INTERVENTI IV Corso internazionale di Topografia e Geomatica
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INTERVENTI IV Corso internazionale di Topografia e Geomatica
INTERVENTI IV Corso internazionale di Topografia e Geomatica Madrid di Fausto Savoldi COSTRUZIONI Gino Zavanella e le sue architetture PROTAGONISTI Filippo Re Grillo Agrimensore/Geometra IDEE Biografia degli oggetti: il ciclo di vita? “La semplicità è la forma più alta della perfezione” Leonardo Da Vinci Dall’esperienza ventennale in materia di ICI e altre imposte immobiliari... nasce EXPERT imu il software indispensabile per ► Calcolo completo dell’Imposta Municipale Propria (IMU) per gli immobili posseduti ► Calcolo delle detrazioni applicabili su base mensile secondo la situazione familiare di ciascun soggetto (importi detraibili, figli conviventi) ► Gestione delle riduzioni ed esenzioni secondo le ultime disposizioni di legge (immobili storici/artistici; terreni e fabbricati rurali in comunità montane ecc.) ► Gestione completa rateizzazione per abitazione principale ► Importazione dati da visura catastale in formato PDF ► Calcolo degli acconti IMU utilizzando le aliquote di legge con codici tributo di cui alla Risoluzione 35/E dell’Agenzia delle Entrate del 12/04/2012 ► Calcolo del valore per i fabbricati del Gruppo D e stima del valore per le aree fabbricabili ► Stampa del nuovo Modello F24 approvato con provvedimento AdE del 12 aprile 2012 ► Stampa della Dichiarazione IMU (non appena approvato il nuovo modello) software per il calcolo dell’Imposta Municipale Propria Altre caratteristiche ► Calcolo automatico del valore imponibile dell’immobile sulla base della rendita, della categoria, del coefficiente di rivalutazione, del moltiplicatore catastale e della quota e dei mesi di possesso, secondo le ultime disposizioni di legge ► Coefficienti di cui al Decreto MEF 5 aprile 2012, pubblicato sulla GU n. 85 del 11 aprile 2012 ► Memorizzazione di tutti i documenti prodotti per futura consultazione ► Assistenza tecnica compresa nel prezzo ► Aggiornamenti continui scaricabili da internet Offerta speciale Expert IMU a soli 79,00€ +IVA valido fino al 30/06/2012! Geo R network software per l’edilizia e lo studio professionale del futuro Geo Network s.r.l. Via Mazzini, 64 - 19038 Sarzana (SP)- Tel. 0187 622198 - Fax 0187 627172 info@geonetwork.it - www.geonetwork.it azienda certificata Dall’esperienza ventennale in materia di ICI e altre imposte immobiliari... nasce EXPERT imu il software indispensabile per ► Calcolo completo dell’Imposta Municipale Propria (IMU) per gli immobili posseduti ► Calcolo delle detrazioni applicabili su base mensile secondo la situazione familiare di ciascun soggetto (importi detraibili, figli conviventi) ► Gestione delle riduzioni ed esenzioni secondo le ultime disposizioni di legge (immobili storici/artistici; terreni e fabbricati rurali in comunità montane ecc.) ► Gestione completa rateizzazione per abitazione principale ► Importazione dati da visura catastale in formato PDF ► Calcolo degli acconti IMU utilizzando le aliquote di legge con codici tributo di cui alla Risoluzione 35/E dell’Agenzia delle Entrate del 12/04/2012 ► Calcolo del valore per i fabbricati del Gruppo D e stima del valore per le aree fabbricabili ► Stampa del nuovo Modello F24 approvato con provvedimento AdE del 12 aprile 2012 ► Stampa della Dichiarazione IMU (non appena approvato il nuovo modello) software per il calcolo dell’Imposta Municipale Propria Altre caratteristiche ► Calcolo automatico del valore imponibile dell’immobile sulla base della rendita, della categoria, del coefficiente di rivalutazione, del moltiplicatore catastale e della quota e dei mesi di possesso, secondo le ultime disposizioni di legge ► Coefficienti di cui al Decreto MEF 5 aprile 2012, pubblicato sulla GU n. 85 del 11 aprile 2012 ► Memorizzazione di tutti i documenti prodotti per futura consultazione ► Assistenza tecnica compresa nel prezzo ► Aggiornamenti continui scaricabili da internet Offerta speciale Expert IMU a soli 79,00€ +IVA valido fino al 30/06/2012! 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Via Mazzini, 64 - 19038 Sarzana (SP)- Tel. 0187 622198 - Fax 0187 627172 info@geonetwork.it - www.geonetwork.it azienda certificata INTERVENTI IV Corso internazionale di Topografia e Geomatica Madrid di Fausto Savoldi COSTRUZIONI Gino Zavanella e le sue architetture PROTAGONISTI Filippo Re Grillo Agrimensore/Geometra IDEE Biografia degli oggetti: il ciclo di vita? “La semplicità è la forma più alta della perfezione” Leonardo Da Vinci MAggiO - giugnO 2012 21 GEOCENTRO/magazine Periodico bimestrale Anno IV N. 21 Maggio - Giugno 2012 DIRETTORE RESPONSABILE Franco Mazzoccoli f.mazzoccoli@cng.it COMITATO Fausto Amadasi Carmelo Garofalo Leo Momi Bruno Razza Mauro Cappello Lucia Condò Gianfranco Dioguardi Stig Enemark Franco Laner Norbert Lantschner Pier Luigi Maffei Franco Minucci Elisabetta Savoldi Marco Simonotti Antonella Tempera COORDINAMENTO REDAZIONE Claudio Giannasi A.D. e IMPAGINAZIONE Filippo Stecconi Francesca Bossini www.landau.it EDITORE Fondazione Geometri Italiani Via Cavour 179/a 00184 Roma Tel. 06 42744180 Fax: 06 42005441 www.fondazionegeometri.it STAMPA artigraficheBoccia www.artigraficheboccia.it Carta interni: riciclata Cyclus Print gr. 100 RESPONSABILE TRATTAMENTO DATI Franco Mazzoccoli PUBBLICITÀ Fondazione Geometri Italiani Via Cavour 179/a 00184 Roma Tel. 06 42744180 Fax: 06 42005441 amministrazione@fondazionegeometri.it ABBONAMENTI 2012 Annuo: euro 50 Un numero: euro 10 Richiesta via e-mail info@fondazionegeometri.it e versamento a: Banca Popolare di Sondrio Intestato a: Fondazione Geometri Italiani Codice IBAN: IT27 F056 9603 2270 0000 2132 X22 RICHIESTE VARIAZIONE INDIRIZZO DI SPEDIZIONE Tel: 06 42744180 COPYRIGHT È vietata la riproduzione, anche parziale, di articoli, fotografie e disegni senza la preventiva autorizzazione Autorizzazione del Tribunale di Roma n. 250 del 29 maggio 2003 7 EDiTORiALE FORMULE REGOLE COMPORTAMENTI di Franco Mazzoccoli 8 inTERVEnTi IV Corso internazionale di Topografia e Geomatica Madrid di Fausto Savoldi 10 CiPAg/STRuMEnTi GRETA Professional Network per le nuove sfide del mercato di Vincenzo Acunto 14 iSTRuZiOnE Fondazione Pavia Città della Formazione Istituto Tecnico Superiore per l’Edilizia innovativa 19 PROFESSiOni “Collegare filiere formative e filiere produttive per la crescita del Paese” 14 19 24 37 24 PROTAgOniSTi Filippo Re Grillo Agrimensore Geometra 37 COSTRuZiOni Gino Zavanella e le sue architetture 50 EVEnTi Biennale di Architettura 2012 Venezia 29/8 – 25/11 Padiglione Italia “GeoEvenTus” Geometri allo Juventus Stadium 51 iDEE Biografia degli oggetti: il ciclo di vita? 59 AMBiEnTE I segni della storia e le nuove tecnologie: il Parco delle Crociere di Orbetello 62 EDiLiZiA Salvare i fabbricati terremotati si può e si deve 51 di Marco Biffani 65 MiSuRE Studiare la Terra osservando l’universo: il VLBI geodetico per la misurazione delle deformazioni crostali nell’area Padana di Pierguido Sarti 62 69 69 88 FORMAZiOnE Ex ligno pontes facere di Franco Laner 77 80 SOCiETà E COSTuME La Bottega di Pierluigi Ghianda ebanista e falegname iMPiAnTi I componenti fondamentali dell'impianto elettrico Terza lezione di Mauro Cappello 96 nEWS RECEnSiOni “Un viaggio lungo quarant’anni” 77 Per questo numero si ringrazia Vincenzo Acunto Vincenzo Bellavia / Presidente del Collegio dei Geometri e dei Geometri Laureati della Provincia di Agrigento Marco Biffani Giovanni Fanucchi Giorgio Marri Pierguido Sarti Gino Zavanella Online 80 La rivista è consultabile agli indirizzi web: www.fondazionegeometri.it, www.cng.it, www.cassageometri.it Sezione “Geocentro” Crepe nei muri? Cedimenti? NOVATEK È LA SOLUZIONE DEFINITIVA. Resine espandenti Micropali in acciaio NOVATEK: LA SOLUZIONE IDEALE CHE CONSOLIDA VERAMENTE LA TUA CASA, PER SEMPRE. 1 Iniezioni di resine espandenti per riempire i vuoti, consolidare e sollevare l’edificio. 2 Infissione di micropali in acciaio per trasferire in profondità il peso della struttura e garantire un risultato certo e duraturo. PER SOPRALLUOGHI E PREVENTIVI GRATUITI IN TUTTA ITALIA, CHIAMACI IN ORARIO DI UFFICIO AL: PAGAMENTI IN 24 COMODE RATE MENSILI A ZERO INTERESSI SENZA SPESE DI ISTRUTTORIA. Messaggio pubblicitario con finalità promozionale. Offerta subordinata all’approvazione della società finanziaria. Tan 0% Taeg 0%. Maggiori informazioni sulle condizioni economiche e contrattuali applicate sono indicate nei fogli informativi disponibili presso la sede di Novatek. Via dell’Artigianato, 11 - 37021 BOSCO CHIESANUOVA (VR) Tel. 045 6780224 - Fax 045 6782021 | novatek@novatek.it - www.novatek.it EDITORIALE FORMULE REGOLE COMPORTAMENTI di Franco Mazzoccoli Direttore di GEOCENTRO/magazine Viviamo in una realtà economica priva di regole che porta alla distruzione del pianeta. Nel contempo tutti stanno cercando, avendo coscienza della crisi, nuove formule e comportamenti per cambiare questa situazione. Nell'attività di progettazione: GREEN, SUSTAINABLE, NORMAL, sono aggettivi “nuovi” che hanno dei precisi riferimenti obbligati all'Economia, all'Impresa, al Mercato, agli Utilizzatori. Questi riferimenti ci portano a pensare a nuovi modelli con nuove regole di: città, abitazioni, mobilità, nuovi prodotti, sistemi e servizi, fonti energetiche, sicurezza, ed anche del consumo alimentare. Stiamo finalmente riflettendo sui nostri scorretti comportamenti nei confronti della Terra e l'impegno ad amarla, cosi come fanno i contadini, seguendo principi di educazione alimentare, e non continuare ad essere consumatori di terra, acqua ed aria. Senza regole. Proprio del suolo ne facciamo un uso non controllato nello sviluppo delle città. Unico rimedio è quello di “costruire sul costruito”, come molti sostengono, al posto di costruire su spazi liberi. L’impatto ambientale delle infrastrutture, dei prodotti, dei servizi si determina fino all'ottanta per cento. Le scelte e le soluzioni adottate in questa fase progettuale (materiali, modalità, energia in fase di gestione e di dismissione) sono molto meno dannose. In tema di progetto siamo invitati a riflettere su quanto scritto da E. Miller (Autore di Testi sul Costruire e l'Economia): “Pensa al sistema nel suo complesso: il disegno di un congegno come una pompa o un sistema d'irrigazione non rappresenta che il dieci per cento della soluzione: il restante novanta per cento comprende distribuzione, formazione, manutenzione, organizzazione dei servizi, modelli societari e imprenditoriali”. Proprio riflettendo sul “restante novanta per cento” penso alle possibilità delle diverse figure professionali dei Tecnici: Geometri, Architetti, Ingegneri, Periti, di “pensare al sistema” mettendo in atto le proprie competenze avendo la conoscenza approfondita ed aggiornata, la sicura abilità in un dato campo, senza accentrare in un solo operatore il privilegio che annulla il sistema. In un particolare momento politico che vede ancora i Geometri vivere l'attesa di nuove regole per la definizione nell'attività progettuale. Ed in questo conta tanto il processo della istruzione e formazione delle persone coinvolte, così come discusso in occasione della seconda Conferenza dei Servizi sugli Istituti Tecnici Superiori “Collegare filiere formative e filiere produttive per la crescita del Paese”, tenutasi di recente a Roma, nella quale sono intervenuti, fra gli altri, il Sottosegretario Elena Ugolini, il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Francesco Profumo e il Ministro dello Sviluppo Economico Corrado Passera che ha sottolineato l’importanza e il ruolo del Istituto Tecnico Superiore nella nuova filiera dell’Istruzione. Al proposito interessante iniziativa è l'istituzione della Fondazione Pavia Città della Formazione Istituto Tecnico Superiore per le nuove tecnologie per il Made in Italy “sistema casa” che offre una risposta avanzata per formare Tecnici e Geometri in grado di operare nel mondo delle costruzioni. E che vede, fra i Soci fondatori, la Fondazione Geometri Italiani e il Collegio Provinciale Geometri e Geometri Laureati di Pavia. Parlando di progettare sulla base del “sistema” un bell'esempio e quello che ci racconta l'Architetto Luigi Zavanella progettista di Stadi di nuova concezione ed attenti alla sostenibilità, come lo Juventus Stadium di Torino e lo Stadio della Città di Palermo. Interessanti le considerazioni svolte da Emanuela Scarpellini, docente di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Milano, nell’ambito del Festival dell’Economia 2102 dedicato al tema “Cicli di vita e rapporti tra generazioni” svoltosi a Bari, Trento e Rovereto. Intervento sul ciclo di vita degli oggetti nel quale ha ricordato come, contrariamente a quanto si possa pensare, anche nei tempi passati, l’inquinamento, dovuto all’enorme presenza di rifiuti nelle strade e all’utilizzo di sostanze nocive per la produzione di oggetti e persino medicinali, fosse un problema che affliggeva le popolazioni compromettendone gravemente la salute. Dell’Agrimensore/Geometra Filippo Re Grillo, nato nel 1868, pubblichiamo i suoi progetti di ville, ed edifici realizzati nei primi anni del Novecento, che interpretano le tematiche del Liberty. Lascio poi a Voi Lettori scoprire i contenuti delle altre nostre Rubriche, che riguardano temi dell'Ambiente, dell'Edilizia e quelle specifiche della Formazione sulle Costruzioni in legno, e sugli Impianti... ed altro. Buona lettura, pensando al “COMPORTAMENTO”: per essere in equilibrio con il “GREEN”, colore che esaltiamo nella nostra copertina. 7 INTERVENTI IV Corso internazionale di Topografia e Geomatica Madrid di Fausto Savoldi Presidente del Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati Anche quest'anno il Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati in collaborazione con la GEOWEB spa, ha organizzato il IV Corso internazionale di Topografia e Geomatica, dal 17 al 28 settembre a Madrid. E’ un Corso di livello avanzato, in lingua inglese, dedicato agli Young Surveyor Europei, dell'Area Mediterranea, con un’età inferiore ai trentacinque anni. Il Corso, molto apprezzato dalle Organizzazioni di Categoria internazionali, ha lo scopo di contribuire alla formazione di giovani colleghi, già professionalmente impegnati nel mondo del lavoro, per divulgare le capacità e le conoscenze del Geometra, elementi basilari ed indispensabili per la crescita e lo sviluppo di questa professione. Per due anni il Corso si è tenuto in Roma, poi la decisione di esportare questa iniziativa, anche per sollecitare le organizzazioni dei Geometri degli Stati Europei, ad impegnarsi nell’interesse delle giovani generazioni di Geometri. Con questo impegno, il Corso patrocinato dalle Organizzazioni internazionali dei Geometri: FIG, CLGE, EGOS e UMG, è diventato un Evento di notevole importanza che va crescendo. Nell’anno 2012, il Corso si è tenuto in Atene con la partecipazione di oltre cinquanta Geometri, provenienti da ventidue Paesi europei grazie anche alla collaborazione dell’Organizzazione dei Geometri Greci e dell’Università di Atene. I partecipanti giovani “Surveyors” di altre Nazioni, non sono tutti liberi professionisti come i Geometri Italiani, perché hanno ruoli nei loro Paesi in ambito catastale, ministeriale e/o comunque, nei servizi geografici e geomatici, anche in ambito dirigenziale, ricercatori o operatori nel settore della 8 conservazione, dell’amministrazione e della gestione del territorio. Grazie ai Geometri Spagnoli che hanno chiesto di poter collaborare con il Consiglio Nazionale e con Geoweb, il Corso si tiene nell'HOTEL AUDITORIUM, un grande albergo alla periferia della città, dotato di tutti i servizi necessari, di sale attrezzate, aule e di confort per un piacevole soggiorno dei 52 corsisti, di cui 41 provenienti da 19 Stati europei ed africani. Gli 11 corsisti italiani sono stati selezionati sulla base della conoscenza della lingua inglese e del loro curriculum. La selezione è stata fatta tra le 40 richieste pervenute. Le lezioni sono tenute dai docenti: Professor Biagio Forte, Università in Inghilterra, Professor Alessandro Capra, Università di Modena, Professor Fulvio Rinaudo, Politecnico di Torino, Gianni Rossi, Geometra, Rahmi Nuran Celik, Turchia, Nikos Zacharias, Grecia, tre professori dell’Università di Madrid, uno dell’Università di Malaga e Diego Gonzales Aguilera, dell'Università di Salamanca, che è il massimo esperto spagnolo ed internazionale della fotogrammetria. Docenti che di buon grado hanno accettato di trasferire il loro sapere con molta passione anche in questa edizione del IV Corso patrocinato dall’Universidad Politecnica di Madrid (Escuela Tecnica Superior de Ingenieros en Topografia, Geodesia y Cartografia). Gli argomenti ed i temi didattici, riguardano: • il rilievo topografico con applicazione delle nuove e diverse strumentazioni e tecniche di rilievo; • il rilievo satellitare e le reti GNSS, le deformazioni dei segnali GNSS ed il processamento dei dati satellitari acquisibili; • • il rilievo fotogrammetrico tridimensionale; la fotogrammetria digitale, il laser scanner terrestre e LIDar; • l’interoperabilità dei dati geomatici su tutto il territorio europeo; • il monitoraggio globale dell’ambiente per la sicurezza del territorio; • i sistemi informativi geografici. Questi temi si focalizzano sinteticamente nelle aree applicative di grande interesse per i Surveyors di tutta Europa, che sono quelle dell’aggiornamento delle cartografie e delle mappe catastali, quelle dei sistemi informativi territoriali, della tutela e della conservazione dei Beni culturali, storici e monumentali, del monitoraggio costante delle strutture e delle deformazioni del suolo. In particolare, relativamente alla presenza dei corsisti in Spagna, ci saranno anche alcune giornate dedicate espressamente alla Cartografia ed alla Geodesia Spagnola, al programma catastale in Spagna, nonché ai requisiti ed ai riferimenti essenziali per il topografo e per il geomatico attivo in ambito europeo e mediterraneo, nella conservazione, gestione e sviluppo del territorio e delle sue unicità. Occasione straordinaria quella di visitare la sede del Royal Observatory Museum in Madrid che si trova presso l’Edificio Villanueva, nel parco del Retiro. L’area espositiva propone una ricca collezione di strumenti antichi, utilizzati per diversi tipi di osservazioni astronomiche e meteorologiche. Si segnalano in tal senso un circolo meridiano, una raccolta di orologi di precisione e uno specchio di bronzo fabbricato da W. Herschel. Inoltre, un pendolo di Foucault, sito nella rotonda centrale, permette di seguire la rotazione giornaliera della Terra. L’edificio è sormontato dal grande telescopio equatoriale di Grubb, del 1912. La biblioteca custodisce una delle raccolte più antiche e ampie di testi di astronomia. Considerata la breve durata del Corso (due settimane), non si ha la pretesa di dare ai partecipanti un’esaustività specifica sui temi trattati, ma con questa “full immersion” geomatica, una indicazione di eccellenza di grande interesse operativo, soprattutto nel confronto delle diverse metodologie ed esperienze applicate nei vari Paesi europei Detti imput potranno quindi, in seguito, attivare ulteriori approfondimenti a livello locale o nazionale per ognuno dei corsisti, secondo il loro specifico interesse e le loro puntuali attività. Inoltre, l’affinamento di queste conoscenze, contribuisce alla ricerca di un’uniformità perlomeno europea, dei metodi di rilievo e di rappresentazione del territorio, con collegamenti e monitoraggi sempre più puntuali del territorio e delle attività ad esso correlate. Infine, forse l’aspetto più importante è il confronto e la conoscenza umana tra i partecipanti e tra questi ed i docenti, in una unità di intenti e di condivisione del sapere e del frequentarsi che, come è successo in passato, cementano un rapporto di amicizia che va oltre alla semplice conoscenza del mondo del lavoro. Molti dei partecipanti si tengono costantemente in contatto attraverso il web e gli strumenti informatici e telematici oggi a disposizione di ognuno, partecipano agli eventi internazionali contribuendovi con le loro esperienze e con le loro aspettative ed in questa occasione stanno organizzando un incontro tra i corsisti degli anni passati con quelli di quest’anno, per ritrovarsi e conoscersi sempre meglio, nell’ambito del “Survey”. Hotel Auditorium, Madrid 9 CIPAG/STRUMENTI GRETA Professional Network per le nuove sfide del mercato di Vincenzo Acunto Uno dei messaggi fondamentali che l’attuale periodo storico diffonde è che stiamo cambiando, tutti noi stiamo cambiando, e velocemente; le persone che ci circondano stanno cambiando, e il mondo intero sta cambiando, pertanto è inevitabile che le regole del mercato si evolvano e si adattino ad una nuova realtà. E noi ci stiamo adattando a questi cambiamenti? Negli ultimi 60 anni il mercato del lavoro qualificato ed in particolare delle professioni ha funzionato come una scala mobile. Dopo aver studiato (diploma o laurea) ed aver fatto qualche anno di gavetta per “sgrezzarti” venivi avviato alla professione quasi per inerzia. Normalmente dove facevi esperienza (datore di lavoro o Titolare di Studio che sia) riuscivi anche a trovare formazione ed opportunità di crescita. Se ti comportavi bene a livello umano e professionale la scala mobile saliva costantemente ed ogni fase ti procurava più potere, più soldi, più sicurezza. Alla fine, intorno ai 65 anni smontavi dalla scala approdando comodamente alla pensione, magari col sostegno di una polizza assicurativa integrativa. Oggi, la scala mobile si è inceppata. Molti giovani, compresi i più istruiti sono bloccati alla base, sottoccupati o senza lavoro. Al tempo stesso chi ha oltre 65 anni, con una pensione poco allettante preferisce rimanere nel sistema lavoro. Per i giovani è difficile salire sulla scala mobile, per le persone di mezza età è difficile andare avanti e per chiunque abbia superato i 65 anni è difficile scendere. 10 Dato che i tradizionali percorsi di carriera sono ormai solo un sogno, è sparito quel genere di crescita professionale di cui hanno tradizionalmente goduto le generazioni passate. Il crollo di queste aspettative tradizionali ha a che fare con due forze correlate tra loro: la globalizzazione e la tecnologia. La tecnologia automatizza attività che richiedevano conoscenze e competenze ottenute con il sudore della fronte. Dà inoltre vita a nuove professioni e richiede spesso competenze diverse, che se in alcuni settori restano invariate, come minimo consentono a più persone in ogni parte del mondo di farti concorrenza per soffiarti lavoro. Il mercato del lavoro in cui tutti operiamo è quindi cambiato, e per sempre. Scordiamoci, dunque, ciò che pensavamo di sapere sul mondo del lavoro. Le regole sono cambiate. Il networking come attività opportunistica è stato sostituito dalla costruzione intelligente di una rete di relazioni. Sta crescendo il divario fra chi conosce le nuove regole per far carriera e possiede le nuove competenze richieste da un’economia globale, e chi invece rimane aggrappato alla vecchia mentalità e si accontenta di competenze ormai troppo comuni. Il cambiamento reca nuove opportunità e nuove sfide. Una risposta valida a tutto questo è lo sviluppo di un Professional Network dedicato al mondo del “costruito”. GRETA Professional Network come sviluppo di relazioni professionali “Relazione” può significare molte cose. Esistono amici, familiari, conoscenti, colleghi, collaboratori. Esistono persone con cui ci si relaziona per amore, per amicizia, per rispetto o per necessità. Ci sono persone che si frequentano solo in ambito privato e poi ci sono persone che si frequentano unicamente in un contesto professionale: colleghi, clienti, fornitori, consulenti, ecc. Ad unire questi ultimi sono gli obiettivi di business e gli interessi professionali in comune. Un tempo per relazionarti con questi colleghi fidati o con i potenziali o fidelizzati clienti ci si incontrava al bar o in piazza, presso lo studio dell’amico influente od in chiesa, al circolo od al cinema. Oggi è tutto “Online” ! Occorre un network, una “piazza virtuale” per incontrarsi. Una piattaforma da utilizzare per relazionarti con i tuoi colleghi fidati o con i tuoi clienti attuali o potenziali, a cui puoi raccomandare un amico medico od un altro professionista, con il quale magari ti consulti di frequente e gli chiedi consigli sul tuo settore professionale. E’ l’ambito in cui condividi informazioni dettagliate sul tuo patrimonio di competenze e sulle tue esperienze lavorative. La fotografia che ne emerge è di tipo professionale non “sociale” nel senso stretto del termine. In questo caso a nessuno importa con chi esci o se sei sposato, che segno zodiacale sei o se ti piace pescare, ma solo se sei un bravo professionista, un esperto nel tuo settore e soprattutto, come hai lavorato in passato con altri. Senza dimenticare quanto costi. Un Network è un sistema composto da elementi interconnessi, come gli aeroporti di tutto il mondo o la stessa rete internet. Un Network sociale corrisponde ad un gruppo di persone ed alle relazioni esistenti fra loro. Ogni persona con cui interagisci in ambito lavorativo rientra nel tuo network sociale professionale. Pensa a tutte le volte che hai conosciuto qualcuno e avete scoperto di avere amici o conoscenti in comune e moltiplica per 100, 1.000, 10.000 volte la potenzialità “on line”, senza avere i limiti del mercato in cui ti muovi, del quartiere in cui vivi o lavori da sempre; perché su internet sei presente in tutto il mondo nello stesso momento. Il mondo però, è davvero così piccolo? La risposta è SI! E’ piccolo in quanto è interconnesso. Numerosi studi di sociologia fin dagli anni ’60 hanno dimostrato che la Terra è un enorme network sociale, in cui ogni essere umano è collegato a tutti gli altri attraverso non più di sei intermediari. In pratica se si volesse conoscere una persona che ci interessa per motivi professionali od anche soltanto di amicizia, sappiamo che ci troviamo al massimo a sei gradi di separazione da lei. I Social Network con internet stanno trasformando in maniera velocissima il concetto astratto dell’interconnessione su scala mondiale in qualcosa di tangibile ed esplorabile tramite funzionalità di ricerca. 11 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 La risposta al “nuovo” mercato Con l’attuale fase di recessione, ora più che mai, non importa in quale campo ed a che livello, è importante interagire con la gente, con il “mercato”. Ma occorre farlo in modo diverso. Non più tradizionale. Il “passaparola” è cambiato; è “On line”. L’obiettivo è quello di sviluppare nuovi business, nuove specializzazioni per nuove figure professionali, aggiornare i professionisti fornendo un punto d’accesso ad informazioni verificate, ottenere consulenza specialistica, fornire strumenti informatici innovativi, erogare formazione (nuova figura del Building Manager), offrire un potenziale mercato di “nuovi” clienti. Chiunque di noi oggi per prenotare una vacanza o semplicemente un viaggio (treno, aereo, nave) lo fa utilizzando internet, senza muoversi dalla sedia e confrontando prezzi, qualità e feedback di chi lo ha fatto prima di noi. E così per fare l’assicurazione dell’auto o fare un bonifico bancario, o valutare il curricula di un chirurgo o comprare musica, film, libri, e così via. Vi rendete conto che appena cinque anni fa era fantascienza (almeno in Italia). Oggi sia noi che i nostri figli (ma loro lo fanno meglio) chattiamo su facebook, o twittiamo su twitter, siamo iscritti a LinkedIn per avere relazioni professionali, abbiamo sempre in mano l’Ipad e leggiamo più o meno ogni cinque minuti le mail che ci arrivano sull’Iphone o sul Blackberry. Come fare per adeguarci? La soluzione che ci è apparsa immediatamente realizzabile è alzare il velo su GRETA, la piattaforma per la gestione integrata di patrimoni immobiliari che GROMA (Società di proprietà della CIPAG – Cassa Italiana di Previdenza ed Assistenza dei Geometri Liberi Professionisti, presieduta da Fausto Amadasi) ha sviluppato oltre 10 anni fa e che utilizza come strumento di lavoro per la sua attività “core”, e mettere in contatto tutti gli attori presenti nella piattaforma per farli interagire tra loro. Inquilini, Condòmini, Fornitori, Building Manager, Committenti, Professionisti (Avvocati, Broker, Commercialisti, ecc.). Chiunque può fornire le proprie prestazioni a chiunque e diventare a propria volta cliente per altra tipologia di servizi. Non ci sono più barriere territoriali, ma vige la competenza e la meritocrazia riconosciuta dal mercato. Che proprio perché aperta diviene trasparente. L’idea è maturata quando ci si è accorti che vi era sempre più l’esigenza di avere, da parte non solo dei Proprietari di immobili, ma anche da chi viveva in quegli stessi immobili, (indipendentemente dalla tipologia), strumenti COSA PERCHè Piattaforma per sviluppare la comunicazione di tutti gli attori coinvolti nella gestione e nell'utilizzo di un bene immobile (costruito) Risponde alla necessità di mettere in comunicazione domanda ed offerta nel mercato della gestione del patrimonio immobiliare. Insieme di soluzioni e procedure complete per la gestione e l'utilizzo di un patrimonio immobiliare Necessità di disporre di un sistema in grado di integrare le diverse competenze necessarie alla gestione ed all'utilizzo di un bene immobile. Crescente attenzione sulla gestione del patrimonio immobiliare e crescente complessità nella gestione corretta e trasparente dello stesso GRETA Professional Network (internet) COME Marketing - Promozione dei servizi, prodotti e competenze necessarie allo svolgimento del facility management Training - Formazione continua della figura del Building Manager Management - Gestione del patrimonio immobiliare attraverso applicazioni e soluzioni integrate specifiche (help, chat, forum, wiki, e-learning) Networking - Mettere "in rete" tutti gli attori coinvolti 12 CHI Building Manager Condomini ed inquilini Fornitori Professionisti Committenti Prospect informatici innovativi, notizie ed informazioni, professionalità tecniche, consulenza, confronti, reportistica. Strumenti divenuti tutti “indispensabili” in questi anni in cui l’immobile non era più inteso come un bene rifugio “statico”, immobile appunto. GRETA Professional Network vuole essere la risposta ad una evidente necessità del mercato, fatto di persone con diversi ruoli. Un “Social Network Professional” dedicato a chiunque viva uno spazio costruito. Tra le prime applicazioni che verranno sviluppate c’è sicuramente una piattaforma di servizi informatici “cloud like” attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie “tablet e smart phone” per supportare l’attività in completa mobilità; sarà poi creata la vetrina del professionista (dove poter rappresentare la propria professionalità e le singole competenze) ed avere la possibilità di confronto (con blog, forum, bacheca e chat) con la georeferenziazione. Le tre macro aree di interesse principale che si andranno a sviluppare, saranno: 1) gli aspetti gestionali, 2) i rapporti con i fornitori/professionisti e 3) l’interazione sociale e commerciale. Già realizzate due importanti applicazioni: “GRETAeasy” per lo studio professionale per gestire anche piccoli portafogli immobiliari ed il “dossier del fabbricato” il fascicolo virtuale dell’immobile sempre on line ed a disposizione anche del Cliente/proprietario. A breve sarà ultimata l’applicazione “Condoeasy”, dedicata alla gestione dei rapporti condominiali e le “schede prodotto” per una rapida consultazione tecnica dei più diffusi prodotti nel campo dell’edilizia e dell’impiantistica, al fine di creare una “cassetta degli attrezzi” a vantaggio del “moderno” professionista. 13 ISTRUZIONE Fondazione Pavia Città della Formazione Istituto Tecnico Superiore per l’Edilizia innovativa La Fondazione Pavia Città della Formazione Istituto Tecnico Superiore per le nuove tecnologie per il Made in Italy – “sistema casa” è in Italia una risposta avanzata per formare Tecnici e Geometri in grado di operare nel mondo delle costruzioni. Un mondo caratterizzato da nuove tecniche di costruzione e posa, dall’ingresso sul mercato di materiali di ultimissima generazione e all’interno del quale sono diventati nodali, per Tecnici e Progettisti, temi e valori che inducono a un’attenzione “intelligente” alla sostenibilità ambientale delle opere, alla valutazione dei rischi sismici e idrogeologici richiedendo inoltre, specie in un periodo di grande difficoltà, capacità e preparazione per quanto riguarda la pianificazione e il controllo economico delle realizzazioni. La Fondazione è stata costituita nel 2011, l’Istituto Tecnico Superiore (ITS), quale scuola speciale di tecnologia, consente, dopo la maturità, la fruizione di un nuovo percorso formativo di alto livello, alternativo all’Università e fortemente orientato all’inserimento diretto nel mercato del lavoro. 