Chem. 338 (1990) 73-74.
[3] N. Panichev, K.L. Mandiwana, H.N. Sedumedi, P. Ngobeni. J. Hazard. Mater. 172 (2009) 16861689.
85
AMB03
BIOACCUMULO E ANALISI DI “POLIBROMODIFENILETERI” IN MUSCHI E
LICHENI
Giuseppe Anzilotta1, Mosè Rosario Mauriello1, Achille Palma1, Tommaso Cataldi2
1
2
Metapontum Agrobios, S.S. Jonica 106, Km 448.2, 75010 Metaponto, Matera
Centro Interdipartimentale SMART, Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, Campus
Universitario, Via E. Orabona, 4 - 70126 Bari
ganzilotta@agrobios.it
I polibromodifenileteri (PBDEs) sono una classe di sostanze organiche polibromurate che da alcuni
decenni vengono largamente impiegate come ritardanti di fiamma (BFRs) in plastiche, rivestimenti
e materiali elettronici per ridurre l’infiammabilità del materiale stesso. Tali molecole interagiscono
con i radicali che si formano in fase gassosa durante il processo di combustione decomponendosi a
una temperatura inferiore a quella di degradazione del polimero. Sono una famiglia di 209
congeneri, differenti per numero e posizione degli atomi di bromo sui due anelli aromatici; simili
per struttura e per proprietà ai PCBs e ai PBBs: sono piuttosto stabili e lipofili. Nell’ultimo
decennio le forti evidenze di pericolosità e di una diffusa presenza nell’ambiente e nell’uomo hanno
indotto alcuni organismi nazionali e sovranazionali a emanare specifiche norme volte a limitarne
l’uso (direttiva WEEE del 2003; messa al bando in Europa delle miscele penta-BDE e octa-BDE;
EPA (PBDEs) Project Plan;). I modelli spaziali di deposizione atmosferica dei PBDEs
nell’ambiente terrestre possono essere studiati analizzando campioni di muschio e di licheni. I
muschi forniscono informazioni complementari ai tradizionali campionatori passivi, inoltre,
possono essere particolarmente suscettibili ai PBDEs ad elevato peso molecolare adsorbiti sul
particolato atmosferico per i quali le tecniche di campionamento passivo dell’aria non sono adatte.
Scopo di questo studio è stato quello di verificare i livelli di concentrazione di PBDEs, in alcuni
vegetali bioaccumulatori autoctoni (muschi della specie “Bryum sp” e licheni della specie “Xanthoria
parietina”) nell’area industriale “La Martella” di Matera e in aree incontaminate, nonché testare la
migliore risposta da parte delle matrici utilizzate al fine di selezionare il migliore “biomonitor”. Le
principali attività individuate nell’area di studio come potenziali sorgenti di PBDEs sono quelle
legate alla produzione di mobili imbottiti, di quadri elettrici e allo smaltimento di rifiuti.
L’estrazione dei campioni è stata effettuata con solvente pressurizzato (PLE), la purificazione su
colonna multistrato di silice acida e basica e l’analisi strumentale con gascromatografia accoppiata a
un analizzatore di massa a triplo quadrupolo. La modalità scelta per l’acquisizione degli spettri di
massa è il “monitoraggio di reazioni multiple” (MRM), ottimizzata sia nella scelta delle reazioni in
fase gas da seguire sia nei valori di energia di collisione. La metodologia di analisi quantitativa
adoperata è nota come “diluizione isotopica” che consiste nel quantificare gli analiti di interesse
rispetto agli analoghi composti marcati al C aggiunti inizialmente al campione. Il confronto dei dati
ottenuti con quanto riportato in letteratura evidenzia che i livelli ambientali misurati di PBDEs sono
i più alti, fin’ora registrati, per queste matrici vegetali. Il sistema accoppiato GC-MS con rivelatore
a triplo quadrupolo si è dimostrato un valido strumento di controllo dei microinquinanti organici
persistenti (sensibilità nell’ordine del picogrammo e precisione, rappresentata dal CV% < 30 %).
L’indagine ha previsto, tra l’altro, un confronto sperimentale tra le matrici utilizzate definendo il
muschio come migliore organismo bioaccumulatore di PBDEs rispetto al lichene.
86
AMB04
INFLUENZA DI ZEOLITITE A CHABASITE SUL RILASCIO DI FOSFORO DA CENERI
D’OSSA ANIMALI CON FINI AGRONOMICI
Luisa Barbieri 2, Isabella Lancellotti2, Elio Passaglia1, Tanya Toschi2
1
Dipartimento di Scienze della Terra, Università di Modena e Reggio Emilia
2
Dipartimento di Ingegneria dei Materiali e dell’Ambiente,
Università di Modena e Reggio Emilia
luisa.barbieri@unimore.it; isabella.lancellotti@unimore.it
L’uso dei tradizionali fertilizzanti non è garante assoluto di un corretto e bilanciato nutrimento dei
terreni; non solo il tanto ingente, quanto sconsiderato, impiego di questi si rivela spesso inefficace
ma persino promotore di impatti su ogni matrice ambientale.
Il D. Lgs. n. 75 del 2010 indica azoto, potassio e fosforo quali elementi nutritivi principali per le
colture. Di questi tre, quello di più difficile somministrazione ai terreni è certamente l’ultimo:
nonostante il fosforo possa presentarsi legato a diverse specie nei suoli, i suoi composti non sono
tutti ugualmente solubili (solubilità delle specie nutritive è sinonimo di assimilabilità per le piante);
nella fattispecie, i fosfati solubili H2PO4- sussistono nel terreno solo qualora esso abbia pH neutro.
Pertanto, causa la limitata stabilità del P solubile e la ridotta esigenza delle piante dell’elemento
(rispetto ad N e K) è inefficace somministrarne al suolo smisurate quantità.
Dunque, per un corretto apporto di fosforo, che esuli dalle inquinanti pratiche di concimazione
massiva, una strada percorribile consiste nei sistemi di fertilizzazione a rilascio graduale, quali i
substrati zeoponici: miscele a base di zeolititi (rocce con contenuto in zeolite maggiore del 50%) e
fonti fosfatiche; questi suoli sintetici, frequentemente a base di zeolititi a clinoptilolite od a
phillipsite ed apatite (quale fonte di P) furono ampiamente studiati, tanto da delineare una loro
tendenza comune: nei substrati zeoponici le zeolititi, in virtù della loro elevata capacità di scambio
cationico, ovvero accettando gli ioni Ca2+ derivanti dall’esigua dissoluzione dei fosfati di calcio
propri dell’apatite, enfatizzavano e sollecitavano la dissociazione della roccia fosfatica.
Nel presente lavoro ci si è proposti di analizzare un substrato zeoponico “alternativo”, ottenuto
dalla compresenza di zeolitite a chabasite, molto diffusa in Italia, e ceneri fosfatiche, rifiuto del
processo di gassificazione di farine animali. I risultati emersi a conclusione dell’attività hanno
sottolineato una cessione di fosforo solubile più graduale e maggiore ad opera del substrato
zeoponico, rispetto alla sola cenere d’ossa; si è inoltre riscontrato che la dissoluzione del fosforo
cresce all’aumentare del rapporto massa zeolitite/massa cenere. Qualora la zeolitite sia stata
preventivamente arricchita in ammonio viene ulteriormente favorito lo scambio cationico Ca/NH4 e
di conseguenza aumenta la solubilizzazione del fosforo.
87
AMB05
VALUTAZIONI SU COMPONENTI ORGANICHE E SECONDARIE IN UN SITO DI
BACKGROUND DEL CARSO TRIESTINO
Arianna Tolloi1, Giulia Ghirardello1, Michele Romeo1, Sabina Licen1, Andrea Piazzalunga2,
Sergio Cozzutto3, Paolo Plossi4, Pierluigi Barbieri1,3
1. Università di Trieste – DSCF, Via Giorgieri, 1 34127 Trieste
2. Università di Milano Bicocca - DISAT - piazza della Scienza, n. 1, 20126 Milano
3. ARCo Solutions srl spin off dell’Univesità di Trieste, Via Giorgieri, 1 34127 Trieste
4. Provincia di Trieste, Via Via S. Anastasio n. 3, 34132 Trieste
barbierip@units.it
Studi su processi di contaminazione atmosferica a scala regionale si basano generalmente su
simulazioni modellistiche, che debbono essere validati con monitoraggi sperimentali,
preferibimente in siti non condizionati da hot spot. A questo fine si è predisposta una stazione di
campionamento per aerosol nel sito extraurbano/rurale di Borgo Grotta Gigante in provincia di
Trieste. Nel sito, accanto alla rilevazione di dati meteorologici, si campiona, con campionatore ad
alto volume, PM10 sul quale vengono misurati OC/EC, specie ioniche, traccianti di combustione di
biomasse e composti biogenici. Tali misure possono corroborare quelle prodotte dalla rete
istituzionale, aggiornata secondo le indicazioni del D.Lgs. 155/2010. Le evidenze sperimentali sono
confrontate con stime modellistiche sulle concentrazioni di aerosol e gas biogenici, rappresentative
di aree relativamente estese, anche al fine di valutare il peso di componenti biogeniche sui valori di
PM10 nel territorio giuliano.
L’integrazione di dati desunti dalla sperimentazione analitica e da approcci computazionali per la
valutazione di un sito di background mirano a evidenziare realisticamente lo stato della conoscenza
dei processi ambientali coinvolti nella generazione dell’aerosol, al fine di rafforzare il supporto
scientifico alla gestione del territorio.
88
AMB06
STUDIO DELLA CORROSIONE ATMOSFERICA DEL COR-TEN ATTRAVERSO
ESPOSIZIONI IN CAMPO ED INVECCHIAMENTI ACCELERATI
Elena Bernardi1, Cristina Chiavari2, Carla Martini3, Ivano Vassura1,4, Fabrizio Passarini1,4,
Antonio Motori5, Maria Chiara Bignozzi5
1
Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali
2
C.I.R.I. Meccanica Avanzata e Materiali
3
Dipartimento di Scienza dei Metalli, Elettrochimica e Tecniche Chimiche
4
C.I.R.I. Energia e Ambiente
5
Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e dei Materiali
Università di Bologna, Via Risorgimento 4, 40136 Bologna
elena.bernardi@unibo.it
Il Cor-Ten, un acciaio basso legato con Cr, Cu, Ni e P come principali elementi di lega, vive oggi
in Europa un periodo di grande popolarità ed è scelto sempre più frequentemente per la
realizzazione di opere artistiche, architettoniche ed infrastrutturali di ampie dimensioni ed a diretto
contatto con recettori ambientali. Questo materiale, oltre che per le caratteristiche cromatiche e la
resistenza meccanica, è particolarmente apprezzato per la capacità di autoproteggersi dalla
corrosione, mediante la formazione di una patina superficiale aderente e protettiva. Tuttavia, le
condizioni ambientali (umidità, presenza di inquinanti, …) e di esposizione (geometria,
orientazione, …) giocano un ruolo fondamentale nel determinare le prestazioni della patina ed
anche il Cor-Ten, come ogni altro materiale esposto all’aperto, è soggetto ad un processo corrosivo
ed al rilascio di metalli nell’ambiente. Nel caso del Cor-Ten tale rilascio è evidente dalle colature
brune visibili, ad esempio, sui basamenti delle sculture. L’entità dei diversi metalli rilasciati dipende
dunque da vari fattori: contenuto e caratteristiche dei metalli costituenti la lega, protettività/stabilità
della patina formatasi, condizioni ambientali e struttura dell’opera.
Il presente lavoro si concentra sul comportamento a corrosione del Cor-Ten esposto sia in
condizioni riparate (con elevata umidità o ristagni di pioggia) che in condizioni di run-off. Tali
condizioni sono riprodotte sia mediante test di invecchiamento accelerati che prove di esposizione
naturale. Queste ultime sono in corso in un ambiente urbano costiero (Rimini), vicino a una stazione
di monitoraggio in cui vengono periodicamente monitorati parametri microclimatici, inquinanti
gassosi e deposizioni atmosferiche. L'influenza di diverse condizioni di finitura superficiale
utilizzate in architettura/scultura è stata considerata testando campioni di Cor-Ten commerciale
nudo o pre-patinato, con o senza un rivestimento di cera d'api. Il comportamento a corrosione della
patina e la sua evoluzione sono stati studiati mediante misure elettrochimiche e analisi
microstrutturali. Parallelamente è stato seguito il rilascio di Fe, Cu, Cr, Mn e Ni nell’ambiente, in
funzione del tempo di esposizione.
I risultati ottenuti fino ad ora hanno mostrato che la pre-patinatura, con o senza ceratura, non
sembra determinare effetti benefici sulla corrosione ed hanno confermato il comportamento
insoddisfacente (con un conseguente rilascio di metalli superiore) dell’acciaio nudo in presenza di
ristagni, rispetto alle condizioni di run-off.
89
AMB07
UN PRECURSORE DI AL-MCM-41 NELLA
RIMOZIONE DI NITRATI E DI ACIDI ALOACETICI DALLE ACQUE
Rosa Maria De Carlo1, Maria Concetta Bruzzoniti1, Corrado Sarzanini1, Dario Caldarola2,
Barbara Onida2
1
2
Dipartimento di Chimica, Università di Torino, Via P. Giuria 5, 10125 Torino, email:
Dipartimento di Scienza Applicata e Tecnologia, CR-INSTM for Materials with Controlled
Porosity, Politecnico di Torino, Corso Duca degli Abruzzi 24, 10129 Torino
mariaconcetta.bruzzoniti@unito.it
La presenza di nitrati nelle acque sotterranee è origine di preoccupazione per la possibile
contaminazione delle fonti di approvvigionamento delle acque successivamente destinate all’uso
umano. Inoltre, la formazione di acidi aloacetici (HAA), quali sottoprodotti dei processi di
disinfezione con cloro e possibili cancerogeni per l’uomo, è tuttora una problematica tossicologica
ed ambientale rilevante.
In questo studio vengono presentati i risultati relativi alla valutazione dell’affinità degli ioni NO3- e
dei 5 HAA normati dall’EPA per un precursore dell’ Al-MCM-41 (materiale allumino-silicato
mesostrutturato esagonale). Il materiale, caratterizzato mediante tecniche chimico-fisiche, è stato
successivamente testato per l’adsorbimento degli inquinanti in oggetto da campioni simulati di
acqua potabile, valutando le rese di recupero mediante cromatografia ionica. E’ stata inoltre studiata
l’eventuale interferenza degli ioni comunemente presenti nelle acque potabili sul recupero delle
specie. L’affinità mostrata dall’adsorbente nei confronti degli HAA è risultata essere
TCAA=DBAA=DCAA>MBAA>MCAA con una completa ritenzione di DCAA, DBAA e TCAA a
livelli di concentrazione di 7-25 ppm. Si è inoltre riscontrata, anche per lo ione nitrato, una elevata
affinità dell’adsorbente (rimozione del 77% a concentrazioni di 13 mg/L). Lo studio delle isoterme
e delle cinetiche di adsorbimento dello ione nitrato e del MCAA (scelto come molecola sonda), è
stato condotto applicando i dati sperimentali ottenuti a tre modelli di adsorbimento (isoterme di
Langmuir, Freundlich e Temkin) e a tre modelli di cinetica delle reazioni di adsorbimento (pseudoprimo ordine, pseudo-secondo ordine ed Elovich). E’ risultato che le isoterme di adsorbimento sono
descrivibili dall’equazione di Freundlich, mentre la cinetica di adsorbimento segue un meccanismo
di pseudo-secondo ordine. Alla luce dei risultati di affinità ottenuti, è stato ipotizzato un
meccanismo di interazione adsorbente-inquinanti di scambio ionico, confermato dalle cinetiche di
adsorbimento di pseudo-secondo ordine che controllano i meccanismi di scambio ionico [1-3].
Legenda:
MCAA: acido monocloroacetico; MBAA: acido monobromoacetico; DCAA: acido dicloroacetico;
DBAA: acido dibromoacetico; TCAA: acido tricloroacetico
1. Lei LC, Li XJ, Zhang XW Sep Purif Technol 58 (2008) 359-366
2. Zheng H, Han LJ, Ma HW, Zheng Y, Zhang HM, Liu DH, Liang SP J Hazard Mater 158 (2008)
577-584
3. Zhu WL, Cui LH, Ouyang Y, Long CF, Tang XD Pedosphere 21 (2011) 454-463.
90
AMB08
TEMPORAL AND SPATIAL ACTIVE MOSS BIOMONITORING APPLIED TO URBAN
AREA OF TARANTO
Micaela Buonocore, Nicola Cardellicchio , Antonella Di Leo
CNR- Istituto per l’Ambiente Marino Costiero Via Roma 3, 74123 Taranto
buonomicaela@libero.it
The urban atmosphere is subjected to large inputs of anthropogenic contaminants produced by both
stationary sources (power plants, industries and residential heating) and mobile sources related to
traffic. Trace elements are widely dispersed in the environment and their interactions with different
natural components result in toxic effects on the biosphere. The transport and mobilization of trace
elements have already attracted much attention. Most trace elements in terrestrial ecosystems
originate from atmospheric wet and dry deposition. From a biogeochemical perspective, the
characterization of atmospheric deposition is relevant in order to identify the variability and sources
of the atmospheric pollutants. The extensively employed direct collection of atmospheric deposition
using bulk sampling devices offers a practical approach for monitoring deposition of atmospheric
heavy metal and other elements on the surface environment. However, studies on atmospheric
contamination have frequently been limited by the high cost of classical analytical methods and
difficulties in carrying out extensive monitoring in time and space. There has been increasing
interest in the use of indirect monitoring methods, such as the use of organisms that act as
bioaccumulators. Many studies have demonstrated the ability of moss to absorb and accumulate
atmospheric pollutants in tissue. In urban areas, where mosses are often scarce or even absent, the
‘‘bags technique’’ (active biomonitoring) has been initiated and developed with the aim of spatial
and/or temporal assessment of contaminant deposition in highly polluted areas. In this work, active
moss biomonitoring using the species bags Hypnum cupressiforme was used to examine trace
element atmospheric deposition in the urban area of Taranto. Five moss transplants were deployed
on monitoring stations located at representative urban sites. After exposure for about a month, the
samples were analyzed for 12 elements (Cd, Cr, Ni, Cu, Mn, Pd, Hg, V, As, Fe, Al and Mn) using
ICP –MS technique. The monitoring was repeated from 2006 for three years (2007 and 2008),
considering the same seasonal weather conditions. Based on the results obtained the sampling
variability is discussed in relation to the analytical variability, and the relative uptake of the
different elements is assessed. Significant accumulation of most elements occurred in the exposed
moss bags compared with the initial moss content. Correlations between the elements were also
discussed. The deposition pattern was in some cases modified by a series of natural factors, like the
main direction of winds or away from industrial sites. The deposition patterns of Cd, Cr, Ni, Cu,
Mn, Pd, Hg, V, As, Fe, Al and Mn are substantially influenced by long-range transport; for V, Ni,
Pb, and Cd the deposition patterns are largely determined by contributions from refinery processes
while for As and Mn from iron and steel factory. The moss-bags using Hypnum cupressiforme
demonstrate a high or a very high relative uptake for a majority of the 12 investigated elements, but
the values depend on the initial element concentration in the moss. The obtained data is also
compared with PM10 values. Contributions to the trace element concentrations in moss from
sources other than atmospheric deposition are identified and discussed.
91
AMB09
VALUTAZIONE DEL RISCHIO ASSOCIATO AL CONSUMO DI MITILI ALLEVATI
NEL MAR PICCOLO E NEL MAR GRANDE DI TARANTO
Cristina Annicchiarico1, Giorgio Assennato3, Fabrizio Basile2, Nicola Cardellicchio1,
Giacomo Castellano2, Michele Conversano2, Antonella Di Leo1, Santina Giandomenico1,
Walter Martinelli2, Lucia Spada1, Nicola Ungaro3
1
CNR – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero – Unità Operativa di Taranto, via Roma 3, 74123
Taranto.
2
Azienda Unità Sanitaria Locale TA - Dipartimento di Prevenzione, C.da Rondinella, c/o Ospedale
Testa, 74123 Taranto.
3
ARPA – Puglia, Corso Trieste 27, 70126 Bari
n.cardellicchio@iamc.cnr.it
Nell’ambito del Piano Straordinario di monitoraggio, sorveglianza attiva e di campionamento
dell’ASL di Taranto per la valutazione e gestione del rischio associato alla contaminazione da
diossine, furani e policlorobifenili dioxin-like (PCB-DL) negli alimenti e allevamenti prodotti nel
raggio di 20 km dalle zone industriali di Taranto, da marzo 2011, è stata avviata un’indagine
approfondita sui mitili (Mytilus galloprovincialis) allevati nel Mar Piccolo (I e II Seno) e nel Mar
Grande di Taranto. In base al piano di monitoraggio, attualmente ancora in corso, effettuato con
campionamenti mensili, sono state individuate 57 stazioni di prelievo nel I Seno del Mar Piccolo e
34 nel II Seno e nel Mar Grande. A seguito dei risultati relativi ai mitili prelevati nel I Seno nel
mese di giugno 2011, risultati non conformi ai limiti imposti dal regolamento UE 1881/2006, per i
livelli di diossine, furani e PCB-DL, l’ASL-TA, con ordinanza del 22.7.2011, ha disposto il blocco
del prelievo e della movimentazione di tutti i molluschi bivalvi vivi presenti nel I° seno del Mar
Piccolo. Le analisi effettuate hanno mostrato, inoltre, che la contaminazione derivava
essenzialmente dalla presenza di PCB-DL. Nonostante i livelli di diossine, furani e PCB-DL dei
mitili sono stati e continuano ad essere significativamente maggiori nel I Seno, le concentrazioni
riscontrate nelle altre aree di indagine, sebbene inferiori ai limiti di legge, sono comunque
preoccupanti. Il seguente studio ha avuto, pertanto, come obiettivo la valutazione del rischio per
l’uomo associato al consumo di mitili allevati, oltre che nel I Seno, anche nel II Seno del Mar
Piccolo e nel Mar Grande. A tale proposito è stato effettuato il calcolo della dose tollerabile
giornaliera (Tolerable Dietary Intake, TDI). Per dose o assunzione tollerabile si intende la quantità
di sostanza nociva che può essere assunta quotidianamente, senza che insorga un rischio rilevante
per la salute. La valutazione del rischio è stata effettuata prendendo in considerazione l’esposizione
per bambini e adulti, con riferimento al peso corporeo medio ed ai consumi alimentari medi italiani
e di una popolazione, come quella di Taranto, che consuma elevate quantità di prodotti ittici. I
risultati ottenuti hanno mostrato che, per forti consumatori, il TDI (pari a 1-4 pg TEQ/kg-peso
corporeo per giorno) è stato superato, per i bambini, in tutti i mesi di campionamento per i mitili del
I seno (range TDI 14-46.3 pgTEQ/Kg peso corporeo), del II seno del Mar Piccolo (range TDI 4.4815.90 pgTEQ/Kg peso corporeo) e del Mar Grande (5.90-15.85 pgTEQ/Kg peso corporeo). Per gli
adulti, il TDI è stato superato sempre nel I seno (range TDI 8-17.3 pgTEQ/Kg peso corporeo); nel II
seno del Mar Piccolo solo nel mese di luglio (TDI 5.96 pgTEQ/Kg peso corporeo) mentre nel Mar
Grande, è stato superato nel periodo compreso tra luglio e ottobre (range 4.51-5.94 pgTEQ/Kg peso
corporeo).
