Incontri 3bis web-2012:Layout 1

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Incontri 3bis web-2012:Layout 1
Lettera di una madre al figlio
Se un giorno mi vedrai vecchia, se mi sporco quando mangio e non riesco a vestirmi… abbi pazienza. Ricorda il tempo che ho trascorso a insegnartelo.
Se quando parlo con te, ripeto sempre le stesse cose... non m’interrompere...
ascoltami. Quando eri piccolo, dovevo raccontarti ogni sera la stessa storia finché
non ti addormentavi.
Quando non voglio lavarmi non biasimarmi e non farmi vergognare… ricordati
quando dovevo correrti dietro inventando delle scuse perché non volevi fare il
bagno. Quando vedi la mia ignoranza delle nuove tecnologie, dammi il tempo
necessario e non guardarmi con quel sorrisetto ironico, ho avuto tutta la pazienza
per insegnarti l’abc.
Quando a un certo punto non riesco a ricordare o perdo il filo del discorso...
dammi il tempo necessario per ricordare e se non ci riesco non t’innervosire... la
cosa più importante non è quello che dico ma il mio bisogno di essere con te e averti lì che mi ascolti. Quando le mie gambe stanche non mi consentono di tenere il
tuo passo non trattarmi come fossi un peso. Vieni verso di me con le tue mani forti
nello stesso modo con cui io l’ho fatto con te quando muovevi i tuoi primi passi.
Quando dico che vorrei essere morta...
non arrabbiarti un giorno comprenderai
che cosa mi spinge a dirlo. Cerca di capire
che alla mia età non si vive si sopravvive.
Un giorno scoprirai che nonostante i
miei errori ho sempre voluto il meglio per
te, che ho tentato di spianarti la strada.
Dammi un po’ del tuo tempo, un po’
della tua pazienza. Dammi una spalla su
cui poggiare la testa allo stesso modo in
cui io l’ho fatto per te.
Aiutami a camminare, a finire i miei
giorni con amore e pazienza in cambio io
ti darò un sorriso e l’immenso amore che
ho sempre avuto per te.
Ti amo figlio mio e prego per te anche se
m’ignori.
La tua mamma
Fondato nel 1948
Anno 64°
n. 3 - settembre 2012
Sped. in abb. postale
comma 20, lett. C,
Art. 2 - Legge 662/96
Taxe perçue -Tariffa
riscossa To C.M.P.
QUANDO UNA GOCCIA
RIEMPIE IL MARE
LA
LA CITTÀ
CITTÀ NASCOSTA
NASCOSTA
IL
IL CUORE
CUORE DI
DI UN
UN BARBONE
BARBONE
LETTERA
LETTERA DI
DI UNA
UNA MADRE
MADRE AL
AL FIGLIO
FIGLIO
Il punto
3
Uomo, ce la puoi fare!
S OMMARIO
Il punto
Don Roberto Provera
4-5
Periodico della Famiglia
Cottolenghina e degli
ex Allievi e Amici
della Piccola Casa
n. 3 settembre 2012
Periodico quadrimestrale
Sped. in abb. postale
Comma 20 lett. C art. 2
Legge 662/96
Reg. Trib. Torino n. 2202
del 19/11/71
Indirizzo: Via Cottolengo 14
10152 Torino - Tel. 011 52.25.111
C.C. post. N. 19331107
Direzione Incontri
Cottolengo Torino
Direttore Onorario
Don Carlo Carlevaris
Direttore responsabile
Don Roberto Provera
Amministrazione
Avv. Dante Notaristefano
Segreteria di redazione
redazione.incontri@cottolengo.org
nuovo indirizzo mail
redazione
Salvatore Acquas
Mario Carissoni
collaboratori
Mauro Carosso
Fr. Beppe Gaido
La redazione
6-7
Stampa
Tipografia Gravinese
Corso Vigevano 46 - Torino
Tel. 011 28.07.88
La Redazione ringrazia gli autori
degli articoli, particolarmente quelli
che non è riuscita a contattare.
Basta prestare i vestiti agli angeli
Redazione
8-9
I volontari del Cottolengo
Mario Carissoni
10-11
La città nascosta
Don Andrea
12-13
La mia ora di preghiera
Fratel Beppe
14-15
Un ospite speciale
Mario Carissoni
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Un archivio e una mostra per il
Beato Francesco Paleari
Don Carmine
17
Il Beato Francesco Paleari a Pisa
G. Moreno
18
La Gentilezza
Pasquale Ionata
19
Niente da fare. Tutto da fare
Elena Granata
20-21
Il cuore di un barbone
Isabella Giammoni
22
Annuncio tema pastorale
Don Lino Piano
23
Giubileo d’oro
Redazione
24
Un’esperienza di formazione
Elisa, Federica, Letizia
25
Auguri Anna
Redazione
26
L’aritmetica del cristiano
Sr. M. Giacomini Stuani
27
Lettera di una infermiera
28-29
Ci hanno lasciati...
Redazione
Progetto grafico
Salvatore Acquas
Quando una goccia riempie il mare
Redazione
30-31
Briciole di carità
Redazione
32
Lettera di una madre a un figlio
Redazione
inserto speciale Storia di un piccolo prete
Paolo Risso
INCONTRI è consultabile su http://chaariahospital.blogspot.com/
Questa rivista è ad uso interno della Piccola Casa Cottolengo
ame, violenza, guerra, terrorismo, sfruttamento, malattie,
terremoti, analfabetismo,
miseria ecc., ecc. ecc. e la
lista potrebbe continuare.
Ieri è stato così, oggi è così,
domani sarà così: è questa
la sorte ineluttabile dell’uomo sulla terra? La tentazione di rispondere sì è
forte, ma...
Mercoledì 11 luglio è comparso sull’Osservatore Romano alla pagina 5 un interessante articolo a firma di
Franco Pulcini sulla Quinta Sinfonia di Beethoven,
detta “Sinfonia del destino”. Anton Schindler, il
segretario del Maestro, gli chiese cosa significassero le quattro note brutali con cui inizia la
composizione e il musicista rispose: “Così bussa
il destino alla porta!”. Pensiamo alla sordità che
afflisse l’artista negli ultimi dieci anni della sua
vita.
Ma nella minacciosa Quinta il destino è infinitamente di più. “È il tumultuoso affacciarsi di
forze oscure, di potenze avverse, di presenze che
sembrano minare la nostra esistenza, aggredire
la ragione con fantasmatiche superstizioni e
paure. La sinfonia esprime l’irruzione di queste
immagini sfuggenti che colonizzano la nostra
mente, e dalle quali il pensiero non può liberarsi: l’idea fissa è un’incombente prospettiva di
annientamento, che non lascia spazio a sogni
tranquillizzanti, o a vagheggiamenti, o alle distrazioni dell’umorismo. Il richiamo del destino
è implacabile, le sue nocche nodose non smettono di farci sussultare... Eppure... nel finale della
F
Quinta, il ‘destino del destino’ sarà proprio quello di
essere spazzato via a sua
volta, dopo aver esaurito la
propria forza... La storia del
tema del destino della
Quinta sta tutta nel suo
misurarsi con la capacità di
resistenza dell’uomo, e alla
fine a lui soccombere”...
‘L’uomo può sempre farcela!’, ci spiega Beethoven. La
sua volontà, la luce della
sua ragione alla fine hanno
sempre la meglio; persino
sullo strapotere iniziale di
qualsivoglia entità avversa,
da lui riassunta nel simbolo
del destino” (Franco Pulcini).
Tanto più l’uomo ce la può fare, perché Dio, il
Creatore, l’Onnipotente, il Signore del mondo e
della storia, è dalla sua parte. “Mi stringevano
funi di morte, ero preso nei lacci degli inferi, ero
preso da tristezza e angoscia. Allora ho invocato
il nome del Signore: “Ti prego, liberami, Signore... Sì, Tu hai liberato la mia vita dalla
morte, i miei occhi dalle lacrime, i miei piedi
dalla caduta” canta il Salmo 116.
Non è dunque utopica l’attesa operosa di un
cielo nuovo e di una terra nuova.
Alla ripresa delle attività dopo la pausa estiva
INCONTRI augura a tutti voi, cari amici, di
irradiare nel mondo gioia e fiducia, perché tutti
gli uomini si aprano alla speranza di un mondo
nuovo.
Torino, 12 luglio 2012
Roberto Provera
4
N
o
t
i
z
i
Incontri
e
Quando una goccia
riempie il mare...
O
ggi abbiamo ritirato
la posta del nostro
periodico e subito
sfogliato quanto pervenuto.
Un’operazione consuetudinaria necessaria, perché con
la lettura dei bollettini di c.c.
conosciamo l’offerente. Lo
facciamo, non per curiosità o
per ordinare una contabilità
ragionieristica, ma per avere
da subito, possibilità di soddisfare il dovere di ringraziare, chi generosamente contribuisce alla copertura dei
costi che sosteniamo per la
stampa. Scorriamo attentamente ogni bollettino, incontriamo nomi che pian piano,
cominciano a esserci famigliari e altri nuovi, che andremo a inserire nell’elenco
degli indirizzi per le spedizioni. Poi ancora soffermandoci con attenzione, verifichiamo anche se ci sono
note con richieste o desideri
da appagare, che se presenti,
cercheremo di soddisfare immediatamente.
Ed è proprio una di queste
note, che dopo averci commossi sino alle lacrime, ha
poi fatto di noi uomini felici;
ci lascia questo scritto:
“offerta per il giornalino. Mi
rincresce non poter disporre
tanto di più, come vorrei”.
Pensate il cuore di questa
creatura benedetta, quanto
forte è in lei il desiderio di
esserci, sentirsi parte della
famiglia cottolenghina, con
un senso del dovere tanto
forte, da giustificare l’entità
della sua offerta. Il nostro
cuore è subito volato a Gerusalemme, nel Tempio, là
dove Gesù, guardandosi attorno, vide alcuni ricchi che
gettavano le loro offerte nella
cassetta del tempio. Vide anche una povera vedova che vi
gettava due monetine. Allora
disse: “In verità vi dico: questa vedova, povera com’è, ha
offerto più di tutti gli altri.
