Incontri 3bis web-2012:Layout 1
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Lettera di una madre al figlio Se un giorno mi vedrai vecchia, se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi… abbi pazienza. Ricorda il tempo che ho trascorso a insegnartelo. Se quando parlo con te, ripeto sempre le stesse cose... non m’interrompere... ascoltami. Quando eri piccolo, dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché non ti addormentavi. Quando non voglio lavarmi non biasimarmi e non farmi vergognare… ricordati quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il bagno. Quando vedi la mia ignoranza delle nuove tecnologie, dammi il tempo necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico, ho avuto tutta la pazienza per insegnarti l’abc. Quando a un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso... dammi il tempo necessario per ricordare e se non ci riesco non t’innervosire... la cosa più importante non è quello che dico ma il mio bisogno di essere con te e averti lì che mi ascolti. Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il tuo passo non trattarmi come fossi un peso. Vieni verso di me con le tue mani forti nello stesso modo con cui io l’ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi. Quando dico che vorrei essere morta... non arrabbiarti un giorno comprenderai che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire che alla mia età non si vive si sopravvive. Un giorno scoprirai che nonostante i miei errori ho sempre voluto il meglio per te, che ho tentato di spianarti la strada. Dammi un po’ del tuo tempo, un po’ della tua pazienza. Dammi una spalla su cui poggiare la testa allo stesso modo in cui io l’ho fatto per te. Aiutami a camminare, a finire i miei giorni con amore e pazienza in cambio io ti darò un sorriso e l’immenso amore che ho sempre avuto per te. Ti amo figlio mio e prego per te anche se m’ignori. La tua mamma Fondato nel 1948 Anno 64° n. 3 - settembre 2012 Sped. in abb. postale comma 20, lett. C, Art. 2 - Legge 662/96 Taxe perçue -Tariffa riscossa To C.M.P. QUANDO UNA GOCCIA RIEMPIE IL MARE LA LA CITTÀ CITTÀ NASCOSTA NASCOSTA IL IL CUORE CUORE DI DI UN UN BARBONE BARBONE LETTERA LETTERA DI DI UNA UNA MADRE MADRE AL AL FIGLIO FIGLIO Il punto 3 Uomo, ce la puoi fare! S OMMARIO Il punto Don Roberto Provera 4-5 Periodico della Famiglia Cottolenghina e degli ex Allievi e Amici della Piccola Casa n. 3 settembre 2012 Periodico quadrimestrale Sped. in abb. postale Comma 20 lett. C art. 2 Legge 662/96 Reg. Trib. Torino n. 2202 del 19/11/71 Indirizzo: Via Cottolengo 14 10152 Torino - Tel. 011 52.25.111 C.C. post. N. 19331107 Direzione Incontri Cottolengo Torino Direttore Onorario Don Carlo Carlevaris Direttore responsabile Don Roberto Provera Amministrazione Avv. Dante Notaristefano Segreteria di redazione redazione.incontri@cottolengo.org nuovo indirizzo mail redazione Salvatore Acquas Mario Carissoni collaboratori Mauro Carosso Fr. Beppe Gaido La redazione 6-7 Stampa Tipografia Gravinese Corso Vigevano 46 - Torino Tel. 011 28.07.88 La Redazione ringrazia gli autori degli articoli, particolarmente quelli che non è riuscita a contattare. Basta prestare i vestiti agli angeli Redazione 8-9 I volontari del Cottolengo Mario Carissoni 10-11 La città nascosta Don Andrea 12-13 La mia ora di preghiera Fratel Beppe 14-15 Un ospite speciale Mario Carissoni 16 Un archivio e una mostra per il Beato Francesco Paleari Don Carmine 17 Il Beato Francesco Paleari a Pisa G. Moreno 18 La Gentilezza Pasquale Ionata 19 Niente da fare. Tutto da fare Elena Granata 20-21 Il cuore di un barbone Isabella Giammoni 22 Annuncio tema pastorale Don Lino Piano 23 Giubileo d’oro Redazione 24 Un’esperienza di formazione Elisa, Federica, Letizia 25 Auguri Anna Redazione 26 L’aritmetica del cristiano Sr. M. Giacomini Stuani 27 Lettera di una infermiera 28-29 Ci hanno lasciati... Redazione Progetto grafico Salvatore Acquas Quando una goccia riempie il mare Redazione 30-31 Briciole di carità Redazione 32 Lettera di una madre a un figlio Redazione inserto speciale Storia di un piccolo prete Paolo Risso INCONTRI è consultabile su http://chaariahospital.blogspot.com/ Questa rivista è ad uso interno della Piccola Casa Cottolengo ame, violenza, guerra, terrorismo, sfruttamento, malattie, terremoti, analfabetismo, miseria ecc., ecc. ecc. e la lista potrebbe continuare. Ieri è stato così, oggi è così, domani sarà così: è questa la sorte ineluttabile dell’uomo sulla terra? La tentazione di rispondere sì è forte, ma... Mercoledì 11 luglio è comparso sull’Osservatore Romano alla pagina 5 un interessante articolo a firma di Franco Pulcini sulla Quinta Sinfonia di Beethoven, detta “Sinfonia del destino”. Anton Schindler, il segretario del Maestro, gli chiese cosa significassero le quattro note brutali con cui inizia la composizione e il musicista rispose: “Così bussa il destino alla porta!”. Pensiamo alla sordità che afflisse l’artista negli ultimi dieci anni della sua vita. Ma nella minacciosa Quinta il destino è infinitamente di più. “È il tumultuoso affacciarsi di forze oscure, di potenze avverse, di presenze che sembrano minare la nostra esistenza, aggredire la ragione con fantasmatiche superstizioni e paure. La sinfonia esprime l’irruzione di queste immagini sfuggenti che colonizzano la nostra mente, e dalle quali il pensiero non può liberarsi: l’idea fissa è un’incombente prospettiva di annientamento, che non lascia spazio a sogni tranquillizzanti, o a vagheggiamenti, o alle distrazioni dell’umorismo. Il richiamo del destino è implacabile, le sue nocche nodose non smettono di farci sussultare... Eppure... nel finale della F Quinta, il ‘destino del destino’ sarà proprio quello di essere spazzato via a sua volta, dopo aver esaurito la propria forza... La storia del tema del destino della Quinta sta tutta nel suo misurarsi con la capacità di resistenza dell’uomo, e alla fine a lui soccombere”... ‘L’uomo può sempre farcela!’, ci spiega Beethoven. La sua volontà, la luce della sua ragione alla fine hanno sempre la meglio; persino sullo strapotere iniziale di qualsivoglia entità avversa, da lui riassunta nel simbolo del destino” (Franco Pulcini). Tanto più l’uomo ce la può fare, perché Dio, il Creatore, l’Onnipotente, il Signore del mondo e della storia, è dalla sua parte. “Mi stringevano funi di morte, ero preso nei lacci degli inferi, ero preso da tristezza e angoscia. Allora ho invocato il nome del Signore: “Ti prego, liberami, Signore... Sì, Tu hai liberato la mia vita dalla morte, i miei occhi dalle lacrime, i miei piedi dalla caduta” canta il Salmo 116. Non è dunque utopica l’attesa operosa di un cielo nuovo e di una terra nuova. Alla ripresa delle attività dopo la pausa estiva INCONTRI augura a tutti voi, cari amici, di irradiare nel mondo gioia e fiducia, perché tutti gli uomini si aprano alla speranza di un mondo nuovo. Torino, 12 luglio 2012 Roberto Provera 4 N o t i z i Incontri e Quando una goccia riempie il mare... O ggi abbiamo ritirato la posta del nostro periodico e subito sfogliato quanto pervenuto. Un’operazione consuetudinaria necessaria, perché con la lettura dei bollettini di c.c. conosciamo l’offerente. Lo facciamo, non per curiosità o per ordinare una contabilità ragionieristica, ma per avere da subito, possibilità di soddisfare il dovere di ringraziare, chi generosamente contribuisce alla copertura dei costi che sosteniamo per la stampa. Scorriamo attentamente ogni bollettino, incontriamo nomi che pian piano, cominciano a esserci famigliari e altri nuovi, che andremo a inserire nell’elenco degli indirizzi per le spedizioni. Poi ancora soffermandoci con attenzione, verifichiamo anche se ci sono note con richieste o desideri da appagare, che se presenti, cercheremo di soddisfare immediatamente. Ed è proprio una di queste note, che dopo averci commossi sino alle lacrime, ha poi fatto di noi uomini felici; ci lascia questo scritto: “offerta per il giornalino. Mi rincresce non poter disporre tanto di più, come vorrei”. Pensate il cuore di questa creatura benedetta, quanto forte è in lei il desiderio di esserci, sentirsi parte della famiglia cottolenghina, con un senso del dovere tanto forte, da giustificare l’entità della sua offerta. Il nostro cuore è subito volato a Gerusalemme, nel Tempio, là dove Gesù, guardandosi attorno, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nella cassetta del tempio. Vide anche una povera vedova che vi gettava due monetine. Allora disse: “In verità vi dico: questa vedova, povera com’è, ha offerto più di tutti gli altri. Tutti costoro infatti hanno dato come offerta parte del loro superfluo, questa donna invece ha dato, nella sua miseria, tutto il necessario per vivere”. (Lc. 21 1,3) Non abbiamo il piacere di conoscere personalmente questa persona, ma ormai è come la conoscessimo da sempre. Da queste pagine desideriamo dirle che le vogliamo bene e ricambiamo riconoscenti tutto quello che Lei ci dona: “Il grande aiuto di cui abbiamo bisogno, la sua fedeltà, la sua amicizia!”