92
AMB10
MODELLI QSAR PER LA TOSSICITA’ ACQUATICA DI TRIAZOLI E
BENZOTRIAZOLI: RISULTATI NELL’AMBITO DEL PROGETTO CADASTER
Stefano Cassani1, Simona Kovarich1, Ester Papa1, Parta Pratim Roy1, Magnus Rahmberg2,
Sara Nilsson 2, Tomas Öberg 3, Nina Jeliazkova 4, Nikolay Kochev 5, Ognyan Pukalov5,
Paola Gramatica1
1
QSAR Research Unit in Environmental Chemistry and Ecotoxicology, University of Insubria,
Varese, Italy,
2
Swedish Environmental Research Institute, Stockholm, Sweden,
3
School of Natural Sciences, Linnaeus University, Kalmar, Sweden,
4
IdeaConsult Ltd., Bulgaria,
5
University of Plovdiv, Plovdiv, Bulgaria
stefano.cassani@uninsubria.it
Lo sviluppo e la validazione di modelli QSAR utilizzati come strumenti di supporto
nell’applicazione della regolamentazione EU-REACH, è uno dei temi del progetto europeo FP7
CADASTER (CAse studies on the Development and Application of in-Silico Techniques for
Environmental hazard and Risk assessment).
Questo poster riassume i modelli QSAR sviluppati dai diversi partner del progetto CADASTER per
lo studio della tossicità acquatica di triazoli e benzotriazoli (TAZ/BTAZs). Tali molecole sono
considerate inquinanti emergenti a causa della loro diffusione ambientale e della loro potenziale
tossicità. TAZ e BTAZs sono infatti largamente utilizzati in diversi processi industriali oltre che
impiegati come componenti di liquidi deghiaccianti, farmaci e pesticidi, e sono stati misurati in
concentrazioni rilevanti nell’ambiente soprattutto nel comparto acquatico (concentrazioni di mg/L,
misurate in corsi d’acqua in zone aeroportuali).
Gli endpoints presi in considerazione in questo studio sono relativi alla tossicità acuta acquatica
misurata in alghe (EC50 72h in Pseudokirchneriella subcapitata), crostacei (EC50 48h in Daphnia
magna), e pesci (LC50 96h in Onchorhynchus mykiss).
I modelli QSAR sono stati sviluppati mediante diversi approcci (Regressione lineare multipa MLROLS e PLSR), a partire da descrittori molecolari teorici calcolati sia con il software commerciale
DRAGON, che con software gratuitamente disponibili nel web (PaDEL-Descriptor, CADASTER
online). I modelli proposti sono conformi ai principi OECD per la validazione dei modelli QSAR da
utilizzare in ambito regolatorio.
Tali modelli sono stati applicati per predire la tossicità acquatica di oltre 300 TAZ/BTAZs privi di
dato sperimentale (di cui 88 inclusi nella lista di pre-registrazione della European Chemical Agency
(ECHA)), dopo averne verificato l’applicabilità mediante analisi del dominio strutturale.
L’utilità dei modelli proposti è particolarmente rilevante nelle procedure di valutazione del rischio
chimico, sia per lo screening di molecole prioritarie che, in ambito REACH, per colmare la
mancanza di dati per molecole di interesse quali quelle già incluse nella lista di pre-registrazione
dell’ECHA.
93
AMB11
NANOSTRUCTURED TIO2 BASED COATINGS FOR PROTECTION AND SELFCLEANING OF COMPACT AND POROUS STONES
A. Pagliarulo,1 F. Petronella,1, A.Calia2, M. Lettieri2, D.Colangiuli2, A. Agostiano,1,3 M. L. Curri,3
R. Comparelli3
1
Università degli Studi di Bari – Dipartimento di Chimica, Via Orabona 4, 70126, Bari
2
CNR-IBAM, Prov.le Lecce Monteroni, 73100 Lecce
3
CNR-IPCF, c/o Dipartimento di Chimica, Via Orabona 4, 70126, Bari
r.comparelli@ba.ipcf.cnr.it
Nanostructured TiO2 exhibits enhanced photocatalytic activity leading to the degradation of a wide
range of organic pollutants resulting in self-cleaning effect. The deposition of TiO2 nanocrystalline
(NCs) coatings on stone was investigated in order to provide surface protection and self-cleaning
properties. Hydrophobic TiO2 NCs were prepared by colloidal chemistry routes and characterized
by Scanning and Transmission Electron Microscopy (SEM and TEM).
The selected substrates for NC deposition were calcarenite and limestone, as example of porous and
compact stone, respectively. Different techniques have been investigated for coating preparation
namely casting, dipping and spray coating.
The morphological and physical properties of both coated and uncoated stones were investigated by
contact angle measurements, colorimetry and environmental-SEM.
The degradation of a selected organic dye has been used to test the self-cleaning properties of the
NC coated surfaces under solar irradiation.
The obtained results point out that such TiO2 NC coatings offer at the same time the opportunity,
increasing surface hydrophobicity, to prevent the stone from water absorption and to convey selfcleaning properties, leaving unaltered the original colour and appearance of the stones.
Acknowledgment
This work was partially supported by Apulia Region Funded Projects PS_083 within the Scientific
Research Framework Program 2006
94
AMB12
SUSTAINABILITY ASSESSMENT OF SOCIETY AND TRADITIONAL AGRICULTURE
IN LADAKH (INDIA) BASED ON EMERGY EVALUATION.
Federico M. Pulselli1, Luca Coscieme1, Vladimiro Pelliciardi2, Francesca Rossetti1
1
2
Dept. of Chemistry, University of Siena, Via A. Moro 2, 53100 Siena, ITALY
CIRPS, University of Rome “La Sapienza”, Piazza San Pietro in Vincoli 10, 00184 Roma, ITALY.
coscieme2@unisi.it
Energy drives all processes of nature (and human society), but it has been noted that different kinds
of energy have different quality and ability to do work (Odum, 1971). To give a measure of this
difference in energy quality, emergy has been introduced to express the quantity of solar energy
required, directly or indirectly to generate a flow or storage (Odum, 1996). Emergy evaluation is an
environmental accounting methodology based on energy transformation in the biosphere.
We present the results of the emergy evaluation of the socio-economic system and traditional
agriculture in Ladakh, a region of West Himalaya (India), ranging from 2300 m to 7672 m a.s.l. The
area, classified as “high cold desert”, is poor in natural resources and for centuries the population
has led a self-reliant existence, mainly based upon subsistence agriculture and (marginal) trade with
Tibet, central Asia, and the Indian plain. Local traditional agriculture, still the backbone of regional
economy, is governed by seasonal cycles and supported by the careful management of local scarce
resources. A picture of this system is presented along with the Unit Emergy Value calculation of
some of the main products, namely barley, wheat, peas, mustard and fodder. At the regional level,
population growth, the development of tourism, and the progressive openness to external resources
are the characteristics of the current development trend, especially in the city of Leh. These steps
towards modernization (e.g. infrastructural development or agriculture mechanization) are
encouraged for economic purposes; however, they may also bring about unsustainable behavior in
the use of resources and land, and a loss of traditional knowledge and environmental wisdom.
Emergy evaluation highlights some peculiarities of the area and the crucial role of environmental
resources involved in local processes and activities. The main points are: irrigation with melted
water from glaciers, soil properties and their conservation, and an increasing dependence of the
socio-economic system on flows of goods from the outside. The method gives the opportunity to
systematically monitor the area, and helps to design future perspectives and identify possible threats
of developmental dynamics.
References
Odum HT., 1971. Environment, Power and Society. John Wiley, New York, USA.
Odum HT., 1996. Environmental accounting. Emergy and environmental decision making. John
Wiley & Sons, New York, USA.
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AMB13
EVALUATING ENVIRONMENTAL PERFORMANCES OF BUILDING ENVELOPES:
THE CASE OF VERTICAL GREENERY SYSTEMS.
Riccardo M. Pulselli, Fabiana Morandi, Luca Coscieme, Nicoletta Patrizi, Simone Bastianoni
Dept. of Chemistry, University of Siena, Via A. Moro 2, 53100 Siena
coscieme2@unisi.it
Vertical Greenery Systems (VGS) is a vertical structure to be anchored on a building facade
composed of plants fixed on felt layers that allow for a hydroponic culture (without substrate).
A research project, namely GREENED, is aimed at investigating potential environmental impacts
and benefits due to the application of VGS on building facades. A Life Cycle Assessment and an
eMergy evaluation were performed for measuring ipotential inputs due to the manufacturing and
maintenance of a VGS based on different categories such as, among others: abiotic depletion (AD);
acidification potential (AP); eutrophication potential (EP); global warming potential (GWP); human
toxicity potential (HTP); ozone layer depletion potential (ODP).
Environmental costs were then compared with potential benefits in terms of energy saving due to
the augmented thermal performances registered during the operational time of the VGS.
In particular, the present study accounted for environmental resource use in the following phases: a)
manufacturing of structural elements (materials and components, including plants); b) maintenance
(including materials lifetime and the use of water, fertilizers and electricity); c) use (concerning the
saved quantity of electricity for cooling and natural gas for heating).
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AMB14
SPERIMENTAZIONE DI NUOVI BIOSAGGI PER LE INDAGINI
ECOTOSSICOLOGICHE:
IL TEST DI SPERMIOTOSSICITÀ CON SEME CRIOPRESERVATO
A. Fabbrocini1, R. D’Adamo1 F. Del Prete3, A. L. Langellotti3, F. Rinna3, R. Sessa2,
F. Silvestri3, G. Villani2, V. Vitiello2 and G. Sansone2,3
1
Istituto di Scienze Marine - UOS Lesina, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Italy
2
Dip. delle Scienze Biologiche, Università degli Studi di Napoli Federico II, Italy
3
CRIAcq, Università degli Studi di Napoli Federico II, Italy
raffaele.dadamo@fg.ismar.cnr.it
I saggi ecotossicologici con gameti ed embrioni di organismi acquatici sono comunemente
impiegati nei programmi di monitoraggio ambientale, grazie alla relativa facilità di esecuzione dei
test ed alla loro elevata sensibilità. D’altra parte, il loro utilizzo spesso strettamente dipendente dalla
stagione riproduttiva, la elevata variabilità biologica e la difficoltà nello stabulare i riproduttori o
trasferirli in base alle necessità restringono fortemente il numero di specie da poter inserire nelle
batterie di test.
Nell’ambito delle ricerche tese alla messa a punto di nuovi biosaggi, gli autori hanno sperimentato
un approccio innovativo: l’utilizzo di gameti criopreservati quale sistema biologico test. La
criopreservazione di gameti ed embrioni di specie acquatiche è infatti una biotecnologia ormai
ampiamente affermata, che permette di ottenere “on demand” gameti ed embrioni di elevata ed
omogenea qualità, potenzialmente utilizzabili non solo a fini acquacolturali, ma anche in campo
ecotossicologico. Per la messa a punto di questo CRYO-ecotest sperimentale è stato utilizzato il
seme dell’orata S. aurata, una specie eurialina diffusa e comunemente allevata nell’area
Mediterranea, per la quale la fisiologia della motilità spermatica è stata ampiamente studiata e
protocolli per la crioconservazione del seme sono disponibili ormai da diversi anni. Il seme
criopreservato è stato scongelato ed immediatamente incubato sia in tossici di riferimento (metalli
pesanti, IPA, pesticidi) che in matrici ambientali (sedimenti, percolati); al termine del periodo di
incubazione i parametri di motilità sono stati valutati mediante videomicroscopia o sistema
computerizzato (SCA – Sperm Class Anayzer®). La sensibilità del sistema biologico “seme
criopreservato” e la riproducibilità del CRYO-ecotest sono stati valutati e confrontati con quelli
relativi a seme fresco di numerose specie acquatiche.
Il CRYO-ecotest è risultato essere rapido e di facile esecuzione; il seme criopreservato può essere
facilmente trasportato e conservato anche per periodi relativamente lunghi, rendendo possibile
condurre saggi indipendentemente dalla stagione riproduttiva, con la possibilità di utilizzare in
luoghi o in momenti diversi lo stesso batch di seme. Inoltre, l’end point sperimentato non richiede
elevate quantità di matrice da testare e soprattutto non prevede l’utilizzo di stadi larvali o di
giovanili, aspetto questo molto importante per la scelta dei biosaggi con vertebrati da inserire nelle
batterie di test.
In conclusione, considerato l’elevato numero di specie acquatiche (sia invertebrati che vertebrati)
per le quali esistono protocolli di criopreservazione di gameti ed embrioni ormai standardizzati, il
CRYO-ecotest mostra notevoli potenzialità come punto di partenza per la messa a punto di biosaggi
“universali”, ovvero estremamente versatili, da poter essere ottimizzati di volta in volta in base alle
specifiche caratteristiche ecologiche ed ambientali dell’area da monitorare.
97
AMB15
L’ANGUILLA (ANGUILLA ANGUILLA) COME INDICATORE DI INQUINAMENTO
NELLE LAGUNE COSTIERE DEL MEDITERRANEO
A. Specchiulli1, M. Renzi2, C. Manzo1, L. Cilenti1, T. Scirocco1, R. D’Adamo1
1
2
Istituto di Scienze Marine - UOS Lesina, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Italy
Department of Environmental Science, University of Siena, Via Mattioli 4, 53100 Siena, Italy
raffaele.dadamo@fg.ismar.cnr.it
L’anguilla europea è ampiamente usata come biomonitor nelle lagune costiere per la sua capacità di
accumulare contaminanti durante la sua lunga vita, per i suoi bassi tassi di espulsione, per il suo
comportamento ecologico e tolleranza ad alti livelli di inquinamento. In tale studio viene valutata la
bontà dell’anguilla come bioindicatore di inquinamento in due lagune italiane (Orbetello e Varano).
Campioni di sedimento superficiale e tessuti (fegato e muscolo) di anguille argentine, provenienti
da catture commerciali, sono stati raccolti con lo scopo di determinare il contenuto degli inquinanti
(organici ed inorganici), di valutare l’arricchimento nei tessuti e di correlare tali livelli alla
potenziale differente pressione umana. Per valutare l’accumulo di contaminanti legato alle attività
umane sono stati calcolati i fattori di arricchimento biologico (BEF), mentre l’analisi multivariata è
stata usata per confrontare la pressione antropica sui due ecosistemi e l’influenza delle sorgenti di
scarico. I risultati evidenziano una differenza significativa tra le lagune di Orbetello e Varano per
ciò che riguarda i contaminanti organici nei sedimenti, con valori medi largamente più alti nella
laguna di Orbetello. Stesso risultato è stato riscontrato dalle analisi dei tessuti delle anguille,
evidenziando la presenza di un importante fonte locale di tale contaminazione ad Orbetello rispetto
a Varano. In relazione agli inquinanti inorganici, arricchimenti significativi di alcuni elementi in
traccia (per es. Zn e Cu) sono stati ritrovati in entrambi le lagune, con valori di BEF sensibilmente
più alti nella laguna di Orbetello. In conclusione, i risultati ottenuti in questo studio confermano che
l’anguilla europea rappresenta un buon indicatore della qualità delle lagune costiere. Sebbene la
laguna di Varano risulti essere meno impattata da un punto di vista della qualità chimica rispetto ad
Orbetello, dai fattori di accumulo è stato possibile differenziare la pressione antropica (origine)
sulle due lagune. Nella laguna di Varano prevale l’inquinamento inorganico da elementi in traccia,
dovuto ad intense attività agricole nel bacino imbrifero, mentre nella laguna di Orbetello è maggiore
la biodisponibilità degli inquinanti organici, dovuti ad una maggiore industrializzazione ed
urbanizzazione dell’area.
98
AMB16
RISULTATI DELL’ATTIVITA’ DI CONTROLLO DI ARPA PUGLIA SU DISCARICHE
DEL TERRITORIO DELLA PROVINCIA DI TARANTO
Adele Dell’Erba1,*, Adriana Primicino1, Maria Spartera1, Massimo Blonda2, Giorgio Assennato2
1
ARPA Puglia, Servizio Territoriale DAP Taranto, Contrada Rondinella, 74121 Taranto
2
ARPA Puglia, Corso Trieste 27, 70126 Bari
Tel:+39-099-9946331, E-mail: a.dellerba@arpa.puglia.it
Nel presente lavoro si riportano gli esiti del monitoraggio effettuato da ARPA PUGLIA nel biennio
2009-2011 sul percolato e sulle acque di falda prelevate dai pozzi spia di due discariche (una in
esercizio e una in post-gestione) ubicate nel tarantino, autorizzate dalla Provincia di Taranto e
classificate in categoria ex 2B ai sensi della Delibera Comitato Interministeriale 27/07/1984.
Tali controlli sono previsti dall’art. 13 del D.Lgs. 36/03 in relazione alle fasi di gestione operativa e
post operativa delle discariche; in particolare, l’Allegato 1 al predetto decreto prevede la captazione,
raccolta e smaltimento del percolato e delle acque di discarica per tutto il tempo di vita
dell’impianto e, comunque, per un tempo non inferiore a 30 anni dalla data di chiusura definitiva.
Il punto 5.1 del citato Allegato 1 stabilisce che il controllo delle acque sotterranee venga espletato
individuando almeno un pozzo a monte idrogeologico e due a valle dell’impianto, indicando altresì
i parametri da monitorare e la frequenza delle misure.
La finalità del monitoraggio delle acque sotterranee è quella di rilevare tempestivamente eventuali
situazioni di inquinamento riconducibili alla discarica, al fine di adottare le necessarie misure
correttive.
Le concentrazioni soglia di contaminazione (CSC) per le acque sotterranee sono fissate dalla
Tabella 2 dell’Allegato 5, Titolo V, Parte IV del D.Lvo 152/06.
L’evidenza del nesso di causalità tra contaminazione e fonte-discarica si basa principalmente sul
confronto dei valori riscontrati nel pozzo a monte e nei pozzi a valle del sito, lungo la linea di
deflusso della falda.
Dai dati del monitoraggio dei pozzi spia presenti nelle due discariche campione emergono
superamenti delle CSC relative, in un caso, ai parametri solfati, piombo e nichel e, nell’altro, del
parametro fluoruri.
La valutazione finale dei risultati analitici per i siti in esame ha tenuto conto dell’ubicazione degli
stessi in area SIN (Sito di Interesse Nazionale) la cui caratterizzazione ha evidenziato una
contaminazione diffusa della falda da metalli pesanti e composti organici clorurati.
La caratterizzazione chimica del percolato di discarica, obbligatoria per il gestore ai fini della
classificazione del refluo per l’avvio agli impianti di destinazione finale, è stata utilizzata
dall’Agenzia per supportare l’ipotizzato nesso di causalità tra contaminazione della falda e
discarica.
99
AMB17
IMPATTO DELLA SORGENTE “BIOMASS BURNING” SUI LIVELLI E
SULLA COMPOSIZIONE CHIMICA DEL PM
Paolo Rosario Dambruoso, Gianluigi de Gennaro, Alessia Di Gilio, Jolanda Palmisani, MariaTutino
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari
alessia.digilio@uniba.it
Keywords: Biomass burning, caratterizzazione chimica, fattori di arricchimento, particolato
atmosferico, OPC, analizzatore di IPA in continuo.
Studi epidemiologici dimostrano che la combustione di biomassa determina l’emissione in
atmosfera di particelle fini e ultrafini in grado di raggiungere le vie aeree più profonde e di
determinare effetti negativi sulla salute umana [1]. La combustione degli scarti della potatura degli
alberi di ulivo è una pratica comune nelle aree rurali del Sud Italia; e la prossimità delle zone rurali
alle aree urbane determina una maggiore esposizione stagionale della popolazione agli inquinanti
atmosferici. Il presente lavoro si pone come principale obiettivo un’attenta valutazione dell’impatto
della sorgente emissiva “biomass burning” sui livelli e sulla composizione chimica del PM10.
Nell’ambito di due campagne di monitoraggio, ciascuna della durata di una settimana ed effettuate
in due anni distinti, sono stati collezionati campioni giornalieri di PM10 mediante l’ausilio di un
campionatore alto volume (Tisch Environmental). Nello specifico, nei primi tre giorni della
campagna settimanale sono stati raccolti campioni giornalieri di PM10 definiti ‘Bianco’ mentre nei
restanti tre giorni, sono stati raccolti campioni di PM10 caratterizzati dalla sorgente ‘biomass
burning’ inducendo appositamente la combustione controllata degli scarti di potatura per circa tre
ore al giorno. Durante la campagna di monitoraggio inoltre, un secondo campionatore alto volume è
stato utilizzato al fine di effettuare campionamenti di PM10 a pochi metri di distanza dall’incendio
ed esclusivamente nelle ore in cui si verificava la combustione degli scarti di potatura. Infine sono
state determinate la concentrazione numerica delle particelle e la concentrazione atmosferica totale
degli Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) attraverso l’uso di un Contatore Ottico di Particelle
(OPC) e di un analizzatore di IPA (EcochemPas 2000), rispettivamente. La caratterizzazione
chimica dei campioni di PM10 è stata effettuata al fine di determinare quantitativamente gli ioni e
gli elementi presenti nella componente inorganica, gli IPA e la frazione carboniosa (OC, EC).
