mementote praepositorum vestrorum
Transcription
mementote praepositorum vestrorum
GIUGNO 2009 oce Va m i c a HO CREDUTO IN UN SOGNO LA FESTA DELLA PARROCCHIA “MISSIONE AQUILA” CINE FOX LA MISSIONE POPOLARE DIOCESANA MEMENTOTE PRAEPOSITORUM VESTRORUM Un'opera d'arte per la nostra casa VOCE AMICA N° 2/ 2009 Periodico della parrocchia di Caorso fondato da mons. Lazzaro Chiappa l'8 dicembre 1923 Direttore responsabile Don Giuseppe Tosca Autorizzazione Tribunale di Piacenza del 26.01.2005 n. 605 Stampa Tipolitografia La Grafica Piacenza Impianti Fotolito Officina Foto Grafica Redazione Carlo Livera Davide Livera don Giuseppe Tosca Enrico Francia Marco Molinari Simona Chiesa Valentina Rossi Fotografie Lino Pavesi Gabriele Fervari, Gianluca Casaroli, Protezione Civile di Caorso Don Giuseppe Tosca Archivio di “La Cronaca” Progetto grafico Silvia Bodini Impaginazione Emanuela Chiesa www.parrocchiadicaorso.it L o scultore piacentino Giorgio Groppi, noto per i capolavori fra cui la statua di S. Colombano a Bobbio e quelle di S. Antonino a Travo, di S. Savino nella omonima basilica piacentina, di S. Giustina in Cattedrale, di Papa Gregorio X in S. Antonino a Piacenza, ha preparato la statua in bronzo di Papa Giovanni Paolo II che sarà collocata nell’erigendo Santuario della Parola della nostra parrocchia. Fra le peculiarità di quet’opera è da notare il pastorale che, anziché rappresentare quello ben noto di Paolo VI utilizzato anche da Giovanni Paolo II, riporta l’immagine del crocifisso realizzato dallo stesso autore per la Cattedrale di Piacenza. Questo particolare, al di là delle intenzioni che hanno ispirato l’artista, ci aiuterà a rinsaldare il nostro legame di fede con il nostro Vescovo e la nostra Diocesi. Il crocifisso in bronzo su croce in legno è stato realizzato anche in un numero limitato di esemplari per i nostri parrocchiani che vogliano avere un’opera di autentica arte sacra. Il crocifisso di Groppi presenta la caratteristica, tra l’altro, di essere rappresentato nell’atto della risurrezione ed è Santuario della Parola quindi una bella sintesi del mistero pasquale. L’opera può essere prenotata in segreteria versando un anticipo di cento euro. Il costo completo ammonta in tutto a 350 €. La Provvidenza, che ci aiuterà a compiere quest’opera, può volersi servire di te. Se vuoi aiutarci fai un versamento intestato a «Il Villaggio Celeste» Organizzazione di volontariato Onlus di diritto presso la Banca di Piacenza Ag. di Caorso IBAN IT50 Y051 5665 230C C044 0005 716. Il versamento non può essere fatto in contanti, ma attraverso: banca, ufficio postale, carte di debito, carte di credito, carte prepagate, assegni bancari, assegni circolari. Sarà rilasciata regolare ricevuta ai fini della deducibilità fiscale prevista dall’art. 13 Dlgs 460/97. Segreteria Parrocchiale Tel. e Fax 0523 821098 - segreteria@parrocchiadicaorso.it - www.parrocchiadicaorso.it Aperta da Lunedì a Sabato dalle ore 9,00 alle ore 11,30 e dalle ore 15,30 alle ore 18,00 S.S. Messe ore 9,00 (Madonnina) ore 9,00 Vigiliare del sabato: ore 17,30 FERIALI: FESTIVE: ore 8,45 (Madonnina) ore 9,30 ore 11,00 Editoriale «Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede» (Eb 13, 7) di pernottare. Quando mi recai da lui per dirgli che temevo che il Signore mi volesse prete (ero a dir poco sconvolto per un episodio indimenticabile che porterò sempre nel cuore), ma che io non volevo lasciare gli studi universitari appena iniziati, mi trattò male e mi consigliò di rivolgermi ad un neuropsichiatra. Faceva così, “il capo”; a volte sembrava burbero, con la sensibilità di un elefante in una cristalleria. A me, però, ha fatto bene: ho imparato che le vocazioni vanno provate e, da quando entrai in seminario, non ebbi mai più un dubbio sulla volontà di Dio per me. Ho presente che spesso diceva la stessa cosa della sua vocazione. Tra i ricordi più belli che ho di lui, c’è quello di quando, anni dopo, mi presentai nel suo ufficio per chiedergli di accompagnarmi in seminario. Riconobbe la vocazione e, seduta stante, telefonò al Vescovo ed il giorno seguente mi portò in episcopio alla guida del suo indimenticabile maggiolone verde, che parcheggiò, dopo ripetute manovre, esattamente perpendicolare all’area del parcheggio! Don Antonio è stato il mio parroco, il prete che ha riconosciuto ed accompagnato la mia vocazione ed è stato anche il primo parroco che ho servito come curato e che mi ha insegnato “il mestiere”. Non solo: facendo i documenti per il seminario ho scoperto che è stato anche il parroco che mi ha battezzato. La cosa non è ovvia, perché ho visto la luce nell’allora Clinica Belvedere, quando i miei genitori non risiedevano ancora sotto la parrocchia della Santissima Trinità. Per questo nel mio studio conservo copia dell’atto di Battesimo redatto da don Antonio, perché tutto, per me, iniziò lì. Il capo attraversò molte prove, sempre con una totale fiducia nel Signore: fu questo il vero motivo del suo radicale ed inestinguibile entusiasmo, la sorgente della sua straordinaria energia, la ragione di tanti vulcanici progetti pastorali ed “edilizi”, accanto ad una sincera capacità di perdonare le offese senza ombra di rancore. Credo che per questi motivi il Signore lo abbia scelto per accogliere l’esperienza del Cammino Neocatecumenale nella Diocesi di PiacenzaBobbio, per essere padre di uno “stuolo” – come diceva lui – di novelli sacerdoti e pastore di un popolo che non lo dimenticherà mai. don Giuseppe Editoriale «L’altra sera ho lavorato fino a tardi. Ero stanco e avevo sete. Ho mangiato una pesca. Era deliziosa e mi sono detto: “Guarda, Signore, che frutto buono mi hai preparato! Padre, grazie, grazie di tutto!» Con queste parole si conclude il libro “Ho creduto in un sogno” (Sugarco Edizioni) pubblicato nel 2004 dal mio parroco mons. Antonio Tagliaferri. Per noi “della Santissima” è diventato come l’album con i ricordi di famiglia più cari. Nella lunga dedica che mi fece don Antonio