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Università degli Studi di Milano Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali Corso di Laurea in Scienze dell’Informazione L’esperienza di Knowledge Management di una P.M.I.: aspetti tecnologici e organizzativi Tesi di Laurea di Pietro Farioli – Mat. 467561 Relatore: Prof. Mario Benassi Correlatore: Dott. Daniele Pagani Anno accademico 2004/2005 “Non la scoperta. Ma la salvaguardia del sapere... perché non c’è progresso nella conoscenza, ma solo un’infinita e sublime ricapitolazione...” (Jorge da Burgos) – da “Il nome della rosa”, U. Eco 2 A dispetto della citazione di U. Eco, si è sempre più affermato, in ogni campo dell’umano vivere, che la conoscenza è un elemento chiave, caratterizzante e in continua evoluzione, di ciascun individuo. Non poteva quindi restarne escluso l’universo economico-commerciale del quale il mondo cosiddetto “civile” è intessuto. Questo lavoro intende presentare alcune riflessioni su ciò che in letteratura viene definito “Il capitale intellettuale”, ovvero la “Conoscenza” (intesa come risorsa in grado di sostenere l’attività di una organizzazione nel lungo periodo), nell’ambito di una esperienza specifica di PMI (acronimo di Piccola Media Impresa), sottolineando i seguenti punti: - riconoscere i tratti e le caratteristiche del capitale intellettuale nell’organizzazione; - individuare le fonti e i luoghi di scambio della conoscenza operativa; - verificare il contributo dello strumento tecnologico nella gestione del capitale intellettuale, tentando di dedurne la corretta collocazione all’interno delle strategie di innovazione. Si tenta di proporre uno studio circa l’attualità e l’attuazione di una teoria del Knowledge Management all’interno di una PMI commerciale, nei suoi aspetti gestionali e informatici, percepiti dalla teoria e dall’esperienza come mutuamente interconnessi ed alimentati. L’esperienza specifica della PMI commerciale in esame verrà analizzata partendo dalla nascita dell’esigenza, per arrivare alla consapevolezza, di una visione di Knowledge Management: verrà presentato l’aspetto funzionale di un progetto software, realizzato in proprio dall’autore, per la gestione della conoscenza acquisita dal e del cliente, utilizzata al fine di accrescere le opportunità di mercato, migliorando la risposta alle aspettative del cliente stesso. Tale esperienza verrà inquadrata nell’ambito più generale delle riflessioni sul Knowledge Management e sulla gestione dei rapporti con il cliente (Customer Relationship Management), alla luce della crescente evoluzione tecnologica ed organizzativa delle imprese e degli effetti che la cosiddetta globalizzazione sta portando anche a livello delle reti di PMI. 3 1. Premessa: l’evoluzione tecnologica e le PMI ................................................................8 1.1 Le PMI, tessuto dell’economia del nostro paese, nell’era di Internet .............................8 1.2 Quando e come innovare nella PMI? ...............................................................................12 1.3 Qui comincia l’avventura: la PMI nell’oceano della globalizzazione............................14 2. Per entrare nel mondo del Knowledge Management.................................................17 2.1 Introduzione.......................................................................................................................17 2.2 La gestione della conoscenza: aspetti teorici....................................................................19 2.2.1 Cosa si intende per conoscenza ......................................................................................19 2.2.2 Dati, informazioni, conoscenza ......................................................................................21 2.2.3 Un aiuto dalla psicologia sociale....................................................................................25 2.2.4 Conoscenza tacita ed esplicita ........................................................................................28 2.2.5 Il modello di Nonaka e Takeuchi per la creazione di conoscenza (modello SECI) .......31 2.2.6 Alcune considerazioni ....................................................................................................42 2.3 La gestione della conoscenza: aspetti pratici ...................................................................44 2.3.1 Il “mercato della conoscenza” ........................................................................................44 2.3.2 La strategia della conoscenza per la conoscenza............................................................46 2.3.3 Gli spazi della conoscenza – Il concetto di Ba ...............................................................53 2.3.4 Il modello delle comunità di pratica...............................................................................56 2.4 La conoscenza e il Capitale Intellettuale ..........................................................................60 2.4.1 Definizione di capitale intellettuale................................................................................60 2.4.2 Modelli per il capitale intellettuale.................................................................................62 2.4.3 Misura del capitale intellettuale......................................................................................65 3. Il Customer Relationship Management: un quadro di riferimento ................................73 3.1 La nascita del CRM............................................................................................................73 3.1.1 Per una definizione di CRM ...........................................................................................76 3.1.2 Le categorie del CRM ....................................................................................................77 3.2 Struttura del CRM .............................................................................................................79 3.2.1 L’infrastruttura informatica di un sistema CRM ............................................................80 3.2.2 Modellizzazione dell’offerta di contenuti e servizi ........................................................85 3.2.3 La centralità delle relazioni ............................................................................................87 3.2.4 Caratteristiche funzionali del CRM................................................................................90 4 3.3 Il marketing relazionale.....................................................................................................92 3.3.1 Identificare......................................................................................................................94 3.3.2 Differenziare...................................................................................................................95 3.3.3 Interagire.........................................................................................................................96 3.3.4 Personalizzare.................................................................................................................97 3.4 Interazione tra le funzioni aziendali .................................................................................99 3.4.1 La produzione.................................................................................................................99 3.4.2 Il servizio pre e post vendita ..........................................................................................99 3.4.3 La logistica ...................................................................................................................101 3.5 L’integrazione aziendale..................................................................................................102 3.6 Conclusione .......................................................................................................................102 4. Metrohm Italiana Srl ..................................................................................................105 4.1 Presentazione della società ..............................................................................................105 4.1.1 Descrizione dell’azienda ..............................................................................................106 4.1.2 I prodotti .......................................................................................................................107 4.1.3 I servizi .........................................................................................................................109 4.1.4 Il marketing ..................................................................................................................111 4.2 La storia del Knowledge Management in Metrohm Italiana Srl.................................113 4.2.1 Lo stato iniziale: il KM “a quei tempi” ........................................................................113 4.2.2 La meteora “Qualità” e la nascita di una strategia per il KM.......................................119 4.2.3 Il blocco del sistema: due amministratori.....................................................................122 4.2.4 Lo sblocco del sistema: il cambio dei “vecchi” Amministratori Delegati ...................122 4.3 La certificazione del Sistema Qualità e il Knowledge Management ...........................123 4.3.1 La gestione della conoscenza operativa finalizzata alla soddisfazione del cliente ......123 4.3.2 La gestione della conoscenza e l’approccio per processi .............................................124 4.3.3 La gestione della qualità e le risorse umane.................................................................126 4.3.4 Dalla gestione della qualità alla creazione di conoscenza organizzativa .....................129 4.4 Il Knowledge Management in Metrohm Italiana Srl....................................................132 4.4.1 Quale conoscenza per Metrohm Italiana Srl?...............................................................132 4.4.2 La conoscenza del front office......................................................................................136 4.4.3 La conoscenza del back office ......................................................................................143 4.4.4 Mettendo tutto insieme .................................................................................................144 4.5 Il futuro .............................................................................................................................145 5 4.5.1 Centralità del CRM ......................................................................................................145 4.5.2 Attenzione alle risorse umane ......................................................................................151 4.5.3 Innovazione culturale e organizzativa ..........................................................................152 4.5.4 Innovazione tecnologica...............................................................................................154 4.5.5 Il Knowledge Management e lo scambio di informazioni ...........................................155 5. Una soluzione per il KM dai dati di CRM: il sistema MOIS ..................................156 5.1 Introduzione......................................................................................................................156 5.2 Obiettivo e funzionalità....................................................................................................157 5.2.1 Considerazioni iniziali..................................................................................................157 5.2.2 Adeguatezza del modello dell’organizzazione del cliente ...........................................160 5.2.3 La gestione e l’utilizzo delle informazioni caratteristiche del cliente..........................163 5.2.4 L’uso di MOIS nei processi aziendali ..........................................................................164 5.3 5.3.1 L’infrastruttura e il ruolo del middleware ....................................................................165 5.3.2 Il codice middleware ....................................................................................................167 5.3.3 La struttura del database...............................................................................................168 5.3.4 Le stampe......................................................................................................................168 5.3.5 In futuro ........................................................................................................................169 5.4 6 Aspetti tecnici....................................................................................................................165 Considerazioni finali ........................................................................................................170 5.4.1 Uso del sistema CRM...................................................................................................170 5.4.2 Politica di sviluppo di MOIS........................................................................................172 Bibliografia e riferimenti al Web...............................................................................174 Introduzione..............................................................................................................................174 Knowledge Management e Capitale Intellettuale.....................................................................174 Customer Relationship Management .......................................................................................176 Metrohm Italiana Srl, sistema MOIS e altro ............................................................................178 6 7 1. Premessa: l’evoluzione tecnologica e le PMI 1.1 Le PMI, tessuto dell’economia del nostro paese, nell’era di Internet Che la realtà delle PMI (e in particolare, delle Piccole Imprese, cioè con meno di 20 dipendenti) rappresenti l’elemento costitutivo del tessuto economico del nostro Paese è un dato ormai entrato anche nel modo comune di pensare “l’universo impresa italiana”: infatti, le imprese propriamente dette (con più di 50 dipendenti) rappresentano una percentuale del tutto irrisoria sul numero totale, così come il numero complessivo degli addetti in questa percentuale rimane notevolmente inferiore rispetto a quelli occupati nelle piccole-medio imprese. Tabella 1.1 - Distribuzione dell’occupazione nell’impresa italiana1 Come si può vedere il 99.45 %, - praticamente la quasi totalità del numero delle imprese è ragionevolmente elencabile come PMI (cioè ha meno di cinquanta dipendenti); inoltre, considerando comunque l’elevato numero degli addetti in questa percentuale (il 69.35 % degli addetti totali), si capisce come, anche culturalmente, il fenomeno PMI faccia parte della realtà sociale italiana. Si osservi anche2, come dato significativo, che il 94% delle imprese della provincia di Milano ha meno di dieci addetti e la prevalenza delle imprese che nascono derivano da imprese già esistenti. I profondi cambiamenti avvenuti negli anni Ottanta hanno spostato il sistema economico milanese dalla produzione tradizionale, caratterizzata dalla presenza di grandi aziende, verso un network integrato di piccole e medie imprese. Questo scenario di riconfigurazione delle imprese ha intrinsecamente modificato la struttura sul territorio reale e virtuale e, soprattutto in quest’ultimo campo, è rilevabile sempre più la necessità di strumenti adeguati per l’adattamento delle relazioni tra i soggetti economici di impresa. L’innovazione tecnologica crescente, che coinvolge sempre più il modo stesso di comunicare e relazionarsi tra imprese (si pensi, ad esempio, l’uso della posta elettronica), non può quindi non coinvolgere pesantemente questa preponderante fetta di imprese italiane: alcuni strumenti, quali 1 2 Fonte: elaborazione dell’autore su dati ISTAT, da “Annuario statistico italiano 2004” Cfr: http://temi.provincia.milano.it/economia/istituzionale/milanoincifre7.htm 8 l’accesso al Web, ai gruppi di discussione pubblici o privati e la posta elettronica, sono ormai irrinunciabili, analogamente a quanto è impensabile non poter utilizzare un apparecchio telefonico. Tuttavia, la piramide della spesa IT è rovesciata rispetto a quella della distribuzione del numero di addetti: > 250 56,2% 0,47% 50…249 24,3% 1,24% 20…49 98,22% 1…19 0,07% Distribuzione imprese per numero di addetti Addetti 19,5% Distribuzione relativa della spesa IT Figura 1.1 - Relazione tra spesa per IT e dimensione delle imprese nell’anno 20033 A questo punto si può intuire che nel contesto delle aziende, soprattutto per le PMI, non sempre (anzi, quasi mai) l’innovazione tecnologica è percepita come must per stare al passo con le esigenze dei clienti e del mercato globalizzato. Secondo una prospettiva strutturalista, la globalizzazione viene intesa come rischio e opportunità poiché una maggiore interdipendenza strutturale delle diverse parti del globo determina nuovi fenomeni di gerarchizzazione, dovuti ad una diversa distribuzione dei vantaggi connessi alla divisione internazionale del lavoro: gli scambi e i flussi che legano insieme le diverse realtà sono ormai tali da modificare profondamente le condizioni in cui attori sociali ed individuali perseguono i propri obiettivi. E’ grazie alle possibilità che i sistemi informativi e telematici mettono a disposizione che l’interdipendenza si rafforza così rapidamente (e quindi l’organizzazione della vita economica travalica ampiamente i confini degli stati nazionali)4. Anche in una prospettiva soggettivistica, in cui la globalizzazione consiste “nell’intensificazione delle relazioni sociali mondiali che collegano tra loro località distanti, facendo sì che gli eventi locali vengano modellati dagli eventi che si verificano a migliaia di chilometri di distanza e viceversa.”5 3 Fonte: Assinform (NetConsulting), “Tecnologie ICT per reti di PMI”, ottobre 2004 Cfr. Z. Barman, “Dentro la globalizzazione”, 1999, Il Saggiatore 5 Cfr. A. Giddens, “Le conseguenze della modernità”,1994, Il Mulino 4 9 non è assolutamente pensabile uno sviluppo economico senza un uso massiccio delle nuove tecnologie. E’ quindi interessante vedere quantitativamente l’impatto delle nuove tecnologie sulle imprese italiane: Tabella 1.2 - Strumenti ICT e imprese italiane6 E’ interessante osservare come l’uso della email e di Internet, intesi come strumenti per lo scambio di informazioni, si sia effettivamente affermato (sebbene solo il 74.1% delle PMI appartenenti alla fascia da 10 a 49 addetti disponga di posta elettronica – e quindi ancora un buon 25%, ovvero 44160 imprese, non ne usufruisca7). Consolante è la percentuale, seppure bassa, del 27.5% di imprese che dispongono di rete Intranet, luogo privilegiato di scambio di informazioni e di know-how, oltre che di crescita della conoscenza. Le basse percentuali di reti Extranet, tuttavia, indicano che l’integrazione ICT della network di PMI deve essere ancora sviluppata. Di più difficile interpretazione sono i dati relativi alla modalità di accesso alla rete (analogico, ISDN, xDSL) poiché dalla tabella esposta ne appare sostanzialmente una equa distribuzione. Una indicazione più precisa e forse più aggiornata ci viene da un comunicato dell’Unione Europea: Secondo una nuova relazione dalla Commissione europea, il numero di cittadini e imprese che accede a Internet con collegamenti ad alta velocità è cresciuto di oltre l’80% tra il gennaio 2003 e il gennaio 2004. L’adozione della banda larga nell’UE procede attualmente ad un ritmo più elevato rispetto agli Stati Uniti e alcuni Stati membri vantano le migliori prestazioni al mondo in questo campo. Tutti gli Stati membri dell’UE15 hanno adottato strategie nazionali in materia di banda larga e i nuovi 6 7 Fonte: dati ISTAT, da “Annuario statistico italiano 2004” Deduzione dell’autore confrontando i dati ISTAT 10 Stati membri presenteranno le loro rispettive strategie entro la fine del 2004. Tutti gli Stati membri convengono che il progresso deve essere dettato dal mercato. La crescita è stata più rapida nei paesi in cui la concorrenza, in particolare quella delle reti alternative, ha garantito la possibilità di scegliere tra diversi fornitori del servizio e ha abbassato i prezzi. Le autorità pubbliche, tuttavia, devono ancora intervenire ogniqualvolta i mercati non garantiscono gli investimenti necessari. Le strategie nazionali in materia di banda larga mirano, pertanto, ad assicurare una maggiore copertura delle zone ancora scarsamente servite e a stimolare la domanda. La relazione giunge alla conclusione che le strategie nazionali devono essere rivedute ed aggiornate durante il 2005 per tenere conto delle nuove tecniche per la connessione ad alta velocità e per apprendere dalle buone pratiche attuate da altri paesi.8 Infatti, è facilmente intuibile che la diminuzione dei costi di connessione xDSL porterà la prevalenza degli utenti di Internet ad abbandonare le vecchie tecnologie di connessione in favore di queste ultime. In un Paese come l’Italia in cui si è raggiunto, nel febbraio 2005, il quarto posto europeo per il ccTLD, con un milione di TLD “.it” registrati, i dati presentati rappresentano una sorta di campanello di allarme per la competitività delle PMI in un mercato sempre più globalizzato. Sebbene il concetto di Innovazione Tecnologica sia molto più generale del mero investimento in strumenti tecnologici, questi dati sottolineano comunque una certa freddezza delle imprese verso tale innovazione. Di seguito è illustrata la variazione di spesa ICT negli ultimi anni: Figura 1.2 – Variazioni percentuali del mercato IT9 Dalla figura 1.2, riflettendo ulteriormente sulla grande sproporzione di investimenti, si può concludere che 8 9 Comunicato stampa UE: Reference: IP/04/626 Date: 11/05/2004 Fonte: Assinform (NetConsulting), op. cit. 11 “dato l’andamento del mercato ed il gran numero delle aziende di più piccola dimensione, risulta, quindi, ancora più importante il benefico effetto delle aziende “leader” nel processo di adozione di nuove tecnologie per l’impatto e ruolo guida e di spinta che hanno nei confronti delle PMI. La Piccola e Media Impresa italiana è, di fatto, prevalentemente raggruppata in Indotti, Poli Produttivi o Distretti Industriali. Nei casi in cui esiste una situazione ben definita, dove in un raggruppamento d’imprese sono presenti soggetti con capacità governance ed il possesso di una chiara vision sul processo di digitalizzazione, un’azienda leader (o un nucleo costituito da più aziende leader) riesce a coinvolgere le aziende dell’Indotto, del Polo Produttivo o del Distretto, nel proprio sforzo di revisione dei processi aziendali; la conseguenza è che le aziende più piccole ne traggono benefici in termini di efficienza, risparmi, vantaggi organizzativi e quant’altro”10. 1.2 Quando e come innovare nella PMI? In definitiva l’innovazione può essere notevolmente agevolata se è il cliente che lo richiede o se la concorrenza sprona in questa direzione. “Un reale contatto con il sistema competitivo anche a livello internazionale rappresenta un fattore di stimolo alla ricerca dell’innovazione (…) In Italia lo sboom è stato, se possibile, ancora più pesante – spiega Andrea Rangone, docente e responsabile della parte gestionale degli osservatori della School of management del Politecnico di Milano – creando un diffuso senso di sfiducia e addirittura di depressione, soprattutto da parte di chi aveva subito l’euforia internettiana come un corpo estraneo. Un quadro che si incrocia con l’arretratezza culturale storica del nostro paese nel campo delle nuove tecnologie (…) Esaminando lo stato dell’arte della dotazione hardware e software emerge una realtà che si potrebbe riassumere con un solo aggettivo: un patchwork (…) Alla domanda crescente di funzioni tecnologiche le aziende hanno risposto per esempio acquistando nuovi server, ma senza ridisegnare la propria infrastruttura. Accade così che nelle imprese (…) vi sia una presenza (…) sorprendente di una dotazione software obsoleta, caratterizzata prevalentemente da Windows 98 e NT, sistemi AS400 e gestionali monolitici sviluppati in Cobol”11 Tuttavia, anche se “La diffusione dell’impiego dell’ICT non è certamente la soluzione ai problemi di sviluppo, evoluzione e competizione sui mercati internazionali della nostra PMI, (…) si può affermare (…) che se essa non è una condizione sufficiente, senza di essa sarà ben più difficile superare i problemi. La Piccola Impresa distrettuale (…) non ha ancora accettato l’azione innovatrice della tecnologia dell’Informazione e della Comunicazione sul Modello di Business e le cause sono da attribuirsi principalmente a: 10 11 Assinform, op.cit. Andrea Di Stefano, La repubblica – Affari e finanza – 29 marzo 2004 12 - una resistenza a cambiare un sistema che ha funzionato e che ha prodotto importanti vantaggi competitivi; - una visione culturale della Tecnologia nata e radicatasi quando le tecnologie disponibili erano tutt’altra cosa rispetto alle attuali; - il timore dell’imprenditore di non riuscire a proteggere le proprietà intellettuali ed i segreti commerciali, in quanto la trasformazione delle relazioni/comunicazioni in modalità telematica porti verso rapporti interpersonali, trasmissioni di conoscenza e rischio di più facile acquisizione da parte di altri delle proprie conoscenze. I Fornitori di tecnologie, d’altro canto, trovano difficoltà nel rapporto con le PMI e si concentrano maggiormente sulle prestazioni tecniche di prodotti e/o servizi che offrono, anziché puntare ad interpretare e soddisfare le esigenze del contesto organizzativo, economico, umano e relazionale sul quale possono incidere.”12 Ma anche il fattore umano può risultare determinante per l’innovazione tecnologica all’interno di una PMI: “Un ruolo fondamentale è quello del pivot: la presenza di una figura interna all’impresa che sia in grado di svolgere un ruolo organizzativo di collegamento tra il vertice, il management di linea, la direzione Information Technology ed i fornitori tecnologici (…) il pivot non deve necessariamente possedere approfondite competenze tecniche (ma deve avere una esplicita e forte sensibilità alle tecnologie) mentre deve avere buone competenze gestionali e di business. Rappresenta il riferimento, il promotore dall’interno dell’impresa dell’innovazione e, per questo, deve possedere anche capacità di project management, di relazione interpersonale e una buona propensione al cambiamento e all’innovazione”13. Riassumendo: si possono allora delineare due caratteristiche necessarie all’innovazione nella PMI: - stile “accogliente” verso le nuove tecnologie da parte dell’imprenditore; - individuazione di una figura o gruppo di persone che faccia da pivot per l’introduzione di sistemi di gestione software, mediando la realtà aziendale con la soluzione proposta Ancora una volta, l’innovazione è questione di persone. 12 13 Assinform, op. cit. Andrea Di Stefano, La repubblica – Affari e finanza – 31 gennaio 2005 13 1.3 Qui comincia l’avventura: la PMI nell’oceano della globalizzazione. L’innovazione non è però propria del solo dominio tecnologico: ha in sé una portata culturale ad ampio raggio che parte dalla formazione nozionistica di base data dalla scuola e dall’università per raggiungere la vita quotidiana personale e della polis. Innovazione e cultura vanno di pari passo, riflettendo nella vita sociale gli aspetti, a qualunque titolo, negativi e positivi (basti pensare a cosa voglia dire un telefono cellulare dato a una figlia adolescente). In una PMI, innovare significa anche avere il tempo di ristrutturare o ripensare i processi e le attività, integrarle con gli strumenti tecnologici salvaguardando le peculiarità e i servizi al cliente. In una direzione più consona a questo lavoro, si può affermare che, se da una parte l’evoluzione tecnologica stessa costringe le organizzazioni ad essere sempre più efficaci ed efficienti – pena la perdita di competitività e quindi di fatturato –, dall’altra non è possibile pensare all’innovazione dell’organizzazione nell’azienda medio piccola, senza valutare e porre al giusto posto i mezzi per l’elaborazione e la comunicazione dell’informazione e la necessaria formazione agli stessi utenti. A partire da questa ultima affermazione, si può allora intuire la necessità di orientarsi, anche all’interno di una PMI, alla gestione dell’unica risorsa in grado di sostenere nel tempo il business: la Conoscenza, il know-how, ovviamente convertito in valore per il cliente, ciò che rende unica e caratteristica una azienda rispetto ad un’altra. Le condizioni economiche del momento e la crisi di molti mercati sono segnali di allarme per l’occupazione che non possono essere ignorati: oltre ad essere necessario che i governi nazionali e quello europeo facciano la loro parte14, anche le aziende stesse devono dare “un colpo di reni” per stare “al passo” con i fenomeni della globalizzazione e di evoluzione tecnologica. “I progressi delle tecnologie digitali sono descritti in parte da alcune leggi che sono diventate piuttosto popolari negli ultimi anni e che lasciano prevedere una preoccupante progressiva ingovernabilità di questi fenomeni: 14 Almeno sulla carta, pare che il nostro governo abbia colto l’importanza di ciò: “… si è resa indispensabile una vera e propria politica per l’innovazione. Nell’ambito di questa, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione rappresentano una priorità …” Cfr. II piano per l’innovazione digitale nelle imprese” Min. delle attività produttive, Min. per l’innovazione e le tecnologie, gennaio 2005. C’è purtroppo da osservare la bassa spesa per la ricerca (Cfr. http://htm.cisl.it/sito/Contenuti/SPECIALEFINANZIARIA/innovazionericerca.htm) e l’insistenza di un pedagogicamente pericoloso approccio in stile marketing all’alfabetizzazione informatica basato su sconti e incentivi per l’acquisto di un PC quasi ironicamente accostato al contributo per l’acquisto del ricevitore DTT. (Cfr. http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/Finanziaria2005/finanziaria.pdf). E’ però di notevole importanza il Fondo di Garanzia, istituito con la legge 662/96, che permette il rilascio, da parte del Gestore del fondo, di garanzie sui finanziamenti concessi alle PMI a fronte di programmi di investimento in tecnologie digitali. Cfr. http://www.innovazione.gov.it/ita/news/fondo_garanzia_ict.shtml A titolo puramente informativo si ricordano anche i finanziamenti previsti per le PMI dalle leggi 46/82, 898/94, 1329/95, 140/97. 14 - Legge di Moore: la potenza di elaborazione di un microprocessore tende a raddoppiare ogni 18 mesi, a costi costanti; - Legge di Metcalfe: il valore di una rete cresce con il quadrato del numero dei suoi utilizzatori; - Legge di Gilder: la larghezza di banda raddoppia ogni 12 mesi, a parità di costo; - Legge della distruzione: mentre il cambiamento tecnologico si sviluppa a ritmo esponenziale, i sistemi politici, sociali ed economici cambiano soltanto a ritmo incrementale.”15 Si auspica anche che i recenti accordi finanziari tra le banche europee16 siano stimoli e non blocchi per sostenere l’innovazione tecnologica nelle PMI, base per qualunque altro tipo di innovazione. In questo oceano dell’economia globalizzata, nel quale si “comincia a delineare l’emergere di una economia interconnessa (…), caratterizzata dalla graduale sfumatura delle distinzioni tra beni e servizi, tra compratori e venditori, tra capitale materiale e immateriale, tra singola impresa e singola impresa. E’ un fenomeno assai ampio, la cui portata è anche legata agli sviluppi di quella che è stata chiamata ‘new economy’, la cui evoluzione è tuttora poco chiara e definibile.”17 la PMI – nello spazio sempre più ridotto della globalizzazione e nel tempo sempre più accorciato dalla rapida corsa verso l’obsolescenza dei prodotti tecnologici, nel progressivo affermasi del business on-demand18 – deve trovare nuovi sentieri da percorrere per poter mantenere la competitività, rispondendo adeguatamente alla natura sempre più complessa dei bisogni che lo sviluppo economico porta con sé. 15 Cfr. M. Raimondi, “Marketing del prodotto-servizio”, 2005, Hoepli. Il cosiddetto accordo “Basilea 2” introduce un meccanismo di rating per valutare il grado di affidabilità delle aziende che intendono chiedere finanziamenti alle banche, al fine che queste ultime accantonino quote di capitale proporzionali al rischio derivante dai vari rapporti di credito assunti. Il timore è che l’applicazione dell' accordo possa tradursi in minor credito alle imprese più rischiose e a tassi più elevati. 17 Cfr. M. Raimondi, op. cit. 18 Cfr. G. Merli. A. Crippa, “Business on demand”, 2003, Ed. Il Sole 24 ORE. 16 15 Prima parte Per una teoria del Knowledge Management e del Customer Relationship Management 16 2. Per entrare nel mondo del Knowledge Management 2.1 Introduzione Una domanda che può sorgere leggendo l’indice di questo lavoro, è perché accostare il KM (Knowledge Management – gestione della conoscenza) con il CRM (Customer Relationship Management – gestione della relazione con il cliente). Sebbene intuitivamente chiunque abbia avuto un minimo di esperienza commerciale troverà da sé la risposta, ci pare importante al fine di capire la relazione tra queste due attività, riportare in seguito un riflessione di K.E. Sveiby: “(…) people in an organization direct their efforts in two directions primarily: outward working with customers or inward maintaining and building the organization. When they work with customers they create customer relationships and an image in the marketplace that is partly owned by the corporation. I call this an external structure. When their efforts are directed inwards they create an internal structure, which in management literature is called the organization. I regard both as structure of knowledge”19 La conoscenza posseduta da una organizzazione, intesa nella più ampia accezione del termine, come si avrà modo di illustrare nel seguito, diviene quindi investimento per il futuro e ricchezza patrimoniale attuale. Con essa, se gestita e curata, l’organizzazione orientata al business può seguire le sempre più pressanti richieste di mercato, mantenendo un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo e non incidentale, come, invece, può essere un vantaggio derivato dall’uso della tecnologia nei processi produttivi o nei servizi interni. Il cliente effettivo o potenziale diviene quindi stimolo e sfida per l’organizzazione, spronandola a ricercare nuovi prodotti (o servizi), creando perciò nuova conoscenza. L’immagine seguente illustra questo concetto. La conoscenza entra nell’organizzazione da tre sorgenti esterne: Mercato del personale competenza Mercato dei clienti Organizzazione Fornitori conoscenza, competenza, referenze, immagine conoscenza, competenza, referenze, immagine Figura 2.1: l’interazione dell’impresa nel mercato 19 Cfr. K. E. Sveiby – The new organizational wealt, 1997, Berrett-Koehler Publisher, Inc 17 La parte destra della figura precedente è l’area di attività del CRM: in questa accezione è possibile dire che il CRM rappresenta un’istanza di KM. In questo senso, come il KM presenta aspetti filosofici, politici e tecnologici, così il CRM eredita da quest’ultimo le medesime caratteristiche. Sebbene il CRM sia nato soprattutto come fenomeno tecnologico software (è il segmento di mercato del sofware in maggior crescita negli ultimi anni), riteniamo che il giusto inquadramento all’interno della riflessione, teorica prima e operativa poi, relativa alla gestione della conoscenza in una organizzazione possa dare il contributo più significativo alla crescente richiesta di rinnovamento delle aziende20. Questo rinnovamento parte dalla spinta all’innovazione tecnologica per arrivare all’innovazione del pensiero, della vision di impresa. Una organizzazione che fermasse tale processo al dato meramente tecnologico, rischierebbe di perdere consistenti opportunità di business, cosa che, in questo particolare frangente della situazione economica italiana, è quantomeno pericolosa ai fini della stessa sopravvivenza dell’organizzazione. 20 K.E. Sveiby e molti altri autori riconoscono il Customer Capital come parte integrante del Capitale Intellettuale di una impresa basata sulla conoscenza. Questo concetto verrà ampliato nel § 2.4. 18 2.2 La gestione della conoscenza: aspetti teorici 2.2.1 Cosa si intende per conoscenza Il dibattito filosofico, sociale e scientifico sul concetto di conoscenza e sulle sue proprietà comincia sin dai tempi dell’antica Grecia e arriva ai giorni nostri21. Dopo il 1870, a seguito dell’aumento della capacità di comunicazione ad opera della creazione della rete ferroviaria, si innescano due processi a lungo termine che potenziano in misura considerevole l’efficacia della conoscenza. - Il primo processo consiste nella progressiva separazione e specializzazione di ambiti cognitivi che in precedenza esistevano confusi entro la diretta esecuzione operativa. Nelle grandi imprese si formano i primi dipartimenti di Ricerca e Sviluppo e, negli anni Venti, con il marketing, si viene formando un corpo specializzato di nozioni sui comportamenti di consumo che, in un processo di continuo affinamento, retroagisce e orienta le strategie di produzione e di vendita. Negli anni Ottanta si realizza un ulteriore salto evolutivo nel processo di gestione separata delle conoscenze. Da un lato si assiste alla crescita di scala e di complessità delle organizzazioni – che implica la creazione di sistemi di gestione di dati, informazioni e conoscenza sempre più precisa e puntuale, dall’altro la distribuzione e la logistica inseriscono nei servizi una nuova serie di valori rendendoli standard de facto per il campo loro specifico (codici a barre, tracking della merce, ecc.). - Un secondo processo consiste nella progressiva riduzione degli ostacoli alla circolazione della conoscenza (pubblicità, espansione della grande distribuzione) favorendo il confronto tra i prodotti, creando trend di consumi, per arrivare sino al fenomeno dei brand22. Infine Internet ottimizza, su scala mondiale e con minimo dispendio di risorse, la raccolta delle conoscenze rilevanti per acquisti e investimenti.23 Con il termine “conoscenza” si intende generalmente “il risultato di un’attività di interpretazione e di astrazione, basata essenzialmente su paradigmi logici e formali, ma anche su principi di natura morale ed estetica. La conoscenza rivela la strutturazione 21 Per una piccola storia della conoscenza si veda on-line http://www.itconsult.it/knowledge/white_papers/whiteCapitoli.asp?id=5&Submit=Invia 22 “Sebbene i termini branding (diffusione del marchio) e advertising (pubblicizzare) siano spesso usati in maniera intercambiabile, corrispondono in realtà a due processi diversi. Pubblicizzare un determinato prodotto è solo una parte del vasto programma di diffusione del marchio, come lo sono la sponsorizzazione e la licenza del logo. Pensate al marchio come significato chiave della grande impresa moderna e alla pubblicità come al veicolo usato per diffondere tale significato nel mondo”. (Cfr. N. Klein,“No Logo”, 2000, Baldini e Castoldi). 