L’analisi preliminare dei dati sperimentali raccolti ha messo in evidenza l’importanza di alcuni
traccianti organici ed inorganici nell’interpretazione dell’influenza della sorgente emissiva
“biomass burning” sulle concentrazioni atmosferiche di PM10. Sono state osservate, infatti, elevate
concentrazioni atmosferiche di OC, EC, K, Pb e di benzo(a)antracene, benzo(a)pirene e
benzo(k)fluorantene. Saranno inoltre determinati i fattori di arricchimento (EF) relativi a ciascun
elemento e studiate le distribuzioni dimensionali delle particelle prodotte durante eventi di
combustione di biomassa.
Bibliografia
[1] Nadadur, S.S et al, Toxicol. Sci. 318-327, 100(2007).
100
AMB18
CARATTERIZZAZIONE DEL PARTICOLATO ATMOSFERICO
MEDIANTE TECNICHE AD ALTA RISOLUZIONE TEMPORALE
Martino Amodio, Paolo Rosario Dambruoso, Gianluigi de Gennaro, Alessia Di Gilio
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Bari, via Orabona 4, 70126 Bari
alessia.digilio@uniba.it
Keywords: caratterizzazione chimica, frazione ionica, PM2,5, tecniche ad alta risoluzione
temporale
Per valutare la qualità dell’aria ambiente, nel 2008 la comunità europea ha sancito la necessità della
speciazione chimica del particolato atmosferico (PM) in termini di frazione ionica e carbonio
organico ed elementare (2008/50/CE). Negli ultimi anni, infatti, un numero crescente di
pubblicazioni scientifiche ha dimostrato che la pericolosità del PM è correlata non soltanto alle
dimensioni delle particelle ma anche alla variabilità della sua composizione chimica ed in particolar
modo per quella che ne caratterizza la frazione più fine, in grado di raggiungere le vie aeree più
profonde e di determinare effetti negativi sulla salute [1].
Al fine di comprendere i processi di trasporto, di interazione tra gli inquinanti e di trasformazione
del PM, è stato sperimentato sul campo un Sistema Integrato costituito da una stazione di
monitoraggio del particolato atmosferico composta da un campionatore doppio canale SWAM, un
PBL Mixing monitor, un monitor OPC, un Fast Mobility Particles Size (FMPS) e un campionatore
Ambient Ion Monitor (AIM 9000D-URG). L’ FMPS permette di studiare i modi di nucleazione e
accumulazione delle particelle nel range di dimensioni comprese tra 5.6-560 nm mentre il
campionatore AIM 9000D è un sistema automatizzato che, direttamente in campo campiona sia il
gas che il particolato e determina la concentrazione oraria di anioni e cationi adsorbiti sul
particolato fine (cloruro, nitrito, nitrato, fosfato, solfato, sodio, ammonio, potassio, magnesio,
calcio) e dei loro precursori gassosi (acido cloridrico, acido nitrico, acido nitroso, anidride solforosa
ed ammoniaca) in atmosfera. L’analisi dei dati raccolti dal sistema integrato durante una campagna
di monitoraggio di un mese (1-31 Ottobre 2011) nel Campus Universitario di Bari, ha permesso di
osservare eventi emissivi limitati nel tempo e di breve durata, evidenziare il ruolo di eventi di
trasporto, l’impatto di sorgenti occasionali e la variazione temporale delle emissioni di importanti
sorgenti.
Bibliografia
[1] CA Pope et al., New Engl J Med 360:376-386 (2009)
101
AMB19
METALS AND POLYCHLORINATED BIPHENYLS IN MEDITERRANEAN SEAFOOD
AND SURFACE SEDIMENTS, INTAKE EVALUATION AND RISK FOR CONSUMERS
Cristina Annicchiarico, Nicola Cardellicchio, Antonella Di Leo, Santina Giandomenico,
Lucia Spada
CNR – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero – Unità Operativa di Taranto, via Roma 3, 74123
Taranto
dileo@iamc.cnr.it
The aim of this work was to determine the concentrations of metals (Al, Fe, Cd, Cu, As, Hg, Mn,
Ni, Pb, Sn, V, and Zn) and 32 polychlorinated biphenyls (PCBs) in the sediments, bivalve molluscs
(Mytilus galloprovincialis, Chlamys glabra) and gastropod molluscs (Hexaplex trunculus) collected
in 4 sites from first inlet of the Mar Piccolo of Taranto (Ionian sea, Italy) at March and July 2011, in
order to investigate contamination level and public health risks, associated with consuming seafood
harvested from these areas. Moreover the goal of this study was also to estimate the weekly intake,
in children and adults, and compare it with the Provisional Tolerable Weekly Intake (PTWI)
recommended by the European Food Safety Authority.
Concerning the sediments the highest levels of PCBs, Mn, V, Sn, Pb, Ni and As were found in the
stations 1 (located near to Military Navy Arsenal), in both sampling campaigns. In the organisms, in
both sampling campaigns, the highest Zn, Cd, Hg, Cu, As and PCBs concentrations were observed
in H. trunculus, while the highest Al, Fe and Mn levels were observed in C. glabra.
Concerning Hg no organisms collected in March and July exceeded the legal limits set by EU
Regulation n. 1881/06 (0.5 mg/kg w.w.), Pb levels only in station 1 at March in M.
galloprovincialis and C. glabra were above the legal limits of 1.5 mg/kg w.w. while Cd levels in
the stations 2, 3 and 4 at July in H. trunculus were above the legal limits of 1.0 mg/kg w.w.. The
non-dioxin-like PCBs levels (as sum of the six congeners: 28, 52, 101, 138, 153 and 180) in the H.
trunculus collected in all stations both March that July were above the legal limits of 75 ng/g w.w.
by EU Regulation n. 1259/11, while in M. galloprovincialis only at July in stations 2 and 3 the nondioxin-like PCBs levels were above the legal limits. As regards C. glabra, the non-dioxin-like
PCBs levels were under the legal limits in all station both March that July.
The estimated weekly intake of Hg, Cd and Pb calculated for adults, were always below the
established PTWI (4 µg/kg body weight for Hg, 7 µg/kg body weight for Cd and 25 µg/kg body
weight for Pb) for all sampled organisms in all stations both March that July. Instead in children the
estimated weekly intake of Cd were always above the established PTWI in the H. trunculus in all
stations in both sampling campaigns, also the estimated weekly intake of Hg were above the
established PTWI in the H. trunculus in all stations mostly at July. As regards, the estimated weekly
intake of ndl PCBs were always above the established PTWI (0.07-0.45 µg/kg body weight) for all
sampled organism both children that adult in all stations in both sampling campaigns. Thus, health
risks due to the dietary Hg, Cd, Pb and ndl PCBs intake for children especially cannot be excluded.
102
AMB20
RISK CHARACTERIZATION FOR MERCURY, METHYLMERCURY AND
POLYCHLORINATED BIPHENYLS ASSOCIATED WITH FISH CONSUMPTION
Cristina Annicchiarico, Nicola Cardellicchio, Antonella Di Leo, Santina Giandomenico,
Lucia Spada.
CNR – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero – Unità Operativa di Taranto, via Roma 3, 74123
Taranto
santina.giandomenico@iamc.cnr.it
Contaminants in aquatic ecosystems, such as total mercury (THg), methylmercury (MeHg) and
polychlorinated biphenyls (PCBs), have become a matter of concern because of their toxicity and
tendency to accumulate in food chains. Fish are often located at the end of the aquatic food chain
and may accumulate these pollutants and pass them to human beings through food, causing chronic
or acute diseases. Fish consumption is the primary pathway of human exposure to THg, MeHg and
PCB. To safeguard public health, concentration standards in seafood for many of these pollutants
have been established in various countries. The European Community with Regulation No.
1881/2006 sets the maximum limit for THg in fish at 0.5 µg/g w.w. whereas the Regulation (EU)
No. 1259/2011 sets the maximum limit for non-dioxin-like PCBs (ndl PCBs) as sum of the six
congeners (PCB 28, 52, 101, 138, 153 and 180) at 75 ng/g w.w.. The aim of this work was to
determine the levels of THg, MeHg and non-dioxin-like PCBs (ndl PCB) in different species of fish
(Trachurus trachurus, Boops boops, Sarpa salpa and Gobius niger) collected from Mar Piccolo of
Taranto (Ionian Sea, Southern Italy), in order to investigate contamination level and public health
risks associated with consuming fish harvested from this area. Moreover the goal of this study was
also to estimate the weekly intake both in children that adults and compare it with the provisional
tolerable weekly intake (PTWI) recommended by the European Food Safety Autority (EFSA, 2004
and 2005).
Concerning THg no fish collected exceeded the legal limits set by EU Regulation n. 1881/2006 (0.5
mg/kg wet weight) while the ndl PCBs concentrations, in the Trachurus trachurus and Boops boops
were above the limit value of 75 ng/g wet weight by EU Regulation n. 1259/2011.
The estimated weekly intake of THg, calculated for children, only in the Trachurus trachurus
exceeded the PTWI (4 µg/kg body weight ) while the estimated weekly intake of MeHg exceeded
the PTWI (1.6 µg/kg body weight) both children that adult for the Trachurus trachurus and Boops
boops.
Instead, the estimated weekly intake of ndl PCBs were always above the established PTWI (0.070.45 µg/kg body weight) for all sampled fish in children while in adults estimated weekly intake
were above the established PTWI only for Trachurus trachurus and Boops boops.
103
AMB21
STUDIO DELLE ALTERAZIONI DEL FILM LACRIMALE IN POPOLAZIONE
ESPOSTA A PARTICOLATO ATMOSFERICO NELL’AREA URBANA DELLA CITTÀ
DI TARANTO
Geremia Oliva1, Francesco Perri2, Maurizio Manigrasso3, Claudio Vernale3, Vincenzo Galasso2,
Francesco Bailardi1, Antonia L. Pellegrini2, Carlo Giannico2, Pasquale Avino3
1
2
ASL TA/1, viale Virgilio 31 - 74100 Taranto
INAIL ex-ISPESL, settore Ricerca, sex. Taranto, via D’Aquino 40 - 74100 Taranto
3
INAIL ex-ISPESL, settore Ricerca, via Urbana 167 - 00184 Roma.
c.giannico@inail.it
Recenti studi sugli effetti dell’inquinamento atmosferico sulla salute umana hanno messo in
evidenza l’emergere di nuove patologie dovute agli inquinanti ambientali, specialmente nelle aree
urbane.
Tra i vari inquinanti atmosferici una particolare attenzione viene data al particolato per le sue
caratteristiche chimiche e fisiche: le particelle possono essere inalate e penetrare in profondità nel
sistema respiratorio. L’esposizione a questo inquinante, in particolare a particelle fini ed ultrafini
(<100 nm), può causare gravi danni alla salute umana.
Lo scopo di questo studio è quello di determinare se il particolato può essere in grado di alterare il
film lacrimale, una sottile pellicola trasparente che ricopre l’epitelio corneale e congiuntivale, che
ha funzioni lubrificanti, protettive, nutrizionali e antimicrobiche.
Le valutazioni sono state effettuate in una zona ad alta industrializzazione come la città di Taranto.
La ricerca è stata condotta su due gruppi di individui, il primo composto di residenti nella zona
urbana nei pressi del centro industriale, mentre il secondo è costituito da residenti in centro. Allo
stesso tempo abbiamo studiato il comportamento del particolato atmosferico.
Su una popolazione di 321 pazienti testati sono stati eseguiti diversi test (test di Schirmer, MA test e
prove ferning oculari): sono stati confrontati i risultati tra soggetti normali e patologici, utilizzando
anche un test di statistica.
Dall’analisi dei dati, si evidenzia una maggiore incidenza di alterazione del film lacrimale nei
pazienti selezionati per sesso ed età. In ogni caso, appare importante migliorare lo studio con
misurazioni oculari altri per approfondire i livelli dei danni oculari.
104
AMB22
LA DETERMINAZIONE DEL CARBONIO IN ATMOSFERA –
CONFRONTO TRA DUE METODI DI MISURA
Angelika Hofer1, Andrea Piazzalunga2, Paulo Tieppo3, Gian Maria Formenton3, Stefania
Squizzato1, Mauro Masiol1, Silvia Ficotto3, Paola Fermo4, Giancarlo Rampazzo1, Bruno Pavoni1
1
Dip. di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, Università Ca’ Foscari Venezia
Dipartimento di Scienze Ambientali, Università di Milano Bicocca, Piazza della Scienza 1,
20126 Milano
2
Agenzia Regionale per la Prevenzione e Protezione Ambientale del Veneto, Dipartimento
Provinciale di Venezia, via Lissa 6, 30174 Venice – Mestre
3
Dipartimento di Chimica Inorganica Metallorganica e Analitica, Università degli Studi di
Milano
angelika.hofer@unive.it
La componente carboniosa rappresenta una delle frazioni maggiori dei polveri sottili (PM2.5) in
atmosfera, soprattutto in prossimità di sorgenti antropiche come aggregati industriali e zone
urbane ad alto traffico veicolare, in quanto è in primis un prodotto della combustione di
carburanti. Oltre ad influenzare l’effetto serra e causare una riduzione della visibilità, il materiale
carbonaceo può provocare degli effetti negativi sulla salute umana [1]. Proprio per questo la
Direttiva Europea 2008/50/CE, ratificata in Italia con il decreto legislativo n. 155 del 13 agosto
2010, richiede le analisi del carbonio elementare (EC), generato soprattutto dalla combustione
incompleta di carburanti in ambienti poveri di ossigeno, e del carbonio organico (OC), il quale
invece può essere di origine sia primaria sia secondaria.
Tuttavia né la direttiva né il suo recepimento nazionale presentano un metodo analitico ufficiale
per la determinazione di questi parametri, nonostante la WHO solleciti una standardizzazione dei
vari metodi analitici in modo tale da poter confrontare i risultati ottenuti [1].
In questo lavoro sono stati messi a confronto i risultati ottenuti dalle analisi di filtri in fibra di
quarzo (Ø = 47 mm) campionati durante l’inverno 2008/2009 nella zona industriale di Venezia –
Mestre con un campionatore a basso volume (2.3 m3 h-1). Le analisi sono state eseguite mediante
a) un analizzatore Shimadzu TOC-5000 accoppiato con SSM-5000A [2] e b) un Lab OC-EC
Aerosol Analyzer (Sunset Laboratory Inc., USA), metodo NIOSH [3]. Nonostante l’analizzatore
TOC sia utilizzato comunemente per analizzare il carbonio totale (TC) di campioni solidi come
sedimenti o rifiuti, i risultati mostrano che può essere una valida alternativa ad un OC-EC
Analyzer. I fattori di correlazione tra i due metodi presentano valori di 0.99, 0.79 e 0.95 per TC,
EC e OC, rispettivamente.
[1] WHO, 2012: Health effects of Black Carbon.
[2] Formenton G., Libralesso B. (2007): Caratterizzazione chimica del particolato atmosferico
di Venezia: la determinazione del carbonio. Il Bollettino 2-2007: 28-35
[3] Perrone M.R., Piazzalunga A., Prato M., Carofalo I. (2011): Composition of fine and coarse
particles in a coastal site of the central Mediterranean: Carbonaceous species contributions.
Atmospheric Environment 45: 7470-7477
105
AMB23
SIMOULTANEOUS DETERMINATION OF CHLOROANILINES AND
CHLORONITROBENZENES IN DIFFERENT ENVIRONMENTAL WATERS
Roberto Lava1,2, Luciana Menegus2, Giulio Pojana1, Antonio Marcomini1
1
Dipartimento di Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, Universitá Cá Foscari Calle Larga
S.Marta 2137, I-30123 Venezia
2
ARPAV – Agenzia Regionale di Protezione e Prevenzione Ambientale del Veneto, Via Lissa 6,
30171 Venezia Mestre
lava_roberto@hotmail.com
Chlorinated aromatic amines and chloronitrobenzenes are two classes of substances considered
harmful and dangerous because of their toxicity. They are classified as pollutants of main concern
for water resources by Italian environmental legislation [1], according to the national
implementation of the EU Water Framework Directive [2]. A simple and efficient multiresidue
method for the screening and simultaneous detection of seven chloroanilines and five
chloronitrobenzenes, as pollutants of environmental waters, is described. The extraction is based on
solid phase extraction (SPE) followed by gas chromatography coupled with mass spectrometry
detection (GC-MS), without any derivatization. The first part of the study develops the best
analytical conditions to obtain an easy and quick, yet rugged, method to be applied in a
routine/control environmental laboratory. Moreover, investigations and considerations on different
extraction cartridges, on pH conditions and on the final elution step, were made. Afterwards, the
method was validated in terms of linearity, repeatability, recovery, breakthrough and LODs/LOQs
on spiked environmental samples. Finally, the analytical method for the selected compounds was
tested on different real environmental water samples such as ground water, surface water and waste
water collected over the 2007-2009 period in different areas of the Veneto Region.
References:
1. Decreto 14 Aprile 2009 n.56 del Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio e del
Mare recante "Criteri tecnici per il monitoraggio dei corpi idrici e l'identificazione delle
condizioni di riferimento per la modifica delle norme tecniche del decreto legislativo 3
aprile 2006 .153" Gazzetta Ufficiale n.124 del 30/05/2009 S.O. n.83, Allegato I
2. Directive 2000/60/EC of the European Parliament and of the Council of 23 October 2000
establishing a "Framework for Community action in the field of water policy", Official
Journal, L 327; 22/12/2000: P. 0001-0073.
106
AMB24
SEWAGE SLUDGE FROM URBAN WASTEWATER TREATMENT PLANT: ENERGY
RECOVERY AND ENVIRONMENTAL ASSESSMENT
Ivan Mangili
Dip. Scienze dell’Ambiente e del Territorio, Università di Milano-Bicocca, piazza della Scienza 1,
20126 Milano
i.mangili@campus.unimib.it
Sludge is by far the largest in volume amongst the by-products of wastewater treatment, and its
processing methods and disposal techniques are nowadays a matter of great concern. Currently, the
known sludge disposal methods are recycling as fertilizer, landfilling and incineration. Sludge
incineration presents several advantages, including volume reduction, thermal destruction of toxic
organic constituents, and energy recovery1. Moreover, sewage sludge, being a biosolid, can be
considered a renewable energy source, alternative to fossil fuels2.
Technologies available for thermal processing of sewage sludge can be grouped into three
categories, i.e. mono-incineration, co-combustion, and other thermal processes (gasification,
pyrolysis, wet oxidation)3. Among mono-incineration technologies, fluidized bed incineration is
becoming more and more attractive in comparison to the conventional multiple hearth type.
An integrated process where sludge is dried before incineration is presented and discussed. In order
to treat the sludge effectively, the knowledge of the sludge characteristics is crucial: physicochemical parameters as moisture content, ash content, ultimate composition (C, H, O, S, N, Cl as
%w/w dw), higher heating value, were determined together with the content of heavy metals, total
organic carbon, Polycyclic Aromatic Hydrocarbons (PAHs), PolyChloroDibenzo-p-Dioxins
(PCDDs) and PolyChloroDibenzoFurans (PCDFs).
A thermodynamic model was developed to simulate the integrated process, including indirect
thermal drying and combustion4. The heat of the exhaust gases from the furnace is recovered in a
downstream boiler and used for sludge drying.
The application of the algorithm described made clear that the sludge has to be fed to the fluidized
bed furnace at an optimal solid concentration of 52%, high enough to carry out a self sustaining
combustion, without any need of auxiliary fuel.
The energy efficiency, evaluated according to the criteria of the European Directive 2008/98, might
be as high as 50%, depending on the electric energy consumption for the integrated plant.
1. D. Fytili, A. Zabaniotou, Renew. Sust. Energ. Rev., 2008, 12, 116-140J.
2. E. Cartmell, P. Gostelow, D. Riddell-Black, N. Simms, J. Oakey, J. Morris, P. Jeffrey, P.
Howsam, S. Pollard, Environ. Sci. Technol., 2006, 40, 649-658
3. Werther, T. Ogada, Prog. Energy Combust. Sci., 1999, 25, 55-116
4. Mininni, G. Incineration with Energy Recovery. In Sludge into Biosolids: Processing, Disposal,
Utilization; Spinosa, L., Vesiling, P. A., Eds.; IWA Publishing: London, 2001
107
AMB25
PCDD/F NELLE MATERIE PRIME DI ORIGINE NATURALE:
IL CAOLINO LAZIALE
Silvia Mosca1, Ettore Guerriero1, Simone Guidone1, Mauro Rotatori1,
Giuseppe Bonifazi2, Mauro Ferrini2, Vincenzo Giancontieri2, Andrea Manni2
1
Istituto sull’Inquinamento Atmosferico – CNR (CNR-IIA) – Via Salaria km 29,300 00015
Monterotondo (RM)
2
Dip. ICMA Università "La Sapienza" - Via Eudossiana 18, 00184 Roma;
andrea.manni@uniroma1.it
Il caolino trova utilizzo in una vasta gamma di applicazioni come nell’industria delle ceramiche e
delle porcellane, nell'industria farmaceutica come eccipiente delle compresse, nell'industria della
carta e come additivo alimentare nei mangimi. Negli ultimi anni la quantità di diossine (PCDD/F)
contenuta in questo tipo di minerale ha creato seri problemi di contaminazione in diverse parti del
mondo. Ancora non è ben chiara l’origine (naturale o antropogenica) di questi microinquinanti.
Nella maggior parte dei dati disponibili in letteratura, l'analisi dei microinquinanti è stata effettuata
sulla roccia che contiene la mineralizzazione, senza differenziare le diverse componenti
mineralogiche. In questo lavoro, si è studiato il giacimento di caolino “primario” di Monte
Sughereto, in località Sasso di Furbara, posto nel comune di Cerveteri (RM) e rientrante nel
distretto vulcanico dei Monti Ceriti, in cui la caolinite si trova all’interno della trachite alterata per
l’azione di fluidi idrotermali.
