mementote praepositorum vestrorum

Transcription

mementote praepositorum vestrorum
GIUGNO 2009
oce
Va m i c a
HO CREDUTO IN UN SOGNO
LA FESTA DELLA PARROCCHIA
“MISSIONE AQUILA”
CINE FOX
LA MISSIONE POPOLARE DIOCESANA
MEMENTOTE PRAEPOSITORUM VESTRORUM
Un'opera d'arte
per la nostra casa
VOCE
AMICA
N° 2/ 2009
Periodico della
parrocchia di Caorso
fondato da
mons. Lazzaro Chiappa
l'8 dicembre 1923
Direttore responsabile
Don Giuseppe Tosca
Autorizzazione
Tribunale
di Piacenza
del 26.01.2005
n. 605
Stampa
Tipolitografia
La Grafica
Piacenza
Impianti Fotolito
Officina Foto Grafica
Redazione
Carlo Livera
Davide Livera
don Giuseppe Tosca
Enrico Francia
Marco Molinari
Simona Chiesa
Valentina Rossi
Fotografie
Lino Pavesi
Gabriele Fervari,
Gianluca Casaroli,
Protezione Civile
di Caorso
Don Giuseppe Tosca
Archivio di “La Cronaca”
Progetto grafico
Silvia Bodini
Impaginazione
Emanuela Chiesa
www.parrocchiadicaorso.it
L
o scultore piacentino Giorgio Groppi, noto
per i capolavori fra cui la statua di S.
Colombano a Bobbio e quelle di S. Antonino
a Travo, di S. Savino nella omonima basilica
piacentina, di S. Giustina in Cattedrale, di
Papa Gregorio X in S. Antonino a Piacenza,
ha preparato la statua in bronzo di Papa
Giovanni Paolo II che sarà collocata
nell’erigendo Santuario della Parola della nostra
parrocchia. Fra le peculiarità di quet’opera è
da notare il pastorale che, anziché rappresentare
quello ben noto di Paolo VI utilizzato anche
da Giovanni Paolo II, riporta l’immagine del
crocifisso realizzato dallo stesso autore per la
Cattedrale di Piacenza.
Questo particolare, al di là delle intenzioni che
hanno ispirato l’artista, ci aiuterà a rinsaldare
il nostro legame di fede con il nostro Vescovo
e la nostra Diocesi. Il crocifisso in bronzo su
croce in legno è stato realizzato anche in un
numero limitato di esemplari per i nostri
parrocchiani che vogliano avere un’opera di
autentica arte sacra. Il crocifisso di Groppi
presenta la caratteristica, tra l’altro, di essere
rappresentato nell’atto della risurrezione ed è
Santuario
della Parola
quindi una bella sintesi del mistero pasquale.
L’opera può essere prenotata in segreteria
versando un anticipo di cento euro.
Il costo completo ammonta in tutto a 350 €.
La Provvidenza, che ci aiuterà a compiere quest’opera, può volersi servire di te.
Se vuoi aiutarci fai un versamento intestato a «Il Villaggio Celeste» Organizzazione
di volontariato Onlus di diritto presso la Banca di Piacenza Ag. di Caorso IBAN
IT50 Y051 5665 230C C044 0005 716. Il versamento non può essere fatto in
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Editoriale
«Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio;
considerando attentamente l’esito del loro tenore di vita, imitatene la fede» (Eb 13, 7)
di pernottare. Quando mi recai da lui per dirgli
che temevo che il Signore mi volesse prete (ero
a dir poco sconvolto per un episodio
indimenticabile che porterò sempre nel cuore),
ma che io non volevo lasciare gli studi
universitari appena iniziati, mi trattò male e mi
consigliò di rivolgermi ad un neuropsichiatra.
Faceva così, “il capo”; a volte sembrava burbero,
con la sensibilità di un elefante in una cristalleria.
A me, però, ha fatto bene: ho imparato che le
vocazioni vanno provate e, da quando entrai in
seminario, non ebbi mai più un dubbio sulla
volontà di Dio per me. Ho presente che spesso
diceva la stessa cosa della sua vocazione. Tra i
ricordi più belli che ho di lui, c’è quello di
quando, anni dopo, mi presentai nel suo ufficio
per chiedergli di accompagnarmi in seminario.
Riconobbe la vocazione e, seduta stante, telefonò
al Vescovo ed il giorno seguente mi portò in
episcopio alla guida del suo indimenticabile
maggiolone verde, che parcheggiò, dopo ripetute
manovre, esattamente perpendicolare all’area
del parcheggio!
Don Antonio è stato il mio parroco, il prete
che ha riconosciuto ed accompagnato la mia
vocazione ed è stato anche il primo parroco che
ho servito come curato e che mi ha insegnato
“il mestiere”. Non solo: facendo i documenti
per il seminario ho scoperto che è stato anche
il parroco che mi ha battezzato. La cosa non è
ovvia, perché ho visto la luce nell’allora Clinica
Belvedere, quando i miei genitori non risiedevano ancora sotto la parrocchia della Santissima
Trinità. Per questo nel mio studio conservo
copia dell’atto di Battesimo redatto da don
Antonio, perché tutto, per me, iniziò lì. Il capo
attraversò molte prove, sempre con una totale
fiducia nel Signore: fu questo il vero motivo del
suo radicale ed inestinguibile entusiasmo, la
sorgente della sua straordinaria energia, la
ragione di tanti vulcanici progetti pastorali ed
“edilizi”, accanto ad una sincera capacità di
perdonare le offese senza ombra di rancore.
Credo che per questi motivi il Signore lo abbia
scelto per accogliere l’esperienza del Cammino
Neocatecumenale nella Diocesi di PiacenzaBobbio, per essere padre di uno “stuolo” – come
diceva lui – di novelli sacerdoti e pastore di un
popolo che non lo dimenticherà mai.
don Giuseppe
Editoriale
«L’altra sera ho lavorato fino a tardi.
Ero stanco e avevo sete.
Ho mangiato una pesca.
Era deliziosa e mi sono detto:
“Guarda, Signore,
che frutto buono mi hai preparato!
Padre, grazie, grazie di tutto!»
Con queste parole si conclude il libro “Ho
creduto in un sogno” (Sugarco Edizioni)
pubblicato nel 2004 dal mio parroco mons.
Antonio Tagliaferri. Per noi “della Santissima”
è diventato come l’album con i ricordi di
famiglia più cari. Nella lunga dedica che mi
fece don Antonio scrisse di pugno: «All’amico
e confratello carissimo don Giuseppe Tosca
arciprete di Caorso … perché questo volume gli
rinnovi la memoria di quanto il Signore ha
operato in mezzo a noi». E veramente in quelle
pagine io ritrovo la meraviglia dell’incontro con
il Signore nella storia che la Divina Provvidenza
ha fatto con quello che, anno dopo anno, prova
dopo prova, prodigio dopo prodigio, è diventato
un popolo, il popolo della Santissima Trinità.