14 Gli ITS sono nati dal dialogo tra mondo della scuola e impresa, e avranno il compito di formare Tecnici Superiori nelle aree tecnologiche strategiche per lo sviluppo economico e la competitività del Paese utilizzando il modello di insegnamento tipico delle più rinomate “boarding school” internazionali nelle quali gli studenti vivono a stretto contatto con professori e ricercatori in un contesto dinamico ed altamente innovativo. Secondo questo modello, la Fondazione ha avviato nel novembre del 2011 il primo corso per “Tecnico superiore per l’innovazione e la qualità delle abitazioni”. Corso che si sviluppa in due anni formativi (2012-2013 e 20132014) e prevede 1.800 ore di formazione suddivise in quattro semestri di aula, laboratori, visite nelle imprese. Con l’ultimo semestre totalmente dedicato allo stage che vedrà gli allievi calati direttamente in un ambiente lavorativo, vera e propria fucina di esperienze. Formerà Tecnici Superiori capaci di operare negli interventi edilizi di costruzione, ristrutturazione e manutenzione. Con le competenze giuste per contribuire a organizzare il lavoro, valutare le offerte, stendere i capitolati, redigere la contabilità. In grado di concorrere al posizionamento di materiali e attrezzature e all’installazione di tecnologie innovative e capaci di gestire al meglio il rapporto con maestranze, progettisti, direttori dei lavori e collaudatori. Il futuro Tecnico Superiore per l’innovazione e la qualità delle abitazioni seguirà, inoltre, le indagini del contesto orografico e ambientale del sito o del manufatto con particolare attenzione alle strutture (rischio sismico). Saprà riconoscere e applicare tecnologie, impiantistiche e materiali innovativi del made in Italy per migliorare la qualità, la sicurezza e la conservazione del patrimonio edilizio. Collaborando alla gestione dell’intero ciclo di vita del cantiere, sul piano tecnico, esecutivo, amministrativo e contabile. Lo sbocco professionale Il biennio del percorso ITS è equiparato ai due anni di praticantato, pertanto gli allievi, dopo aver acquisito il diploma di Tecnico Superiore potranno accedere direttamente all’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della libera professione di Geometra oppure potranno trovare impiego nel privato: imprese di costruzioni, imprese di commercializzazione di materiali e componenti per l’edilizia, negli Uffici Tecnici Pubblici o negli Studi di Ingegneria e di Architettura, nei Vigili del Fuoco e nella Protezione Civile. Il Diploma ITS costituisce titolo per l’accesso ai pubblici concorsi e il suo conseguimento prevede la certificazione e il riconoscimento di crediti formativi universitari. opportunità di business sui mercati internazionali. I corsisti nel primo semestre affrontano differenti tematiche: dagli elementi di scienza e tecnica delle strutture agli aspetti tecnologici e normativi del progetto; dalle norme e piani di sicurezza alle norme e modulistica del procedimento edilizio; dagli elementi di conoscenza e strumenti per la topografia agli elementi di Fisica Tecnica e principi di energetica in edilizia. Le ore di lezione si alternano ai laboratori che consentono agli allievi di sperimentare le nozioni acquisite in aula e di utilizzare macchinari e strumentazioni tecnologicamente avanzate. Gli allievi visitano i cantieri ed effettuano rilevazioni topografiche, attività che si incrementano nel secondo semestre. Le attività sono gestite da Docenti dell’ambito Universitario e delle Scuole superiori della città, dell’Università degli Studi di Pavia e degli Istituti superiori tecnici “A. Volta” e “G. Cardano”. E per quanto riguarda il mondo del lavoro, da Direttori e Tecnici di imprese edili e Liberi Professionisti con anni di esperienze pregresse in studi tecnici e presso enti pubblici. Stage e Partner Tecnici Dopo la prima fase di avviamento del corso e consolidamento dei soci Fondatori l’ITS Pavia sta iniziando il coinvolgimento nella didattica e nel progetto stage di Partner Tecnici: Aziende leader nel proprio settore di riferimento, YTONG e Brevetti Montolit SpA. La didattica Le materie insegnate possono essere sintetizzate in sei macro aree: Costruzione, strutture e risanamento; Materiali edili tradizionali ed innovativi; Normativa, procedure e contabilità; Sicurezza, cantieri e gestione; Impiantistica, installazioni e forniture; Quality control, topografia e geotecnica. Tutte le macro aree didattiche vengono trattate ponendo particolare attenzione alle ultime innovazioni presenti sul mercato. Queste conoscenze specialistiche, non reperibili sui manuali didattici, vengono fornite agli studenti con il supporto di Aziende private nazionali ed internazionali che mettono a disposizione i propri tecnici specializzati ed i propri laboratori nell’ambito di moduli formativi mirati ad alta componente tecnico/pratica. E sono supportate da una formazione linguistica d’eccellenza che mette in grado i Tecnici Superiori di dialogare fluentemente in inglese sulle diverse tematiche legate alla professione, garantendo così alle aziende ed al Sistema Paese maggiori 15 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 YTONG è un brand del Gruppo Xella International srl, leader in Europa nel settore dei materiali per l’edilizia. è sinonimo di calcestruzzo cellulare nel mondo con oltre 50 stabilimenti di produzione. Nato 80 anni fa, il prodotto è conosciuto in Italia da 25 anni e nel 2005-2006 ha registrato una crescita del 25% annua. I blocchi YTONG associano le caratteristiche della bioedilizia a un’estrema semplicità costruttiva e di gestione del cantiere. Con i blocchi YTONG si realizzano pareti portanti e di tamponamento, divisori, solai e tetti con un unico materiale leggero e facilmente lavorabile. La gamma YTONG include prodotti specifici per la ristrutturazione e grazie ai pannelli parete e alle lastre autoportanti il gruppo Xella è uno dei più grandi player europei nelle soluzioni di edilizia industriale. Le materie prime che compongono i prodotti YTONG - sabbia quarzifera, cemento, calce e acqua - sono estremamente semplici e facilmente reperibili in natura. Durante il processo di produzione viene aggiunta una piccola quantità di polvere di alluminio, metallo che non presenta assolutamente caratteristiche tossiche. Ciò permette al prodotto di sviluppare la sua tipica struttura cellulare che gli conferisce l’estrema leggerezza e le ottime qualità che lo contraddistinguono. 16 Durante la messa in opera non vi sono pericoli per la salute dell’uomo, né emissioni nocive per l’ambiente. I residui di cantiere possono essere depositati nelle discariche per rifiuti inerti senza difficoltà, perché non presentano problemi di inquinamento ambientale. Questo materiale può essere anche riciclato e impiegato come filtrante per la purificazione dei gas oppure come lettiera per animali oppure ancora come materiale per l’aerazione dei terreni ecc. Per le loro peculiarità, i prodotti YTONG hanno ottenuto la Certificazione “natureplus®” e dispongono delle dichiarazioni ambientali basate sugli standard internazionali prestabiliti dalla norma ISO 14025 (Enviromental Product Declaration). YTONG è partner dell’Agenzia CasaClima di Bolzano. Nel 2011 il Gruppo Xella International ha concluso l’acquisizione dello stabilimento RDB Hebel di Pontenure (PC) per la produzione di blocchi in calcestruzzo aerato autoclavato. Il sito produttivo di Pontenure si estende su un’area di oltre 97.000 m 2 e la nuova linea di produzione di blocchi è dotata delle più moderne tecnologie e sistemi di automazione con una capacità di produzione è di 360.000 m 3 all’anno. 17 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 BREVETTI MONTOLIT SpA si occupa della produzione e commercializzazione di attrezzature professionali e varie linee di macchine elettriche e manuali per il taglio e la foratura dei materiali lapidei. Tutti i prodotti sono coperti, interamente o in parte, da brevetti internazionali (300 quelli depositati di cui 40 attivi) allo scopo di proteggere e tutelare gli interessi dei clienti che possono contare su prodotti particolari e unici. L’azienda Brevetti Montolit SpA di Varese nasce nell’immediato dopoguerra su iniziativa del Cav. Vincenzo Montoli, poi insignito dell’ambito diploma di Inventore Benemerito. Grazie allo staff tecnico-produttivo costituitosi attorno al progetto iniziale, tali idee si sono successivamente finalizzate con lo studio e la realizzazione di attrezzature che hanno permesso alla Brevetti Montolit SpA di raggiungere una posizione di primo piano nel settore edile e di essere oggi presente in 120 nazioni. Dalle prime rudimentali “macchine” per il taglio di materiali come il marmo e il granito, si è passati a macchine più complesse (sempre esclusive) per la lavorazione di ogni tipo di materiale lapideo. Per la genialità della progettazione, perfezione, robustezza, qualità e durata dei prodotti, sono stati conferiti alla Brevetti Montolit SpA diversi riconoscimenti internazionali tra cui citiamo l’ambito Premio Europeo “Mercurio d’oro” e il premio Mondiale “Ercole d’oro”. Brevetti Montolit SpA è attiva nell’ambito della formazione verso il mondo dell’Istruzione Tecnica Superiore con stage e l’organizzazione di diverse iniziative, tra le quali giornate formative che hanno l’obiettivo di analizzare, insieme agli studenti, tramite lo studio di casi reali e la simulazione in laboratorio, le più frequenti problematiche di posa e taglio che si riscontrano nei cantieri individuando le cause e sperimentando in prima persona le soluzioni specifiche. E, più in generale, di fornire nozioni utili a rendere la figura professionale del Tecnico Superiore un Supervisore del processo di posa in grado di prevenire e/o risolvere le principali problematiche legate alla posa dei materiali ceramici/lapidei innovativi, all’istallazione degli impianti su pareti e rivestimenti ed alla ristrutturazione di rivestimenti esistenti. “Pavia Città della Formazione” è una Fondazione di partecipazione costituita dai seguenti soci fondatori: • FondazioneGeometriItaliani • CollegioProvincialeGeometrieGeometriLaureatidiPavia • AncePavia–CollegiodeiCostruttoriEdiliedAffinidellaProvinciadiPavia • Eucentre–FondazioneCentroEuropeodiFormazioneeRicercainIngegneriaSismica • ProvinciadiPavia • IstitutoTecnicoIndustrialeeLiceoScientificoTecnologico“G.Cardano” • O.D.P.F.IstitutoSantachiara • DamianiCostruzioniSrl 18 PROFESSIONI “Collegare filiere formative e filiere produttive per la crescita del Paese” Questo è il tema della seconda Conferenza dei Servizi sugli Istituti Tecnici Superiori, prevista dall’art. 3 del D.P.C.M. 25 gennaio 2008. Conferenza promossa dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e dai Ministeri del Lavoro e dello Sviluppo Economico, d’intesa con la IX Commissione Istruzione, lavoro, ricerca ed innovazione della Conferenza delle Regioni, per offrire utili contributi ai fini della predisposizione delle Linee Guida previste dall’art. 52 della Legge n. 35/2012. Ha visto la partecipazione di Presidenti delle Fondazioni I.T.S., Dirigenti scolastici degli Istituti che ne sono Enti di riferimento, Rappresentanti delle Regioni, degli Uffici Scolastici Regionali, degli Enti Locali, delle Parti Sociali, degli altri Ministeri coinvolti ed i soggetti interessati allo sviluppo del settore. Elena Ugolini, Sottosegretario di Stato, all’inizio della Conferenza, tra l’altro, ha detto: “Questa Conferenza dei servizi, ha un compito molto importante, di disegnare un percorso che porterà a delle Linee Guida dell’articolo 52 del decreto semplificazione, che tratta un tema importante per la crescita del Paese, quello del potenziamento della filiera dell’istruzione tecnico-professionale, della formazione professionale, dell’istruzione tecnica superiore in raccordo con le filiere produttive e con i cluster tecnologici in una prospettiva di crescita in cui tutti gli attori del Paese possano fare massa critica per uno scopo, che è quello di dare un futuro ai nostri figli. Nel momento di crisi, l’unica cosa da fare è mettere a frutto tutte le energie migliori che abbiamo e mettere a sistema le eccellenze. Questo è l’unico regalo che possiamo fare ai giovani e anche a quei due milioni di ragazzi che non studiano, non lavorano e non sono alla ricerca di un’occupazione, anche a quei ragazzi che hanno bisogno e che desiderano che i propri talenti e il proprio merito siano riconosciuti”. Francesco Profumo, Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, è intervenuto dichiarando: “Dopo l’entrata in vigore delle norme sull’ordinamento degli Istituti Tecnici Superiori (D.P.C.M. 25/1/2008), costituiti nel 2010, ogni anno, dal 2011, si svolge una Conferenza dei servizi per l’integrazione degli interventi in materia di istruzione, formazione e lavoro. Nel nostro Paese il deficit annuo di tecnici intermedi supera le 100 mila unità. La mancata possibilità per le aziende di trovare sul mercato del lavoro le professionalità tecniche di cui necessitano accresce la debolezza italiana nella competitività internazionale. Lo sviluppo della formazione tecnica è un fattore dunque che influenza, in modo significativo e misurabile, la crescita economica e sociale. 19 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Francesco Profumo Oggi esiste un forte disallineamento nel Paese fra: • filiere produttive, intese come insieme delle attività che comprendono tutte le attività che concorrono alla creazione, trasformazione, distribuzione, commercializzazione e fornitura del prodotto/ servizio; • filiere formative, intese come insieme dei percorsi quinquennali degli Istituti tecnici e degli Istituti professionali, dei percorsi triennali e quadriennali di qualifica e diploma professionale realizzati dalle strutture formative accreditate dalle Regioni, dei percorsi di formazione tecnica post secondaria realizzati dagli Istituti Tecnici Superiori; • poli tecnologici, intesi come reti di strutture di ricerca industriale e trasferimento tecnologico, capaci di promuovere l’evoluzione delle filiere produttive verso una dimensione tecnologica; • cluster tecnologici, intesi come aggregazioni di imprese, università e altre istituzioni pubbliche e private della ricerca e soggetti attivi nel campo dell’innovazione, importanti per la crescita economica sostenibile dei territori e dell’intero sistema economico nazionale. 20 Per superare questa situazione di ostacolo alla crescita del Paese, le recenti disposizioni urgenti in materia di semplificazione e sviluppo, contenute all’articolo 52 della legge n.35/2012 in materia di istruzione tecnicoprofessionale, offrono gli strumenti per intervenire, a breve, con un nuovo disegno strategico, idoneo a collegare organicamente filiere produttive e filiere formative in modo condiviso con le Regioni e le Autonomie Locali. In questo modo si potranno mettere a valore le vocazioni del territorio e, nel contempo, preparare giovani tecnici capaci di operare sui mercati internazionali per il rilancio del sistema produttivo del Paese. Questa Conferenza dei servizi rappresenta lo start up di: a. un cambio di strategia per potenziare l’istruzione tecnico-professionale a partire da un’approfondita analisi delle “cartine geografiche delle filiere produttive nelle regioni italiane”, predisposte dal Ministero dello Sviluppo Economico, che ha associato ad ogni filiera, in base al codice ATECO, alcuni dati economici di fonte ISTAT, numero di imprese, fatturato, valore aggiunto, investimenti, export, nell’intento di fornire un profilo dimensionale delle filiere e una valutazione del loro peso, nell’economia. Ne risulta un quadro complessivo che rappresenta, in termini di valore aggiunto e fatturato, oltre l’80% del sistema produttivo nazionale; b. la definizione di un’Agenda per la formazione tecnica, focalizzata sul ruolo centrale della programmazione delle Regioni in materia, che comprende impegni riguardanti: 1. l’offerta dei percorsi di istruzione tecnicoprofessionale, collegata organicamente sul territorio con le filiere produttive 2. l’avvio della costituzione di Poli tecnicoprofessionali – previsti dall’art.13 della legge n.40/2007 – come “luoghi formativi di apprendimento in situazione”, fondati su accordi di rete per la condivisione di laboratori pubblici e privati già funzionanti e/o sedi dedicate all’apprendimento in contesti applicativi e delle relative professionalità, al servizio delle scuole/strutture formative/ imprese del territorio, per la piena utilizzazione delle risorse professionali, logistiche e strumentali esistenti. I Poli tecnico-professionali possono costituire anche un’opportunità per il rientro in formazione dei giovani e adulti; 3. la diffusione, soprattutto nell’ambito dei Poli tecnico-professionali, delle migliori pratiche di “bottega scuola” e “scuola impresa” come luoghi nei quali la formazione è contestuale alla produzione di beni e servizi, in modo da valorizzare le specificità, le tipicità e le tradizioni dei territori, con particolare riferimento alle professioni agricole, artigiane, di trasformazione, ivi comprese le connesse attività di servizio, e alle professioni ad elevato contenuto di creatività e di quelle dell’artigianato artistico; 4. il rafforzamento degli Istituti Tecnici Superiori come leva per il rilancio dell’istruzione tecnico-professionale a sostegno delle sviluppo delle filiere produttive del territorio e dell’occupazione dei giovani, nel ruolo di scuole speciali di tecnologia per il trasferimento delle innovazioni tecniche e tecnologiche nelle filiere formative, con riferimento ai fabbisogni di crescita e internazionalizzazione delle filiere produttive; 5. l’innovazione e il potenziamento dei laboratori di settore degli istituti tecnici e degli istituti professionali, a sostegno sia della ordinaria attività didattica dei docenti, sia dello sviluppo dei Poli tecnico-professionali; 6. un orientamento efficace alle professioni tecniche per gli studenti e le loro famiglie, anche attraverso misure per la formazione congiunta dei docenti e dei formatori impegnati nelle diverse istituzioni educative e formative; 7. la diffusione dei percorsi di apprendistato come efficace strumento per le politiche attive del lavoro, a partire dai percorsi per l’assolvimento del diritto/dovere; 8. i piani formativi sovraregionali per ambiti complessi, a partire dalle priorità per lo sviluppo economico (ad esempio, trasporti e logistica, meccanica, turismo) attraverso le interconnessioni tra cluster tecnologici, poli tecnologici, filiere produttive e filiere formative, anche con la partecipazione delle amministrazioni centrali competenti per materia”. Corrado Passera, Ministro dello Sviluppo Economico è intervenuto precisando: “L’Istruzione Tecnica è giusto che sia di tutti e di nessuno. Io mi iscrivo alla categoria “tutti” o mi iscrivo alla categoria di coloro che non daranno pace fino a quando non si arriverà, fino in fondo, sul progetto di dare all’Italia quel pezzo di istruzione che manca. Corrado Passera Il ruolo dell’Istituto Tecnico Superiore, cioè il terzo grado della filiera tecnica, non ha nulla a che vedere con licei ed università e con la scuola professionale, se non in parte, per i primi gradi: è proprio una filiera dove mancava un pezzo. E non è che mancava un pezzo minore, mancava il pezzo che ha fatto il successo di molti Paesi che vanno meglio di noi e che competono con noi. Guarda caso è un pezzo molto importante in Germania e basterebbe questo per dire che ci mancava un pezzo che bisognava colmare e che mi sembra si stia andando a colmare. Non c’è crescita senza formazione, senza istruzione adeguata. E’ chiaro che oggi c’è un mismatch e che non c’è una perfetta coincidenza con ciò che servirebbe ai giovani per essere impiegati e alle aziende per potersi sviluppare, e quello che è il prodotto formativo delle varie filiere di istruzione e formazione e dei vari livelli. E quindi venendo a parlare, d’accordo il Ministro Profumo, brevemente del tema Istituti Tecnici Superiori, vengo a parlare di una cosa cui personalmente e come Ministero daremo il massimo supporto, perché ne vediamo l’importanza. Non è soltanto importante perché chi ce l’ha ne ha avuto grandi vantaggi, è molto importante perché è un bisogno tipico della tipica azienda italiana, dove per portare innovazione, internazionalizzazione ed apprendimento continuo è necessario portare quelle competenze da Istituto tecnico e Istituto Tecnico Superiore che oggi non 21 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 sono sempre disponibili. Se oggi abbiamo alta disoccupazione, oltre che inoccupazione, ma anche un alto numero di posti non coperti che le aziende vorrebbero coprire, è perché manca un pezzetto. E il progetto, se ben gestito, va in questa direzione. Licei, Istituti Tecnici, Scuole professionali, sono cose molto diverse, e guai a “liceizzare” gli Istituti Tecnici. Invece c’è sicuramente dello spazio per lavorare insieme nell’area della formazione, molto insufficiente oggi ed inadeguata in gran parte d’Italia, e il mondo degli Istituti Tecnici che in più devono salire verso l’alto e dare quel terzo livello senza complessi d’inferiorità, perché nel nostro Paese si è sempre un po’ tesi a dire che il Liceo è una qualità d’istruzione adeguata, mentre gli Istituti Tecnici sono di ben altro livello. Questo dobbiamo superarlo, e chi vive nell’economia e conosce quello che succede in giro per il mondo, sa che questa attitudine non positiva da parte degli Istituti Tecnici è autolesionista. Abbiamo come Italia un bisogno di diffusione enorme delle competenze di base tecnico-scientifiche. C’è un grandissimo bisogno di istituti che permettano l’aggiornamento continuo tra le missioni degli Istituti Tecnici Superiori. Vedo molto anche la collaborazione con le imprese, non solo per la formazione iniziale, ma anche per il continuo aggiornamento delle competenze, che in qualsiasi azienda è continua e che molto spesso le aziende di minori dimensioni non sono in grado di assicurare ai propri collaboratori, che si trovano con personale inadeguato solo per non avere svolto questo ruolo. Ruolo che, se ben amministrati, gli Istituti Tecnici e quelli Superiori possono svolgere. Naturalmente parliamo di un’Italia dove le necessità delle diverse filiere, dei diversi distretti e diverse regioni è strabiliantemente differente e quindi abbiamo bisogno di uno strumento che, avendo una struttura di base solida e di qualità, sia poi capace di adattarsi alle esigenze dei singoli territori, dei singoli distretti, delle singole filiere, e solo l’Istituto Tecnico, al suo meglio, può svolgere questo ruolo. Noi abbiamo una sfida enorme, quella di dare una employability a milioni di giovani che oggi non ce l’hanno, una capacità di rientrare nel mondo del lavoro per persone di tutte le età e anche di età avanzata. Questo appassionamento per gli Istituti Tecnici e Tecnici Superiori che mi porto dietro da anni, lo vedo di grande utilità per il Paese: vedere insieme il sistema della formazione professionale e quello della tecnica superiore, che è cosa ben diversa dal mondo dei Licei ed Università, e di cui il Paese ha un enorme bisogno. 22 Questo mettere insieme i pezzi lo prendo come una sfida del mio ruolo in politica”. Elena Ugolini Elena Ugolini, Sottosegretario di Stato, alla conclusione della Conferenza ha detto: “Oggi è l’inizio di un percorso che dovrebbe avere come primo obiettivo la scrittura delle Linee Guida relative all’articolo 52, presente all’interno del Decreto Semplificazione e sviluppo. Per scrivere queste Linee Guida gli attori principali sono ovviamente le Regioni, perché compete alle stesse il compito di programmare l’offerta formativa sul territorio, il Ministero dello Sviluppo Economico, il Ministero del Lavoro, che in raccordo con l’Istruzione sta lavorando per connettere il piano formativo col piano anche della certificazione in uscita delle competenze per il riconoscimento di quello che serve per i profili lavorativi. Il nostro lavoro è quello di portare le Linee Guida in Conferenza Stato Regioni in modo tale che per la programmazione del 2013 ci sia un contesto, un quadro di riferimento chiaro che aiuti ad andare nelle direzioni indicate. Le due direzioni sono: quella di poter favorire la nascita di poli, che possono essere poli fisici. Per esempio in Trentino stanno costruendo un polo, nell’ambito della meccatronica con laboratori e sedi per l’Istituto tecnico, per l’Istituto professionale, per la formazione professionale, per la formazione in apprendistato, per il livello terziario dell’istruzione, in raccordo con un pool di aziende del territorio. Però questi poli potrebbero essere anche delle reti incentrate sui laboratori o delle aziende o delle scuole, laboratori di settore che dovrebbero poter essere potenziati, in cui la centralità del lavoro, come strumento di conoscenza, di cultura e di apprendimento diventa qualcosa di fisico e di concreto. Dei poli in cui le aziende o le realtà produttive, gli ordini professionali si possano appoggiare anche per fare non solo formazione iniziale, ma anche formazione permanente per la riqualificazione o per promuovere orientamento nel settore dell’istruzione tecnica o professionale, o per promuovere start up, o per promuovere connessioni con delle attività come quelle che sul territorio vengono proposte dal CNR. Gli interventi fatti nel corso di questa conferenza dimostrano che se all’interno del nostro Paese noi veramente mettessimo insieme a sistema tutte le risorse che abbiamo (scuola, università, innovazione e ricerca, imprese, realità artigianali, ordini professionali) probabilmente, anche senza le Linee Guida, si potrebbero fare già delle reti che aiutano i nostri ragazzi ad avere un futuro. Quindi io spero di riuscire, insieme a tutti gli altri attori che ho citato, a portare a casa questo scopo, ad avere delle Linee Guida che aiutino a lavorare meglio. Però la mia convinzione è che solo la realtà di persone che smettono di pretendere e cominciano a condividere e a regalare quello che hanno imparato e iniziano veramente a lavorare insieme, solo questo potrà costruire un futuro per il nostro Paese. A me piacerebbe che prima ancora che le Linee Guida fossero pubblicate sulla Gazzetta ci fosse già questa rete o, per le meno, siccome ci sono già delle reti di questo tipo, si conoscessero, perché un altro grave gap del nostro Paese è che noi andiamo sul sito del Ministero – parlo di casa nostra – guardiamo Istituti tecnici professionali e cosa vediamo? La legge. Non guardiamo che cosa sono. Quindi il primo obiettivo della odierna conferenza è arricchire l’indice della bozza di Linee Guida, proposta dalla IX Commissione della Conferenza Stato Regioni, lavorando insieme. Lo scopo è arrivare rapidamente ad un quadro di riferimento per realizzare dei poli tecnicoprofessionali con tutta la filiera. Sarebbe bello mettere a sistema quello che c’è già, facendo delle alleanze multiregionali in una prospettiva internazionale. Per gli Istituti Tecnici Superiori sono state evidenziate molte criticità, all’interno delle Linee Guida quindi c’è la possibilità di intervenire su delle criticità, sugli standard minimi nazionali delle prestazioni dei servizi, cioè i requisiti minimi di partenza, i requisiti per l’attivazione dei percorsi, i requisiti minimi di partecipazione di imprese e di realtà professionali o produttive, i criteri di valutazione, i criteri con cui valutare il percorso fatto in termini di competenze acquisite dagli studenti. Perché questa enfasi sugli ITS? Perché alcuni Istituti funzionano e altri non funzionano. Sarebbe necessario partire non dal “secondo me”, ma da un monitoraggio reale, vero, composto di dati e numeri, necessario anche per il sistema dell’istruzione tecnica, professionale, della formazione professionale. Guardiamo la realtà e poi, riflettendo sulla realtà, cerchiamo di capire che cosa vale la pena cambiare, come si può lavorare meglio e quali sono le esperienze da valorizzare, da mettere a sistema e le esperienze che forse vale la pena lasciare perdere. Questo non è un compito del Ministero al quale spetta solo dare degli indirizzi e degli strumenti di valutazione. Saranno poi le Regioni, con i territori, a decidere come muoversi. Se le Regioni dovessero far nascere e proliferare ITS che non funzionano, saranno loro problemi. Dal punto di vista della programmazione nazionale penso che deve essere chiaro e fondamentale avere delle Linee Guida che permettano un governo nazionale. Pertanto si dovrà lavorare intensamente per arrivare alla fine di luglio a proporre le Linee Guida. L’idea della possibilità che degli insegnanti tornino, per esempio, a fare dei tirocini, che esperti del mondo dell’azienda possano insegnare nelle scuole, che delle aziende o delle realità produttive possano favorire il miglioramento e il potenziamento dell’offerta formativa di tutta la filiera inferiore, più bassa rispetto a quella degli Istituti Tecnici Superiori. Idea che si potrebbe realizzare da subito: i ricercatori del CNR sono 12.000, se si mettessero a disposizione delle scuole, dei ragazzi e degli insegnanti, se Finmeccanica nell’ITS sull’aerospazio di Francavilla ha messo a disposizione 1.000 ore di lezione per l’Istituto Tecnico Superiore, le aziende potrebbero mettere a disposizione delle ore di lezione con i loro esperti. Necessario anche riguardare il riordino della scuola superiore, di tutta la filiera bassa dell’istruzione tecnica professionale e della formazione professionale, non per fare degli sconvolgimenti, ma per capire cosa è necessario perché non ci sia solamente quantità, ma ci sia anche qualità ed efficacia”. 23 PROTAGONISTI Filippo Re Grillo Agrimensore Geometra di Vincenzo Acunto Filippo Re Grillo nacque a Licata il 12 Maggio 1868 da Francesco e da Grazia Grillo, primo di due figli. Nel 1885, quando aveva 17 anni, si trasferì a Palermo per frequentare il Regio Istituto Tecnico; ma prima di completare il corso di studi in Agrimensura, che durava quattro anni, fu chiamato a svolgere il servizio di leva nel 9° Reggimento Bersaglieri. Il 30 Ottobre 1889 fu dichiarato idoneo al grado di Sottotenente di complemento; dopo il congedo militare riprese gli studi, conseguì l’agognato diploma e frequentò l’Accademia di Ingegneria. Nel 1893 decise di abbandonare gli studi universitari, probabilmente per motivi economici; quindi iniziò a lavorare, svolgendo l’attività di Agrimensore, che attualmente viene definito Geometra. Nel 1894 di sposò con Rosina Muscia, ma purtroppo l’anno successivo rimase vedovo. Cominciò ad esercitare la professione non solo a Licata, ma anche nei centri limitrofi: Campobello di Licata, Ravanusa, Naro, Canicattì, Palma di Montechiaro; più che altro eseguì perizie nelle numerose miniere di zolfo attive in quel periodo. Il 18 Luglio 1896 si sposò in seconde nozze con Concetta Muscia, sorella di Rosina; da questo matrimonio nasceranno quattro figli: Dora, Guido, Ines e Rosa. Dopo qualche anno oltre al lavoro e alla famiglia cominciò a dedicarsi attivamente alla vita politica di Licata, infatti, nel 1900 fu eletto consigliere comunale e mantenne questa carica ininterrottamente fino al Gennaio 1919; però in realtà ha svolto le mansioni di consigliere fino all’Aprile 1915, perché il mese successivo è stato richiamato alle armi per l’avvento della Prima Guerra Mondiale. 24 Con l’inizio del nuovo secolo, Filippo Re Grillo inizia anche l’attività di progettista, infatti, nel 1900 progetta la villa del Cav. Angelo Sapio Rumbolo. Questa splendida villa, che nel 1903 è stata impreziosita dagli affreschi del pittore palermitano Salvatore Gregorietti, gli consentì di affermarsi professionalmente dimostrando le sue qualità di progettista e direttore dei lavori. Nel 1902 progettò un’abitazione per la famiglia di Francesco Grillo, nei pressi della chiesa di S. Maria la Vetere. Il 10 Agosto 1902 venne eletto a far parte della Commissione per la compilazione del Regolamento Edilizio di Licata, insieme ai Geometri: Giuseppe Vella, Vincenzo Dainotto, Antonio Scrimali e Giuseppe Granone. L’anno successivo ha progettato la ristrutturazione del palazzo dell’Onorevole Arturo Verderame, le cui stanze subito dopo i lavori furono affrescate dal Gregorietti. Nello stesso periodo eseguì qualche piccolo lavoro nella villa del Barone Ignazio La Lumia. Il 17 Marzo 1905 una frana in via Garibaldi danneggiò la raffineria La Lumia, provocando 17 morti tra gli operai; Re Grillo fu incaricato di progettare la ricostruzione degli edifici danneggiati, questi lavori furono eseguiti tra il 1906 ed il 1908. La sua conoscenza architettonica si arricchiva con i frequenti viaggi che egli svolgeva, sia in Italia che all’estero: 1901 a Tunisi, 1903 a Milano, 1909 a Roma e La Spezia, 1911 a Torino, etc. Filippo Re Grillo agli albori del 20° secolo si può considerare il principale progettista operante a Licata ed essendo un momento economico particolarmente favorevole per la città, la sua produzione architettonica ebbe un incremento notevole, infatti, nell’arco di pochi anni progetta e dirige i lavori delle seguenti opere: 1906, villa Ernesto Verderame a Monte Sole; 1907, palazzo di Roberto Verderame in piazza Progresso; 1908, abitazione per la sua famiglia in piazza Elena; 1911, tombe gentilizie appartenenti alle famiglie Bonsignore e Vella. Tra il 1912 ed il 1915 eseguì diverse stime e lavori negli edifici di proprietà della Congregazione di Carità e nella raffineria Verderame; inoltre, progettò il palazzo Liotta in piazza Gondar e la ristrutturazione della casa Vella in corso Serrovira. Nella casa Vella sono interessanti le ringhiere in ferro battuto dei balconi, che presentano un motivo floreale molto simile a quello nella Casa Re Grillo ubicata in piazza Elena. Nel 1913 riceve dal Consiglio Comunale di Licata l’incarico di redigere un progetto per un edificio scolastico in collaborazione con l’Ingegnere Roberto Verderame; di questo progetto non si hanno notizie, probabilmente è stato accantonato per il sopraggiungere dell’evento bellico. Nello stesso anno presenta un’istanza per ottenere in locazione i locali comunali per la ricostruzione del Teatro cittadino. Le opere preparatorie per la costruzione del Teatro, appaltate al Capo-Maestro Vincenzo Schembri, furono realizzate nel 1912. Durante la Prima Guerra Mondiale, fu richiamato alle armi con il grado di Tenente assegnato il 5° dipartimento Fanteria a Girgenti; l’anno seguente fu promosso Capitano, addetto alla sorveglianza dello stabilimento ausiliario della società “Imprese elettriche” a Palermo. Al termine del conflitto Re Grillo, tornato a Licata, si disinteressò della politica e si concentrò più che altro alla costruzione e gestione del Teatro che porterà il suo nome; il 10 Ottobre 1919 ottiene in locazione, i locali Comunali destinati alla ricostruzione del demolito Teatro, per la durata di 29 anni. In campo professionale, nel periodo successivo alla Prima Guerra Mondiale, eseguì solo qualche lavoro come la sopraelevazione della casa Biondi in piazza Elena; ciò è dovuto anche al fatto che il benessere economico, derivante dall’estrazione e dal commercio dello zolfo, era diminuito sensibilmente, e ciò si ripercuoteva in tutti i settori economici della città, fra i quali l’edilizia. Il Teatro Re durante la proiezione di un film “Domenica 13 Aprile 1930 alle ore 20.00 è stato invaso da un pauroso incendio che ha provocato 15 giovani vittime e 9 feriti”; l’intera cittadinanza partecipò al luttuoso avvenimento, ed anche il Comune, che si fece carico delle spese per i funerali e le sepolture dei defunti. Logorato nell’animo e nella mente da questo tragico incidente, Filippo Re Grillo morì, un mese dopo, il 16 Maggio 1930 all’età di 62 anni. 25 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 I Taccuini di viaggio Filippo Re Grillo, data la sua feconda osservazione, era solito redigere un taccuino durante i suo viaggi. I suoi Taccuini di viaggio, rinvenuti presso l’archivio della famiglia Re, sono due ed offrono una pregevole serie di immagini. Il primo risale al periodo in cui Re Grillo frequentava il Regio Istituto Tecnico a Palermo, ed è composto da diverse bozze che riproducono il tema degli ordini classici dell’architettura presente nei prospetti della Stazione centrale di Palermo. Probabilmente i particolari decorativi sono stati disegnati nell’attesa dei treni che lo portavano a Licata, oppure come esercitazioni assegnategli a scuola. Sono inoltre inclusi schizzi di decorazione con motivi floreali. 