23 Cfr. T. Davenport, L. Prusak “Il sapere al lavoro”, 2000, Etas 19 profonda e nascosta del mondo che non è avvertibile direttamente dalla percezione senza l’indispensabile mediazione di una complessa attività mentale” 24. Contrapposta alla percezione – che tende ad essere soggettiva e variabile dando una rappresentazione specifica e superficiale di quanto osservato – la conoscenza tende ad essere più universale e profonda25. La percezione permette di acquisire osservazioni sulla realtà che ci circonda e l’elaborazione personale – seppur condizionata dagli aspetti sociali, religiosi, ecc. – costruisce rappresentazioni mentali atte a descrivere quanto osservato. Passando attraverso il concetto di modello – rappresentazione di una porzione della realtà parziale, soggettiva e orientata a un obiettivo – è quindi possibile definire la conoscenza come una collezione di modelli. Dal punto di vista dello studio che si intraprenderà, è interessante riportare la definizione proposta da Sveiby: “I define knowledge as a capacity to act”26. Egli tuttavia suggerisce che per sottolineare l’aspetto della conoscenza individuale che abilita all’azione è meglio il termine competenza. La conoscenza e la sua gestione hanno avuto grande risonanza negli ultimi dieci anni del secolo scorso e da più parti27 è stata riconosciuta come fattore di competizione decisivo. La gestione della conoscenza consente ai soggetti economici – imprese, lavoratori, amministrazioni pubbliche, ecc. – di prendere decisioni e intraprendere azioni che creano valore economico. Oggi il Knowledge Management è un tema di cui probabilmente si parla meno, ma questo succede perché è ormai entrato nelle pratiche quotidiane di un gran numero di aziende. Come verrà evidenziato nel paragrafo 4.3 il fenomeno sempre crescente che vede la diffusione della “Certificazione del Sistema Qualità aziendale” ha portato il problema della gestione della conoscenza anche nel tessuto delle PMI. 24 Cfr. G. Giuda, G. Berini, “Ingegneria della conoscenza”, 2000, Egea E’ interessante ricordare che il verbo conoscere, nella Bibbia, indica l’intima vicinanza, a volte anche il rapporto sessuale, tra vari soggetti. 26 Cfr. K.E. Sveiby, op. cit. 25 27 “Se un tempo il fattore decisivo della produzione era la terra e più tardi il capitale, inteso come massa di macchinari e di beni strumentali, oggi il fattore decisivo è sempre più l’uomo stesso, e cioè la sua capacità di conoscenza che viene in luce mediante il sapere scientifico, la sua capacità di organizzazione solidale, la sua capacità di intuire e soddisfare il bisogno dell’altro” – Giovanni Paolo II, enciclica Centesimus Annus, 1991 20 2.2.2 Dati, informazioni, conoscenza Sebbene molte volte, anche nei contesto aziendale, i termini “dati”, “informazioni” e “conoscenza “ siano spesso usati in modo intercambiabile, è utile definire e distinguere i significati di questi tre termini, in quanto come osservano Davenport e Prusak, “la confusione su cosa significhino dati, informazioni e conoscenza – quanto differiscano oppure indichino parole simili – ha avuto come conseguenza un enorme aumento di investimenti in soluzioni tecnologiche che difficilmente riescono a soddisfare le esigenze delle imprese che le hanno realizzate, oppure a conseguire ciò che le imprese credono di avere ottenuto. (…) Il successo o l’insuccesso delle attività di un’organizzazione dipendono in larga misura dalla consapevolezza di che cosa, in termini di dati, informazioni e conoscenza, si vuole acquisire, di che cosa è già sotto il controllo dell’organizzazione e di quali risultati è possibile conseguire o non conseguire attraverso essi.”28 Qui di seguito si elencano le definizioni dei suddetti termini e le relative implicazioni per i contesti aziendali: - dati: costituiscono un insieme di fatti distintivi, oggettivi, riferiti ad un evento. In un contesto aziendale posso essere elencati come tali le registrazioni strutturate delle transazioni. Sono la rappresentazione di simboli (testi, numeri, formule, disegni, ecc.) e segnali fisici (suoni, immagini, video, ecc.). Dal punto di vista quantitativo, le imprese valutano la gestione dei dati in termini di costo, velocità e capacità: quanto costa reperire o raccogliere un dato? Quanto tempo si impiega per accedere ad un dato? Quanti dati possiamo raccogliere? L’attività di raccolta è al centro di quella che potremmo definire “cultura dei dati” e la gestione efficace degli stessi risulta essenziale per quelle organizzazioni che fondano interamente la loro attività sui dati: (es.: assicurazioni, banche, ministeri, ecc.). Tuttavia, la mera raccolta di dati non genera informazione – cioè conoscenza utilizzabile – essenzialmente per due motivi: 1) non esiste un significato proprio nei dati, non forniscono alcun giudizio o interpretazione; 2) un sovraccarico di dati può rendere difficile l’identificazione, tra questi, di quelli effettivamente rilevanti. I dati diventano informazioni quando chi li rileva vi aggiunge un significato attraverso operazioni di contestualizzazione (per quale fine sono stati raccolti tali dati?), categorizzazione (quali componenti chiave dei dati? A quali fenomeni o avvenimenti si riferiscono?), calcolo (i dati sono sottoposti ad 28 Cfr. T. Davenport, L. Prusak, op. cit 21 analisi matematiche, ad es. statistiche), correttezza (i dati errati sono eliminati), concentrazione (i dati sono riassunti)29. Anche se il recente progresso ICT ha permesso di codificare in forma elettronica tali dati (digitalizzazione dei dati) – consentendone quindi la memorizzazione, la sucessiva elaborazione e la trasmissione –, l’intervento dell’uomo è comunque richiesto per la categorizzazione, il calcolo e la concentrazione. - Informazioni: sono messaggi, solitamente prodotti attraverso un documento, oppure comunicazioni udibili o visibili. Informare, inteso come “dare forma a”, consente al ricevente di rendere differente il suo ragionamento o la sua catena di valori. In senso stretto, è il ricevente – e non il mittente – che decide se il messaggio che ha ricevuto è definibile come informazione – cioè se, concretamente, lo informa. L’informazione è, in genere, frutto dell’elaborazione di dati ai fini della produzione di significati. L’informazione offre perciò al ricevente un punto di vista nuovo, originale, per l’interpretazione della realtà rendendone di essa visibili o intuibili nuovi significati o permettendogli di correlare tra loro fatti o concetti sino a quel momento apparentemente slegati (per esempio, l’introduzione della patente a punti ha avuto come immediata ripercussione il deciso calo di incidenti – dato – e questo effetto è stato da molti interpretato, oltre che come indicatore del successo dell’iniziativa, anche come dimostrazione che molti incidenti sono dovuti allo scarso rispetto dei limiti stradali – informazione, se non già conoscenza –. Il successivo ripristino del numero di incidenti al valore precedente tale iniziativa – altro dato – porta con sé l’informazione e la conoscenza che l’aspetto di deterrenza dei punti è ormai scemato). L’elaborazione dei dati per estrarre informazioni è un processo che può essere automatizzato solo parzialmente, mediante vari strumenti informatici (data warehouse, analisi on-line multidimensionale, sistemi di data mining o di content management, motori di ricerca, ecc.): in ogni caso, i dati elaborati automaticamente da questi strumenti, richiedono comunque l’intervento umano al fine di ottenerne utilità, in quanto la costruzione di significati è una prerogativa dell’essere umano che, pur potendo essere supportata dalla tecnologia, non può essere automatizzata. Infine, è bene ricordare che una tecnologia più avanzata non rende necessariamente migliori le informazioni. - Conoscenza: non intendendo fare nostra una definizione di stampo epistemologico, proponiamo una definizione più operativa, avente cioè una valenza prevalentemente pragmatica, similmente a quella sopra riportata sopra di Sveiby30: si tratta di una combinazione fluida di esperienza, valori, informazioni contestuali e competenza specialistica che fornisce un quadro di riferimento per la 29 30 Cfr. T. Davenport, L. Prusak, op. cit. Cfr. nota 20. 22 valutazione e l’assimilazione di nuova esperienza e nuove informazioni, sulla base della quale è possibile prendere decisioni operative e intraprendere azioni che producono valore per qualche stakeholder dell’impresa31. Per certi versi, il passaggio dai dati alla conoscenza si può rappresentare nello schema seguente: DATI INFORMAZIONI CONOSCENZA Figura 2.2: Dati, Informazioni, Conoscenza O, più in dettaglio, il medesimo schema può essere illustrato come segue32: Figura 2.3: Dai dati ai giudizi La fase di passaggio dall’informazione alla conoscenza può contenere le seguenti osservazioni: - confronto: come confrontare informazioni relative a differenti situazioni? - conseguenze: quali implicazioni comportano le informazioni rispetto alle decisioni e alle azioni? 31 32 connessioni: come un elemento di conoscenza è collegato con altri? Cfr. T.H. Davenport, L. Prusak, op. cit. Cfr. J. Liebowitz, “Knowledge Management Handbook”, 1999, CRC 23 - conversazione: che cosa pensano gli altri delle informazioni a nostra disposizione? In conclusione, va comunque detto che può essere complicato definire l’esatto confine che separa il dato dall’informazione o dalla conoscenza: occorre però prestare attenzione, in quanto quest’ultima può seguire il percorso inverso ritornando allo stato di informazione – solitamente nel caso di un eccesso di conoscenza formalizzata.33 L’informazione deve essere quindi arricchita da una serie di attributi per diventare conoscenza: - esperienza: si riferisce alle azioni che abbiamo compiuto e agli eventi ai quali abbiamo partecipato in passato (la parola deriva dal verbo latino “experiri”, cioè “mettere alla prova”). Uno dei vantaggi più evidenti dell’esperienza, rimanda al fatto che essa fornisce una prospettiva storica attraverso la quale osservare e comprendere nuove situazioni e nuovi eventi. La conoscenza nata dall’esperienza riconosce la familiarità di alcuni percorsi, permettendo di costruire confronti tra ciò che accade nel presente e ciò che è accaduto nel passato. - veridicità: la conoscenza discende da dati e informazioni reali, non fittizie o distorte. La conoscenza deve essere validata sul campo. La fiducia in essa deve essere massima. - complessità: è un attributo intrinseco alla conoscenza e ne rappresenta gran parte del valore. Nonostante l’Uomo abbia una naturale tendenza a semplificare problemi complessi e nonostante preferisca affrontare l’incertezza semplicemente facendo finta che questa non esista, bisogna essere consapevoli che una conoscenza più approfondita generalmente garantisce decisioni migliori rispetto ad una conoscenza superficiale, anche laddove il superficiale appaia più chiaro e definito. La certezza e la chiarezza scontano spesso il prezzo dell’ignoranza di fattori essenziali. In un motto: “la conoscenza è consapevole di ciò che non conosce”. - giudizio: la conoscenza implica un giudizio. Le informazioni vengono innanzi tutto giudicate rispetto a ciò che già abbiamo acquisito e questo giudizio ci permette di collocare la nuova conoscenza nella giusta posizione (cfr. paragrafo successivo). - intuizione: generalmente, la conoscenza si sviluppa attraverso processi di tipo “trial and error” e grazie all’esperienza e all’osservazione. Le regole pratiche – euristiche – possono rappresentare una scorciatoia per ricercare soluzioni da applicare a nuovi problemi ritenuti simili ad alcuni già affrontati in precedenza. La conoscenza interiorizzata può assumere aspetti intuitivi: ciò avviene quando la velocità di risposta ad un problema o di una reazione ad una sollecitazione esterna ne sottolinea la similitudine. Per chi ha da qualche anno la patente guidare una macchina ha ormai carattere di routine e intuitivamente sa come 33 Eschilo riassumeva: “E’ saggio colui che conosce cose utili, non colui che conosce molte cose” 24 comportarsi in occasione di particolari eventi, anche senza implicare una reazione conscia di discernimento. Parecchi di questi attributi dipendono dalle opinioni e dalle convinzioni personali, dalla cultura organizzativa e sociale specifica: “… la conoscenza, diversamente dall’informazione, concerne le credenze e il coinvolgimento. E’ cioè funzione del punto di vista, della prospettiva o dell’intezione del singolo”34 Tuttavia, mentre l’epistemologia occidentale enfatizza la verità come attributo essenziale della conoscenza, Nonaka pone l’enfasi sulla natura della conoscenza come “opinione giustificata”, legata all’agire in specifiche situazioni e alle convinzioni personali e soggettive influenzate dal sistema di valori di un particolare contesto sociale. 2.2.3 Un aiuto dalla psicologia sociale La conoscenza è dunque il frutto dell’interazione sociale fra persone e comunità. Le persone che interagiscono in un particolare contesto sociale scambiano contenuti, idee, best practices mediante cui costruiscono conoscenza socializzata che, a sua volta, diventa una realtà sociale che va ad influenzare i giudizi, comportamenti ed attitudini delle persone medesime. Il significato dell’evento / situazione / concetto – e il suo valore etico o economico - è quindi conseguenza diretta di tale interazione. Per meglio riflettere su questo concetto – che a nostro avviso risulta poi determinante parlando di innovazione –, ricordiamo che, come tutti gli individui, anche i componenti di una organizzazione e componenti esterni che hanno rapporti con essa sono soggetti alle dinamiche di interazione, giudizio e scelta ampiamente sottolineate negli studi di psicologia sociale. Ci sembra quindi interessante portare la riflessione su ciò che in questa disciplina vengono dette “euristiche”, cioè strategie cognitive semplificate riconoscibili nel giudizio sociale. 1. Euristica della rappresentatività: si tratta di una scorciatoia di pensiero che consente di ridurre la soluzione di un problema inferenziale a un’operazione di giudizio particolarmente semplice. Essa viene impiegata quando i soggetti devono fare inferenze circa la probabilità del verificarsi di un certo evento. Il suo impiego può aiutare a rispondere a domande come queste: qual è la probabilità che l’evento A sia membro della categoria B? Nella vita di ogni giorno sono moltissime le occasioni in cui siamo portati ad usare l’euristica della 34 Cfr. I. Nonaka, H. Takeuchi, The knowledge creating company, 1997, Guerini e Associati 25 rappresentatività per effettuare dei giudizi di appartenenza categoriale: normalmente le cose vanno per il verso giusto perché il criterio di rilevanza che abitualmente impieghiamo funziona correttamente per produrre le stime probabilistiche. Tuttavia si dovrebbe tener conto della probabilità di base (distribuzione reale dei campioni), basando meno il giudizio sulla somiglianza e più su questa. 2. Euristica della disponibilità: è una strategia di pensiero che viene attivata quando le persone devono valutare la frequenza o la probabilità di un evento. Essa si basa sulla facilità e sulla velocità con cui vengono alla mente esempi o associazioni che si riferiscono alla categoria su cui il giudizio viene emesso. In pratica, se al soggetto vengono alla mente con facilità esemplari di una certa categoria, allora egli può ragionevolmente concludere che si tratta di una categoria “numerosa”. Si può facilmente intuire che non sono rari i casi in cui fattori diversi, che in maniera sistematica aumentano o diminuiscono la ricuperabilità mnestica degli esemplari, possono provocare distorsioni nelle stime frequentistiche. Anche il cosiddetto fattore di riferimento a sé, che tende a dare un posto privilegiato alle informazioni che riguardano il soggetto, distorce facilmente tali stime, in quanto tali informazioni godono di un più facile e immediato recupero. 3. Euristica della simulazione: è una variante della precedente. Essa viene impiegata quando i soggetti devono immaginare ipotetici scenari in maniera da produrre ipotesi su come certi eventi si potrebbero realizzare o avrebbero potuto realizzarsi. Questa euristica ha senz’altro delle conseguenze importanti sul giudizio sociale e sulle risposte affettive di fronte ad avvenimenti drammatici e può essere riconosciuta in tante osservazioni o brain-storming relativi alla reazione dei clienti dinanzi alla proposta di nuovi servizi post vendita. 4. Euristica dell’ancoraggio e accomodamento: dovendo emettere dei giudizi in situazioni di incertezza, spesso le persone riducono l’ambiguità ancorandosi ad un punto di riferimento “stabile” per poi operare degli aggiustamenti ed infine raggiungere una decisione finale. Tale euristica risulta distorta da almeno due fattori: il primo è che solitamente il punto di ancoraggio è il soggetto giudicante stesso – la sue esperienza, il suo credo, ecc. – e il secondo è che si tende, nel processo di accomodamento, a non distaccarsi troppo dal punto di ancoraggio. Anche la teoria degli stereotipi aiuta a comprendere il processo di giudizio e valutazione di persone e fatti. Per stereotipi si intendono sistemi concettuali che semplificano le rappresentazioni della realtà. Dunque sistemi semplici, semplificatori ma anche semplicistici che hanno in sé due caratteristiche: si propongono di rappresentare gruppi di persone o eventi, trascurando la specificità 26 singola; inducono aspettative nel soggetto che ha a che fare con appartenenti a categorie stereotipate. Il rischio maggiore è quello che un stereotipo funga da punto di riferimento in una euristica di ancoraggio e accomodamento descritta precedentemente, fornendo all’analisi comunque euristica una partenza pericolosamente semplicistica della realtà35. Un altro gruppo di teorie che a nostro avviso possono aiutare a chiarire meglio le dinamiche dell’elaborazione delle informazioni sono quelle dell’attribuzione causale, che spiegano come le persone attribuiscono il comportamento di altri a cause distinte. A titolo puramente informativo ricordiamo i lavori di Heider (1958, teoria ingenua dell’azione: il soggetto percipiente deve decidere se una particolare azione è causata da fattori interni alla persona che la compie – la capacità, lo sforzo, l’intenzione – o causata da fattori esterni – la difficoltà del compito o la fortuna), di Jones, Davis e McGillis (1965-1976, teoria dell’inferenza corrispondente: lo scopo del processo attributivo è inferire che il comportamento osservato e l’intenzione che lo sottende corrispondono a qualche qualità stabile della persona – dall’azione all’intenzione e quindi alla qualità), di Kelley e McArthur (1967-1972-1973, teoria della coovariazione, in base alla quale un effetto è attribuito a quella condizione che è presente quando l’effetto è presente, e assente quando l’effetto è assente, in tre condizioni – persona, entità circostanza) e altri.36 Nel senso tracciato da questa digressione si può quindi intuire che un supporto psicologico o sociale dato da psicologi consulenti potrebbe aiutare i processi cognitivi interni all’organizzazione (si pensi ad esempio al marketing, prima ancora che al management di persone o progetti). 35 Un libro a carattere divulgativo, interessante e divertente, è l’opera di M. Piattelli Palmarini, “L’illusione di sapere”, 1993, Oscar Saggi Mondadori. 36 Cfr. M. Hewstone et altri, “Introduzione alla psicologia sociale”, 1988, Il Mulino – o qualsiasi altro manuale di psicologia sociale o di comportamento organizzativo o sociale. 27 2.2.4 Conoscenza tacita ed esplicita La gran parte degli autori, ad iniziare da M. Polany37, concordano che è possibile distinguere due tipi di conoscenza: 1) Conoscenza esplicita: è la conoscenza riportata su documenti, Web, supporti audio o video, ecc., cioè codificabile – e quindi trasmissibile ad altre persone – mediante il linguaggio naturale o altri formalismi quali formule, diagrammi di flusso, schemi o disegni, ecc. 2) Conoscenza tacita: conoscenza personale o implicita in specifici contesti, indirettamente accessibile solo con difficoltà attraverso deduzioni e osservazioni dei comportamenti, oppure attraverso discussioni e indagini in gruppi (aziende). Secondo Nonaka e Takeuchi, “Il riconoscimento della dimensione tacita e della sua rilevanza ha numerose implicazioni di importanza decisiva. Innanzitutto da’ origine a una visione completamente diversa dell’organizzazione, che cessa di essere considerata come una macchina deputata all’elaborazione di informazioni e diventa un organismo vivente. In questo contesto, condividere una visione del significato dell’organizzazione, della direzione verso cui si muove, del tipo di mondo in cui vuole operare, e delle modalità per realizzare questa visione del mondo, è di gran lunga più importante di quanto non sia l’elaborazione delle informazioni oggettive. (…) La seconda implicazione (…) è una conseguenza naturale della prima. Una volta riconosciuta l’importanza della conoscenza tacita, si comincia a pensare all’innovazione in tutt’altra prospettiva. Non si tratta semplicemente di aggregare dati e informazioni eterogenee, ma di percorre un processo assolutamente individuale di rinnovamento personale e organizzativo. L’impegno personale dei dipendenti e la loro identificazione con l’impresa e la missione organizzativa diventano indispensabili (…). Creare nuova conoscenza significa ricreare, pressoché letteralmente, l’impresa e quanto vi è contenuto, in un processo dinamico di rinnovamento personale e organizzativo”38 In questo tipo di conoscenza sono compresi due elementi: - elementi cognitivi: modelli mentali come paradigmi, prospettive, convinzioni, percezioni (diremmo anche “forma mentis”) così consolidate da essere divenute assiomatiche. Persone di formazione diversa interpretano la medesima realtà in modo differente.39 37 Cfr. M. Polanyi, The tacit dimension, Routledge & Kegan Paul, 1966 Cfr. I. Nonaka, H. Takeuchi, op. cit. 39 “Questa dimensione cognitiva della conoscenza tacita riflette la nostra rappresentazione della realtà (l’essere) e la 38 nostra visione del futuro (il dover essere). Nonostante la loro difficile formulabilità, questi modelli impliciti determinano il nostro modo di percepire il mondo circostante” - I. Nonaka, H. Takeuchi, op. cit. 28 - elementi tecnici: che comprendono l’abilità, esperienza (diremmo anche “knowhow”) e tutte le conoscenze pratiche acquisite sul campo. Ad es. un artigiano sviluppa negli anni una ricchezza di esperienze che gli consente di svolgere il suo lavoro “sulla punta delle dita”, ma che non gli consente, di solito, di formulare i principi scientifici e tecnici alla base della sua abilità. A questa distinzione tipicamente epistemologica, gli autori affiancano un’altra dimensione lungo la quale la conoscenza si sviluppa: la dimensione ontologica. La conoscenza è unicamente il prodotto di singoli individui inseriti nel contesto aziendale. La tabella seguente40 illustra altri elementi di distinzione fra conoscenza tacita e conoscenza esplicita: Conoscenza tacita (soggettiva) Conoscenza esplicita (oggettiva) Conoscenza esperienziale (corporea) Conoscenza razionale (mentale) Conoscenza simultanea (qui e ora) Conoscenza sequenziale (là e allora) Conoscenza analogica (pratica) Conoscenza digitale (teorica) Tabella 2.1: Conoscenza tacita ed esplicita Le caratteristiche associate alla conoscenza tacita sono messe in corrispondenza con altre caratteristiche della conoscenza esplicita. “Ad esempio, la conoscenza che deriva dall’esperienza tende ad essere tacita, corporea e soggettiva, mentre quella che deriva dalla ragione tende ad essere esplicita, astratta e oggettiva.” Anche M. Polanyi sottolinea l’importanza della conoscenza tacita: egli mette in evidenza l’importanza di una modalità personale di costruzione della conoscenza influenzata dalle emozioni, acquisita al termine di un lungo processo di creazione attiva e di organizzazione delle esperienze di ogni individuo. Quando un individuo conosce tacitamente, egli fa e agisce senza distanza da cose e persone usando il proprio corpo: in tal modo presenta una grande difficoltà a spiegare in parole (o con regole o algoritmi) il processo nel quale è coinvolto. Polanyi afferma che si conosce più di quello che si può spiegare.41 40 Cfr. I. Nonaka, H. Takeuchi, op. cit. Cfr. K.E. Sveiby “Tacit knowledge – An introduction to Michael Polanyi”, 1997, reperibile on-line a http://www.sveiby.com/articles/Polanyi.html 41 29 L’interazione nel tempo – secondo i modelli illustrati in seguito – tra la dimensione epistemologica e ontologica da’ luogo a quella che viene chiamata “knowledge spiral”, che delinea un percorso di Asse temporale sviluppo della conoscenza all’interno di una organizzazione42: Asse epistemologico (tacita – esplicita) Asse ontologico (individuo – gruppo – organizzazione) Figura 2.4: Lo spazio della creazione della Conoscenza 42 Cfr. M. Pasin, “Teoria della Conoscenza nella società Post-Fordista. Filosofia e Knowledge Management: un percorso concettuale”, 2004. Reperibile on-line a http://www.itconsult.it/knowledge/white%5Fpapers/whiteCapitoli.asp?id=5&Submit=Invia 30 2.2.5 Il modello di Nonaka e Takeuchi per la creazione di conoscenza (modello SECI)43 “La storia dell’epistemologia occidentale può essere vista (…) come un susseguirsi di controversie dirette a stabilire quale tipo di conoscenza sia da considerare più veridica. Mentre gli occidentali tendono a porre l’accento sulla conoscenza esplicita, il giapponese è più incline a sottolineare quella implicita. A nostro avviso (…) questi due tipi di conoscenza non costituiscono entità assolutamente separate, ma dimensioni mutuamente complementari che interagiscono fra loro in un continuo interscambio nelle attività creative degli esseri umani.” Nonaka e Takeuchi indicano tale interazione con il concetto di “conversione della conoscenza”, intendendo così che la conoscenza umana si crea e si diffonde attraverso l’interazione sociale fra conoscenza tacita ed esplicita. Essi postulano quattro distinte modalità di conversione della conoscenza: socializzazione, esteriorizzazione o meglio esternalizzazione, combinazione, interiorizzazione o meglio internalizzazione – da cui l’acronimo SECI per indicare questo modello –; trattasi di momenti che vedono il continuo processo di conversione tra la conoscenza tacita e la conoscenza esplicita. S) Da una conoscenza tacita ad un’altra: la socializzazione è un processo di condivisione di esperienze e di creazione di forme di conoscenza tacita quali modelli mentali e abilità tecniche condivise44. Un individuo può acquisire conoscenza tacita dalla relazione diretta con altri anche senza l’intervento del linguaggio (apprendisti e maestri, percorsi formativi del tipo on the job training). “La chiave per acquisire conoscenza tacita è l’esperienza. Senza una qualche forma di esperienza condivisa, è estremamente difficile che una persona riesca a proiettare se stessa nel processo di pensiero di un’altra. Il semplice trasferimento di informazione tenderà ad avere poco senso, se slegato dalle emozioni che vi si associano e dai contesti definiti nei quali le esperienze condivise si radicano” In questa fase, la conoscenza nasce in forma tacita dall’intuito e dalla creatività degli individui. Per esempio, in una fabbrica a Milano l’operatore di una macchina può inventare un nuovo modo di farla funzionare in modo più efficace e potrà “socializzare” questa conoscenza in forma tacita con i colleghi che lo circondano attraverso un processo di imitazione e cooptazione, simile all’apprendistato e/o al tirocinio. 43 Se non diversamente indicato, le citazioni si riferiscono alla già citata opera di I. Nonaka, H. Takeuchi. K.E. Sveiby, in “The new organizational wealth”, adotta il termine inglese “tradition”, che possiamo tradurre con il termine “tradizione”, sottolineando come in questo contesto la conoscenza tacita è trasmessa attraverso l’imitazione e l’apprendimento reciproco. 44 31 La socializzazione richiede la condivisione di un contesto comune e quindi è un processo relativamente lento e confinato a piccoli team. E) Esternalizzazione: è il processo di espressione della conoscenza tacita attraverso concetti espliciti; può essere espletato con metodo analitico o non-analitico. Il primo si avvale dell’uso congiunto di deduzione e induzione, per determinare, da una prima esplicitazione vaga e indefinita della conoscenza tacita (che di solito consiste in una metafora), una sua prima riduzione a concetto. Questo poi viene adattato induttivamente sulla base di esperienze che, per loro vari aspetti, vanno comprese e mantenute sotto il nuovo concetto in fase di creazione. Anche il secondo metodo è sostanzialmente un processo di creazione della conoscenza, nel quale la conoscenza tacita diviene esplicita assumendo forma di metafora, analogia, concetto, ipotesi o modello45: “La modalità di conversione di conoscenza dell’esteriorizzazione, che può essere osservata in forma tipica nel processo di creazione dei concetti di prodotto, è innescata da dialoghi e riflessioni collettive. (…) L’esteriorizzazione costituisce, più delle altre modalità di conversione, la chiave della creazione di conoscenza, perché crea concetti nuovi ed espliciti a partire dalla conoscenza tacita. La questione diventa quella di come convertire la conoscenza tacita in conoscenza esplicita in modo concreto ed efficiente. La risposta a questa domanda sta nell’uso della sequenza metafora-analogia-modello. (…) La metafora è un modo di percepire e cogliere intuitivamente un oggetto immaginandone simbolicamente un altro. (…) Le contraddizioni intrinseche nella metafora vengono poi armonizzate nell’analogia, che riduce l’ignoto sottolineando la “comunanza” che lega cose diverse. Metafora e analogia vengono spesso confuse. L’associazione di due contenuti nella metafora è prevalentemente il frutto dell’intuizione e dell’immaginazione solistica e non mira a rinvenire le differenze fra i medesimi contenuti. L’associazione per analogia, invece, è prodotto del pensiero razionale e si incentra sulle somiglianze di struttura e funzionamento fra le cose e per questa via sulle differenze che le distinguono. L’analogia ci aiuta a capire l’ignoto attraverso il noto e a superare il divario che separa l’immagine dal modello logico. 45 Davenport e Prusak, nell’opera citata, sottolineano il valore della narrazione: “Gli uomini apprendono moltissimo dalle storie. Come dice Karl Weick, gli individui pensano secondo una logica narrativa, piuttosto che argomentativi o paradigmatica (…) In tutti i campi, la ricerca cerca di dimostrare come la conoscenza venga comunicata in maniera più efficace attraverso forme narrative convincenti, trasmesse con attributi di eleganza formale e passione (…) Dopo aver compreso che quello narrativo è il mezzo preferibile per insegnare e apprendere contenuti complessi, è comunque possibile codificare le stesse storie, in modo da trasferire significati senza dovere rinunciare a gran parte del suo valore. Ovviamente, il narratore deve possedere il livello d’immaginazione necessario per comprendere la cultura dei suoi interlocutori, cioè il contesto attraverso il quale le sue parole vengono interpretate.” Osserviamo che tale dinamica è simile alla comunicazione attraverso simboli, di cui tipica espressione è la cultura antropologica specifica di un popolo o anche l’azione liturgica di una religione. 32 Una volta creati, i concetti espliciti possono dare origine a modelli. Nel contesto di un dato modello logico non dovrebbe esservi spazio per le contraddizioni e tutti i concetti e le proposizioni dovrebbero essere espresse in una forma sistematica, secondo una logica ispirata a principi di coerenza” Una volta diventata esplicita, la conoscenza può essere trasmessa molto più rapidamente e su scale organizzative molto più estese. Riprendendo l’esempio precedente, se il team di operatori della fabbrica di Milano riesce ad “esternalizzare” la conoscenza sotto forma di procedura o bestpractice, magari supportata da dati o misure, allora quella conoscenza può essere rapidamente trasmessa agli operatori di macchine analoghe in altri stabilimenti in tutto il mondo. C) Combinazione: è un processo di sistematizzazione di concetti in un sistema di conoscenze; una volta diventata esplicita, la conoscenza può essere “combinata” con altre conoscenze esplicite. “La realizzazione di questa modalità di conversione di conoscenza implica la combinazione di corpi di conoscenza esplicita tra loro distinti. Gli individui scambiano e combinano conoscenze attraverso mezzi svariati quali documenti, incontri, conversazioni telefoniche, reti informatiche di comunicazione. La riconfigurazione delle informazioni esistenti attraverso lo smistamento, l’aggiunta, la combinazione e la categorizzazione di conoscenze esplicite (resa possibile ad esempio dai database elettronici) può condurre a nuove forme di conoscenza. La conoscenza attuata dall’istruzione formale e dalla formazione scolastica assume in genere questa forma” In questa fase, i punti critici sono la comunicazione, la diffusione e la sistematizzazione della conoscenza. Si noti che in questo processo non si produce conoscenza in senso stretto della parola, ma si categorizza quella esistente per permetterne un flusso maggiore e, di conseguenza, stimolare e incentivare l’innovazione nelle altri fasi. Tale categorizzazione avviene anche per costruire un archetipo, ossia un prototipo della nuova idea che coinvolga tutti gli aspetti pratici (legati alla tecnologia) della sua realizzazione, e che combini dunque molte persone e competenze all’interno dell’azienda. La realizzazione del prototipo, pertanto, risponde all’esigenza di integrare le nuove scoperte con le vecchie (ma consolidate) tecniche di lavoro. Ancora riprendendo l’esempio precedente, in questa fase la conoscenza esplicita prodotta dagli operatori di Milano viene “combinata” con le conoscenze apprese dagli operatori della stessa macchina in altri stabilimenti, con le conoscenze del fornitore di quella macchina, con le conoscenze tecniche e scientifiche del progettisti, ecc.: alcune conoscenze possono essere sommate, altre eliminate in quanto ridondanti o smentite, altre validate con un valore maggiore della somma delle conoscenze dei singoli stabilimenti. 