Tutti costoro infatti hanno
dato come offerta parte del
loro superfluo, questa donna
invece ha dato, nella sua
miseria, tutto il necessario
per vivere”. (Lc. 21 1,3)
Non abbiamo il piacere di
conoscere personalmente
questa persona, ma ormai è
come la conoscessimo da
sempre. Da queste pagine
desideriamo dirle che le
vogliamo bene e ricambiamo
riconoscenti tutto quello che
Lei ci dona: “Il grande aiuto
di cui abbiamo bisogno, la sua
fedeltà, la sua amicizia!”.
Quanto bene ci fa la vostra
vicinanza, cari lettori; donateci la vostra presenza,
accompagnateci e, con critiche e suggerimenti, diventate
5
collaboratori.
È un appello che viene da
lontano, dal numero 3 di
Incontri 2 settembre 1987,
tutt’ora valido: “Tutti possono collaborare, inviando
notizie articoli e foto che
riguardano la storia e la vita
di persone e cose della Piccola
Casa. La Direzione s’impegna
a pubblicare il materiale ricevuto secondo il loro interesse
e disponibilità di spazio. Chi
volesse la restituzione del materiale lo faccia sapere al momento dell’invio”.
“la sua fedeltà, la sua amicizia”
Desiderio della
redazione era ed
è, che questo periodico diventi
sempre meno
nostro, sempre
più cosa vostra!
Quanto merita
di essere conosciuto, diventi
patrimonio di
tutti, geograficamente magari separati e lontani
dagli avvenimenti, non però dalla
gioia della condivisione. Un abbraccio fraterno.
La Redazione
6
Incontri
T e s t i m o n i a n z e
Basta prestare
i vestiti agli Angeli:
loro sapranno
come utilizzarli
Q
uanti malati hai assistito in questi anni?
Una quarantina. E una ventina li ho visti morire. È sempre
un’esperienza straordinaria.
Ogni volta ho la sensazione di
essere di fronte al mistero. È
come se lo toccassi ed è come
se la Grazia mi toccasse.
Perché dici che l’assistenza ti
ha insegnato la felicità?
In questi anni mi sono chiesto
che cosa ho imparato. Tante
cose: la pazienza, la capacità
di valorizzare gli aspetti positivi, che non mancano mai
anche nelle situazioni più
drammatiche, la capacità di
far tesoro di ogni momento.
Quest’elenco però non mi
appagava, fino a che mi è
apparsa chiara la risposta
sulla felicità.
È un’affermazione paradossale.
Qualcuno rimarrà incredulo,
ma cosa posso farci se questa
è realtà? L’affermazione può
essere capita, purché non si
confonda felicità con spensieratezza. Comunque per me
non è una teoria, ma un’esperienza. L’esperienza di alcuni
mediocri gesti eccezionali,
che chiunque può compiere.
Prova a raccontarla con poche
parole...
L’assistenza ai malati è stata
una svolta per la mia vita.
Prima, pensavo che per avere
una gioia, fosse necessario
allontanare il pensiero della
sofferenza. Ora il mio atteggiamento è cambiato, perché
ho sperimentato, quali straordinari risultati si ottengono
portando un sorriso nel dramma. È lì che quel paradossale
stato d’animo che chiamo felicità, mi ha conquistato ed ho
capito che felicità e angoscia,
non sono tra loro alternativi,
possono convivere.
Qual è stata la prima occasione
di questa scoperta?
La morte di un carissimo
amico per un tumore al cervello. Nella fase terminale
della lunga malattia, d’accordo con i famigliari, lo assistemmo in casa sua. Fu così
che ritrovai un fratello, con il
quale avevo sempre avuto
buoni rapporti, ma un po’
distaccati. Ci guardavano negli occhi e penso che anche lui
provasse un’emozione simile
alla mia. Fu poi a esperienza
compiuta, che mi accorsi con
sorpresa di aver scoperto
qualcosa di nuovo: I tre mesi
dedicati al mio amico erano
stati tra i più belli della mia
vita e per quanto gli avessi
dato, certamente avevo però
ricevuto molto di più.
Frequentemente, i malati sono
descritti anche come sereni,
svegli, desiderosi di rapporti
umani, di tenerezza e d’intimità; raramente come intolleranti o depressi. Nei casi in cui il
senso della sconfitta prende il
sopravvento e l’angoscia copre
le altre sensazioni, quando
sembra che la malattia non
lasci più tempo per niente…
Allora si riflette, sul tempo
sprecato, sulla verità di come
ogni minuto è un’opportunità
tutta da vivere. Ho vissuto
tante testimonianze: in una di
queste, l’ammalato dopo avere
desiderato il suicidio, commuovendosi è arrivato ad
affermare: «Certo che questa
esperienza d’infinita tenerezza
con mia moglie, se non fossi
stato così male, non l’avrei mai
sperimentata». Poi quella di
Francesco, un architetto con
moglie e due figli piccoli, che
decidono di compiere una
sorta di preparazione alla
morte cui partecipa anche la
moglie; un “seminario verso
l’infinito” l’hanno denomina-
to, «tanto, vicina o lontana che
fosse in quel momento, la morte
sarebbe alla fine giunta inesorabile, per entrambi».
Vivendo il contatto continuo
con la sofferenza, ho imparato
a essere felice! Assistendo
malati terminali, la mia avventura totalmente umana, ha trovato in essa soddisfazione, ed
ho capito che “felicità o angoscia non sono in alternativa,
possono convivere”... più di
una volta fare volontariato
accanto a chi soffre, aiuta a
“coltivare felicità”. Per rimanere coinvolti, nell’assistenza
ai malati terminali, basta semplicemente un pizzico di disponibilità, il resto maturerà
nel tempo, poco a poco.
L’importante è però farsi aiutare, non essere individualisti,
lavorare assieme ad altri. La
mia grande fortuna è stata
quella di affiancare un’équipe
di medici e infermieri, che alla
professionalità seria, hanno
abbinato l’importanza del praticare la giusta attenzione nei
rapporti umani. Nello scorrere della mia esperienza, ho
capito anche che l’assistenza ai
malati è qualcosa che non si fa
solo per gli altri, ma anche per
se stessi, per scoprire e approfondire il senso della vita,
lasciandoci aiutare da chi ha
bisogno di aiuto.
Non è un mestiere, un’attività,
ma un’occasione per sperimentare ogni volta qualcosa di
nuovo. Ed è inutile chiederci
che cosa: nessun potrà dirlo se
non farà direttamente personale esperienza.
La disponibilità verso gli altri
dovrebbe essere un atteggiamento normale e non è necessario essere santi, preparati e
perfetti, o tipi in gamba particolarmente abili. Anche un
mediocre qualunque può fare,
a condizione di volerlo o di
farlo. Per dirlo con una metafora, “basta prestare i vestiti
agli angeli: loro sapranno come
utilizzarli”.
Per me ogni giornata è una
sfida, ogni paziente che incontro mi porta alla riflessione di
quanto deve essere terribile,
sapere che la propria vita sta
finendo; ed è questo che m’incoraggia a lavorare, a impegnarmi come posso utilizzando
mezzi semplici. Basta una parola, un ascolto silenzioso, il
palmo di una mano su un braccio steso. Non esistono tecniche scientifiche per dare conforto morale, occorrono due
anime che s’incontrano, nel
silenzio.
La Redazione
7
8
I n c o n t r i
S p i r i t u a l i t à
I volontari
del Cottolengo
R
iceviamo corrispondenza e questo nel bene o nel male, conforta
il cuore dei poveri redattori.
Naturalmente vi si trattano
argomenti variegati e portano
notizie che ci aggiornano su
avvenimenti, piccoli o grandi
non importa, che in qualche
maniera interessano la vita
della Piccola Casa.
Mettendo insieme un po’ il
tutto ritengo sia giusto dedicarvi un po’ di spazio, anche se
qui porteremo il nostro interesse specialmente verso l’universo del volontariato cottolenghino. E tanto mi sembra
quanto mai opportuno, anche
perché maggio è stato tempo
di votazioni per il rinnovo del
Comitato Esecutivo. Le votazioni si sono svolte il giorno 9
maggio, precedute dall’approvazione dei bilanci della gestione 2011/2012; prima del congedo dell’assemblea è stata
comunicata la notizia della
recente creazione del sito Internet dell’Associazione:
WWW.AVC-ONLUS.ORG.
Nei primi giorni di giugno poi,
completato lo spoglio dei voti,
i quindici eletti si sono riuniti
ed hanno nominato il Presidente. Per i prossimi cinque
anni è stato eletto il sig. Antonio Pometto, il popolare
Tonino, finalmente tolto dall’ombra serena della famiglia
Santa Elisabetta e portato in
Antonio Pometto, neo-presidente
un campo più ampio, dove certamente continuerà a produrre
frutti preziosi. Non ci rimane
che esprimere a Lui e tutti i
nuovi eletti, un fervido augurio
di buon lavoro. Del primo
volontariato permeato di un
certo romanticismo, che molti
hanno conosciuto in un passato neanche poi tanto lontano,
rimane solo un bel
ricordo;
ma
il
Volontariato è sempre presente, colonna portante e
grande realtà della
Piccola Casa, con
centinaia di presenze
attive e sempre caratterizzate da gratuità e dono di presenza spontanea.