26 Decorazione floreale con foglie d'acanto Ornamento di un prospetto Particolare di un capitello Basamento ornato con inserti floreali Basamento interno alla stazione centrale di Palermo Il secondo taccuino è stato compilato da Re Grillo durante il servizio di leva, svolto a Verona nel 1889; in questi disegni egli mostra la sua attitudine a “narrare” con la matita le emozioni suscitategli dalla bellezza del paesaggio, qui si possono ammirare interessanti rappresentazioni paesaggistiche di località nei pressi di Verona come: Custoza, Ferrara di Monte Baldo e Cerro Veronese. Visionando questi disegni si intuisce la sua inclinazione verso la rappresentazione architettonica, poiché mette sempre in primo piano gli edifici. Custoza, 20 Aprile Ferrara di Monte Baldo, 29 Marzo Cerro visto dal Monte Tondo, in data 3 Luglio 1889 27 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Il fenomeno Liberty Il Modernismo, indicato con il nome di Art Nouveau, si diffonde in Europa nell’ultimo ventennio dell’Ottocento; si tratta di un movimento di rinnovamento delle arti, che si propaga molto velocemente, grazie anche agli scambi culturali, amplificati dalle Esposizioni e dalle riviste dell’epoca. Questo movimento modernista ebbe le sue origini in Belgio ed interessò “ i paesi in cui lo sviluppo industriale avesse raggiunto un certo livello”. L’Art Nouveau in Germania prende il nome di Jugendstil e si manifesta principalmente nel settore delle arti applicate, mentre in Francia inf luenza soprattutto la produzione di arredamenti. Nel campo dell’architettura, professionisti come: Otto Wagner in Austria, Victor Horta in Belgio, Hendrik Petrus Berlage in Olanda, Charles Rennie Mackintosh in Scozia, Antoni Gaudì in Spagna, elaborarono il nuovo linguaggio espressivo, liberando le proprie opere dai riferimenti agli stili storici. In Italia i nuovi codici espressivi furono adottati in ritardo rispetto agli altri paesi europei e diedero inizio allo stile Liberty; infatti risulta “unanime il consenso degli studiosi nel fissare il momento di apoteosi del Liberty al 1902, anno della 1a Esposizione Internazionale di Arte Decorativa a Torino”. Con il Liberty, elementi naturalistici entrano a far parte delle decorazioni sia delle facciate che degli interni: delle suppellettili, del mobile, degli arredi; infatti la sua peculiarità consiste nella realizzazione dell’unità fra edificio e parti decorative e d’arredo. Le città italiane dove il fenomeno modernista ebbe maggiore diffusione sono: Milano, Palermo e Torino, nelle quali i rispettivi progettisti principali sono Giuseppe Sommaruga, Ernesto Basile e Pietro Fenoglio. Nonostante il consueto ritardo del Meridione italiano, la Sicilia viveva un periodo di grande splendore dovuto principalmente all’estrazione, lavorazione e commercio dello zolfo; alle quali si aggiungevano altre attività commerciali: dagli agrumi alle ceramiche, alle tonnare. Il capoluogo siciliano, oltre ai grandi commercianti stranieri “presenta una straordinaria dinastia economica, quella dei Florio di Palermo, che furono armatori, industriali e banchieri di attività eccezionale”. La borghesia imprenditoriale è la classe sociale che più si identifica nello stile f loreale, perché essendo una classe di nuova formazione rifiuta gli stili storici e diviene la committenza principale delle opere progettate con i nuovi stilemi. 28 Il protagonista del Liberty palermitano è l’Architetto Ernesto Basile (1857–1932), le cui opere appaiono di grandi rilevanze e paragonabili a quelle degli altri maestri europei, e “la fama internazionale e gli impegni romani pressanti non gli impediscono di lavorare nelle province ed esercitarvi la sua influenza”; quindi, il linguaggio modernista grazie all’opera di Basile si diffonde anche in varie zone dell’isola siciliana, dove professionisti locali adottano ed elaborano tale linguaggio architettonico. Alla fine dell’Ottocento, l’attività portuale e solfifera di Licata produceva benessere e ricchezza; ciò si desume anche dall’ordinata crescita urbanistica della città, oltre che dalla crescita demografica: la popolazione era passata dalle 17.000 unità del 1889 alle 26.000 unità del 1909. L’importanza del porto di Licata nel commercio dello zolfo è testimoniata dal fatto che “ i solfi grezzi venivano classificati nelle seguenti qualità: 1a Licata, 2 a Vantaggiata Licata, 3 a Buona Licata, 4 a Corrente Licata, 5 a Vantaggiata fuori miscela, 6 a Vantaggiata uso o tipo, 7a Buona, 8 a Corrente”. Questa classificazione era già in uso nel 1830, ma il periodo d’eccezionale prosperità nel commercio dello zolfo “si ebbe tra il 1892 ed il 1905, quando le zolfare attive in Sicilia passarono da 657 a 800”! Quindi il Modernismo a Licata si sviluppò in un contesto di fermento economico e culturale, dove l’ambiziosa borghesia affidò alla raffinatezza dello stile Liberty, il compito di rappresentare il loro stato sociale. Lo spirito modernista, che fondeva tradizioni locali ed inf lussi europei, è stato acquisito dal tessuto culturale e sociale di Licata, grazie anche al Basile che nel 1907 ha progettato il Palazzo di Città, che va inserito “tra i capolavori del maestro siciliano”. Tra i professionisti locali, si distingue il Geometra Filippo Re Grillo, che si può definire il principale interprete delle tematiche Liberty di Licata. Re Grillo riesce a soddisfare pienamente la borghesia imprenditoriale licatese, che vuole esternare il proprio livello sociale, economico e culturale, attraverso la costruzione d’edifici che ne siano l’espressione tangibile. Alcuni di questi edifici sono stati affrescati dal pittore palermitano Salvatore Gregorietti tra il 1902 ed il 1903. Le opere di Re Grillo sono frutto di una profonda elaborazione culturale e costituiscono una considerevole realtà nell’ambito del Liberty siciliano. Palazzina Grillo Filippo Re Grillo nel 1902 progetta un’abitazione per la famiglia di Francesco Grillo, probabilmente suo zio; ubicata nel versante sud orientale del Monte S. Angelo, il quale è sormontato dall’omonimo castello costruito nel 1640. Questo edificio, sebbene potrebbe essere definito villa, per via del giardino annesso, non è concepito dal progettista come tale; ciò si desume anche dal prospetto originale rinvenuto presso l’archivio della famiglia Re, nel quale viene denominata Palazzina Grillo. Inoltre le soluzioni distributive e formali di quest’opera, al contrario delle ville da lui progettate, non recepiscono le istanze di rinnovamento della tipologia della villa avviate da Bartolomeo Michelozzi (1396 – 1472), detto “Michelozzo”, che fu l’architetto di diverse ville medicee. La palazzina ha una pianta regolare, pressoché quadrata, ben concepita nella sua semplicità ed è composta da due piani fuori terra oltre a quello seminterrato. In ogni modo alla semplicità della soluzione distributiva si contrappone la ricercatezza delle soluzioni formali. Le aperture del secondo livello, ossia del piano nobile, sono bifore e nella sommità presentano elaborati ornamenti, quasi merletti lapidei, che ricordano l’architettura islamica; lo stesso motivo ornamentale si ripete nel parapetto traforato del balcone. Le aperture del primo livello sono archi a sesto acuto, sormontate da fregi floreali in bassorilievo, la particolarità consiste negli infissi sagomati per creare l’illusione ottica di finestre bifore. Il coronamento dell’edificio è composto di un fregio floreale in bassorilievo sotto i beccatelli con archetti moreschi che sorreggono il cornicione e dal muretto d’attico merlato, di chiaro riferimento all’architettura militare. Il fronte principale, esposto a nord est, prospetta verso il centro urbano e si affaccia su un terrazzo ubicato sul basamento dell’edificio, ideato per ovviare alla pendenza del luogo. Nel fronte prospiciente su via Garibaldi, all’altezza del piano nobile, sporge una graziosa loggia dalla quale si poteva godere della vista del mare e della foce del fiume Salso. L’edificio, è stato realizzato rispettando fedelmente il progetto, le uniche varianti consistono nell’ingresso del basamento e la ringhiera del terrazzo. Purtroppo, questo gioiello architettonico, è stato deturpato da una ristrutturazione selvaggia, che ha stravolto la configurazione originaria addossando un altro edificio. 29 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Palazzo Navarra Nel 1907 Filippo Re Grillo progettò e diresse i lavori di ristrutturazione nel palazzo del Cav. Roberto Vecchio Verderame, ubicato sull’angolo tra piazza Progresso ed il corso Vittorio Emanuele; successivamente viene denominato “Palazzo Navarra” perché è stato ereditato dalla figlia del Cavaliere, Lucrezia Vecchio Verderame in Navarra, anche se attualmente la costruzione è suddivisa in diverse proprietà. Questo edificio dimostra la maturità progettuale di Re Grillo e la sua sapiente adesione ai temi floreali del Liberty. I lineamenti architettonici di questa raffinata costruzione non contrastano con le linee barocche del palazzo Frangipane, di fronte al quale prospetta lungo il corso Vittorio Emanuele; inoltre “tendono ad armonizzare con quanto sull’altro lato della piazza si andava edificando su disegno di E. Basile”. L’edificio, dalla volumetria molto semplice, si sviluppava su tre livelli: piano terra, piano nobile e sottotetto; però, nell’area tra corso Vittorio Emanuele e via Carducci, avendo a disposizione un’altezza maggiore dovuta alla pendenza del corso, Re Grillo ha ricavato un piano ammezzato, probabilmente destinato alla servitù. 30 Dal prospetto originale si deduce che l’ammezzato doveva estendersi in tutto l’edificio, ma in un secondo tempo è stata ridotta l’altezza complessiva, considerando che nella zona d’ingresso principale era necessario uno spazio maggiore, il progettista ha preferito la soluzione dell’ammezzato parziale. Nel fronte principale, che prospetta su piazza Progresso, si trova l’ingresso monumentale che aggetta leggermente, sormontato dal balcone più ampio, composto da tre moduli invece di due come gli altri; sopra il portone in legno, evidenziato dal bugnato, è inserita una bella raggiera in ferro battuto circoscritta dalla cornice rilevata, ad arco policentrico con il concio di chiave più sporgente, lo stesso tipo di arco si ripete in tutte le aperture del piano nobile, dove sono inserite lunette prefabbricate ornate con motivi floreali in bassorilievo. Il piano nobile sembra evidenziato de tre cornici lapidee orizzontali, due in corrispondenza dei balconi e l’altra all’altezza delle linee d’imposta delle aperture. I balconi lapidei, davvero particolari, sono concepiti come se fossero recinti con balaustrate, ma al posto dei balaustri sono inseriti pregiati elementi in ferro battuto forgiati con motivi floreali; anche le pile angolari presentano ornamenti floreali in bassorilievo. Disegno del fronte sul corso Vittorio Emanuele Nel sottotetto, che aggetta leggermente tramite una cornice dentellata, si aprono graziose finestre bifore, ad arco moresco, che si allineano con i balconi del piano nobile; notevoli anche i beccatelli lignei, finemente intagliati, che sorreggono la copertura. I lievi aggetti, nei prospetti, confermano che la forte luminosità dell’atmosfera siciliana rende apprezzabili le minime vibrazioni plastiche; questo principio è stato sperimentato da Basile nella sua casa palermitana del 1903. Particolari anche le soluzioni degli angoli curvilinei che accrescono la continuità prospettica e le edicole votive nel fronte prospiciente su corso Vittorio Emanuele; gli spigoli smussati ricordano il Palazzo Lumia a Canicattì, costruito nel periodo Barocco. Nel complesso il progetto iniziale redatto da Re Grillo è stato rispettato, a parte nella modifica formale delle finestre sottotetto e nella semplificazione del bugnato. Per quanto riguarda i cinque balconcini del piano ammezzato, considerata la differenza delle ringhiere, dei fregi nelle cimase delle aperture ed il minore deterioramento degli stessi, rispetto a quelle del piano nobile, si può affermare che sono stati realizzati in epoca successiva. Inoltre l’edificio, al piano terra, ha subito modifiche planimetriche di natura funzionale, per consentire l’ubicazione di diversi punti commerciali. Anche gli interni, decisamente in stile Liberty, dell’edificio sono molto rifiniti, ovvero: i sostegni del lucernario, che illumina la scala principale con ornamenti floreali in bassorilievo; la ringhiera in ghisa della scala di pregevole fattura; la pareti dell’ingresso principale rivestite con lastre di marmo; la porte di accesso agli appartamenti; le finestre con vetrate a piombo e decorazione floreali policrome. Le volte delle varie stanze sono impreziosite da decorazioni pittoriche molto elaborate; l’affresco di una camera ricorda quello del disimpegno al primo livello della villa Sapio Rumbolo, ma non è certo che siano stati eseguiti anch’essi da Gregorietti. Particolare della ringhiera in ghisa 31 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Veduta del porticato d'accesso e del prospetto sud Villa Sapio Rumbolo I lavori di costruzione delle villa, destinata al soggiorno estivo della famiglia del Cav. Angelo Sapio Rumbolo, ebbero inizio del 1900 e furono completati due anni dopo. Questa lussuosa architettura si trova nel Monserrato, nelle colline limitrofe al centro urbano di Licata, e comprende due piccoli edifici di pertinenza. Il prospetto principale, esposto a sud, si affaccia su un terrazzo che offre un panorama spettacolare sulla costa. Per ampliare questo terrazzo, il progettista ha pensato bene di creare sulla rampa d’accesso un porticato di mattoni, illuminato da sei archi moreschi; questa soluzione architettonica, attraverso la modifica del sito, trae il maggior vantaggio possibile dall’orografia del terreno e dimostra l’ingegno di Filippo Re Grillo, che riesce a far fruttare pienamente il lotto di terreno non molto ampio. La villa è costituita da due elevazioni, definite da cornici, sopra le quali si accede al sottotetto e ad un terrazzino utilizzato per asciugare la biancheria in modo riservato. L’edificio, nei lineamenti architettonici, è armonioso e solido dal punto di vista statico, anche perché sorge su un’altura rocciosa. Le strutture di elevazione della costruzione sono realizzate in muratura di pietrame intonacata, muratura di mattoni e muratura di conci squadrati a faccia vista nel basamento e nei cantonali. L’impostazione planimetrica che si può definire razionale, presenta un asse di simmetria che non è rispettata solo nell’angolo nord-ovest, dove trovano ubicazione la scala principale e quella di servizio. 32 Dalle soluzioni distributive si deduce la predilezione di Re Grillo per la retta, infatti, mancano superfici curve sia all’interno che all’esterno; la particolarità consiste nell’arretramento dei prospetti in corrispondenza dei due ingressi, una sorta di segnalazione formale. L’impianto planimetrico e distributivo è assimilabile alla villa che Lorenzo il Magnifico nel 1479 si fece progettare da Giuliano Giamberti da Sangallo, edificata a Poggio di Caiano nei pressi di Firenze. Nel prospetto sud sporge un portico d’ingresso con tre archi a tutto sesto nel fronte e due scale laterali, sormontato da un terrazzo accessibile mediante tre aperture del piano nobile, nonostante l’ingresso principale della villa sia nel prospetto nord, dove arriva la rampa di accesso che supera il dislivello tra la quota del cancello e la quota zero della villa. Molto particolare è il rosone nel prospetto ovest, utilizzato nelle chiese gotiche, con vetri policromi che illuminano la scala. Nel primo livello, le aperture sono sormontate da decorazioni in bassorilievo, presenti anche nelle lesene agli angoli dell’edificio, mentre le finestre sono bifore, in marmo di pregevole fattura, di chiaro riferimento all’architettura romanica. Questo immobile, oggi di proprietà Cicatello, è stato dichiarato di interesse storico-architettonico particolarmente importante e soggetto a vincolo exlegge n° 1089 del 1939 con Decreto n° 5346 del 1994 Assessorato Regionale dei Beni Culturali ed Ambientali e della Pubblica Istruzione; attualmente sono in corso lavori di restauro conservativo e cambio di destinazione d’uso. Planimetria d'insieme Prospetto del lato sud Prospetto nord, con ingresso principale 33 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 In quest’edificio si possono rilevare diverse analogie con le opere di Ernesto Basile: il rosone è presente nel villino Basile a Santa Flavia del 1874; le finestre bifore si ritrovano nel palazzo Bordonaro a Palermo del 189396; mentre il portico di ingresso avanzato è adottato nel palazzo Bordonaro, nella villa Igea a Palermo del 1899 e nella palazzina Rudinì a Roma del 1903. Meritevole di nota è anche il cancello in ferro battuto, probabilmente frutto anch’esso della creatività di Filippo Re Grillo. La villa Sapio Rumbolo nel 1902 è stata impreziosita dalle decorazioni pittoriche di Salvatore Gregorietti (1870-1952), artista palermitano, che con le sue opere ha “illuminato” l’interno di molti edifici in tutta la Sicilia ed in Calabria. Gregorietti in questa villa manifesta la padronanza di tutto il suo repertorio decorativo, nella sala da pranzo, definita una delle massime espressioni artistiche nell’ambito floreale, “sottili steli emergenti da un fitto sottobosco di foglie filiformi si attorcigliano con estrema levità e si espandono in alto in un continuum di rose rosa e giallo pallido, disposte in sequenza orizzontale come in un etereo pergolato, trovando l’unico segno forte in spirali di spine, che simbolicamente in tanta perfezione e levità paradisiaca, introducono l’ idea latente del dolore e della sofferenza”; al centro del soffitto con sfondo celeste, un gruppo di graziosi puttini con le ali giocano tra le ghirlande di rose, creando l’illusione di un cielo aperto. Nella volta del salotto, cornici con amorini monocromatici delimitano delicate fanciulle-fiore: garofani, gigli, iris e rose che simboleggino le quattro stagioni. Nella stanza da gioco, dove si trova un biliardo di fattura artigianale, la decorazione dai toni cromatici pacati è composta da quattro figure danzanti con costumi medioevali, iterate nel perimetro della volta. Nelle camere da letto: ciclamini, garofani, orchidee e viole del pensiero sono intrecciati, oppure sono iterate, apparendo un ornato fitomorfo con una tale armonia che riscatta la serialità. Nella sala del disimpegno al piano nobile, iris di vari colori si susseguono sullo sfondo celeste del soffitto, che n’esalta le tonalità cromatiche. Da alcune foto d’epoca si evince che la villa era arredata con mobili Ducrot, quindi si deduce che quest’opera seguiva pienamente le tendenze del Liberty, secondo cui un gruppo d’artisti si occupava dell’edificio integralmente, dall’architettura agli arredi, alla pittura. Fanciulla giglio nell'affresco del salotto Rose e puttini nella volta della sala da pranzo 34 Il Teatro Filippo Re Grillo fin da giovane ebbe la passione per il teatro, infatti nel sul “libro contabile” scolastico si evince che durante il periodo in cui studiava a Palermo, spesso si recava a teatro. Nel 1906 ha redatto il progetto per la ristrutturazione e l’ampliamento del teatro esistente a Licata, costruendo anche un modello ligneo in scala 1:50. Questo plastico è curato nei minimi particolari, addirittura nel foyer vi ha costruito una porticina che ricorda molto la porta con vetri decorati del palazzo Verderame. Inoltre ha fatto stampare un opuscolo per promuovere la costruzione di tale opera, nel quale ha descritto il progetto ed ha formulato una proposta per renderlo realizzabile dal punto di vista economico, dato che il Comune non aveva fondi per costruire quest’opera, ritenuta di lusso. Tra il 1912 ed il 1914, furono eseguiti i lavori occorrenti al Palazzo Municipale, con annesso il vasto magazzino ex teatro, provvedendo alle riparazioni necessarie; nel contempo si realizzarono le opere preparatorie per la futura costruzione, consistenti nelle fondazioni e l’elevazione del primo livello. Nel 1919 Re Grillo ha edificato, su un’area ceduta dal Comune per ventinove anni, il teatro che ha preso il suo nome. La struttura della sala è quella tipica a ferro di cavallo e comprende: platea, due ordini di palchi e loggione. Il Teatro Re venne ultimato nel 1921 e “inaugurato dalla compagnia lirica C. Abramonte e C. , direttore d’orchestra il cav. Franz Morosoni, con la traviata di Verdi, il don Pasquale di Donizetti e il Barbiere di Siviglia del Rossini, rappresentati dal 25 Febbraio al 12 Marzo 1922”. Il Tetro Re divenne un punto di ritrovo per la raffinata borghesia licatese; in seguito, però, l’esercente dovette adeguarsi alla novità, ossia le proiezioni cinematografiche; infatti, in una dichiarazione autenticata alla pianista Saverina Vitali nel 1924, Re Grillo nomina il locale: Cinema-Teatro, nonostante nell’intestazione risulti ancora Teatro Re. Purtroppo, il 13 Aprile 1930 mentre si proiettava un film, un pauroso incendio provocò 15 vittime. Negli anni Settanta fu affidato in gestione e funzionò qualche anno come cinema comunale; alla scadenza del contratto rimase chiuso nuovamente. Recentemente sono stati ultimati i lavori di restauro; quindi nel breve periodo, si potrà riavviare nel prestigioso Teatro Re la sua attività naturale. Modello ligneo realizzato dal progettista F. Re Grillo nel 1905 35 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Teatro, spaccato assonometrico, 2° livello I testi sono estratti dal volume “Le opere di Filippo Re Grillo a Licata”, promosso dal Collegio dei Geometri e Geometri Laureati della Provincia di Agrigento, pubblicato per le Edizioni La Vedetta nel marzo 2004 a cura dell’autore Salvatore Carisotto che, nella prefazione, fra l’altro, scrive: “La presente monografia nasce dalla rielaborazione della tesi di laurea che ho discusso, nel marzo 2001, presso la Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Palermo. La scelta del Geometra Filippo Re Grillo come soggetto della tesi, è dovuta principalmente al mio desiderio di approfondire la conoscenza di questo geniale progettista licatese, al quale si può attribuire senza dubbio la qualifica di architetto. Infatti, studiando le sue opere non si possono non apprezzare le straordinarie capacità progettuali ed esecutive dell’autore, che con i suoi edifici ha reso Licata, la città più ricca di monumenti in stile Floreale della provincia di Agrigento, un’importante meta nell’itinerario Liberty siciliano”. 36 COSTRUZIONI Gino Zavanella e le sue architetture “Il fuoco, il tetto e la luna - Gino Zavanella e le sue architetture. Un percorso spirituale” è il titolo del libro di Maurizio Crosetti (Editore IMT Srl) dal quale sono estratti i due brani: “La matita invisibile” e “Lo stadio degli amici”. LA MATITA INVISIBILE C’è tanta strada da fare, sempre. Si attraversano paesi e piccole città, tutto a colpi di matita. Il giovane architetto Gino Zavanella, neo laureato, si trova a muovere i primi passi professionali a San Benedetto Po, nella provincia mantovana, il suo paese. La storia comincia con un amico. “Si chiamava Roberto Malavasi e purtroppo non c’è più. Era il presidente dell’Eca, vale a dire Ente Comunale Assistenza, che gestiva il ricovero degli anziani indigenti all’interno dell’antico monastero benedettino. La sua intuizione fu quella di costruire una moderna casa di riposo. Fresco di laurea, trascorrevo le sere al paese parlando di questa iniziativa; a Firenze avevo anche conosciuto un assistente universitario presso la Facoltà di Architettura che aveva lavorato con il professor Antonini, noto geriatra. Insomma, quasi per scherzo cominciammo davvero a progettare la casa di riposo che è ancora lì, a San Benedetto Po, dov’è stata ampliata e dove svolge la sua funzione in modo eccellente, anche se ormai risale al 1971”. A ben guardare, sin dall’inizio il destino professionale di Gino Zavanella lo portò a pensare spazi ampi, nei quali far muovere tante persone. La casa di riposo, le banche, gli impianti sportivi. Insomma, architettura sociale. E’ come se esistesse una traccia comune da seguire, e forse c’è davvero. Una catena di idee per arrivare allo stadio che è molte altre cose ancora. Invece, quell’ospizio cos’era? “Le linee-guida ci vennero date proprio dall’illustre geriatra. Ogni settore aveva il suo salotto, la sala giochi, la sala tivù: era costruito a braccia, per evitare l’idea del casermone. Ogni reparto era autonomo, sia per l’assistenza medica vera e propria, sia per le zone di svago e socializzazione. Ogni corridoio era interrotto più o meno a metà dagli spazi comuni. La casa di riposo di San Benedetto Po nacque per anziani autosufficienti, ma poi ospitò anche gli altri, i più gravi, i più bisognosi di assistenza e quindi vennero predisposte le sezioni per la fisioterapia e il recupero funzionale, come ad esempio le aree di deambulazione. Il tutto cercando di non creare strutture opprimenti o angoscianti: la vecchiaia e la malattia lo sono già abbastanza. Quel progetto lo ricordo molto bene, un po’ perché fu il primo e poi perché era una cosa importante, una costruzione molto grande con uno scopo anche sociale, dunque da trattare con estrema delicatezza. Mi fu offerta una notevole opportunità”. Nella vicenda professionale di Gino Zavanella c’è poi la lunga parantesi di costruttore. Un’epoca senza carta e matita, piena invece di ponti, gallerie e viadotti. “L’impresa che ho condotto per quindici anni e cioè la SCA, Società Costruzioni e Appalti, a partire dal 1988 ha realizzato grandi opere pubbliche stradali e ferroviarie. Qualcosa di molto interessante, anche se diverso dalle esperienze precedenti perché quelle costruzioni non le progettavo io. Una responsabilità che mi cadde sulle spalle, qualcosa di mica tanto creativo, eppure ci sono momenti nella vita in cui tocca sobbarcarci anche compiti che non avevamo scelto o previsto. Per quanto riguarda l’architettura, diciamo che è stata una forzata pausa di riflessione. E il mio studio è andato comunque avanti grazie al collega, sodale e fraterno amico, Alessandro Valenti. Se non mi avesse aiutato e aspettato con infinita pazienza, forse avrei mollato tutto”. Ma come funziona la “bottega artigiana” di Gino Zavanella e della sua “mezza mela”, al secolo Alessandro Valenti, detto Sandro? Perché la simbiosi è andata avanti anche quando Zavanella era preso da ruspe e gru, più che dal foglio bianco? “Anche durante la mia lunga sosta – con Sandro e grazie a lui – riuscimmo comunque ad affrontare progetti importanti come quello del nuovo stadio di Tunisi, 37 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 oppure il palazzo dello sport di Fossano. E’ chiaro che il mio contributo era relativo, visto che dovevo occuparmi dei 280 operai dell’impresa di costruzioni. Mi alzavo alle cinque del mattino e andavo a letto a mezzanotte. In questi casi, il tuo collega dev’essere anche il tuo migliore amico, complice e confidente, bisogna potersi dire tutto. Se manca la confidenza non può svilupparsi l’intesa”. Perché questa è davvero una strana coppia, in grado di lavorare insieme anche separata, riducendo le distanze con un colpo di telefono, un fax oppure una e-mail. Oggi, del resto, la tecnologia favorisce gli spostamenti anche se Gino Zavanella non è davvero l’architetto più tecnologico del mondo. “Proprio stamattina Sandro mi ha spedito via computer degli schizzi da rivedere, appena accennati e io glieli devo modificare al telefono. Lui capisce al volo. Un’infinità di passaggi nei quali si sviluppa il nostro modo di progettare insieme”. L’architetto afferra un computer portatile nero: a occhio non è davvero l’ultimo modello disponibile sul mercato. “Sarò sincero, spesso uso il fax invece del pc perché mi trovo meglio”. I creativi a volte s’imbarazzano di fronte a tasti e schermate. “Sandro è a Mantova, nel nostro vecchio studio. Ogni tanto mi raggiunge e ci vediamo, però non sempre è essenziale. L’importante è avere sotto gli occhi lo stesso disegno, perché ora ci siamo così affinati che ci capiamo quasi senza bisogno di parlare”. Si vede che i due architetti sono affezionati alla loro “bottega”. 38 “Vorremmo tanto che non finisse con noi. Vorrà dire che alleveremo per bene i nostri giovani collaboratori, e la trasmissione delle idee procederà da noi a loro. Per esempio, l’architetto Andrea Maio, che sta intensamente collaborando con me da qualche mese in GAU Arena, potrebbe essere tra quelli destinati a raccogliere il nostro testimone”. Il luogo dove nascono i progetti, o sarebbe meglio dire “i progetti dei progetti”, è quello del cuore, cioè Viareggio. E lì non servono strumenti fantascientifici. C’è un semplice tavolo dove l’architetto stende i suoi fogli bianchi, cioè lo spazio che già contiene tutte le linee: solo bisogna trovarle. E’ come se fossero nascoste, anche loro bianche nel bianco, come un leprotto dal pelo color latte che corre nella neve. Come vedere il bianco nel bianco? “Cercando, aspettando”. Un tavolo, i fogli, una matita, il primo schizzo. Anche se si potrebbe affermare che Gino Zavanella arriva alla matita soltanto dopo. “Le mie gestazioni sono sempre molto lente, ho bisogno di tempo”. Le idee migliori sono quelle che nascono la mattina presto, a passeggio. “Esco, e mi porto sempre appresso un taccuino, oppure un pezzo di carta qualsiasi. In fondo il mio studio quasi non esiste oppure è la pineta. Tutto semplice, davvero: un tavolo e dei fogli di carta. Comincio pasticciando e poi butto via. Preferisco progettare camminando, perché quando cammino io vedo le cose, o forse le immagino vedendole”. Il momento creativo è sempre un mistero per tutti. “Io penso molto in maniera tridimensionale. Immagino già lo spazio, non la pianta dell’edificio. Immagino il volume che diventa spazio: si torna sempre al famoso cubo, 3x3x3, con il forellino per la luce”. Ecco il progetto per lo stadio di Ponsacco. Molta carta viaggia da Mantova a Torino, da Mantova a ovunque e ritorno. Perché a Mantova c’è Sandro, e “ovunque” c’è Gino. Il foglio è sempre l’inizio e la fine del percorso. “Questi sono gli schizzi messi giù da Sandro seguendo un mio schema. Per adesso facciamo solo queste due parti qui”. L’architetto muove il dito sulle linee del progetto, forse è questa la vera matita invisibile. “Tribuna Ovest, tribuna Est, ecco, il pubblico sale dai lati, così. Qui ci dev’essere un albergo con l’atrio al piano terra, poi l’area commerciale di 750 metri quadrati, con accesso diretto. Esisteva un altro mio progetto precedente, a quest’altezza è previsto un percorso e Sandro lo sapeva. In fondo è una cosa semplice, carta e matita”. Adesso tocca al vecchio “Think Pad” nero, che mentre si accende ronza come un gatto contento. L’architetto clicca su altre tappe del progetto, trasferito sullo schermo a colori. “Questo è l’ammezzato e ora vediamo l’ultima proiezione delle tribune laterali, no, non questa, ecco, ci siamo. E’ la sezione dell’albergo. Per esempio: qui c’è una cosa da cambiare. Si tratta del portico e attorno si sviluppa una membrana di un tessuto simile a quello che utilizzeremo per la copertura dello stadio della Juventus, una specie di teflon su cui è possibile fare proiezioni e modificare la luce. Poi ci sono le stanze dell’albergo, alcune delle quali danno direttamente sul campo di gioco. Ho detto a Sandro che bisogna spostare il pilastro più verso l’esterno, in maniera che questo balcone faccia anche da copertura della tribuna”. Le mani toccano lo schermo del computer come se davvero potessero disegnare, ed è quello che sta accadendo nella testa del progettista. “Vorrei inoltre che questa parte seguisse la tribuna, questa invece va più indietro… Quando lo spiego a Sandro, l’intesa è talmente forte che mentre io parlo, lui ha già capito. E’ ovvio che per arrivare al risultato finale occorre attraversare una serie infinita di prove”. Intanto si aprono altre pagine a colpi di mouse. Ancora lo stadio di Ponsacco. “Ecco le aree di protezione, aperte di giorno e chiuse la sera e durante le partite”. Ogni autore deve fare i conti con la sindrome del foglio bianco. Ne sanno qualcosa gli scrittori: la partenza di un’avventura creativa è la tappa più complicata. Servono le parole giuste per avviare il discorso, bisogna subito catturare l’attenzione del lettore. 39 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Certo, per un architetto è diverso, però il bianco ancora intatto del foglio è il medesimo. Così piena di possibilità inespresse, così aperta alle più svariate soluzioni, la tonalità di quel bianco è sorella del vuoto, del dubbio, della ricerca, dell’inespresso. E allora, Gino Zavanella, come si tira la prima riga? Come si vive quel momento? “Ah, il primo segno è terrorizzante. Io non seguo nessuna regola. Però ricordo perfettamente che il progetto dello stadio di Torino è cominciato con una curva a destra, così, perché volevo dare il senso del guscio”. L’architetto si alza in piedi e mima nell’aria col braccio quel tratto iniziale, che in qualche modo è una forma ed è già memoria. La mano destra si protende, le dita “disegnano”. “Una curva senza pretese, davvero molto semplice, direi quasi banale. Quel guscio ha tenuto insieme tutto”. Dunque, il cervello ha iniziato a lavorare “vedendo” la copertura, e il resto di conseguenza. “Sotto il tetto si infila la pelle, c’è questo stacco tra copertura e pelle, e ancora sotto c’è una terza parte. Copertura, guscio e poi la membrana che circonda la struttura come una bandiera o un grembiale, dove verrà stampata e proiettata la storia della Juventus”. Si tratta di una curiosa progettualità corporea, l’embrione del disegno che seguirà la visione, il flash dal quale si è partiti. Per la scintilla, capirete, non serve uno studio e neppure il famoso tavolo diagonale dove ognuno di noi immagina gli architetti chini sui fogli all’inseguimento di quello che ancora non c’è. Nel caso di Gino Zavanella, quella rincorsa parte a piedi, alla lettera e quasi sempre nella 40 pineta di Viareggio. Se vi capiterà di passare da quelle parti bellissime di prima mattina, potrete forse scorgere un uomo alto che somiglia alle fotografie del maestro Toscanini, con accanto un pastore tedesco. L’uomo, forse, si metterà ad agitare mani e braccia come per raccogliere qualcosa, un frutto o forse un fiore aereo, e invece è un disegno. Qualcosa che vede solo lui. Tranquilli, non c’è da preoccuparsi, è tutto a posto. “Ho un amico fotografo che vorrebbe immortalarmi in quei momenti, dove però ho bisogno di una totale solitudine altrimenti le cose che sto immaginando, nel loro inizio, si confondono e non le distinguo più. Il mio amico mi ha spiegato che esiste una tecnica fotografica attraverso la quale il gesto può essere mostrato nella sua continuità di movimento, come una linea bianca. I movimenti mi servono per avere la visione tridimensionale del progetto, per dargli corpo e per cominciare quel processo che dovrà portare alla trasformazione del volume in spazio. Per mia fortuna, queste cose accadono in luoghi dove non c’è gente, altrimenti mi prenderebbero per matto. In pineta di levante, a Viareggio, vado sia d’inverno sia d’estate, percorro chilometri e chilometri perduto nei miei pensieri e a volte mi ritrovo lontanissimo”. Nell’aria, dunque, si può disegnare. Anzi, si può disegnarla. Però è un po’ complicato prendere appunti… “Nel momento in cui parlo con l’architetto Valenti, con il mio amico Sandro, non ho più bisogno di mandargli nulla, lui sa tutto”. Ecco, anche al telefono si può disegnare. “Poi è chiaro che carta e matita le ho sempre con me, perché altrimenti le linee si possono smarrire. Spesso, la mattina oppure di notte, mi sveglio e disegno un breve tratto perché mi ricordo qualcosa che ho pensato nel dormiveglia. Ci sono queste immagini che vanno e vengono. Credo che raccontare la creatività sia impossibile, è un processo individuale, quanto di più soggettivo esista al mondo. Io posso, tutt’al più, provare a spiegare il mio metodo, cioè come funziona il laboratorio artigianale. Non ho mai fatto l’autoanalisi dei miei percorsi creativi, so che questo accade e so come accade, però non è una decisione, non è una scelta: è qualcosa che si manifesta, che sgorga da dentro. Ed è qualcosa che si produce mentre lo fai: l’inizio è sempre vago, è come la famosa curva. Però quella vaghezza può già contenere tutto”. Come dice una famosa frase citata da molti artisti, da Hemingway a Ennio Morricone, “la creatività è per il dieci per cento ispirazione e per il novanta per cento traspirazione, cioè fatica”. “Un lavoraccio, su questo nessun dubbio. Anche sofferenza. E’ un parto, dove però non ti decidi mai a partorire, non dici mai ‘questa è la cosa che volevo fare’. Al contrario si è sommersi dai dubbi, ci si chiede continuamente se non si stia facendo una scemenza, oppure un’incredibile banalità. A un certo punto, in qualche modo, bisogna pur decidersi: però, quante difficoltà!”