33 I) Internalizzazione: consiste nel tradurre concretamente conoscenza esplicita in conoscenza pratica. In questa fase le conoscenze esplicite combinate nella pratica quotidiana, incorporate nell’azione, divengono nuovamente conoscenza tacita. “Si tratta di un concetto strettamente collegato a quello di apprendimento attraverso l’azione. Quando vengono interiorizzate le basi di conoscenza tacita dell’individuo in forma di modelli mentali condivisi o di know-how tecnico, le esperienze maturate attraverso le modalità di socializzazione, esternalizzazione, combinazione divengono beni utili. (…) La conversione della conoscenza esplicita in conoscenza tacita è facilitata quando la prima è verbalizzata o rappresentata graficamente in documenti, manuali e storie. La presenza di una documentazione aiuta gli individui a interiorizzare la loro esperienza e ad arricchire così la loro conoscenza tacita. Documenti e manuali, inoltre, facilitano la trasmissione della conoscenza esplicita ad altri soggetti aiutandoli a vivere le esperienze altrui in forma indiretta (o in altre parole, a ri-esperirle). (…) L’interiorizzazione non richiede sempre la ri-esperienza reale delle esperienze altrui. Nella misura in cui, ad esempio, la lettura o l’ascolto di una storia di successo fa percepire ad alcuni membri dell’organizzazione il contenuto di realtà e di essenza di una vicenda, l’esperienza avvenuta nel passato può tradursi per essi in un modello mentale tacito. Quando tale modello mentale viene condiviso dalla maggioranza dei membri dell’organizzazione, la conoscenza tacita entra a far parte della cultura organizzativa.” Nell’esempio precedente, la conoscenza esplicita, risultato della combinazione, viene trasmessa in modo sistematico a tutti gli operatori in tutti gli stabilimenti; questi operatori applicheranno questa conoscenza esplicita per migliorare le proprie attività quotidiane di esercizio di quella macchina. Inizialmente, questa conoscenza rimarrà esplicita, ovvero gli operatori la useranno in modo consapevole ed intenzionale. Con il tempo, quella conoscenza esplicita entrerà a far parte della pratica quotidiana, diventerà routine fino ad essere usata in modo inconsapevole, ovvero diventerà tacita. Questa nuova pratica quotidiana, che incorpora in modo ormai inseparabile la conoscenza esplicita trasformata in conoscenza tacita, diventerà la base su cui potrà nascere nuova innovazione e nuova conoscenza, innescando un nuovo giro della spirale. E’ possibile illustrare quanto esposto con la seguente figura46: 46 Cfr. D. Pagani, “Seminario di Knowledge Management”, 2003, Politecnico di Milano, disponibile on-line a http://www.pagani.net. 34 Figura 2.5: Ciclo SECI Sulla base di quanto affermato fino ad ora, si può comprendere come la creazione di conoscenza organizzativa sia un processo continuo e dinamico di interazione fra conoscenza tacita ed esplicita, processo che prende forma a partire da mutamenti fra modalità distinte di conversione di conoscenza, innescati a loro volta da numerosi fattori scatenanti. Possiamo allora tracciare, sulla figura precedente, la cosiddetta “spirale della conoscenza”: Figura 2.6: La spirale della conoscenza. Il contenuto di conoscenza che si viene a creare da ciascuna modalità di conversione è ovviamente diverso. La socializzazione produce “conoscenza simpatetica”, modelli mentali e abilità condivise. La esternalizzazione produce “conoscenza concettuale”. La combinazione dà origine a “conoscenza 35 sistemica”, l’internalizzazione produce “conoscenza operativa”. Ancora, sulla medesima figura, possiamo rappresentare quanto detto: Figura 2.7: Conoscenza simpatetica, concettuale, sistemica, operativa. Secondo Nonaka e Takeuchi, il ruolo dell’organizzazione nel processo di creazione di conoscenza organizzativa è di fornire il contesto idoneo a facilitare le attività di gruppo e la creazione e l’accumulo di conoscenze a livello individuale. Gli autori elencano cinque condizioni necessarie perché ciò avvenga: l’intenzionalità, l’autonomia, la condizione di fluttuazione e “caos organizzativo”, la ridondanza, la varietà minima richiesta. Queste condizioni consentono alle quattro modalità di trasformazione della conoscenza di dare origine alla spirale di conoscenza, non appena inseriamo come terza dimensione l’asse temporale. Analizziamo in seguito brevemente ciascuna di queste condizioni: Intenzionalità: lo scopo che un’organizzazione si prefigge è alimentato dall’intenzione di raggiungerlo. “Solitamente, in ambito economico, gli sforzi di acquisire l’intenzionalità prendono la forma di una strategia. Considerata dal punto di vista della creazione di conoscenza organizzativa, la strategia consiste essenzialmente nello sviluppo della capacità organizzativa di acquisire, creare, accumulare e sfruttare conoscenza. L’aspetto più critico dello sviluppo di una strategia di corporate consiste nel concettualizzare una vision relativa al tipo di conoscenza da sviluppare e nel dare a essa una veste operazionale in un sistema manageriale capace di implementarla. (…) L’intenzionalità organizzativa costituisce il criterio più importante per valutare la veridicità di ciascun elemento di conoscenza. Senza l’intenzionalità, non è possibile stabilire il valore di un’informazione o di una conoscenza percepita o creata. A livello organizzativo, l’intenzionalità è spesso espressa dagli 36 standard o dalle vision, che possono pertanto essere utilizzati per valutare e giustificare la conoscenza creata. L’intenzionalità è quindi necessariamente intrisa di valori.” Grande ruolo può svolgere, in questo ultimo caso, il Management dell’organizzazione. Autonomia: sebbene ogni individuo sia gerarchicamente inserito nell’organigramma dell’organizzazione, “a livello individuale, tutti I membri di un’organizzazione dovrebbero poter agire, nella misura consentita dalle circostanze, in modo autonomo. Permettendo l’azione autonoma degli individui, l’organizzazione può accrescere la probabilità di generare opportunità inattese. L’autonomia incrementa inoltre la possibilità che gli individui si motivino da sé al compito di creare nuova conoscenza(…) Le idee originali nascono da individui autonomi, si diffondono nel gruppo e divengono infine concetti organizzativi. Da questo punto di vista, l’individuo capace di auto-organizzarsi assume nell’organizzazione una posizione analoga a quella della bambolina più interna di una matrioska. (…) Analogamente a un sistema autopoietico, i singoli individui e i gruppi attivi in un’organizzazione che crea conoscenza stabiliscono da sé i limiti dei loro compiti, con l’intento di perseguire l’obiettivo finale espresso dall’intenzionalità massima dell’organizzazione” L’autonomia è forse la condizione più ampiamente disponibile in una PMI, nella quale, sebbene molte volte gli obiettivi non siano esplicitati in tutti i loro aspetti e le loro implicazioni, ampio margine di libertà è solitamente lasciato ai singoli individui, che, molte volte anche fisicamente, si trovano soli dinanzi alle istanze del lavoro quotidiano47. In questo contesto, risulta di fondamentale importanza il recepimento degli obiettivi e delle strategie aziendali sia al fine di orientare sinergicamente gli sforzi di tutti sia per evitare reazioni o comportamenti contraddittori dei collaboratori nei confronti dei clienti. Fluttuazione e caos creativo: questa condizione è incidentale e prevalentemente dovuta a cause esterne. Si riferisce al momento in cui, per causa non qui precisata – ma si potrebbe portare come esempio un periodo di crisi di qualsivoglia natura – gli individui e i gruppi si trovano a dover esulare dalle normali procedure o si trovano dinanzi a situazioni di “ordine privo di ricorsività”, cioè di ordine che segue uno schema difficilmente prevedibile nella fase iniziale. 47 “Io mi comporto come un imprenditore all’interno dell’azienda”, frase raccolta da un collega dell’assistenza tecnica, S.B. 37 “L’ingresso della fluttuazione in un’organizzazione rompe le routine, le abitudini e i quadri cognitivi di riferimento dei suoi membri(…) Una frattura produce un’interruzione dei nostri modi di essere abituali. Quando ci confrontiamo con eventi di questo tipo, abbiamo la possibilità di riconsiderare il nostro pensiero e il nostro punto di vista abituale. In altri termini, possiamo mettere in dubbio la validità dei nostri atteggiamenti nei confronti del mondo(…) Il verificarsi di una frattura richiede di prestare attenzione al dialogo in quanto strumento di interazione sociale, e ci aiuta perciò a creare nuovi concetti(…).Qualcuno ha proposito di definire questo fenomeno creazione di ordine a partire dal rumore o di ordine a partire dal caos. (…) Occorre notare che i benefici del caos creativo possono presentarsi unicamente se i membri di un’organizzazione sono in grado di riflettere sulle azioni che compiono. Senza questa riflessione, la fluttuazione tende a generare caos distruttivo.” Si intuisce pertanto come il Management debba essere abbastanza lungimirante per permettere la possibilità di riflessione, se non già debba promuoverla ufficialmente. La ridondanza: è un’abbondanza eccessiva nella sovrapposizione intenzionale di informazioni circa l’attività di business, le responsabilità manageriali e l’organizzazione nel suo complesso. “All’orecchio dei manager occidentali interessati al concetto di elaborazione efficiente dell’informazione o a quello di riduzione dell’incertezza, il termine può suonare pericoloso, per le connotazioni di inutile duplicato, di vuoto o di sovraccarico informativo che richiama. … Il verificarsi della creazione di conoscenza organizzativa richiede la condivisione dei concetti elaborati da un individuo o da un gruppo da parte di altre persone, che possono non averne un bisogno immediato. La condivisione di informazioni ridondanti promuove la condivisione di conoscenza tacita, in ragione della capacità delle persone di avvertire ciò che altri stanno cercando di formulare, In questo senso, la ridondanza di informazioni accelera il processo di creazione della conoscenza. Essa è particolarmente importante in fase di sviluppo dei concetti di prodotto, quando è decisivo poter esprimere le immagini radicate nella conoscenza tacita. In questa fase, l’informazione ridondante permette ai singoli di invadere i rispettivi ambiti funzionali e di offrire consigli o nuove informazioni a partire da punti di vista diversi. In breve la ridondanza di informazioni determina una sorta di apprendimento per intrusione nella sfera di percezione di ciascun individuo. … Condividere informazioni aggiuntive aiuta altresì le persone a capire la loro collocazione nell’organizzazione, processo che a sua volta serve a controllare la direzione del pensiero dell’azione individuale. Le persone non sono isolate fra loro ma liberamente interconnesse e assumono posizioni significative nel contesto organizzativo totale. La ridondanza di informazione offre pertanto all’organizzazione un meccanismo di autocontrollo che le consente di mantenere la rotta prefissata.” 38 Gli autori ricordano poi alcuni metodi pratici per favorire la ridondanza: - la sovrapposizione, creando più gruppi aventi il medesimo obiettivo, al fine poi di discutere insieme vantaggi e svantaggi delle diverse strategie individuate - la rotazione strategica del personale (specie fra aree tecnologiche e funzionali notevolmente diverse, come la ricerca e sviluppo e il marketing). Questa metodologia aitua gli individui a comprendere il business da molteplici prospettive, con ciò rendendo la conoscenza organizzativa più fluida e più facilmente applicabile nel concreto. - Incontri di scansione e raccolta di idee (brainstorming) o l’istituzione di reti di comunicazione formale o informale (ad esempio, “bevute al termine dell’orario di lavoro”); Tuttavia, “La ridondanza delle informazioni fa aumentare la quantità di informazioni da elaborare e può condurre a un fenomeno di sovraccarico informativo. Essa aumenta anche i costi del processo di creazione di conoscenza(…) L’individuazione di un punto di equilibrio fra creazione d’informazione ed elaborazione rappresenta pertanto una questione importante.” Varietà minima richiesta: l’organizzazione, al fine di far fronte alle sfide poste dal contesto, deve armonizzare la propria diversità interna con la varietà e complessità esterne. “I membri dell’organizzazione possono rispondere al mutare delle circostanze se possiedono la varietà a ciò necessaria, che può essere accresciuta combinando le informazioni in modo diverso, più flessibile e rapido, e concedendo a ogni settore dell’organizzazione le stesse possibilità di accesso all’informazione(…) Quando l’informazione posseduta all’interno dell’organizzazione variabile, i membri non possono interagire fra loro su basi paritetiche, e la ricerca di interpretazioni alternative delle nuove informazioni ne è intralciata. (…) Lo sviluppo di una struttura organizzativa piatta e flessibile, caratterizzata da interconnessione tra le diverse unità attraverso una rete informativa è un modo per rispondere alla complessità del contesto. Una modalità alternativa, che consente di rispondere rapidamente alle fluttuazioni ambientali inattese e di mantenere la necessaria diversificazione interna, consiste nel rinnovare frequentemente la struttura organizzativa” Una sottolineatura ontologica del modello dato ci porta ad un’ulteriore rappresentazione, che mette in luce cinque fasi necessarie al processo di conversione della conoscenza organizzativa. Tale modello è schematizzato da I. Nonaka e H. Takeuchi come segue: 39 Figura 2.8: le cinque fasi da conoscenza tacita a conoscenza esplicita in una organizzazione Fase 1) Condivisione di conoscenza tacita. Il processo di creazione di conoscenza organizzativa parte dalla condivisione di conoscenza tacita, che si identifica grosso modo con la modalità della socializzazione, e che consiste nella diffusione nell’organizzazione del patrimonio inesplorato di conoscenze degli individui. Difficilmente esprimibile a parole, la creazione di questa conoscenza richiede una situazione di fiducia reciproca tra gli individui, favorita dal condividere emozioni, sentimenti e modelli mentali. “Un gruppo autoorganizzato facilita la creazione di conoscenza organizzativa avvalendosi della necessaria varietà dei suoi membri, che sperimentano in esso la ridondanza delle informazioni e condividono i loro modi di interpretare le finalità dell’organizzazione. Il management provoca il caos creativo definendo obiettivi sfidanti e delegando ampia autonomia ai membri del gruppo. Un gruppo autonomo definisce innanzi tutto i limiti del proprio compito e, in qualità di unità extraterritoriale, comincia ad interagire con il contesto esterno, accumulando conoscenze tacite ed esplicite” Fase 2) Creazione di concetti In questa fase si realizza l’interazione più intensa fra conoscenza tacita e conoscenza esplicita. Avviene la formalizzazione del modello mentale condiviso, e questa fase corrisponde alla modalità di esternalizzazione. 40 “La creazione dei concetti attraverso la comunicazione, in questa fase, è cooperativa. L’autonomia aiuta i membri del gruppo a utilizzare senza timori modalità divergenti di pensiero, mentre l’intenzione funge da mezzo per far convergere i loro pensieri in un’unica direzione. La creazione di concetti richiede ai membri del gruppo di ripensare a fondo i propri presupposti mentali. L’ineliminabile varietà li aiuta, in questo, offrendo angolature e prospettive diverse da cui considerare un problema. Allo stesso modo, la fluttuazione e il caos, esterni o interni, li aiutano a modificare in profondità il loro modo di pensare. La ridondanza di informazione, infine, permette loro di meglio capire il linguaggio figurato e di articolare i modelli mentali condivisi.” Fase 3) Giustificazione dei concetti Per la teoria della conoscenza di Nonaka e Takeuchi, la conoscenza è una credenza dimostratasi vera. I nuovi concetti e modelli trovati dagli individui e dai gruppi di lavoro devono allora essere validati, giustificati, al fine di stabilire se questi hanno un reale valore per l’organizzazione. I criteri di tali validazioni e giustificazioni sono formulati dai top managers. “La ridondanza di informazioni, facilitando il processo di giustificazione, riduce la possibilità di fraintendimenti riguardo ad essi” Fase 4) Costruzione di un archetipo Il concetto giustificato viene, in questa fase, convertito in un’espressione tangibile o concreta. Può essere un prototipo o, in caso di servizi, un nuovo modello organizzativo48. Poiché la conversione dai concetti giustificati agli archetipi è un passaggio da concetti espliciti ad altri concetti espliciti, questa fase è affine alla modalità di combinazione. “La complessità di questa fase impone la cooperazione dinamica di diversi dipartimenti o nell’ambito dell’organizzazione, in un processo che risulta facilitato sia dalla varietà, sia dalla ridondanza d’informazione, Anche la presenza di finalità organizzative chiare facilita la convergenza dei diversi tipi di know-how e di tecnologie presenti nell’organizzazione, e promuove la cooperazione interpersonale e interdipartimentale. In questa fase del processo di creazione di conoscenza organizzativa l’autonomia e la fluttuazione sono invece meno rilevanti.” 48 Davenport e Prusak riferiscono anche della cosiddetta conoscenza integrata: “Una categoria di conoscenza assai complessa e di forma inizialmente tacita può essere esternalizzata e integrata nei prodotti e servizi offerti dalle aziende. Qualunque processo industriale, sia quelli automatizzati sia quelli formalizzati in una serie di procedure, è costruito su ciò che in precedenza era conoscenza individuale. In teoria, questa conoscenza integrata è indipendente dalle persone che l’hanno sviluppata e perciò presenta caratteristiche di stabilità…In pratica, però, è difficile tracciare una linea di separazione tra la conoscenza totalmente intergrata in un processo e la conoscenza tacita che mantiene in vita il processo.” Cfr. H.T. Davenport, L. Prusak, op. cit. 41 Fase 5) Interlivellamento di conoscenza Il concetto o il prodotto creato, giustificato e modellizzato passa ad un nuovo ciclo di creazione di conoscenza a un livello ontologico superiore, sia a livello organizzativo che interorganizzativo. A livello organizzativo, si può assistere ad un processo di cross-fertilization, per il quale l’archetipo innesca un nuovo ciclo di creazione di conoscenza che si può quindi espandere orizzontalmente (portando, per esempio, alla creazione di prodotti simili che condividono con l’archetipo soluzione tecniche o funzionali) e verticalmente (ispirando, ad esempio, un modo di concepire un gruppo di prodotti – ad esempio di elettrodomestici – o di servizi). A livello interorganizzativo, la conoscenza creata può rendere disponibile quanto acquisito per lo sviluppo del prototipo da fornitori, clienti, dalla concorrenza e altri. Particolare importanza ha, in questa fase, il feedback da parte dei clienti rispetto a nuovi prodotti o nuovi servizi. “Per la buona riuscita di questa fase, è essenziale che ogni unità organizzativa goda dell’autonomia necessaria ad appropriarsi della conoscenza sviluppata altrove e ad applicarla liberamente, superando livelli e confini, La fluttuazione interna, realizzata ad esempio attraverso una frequente rotazione del personale, faciliterà il trasferimento di conoscenze. Altrettanto faranno la ridondanza d’informazione e la varietà minima richiesta. Nell’interlivellamento intraorganizzativo, poi, le finalità dell’organizzazione agiranno da meccanismo di controllo per decidere se la conoscenza verrà o meno diffusa o cross-fertilized nell’ambito dell’organizzazione” 2.2.6 Alcune considerazioni Il modello di Nonaka e Takeuchi ha portato tre importanti contributi alla cultura manageriale49: - al centro dell’attenzione vi è il ruolo chiave delle conoscenze tacite individuali e organizzative che, proprio in quanto tacite, sono difficilmente inimitabili dalla concorrenza e quindi possono rafforzare la differenziazione; - le conoscenze, sia tacite che esplicite, non producono valore come bene statico, bensì creano valore solo come risultato di un più o meno lungo processo dinamico, basato sulle conversioni tra conoscenze tacite ed esplicite. L’unica fonte di vantaggio competitivo sostenibile nel tempo è l’apprendere ed innovare più rapidamente della concorrenza, cioè far girare la spirale più efficacemente e rapidamente della concorrenza; - tale processo di creazione di conoscenza funziona nella misura in cui i tutti i livelli gerarchici dell’impresa sono coinvolti in esso: in altre parole, la creazione di conoscenza organizzativa è un fenomeno che non può esaurirsi all’interno dei laboratori di ricerca e sviluppo. Ma anche i confini dell’impresa stessa non devono essere i limiti entro i quali tale 49 Cfr. D. Pagani, op. cit. 42 fenomeno avviene. L’organizzazione deve essere vista come un soggetto vitale in un ecosistema, che interagisce con esso e con esso muta, si adatta e si rapporta nel tempo. Nei secoli passati, i produttori potevano conservare la supremazia commerciale attraverso la segretezza dei processi produttivi o economici. Anche oggi esistono noti esempi (ad esempio, la ricetta della Coca Cola), ma, in generale, in un’epoca caratterizzata da mobilità di informazioni e persone, è virtualmente impossibile impedire ai concorrenti di copiare e anche migliorare prodotti e processi. In un motto, potremmo dire che se da una parte la tecnologia trasforma le logiche competitive, dall’altra però scompare come fonte di vantaggio sostenibile. “In un contesto in cui le imprese necessitano di “sapere ciò che conoscono” e devono impiegare efficacemente la loro conoscenza, le dimensioni e la dispersione geografica delle loro attività rendono particolarmente difficile localizzare la conoscenza esistente e renderla disponibile dove è necessaria. In una piccola azienda, un manager molto probabilmente conosce i soggetti che possiedono esperienza in un ambito specifico del business, quindi può facilmente raggiungerli fisicamente e comunicare con loro…La conoscenza diviene una risorsa critica solamente quando è accessibile, e il suo valore aumenta all’aumentare del livello di accessibilità.”50 Ovviamente, la conoscenza necessita di essere codificata per essere diffusa. Ma nel momento che essa viene esteriorizzata o codificata, tale conoscenza diventa facilmente imitabile, copiata, perdendo quelle caratteristiche di unicità che le fanno acquisire valore. Inoltre, codificare la conoscenza costa e spesso fa aumentare la complessità della sua interpretazione e del suo utilizzo. Dopo aver analizzato come secondo Nonaka e Takeuchi sia possibile modellizzare la creazione di conoscenza all’interno di una organizzazione, nel paragrafo successivo verranno analizzati alcuni aspetti pratici della gestione della conoscenza. 50 Cfr. T.H. Davenport, L. Prusak, op. cit. 43 2.3 La gestione della conoscenza: aspetti pratici In un contesto pratico, i fenomeni attinenti alla creazione e al trasferimento della conoscenza sono molto più complessi rispetto al modo in cui il modello di Nonaka e Takeuchi li presenta. Ciò è dovuto in parte al normale comportamento tra individui (e a questo proposito si rimanda al paragrafo 2.2.3), in parte alla difficoltà di mantenere vigilante l’organizzazione sulla necessità di una gestione della conoscenza, e per un’altra parte a cause infrastrutturali o anche esterne. “You cannot manage knowledge; you can only manage the environment that leads to the knowledge being created and transferred”51 2.3.1 Il “mercato della conoscenza” Poiché la conoscenza è un valore, è possibile analizzare il suo scambio all’interno di una configurazione del tutto simile ad un mercato di beni tangibili, con la sola – ma grande! – differenza che la conoscenza, se condivisa, non viene ceduta: il venditore continua comunque a possederla. Comprendendo le regole di questo mercato interno ad ogni organizzazione, che chiameremo “mercato della conoscenza”, è quindi possibile impiegare tale conoscenza per raggiungere una maggiore efficacia all’interno dell’organizzazione stessa. Il modello di mercato della conoscenza che presentiamo in seguito è quello proposto da T.H. Davenport e L. Prusak nell’opera citata. Nonostante la valenza di questo modello sia più inquadrata nella dimensione metaforica che pratica, esso appare comunque in grado di aiutare a comprendere le dinamiche che regolano lo scambio della conoscenza, nel senso che tutti possono trovare in questo modello riflessi di situazioni e avvenimenti che, a questo proposito, capitano nel lavoro di tutti i giorni. “Esiste un mercato spontaneo della conoscenza all’interno delle organizzazioni(…)Nel mercato della conoscenza, le transazioni hanno luogo perché i soggetti che vi partecipano ritengono di ottenere un certo vantaggio. Gli economisti dicono che gli individui ricavano dalle transazioni una certa utilità. (…) All’interno delle organizzazioni, le transazioni che hanno per oggetto la conoscenza non coinvolgono denaro, tuttavia questo non significa che non possa esistere un prezzo di mercato, oppure che possa avvenire un pagamento(…) Il mercato della conoscenza, come qualunque altro mercato, costituisce 51 Cfr. S. Kermally, “Effective knowledge management”, 2002, Wiley 44 un sistema in cui i partecipanti operano una remunerazione di un fattore scarso per il consumo presente o futuro.”52 Gli autori individuano tre attori: i venditori, gli intermediari, gli acquirenti: “Gli acquirenti di conoscenza sono solitamente persone che cercano di risolvere problemi la cui complessità e incertezza precludono una soluzione semplice(…) L’interesse per la conoscenza è un interesse per la comprensione, il giudizio e l’analisi approfondita. Ciò significa tentare di rispondere a domande quali: “come si comporterà quel determinato cliente?”, oppure “come riuscire a concludere un’operazione di vendita”, domande che comportano riflessioni complesse, riflessioni che comprendono elaborazioni soggettive (…) Nel mercato interno delle organizzazioni, I fornitori di conoscenza sono persone in possesso di una reputazione relativamente a un processo o una attività. Tali persone possono cedere la loro conoscenza in unità o, più facilmente, in pacchetti in cambio di una remunerazione(…) Alcuni fornitori potenziali di conoscenza si autoescludono dal mercato perché ritengono di potere ottenere maggiori vantaggi dall’accumulazione che non dalla condivisione(…) Se la conoscenza rappresenta una fonte di potere, allora chi la possiede detiene un potere che viene messo in pericolo dal suo trasferimento (…) Una delle sfide poste dal knowledge management consiste nell’assicurare alla condivisione una remunerazione maggiore rispetto all’accumulazione. (…) Gli intermediari della conoscenza (definiti anche come gatekeepers, cioè guardiani, e regolatori di confini) mettono in relazione gli acquirenti e i fornitori, cioè coloro che cercano conoscenza con coloro che la possiedono(…) Gli archivisti spesso svolgono il ruolo di intermediari nascosti della conoscenza.” All’interno delle organizzazioni, nel mercato della conoscenza, il mezzo di scambio è raramente il denaro: tuttavia esiste ugualmente un meccanismo per la determinazione del prezzo, che è a sua volta la stessa moneta di scambio. Gli autori individuano quattro fattori da considerare: - la reciprocità: “Un fornitore di conoscenza impegnerà il tempo e gli sforzi necessari per una condivisione efficace della conoscenza se confida nella disponibilità degli acquirenti a cedere la loro conoscenza nel momento in cui, in un’altra circostanza, il fornitore si trovasse nella posizione di acquirente.” Oltre a garantire una mutua assistenza, la reciprocità è anche una caratteristica che garantisce l’arricchimento reciproco, e quindi è alla base del processo di socializzazione di cui è stato riconosciuto il ruolo fondamentale nel modello SECI di Nonaka e Takeuchi esposto precedentemente. 52 In questo paragrafo, se non diversamente indicato, tutte le citazioni si riferiscono al capitolo secondo dell’opera di H.T. Davenport e L.Prusak, “Il sapere al lavoro”, 1998, Etas 45 - La reputazione: “un fornitore di conoscenza normalmente desidera essere riconosciuto come una persona in possesso di competenze e disponibile alla condivisione. La reputazione può sembrare un concetto immateriale, tuttavia riesce a produrre risultati affatto tangibili (…) la reputazione di un individuo come fornitore chiave di conoscenza è utile a diffondere negli altri la convinzione della sua disponibilità a condividere conoscenza in situazioni simmetriche: viene a crearsi una sorta di debito di conoscenza (…). Molto probabilmente altri individui appartenenti all’organizzazione tenderanno a replicare lo stesso atteggiamento in circostanze differenti. Reciprocità e reputazione, dunque, sono legate l’una all’altra.” - L’altruismo: “E’ possibile, ovviamente, che un individuo decida di condividere la propria conoscenza semplicemente perché è una persona disponibile per cui un grazie costituirebbe sufficiente motivazione (…) Il consiglio rappresenta una forma di trasferimento della conoscenza in parte basato sull’altruismo (…) l’altruismo tende a prosperare in organizzazioni che assumono dipendenti gentili trattati gentilmente” - La fiducia: “la fiducia deve essere visibile: i componenti di una organizzazione devono vedere riconosciuta e premiata la decisione di condividere conoscenza; (…) la fiducia deve essere diffusa; (…) Nelle organizzazioni, la fiducia tende a essere trasferita verso il basso. L’esempio fornito dai livelli superiori di management definisce le norme e i valori dell’azienda. Se il vertice è credibile e affidabile, la fiducia si diffonde e conquista tutta l’organizzazione. (…) L’impersonalità dei groupware consente a chiunque di trasmettere informazioni e invita all’accesso anonimo a quelle stesse informazioni, In ogni caso, non permette la creazione della stessa fiducia nella qualità della conoscenza che è assicurata invece dai rapporti diretti e dalla reputazione”53 2.3.2 La strategia della conoscenza per la conoscenza Al di là del gioco di parole, tutti gli autori consultati sottolineano la necessità che la strategia aziendale sia integrata da e nella strategia per la conoscenza. Si possono individuare tre fasi: - l’accorgersi della necessità di una gestione della conoscenza; - l’analisi del dominio specifico delle conoscenze (tacite ed esplicite dei collaboratori) e della conoscenza organizzativa; - l’instaurarsi di una attenzione, di un comportamento vigilante e proattivo nei confronti delle dinamiche di scambio e di creazione della conoscenza; 53 Si è tentati, a queste parole, di intraprendere una digressione riguardo la fiducia nella disponibilità di supporto in rete al software “open source”. Tuttavia, vengono lasciate al lettore le riflessioni soggettive in questa direzione. 46 Sultan Kermally, nell’opera già citata “Effective Knowledge Management” propone, nei capitoli centrali del libro, alcuni suggerimenti di tagli pratico per favorire le condizioni necessarie per l’accadere dei due ultimi punti sopra elencati. Secondo l’autore, due sono i concetti chiavi per affrontare il KM: - il trasferimento delle best practices - il benchmarking Il primo concetto permette l’affermarsi di una conoscenza operativa, acquisita da fonti interne o esterne; il secondo permette di misurare il grado di adeguatezza dell’organizzazione al business che l’adozione delle best practices ha portato. In una economia sempre più globalizzata, tali concetti sono fondamentali per permettere alle aziende la sostenibilità della competizione: “All organisations, irrespective of size, have to operate and make business decision within the context of changes taking place outside their organisations at national and international level. These changes have favourable and unfavourable impacts on business operations. (…) The process of globalisation influences the way we trade, our trading partners, the skills required to compete in such an environment, the creativity and innovation of organisation, the job situation, our environment, cultures and values. It is, therefore, an all-embracing phenomenon.” Egli propone l’adozione, da parte dell’organizzazione, di una best practice che permetta di catturare i cambiamenti esterni e utilizzare questi per creare conoscenza organizzativa: individuate a quali categorie (sociali, tecnologiche, economiche e politiche) questi cambiamenti appartengono, se ne valuta l’impatto sull’organizzazione e si calcola la probabilità che questi cambiamenti avvengano. Quindi si modifica la strategia aziendale prestando attenzione ai cambiamenti che hanno il maggiore impatto sull’organizzazione e con la maggiore probabilità che avvengano. L’organizzazione deve quindi possedere una elevata flessibilità per cambiare (innovarsi) continuamente, sotto la spinta di fattori interni ed esterni: la sua attenzione e la sua vigilanza devono, sempre secondo l’autore, essere rivolte ai collaboratori e ai clienti. L’attenzione ai collaboratori, intesa come attenzione alla loro esperienza e alle loro aspirazioni, è il punto di partenza per la gestione della conoscenza all’interno dell’azienda e si realizza registrando il lavoro che fanno, il lavoro che potrebbero fare, il lavoro che vorrebbero fare. “Gather information on these aspects as a starting point and you have the most valuable information on your staff that you can use (creation of knowledge) to develop your business and to achieve high 47 performance. This information should be documented and constantly updates. If acted on, such best practice can deliver the following results and behavior: - it will motivate your employees because they will feel you care about their aspirations; - it will give you a clear understanding of what your employees perceive thei current duties and responsibilities to be; - it will give you an indication of how can stretch your employees’ capabilities; - it will help you prepare an appropriate development plan for your employees; - it will enable you to develop your business by identifying talent an knowledge that has remained tacit; - it will promote a culture of open communication; - it will motivate staff and help you institutionalize trust; - it will enable you to benchmark against best practice and identify the gaps; - it will give you a clear indication of the resources and capabilities of your organisation to compete effectively - it will enable you to assess the strategic fit of your organization with what it aspires to achieve” Egli propone quindi un modulo per raccogliere tali informazioni all’interno dell’organizzazione e propone alcune tematiche di feedback ( aspettative, possibili miglioramenti, vantaggi, ecc.) per i collaboratori, al fine proseguire il confronto e quindi la creazione di conoscenza. L’attenzione ai clienti è un must se si desidera competere con efficacia all’interno del mercato sempre più globalizzato. La conoscenza da acquisire da parte dell’organizzazione in questa direzione è individuata dalle seguenti domande: - what is your value proposition to your customers? - why do they do business with you? - what is it that you do better or can do better than your competition that the customer perceives as valuable? - is it your product innovation or operational excellence or customer intimacy or a combinations of all these that is significant? L’organizzazione può ascoltare le esigenze del cliente nei seguenti modi: - establish customer focus groups and invite your customers to give you feedback on the way you deliver your products or services or to offer their views on product design - visit your customers. … - send questionnaires and conduct postal surveys to gather information on how customer perceive your organization, your products and your services 48 - undertake customer care training to deliver excellent service54 La codificazione e la reperibilità della conoscenza sono successivamente aspetti essenziale del KM. L’obiettivo della codificazione consiste nel trasformare la conoscenza dell’organizzazione in una forma accessibile agli individui che ne hanno bisogno. Le nuove tecnologie svolgono certamente un ruolo importante nella codificazione: ma come codificare la conoscenza senza indebolirne le proprietà distintive e rischiare di trasformarla in un raccoglitore meno pregnante di informazioni e dati? T.H. Davenport, L. Prusak55 riconoscono che “La codificazione di tutta la conoscenza posseduta da un’organizzazione rappresenta un compito immenso e insensato” ma T.A. Stewart56 va oltre: “l’idea che il sapere si possa organizzare ordinatamente in una gerarchia che va dai dati a saggezza è una panzana, per la semplice ragione che quello che per uno è sapere per un altro sono semplici dati. (…) Lasciamo stare le distinzioni arbitrarie fra dati, informazioni, conoscenze e saggezza, che sono un groviglio inestricabili. Quello che stiamo cercando noi (…) si presenta sotto due forme. In primo luogo c’è l’insieme semipermanente del sapere – l’esperienza – che cresce attorno a un compito, una persona o un’organizzazione. (…) Il secondo tipo di capitale di conoscenza consiste in strumenti che incrementano l’insieme del sapere, vuoi aggiungendovi fatti, dati, informazioni (…), vuoi offrendo esperienza e strumenti di potenziamento ad altre persone che ne hanno bisogno quando ne hanno bisogno, vale a dire mettendo loro in mano una leva” In ogni caso la conoscenza deve essere disponibile quando e dove serve. Una proposta dei primi due autori sono le “mappe della conoscenza” . “Tipicamente, le mappe della conoscenza indicano persone, documenti o database presso cui indirizzare la ricerca. L’obiettivo principale e il vantaggio più evidente ottenuti attraverso una mappa della conoscenza consistono nel mostrare all’organizzazione i luoghi dove risiedono alcune competenze. (...) La mappa può quindi essere utilizzata come uno strumento di valutazione del patrimonio di conoscenza disponibile nell’impresa, e anche di definizione dei punti di forza su cui fare leva e dei punti di debolezza da correggere. (…) 54 Non ci resta che osservare come, per una società commerciale come Metrohm Italiana Srl, di cui presenteremo l’esperienza più avanti, è più che mai necessario stabilire il legame sinergico tra CRM e KM. 55 Cfr. T.H. Davenport, L. Prusak, op. cit. 56 Cfr. T.A. Stewart, “Il capitale intellettuale”, 1999, Ponte alle Grazie 49 L’organigramma dell’impresa è un sostituto carente di una completa mappa della conoscenza, (…) non è in grado di dire a quali persone rivolgersi per reperire una particolare conoscenza. (…) Le competenze che non trovano riflesso nel titolo e nella descrizione delle posizioni non compaiono nell’organigramma. In più, l’organigramma non dice nulla in merito all’accessibilità della conoscenza.”57 T.A. Stewart si riferisce alla mappa della conoscenza come ad una sorta di “Pagine gialle” aziendale. “Il sapere cresce con una rapidità tale che qualsiasi tentativo di codificarlo tutto fa ridere; invece, l’identità degli esperti interni alle aziende cambia lentamente. Nella vostra azienda c’è qualcuno che sa se il contratto con la ditta XYZ copre o meno i servizi di riparazione, o se un certo interruttore elettrico provoca guasti in paesi dove il voltaggio in rete è di 220. Ma chi è? Chi parla arabo? Chi sa qualcosa di fluorocarburi?”58 Relativamente alla codificazione e al trasferimento della conoscenza tacita, possiamo raccogliere due suggerimenti tra tutti: 1) le persone devono poter interagire: occorre dare spazio a confronti, sessioni di discussioni ma anche a momenti meno formali (anzi, Nonaka e Takeuchi sono più propensi a momenti decisamente non formali, ad esempio “bevute insieme” in orario extra lavorativo). 2) Valorizzare la narrazione (case-studies, ecc.). Anche riferendoci alla nostra personale esperienza possiamo affermare che le persone apprendono moltissimo dalle storie: “gli individui (…) pensano secondo una logica narrativa, piuttosto che argomentativa o paradigmatica”59 57 Cfr. T.H. Davenport, L. Prusak, op. cit. Cfr. T.A. Stewart, op. cit. 59 Cfr. T.H. Davenport, L. Prusak, op. cit. 58 50 Infine, raccogliamo alcune indicazioni pratiche dal testo di Nonaka e Takeuchi: “Presenteremo sette linee guida che il manager interessato a sviluppare un programma di creazione di conoscenza organizzativa può utilizzare nella sua azienda: 1) creare una vision di conoscenza: il top manager dovrebbe creare una vision di conoscenza e comunicarla entro l’organizzazione. Tale vision ha il compito di definire un campo o dominio in grado di dare ai membri dell’organizzazione una mappa mentale del mondo in cui vivono e un indirizzo generale circa il tipo di conoscenza da creare. La vision di conoscenza è analoga all’intenzione organizzativa e dovrebbe fungere da base alla formulazione della strategia dell’impresa, la cui essenza sta nello sviluppare la capacità organizzativa di acquisire, creare, accumulare e sfruttare il dominio di conoscenza. (…) 2) sviluppare un equipaggio per la creazione della conoscenza: (…) la creazione di conoscenza parte quindi dagli sforzi operati da singoli individui di convalidare o giustificare le loro credenze e il loro coinvolgimento nel compito che svolgono e nell’organizzazione in cui operano. A questo livello entrano in gioco anche prospettive e modelli mentali personali. La base della creazione di conoscenza e dell’innovazione va posta cioè in percezioni, intuizioni e indizi estremamente soggettivi. Per arricchire queste percezioni e intuizioni, l’organizzazione che crea conoscenza deve poter annoverare, nella gamma dei suoi talenti, una certa diversità. Essa rafforza la varietà minima richiesta, che abbiamo visto essere una delle condizioni facilitanti della creazione organizzativa di conoscenza. (…) 3) Costruire un campo di interazione ad alta densità a livello di front line: per favorire una mentalità personale e soggettiva fra i propri membri, l’organizzazione che crea conoscenza deve individuare uno spazio che renda possibile l’acquisizione di un’ampia gamma di esperienze originali. Abbiamo definito questo luogo con l’espressione campo ad alta densità. Con essa ci riferiamo ad un contesto in grado di consentire interazioni frequenti e intense fra i membri dell’equipaggio. (…) L’essenza del processo di creazione di conoscenza si determina allorché la conoscenza tacita viene convertita in conoscenza esplicita. (…) Il luogo in cui si innesca, attraverso la comunicazione e lo scambio, questo processo di conversione è il campo ad alta densità. E’ qui che i membri dell’organizzazione cominciano a costruire un linguaggio comune e a sincronizzare i loro ritmi mentali e fisici60. (…) 4) Gestire il processo di sviluppo di nuovi prodotti: (…) la creazione di conoscenza organizzativa è una sorta di derivato dello sviluppo di nuovi prodotti. La capacità effettiva di gestione del processo di sviluppo di nuovi prodotti diventa quindi il fattore cruciale del successo del processo organizzativo di creazione della conoscenza. 