Costituiscono
un
grande patrimonio,
che tutti abbiamo il
dovere di sostenere,
oserei persino dire,
proteggere. Mi sia
ora qui concesso
esprimere un personale desiderio, che abbraccia
tutto il volontariato: “Rafforzare cooperazione e presenza in comunione, andare
oltre il Presidio e i Padiglioni,
costituire Famiglia”. Come nel
loro piccolo fanno due famiglie, la femminile di Santa
Elisabetta e quella maschile di
Sant’Antonio, che con delle
simpatiche iniziative e coinvolgendo anche familiari e amici,
organizzano gite, scampagnate
9
e incontri, per festeggiare e far
felici i nostri ospiti. Creano
occasioni di condivisione,
vivono in amicizia gioiosa e
fraterna il servizio che li accomuna, manifestando la gioia
dell’appartenenza alla famiglia
cottolenghina e la consapevolezza di essere presenze vive,
partecipi della serenità donata
Basterebbe anche solo approfittare di quanto promuove
l’Associazione. Un panorama
ricco di proposte spalmate sull’intero anno formativo, che
donano a tutti opportunità di
crescita. Particolarmente poi a
quanti vogliono dare alla loro
presenza un peso maggiore,
essere coinvolti nella sfera
con le loro presenze. Parlano
di una comunione che è possibile. I nostri volontari tutti,
mettono generosamente a
vista il loro cuore nel servizio;
ma in alcuni casi tutto si ferma
lì, non va oltre il breve incontro nei tempi della presenza
nel reparto, ritornano spesso
nella solitudine.
Pure non mancano certo occasioni per entrare in comunicazione.
della spiritualità cottolenghina,
vivere completamente il respiro della Piccola Casa.
Ma è importante che ognuno
di noi metta qualcosa di suo
nell’incontro con che gli sta
vicino o che incontra.
Rapportandoci, per crescere e
migliorare in un impegno di
buona volontà che ci coinvolga, tutti!
Mario Carissoni
10
I n c o n t r i
La città nascosta
P e r s o n a g g i
Q
uando andavo in montagna con il campeggio
della parrocchia, osservavo con una certa curiosità,
nel piccolo paese, vicino a quel
celeberrimo negozio che in
questi piccoli luoghi fa da
tabaccheria-edicola-drogheriacommestibili-giocattoli-articoli
bagno, lo strano commercio
che c’era tra i ragazzi del posto
proprio lì davanti. Giornalini,
fumetti, illustrazioni ben disposti sull’ultimo gradino di quella
bottega e mi domandavo con
una certa curiosità, da ragazzo
di città, perché il padrone del
negozio non cacciava quei“concorrenti in erba”. Poi vincendo
la mia metropolitana timidezza
mi accorgevo che più che una
vendita di vecchi fumetti era
uno scambio. Uno scambio di
storie, di avventure, di emozioni sognanti tra eroi improbabili
di un’America troppo lontana e
di goffi personaggi nostrani
sempre alle prese con qualche
casalinga disavventura. Allora
tra quelle montagne uno scolapasta diventava un elmetto e la
baita abbandonata un rifugio
da conquistare con dentro chissà quali tesori. E come era difficile poi tornare in città, dove
era arduo correre alla conquista
di qualche sognante castello
trovare dei fumetti da condividere sulle scale ma solo da comperare per la generosità di
mamma e papà. Poi il tempo
passa e non è più il verde dei
prati o il cemento della città che
delimitano il confine dei sogni,
ma le fatiche e gli ostacoli che la
vita mette innanzi al cammino
11
di ogni persona. Diventa difficile ricominciare a sognare e
tante volte non solo per problemi di Carta d’Identità. Ma i
sogni non possono fermarsi, si
trasformano a volte in percorsi
irrazionali verso egoistiche
conquiste, in passioni infantili
ma anche verso ideali traguardi che ci riempiono il cuore.
Con questo spirito abbiamo
sognato un fumetto che non
lasciasse cadere tutti quei sogni
di umanità, di giustizia che
hanno emozionato centinaia di
vite in quel luogo speciale chiamato Piccola Casa. Così nasce
La città nascosta, un progetto
unico nel suo genere che non
vuole raccogliere dei ricordi
ma le emozioni vissute da quagli eroi silenziosi che hanno
fatto bene al nostro mondo e
che possono ancora oggi emozionare bambini e adulti per
non far finire il tempo dei loro
sogni... ma per aiutarci tutti
insieme a realizzarli... svegliandoci per iniziare a renderli
realtà!!!
Buona Avventura!!!
Bonsignori don Andrea
Lunedì 30 aprile, si è svolta nella chiesa grande una solenne cerimonia per ricordare il 170° anniversa-
rio dell’ascesa al cielo di San Giuseppe Benedetto Cottolengo. Al termine dell’emozionante funzione,
molti dei partecipanti si sono recati nel salone del cinema per un altro evento importante per tutta la
Piccola Casa. È stato infatti “lanciato” in rete “La città nascosta”, un fumetto multimediale che descrive
attraverso vignette significative e disegnate molto bene la vita all’interno della Piccola Casa, con gli ospiti protagonisti delle avventure. La novità è che il fumetto per ora non uscirà su supporto cartaceo, ma
sarà fruibile solo su internet, ed esce in diverse lingue, tra cui l’Hindi, vista la diffusione del Cottolengo
in diverse parti del mondo. Il progetto è stato realizzato grazie alla collaborazione tra la Regione
Piemonte, l’Accademia Albertina di Belle Arti, l’associazione “Anonima fumetti” e naturalmente il
Cottolengo.
Al seguente indirizzo internet, potrete visionare il servizio realizzato da Rete7 sulla presentazione del
fumetto: http://www.youtube.com/watch?v=4U2K-aJgjOw Buona visione!
La redazione
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N
o
t
i
z
i
I n c o n t r i
e
La mia ora di preghiera
È
così frequente per me non
riuscire a partecipare alla
preghiera comunitaria che
è ormai un luogo comune dire
che io a pregare non ci sono mai.
Onestamente però lo sforzo lo
metto davvero, ma spesso le circostanze m’impediscono di
tradurre in fatti i miei desideri.
Ieri per esempio, nonostante
la pesantissima giornata in
sala operatoria, sono riuscito
a sgattaiolare via dall’ospedale verso le ore 19 e mi sono
nascosto in cappella.
Per i primi dieci minuti ho
con forza lottato contro una
tremenda botta di sonno che
è abbastanza tipica per me
ogni volta che mi sieda, dato
il ritmo convulsivo delle giornate di Chaaria.
Mi sono svegliato di soprassalto
quando Fratel Dominic ha iniziato il rosario, ed ho deciso di
assumere una posizione confacente allo stato di veglia. Mi
sono seduto con la schiena ben
eretta senza toccare il muro, in
modo da non avere uno schienale che potesse favorire il mio
impercettibile scivolamento tra
le braccia di Morfeo.
Ho anche cercato di non chiudere assolutamente gli occhi durante la recitazione delle “Ave
Marie”.
È andata abbastanza bene per
la prima decina, ma non
appena il confratello ha proclamato il secondo mistero,
ho visto con la coda dell’occhio che la porta della cappella si apriva lentamente: ho
pensato che fosse Kimani, il
quale spessissimo viene a pregare con noi con una puntualità ben superiore alla mia!
Invece la mia attenzione è stata
attratta dal fatto che la porta
rimaneva aperta, ma nessuno
entrava.
Ho quindi girato la testa ed ho
scorto Faith in divisa da sala
operatoria, la quale mi guardava
fisso senza proferire verbo: questo è il modo solito per invitarmi
a uscire, senza disturbare la preghiera degli altri. Faith non
entra mai, se non mi trova completamente addormentato... nel
qual caso fa due passi in punta di
piedi e mi da’ uno scrollone sulla
spalla!
Mi sono quindi ricomposto e
l’ho seguita: non si trattava di un
cesareo come sospettavo, ma di
una mamma che non riusciva a
partorire per mancanza di valide
contrazioni, mentre il battito
cardiaco fetale peggiorava rapidamente.
In pochi secondi mi sono quindi
risettato dal rosario alla necessità di una decisione clinica rapida
ed efficiente.
Dopo una breve visita mi sono
reso conto che il cesareo non
sarebbe stato davvero una scelta
possibile: ci
sarebbe voluto
troppo tem po
per la preparazione della paziente e per
l’allestimento
della sala.
Ho quindi preferito la ventosa ostetrica,
che non amo
tantissimo ma
che in questo
caso mi è sembrata l’unica
possibilità.
Il battito era, infatti, tremendamente lento, e agire velocemente
era imperativo.
Il parto medicalizzato non è
stato così facile e immediato
come speravo, ma alla fine
abbiamo tirato fuori quel pupo:
aveva due giri di cordone attorno al collo, e questa era certamente la causa delle pericolose
decelerazioni del battito durante
le contrazioni. In pratica era
come se il piccolo fosse strangolato sempre di più ogni volta,
che la mamma spingeva.
Infatti, il neonato ha sofferto moltissimo per la
sua venuta al
mondo: non
respirava per
nulla, anche
se il battito
del suo cuoricino era discreto.
Lo abbiamo
rianimato con
ambu, ossige-
13
no e massaggio cardiaco; pian
piano il respiro ha dato segni di
attività spontanea, e poi è diventato via via più regolare, mentre
le condizioni si sono stabilizzate.
È stato un bel sospiro di sollievo
per me. Temevo veramente che il
piccolo fosse morto!
Ho quindi consigliato di porre il
neonato in incubatrice e sono
corso nuovamente in cappella: il
rosario era ormai terminato ed
ho trovato i confratelli che cantavano il Magnificat del Vespro.
Mi sono unito a loro per i minuti rimanenti delle nostre devozioni serali.
Mi sento sempre abbastanza a
disagio quando entro in chiesa a
pochi minuti dalla fine; ma cerco
normalmente di vincermi, pensando al vecchio proverbio che
dice: “Meglio tardi che mai!”
Ecco com’è passata anche ieri la
mia ora di preghiera... ma sono
sicuro che il Signore vede e comprende molto meglio degli
uomini!
Fr. Beppe
Incontri
“aprite le porte a Cristo”
Un ospite speciale
hi di noi, entrando nel
cortile di via Cottolengo 14, non ha posato lo sguardo sulla bella figura
di Papa Giovanni Paolo II,
collocata vicino la statua del
nostro fondatore?
Inevitabile esserne attratti;
una bella figura imponente,
quasi ad altezza naturale, di
colore bronzeo, dove l’autore
Fiorenzo Bacci ha raffigurato
la figura di Papa Wojtyla, con
sembianze umane, ma con un
volto che è già immerso in
quello del Padre, per indicare
a noi tutti il cammino verso la
meta.