. Le modifiche, sempre possibili, sempre necessarie, possono diventare un’ossessione. Perché ogni linea di matita, sia nell’aria, sia sul foglio ma soprattutto sul foglio, contiene in sé la moltitudine di tutte le linee alternative e non tracciate. Erano migliori? Potrebbero ancora esserlo? Così comincia la serie di domande che non si chiudono mai. “A quel punto, bisogna avere la fortuna dei collaboratori giusti. E io l’ho avuta. Questo evita troppi ripensamenti. Credo che il mio ruolo sia essenzialmente creativo: chi lavora con me, sa che io do le idee e lo spunto. Poi, lo sviluppo materiale è qualcosa di collettivo. Ammetto che a volte non seguo la seconda fase con troppa insistenza. Tra l’altro sono abbastanza negato per le questioni pratiche connesse al mio mestiere: saranno venticinque anni che non vado in Comune a fare le pratiche per ottenere una licenza edilizia, non è snobismo, è che proprio non sono capace, non ho pazienza, non ho neanche tanta voglia. Ecco spiegata la fortuna di avere bravissimi collaboratori. Lavorai, ad esempio, con Riccardo che oggi vive in Sicilia e fa l’architetto come me. Da molto tempo non collaboriamo più, però continuiamo a sentirci perché l’amicizia è profonda. E poi, certo, Sandro. Persone che mi hanno sempre aiutato e permesso un certo ruolo”. Creare, a differenza di quello che si ritiene, significa soprattutto aspettare. E’ una costruzione, non un impulso. Metodo e non solo istinto. La prima idea, la famosa curva tracciata nell’aria da una mano, quella può essere l’intuizione, ma costruirci uno stadio attorno richiede pazienza. “Io sono molto lento. A volte posso pensare per un mese a un progetto senza neppure prendere la matita in mano. E’ una specie di digestione. Devo digerire il luogo, ma anche il committente. Devo digerire il sito, la mia idea e magari anche me stesso mentre lavoro”. Sono i percorsi di uno strano metabolismo, qualcosa che è anche se non soprattutto fisico, perché riguarda il corpo che fatica e cerca le cose dentro di sé e nello spazio circostante. “E’ essenziale conoscere benissimo il territorio e più che conoscerlo assimilarlo. Abbiamo già parlato dell’interazione necessaria tra luogo e struttura, perché quest’ultima non rimanga un oggetto estraneo, qualcosa che non riuscirà mai ad integrarsi con lo spazio che la circonda. Per questo, la prima cosa che faccio è andare a vivere per un lungo periodo nel posto nel quale dovrò costruire qualcosa, oppure recarmi là di continuo. A Ponsacco sarò stato trenta volte, lungo la superstrada tra Pisa ed Empoli. Devo guardare bene le cose che vedo. Ma soprattutto devo parlare con la gente, con i cittadini, con gli amministratori pubblici, naturalmente con il sindaco. Abbiamo fatto riunioni su riunioni: non sarei davvero capace di astrarmi per progettare, come se ogni struttura in fondo fosse uguale ad un’altra e come se qualunque cosa funzionasse in qualunque luogo. Lo ripeto: la matita viene dopo. Credo sia così anche per un romanziere: magari la trama si sviluppa cammin facendo, però il nocciolo della storia dev’essere in testa già dall’inizio. Un autore dovrà prendere un sacco di decisioni di metodo e contenuto, dovrà preparare decine di scalette su personaggi e trama, luoghi e ambientazioni, e poi, – alla fine – penso si metterà a scrivere. Sono sicuro che nessun autore parta di getto, senza avere fatto prima un lungo lavoro dentro se stesso”. L’architettura, par di capire, è un insieme di azioni e idee parallele, che però devono essere governate da una mente sola. “Non puoi mica pensare alle fondazioni e non pensare al tetto! Il progetto è un tutt’uno, bisogna avere il pensiero e il controllo di qualcosa che sta crescendo. Poi, come ho detto, gli interventi e le modifiche non finiscono mai. Con Valenti facciamo duemila telefonate e cinquemila incontri. Ricordo benissimo che per lo stadio di Tunisi, il progetto complesso – che dovrà integrarsi col palazzo dello sport – è scaturito rivedendo anche altri nostri lavori, ad esempio a Venezia, e parlando molto di architettura araba”. 41 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Non si tratta, come è ovvio, di copiare. Ma di portare in ogni progetto la propria storia di autori: perché niente di quello che è già stato fatto, trattandosi di creatività, scompare dalla mente e dalle mani del creatore. Ogni punto della retta definisce e compone la retta stessa. “Non dobbiamo autocitarci, però la nostra storia la portiamo sempre dentro. E’ accaduto anche per il progetto dello stadio di Torino: talmente cambiato, nel corso del tempo, ma sempre su una linea di sviluppo che non può prescindere dalla vicenda personale e professionale dei progettisti. I quali, tra loro, non finiscono mai di influenzarsi: e così si accumulano i contributi degli autori e bisogna essere aperti. Il nostro è stato un progetto a quattro mani: ci passavamo le idee, le intuizioni, i suggerimenti, perché non avrebbe senso lavorare a compartimenti stagni, dividendosi prima i compiti. Non funziona così. Occorre l’intesa è c’è stata”. Anche stavolta, grazie al telefono? “Eh no, ci mancherebbe. Certe cose accadono solo con i colleghi con i quali si sta insieme da quarant’anni. No, per lo stadio di Torino abbiamo trascorso un’infinità di tempo a contatto di gomito. Materialmente, l’abbiamo disegnato a Roma insieme a un gruppo di architetti e ingegneri. Ci sono state tante discussioni, a volte anche piuttosto animate, ed è giusto perché niente nasce dall’assenza di contrasto o di attrito. E’ una questione di energia e del suo sviluppo. Prima si discute dell’insieme, poi di ogni dettaglio. Sembra facile: non lo è per niente. Poi, devo dire che siamo anche stati fortunati perché, partendo da uno ‘stadio nello stadio’, cioè dal primo progetto che 42 prevedeva la nuova struttura inscatolata dentro il vecchio Delle Alpi, l’evoluzione è stata quasi automatica. L’idea delle reti e delle notizie da stampare in qualche modo lungo il perimetro dell’impianto c’era già; poi, è passata attraverso la trasformazione di tutto questo nel progetto per lo stadio degli Europei 2012, infine nello stadio che pulsa come una bandiera”. E’ bello pensare a un percorso così lento e continuo, dove ognuno mette o toglie qualcosa di sé, visto che le idee procedono per sottrazione e non solo per accumulo. “Anche in questo, c’entra l’altruismo di cui parlavamo all’inizio: una buona collaborazione comincia quando un architetto non è convinto che ogni sua idea sia irrinunciabile, e quando viceversa si apre senza pregiudizi ai contributi dei colleghi. Senza smettere, com’è ovvio, di difendere e valorizzare quello in cui crede. Ma siccome nessuno di noi dispone, per fortuna, di sacre tavole della legge, questa legge non esiste”. Fino a che punto ci si batte per la propria matita? “Devo dire che non mi è mai accaduto. Quando si è in sintonia, l’intesa scaturisce in modo naturale. Non ho mai battagliato per imporre un progetto: se ti trovi in quelle condizioni, vuole dire che stai lavorando con le persone sbagliate oppure che la persona sbagliata sei tu. La logica guida le scelte, mica uno va a destra e l’altro a sinistra”. La direzione che prenderà un lavoro può dipendere da molte cose, alcune casuali. “A Torino, prima di arrivare alla soluzione definitiva abbiamo abbandonato la rete microforata che doveva avvolgere lo stadio e strada facendo l’abbiamo sostituita con le famose lamelle. Per le quali, si badi bene, esistevano ipotesi diverse e alternative. Per esempio si poteva decidere di colorarle, magari di bianco e nero, oppure – com’è stato – si potevano lasciare argentate. Alla fine, anche l’architetto Giugiaro ha dato il suo tocco su alcuni dettagli. Un lavoro molto interessante e complesso, sviluppato da più persone, che ha avuto sempre un filo conduttore, un concetto portante e coerente”. 43 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 LO STAdIO dEGLI AMICI Il concetto di stadio diventa centrale per comprendere una rivoluzione che non è solo architettonica, strutturale o commerciale, ma è prima di tutto mentale. E chiama in causa il nostro modo di guardare le cose, di considerarle. Perché le barriere, le recinzioni, quasi sempre cominciano nella nostra mente: la realtà si limita a confermarle. “Io penso che quando diciamo stadio, non dobbiamo immaginare solo l’invaso che lo ospita o la struttura che lo forma. Stadio è quando cominci ad avvicinarti, a entrare, è qualcosa di molto più ampio. Stadio è quando inizi a partecipare all’evento, è il percorso che compi per raggiungere le gradinate, comprese le soste: per un caffè, per dare un’occhiata, per parlare con qualcuno. Ecco un altro mio sogno, e anche questo non lo ritengo un’utopia: uno stadio dove le persone parlino tra loro e non si limitino a correre con lo sguardo basso verso il posto assegnato, tra un controllo e l’altro, tra una barriera e l’altra, facendo lo slalom in mezzo agli agenti. Stadio è quando partecipi. Nei grandi spazi, nelle piazze, cambierà l’intero modo d’essere del pubblico sportivo. Perché l’uomo è una creatura sociale, non asociale. Come diceva Aristotele, è un “animale politico” nel senso della polis, della città e della partecipazione. Amiamo stare con gli altri, più che da soli. Si tratta, è chiaro, anche di un problema culturale e certi obiettivi si raggiungono con il tempo”. Sul tavolo, un vecchio giornale racconta gli incidenti di Catania del 2 febbraio 2007, quando morì Raciti prima del derby con il Palermo in una notte di follia collettiva. “Guardo le fotografie, rivedo i filmati di quella sera e mi accorgo che i protagonisti della violenza erano quasi tutti ragazzi. E mi chiedo quali famiglie avessero alle spalle, se fossero mai andati una volta in chiesa, se avessero mai dato l’elemosina a un povero. Come sono vissuti? Qual è il profondo malessere che li alimenta? Mi rendo conto che si rischia la retorica, però bisogna avere il coraggio di porsi la domanda centrale: questi ragazzi, che etica hanno? Mi chiedo chi sia davvero questa gente, coloro che feriscono e talvolta uccidono per una partita di calcio. Neppure per difendere la libertà o la propria stessa vita, si arriva a tanto. Neanche i tibetani, minacciati ed emarginati da sempre, fanno questo per difendersi. Non riesco a darmi una risposta, provo solo angoscia. Io amo il calcio, indirettamente vivo di calcio e davvero non capisco”. Ma se quella sera a Catania, invece del vetusto Stadio Angelo Massimino, il teatro dello sciagurato derby siciliano ci fosse stato un impianto di concezione moderna, la violenza non sarebbe esplosa così? 44 “La controprova è ovviamente impossibile, però io credo che le cose non sarebbero andate in questo modo, non fino in fondo, almeno. E’ chiaro che non abbiamo la bacchetta magica e neppure la garanzia dell’equazione ‘nuovo stadio, fine della violenza’. Magari fosse così. Il raggiungimento di quel traguardo può arrivare solo al termine di un lungo processo di cambiamento: culturale, etico e strutturale, nel senso della struttura e della concezione degli stadi. Nessuno vuole mandare la gente alla partita in smoking, sarebbe ridicolo. Però deve cambiare la lettura dello stadio, il sentimento di come lo si vive. Quando mi reco in un luogo di svago, nel quale cerco piacere e divertimento, quando identifico nella stadio un posto dove posso soddisfare una mia antica passione, nata quand’ero bambino e mantenuta negli anni – perché gli appassionati di calcio sono sempre un po’ bambini – e vedo attorno a me solo gente in divisa, equipaggiata con scudi, armi e manganelli, ecco, anche se so che quegli agenti stanno lì per garantire la sicurezza io non mi sento tranquillo, non mi sento a mio agio. Quando vado a teatro oppure al cinema, mica si sono i poliziotti all’entrata! Mica mi chiedono il documento una, due, cinque volte. Mica mi perquisiscono. Se nel giorno di una partita a Torino andate in corso Agnelli, di fronte allo stadio Comunale che ora chiamano Olimpico, vedrete solo militari in tenuta anti-sommossa e vi chiederete se per caso quella notte non si siano verificati un colpo di stato o un’insurrezione popolare”. Restando a Torino, città dell’architetto e della Juventus, chi prova ad andare alla partita in tram – un gesto semplice e antico – deve mettere in conto deviazioni di percorso, interruzioni e impreviste scarpinate a non finire. Quando c’è una gara di cartello, con qualche rischio per l’ordine pubblico, la prima cosa che viene decisa è la soppressione della corsa del tram n. 10 ad almeno tre o quattro isolati dallo stadio. Prima conseguenza: la gente deve raggiungere l’Olimpico a piedi, e tra questa gente ci sono anche gli anziani, oppure coloro che hanno problemi nel camminare. Seconda conseguenza ancora più grave: i cittadini che usano il tram n. 10 solo per andare a casa, o per spostarsi, o per i fatti propri e che nulla hanno a che fare con il calcio, sono costretti ad affrontare un disagio che non meritano e contro il quale non esiste difesa. La terza conseguenza la illustra l’architetto Zavanella: “Lo stadio in questo modo diventa un luogo contro la città, una minaccia incombente. Mi pare inevitabile che il quartiere lo viva come ostile e veda nella partita un’autentica sventura a cadenza settimanale. Cioè l’esatto opposto di quello che dev’essere uno stadio: luogo per la città, non contro la città”. Mai avrebbero previsto tutto questo i progettisti, ingegneri Bianchini e Ortesi, e neppure l’architetto Fagnoni, quando nella tarda primavera del 1932 si misero a disegnare le prime linee dello stadio che sarebbe diventato Comunale e poi Olimpico, ma che allora si sarebbe chiamato “Stadio Mussolini”. Veramente un miracolo di velocità. Il 22 settembre le maestranze della ditta Saverio Parisi di Roma aprono il cantiere che in 180 giornate lavorative porterà alla conclusione delle opere, realizzate anche da altre tre imprese: cioè lo stadio e il campo adiacente riservato all’atletica leggera, la piscina coperta e quella scoperta, le piste e le aree riservate al basket e al tennis. L’inaugurazione dello “Stadio Mussolini” avviene il 14 maggio 1933. Ci sono 70 mila torinesi, quel giorno, ad assistere all’evento. Il nuovo stadio si trova a ridosso della Piazza d’Armi, sulla stessa direttrice in cui sono già sorti altri campi sportivi, cioè gli stadi del primo Novecento. Tale è l’orgoglio per lo “Stadio Mussolini”, che il Comune decide di far pagare il biglietto a chi lo vuole visitare nei giorni della settimana in cui non si disputano le competizioni. Per entrare si paga una lira e questa abitudine verrà mantenuta fino agli ultimi giorni del vecchio Comunale, quando si pagavano duemila lire per assistere agli allenamenti della Juventus, dentro una struttura arrugginita, decrepita e cadente. Quasi un simbolo del modo più sbagliato di usare uno stadio: facendo pagare – in tuti i sensi – un prezzo alle persone, invece di garantire servizi, comodità e svago. Il nuovo stadio della Juventus è stato creato uno stadio che vive il suo momento clou durante le partite, ma nello stesso tempo ha una propria dimensione polifunzionale, con spazi pensati per rispondere a diverse esigenze e con servizi per tutta la famiglia. Un luogo condiviso, insomma, un punto di incontro quotidiano per persone di tutte le età e con interessi differenti, un naturale centro di aggregazione: in altre parole un agorà del XXI secolo. Lo stadio può ospitare 40.200 spettatori ed è stato concepito con i massimi standard di sicurezza. L’accesso, privo di barriere architettoniche, avviene attraverso quattro ingressi posti sugli angoli. Al termine degli eventi, in caso di emergenza, l’impianto si può svuotare in meno di quattro minuti. La copertura degli spalti, studiata in galleria del vento, è stata realizzata ispirandosi al profilo delle ali degli aerei: struttura leggera realizzata in una membrana in parte trasparente ed in parte opaca. Una delle caratteristiche più rilevanti del nuovo stadio è il rivestimento delle pareti esterne, che viene replicato in tutte le strutture che circondano l’arena, per ribadire la coesione e la continuità dell’intera area urbana interessata. 45 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Progetto Stadio “US Città di Palermo” Impianto moderno e sicuro, uno spazio incomparabile, speciale ed esclusivo dove la partita è l’apice di un’intera giornata di gioia e serenità, lo stadio si caratterizza come luogo di spettacolo ed intrattenimento (ristoranti, bar, sale giochi, baby club, area relax, ecc.), attivo 7 giorni su 7 con un alto livello di servizi in tutti i settori (media 0,80 m2/spett.). Le tribune sono vicinissime al campo e la Curva di visibilità di ogni singolo spettatore è studiata secondo gli standard europei e secondo quanto previsto dalla normativa italiana. Massima sicurezza è ottenuta attraverso lo studio di un sistema di percorsi interni grazie ai quali sarà possibile evacuare lo stadio in meno di 5 minuti (20m/min). Assenza di barriere architettoniche per accedere a tutti i settori, nessuna separazione tra gli spalti e il campo e possibilmente nemmeno tra settore e settore. Il raggio di curvatura studiato per il raccordo tra le tribune sarà esclusivo dello stadio; in queste aree sono previsti i 2 ristoranti principali dello stadio con ampie vetrate a vista campo. All’interno dello stadio saranno allestite zone per l’accoglienza e il tempo libero delle famiglie e in particolare predisposte delle “kids area”. Ed, inoltre, un museo per i tifosi e per i turisti: creando opportune sinergie con le strutture turistiche, si potrà inserire un tour dello stadio e del museo del Palermo. 46 La trasparenza dell’involucro Lo stadio è avvolto da un involucro in elementi metallici e vetro che garantisce dinamicità e trasparenza. Gli elementi metallici hanno una sezione a fuso e percorrono in orizzontale tutto il perimetro dello stadio svasandosi verso la copertura per meglio raccordarsi visivamente ad essa e per non “appiattire” l’invaso. Le chiusure vetrate atermiche evidenziano di giorno il legame tra lo stadio e il quartiere, di notte accentuano al massimo la luminosità dell’impianto e la sua funzione di “faro” per la città. Gli elementi metallici orizzontali costituiscono anche una protezione nei confronti delle vetrate. Sui corner trovano posto schermi cielo-terra che attraverso l’uso di avanzati sistemi tecnologici comunicano con la città. Si tratta di apparati led di ultima generazione, che saranno usati con varie caratteristiche e definizioni secondo le zone dove saranno istallati, che hanno la prerogativa di avere un’alta luminosità ed un elevato contrasto in tutte le condizioni ambientali e di irraggiamento solare. La Copertura Il sistema di copertura studiato, dalla sezione a fuso che richiama quella degli elementi metallici di facciata, prevede 2 fasce di rivestimento: la prima è opaca, la seconda semitrasparente in modo da far passare circa l’80% della luce e allo stesso tempo impedire il passaggio dell’acqua. 47 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 La copertura non sarà direttamente collegata all’involucro perimetrale. Questa separazione, unita ai 4 passi carrai, che fungono da ripresa, permetterà una naturale e/o forzata ventilazione controllata nel catino. Questo sarà fondamentale per il benessere del pubblico e del manto erboso per il quale saranno utilizzati avanzati sistemi tecnologici in tema di irrigazione e protezione. Sistemi strutturali innovativi Le gradinate del catino saranno realizzate con un sistema strutturale che prevede l’impiego di elementi prefabbricati sagomati in acciaio e poliuretano. Si tratta di un sistema alternativo al cemento armato e alle carpenterie metalliche tradizionali. I benefici e i vantaggi sono notevoli: • Peso strutturale ridotto: 70/80% più leggero del cls; • Facilità e rapidità di posa in opera: montaggio 3 volte più 48 veloce con riduzione delle complessità logistiche e dei rischi; • Riduzione dei costi del 30%; • Facilità nello smontaggio e nel riutilizzo con un incremento della flessibilità architettonica. Le panchine sono inserite nella tribuna ovest a fianco dell’uscita giocatori. Sono previsti 2 tabelloni interni completamente digitali che consentono la fruizione di contenuti ad alta definizione. Lo stadio sarà interamente cablato e ciò consentirà di dotare ogni settore ed ogni posto di pannelli interattivi. Certificazione LEED L’intero complesso sarà completamente ecosostenibile e progettato in modo da garantire il rispetto degli standard legati alla sostenibilità ed ecocompatibilità alla base della certificazione LEED (Leadership in Energy and Environmental Design). Gino Zavanella Nasce a Torino il 7 novembre 1944, ha studiato architettura e urbanistica a Firenze laureandosi nel 1969 con il prof. Spadolini, ha frequentato i corsi di Maestri come gli architetti Savioli e Ricci con il quale collabora anche dopo la laurea. Attualmente vive a Roma, Torino e Viareggio. Iscritto all’ordine degli architetti dal 1970, fonda lo studio GAU nei primi anni ’70 collaborando in maniera continuativa dal 1976 con l’arch. Alessandro Valenti. Nel 1986 apre una sede dello studio a Roma ed inizia ad interessarsi principalmente d’architettura dello sport. Costituisce in quegli anni “GAU srl”, società di engineering con la quale sviluppa importanti incarichi come la stesura definitiva del progetto per lo Stadio delle Alpi di Torino, seguendo anche la realizzazione, ed il progetto del Palasport di Milano, con gli architetti Aldo Rossi e Ron Labinsky (progetto mai realizzato). In occasione dei mondiali del 1990 in Italia collabora con il C.O.L. progettando le aree hospitality degli stadi S. Siro, Palermo e Cagliari. In questo periodo progetta, su incarico FIAT – Engineering in qualità di concessionario, lo stadio di Venezia. Nel 1992 costituisce, sempre con Alessandro Valenti, lo “studio GAU – Architetti Associati” e acquisisce diverse e importanti commesse come la progettazione e direzione lavori di “Sportilia – cittadella dello sport”, lo Stadio Euganeo di Padova, lo Stadio di Salò (BS), il palazzetto dello sport di Fossano (CN). In questa fase l’architetto Zavanella inizia la progettazione interdisciplinare collaborando con specialisti della medicina sportiva, con esperti preparatori atletici e con gestori di impianti sportivi al fine di eseguire opere finalizzate al massimo confort sia degli atleti sia degli spettatori, ma tenendo sempre presente i problemi della gestione della sicurezza. Nel 1990 – 2000 vince il primo premio al concorso internazionale per lo stadio e il palazzo dello sport per i giochi del Mediterraneo a Tunisi. Sulla base di queste esperienze tra il 2003 e il 2006 progetta e dirige i lavori per il Centro di allenamento della Juventus e il Centro allenamento dell’Empoli F.C. Nel 2003 è coprogettista e capogruppo del progetto per lo Stadio della Juventus a Torino con l’inserimento e il recupero di parti dell’attuale Stadio Delle Alpi. Elabora, sempre come capogruppo, una proposta per la rifunzionalizzazione dello Stadio Castellani di Empoli su incarico dell’Empoli F.C. è stato responsabile del Servizio Impianti Sportivi del CONI Provinciale di Mantova dal 1985 al 1992. è componente della commissione Impianti Sportivi della Lega Calcio dal 1998 e componente della commissione Impianti Sportivi della F.I.G.C. dal 1999. Nel 1998 per conto della L.N.P. visiona tutti gli stadi dei Mondiali di Francia con particolare attenzione alle funzionalità e alla sicurezza. Nel 2000, sempre su mandato della L.N.P. supervisiona tutti gli stadi del BeNeLux in occasione degli Europei, interfacciandosi con i vari studi di progettazione durante le varie fasi di lavorazione. (In particolare gli stadi di: Amsterdam, Rotterdam, Harlem, Eindoven) Tra il 2004 – 2006 collabora ai progetti di ampliamento e riqualificazione degli Stadi di Siena e La Spezia in collaborazione con gli uffici Tecnici Comunali. Nel 2006 è progettista capogruppo e coordinatore del progetto architettonico per il nuovo stadio della Juventus. Nel 2007 viene incaricato della progettazione per il nuovo stadio di Viareggio dalla F.C. Esperia Viareggio. Nel 2008 inizia a progettare un nuovo stadio di Ponsacco (PI). Da tempo sostiene la necessità di un radicale rinnovamento del parco stadi d’Italia, optando in primis per la privatizzazione degli stessi. In questo modo si darebbe alle squadre la titolarità dello stadio, con il doppio vantaggio di una patrimonializzazione delle società e con la garanzia di investimenti ed interventi sostanziali. Così si potrà arrivare ad uno stadio accogliente, multifunzionale, utilizzato tutta la settimana; allentando le tensioni e abbassando quel vortice di violenza a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Ha svolto inoltre un’intensa attività sportiva, prima in automobilismo e poi in motonautica (dal 1981 al 1992) vincendo un Titolo Mondiale, due Titoli Europei e tre Titoli Italiani. Per questi meriti gli viene assegnata dal CONI la Medaglia d’Oro al Valore Atletico, massima onorificenza sportiva GAU Arena. Il team di lavoro • Arch. Gino Zavanella, Progettista - Capo Progetto • Ing. Laura Catacchio Progettista • Ing. Virgilio Manni Coordinatore Tecnico • Ing. Pierangelo Longo Progettista • Arch. Andrea Maio Responsabile Progettista • Geom. Paolo Patarca Supervisore Cantieri • Arch. Alberto Dolciami Responsabile Progettista 49 EVENTI Biennale di Architettura 2012 Venezia 29/8 – 25/11 Padiglione Italia Il pensiero di Adriano Olivetti, il suo modo di fare impresa e di coniugare la cultura con il business è il modello scelto da Luca Zevi, architetto e urbanista, per il Padiglione Italia alla 13a Mostra Internazionale di Architettura organizzata dalla Biennale di Venezia. Il 3 maggio Luca Zevi, è stato nominato da Lorenzo Ornaghi, Ministro dei Beni Culturali, curatore del Padiglione Italia. A Roma, il progetto è stato presentato alla stampa l’8 maggio. “Se negli ultimi trent'anni vi è stato un dominio della finanza, nei prossimi anni dovrà tornare a essere centrale il lavoro - ha esordito Zevi -. E credo che nel messaggio di Adriano Olivetti vi sia un seme che dice che si può essere imprenditori producendo beni eccellenti, realizzando servizi qualificati e, al tempo stesso, facendosi carico dello sviluppo urbanistico. L'esperienza di Adriano Olivetti - ha continuato Zevi - è diventata un modello di sviluppo in cui politica industriale, politiche sociali e promozione culturale si integrano nella proposta di una strada innovativa nella progettazione delle trasformazioni del territorio. Nella mia proposta - ha concluso - non c'è nulla di nostalgico: per me Olivetti era un moderno per la sua capacità di progettare in funzione delle esigenze dell'uomo.” Il motivo per il quale è stato scelto, tra le undici proposte arrivate, il progetto di Zevi è stato spiegato da Antonia Pasqua Recchia, Segretario generale del Mibac: “Mette in relazione l'architettura con l'economia, la cultura con le imprese e abbiamo pensato che in un momento così delicato per il Paese si dovesse fare qualcosa di più di una semplice esposizione. Il Made in Italy del Padiglione Italia - ha osservato Pasqua Recchia - tornerà quindi alle sue radici, agli anni del boom economico, di un momento storico particolarmente positivo per l'Italia”. La realizzazione del Padiglione Italia sarà per la prima volta ecosostenibile. Zevi ha detto: “La sostenibilità è anche una grande opportunità per migliorare la qualità nel settore dell'edilizia”. Il Padiglione Italia per quanto “mostra” diventa prototipo di un nuovo modo di abitare che tiene insieme cultura dell’ambiente e green economy. I visitatori si confronteranno con punti di vista diversi attraverso i territori dell’architettura dell’economia, della cultura. Avranno la possibilità di porre domande e dialogare con i Rappresentanti delle Istituzioni politiche, imprenditoriali, finanziarie e culturali. L’Italia ed il mondo guardano con stupore al fenomeno straordinario che è stato Adriano Olivetti la cui visione tiene insieme architettura, economia e territorio. Diventa il punto chiave dalla quale ricominciare a scrivere il futuro dell’Italia. Lo stesso Padiglione Italia, energeticamente autosufficiente, è un prototipo per un nuovo modo di abitare simulando un ecosistema produttivo in cui i bisogni fondamentali dell’uomo (abitazione, acqua, cibo ed energia) vengono messi a sistema di un ciclo chiuso capace di garantire la propria autosufficienza minimizzando la produzione di scarti. “GeoEvenTus” Geometri allo Juventus Stadium GEOSPORT, l’Associazione sportiva dei Geometri italiani, sotto l’egida del Consiglio Nazionale Geometri e Geometri Laureati, nel suo programma di attività, oltre alle manifestazioni sportive, ha inserito delle Conferenze formative sul tema del progettare, realizzare, mantenere e gestire luoghi ed impianti per lo sport. Notevole è stato il successo di partecipazione a “GeoEvenTus”, in Torino il giorno 28 aprile 2012, che ha visto un centinaio di Geometri liberi professionisti, provenienti dai diversi Collegi provinciali, seguire la lezione tenuta dall’Architetto Gino Zavanella nella “Press Conference Room” del nuovo Juventus Stadium. 50 Grande attenzione è stata posta dai partecipanti durante la visita della nuova moderna struttura guidata dallo stesso Zavanella, progettista di altri Stadi in Italia ed anche all’estero. Alla conferenza ha partecipato anche Fausto Savoldi, Presidente del CNG/GL, che, su invito di Gian Luca Musso, Presidente di GEOSPORT, ha ribadito i concetti e le necessità della Categoria dei Geometri sulla formazione, base per lo sviluppo della conoscenza che consente ai professionisti di prospettare alla Committenza precise soluzioni ai diversi problemi connessi all’attività del costruire con la coscienza ed il rispetto dell’ambiente. IDEE Biografia degli oggetti: il ciclo di vita? photo©Archivio ufficio stampa Festival dell'Economia - Agf Bernardinatti Questo il titolo dell'intervento, qui pubblicato in estratto, tenuto da Emanuela Scarpellini, docente di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Milano, nell’ambito del Festival dell’Economia 2102 dedicato al tema “Cicli di vita e rapporti tra generazioni” svoltosi a Bari, Trento e Rovereto e promosso da: Provincia autonoma di Trento, Comune di Trento, Università degli Studi di Trento, in collaborazione, con il Comune di Rovereto e il Gruppo 24 ore e la Progettazione di Editori Laterza. In questa occasione ho la possibilità di parlare di un argomento che mi sta a cuore, non solo i consumi, ma il nostro rapporto con gli oggetti. Quando ho cominciato a studiare questo tema mi sono chiesta davvero tante volte quale ruolo hanno gli oggetti per noi e l’ho chiesto prima di tutto a me stessa. E devo dire che la prima risposta, facile, che mi viene da dire è, per esempio, che ci sono degli oggetti che hanno per me un particolare valore affettivo, quell’oggettino che mi è stato regalato e mi ricorda qualcosa, e così via. Però questa, forse, è ancora una risposta troppo semplice. In realtà gli oggetti fanno parte della nostra vita quotidiana, cioè rappresentano un po’ il nostro quotidiano, il paesaggio domestico, potrei dire, e anche lavorativo che abbiamo intorno. E invece molte volte, noi non li consideriamo, li diamo per scontati. Sarebbe bello immaginarsi se, per un momento, gli oggetti della nostra casa sparissero di colpo. Che cosa avremmo? La nostra casa non sarebbe più quella, perché non riusciremmo ad orientarci. Il solito tavolo dove mettiamo le cose, l’appendiabiti, qualunque cosa… Gli oggetti in realtà hanno costruito intorno a noi una sorta di panorama domestico che funge per noi da riferimento importante. Allora basandomi su questa riflessione, quando ho visto il titolo di questo importante ciclo di incontri qui a Trento, “Cicli di vita”, mi sono chiesta: potremmo fare un ragionamento e pensare gli oggetti come qualcosa che hanno, come dire, una specie di vita loro? Naturalmente una vita sociale, perché la vita degli oggetti che interessa noi è quella degli oggetti che hanno a che fare e che entrano nella nostra vita. Allora ho cominciato a pensare, per esempio, che alcuni studiosi, gli archeologi, in effetti fanno proprio questo lavoro. Trovano un vaso, un coccio, una punta di freccia, e da quello, studiando il materiale, come è stato fatto, dove è stato ritrovato, riescono a risalire alle persone che l’hanno prodotto. Quindi sono loro i primi a farci capire che gli oggetti sono una parte della nostra storia. E allora riferendoci a “Cicli di vita”, si può raccontare una sorta di biografia degli oggetti? Possiamo parlare, anche per loro, di una nascita, di una vita e di una morte? Magari morte apparente, vedremo. E questa è stata l’idea a cui ho pensato per questo intervento. E quindi inizierei con la nascita, pensando alla quantità di oggetti che noi abbiamo intorno. Oggetti che per noi, a volte, direi, sono quasi invisibili. Ne abbiamo talmente tanti intorno, che se dovessimo elencarli faremmo davvero fatica perché li diamo per scontati. Sono talmente dentro alla nostra vita che non li vediamo, letteralmente. Li usiamo ma quasi senza accorgercene. 