. Quanto bene ci fa la vostra vicinanza, cari lettori; donateci la vostra presenza, accompagnateci e, con critiche e suggerimenti, diventate 5 collaboratori. È un appello che viene da lontano, dal numero 3 di Incontri 2 settembre 1987, tutt’ora valido: “Tutti possono collaborare, inviando notizie articoli e foto che riguardano la storia e la vita di persone e cose della Piccola Casa. La Direzione s’impegna a pubblicare il materiale ricevuto secondo il loro interesse e disponibilità di spazio. Chi volesse la restituzione del materiale lo faccia sapere al momento dell’invio”. “la sua fedeltà, la sua amicizia” Desiderio della redazione era ed è, che questo periodico diventi sempre meno nostro, sempre più cosa vostra! Quanto merita di essere conosciuto, diventi patrimonio di tutti, geograficamente magari separati e lontani dagli avvenimenti, non però dalla gioia della condivisione. Un abbraccio fraterno. La Redazione 6 Incontri T e s t i m o n i a n z e Basta prestare i vestiti agli Angeli: loro sapranno come utilizzarli Q uanti malati hai assistito in questi anni? Una quarantina. E una ventina li ho visti morire. È sempre un’esperienza straordinaria. Ogni volta ho la sensazione di essere di fronte al mistero. È come se lo toccassi ed è come se la Grazia mi toccasse. Perché dici che l’assistenza ti ha insegnato la felicità? In questi anni mi sono chiesto che cosa ho imparato. Tante cose: la pazienza, la capacità di valorizzare gli aspetti positivi, che non mancano mai anche nelle situazioni più drammatiche, la capacità di far tesoro di ogni momento. Quest’elenco però non mi appagava, fino a che mi è apparsa chiara la risposta sulla felicità. È un’affermazione paradossale. Qualcuno rimarrà incredulo, ma cosa posso farci se questa è realtà? L’affermazione può essere capita, purché non si confonda felicità con spensieratezza. Comunque per me non è una teoria, ma un’esperienza. L’esperienza di alcuni mediocri gesti eccezionali, che chiunque può compiere. Prova a raccontarla con poche parole... L’assistenza ai malati è stata una svolta per la mia vita. Prima, pensavo che per avere una gioia, fosse necessario allontanare il pensiero della sofferenza. Ora il mio atteggiamento è cambiato, perché ho sperimentato, quali straordinari risultati si ottengono portando un sorriso nel dramma. È lì che quel paradossale stato d’animo che chiamo felicità, mi ha conquistato ed ho capito che felicità e angoscia, non sono tra loro alternativi, possono convivere. Qual è stata la prima occasione di questa scoperta? La morte di un carissimo amico per un tumore al cervello. Nella fase terminale della lunga malattia, d’accordo con i famigliari, lo assistemmo in casa sua. Fu così che ritrovai un fratello, con il quale avevo sempre avuto buoni rapporti, ma un po’ distaccati. Ci guardavano negli occhi e penso che anche lui provasse un’emozione simile alla mia. Fu poi a esperienza compiuta, che mi accorsi con sorpresa di aver scoperto qualcosa di nuovo: I tre mesi dedicati al mio amico erano stati tra i più belli della mia vita e per quanto gli avessi dato, certamente avevo però ricevuto molto di più. Frequentemente, i malati sono descritti anche come sereni, svegli, desiderosi di rapporti umani, di tenerezza e d’intimità; raramente come intolleranti o depressi. Nei casi in cui il senso della sconfitta prende il sopravvento e l’angoscia copre le altre sensazioni, quando sembra che la malattia non lasci più tempo per niente… Allora si riflette, sul tempo sprecato, sulla verità di come ogni minuto è un’opportunità tutta da vivere. Ho vissuto tante testimonianze: in una di queste, l’ammalato dopo avere desiderato il suicidio, commuovendosi è arrivato ad affermare: «Certo che questa esperienza d’infinita tenerezza con mia moglie, se non fossi stato così male, non l’avrei mai sperimentata». Poi quella di Francesco, un architetto con moglie e due figli piccoli, che decidono di compiere una sorta di preparazione alla morte cui partecipa anche la moglie; un “seminario verso l’infinito” l’hanno denomina- to, «tanto, vicina o lontana che fosse in quel momento, la morte sarebbe alla fine giunta inesorabile, per entrambi». Vivendo il contatto continuo con la sofferenza, ho imparato a essere felice! Assistendo malati terminali, la mia avventura totalmente umana, ha trovato in essa soddisfazione, ed ho capito che “felicità o angoscia non sono in alternativa, possono convivere”... più di una volta fare volontariato accanto a chi soffre, aiuta a “coltivare felicità”. Per rimanere coinvolti, nell’assistenza ai malati terminali, basta semplicemente un pizzico di disponibilità, il resto maturerà nel tempo, poco a poco. L’importante è però farsi aiutare, non essere individualisti, lavorare assieme ad altri. La mia grande fortuna è stata quella di affiancare un’équipe di medici e infermieri, che alla professionalità seria, hanno abbinato l’importanza del praticare la giusta attenzione nei rapporti umani. Nello scorrere della mia esperienza, ho capito anche che l’assistenza ai malati è qualcosa che non si fa solo per gli altri, ma anche per se stessi, per scoprire e approfondire il senso della vita, lasciandoci aiutare da chi ha bisogno di aiuto. Non è un mestiere, un’attività, ma un’occasione per sperimentare ogni volta qualcosa di nuovo. Ed è inutile chiederci che cosa: nessun potrà dirlo se non farà direttamente personale esperienza. La disponibilità verso gli altri dovrebbe essere un atteggiamento normale e non è necessario essere santi, preparati e perfetti, o tipi in gamba particolarmente abili. Anche un mediocre qualunque può fare, a condizione di volerlo o di farlo. Per dirlo con una metafora, “basta prestare i vestiti agli angeli: loro sapranno come utilizzarli”. Per me ogni giornata è una sfida, ogni paziente che incontro mi porta alla riflessione di quanto deve essere terribile, sapere che la propria vita sta finendo; ed è questo che m’incoraggia a lavorare, a impegnarmi come posso utilizzando mezzi semplici. Basta una parola, un ascolto silenzioso, il palmo di una mano su un braccio steso. Non esistono tecniche scientifiche per dare conforto morale, occorrono due anime che s’incontrano, nel silenzio. La Redazione 7 8 I n c o n t r i S p i r i t u a l i t à I volontari del Cottolengo R iceviamo corrispondenza e questo nel bene o nel male, conforta il cuore dei poveri redattori. Naturalmente vi si trattano argomenti variegati e portano notizie che ci aggiornano su avvenimenti, piccoli o grandi non importa, che in qualche maniera interessano la vita della Piccola Casa. Mettendo insieme un po’ il tutto ritengo sia giusto dedicarvi un po’ di spazio, anche se qui porteremo il nostro interesse specialmente verso l’universo del volontariato cottolenghino. E tanto mi sembra quanto mai opportuno, anche perché maggio è stato tempo di votazioni per il rinnovo del Comitato Esecutivo. Le votazioni si sono svolte il giorno 9 maggio, precedute dall’approvazione dei bilanci della gestione 2011/2012; prima del congedo dell’assemblea è stata comunicata la notizia della recente creazione del sito Internet dell’Associazione: WWW.AVC-ONLUS.ORG. Nei primi giorni di giugno poi, completato lo spoglio dei voti, i quindici eletti si sono riuniti ed hanno nominato il Presidente. Per i prossimi cinque anni è stato eletto il sig. Antonio Pometto, il popolare Tonino, finalmente tolto dall’ombra serena della famiglia Santa Elisabetta e portato in Antonio Pometto, neo-presidente un campo più ampio, dove certamente continuerà a produrre frutti preziosi. Non ci rimane che esprimere a Lui e tutti i nuovi eletti, un fervido augurio di buon lavoro. Del primo volontariato permeato di un certo romanticismo, che molti hanno conosciuto in un passato neanche poi tanto lontano, rimane solo un bel ricordo; ma il Volontariato è sempre presente, colonna portante e grande realtà della Piccola Casa, con centinaia di presenze attive e sempre caratterizzate da gratuità e dono di presenza spontanea. Costituiscono un grande patrimonio, che tutti abbiamo il dovere di sostenere, oserei persino dire, proteggere. Mi sia ora qui concesso esprimere un personale desiderio, che abbraccia tutto il volontariato: “Rafforzare cooperazione e presenza in comunione, andare oltre il Presidio e i Padiglioni, costituire Famiglia”. Come nel loro piccolo fanno due famiglie, la femminile di Santa Elisabetta e quella maschile di Sant’Antonio, che con delle simpatiche iniziative e coinvolgendo anche familiari e amici, organizzano gite, scampagnate 9 e incontri, per festeggiare e far felici i nostri ospiti. Creano occasioni di condivisione, vivono in amicizia gioiosa e fraterna il servizio che li accomuna, manifestando la gioia dell’appartenenza alla famiglia cottolenghina e la consapevolezza di essere presenze vive, partecipi della serenità donata Basterebbe anche solo approfittare di quanto promuove l’Associazione. Un panorama ricco di