Guardandola attentamente la
scultura, non rimanda semplicemente alla consueta imma-
C
gine del Pellegrino della
Speranza, del Pastor Angelicus che eravamo abituati a
vedere durante i suoi numerosi viaggi, compiuti per portare
ovunque Cristo e la sua Parola
di Salvezza, ma a una dimensione trascendente ed eterna.
Una forma che già fin d’ora ci
illumina con la promessa che
anche noi saremo in Lui
quando “Cristo sarà tutto in
tutti”.
Il volto appare somigliante di
profilo, trascendente nella
visione frontale. Le sopracciglia e le pieghe caratteriali,
leggermente corrugate formano il disegno di una colomba.
Il Pontefice è scalzo come un
novello Francesco, che tanto
si è speso proprio lì nella sua
Assisi. La palma del Pastorale,
richiama e rimanda alla Domenica delle Palme e alla festa
dei giovani con l’esortazione
“non abbiate paura”.
Sulla mitria il Cristo Risorto e
la corona di spine, testimoniano la sofferenza che Karol
Wojtyla ha affrontato; poi tre
chiodi della Passione sul
paliotto, a ricordo dei dolori
sofferti con infinito coraggio e
rassegnata fermezza. La sua
figura umana e soprannaturale
già vedono il volto del Padre e
diventa per noi un faro, che
illumina il nostro cammino,
indicando a tutti, che il Regno
dei Cieli, inizia quaggiù e ha il
suo compimento nell’eternità
di Dio. Subito la devozione
dei nostri figli ha collocato il
suo saluto, opera del nostro
Vito, ai piedi della statua:
“Santità, la Piccola Casa ti
ama!”.
Come mai questa bella presenza, qual è la sua storia?
Fa tutta parte di un progetto,
che richiama al motto inciso
sullo stemma Pontificio di
Giovanni Paolo
II, ”Totus Tuus”,
ed è nato da
un’idea di Monsignor
Ettore
Malnati, noto docente di Teologia
Dogmatica.
L’idea di portare
la scultura di
bronzo che raffigura il Pontefice
pellegrino, verso
la “Casa del Padre” seguendo un
itinerario spirituale che tocchi
alcuni luoghi che
l’hanno ospitato
in vita, soprattutto nei santuari
mariani. Lo scopo del pellegrinaggio è di far
riunire ancora oggi, nel suo nome e
nella devozione a
Maria, quanti lo
hanno seguito e
ammirato duran-
te il suo lungo Pontificato.
Della scultura sono previste
nove copie, che si vorrebbero
collocare in tutti i continenti,
nei posti più indicativi del
Pellegrinaggio terreno del
Pontefice. Là dove sono collocate, sono da considerarsi
quali antenne evangeliche,
che accolgono e diffondono il
messaggio di Papa Giovanni;
lo troviamo inciso sullo stolone in aramaico: “aprite le
porte a Cristo”.
La prima di queste copie è già
stata portata a Sydney, in Australia, dono degli emigranti
italiani al Cardinal George
Peel. Una seconda copia è di
fronte alla chiesa di San Pietro
alla Lenca (AQ) dove Giovanni Paolo si recava a pregare quando andava a sciare in
Abruzzo; da li guarda la cima
del monte che recentemente è
stata dedicata a Lui.
La copia che è
arrivata a noi, ha
già fatto un bel
cammino; sino ad
ora è stata a Pordenone nel Duomo di San Marco,
a Trieste in Santa
Maria di Sion, ad
Assisi in Santa
Maria degli Angeli, a Loreto sulla
piazza del Santuario, a Varese, a
Tortona, a Garlasco, ad Alessandria, all’abbazia di
Fruttaria, a Verona, a Motta Livenza, a Udine, a
Grado, ad Aquilea, a San Giovanni Rotondo, a Todi, a Collevalenza,
a Torino nella Basilica di Maria Ausiliatrice e da li è
passata a noi.
Mario Carissoni
15
16
Incontri
T e s t i m o n i a n z e
Il Beato Francesco Paleari
a Pisa
Un archivio
e una mostra
permanente
per
ricordare
e conoscere
S
il Beato Francesco Paleari
ella Piccola Casa di
Torino, presso la
famiglia Tommasini,
al primo piano, è stata allestita una mostra permanente
con alcuni oggetti appartenuti
al Beato Francesco Paleari: gli
abiti liturgici, la sua scrivania,
i suoi libri, il cilicio, la corona
che aveva tra le mani al momento della sua morte, e i suoi
vestiti …
Sorprende vedere come, dopo
la sua morte avvenuta il 7
maggio 1939, quanto gli ap-
N
partenne fu immediatamente
conservato con cura, con
biglietti che segnalavano l’uso
di “Monsignor Paleari” e
tutto questo fatto con sincera
riverenza.
Quanto abbiamo ritrovato e
raccolto è testimonianza della
fama di santità che si diffuse
immediatamente dopo il suo
passaggio da questo mondo al
Padre.
Ora tocca a noi non disperdere questo patrimonio, anzi
approfondirlo per cogliere il
abato 12 maggio il Cottolengo di Pisa ha accolto
solennemente la reliquia
del Beato Francesco Paleari.
L’arcivescovo Mons. Giovanni
Paolo Benotto ha presieduto
l’Eucaristia concelebrata, oltre
che dai Sacerdoti della comunità locale, da don Roberto
Provera, primo Condirettore
della Piccola Casa, e dal Vice
Rettore del Seminario di Pisa,
don Francesco Bachi, amico
da lunga data del Cottolengo.
Tutti insieme: Sacerdoti,
Suore, Ospiti, Volontari e Personale dipendente, hanno
ringraziato con gioia Dio per il
dono fatto alla Chiesa e alla
Piccola Casa nella persona di
Mons. Paleari, ora riconosciuto ufficialmente come modello da imitare.
Don Roberto ci ha portato la notizia che don Paleari era già stato a Pisa,
quando era ancora in
vita. Negli anni della sua
malattia, mentre si trovava a Celle Ligure in convalescenza, suo nipote,
don Lodovico Chiesa, futuro Padre della Piccola
Casa, l’invitò a passare
qualche giorno al Cotto-
dono che lo Spirito ci ha fatto
attraverso la vita santa di don
Franceschino.
È questo il significato vero di
una beatificazione, e che ha
ispirato anche la mostra e l’archivio che è stato iniziato.
È possibile visitare la mostra e,
se si desidera (previo accordo),
avere una guida che la illustri,
vedere un DVD sul Beato, fare
incontri di approfondimento
della sua figura spirituale.
Don Carmine Arice, ssc
lengo di Pisa, di cui in quel
periodo era Direttore. Fu così
che il futuro Beato trascorse
un breve periodo all’ombra
della Torre pendente, con
grande soddisfazione, come si
evince da una sua lettera.
Occorre poi aggiungere che il
legame di Mons. Paleari con
Pisa si è consolidato proprio
in occasione della sua beatificazione. Infatti, l’Arcivescovo
di Pisa, con il grado di Consultore della Congregazione
per le Cause dei Santi, si
trovò a essere il Ponente
della causa riguardante il
miracolo nella sessione ordinaria dei Cardinali e Vescovi
tenutasi il 9 novembre 2010,
che all’unanimità espresse
parere favorevole, spianando
così la via alla beatificazione
del nostro Franceschino.
La sua memoria in questa casa sarà perpetuata grazie a un
grande quadro a mosaico, realizzato e gentilmente donato
da Piero Gasparello, cui va la
riconoscenza di tutta la Famiglia Cottolenghina di Pisa.
Il mosaico ritraente il Beato
Paleari, esposto per l’occasione sulla parete laterale della
chiesa, è stato benedetto dall’Arcivescovo al termine della
S. Messa con una breve ma
intensa cerimonia, allietata
dal sole. Un fragoroso applauso ha accolto l’immagine
sorridente del nuovo Beato,
mentre lentamente era sollevato il drappo bianco, e
numerosi commenti entusiastici hanno accolto l’opera
d’arte del nostro carissimo Piero.
Sono certo che il Beato
Paleari continuerà a
benedire dal cielo questa
casa, che l’ospitò per
qualche giorno in vita, e
che intende onorarlo e
seguire con impegno il
suo stile di vita.
don Giovanni Morero
17
Incontri
T e s t i m o n i a n z e
Niente da fare.
Tutto da fare
La gentilezza
i mettono alle corde le situazioni di stallo,
l’incertezza che si perpetua, il susseguirsi
delle scosse di terremoto, svegliarsi al mattino e non sapere come impiegare la giornata, il protrarsi di una malattia che sembra metterci fuori
gioco. Non è (solo) l’affanno delle troppe cose da
fare a stremarci ma anche la prospettiva di averne
sempre meno.
Oggi in tanti si svegliano al mattino di una giornata priva di impegni, di senso, di prospettive. Quei
piccoli gesti quotidiani che un
tempo li accompagnavano, come
vestirsi, bere un caffè di corsa già
leggendo le notizie su Internet,
avere il tempo impegnato e scandito da attività… improvvisamente lasciano il posto al vuoto e al
vago.
Mario ha 40 anni, la mattina accompagna i figli a scuola, li bacia
e li saluta come fanno tutti gli
altri padri, poi riprende la strada
di casa e si prepara a vivere una
giornata tutta da inventare tra piccole commissioni, la ricerca di un lavoro che non si trova, l’attesa
che venga sera. Gli dicono che è troppo vecchio
per trovare un nuovo lavoro. In realtà è troppo
giovane per smettere di cercarlo: rinunciarvi equivarrebbe a smettere di vivere.
Il vuoto è per tutti difficile da gestire. Fin da bambini ci siamo abituati a pensare che siamo “quello
che facciamo” e che siamo “il modo in cui impegniamo il tempo”. Spesso la professione e le agen-
C
n giorno rincasando,
ho trovato un’auto
parcheggiata nei pressi del vialetto d’accesso di
casa, nel mio posto preferito.
La mia prima reazione è stata
di fastidio, perché avevo sempre messo la macchina lì.