51 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 La nascita: come nascono, in fondo, gli oggetti? Anche qui, la mia preparazione e soprattutto gli studi di storia, mi fanno pensare che per raccontare la prima parte di questa storia, la nascita degli oggetti, bisogna tornare indietro nel tempo. Potremmo cominciare con quadro, un quadro del ‘700 in cui c’è un nobile – questo era un Primo Ministro portoghese, comunque un Conte – nel quale si vede che già allora c’è una serie di oggetti importanti. Intanto ci sono i vestiti, c’è poi la poltrona, abbiamo la carta, dei mobili … Quindi gli oggetti hanno sempre fatto parte del panorama umano. Però c’è un piccolo problema, che questo nobile aveva intorno a sé parecchi oggetti e diversi di questi, sono anche molto belli. I suoi abiti sono molto preziosi. Io ho trovato delle testimonianze che raccontavano che per gli abiti di un nobile, fatti bene (ed è interessante notare che gli abiti degli uomini erano più costosi e pregiati di quelli delle donne), potevano servire anche fino a quattro, cinque mesi di lavoro. Pensate a un abito che impiega più persone per cinque mesi di lavoro. Non dimentichiamo che questi abiti, per esempio, avevano bottoni che non venivano usati, come adesso facciamo noi, per allacciare, ma erano fatti solo per bellezza, ed erano fatti spesso di pietre preziose. Quindi abbiamo già degli oggetti straordinari in questo quadro. Peccato che erano degli oggetti che pochi si potevano permettere. Erano oggetti tutti di tipo artigianale, fatti su misura, su richiesta del nobile che se li permetteva. C’erano già alcune manifatture, laboratori artigianali. Fra i primi che noi conosciamo, quelli che lavoravano le ceramiche. Ma anche in questo caso si trattava spesso di opere eccezionali, come pregio, come qualità, erano spesso contornati d’oro. Per gli altri non c’era molta storia, come ci racconta un altro quadro di contadini. Gli oggetti della massa dei contadini, che poi era la gran parte della popolazione, erano pochissimi. I vestiti e quasi tutto era praticamente fatto in casa. L’autoconsumo, quindi farsi in casa i vestiti, gli attrezzi, i mobili … Si facevano praticamente tutto. Pochissimo era comperato fuori, nei mercati oppure dagli ambulanti. La realtà era una realtà di oggetti, ma gli oggetti 52 importanti, veri, erano solo di una piccola élite. Il risultato era che c’erano relativamente pochi oggetti nel mondo, perché pochi se li potevano permettere. Questa storia dei consumi cambia, invece, con la Rivoluzione industriale. Quando penso alla Rivoluzione industriale mi vengono sempre in mente le grandi fabbriche che fanno macchine di ferro, i battelli a vapore, ecc. Ma in realtà una delle vere trasformazioni della Rivoluzione industriale è stata la produzione di serie. Il fatto che si cominciasse a produrre in serie, abbattendo i costi degli oggetti che potevano, quindi, andare ad una massa di persone più ampia. Tutto nasce, a volte non ci pensiamo, dalle armi. I primi che ebbero effettivamente l’idea di fare una produzione in serie – hanno avuto la licenza all’inizio dell’ ‘800 – furono proprio gli armaioli. E questo perché loro pensarono, giustamente, che nelle armi, ovviamente sempre richiestissime dagli eserciti, era facile dividere i singoli pezzi. Anziché fare l’operazione come si era sempre fatto sino allora – produrre artigianalmente l’intero pezzo, su richiesta del cliente – si prendeva il singolo pezzo, prima le armi lunghe, poi quelle corte, e si tagliava letteralmente la lavorazione in alcune parti semplici e le si faceva andare avanti all’infinito. Tra l’altro, non solo si poteva produrre molto di più ed a prezzi bassi, ma c’era anche un altro grandissimo vantaggio. Se si rompeva un pezzo di questa pistola, per esempio il tamburo, questo si poteva sostituire. E in questo caso, il Governo americano, che fu il primo a dare grandi finanziamenti e spingere la produzione di massa, fece proprio questo ragionamento: le armi devono funzionare, ma io ho bisogno anche di armi che se hanno qualche problema posso sostituirne un pezzo. Non che butto via un’arma e ne compro un’altra che mi costa troppo. Quindi con questa idea, soprattutto Samuel Colt, sviluppa la produzione di massa e comincia a fare da esempio agli altri sul fatto che si può produrre industrialmente, e su numeri altissimi, un oggetto di uso comune, come per esempio le armi. Chi imparò moltissimo da questo esempio fu Isaac Singer che, con le sue macchine da cucire, adottò lo stesso sistema. Cominciò a produrre le sue macchine, non solo per uso industriale ma anche domestico, dividendo letteralmente i vari pezzi del lavoro. E fra l’altro, lui non solo prese l’esempio dall’industria delle armi. Ho trovato in alcuni giornali contemporanei che usava la “armory practice”, cioè la pratica delle armi, perché questa era diventata una sorta di standard. E addirittura che assunse tre importanti dirigenti che avevano lavorato per la Colt dicendogli: fate praticamente la stessa cosa, solo che mi producete delle macchine da cucire. Il risultato è che nel 1876 diventa leader mondiale nella produzione di queste macchine. Le macchine da cucire vogliono dire che si cominciano a produrre abiti in serie. Non è più solo la sarta che li fa, ma vuol dire che ci sono industrie che possono tagliare industrialmente vari pezzi, cucire rapidamente le diverse parti, assemblarle, stirarle, venderle in nuovi posti, come i grandi magazzini che, per la prima volta, propongono abiti pronti, abiti finiti. E’ una grande rivoluzione di cui forse oggi, ormai, abbiamo perso un po’ il senso. Perché per noi oggi è normale comprare abiti industriali pronti. Ma una volta nessuno lo faceva. Poche persone che potevano permettersi cose artigianali, pagandole moltissimo, erano i fortunati. Per gli altri, semplicemente, non c’era nulla. Quindi questo passaggio della nascita degli oggetti pronti è fondamentale. E chi forse l’ha lanciato a livello mondiale come idea – perché spesso, poi, le idee sono più importanti degli oggetti – è naturalmente Ford. Il famosissimo Modello T della Ford, che nel 1911 comincia la produzione e nel 1913 fa la prima catena di montaggio, dimostra che, con un prodotto così complesso, come addirittura un’automobile, si poteva usare lo stesso criterio usato da Colt e da Singer. Molti pensavano che fosse impossibile, perché le automobili erano molto complicate, e lui lo dimostra. Facendo questo piccolo gioiellino che costava, nel 1913, 260 dollari, che era effettivamente un buon prezzo. Anche perché era un’auto che prima aveva una scocca in legno e poi la rivestono in acciaio con 20 cavalli, e andava ad 80 all’ora, che non era male. Sì, c’era un piccolo problema. Il sistema di frenaggio non era molto adeguato, per cui non poteva frenare a più di 50 all’ora. Quindi diciamo che dai 50 agli 80 si andava a proprio rischio … Comunque il successo di questa macchina diffonde proprio l’idea che la produzione di massa può cambiare il mondo. E si diffonderà non solo in tutti i Paesi ma in tutti i tempi. In Italia, parlando di macchine da cucire, la Necchi. E la Fiat, negli anni ’50, diffonderà l’idea di un’automobile diffusa su tutti gli strati sociali. Questa storia, che riguarda la nascita degli oggetti, ci fa vedere che da un certo punto in poi succede qualcosa di particolare e che aumentano notevolmente gli oggetti che sono a nostra disposizione. Mentre prima erano pochi e rari, ad un certo punto praticamente tutti i settori riescono a produrre tanto. Riescono a produrre cose anche di qualità. E tutti noi, in realtà, tornando all’inizio del discorso, abbiamo intorno a noi una quantità enorme di oggetti, impensabile una volta. Direi che ognuna delle persone presenti in questa sala ha oggi più oggetti di quanti ne avesse un nobile due secoli fa. E questo ci ricorda l’importanza che ha avuto la produzione in serie che ha portato ad un’enorme moltiplicazione derivata anche dal fatto che sono prodotti oggetti completamente nuovi. Parlavamo prima della macchina, ma un altro classico esempio è la televisione. Tutto il mondo dell’elettronica spinge e porta oggetti, prima impensati, nelle nostre case. La nascita ci riporta quindi una storia di aumento degli oggetti perché da un certo punto in poi è facile produrli. Ma poi c’è la parte importante, la vita degli oggetti. Riguardo a quest’ultima dobbiamo dire che in fondo questo stesso processo di trasformazione che abbiamo visto – moltiplicazione degli oggetti e diffusione attraverso 53 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 varie classi sociali – ha come seconda conseguenza di diminuire la vita media degli oggetti e, diciamo, la loro speranza di vita. Se vogliamo considerare la durata sociale di un oggetto, in sostanza la verità e proprio questa. Una volta l’oggetto finiva la sua vita sociale quando era proprio logorato, distrutto. E, inoltre, si cercava di ripararlo in tutte le maniere. Pensate agli ombrellai che riparavano ombrelli rotti, oppure agli arrotini, agli attrezzi da lavoro. Insomma qualsiasi cosa era riparata all’infinito. E non solo perché c’era una grande povertà e non ci si poteva permettere di perdere un oggetto importante. Ma perché c’era anche una mentalità per cui l’oggetto era prezioso, non si poteva buttare prima che fosse finita la sua vita. Era uno spreco e anche un peccato. Quindi anche le classi abbastanza abbienti stavano attente a non sprecare e a non buttare gli oggetti. Il valore positivo vero era il risparmio, non il consumo. Quindi la vita degli oggetti era lunga. I mobili passavano di generazione in generazione. Nessuno pensava; beh lì butto via e me li ricompro nuovi. Arrivavano dai genitori ed erano bellissimi. I vestiti anche. Guardando una foto di una famiglia italiana degli anni ’30 posso fare una scommessa. I più piccoli nella foto non hanno certo dei vestiti nuovi ma indossano quelli portati prima dai loro fratelli e dalle loro sorelle. I vestiti passavano da generazione a generazione. Non si buttavano via. Il bambino cresceva in fretta, il vestito era ancora buono e non si buttava via. Si dava al fratellino o all’amico più piccolo. E poi magari quando la camicia aveva il colletto o i polsini lisi si cambiano i colletti, non si cambia la camicia. Il cappotto si rivoltava. Le lenzuola si rattoppavano. Io mi ricordo per esempio mia nonna quando una volta ero andata da piccola a casa sua e notai che aveva delle lenzuola di lino bellissime però erano fatte con una specie di patchwork, ed io pensavo che fosse un modello, così, particolare. Ma in realtà, giustamente, lei quando si rompeva una parte, tagliava un lenzuolo che si era già rotto, in una parte buona e l’aggiungeva togliendo il pezzo rotto. E queste sue cuciture facevano durare le lenzuola un tempo inverosimile. 54 Quindi, anche da questo punto di vista, potremmo dire che la vita degli oggetti cambia da un certo punto in avanti e si riduce. Perché noi, in realtà, con la rivoluzione industriale e soprattutto con il benessere che arriva un po’ in tutte le classi sociali non facciamo così. Io non so se qualcuno di voi fa come faceva mia nonna con le lenzuola. Secondo me noi le buttiamo via. Se va bene le usiamo un po’ come copertura, ma poi fanno una brutta fine. Non aspettiamo che si rompano neanche, in realtà. Magari cambia la moda, preferiamo un oggetto più nuovo … Non parliamo poi della tecnologia che ci spinge a comprare degli oggetti sempre nuovi. Il nostro telefonino magari va benissimo, però poi esce quello che è più potente, ha migliore definizione, prende meglio e la tentazione sarebbe di cambiarlo e anche dopo poco, anche se quello vecchio va benissimo e continua a funzionare. Lo stesso per la moda. I vestiti non si passano più per generazione. Adesso addirittura si parla di “fast fashion” parlando di questi negozi, soprattutto i grandi retailer, che danno vestiti a prezzi davvero bassissimi che sono pensati per durare pochi mesi ed essere ricomprati. Sappiamo che è assolutamente vero perché è aumentato enormemente il rifiuto tessile. Prima il rifiuto tessile era una parte minima. Oggi è aumentato enormemente, perché la gente prende un golfino lo mette un po’, poi basta. Tanta costava 10 euro, lo butto via e ne compro un altro da 10 euro. Il mondo dei produttori ha cavalcato enormemente questo discorso, questo nostro desiderio un po’ di essere alla moda, cioè di essere anche socialmente nella giusta posizione, di essere sempre all’ultimo grido, di avere l’ultimo prodotto … La televisione, adesso non è più quella di prima, ora la televisione è super moderna, con collegamenti con vari “devices”, ha internet e quant’altro. Che possiamo permetterci grazie all’abbattimento del costo di questa televisione e al nostro reddito abbastanza positivo. Però il risultato, parlando della vita degli oggetti, è che questa si è ridotta. Abbiamo avuto un’accelerazione del turnover dei nostri oggetti e una spinta verso un continuo cambiamento che è sembrata un po’ la chiave di lettura della nostra epoca più moderna. E adesso vengo alla morte. Perché se deve essere una vera biografia degli oggetti ci deve essere prima la nascita, poi la vita e poi ancora, la morte. Alla morte, gli oggetti, dopo un ciclo che, come abbiamo detto, è diventato sempre più breve, terminano la loro vita accanto a noi, che possano essere usati o un po’ meno usati. E abbiamo visto che rispetto al passato ci sono, in realtà, diverse differenze. Intanto, in primo luogo, nel passato l’oggetto andava avanti moltissimo. Ma supponiamo che fosse davvero rotto e non potessimo più usarlo. C’erano negozi che si chiamavano rigattieri che erano comunissimi in molte città. Erano negozi in cui si portava un oggetto che non serviva più, anche un po’ rotto, loro prendevano di tutto. Al limite pagavano a peso, anche poco o niente. Poi li mettevano in luoghi dove si poteva trovare di tutto, a volte li aggiustavano un po’, ma neanche tanto, e li facevano entrare praticamente in un altro cerchio sociale. C’erano persone che andavano lì e dicevano: ho bisogno di un mobile che non mi costi tanto, che mi costi poco, anche se non è troppo bello. E questi rispondevano: ecco questo qui che mi hanno appena portato. Così i rigattieri, ma c’erano anche i robivecchi questi compratori e venditori ambulanti che andavano in giro con i carretti e chiedevano se qualcuno voleva vendere dei mobili vecchi. E loro praticamente li riutilizzavano per persone a cui potevano servire o che non si sarebbero mai potute permettere un mobile o un oggetto nuovo. Quindi diciamo che la spinta al riuso o al riciclo era fortissima in questa fase. E questo non vale solo per gli oggetti grossi e importanti come mobili, oggetti di ferro, di arredamento ecc. ma valeva persino per i vestiti. Vestiti che, come abbiamo detto, avevano una vita lunghissima. Da una persona all’altra, poi cuciti e ricuciti, rimessi a posto in mille modi. Alla fine, quando proprio erano conciatissimi, diventavano stracci. Gli stracci che sono sempre utili per la casa perché gli strofinacci vanno sempre usati. Si poteva andare avanti così sino a quando persino gli stracci diventavano inservibili, ma anche allora non era certo il caso di buttarli via. In questo caso entravano in azione quelle figure che sono chiamate diversamente a seconda delle regioni. Sono straccivendoli o cenciaioli. Anche in questo caso si trattava di persone che spesso andavano in giro con un carretto e compravano letteralmente stracci, tessile usato, di qualunque tipo, a peso. Loro praticamente, in realtà, dividevano, e se c’era qualcosa di appena riutilizzabile veniva rivenduto per l’ennesima volta, altrimenti sappiamo che portavano questi materiali in due posti; o alle cartiere, e quindi venivano utilizzati per fare la materia prima per la carta di pregio, oppure li portavano alle industrie tessili che in questo caso dividevano i vari tipi di tessuti e li riciclavano per farne dei nuovi. Sappiamo tutti che la città di Prato ha fondato le proprie fortune proprio sul riciclo e riuso di stracci. Quindi questi oggetti non morivano mai. Vorrei fare però una piccola parentesi a questo punto, perché sembrerebbe che tempo fa il problema della morte degli oggetti non si ponesse. Perché erano talmente riutilizzati e ce n’erano anche realmente pochi che quindi il problema di smaltirli non c’era. In realtà non è proprio così vero perché noi sappiamo che guardando nel passato c’è una quantità di leggi, di editti, di circolari in cui si cerca di regolamentare il problema di quello che noi chiameremmo lo smaltimento di rifiuti. Per cui si spiegava che non dovevano essere abbandonati specialmente nelle città, nelle vie, dovevano essere messi in posti particolari. Però la quantità di leggi fa pensare che non fossero molto rispettate. La verità è che le città di una volta erano piene di rifiuti perché la gente quando doveva buttare via alcune cose, o anche gli stessi straccivendoli, le lasciavano dove capitava. Se andava bene le bruciava, ma altrimenti le abbandonava e le città erano piene di sporcizia. E noi sappiamo che, tra l’altro, uno dei motivi delle grandi epidemie verificatesi nel passato erano dovuti proprio a questo fatto. C’erano questi cumuli d’immondizia che venivano lasciati lì nelle strade. Questi marcivano 55 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 perdendo il percolato che scendeva nelle parti più basse del terreno e raggiungeva le falde acquifere. Siccome una volta non si parlava di acqua corrente ma tutti usavano l’acqua dei pozzi, praticamente è risultato che in molti casi le falde erano inquinate da questi rifiuti e poi la gente beveva l’acqua del pozzo, bella, naturale e pulita, che poi in realtà era inquinata da questi rifiuti. E questo è stato uno dei grandi veicoli delle epidemie del secolo scorso. Quindi è vero sino ad un certo punto che la morte degli oggetti e lo smaltimento dei rifiuti non dessero dei problemi anche nel passato. Andando in giro adesso a Trento guardavo la città come è bella. Non solo tutti monumenti, le case e le piazze sono pulite, ma proprio per le strade c’è questo senso di ordine, di pulizia. Noi non abbiamo idea di cosa dovesse essere girare per una strada secoli fa. Intanto non c’erano le fognature, c’erano i rifiuti abbandonati, soprattutto nelle stradine un po’ laterali, e c’era un odore, lo sappiamo, molto forte. Quindi questo senso di pulizia e di naturalità e di bella vita che si faceva una volta nelle nostre città è un po’ lontano dalla verità. Nelle nostre città una volta le cose non erano così semplici per la pulizia e la sanità. Forse le cose andavano meglio nelle campagne dove non c’erano i problemi dello smaltimento dei rifiuti. Ma il problema era grave. 56 Noi abbiamo questa idea che una volta tutto era legato alla natura, non c’era chimica, non c’erano le industrie e tutto funzionava benissimo. Ma non è così. Noi sappiamo che anche la natura può dare dei problemi molto seri. Socrate è stato avvelenato con una naturale tisana, infuso di erbe, di cicuta. Non ha avuto bisogno di cose chimiche per morire. Una volta, per esempio, parlando di oggetti, le tinture dei vestiti che venivano spesso dalle erbe o, a volte, anche dai minerali, erano tossiche. Al punto che sappiamo che ci si poteva ammalare solo a portarli perché poi la tintura passava nella pelle. E avrete sentito tutti parlare di Napoleone, della vecchia polemica sul fatto che sia stato avvelenato o meno con l’arsenico. Sappiamo che pochi anni fa, a Pavia, con un reattore nucleare hanno fatto un’analisi dei suoi capelli. Effettivamente hanno visto che i capelli contenevano una quantità di arsenico cento volte superiore a quella che abbiamo noi. E quindi si è detto: allora è stato avvelenato. No, perché facendo la stessa analisi su suoi contemporanei risulta che avevano lo stesso livello di arsenico. La cosa è molto semplice perché una sostanza come l’arsenico era molto presente nell’ambiente di allora. Era molto utilizzata per esempio nelle tappezzerie, nei coloranti, a volte come medicinale e quindi veniva assorbita lentamente dall’organismo. Quindi quando parliamo di oggetti del passato e di oggetti naturali del passato, non chimici e non industriali, volevo solo dire che leggendo si scopre che noi ci facciamo un po’ un mito della vita del passato. Che non sempre è così vero. Tornando alla morte degli oggetti diciamo che anche nel passato questa poteva essere un problema per lo smaltimento di queste cose. Col passare del tempo, invece, noi abbiamo cercato di risolvere questo problema creando, per esempio, dei posti appositi dove smaltire questi oggetti. Tossici o non tossici. Le discariche che, sappiamo, sono un problema. Ogni momento si sente dire che non bastano, che poi le persone non le vogliono, ma servono. E’ un problema, in pratica, di tutti i giorni. Ma che è diventato molto grave da una parte per la grande quantità di oggetti che noi scartiamo. Ognuno di noi consuma una quantità enorme di oggetti e questi in qualche modo devono morire, devono andare da qualche parte. Dall’altra il problema è legato alla tecnologia, allo sviluppo che c’è stato e alla qualità di questi oggetti. Lasciamo perdere quelli tossici, ma noi ormai abbiamo tanti oggetti, pensiamo a quelli derivati dalle materie plastiche, che non sono biodegradabili. E quindi non si distruggono, durano tantissimo. Diventa difficile smaltirli. Ci vogliono magari posti particolari e sappiamo che il loro smaltimento è molto più costoso. Sarà capitato a tutti voi di dover smaltire un elettrodomestico, un televisore o un computer. E abbiamo visto che adesso bisogna pagare. O portiamo noi stessi il rifiuto nella discarica o comunque bisogna pagare una certa cifra perché bisogna smaltirlo in una certa maniera. Perché non può essere messo insieme agli altri. E qui occorre anche osservare che non solo la morte degli oggetti è un problema per il loro smaltimento ma anche che non sempre tutto va per il meglio. Sappiamo, ad esempio, che a volte non vengono smaltiti nella maniera giusta. A volte abbiamo anche l’intervento della criminalità organizzata che porta questi oggetti in discariche abusive, oppure industrie che sotterrano rifiuti tossici nel terreno e cose di questo genere. Addirittura adesso, da un po’ di tempo, si è scoperto anche un nuovo commercio. In un video fatto da Greenpeace, che si trova anche su Youtube, loro fanno vedere che ci sono tutta una serie di Paesi, soprattutto in via di sviluppo, ma anche Cina e India, e adesso principalmente Paesi africani, che in pratica fanno da ricettacolo per i nostri rifiuti. Hanno fatto un esperimento a Londra, inserendo un gps dentro ad un televisore che non funzionava bene, e poi sono andati a portare il televisore nella discarica. Hanno pagato per lo smaltimento eccezionale e poi sono stati a vedere. E’ risultato che dopo pochissimo questo televisore si muoveva ed è finito in un porto inglese e loro a questo punto si sono attrezzati per seguire il suo viaggio. Viaggio che li ha portati tutto intorno all’Africa fino alla Nigeria, a Lagos. Ed ecco che vanno a Lagos e arrivati al porto con un apposito apparecchio hanno seguito ancora il televisore trovandosi poi in un posto, che è un gigantesco mercato, in cui arrivano, si calcola, decine e decine di container con televisori, computer ed elettronica da parte, soprattutto, europea, che dovrebbe essere smaltita in altra maniera. Ufficialmente dovrebbe essere considerata roba di seconda mano, in verità si tratta di veri e propri rifiuti. Quindi loro vanno avanti seguendo il segnale e si ritrovano il loro televisore che avevano regolarmente pagato per smaltire in Gran Bretagna. E allora chiedono: ma di tutta questa roba che arriva, tutti questi container, cosa ne fate? E gli rispondono: circa il 15-20% riusciamo a riciclarlo, in tutto o in parte, come oggetti di ricambio, il resto, sostanzialmente, diventa una specie di gigantesca discarica. Semplicemente l’inquinamento si sposta dai nostri Paesi a questi altri, in questo caso a Lagos. E può essere che fra quei pezzi ci siano anche quelli del nostro televisore super moderno che credevamo di avere smaltito in maniere corretta in una discarica. Quindi il risultato finale di questo discorso, la moltiplicazione degli oggetti, la loro vita più breve, tutti i problemi legati alla loro morte, morte sociale, che comprende addirittura viaggi globalizzati magari più lunghi di quelli fatti alla produzione, ha creato un aumento di quella che ormai tutti conosciamo come l’impronta ecologica degli esseri umani sulla Terra. Secondo un dato abbastanza noto elaborato dal WWF, in pratica si tratta dell’impatto che ognuno di noi ha sul pianeta, misurato in ettari di terreno. In pratica si calcola che per vivere un anno io ho bisogno di mangiare trenta chili di pane, allora faccio il conto per vedere quanta terra ci vuole perché crescano trenta chili di frumento. Mangio dieci chili di carne? Faccio il conto di quanto consuma una mucca per dare dieci chili di carne. Bevo tanta acqua, e così via. Quindi faccio un conto di quanta Terra idealmente consumo io per vivere. Allora nel grafico del WWF noi vediamo che la prima linea dove c’è l’1, rappresenta l’equilibrio. Quindi fino all’1 io e in genere gli esseri umani consumano in un anno quello che la Terra può rigenerare. Consumo tanto frumento ma in un anno ne cresce altrettanto, e così via. E’ la situazione di equilibrio. 57 | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 photo©Archivio ufficio stampa Festival dell'Economia - Daniele Mosna ANNO IV La conclusione è che forse noi dobbiamo pensare davvero di più ai nostri oggetti, pensare a quello che ne facciamo, al nostro uso. Pensare non solo alla loro vita, ma anche alla loro morte. E controllare poi come muoiono e quali sono le modalità con cui vengono eventualmente riutilizzati, riciclati oppure abbandonati, perché se poi finiscono la loro vita in Nigeria per il pianeta non va bene lo stesso, troppo comodo, dire tanto non è casa mia. La vita dei nostri oggetti, allora, forse possiamo dedurre che è anche la nostra vita. La storia degli oggetti è anche la nostra storia. E il loro futuro, come il nostro futuro, è nelle nostre mani, oggi. Emanuela Scarpellini è professore di Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Milano. è stata, tra l’altro, visiting professor alla Stanford University e Fulbright visiting professor presso la Georgetown University a Washington. Ha ottenuto molti riconoscimenti tra i quali l’Hagley Center Grant for Scholarly Research nel 2005 e nel 2008 e il Newcomen Article Prize nel 2004. Collabora con giornali, riviste e quotidiani culturali e ha partecipato a vari programmi radiofonici e televisivi riguardanti la storia e l’attualità. I suoi interessi riguardano principalmente la storia culturale, politica ed economica del Novecento. Fra le sue principali pubblicazioni recenti: A tavola! Storia sociale della cucina italiana, Laterza (2012); La rivoluzione dei consumi. Società di massa e benessere in Europa 19452000 (con S. Cavazza), Il Mulino (2010); Italiamerica, voll. 1 e 2 (con J.T. Schnapp), Il Saggiatore (2008 e 2012); L’Italia dei consumi. Dalla Belle Époque al nuovo millennio, Laterza (2008); La spesa è uguale per tutti. L’avventura dei supermercati in Italia, Marsilio (2007). 58 photo©Archivio ufficio stampa Festival dell'Economia - Daniele Mosna Però noi vediamo che rapidamente già negli anni ’70 quella situazione di equilibrio si è andata rompendo. E noi oggi, secondo questo ultimo calcolo uscito nel 2008, siamo ormai a 1,5. Vuol dire che il nostro impatto sulla Terra è di 1,5. Cioè noi in un anno consumiamo quello che la Terra ci mette 1 anno e mezzo a dare. Le proiezioni purtroppo sono molto negative. Nel 2030 consumeremo due volte quello che la Terra ci può dare in un anno, e nel 2050 arriveremo ad un soglia considerata effettivamente critica e forse di non ritorno, di tre volte. Per cui il depauperamento della Terra dovuto anche a tutti questi aspetti che abbiamo affrontato, così come il nostro impatto, continuano a crescere. AMBIENTE I segni della storia e le nuove tecnologie: il Parco delle Crociere di Orbetello di Vincenzo Acunto “I segni della storia e le nuove tecnologie: il Parco delle Crociere di Orbetello”, questo il titolo della tesi di Laurea in Archeologia, discussa presso la Facoltà di Lettere e Filosofia, a Siena, dal dottor Giorgio Marri. Questa tesi prospetta la creazione di un dinamico sistema di comunicazione per la valorizzazione e la fruizione dei beni culturali, sfruttando le nuove tecnologie informatiche. Il progetto di fruizione e divulgazione del Parco delle Crociere di Orbetello tramite iPad, riguarda una zona di notevole importanza storica, ma ancora oggi priva di un adeguato intervento di riqualificazione. In questo caso la fruizione attraverso le nuove tecnologie informatiche risulta essere vantaggiosa sia per i suddetti motivi, sia per la grande quantità di documentazione scritta, grafica e video da gestire. Da un punto di vista paesaggistico, Orbetello è un luogo pressoché esclusivo nel suo genere; una lingua di terra che sporge nella laguna racchiusa da due tomboli sabbiosi a nord e a sud, dal roccioso Argentario a ovest, e dalla Maremma a est. L’area dell’ex Idroscalo si colloca in maniera baricentrica tra il centro storico di Orbetello e la nuova espansione urbana del dopoguerra assimilabile allo “standard” delle periferie urbane contemporanee. Il Parco delle Crociere attualmente è sotto utilizzato perché non completato, non strutturato, non adeguatamente arredato. Molto poco rimane oggi di quello che fu un tempo la base degli Atlantici e gran parte delle strutture rimaste in piedi sono fatiscenti ed in cattive condizioni di conservazione. La tesi prospetta il recupero e la valorizzazione dell’intera area tanto da poter rendere rintracciabile e fruibile un periodo storico della cittadina che fra pochi anni sarà impossibile ricostruire sul posto. La Regia Marina decide la prima istallazione dell’Idroscalo in Laguna intorno al 1916 perché riteneva quest’ultima luogo ideale per le operazioni di ammaraggio e decollo degli idrovolanti. Nel 1923, anno di fondazione dell’Arma Aeronautica, la zona dell’Idroscalo di Orbetello venne scelto per l’addestramento del personale navigante destinato al volo d’altura. Il 1928 è l’anno in cui prende una precisa fisionomia “il Tempo delle Grandi Crociere”: 1928 prima Crociera nel Mediterraneo Occidentale, 1929 Crociera del Mediterraneo Orientale, 1930 la prima Crociera transatlantica (da Orbetello a Rio de Janeiro) compiuta con idrovolanti in formazione e infine, 1940 la seconda crociera transatlantica compiuta da Orbetello a New York e ritorno. Oltre all’importanza storica legata alle imprese, l’Idroscalo è importante anche da un punto di vista architettonico con gli hangar costruiti da Pier Luigi Nervi, non meno per una rilevanza paesaggistica con le risistemazioni arboree effettuate dall’architetto Pietro Porcinai durante gli anni ’60. Nel corso della II guerra mondiale, la base fu infatti oggetto di incursioni aeree alleate; nel 1944, i tedeschi in ritirata minarono e fecero saltare la zona distruggendo quasi completamente tutti gli edifici, gli hangar e le officine. Dopo il 1975, anno in cui avvenne l’ultimo ammaina bandiera, l’Idroscalo si è spento completamente fino a diventare un rudere invisibile. Nel corso di questi 35 anni si sono susseguite idee, proposte, progetti che miravano a riutilizzare l’area per conferire alla cittadina, così come fece la base aerea a suo tempo, un nuovo sviluppo economico e sociale. Nessuno di questi progetti è stato mai portato a termine. Oggi, a quasi ottanta anni di distanza, dobbiamo guardare all’Idroscalo come una fonte ancora tangibile della storia di Orbetello. 59 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 In questo caso non è la storia del Fascismo a dover essere ricordata, ma è la storia di Orbetello, che per un lustro circa si trovò ad essere accostata ai nomi delle grandi città mondiali: Roma, San Paolo, Amsterdam, Chicago, New York e così via. La fama dell’Idroscalo di Orbetello e degli Atlantici è planetaria negli anni tra il '28 ed il '33, per i record aviatori abbattuti e la stima suscitata nelle altre nazioni incalcolabile. è proprio la documentazione minuziosa di fotografie, video, documenti militari e testimonianze dirette a rendere il tema ancora più affascinante. Dalla biblioteca comunale di Orbetello si è potuto recuperare numerose immagini dell’epoca e bibliografia militare. Dal sito dell’Istituto LUCE si sono visionati i numerosi Cinegiornali presenti riferiti alle imprese ed alla vita militare nell’Idroscalo. Dal Museo Storico dell’Aeronautica di Vigna di Valle si è avuto accesso ai reperti e agli oggetti di quel periodo. Dall’archivio della famiglia Porcinai a Fiesole si è risalito ai registri ed ai documenti dell’opera di sistemazione del parco nord dell’architetto paesaggista Pietro Porcinai. L’intera area in oggetto rappresenta una grandissima risorsa per Orbetello: per i residenti, in quanto offre la possibilità di interventi destinati ad incidere profondamente sull’uso stesso della città, sulla qualità e vivibilità, trasformando un’area residuale e degradata in un sistema articolato e qualificato di spazi, verde e attrezzature d’uso pubblico, in posizione intermedia fra il centro storico e le espansioni urbane più recenti; per i turisti e i visitatori, in quanto il suo riuso compatibile con la valorizzazione delle testimonianze storiche presenti e la localizzazione di nuove attrezzature può accrescere in modo rilevante il potere attrattivo di Orbetello come meta di soggiorno ed escursioni; per gli operatori economici, che vedono schiudersi potenzialità finora rimaste inespresse in un territorio comunque interessato da una forte domanda di turismo di qualità. Questo progetto è stato caratterizzato da vari steps organizzativi che hanno previsto non solo le modalità di fruizione e comunicazione da parte dell’iPad ma anche una pianificazione logistica e progettuale del Parco stesso. La prima parte è stata dedicata agli accessi e alle modalità di raggiungimento del Parco. Una seconda parte prevede l’individuazione di percorsi possibili con un’ampia descrizione delle evidenze importanti e di temi da voler risaltare. Una terza, infine, riguarda le modalità di visita tramite iPad a seconda dei percorsi scelti fra i tanti progettati. L’iPad, primo tablet computer immesso sul mercato, è stato scelto come nuovo strumento di comunicazione museale. Costruito dalla Apple ambisce a rivoluzionare la nostra vita informatica e cambia anche il nostro modo di fruire la storia. A metà strada tra un telefono cellulare evoluto e un computer portatile, presenta applicazioni e funzionalità pressoché infinite proprio grazie alla sua versatilità. 