5) Adottare uno stile di management middle-up-down: (…) Una delle modalità a nostro avviso più efficaci di gestione del caos è il management middle-up-down. In questo modello, il top manager formula la vision o il sogno dell’organizzazione, mentre i dipendenti della linea guardano la realtà, nelle loro trincee. La distanza fra il sogno e la realtà viene in qualche modo colmata dai manager intermedi, che mediano fra i due livelli creando concetti di business e di prodotto a medio raggio. 60 Il paragrafo successivo illustrerà il concetto di “Ba”, parola giapponese malamente tradotta con place, cioè luogo. 51 Nel far ciò, essi sintetizzano la conoscenza tacita immagazzinata del vertice e della linea, la rendono esplicita e la incorporano in tecnologie, in prodotti e in programmi nuovi. 6) Passare ad un’organizzazione ipertestuale: (…) la struttura meglio capace di garantire l’acquisizione, l’accumulazione e lo sfruttamento della conoscenza è quella gerarchica, mentre la creazione di nuova conoscenza è più favorita da una struttura di tipo task force. La ricategorizzazione e la ricontestualizzazione delle conoscenza generata in entrambe le strutture richiede l’istituzione di un terzo livello, che abbiamo chiamato base di conoscenza. Esso non costituisce un’entità organizzativa reale, ma è incorporata nella vision, nella cultura e nella tecnologia organizzative. Vision e cultura rappresentano la conoscenza tacita, mentre la tecnologia rappresenta la conoscenza esplicita generata a livello gerarchico e di task force. … Convincere i manager più propensi a pensare in termini dualistici dell’opportunità di vedere la gerarchia e la task-force come termini complementari che non si escludono vicendevolmente rappresenta di per sé una sfida. 7) Costruire una rete di conoscenza del mondo esterno: (…) la creazione di conoscenza non consiste semplicemente nell’elaborazione di informazioni oggettive su clienti, fornitori, concorrenti, abbonati di rete, comunità locali ed enti governativi. Essa richiede altresì la capacità dei membri dell’equipaggio di mobilitare, attraverso l’interazione sociale, la conoscenza tacita immagazzinata da questi azionisti esterni. L’esplicitazione delle mappe mentali dei clienti è un tipico esempio di questa attività di mobilitazione Nel paragrafo 4.5 si cercherà di costruire una road map di gestione della conoscenza per Metrohm Italiana Srl, ma in genere per una PMI commerciale, che tenga contro dei suggerimenti raccolti dalla bibliografia presentata. 52 2.3.3 Gli spazi della conoscenza – Il concetto di Ba Il concetto di ba è stato originalmente proposto dal filosofo giapponese K. Nishida, ed è stato rielaborato da I. Nonaka e N. Konno61 al fine di ottenere un modello di creazione della conoscenza. Il ba può essere pensato come uno spazio condiviso per le relazioni; tale spazio può essere inteso in senso fisico (ufficio, sale riunioni, ecc.), virtuale (email, groupware, teleconferenze, ecc.), mentale (esperienze condivise, idee, ideali, ecc.) o come qualsiasi combinazione di questi aspetti. L’ “ideogramma in caratteri Kanji ne mostra la composizione in una parte destra, che significa ciò che rende possibile e rinvia al concetto yin-yang (la trasformazione permanente), e in una di sinistra, assimilabile alla terra, all’acqua bollente o a tutto ciò che si solleva o è sollevabile: un potenziale contro un motore, o ciò che imprime una direzione. Nella concezione di Kitaro Nishida, il ba è lo spazio nel quale soggetto e oggetto esistono contemporaneamente come aspetti relazionali di una medesima realtà de-sostanzializzata, e nel quale si realizza la conoscenza sotto forma di esperienza pura. Per il nostro tema, il ba è assimilabile al luogo di spazio-tempo dove gli individui (il potenziale), che si autocoinvolgono (il motore) tra di loro, sperimentano un’evoluzione qualitativa.”62 Da questa spiegazione si deduce l’immediato risvolto pratico di tale concetto: nei tre spazi elencati sopra si riconoscono gli spazi della normale attività quotidiana di una organizzazione. “Knowledge is embedded in ba (in these shared spaces), where it is then acquired through one’s own experience or reflections on the experiences of others. If knowledge is separated from ba, it turns into information, which can then be communicated independently from ba. Information resides in media and networks. It is tangible. In contrast, knowledge resides in ba. It is intangible. (…) Ba is the platform for the resource concentration of the organization’s knowledge assets and the intellectualizing capabilities within the knowledge creation process. Ba collects the applied knowledge of the area and integrates it. Thus, ba can be though of as being built from a foundation of knowledge.”63 Da queste riflessioni, emerge chiaramente la necessità, ai fini di una gestione della conoscenza, di concepire quest’ultima come uno spazio condiviso, di cui occorre prendersi cura per far emergere conoscenza in grado di creare valore. Si propone di suddividere le leve di intervento del Management in quattro aree principali64 : 61 Cfr. I. Nonaka, N. Konno, “The concept of Ba”, 1998, California management review, Vol. 40, no. 3 Cfr. D. Bugliolo, “KM-Appunti: 6. Il ba”, reperibile on-line all’indirizzo http://www.aidainformazioni.it/pub/kmappunti42003.html 63 Cfr. I. Nonaka, N. Konno, op. cit. 64 Cfr. D. Pagani, Seminario di Knowledge Management, 2003, Politecnico di Milano 62 53 1) spazi organizzativi. Abbiamo già sottolineato che il modello organizzativo “comando e controllo” non è più adeguato per superare le sfide di competitività a livello globale: le organizzazioni di successo stanno via via sempre più costruendo il proprio vantaggio competitivo mediante una strategia di minor controllo e maggior apprendimento (creazione e condivisione di conoscenza). In questo contesto, il Management deve riconoscere che l’avvio di un percorso di Knowledge Management non è sufficiente a garantire che le risorse umane modifichino i propri comportamento di condivisione di conoscenza. Se, come è stato evidenziato precedentemente, il mercato della conoscenza ha una sua dinamica ed evoluzione, questa deve essere tenuta in considerazione e il modello delle comunità di pratica è una possibile indicazione da seguire al fine di assicurare la motivazione degli individui alla condivisione della conoscenza. Parimenti, si potranno inserire nell’organigramma i nuovi ruoli organizzativi dedicati alla gestione della conoscenza (Chief Knowledge Officer, Chief Learning Officer, Knowledge Manager, ecc.), sebbene stia progressivamente maturando la coscienza che questi ruoli funzionino meglio quando ricoperti (magari a rotazione) da persone normalmente impegnate nel core business aziendale. 2) Spazi fisici. Raramente lo spazio fisico di una organizzazione è pensato in un’ottica che possa favorire lo scambio di conoscenza tra gli individui. Tuttavia, proprio per la caratteristica di pervasività che lo spazio fisico possiede in ogni attività umana è bene tenerne conto, sebbene in moltissimi casi i knowldege workers abbiano come ufficio la propria casa65 o la propria automobile. Teoricamente parlando, nell’ipotetico progetto architettonico di un ufficio sarebbe opportuno tenere presenti almeno quattro ambienti: - gli spazi individuali, che ormai sempre più spesso sono costituiti da open space composti da cubicles (unità scrivania-cassettiera con separazioni visive ma non acustiche); - gli spazi per il lavoro “nomade”, utilizzati dagli individui dotati di computer portatile e telefono o di terminale dati mobile, che si spostano ovunque; una telefonata, che potrebbe portare disturbo agli occupanti dei cubicles vicini, potrà essere allora effettuata in un phone kiosk; se dovranno concentrarsi e isolarsi acusticamente, andranno in un think booth e, tra una riunione e l’altra, staranno in uno spazio touch down per leggere la posta elettronica; - gli spazi collaborativi, oltre alle classiche sale riunioni, possono essere costituiti da apposite stanze, opportunamente dimensionate per team che lavorano ad un progetto 65 Il diffondersi dei prodotti SOHO – small office home office – è l’evidenza consumistica di tale osservazione. 54 comune, nelle quali gli individui possano coordinarsi e collaborare; interessante è il sistema di Capgemini denominato ASE (Accelerated Solution Environment), uno spazio totalmente riconfigurabile, completo di vari strumenti di supporto, tecnologici e non;66 - gli spazi informali, poiché il riconoscimento del ruolo dei processi di socializzazione restituisce dignità ai luoghi fisici di interazione informale (ad esempio salotti, magari dotati di sistemi di videoconferenza per collegarsi ad altri). 3) Spazi cognitivi. Oltre alla già citata knowledge map, possiamo elencare, come mezzi per la classificazione delle conoscenze esplicite, le tecniche tradizionali di archivio, potenziate dalle tecnologie ICT, in cui un ulteriore aiuto alla catalogazione avviene mediante l’utilizzo di metadati (ad es. tipo di supporto, grandezza, ecc.). I metadati descrittivi possono essere di tipo libero o controllato, ricorrendo a keywords o ricercando una particolare tassonomia: ambedue le tecniche permettono il superamento delle inefficienze della ricerca free-text, individuando sinonimi o presentando concetti non nominati espressamente. knowledge mapping classificazione dei contenuti classificazione dei contenuti controllo degli accessi e della qualità Mappatura dei contenuti di conoscenza esplicita (home page, site map, ecc.), conoscenza tacita (“chi sa che cosa”) Rappresentazione grafica e navigazione delle mappe Interni / esterni granularità dei contenuti filtro centralizzato o distribuito templates e formati standard gestione dei contenuti generati metadati keywords linee guida tassonomia Infrastruttura (software di content-management, document management, information access, collaboration, ecc.) Figura 2.9: Progettazione degli spazi cognitivi Rientrano in questa categoria le sessioni di esercitazioni del tipo learning by doing e le sessioni di brain-storming; 66 Cfr. http://www.capgemini.com/ase 55 4) Spazi virtuali. L’ICT consente di supportare la gestione delle conoscenze esplicite e tacite, sia consentendo la ricerca, la classificazione, l’elaborazione e la comunicazione (quindi, potenziando gli spazi cognitivi), sia supportando la comunicazione e l’interazione tra individui distanti nel tempo e nello spazio (quindi, potenziano gli spazi fisici e organizzativi). Appartengono a questo gruppo gli strumenti per archiviare67, condividere, comunicare o anche sistemi di elearning. BASE SHARE MAP document & content repository group-ware & community-ware domain & competence mapping PUSH PULL LEARN & SIMULATE desktop presence searching & mining acquire experience Figura 2.10: Framework funzionale delle tecnologie per il supporto del KM 2.3.4 Il modello delle comunità di pratica68 Il modello delle comunità di pratica è nato alla fine degli anni ottanta come teoria sociale dell’apprendimento basata su estesi studi etnografici69. Negli ultimi anni è stato applicato al business ed è diventato uno dei modelli più usati nella gestione della conoscenza, con decine di casi aziendali in vari settori industriali. E. Wenger le definisce come gruppi di persone legate 67 Si può distinguerne il funzionamento tra strumenti di tipo “pull”, ad esempio sistemi di ricerca in database, forum, link sulla knowledge map, e strumenti di tipo “push”, che prevedono, previa l’indicazione di un particolare interesse, di essere aggiornati qualora una conoscenza relativa diventi disponibile (ad. esempio le mailing-list). 68 Ampio contributo a questo paragrafo è dato da D. Pagani, Seminario di Knowledge Management, Politecnico di Milano, 2003 69 Cfr. J. Lave, E. Wenger, “Situated learning : Legitimate Peripheral Participation”, 1991, Cambridge University 56 informalmente da una expertise condivisa e dalla passione per un’impresa comune70. In altre sue parole: “Communities of practice are groups of people who share a concern or a passion for something they do and learn how to do it better as they interact regularly”71 La concezione tradizionale di apprendimento si basa sul travaso di conoscenza di “chi sa” a “chi non sa”; in questa concezione, la conoscenza è un oggetto che esiste indipendentemente da chi lo trasmette, da chi riceve e dalla situazione in cui viene appresa ed applicata. La teoria dell’apprendimento di Wenger si basa su quattro assunti che scardinano questa visione: 1) l’apprendimento è un fenomeno sociale: non si impara nel vuoto, bensì all’interno di una fitta trama di relazioni sociali; 2) l’apprendimento si manifesta nell’azione competente per obiettivi di cui è riconosciuto il valore: non esiste conoscenza senza un contesto di azione; 3) l’apprendimento è un processo di partecipazione del singolo alle pratiche di una comunità per raggiungere obiettivi di cui è riconosciuto il valore e che caratterizzano l’identità della comunità; 4) l’apprendimento è, in ultima istanza, la capacità di produrre significato, ovvero l’abilità di interpretare le situazioni reali del mondo dando ad esso un senso. Il risultato di quanto detto è che l’apprendimento viene visto non come un travaso di conoscenza, bensì come un processo sociale di partecipazione, laddove “partecipazione” implica non solo l’interazione con altre persone nello svolgere certe azioni, ma anche l’assimilazione delle pratiche della comunità e l’identificazione nella comunità. In questo senso, una comunità di pratica si caratterizza per i seguenti tre attributi distintivi: 1) Impegno reciproco. La pratica non esiste in astratto, nei manuali o negli strumenti, ma solo perché i membri della comunità sono impegnati in azioni di cui negoziano reciprocamente i significati. Per appartenere ad una comunità di pratica non basta che i membri abbiano una categoria sociale in comune, si conoscano fra di loro in una rete di relazioni personali o che siano fisicamente vicini. L’appartenenza richiede un impegno reciproco nel condividere azioni e negoziarne significati da cui scaturisce la pratica comune. L’appartenenza alla comunità non richiede 70 Cfr. E. Wenger, W. Snyder, “Communities of practices: the organizational frontier”, Jan-Feb 2000, Harward Business Review 71 Cfr. http://www.ewenger.com/theory/ 57 omogeneità dei membri, anzi la diversità è proprio uno stimolo alla negoziazione di punti di vista eterogenei per costruire significati condivisi. 2) Iniziativa comune. Si tratta dello sforzo per elaborare un’identità comune rispetto ad obiettivi di apprendimento e di crescita della conoscenza. La qualità di una comunità si misura sulla sua capacità di riconoscersi attorno a pratiche e saperi distintivi, che i membri della comunità si impegnano ad alimentare e a rinnovare in modo sistematico. 3) Repertorio condiviso di conoscenze e di routines. Le interazioni e negoziazioni volte all’iniziativa comune sedimentano nel tempo un repertorio condiviso di conoscenze, strumenti, artefatti, forme verbali gergali, routines, atteggiamenti, credenze, ecc. che costituiscono un elemento essenziale della comunità dal momento che ne custodiscono la memoria. Alcune comunità si incontrano regolarmente faccia-a-faccia, altre si mantengono in contatto a distanza mediante posta elettronica e altri media digitali. Alcune comunità sono completamente spontanee, altre si danno un’agenda di obiettivi che gestiscono in modo flessibile. In ogni caso, i membri di una comunità di pratica condividono le proprie esperienze e la propria conoscenza in modi liberi e creativi che stimolano lo sviluppo di nuovi approcci alla risoluzione dei problemi comuni della comunità. Una varietà di casi aziendali in diversi settori industriali ha dimostrato che le comunità di pratica migliorano le prestazioni organizzative in vari modi: sviluppare la strategia aziendale, generare nuove linee di business, risolvere problemi complessi, promuovere la diffusione di best practices, sviluppare competenze professionali delle risorse umane, attirare e trattenere talenti. In tutti questi casi aziendali, le comunità di pratica rendono possibile la creazione e la condivisione di conoscenza superando sia le barriere organizzative fra dipartimenti e unità organizzative, sia i confini dell’impresa coinvolgendo clienti, fornitori, distributori, ecc. A proposito della comunità di pratica, T.A. Stewart afferma che: “(…) forse la caratteristica più affascinante delle comunità di pratica è che risponde soltanto ad essa: non ha proprietari. E’ come un’associazione professionale: è formata da persone che si mettono insieme e ci restano perché hanno qualcosa da imparare e un contributo da dare. Il suo lavoro è proprietà comune e privata del gruppo: è cosa nostra. Queste caratteristiche assegnano alle comunità di pratica un posto particolare nell’ecologia dell’organizzazione informale. I gruppi di progetto e le squadre di lavoro hanno uno statuto e riferiscono ad una autorità superiore. Anche se a loro non corrisponde una casella nell’organigramma, hanno un piano, una scadenza, sono responsabili davanti a qualcuno, hanno un elenco dei membri. 58 Invece la comunità di pratica si costituisce su base volontaria, vive più a lungo e non produce un bene specifico come un rapporto o un nuovo prodotto. (…) Le comunità di pratica svolgono due grandi compiti di formazione del capitale umano: il trasferimento della conoscenza e l’innovazione. (…) (…) pongono una sfida (…): da questi gruppi, spesso invisibili, dipende l’apprendimento in seno a un’organizzazione. Eppure, sono praticamente incompatibili con la gestione intesa in senso tradizionale, anzi, cercare di gestirli può voler dire ucciderli. (…) Ora, anche se non sono capaci di gestire una comunità di pratica, i manager possono comunque aiutarla nel suo lavoro: (…)riconoscendone l’esistenza e l’importanza, (…), assegnando loro le risorse necessarie” Per un esempio significativo di comunità di pratica, può essere utile il riferimento al caso dei tecnici di manutenzione di Xerox, di cui esistono numerosi resoconti72. Le comunità di pratica sono sempre esistite, non solo sul luogo di lavoro; la novità è che le comunità di pratica sono entrate nel linguaggio aziendale come un nuovo meccanismo organizzativo, che si affianca ad altre forme organizzative e sociali ben note quali team di progetto, gruppi di lavoro formali e network informali di colleghi e conoscenti. Comunità di pratica Obiettivo Membri Sviluppare le competenze e capacità dei membri; creare e condividere conoscenza Membri che si autoselezionano Produrre un servizio o un Gruppi di prodotto lavoro formali Team di progetto Portare a termine un compito specifico Network informale Raccogliere e scambiare informazioni di business Tutti coloro che riportano al manager del gruppo Motivo di Durata temporale aggregazione Passione, impegno e identificazione con Finché c’è interesse le competenze della nel tema comunità Incarico organizzativo e obiettivi comuni Dipendenti nominati Obiettivi e scadenze Finché il progetto dal management del progetto non verrà terminato Amici e conoscenti di lavoro Bisogni reciproci Tabella 2.2: Caratterizzazione delle comunità di pratica 72 Fino alla prossima riorganizzazione Si veda ad esempio S. Micelli, “Imprese, reti e comunità virtuali”, 2000, Etas 59 Finché le persone hanno un motivo per tenersi in contatto 2.4 La conoscenza e il Capitale Intellettuale Il capitale intellettuale è un argomento di crescente interesse per le aziende per le quali il profitto deriva prevalentemente dall’innovazione dalla conoscenza. Esempio di queste aziende sono Microsoft, Google, Ebay, Glaxo, Pfizer, ecc. Per molte di queste imprese il valore di mercato è maggiore del valore di libro: il valore di avviamento a volte ne costituisce la parte preponderante. Il valore di queste aziende è maggiore delle loro risorse finanziarie e dei beni mobili e immobili: risiede nella loro abilità di convertire la conoscenza in profitto. Ad esempio, per McDonald’s, Nike, e aziende simili il più grande valore è senza dubbio il brand e la loro rete di vendita.73 Dopo aver quindi parlato della gestione della conoscenza, affrontiamo ora il frutto di una attenta gestione della conoscenza: il capitale intellettuale. 2.4.1 Definizione di capitale intellettuale Quando il mercato azionario valuta le imprese in misura maggiore del valore contabile (di libro) del loro patrimonio, afferma una verità semplice ma profonda: i valori classici (capitali mobili e immobili) di un’azienda della conoscenza contribuiscono in modo molte volte marginale rispetto a quanto non vi contribuisca il suo patrimonio intangibile (cioè non materiale): il talento dei dipendenti, l’efficienza dei sistemi di gestione, la natura del rapporto con i clienti e la qualità dei beni e prodotti da essi percepita, che insieme costituiscono il suo capitale intellettuale. L’attenzione sul capitale intellettuale è stata accesa da T.A. Stewart in una serie di articoli sulla rivista Fortune nei primi anni ’90: egli focalizzò l’attenzione su come le aziende creano valore mediante le capacità intellettuali dei loro dipendenti (brainpower); nella sua già citata opera “Intellectual Capital – The new wealt of organization”, egli ampia tale ricerca, fornendo suggerimenti e indicazioni al fine di cogliere la giusta dimensione dell’importanza di tale concetto. Riprendendo le definizioni di D. Klein e L. Prusak, egli afferma che: “L’intelligenza diventa un capitale quando da un brainpower libero si ricava un certo ordine utile, vale a dire quando a esso viene data una forma coerente (una mailing list, un database, la scaletta di una riunione, la descrizione di un processo); quando esso viene incapsulato in modo tale da consentire di descriverlo, comunicarlo ad altri sfruttarlo; e quando può essere applicato per fare qualche cosa che non si potrebbe fare se rimanesse sparpagliato come tante monetine in un rigagnolo. Il capitale intellettuale è sapere utile confezionato.”74 73 Alcuni autori condannano l’intenzione di alcune ditte, tra le citate, di eliminare completamente dai loro assets le fabbriche, a tutto vantaggio dell’immagine e della redditività aziendale. Cfr. N. Klein,“No Logo”, 2000, Baldini e Castoldi 74 Cfr. T.A. Stewart, “Il capitale intellettuale”, 1999, Ponte alle Grazie. 60 Anche Patric H. Sullivan dà una definizione simile: “Intellectual capital may be though of simply as knowledge that can be converted into profits”75 Il termine che descrive l’azienda attenta al capitale intellettuale è “azienda della conoscenza”, oppure “azienda basata sulla conoscenza”. Queste aziende possono usare la loro conoscenza incapsulata nei prodotti venduti o la conoscenza del mercato di questi per ottenere vantaggio sulla concorrenza. Al di là delle differenziazioni ontologiche e epistemologiche analizzate precedentemente, la figura seguente suggerisce, in prima approssimazione, cosa si intende per capitale intellettuale, evidenziandone le parti costitutive76: Invenzioni Dati Tecnologie Abilità Idee Processi Conoscenze Creatività Software Pubblicazioni Progetti Intenzioni Figura 2.11: Il capitale intellettuale In questa figura ritroviamo tutte le espressioni della Conoscenza analizzate precedentemente, nelle sue forma tacite o esplicite, personali o di organizzazione. 75 76 Cfr. P.H. Sullivan, “Profiting from intellectual capital”, 1998, Wiley Ibidem. 61 2.4.2 Modelli per il capitale intellettuale Per poter meglio capire la differenza che porta il valore di mercato di una azienda ad essere anche cinque o dieci volte il valore contabile, possiamo rifarci al modello di bilancio per una impresa basata sulla Conoscenza proposto da Sveiby77: Figura 2.12: Il bilancio per una impresa basata sulla Conoscenza Secondo Sveiby esistono tre tipi di assest (beni) intangibili: 1) La struttura esterna: include le relazioni con i clienti e i fornitori, e in generale con tutti gli stakeholders dell’impresa. Racchiude anche i marchi registrati, i brand e la reputazione (o immagine) dell’azienda. Alcuni di questi elementi possono essere considerati come proprietà a tutti gli effetti (e questi sono effettivamente registrati a bilancio), ma posseggono differenti gradi di rischio: ad esempio, gli investimenti in strutture esterne non possono essere fatti con lo stesso grado di confidenza degli investimenti nelle strutture interne. Il valore di questi è determinato per la maggior parte dalla capacità dell’azienda di risolvere i problemi dei clienti e ciò riserva un certo grado di incertezza a tale valore – reputazione e relazioni cambiano con il tempo. 2) La struttura interna: include brevetti, concetti, modelli, sistemi amministrativi e sistemi ICT78. Questi elementi sono creati dagli impiegati e sono di proprietà dell’organizzazione. A 77 Cfr. K.E. Sveiby, “The new organizational wealth”, 1997, Berrett-Koehler Publisher, Inc. 62 volte possono però essere acquisiti da altri. La decisione di investire in questi elementi può essere effettuata con un grado di incertezza minore del precedente, poiché si tratta di una “elaborazione interna” della struttura già esistente. 3) La competenza degli impiegati: è la capacità di agire in una vasta gamma di situazioni in modo da creare attivi patrimoniali visibili o invisibili79. Tale competenza deve necessariamente essere elencata nei beni dell’azienda in quanto non può ovviamente esistere un’azienda senza persone. Queste ultime tendono a comportarsi lealmente se, a loro volta, sono trattate in tal modo: tendono così a sviluppare una sorta di senso di appartenenza. La ricompensa è molte volte non solo remunerativa, ma può includere benefits di vario genere. La struttura interna e le persone costituiscono ciò che viene generalmente definito organizzazione. I beni visibili rappresentati nel modello sono quelli classici della contabilità: la liquidità, i crediti da cliente, i beni immobili. Dal punto di vista finanziario, questo modello accosta ai finanziamenti “a bilancio” (quali i debiti a corto-medio termini, quelli a lungo termine e al capitale sociale) quelli che permettono il finanziamento dei beni invisibili (il capitale sociale invisibile, inteso come la voglia e la capacità delle persone di attivarsi per la creazione di valore, cioè la capacità di finanziamento dei beni invisibili – e questo è, secondo Sveiby, la differenza tra il valore di mercato e il valore di libro – e le obbligazioni o impegni verso le risorse umane, ad esempio accordi “paracadute” o pensioni integrative.). 78 Qui non si intende l’insieme hardware e software, ma bensì lo “stato” del sistema con tutti i suoi dati e le sue procedure personalizzate. 79 E’ interessante osservare come T.A. Stewart, nell’opera precedentemente citata, riconosce che il capitale umano non potrà mai appartenere all’impresa, in quanto: “si possono affittare le persone ma non si può esserne proprietari … la cessione della proprietà del capitale umano a un’azienda deve essere volontaria. C’è un modo rapido ma non semplice di farlo: creare un senso di proprietà incrociata fra azienda e dipendente … al cuore dell’organizzazione dell’era dell’informazione, vi è dunque un paradosso: i datori di lavoro hanno allentato i vincoli della sicurezza del posto di lavoro e della fedeltà all’azienda, e al tempo stesso dipendono più che mai dal capitale umano. … Paradossalmente, è riconoscendo la proprietà virtuale da parte del dipendente nei sistemi retributivi e organizzativi che le aziende possono proteggere la loro quota d’interesse nel loro stesso patrimonio intellettuale. Naturalmente le aziende compensano il capitale umano pagando un salario maggiore ai dipendenti dotati di esperienza” 63 Il valore di mercato di una azienda può essere allora scomposto secondo la figura seguente: Intangible assets (stock price premium) Visibile equity (book value: tangibile assets minus visibile debts.) External structure (brands, customer and supplier relations) Internal structure (the organization: management, legal structure, manual system, attitudes, R&D, software) Individual competence (education, experience) Tabella 2.3: Il valore di mercato di un’azienda basata sulla Conoscenza secondo K.E. Sveiby Simile a questo schema, il modello di valore di mercato proposto dalla società finanziaria e assicurativa svedese Skandia AFS è il seguente: Figura 2.13: Modello di valore di mercato di una società basata sulla Conoscenza proposto da Skandia AFS. E’ possibile elencare alcune definizioni che meglio permettono di comprendere i vari tipi di capitali oggetto della gestione del capitale intellettuale80: - capitale umano: è un modo che molti teorici del IC usano per definire la componente umana di una azienda, ponendo specifica attenzione alla conoscenza posseduta dal 80 Cfr. M.L.W. Hall, “The confusion of the capitals: surveying the cluttered landscape of Intellectual Capitals and terminology”, in P.H. Sullivan, op. cit. 64 singolo o da gruppi all’interno di essa. In genere, è la parte di capitale intellettuale dove è necessario spendere molte risorse affinché l’azienda possa affermare di gestire “bene” il capitale intellettuale; - capitale culturale: strettamente legato al precedente, è l’ambiente interno di una organizzazione che include le possibilità di comunicazione tra individui e gruppi, i loro valori e le loro vision. - capitale clienti: è l’area di capitale intellettuale alla quale appartengono i clienti e le relazioni tra clienti e azienda, intendendo per appartenenza il riconoscimento da parte dei clienti del valore dell’azienda stessa (immagine, reputazione, ecc.). In quest’area il marketing e la gestione del capitale intellettuale coesistono. Inoltre, alcuni studiosi di IC comprendono in quest’ambito anche il cosiddetto “stakeholder capital”, allargandone così i confini sino a considerare come clienti anche i fornitori propriamente detti, i dipendenti e, in generale, chiunque abbia interessi collegati all’azienda; - capitale organizzativo: è il capitale insito nel modo in cui una azienda si organizza – nelle sue strutture, procedure, persone – al fine di ottenere il meglio relativamente alla situazione esterna (ad esempio la situazione di mercato); 2.4.3 Misura del capitale intellettuale In questo paragrafo si presentano i suggerimenti di K.E. Sveiby per misurare le componenti del capitale intellettuale e dei beni da esso prodotti in una knowledge company81; l’autore in parola propone di affiancare ai tradizionali parametri finanziari anche una serie di indicatori nonfinanziari, in quanto afferma che: a) gli indicatori usati sinora sono adeguati per le imprese che basano il loro fatturato essenzialmente sulla produzione di beni materiali; poiché sono sempre di più le imprese che basano il loro profitto sull’erogazione di servizi, può rendersi necessario avere altri metodi di misura per gli investimenti in R&D o in altre tipologie di assets intangibili; b) gli indicatori finanziari sono di poca utilità pratica per il Management dell’azienda: i flussi della conoscenza e i beni intangibili sono essenzialmente caratteristiche non-finanziarie; Sveiby riconosce tuttavia una certa difficoltà nell’interpretare gli indicatori, soprattutto per la grande quantità in cui possono essere prodotti. 81 Cfr. K.E. Sveiby, op. cit. 65 Al fine di proporre una misura per le tre componenti degli intangible assets, sono necessari due passi propedeutici: - stabilire l’uso che si vuole fare della misura (ad esempio, chi la utilizzerà e per che cosa): la misura potrà essere utilizzata per rappresentare internamente (ai managers) ed esternamente (ai clienti e agli altri stakeholder della società). Ciascuna di queste rappresentazioni, più attente ai vari trend di valori le prime, più attente al livello le seconde, dovrà comunque avere un termine di confronto per risultare significativa (ad esempio, le misurazioni effettuate su un’altra azienda simile o sull’anno precedente della medesima) - classificare i vari gruppi di impiegati sotto ciascuna delle tre componenti. Si suddividono i collaboratori in due gruppi: i professionals (cioè coloro i quali pianificano, producono, processano prodotti o soluzioni strettamente collegati con l’attività aziendale esterna) e i membri dello staff di supporto (amministrativi, segretarie, ecc.). Personale professional non dipendente (ad esempio gli ex co.co.co.) andrà considerato solo per le misure della struttura esterna, per via del suo impatto con la produzione, ma non per le misure della struttura interna, uniformandosi così alla prevalenza delle statistiche che distinguono tra dipendenti assunti e collaboratori. Personale che svolge attività mista sarà computato con la frazione di tempo corrispondente. Suddiviso a sua volta il gruppo dei professionals in base ai ruoli, si potranno, ad esempio, calcolare i seguenti indici (# indica il numero di persone appartenenti al gruppo): Indicatore Formula rapporto staff/professionals #staff / #professionals rapporto fatturato/professionals fatturato / #professionals rapporto fatturato/staff fatturato / #staff rapporto dirigenti/professionals #dirigenti / #professionals profitto per professional profitto / #professionals Tabella 2.4: Alcuni indicatori per i collaboratori Come accennato sopra, per avere un giudizio dell’andamento della società occorrerà confrontare questi valori con quelli ottenuti nell’analisi del periodo precedente per la medesima società o per una società concorrente. Per ciascuna delle tre componenti si daranno parametri per valutarne l’ampiezza, l’efficienza e la stabilità. 66 1) Misura della competenza: la competenza dei collaboratori non è solo uno dei tre beni intangibili, ma è anche sorgente della struttura interna ed esterna. Come accennato prima, ci riferiamo alla competenza come competenza dei professionals. Circa la misura della competenza, si possono suggerire i seguenti parametri: - numero di anni nella professione: è un semplice indicatore, sebbene strettamente parlando non sia possibile sommare gli anni di anzianità tra le persone; tuttavia, nel totale del gruppo, le differenze si assottigliano. Infatti, se il numero totale di anni nella professione indica il livello della competenza posseduta dall’azienda, l’anzianità nel ruolo di ciascun collaboratore è un indice altrettanto importante. Questi valori possono essere tracciati su un grafico con tre o cinque livelli che, confrontato con quello dell’anno precedente, da’ un’indicazione dell’andamento della competenza. - livello di istruzione: il livello formale di istruzione è un valido indicatore, in quanto gli studenti universitari sono in genere preparati a processare un vasto numero di informazioni. Solitamente, il livello di istruzione è suddiviso in tre fasce: primario, secondario e terzario. Anche il computo degli anni di studio può essere utilmente impiegato per valutare il livello di istruzione, e può essere vantaggioso rifarsi anche alle cosiddette “certificazioni”, ad esempio in tema di gestione o utilizzo di strumenti di Information Technology82. - costi di training e di aggiornamento: viene sommato quanto annualmente viene speso dall’azienda per accrescere la competenza dei collaboratori o per il loro aggiornamento professionale. - assegnazione di voti al personale: i responsabili valutano i loro collaboratori in una scala, ad esempio, di cinque gradi; è un metodo che può essere usato con successo in imprese di medio-grandi dimensioni. Questi voti possono essere successivamente analizzati statisticamente. - valutazione del turnover: se gli indicatori sopra suggeriti sono calcolati per i nuovi assunti e per i dimissionari, e quindi ne viene fatto il rapporto, si ha una indicazione del turnover per ciascuno di essi. - valutazione della competenza assorbita dal cliente: poiché molti knowledge worker lavorano a contatto con i clienti, può essere interessante valutare quanta competenza deriva da questa attività, ad esempio registrando il numero di ore di lavoro presso il cliente, il numero di visite, ecc. 82 Ad esempio, le certificazioni Microsoft, per Linux o quelle relative alla Patente Europea di utilizzo del Computer. 67 Riguardo all’efficienza si suggeriscono i seguenti parametri: - proporzione del numero dei professionals nell’azienda: cioè il rapporto tra il numero dei professionals e il numero dei collaboratori totali nell’azienda. Questo indice è però significativo solo se usato per confrontarsi con altre aziende che operano nel medesimo settore, in quanto settori diversi richiedono una frazione di professionals diversi (ad esempio, una azienda di trasporti richiederà presumibilmente meno professionals di uno studio di consulenza software.) - l’effetto influenza (leverage effect) aiuta a stimare la relazione che sussiste tra reddito di una azienda e i professionals assunti. Per il calcolo ci si può rifare alla formula seguente: profitto per professional = profitto reddito # ( professional + esterni) * * reddito # ( professional + esterni) # professional ciò significa che l’indicatore di efficienza profitto per professional è il prodotto di tre indicatori: l’efficienza delle vendite, l’efficienza del personale e il cosiddetto leverage indicator. - valore aggiunto per professional: definendo il valore aggiunto – in un esercizio economico – come la differenza tra i ricavi e i costi, è quindi possibile calcolare questo parametro dividendo l’importo del valore aggiunto per il numero di professional. Riguardo alla misura della stabilità, i parametri suggeriti sono i seguenti: - l’età media: un’organizzazione con professionals di età media più elevata è presumibilmente più stabile di una avente professionals con età media inferiore; è anche un indicatore di dinamicità: una età media elevata indica più una tendenza alla riflessione che alla reazione. Un aumento costante dell’età media di una organizzazione è però un segnale di allarme e il Management dovrebbe vigilare su questo: molte volte, un arresto nella crescita di un’organizzazione provoca un immediato aumento dell’età media. - l’anzianità, definita come il numero di anni trascorsi in una organizzazione. Un alto valore per i professionals indica una certa stabilità della competenza. Un alto valore per gli amministratori indica una certa stabilità della struttura interna. - confronto con le retribuzioni dei professionals con altre aziende del settore: solitamente espresso in indice (ad esempio, da 95 a 105), questo è un parametro di grande importanza 68 poiché permette di confrontare i costi del personale con quelli dei concorrenti e da’ un’indicazione del desiderio di un professional al cambio di lavoro. - turnover del personale professional: calcolato come rapporto tra il numero di coloro che lasciano l’azienda (turnover esterno) o cambiano mansione (turnover interno) e il numero di professionals all’inizio dell’anno, è un indicatore importante della stabilità della competenza: un elevato turnover indica solitamente una insoddisfazione del personale e può essere utilizzato come indicatore della dinamicità dell’azienda. 