Adesso invece ero costretto a
lasciarla più lontano e, per di
più, a portare a piedi le mie
cose. Nelle ore successive ho
continuato a pensare ossessivamente alla persona che
aveva parcheggiato nel mio
spazio, mi sono lamentato
con mia moglie di quanto
costui fosse maleducato e ho
controllato varie volte se l’auto fosse ancora lì.
Alla fine sono uscito per
guardare più da vicino. In
quel momento un uomo dalla
casa di fronte si è diretto
U
verso la macchina in questione. Ho notato subito che
aveva una disabilità fisica:
camminare gli era difficile e,
con ogni probabilità, doloroso. Lui mi ha guardato, mi ha
sorriso e mi ha salutato.
In quell’istante d’illuminazione tutto il mio disappunto è
svanito e mi sono ritrovato
pieno di compassione e sollecitudine.
Quanto doveva essere difficile la sua vita, paragonata alla
mia! Ero balzato a una con-
clusione negativa, invece di
immaginare che potesse esserci una buona ragione, per
questo motivo quell’auto era
parcheggiata lì. E mi ero
arrabbiato, invece di mettermi nei panni di un altro.
Tutti abbiamo qualche problema, anche se non è visibile
in superficie.
Dovremmo ricordarci di
essere gentili, pazienti e comprensivi con gli altri perché
non sappiamo quali fardelli
devono portare.
Proprio come diceva un
grande pensatore greco:
«Quando incontri qualcuno,
sii gentile con lui, perché
sicuramente egli sta conducendo una battaglia più difficile della tua».
Pasquale Ionata
Fonte: Città Nuova
de piene di impegni diventano la nostra seconda
pelle. Così chi si trova improvvisamente a uscire
dalla corsa (o alla corsa non riesce neppure a prendere parte) è costretto a nascondersi, a ritirarsi, a
celare il proprio malessere, a gestirlo come un problema privato.
La società non è benevola con i vinti e non ci sono
“scuole” che ci attrezzano a gestire l’insuccesso, la caduta, la sconfitta come parte del gioco. Ci
nascondiamo che questo tempo
di transizione e di incertezza ci
riguarda tutti, scuote e sovverte i
nostri equilibri, richiede di essere
metabolizzato. Come? Non ci
sono ricette, né prospettive consolatorie.
È certo però che non possiamo
arrenderci al vuoto. Reagire – in
questo tempo avverso – è ostinarsi a credere che il sale della vita è
nascosto nelle pieghe di ogni
nostra giornata e può darle sapore. «È un piccolo “di più” che si
offre in dono a tutti noi», scrive Françoise Héritier
(Il sale della vita, Rizzoli, 2012). È l’incontro con
qualcuno, una nuova intuizione, una passeggiata
da soli, è coltivare qualche spiraglio di serenità,
rimettere in circolo la creatività, sentire che c’è una
grazia speciale nel solo fatto di esistere, un’energia
sotterranea che continuamente si rinnova. E da cui
possiamo sempre ripartire.
Elena Granata
Domenico Salmaso
18
Fonte: Città Nuova
19
20
V i t a
Incontri
v i s s u t a
Il cuore di
un barbone
orrei presentarvi alcuni
miei amici. Sono dei
tipi un po’ particolari
ma interessanti, e anche se
non lì rivedrò più, non credo
che potrò mai dimenticarli. Li
ho conosciuti alla mensa della
Casa Accoglienza del Cottolengo in Torino. Si trovano
sempre in giro per il centro
ma prima di allora non mi
ero mai accorta: stanno
nascosti, inosservati nella
vita quotidiana, come tanti
dettagli nello sfondo di un
quadro, particolari trascurati e tralasciati, ma sempre
presenti. Diceva Aristotele
che le cose più evidenti,
quelle che ti stanno davanti
V
agli occhi, sono quelle che
non riesci mai a vedere. Beh,
uno dei primi che ho conosciuto, non senza un certo stupore, è Francesco: “Ehi è un
po’ che non ti si vede in giro!”
dice una volontaria, “Già… è
che mi hanno appena rilasciato!”. Un’altra persona singolare sicuramente è Giacomo,
un ometto sulla sessantina,
che muta umore con la stessa
velocità con cui cambia il
vento, tanto allegro e sorridente, quanto aggressivo, che
dice di vendere magliette
lungo il Corso Vittorio; in
effetti, una volta l’ho trovato
con il suo carretto-banchino,
tanto entusiasta di vederci da
volerci regalare una maglietta.
A sostenere la verità tra
alcolizzati, barboni e criminali, non fanno tutti
una buona impressione a
primo impatto, anzi il
contrario, ve lo assicuro,
ma quello che ben presto
ho scoperto è che hanno
tante storie interessanti da
raccontare, vere o false che
siano. I più simpatici e chiacchieroni, quelli cui mi sono
più affezionata, sono Gabriele
e Lorenzo, due tipi allampanati di mezza età accomunati
da una simile sorte, ma che
affrontano la vita in modi un
po’ diversi: Gabriele sembra
una persona che ama cogliere
l’attimo, che non si preoccupa
molto alla fin fine di quello
che accade intorno a lui,
cercando di prendere il
meglio da ciò che gli capita.
Lorenzo invece non sembra amare molto la sua vita,
racconta molte storie, forse
vorrebbe che tutto fosse
così entusiasmante e divertente come lo descrive, ha
qualche rimpianto, ogni
tanto dalle sue parole trapela una punta d’amarezza.
Mi ha colpito molto l’attaccamento di Lorenzo al suo
cagnolino, un cucciolo
molto affettuoso e giocherellone: “Si chiama Birillo –
dice con orgoglio – l’ho trovato tempo fa incastrato nella
rete di un recinto, non era di
nessuno, l’ho preso io. È un
furbacchione, dorme tutto il
giorno e poi la notte non fa
dormire noi! E come gli piace
la birra… ah ma non gliela
diamo mica noi! “Basta che ci
giriamo un attimo e…”. Vuole
davvero bene al suo cane, lo
tratta con la cura di chi si
dedica a un figlio, forse perché non ha altri affetti che
quello. Spesso questa gente è
criticata, ma soprattutto completamente ignorata, quasi
non esistesse; ci dimentichiamo o semplicemente ignoriamo il grande bisogno che queste persone hanno di ricevere
e donare affetto. Ricordo la
nostra prima conversazione:
“Che scuola ha fatto?” dice
Lorenzo, “Lo scientifico”,
“Bene bravi studiate mi raccomando, non fate come me,
che io a tredici anni scappavo
sempre via con la moto e ora
guardate dove sono…
“Quant’è bella giovinezza che
si fugge tuttavia, chi vuol esser
lieto sia del domani non v’è
certezza”. Sì fate bene a studiare però io sono contento così,
ma v’immaginate quanti pensieri, quanti problemi se vivessi diversamente? Il lavoro, le
tasse, sì insomma così non ho
tanti pensieri...”. Intanto Gabriele si rivolge a un passante
chiedendogli un accendino:
21
quello lo guarda sospettoso, si
gira e affretta il passo. Gabriele ride, manifestiamo anche noi la nostra gioia: a chi
non è capitato di trovarsi dalla
parte del passante? Eppure
vista così, la scena sembra
tanto buffa! Qualche giorno
dopo mentre andiamo alla
mensa nella piazzetta vicina,
troviamo Gabriele seduto,
rosso in viso, con le pupille
allargate, fa fatica a riconoscerci, sorride quando gli
porgiamo l’accendino che
gli abbiamo comprato, ci
abbraccia; con tristezza
entriamo in mensa. Più
tardi vedo arrivare Lorenzo
con Birillo, faccio per salutarlo, ma con triste e amara
consapevolezza mi rendo
conto che sta male pure lui:
scende le scale, barcolla, si
getta a sedere per terra, non
vuole entrare perché sennò
deve lasciar fuori Birillo,
chiede solo un sacchettino
del pranzo della domenica,
così che possa dar da mangiare al suo cane che ha fame.
Dopodiché lo prende in braccio, si rialza e inizia faticosamente a camminare. Io sono
ancora smarrita faccio per
dire due parole, per fermarlo
“Ehi Birillo!” sorridendo al
padrone. Lorenzo si gira, mi
guarda, non riesce a mettermi
a fuoco, ancora instabile sulle
gambe, fatica a concentrarsi:
“Sì… sì, lui si chiama Birillo”
e lo stringe a sé, poi se ne va.
Isabel Giommoni
22
Incontri
N o t i z i e
Annuncio tema pastorale
Cari figli e figlie della Piccola Casa,
“Santi nella carità. Per una pienezza di vita”. È questo il tema che ci ha accompagnati in
quest’anno pastorale che sta per concludersi.
Le celebrazioni per i 200 anni dell’ordinazione del Santo Cottolengo, il convegno sulle
famiglie religiose che a lui si sono ispirate e, soprattutto, la beatificazione del Venerabile
Francesco Paleari, ci hanno aiutato a vivere un tempo di grazia particolare. Davvero possiamo dire “Deo gratias” per quest’ anno straordinario.
Per la scelta del tema pastorale per il prossimo anno, abbiamo precise indicazioni del
Papa Benedetto XVI, che non possono essere ignorate: la celebrazione dei 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione che si celebrerà in ottobre, l’indizione dell’anno della fede. Tutto questo orienta la nostra riflessione a
“ripartire da Cristo”, a rinnovare la nostra fede in Lui e nell’opera della grazia, affinché
la nostra vita e la nostra azione apostolica sia fecondata dalla Sua presenza.
Pertanto mi è sembrato opportuno per l’anno pastorale 2012 – 2013 scegliere il seguente tema:
LA BUONA NOTIZIA
”La carità di Cristo
ci spinge all’evangelizzazione”.
L’anno pastorale che inizierà il 2 settembre, giorno dell’ispirazione carismatica ricevuta dal Cottolengo, potrà essere un’occasione
utile per rinnovare il nostro impegno a essere collaboratori di Dio
nel Vangelo di Cristo (cfr. 1 Ts 3,2), e offrire il nostro contributo
alla Chiesa e alla Piccola Casa perché il Vangelo sia annunziato
con le parole e le opere, discepoli di quel Signore che passò in
mezzo agli uomini curandoli e facendo del bene (cfr. At 10,38).