scrisse di pugno: «All’amico e confratello carissimo don Giuseppe Tosca arciprete di Caorso … perché questo volume gli rinnovi la memoria di quanto il Signore ha operato in mezzo a noi». E veramente in quelle pagine io ritrovo la meraviglia dell’incontro con il Signore nella storia che la Divina Provvidenza ha fatto con quello che, anno dopo anno, prova dopo prova, prodigio dopo prodigio, è diventato un popolo, il popolo della Santissima Trinità. Di questo popolo don Antonio è stato l’indiscusso “capo” e così lo abbiamo sempre familiarmente chiamato. Ora il capo è in cielo e non posso non ricordarlo dalle pagine di Voce Amica, anche perché tra coloro che gli sono debitori c’è pure la parrocchia di Caorso. Le parole con cui scelse di chiudere la narrazione dei suoi ricordi mi colpirono subito quando, d’un fiato, lessi il libro. Danno bene l’idea di chi fosse don Antonio: un uomo semplice, contento della vita, gran lavoratore, grato al Signore. Il mio primo incontro personale con lui avvenne durante una confessione nella cripta della “SS. Trinità”, a cui mi accostai con molto imbarazzo perché “il capo” mi incuteva molta soggezione. Era il 1976 e mi invitò a partecipare a delle catechesi per adulti. Declinai l’invito, ma l’anno seguente partecipai, sia pure con molta titubanza e diffidenza: fu un’esperienza decisiva per la mia vita. Don Antonio da allora mi fu sempre accanto; quando avevo bisogno di parlare era sempre pronto ad accogliermi, ad ascoltarmi, a consigliarmi. La sua era un’ospitalità “del cuore”, che divenne per me anche un’ospitalità molto concreta, dal momento che fui accolto diverse volte in canonica, dove mi capitò anche 3 “Ho creduto in un sogno” Don Antonio Tagliaferri fondatore della Santissima Trinità si è spento nella sua casa il 7 aprile scorso all’età di 90 anni. Il ricordo di don Maloberti: la sua vita è coincisa con la parrocchia V Nella foto in alto: Mons. Tagliaferri davanti al portone della S.S. Trinità. A destra: Il commiato dopo le esequie. 4 a’. Fai questa chiesa.Vedrai che darà grande gloria a Dio». Chi conosceva don Antonio, lo avrà sentito parlare di questo aneddoto infinite volte. Era uno dei ricordi ai quali era più legato, ovvero l’incontro con San Pio da Pietrelcina, al quale l’allora giovane sacerdote piacentino aveva espresso dubbi e perplessità circa un progetto mastodontico che aveva nel cuore. Quel progetto era la chiesa della Santissima Trinità di viale Dante, oggi una delle realtà più vive e popolose dell’intera diocesi. Una realtà parrocchiale dalla quale sono nate tante nuove vocazioni (ben sette negli ultimi anni), dalla quale sono partite altrettante famiglie in missione nei Paesi più sperduti. «Don Antonio era umile - afferma chi lo conosceva bene - e se si vantava lo faceva per la sua parrocchia». Altrettanto umilmente ha lasciato la sua vita terrena (…), a 90 anni, nella sua casa di fianco alla chiesa, dopo una vita intera spesa per annunciare il Vangelo. Nel 2001 si era ritirato, lasciando il il timone nelle mani di monsignor Riccardo Alessandrini, attuale parroco della Santissima Trinità. Raccontare don Antonio (che, a dire il vero era monsignore, ma a lui non importava gran che, e tutti lo chiameranno sempre “don”) in un articolo di giornale scritto in fretta a tarda ora, è impresa ardua. Fortunatamente, qualche anno fa, don Davide Maloberti, direttore del Nuovo Giornale, aveva avuto l’idea di scrivere un libro su di lui, e soprattutto su ciò che Dio, attraverso don Antonio, ha creato all’ango- lo tra viale Dan-te e via Man-fredi, quando ancora lì c’erano i campi. «Inizialmente aveva dei dubbi sul fatto di scrivere un libro su di lui e sulla parrocchia - spiega don Davide - temeva che qualcuno potesse intenderlo come un’autocelebrazione». Ma alla fine quel volume vide la luce con il titolo “Ho creduto in un sogno”. «Ritenevo che fosse giusto raccontare una storia così bella, e carica di speranza, come quella che legava don Antonio alla realizzazione della parrocchia della Santissima Trinità» spiega E il parroco, che inizialmente stava anche lui per cacciare quei tre sconosciuti come era avvenuto nelle altre parrocchie piacentine, decise invece che valeva la pena sentire quello che avevano da dire: in quel momento era l’unica alternativa ai «gruppuscoli tardocomunisti sorti come funghi in parrocchia, armati di bibbia e del quotidiano l’Unità» come scritto nel libro di Maloberti. «Don Antonio - prosegue Dionedi - ebbe l’umiltà di mettersi seduto ad ascoltare le catechesi, che erano tenute anche da dei laici, e di iniziare a seguire questa esperienza come chiunque altro. Io devo molto a lui e alla sua scelta di portare l’esperienza del Cammino Neocatecumenale nella parrocchia, perché ha fatto bene alla mia vita. Se io oggi ho una speranza è grazie alla parrocchia che don Antonio ha saputo costruire, spinto dalla carità pastorale. E lo stesso vale per la medesima possibilità che oggi hanno anche i miei figli. E’ inutile nascondere che in passato è stato anche assai criticato in diocesi per le sue scelte. Ma ha tenuto duro e i fatti gli hanno dato ragione. Le calunnie e le persecuzioni, d’altronde, ci sono già state anticipate nel Vangelo». Un sacerdote innovatore, dunque? «Aveva senz’altro una visione spiccata del futuro, in grado anche di anticipare i mutamenti storici e sociali: ricordo una volta, parlando con lui, all’epoca della guerra fredda tra Russia e America nei primi anni Ottanta, mi disse che il vero problema, un giorno, sarebbe stato l’Islam, del quale invece all’epoca non si sentiva ancora parlare». Nella foto sotto: Mons. Tagliaferri con Kiko Argüello, iniziatore del cammino neocatecumenale e i preti la cui vocazione è nata grazie a questa esperienza ecclesiale. Si può riconoscere Don Franco Cattivelli (primo da sinistra) ed il nostro parroco (quarto da sinistra). Il Ricordo Maloberti: «Per mostrare la storia di un popolo che cammina». «Don Antonio - prosegue il direttore