proposte spalmate sull’intero anno formativo, che donano a tutti opportunità di crescita. Particolarmente poi a quanti vogliono dare alla loro presenza un peso maggiore, essere coinvolti nella sfera con le loro presenze. Parlano di una comunione che è possibile. I nostri volontari tutti, mettono generosamente a vista il loro cuore nel servizio; ma in alcuni casi tutto si ferma lì, non va oltre il breve incontro nei tempi della presenza nel reparto, ritornano spesso nella solitudine. Pure non mancano certo occasioni per entrare in comunicazione. della spiritualità cottolenghina, vivere completamente il respiro della Piccola Casa. Ma è importante che ognuno di noi metta qualcosa di suo nell’incontro con che gli sta vicino o che incontra. Rapportandoci, per crescere e migliorare in un impegno di buona volontà che ci coinvolga, tutti! Mario Carissoni 10 I n c o n t r i La città nascosta P e r s o n a g g i Q uando andavo in montagna con il campeggio della parrocchia, osservavo con una certa curiosità, nel piccolo paese, vicino a quel celeberrimo negozio che in questi piccoli luoghi fa da tabaccheria-edicola-drogheriacommestibili-giocattoli-articoli bagno, lo strano commercio che c’era tra i ragazzi del posto proprio lì davanti. Giornalini, fumetti, illustrazioni ben disposti sull’ultimo gradino di quella bottega e mi domandavo con una certa curiosità, da ragazzo di città, perché il padrone del negozio non cacciava quei“concorrenti in erba”. Poi vincendo la mia metropolitana timidezza mi accorgevo che più che una vendita di vecchi fumetti era uno scambio. Uno scambio di storie, di avventure, di emozioni sognanti tra eroi improbabili di un’America troppo lontana e di goffi personaggi nostrani sempre alle prese con qualche casalinga disavventura. Allora tra quelle montagne uno scolapasta diventava un elmetto e la baita abbandonata un rifugio da conquistare con dentro chissà quali tesori. E come era difficile poi tornare in città, dove era arduo correre alla conquista di qualche sognante castello trovare dei fumetti da condividere sulle scale ma solo da comperare per la generosità di mamma e papà. Poi il tempo passa e non è più il verde dei prati o il cemento della città che delimitano il confine dei sogni, ma le fatiche e gli ostacoli che la vita mette innanzi al cammino 11 di ogni persona. Diventa difficile ricominciare a sognare e tante volte non solo per problemi di Carta d’Identità. Ma i sogni non possono fermarsi, si trasformano a volte in percorsi irrazionali verso egoistiche conquiste, in passioni infantili ma anche verso ideali traguardi che ci riempiono il cuore. Con questo spirito abbiamo sognato un fumetto che non lasciasse cadere tutti quei sogni di umanità, di giustizia che hanno emozionato centinaia di vite in quel luogo speciale chiamato Piccola Casa. Così nasce La città nascosta, un progetto unico nel suo genere che non vuole raccogliere dei ricordi ma le emozioni vissute da quagli eroi silenziosi che hanno fatto bene al nostro mondo e che possono ancora oggi emozionare bambini e adulti per non far finire il tempo dei loro sogni... ma per aiutarci tutti insieme a realizzarli... svegliandoci per iniziare a renderli realtà!!! Buona Avventura!!! Bonsignori don Andrea Lunedì 30 aprile, si è svolta nella chiesa grande una solenne cerimonia per ricordare il 170° anniversa- rio dell’ascesa al cielo di San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Al termine dell’emozionante funzione, molti dei partecipanti si sono recati nel salone del cinema per un altro evento importante per tutta la Piccola Casa. È stato infatti “lanciato” in rete “La città nascosta”, un fumetto multimediale che descrive attraverso vignette significative e disegnate molto bene la vita all’interno della Piccola Casa, con gli ospiti protagonisti delle avventure. La novità è che il fumetto per ora non uscirà su supporto cartaceo, ma sarà fruibile solo su internet, ed esce in diverse lingue, tra cui l’Hindi, vista la diffusione del Cottolengo in diverse parti del mondo. Il progetto è stato realizzato grazie alla collaborazione tra la Regione Piemonte, l’Accademia Albertina di Belle Arti, l’associazione “Anonima fumetti” e naturalmente il Cottolengo. Al seguente indirizzo internet, potrete visionare il servizio realizzato da Rete7 sulla presentazione del fumetto: http://www.youtube.com/watch?v=4U2K-aJgjOw Buona visione! La redazione 12 N o t i z i I n c o n t r i e La mia ora di preghiera È così frequente per me non riuscire a partecipare alla preghiera comunitaria che è ormai un luogo comune dire che io a pregare non ci sono mai. Onestamente però lo sforzo lo metto davvero, ma spesso le circostanze m’impediscono di tradurre in fatti i miei desideri. Ieri per esempio, nonostante la pesantissima giornata in sala operatoria, sono riuscito a sgattaiolare via dall’ospedale verso le ore 19 e mi sono nascosto in cappella. Per i primi dieci minuti ho con forza lottato contro una tremenda botta di sonno che è abbastanza tipica per me ogni volta che mi sieda, dato il ritmo convulsivo delle giornate di Chaaria. Mi sono svegliato di soprassalto quando Fratel Dominic ha iniziato il rosario, ed ho deciso di assumere una posizione confacente allo stato di veglia. Mi sono seduto con la schiena ben eretta senza toccare il muro, in modo da non avere uno schienale che potesse favorire il mio impercettibile scivolamento tra le braccia di Morfeo. Ho anche cercato di non chiudere assolutamente gli occhi durante la recitazione delle “Ave Marie”. È andata abbastanza bene per la prima decina, ma non appena il confratello ha proclamato il secondo mistero, ho visto con la coda dell’occhio che la porta della cappella si apriva lentamente: ho pensato che fosse Kimani, il quale spessissimo viene a pregare con noi con una puntualità ben superiore alla mia! Invece la mia attenzione è stata attratta dal fatto che la porta rimaneva aperta, ma nessuno entrava. Ho quindi girato la testa ed ho scorto Faith in divisa da sala operatoria, la quale mi guardava fisso senza proferire verbo: questo è il modo solito per invitarmi a uscire, senza disturbare la preghiera degli altri. Faith non entra mai, se non mi trova completamente addormentato... nel qual caso fa due passi in punta di piedi e mi da’ uno scrollone sulla spalla! Mi sono quindi ricomposto e l’ho seguita: non si trattava di un cesareo come sospettavo, ma di una mamma che non riusciva a partorire per mancanza di valide contrazioni, mentre il battito cardiaco fetale peggiorava rapidamente. In pochi secondi mi sono quindi risettato dal rosario alla necessità di una decisione clinica rapida ed efficiente. Dopo una breve visita mi sono reso conto che il cesareo non sarebbe stato davvero una scelta possibile: ci sarebbe voluto troppo tem po per la preparazione della paziente e per l’allestimento della sala. Ho quindi preferito la ventosa ostetrica, che non amo tantissimo ma che in questo caso mi è sembrata l’unica possibilità. Il battito era, infatti, tremendamente lento, e agire velocemente era imperativo. Il parto medicalizzato non è stato così facile e immediato come speravo, ma alla fine abbiamo tirato fuori quel pupo: aveva due giri di cordone attorno al collo, e questa era certamente la causa delle pericolose decelerazioni del battito durante le contrazioni. In pratica era come se il piccolo fosse strangolato sempre di più ogni volta, che la mamma spingeva. Infatti, il neonato ha sofferto moltissimo per la sua venuta al mondo: non respirava per nulla, anche se il battito del suo cuoricino era discreto. Lo abbiamo rianimato con ambu, ossige- 13 no e massaggio cardiaco; pian piano il respiro ha dato segni di attività spontanea, e poi è diventato via via più regolare, mentre le condizioni si sono stabilizzate. È stato un bel sospiro di sollievo per me. Temevo veramente che il piccolo fosse morto! Ho quindi consigliato di porre il neonato in incubatrice e sono corso nuovamente in cappella: il rosario era ormai terminato ed ho trovato i confratelli che cantavano il Magnificat del Vespro. Mi sono unito a loro per i minuti rimanenti delle nostre devozioni serali. Mi sento sempre abbastanza a disagio quando entro in chiesa a pochi minuti dalla fine; ma cerco normalmente di vincermi, pensando al vecchio proverbio che dice: “Meglio tardi che mai!” Ecco com’è passata anche ieri la mia ora di preghiera... ma sono sicuro che il Signore vede e comprende molto meglio degli uomini! Fr. Beppe Incontri “aprite le porte a Cristo” Un ospite speciale hi di noi, entrando nel cortile di via Cottolengo 14, non ha posato lo sguardo sulla bella figura di Papa Giovanni Paolo II, collocata vicino la statua del nostro fondatore? Inevitabile esserne attratti; una bella figura imponente, quasi ad altezza naturale, di colore bronzeo, dove l’autore Fiorenzo Bacci ha raffigurato la figura di Papa Wojtyla, con sembianze umane, ma con un volto che è già immerso in quello del Padre, per indicare a noi tutti il cammino verso