I campioni (selezionati manualmente, e prelevati a due quote differenti del fronte della miniera)
sono stati macinati mediante un frantoio a mascelle e sottoposti ad un processo automatico di
attrizione al fine di liberare il caolino dalla matrice (ganga trachitica) e così generare due frazioni
meglio definite sia dal punto di vista mineralogico che granulometrico.
Lo scopo del lavoro è stato duplice: effettuare una valutazione multidisciplinare, chimica e geoingegneristica, del materiale caolinico rispetto alla ganga trachitica ed una valutazione della
distribuzione di diossine sulle due componenti della roccia.
Sia sui campioni di caolino che di trachite sono presenti le diossine ed i furani ad elevato grado di
clorurazione (epta ed otta diossine e furani); in particolare si è potuto osservare una quantità
maggiore di diossine sul caolino rispetto alla corrispondente trachite. Inoltre, i campioni prelevati a
quota +20m rispetto al piano di cava risultano essere più contaminati.
Tali risultati aggiungono informazioni che contribuiranno a definire meglio sia il processo di
formazione dei microinquinanti organici sia il processo di formazione del giacimento minerario.
Bibliografia
Guerriero E., Pomponio S., Mosca S., Rotatori M., Bonifazi G., Giancontieri V., Manni A.,
Micropollutants in An Italian Kaolin: Assessment and Formation Proposal, Organohalogen
Compds. (2011) 73: 138-141
Barrese E., Della Ventura G., Di Sabatino B., Giampaolo C., Nuovi dati chimici sul deposito di
caolino di Monte Sughereto. Geologica Romana (1993) 29: 187-196
108
AMB26
INDAGINE ELLISSOMETRICA DI FILM SOTTILI DI TiO2 PER L’OTTIMIZZAZIONE
DEI PROCESSI DI ABBATTIMENTO FOTOCATALITICO DI INQUINANTI
REFRATTARI
Giulia Marchetti, Marco Minella, Davide Vione, Claudio Minero, Valter Maurino
Dipartimento di Chimica, Università di Torino, Via Pietro Giuria 5, 10125 Torino,
giulia86.marchetti@libero.it
L’inquinamento delle acque e dell’atmosfera è uno dei principali problemi della società
contemporanea. Per un efficace abbattimento di inquinanti refrattari sono state messe a punto
tecnologie avanzate di ossidazione (Advanced Oxidation Technologies, AOTs)7. Tra queste, la
fotocatalisi su semiconduttori è in grado di abbattere e mineralizzare la quasi totalità degli
inquinanti organici, promuovendone l’ossidazione a CO2, acqua e ioni inorganici, in condizioni di
reazione blande8.
Per la sua fotostabilità, atossicità, basso costo e buona fotoattività, il TiO2 policristallino, nella
fase anatasio, è il semiconduttore di maggior interesse. Tuttavia la resa quantica e la resa fotonica
dei fotoprocessi che avvengono negli ossidi semiconduttori è ancora piuttosto bassa. In questo
lavoro sono stati prodotti e studiati film sottili di biossido di titanio, variamente drogati. Le loro
proprietà ottiche sono state correlate con la loro attività fotocatalitica valutata monitorando la
degradazione di un inquinante standard (fenolo) sotto irraggiamento UV e visibile. L’indagine delle
proprietà ottiche dei film sintetizzati è stata condotta mediante ellissometria spettroscopica, una
tecnica di misurazione ottica che, studiando le proprietà di riflessione (o trasmissione) della luce da
parte di un campione, permette di ottenere le sue proprietà dielettriche (indice di rifrazione e
coefficiente di assorbimento) e strutturali (spessore e rugosità)9. I due tipi di drogaggio indagati
(con azoto e con cationi metallici) portano da un lato all’ottenimento di una riduzione del band gap
del semiconduttore e conseguente assorbimento nel visibile, dall’altro all’inserimento di difetti nel
reticolo cristallino che possono giocare un ruolo importante nella separazione e ricombinazione dei
portatori di carica fotogenerati10.
Le risultanze sperimentali hanno evidenziato che: (i) nei film sottili prodotti è presente un
gradiente di proprietà ottiche in funzione dello spessore; (ii) la presenza di materia organica
scarsamente volatile, come un tensioattivo non ionico, migliora l’attività fotocatalitica dei film; (iii)
il drogaggio con azoto è efficace per ciò che riguarda l’attività nel visibile se il precursore organico
contiene un elevato rapporto N/C e una buona capacità complessante nei confronti del Ti(IV); (iv) il
drogaggio con cationi aliovalenti rispetto al Ti(IV) può condurre a buone fotoattività se il raggio
cristallografico del catione si adatta al reticolo cristallino dell’anatasio; (v) determinanti nel
controllo dell’attività fotocatalitica non sono solo le proprietà ottiche, ed in particolare il band gap,
ma anche e soprattutto la presenza di difetti cristallini.
7
M. I. Bitter, Introduction to Photochemical Advanced-Oxidation Processes for Water Treatment, 325-366 in
Handbook of Environmental Chemistry, Part M, 2005, Springer, Berlin.
8
E. Pelizzetti, V. Maurino, C. Minero, V. Carlin, E. Pramauro, O. Zerbinati, M.L. Tosato; Photocatalytic degradation of
atrazine and other s-triazine herbicide, Environ. Sci. Technol., 1990, 24, 1559.
9
H. Fujiwara; Spectroscopic Ellipsometry: Principles and applications, John Wiley & Sons, 2007.
10
M.K. Nowotny, L.R. Sheppard, T. Bak, J. Nowotny; Defect chemistry of titanium dioxide. Application of defect
engineering in processing of TiO2-based photocatalysts, J. Phys. Chem. C, 2008, 112, 5275.
109
AMB27
IMPATTO DELLE COMBUSTIONI DOMESTICHE SULLA QUALITA’ DELL’ARIA
INDOOR
Eleonora Andriani, Paolo Rosario Dambruoso , Gianluigi de Gennaro,
Annamaria De Marinis Loiotile , Alessia Di Gilio, Valerio Di Palma, Annalisa Marzocca,
Antonio Mazzone, Jolanda Palmisani, Maria Tutino
Dipartimento di Chimica, Università di Bari, via Orabona, 4. 70126 Bari
annalisa.marzocca@uniba.it
E’ crescente l’interesse della comunità scientifica nei confronti dei fenomeni di inquinamento
indoor connessi alla combustione delle biomasse, come ad esempio l’utilizzo di stufe e caminetti,
in relazione anche alle nuove politiche energetiche che ne incentivano l’impiego.
Studi bibliografici (1) mostrano che la combustione di biomassa è responsabile di elevate emissioni
di particolato. La frazione più fine (diametro aerodinamico < 2.5 μm) può essere costituita da una
complessa miscela di composti di differente tossicità per l’uomo già individualmente considerati,
come gli idrocarburi policiclici aromatici, IPA, e i metalli pesanti (2). E’ opportuno ricordare che in
ambienti domestici vi sono anche altre attività di combustione che possono contribuire all’aumento
della concentrazione di detti inquinanti (cottura dei cibi, fumo di sigarette ecc…) (3).
Nello studio in oggetto è stato condotto un monitoraggio in abitazioni con caminetti di differente
tipologia (aperti, chiusi, termo camini). Le attività di campionamento sono state effettuate
utilizzando un campionatore sequenziale per la raccolta della frazione PM10 (campionamenti di 12
ore) e, al fine di comprendere l’evoluzione temporale dei diversi inquinanti in ciascuno stadio di
attività del caminetto, è stata utilizzata strumentazione ad alta definizione temporale: un
contaparticelle ottico multicanale per la caratterizzazione in tempo reale della distribuzione
granulometrica del materiale particellare aerodisperso ; un misuratore di particelle submicroniche
nel range di dimensioni comprese tra 6 nm e 0,5 μm in grado di fornire uno spettro dimensionale
delle particelle nel range indicato ; un analizzatore in continuo per la determinazione degli IPA
adsorbiti sulla superficie degli aerosol carboniosi; un detector a fotoionizzazione per la misura di
COV.
Analizzando gli andamenti dei parametri monitorati è stato possibile distinguere nella maggior parte
dei casi, i profili e i contributi delle sorgenti (caminetto, fumo di sigaretta, cottura cibi) nelle diverse
fasi e la loro variabilità nel tempo in dipendenza dalle condizioni ambientali e di esercizio.
Riferimenti bibliografici:
3) Energy and Fuels. Nussbaumer, T., 2003. 17 (6),1510–1521
4) ‘Europart’. Airborne particles in the indoor environment. A European interdisciplinary
review of scientific evidence on associations between exposure to particles in buildings and
health effects. T. Schneider, J. Sundel, W. Bischof, M. Bohgard, J. W. Cherrie, P. A.
Clausen1, S. Dreborg, J. Kildes, S. K. Kjærgaard, M. Løvik, P. Pasanen, K. Skyberg- Indoor
Air 2003; 13: 38–48
5) Size distribution and emission rate measurement of fine and ultrafine particle from indoor
human activities. Gehin, E., Ramalho, O., Kirchner, S. (2008).Atmospheric Environment,
42, 8341–8352.
110
AMB28
RELAZIONE TRA LA CIRCOLAZIONE ATMOSFERICA E LE DISTRIBUZIONI
DIMENSIONALI DI ALCUNI ELEMENTI NELL’AEROSOL DI VENEZIA
Mauro Masiol1, Stefania Squizzato1, Daniele Ceccato2, Giancarlo Rampazzo1, Bruno Pavoni1
1
Dip. Scienze Ambientali, Informatica e Statistica, Università Ca’ Foscari Venezia, Dorsoduro
2137, 30123 Venezia.
2
Dip. Fisica e Astronomia “Galileo Galilei”, Università degli Studi di Padova, via Marzolo 8,
35131 Padova
masiol@unive.it
Le particelle che compongono l’aerosol hanno differenti dimensioni, forme, composizione chimica
e giocano un ruolo diretto ed indiretto sul clima, influenzano la visibilità, possono subire reazioni
chimiche in atmosfera e possono causare effetti negativi per la salute dell’uomo. Inoltre, le
caratteristiche dimensionali e la composizione delle particelle sono strettamente relazionate alle
sorgenti di emissione e ai processi chimici in atmosfera che le generano.
Recentemente, alcuni studi condotti nell’area veneziana hanno permesso di individuare e
quantificare le sorgenti di emissione più importanti, mettendo in luce sia l’influenza dei fenomeni di
generazione locali che il ruolo dei trasporti esterni a scala continentale e regionale [1–4].
Questo contributo presenta i risultati preliminari di uno studio condotto in una stazione di fondo
semi-rurale dell’area veneziana utilizzando un impattatore multistadio per determinare le relazioni
tra la circolazione locale, il clima e la distribuzione dimensionale di alcuni elementi maggiori e
minori dell’aerosol. Un totale di 18 campioni sono stati raccolti usando un impattatore a 8 stadi I-1
(PIXE International Co., tagli aerodinamici a 16, 8, 4, 2, 1, 0.5, 0.25 μm), per un totale di 144
singole membrane. Ogni membrana, unitamente a bianchi campo e bianchi filtro, è stata analizzata
usando la tecnica PIXE presso i laboratori di Legnaro dell’INFN per la determinazione quantitativa
di 14 elementi (Na, Mg, Al, Si, K, Ca, Ti, V, Cr, Mn, Fe, Ni, Cu e Zn).
Gli elementi di origine tipicamente marina e di origine terrigena mostrano distribuzioni
dimensionali con mode generalmente supermicrometriche, mentre zolfo, potassio e alcuni elementi
associabili a sorgenti antropiche (Cr, Mn, Cu, Zn) presentano mode marcate nella regione
submicrometrica. Lo studio della distribuzione dimensionale degli elementi ha permesso di
ampliare la conoscenza delle caratteristiche chimico-fisiche dell’aerosol nell’area di studio e ha
fornito importanti indicazioni sui principali processi di emissione primaria e di formazione
secondaria. Lo studio di alcuni parametri micro-meteorologici, della circolazione atmosferica e dei
trasporti a lunga distanza ha permesso di approfondire l’origine dell’aerosol e i principali
meccanismi di generazione secondaria e di deplezione del cloro.
[1] Masiol M. et al., Chemosphere 80 (2010) 771
[2] Squizzato S. et al. J. Aerosol Sci. 46 (2012) 64
[3] Masiol M. et al., Atmos. Environ. 54 (2012) 127
[4] Masiol M. et al., Environ. Sci. Pollut. Res. (2012) in stampa
111
AMB29
ANALISI MODELLISTICA DI SOURCE APPORTIONMENT PER IL BENZO(A)PIRENE
E GLI IPA TOTALI PRESSO LA POSTAZIONE DI MONITORAGGIO DELLA
QUALITA’ DELL’ARIA “VIA MACHIAVELLI”A TARANTO
Angela Morabito1, Roberto Giua1, Stefano Spagnolo1, Tiziano Pastore1, Monica Bevere1,
Ettore Valentini1, Giorgio Assennato1 , Maria Grazia Morselli2, Gianni Tinarelli2
1
ARPA Puglia, Centro Regionale Aria
2
ARIANET , Milano
a.morabito@arpa.puglia.it
L’area tarantina, insieme alle problematiche ambientali comuni a tutte le aree urbane, presenta
un’elevata concentrazione di diverse tipologie di emissioni industriali che hanno provocato negli
anni alti livelli di concentrazione di inquinanti in aria ambiente con conseguenti gravi alterazioni
degli equilibri ambientali.
Il monitoraggio annuale del benzo(a)pirene (BaP) svolto sul PM10 in aria ambiente da ARPA
Puglia ha evidenziato negli anni 2009, 2010 e 2011 il superamento del valore obiettivo previsto dal
D.Lgs. 155/2010 presso la postazione di monitoraggio sita in via Machiavelli, a ridosso della zona
industriale.
Al fine di identificare la causa di tali superamenti è stata effettuata con l’ausilio di tecniche
modellistiche tridimensionali avanzate una valutazione quantitativa del contributo dei diversi
comparti emissivi alle concentrazioni di BaP e IPA totali previste in corrispondenza della centralina
Via Machiavelli.
E’ stata quindi condotta una simulazione annuale per l’anno 2009 del BaP e degli IPA totali con la
catena modellistica SWIFT-SURFPRO-SPRAY con una risoluzione target pari a 500m,
considerando come sorgenti emissive le convogliate industriali, le diffuse industriali, il porto ed il
traffico (limitatamente alle strade poste in prossimità di Via Machiavelli), stimate attraverso la
metodologia internazionale CORINAIR.
La meteorologia sull’area di studio è stata ricostruita con il codice meteorologico diagnostico
MINERVE a partire dalle previsioni meteorologiche tridimensionali elaborate con RAMS. La
ricostruzione dei parametri turbolenti è avvenuta con il modello micrometeorologico SURFPRO.
L’utilizzo del codice lagrangiano a particelle SPRAY ha permesso in modo rapido e naturale di
separare, identificare e calcolare l’apporto quantitativo di tali comparti all’interno delle matrici di
concentrazione relativamente alle sostanze inquinanti considerate. La metodologia messa a punto ha
consentito di identificare nelle emissioni diffuse della cokeria ILVA la causa dei superamenti per il
BaP presso la centralina Via Machiavelli.
112
AMB30
STUDY OF THE INTERACTION OF POLYCYCLIC AROMATIC HYDROCARBONS
WITH THE OXYGENASE (PHNI) AND THEIR SELECTED MUTANTS
Vito Librando1,2, Matteo Pappalardo1
1
2
Dipartimento di Scienze Chimiche, Università di Catania, Viale A.Doria 6, 95125, Catania
Research Center for Analysis, Monitoring and Minimization Methods of Environmental Risk,
Chemical Science Building, Viale A.Doria 6, 95125, Catania
vlibrando@unict.it
The surrounding area of oil refinery is often contaminated by Polycyclic Aromatic Hydrocarbons
(PAH). Their low reactivity, poor water solubility, and high hazard for human health represent one
of the most challenging aspects in environmental chemistry. Recent approaches to PAH removal
involved the use of enzyme able to degrade their molecular structure, but at present real and
efficient solutions are not known. Recently some authors resolved structure of an enzyme with a
good PAH removal capability for low weight molecules. Here we want to study that oxygenase
(PhnI) with Molecular Dynamics (MD) and Docking calculation with the aim to point out new
mutants with high degrading capability. Molecular Dynamics (MD) simulation was employed to
optimize enzymatic geometry of the wild type enzyme and led us to the discovery of a network of
channel spanning inside the enzyme. Moreover docking calculation confirmed literature data, and
on these bases we generated six mutants of PhnI. The results indicate that the increase of the cavity
of the active site in the mutants, allows inserting of high molecular weight PAH. Besides, resolution
of Poisson-Boltzmann equation evidenced that a positive electrostatic potential on the active site
of mutants F350A increase significantly its docking score versus high molecular weight PAH.
Further studies are now in progress to increase in silico degrading efficiency for this enzyme, and
we are planning parallel laboratory experiments.
113
AMB31
CARATTERIZZAZIONE DI SEDIMENTI DA DRAGAGGIO: VALUTAZIONE DELLA
MOBILITÀ DI INQUINANTI INORGANICI, E DEGLI EFFETTI DEL TRATTAMENTO
DI SOIL WASHING.
Fabrizio Passarini,Claudio Corticelli, Ivano Vassura, Luciano Morselli
Dip. di Chimica Industriale e dei Materiali - Università di Bologna
fabrizio.passarini@unibo.it
Il problema della ricollocazione dei sedimenti da dragaggio dei porti è sempre più pressante poiché
i materiali di risulta sono volumetricamente consistenti, e le normative riguardanti il loro
smaltimento sempre più vincolanti, a causa delle maggiori attenzioni riguardanti l’ambiente e la sua
conservazione [1]. I sedimenti dragati sono spesso contaminati da inquinanti di diverso tipo,
distinguibili in due grandi macroaree: metalli pesanti e idrocarburi, derivanti da attività industriali
nelle aree portuali e dal transito di natanti.
Nell’ambito della caratterizzazione di fanghi da dragaggio portuali, ci si è occupati di valutare la
mobilità degli inquinanti inorganici in campioni contaminati prelevati dal porto canale di Ravenna.
Si è lavorato su sedimenti tal quali e sui prodotti trattati tramite separazione granulometrica.
Si è operato tramite l’utilizzo di due test di cessione, a pH controllato ed a percolazione, seguendo
le specifiche tecniche UNI CEN/TS 14997 [2] e UNI CEN/TS 14405 [3], per valutare la
lisciviabilità delle componenti inorganiche in processi analoghi a quelli che subiscono i sedimenti
una volta stoccati nell’ambiente. L’utilizzo di test di cessione permette di valutare l’effetto del
trattamento sulla mobilità degli inquinanti.
Questo tipo di caratterizzazione fornisce informazioni indirette sulla pericolosità dei materiali e
informazioni sui meccanismi di rilascio. Quindi l’utilizzo di test di cessione fornisce dati
complementari all’analisi del contenuto totale di inquinanti, che permettono di comprendere, oltre al
carico di contaminanti, la loro natura e la loro biodisponibilità, che può variare a seconda dello
scenario di ricollocazione.
La ripartizione degli inquinanti è influenzata notevolmente dalla distribuzione granulometrica,
infatti, in particolare per i campioni maggiormente contaminati, si riscontrano, a seguito della
separazione, concentrazioni circa 3 volte superiori nei sedimenti fini rispetto alle sabbie per i
seguenti analiti: Cr, Fe, Ni, Pb, Cu, Zn.
Questo studio preliminare, oltre a valutare la ripartizione dei contaminanti su base granulometrica,
mostra come la mobilità di molti metalli pesanti sia più elevata nella frazione fine separata rispetto
al sedimento tal quale, in particolare si è visto come il rilascio percentuale di Nichel e Zinco
incrementi in modo consistente (fino a quattro volte tanto) sul materiale trattato rispetto a quello di
partenza.
[1] Apat Icram, Manuale per la movimentazione di sedimenti marini, 2006.
[2] UNI CEN TS 14997, "Caratterizzazione dei rifiuti Prove di comportamento alla lisciviazione
Influenza del pH sulla lisciviazione con controllo continuo del pH”, 2007.
[3] UNI CEN TS 14405, "Caratterizzazione dei rifiuti Prove di comportamento alla lisciviazione
Prova di percolazione a flusso ascendente (nelle condizioni specificate)", 2004.
114
AMB32
ANALISI DEI FLUSSI E DELLE RISERVE DI ALLUMINIO IN ITALIA MEDIANTE
MFA DINAMICA
Luca Ciacci, Fabrizio Passarini, Ivano Vassura, Luciano Morselli
Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali & CIRI Energia e Ambiente, Università di
Bologna, Viale del Risorgimento 4, 40136, Bologna.
fabrizio.passarini@unibo.it
Lo sfruttamento su larga scala di miniere e giacimenti naturali determina la trasformazione di molte
risorse naturali in prodotti antropogenici. Nelle economie sviluppate, gli input di materiale superano
solitamente gli output, determinando un accumulo di risorse all’interno delle società umane.
L’analisi dei flussi di materia (Material Flow Analysis, MFA) è una metodologia che consente
l’identificazione e la quantificazione di flussi e riserve in uso. Nello studio un modello di MFA
dinamica è stato applicato per l’analisi dei flussi e delle riserve di alluminio in Italia per gli anni dal
1947 al 2009. Il modello elabora la struttura metodologica STAF (Stock And Flows Analysis)
sviluppato dal Center for Industrial Ecology (Yale University), che divide il ciclo di vita di un
metallo in quattro fasi principali: Produzione, Lavorazione e Fabbricazione, Uso e Gestione dei
rifiuti e Riciclo. Ciascuna di queste fasi è suddivisa nei singoli processi, che nel caso dell’alluminio
includono l’estrazione dei minerali (bauxite), raffinazione dell’allumina ed elettrolisi, forgiatura e
produzione di semi-lavorati (es. laminati, estrusi) e prodotti finiti, quindi raccolta e trattamento dei
rottami per la fusione secondaria.