2) Misura della struttura interna: l’attività principale degli impiegati che lavorano nell’amministrazione, nella contabilità, nell’ufficio personale, segreterie, manutenzione sistemi informativi, ecc. è il mantenimento della struttura interna. Circa la misura della struttura interna, si possono suggerire i seguenti paramenti: - investimento nella struttura interna: spesso considerato un mero costo, si esprime come rapporto tra quanto investito in beni o strutture interne e il totale del fatturato, o meglio, del valore aggiunto, su base annuale. - investimenti nel settore ICT: si può considerare il rapporto tra quanto investito in sistemi ICT e il fatturato, oppure il numero di PC per collaboratore, ecc. Riguardo all’efficienza si suggeriscono i seguenti parametri: - la proporzione dello staff di supporto: rapporto tra il numero di persone di supporto e il numero totale dei collaboratori. Una variazione di questo indice suggerisce una variazione nell’efficienza della struttura interna. - fatturato rispetto al supporto: rapporto tra il fatturato e il numero delle persone di supporto. - misure sull’ambiente lavorativo, si intende con ciò il giudizio che i collaboratori hanno del lavoro, dell’ambiente di lavoro, dei colleghi e dei superiori. Se questi giudizi sono positivi, i collaboratori contribuiscono consciamente, o più spesso inconsciamente, ad una buona reputazione dell’azienda verso i propri stakeholder, primi tra tutti i clienti. L’ascolto da parte del Management attraverso il dialogo o mediante sondaggi anonimi può portare ad indici, magari non direttamente numerici, ma altrettanto importanti83. 83 Con grande vantaggio per i collaboratori stessi. 69 Riguardo alla stabilità i parametri suggeriti sono i seguenti: - età media: come detto sopra, l’età media è un indice molto importante per la valutazione della stabilità di un valore intangibile - turnover dello staff di supporto: poiché lo scopo del supporto è quello di mantenere la struttura interna, un basso tasso di turnover (rapporto tra il numero di dimissionari e il numero totale del gruppo) è molto importante. - il tasso recluta (rookie ratio): complementare alla misura dell’anzianità, è inteso come il rapporto tra il numero di collaboratori aventi meno di due anni di anzianità nel ruolo e il numero totale dei collaboratori. Solitamente, coloro che appartengono a questo gruppo sono meno efficienti degli altri poiché non si sono ancora completamente inseriti nella struttura (tradizione) aziendale. Quindi, un elevato valore per il rookie ratio è indice di bassa stabilità e bassa efficienza. 3) Misura della struttura esterna: la struttura esterna include il marchio, l’immagine, le relazioni con i fornitori ma soprattutto le relazioni con i clienti. Tutto il tempo che i collaboratori passano lavorando per i clienti è impiegato per mantenere, creare e sviluppare relazioni con essi. I professionals spendono, in genere, gran parte del loro tempo con i clienti. Se tutti i clienti generassero profitti e aiutassero anche lo sviluppo di competenze, di immagine, ecc., allora l’azienda avrebbe davvero successo. Ma naturalmente non è così: conseguentemente, prima di procedere alla misura dei tre parametri, i clienti devono essere segmentati, cioè suddivisi in varie categorie. Per far ciò, oltre ai tradizionali parametri di segmentazione (percentuale di ciascuno sul fatturato totale dell’azienda o sul parziale per prodotto, percentuale sul profitto totale, capacità di solvibilità, ecc.), è conveniente affiancare una segmentazione basata su criteri non finanziari. Prendendo spunto da PLS-Consult, ora Rambøll Management, una società di consulenza aziendale danese, K.E. Sveiby suggerisce di suddividere i clienti in quattro categorie, ciascuna con tre livelli di valutazione (“molto”, “medio”, “poco”): a) clienti redditizi; b) clienti che contribuiscono all’immagine, alle referenze: sono clienti che possono agire come opinion leader del mercato o clienti particolarmente soddisfatti dell’attività del fornitore; c) clienti che richiedono grossi progetti, attività stimolanti o educative per il fornitore: sono i clienti più preziosi dal punto di vista di acquisizione, da parte dell’azienda, di nuova conoscenza; 70 d) simili ai precedenti, sono clienti che possono incrementare la competenza individuale dei professionals dell’azienda: tipicamente, sono clienti di piccole dimensioni seguiti da uno o al più due professionals. Fatta questa analisi preliminare, che schiude e meglio caratterizza la specificità del parco clienti, è possibile procedere alla misura delle tre quantità. Circa la misura del livello della struttura esterna, si possono suggerire i seguenti paramenti: - redditività per cliente: questa analisi può dare risultati spaventosi, ad esempio scoprendo che in un periodo di esercizio solo il 20% del parco clienti genera reddito (solitamente si analizza il reddito per prodotto o per segmento di mercato); - crescita per acquisizioni di altre società: se l’azienda acquisisce altre società, allora è bene tener presente quanto questa azione contribuisca alla crescita della struttura esterna, al fine di suddividerne i contributi e isolare i dati relativi al prima e dopo l’acquisizione. Per la misura di efficienza si possono considerare: - indici di soddisfazione del cliente: è il miglior indicatore per stabilire se i risultati ottenuti aumentano o diminuiscono il livello di soddisfazione del cliente. Anche se le indagini in questo senso sono primariamente utilizzate nell’ambito del marketing, questi dati possono essere interessanti anche ai fini di una analisi finanziaria dell’azienda. Per avere una serie temporale di riferimento, tali indagini devono essere ripetute ad intervalli regolari; - indice di win/loss: se una grande parte del business dell’azienda proviene dal meccanismo di offerta di servizio e accettazione da parte del cliente, un semplice indice è il calcolo della percentuale del numero delle offerte andate a buon fine rispetto al numero totale delle offerte effettuate (e, soprattutto in caso di grosse perdite, è opportuno focalizzare, ad esempio con una relazione scritta, il perché del fallimento); questo indicatore può, ad esempio, dare suggerimenti sulla riuscita o meno di diverse strategie di prezzi attuate nel tempo; - fatturato per cliente: poiché vendere ad un cliente già acquisito è solitamente più semplice che vendere ad un nuovo cliente, questo parametro dà indicazioni sull’efficienza della rete di relazioni con i clienti attuali. Uno sforzo teso ad aumentare 71 questo parametro, magari dopo aver individuato i prodotti “preferiti” dai vari clienti, può portare ad un rapido aumento del fatturato totale. Riguardo alla misura della stabilità i parametri suggeriti sono i seguenti: - proporzione del numero dei grandi clienti rispetto al numero totale: se l’azienda dipende da pochi grandi clienti, allora la sua posizione è debole. Si possono usare due indicatori: 1) la percentuale di fatturato relativa ai primi cinque grandi clienti o il numero di clienti; 2) in ordine decrescente di fatturato, necessario per ottenere il cinquanta per cento del fatturato; - anzianità del cliente: i clienti di lunga data sono coloro che più probabilmente hanno buone relazioni con l’azienda e con i quali è possibile continuare stabilmente il business; - clienti “affezionati”: sono quelli che sono clienti dell’azienda per più di cinque anni. Il rapporto tra il numero di questi e il numero totale dei clienti è indice della stabilità della struttura esterna; - frequenza degli ordini: è un altro indice della soddisfazione del cliente. Un elevato valore equivale a dire che il cliente è soddisfatto e poiché, come accennato sopra, i clienti vecchi sono più redditizi, questo parametro dà anche una indicazione riguardo al potenziale reddito. Oltre ad essere anche un indicatore della qualità percepita dal cliente, questo indice è anche una conferma relativamente al fatto che il prodotto / servizio offerto dall’azienda sia quello giusto per la tipologia del cliente in esame. Grazie al contributo di K.E. Sveiby si è potuto dare una metodologia di valutazione dei beni intangibili di una azienda. Nel capitolo successivo, verrà affrontato il tema della relazione con il cliente da una prospettiva più legata alle tecniche di marketing: non si tratta di un punto di vista alternativo a questo appena esposto ma, al contrario, va considerato come parte integrante di una reale visione gestionale, da parte dell’impresa, del capitale intellettuale nella sua componente esterna. 72 3. Il Customer Relationship Management: un quadro di riferimento84 3.1 La nascita del CRM “I presupposti economici del rapporto azienda-cliente stanno cambiando radicalmente ed i modelli guida della produzione e del marketing di massa, creati dalla Società Industriale, stanno cedendo il posto a nuovi paradigmi nei quali la relazione con il cliente è sempre più l' elemento centrale del business. (…) è importante sottolineare come il "ciclo di vita" del rapporto con il cliente sia diventato un elemento chiave di qualsiasi strategia di business. Gli obiettivi delle imprese, nell' attuale quadro economico, puntano molto sulla fidelizzazione e sulla massimizzazione del grado di soddisfazione del cliente come requisiti fondamentali per migliorare la redditività dell' azienda e aumentare il valore dell' azienda per gli azionisti. L' obiettivo non è più solo quello di acquisire nuovi clienti, ma anche di ottimizzare l' interazione in tutti i suoi aspetti.”85 Questi nuovi paradigmi di management, insieme alle considerazioni del capitolo precedente sul capitale intellettuale di un’azienda – nella dimensione di “Intangibile assets / External structure” –, le implicazioni di Internet sul sistema economico, oltre che sulla connessa evoluzione dei rapporti impresa-mercato, hanno comportato radicali cambiamenti nella dinamica dei sistemi competitivi e nelle formulazioni strategiche aziendali. Sebbene l’obiettivo primario di queste strategie è ancora rappresentato dalla soddisfazione dei bisogni emergenti dei clienti, la modalità instauratasi sempre più frequentemente è primariamente l’ascolto del cliente e delle sue esigenze, mediante la definizione di un sistema relazionale. La strategia di Customer Relationship Management è il risultato attuale del processo di evoluzione delle strategie messe in atto dalle aziende nel tempo per il mantenimento del business. Dagli anni Ottanta, nei quali il focus aziendale era rappresentato dalla qualità dei prodotti, mediante l’implementazione di una strategia di Total Quality Management, attraversando gli anni Novanta, nei quali la strategia di successo era costituita dal Business Process Reengineering, (e l’attenzione era focalizzata sui processi per la riduzione dei costi), si è giunti a sancire l’importanza della soddisfazione del cliente come elemento chiave per stabilire strategie vincenti di mantenimento, di crescita e di potenziamento. Le aziende hanno percepito sempre più la necessità di “dare voce” al cliente e, in questa urgenza, le tecniche volte a misurare la soddisfazione hanno svolto un ruolo determinante. All’obiettivo di ottenere la soddisfazione del cliente se n’è poi aggiunto un altro: la 84 Ampio contributo a questo capitolo è dato da A. Farinet, E. Ploncher, “Custormer Relationship Management – Approcci e metodologie”, 2002, Etas 85 Cfr. G. Stucch,i “ Il Customer Relationship Management, una nuova cultura di business.”, Marzo 2000, Hi Tech Server. 73 fedeltà del cliente. La soddisfazione del cliente è, in condizioni di libero mercato, un fattore decisivo per stringere un rapporto duraturo con lui ottenendone la fiducia. La fiducia reciproca porta l’immenso vantaggio dello scambio di Conoscenza: “Sono tre i punti di vista coinvolti: Sociale: rinforzando le condizioni di feeling interpersonale e di consulenza e supporto a ciò che è di valore per il cliente passando inevitabilmente attraverso il rapporto di fiducia e di cooperazione con le singole persone all’interno dell’organizzazione del cliente. Economico: cercando e acquisendo continuamente nuovi spazi di miglioramento di efficienza e di efficacia nelle aree comuni tra cliente e fornitore nella catena di valori, attraverso un maggiore scambio di esperienze e d informazioni e la specializzazione delle singole competenze. Operativo e organizzativo, cercando valore attraverso sempre una maggiore integrazione dei processi di lavoro: prima quelli di vendita del fornitore e di acquisto del cliente, poi quelli amministrativi e logistici di entrambi, quindi quelli di marketing, di servizio e di erogazione. Fornitore e cliente alimentano il proprio know-how reciprocamente, e quasi non si distingue più tra essi chi compra e chi vende.”86 In un motto molto ovvio: “Un cliente soddisfatto è un cliente fedele, e costa meno”: infatti, il “costo delle vendite” a clienti consolidati è generalmente inferiore a quello necessario per acquisire nuovi clienti e per stabilire un rapporto commerciale con essi. “Regrettably, companies spend most of their effort in acquiring new customers and not enough in retaining and growing business from their current customers. Companies spend as much as 70 percent of their marketing budget to attract new customers while 90 percent of their revenues come from current customers. (…) Acquiring new customers can cost 5 to 10 times more than the costs involved in satisfying and retaining current customers. (…) The customer profit rate tends to increase over the life of the retained customer”87 Nonostante la soddisfazione rimanga il solo fine ultimo di ogni sforzo aziendale, sussistono validi motivi che hanno spinto e stanno spingendo il mondo economico a concentrarsi sulla fidelizzazione. In molti campi, infatti, i nuovi mercati verso cui tendere sono sempre meno, ed è quindi prioritario instaurare con i clienti di oggi relazioni che possano continuare ad esistere anche domani. Inoltre, chiunque non detenga una posizione dominante sul mercato – caratterizzata da competenze uniche distintive – deve fare i conti con una concorrenza agguerrita che, giocando sullo stesso piano, tenderà a sottrargli anche i clienti fino a quel momento serviti con successo. Anche in molte realtà business to business, come Metrohm Italiana Srl, è lo stesso cliente che ricerca un legame sempre 86 87 Cfr. A. Drei, “Oltre il CRM“, 2004, Guerini e Associati Cfr. P. Kotler, “Marketing insight from A to Z”, 2003, Wiley 74 più stretto con il proprio fornitore, che lo vede – o lo desidera – come portatore di mezzi e soluzioni. “Il contatto con il cliente è chiaramente un elemento fondamentale per il successo di qualsiasi azienda, dato che, se non si interagisce con i propri clienti, non si può vendere loro alcun prodotto. Essere semplicemente in grado di portare a termine una transazione commerciale di base, quale può essere l' acquisizione di un ordine, non è più sufficiente per competere. La qualità e la completezza del contatto con il cliente sono diventati gli elementi distintivi fondamentali per qualsiasi azienda che operi in un mercato competitivo.”88 Sovente, le aziende ricercano sempre maggiore flessibilità attraverso la cessione all’esterno di fasi non vitali dei propri cicli gestionali concentrando l’attenzione sul proprio core business. Sia tale modello di crescita sia le sollecitazioni provenienti da richieste di mercato sempre più specifiche e puntuali, hanno condotto il cliente ad alzare il livello delle minime competenze necessarie per entrare nella rete di vendita89. Un esempio è la sempre maggiore indagine, in fase di qualificazione del fornitore, relativa all’ottemperanza della norma UNI EN ISO 17025, riguardante la gestione dei laboratori di prova e taratura90. Infine, la diffusione delle nuove tecnologie informatiche (sistemi gestionali client-server o con possibilità di esportazione dei dati, Web, email) ha determinato un rapido accumulo di dati consultabili più o meno velocemente, prima attraverso sistemi chiusi e poi mediante sistemi di facile personalizzazione91. La capacità di elaborare tali dati ha portato un radicale mutamento nei processi di produzione di valore e nella gestione delle relazioni tra i diversi soggetti economici, con particolare riguardo alle relazioni instaurate con i clienti. In sintesi, il successo di un’impresa non dipende più soltanto dalle competenze che si originano in specifiche attività della catena del valore, ma anche, e in misura sempre più determinante, dalla capacità di istituire relazioni stabili con i clienti. In tale contesto la formulazione di una strategia di 88 Cfr. G. Stucchi, op. cit. Per approfondimenti Cfr. Giancarlo Nadin, “Customer Relationship management: dalla relazione commerciale a quella relazionale”, SanPaolo IMI, reperibile on-line all’indirizzo http://www.sanpaoloimprese.com/scriptImp/imprese/dossier/dossier.jsp?idcontent=682 90 Cfr. UNI EN ISO 17025:2000. Nel maggio del 2005 è stata pubblicata una revisione di tale norma. Dal sito http://www.sinal.com leggiamo: 89 “Lo scopo della revisione è l' allineamento dei requisiti gestionali della norma con quelli della ISO 9001:2000. L' allineamento ha comunque comportato le poche modifiche necessarie ad assicurare la compatibilità delle due norme. Tra queste, si possono evidenziare: eliminazione della dichiarazione che i laboratori conformi ai requisiti della ISO/IEC 17025 sono automaticamente conformi ai requisiti della ISO 9001. Si ribadisce nell' introduzione che la conformità ai requisiti della ISO 9001 del sistema di gestione per la qualità non dimostra la competenza di un laboratorio a fornire risultati tecnicamente validi. Contemporaneamente la conformità alla ISO/IEC 17025 non implica la conformità del sistema gestionale per la qualità del laboratorio a tutti i requisiti della ISO 9001 maggiore enfasi alla responsabilità della direzione impegno a migliorare continuamente il sistema gestionale maggiore attenzione alla soddisfazione dei clienti.” 91 “Mi devi proprio insegnare ad usare le tabelle pivot!” – frase più volte ripetuta all’autore. 75 Customer Relationship Management si pone come elemento essenziale e determinante per la creazione di un vantaggio competitivo sostenibile e duraturo nel tempo. 3.1.1 Per una definizione di CRM Il Customer Relationship Management rappresenta una strategia aziendale focalizzata sulla massimizzazione del valore potenziale dei clienti, attraverso la creazione e la gestione di una relazione di lungo periodo con essi. L’adozione di un approccio relazionale richiede un cambiamento di fondo della cultura aziendale, il cui obiettivo primario diventa l’interpretazione e il soddisfacimento delle esigenze e dei bisogni del clienti, mediante la definizione di un’offerta sempre più strutturata (e personalizzata anche nel caso business to business) sulla base delle specifiche necessità del singolo individuo. Per poter raggiungere tali risultati è necessario coinvolgere i clienti in un processo congiunto di creazione di valore sviluppando relazioni fiduciarie e rendendo fedele il cliente attraverso un rapporto cooperativo vantaggioso per entrambi. L’obiettivo è sviluppare un dialogo bidirezionale tra impresa e cliente, creando un clima di collaborazione e intesa che permetta di giungere ad un punto di incontro nel processo di creazione di valore per ambedue le parti: “Relationship management is the process of planning, developing and nurturing a relationship climate that will promote a dialogue between a firm and its customer which aims to imbue an understanding, confidence and respect of each other capabilities and concerns when enacting their role in the market place and the society”92. “Non basta riuscire a conquistare un acquisto per potersi dichiarare fornitori preferiti. La fiducia tra fornitore e cliente si basa sulla presenza di alcune condizioni di relazione: 92 93 - feeling interpersonale; - comunicazione frequente, onesta, non richiesta e a valore aggiunto; - coerenza tra diversi interventi; - allineamento di valori personali e aziendali; - continuità di qualità nelle soluzioni proposte; - continuità e congruità di modi e attori di relazione; - velocità di intervento; - miglioramento continuo;”93 M. Saren, N. Tzokas, “Value transformation in relationship marketing”, 1997, University of Strathclyde, Scotland Cfr. A. Drei, op. cit. 76 In seguito, verrà dato un quadro logico di definizione di questa strategia e si cercherà di dimostrare come la capacità di instaurare una relazione di lungo periodo con i clienti più profittevoli sia in grado di generare valore competitivo e incrementare il profitto d’impresa. Elenchiamo di seguito alcune definizioni di Customer Relationship Management: “CRM is about achieving sustainable competitive advantage and enhance long term profitability through concentrating efforts on the company’ s most valuable customers. It involves developing an integrated approach to identify, develop support and retain quality customer” “ CRM is a concert, or management discipline concerned with how organizations can increase retention of their most profitable customers, simultaneously reduce costs and increase the value of interactions, thereby maximizing profits” “CRM is about delivering value to the customer relationship, in the customer’s terms, to maximize the value of the relationship to the customer for the customer’s benefits and the company’s profit” 94 Quindi, il CRM può essere definito come un processo integrato e strutturato per la gestione delle relazioni con la clientela, il cui scopo è la costruzione di relazioni personalizzate di lungo periodo con il cliente, in grado di aumentare la soddisfazione dei clienti e, in ultima analisi, il valore per il cliente e per l’impresa: in sintesi, è un approccio sistematico alla gestione del ciclo di vita del cliente che allinea tecnologie, processi e cultura d’impresa. 3.1.2 Le categorie del CRM Osservando le caratteristiche dei sistemi CRM, è ormai unanime riconoscerne la suddivisione in tre categorie principali95: 1) CRM operativo: vi appartengono i sistemi di gestione delle transazioni, di registrazione dei dati e delle informazioni (preferenze, abitudini, attività, ecc.) ottenute dai clienti. Tali dati sono ordinariamente generati dalla attività di ogni impresa; 2) CRM collaborativo: vi appartengono i sistemi di interazione diretta con il cliente (chiamate telefoniche, fax, email, siti Web, ecc.); 3) CRM analitico: vi appartengono i sistemi e le attività di analisi che permettono, a partire dai dati raccolti nei due ambiti precedenti, di individuare nelle interazioni con i clienti regole, modelli di comportamento o preferenze relativi a prodotti o servizi. I risultati di tali analisi potranno essere utilizzati per creare nuove opportunità di mercato o, al fine di perseguire l’instaurarsi di un 94 95 Cfr. http://www.insightexec.com In alcuni contesti, tuttavia, le prime due categorie sono accorpate. 77 rapporto fiduciario tra fornitore e cliente, affinare e personalizzare – in una parola, sostenere – la relazione con i clienti stessi. “(…) una volta realizzato e messo in funzione il CRM operativo (…) l’elemento che può far scattare il vantaggio competitivo è la capacità di gestire la conoscenza e di realizzare nei confronti del mercato delle azioni ottimizzate, ovvero utilizzare strumenti analitici in abbinamento ad una profonda conoscenza del mercato.”96 La strategia di CRM si propone di sviluppare modelli analitici che consentano di esaminare e misurare differenti forme di relazione e gradi di fedeltà, al fine di progettare e gestire un portafoglio di strumenti che permettano all’impresa di esercitare, anche relativamente alla profittabilità dei clienti, una pluralità di azioni mirate alle esigenze del singolo individuo. Naturalmente, le peculiarità offerte alle imprese dalle nuove tecnologie della conoscenza, potenziano gli strumenti a disposizione delle imprese stesse per attuare una strategia di CRM. Ad esempio, nel termine e-CRM – che viene usato quando ci riferiamo al CRM integrato con il Web – è insita l’intenzione di massimizzare il valore della relazione con i clienti utilizzando, oltre ai consueti mezzi a disposizione dell’impresa, le opportunità offerte da Internet (ma non solo) in termini di: - risorsa strategica per l’ottenimento di informazioni sul comportamento e sulle preferenze del cliente on-line; - comunicazione interattiva, bidirezionale e personalizzata; - personalizzazione della relazione instaurata; - possibilità di effettuare transazioni digitali; - possibilità di modificare radicalmente le modalità con cui le imprese organizzano e gestiscono le relazioni con i clienti, aprendo nuove vie alla comunicazione diretta in tempo reale e alle interazioni delle controparti; - riduzione dei costi di contatto. Le caratteristiche peculiari di Internet stimolano, dunque, le logiche proprie del Customer Relationship Management. Internet, e in particolare il commercio elettronico, soprattutto business to business, rappresenta una componente essenziale di una strategia di e-CRM. “Oltre 80 miliardi di Euro, secondo le nostre stime, è il valore complessivo dell’eCommerce B2B in Italia nel 2003, pari a circa il 5% degli scambi totali tra le imprese.”97 96 Cfr. C. Vercellis, “E’ l’analisi a dare più valore al CRM” – Intervista di R. Vota, disponibile on-line a http://spss.it/news/crmval.htm 97 Cfr. “Il B2B in Italia: finalmente parlano i dati” – Osservatorio B2B – III rapporto – Marzo 2004 – Politecnico di Milano, School of management. 78 Tuttavia, per ottenere risultati positivi si rende necessaria un’estrema integrazione di questo canale con l’intero sistema gestionale aziendale. “In molti casi, i fallimenti di progetti di e-commerce, cui abbiamo assistito nei primi mesi del 2001, sono dovuti essenzialmente alla mancanza di integrazione del nuovo canale con la struttura aziendale nel suo complesso.”98 3.2 Struttura del CRM Il Customer Relationship Management comprende tutti i processi aziendali messi in atto da un’organizzazione per identificare, selezionare, acquisire, sviluppare e conservare i propri clienti. Esso si pone l’obiettivo di generare valore competitivo e incrementare la profittabilità di impresa attraverso lo sviluppo e la fidelizzazione a lungo termine dei propri clienti. Tali finalità sono raggiunte attraverso un affinamento continuo della conoscenza sviluppata all’interno dell’impresa rispetto ai bisogni, ai comportamenti e ai valori dei clienti. Per poter implementare una strategia di CRM è necessario analizzarne le tre componenti fondamentali: - l’architettura tecnologica, - i contenuti e i servizi, - le relazioni. Il fulcro di un progetto CRM è quello di selezionare correttamente i dati, dalla cui elaborazione possa emergere chiaramente il profilo del cliente: cioè l’applicazione del CRM analitico. Perciò, le risorse infrastrutturali, rappresentate dall’Information Technology, costituiscono uno degli elementi abilitanti l’implementazione di una strategia di CRM, consentendo la gestione di un enorme quantitativo di dati e di informazioni provenienti da molteplici fonti. La sinergia prodotta dall’integrazione degli strumenti messi a disposizione dalla rivoluzione ICT, con una rinnovata cultura di impresa, può tramutarsi in un reale aumento di valore del capitale intellettuale. Il concetto di architettura tecnologica integrata99 intende, pertanto, l’insieme degli strumenti hardware, software e dei servizi che accrescono l’efficienza e l’efficacia del processo attraverso cui l’impresa crea valore sviluppando conoscenza sui clienti. A questo proposito, nell’era di Internet si è sviluppato il concetto di Intranet, che comprende tutte quelle iniziative web-based destinate ad essere rivolte agli stakeholders interni all’azienda. Sebbene ancora acerbo, come evidenziato dalle statistiche riportate nella prima parte100, il concetto di 98 Cfr. A. Farinet, E. Ploncher, op. cit. Ploncher, “E’ nell’integrazione il cuore del CRM”, in Computerworld, giugno, num. 22, 2001 100 Cfr. Tabella 1.2, pag. 10. 99 79 Intranet è alla base di molte architetture tecnologiche intergrate. I benefici per una PMI sono molteplici, e tra questi ricordiamo: - l’automatizzazione delle procedure esistenti con la conseguente riduzione dei costi e dei tempi; - l’agevolazione della ristrutturazione dei processi aziendali, tipicamente destrutturati in una PMI; - il notevole supporto per la gestione della documentazione aziendale101; - l’agevolazione dello scambio di conoscenza operativa, premessa indispensabile per la creazione di conoscenza organizzativa; - lo sviluppo delle competenze e del senso di appartenenza, migliore definizione degli obiettivi e diffusione dei risultati dei benchmark o statistiche classiche.102 La rete Intranet può quindi essere riconosciuta come elemento tecnologico fondamentale per una strategia di CRM. Tuttavia, sebbene è molto facile, ormai da molto tempo103, dotarsi di una rete locale, è bene tenere presente che, secondo P. Kotler, “Yet CRM has not worked out that well in practice. Large companies sometimes spend $5 million to $10 million on CRM systems only to find disappointing results. Less than 30 percent of CRM-adopting companies report achieving the expected return from their CRM investments. And the problem isn’t software failure (only 2 percent of the cases). CRM-Forum reported the following causes of failure: organizational change (29 percent), company politics/inertia (22 percent), lack of CRM understanding (20 percent), poor planning (12 percent), lack of CRM skills (6 percent), budget problems (4 percent), software problems (2 percent), bad advice (1 percent), other (4 percent).”104 Non sono quindi gli aspetti tecnologici a condizionare una strategia di CRM, bensì l’impresa stessa. 3.2.1 L’infrastruttura informatica di un sistema CRM In un quadro generale, l’infrastruttura informatica è costituita dall’insieme dei database e data warehouse – che raccolgono le informazioni di diversa provenienza sui clienti – , dai sistemi di Business Intelligence – che, sulla base dei dati e delle informazioni contenute nei database, sviluppano conoscenza – e, infine, dall’insieme degli strumenti costituenti il Customer Interaction System, che si pongono a diretto contatto con la clientela, sviluppando con essa interazioni 101 “Ma già, a quel tempo non conoscevo lo spaventoso potere anestetico delle carte aziendali, la loro capacità di impastoiare, smorzare, smussare ogni guizzo di intuizione e scintilla d’ingegno. Del resto, è noto ai dotti che tutte le secrezioni sono nocive o tossiche: ora, in condizioni patologiche non è raro che la carta, secreto aziendale, venga riassorbita in misura eccessiva, e addormenti, paralizzi, o addirittura uccida l’organismo da cui è stata essudata”. Cfr. P. Levi, “Il sistema periodico degli elementi”, 1975, Einaudi. Cfr. Il valore dell’Intranet aziendale per una PMI, reperibile on-line a http://ebusiness.provincia.milano.it/documenti/cat_9/IntranetPMI.pdf 103 L’autore ha incontrato la prima rete locale già nel 1990: Novell Netware 3.11 104 Cfr. P. Kotler, op. cit. 102 80 dinamiche da cui provengono rilevanti informazioni, utili all’analisi strategica. Il data warehouse105 può essere pensato come un contenitore di dati di varia natura, codificati in forma digitale, raccolti da fonti diverse e successivamente “puliti” e in qualche misura normalizzati, ordinati, per poter risultare funzionali ad una successiva lettura. Nel DW potranno confluire, ponendo l’esempio di una tipica azienda commerciale, tutti i dati relativi agli ordini, allo stato delle consegne e delle fatturazioni di merce venduta (dati tipicamente prelevati dai software ERP o gestionali) e le informazioni relative al cliente, anagrafiche, comportamentali, ecc., pronte per il Customer Profiling106. Si deduce che la vera forza di un sistema DW è la sua organizzazione. Per le operazioni di scambio e organizzazione di dati contenuti in database di diversi produttori assume un ruolo decisivo il software middleware, coadiuvato dalle meta-informazioni necessarie per correlare i dati di un cliente presenti all’interno di un database con altri dati presenti in altri database ma riferiti al medesimo cliente. Queste meta-informazioni e le informazioni stesse possono vantaggiosamente essere reperibili in formato XML, per essere quindi facilmente recuperate ed elaborate mediante servizi Web che comunicano tra essi con il protocollo SOAP o REST107. Così facendo, la Conoscenza dei clienti, che l’impresa accumula giorno per giorno nel corso della propria attività, può essere dischiusa con la chiave “cliente”, aprendosi su un panorama olistico108 a grande vantaggio dei knowledge workers. “Parlando di CRM, si ripete ossessivamente nei convegni e in letteratura che, per conoscere i singoli clienti e gestirli in maniera integrata, occorre un Sistema in grado di aggregare, analizzare e visualizzare tutte le informazioni legate ai singoli clienti. Si usa dire che questo Sistema deve avere una “chiave di lettura” per il cliente, ovvero che deve consentire di associare ai singoli clienti tutti i dati di transazione e relazione che li riguardano.109 105 106 In seguito indicato con DW. “Il profiling, è, semplificando, un sistema che permette di: integrare dati e informazioni aziendali, spesso presenti in diversi sistemi aziendali, in un unico contenitore (generalmente, un data warehouse); aggregare quei dati e informazioni in maniera da associarli ai singoli clienti; fornire una serie di indicazioni sintetiche per ogni cliente: gli indicatori; effettuare analisi incrociate per singoli indicatori, dati e informazioni elementari. Quando si realizza un profiling, la prima indicazione, ovvia quanto spesso disattesa, è quella del data cleaning. E’ chiaro che se le informazioni che convergeranno sul profilino sono tra loro incoerenti o se risultano poco affidabili, poco affidabile risulterà a maggior ragione tutto il sistema”. Cfr. A. Farinet, E. Ploncher, Op. Cit. 107 108 Per una breve spiegazione di questi protocolli cfr. http://www.ba.infn.it/~zito/xml/xmlfaq.html Cfr. da google.com: “Definizione di OLISTICO su Internet: (pensiero olistico): visione che riconosce l' unità dell' individuo, in tutti i suoi diversi aspetti, con il mondo, la psiche collettiva e la natura. Concezione degli insiemi complessi ( di esseri, di facoltà, di energie...) come livelli superiori alle parti che li costituiscono ed alle quali non possono essere ridotti. Ma anche fine della dualità tra osservatore e osservato, tra coscienza e materia. http://members.xoom.virgilio.it/r_a/glossario.htm” 109 Cfr. A. Farinet, E. Ploncher, op. cit. 81 Dal modello proposto110 nella pagina successiva, emerge con chiarezza la possibilità di suddividere l’insieme delle soluzioni applicative CRM in due macro-aree: la prima, costituita dall’insieme delle applicazioni di back office a sostegno del CRM analitico, la seconda rappresentata dalle soluzioni di front office a sostegno del CRM gestionale. 110 Cfr. A. Farinet, E. Ploncher, Op. Cit. 82 Figura 3.1: Struttura di un sistema CRM Back office Rete di vendita Customer DataWarehouse Altre fonti interne ERP, sistemi gestionali CRM analitico Marketing operativo Media tradizionali Sistemi di vendita Telefono e IT (call center, fax) Sistemi di Customer service Posta elettronica Internet CRM operativo Fonti esterne 83 CUSTOMER INTERRACTION CHANNELS Front office Tools di Marketing Intelligence, data mining L’insieme dei dati e delle informazioni sui clienti, provenienti da molteplici fonti, quali il sistema ERP, altri database aziendali, il Customer Interaction System, vengono integrati all’interno di un Customer Data warehouse, nel quale le informazioni sono archiviate secondo un modello integrato e scalabile. Successivamente, per concretizzare le enormi potenzialità delle informazioni raccolte, è necessario predisporre una serie di strumenti di Business Intelligence, in grado di interpretare le informazioni e sviluppare conoscenza, ad esempio, per mezzo di strumenti multidimensionali come gli On Line Analytical Processing (OLAP). I sistemi di Customer data warehouse e gli strumenti di marketing intelligence, magari con funzioni di data mining, che compongono l’infrastruttura per il CRM analitico, sono in grado di sviluppare un’approfondita conoscenza sui clienti al fine di supportare il sistema decisionale strategico. “Uno degli asset in termini di capacità competitiva di un' azienda è dato dai propri knowledge worker, dipendenti che svolgono un' attività in qualche modo di natura decisionale, a valore aggiunto. Per i concorrenti questa è la cosa più difficile da imitare e procurarsi gli skill delle persone è ancora il fattore più critico. Investire in strumenti di supporto alla decisioni, termine un po'desueto ma efficace, migliora la capacità decisionale dei dipendenti. In questo senso, il CRM analitico è un fattore che migliora le skill dei knowledge worker e quindi la loro capacità decisionale.”111 La conoscenza così sviluppata sarà convogliata all’interno dei sistemi informativi dedicati al CRM operativo per gestire la relazione con il cliente mediante la personalizzazione delle attività operative di marketing, di vendita e di Customer Service, sui canali off-line e on-line112. Il risultato ottenuto sarà quello di dare la sensazione al cliente di essere “coccolato”, ovvero che l’azienda ha ben presente le sue peculiarità e le sue aspettative. Le tecnologie, definite di front office, che compongono questa infrastruttura, coinvolgono numerose applicazioni come il call center, il Web, i sistemi di personalizzazione del sito, i software di gestione e di Sales Force Automation113. Una coerente integrazione e organizzazione di queste tecnologie consente la creazione di un ambiente di interazione focalizzato sulle esigenze del cliente e in grado di fornire, indipendentemente dal punto di contatto, una visione unitaria dell’impresa. 