la meta. Guardandola attentamente la scultura, non rimanda semplicemente alla consueta imma- C gine del Pellegrino della Speranza, del Pastor Angelicus che eravamo abituati a vedere durante i suoi numerosi viaggi, compiuti per portare ovunque Cristo e la sua Parola di Salvezza, ma a una dimensione trascendente ed eterna. Una forma che già fin d’ora ci illumina con la promessa che anche noi saremo in Lui quando “Cristo sarà tutto in tutti”. Il volto appare somigliante di profilo, trascendente nella visione frontale. Le sopracciglia e le pieghe caratteriali, leggermente corrugate formano il disegno di una colomba. Il Pontefice è scalzo come un novello Francesco, che tanto si è speso proprio lì nella sua Assisi. La palma del Pastorale, richiama e rimanda alla Domenica delle Palme e alla festa dei giovani con l’esortazione “non abbiate paura”. Sulla mitria il Cristo Risorto e la corona di spine, testimoniano la sofferenza che Karol Wojtyla ha affrontato; poi tre chiodi della Passione sul paliotto, a ricordo dei dolori sofferti con infinito coraggio e rassegnata fermezza. La sua figura umana e soprannaturale già vedono il volto del Padre e diventa per noi un faro, che illumina il nostro cammino, indicando a tutti, che il Regno dei Cieli, inizia quaggiù e ha il suo compimento nell’eternità di Dio. Subito la devozione dei nostri figli ha collocato il suo saluto, opera del nostro Vito, ai piedi della statua: “Santità, la Piccola Casa ti ama!”. Come mai questa bella presenza, qual è la sua storia? Fa tutta parte di un progetto, che richiama al motto inciso sullo stemma Pontificio di Giovanni Paolo II, ”Totus Tuus”, ed è nato da un’idea di Monsignor Ettore Malnati, noto docente di Teologia Dogmatica. L’idea di portare la scultura di bronzo che raffigura il Pontefice pellegrino, verso la “Casa del Padre” seguendo un itinerario spirituale che tocchi alcuni luoghi che l’hanno ospitato in vita, soprattutto nei santuari mariani. Lo scopo del pellegrinaggio è di far riunire ancora oggi, nel suo nome e nella devozione a Maria, quanti lo hanno seguito e ammirato duran- te il suo lungo Pontificato. Della scultura sono previste nove copie, che si vorrebbero collocare in tutti i continenti, nei posti più indicativi del Pellegrinaggio terreno del Pontefice. Là dove sono collocate, sono da considerarsi quali antenne evangeliche, che accolgono e diffondono il messaggio di Papa Giovanni; lo troviamo inciso sullo stolone in aramaico: “aprite le porte a Cristo”. La prima di queste copie è già stata portata a Sydney, in Australia, dono degli emigranti italiani al Cardinal George Peel. Una seconda copia è di fronte alla chiesa di San Pietro alla Lenca (AQ) dove Giovanni Paolo si recava a pregare quando andava a sciare in Abruzzo; da li guarda la cima del monte che recentemente è stata dedicata a Lui. La copia che è arrivata a noi, ha già fatto un bel cammino; sino ad ora è stata a Pordenone nel Duomo di San Marco, a Trieste in Santa Maria di Sion, ad Assisi in Santa Maria degli Angeli, a Loreto sulla piazza del Santuario, a Varese, a Tortona, a Garlasco, ad Alessandria, all’abbazia di Fruttaria, a Verona, a Motta Livenza, a Udine, a Grado, ad Aquilea, a San Giovanni Rotondo, a Todi, a Collevalenza, a Torino nella Basilica di Maria Ausiliatrice e da li è passata a noi. Mario Carissoni 15 16 Incontri T e s t i m o n i a n z e Il Beato Francesco Paleari a Pisa Un archivio e una mostra permanente per ricordare e conoscere S il Beato Francesco Paleari ella Piccola Casa di Torino, presso la famiglia Tommasini, al primo piano, è stata allestita una mostra permanente con alcuni oggetti appartenuti al Beato Francesco Paleari: gli abiti liturgici, la sua scrivania, i suoi libri, il cilicio, la corona che aveva tra le mani al momento della sua morte, e i suoi vestiti … Sorprende vedere come, dopo la sua morte avvenuta il 7 maggio 1939, quanto gli ap- N partenne fu immediatamente conservato con cura, con biglietti che segnalavano l’uso di “Monsignor Paleari” e tutto questo fatto con sincera riverenza. Quanto abbiamo ritrovato e raccolto è testimonianza della fama di santità che si diffuse immediatamente dopo il suo passaggio da questo mondo al Padre. Ora tocca a noi non disperdere questo patrimonio, anzi approfondirlo per cogliere il abato 12 maggio il Cottolengo di Pisa ha accolto solennemente la reliquia del Beato Francesco Paleari. L’arcivescovo Mons. Giovanni Paolo Benotto ha presieduto l’Eucaristia concelebrata, oltre che dai Sacerdoti della comunità locale, da don Roberto Provera, primo Condirettore della Piccola Casa, e dal Vice Rettore del Seminario di Pisa, don Francesco Bachi, amico da lunga data del Cottolengo. Tutti insieme: Sacerdoti, Suore, Ospiti, Volontari e Personale dipendente, hanno ringraziato con gioia Dio per il dono fatto alla Chiesa e alla Piccola Casa nella persona di Mons. Paleari, ora riconosciuto ufficialmente come modello da imitare. Don Roberto ci ha portato la notizia che don Paleari era già stato a Pisa, quando era ancora in vita. Negli anni della sua malattia, mentre si trovava a Celle Ligure in convalescenza, suo nipote, don Lodovico Chiesa, futuro Padre della Piccola Casa, l’invitò a passare qualche giorno al Cotto- dono che lo Spirito ci ha fatto attraverso la vita santa di don Franceschino. È questo il significato vero di una beatificazione, e che ha ispirato anche la mostra e l’archivio che è stato iniziato. È possibile visitare la mostra e, se si desidera (previo accordo), avere una guida che la illustri, vedere un DVD sul Beato, fare incontri di approfondimento della sua figura spirituale. Don Carmine Arice, ssc lengo di Pisa, di cui in quel periodo era Direttore. Fu così che il futuro Beato trascorse un breve periodo all’ombra della Torre pendente, con grande soddisfazione, come si evince da una sua lettera. Occorre poi aggiungere che il legame di Mons. Paleari con Pisa si è consolidato proprio in occasione della sua beatificazione. Infatti, l’Arcivescovo di Pisa, con il grado di Consultore della Congregazione per le Cause dei Santi, si trovò a essere il Ponente della causa riguardante il miracolo nella sessione ordinaria dei Cardinali e Vescovi tenutasi il 9 novembre 2010, che all’unanimità espresse parere favorevole, spianando così la via alla beatificazione del nostro Franceschino. La sua memoria in questa casa sarà perpetuata grazie a un grande quadro a mosaico, realizzato e gentilmente donato da Piero Gasparello, cui va la riconoscenza di tutta la Famiglia Cottolenghina di Pisa. Il mosaico ritraente il Beato Paleari, esposto per l’occasione sulla parete laterale della chiesa, è stato benedetto dall’Arcivescovo al termine della S. Messa con una breve ma intensa cerimonia, allietata dal sole. Un fragoroso applauso ha accolto l’immagine sorridente del nuovo Beato, mentre lentamente era sollevato il drappo bianco, e numerosi commenti entusiastici hanno accolto l’opera d’arte del nostro carissimo Piero. Sono certo che il Beato Paleari continuerà a benedire dal cielo questa casa, che l’ospitò per qualche giorno in vita, e che intende onorarlo e seguire con impegno il suo stile di vita. don Giovanni Morero 17 Incontri T e s t i m o n i a n z e Niente da fare. Tutto da fare La gentilezza i mettono alle corde le situazioni di stallo, l’incertezza che si perpetua, il susseguirsi delle scosse di terremoto, svegliarsi al mattino e non sapere come impiegare la giornata, il protrarsi di una malattia che sembra metterci fuori gioco. Non è (solo) l’affanno delle troppe cose da fare a stremarci ma anche la prospettiva di averne sempre meno. Oggi in tanti si svegliano al mattino di una giornata priva di impegni, di senso, di prospettive. Quei piccoli gesti quotidiani che un tempo li accompagnavano, come vestirsi, bere un caffè di corsa già leggendo le notizie su Internet, avere il tempo impegnato e scandito da attività… improvvisamente lasciano il posto al vuoto e al vago. Mario ha 40 anni, la mattina accompagna i figli a scuola, li bacia e li saluta come fanno tutti gli altri padri, poi riprende la strada di casa e si prepara a vivere una giornata tutta da inventare tra piccole commissioni, la ricerca di un lavoro che non si trova, l’attesa che venga sera. Gli dicono che è troppo vecchio per trovare un nuovo lavoro. In realtà è troppo giovane per smettere di cercarlo: rinunciarvi equivarrebbe a smettere di vivere. Il vuoto è per tutti difficile da gestire. Fin da bambini ci siamo abituati a pensare che siamo “quello che facciamo” e che siamo “il modo in cui impegniamo il tempo”. Spesso la professione e le agen- C n giorno rincasando, ho trovato un’auto parcheggiata nei pressi del vialetto d’accesso di casa, nel mio posto preferito. La mia prima reazione è stata di fastidio, perché avevo sempre messo la macchina lì. Adesso invece ero costretto a lasciarla più lontano e, per di più, a portare a piedi le mie cose. Nelle ore successive ho continuato a pensare ossessivamente alla persona che aveva