Torino, 10 giugno 2012, Festa del Corpus Domini
Padre Lino Piano
Giubileo d’oro
Domenica 17 giugno don ALDO ELIA e don FRANCESCO GEMELLO hanno
festeggiato 50 anni di sacerdozio al servizio dei poveri della Piccola Casa della Divina
Provvidenza. Don Aldo è stato missionario in Ecuador dal 1988 al 1999; don
Francesco è stato Padre della Piccola Casa dal 1981 al 1993. Deo gratias
Un nuovo Diacono
Cottolenghino!
VAYALIPARAMBIL FRANCIS
PRABIN, nato a KOONAMMAVU (KERALA – Diocesi di
VERAPOLI) il 15 agosto 1982,
ha compiuto gli studi teologici
a NAIROBI (KENYA). Ha
emesso la promessa perpetua il
25 marzo 2012 con la quale è
entrato definitivamente a far
parte della Società dei Sacerdoti di San Giuseppe Cottolengo. È stato ordinato diacono a Nairobi sabato 12 maggio.
È arrivato qui a Torino giovedì
14 giugno, dove svolgerà il
ministero diaconale per sei mesi.
Deo gratias.
23
24
Incontri
T e s t i m o n i a n z e
Un’esperienza
di formazione
globale
I
nizialmente non pensavamo che questo periodo potesse segnarci così tanto, ha
superato ogni nostra attesa.
Da quando abbiamo deciso di
vivere questa esperienza alla
Piccola Casa della Divina
Provvidenza spesso ci hanno
chiesto quali fossero i motivi
che ci hanno spinti a trascorrere in questo modo una parte
delle nostre vacanze. La risposta non è così facile, sicuramente c’era la voglia di servire, seppur nel nostro piccolo, chi ne
ha bisogno, ma anche il desiderio di provare un’esperienza
più forte, di metterci alla prova
e vivere un “campo” differente
da quelli che conosciamo.
Finalmente arrivato il giorno
atteso, siamo partite con tanta
voglia di cominciare e anche un
po’ di preoccupazione, in
fondo non sapevamo ancora
bene cosa ci aspettasse e quello
che avremmo dovuto fare! Gli
Ospiti sono persone con una
forza incredibile, chi più e chi
meno, e capaci di offrire un
sorriso anche nel momento del
dolore! Stando in mezzo a loro
ci si dimentica di tutto il resto,
problemi e preoccupazioni, e
s’impara molto. Crediamo di
non aver mai sentito così tanto
la presenza di Dio nelle persone
come in quest’esperienza. In
molte persone abbiamo visto la
sofferenza di Gesù Cristo
impressa sul volto e ammettiamo senza vergogna che alcune
volte le lacrime hanno solcato i
nostri visi per la tristezza di
fronte a certe situazioni. Oltre a
ciò stando insieme agli Ospiti ci
si sente personalmente quasi
disabili, perché diversi da ciò
che ci circonda.Le attività di
formazione spirituale proposte
dalle suore sono state davvero
efficaci, e profonde, utilissime
per svolgere al meglio il servizio
e per una maturazione personale. I temi affrontati sono stati
undici: Il servizio cottolenghino,
I poveri sono Gesù, La carità si fa
servizio, La fraternità - lo spirito
di Famiglia, La preghiera,
L’Eucaristia, La Divina Provvidenza, La Speranza, La Speranza
come confidenza, Maria, La
Santità. In queste due settimane
abbiamo avuto modo di conoscere la figura e l’opera del fondatore San Giuseppe Benedetto
Cottolengo tramite la visione di
videocassette, racconti di suore
Auguri Anna!
e visite di luoghi da lui frequentati. Nel corso di queste due
settimane abbiamo anche avuto
modo di conoscere alcuni luoghi fuori città fondati dal Cottolengo: il monastero di Pralormo, dove con le suore di vita
contemplativa abbiamo riflettuto sulla Vita Consacrata cottolenghina; l’uscita al Grand-Puy,
vicino a Pragelato, dove abbiamo trascorso una giornata di
deserto; l’uscita a Pinerolo,
dove abbiamo trascorso un
pomeriggio di condivisione con
le persone presenti in comunità
per disintossicarsi. Inoltre i
volontari con cui abbiamo trascorso questa stupenda esperienza si sono rivelati un vero
dono della Divina Provvidenza:
tutti con un’energia e una
disponibilità incredibile, disposte a evidenziare la loro personalità, in modo particolare
durante i momenti di formazione. I volontari provenivano un
po’ da tutta Italia: Torino,
Cuneo, Brescia, Padova, Roma,
Napoli, Catanzaro.
E come diceva sempre il Santo
Giuseppe Cottolengo: DEO
GRATIAS SEMPRE!.
Elisa, Federica e Letizia
arissima Anna, sono le ore 6,15 di mattina;
come da un bel po’ di tempo mi succede,
mi ritaglio... come ti ho già più volte ripetuto... un po’ di tempo per la lettura o anche semplicemente per far spaziare i miei pensieri, traendo beneficio da quel silenzio ancora ovattato, in
attesa che il nostro paese si svegli e metta in moto
tutte le attività che incombono su ognuno di noi.
Stamattina il mio pensiero sei stata tu: sarà forse
perché ci siamo viste ieri mattina al mercato, non
lo so o, piuttosto perché si sta avvicinando il tuo
compleanno (con una tappa importante!) ed io
vorrei farti gli auguri dicendoti delle cose speciali
ma... mi rendo conto che è impresa ardua perché
ognuna delle persone a te care in quel giorno nel
festeggiarti ti scalderà il cuore anche con la loro
sola vicinanza!
...Allora ci proverò a farti questi auguri ma in che
modo?
Sicuramente non voglio andare a toccare le corde
della commozione ricordando gli inizi tutti in salita
e poi via via tutto quello che di faticoso c’è stato (fa
C
25
parte del tuo intimo che nessun può, anche
solo sfiorare), non voglio ricordarti il bene
che hai fatto (costituisce il tuo importantissimo patrimonio personale), non voglio limitarmi ad augurarti buona salute (cosa ovvia e
assolutamente primaria) e... scherzosamente
neanche di cambiare look per combattere il
tempo che passa (non ti riconoscerei più con
i capelli rossi e la minigonna).
Penso carissima Anna mi sia rimasta la cosa
più ovvia: ti auguro di mantenere sempre
viva questa gioia per la vita a prescindere
dagli avvenimenti, che l’entusiasmo ti
accompagni nelle tue azioni.
Che tu riesca a mantenere il dono che hai
nell’accoglienza alle persone e… sai cosa ci
aggiungo.
Pure? Un pizzico di sano ‘menefreghismo’
perché se vale per Don Ribaldi quella famosa frase: “Dio esiste: rilassati non sei tu” vuoi
che non valga per noi comuni mortali??
A questo punto sento di averti confuso ben
bene le idee. Ti starai chiedendo: ma questa
vuole farmi gli auguri o ha soltanto dormito
male stanotte? No, volevo soltanto farti sentire la mia vicinanza, di essere contenta dell’amicizia che ci scambiamo (di qualità più
che di quantità).
Avrei voglia di finire queste righe con un
augurio che ho già sentito pronunciare da
Don Giorgio (che faccio anche per me).
Assolutamente non vuole suonare sinistro,
ma ormai la nostra esperienza di vita ci insegna che è assolutamente necessario: “Se
Gesù proprio vuole, darci una croce, ci dia
anche la forza necessaria per portarla”.
Mamma mia che confusione ho fatto: quando comincio a lasciar scorrere i pensieri non
la smetto più... spero di trovare il coraggio di
consegnarti questa lettera di non aver detto
delle stupidaggini e nella circostanza… non
farci caso! Con affetto
Maria.
26
Incontri
S p i r i t u a l i t à
L’aritmetica
del cristiano
Quando la professionalità
permette di vincere
la paura della soglia.
DONO
R
E
P
L
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TICA,
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L
O
S
ONO
LORO VIV
L
a carità non timbra il
cartellino per il datore
di lavoro, perché non
ha orario la carità...
La carità è la virtù dalle tasche
bucate, perché dà tutto la carità...
La carità ha sempre il portafoglio vuoto, perché si spende
per tutti la carità…
La carità non si vergogna di
essere giumento di Cristo, perché porta Cristo la carità…
La carità si mette il grembiule,
perché è cameriera alle dipendenze di Dio la carità…
E il perdono?
Il perdono ha il colore
dell’arcobaleno: il verde
della Speranza, il giallo
della Pace, il rosso
dell’Amore, il violetto
dell’Umiltà, l’azzurro della Gioia, il blu del Regno
dei Cieli.
La Carità e il Perdono
non conoscono la matematica,
loro vivono solo per moltiplicarsi…
Il cristianesimo è la religione
del per, ha detto una volta
qualcuno… è l’unica operazione aritmetica che prende in
considerazione il cristiano.
E il perdono fa parte di quest’operazione. La strada del
perdono è illuminata dalla
fiaccola della fede. La via sembra quella della sconfitta e
invece è quella della vittoria,
la vittoria coraggiosa del-
l’amore. Perdona chi ama…
chi nel bivio del proprio cuore
individua la segnaletica che
indica: Direzione Amore…
Direzione Vita.
Non c’è solo il perdono dell’altro, bensì anche il perdono
di Dio per noi creature.
Perdonare perché prima di
questo nostro atteggiamento
sentiamo limpido nel cuore
che il Padre ci ha perdonato e
ci guarda sorridendo, con
amore.
Dobbiamo essere disposti a
ricominciare sempre di
nuovo a perdonare, perché
anche Dio ogni giorno ci
perdona di nuovo.
Sr. M. Giacomina Stuani OSA
Tratto dalla rivista “dalle Api
alle Rose” del monastero di
Santa Rita da Cascia
Lettera di un’infermiera.
rimo tirocinio della vita,
io giovanissima, alle prime armi in un mondo,
quello della malattia, che per
fortuna la vita fino a quel
momento non aveva imposto a
me o ai miei cari.