L’MFA si basa sul principio di conservazione della massa, che ha richiesto un’estesa raccolta dati
riguardanti la produzione e il consumo di alluminio, inclusi i flussi recuperati, dissipati e depositati
nell’ambiente. Inoltre, il database United Nations Commodity Trade Statistics Database ha
permesso l’acquisizione delle informazioni riguardanti i flussi importati ed esportati di prodotti
contenenti alluminio. La stima del contenuto di metallo in ciascun prodotto è stata condotta da dati
riportati in letteratura, da industrie ed associazioni di categoria e, in alcuni casi, anche mediante
l’impiego di dati proxy.
Una considerazione a parte merita di essere fatta per la fase di Gestione dei rifiuti e Riciclo perché
permette la stima dell’alluminio recuperato dalla fase di Uso e, mediante un approccio “top-down”
la quantificazione del metallo presente nelle riserve in uso. Un aspetto chiave riguarda la
generazione di rottami dai settori di applicazione per prodotti finiti (edilizia e costruzioni, trasporto,
beni durevoli, imballaggi, applicazioni meccaniche ed elettriche, ecc.), aventi tempi di vita che
possono variare da qualche mese a diversi decenni. La stima della generazione di rottami e prodotti
obsoleti contenenti alluminio in uscita dalla fase di Uso è stata eseguita applicando un modello di
distribuzione statistica (normale) e conoscendo l’input per ciascun anno alla fase di Uso: il principio
di conservazione della massa è stato quindi applicato per il bilancio di flussi e riserve.
I risultati mostrano un rapido incremento per produzione, importazione netta e consumo di
alluminio, che causa una rapida accumulazione del metallo nelle riserve in uso. La stima cumulativa
di tali riserve ammonta a circa 20 Mt, circa 340 kg pro capite. La produzione media annuale
dell’ultimo decennio si attesta intorno a un milione di tonnellate di alluminio: dal confronto si
evince la potenzialità associata allo sfruttamento di queste riserve, con conseguenti vantaggi
ambientali in termini di consumo di risorse primarie e riduzione delle emissioni inquinanti.
115
AMB33
COMPOSTI ORGANICI AD ALTO PESO MOLECOLARE COME VEICOLO DI
TRASPORTO PER I METALLI: IL RUOLO DEI COMPOSTI UMICI
Nicoletta Calace3, Lucia Caliandro1, Luigi Campanella1, Carlo Cremisini2, Elisa Nardi2,
Bianca Maria Petronio1, Massimiliana Pietrantonio2, Marco Pietroletti 3
1
Dipartimento di Chimica Università Sapienza,Piazzale Aldo Moro 5, 00185 Roma
2
ENEA, PROT-CHIM, Via Anguillarese, 301- 00060 Roma
3
Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, via Curtatone 3, 00100 Roma
biancamaria.petronio@uniroma1.it
Il trasporto atmosferico a lungo raggio e la successiva deposizione a terra sono stati considerati
essere la via più importante per il trasferimento di sostanze inquinanti dai luoghi di origine in aree
remote. Per avere informazioni sul processo di trasferimento a terra di inquinanti adsorbiti sul
particolato e/o presenti nell’ areosol marino, negli ultimi decenni sono stati effettuati numerosi studi
su campioni di neve e ghiaccio provenienti da zone scarsamente popolate, in modo da rendere
trascurabile l’apporto antropogenico locale. Particolare attenzione è stata rivota alla determinazione
della concentrazione di metalli pesanti in Antartide sia nella neve che in carote di ghiaccio,
concentrandosi in particolare sui metalli i cui cicli sono stati fortemente modificati dalle attività
umane (Boutron e Görlach, 1990; G. Scarponi et al, 1997;. Wolff et al, 1999;. Planchon et al, 2000).
Scopo di tali ricerche è stato lo studio dell’andamento delle emissioni nel tempo, partendo dal
presupposto che, se l’efficienza delle deposizioni può essere considerata relativamente costante, le
variazioni delle concentrazioni degli analiti in esame possono essere messe in relazione con le
variazioni verificatesi a livello di “fonti” (Wolff et al., 1999).
Studi precedenti da noi effettuati (Calace et al., 2001; 2005a) sui composti umici presenti nelle nevi
dell’Antartide, hanno messo in evidenza l’origine marina di tali composti. Si può quindi supporre
che una parte dei composti chimici derivanti da attività naturali ed antropiche e presenti in aree
remote, trasportata “via aerosol marino” da composti organici ad alto peso molecolare, sia in effetti
legata agli acidi umici.
Lo scopo di questo studio è stato quindi quello di valutare il ruolo delle sostanze organiche ad alto
peso molecolare nel trasporto a lunga distanza dei metalli pesanti e di evidenziare in quest’ambito il
contributo derivante dalla presenza dei composti umici. Sono stati presi in esame campioni di neve
provenienti da una trincea scavata a Dome C (Antartide) prendendo in considerazione sia i soli
composti umici che l’insieme delle sostanze organiche ad alto peso molecolare. Quest’ultima
frazione è stata isolata mediante ultrafiltrazione su membrane da 500 Dalton, con una procedura
messa a punto nel nostro laboratorio. In questo modo sono stati recuperati anche i metalli
fortemente legati alla materia organica. La concentrazione di Cu, Zn Cd, Pb, As, U è stata
determinata mediante ICP-MS.
I risultati ottenuti mostrano per i metalli legati alla materia organica un andamento crescente: Cd ~
As << Pb < Cu. Va ricordato che i dati riportati si riferiscono alla sola quantità di metallo legato in
forma stabile alla materia organica ad elevato peso molecolare, inclusi i composti umici.
Gli andamenti delle concentrazioni nel tempo, ricavate dall’analisi dei diversi strati di neve della
trincea, variano con la natura del metallo. Particolarmente interessante è l’andamento della
concentrazione del piombo che mostra valori crescenti lungo la carota di ghiaccio, quindi un
decremento in tempi recenti, in accordo con i dati trovati da alcuni autori (Wolff and Suttie, 1994;
Scarponi et al., 1997). Un confronto tra i valori ottenuti mediante ultrafiltrazione ed i valori della
concentrazione totale dei metalli trovati da alcuni autori nella neve (Suttie and Wolff ,1992; Wolff
et al., 1999; Planchon et al., 2002) fa pensare che nella neve i metalli siano presenti
116
prevalentemente sotto forma di complessi con sostanze organiche ad alto peso molecolare. Si può
inoltre ipotizzare che gran parte del materiale organico ad elevato peso molecolare sia costituito da
composti umici, dato che non si osservano variazioni nell’andamento delle concentrazioni dei
metalli se queste vengono riportate normalizzando i valori rispetto al contenuto di composti umici.
Questo fatto sottolinea il ruolo dei composti umici nel trasporto atmosferico a lunga distanza.
Boutron C.F., Görlach U., (1990). The occurrence of heavy metals in Anterctic and Greenland
ancient ice and recent snow. In: Metal speciation in the environment (J.A.C. Broekaert, C. Gücer, F.
Adams eds.). Berlin and Heidelberg: Springer Verlag, 137-151.
Görlach U., Boutron C.F., (1992). Change in heavy metals concentrations in Antarctic snow
from the 1940 to 1980. J. Atmos. Chem., 14, 205-222.
Scarponi G., Barbante C., Turetta C., Gambaro A., Cescon P., (1997). Chemical contamination of
Antarctic snow: the case of lead. Microchem. J., 55, 24-32.
Wolff E.W., Suttie E.D., Peel A.D., (1999). Antarctic snow record of cadmium, copper, and zinc
content during the twentieth century. Atmospheric Environ., 33, 1535-1541.
Planchon F.A.M., Boutron C.F., Barbante C., Cozzi G., Gaspari V., Wolff E.W., Ferrari C.P.,
Cescon P., (2002). Changes in heavy metals in Antarctic snow from Coats Land since the mid-19th
to the late-20th century. Earth Planet. Sci. Lett. 200, 207-222.
Calace N., Petronio B.M., Cini R., Stortini A.M., Pampaloni B., Udisti R. (2001). Humic marine
matter and insoluble materials in Antarctic snow. Intern. J. Environ. Anal. Chem. 79, 331-348
Calace N., Cantafora E., Mirante S., Petronio B.M., Pietroletti M., (2005a). Transport and
modification of humic substances present in Antarctic snow and ancient ice. J. Environ Monitor, 7,
1320 – 1327.
Wolff E.W., Suttie E.D., (1994). Antarctic snow record of Southern-Hemisphere lead pollution.
Geophys. Res. Lett., 21, 781-784.
Suttie E.D., Wolff E.W., (1992). Seasonal input of heavy metals to Antarctic snow. Tellus 44B,
351-357.
117
AMB34
L’INFLUENZA DELLE ATTIVITA' UMANE NELL’INQUINAMENTO DEI SEDIMENTI
DEL MAR PICCOLO DI TARANTO (MAR IONIO, ITALIA)
Lucia Caliandro1, Nicola Cardelicchio2, Bianca Maria Petronio1, Massimiliana Pietrantonio3,
Marco Pietroletti4
1
2
Dipartimento di Chimica, Sapienza, Piazzale Aldo Moro, 5- 00185 Roma
CNR-Istituto per l’Ambiente Marino Costiero Via Roma 3- 74100 Taranto
3
ENEA, PROT-CHIM, Via Anguillarese, 301- 00060 Roma
4
ISPRA, Via di Casalotti, 300- 00166 Roma
biancamaria.petronio@uniroma1.it
Negli ultimi decenni i livelli dei contaminanti nell'ambiente marino sono aumentati notevolmente a
causa delle attività antropiche. Questo fenomeno è particolarmente rilevante nel caso dei metalli
pesanti, che, a differenza di altri inquinanti, non sono biodegradabili e quindi sono soggetti ad
accumulo. Possono essere trasferiti dall'acqua ai sedimenti dagli ossidi di azoto (Murray 1975;.
Rasmussen et al 1998), o dalla materia organica, accumularsi nei sedimenti e negli organismi, e
successivamente trasferirsi nell’uomo attraverso la catena alimentare. I sedimenti quindi agiscono
come “trappole” per i metalli (Shne et al. 1995), di conseguenza il contenuto dei metalli nei
sedimenti è generalmente ben al di sopra dei limiti anche quando la loro concentrazione nelle acque
è bassa. Per questo motivo l’analisi dei sedimenti è particolarmente importante per valutare
correttamente la contaminazione da metalli in acque naturali in quanto consente di determinare sia
l’entità degli ingressi dei metalli nell’ambiente acquatico che le sorgenti di inquinamento (Pardo et
al., 1990; Wardas et al., 1996).
Le zone costiere, in particolare quelle vicine a grandi centri urbani, sono fonte di preoccupazione in
quanto esposte a contaminazione chimica, dovuta alla presenza di fonti di inquinamento differenti,
quali, ad esempio, scarichi civili e industriali.
In questo lavoro abbiamo considerato i sedimenti del Mar Piccolo di Taranto. Esso è un bacino
semi-chiuso, costituito dal Primo e dal Secondo Seno, sottoposto a fenomeni di inquinamento e di
eutrofizzazione, con una scarsa circolazione di acqua a causa della sua particolare morfologia, tanto
da essere considerato un mare interno. Lo sviluppo di centri industriali e urbani intorno alle zone
costiere ha portato ad un aumento dell'inquinamento diffuso ed ad alcuni cambiamenti sostanziali
nella qualità delle acque, riducendo la qualità ambientale del Mar di Taranto. Precedenti lavori
(Calace et al., 2008) hanno evidenziato che i sedimenti del Primo Seno sono molto più inquinati di
quelli del Secondo Seno.
L'obiettivo primario di questo studio è stato quello di evidenziare l'influenza delle diverse fonti di
inquinamento analizzando tre serie di campioni di sedimenti superficiali. Ogni serie è costituita da
un certo numero di campioni che, per la loro posizione, possono mettere in evidenza il contributo
dovuto a singole fonti di inquinamento, quali il cantiere navale della Marina Militare Italiana, con i
suoi bacini di carenaggio, o scarichi che raccolgono acque reflue con carichi inquinanti di natura
differente. Oltre al contenuto di metalli pesanti è stata considerata anche la quantità totale di
carbonio organico presente e la distribuzione del manganese nelle sue diverse forme chimiche, in
particolare Mn(II) e Mn(IV) in modo da evidenziare le condizioni redox del sistema.
I risultati ottenuti consentono di evidenziare le differenze, in termini di inquinamento, dovute alla
diversa natura degli scarichi e sottolineano che a partire dal 2001 vi è stato un certo miglioramento
nell’ambiente acquatico per quanto si riferisce allo stato di ossigenazione del sistema.
118
Murray, J.W. (1975). The interaction of metal ions at the manganese dioxide-solution interface.
Geochimica et Cosmochimica Acta 39: 505–20.
Rasmussen, P.E., Villard D.J., Gardner H.D., Fortescue J.A.C., Schiff S.L., Shilts W.W. (1998).
Mercury in lake sediments of the Precambrian Shield near Huntsville, Ontario, Canada.
Environmental Geology 33: 170–81.
Shne, J. P., Ika, R. V., Ford, T. E. (1995). Multivariate statistical examination of spatial and
temporal patterns of heavy metal contamination in New Bedform Harbor marine sediment.
Environmental Science and Technology, 29, 1781–17963.
Pardo, R., Barrado, E., Pèrez, L., Vega, M. (1990). Determination and speciation of heavy metals in
sediments of the Pisuerga River. Water Research, 24, 373–379.
Wardas, M., Budek, L., Rybicka, E. H. (1996). Variability of heavy metals content in bottom
sediments of the Wilga River, a tributary of the Vistula River (Kraków area, Poland). Applied
Geochemistry, 11, 197–202.
Calace N., Cardellicchio N., Ciardullo S., Petronio B.M., Pietrantonio M., Pietroletti M. (2008).
Metal distribution in marine sediments of the Mar Piccolo in Taranto(Ionian Sea, southern Italy)
Toxicological and Environmental Chemistry 90, 549–564.
119
AMB35
DIFENILETERI BROMATI (PBDEs) E COMPOSTI CLORURATI NEI MOLLUSCHI
BIVALVI (Mytilus galloprovincialis) DELLA REGIONE PUGLIA
Cristina Annicchiarico, Nicola Cardellicchio, Antonella Di Leo, Santina Giandomenico,
Lucia Spada
CNR – Istituto per l’Ambiente Marino Costiero – Unità Operativa di Taranto, via Roma 3, 74123
Taranto
lucia.spada@iam.cnr.it
Difenileteri bromati (PBDEs) e differenti composti clorurati come i policlorobifenili (PCB)
(congeneri 28, 52, 77, 81, 101, 118, 126, 128, 138, 153, 156, 169, 180) e alcuni pesticidi clorurati
(isomeri del DDT, isomeri dell’HCH, aldrin, dieldrin, alfa-endosulfan, esaclorobenzene,
pentaclorobenzene) sono stati determinati nei tessuti dei molluschi bivalvi “Mytilus
galloprovincialis” campionati lungo le coste della Regione Puglia.
I mitili rappresentano efficienti organismi accumulatori dei contaminanti organici persistenti
(POPs), per tale motivo essi sono largamente impiegati come bioindicatori dell’ambiente marino,
grazie anche alla loro ampia distribuzione geografica, tolleranza a differenti condizioni ambientale e
soprattutto alla loro reperibilità.
Obiettivo della ricerca è stato quello di valutare la qualità delle aree marino-costiere utilizzando i
molluschi come bioindicatori. Le informazioni ottenute hanno permesso di verificare i livelli dei
suddetti inquinanti prioritari e la distribuzione spaziale nell’ambiente marino oggetto di studio.
Idonee quantità di mitili sono state prelevate in trentadue siti distribuiti lungo le coste Pugliesi, 13
dei quali ubicati in corrispondenza impianti di allevamento di molluschi.
Dopo il prelievo, per ciascuna stazione di campionamento, i molluschi sono stati opportunamente
selezionati per taglia (3.0-5.0 cm), omogeneizzati e quindi liofilizzati.
I PCB ed i pesticidi clorurati (OCPs) sono stati estratti con solvente mediante estrazione assistita da
microonde (EPA Method 3546) e successiva determinazione in GC-MS. La determinazione dei
PBDE è stata condotta secondo il metodo EPA 1614 e la determinazione analitica è stata effettuata
mediante GC-MS/MS.
Relativamente ai PCB, la concentrazione massima (Σ PCB = 395.0 µg/kg s.s.) è stata osservata nel I
seno del Mar Piccolo di Taranto (Mar Ionio). La maggior parte dei pesticidi clorurati sono risultati
al di sotto del limite di rivelabilità in quasi tutte le stazioni, ad eccezione dell’isomero 4,4’ DDE la
cui massima concentrazione è stata riscontrata nel II seno del Mar Piccolo di Taranto (Mar Ionio).
Per quanto riguarda invece i PBDE, l’isomero 85 è risultato non determinabile in tutte le stazioni
mentre i livelli più alti dei congeneri PBDE-99 e 100 (2.7 e 1.2 µg/kg s.s. rispettivamente) sono stati
osservati in corrispondenza della foce del fiume Lenne (Mar Ionio).
L’analisi delle componenti principali PCA, condotta sui 32 siti, ha confermato la maggiore
contaminazione del I seno del Mar Piccolo dove sussistono diverse realtà cantieristiche e dove sono
accertate situazioni di contaminazione dei sedimenti marini.
120
AMB36
INFLUENZA DEI FATTORI CLIMATICI ED ANTROPICI NEL PROCESSO DI
DETERIORAMENTO DELLA CALCARENITE: UN CASO DI STUDIO
Sasso Sergio1,2, Scrano Laura2, Bufo Sabino Aurelio2, Trotta Vincenzo3
1
Dottorato di ricerca internazionale “Bioecosistemi e Biotecnologie”,Università degli Studi della
Basilicata, Potenza
2
Dipartimento di Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente, Università degli Studi
della Basilicata, Potenza
3
Dipartimento di Biologia, Difesa e Biotecnologie agroforestali, Università degli Studi della
Basilicata, Potenza
sergio.sasso@unibas.it
Il deterioramento dei materiali lapidei è un processo progressivo ed irreversibile molto complesso
inserito nel “ciclo della trasformazione della materia” [1]. La tempistica e la modalità di impatto
sono diversi a seconda delle caratteristiche dei materiali da costruzione utilizzati, del microclima
locale, dell'inquinamento atmosferico e della presenza di flora e fauna specifiche.
La calcarenite, litotipo ampiamente utilizzato in passato come materiale da costruzione nell'area del
Mediterraneo, a causa della sua natura chimico-fisica, una volta esposto all’atmosfera può subire
facilmente fenomeni di alterazione per via dell’elevato contenuto di carbonato di calcio, inoltre,
essendo un materiale lapideo molto poroso, è particolarmente sensibile all’attacco degli agenti
chimici, fisici e biologici [2].
Facendo seguito ad una ricerca già conclusa da alcuni degli autori [3], che ha evidenziato la stretta
correlazione tra parametri ambientali, attività antropica e degradazione di manufatti lapidei, in
questo lavoro si è voluto affrontare lo studio dal punto di vista statistico al fine di validarne i
risultati.
Il manufatto lapideo oggetto d’indagine, ricadente nell’agro del comune di Lavello (PZ) (41° 03'
36.28"N e 15° 48' 26.69"E) ai margini di un pianoro che si affaccia sulla Valle dell'Ofanto, è sito tra
il primo nucleo del parco archeologico di Forentum romana e l’area industriale di San Nicola di
Melfi. I parametri utilizzato nello studio sono stati:
VARIABILI AMBIENTALI (direzione ed intensità del vento, piovosità, radiazione solare,
temperatura ed umidità relativa),VARIABILI CHIMICHE (Calcare Totale e Carbonio Organico;
Metalli pesanti, Anioni), VARIABILI CHIMICO-FISICHE (pH, CE, esposizione),VARIABILI DI
COLONIZZAZIONE BIOLOGICA, VARIABILI DI DEGRADAZIONE (capillarità e trasmissione
suono). Per studiare le correlazioni tra i diversi indicatori ed individuare le eventuali differenze nel
deterioramento imputabili a parametri ambientali, i risultati del presente studio sono stati sottoposti
ad analisi multivariate (analisi delle componenti principali e MANOVA). Le elaborazioni sono state
eseguite ricorrendo all'ambiente statistico R.
L’analisi delle componenti principali ha messo in evidenza una forte interazione tra parametri
chimico-fisici e degradazione legata alla colonizzazione biologica. Discreta è l’interazione tra
alcune variabili chimiche e l’avanzamento del deterioramento.
[1]Tiano P., Biagiotti L., Mastromei G. (1999): “Bacterial bio-mediated calcite precipitation for monumental stones conservation: methods of
evaluation” Journal of Microbiological Methods 36, pp. 139–145;
[2] Lipfert, F.W. (1989): “Atmosferic damage to calcareous stones comparison and reconciliation of recent experimental findings”
Atmospheric Environment. Vol. 23, Number 2, pp.415-429;
[3]Sasso S., Scrano L., Fraddosio Boccone L., Lovallo M., Palma A., Bufo S.A. (2011): “Air pollution Climate change and calcarenite stone, a case of
rd
study”; atti del 3 Meeting on Meteorology and Climatology of the Mediterranean, Castellaneta (TA) 06-09 giugno.