parcheggiato nel mio spazio, mi sono lamentato con mia moglie di quanto costui fosse maleducato e ho controllato varie volte se l’auto fosse ancora lì. Alla fine sono uscito per guardare più da vicino. In quel momento un uomo dalla casa di fronte si è diretto U verso la macchina in questione. Ho notato subito che aveva una disabilità fisica: camminare gli era difficile e, con ogni probabilità, doloroso. Lui mi ha guardato, mi ha sorriso e mi ha salutato. In quell’istante d’illuminazione tutto il mio disappunto è svanito e mi sono ritrovato pieno di compassione e sollecitudine. Quanto doveva essere difficile la sua vita, paragonata alla mia! Ero balzato a una con- clusione negativa, invece di immaginare che potesse esserci una buona ragione, per questo motivo quell’auto era parcheggiata lì. E mi ero arrabbiato, invece di mettermi nei panni di un altro. Tutti abbiamo qualche problema, anche se non è visibile in superficie. Dovremmo ricordarci di essere gentili, pazienti e comprensivi con gli altri perché non sappiamo quali fardelli devono portare. Proprio come diceva un grande pensatore greco: «Quando incontri qualcuno, sii gentile con lui, perché sicuramente egli sta conducendo una battaglia più difficile della tua». Pasquale Ionata Fonte: Città Nuova de piene di impegni diventano la nostra seconda pelle. Così chi si trova improvvisamente a uscire dalla corsa (o alla corsa non riesce neppure a prendere parte) è costretto a nascondersi, a ritirarsi, a celare il proprio malessere, a gestirlo come un problema privato. La società non è benevola con i vinti e non ci sono “scuole” che ci attrezzano a gestire l’insuccesso, la caduta, la sconfitta come parte del gioco. Ci nascondiamo che questo tempo di transizione e di incertezza ci riguarda tutti, scuote e sovverte i nostri equilibri, richiede di essere metabolizzato. Come? Non ci sono ricette, né prospettive consolatorie. È certo però che non possiamo arrenderci al vuoto. Reagire – in questo tempo avverso – è ostinarsi a credere che il sale della vita è nascosto nelle pieghe di ogni nostra giornata e può darle sapore. «È un piccolo “di più” che si offre in dono a tutti noi», scrive Françoise Héritier (Il sale della vita, Rizzoli, 2012). È l’incontro con qualcuno, una nuova intuizione, una passeggiata da soli, è coltivare qualche spiraglio di serenità, rimettere in circolo la creatività, sentire che c’è una grazia speciale nel solo fatto di esistere, un’energia sotterranea che continuamente si rinnova. E da cui possiamo sempre ripartire. Elena Granata Domenico Salmaso 18 Fonte: Città Nuova 19 20 V i t a Incontri v i s s u t a Il cuore di un barbone orrei presentarvi alcuni miei amici. Sono dei tipi un po’ particolari ma interessanti, e anche se non lì rivedrò più, non credo che potrò mai dimenticarli. Li ho conosciuti alla mensa della Casa Accoglienza del Cottolengo in Torino. Si trovano sempre in giro per il centro ma prima di allora non mi ero mai accorta: stanno nascosti, inosservati nella vita quotidiana, come tanti dettagli nello sfondo di un quadro, particolari trascurati e tralasciati, ma sempre presenti. Diceva Aristotele che le cose più evidenti, quelle che ti stanno davanti V agli occhi, sono quelle che non riesci mai a vedere. Beh, uno dei primi che ho conosciuto, non senza un certo stupore, è Francesco: “Ehi è un po’ che non ti si vede in giro!” dice una volontaria, “Già… è che mi hanno appena rilasciato!”. Un’altra persona singolare sicuramente è Giacomo, un ometto sulla sessantina, che muta umore con la stessa velocità con cui cambia il vento, tanto allegro e sorridente, quanto aggressivo, che dice di vendere magliette lungo il Corso Vittorio; in effetti, una volta l’ho trovato con il suo carretto-banchino, tanto entusiasta di vederci da volerci regalare una maglietta. A sostenere la verità tra alcolizzati, barboni e criminali, non fanno tutti una buona impressione a primo impatto, anzi il contrario, ve lo assicuro, ma quello che ben presto ho scoperto è che hanno tante storie interessanti da raccontare, vere o false che siano. I più simpatici e chiacchieroni, quelli cui mi sono più affezionata, sono Gabriele e Lorenzo, due tipi allampanati di mezza età accomunati da una simile sorte, ma che affrontano la vita in modi un po’ diversi: Gabriele sembra una persona che ama cogliere l’attimo, che non si preoccupa molto alla fin fine di quello che accade intorno a lui, cercando di prendere il meglio da ciò che gli capita. Lorenzo invece non sembra amare molto la sua vita, racconta molte storie, forse vorrebbe che tutto fosse così entusiasmante e divertente come lo descrive, ha qualche rimpianto, ogni tanto dalle sue parole trapela una punta d’amarezza. Mi ha colpito molto l’attaccamento di Lorenzo al suo cagnolino, un cucciolo molto affettuoso e giocherellone: “Si chiama Birillo – dice con orgoglio – l’ho trovato tempo fa incastrato nella rete di un recinto, non era di nessuno, l’ho preso io. È un furbacchione, dorme tutto il giorno e poi la notte non fa dormire noi! E come gli piace la birra… ah ma non gliela diamo mica noi! “Basta che ci giriamo un attimo e…”. Vuole davvero bene al suo cane, lo tratta con la cura di chi si dedica a un figlio, forse perché non ha altri affetti che quello. Spesso questa gente è criticata, ma soprattutto completamente ignorata, quasi non esistesse; ci dimentichiamo o semplicemente ignoriamo il grande bisogno che queste persone hanno di ricevere e donare affetto. Ricordo la nostra prima conversazione: “Che scuola ha fatto?” dice Lorenzo, “Lo scientifico”, “Bene bravi studiate mi raccomando, non fate come me, che io a tredici anni scappavo sempre via con la moto e ora guardate dove sono… “Quant’è bella giovinezza che si fugge tuttavia, chi vuol esser lieto sia del domani non v’è certezza”. Sì fate bene a studiare però io sono contento così, ma v’immaginate quanti pensieri, quanti problemi se vivessi diversamente? Il lavoro, le tasse, sì insomma così non ho tanti pensieri...”. Intanto Gabriele si rivolge a un passante chiedendogli un accendino: 21 quello lo guarda sospettoso, si gira e affretta il passo. Gabriele ride, manifestiamo anche noi la nostra gioia: a chi non è capitato di trovarsi dalla parte del passante? Eppure vista così, la scena sembra tanto buffa! Qualche giorno dopo mentre andiamo alla mensa nella piazzetta vicina, troviamo Gabriele seduto, rosso in viso, con le pupille allargate, fa fatica a riconoscerci, sorride quando gli porgiamo l’accendino che gli abbiamo comprato, ci abbraccia; con tristezza entriamo in mensa. Più tardi vedo arrivare Lorenzo con Birillo, faccio per salutarlo, ma con triste e amara consapevolezza mi rendo conto che sta male pure lui: scende le scale, barcolla, si getta a sedere per terra, non vuole entrare perché sennò deve lasciar fuori Birillo, chiede solo un sacchettino del pranzo della domenica, così che possa dar da mangiare al suo cane che ha fame. Dopodiché lo prende in braccio, si rialza e inizia faticosamente a camminare. Io sono ancora smarrita faccio per dire due parole, per fermarlo “Ehi Birillo!” sorridendo al padrone. Lorenzo si gira, mi guarda, non riesce a mettermi a fuoco, ancora instabile sulle gambe, fatica a concentrarsi: “Sì… sì, lui si chiama Birillo” e lo stringe a sé, poi se ne va. Isabel Giommoni 22 Incontri N o t i z i e Annuncio tema pastorale Cari figli e figlie della Piccola Casa, “Santi nella carità. Per una pienezza di vita”. È questo il tema che ci ha accompagnati in quest’anno pastorale che sta per concludersi. Le celebrazioni per i 200 anni dell’ordinazione del Santo Cottolengo, il convegno sulle famiglie religiose che a lui si sono ispirate e, soprattutto, la beatificazione del Venerabile Francesco Paleari, ci hanno aiutato a vivere un tempo di grazia particolare. Davvero possiamo dire “Deo gratias” per quest’ anno straordinario. Per la scelta del tema pastorale per il prossimo anno, abbiamo precise indicazioni del Papa Benedetto XVI, che non possono essere ignorate: la celebrazione dei 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione che si celebrerà in ottobre, l’indizione dell’anno della fede. Tutto questo orienta la nostra riflessione a “ripartire da Cristo”, a rinnovare la nostra fede in Lui e nell’opera della grazia, affinché la nostra vita e la nostra azione apostolica sia fecondata dalla Sua presenza. Pertanto mi è sembrato opportuno per l’anno pastorale 2012 – 2013 scegliere il seguente tema: LA BUONA NOTIZIA ”La carità di Cristo ci spinge all’evangelizzazione”. L’anno pastorale che inizierà il 2 settembre, giorno dell’ispirazione carismatica ricevuta dal Cottolengo, potrà essere un’occasione utile per rinnovare il nostro impegno a essere collaboratori di Dio nel Vangelo di Cristo (cfr. 1 Ts 3,2), e offrire il nostro contributo alla Chiesa e alla Piccola Casa perché il Vangelo sia annunziato con le parole e le opere, discepoli di quel Signore che passò in mezzo agli uomini curandoli e facendo del bene (cfr. At 10,38). Torino, 10 giugno 2012, Festa del Corpus Domini Padre Lino Piano Giubileo d’oro Domenica 17 giugno don ALDO ELIA e don FRANCESCO GEMELLO hanno festeggiato 50 anni di sacerdozio al servizio dei poveri della Piccola Casa della Divina Provvidenza. Don Aldo è stato missionario in Ecuador dal 1988 al 1999; don Francesco è stato Padre della Piccola Casa dal 1981 al 1993. Deo gratias Un nuovo Diacono Cottolenghino! VAYALIPARAMBIL FRANCIS PRABIN, nato a KOONAMMAVU (KERALA – Diocesi di VERAPOLI) il 15 agosto 1982, ha compiuto gli studi teologici a NAIROBI (KENYA). Ha emesso la promessa perpetua il 25 marzo 2012 con la quale è entrato definitivamente a far parte della Società dei Sacerdoti di San Giuseppe Cottolengo. È stato ordinato diacono a Nairobi sabato 12 maggio. È arrivato qui a Torino giovedì 14 giugno, dove svolgerà il ministero diaconale per sei mesi. Deo gratias. 