60 Potrebbe scalzare facilmente le vecchie guide audio e video perché più dinamico dal punto di vista della multimedialità. Grande rilevanza è stata data al tentativo di sottolineare la capacità dell’iPad di saper gestire una grande quantità di dati di natura diversa e consultarli contemporaneamente. Questa multimedialità in tempo reale non vale soltanto per la stessa informazione che si vuole diffondere ma anche per più informazioni contemporaneamente. Con l’iPad è possibile visitare un parco od un museo svolgendo simultaneamente diverse operazioni: visualizzare immagini, video, mappe, planimetrie, stratigrafie contemporaneamente ed in altissima risoluzione, conoscere la nostra esatta posizione grazie al gps, connettersi ad internet per rapide ricerche, così come prendere appunti, disegnare, ricevere rapide informazioni su orari, tariffe, eventi e così via. La nostra visita sarà così indirizzata solo su ciò che può coinvolgerci realmente selezionando le informazioni utili e scartando quelle fuorvianti o che non ci interessano. Indirizzandosi su particolari argomenti, il visitatore potrà tornare molte altre volte al parco per completare il suo bisogno di conoscenza e comprendere nuovi temi. Le caratteristiche che ne fanno un buono strumento di supporto alla visita, riguardano oltre la capacità di gestire grandi quantità di dati e di visualizzarli E l’altra diretta verso l’architettura informatica, ipotizzando lo sviluppo dell’iPad e il modo in cui andrebbe comunicata la storia. Altra possibilità quella di creare inoltre delle tipologie di divulgazione “ad hoc” a seconda del tipo di fruitore che visita il Parco. Le modalità di apprendimento di un bambino, ad esempio, saranno diverse da quelle di un uomo adulto di media formazione, per questo si dovranno prevedere metodologie di comunicazione diverse. L’iPad, potrebbe in teoria sostituire anche la professione della guida turistica. In pratica questo non potrà avvenire perché la macchina non può sostituire in tutto e per tutto contemporaneamente, l’ottima qualità dello schermo e la portabilità dello strumento. A queste bisogna aggiungere la sua immediatezza nell’utilizzo e una batteria in grado di farlo funzionare correttamente per più di dieci ore. E la possibilità di non veicolare il visitatore attraverso una storia didascalica e confezionata, ma far decidere allo stesso cosa apprendere, rendendolo protagonista della visita. Questo sistema dinamico può diventare anche “autoalimentato”. Come già succede per l’enciclopedia libera Wikipedia, l’utente potrà aggiungere, completare, aggiustare le informazioni che riguardano un’opera, un’evidenza, una teoria. Ciò significa poter contribuire alla ricerca attraverso testimonianze dirette, immagini, video, pubblicazioni dopo averne appositamente controllato la validità. Il concetto è semplice: utilizzare questi calcolatori del futuro come supporto multimediale, ipertestuale ed interattivo durante la visita all’interno di un Museo o di un Parco tematico; metterlo in pratica un po’ più complicato. Per questo progetto devono collaborare fra loro diverse figure professionali: archeologi, storici, informatici, geometri e così via, con competenze diverse per dare un apporto significativo alla complessità del progetto. Di cui una parte, diretta alla determinazione delle evidenze da valorizzare, alla documentazione scritta, grafica e video, alla fruizione, ed infine alla creazione di percorsi che raccontino una storia. l’esperienza umana. La guida turistica fornirà sempre quella testimonianza reale, proveniente dalle tradizioni e dai racconti popolari, quelle curiosità che possono essere tramandate solamente a voce. L’iPad e la guida turistica saranno dunque due servizi, distinti o ad integrazione, impiegati entrambi per la fruizione dei beni culturali. L’iPad può contribuire a rendere più emozionante e viva la storia passata del nostro territorio senza alcun tipo di intervento invadente, voltandosi verso il passato ma puntando dritto verso un futuro della fruizione dei beni culturali che deve adattarsi ai tempi moderni, fatti di internet, multimedialità e realtà aumentata per un immersione totale nella storia e nella conoscenza. Giorgio Marri Nato il 25/03/1984 a Grosseto, nel 2010 si laurea con il massimo dei voti in Archeologia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli studi di Siena. Tesi di Laurea magistrale in Museologia e Museografia dal titolo “I segni della storia e le nuove tecnologie: Il Parco delle Crociere di Orbetello”. Dal 2010 ad oggi collabora come libero professionista presso lo studio di architettura ed ingegneria SATA2M (www.sata2m.com). Membro fondatore del gruppo ECISTA (www.ecista.com) per la valorizzazione e la divulgazione del patrimonio storico, culturale e paesaggistico attraverso l’utilizzo di supporti tradizionali ed informatici. 61 EDILIZIA photo©Sergio Bertolini Salvare i fabbricati terremotati si può e si deve di Marco Biffani Per giorni e giorni abbiamo visto in televisione capannoni, edifici, chiese e monumenti dell’Emilia-Romagna, abbattuti o pesantemente danneggiati dal terremoto che continua a far vibrare il suolo di quella regione. Non si tratta di fabbricati solamente in muratura o vecchi di centinaia di anni, che hanno ceduto per primi alle sollecitazioni sismiche, ma costruzioni anche in cemento armato di recente posa in opera. E’ quasi certo – per quel che riguarda stabilimenti e capannoni – che si tratti di costruzioni basate su prefabbricati, edificate prime che venissero applicate le raccomandazioni anti sismiche. Norme costruttive che consentono di resistere a forti sollecitazioni trasversali, particolarmente dannose per quelle strutture industriali fondate soprattutto sulla posa di elementi prefabbricati, affidata quasi esclusivamente alla gravità. Purtroppo è lo spettacolo che si ripete puntualmente quando vengono colpiti da terremoti e catastrofi naturali, paesini, cittadine, ma anche città storiche, che rappresentano il volto autentico del nostro Paese, il quale – in quanto a sismicità – è secondo solo al Giappone. Il consolidamento, il restauro, il recupero di quei manufatti diviene quindi il lavoro ingegneristico e architettonico che occuperà gli anni successivi all’evento esiziale. Può non essere inutile quindi elencare quella serie di attrezzature specialistiche – particolarmente delicate – destinate a queste operazioni di ripristino che consentono di restituirci quei pezzi non solo di storia, ma anche di produzione di beni e servizi. 62 Si tratta di attrezzature tecnicamente avanzate che forano, tagliano e intervengono meccanicamente su muratura pietrame e cemento armato, nel modo più preciso, veloce, pulito e sicuro, oggi tecnicamente possibile. Metodologie che operano sulle strutture colpite, anche per eliminarne – demolendone in modo mirato ed il meno invasivo – quelle parti eccessivamente danneggiate, per consentire il recupero del salvabile. Sistemi che da cinquant’anni vengono impiegati all’estero e che non è molto che sono stati introdotti in Italia. Metodologie ormai definite di “Demolizione Controllata” – in quanto tecnicamente ben dominabili per quelle funzioni (che solo in parte sono di demolizione) – nate soprattutto: A. Per realizzare carotaggi e fori delicati – lunghi anche decine di metri – con le Carotatrici ad utensili diamantati, per controllare spessori, qualità e stato delle strutture; eseguire “cuciture” di travi soltanto appoggiate su pilastri; inserire catene, chiodature, strutture a sandwich; iniettare malte e resine; costruire architravi originali, archi a tutto sesto ed a sesto acuto; sistemi salva monumenti e molto altro ancora anche nel settore dell’impiantistica, in particolare su strutture fatiscenti e pericolanti. Ed eseguire fori enormi di alleggerimento, ma anche con valore estetico e strutturale. B. Per eseguire tagli perfetti e rettilinei, con disco diamantato: 1. Con le Seghe da Parete per aprire vani porta- rivisitata, modernizzata e resa efficientissima, veloce e pulita. Un “coltello” affilatissimo e delicato che è servito persino a recuperare – nella Capitale – uno stadio di calcio e delocalizzare famose strutture archeologiche in occasione dell’ultimo Giubileo. E. Per intervenire su cemento armato e muratura, con Pinze idrauliche – anche manuali – per frantumare in modo mirato quelle parti di strutture semidistrutte ed anche pericolanti – per eliminare le parti inutilizzabili – e consolidare successivamente quelle da salvare, per recuperarle e metterle in sicurezza, anche senza doverle puntellare. è stato pubblicato a maggio, dalla EPC Editore di Roma, il “Manuale della demolizione Controllata” che ne descrive e analizza 12 tecniche, con centinaia di foto, di esempi pratici, di diagrammi, schemi e disegni, in grado di dare un quadro pressoché completo dello stato dell’arte della materia. Può interessare imprese edili e studi tecnici, e soprattutto Architetti, Ingegneri, Geometri, Periti edili e addetti ai lavori sapere che – collegandosi al sito della EPC – possono scaricare gratuitamente il CD allegato al volume, che rappresenta la IV edizione del prontuario che ne descrive sinteticamente le tecniche. Le conoscenze di base fornite da quest’opera analitica, potrebbero persino risultare utili per iniziare una attività di servizi specializzati in questo campo, in un momento nel quale la disoccupazione giovanile ha superato il 36%. photo©Sergio Bertolini finestra e per impianti; separare strutture da abbattere da altre che rimangono in sito, e suddividere le prime in blocchi da allontanare con mezzi di sollevamento. 2. Con le Seghe da Pavimento, per lo stesso uso, ma su superfici sub orizzontali per delineare aperture di sicurezza e luminosità, cunicoli intelligenti, realizzare spire magnetiche di controllo e impianti di illuminazione di piste aeroportuali, creare giunti su pavimentazioni per ottenere, nel tempo, superfici valide; suddividere strutture lesionate in blocchi da allontanare con benne o gru. C. Per realizzare tagli (e fori rettangolari) con Seghe a Catena diamantata e non, in modo maneggevole, pratico, rapido e senza un lungo periodo di istruzione; per deumidificazioni di murature, ma soprattutto per intervenire agevolmente su strutture anche portanti, in tutti quegli interventi di riduzione, approssimazione, adattamento durante recuperi e ristrutturazioni edili e di impiantistica nel senso più ampio. D. Per effettuare tagli qualsivoglia, su ogni materiale, ampiezza e spessore, anche sott’acqua, con Seghe a Filo Diamantato, che consentono di dividere verticalmente e per tutta la sua altezza, persino un grattacielo (qualora ce ne fosse bisogno!). Una metodologia antica mutuata dalle cave di marmo, 63 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Manuale della demolizione controllata Una volta c’era il martello demolitore. Poi, lentamente, sono apparse sul mercato le prime attrezzature alternative per forare, tagliare e demolire il cemento armato, la roccia e la muratura. Cinquant’anni di evoluzione tecnologica che, tuttavia, non sono mai stati raccontati in maniera esaustiva. Questo libro di Marco Biffani riempie tale vuoto illustrando, grazie all’esperienza diretta dell’autore, lo stato dell’arte delle 11 metodologie alternative di Demolizione Controllata. Il CD-Rom allegato rappresenta la IV edizione di un prontuario che elenca in modo sintetico, schematico ed essenziale dove queste tecniche sono consigliabili, i lavori tipici, i vantaggi, le caratteristiche di dettaglio, quali le potenze, le motorizzazioni, i pesi, gli utensili, l’operatività, i lavori tipici, le limitazioni, il personale necessario, le cautele, le protezioni, i rischi, la rumorosità ed altri parametri utili anche alla sicurezza. Nel testo viene riportato un lessico completo dei termini tecnici impiegati. Sono presenti, inoltre, 344 tra foto, figure, schemi e diagrammi. Gli Enti, le Associazioni e gli Ordini Professionali che hanno patrocinato sia il prontuario che questo Manuale Analitico, hanno apprezzato le caratteristiche ecologiche di queste tecniche che presentano assenza di percussioni, di vibrazioni dannose e di polvere, rumorosità contenuta, episodica o assente, precisione e rapidità, limitato affaticamento del personale e maggiore sicurezza. Il volume è indirizzato a Ingegneri, Architetti, Geometri, Periti Edili, Direttori di cantiere, Progettisti, estensori di capitolati, laboratori di controllo dei fabbricati, uffici tecnici privati e comunali, artigiani, manutentori, imprese edili, stradali e di impiantistica, addetti ai lavori, alla sicurezza e alle Soprintendenze ai Monumenti, che possono apprezzarne i vantaggi anche in lavori di consolidamento, restauro e recupero di strutture archeologiche, storiche, pericolanti e terremotate. Marco Biffani Geologo, imprenditore per quasi quaranta anni nel settore della Demolizione Controllata, autore di oltre cinquanta articoli e di 4 edizioni di un prontuario tecnico sulla materia, stampato in 230.000 copie, diffuse direttamente in Italia dai numerosi Patrocinatori. Titolare di alcuni brevetti tecnici, migliorativi di attrezzature, metodi di consolidamento ed altro. 64 MISURE Studiare la Terra osservando l’universo: il VLBI geodetico per la misurazione delle deformazioni crostali nell’area Padana di Pierguido Sarti Che l’Italia sia un Paese a forte rischio sismico è cosa nota. Per rendersene conto basta guardare una mappa della classificazione sismica del territorio nazionale o, più semplicemente, fare ricorso alla memoria, anche su brevi periodi di tempo. Negli ultimi 15-20 anni è possibile redigere una lunga lista di eventi ai quali, in alcuni casi, si associano decine o centinaia di vittime. L’ultimo evento, che ha causato la morte di diverse decine di persone, ha avuto luogo nella “monotona” e “tranquilla” pianura Padana, un luogo che comunemente (ed erroneamente) non si associa ai movimenti tellurici. Tuttavia, come spesso (o sempre?) accade, la storia insegna: nella zona si sono registrati più eventi di energia simile o leggermente inferiore nel corso dello scorso millennio (per chi fosse interessato a fare ricerche e ad approfondire l’argomento si segnala l’istruttivo “Catalogo parametrico dei terremoti Italiani” redatto dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia: http://emidius.mi.ingv.it/ CPTI04/) Nel sentir comune cento anni sembrano tanti, più di una vita per molti di noi, e la sensazione è che avvenimenti occorsi secoli fa non ci riguardino. La misurazione del tempo negli studi scientifici è invece insensibile alla scala dei valori umani ed i secoli, quando riportati alla storia del nostro pianeta, sono solo attimi. La geodesia spaziale e la tecnica VLBI In questa scala dei tempi scientifica è da meno di un attimo che stiamo regolarmente osservando la deriva dei continenti e la deformazione della crosta terrestre. Da 25 anni, infatti, presso l’osservatorio radioastronomico di Medicina nel bel mezzo della “bassa” bolognese ed in piena Pianura Padana, misuriamo i movimenti di un insieme di punti posti a distanze variabili tra alcune centinaia ed alcune migliaia di chilometri. Tali misure si svolgono utilizzando la tecnica VLBI geodetica (Very Long Baseline Interferometry o, in italiano, interferometria a lunga base ed elementi disconnessi; http://ivscc.gsfc.nasa.gov/) tramite grandi radiotelescopi che osservano simultaneamente in diverse parti del mondo. L’Italia partecipa alle osservazioni con tre telescopi: due antenne di 32 m di diametro costruite a Medicina (BO) e Noto (SR) e gestite dall’Istituto di Radioastronomia dell’Istituto Nazionale di Astrofisica ed un’antenna di 20 m situata in provincia di Matera e gestita dall’Agenzia Spaziale Italiana. Il radiotelescopio di Matera è totalmente dedicato alle misure geodetiche mentre i radiotelescopi dell’INAF svolgono osservazioni geodetiche per il 20% del loro tempo di utilizzo, mentre il rimanente è dedicato alla radioastronomia ed all’astrofisica. Infatti, la tecnica di misurazione VLBI è profondamente legata alla radioastronomia: si osserva una particolare classe di sorgenti radio, i quasar, per determinare con una precisione millimetrica la posizione reciproca di punti separati anche da diverse migliaia di chilometri. Questa precisione nel posizionamento globale permette di studiare la forma e la dimensione della Terra e come esse si evolvono nel tempo. Così come gli antichi navigatori fenici solcavano i mari affidandosi alla luminosità delle stelle per determinare la posizione e la rotta, i moderni geodeti si affidano alla luminosità dei quasar per determinare le posizioni dei radiotelescopi, le cui variazioni nel tempo sono espressione diretta delle deformazioni crostali indotte dalla deriva dei continenti. I quasar sono nuclei galattici attivi posti a miliardi di anni luce dalla nostra galassia. Emettono forti flussi di energia la cui origine è associata alla presenza di un buco nero supermassiccio ed al suo disco di accrescimento. Circa il 10% dei quasar emette onde elettromagnetiche nello spettro radio e sono queste le sorgenti che si osservano per gli studi geodetici. Proprio a causa della loro potenza, i quasar sono tra le sorgenti radio extragalattiche più luminose; inoltre, le loro strutture si presentano normalmente piuttosto compatte. Come tali (oggetti luminosi e puntiformi nello spazio) essi costituiscono un sistema di riferimento ideale per effettuare misure geodetiche, così come in topografia segnali puntiformi e ben visibili costituiscono oggetti ideali per la collimazione tramite teodolite. La loro distanza, inoltre, ne riduce anche il moto apparente e li rende un sistema quasi 65 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 inerziale completamente naturale. Le rimanenti tre tecniche di geodesia spaziale, invece, compiono misure nei sistemi di riferimento dinamici definiti dalle orbite dei satelliti artificiali: il Global Positioning System (http://igscb.jpl.nasa.gov/), il Satellite Laser Ranging (http://ilrs.gsfc.nasa.gov/) e la tecnica francese Doppler Orbitography and Radiopositioning Integrated by Satellite (http://ids-doris.org/). Proprio la tecnica VLBI è stata la prima ad essere impiegata per fare misurazioni su scala globale e, nella breve storia della geodesia spaziale, essa vanta la più lunga serie storica di dati utili a ricostruire la deriva dei continenti: da circa trent’anni essa viene impiegata per studiare i movimenti e la velocità delle placche tettoniche e le deformazioni della crosta terrestre. Oggi, le quattro tecniche concorrono ad approfondire tutte le aree di studio della geodesia spaziale. Tra esse, le principali sono la definizione del sistema internazionale terrestre (International Terrestrial Reference Frame; http:// itrf.ensg.ign.fr/), nonché lo studio: • della velocità di rotazione della Terra attorno al suo asse ed alla direzione dell’asse di rotazione nello spazio; • del campo gravitazionale terrestre; • della forma e delle dimensioni della Terra; • della deriva dei continenti. La misura delle deformazioni nell’area Europea Il monitoraggio delle deformazioni crostali su scala continentale nell’area Europea è iniziato alla fine degli anni 80 tramite una rete di radiotelescopi VLBI (Figura 1) Figura 1: mappa delle velocità orizzontali dei radiotelescopi Europei calcolate con osservazioni VLBI effettuate a partire dal 1987. Il verso dello spostamento è indicato dalla direzione delle frecce; la loro lunghezza è proporzionale alla velocità. In basso a sinistra la lunghezza di una freccia che corrisponde a 5 mm/a. 66 Il principio sul quale si basa la metodologia di osservazione è piuttosto semplice. I radiotelescopi della rete osservano contemporaneamente e registrano il segnale emesso da un quasar per circa 5 minuti. Nell’arco di 24 ore (durata tipica di un’osservazione VLBI geodetica) si osservano alcune centinaia di quasar nelle più svariate direzioni della volta celeste. Una volta terminato l’esperimento, le registrazioni vengono correlate in un processo il cui scopo è riallineare i segnali registrati ai vari osservatori così da poter calcolare il ritardo tg col quale un’antenna ha ricevuto il segnale rispetto ad un’altra (Figura 2). Figura 2: il principio di misura della tecnica VLBI in campo geodetico. Il ritardo tg rappresenta il tempo impiegato dal segnale del quasar per arrivare alla seconda antenna dopo aver raggiunto la prima. rappresenta la linea di base, la cui lunghezza è la distanza tra i due radiotelescopi. Ŝ è la direzione del quasar (la direzione di puntamento) e c è la velocità di propagazione del segnale radio. Questi ritardi sono proporzionali alla lunghezza della linea di base tra i due radiotelescopi tramite la seguente relazione: dove il versore Ŝ identifica la direzione della sorgente radio e c rappresenta la velocità di propagazione del segnale radio. Il vettore linea di base tra due radiotelescopi (il cui modulo, o lunghezza, rappresenta la distanza tra i radiotelescopi) può essere calcolato ad ogni osservazione di una quasar, realizzando così un insieme di misure sovrabbondanti per stimarne il valore finale. In Figura 2 vengono mostrati solo due radiotelescopi ma è chiaro che, quando si utilizzano più antenne (una rete di antenne), la misurazione dei vettori linea di base è effettuata per ogni puntamento di quasar e per ogni coppia di radiotelescopi della rete di Figura 1. Realizzando più volte nel tempo un’accurata stima della linea di base (e della sua lunghezza) si può risalire al movimento relativo tra i due radiotelescopi e, di conseguenza, alla variazione della distanza tra i radiotelescopi ed alla velocità con la quale i radiotelescopi si avvicinano, ovvero, si allontanano l’un l’altro. Le deformazioni nell’area Italiana La Figura 1, oltre a mostrare l’ubicazione dei vari radiotelescopi della rete VLBI geodetica Europea, mostra, rappresentandole tramite frecce, le direzioni e le velocità orizzontali di spostamento di ogni radiotelescopio, stimate analizzando più di venti anni di dati. La direzione di spostamento è indicata dalla direzione in cui punta la freccia; la velocità di spostamento è indicata dalla lunghezza della freccia, riferita ad una lunghezza campione corrispondente ad una velocità di 5 mm/a della freccia mostrata in basso a sinistra nella Figura 1. Velocità e direzione di spostamento fanno riferimento alla placca Eurasiatica e rappresentano, pertanto, il grado di deformazione crostale che avviene rispetto al movimento della placca nel suo complesso, ovvero il movimento intraplacca. Osservando la Figura 1 salta immediatamente agli occhi che le frecce direzione-velocità sono visibili solo per le tre antenne Italiane. Tutte le altre stazioni Europee sono praticamente ferme rispetto alla placca, così come è possibile verificare dai dati contenuti in Tabella 1. In particolare, la quinta colonna di Tabella 1 mostra i moduli dei vettori velocità e le deviazioni standard ad essi associate. Le stazioni Italiane hanno velocità più che doppie rispetto alle altre stazioni Europee che, solo in due casi, mostrano velocità che superano il millimetro: 1.2 mm/a in direzione SSE per Ny Ålesund (Isole Svalbard) e 1.1 mm/a in direzione Est per Metshaovi (Finlandia). Le direzioni di spostamento sono indicate dai valori contenuti in Tabella 1, colonna 6 come angoli rispetto alla direzione Nord. Ben otto stazioni Europee hanno velocità annuali comprese tra zero ed un millimetro. Focalizzando l’attenzione sulle stime che riguardano le tre antenne Italiane, gli spostamenti orizzontali avvengono con velocità variabili tra i 2.8 mm/a di Medicina ed i 5.0 mm/a per Noto. Le direzioni di spostamento sono molto simili per i siti di Medicina e Matera, entrambe dirette verso NNE. Anche Noto mostra uno spostamento prevalente in direzione Nord, ma leggermente spostata verso Ovest. Sito Up (mm/a) Est (mm/a) Nord (mm/a) Orizzontale (mm/a) Azimut (deg) Simeiz 1.7 ± 0.3 0.2 ± 0.1 0.9 ± 0.1 0.9 ± 0.1 15.3 ± 0.1 Madrid 3.3 ± 0.1 -0.6 ± 0.1 0.0 ± 0.1 0.6 ± 0.1 270.0 ± 0.1 Effelsberg 3.2 ± 0.1 0.0 ± 0.1 0.1 ± 0.1 0.1 ± 0.1 5.2 ± 0.1 Matera 0.7 ± 0.1 0.8 ± 0.1 4.3 ± 0.1 4.4 ± 0.1 10.8 ± 0.1 Medicina -1.2 ± 0.1 1.1 ± 0.1 2.6 ± 0.1 2.8 ± 0.1 22.2 ± 0.1 Metshaovi 3.0 ± 1.3 1.0 ± 0.3 -0.4 ± 0.4 1.1 ± 0.3 113.4 ± 0.8 Noto -0.1 ± 0.1 -1.5 ± 0.1 4.7 ± 0.1 5.0 ± 0.1 341.8 ± 0.1 Ny Ålesund 7.6 ± 0.1 0.4 ± 0.1 -1.1 ± 0.1 1.2 ± 0.1 160.6 ± 0.1 Onsala 3.7 ± 0.1 -0.4 ± 0.1 -0.6 ± 0.1 0.7 ± 0.1 209.3 ± 0.1 Svetloe 1.1 ± 0.7 0.1 ± 0.2 -0.2 ± 0.2 0.3 ± 0.2 151.7 ± 0.1 Wettzell 0.4 ± 0.1 0.1 ± 0.1 0.3 ± 0.1 0.3 ± 0.1 17.7 ± 0.1 Yebes 3.4± 0.1 -0.2 ± 0.1 0.5 ± 0.1 0.5 ± 0.1 343.6 ± 0.1 14.1 ± 2.5 -0.5 ± 0.5 -0.4 ± 0.5 0.6 ± 1.0 231.0 ± 1.0 Zelenchukskaya Tabella 1: per ogni stazione geodetica VLBI Europea (colonna 1) è mostrata la velocità di movimento (rispetto alla placca Eurasiatica) lungo la direzione verticale (Up), Est ed Ovest, rispettivamente in colonna 2, 3 e 4. In colonna 5, sono riportate le velocità totali orizzontali mentre, in colonna 6, è indicata la direzione di spostamento espressa come valore dell’angolo (calcolato in senso orario) rispetto al Nord geografico Le intensità e le direzioni di spostamento stimate con i radiotelescopi italiani sono un’espressione diretta della complessità tettonica dell’area mediterranea e, particolarmente, dell’area nella quale è ubicata la nostra nazione. Il meccanismo principale del movimento è ricollegabile 67 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 all’azione di spinta che la placca Africana svolge sul territorio Italiano ed a come, in funzione della complessa tettonica mediterranea, questa si manifesta localmente. (Per approfondire l’argomento: “Geodynamic map of the Mediterranean” http://ccgm.free.fr/mediterra_geodyn_ gb.html). Dunque, grazie a 266 esperimenti geodetici VLBI svolti in 25 anni (Figura 3) è stato possibile determinare con grande precisione che, per esempio, la distanza tra l’osservatorio di Wettzell (Germania) e quello di Medicina sta diminuendo, in modo pressoché costante, di circa 2.5 mm/a. Durante questo arco di tempo la distanza d≈522.461 km che separa le due stazioni si è ridotta di circa 6.3 cm. Gli ultimi due esperimenti geodetici che hanno coinvolto il radiotelescopio di Medicina si sono svolti il 17 maggio 2012 (tre giorni prima del sisma di magnitudo 5.9 con epicentro Finale Emilia) ed il 21 giugno 2012. Quest’ultimo esperimento non ha evidenziato alcun cambiamento significativo della distanza tra i due radiotelescopi, il cui valore è cambiato di soli 0.2 mm rispetto al valore stimato coll’esperimento del 17 maggio. Le deformazioni locali che sono state misurate tramite i satelliti COSMO/SkyMed e che in alcune aree sono state stimate in più di 10 cm non hanno interessato l’area del radiotelescopio di Medicina, ma solo zone molto prossime agli epicentri degli eventi più energetici della sequenza sismica (http://ingvterremoti.wordpress. com/?s=cosmo+skymed). I radiotelescopi, sino a quando ci saranno fondi per farli funzionare, continueranno ad osservare lo spostamento delle placche tettoniche ed a sorvegliare l’evoluzione del pianeta Terra su scala globale, assicurando così osservazioni su periodi di tempo sempre più lunghi e permettendo una sempre più chiara comprensione dei complessi fenomeni che avvengono all’interno, sulla superficie ed al di fuori del nostro pianeta. Figura 3: distanza stimata tra le stazioni di Medicina e Wettzell a partire dal 1987. Nel riquadro è mostrata la velocità con la quale la distanza tra le due stazioni diminuisce (avvicinamento). Pierguido Sarti Nato a Bologna nel 1968, si laurea a pieni voti in Fisica all’Università di Bologna nel Marzo 1997 discutendo una tesi dal titolo “VLBI geodetico in Europa”. Prosegue gli studi in campo geodetico con l’ammissione al XIII ciclo di dottorato in “Scienze geodetiche e topografiche” della medesima università. Nel 2001 ottiene il titolo di Dottore di ricerca discutendo una tesi sull’effetto del plasma troposferico nelle osservazioni geodetiche che si basano sull’utilizzo delle onde radio. Dal dicembre 2001 è ricercatore confermato presso l’Istituto di Radioastronomia dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. E’ membro di diverse organizzazioni internazionali ed associate editor del “Journal of Surveying Engineering” della società americana di ingegneria civile (ASCE). Dal 2008 è chairman del gruppo di lavoro “Site surveys and co-location sites” dello IERS. 68 FORMAZIONE Ex ligno pontes facere di Franco Laner Le banconote dell’euro hanno come simbolo il ponte, metafora di comunicazione fra gli Stati membri e il mondo. Il ponte è mezzo di unione, non solo fisico, fra territori e popoli. Colui che li costruisce è il pontefice, carica sia sacra, sia militare presso i romani (Pontifex maximus) Professore ordinario di Tecnologia dell’architettura all’Università Iuav, da anni tiene un corso di “Tecnologia delle costruzioni di legno”. Tre famosi ponti di legno, il ponte Sublicio legato all’eroismo di Orazio Coclide, il ponte sul Reno voluto da Giulio Cesare nel 55 a.C. e il ponte sul Danubio ordinato da Traiano, sono la dimostrazione dell’altissimo ingegno costruttivo romano e consentono considerazioni aggiuntive ai diversi significati che questi manufatti hanno storicamente avuto. Palladio chiamava i suoi ponti invenzioni. E non c’è dubbio che l’ingegneria strutturale abbia proposto, nel corso dei secoli, una grande ed intelligente varietà di soluzioni per i ponti, dipendente dai materiali a disposizione, dalle situazioni ambientali, dai carichi sopportabili previsti e anche, non ultimo, dalla personalità e dall’ingegno dei costruttori. Nell’ideazione di un ponte si può, fatta salva la sempre attuale tradizione e pratica costruttiva, scorgere e quantificare l’invenzione, il progetto, ovvero quanto di intelligenza strutturale il costruttore abbia aggiunto, tale da far assurgere i costruttori di ponti, ancora sotto Anco Marzio, all’ordine sacerdotale dei “pontefici” (pontes facere = costruire ponti). Costoro, come ci spiegano gli storici, erano esperti nel segreto delle misure e dei numeri. Ad essi era commesso il compito, sacro e politico, di sovrintendere alla costruzione e al taglio del ponte. Il verbo pontificare, infatti, è assunto come sinonimo del più alto grado del dire e del fare. Oggi il titolo di Pontefice indica colui che è in grado di gettare un ponte fra l’al di qua e l’al di là! Unire due sponde, comunque, è sempre un gesto carico di intenzioni, non solo tecniche, ma anche sociali, culturali ed economiche. Questa nota, come introduce il titolo in latino, riguarda la costruzione di tre ponti di legno romani. Famosi non solo perché sono collegati ad altrettanti eventi storici, ma anche per la loro tecnologia costruttiva, ancora oggetto di discussione, per la loro audacia e singolare concezione strutturale. Giustamente nell’immaginario di tutti noi, il ponte romano è di pietra. Molti di questi manufatti sono ancora in opera a dimostrazione delle eccezionali capacità costruttive raggiunte con l’arco e la pietra, non solo per la viabilità, ma anche per gli acquedotti. Il ponte di pietra, stabile e duraturo, era costruito dai romani per collegare territori sicuri, conquistati. Il ponte di legno era generalmente considerato provvisorio, di servizio. Forse il ponte di Traiano sul Danubio non appartiene a questa regola, ma teniamo presente che le pile del ponte sono manufatti enormi di pietra (la base di ogni pila, come hanno documentato gli scavi archeologici, era di 18x18m e la loro altezza di 20m). Le arcate di 30m erano di legno. Il ponte sul Danubio collegava stabilmente all’impero romano la Dacia, odierna Romania e Moldavia, conquistata da Traiano. Il ponte Sublicio (507 a. C.) è il ponte legato all’eroismo di Orazio Coclide che da solo tenne a bada gli etruschi di Porsenna mentre i suoi compagni tagliavano i legami delle unioni lignee. L’episodio viene collocato nel 507 a. C. Secondo gli storici, come Tito Livio, Dionigi di Alicarnasso e Plutarco, fu costruito da Anco Marzio e fu il primo ponte per attraversare il Tevere, nei pressi del Gianicolo. 69 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Il Ponte Sublicio nel plastico di Roma antica al Museo della civiltà romana, EUR, Roma Due fra le tante raffigurazioni dell’eroico episodio di Orazio Coclide, che tiene a bada gli etruschi di Porsenna finché il ponte Sublicio viene distrutto (Incisione di Tobias Stimmer, Sciaffusa, 1570 e affresco di Bernardo Strozzi, 1620, nella villa Centurione-Carpeneto a Sampirdarena, Ge) 70 Questo manufatto, costituito da stilate e travi (sublicius è parola derivata dall’etrusco e significa stilata, palificata, sinonimo di ligneus) per i nostri fini chiarisce una questione dibattuta: nei ponti romani gli elementi strutturali erano tenuti assieme da legami o perni? Vitruvio su questo punto non è chiaro. I traduttori del De Architectura, dal 1400 in poi sono divisi ed illustrano le giunzioni eseguite sia con perni, sia con legami (v. esempio figura del castello ligneo). Per inciso ricordo che il testo di Vitruvio è giunto a noi privo di immagini, andate perdute. La vicenda del ponte Sublicio chiarisce che i nodi di confluenza delle aste erano tenuti assieme da legami, che i soldati recidevano qualora si decidesse di distruggere il ponte. Nella moderna tecnologia del legno per le unioni si usano perni di acciaio, sia per la velocità esecutiva, sia per la facilità di calcolo. Queste unioni però non permettono al legno quei piccoli movimenti ingenerati ad esempio dalle escursioni igrometriche, mentre le legature, da questo punto di vista, sono da preferirsi. L’eroico episodio di Orazio Coclide, alquanto enfatizzato durante il fascismo – siamo un popolo di eroi, santi e poeti – è stato rappresentato da molti artisti. Una ricostruzione verosimile, considerato che le testimonianze storiche sono di quattro-cinquecento anni posteriori alla sua realizzazione, è quella di Gabriele Piva, oggetto di tesi di laurea che ho seguito nel 2001. Ponte sul Reno ordinato da Giulio Cesare nel 55 a. C. Per questo ponte di legno l’aggettivo adatto è celeberrimo. Di esso, come scrisse Scamozzi e più recentemente Choisy, si occuparono molti elevati ingegni e con grandissima suttilità ne hanno cercato la costruzione e forse con fatiche infruttuose, senza pervenire alla verità. Nonostante la precisa, anche se asciutta descrizione di Cesare nel Libro IV, 17 - 18 del suo “De bello gallico”, la “strettezza” del parlare latino non consente facile ed univoca interpretazione. Lo studio del ponte che Cesare ordinò nel 55 quando, terminata la conquista della Gallia si preparava alla campagna di Britannia, mi ha occupato per diversi anni e con diverse tesi di laurea. Solo la traduzione del brano di Cesare è stata un’impresa. Tutte ottime sul piano letterario, ma nessuna in grado di spiegare la tecnologia adottata. Ad esempio la parola fibula, letteralmente fibbia, è sicuramente la parola chiave, perché si tratta di immaginare un oggetto, che quanto più sia sollecitato, tanto più si stringa e lavori. La traduzione del brano, riportata nella “finestra”, è frutto della collaborazione col prof. P. Ventrice. Per assecondare la richiesta dei Galli di passare il Reno e dare una lezione ai Germani, Cesare fece costruire in dieci giorni un ponte di legno della lunghezza di 400m (il luogo è stato individuato nei pressi di Aquisgrana, oggi Aachen). Il ponte Sublicio ricostruito da Gabriele Piva. Tesi di laurea del 2001, rel. F. Laner, Iuav Venezia) 71 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Un ponte, perché né lui, né l’esercito romano era degno di attraversare il fiume con barche! I problemi da risolvere erano immani. Fra i suoi generali, con sé aveva tre legioni, ovvero circa 15.000 uomini, c’era –quasi certamente– anche un certo Vitruvio. L’operazione fu preparata durante l’inverno ed eseguita all’inizio della primavera. Ho calcolato che occorse tagliare circa duemila alberi. Certo che usò tronchi non squadrati, piccola osservazione, che però squalifica tutte le interpretazioni con travi, ovvero tronchi squadrati, con le quali sono più facili sia la carpenteria, sia i particolari costruttivi. Ad ogni buon conto, sintetizzo i risultati più interessanti, altrimenti sforo dai limiti di un articolo. Connessione degli elementi lignei del castello per sollevare pesi descritto da Vitruvio: Fra Giocondo la interpreta con l’impiego di perni, mentre D. Barbaro pensa a legami fibrosi 72 La lunghezza del ponte (400m) presume che ogni giorno il ponte avanzasse di 40m. Come importante corollario, immaginando come potesse essere il cantiere, ho capito che la larghezza del ponte di 40 piedi, circa 12m, non è un’esagerazione, perché il ponte stesso è il cantiere, con carpentieri che vanno avanti ed indietro e macchine che abbisognano di spazio. La fibula, come aveva intuito Palladio, è lo strumento che fa sì che un nodo strutturale più viene caricato, più si stringe e fa forza. E’ un vero e proprio stato di coazione. Lo schizzo chiarisce il funzionamento della fibula. Il sistema di avanzamento a sbalzo, per costruire senza andare in acqua, è chiarito dal rendering, alquanto datato e mi scuso, ma siamo nel 1993! Per aggiungere queste osservazioni, ho messo insieme tutto ciò che era possibile trovare, tanto, perché questa meraviglia tecnologica, che spaventò i Germani, equivale allo stupore che provocherebbe l’atterraggio di un disco volante in una nostra piazza! De Bello Gallico, libro IV, 17 - 18. (traduzione di P. Ventrice). 1 7 1 Cesare, per le ragioni indicate, aveva deciso di passare il Reno, ma gli sembrava che non fosse abbastanza sicuro attravesarlo con barche, né decoroso per lui, né per il popolo romano. 