111 112 113 Cfr. C. Vercellis, op. cit. Ad esempio, posta ordinaria e posta elettronica. “Abbreviated SFA, a technique of using software to automate the business tasks of sales, including order processing, contact management, information sharing, inventory monitoring and control, order tracking, customer management, sales forecast analysis and employee performance evaluation”. Cfr. http://www.webopedia.com/TERM/S/Sales_Force_Automation.html 84 “Ogni contatto con il cliente viene capitalizzato mediante l’invio di informazioni al Customer Warehouse, rialimentando il processo conoscitivo e innestando un flusso informativo continuo che si sviluppa secondo una logica di apprendimento, insegnamento, adattamento. Si può comprendere perché l’infrastruttura tecnologica per il CRM venga definita integrata.”114 Infatti, solo un’integrazione delle tecnologie di back office e front office consente di alimentare i flussi informativi secondo un modello circolare che si autoalimenta. Oggigiorno non è più necessario organizzare l’infrastruttura tecnologica fisicamente presente in azienda: è interessante osservare come sempre più le applicazioni CRM rientrano nei servizi ondemand, disponibili ad un costo di circa 40 USD al mese per ciascun utente115. “Every new technology is a force for creative destruction. Your company is more likely to be buried by a new technology than by its current competitors. (…) New technologies will hopefully increase productivity at a greater rate than their cost. But avoid adding a new technology to an old organization. This will only result in 116 an expensive old organization.” 3.2.2 Modellizzazione dell’offerta di contenuti e servizi I contenuti e i servizi offerti rappresentano la reale proposizione di valore presentata al singolo cliente. Sulla base delle informazioni, sottoposte ad analisi e interpretazione, contenute nei data warehouse aziendali, è possibile differenziare l’offerta di contenuti e servizi in relazione a una precisa segmentazione della clientela. L’impresa riesce nell’intento di creare maggior valore al cliente, mediante la definizione di un insieme di prodotti e servizi allineati ai bisogni e alle esigenze espresse dal singolo cliente. Il processo che porta alla definizione di una proposizione di valore per il cliente è il risultato di un percorso dinamico di sviluppo di conoscenza sulle esigenze e sui bisogni espressi ed emergenti che i clienti esprimono direttamente o indirettamente all’impresa. T. Conti, riprendendo lo slogan “Imparare a leggere da destra a sinistra” che fu coniata all’interno di Olivetti negli anni Ottanta, nel pieno della stagione della “Qualità totale”, afferma: “Capovolgere il senso di lettura è percepito come un cambiamento radicale, proprio come quello che deve avvenire in molte organizzazioni in relazione al rapporto che esse hanno con i propri clienti (…). Leggere da destra a sinistra evoca un capovolgimento, perciò è efficace in sé; ma lo diventa ancora di 114 Cfr. A. Farinet, E. Ploncher, op. cit. Cfr. ad esempio http://www.sugarcrm.com/home/Sugar_On-Demand/187/ , http://www.crmondemand.com/ (Siebel) 116 Cfr. P. Kotler, op. cit. 115 85 più se si acquista familiarità con i modelli TQM117 (…), perché questi sono disegnati ponendo l’organizzazione (e i suoi fattori sistemici e i suoi processi) sulla sinistra, i clienti e le parti interessate (e i relativi obiettivi e risultati) sulla destra.”118 Il percorso che egli propone per la lettura delle attese dei clienti è illustrato nella seguente figura: Azienda Lettura e interpretazione attese dei clienti Segmento di mercato che interessa all’impresa. Lettura dx - sx attese clienti Rappresentazione delle attese dei clienti Figura 3.2: La lettura “da destra a sinistra” delle attese dei clienti La relazione fiduciaria di lunga durata è quindi il risultato di un ascolto delle esigenze del cliente e della conseguente elaborazione di queste da parte dell’azienda, coinvolgendo i clienti in un processo congiunto di creazione di valore e di apprendimento relazionale, fidelizzando il cliente attraverso un rapporto cooperativo vantaggioso per entrambi. La personalizzazione può essere attuata a diversi livelli, con un grado di complessità e un impatto sulla supply chain crescente; essa può riguardare i prodotti, i servizi e i canali. Nel quadro più generale di una teoria per il CRM, questi ultimi possono assumere una diversa funzione a seconda degli obiettivi aziendali e del tipo di destinatari. Si possono distinguere, pertanto: - i contenuti per attivare le relazioni - i contenuti per fidelizzare le relazioni - i contenuti per personalizzare le relazioni Da questa distinzione si deduce l’integrazione necessaria tra contenuti, da un lato, e obiettivi relazionali, dall’altro. Lo sviluppo futuro dell’informatica e delle telecomunicazioni imporrà un’estrema attenzione al tema della riconfigurazione dei contenuti che, dopo essere stati archiviati, 117 118 Total Quality Management Cfr. T. Conti, “Qualità: un’occasione perduta?”, 2004, Etas 86 vengono distribuiti su un dispositivo innovativo come il telefono cellulare o il palmare: il fenomeno della convergenza tra prodotti e servizi produrrà una domanda di mercato, ad esempio relativa all’assistenza, che potrà trovare in questa integrazione un risposta adeguata, a tutto vantaggio della qualità percepita dal cliente119. 3.2.3 La centralità delle relazioni La relazione con il cliente costituisce la parte centrale di una strategia di CRM. Lo scopo cui si tende è, da un lato, massimizzare la durata del ciclo di vita del cliente e allungare il periodo durante il quale la relazione con la clientela è soddisfacente e redditizia, dall’altro, aumentare la “quota cliente”, cercando di ampliare la gamma di servizi e prodotti offerti mediante una attività di crossselling120 e up-selling121. L’attenzione dell’intera organizzazione non verrà dunque finalizzata alla massimizzazione della redditività delle singole transizioni nel breve periodo, quanto piuttosto a massimizzare la soddisfazione e la reddititività della relazione con il cliente in un’ottica di lungo periodo, sulla base dell’interazione diretta e bidirezionale con il cliente stesso e dell’elaborazione della Conoscenza che viene acquisita in questa interazione. L’approccio relazionale implica lo sviluppo del marketing relazionale e una diversa concezione del mercato: “I concetti sottostanti sono dunque quelli di continuità di rapporto e di relazione. L’economia classica aveva concentrato una buona parte della sua attenzione sul fenomeno dello scambio, cioè della singola transazione fra domanda e offerta. E l’approccio di marketing si era sviluppato intorno all’idea che si possono attivare molte azioni (leve di marketing) per facilitare lo scambio e per influenzarlo. Ma per passare al concetto “continuità e durata” degli scambi fra l’azienda ed i suoi clienti, occorre allargare questa prospettiva: gli scambi diventano episodi che si manifestano all’interno di un rapporto durevole che si instaura fra le due parti. Pertanto l’attenzione si sposta da tutto ciò che serve per agevolare il singolo scambio a quanto occorre fare per istituire e mantenere nel tempo una continuità di rapporto con i clienti. Gli scambi diventano quindi più una conseguenza che una causa della continuità del rapporto.”122 119 Si pensi, ad esempio, ai “Numeri verdi” dedicati ai consumatori, prodighi di informazioni e di consigli per l’uso dei prodotti di largo consumo. 120 “Metodo di vendita per associazione praticato, tra gli altri, su Internet grazie ai legami ipertestuali. Un internauta che percorre un sito commerciale e che decide di acquistare un prodotto si vede, in questo modo, proporre degli articoli associati, provenienti, o no, dallo stesso sito. Il cross-selling sfocia spesso nell' up-selling”. Cfr. http://www.i-dome.com/glossario/index.phtml?id=1141 121 “Metodo di marketing per il quale il venditore, per esempio ornando minuziosamente la configurazione dei suoi prodotti e giocando sulle opposizioni, spinge l' internauta a comperare un articolo più caro di quanto avesse previsto. Spesso l' Up-Selling è la risultante di una politica intelligente del cross-selling”. Cfr. http://www.i-dome.com/glossario/index.phtml?id=1173 Cfr. M. Raimondi, “Marketing del prodotto-servizio”, 2005, Hoepli 122 87 Il marketing relazionale svolge un ruolo rilevante nel progettare e gestire l’interazione: dopo aver esaminato come le relazioni possono configurarsi, quali variabili ne determinano le caratteristiche e l’evoluzione, il marketing procede a individuare criteri e procedure per attivarle e gestirle efficacemente. La tabella seguente123 confronta i diversi aspetti dell’orientamento alla transazione e alla relazione: Elementi caratterizzanti Transazione Relazione Orizzonte temporale Breve periodo Lungo periodo Obiettivo Massimizzazione redditività singola transizione Massimizzazione redditività della relazione Concetto di qualità Funzionale, riferita alla relazione Tecnica, riferita all’output e ai complessiva e alle transizioni di cui essa si processi operativi compone Sensibilizzazione al prezzo Elevata Bassa Misura della soddisfazione del cliente Indiretta: quota di mercato, ricerche specifiche In base all’interazione diretta con il cliente, con continuazione Concetto di marketing Marketing-mix Marketing relazionale Segmentazione Poco utilizzata Molto utilizzata, sociodemografica e comportamentale Differenziazione Pochi elementi, non gestiti sistematicamente Molti elementi, gestiti in modo accurato e sistematico Marketing interno Inesistente Fondamentale Obiettivo dell’uso della tecnologia informatica Riduzione costi Miglioramento qualità dei servizi e maggiore efficienza Tabella 3.1: Caratteristiche del marketing orientato alla transazione o alla relazione La gestione della relazione si attua mediante strumenti differenziati in relazione alla tipologia dei clienti e, in particolare, differenziando le attività sulla base dei clienti acquisiti, congiunti e prospettici. Un’efficace relazione con il cliente presuppone la gestione integrata del singolo cliente e la possibilità, per lo stesso, di autopersonalizzare il servizio. Il processo che porta alla gestione di una relazione di valore con il cliente si sviluppa su diverse fasi: 123 Cfr. A. Farinet, E. Ploncher, op. cit. 88 - il cliente viene identificato e caratterizzato in termini descrittivi, comportamentali e predittivi; - il cliente viene classificato in termini di valore per l’impresa; - a ogni cliente viene associata una strategia relazionale; - con ciascun cliente si concretizza una relazione secondo la strategia predefinita, identificando tutti i canali di interazione con il singolo cliente; - si definisce la gestione di un ciclo di apprendimento-adattamento con l’obiettivo di aumentare il livello di soddisfazione con il cliente. Qualsiasi strategia diretta alla gestione delle relazioni con il cliente deve, pertanto, tener conto di tre principi chiave: - segmentazione e profilazione della clientela: è necessario comprendere il valore del singolo cliente per l’impresa; - integrazione dei punti di contatto: il contatto con il cliente può avvenire attraverso una molteplicità di canali: questi devono essere integrati in modo da riconoscere il valore dei singoli clienti; - integrazione dei processi: integrare i processi di front office e back office, per assicurare che le informazioni pervengano all’intero sistema. La capacità di un’impresa di costruire relazioni di lungo periodo si ricollega alla capacità dell’impresa stessa di conoscere le abitudini e le preferenze d’acquisto dei consumatori. In questo senso, la raccolta del maggior numero di informazioni possibile permette all’azienda di realizzare l’obiettivo più importante: instaurare una relazione “personale” con il singolo cliente. 89 3.2.4 Caratteristiche funzionali del CRM Il percorso che porta all’implementazione di una strategia di CRM può essere rappresentato da un modello di tipo circolare al cui centro è posizionato il cliente: attorno a quest’ultimo, si sviluppano le diverse fasi strategiche che sono collegate da opportuni flussi informativi; si tratta di un processo di apprendimento-adattamento in cui l’informazione riveste un ruolo strategico prioritario. Acquisizione informazioni on-line e off-line sui clienti Feedback Fidelizzazione della clientela e sviluppo di relazioni fiduciarie Personalizzazione delle relazioni, comunicazioni e servizi Interpretazione delle informazioni e sviluppo di conoscenza Segmentazione della clientela sulla base del valore per l’impresa CLIENTE Sviluppo di proposte: contenuti, prodotti, servizi Individuazione dei clienti più profittevoli e a maggior valore Figura 3.3: Il percorso CRM Le fasi che distinguono il percorso di un processo di CRM possono essere così sintetizzate: 1) raccolta delle informazioni riguardanti i clienti, che verranno opportunamente gestite all’interno dei database aziendali; 2) analisi e interpretazione delle informazioni raccolte, al fine di sviluppare la conoscenza sui clienti; 3) segmentazione: i clienti vengono suddivisi sulla base del valore che essi assumono per l’impresa (ad esempio clienti strategici, potenziali, emergenti e di basso valore); 4) offerta per i clienti più profittevoli: definizione delle proposizioni di valore in termini di prodotti e servizi indirizzate ai clienti più profittevoli per l’impresa; 90 5) gestione della relazione: tentativi di attivazione di una molteplicità di strumenti per condurre in modo profittevole la relazione con i clienti, gestendo i diversi punti di contatto e le interazioni con i clienti; 6) personalizzazione: sviluppo di prodotti e servizi personalizzati sulle specifiche esigenze del singolo cliente; 7) fidelizzazione della clientela: sviluppo delle relazioni fiduciarie (con il conseguente generarsi di attività di cross-selling e up-selling, in vista dell’incremento della redditività di impresa di lungo periodo); 8) feedback: processo di feedback per la comprensione dei nuovi bisogni dei consumatori e modificare conseguentemente l’offerta. Lo sviluppo di una strategia di Customer Relationship Management richiede un notevole sforzo organizzativo e culturale da parte delle imprese. Infatti, queste ultime devono comprendere l’importanza di adottare un orientamento al cliente, che non deve più essere identificato come il destinatario finale di un flusso univoco di trasferimento, come nel precedente orientamento alla produzione, ma il punto di partenza di un circuito attraverso il quale si realizza una strategia di successo. L’implementazione di una strategia di CRM deve essere supportata dal vertice aziendale, che deve rendere manifesta all’interno, dell’intera struttura aziendale, la volontà di cambiare orientamento. Uno dei maggiori ostacoli alla realizzazione di una strategia di CRM è rappresentato, infatti, dalle resistenze culturali presenti all’interno dell’azienda. È quindi importante che tutte le persone siano motivate e convinte dell’effettiva validità di questo nuovo orientamento: il Customer Relationship Management rappresenta una filosofia organizzativa che deve permeare l’intera struttura aziendale, modificandone i processi di creazione di valore interni. “(…) il comportamento dei dipendenti verrà pesantemente influenzato dalla cultura dell’organizzazione per cui lavorano, ovvero dalle norme e dei valori pervasivi che condizionano il comportamento dell’individuo e del gruppo. La cultura aziendale è stata definita come l’insieme delle credenze e dei valori condivisi che assicurano un significato ai membri di un’organizzazione e forniscono loro delle regole di comportamento all’interno del sistema. (…) un’azienda orientata al cliente (…) si fonda su una cultura del servizio, cioè una cultura in cui si apprezza una prestazione di qualità e in cui fornire un buon servizio ai clienti interni, e soprattutto quelli esterni, è considerato da tutti uno stile di vita e una delle norme più importanti.”124 124 Cfr. V. A. Zeithaml, M. J. Bitner, “Il marketing dei servizi”, 2000, McGraw-Hill. 91 Da un punto di vista organizzativo è necessario ricercare una forte integrazione e, contemporaneamente, un’elevata flessibilità e dinamicità: questo criterio vale sia nella configurazione interna sia nei confronti delle relazioni esterne, ricercando strutture meno gerarchizzate e più reattive, in grado di far fronte alla necessità di ridisegnare il proprio modello di business in funzione del cambiamento del mercato. Il CRM si fonda su una gestione integrata e unitaria delle diverse funzioni aziendali. L’obiettivo primario di ogni singola funzione consiste nella creazione di valore per il cliente finale, sviluppando contenuti, prodotti, servizi, relazioni incentrate sul soddisfacimento delle crescenti esigenze espresse dai clienti. 3.3 Il marketing relazionale Data la complessità e la mutevolezza del contesto ambientale e l’evoluzione dei mercati e della domanda, la funzione di marketing ha assunto una dimensione sempre più critica e strategica per la ridefinizione delle potenzialità di rapporto tra l’impresa e il suo mercato; tutto ciò mediante lo sviluppo di nuovi modelli di comunicazione, la valorizzazione delle relazioni con i diversi soggetti con cui l’impresa interagisce e l’utilizzo delle potenzialità di creazione di conoscenza. Una strategia CRM implica l’adozione di una filosofia relazionale, sulla cui base sviluppare la soddisfazione del cliente. La tesi che sta alla base dello sviluppo del marketing relazionale consiste nel considerare l’esistenza di un legame tra soddisfazione del cliente (fedeltà e redditività dello stesso) e variabili relazionali. Le variabili di comportamento relazionale evidenziate da Leuthesser e Kohli125 possono essere così riassunte: - initiating behaviour, descrive la capacità del venditore di acquisire informazioni proattivamente sui bisogni specifici del cliente; - signaling behaviour, descrive la capacità del venditore di informare il cliente sulle proprie capacità d’offerta; - disclosing behaviour, descrive la volontà del venditore di fornire informazioni su di sé anche se di natura critica; - interaction frequency, descrive il tempo medio che intercorre tra interazioni consecutive tra venditore e cliente; - interaction richness, definito come la percentuale di interazione face-to-face contrapposta ad altro tipo di interazione; 125 Questa analisi, proposta da A. Mandelli, è disponibile on-line a http://www.web-spot.net/netpro/rrm.htm 92 - lateral involvement, si riferisce alla capacità di coinvolgere orizzontalmente diverse funzioni aziendali nel processo di vendita; - vertical involvement, che si riferisce alla capacità di coinvolgere diversi livelli gerarchici dell’ azienda fornitrice nel processo di vendita. Vicari126 concentra la sua attenzione sullo sviluppo di competenze relazionali in termini di risorse immateriali, costituite essenzialmente dalla conoscenza e dalla fiducia, per lo sviluppo della soddisfazione del cliente. Le variabili critiche risultano essere variabili relazionali, di comunicazione, di conoscenza e di fiducia. Il marketing relazionale è volto alla costruzione di un rapporto di lungo periodo con gli interlocutori con cui l’impresa vuole entrare in contatto. In tal senso, occorre abbandonare una visione di breve periodo orientata alla transazione e focalizzare l’attenzione dell’impresa sulla relazione e sul consumatore, prima, durante e dopo il processo di acquisto, instaurando un dialogo bidirezionale in cui la vendita non è l’obiettivo primario, ma la naturale conseguenza del rapporto. Le innovazioni tecnologiche accrescono le capacità di impresa di sviluppare relazioni di qualità, secondo l’approccio appena descritto. In particolare, utilizzando la comunicazione interattiva diventa possibile sviluppare azioni di marketing uno a uno, personalizzando la comunicazione e la relazione del singolo cliente. “Tutto sommato, il marketing 1to1 si basa su un’idea molto semplice: trattare clienti diversi in maniera diversa” 127 Le aziende più attente hanno sempre sviluppato la loro offerta incoraggiando la partecipazione attiva dei clienti: orientati alle aspettative dei clienti (customer oriented) ha sempre significato tener conto delle esigenze del cliente tipico sul mercato, ben individuato dal cliente medio che emerge dalle indagini di mercato. Seguendo l’approccio di M. Rogers e D. Peppers, per creare relazioni durature, una azienda deve continuamente fare tesoro delle interazioni con i singoli clienti e rispondere in modo fortemente dinamico alle sollecitazioni che nascono dall’analisi di tali interazioni. 126 Cfr. S. Vicari, L’impresa vivente, 1991, Etas Cfr. D. Peppers, M. Rogers, B. Dorf “The One to One Fieldbook: The Complete Toolkit for Implementing a 1 to 1 Marketing Program”, 1999, Wiley, Ed. Italiana de IlSole 24 ORE. 127 93 “Si tratta di un’idea fondamentale per avere successo in tempi fortemente competitivi e in cui la rapidità è essenziale: riconoscere che non esistono due clienti uguali e che le azienda più attente possono trarre vantaggio da queste inevitabili differenze di fondo”128 In questa direzione, si possono identificare quattro fasi per l’implementazione di una strategia di marketing personalizzato: - identificare; - differenziare; - interagire; - personalizzare. 3.3.1 Identificare “Create un sistema che vi permetta di identificare i clienti come singoli ogni volta che entrate in contatto con loro.”129 Un efficace programma di marketing personalizzato si basa sulla raccolta di nuovi dati e informazioni, in occasione di ogni interazione tra azienda e cliente. Naturalmente, la prima domanda da porsi è come definire un cliente: differenti definizioni di cliente creano problematiche diverse a cui occorre rispondere con strategie apposite. Tipicamente, infatti, in un contesto generale, i clienti si possono suddividere tra utilizzatori finali e distributori del prodotto / servizio. Inoltre, la tipologia del mercato è a sua volta determinante: in un mercato consumer occorre conoscere quanti più dettagli possibili sui consumatori – non solo le caratteristiche demografiche – , ma anche le abitudini, le preferenze, i comportamenti d’acquisto e la quantità di prodotti servizi acquistati; in una realtà business to business si ha spesso un contatto con funzioni aziendali (ad esempio, Uffici Tecnici, Uffici Acquisti, ecc.), diverse dai gruppi di utilizzo finale: si indaga sull’attività del cliente e sul suo specifico uso dei prodotti / servizi richiesti. “Il modo corretto per affrontare una situazione di questo tipo consiste nel pensare a ciascuno di questi tipi di clienti come ad un elemento della clientela base. Ognuno di essi è importante sotto qualche profilo e voi dovreste seguirli tutti. Dato il grado di automazione sempre più sofisticato dei sistemi riguardanti le forze vendite, non ci sono ragioni per le quali non dovreste essere in grado di non farlo. (…) Per molte aziende che vendono attrezzature ad altre aziende il problema fondamentale è quello di identificare i veri utenti finali del prodotto. I manager addetti agli acquisti e coloro che si occupano 128 129 Ibidem. Ibidem. 94 dell’approvazione dei contratti si identificano con facilità, mentre scoprire chi, all’interno di un’impresa, utilizza il vostro prodotto, che ne dipende per eseguire il proprio lavoro, è spesso considerevolmente più difficile.”130 Questi dati vengono poi strutturati in modo tale da facilitare non soltanto il tipo di relazione ma anche l’identificazione dei progressivi passi da realizzare per stabilire e approfondire il rapporto con il cliente. L’utilizzo delle informazioni raccolte e opportunamente trasformate in conoscenza, permette all’azienda di identificare e classificare i propri clienti sulla base di criteri di profittabilità e di valore strategico. 3.3.2 Differenziare “In primo luogo, ordinate I vostri clienti sulla base del loro valore per la vostra impresa, poi differenziateli in base alle loro necessità nei vostri confronti.”131 In altre parole, nella differenziazione, i punti chiave sono ciò che il cliente vuole e quanto egli valga.. Il processo di differenziazione deve aver costantemente luogo, ordinando quindi i clienti in base al loro valore (considerando il valore netto di tutto il profitto futuro ottenibile – il Life Time Value, LTV – e il valore strategico, cioè il valore addizionale che il cliente potrebbe produrre applicando la strategia giusta) e quindi differenziarli in base alle loro esigenze. Per classificare il clienti di un’azienda in base al valore, si può procedere considerando tre grandi classi132: - Most Valuable Customer, (Clienti più pregiati), clienti più profittevoli che evidenziano i più elevati livelli di acquisto e un elevato LTV. Essi rappresentano il cuore dell’attività di impresa, è necessario sviluppare una strategia di fidelizzazione al fine di incrementarne la fedeltà; - Most Growable Customer, (Clienti coltivabili), clienti di elevato valore strategico per il potenziale di crescita che manifestano, ad esempio dinanzi a strategie di cross-selling; - Below zero Customer, (Cilenti sotto zero): clienti che non costituiscono valore per l’impresa a causa degli elevati costi connessi alla loro gestione. 130 Ibidem. Ibidem. 132 Una classificazione forse sin troppo dettagliata è proposta da J. Curry, S. Meacci, “Il Customer Marketing: identificare, acquisire, mantenere e sviluppare i clienti”, 1994, Ed. Il Sole 24 ORE. Il testo propone la suddivisione della clientela in tre categorie: - clienti effettivi: suddivisi in grandi, medi, piccoli, nuovi, molto caldi; - clienti potenziali: caldi, freddi, incerti; - clienti possibili: possibili, resto del mondo. Per ciascuna di queste tre categorie si propone l’identificazione, l’acquisizione, il mantenimento e l’aumento. 131 95 Successivamente, si rende necessaria una suddivisione dei clienti appartenenti alle prime due categorie sulla base dei bisogni espressi. E’ possibile quindi introdurre il concetto di “Esigenze della comunità”, intendendo con questa espressione le preferenze e le priorità che un cliente ha in comune con un gruppo di altri clienti. Conoscendo le esigenze di una comunità di clienti permette ad un’azienda di anticiparne i desideri, a volte persino prima che lo sappia il cliente stesso. Nella fase di differenziazione occorre prestare molta attenzione nell’individuazione dei cosiddetti “opinion leaders”, ovvero il gruppo di clienti che non possono essere identificati in termini di profitti e perdite ma, nonostante i loro contributi al successo aziendale non siano esprimibili in termini direttamente monetari, risultano ugualmente fondamentali: le loro opinioni e azioni avranno un impatto significativo sulle decisioni dei clienti più importanti, attuali e futuri. “Il vostro obiettivo nell’ordinare i clienti in base al valore o all’importanza è quello di individuare delle priorità nel programma di marketing e delle vendite, mettendo alcuni clienti al primo posto nella vostra lista, altri al secondo, e così via.”133 3.3.3 Interagire “Impegnate i vostri clienti in un dialogo continuo che vi permetta di conoscere sempre di più i loro interessi, le loro esigenze e priorità particolari.”134 Sulla base della segmentazione effettuata, occorre differenziare l’approccio dell’impresa in termini di comunicazione e offerta, sulla base delle specifiche esigenze del singolo, interagendo con ciascuno di essi e fornendo il maggior valore possibile ai fini relazionali. L’interazione con il cliente è normalmente la prima e a volte l’unica iniziativa di personalizzazione del servizio ad essere effettivamente visibile per i clienti. Le iniziative di interazione con esso dovrebbero: a) minimizzare il disagio del cliente; b) rappresentare un vantaggio per il cliente; c) influire sul comportamento dell’azienda verso ogni cliente, nella sua specificità. E’ importante che, nello svolgersi delle interazioni tra azienda e cliente, egli abbia la percezione di parlare ogni volta con il medesimo interlocutore: in questo senso, le moderne tecnologie informatiche possono permettere di recuperare, in tempo reale e a qualunque funzione aziendale, il dialogo nella stessa posizione in cui è stato precedentemente interrotto. 133 134 Cfr. D. Peppers, M. Rogers, B. Dorf , op. cit. Ibidem. 96 “L’interazione non è un fine in sé, una tattica che applichiamo visto che la tecnologia lo ha reso possibile; essa non serve solo a fare sentire meglio il cliente, non è una sorta di assistenza simulata. Attraverso il dialogo infatti otteniamo informazioni che ci permettono di fare qualcosa per il cliente, qualcosa che nessun concorrente può fare, se non dispone dei dati che l’interazione ci ha procurato. Il dialogo è l’elemento chiave della learning relationship. Attraverso il dialogo mettiamo in gioco il cliente; apprendiamo le sue preferenze e le sue esigenze. L’impresa 1to1 trasforma quanto ha appreso interagendo con il cliente in informazioni disponibili e utilizzabili: unendo queste informazioni alle potenzialità della nostra impresa, esse si trasformano in conoscenza. Poiché nessuno può agire in base a ciò che noi sappiamo del cliente, nessun’altro può servirlo in modo altrettanto adeguato. Quindi, la conoscenza del cliente si traduce direttamente in fedeltà, poiché questi dovrebbe reinstaurare daccapo la relazione per poter ottenere lo stesso prodotto da qualcun altro.”135 3.3.4 Personalizzare “Mettete in pratica ciò che avete imparato. Utilizzate la vostra conoscenza su ciascun cliente per personalizzare il modo in cui lo trattate.”136 Le tre fasi precedenti conducono a questa quarta fase, nella quale le informazioni elaborate portano ad un mutamento del comportamento dell’azienda nei confronti di ciascun cliente. La personalizzazione dell’offerta è un fatto di ordinaria amministrazione per le società di servizi, per le quali l’ascolto delle esigenze dei clienti è il canale naturale per il quale inizia un rapporto di relazione, e il soddisfacimento di tali esigenze è l’obiettivo stesso dell’attività. Tuttavia, può succedere che un’azienda debba trovarsi dinanzi a richieste particolari di singoli clienti: in questo caso, l’analisi del LTV è di importanza strategica. In altri casi, fortunatamente più probabili, è possibile rispondere alla richiesta di personalizzazione mediante la strategia cosiddetta di “personalizzazione di massa”: questa strategia prevede la disponibilità di una produzione modulare di prodotti, che, combinati insieme, permettono di meglio adattare il prodotto finale alle esigenze di un cliente specifico; ciò è possibile anche per quanto riguarda la personalizzazione di servizi. “La messa in atto della personalizzazione di massa è più semplice di quanto possa sembrare, poiché in realtà non implica la implica la personalizzazione di qualcosa, bensì la pianificazione e la preproduzione di decine o centinaia di moduli per uno stesso prodotto; in seguito, sulla base delle esigenze specifiche del cliente, l’azienda combinerà tra loro i moduli più adatti, fino a ottenerne 135 136 Ibidem. Ibidem. 97 migliaia o anche milioni di possibili configurazioni.(…) Quindi, quando pensate a come cambiare il comportamento della vostra impresa per soddisfare le esigenze dei singoli clienti, pensate alla modularizzazione”137 La personalizzazione non deve riferirsi solo al prodotto in sé, ma anche alle modalità di consegna, ai servizi a esso connessi, al packaging, e ai termini di pagamento. In passato, i beni e i servizi sono stati oggetto di una produzione di massa, ora, grazie alle innovazioni tecnologiche, è possibile attuare una produzione altamente personalizzata a basso costo. In tal modo sono venute meno le incompatibilità esistenti in passato tra produzione su larga scala e varietà e personalizzazione. In conclusione, un approccio relazionale e personalizzato nelle attività di marketing, può contribuire in un’ ottica CRM a ottenere molteplici benefici: - instaurazione di relazioni stabili e continuative tra l’impresa e i clienti a maggior valore strategico; - sviluppo di azioni di marketing differenziate per ciascun cliente; - personalizzazione e integrazione delle attività di comunicazione; - creazione di maggior valore per i clienti mediante lo sviluppo di prodotti-servizi personalizzati; - maggiore fedeltà dei clienti; - possibilità di valutare con maggior precisione il valore delle azioni intraprese sui clienti; - coinvolgimento dei clienti finali nelle attività di business, mediante lo sviluppo di un rapporto cooperativo con essi. Il marketing relazionale, dunque, sviluppa un elevato grado di coinvolgimento dei clienti nei processi decisionali e operativi d’impresa e ne aumenta, in tal modo, il grado di sintonia (in termini di obiettivi) e il livello di fiducia, che è alla base del raggiungimento di un vantaggio competitivo sostenibile. 137 Ibidem. 98 3.4 Interazione tra le funzioni aziendali 3.4.1 La produzione La produzione rappresenta la funzione aziendale che, sulla base delle attività di marketing, sviluppa concretamente la personalizzazione dei prodotti e dei servizi. Per attivare il meccanismo di “personalizzazione di massa” discusso nel paragrafo precedente, è necessario disporre di un sistema informatico adeguato che permetta la possibilità di realizzare, su larga scala, un prodotto altamente personalizzato, sulla base delle esigenze del singolo cliente. Inoltre si deve creare un’elevata flessibilità strutturale all’interno della funzione di produzione che deve collaborare e lavorare a stretto contatto con la funzione di marketing. L’integrazione tra queste due funzioni aziendali appare un elemento di criticità nell’implementazione di una strategia di CRM che fa della personalizzazione di massa la risposta alle esigenze del singolo cliente. A tal fine è necessario garantire: - facilità di comunicazione e scambio di flussi informativi, dal marketing alla produzione e viceversa; - collaborazione e condivisione di documentazione interna; - definizione di una metodologia comune di lavoro tra le persone coinvolte nelle due funzioni, al fine di creare una procedura integrata. La personalizzazione deve essere ricercata e sviluppata non solo a livello di prodotti e servizi ma anche nella gestione dei diversi canali (di contatto o di distribuzione), ricercando un punto di integrazione tra le potenzialità del singolo canale e le esigenze espresse dalla clientela. Così riorganizzate, la produzione e le vendite contribuiscono a realizzare gli obiettivi di interesse aziendale e a rafforzare la soddisfazione del cliente. 3.4.2 Il servizio pre e post vendita Le attività di customer service rivestono un ruolo strategico, poiché assicurano un elevato soddisfacimento della clientela; costituiscono un elemento su cui si basa lo sviluppo di un vantaggio competitivo sostenibile. L’importanza degli elementi materiali del prodotto diminuisce a vantaggio degli elementi immateriali dei servizi incorporati nei prodotti: infatti, nella sempre maggiore convergenza tra prodotto e servizio, è quest’ultimo aspetto che determina la soddisfazione del cliente, e conseguentemente, il progredire o meno di relazioni di lungo termine. Tra le caratteristiche distintive del servizio si possono ricordare: - l’intangibilità: è la caratteristica che spesso rende più difficile una valutazione, da parte dell’acquirente, di ciò che intende acquistare e ciò che ottiene. Ad esempio, non sempre per un 99 cliente è del tutto chiaro che cosa realmente stia acquistando quando compera un’assicurazione o una consulenza; - la contestualità: nel servizio, produzione e consumo sono contestuali, anche se il servizio è erogato relativamente ad un prodotto venduto in precedenza; - la variabilità: il servizio gode di una possibilità di personalizzazione relativa alle esigenze del cliente molto maggiore di quella posseduta da un prodotto tangibile; - l’inseparabilità: un servizio è inseparabile dal cliente, e senza di esso non può sussistere; - la deperibilità: non essendo possibile pre-produrre un servizio e quindi immagazzinarlo per un uso futuro, l’impresa fornitrice di servizi deve essere in grado in rispondere in tempi brevi alle richieste di erogazione del servizio da parte del cliente. Tra queste, l’intangibilità è la caratteristica più evidente che distingue i servizi e i prodotti. Tuttavia, in un numero sempre più elevato di casi le imprese si rendono conto che le sole prestazioni intrinseche di un prodotto non sono sufficienti ad assicurare la soddisfazione del cliente e, di conseguenza, un vantaggio certo sulla concorrenza. L’idea di un “servizio aggiunto” è stata spinta sempre avanti sino a rendere prodotto e servizio inscindibili. Il primo servizio che si deve fornire alla clientela è quello di metterla in grado di scegliere il prodotto/servizio – o il mix corretto – che maggiormente risponde alle sue esigenze (e quindi un servizio pre-vendita). In secondo luogo, è necessario che al cliente venga consentito di scegliere il canale più adatto per acquisire il bene e di poter trarre tutti i benefici possibili dall’acquisto effettuato, ad esempio garantendo una serie di servizi post vendita. “Il Customer Service può assumere un ruolo più o meno profondo limitandosi ad intervenire per assicurare assistenza tecnica per la migliore funzionalità del prodotto (…) oppure può coprire una gamme di attività più ampie ed anche complesse che riguardano la relazione con il cliente – e non più solo con il prodotto.”138 L’individuazione dei servizi da offrire al cliente diviene un elemento fondamentale nella definizione dell’offerta al cliente, poiché i servizi costituiscono l’elemento preponderante su cui si può basare lo sviluppo di relazioni fiduciarie. In un’ottica CRM, l’impresa deve erogare servizi personalizzati in grado di aumentare la soddisfazione dei clienti e, in particolare, deve progettare l’insieme dei servizi: - legati direttamente al prodotto, che ne aumentano il valore percepito per il cliente e permettono di differenziare i prodotti dell’azienda da quelli dei concorrenti; 138 Cfr. M. Raimondi, “Marketing del prodotto-servizio”, 2005, Hoepli 100 - distinti dai prodotti, ma che ne migliorano l’utilizzo e la qualità (si pensi, ad esempio, alle garanzie o ai numeri verdi); - idonei a favorire un rapporto di fiducia con il consumatore e aumentarne la fedeltà (ad esempio, i servizi cui si può accedere dopo un determinato numero di acquisti effettuati); - generati all’interno del canale e-commerce (come la possibilità di personalizzazione del sito stesso). 