del Nuovo Giornale - è sempre stato un sacerdote pieno di entusiasmo, aveva la capacità di guardare avanti senza chiudersi su se stesso, senza rimanere ancorato al passato. Era davvero animato dal desiderio di portare il Vangelo alla gente. Ha saputo affrontare le sfide, dando il meglio di sé. La vita di don Antonio è coincisa con la storia della sua parrocchia». Questa sua dote di “innovatore” e la capacità di affrontare le sfide è confermata anche da Carlo Dionedi, uno dei catechisti della Santissima Trinità. «Don Antonio - spiega Dionedi - si trovò a fronteggiare lo sgretolamento della Chiesa dovuto alla deriva laicista, basata sulle idee marxiste, che si abbatté dopo il ‘68. Vedeva le realtà che si sfaldavano, e anche molti preti allora erano in crisi». Don Antonio dapprima seguì con interesse il gesuita Riccardo Lombardi (passato alla storia come “padre Lombardi”) e il suo “Movimento per un modo migliore”. Descritto da tutti come un grande oratore, don Antonio, mancando lo spazio nella parrocchia ancora in costruzione, è ricordato ancora oggi per le catechesi nei palazzi e addirittura sui pullman. Ma la svolta fu nell’agosto del 1973, quando tre sconosciuti bussarono alla porta della canonica. Si trattava di tre catechisti itineranti appartenenti al Cammino Neocatecumenale, che si era radicato in due parrocchie di Roma. Proposero a don Antonio di portare alla Santissima Trinità il nuovo movimento (nato dopo il Concilio Vaticano II) e di iniziare delle catechesi per adulti. Giampietro Bisaglia (fonte La Cronaca) 5 Ricordando don Antonio Tagliaferri La testimonianza del noto critico piacentino Enio Concarotti M Nella foto in alto: Mons. Tagliaferri durante un battesimo in una veglia di Pasqua. A destra: La catechesi nei quartieri sul pullman. 6 onsignor Antonio Tagliaferri, nativo di terra piacentina (Suzzano di Rivergaro 1917 ), ordinato sacerdote nel 1940, fondatore e parroco della chiesa della Santissima Trinità (zona urbana del Belvedere), Cappellano di Sua Santità: brevi note di una biografia che riassume la personalità di uno dei più amati e popolari sacerdoti della città. Per me, suo parrocchiano, nel ricordo che conservo di lui, egli rimane semplicemente “don Antonio”, figura non soltanto di Padre spirituale per il suo alto carisma religioso-ecclesiastico ma anche di fraterno amico prodigo di preziose attenzioni, di illuminanti consigli, di coinvolgenti sollecitazioni di carattere culturale ed anche artistico-letterario. A questa sua vasta sapienza di uomo di cultura (in Seminario si era rivelato fra i migliori allievi al fianco del futuro Cardinale Nasalli Rocca) mi ero rivolto in varie occasioni per colmare certe mie lacune professionali in campo giornalistico e la sua saggezza mi aveva guidato lungo certi percorsi decisamente difficili e complessi per un comune laico impegnato a capire il mondo della Chiesa nei suoi rapporti internazionali. Valga questo preciso esempio: la conoscenza dei problemi ormai secolari che dividono la Chiesa Cattolica dalle Chiese Ortodosse Orientali. Argomento collegato alla realizzazione del grande affresco (900 metri quadrati) dipinto sulla parete absidale da Kiko Arguello, artista internazionale iniziatore qui in Italia del cammino neocatecumenale, coadiuvato da una dozzina di pittori giunti a Piacenza da varie nazioni di tutti i Continenti. Ebbi modo in quell’anno di seguire personalmente le fasi di esecuzione dell’affresco (privilegio amichevolmente concessomi da don Antonio) con incontri diretti con Argüello (in quotidiano contatto con don Antonio) e con gli artisti che, arrampicati su aerei trapezi rasentanti la parete, ogni tanto sospendevano il lavoro per riunirsi a pregare con voci sommesse. Tecnica operativa di grande meraviglia per me che non avevo mai visto un nostro artista dipingere pregando e cantando lodi al Signore. In città c’era un gran fermento negli ambienti artistici poiché il lavoro non era stato commissionato a pittori piacentini (si era trattato a lungo con Luciano Ricchetti senza alcun risultato). Don Antonio aveva contattato un pittore dì fama nazionale che però, senza batter ciglio, aveva chiesto 800 milioni di lire e così, dopo un fortunato incontro a Firenze con Kiko Arguello, aveva invitato a Piacenza il pittore spagnolo specializzato nel genere di pittura bizantina, il quale, insieme ai suoi collaboratori, s’era messo all’opera senza chiedere una lira ma soltanto ospitalità presso alcune famiglie della parrocchia. Così è nato il grande affresco murale che richiama turisti e appassionati di arte figurativa da tutto il mondo. Don Antonio fu sempre molto sensibile ai fatti d’arte sacra. Profondamente devoto a Padre Pio di Pietrelcina che lo aveva spronato a costruire la chiesa della Santissima Trinità, decise di dedicargli una statua in bronzo rivolgendosi allo scultore piacentino Giorgio Groppi (la statua si erge di fianco alla grande scalinata centrale del Tempio) che scolpì la dolcissima immagine di Padre Pio nell’atto di benedire a braccia alzate Piacenza e i piacentini. Ricordo le sue omelie durante le messe domenicali. Don Antonio aveva il dono di trasmettere ai fedeli il messaggio evangelico con un linguaggio semplice ma nello stesso tempo vibrante e profondo, ben preciso sui concetti fondamentali delle fede cristiana. La sua figura, al centro dell’altare, spiccava con l’ispirata austerità del portatore della parola di Dio. Egli era sempre vicino alle sofferenze dei suoi parrocchiani e a quelli ricoverati all’ospedale recava il conforto della sua parola e della sua benedizione. Fu proprio in una di quelle camerette dell’Ospedale che mi fece visita anni fa (ero a letto con un ginocchio rotto ma già in fase di convalescenza) e con un sorriso arguto e spiritoso sdrammatizzante la solita retorica consolatoria che si propina agli ammalati, mi ricordò una clamorosa peripezia goliardica da me compiuta subito dono la fine della guerra quando, agganciato alla