Di questo popolo don Antonio è stato
l’indiscusso “capo” e così lo abbiamo sempre
familiarmente chiamato. Ora il capo è in cielo
e non posso non ricordarlo dalle pagine di Voce
Amica, anche perché tra coloro che gli sono
debitori c’è pure la parrocchia di Caorso.
Le parole con cui scelse di chiudere la narrazione dei suoi ricordi mi colpirono subito
quando, d’un fiato, lessi il libro. Danno bene
l’idea di chi fosse don Antonio: un uomo
semplice, contento della vita, gran lavoratore,
grato al Signore.
Il mio primo incontro personale con lui avvenne
durante una confessione nella cripta della “SS.
Trinità”, a cui mi accostai con molto imbarazzo
perché “il capo” mi incuteva molta soggezione.
Era il 1976 e mi invitò a partecipare a delle
catechesi per adulti. Declinai l’invito, ma l’anno
seguente partecipai, sia pure con molta
titubanza e diffidenza: fu un’esperienza decisiva
per la mia vita. Don Antonio da allora mi fu
sempre accanto; quando avevo bisogno di parlare
era sempre pronto ad accogliermi, ad ascoltarmi,
a consigliarmi. La sua era un’ospitalità “del
cuore”, che divenne per me anche un’ospitalità
molto concreta, dal momento che fui accolto
diverse volte in canonica, dove mi capitò anche
3
“Ho creduto in un sogno”
Don Antonio Tagliaferri fondatore della Santissima Trinità
si è spento nella sua casa il 7 aprile scorso all’età di 90 anni.
Il ricordo di don Maloberti: la sua vita è coincisa con la parrocchia
V
Nella foto in alto:
Mons. Tagliaferri
davanti al portone della
S.S. Trinità.
A destra:
Il commiato
dopo le esequie.
4
a’. Fai questa chiesa.Vedrai che darà grande
gloria a Dio». Chi conosceva don Antonio, lo
avrà sentito parlare di questo aneddoto infinite
volte. Era uno dei ricordi ai quali era più legato,
ovvero l’incontro con San Pio da Pietrelcina,
al quale l’allora giovane sacerdote piacentino
aveva espresso dubbi e perplessità circa un
progetto mastodontico che aveva nel cuore.
Quel progetto era la chiesa della Santissima
Trinità di viale Dante, oggi una delle realtà
più vive e popolose dell’intera diocesi. Una
realtà parrocchiale dalla quale sono nate tante
nuove vocazioni (ben sette negli ultimi anni),
dalla quale sono partite altrettante famiglie in
missione nei Paesi più sperduti. «Don Antonio
era umile - afferma chi lo conosceva bene - e
se si vantava lo faceva per la sua parrocchia».
Altrettanto umilmente ha lasciato la sua vita
terrena (…), a 90 anni, nella sua casa di fianco
alla chiesa, dopo una vita intera spesa per
annunciare il Vangelo. Nel 2001 si era ritirato,
lasciando il il timone nelle mani di monsignor
Riccardo Alessandrini, attuale parroco della
Santissima Trinità. Raccontare don Antonio
(che, a dire il vero era monsignore, ma a lui
non importava gran che, e tutti lo chiameranno
sempre “don”) in un articolo di giornale scritto
in fretta a tarda ora, è impresa ardua.
Fortunatamente, qualche anno fa, don Davide Maloberti,
direttore del
Nuovo Giornale, aveva avuto
l’idea di scrivere un libro
su di lui, e
soprattutto su
ciò che Dio,
attraverso don
Antonio, ha
creato all’ango-
lo tra viale Dan-te e via Man-fredi, quando ancora
lì c’erano i campi. «Inizialmente aveva dei dubbi sul fatto di scrivere un libro su di lui e sulla
parrocchia - spiega don Davide - temeva che
qualcuno potesse intenderlo come un’autocelebrazione».
Ma alla fine quel volume vide la luce con il
titolo “Ho creduto in un sogno”.
«Ritenevo che fosse giusto raccontare una storia
così bella, e carica di speranza, come quella
che legava don Antonio alla realizzazione della
parrocchia della Santissima Trinità» spiega
E il parroco, che inizialmente stava anche lui
per cacciare quei tre sconosciuti come era
avvenuto nelle altre parrocchie piacentine,
decise invece che valeva la pena sentire quello
che avevano da dire: in quel momento era
l’unica alternativa ai «gruppuscoli tardocomunisti sorti come funghi in parrocchia,
armati di bibbia e del quotidiano l’Unità»
come scritto nel libro di Maloberti.
«Don Antonio - prosegue Dionedi - ebbe
l’umiltà di mettersi seduto ad ascoltare le
catechesi, che erano tenute anche da dei laici,
e di iniziare a seguire questa esperienza come
chiunque altro.
Io devo molto a lui e alla sua scelta di portare
l’esperienza del Cammino Neocatecumenale
nella parrocchia, perché ha fatto bene alla mia
vita. Se io oggi ho una speranza è grazie alla
parrocchia che don Antonio ha saputo
costruire, spinto dalla carità pastorale. E lo
stesso vale per la medesima possibilità che oggi
hanno anche i miei figli. E’ inutile nascondere
che in passato è stato anche assai criticato in
diocesi per le sue scelte. Ma ha tenuto duro e
i fatti gli hanno dato ragione. Le calunnie e
le persecuzioni, d’altronde, ci sono già state
anticipate nel Vangelo».
Un sacerdote innovatore, dunque? «Aveva
senz’altro una visione spiccata del futuro, in
grado anche di anticipare i mutamenti storici
e sociali: ricordo una volta, parlando con lui,
all’epoca della guerra fredda tra Russia e
America nei primi anni Ottanta, mi disse che
il vero problema, un giorno, sarebbe stato
l’Islam, del quale invece all’epoca non si sentiva
ancora parlare».
Nella foto sotto:
Mons. Tagliaferri con
Kiko Argüello,
iniziatore del cammino
neocatecumenale e i
preti la cui vocazione è
nata grazie a questa
esperienza ecclesiale.
Si può riconoscere
Don Franco Cattivelli
(primo da sinistra)
ed il nostro parroco
(quarto da sinistra).
Il Ricordo
Maloberti: «Per mostrare la storia di un popolo
che cammina».