121
AMB37
DETERIORAMENTO DELLA CALCARENITE ESPOSTA AGLI AGENTI
ATMOSFERICI
Sasso Sergio, Bufo Sabino Aurelio, Scrano Laura
Dipartimento di Scienze dei Sistemi Colturali, Forestali e dell’Ambiente, Università degli Studi
della Basilicata, Potenza
sergio.sasso@unibas.it
Il processo di deterioramento dei materiali lapidei è un problema che in questi ultimi decenni sta
assumendo sempre maggiore rilevanza poiché inerisce il nostro patrimonio storico-culturale. A
differenza degli esseri viventi, i monumenti non posseggono sistemi di autodifesa in grado di
proteggerli da eventuali attacchi di agenti esterni che iniziano la loro opera demolitrice subito dopo
la realizzazione dell’opera. E’ ben nota a tutti la responsabilità assunta dallo sviluppo delle attività
umane, come l’industrializzazione che immettendo inquinanti in atmosfera costituisce un rischio per
l’integrità dei materiali lapidei, in ogni caso soggetti a naturali fenomeni di alterazione nella loro
interazione con gli agenti climatici. Il presente lavoro esamina i vari processi degradativi causati dai
fattori naturali ed antropici sulle pareti in calcarenite (tufo biancastro proveniente dalle cave di
Gravina di Puglia) di un’antica masseria sita nel comune di Lavello (PZ) in contrada Gravetta
(coordinate 41° 03' 36.28"N e 15° 48' 26.69"E), tra il primo nucleo del parco archeologico di
“Forentum romana” (III-I secolo a.C.) e l’inceneritore “Fenice” (località san Nicola di Melfi), ad
una distanza di 11 Km da quest’ultimo. Per poter identificare l’origine dei principali processi
degradativi, il lavoro considera le alterazioni subite nel tempo da un provino cubico realizzato nel
luglio 2009, utilizzando lo stesso materiale, e posto a ridosso dell’antica struttura oggetto di
indagine. Obiettivo del lavoro, è quello di evidenziare come il clima e gli agenti trasportati in
atmosfera possano contribuire, in sinergia, al deterioramento della calcarenite. Il campionamento,
sia sulle pareti della masseria che sul provino cubico, è stato eseguito a cadenza trimestrale a partire
dal 18 Giugno 2010 prelevando una quantità adeguata di polveri superficiali. Sulle polveri sono
stati determinati i livelli di alcuni inquinanti: metalli pesanti, PCB, fitofarmaci clorurati e fosforati
ed anioni (nitriti, nitrati e solfati). Altre determinazioni hanno riguardato: pH, conduttività elettrica,
calcare totale, carbonio organico e sostanza organica. I dati climatici come direzione del vento,
piovosità, radiazione solare, temperatura ed umidità relativa sono stati forniti dall’Agenzia
Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Basilicata (ARPAB). I risultati ottenuti,
permettono di fare le seguenti considerazioni: il processo di deterioramento sulle superfici lapidee è
lento ed irreversibile ed i fenomeni di alterazione e degrado sembrano influenzati sia dall’accumulo
degli inquinanti organici ed inorganici sia dalle condizioni ambientali, nonché dall’azione sinergica
di tutti questi fattori. I metalli pesanti, derivanti dall’attività industriale ed agricola, oltre ad
accumularsi sulla superficie dei materiali lapidei, si raccolgono nel terreno circostante attraverso le
piogge che dilavano le superfici calcaree. Non è da sottovalutare l’azione degli organismi biologici
(muschi, licheni ed alghe); tali organismi, trasportati dal vento, in presenza di idonee condizioni
climatiche (alte umidità relative dell’aria e temperature non troppo elevate), colonizzano facilmente
le superfici lapidee. Sulle superfici del provino, in corrispondenza dei venti dominanti, si assiste nel
tempo ad una diminuzione della percentuale di carbonati a favore dell’aumento di sostanza organica
e di sali solubili ed un abbassamento del valore di pH.
122
AMB38
APPLICAZIONE DI UN SISTEMA MODELLISTICO PER LA VALUTAZIONE
SPEDITIVA DELL’AREA DI IMPATTO DEI FUMI PRODOTTI DA UN INCENDIO
Annalisa Tanzarella1, Angela Morabito2, Roberto Giua1, Giorgio Assennato3
1
ARPA Puglia, Centro Regionale Aria, ex Ospedale Testa, Contrada Rondinella, 74121 Taranto
2
ARPA Puglia, Via Galanti 16, 72100 Brindisi
3
ARPA Puglia, Corso Trieste 27, 70126 Bari
Tel:+39-099-9946352
a.tanzarella@arpa.puglia.it
La normativa italiana con il decreto 155/2010 recepisce la direttiva europea 2008/50/CE
attribuendo alla modellistica un ruolo di primaria importanza nella “valutazione preliminare della
qualità dell’aria” utilizzandola anche come tecnica integrativa per completare il contenuto
informativo delle misure dirette e un valido supporto alla gestione delle emergenze ambientali per la
valutazione dell’impatto ambientale di eventi incidentali. In particolare l’utilizzo della modellistica
permette di avere la visione spaziale e non solamente puntuale degli effetti dell’inquinamento
atmosferico, rappresentando un importante strumento per fornire una informazione al pubblico nel
più breve tempo possibile e il più possibile vicine allo “stato di fatto”. Il sistema modellistico
MINERVE(1)-SURFPRO(2)-SPRAY(2), implementato presso l’ARPA Puglia, è stato applicato per
valutare l’impatto di un incendio sviluppatosi nell’area industriale di Taranto, a circa 6km a nordovest rispetto al centro cittadino. L’evento è durato poco più di un’ora. In particolare, la
meteorologia sull’area di studio è stata ricostruita mediante il modello diagnostico MINERVE a
partire dalle misure al suolo dei parametri meteorologici misurati presso le postazioni di qualità
dell’aria di ARPA Puglia; il pre-processore micro meteorologico SURFPRO ha permesso di
ricostruire i parametri legati alla turbolenza atmosferica; infine le simulazioni del trasporto e della
diffusione degli inquinanti primari in atmosfera sono state condotte con il modello lagrangiano
SPRAY. A causa della prevalenza di venti di forte intensità, si è scelta una estensione del dominio
di simulazione pari a 92x66km, centrato sulla sorgente emissiva. Poiché non si disponeva
dell’informazione relativa alla tipologia degli inquinanti emessi e i relativi flussi di massa, la
simulazione è stata condotta trattando l’emissione come una sorgente puntuale al suolo che ha
emesso una sostanza inquinante generica con un quantitativo pari a 100 kg. L’algoritmo contenuto
nel modello ha permesso di stimare l’altezza del plume prodotto dall’incendio mediante una
formulazione che tiene conto della dimensione iniziale dell’incendio (3). Il modello di dispersione
ha quindi riprodotto l’evoluzione del pennacchio e la sua ricaduta al suolo durante il periodo in cui
si è sviluppato l’incendio: tale stima ha permesso di identificare le aree di maggior impatto.
Sebbene nelle modalità in cui è stato condotto lo studio non è stato possibile fornire una valutazione
quantitativa di tali ricadute, il confronto tra i dati stimati dal modello e le misure in una centralina
della qualità dell’aria localizzata lungo la direzione di massima ricaduta, ha evidenziato un buon
accordo temporale.
(1) Geai P. (1987), Methode d'interpolation and reconstitution tridimensionelle d'un champ de vent: le code d'analyse
objective MINERVE, EDF/DER report HE-34/87.03
(2) Arianet, 2007: SURFPRO (SURrface-atmosphere interFace PROcessor) User's guide, Version 2.2.10.; SPRAY 3.1
General Description and User’s Guide, R2007.08
(3) Fischer B.E.A. at al. (2001), “Modelling plume rise and dispersion from pool fires” – Atmospheric Environment 35,
pp. 2101 - 2110
123
AMB39
EPI-D E IBE: DUE INDICI BIOLOGICI A CONFRONTO NELLE ACQUE
SUPERFICIALI DELL’AREA VAL D’AGRI CAMASTRA.
Teresa Trabace, Giovanna Filippo, Michela Casamassima, Annunziata Marraudino,
Salvatore Longo e Achille Palma
Metapontum Agrobios s.s. Jonica 106 km 448.2, 75014 Metaponto (Matera)
ttrabace@agrobios.it
L’indice diatomico di Eutrofizzazione/polluzione o EPI-D, messo a punto in Italia a seguito di
ricerche sulle comunità algali dei corsi d’acqua dell’Appennino centrale e relativi confronti ad
ambienti lotici alpini ed appennini meridionali (Dell’Uomo, 1981, 1986; Dell’Uomo e Masi, 1986,
1988; Dell’Uomo, 1991, 1992; Dell’Uomo e Tantucci, 1996; Grandoni e Dell’Uomo, 1996;
Dell’Uomo e Grandoni, 1997; Dell’Uomo et al., 1999; Torrisi e Dell’Uomo, 2001a, 2001b, 2001c,
2003; Dell’Uomo, 2003), è un indice integrato che si basa sulla sensibilità delle Diatomee
bentoniche (Divisione Chrysophyta) ai nutrienti, alla sostanza organica e al grado di
mineralizzazione del corpo idrico. L’EPI-D (Dell’Uomo, 2004), come l ‘IBD (Indice Biologique
Diatomées – Prygiel e Coste, 1999) e l’IDG (Indice Diatomique Generique – Coste e Ayphassorho,
1991) è un indice di qualità generale che integra le risposte delle diatomee bentoniche a più fattori
di inquinamento; non è quindi ristretto all’inquinamento organico, come gli indici saprobici, quali
l’IPS – Indice de poluosensibilité Specifique (Cemagref, 1982) e l’ SI – Saprobique Index (Rott. Et
all., 1997), né al livello di trofia delle acque, come gli indici trofici, quali il TDI – Trophic Diatom
Index (Kelly, 1998) e il TI – Trophic Index (Rott.et all., 1999). Il controllo biologico di qualità degli
ambienti delle acque correnti mediante I.B.E. si basa sull’analisi delle comunità di invertebrati
bentonici con taglia (alla fine dello sviluppo larvale o dello stadio immaginale) raramente < 1mm.
Si tratta generalmente di organismi appartenenti agli Insetti (Crostacei, Molluschi, Irudinei,
Tricladi, Oligocheti (raramente Briozoi, Poriferi o Nematomorfi) che vivono almeno una parte del
loro ciclo vitale, sulla superficie dei substrati (epibentici) o all’interno dei sedimenti fluviali
(freaticoli). Dal punto di vista trofico, la comunità macrobentonica viene suddivisa in organismi
macro-predatori, -filtratori, -raccoglitori, -tagliuzzatori, se utilizzano il particellato più grossolano e
producono residui con dimensioni < 1mm. Questi residui vengono trasportati a valle dalla corrente
per essere utilizzati da organismi micro-predatori, -filtratori, -raccoglitori, -raschiatori.
Nell’ambito delle attività del “ Progetto Val D’Agri - Studio finalizzato alla valutazione
dell’impatto ambientale delle attività estrattive della Val D’Agri per il triennio 2009-2011” sono
state svolte le indagini su campioni di diatomee e di macroinvertebrati prelevati nelle stazioni di
monitoraggio del fiume Agri e suoi affluenti, del torrente Camastra e del torrente Sauro.
I valori di I.B.E. ed EPI-D, per poter essere confrontati, sono stati convertiti in scala 0-20 (EPI-D
0-20) secondo Ciutti et all., 2003. Il confronto tra i dati di valutazione della qualità biologica
ottenuti attraverso lo studio della comunità dei macroinvertebrati (I.B.E.) e della comunità
diatomica (EPI-D), ha permesso di osservare che in linea di massima concordano; le discordanze
sono dovute alla capacità delle comunità vegetali, essendo produttori primari, di rilevare l’impatto
determinato dall’aumento di fattori eutrofizzanti e/o polluenti a seconda del tratto di fiume studiato.
124
AMB40
PHOTOSENSITISED PROCESSES OF PHENOL TRANSFORMATION BY QUINONES
DETECTED IN AIRBORNE PARTICLES
Valter Maurino, Andrea Bedini, Daniele Borghesi, Davide Vione, Claudio Minero
Dipartimento di Chimica, Università di Torino, Via P. Giuria 5, 10125 Torino
davide.vione@unito.it
Quinone compounds are important photosensitisers in surface waters and in airborne particles [1,2].
They absorb a significant fraction of the sunlight spectrum, and absorption induces the formation of
excited singlet states that can evolve into triplets by an often efficient inter-system crossing. Triplet
states are chemically reactive and can sensitise the transformation of easily oxidised molecules
upon electron or hydrogen abstraction, or upon energy transfer [3].
In this work, we have studied the transformation of phenol as model oxidisable compound in the
presence of quinones that are commonly found in airborne particles, such as 2-ethylanthraquinone
(EtAQ),
benzanthracene-7,12-dione
(BAD),
5,12-naphthacenequinone
(NQ),
9,10anthraquinone(AQ), and 2,6-dihydroxyanthraquinone (DAQ). The quinone compounds were
deposited on glass spheres, to simulate their occurrence on particulate matter. The sphere-loaded
quinones were irradiated in aqueous suspension in the presence of phenol, under a solar simulator
and under a blue lamp, the latter to enable easier calculation of the phototransformation quantum
yields.
EtAQ was the most active quinone to sensitise phenol transformation under simulated sunlight,
allowing a complete kinetic study of its reaction pathways with phenol. Phenoxyphenols and
dihydroxybiphenyls were detected as phenol intermediates, suggesting the formation of the phenoxy
radical upon phenol oxidation by triplet EtAQ. Under the adopted conditions, EtAQ mostly
underwent transformation of the alkyl lateral chain.
In the case of blue-light irradiation, the quantum yield of phenol transformation was the highest
for AQ and the lowest for DAQ. Such a different behaviour could be explained with a density
functional theory (DFT) study of the spin density distribution in AQ and DAQ triplet states [4]. The
results show that most of the spin density in triplet AQ is localised on a carbonyl group, which is
likely involved in reaction with phenol to give phenoxyl and a semiquinone radical. In contrast,
most of the DAQ spin density in the triplet state is distributed on the aromatic skeleton of the
molecule. Photoactive EtAQ has similar spin distribution as AQ in the triplet state, suggesting an
interesting correlation between electronic properties and photosensitising effects.
Acknowledgements
Financial support by MIUR – PRIN 2009 (project 20092C7KRC-ARCTICA) is kindly appreciated.
[1] R.M. Cory, D.M. McKnight, Environ. Sci. Technol. 2005, 39, 8142-8149.
[2] M. Jang, S.R. McDow, Environ. Sci. Technol. 1997, 31, 1046-1053.
[3] D. Vione, V. Maurino, C. Minero, E. Pelizzetti, M.A.J. Harrison, R.I. Olariu, C. Arsene, Chem.
Soc. Rev. 2006, 35, 441-453.
[4] V. Maurino, A. Bedini, D. Borghesi, D. Vione, C. Minero, Phys. Chem. Chem. Phys. 2011, 13,
11213-11221.
125
Poster “Beni Culturali”
126
BC01
STUDIO DI UN CROCIFISSO LIGNEO DEL XV SECOLO MEDIANTE
TECNICHE MICROSCOPICHE, SPETTROSCOPICHE E
CROMATOGRAFICHE
Nadia Marchettini1, Andrea Atrei1, Francesca Benetti1, Elisabetta Gliozzo2,
Isabella Turbanti Memmi2, Guido Perra1
1
2
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Siena, Via della Diana 2a - 53100 Siena
Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Siena, Via Laterina 8 - 53100
Siena
nadia.marchettini@unisi.it; benetti2@unisi.it
In questo lavoro vengono presentati i risultati preliminari di una campagna diagnostica condotta su
un crocifisso ligneo policromo, risalente al XV secolo, in cattive condizioni di conservazione ed
interessato da numerosi rimaneggiamenti e ridipinture, effettuati nel tempo. Prima di pianificare
idonee strategie di restauro sono state effettuate una serie di indagini chimiche, per poter valutare lo
stato di conservazione dell’opera e caratterizzare i materiali impiegati dall’artista, nonché la tecnica
artistica.
Sui frammenti prelevati dal manufatto ligneo sono state effettuate le seguenti indagini:
 microscopia ottica, per la caratterizzazione della stratigrafia dei campioni;
 microscopia elettronica a scansione corredata di microanalisi a dispersione di energia (SEMEDS), per la caratterizzazione chimica delle componenti inorganiche presenti negli strati
pittorici;
 la spettrometria di massa di ioni secondari abbinata ad un analizzatore a tempo di volo (ToFSIMS), per la caratterizzazione delle componenti organiche ed inorganiche e della loro
distribuzione negli strati pittorici;
 la gas-cromatografia abbinata alla spettrometria di massa (GC-MS), per l’identificazione dei
leganti organici;
 la tecnica HPLC-FL (Cromatografia Liquida ad alta Pressione accoppiata a Rivelatore a
Fluorescenza) per la caratterizzazione chimica degli amminoacidi e degli acidi grassi
presenti in un campione di polvere di legno. Dai primi risultati è emerso che la stratigrafia
dei campioni analizzati è caratterizzata, da due o più strati di preparazione, composti da
gesso e da colla animale, in cui si alternano vari strati di pigmento. Le misure hanno
mostrato chiaramente la presenza di più strati pittorici, che si sono sovrapposti nel tempo. I
principali pigmenti identificati sono la biacca (PbCO3 2Pb(OH)2 il cinabro (HgS) e con
l’incertezza tra il realgar (AsS-rosso) e l’orpimento (As2S3-giallo). Per quanto riguarda il
legante organico, è stato identificato l’impiego di colla animale, anche se non è stato
possibile escludere con certezza l’utilizzo di miscele di colla-uovo o colla-latte.
Dalle analisi effettuate, mediante HPLC-FL, su un campione di polvere di legno, raccolto dalla
statua policroma, sono stati evidenziati alcuni picchi di amminoacidi (in particolare la cistina) ed un
ulteriore intenso segnale relativo a residui azotati, che potrebbero rappresentare un’indicazione di
fenomeni degradativi del legno, dovuti a insetti xilofagi.
Il presente studio rientra nell’ambito del progetto “S.I.C.A.M.O.R. – Sviluppo di Indagini Chimiche
Applicate al Mantenimento delle Opere e al Restauro”, finanziato dalla Regione Toscana, PAR FAS
REGIONE TOSCANA - Linea di Azione 1.1.a.3.
127
BC02
SVILUPPO E SINTESI DI NANO SISTEMI INIBITORI DELLA CORROSIONE DEL
BRONZO
Irene Bonacini1, Silvia Prati1, Rocco Mazzeo1, Michela Reggi2, Giuseppe Falini2, Erika Scavetta3,
Domenica Tonelli3
1
2
:Università di Bologna, M2ADL, Via Guaccimanni 42, 48100 Ravenna,
:Università di Bologna, Dipartimento di Chimica“G. Ciamician”, via Selmi 2, 40136 Bologna
3
:Università di Bologna, Dipartimento di Chimica Fisica e Inorganica, Viale Risorgimento 4,
40136 Bologna
irene.bonacini2 @unibo.it
La corrosione dei materiali metallici avviene attraverso un processo di ossido-riduzione che si
instaura in conseguenza dell’interazione tra il materiale e l’ambiente che lo circonda; uno degli
esempi più significativi è la corrosione elettrolitica ciclica delle leghe in rame, chiamata “cancro del
bronzo”[1]. Numerosi studi sono stati condotti per comprendere a fondo questo processo e,
parallelamente, per proteggere la superficie con differenti inibitori di corrosione. Gli inibitori
interagendo con il materiale metallico aumentano la resistenza alla corrosione della lega Facendo
penetrare questi prodotti all’interno delle micro porosità delle patine di corrosione, l’efficacia del
trattamento aumenterebbe notevolmente. A tal fine si è pensato di ridurne le dimensioni a livello
nanometrico. Pertanto in questo lavoro vengono proposti nuovi sistemi di inibizione della
corrosione, ottenuti intrappolando le sostanze attive all’interno di nano particelle di calcite. Le
dimensioni e la natura delle particelle dovrebbero contribuire a favorire da una parte la penetrazione
del materiale all’interno delle micro porosità della patina, dall’altra il rilascio controllato
dell’inibitore in risposta all’instaurarsi di condizioni di acidità tali da indurre fenomeni di
corrosione attiva. Sono state quindi sintetizzate nano-micro particelle di carbonato di calcio cocristallizzato in presenza di diverse sostanze, normalmente utilizzate quali inibitori di corrosione,
come: Benzotriazolo (BTA), 5-ammino-1,2,3,4-tetrazolo monoidrato (ATM), Decanoato di Sodio,
L-Cisteina, Etanolammina (ETH), Potassio Etil-Xantato (KEX) [2]. Analisi in XRD, SEM e microFTIR hanno consentito di selezionare gli inibitori che, avendo modificato la geometria dei cristalli
di carbonato di calcio, sembrano essere stati incapsulati al loro interno. Inoltre sono stati eseguiti
test elettrochimici per studiare l’efficienza dei diversi inibitori al fine di scegliere quelli con il
maggior potere inibitorio. A tal fine sia le curve di polarizzazione che le misure di impedenza hanno
permesso di selezionare quattro sostanze da testare: L-Cisteina, Benzotriazolo, Etanolammina e
Decanoato di Sodio. Lo step successivo prevederà l’applicazione dei materiali sintetizzati su provini
standard di bronzi corrosi, allo scopo di valutarne l’efficacia inibitoria ed i possibili fenomeni di
interazione tra patina di corrosione e sistemi nano inibitori, quali, ad esempio, la comparsa di
variazioni cromatiche, sbiancamenti superficiali o variazioni di colore della patina.
[1] Mazzeo R. (2005) Patine su manufatti metallici, in ‘Le Patine. Genesi, significato,
conservazione’ Kermesquaderni Nardini Editore: 29-43;
[2] Goffredo S., Vergini P., et al. (2011) “The Skeletal Organic Matrix from Mediterranean Coral
Balanophylliaeuropaea Influences Calcium Carbonate Precipitation”, PLoS ONE.
128
BC03
ANALISI EDXRF PER LA SALVAGUARDIA DEI BRONZI DI RIACE
Alessandro Buccolieri1, Giovanni Buccolieri2, Alfredo Castellano2, Maurizio Marabelli3
1
Università del Salento, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali, 73100,
Lecce.
2
Università del Salento, Dipartimento di Matematica e Fisica, 73100, Lecce
3
Istituto Centrale del Restauro (ICR), 00198, Roma
alessandro.buccolieri@unisalento.it
I Bronzi di Riace, famosissima coppia di statue bronzee (statua A alta 205 cm e statua B alta 198
cm) di provenienza greca o magnogreca o siceliota e databili al V secolo a.C., sono state ritrovate il
16 Agosto 1972, in eccezionale stato di conservazione, nei pressi di Riace, in provincia di Reggio
Calabria, a trecento metri dalla riva e otto metri di profondità.
Le ipotesi sulla provenienza e sugli autori delle statue sono diverse, ma non esistono ancora
elementi che permettano di attribuire con certezza le opere a uno specifico scultore.