motocicletta di un acrobatico clown tedesco in bilico su un cavo teso sopra Piazza Cavalli affollata di migliaia di cittadini, riuscii a raggiungere la sommità della Torre del Palazzo INA. La responsabilità di affrontare e risolvere i problemi riguardanti la più grande parrocchia della Diocesi piacentina con annessa una Scuola materna lo coinvolgeva in continui contatti con gli amministratori pubblici che spesso lo frenavano nel suo proposito di fare sempre qualcosa di nuovo al servizio della comunità parrocchiale. Erano momenti difficili che superava con tenace e incrollabile fede e spirito di sacrificio (lo perseguitava il sogno mai realizzato di costruire il campanile della chiesa). Dopo tanti anni di fervido ministero sacerdotale (riassunti in un suo libro intitolato “Ho creduto in un sogno” ricco di intensa spiritualità cristiana) don Antonio ha raggiunto la meta di questo suo viaggio terreno teso alla sublimità del Regno Celeste lasciandoci testimonianza di valori umani e religiosi che rimarranno indelebilmente incisi nella nostra memoria. Enio Concarotti Sopra: la recita del S. Rosario in suffragio di Mons. Tagliaferri. 7 Il testamento spirituale di Mons. Tagliaferri «A 8 lcuni anni or sono quando, ancora Parroco di questa carissima, popolosa e complessa parrocchia della SS. Trinità, avevo già scritto queste note. Oggi le rileggo e le riscrivo completandole. Approfitto di un “supplemento di tempo” che Dio mi concede per la mia faticosa conversione e di un residuo barlume di vista che un aggressivo glaucoma non è ancora riuscito a spegnere, per aggiungere qualche riga, che lo Spirito Santo mi suggerisce. Ciò che di più importante devo dire si racchiude in questa parola: grazie! Grazie alla Santissima Trinità, la cui devozione mi è stata inculcata fin da bambino dal mio vecchio parroco di Suzzano, don Aldo Panelli, devotissimo del Mistero Trinitario. Grazie alla Santissima Trinità che mi ha concesso il privilegio di occuparmi, appena venticinquenne, dell’erigenda parrocchia omonima e della costruzione del Tempio ad Essa dedicato tra vicende incredibili, alcune delle quali oserei definire “miracolose”! Anche San Padre Pio nel 1948 e in un successivo incontro che Lui stesso aveva sollecitato, mi aveva spronato ad avventurarmi in questa impresa! Oggi il Tempio, non ancora completato (manca il campanile!), è tuttavia agibile e ospita, sulla parete absidale, un grandioso dipinto dovuto alla fede ed all’arte di Kiko Argüello, coadiuvato da una dozzina di pittori, qui giunti da varie nazioni di tutti i continenti. Questo dipinto, che è stato realizzato nella preghiera e cantando lodi al Signore e tra contrasti e incomprensioni, nasconde, a mio avviso, un segreto, che sarà manifesto ed evidente nel tempo - che speriamo vicino - in cui si compirà la riconciliazione delle Chiese Ortodosse Orientali con la Chiesa Cattolica. Frattanto sul Transetto del Tempio brilla la grande “Croce Gloriosa” che, tra i sempre più numerosi stranieri di altre fedi ricordi ai cattolici le loro “radici cristiane”. Quando essi, camminando per le vie del quartiere, vedranno spuntare la “Croce Gloriosa” tra le case e i palazzi, non manchino di recitare, anche solo mentalmente, un Gloria alla SS.Trinità! Sarà anche un’ottima occasione per ricordare e… suffragare il loro vecchio Parroco! Grazie alla Madonna, che ho imparato ad amare fin da bambino per merito di mia madre e alla Quale, nei miei viaggi a Lourdes, Fatima e Terra Santa, ho affidato ogni mia attività pastorale. Grazie alla memoria dei miei ottimi Genitori, che mi hanno trasmesso la vita ed anche la Fede nella semplicità, nel sacrificio quotidiano e soprattutto con l’esempio. Grazie alla mia sorella Anna, che ha condiviso con me le ansie e le fatiche di tanti anni a servizio del Presbiterio Parrocchiale con la necessaria riservatezza e l’illuminato equilibrio. Grazie, che diventa doverosa preghiera di suffragio, a tutti i miei Morti: i due fratelli, una sorella, i superiori, i confratelli e gli innumerevoli collaboratori, tra i quali ho scoperto dei veri santi! Grazie al mio primo successore, Mons. Riccardo Alessandrini, anch’egli molto devoto di San Padre Pio e molto attento agli sviluppi della pastorale in una società sempre più complessa e tendente all’apostasia dal Cristianesimo. Grazie infine a tutta la Comunità Parrocchiale, che ho amato eservito con tutte le mie forze e, purtroppo, anche con tutti i miei limiti. Chiedo perdono a Dio e a tutti delle mie grandi lacune, dei miei ritardi, delle mie, anche involontarie, manchevolezze. La misericordia di Dio supplisca ai miei errori e rechi serenità a tutti. Un ricordo particolarmente grato riservo ai miei numerosi sacerdoti che hanno collaborato con me in tanti anni di ministero pastorale, come ricordo con grande affetto i giovani presbiteri che il Signore ha fatto crescere nei nostri gruppi parrocchiali, soprattutto nelle Comunità Neocatecumenali, dono immenso, quanto immeritato, che il Signore ha voluto elargire alla nostra Parrocchia. Mentre il Signore mi conserva ancora, all’età di 90 anni, la capacità di pensare e di amare, rivolgo, con crescente stupore il mio sguardo al mondo visibile, in cui ho soggiornato finora come pellegrino in cerca della vera e definitiva Patria e lodo Dio Uno e Trino per il mistero che l’universo visibile racchiude con l’ansia di incontrare L’Eterna Bellezza che l’ha creato e con la speranza nel cuore, per le promesse di Gesù Cristo e per l’amabile presenza di Maria che, come Madre, mi prenda per mano per superare il buio della morte e giungere ad un “mondo nuovo”, infinitamente più affascinante! La meta è ormai vicina – Tra poco non vedrete più il mio volto né ascolterete più la mia voce. Ma continuerete a pregare per me! Credo fermamente nella Risurrezione della carne e nella Vita Eterna. Sì, questi miei occhi vedranno il Salvatore!” Sac. Antonio Tagliaferri La Festa della Parrocchia I l primo maggio u.s. abbiamo celebrato la festa della parrocchia con l’eucaristia in onore della B. V. M. «ianua caeli» presieduta da p. Mario Dosi c.m., docente di teologia pastorale e direttore spirituale presso il Collegio Alberoni di Piacenza. Nel pomeriggio si è tenuta l’ora di adorazione eucaristica e in serata si è aperto il mese mariano con la recita del Santo Rosario meditato. Il tutto si è concluso con un simpatico rinfresco nel giardino della canonica. Un grazie a tutti i volontari che hanno collaborato per la riuscita della festa. 