2 Perciò, anche se la costruzione del ponte si presentava molto difficile a causa della sua lunghezza, della velocità della corrente e della profondità del fiume, riteneva tuttavia che bisognasse tentare l'impresa, oppure si dovesse rinunciare al passaggio dell'esercito. 3 Stabili il seguente procedimento costruttivo: prese tronchi dello spessore di un piede e mezzo (45 cm.), un pò appuntiti all'estremità di minor spessore, proporzionali alla profondità del fiume, e Ii congiunse due a due, alla distanza di due piedi (60 cm.), l'uno dall'altro. 4 Per mezzo di macchine li calò e con berte li fissò saldamente sul fondale, ma non perpendicolarmente come pilastri, ma in modo inclinato ed obliquo, così da assecondare la corrente. 5 Analogamente, ma in senso opposto ed egualmente legati fra loro, piantò due tronchi, ad una distanza di 40 piedi (circa 12 m.) alla base, rivolti contro la forza e l'impeto della corrente. 6 Al di sopra delle due coppie pose le travi, dello spessore di due piedi, quanto cioè distavano tra loro i tronchi, assicurandole con coppie di "fibule", per ogni estremità. 7 Separate e strette in opposta direzione queste travi, l'opera era cosi solida e ben concepita nel suo insieme, che quanto più violentemente si abbatteva l'acqua, tanto più strettamente si chiudeva. 8 L'impalcatura veniva poi collegata con travi longitudinali e completata con travicelli e graticci. 9 Nondimeno dei pali infissi, erano messi in condizione di agire obliquamente nella parte inferiore del fiume. Essi erano posti a guisa di un ariete e congiunti con tutta la costruzione in modo da ricevere la forza della corrente. 10 Altri pali ancora erano infissi poco prima del ponte, perché se i barbari avessero inviato tronchi o altri galleggianti, con l'intenzione di abbattere l'opera, la loro protezione attutisse l'urto ed evitasse danni al ponte. 1 8 1 In dieci giomi, da quando si era cominciato a tagliare il legname, l'opera venne portata a termine e l'esescito poté transitare. 2 Cesare lasciò un solo presidio alle due estremità del ponte e mosse verso il territorio dei Sugambri. 3 Durante l'avanzata ricevette delegazioni di molti popoli, che invocavano pace ed amicizia: risponde con generosità e si fa portare ostaggi. 4 I Sugambri invece fin dal momento che si era dato inizio alla costruzione del ponte avevano meditato la fuga, sobillati dai Tancteri e dagli Usipeti che si trovavano fra loro; avevano abbandonato le loro terre portando via tutto e si erano dileguati nella solitudine delle foreste. Traduzione del celebre passo che descrive il ponte nel “De bello gallico”. La parola chiave è “fibulae”, che Palladio risolse interpretandolo come strumento autostringente 73 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Il nodo ritti-trave che Cesare chiama fibula. Si capisce che più grande sarà la sollecitazione, più il nodo si stringerà. Questa interpretazione, chiave per la comprensione del ponte, è stata esaltata con la realizzazione in grande scala del nodo per le celebrazioni palladiane a Vicenza nel 2002 (M. Scolari/F.Laner) 74 Rendering del 1996 che mostra una fase costruttiva del ponte. Il sistema impiegato sfrutta travi a sbalzo, aggettanti da due cavalletti, all’estremità delle quali si lavora per porre in opera il cavalletto successivo. In questo modo il ponte poteva essere costruito senza mai entrare in acqua Immagine virtuale del ponte di 400m ordinato da Giulio Cesare nel 55 a. C. (da archivio ricerche F. Laner, 1993) Particolare della colonna traiana del ponte sul Danubio. Questo particolare fu scolpito dallo stesso Apollodoro che realizzò il ponte Il ponte di Traiano sul danubio Questa volta c’è anche l’aiuto visivo. Il ponte è infatti scolpito sulla colonna traiana, addirittura dal suo artefice Apollodoro, oriundo di Damasco, che era l’architetto ufficiale di Traiano. Cionondimeno, sapendo che il ponte è lungo 1km, lo stupore è massimo. Per capire di più ci siamo, con tesi e ricerche, concentrati ancora sul cantiere. Per costruire pile e rostri l’acqua del fiume è stata progressivamente deviata. Realizzati i rostri e le pile, di interasse di circa 40m (la luce netta fra le pile, è di 30m, essendo le pile larghe 18) risultano 40 campate! L’impalcato del ponte, come si vede nella colonna, è costituito da un arco di legno con più elementi sovrapposti sopra cui appoggia l’impalcato. Noi pensiamo che gli archi venissero prefabbricati a piè d’opera ed issati con macchine, quindi solidarizzate trasversalmente. 75 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Ma forse è una trasposizione di come oggi avremmo fatto, poiché molto poco sappiamo di storia della tecnica. La storia della tecnica, in particolare nel nostro Paese, non è mai stata praticata e quando qualcuno se ne è occupato, ha restituito una storia aneddotica, più che una storia di evoluzione delle idee, scollegata dalle conquiste della scienza nei vari settori. Ancor oggi la storia della tecnica non ha valore, poiché abbiamo la convinzione che i gradini del sapere tecnico già saliti non abbiano alcuna inferenza per l’innovazione. Invece, nella riscoperta del passato, spesso c’è la sorgente dell’innovazione. Dai pochi accenni a questi tre ponti di legno romani, a parte gli episodi storici sottesi, si intuisce che duemila anni non abbiano prodotto cambiamenti epocali. Penso che – nonostante tutto il nostro sapere tecnico ed i mezzi disponibili – un’opera come quella di Traiano non sarebbe facile da realizzare nemmeno oggi. E nemmeno sbalordire costruendo un ponte di 400m in dieci giorni senza toccare l’acqua. Tante altre opere del passato aspettano risposta. La posa in opera della cupola monolitica del Mausoleo di Teodorico, ad esempio, del peso di 230t. (l’equivalente di 230 automobili di media cilindrata) ci farebbe senza dubbio grattar la pera! Alcune storiche ricostruzioni del ponte di Traiano. a) S. Donini, b) N. Zimarino, c) M. Deperaux, d) V. Galliazzo, e) A. B. Rondelet, f) A. Choisy, g) Arma del genio, Istituto storico, h) Tesi M. P. Noto (relatori F. Laner e A. Menegotto, Iuav, 1997) Vista prospettica del ponte sul Danubio (105 d. C.) da tesi M. P. Noto (Iuav, 1997) 76 SOCIETÀ E COSTUME La Bottega di Pierluigi Ghianda ebanista e falegname Pierluigi Ghianda, classe 1926, subentra nella direzione della Bottega, fondata dal nonno nel 1850 a Bovisio di Masciago e poi gestita dal padre – che negli anni ’30 collabora con grandi architetti milanesi come Emilio Lancia e Giò Ponti –, a partire dal 1946, insieme al fratello Giuseppe (poi deceduto) specializzandosi nella produzione di arredi per ufficio. Nel 1967, con la moglie Francesca, trasferisce la Bottega nell’attuale sede e seguendo le orme paterne, ricerca una stretta collaborazione con architetti e designer. Negli anni Settanta, inizia, con un viaggio in Giappone, la lunga e feconda amicizia con Gianfranco Frattini. La creatività e l'intransigenza del designer congiunte alla maestria dell'artigiano faranno nascere opere come il tavolo Kyoto e il mobile Portofino. Gli Ottanta sono gli anni clou dell'attività di Pierluigi Ghianda e della sua Bottega, che realizza arredi per dimore prestigiose, pezzi singoli, prototipi (Knoll, Rosenthal, Rolex, Dior, Alcantara), piccoli e grandi oggetti e sculture d'artista (M. Bill, A. Pomodoro). Nel 1986 inizia la collaborazione con Hermès che prosegue tutt'oggi, fondata sul rapporto professionale con la famiglia Dumas, sulla reciproca stima, sul comune amore per la perfezione e sulla condivisione dell'ossessione quasi maniacale per la raffinatezza. Dal 1987 al 1999, Pierluigi Ghianda lavora con noti designer (Aulenti, Barokas, Boeri, i Castiglioni, Eileen Gray, i Frattini, Magistretti, Sapper, Sottsass, Thun, i Vignelli, Zanini e altri), per una clientela sempre più esclusiva (Knoll, Rosenthal, Cini & Nils, ClassiCon, Rolex, Dior, Rochas, Renault). Pur continuando lo studio di prototipi e la produzione di oggetti e di pezzi singoli, al fianco di noti designer, negli anni Novanta la Bottega Ghianda realizza arredi per una clientela internazionale (New York, Londra, Parigi, Mosca, Helsinki). Nel 1993 nasce il catalogo della Bottega, interamente disegnato a mano da giovani allievi dell'Istituto d'Arte di Monza (Mauro Fabbro e Claudia Scarpa), su progetto grafico di Lino Gerosa, da un'idea di Isa Ghianda. Tra il 1995 e il 1998 Pierluigi tiene conferenze in Università italiane e straniere (Milano, Helsinki e Tokio) illustrando la sua fi losofia di lavoro e i suoi prodotti sono esposti in mostre personali (Galleria Dedalo, Milano; Caff è delle Arti e dei Mestieri, Reggio E.; Galleria Libra, Monza). Nel 2001, in Campidoglio, Ghianda riceve dal Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azelio Ciampi l'alta onorificenza di Ufficiale dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Dal 2010 Pierluigi Ghianda è affiancato nella conduzione della Bottega dalla figlia Beatrice, reduce da varie esperienze in Italia e all'estero. La Galleria Consadori di via Brera espone i pezzi più significativi della collezione Bottega Ghianda. 77 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Quale la differenza, gli chiediamo, tra ebanista e falegname? Io mi sono sempre definito un falegname, altri mi chiamano ebanista o, tra il serio e il faceto, maestro. Non saprei dare definizioni, nella nostra Bottega si lavora bene, se questa è ebanisteria lo lascio giudicare agli altri. Quello che posso dire è che l'ebano è un legno particolare, la sua struttura è talmente dura da ricordare un fossile, necessita di molto tempo, non si può tagliarlo e lavorarlo nella stessa settimana, è capriccioso. Mi è capitato di finire un manufatto, era pronto per la consegna e durante la notte abbiamo sentito dei botti, come degli spari e abbiamo trovato l'oggetto spaccato a metà... Nell'ebano ci sono i "crepit" piccole fessure invisibili, bisogna tenerne conto lavorandolo. Quali le cognizioni per capire il legno e meglio interpretarlo? Il legno bisogna amarlo, io sono cresciuto circondato dal legno, la nostra Bottega esiste dall'Ottocento, la prima cosa che mi viene in mente di dire è che il legno è vivo e che non muore mai, anche dopo centinaia di anni. Quale è stata la Sua preparazione scolastica ed i corsi frequentati? Mia mamma è rimasta vedova presto e si è ritrovata tre figli e una Bottega da mandare avanti, dunque mio fratello, che ere bravissimo, l'ha da subito affiancata in Bottega e per me hanno pensato a Ragioneria e poi ad Economia alla Cattolica. Ci voleva uno in famiglia per fare i conti, ma non era la mia strada, passavo più tempo al Politecnico, alla Facoltà di Architettura che a studiare per gli esami, così alla fine la mamma ha capito che era meglio impiegarmi in Bottega piuttosto che insistere con i numeri. Quali gli elementi basilari per dialogare con i designers ed i progettisti? La curiosità e l'apertura, il vero segreto è divertirsi. Ogni architetto ha il suo modo di lavorare, il Vico progettava al telefono, a Sottsass piaceva venire in Bottega con la sua banda e si divertiva a guardare la lavorazione. Con la “banda” Castiglioni poi era proprio divertente, me li ricordo fin da bambino, il papà (Giannnino, ndr) era uno scultore fantastico e la creatività non ha mai abbandonato questa famiglia. Fondamentalmente si lavora insieme, a volte si raggiunge lo scopo, a volte no ma tutto è utile perché un'idea che ti è venuta per un lavoro che non è andato in porto può servire per un altro. Quanto valore dà alla matita (al disegno fatto a mano) e quanto al computer? Mai usato il computer, mai neanche schiacciato un tasto, io disegno solo a matita. Quale valore attribuisce all'apprendistato? A scuola si imparano tante belle cose, è fondamentale, anche per un artigiano, la formazione scolastica, ma è in Bottega, sul lavoro, che si diventa falegnami, si impara dai compagni, si impara dagli sbagli, si impara dalla materia stessa, il legno che parla e a volte canta. Il problema sono gli schemi troppo rigidi, il contratto di apprendistato dura al massimo un anno, troppo poco per valutare, da entrambe le parti intendiamoci. 78 Tra i modelli che sono usciti dalla Sua Bottega quali quelli che l'hanno maggiormente impegnata? Mi vien da dire l'ultimo… Sono molto legato a tutta la mia produzione difficile scegliere. Posso dire, forse, che il pezzo a cui tengo di più è il Kyoto fatto con Gianfranco Frattini che era un gran rompiballe ma alla fine venivano fuori proprio delle belle cose. Lei tiene conferenze nelle Università italiane ed estere sulla Sua filosofia di lavoro e i Suoi prodotti. Qual è l'insegnamento per i giovani d'oggi? Posso dire quello che è per me, l'entusiasmo e l'umiltà sono doti fondamentali per aver successo in quello che fai. Il vero segreto è partire dal prodotto, farlo bene e poi pensare a venderlo, non il contrario, partire dalle esigenze commerciali e poi approntare una cosuccia che possa andare. Solo ragionando così si ottengono prodotti di qualità. La Bottega Ghianda oggi ha delle importanti commesse di lavoro all'estero, quale quella più impegnativa? Non saprei, forse il lavoro ventennale che facciamo con Hermès è quello che dà più soddisfazione, la nostra Bottega ha lo stesso spirito della grande Maison francese, qualità prima di tutto. Tra gli oggetti prodotti dalla Sua Bottega c’è “la squadretta in legno di pero” (molto familiare ai Geometri) di cui Lei racconta “che era il manufatto che l'apprendista falegname eseguiva al termine del suo tirocinio per dimostrare le capacità raggiunte”. Perché proprio la squadretta? Oggi è ancora una prova da superare? O quali sono le nuove prove? Perché la squadretta… Perché bisogna fare, a mano, tre incastri a coda di rondine belli precisi, non è facile. La coda di rondine è il principe degli incastri, un cassetto con le sue belle code di rondine ai lati non si rompe più, se invece lo incolli e basta, beh è un'altra cosa. 79 RECENSIONI “Un viaggio lungo quarant’anni” L’attività di Giovanni Fanucchi “Siete mai stati in un cantiere edile? Uscendo indenni da carte, normative e compromessi, e dopo aver superato la selva ingarbugliata della legislazione si arriva finalmente sul campo di battaglia: il cantiere. Qui, schierati, attendono gli attori protagonisti: muratori, capomastro, fornitori, idraulici, elettricisti ed altre comparse, essenziali alla realizzazione del progetto, occupano il posto assegnatogli dal regista: in questo caso il Geometra. Tutti, nessuno escluso, concorrono al raggiungimento del piano di lavoro, tutti sono un mattone essenziale; se uno manca, l’edificio non è completo. L’edilizia, incide profondamente nella qualità del paesaggio urbano, l’edificio è una di quelle strutture attraverso cui una città, un comune, un quartiere manifesta il proprio “essere”; l’edificio è un accessorio che, se ben inserito, completa e modifica positivamente l’ambiente. Porcari, cresciuto sull’importantissima arteria della via Francigena, dagli anni Sessanta dello scorso secolo ad oggi ha preso parte alla rapida evoluzione che ha percorso la nostra penisola, seguendo le linee di sviluppo nazionali: da paese a prevalente produzione agricola si è modificato in paese industriale. L’agricoltura, con zone solo in parte produttive e con piccole entità poderali non adeguate a raggiungere colture redditizie, presentò alcune difficoltà. La situazione fu peggiorata dall’aumento demografico che non trovò una risposta adeguata con il lavoro agricolo e conseguentemente fu assorbita nello sviluppo industriale e artigianale che tra gli anni Ottanta e Novanta del XX secolo, si consolidò. I protagonisti di questa grande crescita, collocati 80 Il volume “Un viaggio lungo quarant’anni” (Maria Pacini Fazzi Editore, Lucca) propone un’ampia retrospettiva della attività professionale e dei progetti realizzati dal Geometra Giovanni Fanucchi principalmente a Porcari e nei comuni limitrofi, in provincia di Lucca. Le motivazioni e il senso della pubblicazione vengono illustrate dalla curatrice Claudia Nardini in premessa al libro e attraverso un’intervista a Fanucchi. nei territori di Porcari – Italcarta, Eurosak, Baldini Vernici, Gruppo A. Celli, Euromek e tante altre ancora – sono stati, e ancora oggi lo sono, per il sistema economico lucchese un gancio trainante e stimolante per lo sviluppo sul territorio di nuove iniziative. L’aumento delle attività industriali e di conseguenza la crescente domanda occupazionale che si venne a definire nei decenni passati sviluppò una speranza di maggiore benessere, auspicando un domani migliore. Intorno agli anni Novanta, rispetto ai decenni precedenti, caratterizzati dal progresso e dal cambiamento, si insinuano i primi segnali di decadenza; un forte numero di aziende scelse di trasferirsi all’estero per impossibilità di sostenere i costi, ma dal primo decennio del nuovo secolo grazie a scelte urbanistiche effettuate dall’Amministrazione Comunale, con moderne infrastrutture realizzate di recente, come i sottopassi ferroviari o il casello autostradale del Frizzone, si è cercato di migliorare la viabilità della Piana con l’obiettivo di valorizzare e potenziare non solo Porcari ma anche le aree limitrofe, rendendo accessibile al circuito turistico la loro storia e la loro ricchezza. I mutamenti impetuosi susseguitisi negli ultimi tempi hanno profondamente trasformato la struttura della società, trasformazioni, queste, radicali che vanno a intersecarsi con l’economia, la politica, l’istruzione e la cultura. Porcari, centro di questa nuova realtà, si espande e conquista un nuovo aspetto. Gli interventi di riqualificazione del paese, che lo proiettano verso un futuro migliore, hanno riguardato lo Stadio Comunale, la realizzazione dell’Auditorium “Da Massa”, la zona 167, la ristrutturazione di Piazza F. Orsi e del Palazzo Comunale, la risistemazione dei Plessi Scolastici, l’edificazione della nuova sede della Croce Verde, la realizzazione della Casa di Vetro “Fondazione Lazzareschi”, l’acquisto del Collegio Cavani e vari interventi di viabilità. Se riflettiamo potremmo dire, parafrasando Filarete (Trattato di Architettura – seconda metà del XV secolo), che le strutture edilizie per nascere ed esprimere al meglio le loro funzionalità, hanno “bisogno di una madre e di un padre”, nel nostro caso la madre può essere la figura del Geometra e il padre il committente. La zona di Porcari ha esibito una committenza, pubblica e privata, attenta e presente alle trasformazioni del territorio e lo Studio Fanucchi negli ultimi quarant’anni, impiegando profonde energie, si è mostrato indiscusso protagonista in alcuni di questi interventi di trasformazione del territorio porcarese, e non solo, adeguando alle richieste della committenza soluzioni progettuali diversificate. Croce Verde, Porcari, via Romana Est 81 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Come esprimono i progetti presentati in questa pubblicazione il lessico architettonico impiegato dallo Studio risulta essere sobrio e incisivo, un linguaggio capace di combinare tradizione e modernità in un sistema equilibrato, dando forma alle aspirazioni dei committenti intrecciando razionalità e cuore, perché l’arte di edificare non vuole dire solo progettare, costruire, misurare e fare compromessi, ma vuol dire anche immaginare, sognare e realizzare desideri altrui. Giovanni Fanucchi con il suo numeroso Staff di collaboratori, in questi anni, ha creato una ragnatela di contatti strettamente necessaria alla gestione del mestiere di Geometra. Infatti, questa figura professionale deve essere capace di relazionarsi nel 82 modo più adeguato con un equipe di professionisti che si concretizzano come un prolungamento del pensiero del Geometra stesso e sono il mezzo per arrivare a concludere il progetto. Le pagine di questo libro, che libro – come dice Giovanni Fanucchi – non vuole essere perché troppo impegnativo, si compongono come una raccolta di progetti vissuti in prima persona dal loro autore in quarant’anni di attività. Dai primi contatti che Giovanni ha avuto con la professione di Geometra fino ad oggi sono cambiate molte cose, ma sicuramente non è cambiato l’impegno e la capacità che questo lavoro richiede; lui stesso ricorda che questa professione “è una vocazione che non si può svolgere a tempo determinato!”. Fin dagli esordi degli anni Settanta del secolo scorso svolti a Porcari e nei comuni limitrofi, il Geometra si è sempre applicato con entusiasmo e “senza ripensamenti” nello svolgere quest’attività per la quale “era nato”, cercando di realizzare le proprie aspirazioni personali. Tramite questa selezione di immagini che Giovanni ha raccolto ci rende partecipi della varie fasi della sua carriera; noi riusciamo a vedere solo l’ottimo risultato finale del suo operato e possiamo solo immaginarci le varie peripezie e difficoltà che comporta questo mestiere. Per iniziare bisogna saper ascoltare il cliente, poi è necessario essere creativi e concretizzare in forme architettoniche i desideri di quest’ultimo, ma nel frattempo è necessario essere realisti per sottostare alle leggi e alle rigide normative da seguire e per ultimo è necessario che il Geometra assuma i panni del regista per mettere in comunicazione tutti gli attori presenti sul palcoscenico. Croce Verde, Porcari, via Romana Est Il prodotto finale di questo faticoso, quanto appagante, percorso è un edificio progettato e realizzato che incide in modo profondo sullo spazio che ci circonda. L’architettura, infatti, oltre ad “entrare in relazione” con il committente stabilisce un’empatia con chiunque entra in contatto con essa, quindi il Geometra, seguendo la sua vocazione, per realizzare una “buona ricetta” deve inserire nel suo iter progettuale un ultimo ingrediente fondamentale: “fare bellezza”. Perché “ogni anima è e diventa ciò che guarda” (Plotino). Questo libro con i suoi contenuti non vuole parlare unicamente dello “Studio Fanucchi a Porcari” ma vuole cercare di comunicare a noi “profani”, che non esercitiamo questa professione, la complessità di questa difficile ma affascinante attività. 83 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 A colloquio con Giovanni Fanucchi Mi racconti un episodio divertente che è accaduto sul lavoro La nostra professione è talmente seria e complicata che naturalmente è modesta di situazioni divertenti! Un giorno, durante un compromesso tra due fratelli, arrivati al momento della sottoscrizione del documento mi è stata chiesta una cosa alquanto bislacca: “Oh Giovanni, visto che hai scritto così bene il compromesso sarà meglio che firmi te per me e per il mio gemello!”. Quando ha capito che il suo lavoro era la sua passione? Già scegliendo la scuola di Geometra avevo fatto il primo passo verso quest’attività, ma la grande passione, che mi ha accompagnato fino ad oggi, è sbocciata con l’inizio del tirocinio, il primo concreto contatto con l’arte del costruire. Che cosa è cambiato rispetto ai primi anni, quando lei ha intrapreso la sua professione? Naturalmente nel “viaggio” dei quarant’anni di professione sono cambiate tante cose. Consideriamo per esempio i cambiamenti verificatesi nelle tecniche del disegnare, del rilevare e soprattutto del “pensare”; infatti la tecnologia in continuo e costante progresso ci ha portato ad assidui aggiornamenti che hanno contribuito positivamente a velocizzare e perfezionare il risultato finale sia per quanto riguarda la progettazione sia per una migliore comunicazione. C’è qualcosa che ha imparato durante gli anni del suo tirocinio, con il Geometra Anselmo Della Maggiora, che ancora oggi porta con sé? Sono certo che se il periodo del tirocinio è fatto con impegno e, specialmente, con l’esempio di un buon maestro non può che lasciare profonde tracce indelebili che ci accompagneranno nel tempo; per me è stato così. Per farle un esempio: alcuni sistemi di calcolo statico strutturale che ho potuto utilizzare subito dopo il periodo scolastico sono stati fondamentali per il progredire delle mie conoscenze, anche le esperienze che in quegli anni di tirocinio ho potuto avere a contatto con i clienti e il lavoro di pratiche specifiche da eseguire hanno inciso sulla mia professione che si è sviluppata in seguito. Sarò sempre grato al Della Maggiora per l’esperienza che ho potuto fare nel suo Studio. L’attività svolta negli anni Settanta presso il Comune di Porcari è stata una tappa importante 84 del suo percorso? Determinante! L’esperienza esercitata, per un breve periodo all’inizio degli anni ’70 dello scorso secolo, presso l’Amministrazione Comunale di Porcari si è rivelata decisiva per l’accrescimento della mia carriera poiché sono entrato in contatto con gli aspetti più importanti del Diritto Amministrativo, soprattutto con quegli aspetti inerenti al settore urbanistico dove ho potuto vivere in prima persona la pianificazione e la gestione di un progetto. Ricordo che quel periodo fu un momento di particolare sviluppo industriale per il Comune di Porcari. Lo Studio con cui ha collaborato a metà degli anni Settanta le ha dato la possibilità di sviluppare a pieno le sue capacità tecniche imparate in precedenza? Certo. Tutte le esperienze conseguite dal tirocinio in poi, come il far parte di uno Studio dove si impara ad affrontare, in collaborazione con altri colleghi, le difficili problematiche legate alla Professione, non possono che arricchire ulteriormente le proprie capacità e rendono fattibile la possibilità di esprimere al massimo tutti gli insegnamenti immagazzinati precedentemente. Con grande soddisfazione negli anni Ottanta apre lo Studio Fanucchi; è stato faticoso avviare la professione in completa autonomia? Con il passare degli anni, affrontate le prime esperienze formative, si percepisce la necessità di poter proseguire il cammino facendo perno sulle forze personali e avere un proprio Studio diventa fondamentale. Si cominciano ad affrontare scelte che andranno a forgiare, con il passare del tempo, uno stile personale che sarà raggiunto con intensi sforzi sia professionali, sia economici. Dal punto di vista professionale mi sono trovato, come chiunque affronti un percorso lavorativo, ad essere responsabile in prima persona delle mie scelte, quindi ho subito percepito la necessità di aggiornare costantemente la mia preparazione, dal punto di vista economico l’investimento iniziale per le attrezzature e per i collaboratori è stato rilevante. Fin dall’inizio della Professione ho compreso che per svolgere il lavoro con grande professionalità era necessario avere una “squadra”, un gruppo che collaborasse insieme per affrontare le complesse problematiche necessarie per realizzare i progetti. Qual è la sua filosofia del lavoro? Ho messo sempre in primo piano il cliente con le sue richieste e le sue necessità e soprattutto ho cercato continuamente di adempiere con scrupolo a tutti gli Palazzo storico “Corte Giannini” 85 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 incarichi cercando di non sottovalutare quelli minori. Quando inizia un progetto quali sono gli scopi che vuole raggiungere? Quando si svolge un incarico per realizzare un’opera il primo scopo è quello di interpretare al meglio le esigenze del cliente, ma secondo me non si deve tralasciare il fatto che l’opera che verrà realizzata sarà una personale creazione, in essa si esprimeranno tutte le individuali capacità professionali. Qual è l’aspetto che più la gratifica di questa professione? E l’aspetto che più la amareggia? La massima gratificazione è quando di fronte alle smisurate e a volte problematiche pratiche urbanistiche si riescono ad ottenere gli atti amministrativi necessari per concretizzare i desideri dei clienti costruendo una casa, un laboratorio artigianale. Di contro l’aspetto che più mi amareggia è proprio non riuscire ad ottenere questo risultato, domandandomi se ho fatto tutto quello che era possibile fare. C’è stato mai un momento di crisi in cui voleva abbandonare tutto? Cosa l’ha spinta a proseguire in questa professione? Scandagliando l’attività che ho svolto in questi quarant’anni, devo dire di non aver mai valutato la possibilità di lasciare tutto; anche quando ho dovuto affrontare periodi difficili, in cui ho dovuto far fronte a situazioni complesse l’impegno che ho messo nel risolvere le problematiche insorte mi ha donato fervore ed energia per proseguire con tenacia lo svolgimento dei progetti, ogni volta con assoluta dedizione. La figura del Geometra è una figura complessa ed importante nel campo dell’edilizia, qual è l’iter progettuale? Il cliente viene da lei e … Devo dire che l’iter progettuale è molto complesso, il Geometra deve essere capace d’interpretare le esigenze del cliente e ciò include anche il saper regolamentare alcuni aspetti caratteriali del cliente che a volte ha richieste singolari e stravaganti. Appena i clienti ci contattano per manifestare le loro richieste dobbiamo calmierare le bizzarre idee e con grandissima calma cerchiamo di farli ragionare per cercare di realizzare un progetto che rispetti i rigidi principi che regolamentano il campo dell’edilizia. Con il passo successivo si devono affrontare le tempistiche amministrative dove spesso si incontrano degli ostacoli che il cliente stesso non comprende, quindi il Geometra deve riuscire a mediare la comunicazione; il Geometra si deve spostare all’interno di una selva molto intricata passando dall’ASL, dalla Soprintendenza, dalla Commissione 86 Ambientale, dall’Ufficio Strade, dalla Provincia, dal Genio Civile, dalla Regione – solo per ricordarne alcune – e inoltre deve sapere comunicare anche con gli altri professionisti essenziali all’esecuzione del progetto: il Geologo, gli Ingegneri strutturali, l’Impiantista addetto alla sicurezza, ecc … E sa cosa può accadere? Che ci comunicano che la pratica è stata rinviata o necessita di integrazioni. A volte il cliente non riesce a concepire tutti questi passaggi ma essi sono necessari per ottenere un risultato migliore. Secondo lei in quale modo il suo contributo urbanistico a Porcari, con progetti pubblici e privati, ha partecipato allo sviluppo, ancora in atto, del rinnovamento dell’identità del paese? E’ evidente che il paese di Porcari in questi quarant’anni ha affrontato cambiamenti importanti a seguito della realizzazione di opere pubbliche come la sistemazione della viabilità o la realizzazione di strutture residenziali. Con alcuni incarichi ho partecipato direttamente a questo rinnovamento: con la parcellizzazione e l’esproprio delle vie Sbarra e Casoni e alla realizzazione della parcellizzazione dell’area 167, ho partecipato con alcuni interventi nell’area destinata alle attività artigianali e commerciali. Importante è stato l’impegno che il mio Studio ha dato per la realizzazione della nuova Sede della Croce Verde, servizio sociale importantissimo, che il Comune di Porcari ha dedicato ai suoi cittadini. Vorrei anche precisare che lo sviluppo che ha investito Porcari è stato possibile grazie all’intersezione della collaborazione tra il Comune e l’intraprendenza e la fattività degli imprenditori che hanno realizzato opifici, industrie e numerose attività che hanno predisposto il paese ad un notevole benessere sociale ed economico; oggi la situazione necessita di ulteriori ed indispensabili opere di riconversione industriale mediante la trasformazione urbanistica di numerose “cattedrali” del passato, oggi dismesse, è questa la scommessa che le prossime amministrazioni dovranno affrontare. Gli impianti residenziali, industriali, artigianali e commerciali che il mio Studio ha realizzato per clienti privati che si vanno a sommare agli interventi pubblici si manifestano come una personale traccia indelebile sul territorio di questo comune che sento un po’ mio, soprattutto perché sono nato qui. Se potesse tornare indietro, modificherebbe qualcosa nel suo percorso professionale? No. Non rinnego niente di quello che ho fatto nell’arco della mia carriera professionale perché ogni passaggio è stato essenziale per quello successivo. Ho avuto la possibilità di esprimermi nei vari settori che orbitano attorno alla professione del Geometra, potrei dire di aver svolto il mio lavoro a 360 gradi, dall’edilizia in generale alla contrattualistica, dal sistema di valutazione sia bancario, sia peritale, agli incarichi per il tribunale fino alle attività di tipo catastale con denunce di successione e divisionali, alle pratiche amministrative. Nel tempo la professione di Geometra si è modificata, secondo lei questa evoluzione ha portato ad un miglioramento o ad un peggioramento della professione? La professione di Geometra si è perfezionata con il passare del tempo, si sono sviluppate attività più specialistiche come i rilievi strumentali, le attività catastali e le valutazioni di tipo scientifico. Il Geometra è stimolato continuamente, deve aggiornarsi ininterrottamente per essere competitivo. Questo libro raccoglie i progetti realizzati fino ad oggi, e per il futuro cosa ha pensato di realizzare? Una parte importante del libro è dedicata a strutture di vario tipo realizzate dagli anni Settanta fino ad oggi, ma non ho voluto sottovalutare quei progetti, che andranno ad interessare una parte del territorio comunale di Porcari, residenziali, commerciali ed industriali, che attualmente sono in fase finale di progettazione e che saranno realizzati negli anni a venire grazie al lavoro collaborativo con il mio Staff e con mio figlio Gianni, Ingegnere edile, che sta prendendo in mano le redini future dello Studio. Da un punto di vista organizzativo qual è la maggior difficoltà che deve affrontare nel suo lavoro? Le difficoltà nell’organizzare il lavoro sono molteplici, per esempio si pensa che sia semplice coordinare i collaboratori, riuscire a rispondere positivamente alle richieste, sempre più esigenti, della clientela e contemporaneamente riuscire a rispettare le normative di legge in materia di urbanistica edilizia? Inoltre questo lavoro è continuamente travolto da un vortice di innovazioni normative che spesso ci ingarbuglia la realizzazione con una miriade di interpretazioni possibili portando la vita professionale, e spesso anche personale, al limite del decoro e solo con una grande forza d’animo e di esperienza è possibile superare i momenti più critici. Cosa l’ha spinta a realizzare un libro che raccoglie i progetti svolti nell’arco di una vita? Ad un certo punto della carriera professionale, iniziata quarant’anni fa, si sente l’esigenza di fare una “verifica” della propria attività; una mattina ci si sveglia e riflettendo ci si pongono alcune domande. Che cosa sono riuscito a realizzare in questi anni? E’ qui che è arrivata l’idea di mettere “nero su bianco”, di raccogliere e imprimere in un libro, i progetti realizzati durante la mia professione di Geometra. In sostanza, ho voluto realizzare questo volume per lasciare una traccia della mia vita professionale nella storia. A chi dedica il suo libro? Non posso sottrarmi a dedicare il mio libro “Alla mia Famiglia”, in particolare a mia moglie Paola e ai miei figli Anna e Gianni. Purtroppo come ho sempre sostenuto la professione di Geometra, nel bene e nel male, è una vocazione che non si può svolgere a tempo determinato! Giovanni Fanucchi Nato a Porcari nel 1951, dopo aver conseguito il Diploma di Geometra, negli anni Settanta ha intrapreso la sua carriera esercitando il tirocinio presso lo Studio del Geometra Anselmo Della Maggiora, a Porcari. L’impegno professionale si è poi consolidato negli anni Ottanta con l’apertura dello “Studio Professionale Fanucchi”. I progetti che ha realizzato in quarant’anni hanno dato forma alle aspirazioni della numerosa committenza privata e pubblica principalmente legata al territorio di Porcari e dei dintorni. Il suo lavoro progettuale si è diversificato tra la realizzazione di ville, di rustici, di edifici residenziali, di fabbricati commerciali e direzionali e di ristrutturazioni di antiche dimore incidendo positivamente e profondamente nella storia urbanistica del suo paese. Attualmente svolge la sua attività affiancato da un gruppo di collaboratori. 