«Don Antonio - prosegue il direttore del Nuovo
Giornale - è sempre stato un sacerdote pieno
di entusiasmo, aveva la capacità di guardare
avanti senza chiudersi su se stesso, senza
rimanere ancorato al passato.
Era davvero animato dal desiderio di portare
il Vangelo alla gente. Ha saputo affrontare le
sfide, dando il meglio di sé. La vita di don
Antonio è coincisa con la storia della sua
parrocchia». Questa sua dote di “innovatore”
e la capacità di affrontare le sfide è confermata
anche da Carlo Dionedi, uno dei catechisti
della Santissima Trinità. «Don Antonio - spiega
Dionedi - si trovò a fronteggiare lo
sgretolamento della Chiesa dovuto alla deriva
laicista, basata sulle idee marxiste, che si abbatté
dopo il ‘68. Vedeva le realtà che si sfaldavano,
e anche molti preti allora erano in crisi». Don
Antonio dapprima seguì con interesse il gesuita
Riccardo Lombardi (passato alla storia come
“padre Lombardi”) e il suo “Movimento per
un modo migliore”.
Descritto da tutti come un grande oratore,
don Antonio, mancando lo spazio nella
parrocchia ancora in costruzione, è ricordato
ancora oggi per le catechesi nei palazzi e
addirittura sui pullman.
Ma la svolta fu nell’agosto del 1973, quando
tre sconosciuti bussarono alla porta della
canonica. Si trattava di tre catechisti itineranti
appartenenti al Cammino Neocatecumenale,
che si era radicato in due parrocchie di Roma.
Proposero a don Antonio di portare alla
Santissima Trinità il nuovo movimento (nato
dopo il Concilio Vaticano II) e di iniziare delle
catechesi per adulti.
Giampietro Bisaglia
(fonte La Cronaca)
5
Ricordando
don Antonio Tagliaferri
La testimonianza del noto critico piacentino Enio Concarotti
M
Nella foto in alto:
Mons. Tagliaferri
durante un battesimo
in una veglia
di Pasqua.
A destra:
La catechesi nei
quartieri sul pullman.
6
onsignor Antonio Tagliaferri, nativo di
terra piacentina (Suzzano di Rivergaro 1917 ),
ordinato sacerdote nel 1940, fondatore e
parroco della chiesa della Santissima Trinità
(zona urbana del Belvedere), Cappellano di
Sua Santità: brevi note di una biografia che
riassume la personalità di uno dei più amati
e popolari sacerdoti della città. Per me, suo
parrocchiano, nel ricordo che conservo di lui,
egli rimane semplicemente “don Antonio”,
figura non soltanto di Padre spirituale per il
suo alto carisma religioso-ecclesiastico ma anche
di fraterno amico prodigo di preziose attenzioni,
di illuminanti consigli, di coinvolgenti
sollecitazioni di carattere culturale ed anche
artistico-letterario.
A questa sua vasta sapienza di uomo di cultura
(in Seminario si era rivelato fra i migliori allievi
al fianco del futuro Cardinale Nasalli Rocca)
mi ero rivolto in varie occasioni per colmare
certe mie lacune professionali in campo
giornalistico e la sua saggezza mi aveva guidato
lungo certi percorsi decisamente difficili e
complessi per un comune laico impegnato a
capire il mondo della Chiesa nei suoi rapporti
internazionali.
Valga questo preciso esempio: la conoscenza
dei problemi ormai secolari che dividono
la Chiesa Cattolica dalle Chiese Ortodosse
Orientali. Argomento collegato alla
realizzazione del grande affresco (900 metri
quadrati) dipinto sulla parete absidale da Kiko
Arguello, artista internazionale iniziatore qui
in Italia del cammino neocatecumenale,
coadiuvato da una dozzina di pittori giunti a
Piacenza da varie nazioni di tutti i Continenti.
Ebbi modo in quell’anno di seguire personalmente le fasi di esecuzione dell’affresco
(privilegio amichevolmente concessomi da don
Antonio) con incontri diretti con Argüello (in
quotidiano contatto con don Antonio) e con
gli artisti che, arrampicati su aerei trapezi
rasentanti la parete, ogni tanto sospendevano
il lavoro per riunirsi a pregare con voci
sommesse. Tecnica operativa di grande
meraviglia per me che non avevo mai visto un
nostro artista dipingere pregando e cantando
lodi al Signore.
In città c’era un gran fermento negli ambienti
artistici poiché il lavoro non era stato
commissionato a pittori piacentini (si era
trattato a lungo con Luciano Ricchetti senza
alcun risultato). Don Antonio aveva contattato
un pittore dì fama nazionale che però, senza
batter ciglio, aveva chiesto 800 milioni di lire
e così, dopo un fortunato incontro a Firenze
con Kiko Arguello, aveva invitato a Piacenza
il pittore spagnolo specializzato nel genere di
pittura bizantina, il quale, insieme ai suoi
collaboratori, s’era messo all’opera senza
chiedere una lira ma soltanto ospitalità presso
alcune famiglie della parrocchia. Così è nato
il grande affresco murale che richiama turisti
e appassionati di arte figurativa da tutto il
mondo.
Don Antonio fu sempre molto sensibile ai fatti
d’arte sacra. Profondamente devoto a Padre
Pio di Pietrelcina che lo aveva spronato a
costruire la chiesa della Santissima Trinità,
decise di dedicargli una statua in bronzo
rivolgendosi allo scultore piacentino Giorgio
Groppi (la statua si erge di fianco alla grande
scalinata centrale del Tempio) che scolpì la
dolcissima immagine di Padre Pio nell’atto di
benedire a braccia alzate Piacenza e i piacentini.
Ricordo le sue omelie durante le messe
domenicali.
Don Antonio aveva il dono di trasmettere ai
fedeli il messaggio evangelico con un linguaggio
semplice ma nello stesso tempo vibrante e
profondo, ben preciso sui concetti fondamentali delle fede cristiana. La sua figura, al
centro dell’altare, spiccava con l’ispirata
austerità del portatore della parola di Dio. Egli
era sempre vicino alle sofferenze dei suoi
parrocchiani e a quelli ricoverati all’ospedale
recava il conforto della sua parola e della sua
benedizione.
Fu proprio in una di quelle camerette
dell’Ospedale che mi fece visita anni fa (ero a
letto con un ginocchio rotto ma già in fase di
convalescenza) e con un sorriso arguto e
spiritoso sdrammatizzante la solita retorica
consolatoria che si propina agli ammalati, mi
ricordò una clamorosa peripezia goliardica da
me compiuta subito dono la fine della guerra
quando, agganciato alla motocicletta di un
acrobatico clown tedesco in bilico su un cavo
teso sopra Piazza Cavalli affollata di migliaia
di cittadini, riuscii a raggiungere la sommità
della Torre del Palazzo INA.