23 24 Incontri T e s t i m o n i a n z e Un’esperienza di formazione globale I nizialmente non pensavamo che questo periodo potesse segnarci così tanto, ha superato ogni nostra attesa. Da quando abbiamo deciso di vivere questa esperienza alla Piccola Casa della Divina Provvidenza spesso ci hanno chiesto quali fossero i motivi che ci hanno spinti a trascorrere in questo modo una parte delle nostre vacanze. La risposta non è così facile, sicuramente c’era la voglia di servire, seppur nel nostro piccolo, chi ne ha bisogno, ma anche il desiderio di provare un’esperienza più forte, di metterci alla prova e vivere un “campo” differente da quelli che conosciamo. Finalmente arrivato il giorno atteso, siamo partite con tanta voglia di cominciare e anche un po’ di preoccupazione, in fondo non sapevamo ancora bene cosa ci aspettasse e quello che avremmo dovuto fare! Gli Ospiti sono persone con una forza incredibile, chi più e chi meno, e capaci di offrire un sorriso anche nel momento del dolore! Stando in mezzo a loro ci si dimentica di tutto il resto, problemi e preoccupazioni, e s’impara molto. Crediamo di non aver mai sentito così tanto la presenza di Dio nelle persone come in quest’esperienza. In molte persone abbiamo visto la sofferenza di Gesù Cristo impressa sul volto e ammettiamo senza vergogna che alcune volte le lacrime hanno solcato i nostri visi per la tristezza di fronte a certe situazioni. Oltre a ciò stando insieme agli Ospiti ci si sente personalmente quasi disabili, perché diversi da ciò che ci circonda.Le attività di formazione spirituale proposte dalle suore sono state davvero efficaci, e profonde, utilissime per svolgere al meglio il servizio e per una maturazione personale. I temi affrontati sono stati undici: Il servizio cottolenghino, I poveri sono Gesù, La carità si fa servizio, La fraternità - lo spirito di Famiglia, La preghiera, L’Eucaristia, La Divina Provvidenza, La Speranza, La Speranza come confidenza, Maria, La Santità. In queste due settimane abbiamo avuto modo di conoscere la figura e l’opera del fondatore San Giuseppe Benedetto Cottolengo tramite la visione di videocassette, racconti di suore Auguri Anna! e visite di luoghi da lui frequentati. Nel corso di queste due settimane abbiamo anche avuto modo di conoscere alcuni luoghi fuori città fondati dal Cottolengo: il monastero di Pralormo, dove con le suore di vita contemplativa abbiamo riflettuto sulla Vita Consacrata cottolenghina; l’uscita al Grand-Puy, vicino a Pragelato, dove abbiamo trascorso una giornata di deserto; l’uscita a Pinerolo, dove abbiamo trascorso un pomeriggio di condivisione con le persone presenti in comunità per disintossicarsi. Inoltre i volontari con cui abbiamo trascorso questa stupenda esperienza si sono rivelati un vero dono della Divina Provvidenza: tutti con un’energia e una disponibilità incredibile, disposte a evidenziare la loro personalità, in modo particolare durante i momenti di formazione. I volontari provenivano un po’ da tutta Italia: Torino, Cuneo, Brescia, Padova, Roma, Napoli, Catanzaro. E come diceva sempre il Santo Giuseppe Cottolengo: DEO GRATIAS SEMPRE!. Elisa, Federica e Letizia arissima Anna, sono le ore 6,15 di mattina; come da un bel po’ di tempo mi succede, mi ritaglio... come ti ho già più volte ripetuto... un po’ di tempo per la lettura o anche semplicemente per far spaziare i miei pensieri, traendo beneficio da quel silenzio ancora ovattato, in attesa che il nostro paese si svegli e metta in moto tutte le attività che incombono su ognuno di noi. Stamattina il mio pensiero sei stata tu: sarà forse perché ci siamo viste ieri mattina al mercato, non lo so o, piuttosto perché si sta avvicinando il tuo compleanno (con una tappa importante!) ed io vorrei farti gli auguri dicendoti delle cose speciali ma... mi rendo conto che è impresa ardua perché ognuna delle persone a te care in quel giorno nel festeggiarti ti scalderà il cuore anche con la loro sola vicinanza! ...Allora ci proverò a farti questi auguri ma in che modo? Sicuramente non voglio andare a toccare le corde della commozione ricordando gli inizi tutti in salita e poi via via tutto quello che di faticoso c’è stato (fa C 25 parte del tuo intimo che nessun può, anche solo sfiorare), non voglio ricordarti il bene che hai fatto (costituisce il tuo importantissimo patrimonio personale), non voglio limitarmi ad augurarti buona salute (cosa ovvia e assolutamente primaria) e... scherzosamente neanche di cambiare look per combattere il tempo che passa (non ti riconoscerei più con i capelli rossi e la minigonna). Penso carissima Anna mi sia rimasta la cosa più ovvia: ti auguro di mantenere sempre viva questa gioia per la vita a prescindere dagli avvenimenti, che l’entusiasmo ti accompagni nelle tue azioni. Che tu riesca a mantenere il dono che hai nell’accoglienza alle persone e… sai cosa ci aggiungo. Pure? Un pizzico di sano ‘menefreghismo’ perché se vale per Don Ribaldi quella famosa frase: “Dio esiste: rilassati non sei tu” vuoi che non valga per noi comuni mortali?? A questo punto sento di averti confuso ben bene le idee. Ti starai chiedendo: ma questa vuole farmi gli auguri o ha soltanto dormito male stanotte? No, volevo soltanto farti sentire la mia vicinanza, di essere contenta dell’amicizia che ci scambiamo (di qualità più che di quantità). Avrei voglia di finire queste righe con un augurio che ho già sentito pronunciare da Don Giorgio (che faccio anche per me). Assolutamente non vuole suonare sinistro, ma ormai la nostra esperienza di vita ci insegna che è assolutamente necessario: “Se Gesù proprio vuole, darci una croce, ci dia anche la forza necessaria per portarla”. Mamma mia che confusione ho fatto: quando comincio a lasciar scorrere i pensieri non la smetto più... spero di trovare il coraggio di consegnarti questa lettera di non aver detto delle stupidaggini e nella circostanza… non farci caso! Con affetto Maria. 26 Incontri S p i r i t u a l i t à L’aritmetica del cristiano Quando la professionalità permette di vincere la paura della soglia. DONO R E P L I À E TICA, A M E T LA CARIT A M CONO LA S O N RSI... O A C C I N L P NO I T R MOL E P O L O S ONO LORO VIV L a carità non timbra il cartellino per il datore di lavoro, perché non ha orario la carità... La carità è la virtù dalle tasche bucate, perché dà tutto la carità... La carità ha sempre il portafoglio vuoto, perché si spende per tutti la carità… La carità non si vergogna di essere giumento di Cristo, perché porta Cristo la carità… La carità si mette il grembiule, perché è cameriera alle dipendenze di Dio la carità… E il perdono? Il perdono ha il colore dell’arcobaleno: il verde della Speranza, il giallo della Pace, il rosso dell’Amore, il violetto dell’Umiltà, l’azzurro della Gioia, il blu del Regno dei Cieli. La Carità e il Perdono non conoscono la matematica, loro vivono solo per moltiplicarsi… Il cristianesimo è la religione del per, ha detto una volta qualcuno… è l’unica operazione aritmetica che prende in considerazione il cristiano. E il perdono fa parte di quest’operazione. La strada del perdono è illuminata dalla fiaccola della fede. La via sembra quella della sconfitta e invece è quella della vittoria, la vittoria coraggiosa del- l’amore. Perdona chi ama… chi nel bivio del proprio cuore individua la segnaletica che indica: Direzione Amore… Direzione Vita. Non c’è solo il perdono dell’altro, bensì anche il perdono di Dio per noi creature. Perdonare perché prima di questo nostro atteggiamento sentiamo limpido nel cuore che il Padre ci ha perdonato e ci guarda sorridendo, con amore. Dobbiamo essere disposti a ricominciare sempre di nuovo a perdonare, perché anche Dio ogni giorno ci perdona di nuovo. Sr. M. Giacomina Stuani OSA Tratto dalla rivista “dalle Api alle Rose” del monastero di Santa Rita da Cascia Lettera di un’infermiera. rimo tirocinio della vita, io giovanissima, alle prime armi in un mondo, quello della malattia, che per fortuna la vita fino a quel momento non aveva imposto a me o ai miei cari. In reparto arriva un nuovo ricovero: una signora sulla