9 "Missione Aquila" La redazione di Voce Amica incontra Giancarlo Vigevani, presidente del distaccamento caorsano dell'organizzazione europea vigili del fuoco volontari di protezione civile con sede a Roma e nei maggiori stati europei. P residente, come nasce quest’esperienza a Caorso? Nel maggio del 2000, durante un convegno di lavoro, ebbi occasione di incontrare il professor Enzo Viggiani, segretario nazionale dell'Organizzazione Europea Vigili del Fuoco Volontari di Protezione Civile. In seguito a tale incontro e ad una notte insonne passata a riflettere, nacque in me l'idea di creare un distaccamento di quest’organizzazione anche a Caorso visto che il nostro paese è situato in una zona considerata ad alto rischio, sia per emergenze idrogeologiche che per l'esistenza sul territorio della centrale elettronucleare. Nell'agosto del 2000 nasceva ad opera mia e di alcune persone a me vicine, con l'aiuto fattivo ed i suggerimenti del professor Viggiani, l'attuale distaccamento di volontari. L'organizzazione è iscritta nei registri nazionali, provinciali e regionali ed opera con più di 80 volontari sul territorio di Caorso in forza di In alto: Inaugurazione, con la benedizione di don Giuseppe, della nuova sede presso la stazione ferroviaria di Caorso Qui a destra: i volontari ricevono nella nuova sede i generi di prima necessità donati dalla gente di caorso e zone limitrofe. 10 due convenzioni stipulate con la locale amministrazione comunale che prevedono il monitoraggio del territorio e la fattiva collaborazione per quelle che sono le esigenze del paese e delle frazioni. Di che cosa vi occupate? Innanzitutto teniamo alla promozione e all'incentivazione di iniziative idonee alla formazione di una moderna coscienza di protezione civile, specialmente nell'ambito aziendale e scolastico. Siamo poi operativi a 360° al fine di tutelare l'integrità della vita aiutando le persone in difficoltà, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi connesse all’attività dell’uomo e da altri eventi calamitosi. Nati all’epoca ... e tanto altro dalla nostra sede centrale di Roma. Al mattino abbiamo avvisato la popolazione di Caorso con un messaggio diffuso con l’altoparlante, poi attraverso la radio, le televisioni locali e i giornali, sempre in accordo con le autorità civili. La risposta della gente è stata pronta e generosissima. Poche ore dopo il sisma, nella nostra sede presso la stazione ferroviaria di Caorso, cominciavano già ad arrivare i primi aiuti umanitari e i nostri volontari si sono subito attivati per smistarli, imballarli e caricarli sui tir. Anche dalle zone limitrofe sono arrivati aiuti d’ogni genere. Il giorno successivo, mercoledì, io e un’altra decina di volontari siamo partiti con un tir, seguiti nei giorni successivi, da altri due tir carichi della generosità di tanta gente. Abbiamo trasportato al campo base di San Vittorino, una frazione de L´Aquila, circa 850 quintali di generi di prima necessità come coperte, vestiario, medicinali da banco, acqua, alimentari compresi salumi, frutta e verdura fresche. Siamo stati velocissimi perchè in una situazione del genere, con le persone che hanno perso tutto, non hanno di che vestirsi e alimentarsi, è importante intervenire immediatamente. Abbiamo consegnato gli aiuti direttamente nelle mani delle persone che venivano vicino ai nostri tir. Abbiamo contribuito alla costruzione del Sopra: Conferenza stampa prima della partenza per L’Aquila. In basso: Vigevani e un tir carico di aiuti pronti a partire. L'intervista dell’amministrazione Nastrucci, siamo al fianco dell’attuale amministrazione comunale nella gestione del piano comunale di protezione civile che è un insieme di procedure e modelli d’intervento da adottare in caso di eventi calamitosi. Nell’inverno appena passato ci siamo adoperati per fronteggiare l'emergenza neve contribuendo ad alleviare i disagi derivanti dall'evento, garantendo la percorribilità e la sicurezza delle strade comunali. Durante l’estate siamo impegnati nel servizio di monitoraggio ambientale: tre pattuglie si muovono sul territorio comunale, frazioni comprese, nelle ore notturne, segnalando alle forze dell'ordine eventuali anomalie. Questa iniziativa, in cui Caorso è stato il primo comune in Italia, è stata presa a modello anche da realtà più grandi. So che alcuni di voi sono stati in Abruzzo dopo il dramma del 6 aprile scorso. Si è vero, siamo stati immediatamente allertati 11 campo di San Vittorino, in particolare ci siamo occupati della cucina. Dopo il sisma molti animali vagavano senza meta, impauriti e affamati: per questo abbiamo costruito un piccolo canile d’emergenza. Cosa ti rimane di quest’esperienza? Vedere città e paesi sommersi di macerie, di polvere, gente per strada in lacrime che ha perso tutto tranne una coperta per difendersi dal freddo, è un’esperienza che colpisce, che spinge a tornare a dare una mano. Infatti, nell’ambito di quella che abbiamo chiamato “missione aquila”, c’è stato un secondo viaggio In alto a destra: I volontari distribuiscono generi di prima necessità alla popolazione di San Vittorino. Al centro: Il cane Vittorino. Nella pagina a fianco: Abitazioni distrutte dal sisma. 