La responsabilità di affrontare e risolvere i
problemi riguardanti la più grande parrocchia
della Diocesi piacentina con annessa una
Scuola materna lo coinvolgeva in continui
contatti con gli amministratori pubblici che
spesso lo frenavano nel suo proposito di fare
sempre qualcosa di nuovo al servizio della
comunità parrocchiale.
Erano momenti difficili che superava con
tenace e incrollabile fede e spirito di sacrificio
(lo perseguitava il sogno mai realizzato di
costruire il campanile della chiesa).
Dopo tanti anni di fervido ministero
sacerdotale (riassunti in un suo libro intitolato
“Ho creduto in un sogno” ricco di intensa
spiritualità cristiana) don Antonio ha raggiunto
la meta di questo suo viaggio terreno teso alla
sublimità del Regno Celeste lasciandoci
testimonianza di valori umani e religiosi che
rimarranno indelebilmente incisi nella nostra
memoria.
Enio Concarotti
Sopra:
la recita del S. Rosario
in suffragio
di Mons. Tagliaferri.
7
Il testamento spirituale
di Mons. Tagliaferri
«A
8
lcuni anni or sono quando, ancora
Parroco di questa carissima, popolosa e
complessa parrocchia della SS. Trinità, avevo
già scritto queste note. Oggi le rileggo e le riscrivo
completandole. Approfitto di un “supplemento
di tempo” che Dio mi concede per la mia faticosa
conversione e di un residuo barlume di vista
che un aggressivo glaucoma non è ancora riuscito
a spegnere, per aggiungere qualche riga, che lo
Spirito Santo mi suggerisce. Ciò che di più
importante devo dire si racchiude in questa
parola: grazie! Grazie alla Santissima Trinità, la
cui devozione mi è stata inculcata fin da bambino
dal mio vecchio parroco di Suzzano, don Aldo
Panelli, devotissimo del Mistero Trinitario.
Grazie alla Santissima Trinità che mi ha concesso
il privilegio di occuparmi, appena
venticinquenne, dell’erigenda parrocchia
omonima e della costruzione del Tempio ad
Essa dedicato tra vicende incredibili, alcune
delle quali oserei definire “miracolose”! Anche
San Padre Pio nel 1948 e in un successivo
incontro che Lui stesso aveva sollecitato, mi
aveva spronato ad avventurarmi in questa
impresa!
Oggi il Tempio, non ancora completato (manca
il campanile!), è tuttavia agibile e ospita, sulla
parete absidale, un grandioso dipinto dovuto
alla fede ed all’arte di Kiko Argüello, coadiuvato
da una dozzina di pittori, qui giunti da varie
nazioni di tutti i continenti. Questo dipinto,
che è stato realizzato nella preghiera e cantando
lodi al Signore e tra contrasti e incomprensioni,
nasconde, a mio avviso, un segreto, che sarà
manifesto ed evidente nel tempo - che speriamo
vicino - in cui si compirà la riconciliazione delle
Chiese Ortodosse Orientali con la Chiesa
Cattolica. Frattanto sul Transetto del Tempio
brilla la grande “Croce Gloriosa” che, tra i
sempre più numerosi stranieri di altre fedi ricordi
ai cattolici le loro “radici cristiane”. Quando
essi, camminando per le vie del quartiere,
vedranno spuntare la “Croce Gloriosa” tra le
case e i palazzi, non manchino di recitare, anche
solo mentalmente, un Gloria alla SS.Trinità!
Sarà anche un’ottima occasione per ricordare
e… suffragare il loro vecchio Parroco! Grazie alla
Madonna, che ho imparato ad amare fin da
bambino per merito di mia madre e alla Quale,
nei miei viaggi a Lourdes, Fatima e Terra Santa,
ho affidato ogni mia attività pastorale. Grazie
alla memoria dei miei ottimi Genitori, che mi
hanno trasmesso la vita ed anche la Fede nella
semplicità, nel sacrificio quotidiano e soprattutto
con l’esempio. Grazie alla mia sorella Anna, che
ha condiviso con me le ansie e le fatiche di tanti
anni a servizio del Presbiterio Parrocchiale con
la necessaria riservatezza e l’illuminato equilibrio.
Grazie, che diventa doverosa preghiera di
suffragio, a tutti i miei Morti: i due fratelli, una
sorella, i superiori, i confratelli e gli innumerevoli
collaboratori, tra i quali ho scoperto dei veri
santi! Grazie al mio primo successore, Mons.
Riccardo Alessandrini, anch’egli molto devoto
di San Padre Pio e molto attento agli sviluppi
della pastorale in una società sempre più
complessa e tendente all’apostasia dal
Cristianesimo. Grazie infine a tutta la Comunità
Parrocchiale, che ho amato eservito con tutte le
mie forze e, purtroppo, anche con tutti i miei
limiti. Chiedo perdono a Dio e a tutti delle mie
grandi lacune, dei miei ritardi, delle mie, anche
involontarie, manchevolezze.
La misericordia di Dio supplisca ai miei errori
e rechi serenità a tutti.
Un ricordo particolarmente grato riservo ai miei
numerosi sacerdoti che hanno collaborato con
me in tanti anni di ministero pastorale, come
ricordo con grande affetto i giovani presbiteri
che il Signore ha fatto crescere nei nostri gruppi
parrocchiali, soprattutto nelle Comunità
Neocatecumenali, dono immenso, quanto
immeritato, che il Signore ha voluto elargire alla
nostra Parrocchia.
Mentre il Signore mi conserva ancora, all’età di
90 anni, la capacità di pensare e di amare, rivolgo,
con crescente stupore il mio sguardo al mondo
visibile, in cui ho soggiornato finora come
pellegrino in cerca della vera e definitiva Patria
e lodo Dio Uno e Trino per il mistero che
l’universo visibile racchiude con l’ansia di
incontrare L’Eterna Bellezza che l’ha creato e
con la speranza nel cuore, per le promesse di
Gesù Cristo e per l’amabile presenza di Maria
che, come Madre, mi prenda per mano per
superare il buio della morte e giungere ad un
“mondo nuovo”, infinitamente più affascinante!
La meta è ormai vicina – Tra poco non vedrete
più il mio volto né ascolterete più la mia voce.
Ma continuerete a pregare per me! Credo
fermamente nella Risurrezione della carne e
nella Vita Eterna.
Sì, questi miei occhi vedranno il Salvatore!”
Sac. Antonio Tagliaferri
La Festa della
Parrocchia
I
l primo maggio u.s. abbiamo celebrato la
festa della parrocchia con l’eucaristia in onore
della B. V. M. «ianua caeli» presieduta da p.