sessantina, in carne, molto pallida e con i capelli radi. È messa in una stanza singola ed è circondata dal marito, due figli, parenti, amici… Una gran folla intorno a questa donna spaesata che non riesce a comunicare perché ha gravi problemi respiratori: la maschera dell’ossigeno, la tosse, il fiatone non glielo permette. Tante voci, domande, pianti intorno a lei e forse anche P dentro di lei. Io non riesco ad affrontare nessuno di loro: sono giovane, non ho strumenti, non ho conoscenze… però decido che scriverò il piano di assistenza proprio su di lei: mi dico che forse “patologia complicata” (tumore cerebrale) equivalga a un buon voto... Così, dopo il turno, decido di oltrepassare la soglia della sua camera e, con la scusa del piano di assistenza, entro in relazione con la sua famiglia e con lo sguardo della paziente, sempre triste, come se stesse cercando una risposta o volesse richiamare l’attenzione. Piano piano ho vinto la paura della “soglia”, quella che mi blocca appena arriva un nuovo paziente, quella che mi fa tremare le gambe e non mi fa sentire adeguata e pronta. Nonostante le attenzioni e i complimenti dei familiari non sono diventata parte della famiglia, ma ho preso consapevolezza del ruolo che andavo a ricoprire. Durante l’ultimo turno, prima di Natale, sono entrata nella sua camera per salutarla e lei, per la prima volta, mi ha sorriso. Tornata dalla pausa natalizia, lei non c’era più, ma dopotutto c’eravamo già salutate quel giorno, con quel sorriso. E.B. In questa lettera troviamo interessante l’espressione di “paura della soglia”. Ringraziamo E. B. per averci dato l’opportunità di pubblicare la sua storia e auguriamo a tutti di imparare a superare le diverse soglie che ci fanno paura. Anche questa testimonianza ri sponde alla domanda “Quella volta ho capito che…” La Redazione 27 28 N o t i z i Paradiso... e Associazione ex-allievi e amici del Cottolengo È ARRIVATO ALLA META Via Cottolengo 14 - 10152 Torino 10 giugno 2012 - CONVEGNO ANNUALE Giornata di sole, quasi un miracolo fra le turbolenze di questi tempi, per il nostro Convegno annuale. Gli arrivi si susseguono e la speranza di una buona partecipazione si fa sempre più concreta quasi a sconfiggere quel pessimismo che ci fa temere un graduale dissolversi della nostra Associazione. Certo, mancano purtroppo quelli che giungevano da più lontano, e manca addirittura – anche se giustificato – il presenzialista novant...enne Tesoriere Beppe Mattiotto. Tuttavia non ci scoraggiamo e restiamo in attesa di Don Lino Piano che, eletto Superiore Generale della Piccola Casa lo scorso settembre, viene per la prima volta a conoscere i nostri soci e a celebrare per noi. La Santa Messa, servita dal solito Tarcisio e solennizzata anche quest’anno dai canti sacri delle ex allieve, accompagnate all’organo da Suor Immacolata, registra una chiara e dotta omelia di Padre Piano che cattura la generale attenzione offrendo a tutti spunti di riflessione e di meditazione. Al termine della funzione, scattata da Mirella Montini una foto con coloro che non hanno fretta di disperdersi, si dà inizio all’assemblea alla quale partecipano, oltre a Padre Lino, anche Don Roberto Provera, Direttore responsabile del periodico “Incontri”, Don Carlo Carlevaris, Direttore onorario del medesimo, e Padre Francesco Gemello, storico Assistente Ecclesiastico amico di tutti. In apertura il Presidente, pur discettando di vari argomenti, non riesce a sottrarsi dal manifestare ancora una volta la solita preoccupazione per la possibile graduale estinzione del nostro sodalizio, ribadendo però la fiducia che la Divina Provvidenza voglia comunque evitare tale spiacevole evenienza. Cede quindi la parola a Padre Piano che fornisce le sempre attese e gradite notizie sulla vita e sulle attività della Piccola Casa, soprattutto nelle lontane missioni e lo fa in modo così garbato e simpatico da creare con tutti quel feeling che caratterizza un rapporto quasi di... amicizia. Seguono applauditissimi gli interventi di Don Roberto, di Don Carlo e di Padre Gemello, oltre a quelli di alcuni soci, tra i quali la Vice Presidente Anna Teresa che continua a profondere il suo impegno per ogni nostra iniziativa. Fissata infine per domenica 9 dicembre la tradizionale Festa della Famiglia nell’imminenza delle festività natalizie, giunge l’ora del pranzo sociale e, mentre nella mia mente torna il nostalgico ricordo di quando – ancor prima della fusione con le famiglie femminili – le tavolate ospitavano oltre cento commensali e i locali non bastavano mai, si converge tutti, anche se in numero... un pochino inferiore, nella sala stupendamente e graziosamente allestita che sembra un inno alla gioia. Il pranzo registra un entusiastico apprezzamento per la presentazione e il numero delle portate, per la raffinatezza e i gusti prelibati degli alimenti, oltre che per l’inappuntabile servizio (Suor Maria Pia dovremmo nominarla socio onorario del nostro sodalizio!). L’agape fraterna è il momento che fa esplodere, come al solito, la sincera gioia di tutti: è il momento clou della socializzazione, il momento più atteso per richiamare comuni indimenticabili ricordi, per dare ed acquisire notizie, per confidare le proprie gioie (che bello quando spuntano le foto dei nipotini...), per condividere le amarezze, per sostenere le speranze, per dimostrare vicinanza, per rinverdire l’amicizia... È il modo più bello e più gradito di concludere una giornata che ci ha consentito di tornare per qualche ora in quella Piccola Casa alla quale continuiamo a sentirci particolarmente legati e che, ogni anno, ci accoglie con grande affetto e generosità, aiutandoci a ricaricare quello spirito cottolenghino di cui vogliamo continuare ad essere modesti testimoni. Deo gratias! Dante Notaristefano Associazione ex allievi ed amici del Cottolengo FESTA DELLA FAMIGLIA Domenica 9 dicembre 2012 ore 16,00 Domenica 9 dicembre prossimo, alle ore 16, si terrà la tradizionale Festa della Famiglia. Lʼincontro avverrà, come negli ultimi anni, nel locale sotto la Chiesa Madre. Oltre al solito scambio di notizie sulla vita dellʼAssociazione e sulle novità della Piccola Casa, si affronterà lʼargomento del Convegno annuale per il 2013 e se ne fisseranno la data e le modalità di svolgimento. Sarà un piacevole momento di festa per i partecipanti e lʼoccasione per porgere gli auguri in vista delle imminenti festività natalizie a tutti i superiori e alla comunità della Piccola Casa. IL PRESIDENTE Dante Notaristefano MARIO SUCCA fu alunno della Famiglia dei Tommasini (il Seminario interno della Piccola Casa della Divina Provvidenza in Torino) dal 1° ottobre 1949 al 3 luglio 1953. è stato un attivo collaboratore della Famiglia Tommasini, quando anche il figlio Ezio ne era alunno, prendendo sempre parte ai ritiri spirituali per i genitori. Lo ricordiamo con affetto insieme con la diletta moglie Anna e il caro don Ezio. FRANCESCO CONSIGLIO ORA È LASSÙ BONSIGNORI GALDINO Nato a Milano nel 16 giugno 1934, sposato con Annagrazia De Gonda, è stato per anni volontario della Piccola Casa della Divina Provvidenza, fondatore della Croce Rossa a Settimo Torinese e volontario al Cottolengo dal 1985. Nipote della superiora della Famiglia delle Clarine Sr. Michelina Camponovo, si è spento il 9 maggio del 2012. LETIZIA SIMONELLO Il 9 giugno scorso, stroncata nel giro di soli venti giorni da un male incurabile, è deceduta a 68 anni Letizia Simonello, ex orsolina, che viveva a Seveso con il marito e le figlie Sonia e Simona. Era una persona molto attiva, amava la vita ed era impegnata nel sociale. Tutti, ma soprattutto noi ex orsoline sue compagne, ci sentiamo vicine alla famiglia con sincero affetto e con la preghiera. Anna Teresa Francesco era entrato nella Piccola Casa, ignaro, quel giorno del 1973 in cui l‘amico sordomuto l’aveva quasi di forza, condotto con sé. Si trovò inserito nei “volontari“ senza saperlo e senza volerlo... “è arrivato di provvidenza” diciamo noi! Eppure, forse, proprio per questo, egli divenne una roccia forte e salda, su cui una zolla fertile (la sua anima) assorbì i principi della spiritualità cottolenghina appieno, e diede frutti copiosi e buoni. Le cose andarono così: Francesco lavorava in Rai-Tv. Era arrivato a Torino dal profondo sud e, nemmeno sapeva dell’esistenza del “Cottolengo“. Sul lavoro aveva trovato un collega sordomuto che lui subito agganciò: voleva imparare la mimica per comunicare con lui che vedeva isolato ... Costui dopo un po‘ di tempo, trovò Francesco pronto per fare qualcosa di buono qui dai nostri amati Buoni Figli ove lui veniva il sabato pomeriggio a “fare i bagni”... Aiutava l’allora responsabile Fr. Matteo, perciò un sabato decise e comunicò a Francesco che all’uscita dal lavoro doveva andare con lui. Detto fatto! Non sentì ragioni. Francesco gli diceva: “Non posso, ho famiglia con due figli piccoli che mi aspettano; se posso voglio fare un po‘ di “straordinari...”