12 che ci ha portato in altri paesi colpiti dal sisma ancora con un tir d’aiuti umanitari. Mi ha colpito molto anche la grande organizzazione che ha messo in campo la protezione civile attivando una macchina dei soccorsi rapidissima. Più di 120 campi, esercito, forze dell’ordine, migliaia di volontari, in pochi giorni tutta l’Italia si è attivata per alleviare i disagi provocati da questa tragedia. Come hai trovato la popolazione abruzzese? Una piacevole scoperta, una popolazione squisita. Una gran dignità pur in una situazione così difficile. Chi si rivolgeva a noi per ricevere qualche aiuto voleva solo lo stretto necessario, in modo che anche altri potessero ricevere qualcosa. Nel 1976, in Friuli, durante il servizio militare, mi trovai in una situazione simile in una terra sconvolta da un terremoto. Credo che gli abruzzesi ce la faranno: li ho definiti i “friulani” del centro sud per la voglia e la determinazione di riappropriarsi della loro vita, delle loro case e delle loro città così belle e ricche d’arte e storia. E quel bel cagnolone bianco e nero che ci guarda un po’ provato da questo caldo fuori stagione? Quello è Vittorino… Ah ho già capito... Si è un cane che abbiamo trovato tra le macerie con una zampa fratturata. Non aveva il microchip o il tatuaggio, i padroni sono probabilmente morti, lo abbiamo lasciato in cura in Abruzzo e nel nostro secondo viaggio lo abbiamo portato a Caorso. E’ la mascotte della “missione aquila” e lo abbiamo chiamato Vittorino per ricordare il primo paese in cui abbiamo prestato la nostra opera. E adesso… Credo proprio che nei prossimi mesi molta gente avrà un tetto sotto cui dormire. L’estate sarà dura per chi vive nei campi per la difficoltà di condizionare le tende. Noi ripartiremo a settembre con altri aiuti. Anzi approfitto per lanciare un appello alla cittadinanza affinché, in vista della riapertura delle scuole, si raccolgano matite, penne, quaderni, diari, colori e carta, oltre agli altri generi sempre necessari. Vorrei ringraziare tutte le associazioni dei comuni limitrofi che si sono affidate a noi per consegnare aiuti alle popolazioni colpite dal sisma, i compaesani di Caorso e in modo speciale tutti i volontari che hanno lavorato giorno e notte per rendere possibile la “missione aquila” e si adoperano ogni giorno in tutte le iniziative e interventi che ci vedono protagonisti. Grazie ragazzi e buon lavoro a tutti i volontari. Davide Livera 13 L'incontro dei giovani del Vicariato Ha presieduto l'Eucarestia il Vescovo Ambrosio E ra il lontano maggio 1999 quando il vescovo mons. Luciano Monari esprimeva il desiderio di creare in vista del Giubileo una consulta dei giovani. Il primo incontro alla Pellegrina vedeva presenti una ventina di persone tra sacerdoti, giovani e rappresentanti dei movimenti. Nasceva da lì la Consulta dei giovani diocesana, e iniziava il lavoro per la preparazione del Giubileo del 2000, che poi si sarebbe concretizzato nel primo grande ritrovo a Chiaravalle della Colomba. Grazie soprattutto all’impegno di don Giancarlo Plessi, parroco di Vernasca, don Federico Tagliaferri, don Marco Guarnieri (allora curati a Fiorenzuola) e don Franco Cattivelli, curato a Caorso, prese vita il primo grande incontro di preghiera, al quale parteciparono circa 900 giovani. Nei due anni seguenti il lavoro continuò: non esisteva ancora propriamente un’organizzazione a livello di vicariato, la partecipazione era ancora suddivisa in parrocchie, ma fu possibile ugualmente organizzare il primo pellegrinaggio, a Roma. In un secondo momento, su suggerimento del vescovo Monari, si cominciò a pensare ad un lavoro vero e proprio sul territorio, specifico per ogni vicariato. “Con 14 alcuni sacerdoti, come don Federico Tagliaferri ci trovavamo tutte le settimane, ma fu essenziale anche l’impegno dei laici – spiega don Giancarlo Plessi –. Abbiamo cominciato a girare nelle parrocchie e si è costituita la Consulta dei giovani del vicariato Val d’Arda. è importante che ci sia una verifica sul territorio, per arrivare poi a iniziative comuni”. Oltre alla partecipazione agli incontri a livello diocesano, come la Giornata mondiale della gioventù a Piacenza, per il sabato delle Palme, si cominciò ad organizzare momenti particolari per la Val d’Arda: in nove anni ci sono stati ben sedici incontri, tutti molto partecipati. “L’intenzione era anche quella di caratterizzare alcuni luoghi della zona, coinvolgendo i giovani del posto – racconta don Plessi – . Dopo Chiaravalle, ci siamo spostati a Fiorenzuola, poi siamo stati a Castell’Arquato, quest’anno a Cortemaggiore”. Accanto agli aspetti positivi che sono emersi in questi dieci anni, come l’incontro con centinaia di giovani e l’amicizia che si è creata con molti di loro, con cui ci si tiene spesso in contatto, non sono mancate però le note negative: “abbiamo visto calare la partecipazione dei giovani alla vita delle loro parrocchie, alcune unità pastorali purtroppo sono quasi scomparse – osserva don Giancarlo. Questo sarà un motivo di riflessione e di provocazione per il futuro. Venerdì 8 maggio alle 20.30 a Fiorenzuola nella chiesa dedicata a G.B. Scalabrini si è tenuta una celebrazione presieduta da mons. Ambrosio per vivere insieme la gioia di tanti anni trascorsi in cammino. È stato essenzialmente un momento di ringraziamento e di gratitudine: “dieci anni sono una tappa molto importante, ma sono sempre un passaggio. Abbiamo lavorato molto e vogliamo continuare a farlo, c’è molta disponibilità, da parte dei giovani, dei seminaristi che lavorano nelle parrocchie e dei sacerdoti – dice don Giancarlo Plessi. Il tema è stato “la giovinezza nel cuore”: durante la celebrazione infatti è stato consegnato proprio ai ragazzi di terza media (seguiti particolarmente da don Davis Rocco) il nuovo decennio. Al termine della messa don Luigi Mosconi ha spiegato ai giovani la nuova realtà della Missione Popolare Diocesana, che sta nascendo sul nostro territorio. Il tutto si è concluso con una simpatica agape fraterna. (fonte: Il Nuovo Giornale) La missione popolare diocesana Don Luigi Mosconi, piacentino missionario in Brasile dal 1967, in diversi Paesi del Sud America e dell’America Centrale lavora in un progetto di Missioni