Mario Dosi c.m., docente di teologia pastorale
e direttore spirituale presso il Collegio Alberoni
di Piacenza. Nel pomeriggio si è tenuta l’ora
di adorazione eucaristica e in serata si è aperto
il mese mariano con la recita del Santo Rosario
meditato. Il tutto si è concluso con un
simpatico rinfresco nel giardino della canonica.
Un grazie a tutti i volontari che hanno
collaborato per la riuscita della festa.
9
"Missione Aquila"
La redazione di Voce Amica incontra Giancarlo Vigevani, presidente del distaccamento
caorsano dell'organizzazione europea vigili del fuoco volontari di protezione civile
con sede a Roma e nei maggiori stati europei.
P
residente, come nasce quest’esperienza
a Caorso?
Nel maggio del 2000, durante un convegno di
lavoro, ebbi occasione di incontrare il professor
Enzo Viggiani, segretario nazionale dell'Organizzazione Europea Vigili del Fuoco Volontari
di Protezione Civile.
In seguito a tale incontro e ad una notte
insonne passata a riflettere, nacque in me l'idea
di creare un distaccamento di quest’organizzazione anche a Caorso visto che il nostro paese
è situato in una zona considerata ad alto rischio,
sia per emergenze idrogeologiche che per
l'esistenza sul territorio della centrale elettronucleare.
Nell'agosto del 2000 nasceva ad opera mia e
di alcune persone a me vicine, con l'aiuto
fattivo ed i suggerimenti del professor Viggiani,
l'attuale distaccamento di volontari. L'organizzazione è iscritta nei registri nazionali,
provinciali e regionali ed opera con più di 80
volontari sul territorio di Caorso in forza di
In alto:
Inaugurazione, con la
benedizione di don
Giuseppe, della nuova
sede presso la stazione
ferroviaria di Caorso
Qui a destra:
i volontari ricevono
nella nuova sede i
generi di prima
necessità donati
dalla gente di caorso e
zone limitrofe.
10
due convenzioni stipulate con la locale
amministrazione comunale che prevedono il
monitoraggio del territorio e la fattiva
collaborazione per quelle che sono le esigenze
del paese e delle frazioni.
Di che cosa vi occupate?
Innanzitutto teniamo alla promozione e
all'incentivazione di
iniziative idonee alla
formazione di una
moderna coscienza di
protezione civile, specialmente nell'ambito
aziendale e scolastico.
Siamo poi operativi
a 360° al fine di
tutelare l'integrità
della vita aiutando le
persone in difficoltà,
i beni, gli insediamenti e l'ambiente
dai danni derivanti
da calamità naturali,
da catastrofi connesse
all’attività dell’uomo
e da altri eventi calamitosi. Nati all’epoca
... e tanto altro
dalla nostra sede centrale di Roma. Al mattino
abbiamo avvisato la popolazione di Caorso
con un messaggio diffuso con l’altoparlante,
poi attraverso la radio, le televisioni locali e i
giornali, sempre in accordo con le autorità
civili.
La risposta della gente è stata pronta e
generosissima. Poche ore dopo il sisma, nella
nostra sede presso la stazione ferroviaria di
Caorso, cominciavano già ad arrivare i primi
aiuti umanitari e i nostri volontari si sono
subito attivati per smistarli, imballarli e caricarli
sui tir.
Anche dalle zone limitrofe sono arrivati aiuti
d’ogni genere.
Il giorno successivo, mercoledì, io e un’altra
decina di volontari siamo partiti con un tir,
seguiti nei giorni successivi, da altri due tir
carichi della generosità di tanta gente. Abbiamo
trasportato al campo base di San Vittorino,
una frazione de L´Aquila, circa 850 quintali
di generi di prima necessità come coperte,
vestiario, medicinali da banco, acqua, alimentari
compresi salumi, frutta e verdura fresche.
Siamo stati velocissimi perchè in una situazione
del genere, con le persone che hanno perso
tutto, non hanno di che vestirsi e alimentarsi,
è importante intervenire immediatamente.
Abbiamo consegnato gli aiuti direttamente
nelle mani delle persone che venivano vicino
ai nostri tir.
Abbiamo contribuito alla costruzione del
Sopra:
Conferenza stampa
prima della partenza
per L’Aquila.
In basso:
Vigevani e un tir carico
di aiuti pronti a partire.
L'intervista
dell’amministrazione Nastrucci, siamo al fianco
dell’attuale amministrazione comunale nella
gestione del piano comunale di protezione
civile che è un insieme di procedure e modelli
d’intervento da adottare in caso di eventi
calamitosi.
Nell’inverno appena passato ci siamo adoperati
per fronteggiare l'emergenza neve contribuendo ad alleviare i disagi derivanti
dall'evento, garantendo la percorribilità e la
sicurezza delle strade comunali.
Durante l’estate siamo impegnati nel servizio
di monitoraggio ambientale: tre pattuglie si
muovono sul territorio comunale, frazioni
comprese, nelle ore notturne, segnalando alle
forze dell'ordine eventuali anomalie. Questa
iniziativa, in cui Caorso è stato il primo
comune in Italia, è stata presa a modello
anche da realtà più grandi.
So che alcuni di voi sono stati in Abruzzo
dopo il dramma del 6 aprile scorso.
Si è vero, siamo stati immediatamente allertati
11
campo di San Vittorino, in particolare ci siamo
occupati della cucina.
Dopo il sisma molti animali vagavano senza
meta, impauriti e affamati: per questo abbiamo
costruito un piccolo canile d’emergenza.
Cosa ti rimane di quest’esperienza?
Vedere città e paesi sommersi di macerie, di
polvere, gente per strada in lacrime che ha
perso tutto tranne una coperta per difendersi
dal freddo, è un’esperienza che colpisce, che
spinge a tornare a dare una mano. Infatti,
nell’ambito di quella che abbiamo chiamato
“missione aquila”, c’è stato un secondo viaggio
In alto a destra:
I volontari
distribuiscono generi
di prima necessità
alla popolazione
di San Vittorino.
Al centro:
Il cane Vittorino.
Nella pagina a fianco:
Abitazioni distrutte
dal sisma.
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che ci ha portato in altri paesi colpiti dal sisma
ancora con un tir d’aiuti umanitari. Mi ha
colpito molto anche la grande organizzazione
che ha messo in campo la protezione civile
attivando una macchina dei soccorsi rapidissima. Più di 120 campi, esercito, forze dell’ordine, migliaia di volontari, in pochi giorni tutta
l’Italia si è attivata per alleviare i disagi provocati
da questa tragedia.
Come hai trovato la popolazione abruzzese?