3.4.3 La logistica La logistica rappresenta l’insieme dei processi di pianificazione, realizzazione e controllo delle attività inerenti il flusso dei beni, oltre che delle informazioni relative alle stesse. Gli obiettivi principali della logistica sono rappresentati dal raggiungimento di elevati livelli di personalizzazione, velocità, puntualità e completezza delle consegne, al fine di creare valore aggiunto per i clienti. Per raggiungere tali livelli di efficienza è spesso necessario migliorare l’integrazione dei sistemi informativi aziendali che devono garantire la facilità di comunicazione tra le diverse funzioni, come produzione e contabilità. Il trasporto dei prodotti è diventato un fattore molto più complesso e critico del passato, in quanto la globalizzazione del mercato e la sua frammentazione lo rendono una parte fondamentale e critica della catena logistico-produttiva. Spesso è conveniente avvalersi di una terza parte, cioè di aziende specializzate in logistica e consegna delle spedizioni in senso stretto. Tali aziende consentono un evidente recupero di efficienza e una riduzione dei tempi di consegna, a vantaggio dei clienti finali: i corrieri espresso in Italia garantiscono, dalla province del Nord, la consegna entro 24 ore per spedizioni con destinazioni aree del sud Italia, e entro 48 ore con destinazione sulle isole. Notevole aiuto è dato dai partner di servizio logistico che permettono una rintracciabilità in tempo reale della spedizione attesa o effettuata, magari consultabile direttamente dal cliente. Il tempo di consegna può diventare estremamente critico in situazioni “di blocco” che il cliente si viene a trovare: in queste situazioni, l’impresa deve rispondere prontamente, garantendo il minore tempo possibile impiegato per la gestione logistica della transazione. L’uso di tecnologie di identificazione, quali i codici a barre e, probabilmente in breve tempo, la tecnologia a Tag RFID139, è di grande supporto e aiuto nella gestione logistica della transazione, ma richiede una integrazione maggiore dei processi e dell’hardware e dei software impiegati. 139 Cfr. “Login Internet expert”, n. 52, Maggio-Giugno 2005 101 3.5 L’integrazione aziendale L’integrazione delle potenzialità offerte dalle diverse funzioni aziendali è certamente uno dei fattori determinanti il successo di una strategia di CRM. Le diverse funzioni aziendali devono sviluppare una forte collaborazione interna al fine di poter creare maggior valore aggiunto al cliente finale. Il primo passo da compiere, per creare tale integrazione, consiste nel garantire un facile e veloce accesso alle informazioni possedute dall’impresa. Le informazioni e le conoscenze sviluppate all’interno di una funzione devono essere messe a disposizione dell’intera organizzazione, al fine di permettere all’impresa la gestione univoca delle relazioni instaurate con i singoli clienti. Inoltre, l’integrazione deve svilupparsi tra i canali di comunicazione al cliente, per fornire una visione univoca dei valori e degli obiettivi d’impresa. In particolare, devono essere integrati i sistemi di front office con quelli di back office: in tal modo, si assicura un corretto processo di sviluppo della conoscenza e di creazione del valore: da ciò derivano diversi vantaggi: infatti, unificando i processi di business con le operazioni interne, è possibile ridurre i costi, eliminare gli sprechi e evitare la duplicazione degli sforzi, dei processi e delle informazioni. I processi di integrazione riguardano anche i partner d’impresa (quali, ad esempio, i fornitori), per creare e sviluppare maggiore efficienza e produttività. Il percorso di integrazione coinvolge pertanto: - le funzioni aziendali; - i sistemi di front office e back office; - i fornitori. E’ dunque necessaria una continua revisione dei sotto-obiettivi e dei metodi per raggiungerli, al fine di garantire sempre una maggiore fluidità nel processo delle transazioni: infatti, la strategia di CRM non rappresenta una alternativa al modello di business orientato alla transazione, ma, al contrario, ne fa’ parte integrante e necessaria (la relazione di fiducia si instaura necessariamente osservando il buon esito delle singole transazioni). 3.6 Conclusione Il CRM rappresenta la genuina istanza applicativa dell’intenzione aziendale di muoversi verso la gestione del capitale intellettuale e della conoscenza, creando valore aggiunto ben gradito al cliente. Creare e mantenere relazioni continuative con i clienti, rappresenta l’elemento cardine per la costruzione di un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo all’interno dei nuovi mercati globali. Tale strategia si propone obiettivi di fidelizzazione e massimizzazione del grado di soddisfazione della clientela come requisiti fondamentali per migliorare la redditività d’impresa. 102 Gli strumenti e le innovazioni, rese disponibili grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie dell’informazione, consentono un significativo miglioramento delle attività svolte in questa direzione, tanto da poterla definire e-CRM (sebbene con questo termine si intende la massimizzazione del valore delle relazioni instaurate con i clienti mediante l’utilizzo di Internet e lo sviluppo, soprattutto in ambito B2C, del commercio elettronico). Anche all’interno di un piccola impresa è possibile intraprendere un percorso di CRM: il paradigma “on-demand” permette, a fronte di un impegno finanziario ragionevole e completamente prevedibile, di ottenere strumenti tecnologici di CRM in grado di poter supportare completamente tale innovazione, anche senza disporre, da parte dell’impresa, delle competenze necessarie per sviluppare e mantenere un tale sistema. Tuttavia, come già osservato, non è il fattore tecnologico l’aspetto maggiormente limitante in questa fase della storia economica delle PMI, ma piuttosto è la mentalità e la scarsa apertura all’innovazione da parte del Management. 103 Seconda parte La presentazione dell'esperienza di Knowledge Management di una PMI 104 4. Metrohm Italiana Srl 4.1 Presentazione della società Metrohm Italiana Srl140 è una società commerciale nata nel 1993 a seguito della dismissione, da parte di AESSE Spa, del reparto dedito alla rappresentanza in Italia dei prodotti di Metrohm AG141, società svizzera con sede ad Herisau, nei pressi di Sangallo. Quest’ultima ha iniziato nel 1943 la propria attività dedicandosi al campo dell’elettronica; dopo il fortuito incontro del fondatore Ing. Shuner con un chimico della Geigy, avvenuto durante una gita sulle Alpi svizzere, si è convertita alla produzione di strumentazione per l’analisi chimica. Metrohm AG ha introdotto nel mercato della strumentazione per l’analisi elettrochimica molti prodotti innovativi: nel 1950 il primo elettrodo “combinato”142 per la misura del pH, e nel 1956 la prima buretta meccanica dotata di cilindro e pistone. Affermandosi progressivamente nel mercato, negli anni ' 80 gli iniziali i proprietari hanno donato la società Metrohm AG alla Fondazione Metrohm, il cui scopo è tenere indipendente di società, fornire fonte di impiego significativo per la gente locale e sostenere cause di pubblico interesse per il cantone. Ad oggi, più di 350 persone lavorano in essa e il Gruppo Metrohm include più di trenta società tra consociate e società di joint venture; è presente in più di quarantasette paesi che assorbono più di due terzi delle vendite totali e impiegano più di mille persone. Metrohm Italiana Srl, Società a Responsabilità Limitata, è la consociata italiana di Metrohm AG; il suo fatturato totale nell’anno 2004 ammonta a circa 4 ML di Euro – includendo i servizi post vendita – . L’intera quota del capitale sociale è posseduta da Metrohm AG e il Consiglio di Amministrazione, a dicembre 2004, è così formato143: Carica in Metrohm Italiana Srl Carica in Metrohm AG Adrian Deteindre Presidente CdA Presidente e Direttore Marketing Jan Geil Consigliere Vice direttore Marketing Bruno Winterhalter Consigliere Direttore Finanziario Cosimo Santini Consigliere delegato - Tabella 4.1: Struttura di Metrohm Italiana Srl e di Metrohm AG 140 http://www.metrohm.it http://www.metrohm.com 142 Nel quale l’elettrodo di misura e l’elettrodo di riferimento sono uniti in un unico corpo. 143 Cfr. Visura Camerale 141 105 Metrohm Italiana Srl da’ lavoro a circa trenta dipendenti, in due sedi: la sede legale a Origgio (VA) e un ufficio a Roma. Ad Origgio lavora è un gruppo di commerciali, tecnici, specialisti di prodotto, persone dedite all’amministrazione, ed è ivi dislocato il magazzino principale. 4.1.1 Descrizione dell’azienda L’attività di Metrohm Italiana Srl è quindi una attività principalmente commerciale, a cui si affianca l’offerta di un servizio di assistenza tecnica e applicativa (pre e post vendita) su tutta la gamma dei prodotti. A grandi linee, al di là di ulteriori differenziazioni pur presenti nell’Organigramma Funzionale, le funzioni aziendali presenti possono essere così rappresentate e descritte: Direzione generale Magazzino Amministrazione Venditori Spec. prodotto Back office Ass. tecnica Segreteria commerciale Font office Figura 4.1: Struttura di Metrohm Italiana Srl Venditori: è il gruppo, di dieci persone, che si occupa di contattare i clienti potenziali e acquisiti. Lavorano su base geografica, con riferimento all’area di più province. Obiettivo principale di costoro è quello di vendere i prodotti Metrohm, proponendo lo strumento più indicato per le esigenze operative del cliente. Supporto pre e post vendita: si tratta di nove persone che possiedono una particolare conoscenza delle tecniche di misura e degli strumenti e/o del loro funzionamento interno. All’interno di questo gruppo si possono individuare due categorie di persone: gli specialisti di prodotto – Product specialist – e i tecnici di assistenza comunemente intesa. Il compito dei primi è quello di supportare il venditore qualora debba effettuare dimostrazioni circa l’adeguatezza degli apparecchi proposti (tipica fase pre-vendita) o aiutare il cliente qualora sorgessero dubbi o difficoltà applicative (fase post vendita). Compito dei tecnici di assistenza è il mantenimento delle caratteristiche originarie degli strumenti, ripristinandone l’affidabilità e la precisione dopo il normale uso (manutenzione ordinaria) o a seguito di un guasto (manutenzione straordinaria). Politicamente, per la maggioranza dei casi, l’intervento di uno specialista di prodotto non dà luogo a richieste economiche al cliente, mentre l’attività di un tecnico di assistenza è a pagamento e rappresenta una fetta corposa del fatturato di Metrohm Italiana Srl (cfr. paragrafo 4.1.3) 106 Segreteria commerciale: è il gruppo che si occupa del supporto alle iniziative di vendita, e supervisiona la redazione delle offerte, la registrazione degli ordini e la consegna del materiale acquistato. Back office: è composto da sei o sette persone, da contare tra l’Amministrazione e il Magazzino che gestiscono la contabilità amministrativa, il recupero crediti e la logistica per la spedizione della merce. Le interazioni previste e i mezzi di supporto per esse, sono descritte dettagliatamente nelle Procedure del Manuale di Qualità144 che, come si avrà più volte modo di asserire in seguito, ha rappresentato il primo passo verso l’identificazione della necessità di una gestione della Conoscenza acquisita da Metrohm Italiana Srl negli anni della propria attività. 4.1.2 I prodotti I prodotti di Metrohm AG sono ormai prevalentemente strumenti scientifici per effettuare analisi con tecnica elettrochimica in laboratorio: è da escludere perciò un utilizzo diretto di esse in impianti pilota o di produzione. Tipiche apparecchiature appartenenti a questa tipologia di strumenti sono misuratori di pH puntuale, burette e titolatori automatici, cromatografi ionici e misuratori di stabilità all’ossidazione di oli o PVC. I clienti di tali strumenti sono le industrie chimiche, farmaceutiche, alimentari, petrolifere, laboratori pubblici (ARPA, ASL, Università, CNR, ecc.) e privati (analisi per conto terzi o ambientali): in generale, chiunque abbia da effettuare analisi chimiche attraverso grandezze elettrochimiche. Alcuni esempi delle più disparate applicazioni possono essere: analisi di ioni in acque potabili, ppm145 di acqua in oli per isolamento elettrico, resistenza all’irrancidimento di grassi alimentari e grado di dissolvimento delle pastiglie di detersivo per lavatrice. In relazione alla concentrazione attesa degli analiti, Metrohm AG propone una differenziazione della tecnica di analisi, riassunta nella figura 4.2 seguente146: 144 Il Sistema Qualità di Metrohm Italiana Srl è certificato ISO 9002 dal 1999 e ISO 9001:2000, con esclusione della progettazione – § 7.1 della norma – dal 2002. 145 parti per milione 146 Cfr. http://www.metrohm.com/company/profile_e.html 107 La strumentazione Metrohm è quindi tradizionalmente suddivisa in categorie (o gruppi) di apparecchi, dipendentemente dal tipo di tecnica utilizzata per ottenere il valore cercato. Per meglio capire l’impatto che la vendita di uno strumento di ciascuna categoria può avere sul fatturato, può essere utile rifarsi alla tabella seguente: Categoria Numero parti a listino Media costo di listino in € 1.Titolatori 31 5.000 2.Meter 18 1.100 3.Burette elettroniche 14 1.700 4.Strumenti per polarografia 7 11.500 5.Misuratori di stabilità 4 13.500 6.Cromatografia ionica 52 18.500 7.Dispositivi per l’automazione 60 11.700 - - 8.Sensori e accessori Tabella 4.2: Costo medio per strumento vs. tipologia147 A dicembre 2004 la distribuzione del fatturato per tipologia di strumenti è illustrata dal seguente grafico: Fatturato 2004 Suddivisione per categoria di strumenti 18% 35% 5% 6% 8% 1% 5% 22% 1.Titolatori 2.Meters 3.Burette elettroniche 4.Polarografia 5.Mis. stabilità 6.Cromatografia 7.Automazione 8.Sensori e accessori Figura 4.3: Suddivisione del fatturato 2004 di Metrohm Italiana Srl per tipologia di prodotto Mentre una decina di anni or sono, il mercato dei titolatori era di gran lunga preponderante rispetto alle altre tecniche di misura, i cromatografi ionici Metrohm stanno acquisendo una fetta di mercato 147 Riferito al listino prezzi in vigore a marzo 2005. 108 – mondiale e nazionale – sempre più cospicua e rappresentano ormai un serio problema per il produttore americano Dionex148, leader storico nella produzione di Cromatografi Ionici. Occorre anche sottolineare che le tecniche di analisi cromatografica rappresentano – agli effetti – una alternativa sempre più ricercata alle tecniche potenziometriche: ciò è dovuto principalmente al minore utilizzo di reagenti per tali analisi e per una intrinseca spiccata sensibilità. Si tratta in ogni caso di dispositivi ad elevata integrazione tecnologica: - tecnologia elettronica ed informatica, in quanto gli strumenti dispongono di microprocessore interno e sono programmabili nella sequenza di operazione. Taluni strumenti, peraltro, sono comandabili solo attraverso un Personal Computer e solo attraverso questo vengono presentati i risultati; - tecnologia dei materiali per la realizzazione dei sensori di misura (elettrodi e colonne cromatografiche): questa tecnologia è sviluppata particolarmente nell’ambito della lavorazione del vetro e delle ceramiche. 4.1.3 I servizi Una fetta consistente del fatturato di Metrohm Italiana Srl è rappresentata dagli introiti per servizi erogati: la percentuale relativa ai servizi sul fatturato totale è cresciuta, passando dal 14.8% del 2003 al 16% del 2004. Per completezza, di seguito è riportata la suddivisione, per voce, del fatturato dell’assistenza tecnica nei primi sei mesi del 2005. Figura 4.3: Suddivisione del fatturato 2004 di Metrohm Italiana Srl per tipologia di servizio 148 Cfr. http://www.dionex.com 109 I servizi a pagamento erogati da Metrohm Italiana Srl sono generalmente effettuati facendo riferimento ai Manuali Utente e di Servizio editi dal costruttore. Nulla, per ciò che riguarda il protocollo di controllo delle caratteristiche dei prodotti è ideato all’interno di Metrohm Italiana Srl o peggio lasciato alla libera iniziativa del personale tecnico. Ciò assicura la possibilità di una perfetta taratura dello strumento di misura anche dopo parecchi anni di utilizzo e ciò rappresenta un vanto nelle caratteristiche di analisi dell’investimento. Oltre a provvedere al ripristino degli strumenti guasti, prevedendo prestazioni presso la sede e presso il laboratorio del cliente, Metrohm Italiana Srl propone anche un’efficace servizio di manutenzione preventiva: i cosiddetti “Contratti di Assistenza Tecnica Programmata” – CATP . La prestazione per questi contratti prevede tipicamente una o due visite all’anno presso il laboratorio del cliente, durante le quali gli strumenti sono sottoposti a revisione e controllo dei dati di targa. A seguito di tale attività è rilasciato al cliente un documento comprovante “lo stato di salute” dello strumento149. Questa attività è molto richiesta, soprattutto da coloro che possiedono un Sistema Qualità certificato UNI EN ISO 9001 o operano in regime della norma UNI EN ISO 17025:2000 “Requisiti generali per la competenza dei laboratori di prova e taratura”. Il crescente interesse per tale norma ha portato ad una maggiore differenziazione dei servizi proposti e ad un ovvio maggior introito. La gestione della qualità in un laboratorio è una questione alquanto complessa e ad un osservatore esterno può apparire non chiara. Come spesso accade in un settore in fase di sviluppo, il significato di alcuni termini può variare, avendo diverse definizioni a seconda dell’area di applicazione. Senza entrare nello specifico, termini come validazione, qualificazione e verifica sono ormai abituali nelle pratiche di gestione della strumentazione di laboratorio. Molto importante è il concetto di qualificazione, che si riferisce ai diversi stadi di vita di uno strumento analitico o di un sistema di analisi: nel modello di ciclo di vita i passi individuali sono chiamati qualificazioni. Nella tabella seguente è riportato il ruolo delle qualificazioni nel ciclo di vita di uno strumento, ed è indicata la responsabilità di ciascuna qualificazione150: 149 Se, incidentalmente, uno strumento risultasse, al controllo, fuori tolleranza per qualche parametro, allora si renderebbe necessario invalidare tutte le prove che il cliente ha effettuato con esso. Da ciò si deduce la necessità e la criticità di tale servizio. 150 Cfr. “Gestire la Qualità con Metrohm”, fascicolo edito da Metrohm Italiana Srl. 110 Qualificazione Fase Responsabile SQ Specification Qualification Sviluppo Produttore CQ Construction Qualification Costruzione Produttore DQ151 Design Qualification Valutazione Utilizzatore IQ Installation Qualification Installazione Utilizzatore OQ Operational Qualification Start-up Utilizzatore PQ Performance Qualitfcation Routine Utilizzatore 152 Attività L’hardware e il software dello strumento sono sviluppati e testati in accordo con le definite linee guida per la qualità. Lo strumento è prodotto e testato in accordo con le linee guida definite per la qualità. Contributo Metrohm Metrohm AG è certificata ISO 9001. Lo sviluppo delle strumento è documentato nella sua totalità. Durante la produzione e il testing dello strumento le richieste del sistema di gestione della qualità sono rigorosamente adempiute. Evidenza che lo strumento Consigli tecnici forniti da soddisfa le richieste sta- Metrohm. bilite. Controllo e documen- Dettagliate istruzioni per tazione che lo strumento è l’uso. Consigli tecnici forniti stato correttamente instal- su richiesta. Logbook. lato. Controllo funzionale. Controllo delle specifiche. Bollettini applicativi editi da Controllo delle perfor- Metrohm (esempi di Stanmance. dard Operating ProceduControlli periodici delle res). Metodi di analisi prespecifiche, analisi di programmati nella strumentazione per il controllo campioni di riferimento. delle performances. Tabella 4.3: Alcune tipologie di qualifiche effettuabili per la strumentazione di laboratorio Come si evince dalla colonna “Contributo Metrohm”, il supporto applicativo e tecnico post vendita risulta essere così un elemento caratterizzante dell’attività di Metrohm Italiana Srl, oltre a rappresentare una cospicua fonte di guadagno, prevedibilmente in crescita per gli anni a venire. 4.1.4 Il marketing Metrohm Italiana Srl sviluppa una politica di marketing seguendo, in generale, le indicazioni date dalla casa madre Metrohm AG. Da essa, un’indicazione pressante è rivolta alla necessità di effettuare dimostrazioni al cliente delle possibili soluzioni aperte dall’impiego di strumenti Metrohm per le specifiche esigenze. “It is so easy. And it is still ignored by many organizations. It is a proven fact that you sell what you demo! And it works better than any other sophisticated marketing campaign. Those distributors who run sales driven organizations prove it every day: Demo a Titrando and you sell a Titrando. Demo a Titrino and you sell a Titrino. … 151 Cfr. ad esempio “Quale elettrodo per quale misura?” su http://www.metrohm.com/applications/titration/ov/appl_electrode.html e “Quale elettrodo per quale titolazione?” su http://www.metrohm.com/applications/titration/ov/tit_electrode.html 152 Il servizio di questa qualificazione e della successiva rappresenta un ottimo esempio di come la conoscenza posseduta da Metrohm Italiana Srl possa diventare valore per il cliente. E’ infatti veramente basso il numero di clienti di cui si ha notizia che procedano essi stessi a tali qualificazioni; anche grandi aziende farmaceutiche quale, ad esempio la Merck Sharp & Dohme Italia Spa di Pavia, preferisce lasciare a Metrohm Italiana Srl tale compito. 111 Make it easy for the sales force. Give them the demo stock to make it happen. Have them trained well. Perhaps with our help. And with the help of professional sales trainers. And provide the infrastructure. … You sell what you demo. Or do you test drive a Fiat to buy a BMW?”153 Le dimostrazioni sono condotte sia dai venditori che dagli specialisti di prodotto, previa valutazione della fattibilità dell’analisi richiesta sul campione fornito dal cliente154. Altra tecnica di marketing adottata è quella per la quale viene ridotto il prezzo di particolari prodotti – dipendenti dall’obiettivo della campagna – e pubblicizzato mediante email (ad esempio, si è deciso di vendere un pHmetro al prezzo di poco maggiorato rispetto al costo per favorire, con questa vendita, l’introduzione del marchio Metrohm nella strumentazione di laboratorio di un cliente) Esiste poi una rete per lo scambio di informazioni tra azienda e clienti realizzata mediante seminari, emailing list, pubblicazioni periodiche155, note applicative e monografie156 sulle tecniche di misura. Attenzione costante è rivolta all’acquisto di nuovi clienti e, in questa direzione, Internet rappresenta uno strumento insostituibile per la facilità e la velocità con cui è possibile ottenere indirizzi e riferimenti: ad esempio, con consultazione degli elenchi degli associati a gruppi potenzialmente interessati (quali i laboratori ambientali accreditati Sinal, i gestori degli acquedotti, ecc.) e, successiva navigazione nel sito Internet del potenziale cliente così individuato. Questa attività è svolta dal gruppo “Segreteria commerciale”, il quale segnala al venditore di zona competente i risultati delle ricerche. Attualmente, il sito di Metrohm Italiana Srl è pensato come “sola presenza” sul Web e riporta i dati di contatto dell’azienda; per la maggior parte degli argomenti, il rimando è al sito della casa madre. Sempre più, tuttavia, man mano che si realizzano soluzioni di interesse particolare per il mercato italiano della misura elettrochimica, si inseriscono in esso i relativi articoli. Naturalmente, la vendita di uno strumento permette, oltre ad allacciare un rapporto di collaborazione con il cliente, di godere nel tempo degli ordini per l’acquisto di materiale di 153 Estratto dalla comunicazione originale, sui forum privati del gruppo Metrohm, da parte di J.V. Geil, vicedirettore Marketing di Metrohm AG, dell’ottobre 2004. 154 Cfr. paragrafo 4.4.2 155 Cfr. http://www.metrohm.com/company/metrohminfo/minfo_main.html 156 Cfr. http://www.metrohm.com/support.html 112 consumo157, per l’esecuzione di contratti di assistenza tecnica programmata, e divenire comunque un fornitore di riferimento per il cliente stesso per occasioni future. 4.2 La storia del Knowledge Management in Metrohm Italiana Srl “L’intendere il Knowledge Management come la disciplina che impiega il capitale intellettuale come risorsa gestibile, con l’obiettivo di mettere tale capitale intellettuale dell’azienda a disposizione di tutti i collaboratori, utilizzando come mezzo la fusione tra cultura dei processi aziendali e tecnologia disponibile, deve e dovrà sempre più essere la vision del Customer Relationship Management di Metrohm Italiana Srl. Per una società commerciale è infatti “linfa vitale” la conoscenza del cliente e tale linfa è tanto più nutritiva quanto più tale conoscenza è precisa e condivisibile. Se, da un lato, il sistema informatico gioca un ruolo chiave per la realizzazione di una appropriata infrastruttura per l’integrazione di tutti i dati del cliente conosciuti da Metrohm Italiana Srl, dall’altro, in un contesto più generale, essa non può essere solamente “informatica”: occorre anche vigilare affinché le procedure di lavoro aziendali – come, ad esempio, i famosi processi della ISO9001:2000 – e le gestioni delle istanze non standard dell’attività non siano contraddittorie relativamente all’obiettivo enunciato sopra. L’esperienza iniziale di Metrohm Italiana Srl ha purtroppo sofferto, in generale, della mancanza di un collegamento organico tra le varie attività, dalla gestione ordini alla gestione dei contatti clienti, dalla gestione delle scadenze contabili attive alle movimentazioni di magazzino, dall’attività del supporto post vendita a quella del laboratorio e dei commerciali”158. Leggendole a distanza di tempo, tali affermazioni rappresentano una sorta di visione profetica della direzione che Metrohm Italiana Srl è stata capace di intraprendere negli ultimi due anni di attività. Ovviamente non si è trattato di un passaggio indolore: è stato necessario un cambio di mentalità – e a volte, anche di persone – e, soprattutto, di quella figura che troppo spesso, nella PMI, tende a costruire l’azienda a propria immagine e somiglianza: l’Amministratore Delegato, al quale, per convenienza, daremo il nome di Dott. Bianchi, ai tempi anche socio159. 4.2.1 Lo stato iniziale: il KM “a quei tempi” E’ doveroso, al fine di comprendere la giusta dimensione della rivoluzione KM in Metrohm Italiana Srl, ripercorrere a grandi linee la storia del suo Management nel decennio di vita. In alcuni tratti trasparirà inevitabilmente il giudizio di chi scrive sulle decisioni e sui comportamenti dei vari 157 Si ricorda che nell’anno 2004 la frazione del fatturato dovuta a questa voce è superiore ad un terzo! Relazione consegnata dall’autore, in qualità di Responsabile ICT, all’ Amministratore Delegato – gennaio 2003 159 “…l’imprenditore è a un tempo padrone e capo dell’impresa, della quale si assume, più di ogni altro soggetto, rischi e responsabilità…In questa situazione il soggetto economico (dell’azienda) non può che coincidere con la figura dell’imprenditore, vero deus ex machina dell’impresa, e quindi gli obiettivi dell’impresa non possono che corrispondere agli interessi di cui tale figura è portatrice…In definitiva, la ricerca del massimo profitto, per l’impresa padronale, può essere identificata come l’obiettivo più appropriato, a condizione che venga relativizzata al complesso degli interessi extraeconomici dell’imprenditore, al suo orizzonte temporale di riferimento, alla sua propensione al rischio.” Cfr. Francesco Favotto, Economia aziendale. Modelli misure casi – McGraw-Hill – 2001. 158 113 amministratori che si sono succeduti. Tuttavia si cercherà di dare una visione oggettiva del vissuto, supportando le affermazioni fatte con la documentazione esistente, come ad esempio le circolari della direzione o i verbali delle riunioni o, dove non esistesse forma scritta, riferendosi a quanto ricordato dai protagonisti. Costituitasi alla fine del 1993, il capitale sociale era posseduto per il 30% dall’Amministratore delegato stesso (il restante 70% era posseduto dalla casa madre Metrohm AG), configurandosi quindi, almeno agli effetti, come azienda “padronale”. L’amministratore, facendo prevalentemente riferimento alla propria esperienza di imprenditore, dettava obiettivi alle varie funzioni aziendali: tuttavia, se da una parte era abbastanza chiaro l’obiettivo ultimo – l’aumento di fatturato – , dall’altro non erano sempre chiari gli obiettivi intermedi e i mezzi per raggiungere il risultato finale. Anche un individuo completamente a digiuno di strategia aziendale poteva osservare una certa distorsione, se non contraddizione, nelle analisi e nelle decisioni. Figura 4.5: La storia del KM in Metrohm Italiana Srl: comunicazione tra gli uffici Come è possibile che anche le telefonate debbano “passare” attraverso altri? Come può un gruppo di supporto con tipiche mansioni di segreteria diventi il motore di KM della società? Si può certamente obiettare che, del resto, questo è il comportamento tipico dell’impresa padronale e, in particolare, nessuna giustificazione è dovuta ai propri collaboratori: se la maggioranza azionaria non interviene, l’operato dell’amministrazione è pienamente giustificato di per sé. Ciò non 114 toglie, però, che già dai primordi Metrohm Italiana Srl avrebbe potuto addirittura avvantaggiarsi della sua particolare situazione di impresa appena formata. Il problema della gestione della conoscenza non era neppure nominato. L’azienda è stata esplicitamente paragonata ad un villaggio tribale, il personale delle vendite ai cacciatori il cui lavoro è quello di portare agli altri le prede catturate. Le poche iniziative di marketing erano orientate alla sola transazione! La riuscita di un affare concludeva il lavoro del venditore e quest’ultimo era il vero e proprio “responsabile” del cliente, conoscendone virtù, vizi e difetti. Purtroppo, dei contatti avuti per concludere la vendita rimanevano soltanto l’offerta, la bolla di accompagnamento, la fattura. Il venditore – o meglio, la sua agenda – era unico depositario della conoscenza acquisita, più che mai esplicitata, ma tutt’altro che condivisa. Dunque è facile immaginare come, in questa situazione, l’azienda correva il rischio di perdere il cliente se, ad esempio, il venditore rassegnava le dimissioni e – a maggior danno – passava alla concorrenza. Nel 1998 il Dott. Bianchi chiese al Responsabile ICT di realizzare una applicazione software per la stesura delle offerte di vendita. Questi formulò la proposta di un sistema il cui obiettivo andava oltre la semplice “macchina da scrivere”: occorreva iniziare a pensare un modo per mantenere i contatti con i clienti all’interno dell’azienda, al riparo da eventuali dipartite del personale o quant’altro. Il tempo necessario per tale realizzazione – almeno tre mesi – suscitò la risposta decisamente avversa del Dott. Bianchi: il tempo appariva eccessivo, il sistema serviva immediatamente, il problema di mantenere traccia elettronica dei contatti era una falso problema. Ancora, si può obiettare che la lungimiranza nell’organizzazione non è un dono a tutti elargito. Di certo, rimane l’impressione che l’azienda fosse dotata di una struttura assai debole, una struttura in cui ogni collaboratore era prezioso per i risultati immediatamente conseguiti e poco (o nulla) lasciava, come traccia scritta, del suo operato. In ogni caso, questa organizzazione dava risultati immediati – seppure non sempre positivi – e permetteva ai lavoratori ampio margine di iniziativa (spesse volte incontrollata) e comunque assicurava loro una rimunerazione in linea con quelle del settore. A questo punto può essere illuminante, al fine di cogliere sino in fondo il mutamento di rotta avutosi in seguito per il KM all’interno di Metrohm Italiana Srl, rileggere il verbale di una riunione, tenutasi il 10 Marzo 1997, nella quale l’Amministratore Delegato illustrava il suo modo d’intendere la gestione delle attività e in particolare il flusso delle informazioni nel gruppo Sales. Si potrà 115 immediatamente osservare come la definizione degli obiettivi (“necessità”) evidenzi il fatto che, ai tempi, l’impresa non fosse ancora neppure entrata nell’ottica “Service” del modello di M. Treacy160, anche se la condivisione della conoscenza era già, in qualche modo, riconosciuta necessaria161 Maggiormente rivelatrici dell’idea che si aveva allora del flusso della conoscenza, sono le righe del paragrafo “Compiti dei venditori”: l’informazione e la conoscenza dovevano prevalentemente in maniera unidirezionale, da Metrohm Italiana Srl ai clienti162, i quali riceveranno informazioni “circa nuovi strumenti, le possibilità di utilizzo della strumentazione posseduta, nuove applicazioni e nuove potenzialità degli strumenti posseduti”. E’ rilevante osservare, a questo punto, che, nella visione attuale del Knowldege Management di Metrohm Italiana Srl, è il cliente che con le sue richieste modella la proposta commerciale. Altro fattore anomalo è il ruolo determinante, diremmo più propriamente di pivot, assegnato alla Segreteria Reparto Vendite163, anomalia ancora più evidente ricordando che il personale che lo componeva era in possesso di una preparazione tecnica specifica pressoché nulla e che i contatti che costoro avevano con il cliente erano prevalentemente telefonici e dettati da esigenze di back office. Già solamente pensare che questa funzione fosse da sola capace di veicolare e far condividere anche la conoscenza esplicita, fu un grave abbaglio. Tuttavia, attualmente questo modello è stato ripreso sebbene per la sola conoscenza operativa esplicita (ad es. richieste, indirizzi) che nasce dai normali contatti che l’ufficio di supporto alle vendite ha con i clienti e le altre funzioni aziendali (i cosiddetti “clienti interni”). In ultimo, facciamo osservare che non era stato pensato un canale istituzionale per lo scambio di esperienze o di conoscenze tra le varie funzioni di Metrohm Italiana Srl che, in un modo o nell’altro, avevano incontri diretti con le esigenze dei clienti: tale scambio era lasciato al rapporto personale e/o alla buona volontà dei soggetti. segue Figura 4.6: La storia del KM in Metrohm Italiana Srl: i primi tentativi. 160 Cfr. M. Treacy, “The Discipline of Market Leaders: Choose Your Customers, Narrow Your Focus, Dominate Your Market”, 1997, Perseus 161 “Ogni intervento degli uomini Metrohm in zona (Service o Application) dovrà essere coordinato con il responsabile di zona” nel paragrafo “Obbiettivi”. 162 “… del venditore territoriale … il quale ha il compito di educare i clienti …” 163 Cfr. “Flusso delle informazioni nel gruppo di vendita” 116 117 118 4.2.2 La meteora “Qualità” e la nascita di una strategia per il KM La crescente richiesta del requisito di disporre, da parte di Metrohm Italiana Srl, di un “Sistema di gestione per la Qualità” certificato per partecipare a gare o appalti presso enti pubblici e il progressivo fermento su tale argomento ha indotto, nel 1998, o meglio obbligato, l’Amministratore Delegato ad intraprendere il percorso di certificazione. L’impatto dell’istituzione del Sistema Qualità in Metrohm Italiana Srl è stato tale da poter senz’altro rappresentare un esempio di come una sorgente di conoscenza esterna possa scatenare all’interno di una organizzazione tutta una serie di pensieri, attività e processi che portano realmente ad un vantaggio, sia interno (l’ottimizzazione o almeno la razionalizzazione delle risorse, l’affermarsi di best practices in seguito istituzionalizzate, l’introduzione di tecniche statistiche o di benchmarking) che esterno (un lavoratore sa, almeno teoricamente, come gestire la maggior parte delle istanze che si presentano durante il suo lavoro). Il primo passo è stato di quello di rivolgersi ad un consulente esterno, la cui scelta si è basata su motivazioni prevalentemente economiche. In quanto azienda non produttrice di beni in senso 119 proprio, la norma di riferimento è stata la ISO 9002:1994, la quale, a differenza della ISO 9001:1994, non contempla il processo di progettazione. Il programma di lavoro proposto era semplice ed intuitivo: dopo aver prodotto alcune documentazioni sulle attività della società, occorreva organizzarle in modo da individuare una corrispondenza biunivoca tra i capitoli del Manuale della Qualità e i paragrafi della Norma, al fine di sottolineare come ciascun requisito di tale norma fosse stato analizzato e, almeno teoricamente, soddisfatto. Questo modo di procedere ha fatto sì che per molto – troppo – tempo la Gestione della Qualità restasse un esercizio teorico, una specializzazione di un paio di collaboratori, e come tale, si sviluppasse come attività a sé stante, ripresa in occasione degli audit interni o delle visite di sorveglianza da parte dell’ente certificatore164. A tale proposito, la UNI EN ISO 9001:1994 (ormai decaduta, sostituita dalla UNI EN ISO 9001:2000), al paragrafo 4.1.1 recitava: Politica per la qualità L’alta direzione del fornitore deve definire e documentare la propria politica per la qualità, ivi inclusi gli obiettivi e gli impegni per la qualità. La politica deve essere attinente agli obiettivi aziendali e alle esigenze e aspettative dei propri clienti. Il fornitore deve assicurare che tale politica sia compresa, attuata e sostenuta a tutti i livelli dell’organizzazione. La qualità, intesa come da UNI EN ISO 9000:2000 o da UNI EN ISO 8402:1994, cioè come “il grado in cui un insieme di caratteristiche intrinseche soddisfa i requisiti”165, è dunque innanzi tutto un impegno dell’ “alta direzione” – nel nostro caso, dell’ Amministratore Delegato – e quindi è egli stesso che, per primo, deve cogliere gli aspetti innovativi e caratterizzanti di una gestione della Qualità. Si può facilmente intuire che, se la “faccenda Qualità” viene affidata in maniera quasi esclusiva solo ad alcuni collaboratori, non può iniziare a creare quelle condizioni che favoriscono l’apertura del modo di operare dell’impresa verso nuove idee e nuove forme, per renderla più competitiva, ben sapendo che “The internet age has removed the boundaries of industries and now small and big businesses compete within the same market place and market space.”166 Ogni ritardo accumulato in questo senso può pericolosamente abbassare il livello di competitività dell’impresa stessa, non tanto per le caratteristiche del prodotto, bensì per la capacità di captare – e quindi intercettare – le esigenze di clienti nuovi e acquisiti. Di fatto, la richiesta di documentabilità 164 Curioso è l’episodio per il quale, a seguito dell’avvenuta certificazione del SQ, il responsabile del laboratorio applicativo donò un mazzo di fiori alla responsabile dell’Assicurazione Qualità; al di là della cortesia e del ringraziamento comunque dovuti, resta il sospetto che tale gesto sottolineasse l’impegno personale piuttosto che il saluto all’auspicato cambio della mentalità collettiva. 