popolari. Ora è al lavoro per dare il proprio contributo per una nuova Missione popolare, dopo quella svoltasi nel 2000, nella nostra diocesi. La Missione S ono arrivato dal Brasile mercoledì 15 aprile su invito del Vescovo e del presbiterio, per dare il mio contributo alla realizzazione della Missione Popolare Diocesana (MPD). Prima di partire ho passato un mese visitando sei diocesi sparse nell’immenso Brasile (grande 27 volte l’Italia!). Queste diocesi stanno vivendo intensamente la proposta delle Missioni Popolari. In ciascuna ho passato due giorni interi con i sacerdoti per rif lettere e approfondire meglio il processo delle Missioni Popolari. Ci sono stati anche ritiri per laici che avevano assunto l’impegno del servizio missionario. In tutto ho incontrato più di seimila persone. Ho detto a loro che in questo periodo sarei stato in Italia per la stessa finalità. La notizia è stata accolta con un grande applauso, che esprimeva la loro gioia di stare in questa esperienza e il loro augurio per voi. Vi porto tutti questi auguri. Sono venuto con una gran voglia di servire, di essere utile. L’esperienza ci dice che le belle iniziative, quelle capaci di produrre fecondi risultati, non si improvvisano e non si fanno individualmente. Bisogna prima sognarle, accarezzarle e poi costruirle assieme. Tutto questo vuol dire avere chiaro quello che si vuol fare, perché farlo e con quali obiettivi e modalità. Vuol dire saper unire valori e doni, articolare energie, aprire cammini. Così ha agito Gesù. Come dice il Vangelo secondo Marco (Mc 1,14-20), egli rese pubblica la missione affidatagli dal Padre nella piazza di Cafarnao, in un contesto duro, a causa delle difficili situazioni sociali e politiche dell’epoca. Poi andò sulle rive del lago tra pescatori, allora una delle categorie sociali più disprezzate da farisei e dottori della Legge. Andò per scaldare il cuore alle persone, per motivarle alla sua sequela. Quattro aderirono (Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni), formando il primo gruppo missionario assieme a Gesù; e insieme iniziarono la prima giornata missionaria (Mc 1,21-34). L’evangelista notò bene quell’inizio, perché potesse servire di esempio e di stimolo missionario per le comunità alle quali indirizzava il Vangelo. Altri discepoli missionari si aggiunsero quasi subito dopo. Così sorse la prima Missione Popolare, una missione santa perché in sintonia con la volontà del Padre, perché promoveva vita e dignità per tutti, perché diede voce ai senza voce, perché proponeva a tutti un cambiamento di mentalità e una pratica totalmente nuove. La MPD (Missione Popolare Diocesana) vuole cominciare così, alla luce della missione di Gesù Cristo. Vuole unire forze e valori sparsi tra la gente. Come la Pentecoste (Atti 2,1-11), vuole essere uno scossone forte, una irruzione salutare, feconda, gioiosa. Un tempo di speranza, di testimonianza, di scelte coraggiose. Abbiamo tutti bisogno, ogni tanto, di forti scossoni, per non sprecare la vita, per viverla bene e intensamente. Viviamo in un contesto sociale, culturale e religioso difficile, che può mettere paura. Ma la paura non serve, blocca, è dannosa. Occorre lanciare la rete in acque profonde (Lc 5,4), avanzare, rischiare, rompere barriere, superare frontiere, incontrare, ascoltare, dialogare, cercare insieme. Sogniamola e costruiamola assieme questa avventura dello Spirito. Con fiducia e con grande apertura. La vita è sempre un ricominciare, un riprendere il cammino, con speranza. Cominciamo a parlare di questa proposta, a simpatizzare, a sentirla sempre più nostra. Lasciamo che prenda il suo spazio nella nostra quotidianità. Lasciamoci interrogare. Con voglia di fare. Ne vale la pena. Don Luigi Mosconi 15 Cine Fox: ritorno al futuro Sabato 16 maggio è stato presentato il progetto di riqualificazione del Cine Fox che dopo trent’anni ritornerà protagonista della vita del nostro paese. E ttore Fochi nacque a San Polo di Podenzano il 30 marzo 1903. Da sempre nutrì una forte passione per le macchine agricole e ben presto divenne un punto di riferimento per la nostra provincia con le sue trebbiatrici. Si procurava sempre le Qui sopra: anni '50. Romana Fochi alla cassa del cinema Fox per la Veglia di Carnevale. Sotto: Anno 1947. L'inizio dei lavori di costruzione del Cinema. Nella pagina a fianco: una cartolina da Caorso degli anni 50. In alto a destra: Alcuni caorsani al tavolo del bar del Fox: Pietro Rossi, Alcide Donelli (Cinai), Callegari Cesare, Eliana Tansini, Lino Pastori, Natalina Losi, Pino Losi. Più sotto: Veglione di Capodanno 1951. Riconosciamo: Zaria Isingrini, Francesco Grossi, Wanna Finetti, Mauro Biolchi, Mariuccia Tinelli, Giorgio Bianchini, Luigi Schiavi, Mariuccia Brambilla. 16 macchine più moderne, i migliori trattori entravano subito a far parte dei mezzi della sua azienda. Passò dalla macchina a vapore che azionava le trebbiatrici ai più potenti e moderni trattori diesel. Si distinse anche nel campo del movimento terra: acquistò la prima ruspa venuta dall’America, una grande novità a quei tempi e un grande passo avanti nella meccanica. Fù un operatore di grande ingegno che aveva una grande passione per il cinema in grandissima ascesa. Dopo aver gestito alcuni cinematografi in Lombardia, nel 1947, su progetto dell’architetto Pietro Berzolla, diede inizio alla costruzione del Cinema Fox, il primo locale della nostra provincia appositamente progettato come sala cinematografica. Ai paesaggi dell'Alaska, con i suoi voli di oche selvagge nel cielo grigio, ed al volto impenetrabile di Henry Fonda l’onore di tenere a battesimo il Cine Fox. “Il richiamo del nord” fù il primo film proiettato il giorno di Pasqua del 1949 tra l’entusiasmo dei caorsani, entusiasmo che portò persino alla rottura di una vetrata dell’ingresso. Con i film molto spesso in esclusiva rispetto alle altre sale del piacentino e del cremonese, con le feste paesane che richiamavano grandi folle nell’arena