Una piacevole scoperta, una popolazione
squisita. Una gran dignità pur in una situazione
così difficile. Chi si rivolgeva a noi per ricevere
qualche aiuto voleva solo lo stretto necessario,
in modo che anche altri potessero ricevere
qualcosa. Nel 1976, in Friuli, durante il servizio
militare, mi trovai in una situazione simile in
una terra sconvolta da un terremoto. Credo
che gli abruzzesi ce la faranno: li ho definiti
i “friulani” del centro sud per la voglia e la
determinazione di riappropriarsi della loro
vita, delle loro case e delle loro città così belle
e ricche d’arte e storia.
E quel bel cagnolone bianco e nero che ci
guarda un po’ provato da questo caldo fuori
stagione?
Quello è Vittorino…
Ah ho già capito...
Si è un cane che abbiamo trovato tra le macerie
con una zampa fratturata. Non aveva il
microchip o il tatuaggio, i padroni sono
probabilmente morti, lo abbiamo lasciato in
cura in Abruzzo e nel nostro secondo viaggio
lo abbiamo portato a Caorso. E’ la mascotte
della “missione aquila” e lo abbiamo chiamato
Vittorino per ricordare il primo paese in cui
abbiamo prestato la nostra opera.
E adesso…
Credo proprio che nei prossimi mesi molta
gente avrà un tetto sotto cui dormire. L’estate
sarà dura per chi vive nei campi per la difficoltà
di condizionare le tende. Noi ripartiremo a
settembre con altri aiuti. Anzi approfitto per
lanciare un appello alla cittadinanza affinché,
in vista della riapertura delle scuole, si
raccolgano matite, penne, quaderni, diari,
colori e carta, oltre agli altri generi sempre
necessari. Vorrei ringraziare tutte le associazioni
dei comuni limitrofi che si sono affidate a noi
per consegnare aiuti alle popolazioni colpite
dal sisma, i compaesani di Caorso e in modo
speciale tutti i volontari che hanno lavorato
giorno e notte per rendere possibile la “missione
aquila” e si adoperano ogni giorno in tutte le
iniziative e interventi che ci vedono protagonisti.
Grazie ragazzi e buon lavoro a tutti i volontari.
Davide Livera
13
L'incontro dei giovani
del Vicariato
Ha presieduto l'Eucarestia
il Vescovo Ambrosio
E
ra il lontano maggio 1999 quando il vescovo
mons. Luciano Monari esprimeva il desiderio
di creare in vista del Giubileo una consulta
dei giovani. Il primo incontro alla Pellegrina
vedeva presenti una ventina di persone tra
sacerdoti, giovani e rappresentanti dei
movimenti. Nasceva da lì la Consulta dei
giovani diocesana, e iniziava il lavoro per la
preparazione del Giubileo del 2000, che poi
si sarebbe concretizzato nel primo grande ritrovo
a Chiaravalle della Colomba. Grazie soprattutto
all’impegno di don Giancarlo Plessi, parroco
di Vernasca, don Federico Tagliaferri, don
Marco Guarnieri (allora curati a Fiorenzuola)
e don Franco Cattivelli, curato a Caorso, prese
vita il primo grande incontro di preghiera, al
quale parteciparono circa 900 giovani. Nei due
anni seguenti il lavoro continuò: non esisteva
ancora propriamente un’organizzazione a livello
di vicariato, la partecipazione era ancora
suddivisa in parrocchie, ma fu possibile
ugualmente organizzare il primo pellegrinaggio,
a Roma. In un secondo momento, su
suggerimento del vescovo Monari, si cominciò
a pensare ad un lavoro vero e proprio sul
territorio, specifico per ogni vicariato. “Con
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alcuni sacerdoti, come don Federico Tagliaferri
ci trovavamo tutte le settimane, ma fu essenziale
anche l’impegno dei laici – spiega don
Giancarlo Plessi –. Abbiamo cominciato a
girare nelle parrocchie e si è costituita la
Consulta dei giovani del vicariato Val d’Arda.
è importante che ci sia una verifica sul territorio,
per arrivare poi a iniziative comuni”.
Oltre alla partecipazione agli incontri a livello
diocesano, come la Giornata mondiale della
gioventù a Piacenza, per il sabato delle Palme,
si cominciò ad organizzare momenti particolari
per la Val d’Arda: in nove anni ci sono stati
ben sedici incontri, tutti molto partecipati.
“L’intenzione era anche quella di caratterizzare
alcuni luoghi della zona, coinvolgendo i giovani
del posto – racconta don Plessi – . Dopo
Chiaravalle, ci siamo spostati a Fiorenzuola,
poi siamo stati a Castell’Arquato, quest’anno
a Cortemaggiore”. Accanto agli aspetti positivi
che sono emersi in questi dieci anni, come
l’incontro con centinaia di giovani e l’amicizia
che si è creata con molti di loro, con cui ci si
tiene spesso in contatto, non sono mancate
però le note negative: “abbiamo visto calare la
partecipazione dei giovani alla vita delle loro
parrocchie, alcune unità pastorali purtroppo
sono quasi scomparse – osserva don Giancarlo.
Questo sarà un motivo di riflessione e di
provocazione per il futuro. Venerdì 8 maggio
alle 20.30 a Fiorenzuola nella chiesa dedicata
a G.B. Scalabrini si è tenuta una celebrazione
presieduta da mons. Ambrosio per vivere
insieme la gioia di tanti anni trascorsi in
cammino. È stato essenzialmente un momento
di ringraziamento e di gratitudine: “dieci anni
sono una tappa molto importante, ma sono
sempre un passaggio. Abbiamo lavorato molto
e vogliamo continuare a farlo, c’è molta
disponibilità, da parte dei giovani, dei
seminaristi che lavorano nelle parrocchie e dei
sacerdoti – dice don Giancarlo Plessi. Il tema
è stato “la giovinezza nel cuore”: durante la
celebrazione infatti è stato consegnato proprio
ai ragazzi di terza media (seguiti particolarmente
da don Davis Rocco) il nuovo decennio. Al
termine della messa don Luigi Mosconi ha
spiegato ai giovani la nuova realtà della Missione
Popolare Diocesana, che sta nascendo sul nostro
territorio. Il tutto si è concluso con una
simpatica agape fraterna.
(fonte: Il Nuovo Giornale)
La missione popolare diocesana
Don Luigi Mosconi, piacentino missionario in Brasile dal 1967, in diversi Paesi
del Sud America e dell’America Centrale lavora in un progetto di Missioni
popolari. Ora è al lavoro per dare il proprio contributo per una nuova Missione
popolare, dopo quella svoltasi nel 2000, nella nostra diocesi.