87 IMPIANTI I componenti fondamentali dell'impianto elettrico Terza lezione di Mauro Cappello GEOCENTRO/magazine pubblica, di Mauro Cappello, Ingegnere e Ispettore Verificatore del Ministero dello Sviluppo Economico, la lezione del ciclo dedicato al tema degli impianti elettrici per illustrarne la normativa, la componentistica, le metodologie di dimensionamento, le regole basilari d’ installazione ed infine le verifiche da eseguire prima della messa in esercizio. La struttura fondamentale dell’impianto elettrico civile Gli impianti elettrici installati nelle abitazioni e negli uffici vengono denominati anche “civili” al fine di distinguerli dagli impianti installati in ambienti particolari, quali: industrie, officine, laboratori, ecc. che per la particolare natura vengono definiti “industriali”. La struttura di un impianto elettrico civile, installato ad esempio in una abitazione di piccole, medie e grandi dimensioni, è abbastanza semplice e volendola schematizzare si può dire che essa è costituita da: • quadro elettrico (potrebbero essere anche più di uno specialmente in caso di abitazioni di grandi dimensioni, come ad esempio una villa); • interruttori elettrici (deputati alla protezione ed alla manovra dell'impianto); • cavi elettrici (realizzano le linee dell'impianto e sono di varia tipologia a seconda dell'impiego e della posa in opera scelta dal progettista); • tubazioni e canali (per la posa in opera delle linee); • scatole e cassette di derivazione (servono a determinare lo smistamento delle linee elettriche dell'impianto); • morsetteria di vario tipo (è utilizzata per realizzare i collegamenti tra i vari cavi); • scatole da frutto (garantiscono la collocazione dei dispositivi di manovra nelle zone periferiche dell'impianto). 88 La conoscenza dettagliata dei vari componenti l'impianto elettrico, nelle varie tipologie costruttive, caratteristiche tecniche, funzionali e modalità di posa, costituisce il punto di partenza per redigere e leggere in modo consapevole un qualunque elaborato progettuale. Il quadro o centralino elettrico L'impianto elettrico di un appartamento è originato dal “quadro” o “centralino” elettrico all'interno del quale giunge la montante che proviene dal punto di consegna dell'energia elettrica. Il centralino di appartamento è costituito da un involucro di materiale plastico all'interno del quale vengono installati i dispositivi di protezione e manovra dell'impianto. In estrema sintesi, per un impianto di appartamento, il centralino dovrà ospitare almeno i seguenti dispositivi: • 1 interruttore differenziale con corrente differenziale nonimale IΔn=30 mA, destinato alla protezione delle persone in caso di difetto di isolamento; • 1 interruttore magneto termico di corrente nominale pari ad In=16 [A], destinato alla protezione del circuito forza motrice; • 1 interruttore magneto termico di corrente nominale pari ad In=10 [A], destinato alla protezione del circuito luce. Gli interruttori automatici La protezione delle persone e delle cose, rispetto a possibili eventi di incidente o danno causati dalla corrente elettrica, è demandata a particolari apparati denominati “interruttori automatici”. L'interruttore automatico è un dispositivo che provvede ad “aprire” il circuito, interrompendo così il passaggio della corrente elettrica, in particolari condizioni di malfunzionamento dell'impianto che potrebbero causare surriscaldamento delle linee, incendi ed infine folgorazione per le persone che, accidentalmente, dovessero entrare in contatto con la parte di impianto danneggiata. In generale le condizioni di malfunzionamento del sistema elettrico sono: • sovraccarico; • corto circuito. Sovraccarico La condizione di sovraccarico si verifica quando in un impianto elettricamente sano si stabiliscono, transitoriamente, correnti superiori alla portata massima della conduttura, ovvero superiori al valore di corrente che il cavo può sopportare senza subire alcun danno. Il sovraccarico spesso è originato da transitori di avviamento degli utilizzatori, o da condizioni di funzionamento anomale dell’impianto. Si pensi alla messa in marcia di motori asincroni trifase, essi all’avviamento richiamano una corrente, detta corrente di spunto, avente valore 6-7 volte il valore della corrente nominale del motore, tuttavia tali correnti elevate durano poche frazioni di secondo quindi è sufficiente aumentare la sezione del cavo rispetto a quella che si otterrebbe con un dimensionamento fatto con la sola I n del motore. Ulteriori esempi di funzionamento anomalo dell’impianto sono: • errata valutazione del coefficiente di contemporaneità che stimato in difetto, porta ad un sottodimensionamento delle condutture dell’impianto, che poi si troveranno a sopportare un carico maggiore di quello previsto in progetto; • utilizzatori guasti, il contatto tra le fasi in fondo alla linea rappresenta di fatto un corto circuito, ma dal punto di vista dell’entità della corrente, che risulta limitata da una grande impedenza (quella della linea e delle apparecchiature interposte tra punto di guasto e alimentazione) può essere trattato come un sovraccarico. Corto circuito Il corto circuito si verifica quando entrano in contatto due o più conduttori a potenziale diverso, esso può instaurarsi ad esempio, quando si verifica un difetto di isolamento, in queste condizioni si assiste al passaggio di correnti elettriche di elevato valore. Situazioni di tal genere, estremamente pericolose, in passato si sono verificate durante l'effettuazione di lavori di scavo durante i quali, le pale meccaniche hanno inavvertitamente tranciato condutture elettriche non segnalate. Il corto circuito insorge anche quando in alcuni apparecchi utilizzatori si verifica una perdita di isolamento, per esempio la cassa esterna di una lavatrice potrebbe assumere valori di potenziale pericolosi per gli utenti che dovessero toccarla. Struttura fondamentale degli interruttori automatici L’interruttore automatico è dunque un importantissimo presidio per la sicurezza delle persone e delle cose, ad esso sono delegate le funzioni di: • interrompere la corrente di corto circuito; (protezione) • interrompere la corrente di sovraccarico; (protezione) • inserire o disinserire parti dell’impianto. (manovra) Nella sua tipologia più semplice esso è dotato di un circuito magnetico in prossimità del quale è presente un’ancora mobile. In condizioni di corto circuito, il circuito magnetico (praticamente un elettromagnete) viene alimentato da una frazione della corrente di guasto, si induce così sull’ancora mobile una azione di richiamo che determina l’apertura del circuito, tale meccanismo viene detto relè magnetico. L’intervento in caso di sovraccarico viene attuato da una lamella formata da due sottili lastre di diverso materiale metallico incollate tra loro. Sotto l’effetto termico della corrente esse tendono a dilatarsi, ma il differente coefficiente di espansione termica dei due metalli fa sì che esse si inflettano, in tal modo viene provocata una vistosa curvatura che determina la apertura dei contatti (relè termico). Esiste anche una camera di estinzione dell’arco, durante l’apertura dei contatti l’arco si allunga ed in questa fase esso attraversa la camera di estinzione, che costruita in materiale isolante e suddivisa in setti, permette il raffreddamento ed il frazionamento dell’arco, così da creare le condizioni ottimali per lo spegnimento di esso. 89 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Dal punto di vista costruttivo esso viene rappresentato nella figura 1, recante uno spaccato che mostra le parti interne dell’interruttore delle quali è già stata illustrata la funzione. Sulla base dei loro tempi di intervento, gli interruttori vengono classificati in: interruttori lenti aventi tempi di circa 60-100 millesimi di secondo (l’elevato tempo di interruzione impone che la loro installazione, per esigenze di selettività, sia operata a monte dell’impianto p.es. interruttore generale per utenze industriali, interruttore cabina lato bassa tensione), rapidi con tempi di 12-13 millesimi di secondo (utilizzati tipicamente per presidiare impianti utilizzatori), limitatori caratterizzati da un tempo di interruzione pari a 0.6-0.9 millesimi di secondo (utilissimi quando è necessario limitare l’integrale di Joule e quindi potere utilizzare conduttori con sezione piccola). Per comprendere meglio il funzionamento dell’interruttore e potere determinare una scelta corretta per difendere gli impianti dalle conseguenze di sovraccarichi e corto circuiti è indispensabile conoscere la curva caratteristica d’ intervento dell’interruttore magneto-termico. Curva caratteristica di intervento La curva caratteristica di intervento degli interruttori automatici viene rappresentata su un sistema di assi cartesiani, graduato tramite una scala logaritmica (al fine di contenere le dimensioni del grafico) e rappresenta graficamente i tempi di intervento dello specifico interruttore in relazione alle sovracorrenti che, a seconda dei casi, sono sovraccarichi o corto circuiti. La normativa CEI 23-3 raggruppa gli interruttori automatici, in tre grandi famiglie, individuate tramite il tipo di curva caratteristica di intervento, esse sono la curva B, curva C e la curva D. La differenza fra le tre curve risiede nella soglia di intervento del relè magnetico, che per la curva B è 3 In ÷ 5 In , per la curva C è 5 In ÷ 10 In (il caso della figura 2) mentre per la curva D è 10 In ÷ 20 In . Come si può notare la curva caratteristica dell’interruttore si compone di due parti, una vera e propria curva ed una sorta di gradino rettilineo. Esaminando la figura si nota che per valori di corrente fino a circa 5 volte la corrente nominale, interviene solamente la lama bimetallica o termico dell’interruttore, secondo i tempi desumibili dalla curva, per valori della corrente di guasto che superano di 10 volte la corrente nominale dell’interruttore, si ha l’intervento della parte magnetica dell’interruttore, in questo caso il tempo di interruzione è sempre lo stesso all’aumentare della corrente, circa 1 centesimo di secondo. 90 Figura 1 - Interruttore magneto termico (Pubblicazione BTicino) Ogni curva caratteristica si compone di due curve simili che delimitano una zona (nella figura 2 tale zona è stata campita in grigio), tali curve rappresentano, sinteticamente, i valori della corrente di sicuro intervento (curva superiore) If e della corrente di sicuro non intervento Inf (curva inferiore). Figura 2 - Curva caratteristica di intervento di un interruttore automatico (Pubblicazione BTicino) Corrente nominale In: è individuata dal valore 1 sulla ascissa del sistema cartesiano, tale corrente non genera mai l’intervento della protezione, infatti la verticale condotta per il valore 1 non interseca la curva caratteristica; Corrente convenzionale di non intervento Inf : considerando il tempo convenzionale di intervento T (1 ora per interruttori fino a 63A) e 2 ore per gli interruttori di taglia maggiore, si conduce la retta orizzontale di ordinata pari a T fino ad intersecare la curva più bassa tra le due componenti la caratteristica, da tale punto di intersezione si traccia la verticale e si stacca sull’asse delle ascisse il valore della corrente di non intervento Inf. Sotto tale valore il dispositivo non deve intervenire e quindi la protezione dell’interruttore è operante per correnti di valore maggiore di Inf. Tipicamente i valori che si incontrano per questa grandezza sono 1.05 In ÷ 1.10 In . Corrente convenzionale di intervento If : è il valore della corrente che fa sicuramente intervenire l’interruttore entro il tempo convenzionale T fissato dalla norma, il metodo da usare per individuarne il valore è simile a quello utilizzato per determinare la corrente Inf, valori tipici di tale grandezza sono 1.25 In ÷ 1.45 In. I dati di targa degli interruttori Le principali caratteristiche tecniche degli interruttori automatici sono desumibili dai dati presenti sulla targa dell’ interruttore. La targa degli interruttori viene solitamente apposta, tramite una targhetta adesiva, sulla parte frontale. Nella targa il costruttore riporta i seguenti dati: la corrente nominale dell’interruttore (nell'esempio di figura 3 tale valore è pari a 20 A) preceduta da una lettera identificativa della tipologia di curva (curva di intervento di tipo C 5In ÷ 10In). Viene indicato, all’interno di un rettangolo, anche il potere di corto circuito nominale Icn del dispositivo (nell'esempio pari a 6000 A), rappresenta il massimo valore della corrente di corto circuito che un interruttore può sostenere nella sequenza di prova O-t-CO, ovvero [(O) apertura-(t) tempo deionizzazione contatti - (C) chiusura(A) apertura]. Infine la targa reca una rappresentazione circuitale dei contatti, dalla quale si evince a quanti poli è estesa la protezione ovvero se il dispositivo in caso di intervento è predisposto per l'apertura di un solo polo (in tal caso si parla di un solo polo protetto) oppure il dispositivo comanda l'apertura di entrambe i poli (come nell'esempio della figura 3, due poli protetti). Figura 3 - Targa (Pubblicazione BTicino) Selettività di intervento La corretta comprensione ed impostazione di questo fenomeno è basilare per la progettazione di un impianto che possa garantire alti livelli di continuità del servizio. Si consideri un impianto, che sia stato suddiviso in un certo numero di livelli (p.es. ne ipotizziamo tre che denominiamo A, B, C), all’origine di ogni livello viene installata una opportuna protezione con il compito di difendere la propria porzione di impianto sia da sovraccarichi che da corto circuiti (interruttore magnetotermico). Selettività di intervento tra interruttori significa che se si dovesse verificare un guasto a valle dell’interruttore C, l’unico interruttore che deve intervenire è solo il C, non l’interruttore A e nemmeno l’interruttore B, in questi due ultimi casi infatti, avremmo una inutile estensione del fuori servizio anche a parti dell’impianto che sono elettricamente sane. Si pensi al caso di due interruttori A e B, le cui caratteristiche di intervento siano quelle riportate in figura 4, i due interruttori risultano totalmente selettivi. Ne consegue che, affinché due interruttori siano selettivi tra loro in modo totale, le loro caratteristiche di intervento, non dovranno mai intersecarsi, quella sovrastante sarà relativa all’interruttore più lento (nella fig. 4 sarà l’interruttore A) quella sottostante sarà relativa all’interruttore che invece interverrà per primo (nella fig. l’interruttore B). Figura 4 - Caratteristiche di intervento relative a due interruttori tra loro totalmente selettivi (Pubblicazione BTicino) Interruttore differenziale L’enorme diffusione ed utilizzazione dell’energia elettrica cui si è assistito negli ultimi anni, congiuntamente all’elevato tasso di incidenti mortali da elettricità, ha imposto l’esigenza di studiare una protezione di tipo attivo nei confronti delle conseguenze, spesso mortali, di contatti tra parti in tensione e corpo umano. Furono le esperienze condotte dal Dalziel ad aprire la strada alla realizzazione di quello che sarebbe poi stato denominato interruttore differenziale. 91 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Dal punto di vista costruttivo, esso si presenta come un elemento, in genere toroidale, (nucleo) realizzato in materiale ferromagnetico intorno al quale sono avvolti due avvolgimenti che sono direttamente alimentati dalla corrente che fluisce nella fase (o nelle fasi), in particolare un avvolgimento sarà alimentato dal conduttore di andata (fase) e l’altro dal conduttore di ritorno (neutro). Sullo stesso elemento ferromagnetico, è avvolto un ulteriore avvolgimento collegato ad un relè che comanda l’apertura dei contatti dell’interruttore. In condizioni ordinarie, la corrente proveniente dal conduttore di andata e quella che si chiude sul conduttore di ritorno sono caratterizzate dallo stesso valore, esse alimentano i rispettivi avvolgimenti e danno luogo alla generazione di due flussi magnetici di uguale intensità ma di verso opposto, quindi la risultante dei citati flussi magnetici nel nucleo è nulla, ne consegue che è nullo anche il flusso concatenato con il terzo avvolgimento collegato al relè di apertura. In queste condizioni non sarà indotta alcuna corrente nell’avvolgimento collegato al relè ed i contatti rimarranno chiusi. Quando si verifica il contatto tra una parte in tensione ed il corpo umano oppure un danno all’isolamento dei conduttori, con conseguente dispersione a terra della corrente, si verifica uno squilibrio nel valore di intensità di corrente tra la “via di andata” e quella di “ritorno” della corrente. Il bilancio tra la corrente che parte dalla sorgente e quella che ritorna ad essa non è più equilibrato, tale squilibrio genera un flusso magnetico (questa volta diverso da zero) nella parte toroidale. Esso induce una nuova corrente elettrica nell'avvolgimento toroidale collegato al relè di sgancio, che ne verrà quindi sollecitato e che per tale motivo comanderà l'apertura del circuito. In condizioni generali di danno all’isolamento la somma dei flussi magnetici all'interno del nucleo sarà diversa da zero, concatenandosi con il terzo avvolgimento darà luogo ad una corrente che alimentando l’apposito relè, provocherà l’apertura dei contatti eliminando così la situazione di pericolo. Nel dettaglio i principali parametri che caratterizzano l’interruttore differenziale nelle sue tipiche realizzazioni: • differenziale puro; in questa tipologia di interruttore, è presente solamente un relè differenziale che rilevando la corrente di dispersione comanda l’apertura dei contatti dell’interruttore cui è accoppiato. è chiaro che questa realizzazione non è adatta alla protezione dal sovraccarico e dal corto circuito; 92 • magneto – termico – differenziale; si tratta di una tipologia di interruttore che consente una protezione totale delle apparecchiature e delle persone, infatti l’interruttore oltre ad essere accoppiato con relè di tipo termico e magnetico, cui è delegata la protezione, rispettivamente, dal sovraccarico e dal corto circuito, presenta anche un modulo differenziale posto a guardia dei guasti a terra; • corrente differenziale IDn; identifica il valore della corrente di dispersione a terra che il relè può individuare, proprio questo valore permette di ripartire gli interruttori differenziali in interruttori: - ad alta sensibilità: aventi valori della corrente differenziale minore di 30 mA, sono quindi ad alta sensibilità gli interruttori differenziali caratterizzati da IDn pari a 0,005A; 0,01A; 0,03A; - a bassa sensibilità: sono quelli aventi IDn maggiore di 0,03A, anche essi hanno taglie standard che sono: 0,1A; 0,3A; 0,5A; 1A; 2A; 5A. • corrente nominale In: rappresenta il valore della corrente che può fluire negli avvolgimenti toroidali senza causare danni all’interruttore, i suoi valori sono: 6A, 10A, 16A, 20A, 25A, 32A, 40A, 50A, 63A, 75A, 100A. • tensione nominale: indica il valore di tensione per cui sono isolati e, conseguentemente il valore della loro tensione di esercizio, trattando in questa parte le apparecchiature di bassa tensione, l’unico valore che riportiamo è 220/380 V. A conclusione della panoramica condotta sull’interruttore differenziale, è opportuno richiamare all'attenzione che sul mercato è possibile scegliere tra interruttori che possono rilevare diverse tipologie di corrente differenziale. In particolare si hanno i dispositivi di tipo AC, caratterizzati dal fatto che essi possono rilevare correnti di guasto di tipo alternato applicate istantaneamente o lentamente crescenti. Sono diffusamente applicati nel campo della protezione differenziale degli impianti di tipo domestico, tuttavia è importante rilevare che in presenza di correnti di guasto aventi componenti continue, tale interruttore non riesce ad intervenire. Interruttori di tipologia A, sono in grado di garantire la stessa tipologia di difesa offerta dagli interruttori di tipo AC, in aggiunta essi sono in grado di rilevare, ovvero intervenire, anche in presenza di correnti di guasto alternate aventi componenti di guasto unidirezionali, quali sono quelle generate negli impianti che alimentano apparecchiature di tipo elettronico (p.es. banche, supermarket, centri elaborazione dati ecc.). Interruttori di tipologia S, si tratta, come facilmente lascia intuire la lettera S, di interruttori di tipo selettivo, che sono dotati di dispositivi di ritardo intenzionale. L’identificazione del tipo di interruttore differenziale, relativamente alla forma della corrente di guasto interrotta: A, AC, S, può essere compiuta rintracciando sulla targa uno dei simboli riportati nella figura 5. Figura 5 - Tipologie di corrente di guasto rilevate (Pubblicazione BTicino) I cavi elettrici Con la parola “cavi” si intendono quei conduttori che, a filo unico o a più fili, oppure sotto forma di corda, vengono impiegati per il trasporto dell’energia elettrica. I cavi elettrici sono costituiti da una serie di elementi ed ognuno di essi svolge una specifica funzione all'interno della struttura. Nella sua forma più generale il cavo è costituito da: • conduttore; esso è di forma cilindrica ed è formato tramite un processo di estrusione. Il materiale impiegato per i conduttori dei cavi è molto spesso il rame elettrolitico, aggettivo che indica un grado di purezza del 99,99%. Più raramente si possono incontrare dei conduttori formati in alluminio o sue leghe (spesso utilizzati per il trasporto di ingenti quantità di potenza su lunghe distanze p.es. attraversamento dello stretto di Messina). Ai fini del presente testo, parlando di cavi si intenderà indicare solamente quelli in rame. Il dimensionamento della sezione del conduttore viene condotto in base alla potenza elettrica (e quindi alla corrente) che esso dovrà trasportare senza raggiungere temperature tali da danneggiare l’isolamento; • isolante; esso ha la funzione di isolare elettricamente il conduttore dagli altri conduttori, in caso di cavo multipolare, o da possibili contatti con persone o parti metalliche in genere. è intuitivo che, dovendo esso garantire alti valori della rigidità dielettrica (ovvero del potere isolante) il materiale ed il suo spessore varierà da caso a caso, in funzione del livello di tensione per il quale viene impiegato; • schermo; nel settore delle medie e delle alte tensioni può essere necessario dare una certa uniformità alla distribuzione del campo elettrico nelle vicinanze del cavo, il tutto al fine di sfruttare al massimo le proprietà dielettriche del materiale isolante. Per garantire questo effetto, i costruttori di cavi inseriscono, tra l’isolante e la guaina esterna, uno strato di rivestimento metallico, realizzato con avvolgimenti elicoidali di nastri metallici oppure con calze metalliche; • armatura; il suo scopo è quello di difendere il cavo da eventuali danni di tipo meccanico possibili in particolari modalità di posa come per esempio la posa interrata. Molto spesso si utilizzano cavi dotati di tale particolarità per difendere il cavo stesso dall’azione di roditori che potrebbero altrimenti arrecare gravi danni. • guaina; la sua funzione è quella di protezione meccanica, ovvero deve difendere il cavo dagli effetti indesiderati di possibili abrasioni ed in una certa misura anche da possibili aggressioni di tipo chimico. Anche in questo caso bisognerà fare uno studio del tipo di ambiente che ospiterà il cavo, infatti le azioni possibili su un cavo elettrico installato in un cantiere sono prevalentemente di tipo meccanico, mentre quelle che possono interessare un cavo installato in una fabbrica di vernici sono prevalentemente di tipo chimico. Per questi motivi bisognerà stare molto attenti nella scelta del tipo di cavo anche in relazione alla tipologia di materiale della sua guaina; • filo marchio HAR ed IMQ; è un segno di riconoscimento per distinguere cavi nazionali e cavi armonizzati. Molto spesso i conduttori di un cavo vengono anche chiamati anime, quindi un cavo a tre conduttori o tripolare viene anche detto a tre anime. Figura 6 - Esempio di struttura fondamentale di un cavo elettrico 93 ANNO IV | n. 21 | MAGGIO - GIUGNO 2012 Le sigle di designazione dei cavi elettrici Per potere individuare le varie tipologie di cavi elettrici presenti sul mercato, si è deciso di attribuire ad ognuno di essi una sigla particolare la quale raccoglie una serie di informazioni sul cavo stesso che vanno dalla sua formazione, alla sezione dei suoi conduttori fino alla designazione dei materiali impiegati per la sua fabbricazione. Le regole con cui costruire tali sigle, e quindi denominare i cavi, sono state dettate da due normative, oggi entrambe vigenti, in particolare la norma CEI UNEL 35011 e la norma CENELEC HD 361 recepita dall’Italia attraverso la norma CEI 20-27. E' opportuno precisare in anticipo che per potere comprendere appieno il significato delle varie sigle è necessario conoscere in dettaglio la loro chiave di lettura, per tale motivo si riportano nella pagina seguente le tabelle relative alle due normative citate. Nella tabella relativa alla norma CENELEC HD 361 (CEI 20-27) si parla di tensione nominale di un cavo, tale grandezza definisce il massimo valore di tensione cui il cavo può essere sottoposto durante l’utilizzazione garantendo l’isolamento verso l’esterno se unipolare e tra le fasi se multipolare. Tale grandezza viene fissata con due valori di tensione U°/U che definiscono rispettivamente: U° = tensione nominale di isolamento tra una fase e terra U = tensione nominale di isolamento tra le fasi di un cavo trifase o tra le fasi di tre conduttori unipolari. Come applicazione delle due tavole di lettura proposte, seguono qui a fianco alcuni esempi di lettura di sigle relative a cavi usati molto spesso nella impiantistica elettrica civile. 94 N1VV-K Norma di riferimento: Cavo di tipo nazionale (N); Tensione nominale: Tensione nominale di isolamento Uo/U = 0,6/1 kV (07); Materiale isolante: Polivinilcloruro (PVC) (V); Rivestimenti metallici: non presenti; Armatura: non presente; Guaina non metallica: Polivinilcloruro (PVC) (V); Componenti costruttivi: cavo rotondo (nessun segno); Materiale del conduttore: Rame (non è presente alcun segno); Forma del conduttore: Conduttore flessibile di un cavo per servizio fisso (K); H03VV-F Norma di riferimento: Cavo conforme a norme europee (H); Tensione nominale: Tensione nominale di isolamento Uo/U = 300/300 V (03); Materiale isolante: Polivinilcloruro (PVC) (V); Rivestimenti metallici: non presenti; Armatura: non presente; Guaina non metallica: Polivinilcloruro (PVC) (V); Componenti costruttivi: cavo rotondo (nessun segno); Materiale del conduttore: Rame (non è presente alcun segno); Forma del conduttore: Conduttore flessibile di un cavo flessibile per servizio mobile (F); H03VVH2-F Norma di riferimento: Cavo conforme a norme europee (H); Tensione nominale: Tensione nominale di isolamento Uo/U = 300/300 V (03); Materiale isolante: Polivinilcloruro (PVC) (V); Rivestimenti metallici: non presenti; Armatura: non presente; Guaina non metallica: Polivinilcloruro (PVC) (V); Componenti costruttivi: cavo piatto non divisibile (H2); Materiale del conduttore: Rame (non è presente alcun segno); Forma del conduttore: Conduttore flessibile di un cavo flessibile per servizio mobile (F). Sistema di identificazione dei cavi nazionali italiani secondo CEI UNEL 35011 Grado di flessibilità del conduttore F FF R S U E G G7 G9 Natura e qualità dell’isolante R R2 R3 R7 H Schermi Armature Natura della guaina H1 H2 A F N Z E G R M1 Forma dei cavi Eventuale organo portante O d X W S Y Corda flessibile Corda flessibilissima Corda rigida Corda settorale Filo unico Isolante a base di polietilene Isolante a base di gomma naturale e/o sintetica Isolante a base di gomma etilenpropilenica Isolante a base di elastomero reticolato a basso sviluppo di fumi e gas tossici e corrosivi Isolante a base di polivinilicloruro a temp. caratteristica di 70 °C qualità TI1-TI2 Isolante a base di polivinilicloruro a temp. caratteristica di 70 °C qualità R2 Mescola isolante a base di polivinilcloruro per 105 °C Mescola isolante a base di polivinilcloruro a temperatura caratteristica di 90 °C qualità TI3 Schermo di carta metallizzata o carta carbone o nastro di alluminio Schermo a nastri o piattine o fili di rame Schermo a treccia o calza di rame Armatura a treccia o calza di rame Armatura a fili cilindrici, normalmente in acciaio Armatura a nastri, normalmente in acciaio Armatura a piattine di acciaio Guaina in polietilene Guaina in gomma naturale e/o sintetica Guaina a base di polivinilcloruro Guaina a base di materiale termoplastico a basso sviluppo di fumi e gas tossici e corrosivi Cavo a forma cilindrica Cavo a forma appiattita Anime riunite ad elica visibile Cavo piatto divisibile Organo portante generalmente metallico incorporato nella guaina Organo portante tessile o metallico, incluso tra le anime o legato esternamente al cavo Sistema di designazione dei cavi armonizzati secondo CENELEC Hd 361 (CEI 20-27) Riferimento delle norme H A N 00 01 Tensione nominale Materiale usato per l’isolante e per le guaine 03 05 07 1 E N Q R V V2 V3 V4 V5 X C4 Schermi C5 C7 Armature Forma costruttiva del cavo C8 Z2 Z3 Z4 Z5 H H2 H3 H5 H6 H7 d F Grado di flessibilità del conduttore H K R U Cavo conforme a norme armonizzate Cavo di tipo nazionale riconosciuto Cavo di tipo nazionale Minore di 100/100 Volt Superiore a 100/100 V ed inferiore a 300/300 V 300/300 V 300/500 V 450/750 V 0,6/1 kV Polietilene Policloroprene Poliuretano Gomma PVC di uso comune PVC per temperature di funzionamento di 90 °C PVC per cavi installati a bassa temperatura PVC reticolato PVC resistente all’olio Polietilene reticolato Schermo a treccia di rame sull’insieme delle anime Schermo a treccia di rame sulle singole anime Schermo a rame costituito da fili o piattine o nastri Schermo come C7 sulle singole anime Armatura a fili rotondi di acciaio Armatura a piattine di acciaio Armatura a nastri di acciaio Treccia di fili di acciaio Cavi piatti divisibili, con o senza guaina Cavi piatti non divisibili Cavi piatti con anime distanziate da un listello Cavo costituito da una o più anime cordate a spirale visibile Cavo piatto avente tre o più anime, secondo HD 359 Cavo con isolante in doppio strato applicato per estrusione Conduttore flessibile di cavi per saldatrici Conduttore flessibile per cavi per installazioni mobili (classe 5 IEC 228) Conduttore flessibilissimo per cavi per installazioni mobili classe 6 IEC 228) Conduttore flessibile per cavi per installazioni fisse (classe 5 IEC 228) Conduttore rigido, rotondo, a corda Conduttore rigido, rotondo, a filo unico 95 NEWS GREEN BUILDING InstantHouse “Temporary Housing”: primo premio a progetto che porta il legno ecosostenibile in città Sono stati decretati i vincitori dell’edizione 2012 del concorso InstantHouse “Temporary Housing”, promosso da FederlegnoArredo in collaborazione con il Politecnico di Milano per MADE expo, la manifestazione internazionale dedicata all’edilizia e al mondo del progetto e dell’architettura, durante la quale saranno esposti, dal 17 al 20 ottobre a Fiera Milano Rho, i progetti vincitori e quelli che hanno ottenuto una menzione speciale. Ad aggiudicarsi il primo premio è l’italiano Andrea Di Marino, della Facoltà di Architettura Luigi Vanvitelli di Aversa, con un progetto innovativo, rispondente alle esigenze di temporaneità di abitazione e rispetto ambientale. Una struttura abitativa che può accogliere al proprio interno diverse configurazioni, trasformando con originalità un semplice allineamento di piccole abitazioni, collegate tra loro da una luminosa passeggiata protetta da una struttura lignea in grado di rilasciare energia. Il secondo premio è andato alle tedesche Julia Jordan e Margitta Wagner della University of applied sciences Wurzburg-Schweinfurt, con un progetto che crea una vera e propria isola verde nella maglia urbana, ribaltando i classici rapporti tra edificato e verde urbano. L’aspetto più interessante per la giuria è stato proprio l’ibridazione tra edificio e parco, una convivenza votata all’ecosostenibilità e al vivere naturale in città. Terzo posto al progetto del gruppo costituito da Linfan Liu, The State University of New York at Buffalo e Gregory Serweta, Cornell University. La proposta si basa su una piazza a doppia altezza che consente la presenza di volumi abitabili al suo interno rappresentando un interessante connubio di pubblico e privato. ASTRONOMIA Scoperto “sosia” del Sistema solare Annuncio di un gruppo di ricerca USA E' stato scoperto un “sosia” del Sistema Solare, i cui pianeti ruotano intorno alla loro stella con una configurazione simile a quella del nostro sistema planetario. La scoperta si deve a un gruppo di ricerca statunitense coordinato da Roberto Sanchis-Ojeda, del Massachusetts Institute of Technology (MIT) ed è stata possibile grazie al telescopio spaziale Kepler della Nasa. Secondo quanto illustrato dalla prestigiosa rivista Nature, i pianeti orbitano intorno alla stella chiamata Kepler-30 simile al Sole e, come sostengono gli esperti, è la prima volta che viene scoperto un sistema planetario del genere e i dati possono essere considerati illuminanti per poter meglio capire la struttura dei sistemi planetari e la loro formazione. 96 Il sistema extrasolare individuato è formato da tre pianeti, Kepler-30b, Kepler-30c, Kepler-30d (in riferimento alla loro stella). Sono tutti notevolmente più grandi della nostra Terra e si muovono secondo un’orbita allineata all’equatore solare, presumibilmente, è stato spiegato, perché si sono formati da un unico disco gassoso. PER UNA NECESSARIA PIANIFICAZIONE DELLE SPESE POSTALI, IL NOSTRO BIMESTRALE, CHE IN PASSATO VENIVA INVIATO GRATUITAMENTE A TUTTI I GEOMETRI LIBERI PROFESSIONISTI, POTRÀ ESSERE RITIRATO PRESSO GLI UFFICI DEI COLLEGI DI APPARTENENZA. 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MOdULO RICHIESTA INVIO GRATUITO GEOCENTRO/magazine Nome Collegio di appartenenza N° Iscrizione Albo Città Via/Piazza Telefono Data Fax 06.42005441 Cognome Cap N° e-mail Firma 97 NEL PROSSIMO NUMERO GEOMATICA “Geomatica ed oltre …” Luigi Mussio/Rossella Nocera PROTAGONISTI Addio a Carlo Rambaldi Premio Oscar Creatore di “E.T.” GREEN BUILDING 13a Mostra internazionale di Architettura Biennale di Venezia Padiglione Italia INNOVAZIONE La Casa del Futuro “attiva con il pensiero” IDEE “Vivere la famiglia e le sue contraddizioni …” Silvia Vegetti Finzi Festival dell’Economia … e tanti altri interessanti articoli che illustrano lavori ed interventi dei Geometri liberi professionisti. 98