Dopo il ritrovamento furono restaurati presso la Soprintendenza di Reggio Calabria fino al 1975 e
poi trasferiti presso il Laboratori di Restauro dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze dove furono
analizzati e restaurati fino alla fine del 1980. Nel capoluogo toscano furono esposti per sei mesi e
successivamente riportati a Reggio Calabria.
Nel 1990 sono comparsi preoccupanti fenomeni di degrado e per tale cagione ambedue le statue
sono state svuotate dai resti delle terre di fusione.
Dal 12 Marzo 2010 fino a Marzo 2011 sono stati trasferiti presso il Laboratorio di Restauro e
Mostra di Palazzo Campanella, sede del consiglio regionale, di Reggio Calabria in attesa del
completamento dei lavori presso il Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria, ove i
Bronzi avranno, ci si augura, la definitiva collocazione.
Sono considerati tra i capolavori scultorei più significativi del ciclo ellenico, e tra le poche
testimonianze dirette dei grandi maestri scultori del mondo greco classico.
Numerose analisi chimico-fisiche sono state eseguite dal giorno del loro ritrovamento al fine di
conoscere la composizione delle leghe, delle cere, dei chiodi presenti e delle patine, di comprendere
i processi di corrosione ma, soprattutto, pianificare un adeguato progetto di conservazione dopo la
lunga permanenza in mare durata più di 2000 anni.
In questo lavoro si mostreranno i risultati sperimentali delle analisi di fluorescenza dei raggi X in
dispersione di energia (EDXRF) eseguite, su ambedue le statue, durante le ultime investigazioni
svolte presso il Laboratorio di Restauro e Mostra di Reggio Calabria.
Tali investigazioni avevano l’obiettivo principale di identificare la composizione delle diverse
patine e valutare le condizioni ambientali più adeguate per la conservazione delle preziose statue.
Mediante un strumento portatile è stata determinata la concentrazione di zolfo, cloro, calcio,
manganese, ferro, rame, zinco, stagno e piombo della superficie e delle patine.
I risultati sperimentali hanno mostrato presenza significativa di zolfo e cloro, rispetto alla superficie
dei due bronzi, e in quantità differente per le due statue. Inoltre, è stato possibile comprendere la
composizione chimica e la formazione delle patine e alcuni meccanismi di corrosione.
129
BC04
ANALISI DEL PROCESSO DI REIDROSSILAZIONE IN REPERTI CERAMICI
Alessandro Buccolieri1, Daniela Manno1, Federica Scigliuzzo2, Emanuela Filippo2, Antonio Serra2
1
Università del Salento, Dipartimento di Scienze e Tecnologie Biologiche e Ambientali, via
Monteroni, 73100, Lecce
2
Università del Salento, Dipartimento di Beni Culturali, via Birago, 73100, Lecce
alessandro.buccolieri@unisalento.it
Un materiale ceramico assorbe acqua dall’atmosfera aumentando di peso e tanto più è pesante, tanto
più è antico. Sfruttando questa semplice relazione, alcuni scienziati hanno cercato di datare dei
reperti ceramici (Wilson et al., 2009).
L’innovativa tecnica di datazione, nota come “rehydroxylation dating”, consiste nel riscaldare un
reperto in ceramica in un forno a 500 °C, rimuovendo l’acqua catturata nel corso del tempo, per
riportalo al suo peso originario. Una volta fuori dal forno, il reperto deve essere pesato con una
bilancia ad alta precisione, a intervalli di tempo regolari e sotto controllo di temperatura e umidità,
per determinare la velocità dell’aumento di peso, e quindi, quella del riassorbimento di acqua
dall’atmosfera.
In tal guisa, è possibile stabilire quanto tempo occorrerebbe al campione per tornare al peso che
aveva quando è stato trovato e, quindi, calcolare quando è stato fabbricato.
L’argilla, durante la cottura, perde prima l’acqua molecolare debolmente legata e poi, a temperature
nell’intervallo tra 500-900 °C, perde l’acqua dal foglio ottaedrico con la deidrossilazione chimica.
Con la reidrossilazione avviene, invece, il processo inverso. Successivamente, riguadagna acqua in
due stadi: un primo stadio (idratazione) in cui viene assorbita l’acqua legata fisicamente e ciò causa
un rigonfiamento delle argille e quindi un aumento del peso e un secondo stadio (reidrossilazione)
in cui l’acqua idrossile inizia a penetrare nei fogli dei minerali argillosi nella forma di gruppi –OH
strutturali e si verifica la ricombinazione chimica. Durante il secondo stadio, la velocità di aumento
della massa e l’espansione del volume per i manufatti ceramici è dovuto alla reidrossilazione,
governata da una legge t1/4. Utilizzando tale legge e, relazionandola con il comportamento relativo
all’aumento della massa della ceramica, è possibile stimare il tempo trascorso tra l’ultima cottura
del materiale e il momento dell’analisi.
Occorre considerare che è basilare che la ceramica sia compatta. Non è importante, invece, la
quantità d’acqua con cui è stato a contatto il reperto nel corso del tempo poiché il tasso di
reidrossilazione è controllato completamente da processi interni e non aumenta quando l’acqua è
eccessivamente disponibile nell’ambiente.
Il metodo di datazione per reidrossilazione offre alcuni vantaggi rispetto al complesso metodo della
termoluminescenza, infatti, essendo una tecnica gravimetrica, è piuttosto semplice ed economica e
consiste essenzialmente in un metodo autocalibrante, basato su una precisa legge cinetica ma,
analogamente alla termoluminescenza, è necessario annoverare che se il materiale è esposto a
condizioni estreme di calore l’orologio di datazione interno viene azzerato.
In questo lavoro è stato studiato il meccanismo di reidrossilazione per otto campioni ceramici al
fine di valutare l’applicabilità e i limiti nel campo della datazione di reperti ceramici.
M.A. Wilson, M.A. Carter, C. Hall, W.D. Hoff, C. Ince, S.D. Savage, B. Mckay, I.M. Betts.
Proceeding of the Royal Society A. (2009). 1-9.
130
BC05
“FARNESIA ARBOR": SPERIMENTAZIONE E VALUTAZIONE
ANALITICA DEL TRATTAMENTO DI DEACIDFICAZIONE
Antonella Casoli1, Clelia Isca1, Ilaria Saccani2, Fulvia Saggese1
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Parma, viale G.P. Usberti 17/a 43121 Parma
2
CESMAR 7 Via Mentana 5 , 37128 Verona
antonella.casoli@unipr.it
L'opera “Farnesia Arbor” (fine del XVII secolo - inizi del XVIII ) è un'incisione su carta, dipinta,
intelaiata e incorniciata. E' proprietà privata di una famiglia parmigiana, e molto probabilmente è
una delle poche copie dell'albero genealogico falsificato che Francesco Farnese commissionò al
fine di giustificare e autenticare la propria discendenza da Costantino il Grande, per acquistare il
titolo di Gran Maestro del Sacro Ordine Costantiniano di San Giorgio. L'incisore è Mauro Oddi,
morto a Parma nel 1702.
Il lavoro svolto sull'opera “Farnesia Arbor” è stato articolato in diverse fasi e propone futuri
programmi di intervento conservativo. Da un punto di vista conservativo l’opera presenta dei
distacchi all’interfaccia tra carta e tela, della carta dalla tela, macchie di diversa natura,
deformazione della superficie. Col passare del tempo tutti i manufatti a base di cellulosa subiscono
in maniera più o meno evidente il problema dell’acidificazione, spesso connesso a fenomeni di tipo
ossidativo. L’acidità dei supporti cellulosici può essere causata da tanti fattori: interazione con
ambienti inquinati, presenza di inchiostri ferro-gallici, eventuale presenza di allume nelle colle. Il
fenomeno di acidificazione è inoltre una conseguenza diretta dell’inevitabile ossidazione della
cellulosa stessa. Dopo un'accurata osservazione dell'opera, sono state effettuate le prime indagini in
situ, come analisi mediante XRF per la caratterizzazione dei pigmenti e misura del pH di superficie
in più punti. La misurazione del pH rappresenta uno stadio importante per la conoscenza dello stato
di alterazione, di acidificazione del substrato e per pianificare un intervento di deacidificazione del
manufatto. Dopo avere analizzato l’impasto fibroso del supporto cartaceo e l’adesivo presente tra la
carta e la tela (test chimici con i reattivi, 4- dimetilamminobenzaldeide e lugol, reazioni con
fluoroglucinolo; analisi mediante microspettrofotometria FTIR) sono stati preparati dei provini in
laboratorio con carte fatte a mano a diversa grammatura, incollate su tela di lino, utilizzando una
miscela di colla di coniglio e colla d’amido in diverse proporzioni. Tali provini sono stati sottoposti
a cicli di invecchiamento termo-igrometrico per testare diversi trattamenti di deacidificazione della
carta. Misurazione del pH, analisi colorimetriche sono a tal fine di primaria importanza per
monitorare il trattamento, per valutarne l’efficacia e per garantire l’idoneità dell’intervento
sull’opera. La sperimentazione e l’applicazione di diverse sostanze deacidificanti sui provini ha
permesso di selezionare un metodo idoneo per il trattamento dell’opera “Farnesia Arbor”.
131
BC06
STUDIO DI APPLICABILITÀ DI SOLUZIONI CHELANTI
IN SISTEMI ADDENSATI CON GEL ACQUOSI DI POLIACRILATO PER LA
PULITURA DI DIPINTI MURALI
Antonella Casoli1, Paolo Cremonesi2, Claudia Nardinocchi1,
Giovanni Predieri1, Valentina Emanuela Selva Bonino1, Matteo Tegoni1
1
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Parma, viale G.P. Usberti 17/a
43121 Parma
2
Via Pascoli 1, 26854 Cornegliano Laudense (LO)
antonella.casoli@unipr.it
Nell’ambito della conservazione dei beni culturali, si sta assistendo con sempre maggiore incidenza,
alla crescente richiesta di un concreto supporto scientifico alle scelte operative che il restauratore
compie nella pratica del mestiere.
Tra i composti maggiormente utili ai fini della conservazione dei beni culturali, in particolare nella
pulitura dei dipinti murali, vi sono gli agenti chelanti in grado di creare dei complessi stabili con
alcuni ioni, tra cui lo ione calcio, costituente di molti prodotti di degrado (velature di
ricarbonatazione, solfatazioni, patine di ossalati), ma anche del materiale costitutivo l’intonaco, il
carbonato di calcio.
Da qui l’interesse a studiare l’interazione degli agenti chelanti con il supporto murale al fine di
poter condurre un’operazione selettiva nei confronti dei materiali da rimuovere nel rispetto del
substrato costitutivo l’opera d’arte.
Nello specifico, tra gli agenti chelanti ne sono stati presi in esame due, i più diffusi in ambito
conservativo: EDTA trisodico diidrato e il citrato di sodio tribasico diidrato.
In prima istanza è stata studiata l’interazione tra tre principali composti presenti nell’intonaco
(carbonato di calcio, solfato di calcio biidrato e ossalato di calcio monoidrato, presi singolarmente e
in miscele binarie) e soluzioni chelanti a diversi pH.
Mediante l’impiego di tecniche analitiche, si è giunti a determinare e a quantificare la maggiore
affinità dei suddetti composti rispetto all’uno e all’altro chelante; sono stati realizzati modelli
termodinamici (Hyss-Hyperquad Simulation and Speciation) con l’obiettivo di confermare i risultati
ottenuti nella fase sperimentale e, infine, a identificare la formazione di un prodotto secondario
(citrato di calcio e sodio), in seguito caratterizzato.
Parallelamente a tale ricerca, si sono indagate le caratteristiche di una sostanza gelificante derivata
dall’acido poliacrilico, il Carbopol®, impiegato come supportante di soluzioni acquose. Ecco
quindi la scelta di unire chelanti e Carbopol® allo scopo di studiarne le interazioni chimico-fisiche
con il supporto murale, per poter condurre un’operazione selettiva nei confronti del materiali da
rimuovere nel rispetto del substrato carbonatico. A tal fine, campioni di intonaco realizzati ad hoc,
sono stati trattati con il gel di Carbopol® contenente i chelanti considerati, a diversi pH, applicati
con e senza interposizione di carta giapponese, materiali in seguito caratterizzati mediante tecniche
analitiche.
E. Beltrami, M. Berzioli, M. Cagna, A. Casoli, V.E. Selva Bonino, La pulitura dei dipinti murali:
uno studio di applicabilità di sistemi tradizionali e sistemi addensati con gel acquosi di
poliacrilato, QUADERNO N. 10 /CESMAR7. Casa Editrice Il Prato, Saonara (PADOVA), 2012.
132
BC07
NANOSTRUCTURED TIO2 BASED COATINGS FOR PROTECTION AND SELFCLEANING OF COMPACT AND POROUS STONES
Antonella Pagliarulo,1 Francesca Petronella,1, Angela Calia2, Mariateresa Lettieri2,
Donato Colangiuli2, Angela Agostiano,1,3 Maria Lucia Curri,3 Roberto Comparelli3
1
Università degli Studi di Bari – Dipartimento di Chimica, Via Orabona 4, 70126, Bari
2
CNR-IBAM, Prov.le Lecce Monteroni, 73100 Lecce
3
CNR-IPCF, c/o Dipartimento di Chimica, Via Orabona 4, 70126, Bari
r.comparelli@ba.ipcf.cnr.it
Nanostructured TiO2 exhibits enhanced photocatalytic activity leading to the degradation of a wide
range of organic pollutants resulting in self-cleaning effect. The deposition of TiO2 nanocrystalline
(NCs) coatings on stone was investigated in order to provide surface protection and self-cleaning
properties. Hydrophobic TiO2 NCs were prepared by colloidal chemistry routes and characterized
by Scanning and Transmission Electron Microscopy (SEM and TEM).
The selected substrates for NC deposition were calcarenite and limestone, as example of porous and
compact stone, respectively. Different techniques have been investigated for coating preparation
namely casting, dipping and spray coating.
The morphological and physical properties of both coated and uncoated stones were investigated by
contact angle measurements, colorimetry and environmental-SEM.
The degradation of a selected organic dye has been used to test the self-cleaning properties of the
NC coated surfaces under solar irradiation.
The obtained results point out that such TiO2 NC coatings offer at the same time the opportunity,
increasing surface hydrophobicity, to prevent the stone from water absorption and to convey selfcleaning properties, leaving unaltered the original colour and appearance of the stones.
Acknowledgment
This work was partially supported by Apulia Region Funded Projects PS_083 within the Scientific
Research Framework Program 2006
133
BC08
CHEMICAL CHARACTERISATION OF STUCCOES FROM THE ADDOLORATA
CHAPEL IN ST. PANTALON CHURCH IN VENICE
Elisabetta Zendri, Laura Falchi, Francesca Caterina Izzo, Manuela Sgobbi, Eleonora Balliana
University Ca’ Foscari of Venice, Department of Environmental Sciences, Informatics and Statistics,
Via Torino 155/b, 30174 Venice-Mestre
laura.falchi@stud.unive.it
Stuccoes have been widely in architecture to decorate interiors and external walls of houses,
churches and palaces. The Barocco style exalted the use of stuccoes in decorations, often
polychrome, which are characteristic of walls and ceilings friezes in churches, public and private
buildings. The classical stuccoes were realized in different layers, with lime-based impasto, marble
dust, organic and inorganic additives which varied in relation to the period and local habits.
Recent studies outlined some peculiarities concerning the ‘500 stuccoes applied in the Church of
S.Maria Formosa and in Grimani Palace in Venice. The recent restoration of St. Pantalon church in
Venice allowed the analysis of the stuccoes from the decoration of the Addolorata Chapel, dating
back the end of the XVII century. A widespread presence of magnesite (MgCO3), already found out
in stuccoes from the XVI century, was detected together with gypsum and magnesium sulphate. The
presence of magnesite, identified by TG-DSC and FTIR-ATR analyses, appears to be typical of
venetian stuccoes done between ‘500 and ‘700. This compound does not come from carbonation
processes occurring in dolomitic limes, which lead to the formation of hydromagnesite
Mg5(CO3)4(OH)2*4H2O or other magnesium basic carbonates neither from the use of particular
magnesium aggregates.
It is likely a widespread presence into the binder fraction of stuccoes, as detected by SEM-EDX
analysis, so presumably it was added as powder to the impasto to confer workability properties-in
particular to slow down the drying process or to improve the resistance in a humid environment.
The study of these stuccoes has furthermore pointed out the use of gypsum, typical of the technique
called “stucco forte”. It could be the responsible for indirect deterioration processes, due to the
exchange reaction with MgCO3 which leads to the formation of epsomite, detected in many
analysed samples and considered to be the man cause for the widespread decohesion problems in
the finishing layers.
The results have addressed adequate and compatible techniques for the restoration of stuccoes,
taking into account the environmental conditions as well. Moreover, the results allowed to obtain
interesting indications for the choice of new materials to be used for the realization of finishing
intonacoes able to resist to high humidity conditions.
134
BC09
FOURIER TRANSFORM INFRARED SPECTROSCOPY (FTIR) STUDIES ON
PAPIER MACHE COMPOSITIONS
Eleonora Imperio1, Gabriele Giancane2, Lidiana Miotto3, Ludovico Valli4
1
Department of Engineering for Innovation, University of Salento, via per Monteroni - 73100,
Lecce
2
Department of Cultural Heritage, University of Salento, via D. Birago, 64 - 73100, Lecce
3
Centro Restauro Materiale Cartaceo, Via Roberto Caracciolo 6 - 73100 Lecce
4 Department of Biological and Environmental Science and Technology (Di.S.Te.B.A.), University
of Salento, via per Monteroni - 73100, Lecce
eleonora.imperio@unisalento.it
Today’s new non-destructive methodologies let to perform physical and chemical analysis to
Cultural Heritage. The goal of these studies was to reach a wider knowledge of technical
proceedings used in the production of papier mache statues by baroque artists of Salento. Samples
from two different statues were investigated: the first spaceman belongs to Madonna della Divina
Provvidenza and the other one is an half-length statue of a bishop of Lecce. The analyses were
carried out using a FTIR spectrometer. Infrared Spectroscopy have
been used to characterize different types of singular papier mache
layers, identifying the principal peaks [1]. In addition, some
comparisons permitted to identify glue typology spread between the
papier mache layers and which pigments were employed, including
their medium and varnish, contributing to discover antique artists
secretes, that otherwise would be lost in the course of time. In fact, it
was possible to distinguish different kinds of medium employed by
the artist in order to disperse a particular color. Protein or Oil
Figure 1
derivatives were easily recognized through their respective IR signals
[2] and all data recorded was achieved without modifying fragments,
which were just placed onto the ATR (Attenuated Total Reflection) tool plate, ready to be scanned.
This is the important characteristic of the FTIR-ATR technique, considering the priceless value of
Cultural Heritage: no sample preparation is needed and no damage is caused to the sample.
[1] Infrared spectra of crystalline polysaccharides, C.Y Liang., R.H. Marchessault, 1959.
[2] Infrared Spectroscopy in Conservation Science, M.R. Derrick, D. Stilik, J.M. Landry, The Getty
Conservation Institute, Los Angeles, 1999.
135
BC10
IMPIEGO DI “APPETIZING BALLS” A BASE DI JUVENIL HORMONES-WOOL
CHERATIN ANALOGS PER IL DEBELLAMENTO DELLE TARME NEI TESSUTI
D’EPOCA.
Lorenzo Martini¹, Ginevra M.E.F.Martini-Ugurgieri², Anonimo³
¹Dipt. Di Chimica, Università di Siena,²Liceo Ginnasio E.S.Piccolomini, Siena, ³Eremo dei
Cappuccini della Maddalena, Montepulciano (SI)
lorenzo.martini@unisi.it
La Tarma è il nome comunemente utilizzato per indicare alcune specie di lepidotteri le cui larve si
nutrono a spese delle cheratine alfa e beta costitutive dei tessuti di origine animale, come lana,
seta, bisso e crinoline ma anche di origine vegetale, quali cotone e filati di esso medesimo, lino,rafia
ma anche di altre cheratine, caratteristiche delle piume di uccelli, unghie, corno di mammiferi e
volatili e livree di rettili e addirittura jais. Anche se né Linneo né Fabricius riportano nei loro studi
sistematici e tassonomici nel XVIII sec. La specie più comune, ovvero la Tineola bisselliella, gli
esperti concordano nell’asserire che le varie specie infestanti furono portate in Europa via mare
accidentalmente alla fine del 700 e inizi 800 tramite i trofei di guerra dall’Africa e dall’Asia e che
grazie all’avvento del riscaldamento centrale nelle magioni borghesi e nei musei si siano ben
ambientate e si stanno vieppiù propagando grazie al surriscaldamento del globo terrestre.
E’ noto dalla pratica popolare che alcune fragranze ad elevato pool di terpeni volatili repellono le
tarme adulte, grazie all’aroma a loro sgradito (Canfora, Cedro Rosso Americano dell’Est, ma non
il Cedro Rosso Americano dell’Ovest, Lavanda e Lavandino, Pepe Cubebe, Timo Bianco e
Rosso, Eucalipto, Geranio Bourbon e Menta (var. pulegium), Assenzio, Alloro e Chiodo di
garofano, ma è un mito da sfatare quello per cui dette sostanze odorose possano riuscire utili come
tarmicide, giacché gli addetti ai lavori sanno bene che solo le larve, alla schiusa delle uova deposte
dalle femmine adulte, trovano nutrimento nelle fibre delle cheratine vegetali e animali e si
costruiscono intorno un vero e proprio bozzolo (case o cocoon, alla stessa stregua del baco da seta)
nel quale dopo 65-70 giorni, se le condizioni di temperatura e umidità ambientali sono loro
favorevoli, diventano adulte per il tramite della pupazione e danno luogo allo sfarfallamento per
poter di nuovo, emerse ad adulte, ovideporre e proseguire il loro ciclo vitale. Quindi laddove le
tarme adulte qualora allontanate grazie all’azione di fragranze terpeniche hanno già deposto le uova,
queste ultime permangono e alla ricerca di cibo nelle fibre cheratiniche e apportano danni seri a capi
di vestiario, preferibilmente vetusti, poiché ricchi in residui di sporcizia e umidità e rappresentano
un vero problema per la conservazione di vestiari antichi e campioni tassidermici, custoditi in
ambito museale. Scopo della nostra ricerca è di intervenire a livello della schiusa e
dell’impupamento, cioè sui passaggi da Uovo a Larva e da Larva a Pupa del ciclo vitale della tarma,
tentando di inibirli ambedue grazie all’ausilio di analoghi dell’Ormone Giovanile (J.H.) di origine
biologica. Tali principi odorosi simili strutturalmente agli JH I e III, sottoforma di esteri del
farnesolo e dell’acido farnesoico (ma anche diesteri) e di esteri dell’ acido undecadienoico e
decadienoico, sono repertabili nelle bucce di ibridi di citracee allo stato acerbo. Abbiamo quindi
valutato l’efficacia di detti J.H. analogs su esche a loro volta costituite da analoghi di cheratina alfa
e beta.