La Missione
S
ono arrivato dal Brasile mercoledì 15 aprile
su invito del Vescovo e del presbiterio, per
dare il mio contributo alla realizzazione della
Missione Popolare Diocesana (MPD). Prima
di partire ho passato un mese visitando sei
diocesi sparse nell’immenso Brasile (grande
27 volte l’Italia!). Queste diocesi stanno vivendo
intensamente la proposta delle Missioni
Popolari. In ciascuna ho passato due giorni
interi con i sacerdoti per rif lettere e
approfondire meglio il processo delle Missioni
Popolari. Ci sono stati anche ritiri per laici
che avevano assunto l’impegno del servizio
missionario. In tutto ho incontrato più di
seimila persone. Ho detto a loro che in questo
periodo sarei stato in Italia per la stessa finalità.
La notizia è stata accolta con un grande
applauso, che esprimeva la loro gioia di stare
in questa esperienza e il loro augurio per voi.
Vi porto tutti questi auguri. Sono venuto con
una gran voglia di servire, di essere utile.
L’esperienza ci dice che le belle iniziative, quelle
capaci di produrre fecondi risultati, non si
improvvisano e non si fanno individualmente.
Bisogna prima sognarle, accarezzarle e poi
costruirle assieme. Tutto questo vuol dire avere
chiaro quello che si vuol fare, perché farlo e
con quali obiettivi e modalità. Vuol dire saper
unire valori e doni, articolare energie, aprire
cammini. Così ha agito Gesù. Come dice il
Vangelo secondo Marco (Mc 1,14-20), egli rese
pubblica la missione affidatagli dal Padre nella
piazza di Cafarnao, in un contesto duro, a
causa delle difficili situazioni sociali e politiche
dell’epoca. Poi andò sulle rive del lago tra
pescatori, allora una delle categorie sociali più
disprezzate da farisei e dottori della Legge.
Andò per scaldare il cuore alle persone, per
motivarle alla sua sequela. Quattro aderirono
(Simone, Andrea, Giacomo e Giovanni),
formando il primo gruppo missionario assieme
a Gesù; e insieme iniziarono la prima giornata
missionaria (Mc 1,21-34). L’evangelista notò
bene quell’inizio, perché potesse servire di
esempio e di stimolo missionario per le
comunità alle quali indirizzava il Vangelo. Altri
discepoli missionari si aggiunsero quasi subito
dopo. Così sorse la prima Missione Popolare,
una missione santa perché in sintonia con la
volontà del Padre, perché promoveva vita e
dignità per tutti, perché diede voce ai senza
voce, perché proponeva a tutti un cambiamento
di mentalità e una pratica totalmente nuove.
La MPD (Missione Popolare Diocesana) vuole
cominciare così, alla luce della missione di
Gesù Cristo. Vuole unire forze e valori sparsi
tra la gente. Come la Pentecoste (Atti 2,1-11),
vuole essere uno scossone forte, una irruzione
salutare, feconda, gioiosa. Un tempo di
speranza, di testimonianza, di scelte coraggiose.
Abbiamo tutti bisogno, ogni tanto, di forti
scossoni, per non sprecare la vita, per viverla
bene e intensamente. Viviamo in un contesto
sociale, culturale e religioso difficile, che può
mettere paura. Ma la paura non serve, blocca,
è dannosa. Occorre lanciare la rete in acque
profonde (Lc 5,4), avanzare, rischiare, rompere
barriere, superare frontiere, incontrare,
ascoltare, dialogare, cercare insieme.
Sogniamola e costruiamola assieme questa
avventura dello Spirito.
Con fiducia e con grande apertura. La vita è
sempre un ricominciare, un riprendere il
cammino, con speranza. Cominciamo a parlare
di questa proposta, a simpatizzare, a sentirla
sempre più nostra. Lasciamo che prenda il suo
spazio nella nostra quotidianità. Lasciamoci
interrogare. Con voglia di fare. Ne vale la pena.
Don Luigi Mosconi
15
Cine Fox:
ritorno al futuro
Sabato 16 maggio è stato presentato il progetto di riqualificazione del Cine Fox
che dopo trent’anni ritornerà protagonista della vita del nostro paese.
E
ttore Fochi nacque a San Polo di Podenzano
il 30 marzo 1903.
Da sempre nutrì una forte passione per le
macchine agricole e ben presto divenne un
punto di riferimento per la nostra provincia
con le sue trebbiatrici. Si procurava sempre le
Qui sopra: anni '50.
Romana Fochi alla
cassa del cinema Fox
per la Veglia di
Carnevale.
Sotto: Anno 1947.
L'inizio dei lavori di
costruzione del Cinema.
Nella pagina a fianco:
una cartolina da
Caorso degli anni 50.
In alto a destra: Alcuni
caorsani al tavolo del
bar del Fox: Pietro
Rossi, Alcide Donelli
(Cinai), Callegari
Cesare, Eliana Tansini,
Lino Pastori, Natalina
Losi, Pino Losi.
Più sotto: Veglione di
Capodanno 1951.
Riconosciamo: Zaria
Isingrini, Francesco
Grossi, Wanna Finetti,
Mauro Biolchi,
Mariuccia Tinelli,
Giorgio Bianchini,
Luigi Schiavi,
Mariuccia Brambilla.
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macchine più moderne, i migliori trattori
entravano subito a far parte dei mezzi della
sua azienda. Passò dalla macchina a vapore che
azionava le trebbiatrici ai più potenti e moderni
trattori diesel. Si distinse anche nel campo del
movimento terra: acquistò la prima ruspa
venuta dall’America, una grande novità a quei
tempi e un grande passo avanti nella meccanica.
Fù un operatore di grande ingegno che aveva
una grande passione per il cinema
in grandissima ascesa. Dopo aver
gestito alcuni cinematografi in
Lombardia, nel 1947, su progetto
dell’architetto Pietro Berzolla, diede
inizio alla costruzione del Cinema
Fox, il primo locale della nostra
provincia appositamente progettato
come sala cinematografica.
Ai paesaggi dell'Alaska, con i suoi
voli di oche selvagge nel cielo grigio,
ed al volto impenetrabile di Henry
Fonda l’onore di tenere a battesimo
il Cine Fox.