all’aperto, con i veglioni di capodanno, gli spettacoli in maschera per carnevale, con i balli, le “feste della mimosa” in occasione dell’8 marzo e con la grande “Caorsanissima”, ideata dall’indimenticato maestro Gino Lodola, il Cine Fox divenne ben presto un punto di riferimento per tante generazioni di caorsani che nel suo ventre trascorrevano felici momenti di spensieratezza desiderosi di chiudere la pagina di una guerra maledetta. Vite che si sono incrociate ed esperienze svelate dalle tante fotografie che ritraggono volti sorridenti di ragazzi, ragazze e famiglie che posano al bar come fossero nell’intimità del salotto di casa, oppure davanti alle locandine dell’ultimo film per sentirsi un po’ anche New York. Da luogo di aggregazione quando la proiezione di un film era evento che faceva sognare, divenne un immobile avviato ad inesorabile degrado con il consolidarsi di nuovi stili di vita, di nuovi modi di trascorrere il tempo libero e dell’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa. Anch’io conservo ricordi vivissimi e indelebili di alcuni carnevalini, delle domeniche passate al cinema a vedere le ultime avventure di Goldrake, così come ricordo il dispiacere per l’annuncio della chiusura: magìa contemporaneamente della platea e della galleria con diverse funzioni. La platea, capace di 354 posti a sedere, sarà percepita come un volume unitario, potrà essere utilizzata per lo svolgimento di iniziative aventi finalità ricreative e culturali come conferenze, convegni, congressi, incontri , riunioni, dibattiti, assemblee di associazioni, feste o manifestazioni. La galleria, capace di 140 persone, sarà chiusa rispetto alla platea da una parete in cartongesso fonoassorbente in modo da creare un auditorium indipendente. Camerini, servizi, impianti, scale antincendio e tanti altri interventi completeranno l’opera di recupero. Attendiamo di poter varcare la soglia del nuovo Cine Fox ed inaugurare una nuova stagione di successi e rinnovata voglia di stare insieme. Un doveroso ringraziamento all’amministrazione comunale e alla SAIB che hanno voluto questo recupero e tanti auguri al Cine Fox: buona fortuna e buon ritorno al futuro! Sotto: 3 marzo 1957. Festa da ballo per il Carnevale. Riconosciamo: Vilma Gandelli, Pino Fumi, Guido Marenghi, Anna Nanet, moglie del dott. Granelli, Francesco Grossi, Angelo Tinelli, Teresa Tarsilia, Ugo Donelli, Bruno Madini, Eliana Cremona, Ferruccio Tinelli, Mariuccia Boeri, Ottavia Pavesi e Luigi Bonvini. Il Fatto del Cine Fox. Ricordi vivissimi e indelebili che si rivestono di futuro grazie alla scelta lungimirante dell’amministrazione comunale, supportata dall’azienda SAIB, che sta avviando un intervento di recupero e valorizzazione del nostro amato Cine Fox. Sarà adibito a centro di utilità socio-culturale e ricreativa tornando così alla sua funzione originaria, restituendo ai caorsani un pezzo della loro storia e un sogno divenuto monumento in memoria dell’ingegno di Ettore Fochi. L’architetto Patrizio Losi e i suoi collaboratori hanno proposto un intervento di ristrutturazione che mantiene inalterato lo spirito iniziale dell’edificio. Tutte le scelte progettuali sono volte alla preservazione dell’esistente stato di fatto, da conservare in quanto testimonianza delle tecniche costruttive adottate alla metà del secolo scorso. La ristrutturazione mira a trovare un compromesso tra il rispetto delle caratteristiche dell’involucro esistente e la necessità di recuperare l’edificio per un impiego contemporaneo attento alla vigente normativa sulla sicurezza e alle esigenze di funzionalità e fruibilità moderne. Verranno realizzati due ambienti separati, per poter usufruire Davide Livera 17 Festa di chiusura per il circolo A.N.S.P.I. C ome, ormai, tradizione vuole, la sera di domenica 7 giugno si è svolta la "festa di chiusura" dell'anno catechistico e delle attività del nostro oratorio. La novità quest'anno è stata la partecipazione del maestro Giovanni Boccaccio e della sua scuola di musica, che da anni svolge le proprie attività all'interno della Casa dell'Amicizia, che dalle 18 circa ha fornito un "aperitivo in musica" ad un pubblico di genitori orgogliosi. tante della Casa dell'Amicizia, vale a dire il Grest. Quest'anno l'attività dei ragazzi volontari guidati dalla ormai veterana Illiana Rossi, si prolungherà di una settimana andando a coprire tutto il mese di giugno. Lo slogan di quest'anno è: «dite "amici" ed entrate», un messaggio di tolleranza ed accoglienza, che è di grande attualità in questo momento. La formula rimane immutata rispetto agli altri anni, con un'alternanza di giornate all'insegna del gioco e dello stare insieme, trascorse nei locali messi a disposizione dalla parrocchia e dalla Casa dell'Amicizia, e giornate passate a visitare i parchi del nord Italia. Alcune delle mete: Rocca d'Olgisio e Parco Provinciale, l'Archeopark, il Parco Sospeso, il Safari Park ed altri ancora! Venerdì 26 giugno grande festa finale anche per il Grest, con esposizione dei lavori realizzati dai ragazzi durante i laboratori. S.C. A seguire c'è stata una cena insieme a base di spiedini, hot dog, patatine fritte e pizza. La serata ha poi visto l'esibizione dei ragazzi della scuola di Ballo Country del nostro circolo, capitanati dall'insegnante Annalisa Dotelli, per poi concludersi con le note del gruppo rock "CQC". Con la chiusura delle scuole, inoltre, ha preso il via anche un'altra iniziativa impor- Inaugurata la nuova sede degli Alpini 18 Il 31 maggio u.s. è stata inaugurata la sede del Gruppo Alpini di Caorso. Don Stefano Garilli, cappellano degli Alpini piacentini ha celebrato una S. Messa sul piazzale antistante la “baita” ed il Vescovo mons. Gianni Ambrosio ha benedetto i locali, all’interno dei quali è stato collocato un crocifisso di legno intagliato ad Ortisei in Val Gardena e donato dalla Parrocchia di Caorso in segno di gratitudine per tutto quello che il Gruppo Alpini di Caorso fa per il paese.