In reparto arriva un nuovo
ricovero: una signora sulla sessantina, in carne, molto pallida e con i capelli radi. È messa
in una stanza singola ed è circondata dal marito, due figli,
parenti, amici…
Una gran folla intorno a questa
donna spaesata che
non riesce a comunicare perché ha gravi
problemi respiratori:
la maschera dell’ossigeno, la tosse, il fiatone non glielo permette. Tante voci, domande, pianti intorno
a lei e forse anche
P
dentro di lei.
Io non riesco ad affrontare
nessuno di loro: sono giovane,
non ho strumenti, non ho conoscenze… però decido che
scriverò il piano di assistenza proprio su di lei: mi dico
che forse “patologia complicata” (tumore cerebrale) equivalga a un buon voto...
Così, dopo il turno, decido di
oltrepassare la soglia della sua
camera e, con la scusa del piano di assistenza, entro in relazione con la sua famiglia e con
lo sguardo della paziente,
sempre triste, come se stesse
cercando una risposta o volesse richiamare l’attenzione.
Piano piano ho vinto
la paura della “soglia”,
quella che mi blocca
appena arriva un nuovo paziente, quella che
mi fa tremare le
gambe e non mi fa
sentire adeguata e pronta.
Nonostante le attenzioni e i
complimenti dei familiari non
sono diventata parte della
famiglia, ma ho preso consapevolezza del ruolo che andavo a ricoprire.
Durante l’ultimo turno, prima di
Natale, sono entrata nella sua
camera per salutarla e lei, per la
prima volta, mi ha sorriso.
Tornata dalla pausa natalizia,
lei non c’era più, ma dopotutto c’eravamo già salutate quel
giorno, con quel sorriso.
E.B.
In questa lettera troviamo interessante l’espressione di “paura
della soglia”. Ringraziamo E. B.
per averci dato l’opportunità di
pubblicare la sua storia e auguriamo a tutti di imparare a superare
le diverse soglie che ci fanno
paura. Anche questa testimonianza ri sponde alla domanda
“Quella volta ho capito che…”
La Redazione
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Paradiso...
e
Associazione ex-allievi e amici del Cottolengo
È ARRIVATO ALLA META
Via Cottolengo 14 - 10152 Torino
10 giugno 2012 - CONVEGNO ANNUALE
Giornata di sole, quasi un miracolo fra
le turbolenze di questi tempi, per il
nostro Convegno annuale. Gli arrivi si
susseguono e la speranza di una buona
partecipazione si fa sempre più concreta quasi a sconfiggere quel pessimismo
che ci fa temere un graduale dissolversi della nostra Associazione. Certo,
mancano purtroppo quelli che giungevano da più lontano, e manca addirittura – anche se giustificato – il presenzialista novant...enne Tesoriere Beppe
Mattiotto. Tuttavia non ci scoraggiamo
e restiamo in attesa di Don Lino Piano
che, eletto Superiore Generale della
Piccola Casa lo scorso settembre, viene
per la prima volta a conoscere i nostri
soci e a celebrare per noi. La Santa
Messa, servita dal solito Tarcisio e
solennizzata anche quest’anno dai
canti sacri delle ex allieve, accompagnate all’organo da Suor Immacolata,
registra una chiara e dotta omelia di
Padre Piano che cattura la
generale attenzione offrendo a tutti spunti di riflessione e di meditazione. Al termine della funzione, scattata da Mirella Montini una
foto con coloro che non
hanno fretta di disperdersi,
si dà inizio all’assemblea
alla quale partecipano,
oltre a Padre Lino, anche
Don Roberto Provera, Direttore responsabile del
periodico “Incontri”, Don Carlo
Carlevaris, Direttore onorario del
medesimo, e Padre Francesco Gemello, storico Assistente Ecclesiastico
amico di tutti. In apertura il
Presidente, pur discettando di vari
argomenti, non riesce a sottrarsi dal
manifestare ancora una volta la solita
preoccupazione per la possibile graduale estinzione del nostro sodalizio,
ribadendo però la fiducia che la Divina
Provvidenza voglia comunque evitare
tale spiacevole evenienza. Cede quindi
la parola a Padre Piano che fornisce le
sempre attese e gradite notizie sulla
vita e sulle attività della Piccola Casa,
soprattutto nelle lontane missioni e lo
fa in modo così garbato e simpatico da
creare con tutti quel feeling che caratterizza un rapporto quasi di... amicizia.
Seguono applauditissimi gli interventi
di Don Roberto, di Don Carlo e di
Padre Gemello, oltre a quelli di alcuni
soci, tra i quali la Vice Presidente Anna
Teresa che continua a profondere il suo
impegno per ogni nostra iniziativa.
Fissata infine per domenica 9 dicembre la tradizionale Festa della Famiglia nell’imminenza delle festività
natalizie, giunge l’ora del pranzo
sociale e, mentre nella mia mente
torna il nostalgico ricordo di quando
– ancor prima della fusione con le
famiglie femminili – le tavolate ospitavano oltre cento commensali e i locali
non bastavano mai, si converge tutti,
anche se in numero... un pochino inferiore, nella sala stupendamente e
graziosamente allestita che sembra un
inno alla gioia. Il pranzo registra un
entusiastico apprezzamento per la
presentazione e il numero delle portate, per la raffinatezza e i gusti prelibati degli alimenti, oltre che per l’inappuntabile servizio (Suor Maria Pia
dovremmo nominarla socio onorario
del nostro sodalizio!). L’agape fraterna è il momento che fa esplodere,
come al solito, la sincera gioia di tutti:
è il momento clou della socializzazione, il momento più atteso per richiamare comuni indimenticabili ricordi,
per dare ed acquisire notizie, per confidare le proprie gioie (che bello
quando spuntano le foto dei nipotini...), per condividere le amarezze, per
sostenere le speranze, per dimostrare
vicinanza, per rinverdire l’amicizia...
È il modo più bello e più gradito di
concludere una giornata che ci ha
consentito di tornare per qualche ora
in quella Piccola Casa alla quale continuiamo a sentirci particolarmente legati e che, ogni
anno, ci accoglie con grande
affetto e generosità, aiutandoci a ricaricare quello spirito cottolenghino di cui
vogliamo continuare ad essere modesti testimoni.
Deo gratias!
Dante Notaristefano
Associazione ex allievi ed amici del Cottolengo
FESTA DELLA FAMIGLIA
Domenica 9 dicembre 2012 ore 16,00
Domenica 9 dicembre prossimo, alle ore 16, si terrà la tradizionale Festa
della Famiglia. Lʼincontro avverrà, come negli ultimi anni, nel locale sotto la
Chiesa Madre. Oltre al solito scambio di notizie sulla vita dellʼAssociazione
e sulle novità della Piccola Casa, si affronterà lʼargomento del Convegno
annuale per il 2013 e se ne fisseranno la data e le modalità di svolgimento.
Sarà un piacevole momento di festa per i partecipanti e lʼoccasione per porgere gli auguri in vista delle imminenti festività natalizie a tutti i superiori e
alla comunità della Piccola Casa.
IL PRESIDENTE
Dante Notaristefano
MARIO SUCCA fu alunno
della Famiglia dei Tommasini
(il Seminario interno della
Piccola Casa della Divina Provvidenza in Torino) dal 1° ottobre 1949 al 3 luglio 1953. è
stato un attivo collaboratore
della Famiglia Tommasini,
quando anche il figlio Ezio ne
era alunno, prendendo sempre
parte ai ritiri spirituali per i
genitori. Lo ricordiamo con
affetto insieme con la diletta
moglie Anna e il caro don Ezio.
FRANCESCO CONSIGLIO
ORA È LASSÙ
BONSIGNORI
GALDINO
Nato a Milano nel 16 giugno
1934, sposato con Annagrazia
De Gonda, è stato per anni volontario della Piccola Casa della
Divina Provvidenza, fondatore
della Croce Rossa a Settimo
Torinese e volontario al Cottolengo dal 1985. Nipote della
superiora della Famiglia delle Clarine Sr. Michelina
Camponovo, si è spento il 9 maggio del 2012.
LETIZIA SIMONELLO
Il 9 giugno scorso, stroncata nel giro di soli
venti giorni da un male incurabile, è deceduta a 68 anni Letizia Simonello, ex orsolina, che viveva a Seveso con il marito e le
figlie Sonia e Simona. Era una persona molto attiva, amava la vita ed era impegnata
nel sociale. Tutti, ma soprattutto noi ex orsoline sue compagne,
ci sentiamo vicine alla famiglia con sincero affetto e con la preghiera.
Anna Teresa
Francesco era entrato nella Piccola Casa,
ignaro, quel giorno del 1973 in cui l‘amico
sordomuto l’aveva quasi di forza, condotto con sé. Si trovò inserito nei “volontari“ senza saperlo e senza volerlo...
“è arrivato di provvidenza” diciamo noi! Eppure, forse, proprio per questo, egli divenne una roccia forte e salda,
su cui una zolla fertile (la sua anima) assorbì i principi della spiritualità cottolenghina appieno, e diede frutti
copiosi e buoni. Le cose andarono così: Francesco lavorava in Rai-Tv. Era arrivato a Torino dal profondo sud e,
nemmeno sapeva dell’esistenza del “Cottolengo“. Sul lavoro aveva trovato un collega sordomuto che lui subito
agganciò: voleva imparare la mimica per comunicare con lui che vedeva isolato ... Costui dopo un po‘ di tempo,
trovò Francesco pronto per fare qualcosa di buono qui dai nostri amati Buoni Figli ove lui veniva il sabato pomeriggio a “fare i bagni”... Aiutava l’allora responsabile Fr. Matteo, perciò un sabato decise e comunicò a Francesco
che all’uscita dal lavoro doveva andare con lui. Detto fatto! Non sentì ragioni. Francesco gli diceva: “Non posso, ho famiglia con due
figli piccoli che mi aspettano; se posso voglio fare un po‘ di “straordinari...”. No, di brutto, con decisione lo portò al “Cottolengo”!