“Il richiamo del nord” fù il primo
film proiettato il giorno di Pasqua
del 1949 tra l’entusiasmo dei
caorsani, entusiasmo che portò persino alla
rottura di una vetrata dell’ingresso. Con i film
molto spesso in esclusiva rispetto alle altre
sale del piacentino e del cremonese, con le
feste paesane che richiamavano grandi folle
nell’arena all’aperto, con i veglioni di
capodanno, gli spettacoli in maschera per
carnevale, con i balli, le “feste della mimosa”
in occasione dell’8 marzo e con la grande
“Caorsanissima”, ideata dall’indimenticato
maestro Gino Lodola, il Cine Fox divenne ben
presto un punto di riferimento per tante
generazioni di caorsani che nel suo ventre
trascorrevano felici momenti di spensieratezza
desiderosi di chiudere la pagina di una guerra
maledetta. Vite che si sono incrociate ed
esperienze svelate dalle tante fotografie che
ritraggono volti sorridenti di ragazzi, ragazze e
famiglie che posano al bar come fossero
nell’intimità del salotto di casa, oppure davanti
alle locandine dell’ultimo film per sentirsi un
po’ anche New York.
Da luogo di aggregazione quando la proiezione
di un film era evento che faceva sognare,
divenne un immobile avviato ad inesorabile
degrado con il consolidarsi di nuovi stili di
vita, di nuovi modi di trascorrere il tempo
libero e dell’utilizzo dei mezzi di comunicazione
di massa. Anch’io conservo ricordi vivissimi
e indelebili di alcuni carnevalini, delle
domeniche passate al cinema a vedere le ultime
avventure di Goldrake, così come ricordo il
dispiacere per l’annuncio della chiusura: magìa
contemporaneamente della platea e della
galleria con diverse funzioni. La platea, capace
di 354 posti a sedere, sarà percepita come un
volume unitario, potrà essere utilizzata per lo
svolgimento di iniziative aventi finalità
ricreative e culturali come conferenze, convegni,
congressi, incontri , riunioni, dibattiti, assemblee di associazioni, feste o manifestazioni. La
galleria, capace di 140 persone, sarà chiusa
rispetto alla platea da una parete in cartongesso
fonoassorbente in modo da creare un
auditorium indipendente. Camerini, servizi,
impianti, scale antincendio e tanti altri interventi completeranno
l’opera di recupero. Attendiamo di poter varcare la soglia del nuovo Cine Fox ed inaugurare una nuova stagione
di successi e rinnovata
voglia di stare insieme.
Un doveroso ringraziamento all’amministrazione comunale e alla
SAIB che hanno voluto
questo recupero e tanti
auguri al Cine Fox:
buona fortuna e buon
ritorno al futuro!
Sotto: 3 marzo 1957.
Festa da ballo per il
Carnevale. Riconosciamo:
Vilma Gandelli, Pino
Fumi, Guido Marenghi,
Anna Nanet, moglie del
dott. Granelli, Francesco
Grossi, Angelo Tinelli,
Teresa Tarsilia, Ugo
Donelli, Bruno Madini,
Eliana Cremona,
Ferruccio Tinelli,
Mariuccia Boeri, Ottavia
Pavesi e Luigi Bonvini.
Il Fatto
del Cine Fox. Ricordi vivissimi e indelebili che
si rivestono di futuro grazie alla scelta
lungimirante dell’amministrazione comunale,
supportata dall’azienda SAIB, che sta avviando
un intervento di recupero e valorizzazione del
nostro amato Cine Fox. Sarà adibito a centro
di utilità socio-culturale e ricreativa tornando
così alla sua funzione originaria, restituendo
ai caorsani un pezzo della loro storia e un
sogno divenuto monumento in memoria
dell’ingegno di Ettore Fochi. L’architetto
Patrizio Losi e i suoi collaboratori hanno
proposto un intervento di ristrutturazione che
mantiene inalterato lo spirito iniziale
dell’edificio. Tutte le scelte progettuali sono
volte alla preservazione dell’esistente stato di
fatto, da conservare in quanto testimonianza
delle tecniche costruttive adottate alla metà
del secolo scorso. La ristrutturazione mira a
trovare un compromesso tra il rispetto delle
caratteristiche dell’involucro esistente e la
necessità di recuperare l’edificio per un impiego
contemporaneo attento alla vigente normativa
sulla sicurezza e alle esigenze di funzionalità e
fruibilità moderne. Verranno realizzati due
ambienti separati, per poter usufruire
Davide Livera
17
Festa di chiusura
per il circolo
A.N.S.P.I.
C
ome, ormai, tradizione vuole, la sera di
domenica 7 giugno si è svolta la "festa di
chiusura" dell'anno catechistico e delle attività
del nostro oratorio. La novità quest'anno è
stata la partecipazione del maestro Giovanni
Boccaccio e della sua scuola di musica, che da
anni svolge le proprie attività all'interno della
Casa dell'Amicizia, che dalle 18 circa ha fornito
un "aperitivo in musica" ad un pubblico di
genitori orgogliosi.
tante della Casa dell'Amicizia, vale a dire il
Grest. Quest'anno l'attività dei ragazzi volontari
guidati dalla ormai veterana Illiana Rossi, si
prolungherà di una settimana andando a
coprire tutto il mese di giugno.
Lo slogan di quest'anno è: «dite "amici" ed
entrate», un messaggio di tolleranza ed
accoglienza, che è di grande attualità in questo
momento. La formula rimane immutata
rispetto agli altri anni, con un'alternanza di
giornate all'insegna del gioco e dello stare
insieme, trascorse nei locali messi a disposizione
dalla parrocchia e dalla Casa dell'Amicizia, e
giornate passate a visitare i parchi del nord
Italia. Alcune delle mete: Rocca d'Olgisio e
Parco Provinciale, l'Archeopark, il Parco
Sospeso, il Safari Park ed altri ancora!
Venerdì 26 giugno grande festa finale anche
per il Grest, con esposizione dei lavori realizzati
dai ragazzi durante i laboratori.
S.C.
A seguire c'è stata una cena insieme a base di
spiedini, hot dog, patatine fritte e pizza.
La serata ha poi visto l'esibizione dei ragazzi
della scuola di Ballo Country del nostro circolo,
capitanati dall'insegnante Annalisa Dotelli, per
poi concludersi con le note del gruppo rock
"CQC". Con la chiusura delle scuole, inoltre,
ha preso il via anche un'altra iniziativa impor-
Inaugurata la nuova
sede degli Alpini
18
Il 31 maggio u.s. è stata inaugurata la sede
del Gruppo Alpini di Caorso. Don Stefano
Garilli, cappellano degli Alpini piacentini ha
celebrato una S. Messa sul piazzale antistante
la “baita” ed il Vescovo mons. Gianni
Ambrosio ha benedetto i locali, all’interno dei
quali è stato collocato un crocifisso di legno
intagliato ad Ortisei in Val Gardena e donato
dalla Parrocchia di Caorso in segno di
gratitudine per tutto quello che il Gruppo
Alpini di Caorso fa per il paese.