. No, di brutto, con decisione lo portò al “Cottolengo”! Arrivati alla Sacra Famiglia, mentre Fr. Matteo si rallegrava col sordomuto per il dono del nuovo volontario, Francesco zitto, guardava e attendeva come si sarebbe conclusa la questione. Fu fatto cambiar d‘abiti e preparare per fare i bagni... Fr Matteo lavorava in coppia col sordomuto. Francesco avrebbe atteso l‘arrivo d‘un altro fratello volontario.Questi arrivò salutando con un sentito, umile “Deo gratias! Sia lodato Gesù Cristo!” Chi era? Fratel Luigi! Così per tanto tempo Francesco venne il sabato dai Buoni Figli e lavorò col futuro beato Fr. Luigi Bordino, che lo istruì per non fare né farsi del male spostando ragazzi di peso notevole... Poi le sue prestazioni aumentarono, perché fu sempre più inserito nella vita e nello spirito della Piccola Casa. Lavorò con don Tranquillo per incarico di D. Lino Piano alla revisione, pulitura e schedatura delle numerose Reliquie del nostro Santuario. Entrato a far parte dell’OFTAL si prodigò per favorire il pellegrinaggio a Lourdes dei nostri malati, ricoverati e suore. Queste le faceva inserire gratis (partecipavano a spese dell’OFTAL, che ringraziamo!). Ne beneficiarono molte: suore di tutte le età, ma specie quelle che mai erano andate da nessuna parte. Ciò diede a molte vera consolazione spirituale. Per molti anni fece pure il cicerone-guida per quei gruppi che visitano la Piccola Casa. (Amico del Cottolengo, promessa nel 2004). Francesco dunque spese la sua vita direi in pienezza umano-cristiano-cottolenghina-mariana. Fu un cristiano che realizzò appieno l‘ideale che il Concilio aveva previsto per i laici impegnati nella Chiesa. Era anche un uomo di preghiera. Ho avuto modo d‘osservarlo a lungo durante un pellegrinaggio a Lourdes. Sia in treno che là in quella terra benedetta, Francesco era immerso nella preghiera. Si vedeva dal come trattava noi pellegrini, malati e sani, e i colleghi dell‘Oftal. Aveva una semplicità disarmata e disarmante, sorrideva sempre in modo buono mentre comunicava con te. Direi che era sempre meno umano e più spirituale... Ultimamente a una suora del centralino che gli chiedeva notizie della sua salute, rispose: “Presto vado a vedere la S. Madonna!”. Fu profeta, una settimana dopo era lassù. Visse sempre così: cosciente di Dio e memore del Cielo, certo che la “scorciatoia” per raggiungerlo presto e in modo sicuro è la S. Madonna. Deo Gratias! Torino, 12/7/2012, sr. L. M. 30 Te s t i m o n i a n z e I n c o n t r i BRICIOLE DI CARITÀ Il Liceo scientifico G. Galilei di Trieste da alcuni anni, nell’ambito del progetto di offerta formativa dell’Istituto organizza un viaggio-studio a Torino per conoscere le realtà del “Cottolengo”. Proponiamo alcune delle riflessioni che i giovani ci hanno inviato. HO CAPITO COSA È VERAMENTE IMPORTANTE NELLA VITA… Lo stage organizzato ha soddisfatto e ampliato le conoscenze di noi ragazzi. Un’altra realtà visitata è stata la “Piccola Casa della Divina Provvidenza” o meglio conosciuta come “Cottolengo”. Qui suor Milvia ci ha fatto incontrare varie persone, con diversi problemi fisici o mentali, che passano il tempo facendo varie attività: laboratori musicali, magnifici lavoretti che poi vengono venduti ai mercatini, laboratori teatrali… Al Cottolengo, vedendo le condizioni nelle quali alcune si trovano e, nonostante ciò, non mollano mai, ho finalmente capito quanto sia fortunata: prima di tutto perché godo di buona salute, secondo perché ho accanto persone che mi aiutano, terzo mi sono resa conto che tutte le cose delle quali mi lamento sono futi- li e quarto di quanto sia importante la vita. Suor Milvia, nell’illustrarci la struttura, mi è sembrata così serena e felice di essere al servizio dei bisognosi tanto che per un attimo ho invidiato il suo stile di vita. Il ritorno dalla “Piccola Casa” a Rivoli, dove eravamo alloggiati, è stato più silenzioso del solito, perché tutti noi ripensavamo a ciò che abbiamo vissuto quel giorno, però nei nostri occhi si poteva notare tanta serenità per aver capito che cosa è veramente importante e che cosa no. Credo che, durante il viaggio di ritorno a Trieste, sia stata molto più felice di quanto non lo sia stata alla partenza. Consiglio a tutti di fare queste esperienze. Alessia M., 4a B AL PRIMO POSTO LA PERSONA! Al Cottolengo la cosa che mi ha più colpito è il modo con il quale i volontari, le suore e i “fratelli” si rapportano con gli ospiti della Casa: mettono sempre al primo posto la persona che si trova davanti e non i suoi problemi. La Piccola Casa è un posto dove le persone, che a noi possono sembrare le più sfortunate, sono in realtà le più felici, perché hanno riscoperto, nell’amore e nell’affetto di chi le circonda, la gioia di vivere. Vedere queste persone che, nonostante i loro problemi, si sono rialzate e adesso camminano a testa alta, orgogliose del “poco” che la vita ha dato loro perché spronate dall’amore di chi sta loro vicino, mi ha fatto pensare e ho capito quante cose la vita mi abbia dato e quanto poco io sia riuscita a valorizzarle finora. Per questo consiglio a tutti di fare un’esperienza simile, almeno una volta nella vita, perché mi ha fatto capire quanto importanti siano le persone e mi ha fatto vedere la vita, e gli altri, sotto una luce diversa. Chiara P., 4a B A CONFRONTO CON LA SOFFERENZA UMANA… La sofferenza è imprescindibile dalla condizione umana. Essa è profondamente legata all’esistenza degli uomini che, per l’inevitabile deperibilità del corpo, ma anche per la loro fragilità interiore, alla fine si è costretti a confrontarsi con essa. Nella vita mi sono accadute rare volte di entrare in contatto con la sofferenza. La società odierna spesso ci devia dal pensare a tutti quegli uomini la cui esistenza è, invece, caratterizzata dal dolore, perché già nati in condizioni fisiche o mentali svantaggiate, o perché eventi sfortunati gli hanno travolto la vita. Tutte queste persone sono spesso relegate ai margini della società o sono esse stesse che, piano piano, s’isolano. Le condizioni di svantaggio, con la sofferenza che ne consegue, spesso, infatti, possono impedire a un uomo di svolgere qualsiasi tipo di lavoro, possono allontanarlo dalla famiglia, fino a ridurlo a vivere in strada e a perdere un posto nella società. Grazie all’esperienza che ho vissuto a Torino, nell’ambito del Cottolengo, ho visto come una persona sofferente, attraverso l’aiuto e il sostegno di altri uomini, può ritrovare il suo posto nella società, la sua dignità, i veri valori dell’esistenza e imparare a vivere serenamente anche la sua condizione di svantaggio. Queste istituzioni, costituite da uomini che hanno deciso di impegnare la loro vita nel servizio al prossimo in difficoltà, riescono a compiere veri e propri miracoli di cui io ora mi sento testimone. …Ho conosciuto persone, con gravi handicap fisici, capaci di vivere la loro condizione senza angoscia poiché, grazie all’azione di volontari e suore, hanno scoperto come valorizzare la loro vita e realizzarsi nel lavoro e nelle varie attività che sono quotidianamente svolte nella Piccola Casa della Divina Provvidenza. Ho sentito la forza dell’Amore che spinge tanti uomini a servire volontariamente poveri, malati e deboli, con tanta dedizione e generosità, poiché riescono a vedere in quelle persone, che noi spesso ignoriamo, Gesù Cristo. Ho capito che la vita di ogni uomo ha un valore smisurato, indifferentemente dal fatto se ci veda o ci senta, dalla sua intelligenza o dalla bellezza e che si può, anche nel proprio piccolo, impegnarsi per aiutare i nostri fratelli in difficoltà; si può, ed è bene, donare tempo e affetto al nostro prossimo sofferente e ciò che si riceve dall’aver donato è un tesoro incommensurabile. Niccolò T., 3a G PICCOLA CASA, UN LUOGO DI SPERANZA… Il viaggio a Torino è stato un’esperienza forte, dove si scopre quanto in ogni realtà, anche quella della città moderna e 31 ricca come Torino (ma anche come Trieste e, credo, moltissime delle città italiane), ci siano problemi che sono ormai radicati, ma di cui la maggior parte della gente non si occupa. È valsa la pena di avvicinarsi a tali problemi, già conosciuti, ma assolutamente mai presentati in maniera così evidente, ma ancora di più alle persone che volontariamente cercano di risolverli. Durante la settimana trascorsa a Torino, infatti, non abbiamo semplicemente visitato case di accoglienza o parlato con i volontari, ma ci siamo piuttosto confrontati con persone che ci hanno parlato con sentimento e passione, ma anche decisione. Al Cottolengo, per esempio, gli stessi accolti hanno accolto noi, ci hanno parlato delle loro esperienze; ed è stato bellissimo come loro siano riusciti a trasmetterci la voglia di vivere di cui davvero erano pieni. Il Cottolengo non è, infatti, solo un luogo di malattia, ma soprattutto una sede di speranza, dove i malati sono assistiti non solo nella loro malattia, ma soprattutto nel riuscire a esprimere le loro capacità, dove gli è ricordato che la dignità è per tutti. Lucrezia L., 5a C