Arrivati alla Sacra Famiglia, mentre Fr. Matteo si rallegrava col sordomuto per il dono del nuovo volontario, Francesco zitto, guardava e attendeva come si sarebbe conclusa la questione. Fu fatto cambiar d‘abiti e preparare per fare i bagni... Fr Matteo lavorava in
coppia col sordomuto. Francesco avrebbe atteso l‘arrivo d‘un altro fratello volontario.Questi arrivò salutando con un sentito, umile
“Deo gratias! Sia lodato Gesù Cristo!” Chi era? Fratel Luigi! Così per tanto tempo Francesco venne il sabato dai Buoni Figli e lavorò
col futuro beato Fr. Luigi Bordino, che lo istruì per non fare né farsi del male spostando ragazzi di peso notevole... Poi le sue prestazioni aumentarono, perché fu sempre più inserito nella vita e nello spirito della Piccola Casa. Lavorò con don Tranquillo per incarico
di D. Lino Piano alla revisione, pulitura e schedatura delle numerose Reliquie del nostro Santuario. Entrato a far parte dell’OFTAL si
prodigò per favorire il pellegrinaggio a Lourdes dei nostri malati, ricoverati e suore. Queste le faceva inserire gratis (partecipavano a
spese dell’OFTAL, che ringraziamo!). Ne beneficiarono molte: suore di tutte le età, ma specie quelle che mai erano andate da nessuna parte. Ciò diede a molte vera consolazione spirituale. Per molti anni fece pure il cicerone-guida per quei gruppi che visitano la
Piccola Casa. (Amico del Cottolengo, promessa nel 2004). Francesco dunque spese la sua vita direi in pienezza umano-cristiano-cottolenghina-mariana. Fu un cristiano che realizzò appieno l‘ideale che il Concilio aveva previsto per i laici impegnati nella Chiesa. Era
anche un uomo di preghiera. Ho avuto modo d‘osservarlo a lungo durante un pellegrinaggio a Lourdes. Sia in treno che là in quella
terra benedetta, Francesco era immerso nella preghiera. Si vedeva dal come trattava noi pellegrini, malati e sani, e i colleghi
dell‘Oftal. Aveva una semplicità disarmata e disarmante, sorrideva sempre in modo buono mentre comunicava con te. Direi che era
sempre meno umano e più spirituale... Ultimamente a una suora del centralino che gli chiedeva notizie della sua salute, rispose: “Presto vado a vedere la S. Madonna!”. Fu profeta, una settimana dopo era lassù. Visse sempre così: cosciente di Dio
e memore del Cielo, certo che la “scorciatoia” per raggiungerlo presto e in modo sicuro è la S. Madonna. Deo Gratias!
Torino, 12/7/2012, sr. L. M.
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Te s t i m o n i a n z e
I n c o n t r i
BRICIOLE DI CARITÀ
Il Liceo scientifico G. Galilei di
Trieste da alcuni anni, nell’ambito del progetto di offerta formativa dell’Istituto organizza un viaggio-studio a Torino per conoscere
le realtà del “Cottolengo”. Proponiamo alcune delle riflessioni
che i giovani ci hanno inviato.
HO CAPITO COSA È
VERAMENTE IMPORTANTE
NELLA VITA…
Lo stage organizzato ha soddisfatto e ampliato le conoscenze
di noi ragazzi. Un’altra realtà
visitata è stata la “Piccola Casa
della Divina Provvidenza” o
meglio conosciuta come “Cottolengo”. Qui suor Milvia ci ha
fatto incontrare varie persone,
con diversi problemi fisici o
mentali, che passano il tempo
facendo varie attività: laboratori
musicali, magnifici lavoretti che
poi vengono venduti ai mercatini, laboratori teatrali… Al
Cottolengo, vedendo le condizioni nelle quali alcune si trovano e, nonostante ciò, non mollano mai, ho finalmente capito
quanto sia fortunata: prima di
tutto perché godo di buona salute, secondo perché ho accanto
persone che mi aiutano, terzo mi
sono resa conto che tutte le cose
delle quali mi lamento sono futi-
li e quarto di quanto sia importante la vita. Suor Milvia, nell’illustrarci la struttura, mi è sembrata così serena e felice di essere al servizio dei bisognosi tanto
che per un attimo ho invidiato il
suo stile di vita. Il ritorno dalla
“Piccola Casa” a Rivoli, dove
eravamo alloggiati, è stato più
silenzioso del solito, perché tutti
noi ripensavamo a ciò che abbiamo vissuto quel giorno, però nei
nostri occhi si poteva notare
tanta serenità per aver capito
che cosa è veramente importante
e che cosa no. Credo che, durante il viaggio di ritorno a Trieste,
sia stata molto più felice di
quanto non lo sia stata alla partenza. Consiglio a tutti di fare
queste esperienze.
Alessia M., 4a B
AL PRIMO POSTO
LA PERSONA!
Al Cottolengo la cosa che mi ha
più colpito è il modo con il quale
i volontari, le suore e i “fratelli”
si rapportano con gli ospiti della
Casa: mettono sempre al primo
posto la persona che si trova
davanti e non i suoi problemi.
La Piccola Casa è un posto dove
le persone, che a noi possono
sembrare le più sfortunate, sono
in realtà le più felici, perché
hanno riscoperto, nell’amore e
nell’affetto di chi le circonda, la
gioia di vivere. Vedere queste
persone che, nonostante i loro
problemi, si sono rialzate e adesso camminano a testa alta, orgogliose del “poco” che la vita ha
dato loro perché spronate dall’amore di chi sta loro vicino, mi
ha fatto pensare e ho capito
quante cose la vita mi abbia dato
e quanto poco io sia riuscita a
valorizzarle finora. Per questo
consiglio a tutti di fare un’esperienza simile, almeno una volta
nella vita, perché mi ha fatto
capire quanto importanti siano
le persone e mi ha fatto vedere la
vita, e gli altri, sotto una luce
diversa.
Chiara P., 4a B
A CONFRONTO CON LA
SOFFERENZA UMANA…
La sofferenza è imprescindibile
dalla condizione umana. Essa è
profondamente legata all’esistenza degli uomini che, per
l’inevitabile deperibilità del
corpo, ma anche per la loro fragilità interiore, alla fine si è
costretti a confrontarsi con essa.
Nella vita mi sono accadute rare
volte di entrare in contatto con la
sofferenza.
La società odierna spesso ci devia
dal pensare a tutti quegli uomini
la cui esistenza è, invece, caratterizzata dal dolore, perché già nati
in condizioni fisiche o mentali
svantaggiate, o perché eventi
sfortunati gli hanno travolto la
vita. Tutte queste persone sono
spesso relegate ai margini della
società o sono esse stesse che,
piano piano, s’isolano. Le condizioni di svantaggio, con la sofferenza che ne consegue, spesso,
infatti, possono impedire a un
uomo di svolgere qualsiasi tipo di
lavoro, possono allontanarlo dalla famiglia, fino a ridurlo a vivere
in strada e a perdere un posto
nella società.
Grazie all’esperienza che ho vissuto a Torino, nell’ambito del
Cottolengo, ho visto come una
persona sofferente, attraverso
l’aiuto e il sostegno di altri uomini, può ritrovare il suo posto
nella società, la sua dignità, i veri
valori dell’esistenza e imparare a
vivere serenamente anche la sua
condizione di svantaggio.
Queste istituzioni, costituite da
uomini che hanno deciso di
impegnare la loro vita nel servizio al prossimo in difficoltà, riescono a compiere veri e propri
miracoli di cui io ora mi sento
testimone. …Ho conosciuto
persone, con gravi handicap fisici, capaci di vivere la loro condizione senza angoscia poiché,
grazie all’azione di volontari e
suore, hanno scoperto come
valorizzare la loro vita e realizzarsi nel lavoro e nelle varie attività che sono quotidianamente
svolte nella Piccola Casa della
Divina Provvidenza.
Ho sentito la forza dell’Amore
che spinge tanti uomini a servire
volontariamente poveri, malati e
deboli, con tanta dedizione e
generosità, poiché riescono a
vedere in quelle persone, che noi
spesso ignoriamo, Gesù Cristo.
Ho capito che la vita di ogni
uomo ha un valore smisurato, indifferentemente dal fatto se ci
veda o ci senta, dalla sua intelligenza o dalla bellezza e che si
può, anche nel proprio piccolo,
impegnarsi per aiutare i nostri
fratelli in difficoltà; si può, ed è
bene, donare tempo e affetto al
nostro prossimo sofferente e ciò
che si riceve dall’aver donato è
un tesoro incommensurabile.
Niccolò T., 3a G
PICCOLA CASA, UN LUOGO
DI SPERANZA…
Il viaggio a Torino è stato
un’esperienza forte, dove si scopre quanto in ogni realtà, anche
quella della città moderna e
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ricca come Torino (ma anche
come Trieste e, credo, moltissime delle città italiane), ci siano
problemi che sono ormai radicati, ma di cui la maggior parte
della gente non si occupa.
È valsa la pena di avvicinarsi a
tali problemi, già conosciuti, ma
assolutamente mai presentati in
maniera così evidente, ma ancora di più alle persone che volontariamente cercano di risolverli.
Durante la settimana trascorsa a
Torino, infatti, non abbiamo
semplicemente visitato case di
accoglienza o parlato con i volontari, ma ci siamo piuttosto
confrontati con persone che ci
hanno parlato con sentimento e
passione, ma anche decisione.
Al Cottolengo, per esempio, gli
stessi accolti hanno accolto noi,
ci hanno parlato delle loro esperienze; ed è stato bellissimo
come loro siano riusciti a trasmetterci la voglia di vivere di
cui davvero erano pieni.
Il Cottolengo non è, infatti, solo
un luogo di malattia, ma soprattutto una sede di speranza, dove
i malati sono assistiti non solo
nella loro malattia, ma soprattutto nel riuscire a esprimere le loro
capacità, dove gli è ricordato che
la dignità è per tutti.
Lucrezia L., 5a C