136
BC11
ANALISI FTIR DI ANTICHI LIBRI DANNEGGIATI DA FENOMENI DI FOXING
Vito Librando, Zelica Minniti
Dipartimento di Chimica dell’Università di Catania, Viale A. Doria 6, 95125, Catania
envch1@unict.it
I beni archivistici e librari costituiscono una parte importante del patrimonio culturale nazionale. Al
fine di identificare le metodiche di conservazione e restauro più appropriate, è importante
comprendere l'attuale stato di conservazione del manufatto da un punto di vista chimico-fisico e
come tale stato di conservazione possa essere influenzato dalla microstruttura delle fibre che lo
compongono.
La spettroscopia è uno dei più potenti strumenti per la caratterizzazione di materiali cartacei e
l'identificazione dei prodotti di degradazione. Questo lavoro descrive l'applicazione della
spettroscopia FTIR su campioni carta provenienti da libri fortemente macchiati per studiare le cause
del cosiddetto "foxing".
Allo stato attuale, la natura del foxing è ancora in discussione. Alcuni autori hanno osservato un
attacco biologico, altri la presenza di sali, altri ancora entrambe le attività evidenziando in
particolare spore fungine e prodotti chimici. La complessità del problema è relativo a una varietà di
reazioni chimiche e processi fisici che determinano l’invecchiamento e la degradazione della carta e
che si influenzano a vicenda.
L’analisi ATR-FTIR di macchie dovute al fenomeno di foxing su campioni di carta di
composizione diversa ha confermato la natura biotica di tali macchie imputabili alla presenza di
ceppi fungini attivi o tracce di attività fungina pregressa.
137
BC12
PREPARAZIONE DI IDROGELI PER APPLICAZIONI NEI BENI CULTURALI
Chiara Riedo, Oscar Chiantore
Dipartimento di Chimica e NIS Centro di Eccellenza, Università degli Studi di Torino
Via Pietro Giuria 7, 10125 Torino
chiara.riedo@unito.it
Gli idrogeli e le dispersioni polimeriche ad alta densità sono di grande interesse nel campo del
restauro, in particolare nelle procedure di pulitura e in applicazioni legate alla diagnostica dei beni
culturali.
Convenzionalmente le operazioni di pulitura vengono effettuate con solventi, i quali danno luogo ad
inconvenienti quali penetrazione nel supporto, rigonfiamento e asportazione indesiderata di
materiale originale. Questi inconvenienti si possono limitare aumentando la viscosità del sistema
pulente, utilizzando quindi come base un gelo o una dispersione polimerica ad alta densità.
Nuove formulazioni polimeriche sono state investigate con l’obiettivo di ottenere geli rigidi
facilmente rimovibili e compatibili con solventi non acquosi.
A differenza di quanto già proposto in letteratura, per ottenere un materiale che racchiuda le
proprietà desiderate sono state testate formulazioni con combinazioni di differenti polimeri. Le
proprietà del gel vengono calibrate cambiando la concentrazione e i rapporti dei diversi componenti
del sistema.
Come punto di partenza è stato scelto il poli(vinilalcol) (PVA) che, come è già noto[ 11], è in grado
di formare geli stabili in presenza di borace. Per migliorare le proprietà meccaniche del gel e
renderlo maggiormente compatibile con vari tipi di solventi organici è stato studiato un sistema
contenente come additivo il poli(etilenossido) (PEO). Il PEO non è completamente miscibile con il
PVA, ma sono stati ottenuti geli trasparenti, con buone capacità di ritenzione del solvente e
facilmente asportabili. In particolare, tramite misurazioni termogravimetriche è stato possibile
appurare che in presenza di PEO la ritenzione di acetone a temperatura ambiente migliora rispetto
alla formulazione a base di solo PVA.
Prove di pulitura su materiali lapidei trattati con protettivi acrilici sono state effettuate e sono
tutt’ora in corso con lo scopo di verificare l’efficacia nella rimozione del protettivo, la rimovibilità
del gel e l’eventuale presenza di residui del medesimo sul supporto sottoposto a pulitura.
11
[ ] Carretti E.; Grassi S.; Cossalter M.; Natali, I.; Caminati G.; Weiss R. G.; Baglioni, P.; Dei L., Langmuir 2009, 25, (15),
8656-8662
138
BC13
CARATTERIZZAZIONE DEI MATERIALI DEL MURALE “TUTTOMONDO” DI
KEITH HARING PRELIMINARE AL RESTAURO DELL’OPERA
Oscar Chiantore1, Chiara Riedo1, Anna Piccirillo1, Tommaso Poli1, Jacopo La Nasa2,
Francesca Di Girolamo2, Sibilla Orsini2, Francesca Modugno2, Ilaria Bonaduce2,
Maria Perla Colombini2
1
Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Torino
2
SCIBEC-INSTM, DCCI , Università di Pisa
perla@dcci.unipi.it, oscar.chiantore@unito.it
Il murale “Tuttomondo” fu realizzato da Keith Haring nel 1989. L’artista tracciò a mano libera i
contorni in nero dell’opera su una superficie di 200 mq sul muro esterno della chiesa di S. Antonio
Abate a Pisa. I materiali usati dall’artista sono stati forniti dalla Caparol (Vicopisano, Pisa).
Dopo 22 anni dalla sua creazione l’opera, rimasta esposta agli agenti atmosferici e inquinanti,
presentava fenomeni di deterioramento in grado di minare la persistenza nel tempo dell’opera:
alterazioni cromatiche, ingiallimento e ingrigimento dello strato preparatorio bianco, con perdita di
colore e spolvero delle linee di contorno nere.
Nel settembre 2011, nell’ambito del Progetto COPAC – Preventive Conservation of Contemporary
Art, finanziato dalla Regione Toscana, e grazie al supporto del Comune di Pisa e della Friends of
Heritage Preservation (Los Angeles) è stato intrapreso un intervento di conservazione che ha
previsto una campagna diagnostica mirata a valutare lo stato di conservazione dei materiali
costituenti il murale. Analisi stratigrafiche e microanalisi chimiche sono alcune delle tecniche
utilizzate, a supporto dell’intervento di pulitura e protezione dell’opera.
Sono stati effettuati campionamenti minimamente invasivi dalle diverse campiture di colore, dai
bordi neri e dal fondo di preparazione bianco.
Alcuni campioni sono stati osservati in microscopia ottica e sottoposti ad indagine SEM-EDX, sia
tal quali che preparati in sezione. L’osservazione diretta al microscopio ottico e le microfotografie
SEM hanno permesso di evidenziare che la superficie colorata esposta all’esterno è irregolare e
presenta rigonfiamenti e spaccature. Le sezioni osservate in ottico permettono di rilevare sulla
superficie dei campioni uno strato di colore meno saturo, sotto il quale è ancora osservabile uno
strato in cui il colore ha mantenuto la sua saturazione originale, suggerendo quindi un degrado solo
superficiale dello strato pittorico. L’analisi EDX effettuata sulle sezioni permette di ricostruire una
sequenza comune alla maggior parte dei campioni: patina superficiale (carbonato di calcio e solfato
di bario), strato di colore (ossido di titanio, solfato di bario, caolino), strato di maltina idraulica
(base silicatica), malta idraulica/cementizia (base silicatica) e carbonato di calcio. Il degrado della
superficie si ritiene dovuto alla migrazione e ricristallizzazione del carbonato di calcio e solfato di
bario presenti negli strati più profondi.
Le analisi Py-GC/MS e DE-MS mirate alla caratterizzazione del legante organico della pittura,
hanno evidenziato un copolimero stirene-nbutilacrilato.
Tramite analisi FTIR è stato possibile confermare la presenza del carbonato di calcio nella sottile
patina bianca che ricopriva la superficie del murale. In seguito all’intervento di pulitura effettuato
dai restauratori Antonio Rava e Will Shank, è sorta la necessità di identificare un protettivo idoneo
ad essere applicato sulla superficie . Ulteriori indagini sono state quindi svolte per valutare
l’efficacia e la stabilità dei protettivi silossanici Hydrophase (Phase Restauro, Trento, Italia ) e
Disboxan 450 (Caparol, Vicopisano, Italia).
139
ADDENDUM
AMB41
DISCRIMINANT FUNCTION ANALYSIS AND NEURAL NETWORKS APPLIED TO
APULIA REGION GROUND WATERS AND SOILS DATA SETS: COMPARISON OF
THE CLASSIFICATION AND FORECASTING PERFORMANCE
Pierina Ielpo1*, Livia Trizio2, Daniela Cassano1, Antonio Lopez1, Giuseppe Pappagallo1,
Vito felice Uricchio1
1
Institute of Water Research - CNR Via F. de Blasio, 5 - Bari Italy
*present address: Institute of Atmospheric Sciences and Climate, Lecce, Italy
2
Arpa Puglia, Direzione scientifica U.O. Aria, corso Trieste 27, Bari
piera.ielpo@ba.irsa.cnr.it
During the years 2004-2007 Agricultural and Food Authority of Apulia Region has implemented
the project “Expansion of regional agro-meteorological network” in order to assess, monitor and
manage regional ground waters and soils quality. In fact in 2004 a Water and Soil Monitoring
Campaign was launched with the aim to check the quality of soils and ground waters, used for
irrigation, and then the quality level of the regional agricultural produces. The wells monitored
during this activity amounted to 473, and the water samples analyzed were 1021. The amount of
soil samples collected was 417.
The Project founded on a tight soil and water sampling collection, carried out all around the region,
and on the determination of the main physical and chemical parameters of soils and waters.
The large water and soil data sets were subjected to different multivariate statistical techniques with
a view to extract information about the similarities or dissimilarities among the sampling sites,
identification of water and soil quality variables responsible for spatial and temporal variations, the
influence of the possible sources (natural and anthropogenic) on the water and soil quality
parameters and the source apportionment of pollutants sources (Ielpo et al, 2012).
In order to have information about the classification of the ground waters and soils of the different
provinces of Apulia region Discriminant Function Analysis (DFA) and Radial Basis Function
Neural Network (RBF NN) were applied to the data sets collected. In a previous paper we have
shown that for ground water data set the methods pointed out the effective division among waters
quality of different provinces. Even if both methods DFA and RBF NN applied to water data set
gave good results in terms of classification and forecasting, the RBF NN showed better
performance (Ielpo et al, 2012). In this work a comparison between Discriminant Function Analysis
and Radial Basis Neural Network results on water and soil data sets will be shown.
P. Ielpo, D. Cassano, A. Lopez, G. Pappagallo, V. F. Uricchio, P. Abbruzzese De Napoli.
Chemistry Central Journal 2012, 6(Suppl 2):S5
P. Ielpo, D. Cassano, A. Lopez, G. Pappagallo, V. F. Uricchio, L. Trizio, G. de Gennaro, 21st
Century Watershed Technology Workshops, Proceedings, May 27-June 1, 2012, Bari, Italy
140
Indice degli Autori
141
AUTORI
PAGINA
Abete C.
Accoto G.
Acito E.
Agostiano A.
Aiello D.
Amodio M.
Andriani E.
Angiuli L.
Annicchiarico C.
Anselmo M.
Anzilotta G.
Assennato G.
Atrei A.
Avino P.
37
84
84
50,94,133
68
64,101
62,64,69,110
62,67
92,102,103,120
85
84,86
31,62,63,64,65,67,92,99,112,123
127
104
Baglivi F.
Bailardi F.
Balliana E.
Barbante C.
Barbieri G.
Barbieri L.
Barbieri P.
Barca E.
Barnaba R.
Baroni C.
Basile F.
Bastianoni S.
Bedini A.
Belmonte M.
Benetti F.
Bernardi E.
Berto D.
Bertocchi F.
Bevere M.
Bignozzi M.C.
Biocca P.
Biscontin G.
Blonda M.
Bochicchio D.
Bodini S.
Bolzacchini E.
Bonacini I.
68
104
45,60,79,134
79
36
87
36,88
53
67
79
92
35,96
125
76
127
32,89
75
70
65,112
89
58
30,45,60
62,99
84
57
73
128
142
Bonaduce I.
Bondesan A.
Bonduce I.
Bonifazi G.
Borghesi D.
Boscolo Brusà R.
Botticelli G.
Brattoli M.
Brigante M.
Brunelli A.
Brunetti B.G.
Bruno D.
Brusasca G.
Bruzzoniti M.C.
Buccolieri A.
Buccolieri G.
Bufo S.A.
Buonocore M.
139
79
80
108
125
75
49
74
42
41
47,61
63
65
90
129,130
129
22,121,122
91
Cacciatore F.
Cairns W.
Calabrò D.
Calace N.
Caldarola D.
Calia A.
Caliandro L.
Campanella L.
Candotti G.
Canzano S.
Capasso S.
Caprioli P.
Cardellicchio N.
Caro D.
Cartechini L.
Casamassima M.
Casoli A.
Cassani S.
Cassano D.
Castellani V.
Castellano A.
Castellano G.
Cataldi T.
Catelli E.
Catino S.
Catucci F.
Ceccato D.
Ceriani L.
Cespi D.
Checchini L.
Chiantore O.
75
79
67
116
90
94,133
116,118
116
36
43
43
67
26,91,92,102,103,118,120
35
47
124
78,131,132
39,93
140
55
129
92
86
44,59
74
67
111
40
55
54
138,139
143
Chiari G.
Chiavari C.
Ciacci L.
Cilenti L.
Cincinelli A.
Ciofi L.
Colangiuli D.
Colombini M.P.
Colucci C.
Comparelli R.
Conversano M.
Coppini E.
Corticelli C.
Coscieme L.
Cozzutto S.
Cremisini C.
Cremonesi P.
Cucciniello R.
Curri M.L.
24
89
32,55,115
98
72
54
94,133
28,80,139
67
50,51,94,133
92
54
114
95,96
36,88
116
132
52
50,51,94,133
D’Adamo R.
D’Agnano A.M.
D’Amico S.
Dambruoso P.
Daresta B.E.
Daveri Alessia
De Carlo R.M.
de Gennaro G.
De Laurentiis E.
De Marinis Loiotile
De Pellegrini R.
Dell’Erba A.
Del Bubba M.
Del Moro G.
Del Prete F.
Di Gilio A.
Di Girolamo F.
Di Iaconi C.
Di Leo A.
Di Palma V.
Drava G.
97,98
62,67
82
62,64,69,74,100,101,110
62,64,66
61
90
62,64,66,69,74,100,101,110
38,42
62,69,74,110
85
99
54
53
97
62,64,69,100,101,110
80,139
53
76,91,92,102,103,120
69,110
85
Esposito V.
63,67
Fabbrocini A.
Falchi L.
Falini G.
Fanizza E.
Fermo P.
Ferraro L.
97
45,60,134
128
50
105
76
144
Ferrero L.
Ferriani B.
Ferrini B.S.
Ferrini M.
Fibbi D.
Ficocelli S.
Ficotto S.
Filippo E.
Filippo G.
Focardi S.
Formenton G.M.
Francesconi S.
Frontalini F.
Fuoco R.
73
48, 58
73
108
54
62,67
105
130
124
56
105
37
76
37
Gabellini M.
Gabrieli J.
Galasso V.
Gambaro A.
Ganzerla R.
Genga A.
Gerbasi R.
Ghimenti S.
Ghirardello G.
Giancane G.
Giancontieri V.
Giandomenico S.
Giannarelli S.
Giannico C.
Gigante L.
Giua R.
Gliozzo E.
Gonnelli C.
Gramatica P.
Greco M.
Grøntoft T.
Guerranti C.
Guerriero E.
Guidone S.
75
79
104
73
81
68
51
37
88
46,135
108
76,92,102,103,120
37
104
63
62,64,65,67,112,123
127
54
39,40,93
76
80
56
108
108
Hofer A.
105
Ielpo P.
Imperio E.
Iovino P.
Isca C.
Izzo F.C.
140
46,135
43
131
45,48,58,60,134
Jeliazkova N.
Jones K. C.
93
72
145
Kochev N.
Kovarich S.
93
39,40,93
Lancellotti I.
Langellotti A.L.
La Nasa J.
Laricchiuta A.
Laterza V.
Lava R.
Lazzati Z.
Leone V.
Lettieri M.
Librando V.
Licen S.
Lo Porto C.
Longo S.
Lopez-Aparicio S.
Lopez A.
Lorusso E.
Lorusso S.
Lugli S.
87
97
139
64
79
106
73
43
94,133
113,137
36,88
73
124
80
140
51
33
49
Maffei A.
Mailhot G.
Manca M.
Mangili I.
Manigrasso M.
Manni A.
Manno D.
Mantovan M.
Manzo C.
Marabelli M.
Marchetti G.
Marchettini N.
Marcomini A.
Marras S.
Marraudino A.
Martellini T.
Martinelli W.
Martini C.
Martini L.
Martini-Ugurgieri G.M.E.F
Marzocca A.
Mascolo G.
Masiol M.
Mastore A.
Matteini M.
Mauriello M.R.
Maurino V.
63,67
42
67
21,107
104
108
130
62
98
129
109
56,127
29,41,81,106
81
124
72
92
89
136
136
69,110
50,51,53
77,105,111
84
49
86
38,42,109,125
146
Mazzeo R.
Mazzone A.
Menegotto M.
Menegus L.
Miliani C.
Minella M.
Minero C.
Minganti V.
Minghelli S.
Minniti Z.
Miotto L.
Modenesi P.
Modugno F.
Morabito A.
Morandi F.
Morselli L.
Morselli M.G.
Mosca S.
Moscetta P.
Motori A.
Motta O.
Murgolo S.
Musolino V.
44,59,128
69,110
62,67
106
61
38,42,109
38,42,109,125
85
49
137
135
85
139
65,112,123
35,96
32,55,114,115
112
108
57
89
52
51
62,64,67
Nardi E.
Nardinocchi C.
Neri E.
Nilsson S.
Nocioni A.
Nola V.
Noventa S.
Öberg T.
Odlyha M.
Oliva G.
Onida B.
Onor M.
Orsini S.
116
132
35
93
62,67
84
75
93
80
104
90
37
139
Pagliarulo A.
Palma A.
Palmieri M.
Palmisani J.
Palmisano F.
Panniello A.
Paolillo R.
Papa E.
Pappagallo G.
Pappalardo M.
Passaglia E.
Passarini F.
50,94,133
84,86,124
47
64,69,100,110
53
50
62,64,67
39,40,93
140
113
87
55,89,114,115
147
Pastore T.
Paterno R.
Patrizi N.
Pavoni B.
Pellegrini A.L.
Pelliciardi V.
Perra G.
Perri F.
Perrone M.G.
Petraccone S.
Petronella F.
Petronio B. M.
Piazzalunga A.
Piccirillo A.
Pieri F.
Pietrantonio M.
Pietroletti M.
Pipino A.
Pitzurra L.
Plossi P.
Pojana G.
Poli T.
Porcelli F.
Prati S.
Pratim Roy P.
Predieri G.
Primicino A.
Proto A.
Pukalov O.
Pulselli F.M.
Pulselli R.M.
65,112
43
96
77,105,111
104
95
56,127
104
73
74
50,94,133
116,118
88,105
139
72
116,118
116,118
84
47
36,88
41,81,106
139
69
44,59,128
93
132
99
52
93
95
96
Quaranta M.
59
Rahmberg M.
Rampazzo F.
Rampazzo G.
Reggi M.
Renzi M.
Riedo C.
Rinna F.
Rizza A.
Romeo M.
Ros V.
Rosi F.
Rosito V.
Rossetti F.
Rossi F.
Rotatori M.
Rubino F.
93
75
77,105,111
128
98
138,139
97
39
88
79
61
62,67
95
52
108
76
148
Saccani I.
Saggese F.
Salvestrini S.
Sangiorgi G.
Sansone G.
Sarzanini C.
Sasso S.
Scavetta E.
Scigliuzzo F.
Scirocco T.
Sciutto G.
Scrano L.
Sebastiani E.
Selva Bonino V.E.
Serra A.
Sessa R.
Sgamellotti A.
Sgobbi M.
Sharff M.
Siciliano M.
Siciliano T.
Silvestri F.
Spada L.
Spagnolo S.
Spartera M.
Specchiulli A.
Squizzato S.
Striccoli M.
Sweetman A.
131
131
43
73
97
90
22,121,122
128
130
98
44,59
22,121,122
81
132
130
97
61
134
80
68
68
97
76,92,102,103,120
65,112
62,63,67,99
98
77,105,111
50
72
Tanzarella A.
Tegoni M.
Termine M.
Tieppo P.
Tinarelli G.
Tolloi A.
Tonelli D.
Tortorella C.
Toschi T.
Trabace T.
Trizio L.
Trotta M.
Trotta V.
Turbanti Memmi I.
Turetta C.
Tutino M.
65,123
132
37
105
65,112
36,88
128
68
87
124
64, 140
66
121
127
79
62,64,69,100,110
Ungaro N.
Uricchio V.F.
92
140
149
Vagnini M.
Valentini E.
Valli L.
Van den Berg K.J.
Van der Wal L.
Van Keulen H.
Vassura I.
Vernale C.
Veronico P.
Villani G.
Vione D.
Visentin F.
Vitiello V.
47
65,112
46,135
48
39
48,58
55,89,114,115
104
66
97
38,42,109,125
51
97
Zangrando R.
Zannini P.
Zendri E.
73
49
30,45,48,58,60,134
150