165 Cfr. UNI EN ISO 9000:2000, §3.1.1 166 Cfr. S. Kermally, “Effective knowledge management”, 2002, Wiley 120 e tracciabilità esplicitamente contenuta nelle ISO 9000167 è il primo grande passo verso una esplicita gestione della conoscenza che un’organizzazione deve mantenere, se non altro per assicurare la soddisfazione dei requisiti e delle esigenze dei clienti, obiettivo del SQ. Probabilmente, attraverso questo sentiero, “accidentalmente” intrapreso, Metrohm Italiana Srl ha iniziato ad interrogarsi sulla propria organizzazione del lavoro e sui valori di conoscenza in esso contenuti168. Non si è certamente trattato di un’istanza collettiva, ma fortunatamente chi ha cominciato ad occuparsi di quest’ambito aveva, se non già un background di teoria dell’organizzazione del lavoro, almeno una certa sensibilità verso la tematica. Ma, come Nonaka e Takeuchi insegnano, è stato necessario lasciare completare il ciclo SECI nei suoi ultimi due momenti affinché la conoscenza innovativa avesse a generarsi. Il forte richiamo intrinseco – sebbene forse acerbo169 – ad una razionalizzazione dell’attività aziendale emesso dalle norme ISO 9002 si è così incontrato con una conoscenza tacita di alcuni (fatta di capitale umano, di livello e di percorso di istruzione, di esperienza, di valori e di abilità sociali) e, dopo questa fase di internalizzazione, ha permesso di far maturare in questi un desiderio di organizzazione del lavoro in netta rottura con il passato. E’ forse una peculiarità – e probabilmente un vantaggio competitivo – delle PMI la velocità con la quale si compie un ciclo SECI, in quanto le dimensioni anche fisiche dell’azienda e il grado di elevata autonomia dei collaboratori170 portano ad una rapido e continuo confronto, in molti campi anche senza la necessità di un valido supporto (ad esempio informatico) ove codificare la conoscenza esplicitata, almeno quella operativa, strettamente correlata alla richiesta del prodotto o del servizio171. C’è tuttavia da ricordare che l’Amministratore Delegato e alcuni colleghi – purtroppo anche occupanti ruoli strategici – rimasero comunque insensibili a questo cambiamento, con il conseguente sviluppo di incomunicabilità tra persone e funzioni aziendali: per costoro, “la qualità” era una moda o comunque solamente “una cosa escogitata per far lavorare i consulenti, che non sanno più cosa fare per campare”172. Tuttavia, a consolazione, è bene ricordare che non poche persone appartenenti ad aziende diverse hanno rilevato, nelle discussioni informali avvenute in 167 Secondo la versione di tale norma redatta nell’anno 2000, sono almeno sei le procedure documentate che una organizzazione deve predisporre. 168 E’ interessante osservare che già nell’edizione del 1994 delle norme ISO della serie 9000 la conoscenza era considerata come un prodotto – risultato di attività o di processi – e quindi fonte di business per le imprese: “Un prodotto può essere tangibile (per esempio: apparecchiature o materiali da processo continuo) o intangibile (per esempio: conoscenza o concetti) o una loro combinazione” – Cfr. UNI EN ISO 9001:1994, §3.1, nota 3. La norma UNI EN ISO 9001:2000, al §3 esplicita ulteriormente: “In tutto il testo della presente norma internazionale, ogni volta che viene utilizzato il termine prodotto, esso può significare anche servizio”. 169 E’ famosa la battuta: “Si può certificare ISO 9000 anche il Sistema Qualità di una azienda che produce salvagenti in granito”. Di fatto, perché non applicare anche a tutto il fenomeno “Certificazione dei SQ” il modello SECI? 170 Cfr pag. 32, rigurado a quanto Nonaka e Takeuchi pensano relativamente all’autonomia come condizione necessaria per la creazione di conoscenza organizzativa. 171 Cfr. Thomas A. Stewart, Il capitale intellettuale, 1999, Ponte alle Grazie 172 Frase pronunciata da una collega, E.N. 121 occasioni di corsi o convegni aventi come tema la certificazione del Sistema Qualità, la medesima mentalità nelle rispettive organizzazioni di appartenenza. La necessità quindi di esplicitare i processi organizzativi, le procedure di lavoro e quant’altro avesse impatto diretto sulla Qualità del prodotto – e del servizio – fornito al cliente ha quindi spianato la strada ad una possibile impostazione “teorica” della pratica quotidiana (e quindi la richiesta di una codificazione della conoscenza), sebbene nei primi anni tali vision erano di pochi e neppure molto chiare e dettagliate. 4.2.3 Il blocco del sistema: due amministratori Vicende avverse hanno poi portato Metrohm Italiana Srl ad un momento in cui erano presenti due Amministratori (al Sig. Bianchi è stato affiancato chi, per convenienza, chiameremo Sig. Verdi), le cui competenze erano sì preventivamente stabilite, ma non con sufficiente chiarezza, poiché nella pratica portavano molte volte ad un pericoloso blocco delle attività in quanto non era evidente, per i collaboratori, come interpretare le indicazioni e i desideri di entrambi. Va sottolineata la situazione estremamente paradossale, se si ricorda quanto detto poc’anzi rispetto all’impresa padronale: di fatto, in questi anni, il fatturato diminuì e la sensazione di malcontento andò aumentando. Null’altro diremo a questo proposito poiché è abbastanza intuitivo come una situazione di questo tipo sia assurda e controproducente, ma rimane la curiosità di sapere quale eco giungesse di ciò ai soci e ancora di più il dubbio che ciò effettivamente accadesse. 4.2.4 Lo sblocco del sistema: il cambio dei “vecchi” Amministratori Delegati Fortunatamente per l’azienda e per chi scrive, nell’anno 2003 le contemporanee dimissioni dei due Amministratori hanno richiesto un reintegro di tale figura. I soci hanno quindi chiamato al ruolo di Amministratore Delegato chi, per convenienza, chiameremo Sig. Rossi. L’azienda ha così compiuto due passaggi fondamentali: la presa di coscienza da parte dell’alta direzione della necessità di un sempre maggiore collegamento e coordinazione tra le due sedi (immediatamente evidente al nuovo amministratore) ed è divenuta impresa manageriale, scostandosi conseguentemente dagli interessi, dai valori extraeconomici e dagli umori che un amministratore “padrone” inevitabilmente porta con sé. Tutto ciò accadde fortunatamente senza contraccolpi negativi173, ma acquisendo le 173 “…un momento di discontinuità assai delicato e spesso traumatico è costituito dal venire meno della figura dell’imprenditore e dalla conseguente necessità di una sostituzione”. Cfr. Francesco Fagotto, op. cit. 122 caratteristiche positive per l’occupazione e per gli azionisti174, con un orizzonte temporale lungo e una alta flessibilità. 4.3 La certificazione del Sistema Qualità e il Knowledge Management Come accennato nel paragrafo precedente, la decisione di dotare Metrohm Italiana Srl di un Sistema per la gestione della Qualità, anzi di un Sistema per la gestione della Qualità certificato è stato il passo decisivo per mettere l’azienda dinanzi alla prospettiva di una “obbligata” gestione dell’informazione e quindi della conoscenza operativa. 4.3.1 La gestione della conoscenza operativa finalizzata alla soddisfazione del cliente Non si faccia l’errore di considerare scontato il fatto che una società che produca utile e dia lavoro a persone abbia affrontato il problema gestionale della conoscenza operativa in forma ancorché teorica o scientifica, ma anche pratica e funzionale. E’ innanzi tutto interessante osservare come la norma di riferimento UNI EN ISO 9000:2000, al §2.1, giustifichi tale passo: 2.1 Motivazioni alla base dei sistemi di gestione per la qualità I sistemi di gestione per la qualità possono aiutare le organizzazioni ad accrescere la soddisfazione dei clienti. I Clienti richiedono prodotti con caratteristiche in grado di soddisfare le loro esigenze ed aspettative. Tali esigenze ed aspettative sono espresse in specifiche di prodotto che, nel loro complesso, costituiscono i cosiddetti “requisiti del cliente”. I requisiti del cliente possono essere specificati contrattualmente dal cliente stesso, ma possono essere stabiliti anche dalla stessa organizzazione. In entrambi i casi, è il cliente che, in definitiva, determina l’accettabilità di un prodotto. Dato che le esigenze e le aspettative del cliente si modificano, e date anche le pressioni della concorrenza e del progresso tecnico, le organizzazioni sono spinte a migliorare continuamente i loro prodotti e i loro processi. L’approccio suggerito dai sistemi di gestione per la qualità incoraggia le organizzazioni ad analizzare i requisiti del cliente, a definire i processi che contribuiscono ad ottenere un prodotto accettabile per il cliente ed a tenere questi processi sotto controllo. Un sistema di gestione per la qualità può fornire la struttura per il miglioramento continuo ed accrescere la probabilità di soddisfare il cliente e le altre parti interessate. Tale sistema dà fiducia, all’organizzazione ed ai suoi clienti, di essere in grado di fornire prodotti che rispondono sistematicamente ai requisiti. L’obiettivo finale di un sistema per la gestione della qualità è quindi la soddisfazione del cliente, per la quale il cliente si lega all’organizzazione in modo fedele – fedeltà ottenuta dall’unione della soddisfazione e dalla fiducia – e l’organizzazione stessa mantiene ed espande il proprio business. 174 “…un obiettivo prioritario, nella considerazione del manager, è rappresentato dallo sviluppo dell’impresa…Ancora, il manager è sicuramente interessato alla sopravvivenza dell’impresa, in quanto garanzia del mantenimento ed eventualmente della progressione della propria posizione economica e professionale”. Ibidem 123 D’altro canto, una gestione della conoscenza operativa facilita la collaborazione tra le varie figure coinvolte nella produzione di beni e/o servizi, unificandone gli obiettivi e le aspettative e generando quell’unità di intenti che favorisce il raggiungimento dell’obiettivo per il quale l’azienda esiste. Ora, considerando che i clienti desiderano che le proprie aspettative e richieste, cioè i “requisiti del cliente”, siano tenuti in considerazione durante la progettazione e la produzione del bene acquistato (si pensi, per esempio, alla fornitura di un servizio), è necessario che l’organizzazione tenga ben presenti, cioè reperibili e tracciabili, tali requisiti. Fondamentale diviene dunque la necessità di codificare e rendere disponibile la conoscenza operativa che ogni istanza di produzione porta con sé. 4.3.2 La gestione della conoscenza e l’approccio per processi Un sistema di gestione per la qualità, secondo le norme ISO 9000, ha quindi come elemento costitutivo la gestione della conoscenza e “promuove l’adozione di un approccio per processi nello sviluppo, attuazione e miglioramento dell’efficacia” del sistema stesso “al fine di accrescere la soddisfazione del cliente mediante l’osservanza dei requisiti del cliente stesso”175. Questo approccio per processi, inserito nella versione dell’anno 2000 della UNI EN ISO 9001, ma già presente nella ENI EN ISO 9000-1:1994, a nostro parere ha semplificato notevolmente la redazione delle procedure di lavoro – in ultima analisi, la codificazione della conoscenza contenuta nelle best practices affermatesi – in quanto rispecchia un modello di pensare l’organizzazione del lavoro già assorbita nel background di molti collaboratori, e quindi con grande eco sulla conoscenza tacita da ciascuno posseduta. Sebbene l’edizione 9001–1994 della norma includeva in un unico paragrafo (il 2.9) il concetto di processo, questo era sottinteso come un unicum, senza l’ulteriore invito alla esplicitazione di altri sotto-processi, ma riferendosi ad esso con il generico termine di attività. Tale esplicitazione, presente nella UNI EN ISO 9000-1:1994, ai paragrafo 4.7 e 4.8, trova quindi immediata applicazione nella gestione del lavoro stesso. 4.7 Rete dei processi di una organizzazione Ciascuna organizzazione esiste per eseguire un lavoro con valore aggiunto. Il lavoro è eseguito attraverso una rete di processi. La struttura di tale rete solitamente non è una semplice struttura sequenziale, ma spesso è assai complessa. In una organizzazione sono molte le funzioni da svolgere. Tali funzioni comprendono la produzione, la progettazione del prodotto, la gestione relativa alla tecnologia, lo studio e ricerca di mercato, l’addestramento, la gestione delle risorse umane, la pianificazione strategica, le consegne, la fatturazione e la manutenzione. Data la complessità della maggior parte delle organizzazioni, è 175 Cfr. UNI EN ISO 9001:2000, § 0.2. 124 importante mettere in evidenza i processi fondamentali, semplificare e dare priorità ai processi necessari per gestire la qualità. Un’organizzazione ha bisogno di identificare, organizzare e gestire la propria rete di processi e di interfacce. L’organizzazione crea, migliora e fornisce una qualità costante nelle proprie offerte attraverso la rete di processi. Questa è una base concettuale fondamentale per la famiglia ISO 9000. I processi e le loro interfacce dovrebbero essere sottoposti ad analisi e miglioramento continuo. I problemi tendono a presentarsi quando le persone devono gestire diversi processi e le loro interrelazioni, in modo particolare per grandi processi che possono interessare parecchie funzioni. Per chiarire le interfacce, le responsabilità e le autorità, un processo dovrebbe avere un gestore come persona responsabile. La qualità dei processi che sono propri dell’alta direzione, come la pianificazione strategica, è particolarmente importante. 4.8 Il sistema qualità in relazione alla rete dei processi Convenzionalmente si parla di un sistema qualità costituito da un certo numero di elementi. Il sistema qualità è attuato mediante processi che si svolgono sia all’interno delle singole funzioni sia attraverso le stesse. Affinché un sistema qualità sia efficace questi processi, e le relative responsabilità, autorità, procedure e risorse dovrebbero essere definiti e distribuiti in modo coerente. Un sistema è più della somma di processi. Per essere efficace un sistema qualità necessita di coordinamento e compatibilità di processi che lo compongono e della definizione delle loro interfacce. Se da una parte il Manuale del Sistema di Gestione per la Qualità redatto secondo l’edizione del 1994 della norma aveva la caratteristica di ripetersi in alcuni punti – e ciò, come accennato, per evidenziare l’adesione alle specifiche della norma – il Manuale e le procedure redatte secondo l’edizione del 2000 della norma non presentano ripetizioni e sono di fatto divenute realmente le procedure operative per la gestione del lavoro ordinario, con vantaggio della gestione stessa e con maggior recepimento da parte dei collaboratori. Metrohm Italiana Srl ha quindi “approfittato”, soddisfacendo al §4.1 della UNI EN ISO 9001:2000, di questa esplicitazione dei processi, sia per identificare meglio l’attività svolta nei particolari, sia per meglio definire sorgenti e flussi di dati e informazioni che l’attività giornaliera genera. Infatti, le seguenti richieste 4.1 Requisiti generali L’organizzazione deve stabilire, documentare, attuare e tenere aggiornato il sistema di gestione per la qualità e migliorarne, con continuità, l’efficacia in accordo con i requisiti della presente norma internazionale. L’organizzazione deve: a) identificare i processi necessari per il sistema di gestione qualità e la loro applicazione nell’ambito di tutta l’organizzazione, b) stabilire la sequenza e le interazioni tra questi processi, c) stabilire i criteri ed i metodi necessari per assicurare l’efficace funzionamento e l’efficace controllo di questi processi, 125 d) assicurare la disponibilità delle risorse e delle informazioni necessarie per supportare il funzionamento e il monitoraggio di questi processi, e) monitorare, misurare ed analizzare questi processi, f) attuare le azioni necessarie per conseguire i risultati pianificati ed il miglioramento continuo di questi processi, g) attuare le azioni necessarie per conseguire i risultati pianificati ed il miglioramento continuo di questi processi Questi processi devono essere gestiti dall’organizzazione in accordo ai requisiti della presente norma internazionale. Qualora l’organizzazione scelga di affidare all’esterno processi che abbiano effetto sulla conformità del prodotto ai requisiti, essa deve assicurare il controllo di tali processi. Nell’ambito del sistema di gestione per la qualità devono essere definite le modalità per tenere sotto controllo tali processi affidati all’esterno. sono proprie di una gestione aziendale che, anche se non condotta da manager professionisti, individuano un percorso per una promettente ed efficace gestione. 4.3.3 La gestione della qualità e le risorse umane Il “III° Rapporto di Custormer Satisfaction” dell’istituto di certificazione di Sistemi di gestione per la Qualità Certiquality con sede a Milano illustra i risultati di un questionario inviato alle aziende che scelsero Certiquality per certificare il loro SQ: i “(…) benefici apportati dalla Certificazione di un Sistema Qualità rivelano che nell’organizzazione aziendale le Aziende percepiscono come maggiori vantaggi (…) il maggior controllo delle attività, il miglioramento dei rapporti con i clienti, il miglioramento dei rapporti con il personale e i collaboratori, il miglioramento dei rapporti con i fornitori e l’efficienza dei processi” 176. L’esperienza avuta in proposito da Metrohm Italiana Srl induce a ritenere che le difficoltà della gestione del lavoro in una PMI, amplificate dai fattori extraeconomici sopra accennati e di altri facilmente immaginabili, possono trovare parziale attenuazione nell’obbligare i responsabili alla riflessione sulle modalità di processo di prodotti e/o servizi. Nel documento “Quality management principles”, edito da ISO177, vera “bibbia” per la comprensione del fenomeno “ISO 9000”, tra gli otto principi di gestione elenca, tra gli altri, i seguenti due, estremamente interessanti sotto il profilo KM: Principle 2 Leadership 176 177 Cfr. Prima edizione, novembre 2004, §5.2 Disponibile su Web a http://www.iso.org/iso/en/iso9000-14000/iso9000/qmp.html 126 Leaders establish unity of purpose and direction of the organization. They should create and maintain the internal environment in which people can become fully involved in achieving the organization’s objectives. Key benefits: People will understand and be motivated towards the organization’s goals and objectives. Activities are evaluated, aligned and implemented in a unified way. Miscommunication between levels of an organization will be minimized. Applying the principle of leadership typically leads to: Considering the needs of all interested parties including customers, owners, employees, suppliers, financiers, local communities and society as a whole. Establishing a clear vision of the organization’s future. Setting challenging goals and targets. Creating and sustaining shared values, fairness and ethical role models at all levels of the organization. Establishing trust and eliminating fear. Providing people with the required resources, training and freedom to act with responsibility and accountability. Inspiring, encouraging and recognizing people’s contributions. Principle 3 Involvement of people People at all levels are the essence of an organization and their full involvement enables their abilities to be used for the organization’s benefit. Key benefits: Motivated, committed and involved people within the organization. Innovation and creativity in furthering the organization’s objectives. People being accountable for their own performance. People eager to participate in and contribute to continual improvement. Applying the principle of involvement of people typically leads to: People understanding the importance of their contribution and role in the organization. People identifying constraints to their performance. People accepting ownership of problems and their responsibility for solving them. People evaluating their performance against their personal goals and objectives. People actively seeking opportunities to enhance their competence, knowledge and experience. People freely sharing knowledge and experience. People openly discussing problems and issues. 127 L’esperienza di Metrohm Italiana Srl permette di affermare, sebbene forse ancora prematuramente, che effettivamente alcune conseguenze sopra menzionate sono già state sperimentate. La sfida rivolta al Management di Metrohm Italiana Srl, per ciò che concerne la gestione dei collaboratori, sarà quella di riuscire a perseguire l’obiettivo proposto da T.A. Stewart: “Siamo abituati a pensare ai lavoratori dipendenti in termini di quanto guadagnano, quindi di quanto costano. Ma qual è il loro valore? (…) occorre assumere il punto di vista dell’organizzazione, non quello dell’individuo: per un’azienda, la questione è come acquistare (…) capitale umano da poterlo utilizzare in modo redditizio. Se lo scopo primario del capitale umano è l’innovazione – che si tratti di nuovi prodotti e servizi o miglioramenti dei processi aziendali – il capitale umano si forma e si dispiega quando aumenta la quota di tempo e del talento che i dipendenti di un’azienda che viene dedicata ad attività che producono innovazione. Il capitale umano si accresce in due modi diversi: quando l’organizzazione usa una quota maggiore di ciò che sanno i suoi membri, e quando un numero maggiore di questi sa più cose che risultano utili all’organizzazione.(…). Per sprigionare il capitale umano già insito nell’organizzazione occorre ridurre al minimo i compiti che non richiedono riflessione, cioè le pratiche burocratiche e le lotte intestine non produttive.(…). I dirigenti aziendali devono concentrare e accumulare talento là dove ce n’è bisogno, o con le assunzioni o per mezzo dell’insegnamento”178. Queste indicazioni citate sono tra l’altro profeticamente intuite, se non già recepite, nella norma ISO 9001:2000: 6.2 Risorse umane 6.2.1 Generalità Il personale che esegue attività che influenzano la qualità del prodotto deve essere competente sulla base di un adeguato grado di istruzione, addestramento, abilità ed esperienza. 6.2.2 Competenza, consapevolezza ed addestramento L’organizzazione deve: a) definire la competenza necessaria per il personale che svolge attività che influenzano la qualità del prodotto, b) fornire addestramento o intraprendere altre azioni per soddisfare queste esigenze, c) valutare l’efficacia delle azioni intraprese, d) assicurare che il suo personale sia consapevole della rilevanza e dell’importanza delle proprie attività e di come esse contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi per la qualità, 178 Cfr. T.A. Stewart, “Il capitale intellettuale”, 1999, Ponte alle Grazie 128 e) conservare appropriate registrazioni sul grado di istruzione, sull’addestramento, sull’abilità e sull’esperienza del personale (vedere 4.2.4). Alcuni, poi, si spingono oltre e esplicitamente parlano di empowerment dei dipendenti: “E’ importante ricordarsi che i dipendenti esperti, come i clienti, sono i beni più preziosi di una società Jonathan Copulsky, partner per la pratica del CRM di Deloitte Consulting dice che la ricerca e l’esperienza con il cliente della sua società indicano una decisa correlazione tra la soddisfazione del cliente e, a sua volta, tra la fedeltà del dipendente e la fedeltà del cliente”, citando il “credo” della catena di Hotel Ritz-Carlton nei suoi “tre principi fondamentali: 1) smuovete mari e monti per soddisfare un cliente; 2) ogni dipendente è autorizzato a spendere fino a 2000 dollari per soddisfare l’esigenza di un cliente; 3) tutti sono autorizzati a rivolgersi ai colleghi per avere un aiuto.”179 Al di là dell’ovvia perplessità che nasce dalla lettura di questo stralcio, è importante osservare il progressivo affermarsi della consapevolezza che sempre di più sarà la qualità recepita dal cliente piuttosto che la qualità intrinseca o supposta di un prodotto o servizio. Probabilmente, verrà un giorno in cui, anche in un’ottica business-to-business, il cliente gradirà l’attenzione solitamente dedicatagli come consumer e conseguentemente ciò giocherà un parametro di discernimento abbastanza importante. La qualità, intesa come grado di soddisfacimento delle esigenze esplicite ed implicite espresse dal cliente, sarà allora sempre più dominio del marketing, e restringerà maggiormente le possibilità di business ad organizzazioni che non mettono al primo posto il cliente. In questo scenario sarà quindi fondamentale essere precisi e puntuali nei confronti del cliente e, conseguentemente, le aziende si dovranno dotare di procedure di lavoro e di strumenti tecnologici per assicurare queste due caratteristiche: si tratta, come ampiamente sottolineato nella prima parte, di un vero e proprio cambio di mentalità. 4.3.4 Dalla gestione della qualità alla creazione di conoscenza organizzativa La stesura da parte dell’organizzazione di protocolli di lavoro e il supporto tecnologico permette, in perfetta aderenza agli specifici requisiti ISO 9000, di favorire le condizioni sopra elencate, anche all’interno dell’esperienza di una PMI nella quale, riferendosi al lavoro “…siccome la ditta è piccola, se non lo faccio io non lo fa nessuno…”, con la possibilità di creare conoscenza e quindi di accrescere il vantaggio competitivo rispetto ad altri. Come accennato precedentemente, la flessibilità e i momenti di incontro presenti in una PMI possono permettere con grande facilità scambi di informazioni “faccia a faccia”, realizzando quegli 179 Cfr. F. Newell, “Perché il CRM mantenga le promesse”, 2004, Etas 129 spazi di interazione reciproca ove può avvenire quanto teorizzato nella prima delle cinque fasi del modello di Nonaka e Takeuchi che raffigura la creazione di conoscenza organizzativa: la condivisione della conoscenza tacita. Oggetto di tali scambi di idee e impressioni, “spesso fuori dall’ufficio e con l’aiuto del” la birra180, è stato la metodologia di erogazione dei servizi, le procedure di lavoro ordinario e l’individuazione degli strumenti necessari per poter governare l’attività quotidiana (è in questo contesto, per la precisione all’interno di un parcheggio, che è nata l’idea che il software CRM doveva avere una interfaccia su Web). In questa fase di elicitazione della conoscenza, Metrohm Italiana Srl è stata quindi cliente di sé stessa, fornendo prima e consumando poi i prodotti – teorie di gestione e best practices affermatesi – e assorbendo idee e indicazioni che la conoscenza tacita, l’esperienza e il buon senso suggerivano, portando all’ esplicitazione di queste, nelle procedure di lavoro, diventate le attuali procedure difficili citate nel Manuale del Sistema Qualità. Così facendo, l’informazione – o meglio, ancora, la conoscenza operativa – elaborata dai processi informazione viene esplicitata in tutti gli aspetti e catturata, come richiesto dalla norma, seguendo le indicazioni al paragrafo 4.2: 4.2 Requisiti relativi alla documentazione 4.2.1 Generalità La documentazione del sistema di gestione per la qualità deve includere: a) dichiarazioni documentate sulla politica per la qualità e sugli obiettivi per la qualità, b) un manuale della qualità, c) le procedure documentate richieste dalla presente norma internazionale, d) i documenti necessari all’organizzazione per assicurare l’efficace pianificazione, funzionamento e controllo dei suoi processi, e) le registrazioni richieste dalla presente nostra internazionale (vedere 4.2.4) Nota 1) Dove, nella presente norma internazionale, viene usato il termine “procedura documentata” ciò significa che tale procedura va predisposta, documentata, messa in atto e tenuta aggiornata. Nota 2) (…) Nota 3) La documentazione può avere qualunque forma o tipo di supporto 4.2.2 Manuale della qualità L’organizzazione deve preparare e tenere aggiornato un manuale della qualità che includa: 180 Il sakè non è usualmente servito nelle birrerie milanesi, cfr. I. Nonaka, H. Takeuch, op. cit. 130 a) il campo di applicazione del sistema di gestione per la qualità, nonché dettagli sulle eventuali esclusioni e relative giustificazioni (…), b) le procedure documentate predisposte per il sistema di gestione per la qualità o i riferimenti alle stesse, c) una descrizione delle interazioni tra i processi del sistema di gestione per la qualità. 4.2.3 Tenuta sotto controllo dei documenti I documenti richiesti dal sistema di gestione per la qualità devono essere tenuti sotto controllo. L e registrazioni sono un tipo speciali di documenti e devono essere tenute sotto controllo in accordo con i requisiti del punto 4.2.4. Deve essere predisposta una procedura documentata che stabilisca le modalità necessarie per: a) approvare i documenti, circa l’adeguatezza, prima della loro emissione, b) riesaminare, aggiornare (quando necessario) e riapprovare i documenti stessi, c) assicurare che vengano identificate le modifiche e lo stato di revisione corrente dei documenti, d) assicurare che le pertinenti versioni dei documenti applicabili siano disponibili sui luoghi di utilizzazione, e) assicurare che i documenti siano e rimangano leggibili e facilmente identificabili, f) assicurare che i documenti di origine esterna siano identificati e la loro distribuzione controllata, g) pervenire l’uso involontario dei documenti obsoleti ed adottare una loro adeguata identificazione qualora siano da conservare per qualsiasi scopo. 4.2.4 Tenuta sotto controllo delle registrazioni Le registrazioni devono essere predisposte e conservate per fornire evidenza delle conformità ai requisiti e dell’efficace funzionamento del sistema di gestione per la qualità. Le registrazioni devono rimanere leggibili, facilmente identificabili e rintracciabili. Deve essere predisposta una procedura documentata per stabilire le modalità necessarie per l’identificazione, l’archiviazione, la protezione, la reperibilità, la definizione della durata di conservazione e le modalità di eliminazione delle registrazioni. La consapevolezza di questa conoscenza elaborata giornalmente è andata quindi affiorando di pari passo alla maturazione del SQ introdotto. Dall’utilizzo immediato delle informazioni si passa quindi a momenti di progettazione futura – marketing – relativa alle mosse e alle strategie per migliorare la soddisfazione del cliente e ampliare lo share di mercato. Il database aziendale è quindi alimentato dalla conoscenza operativa e, letto trasversalmente, permette di considerare l’andamento del mercato e progettare interventi futuri. Si potrà forse obiettare che tale approccio spiana la strada per un management a modello top-down, che “concepisce la creazione di conoscenza entro i confini della prospettiva dell’elaborazione delle informazioni. Il vertice riceve dalla base informazioni semplici e selettive, che utilizza allo scopo di 131 creare pianificazione e ordini e che alla fine restituisce alla base…Ne consegue un enorme carico di lavoro e di informazione per l’organizzazione nel suo complesso.”181 Tuttavia non è assolutamente trascurabile, né tanto meno sacrificabile, la grande possibilità di sviluppo del business che deriva da una saggia analisi di questi dati: in questo senso, l’adozione di una saggia strategia per il Customer Relationship Management, alimenta il capitale intellettuale posseduto da Metrohm Italiana Srl. 4.4 Il Knowledge Management in Metrohm Italiana Srl 4.4.1 Quale conoscenza per Metrohm Italiana Srl? Per parlare di KM in questa esperienza occorre identificare quali sono, almeno in prima battuta, le conoscenze esplicite e anche operative con cui Metrohm Italiana Srl svolge la sua attività giornaliera. Come in ogni attività, è importante distinguere due tipi di conoscenza: la conoscenza operativa – cioè quella gestita durante lo svolgersi delle normali attività – e la conoscenza organizzativa, che crea valore per il cliente e per Metrohm Italiana Srl, intendendo con ciò tutta quella conoscenza, metabolizzata dalla precedente, che però è capace di creare valore per tutti gli stakeholders dell’azienda. Per meglio approfondire le dinamiche tra questi due aspetti della conoscenza elaborata quotidianamente da Metrohm Italiana Srl, è opportuno ricordare la categorizzazione delle funzioni aziendali, raggruppando queste ultime in due grandi sezioni182: - le funzioni di front office, formata da coloro che hanno contatti diretti con i clienti (venditori, assistenza tecnica, specialisti di prodotto, segreteria commerciale) - le funzioni di back office, formata da coloro che non hanno contatti diretti con i clienti (amministrazione contabile, magazzino) Come presentato teoricamente nella prima parte, ciascuna di queste due categorie elabora informazioni e, relativamente ai propri specifici campi di interesse, crea conoscenza. - la conoscenza nel front office include la conoscenza specifica degli argomenti caratteristici delle applicazioni dei prodotti, delle loro configurazioni, peculiarità e problematiche; di conseguenza comprende anche le motivazioni d’uso e di acquisto – di marketing – rispetto alla concorrenza e, finalmente, la conoscenza del cliente (la sua struttura e le sua attività) e delle sue esigenze. 181 182 I. Nonaka, H. Takeuchi- op. cit. Cfr. paragrafo 4.1.1 132 Generalmente parlando, si tratta della fonte del maggior contributo alla costruzione di valore per il cliente e, quindi, una sorgente di creazione di capitale intellettuale183 per Metrohm Italiana Srl. - la conoscenza nel back office include il modus operandi delle funzioni “Amministrazione contabile”, “Magazzino”. E’ il risultato delle elaborazioni dei dati commerciali relativi ad ordini e fatture, e contribuisce ad alimentare il capitale intellettuale interno di Metrohm Italiana Srl, nel senso che una maggiore efficienza di queste due funzioni ha come immediato risvolto un vantaggio per tutta l’azienda e quindi anche per il cliente. Tuttavia, le due categorie non hanno una linea di confine ben definita, in quanto ciascuna delle categorie si interseca con l’altra e in essa sfuma: se è evidente il caso della funzione “Segreteria commerciale” forse lo è meno il caso dell’attività di magazzino, che diviene attività di front office nella misura in cui è ad essa richiesta flessibilità per adattarsi alle esigenze che, di volta in volta, possono essere avanzate dalle molteplici situazioni di business (come la necessità di consegnare un prodotto entro una data prefissata). In ciascuna di queste categorie, ogni collaboratore è dunque presente con il suo background di conoscenza, sia per ciò che riguarda la specificità del proprio operato, sia per ciò che l’esperienza ha potuto suggerire. Assistenza tecnica Magazzino Specialisti Amministrazione Vendite Segreteria commerciale Figura 4.7: Knowledge sharing in Metrohm Italiana Srl Questa immagine illustra le intersezioni di conoscenza operativa – intesa come la conoscenza necessaria per le normali attività quotidiane – di ciascuna funzione aziendale: le superfici sovrapposte indicano l’esistenza di un flusso di conoscenza tra le funzioni aziendali relative. Naturalmente, si tratta di una schematizzazione che, come facilmente si può intuire, non rispecchia 183 Cfr. paragrafo 2.4 133 in pieno la fitta rete di relazioni che hanno vita nel “Ba”184 di Metrohm Italiana Srl: tuttavia, può essere inteso come una road-map per comprendere il flusso delle informazioni provenienti dall’interno e dall’esterno dell’azienda. A titolo esemplificativo, nelle miriadi di informazioni quotidianamente scambiate, riportiamo alcune tra le più significative: 184 Cfr. § 2.3.3 134 Tabella 4.6 : Le informazioni scambiate tra le funzioni aziendali Vendite disponibilità prodotti (per vendita); Specialisti disponibilità prodotti (per l’installazione o per dimostrazioni); Assistenza tecnica disponibilità parti di ricambio; Segreteria comm. Amministrazione disponibilità prodotti; invio merce; (rimanenze) Magazzino ricerca soluzioni per le esigenze dei clienti; organizzazioni dimostrazioni in sede o presso il cliente; soddisfacimento richieste dei clienti; dati per la stesura delle offerte di vendita di prodotti o servizi; ricerca soluzioni per le esigenze dei clienti; soddisfacimento richieste dei clienti; dati per configurazione sistemi di analisi; soddisfacimento richieste dei clienti; dati per la stesura delle offerte di vendita di prodotti o servizi; ricerca soluzioni per le esigenze dei clienti; informazioni sulla informazioni sulla situazione contabile di situazione contabile di stato delle trattative dei un cliente; un cliente; contratti; stato delle trattative dei stato delle trattative dei contratti; contratti; Vendite Specialisti Assistenza tecnica informazioni sulla situazione contabile di un cliente; stato delle trattative dei contratti; Segreteria comm. In colore sono evidenziate quelle che hanno riferimento immediato alla mission aziendale: esse sono gestite prevalentemente dai professionals e la loro elaborazione permette la creazione di conoscenza che può generare valore per il cliente. 135 4.4.2 La conoscenza del front office Le funzioni “Vendite”, “Laboratorio Applicativo”, “Assistenza Tecnica” (i gruppi dei cosiddetti professionals) e la “Segreteria Commerciale” sono le funzioni deputate ad elaborare le richieste dei clienti secondo l’esperienza acquisita – anche detta, riconoscendo un giusto tributo alla conoscenza, know-how – che, unita alle caratteristiche dei prodotti venduti, realizza quella risposta la cui capacità di soddisfazione è direttamente proporzionale alla qualità recepita dal cliente. Tuttavia, la comunicazione e la condivisione della conoscenza acquisita, dal normale rapporto quotidiano con le problematiche dei clienti, quasi inevitabilmente, incontrano difficoltà e rallentamenti all’interno di ogni funzione. In generale, una delle difficoltà maggiori che si incontra prima nella esplicitazione e poi nella comunicazione delle esperienze è la tentazione che un’esperienza acquisita rimanga di proprietà di una funzione aziendale, restia – quando non addirittura contraria – alla diffusione di tale informazione. Consideriamo, per esempio, la funzione “Vendite”: se, da una parte, è accettato da tutti il fatto che occorre diffondere la conoscenza operativa necessaria per la gestione di un determinato ordine, al fine di preservare il cliente da problemi inerenti la fornitura – e questo, a volte, porta a giustificare una gestione arbitraria o fuori procedura –, dall’altra non tutti vedono come best practice strumenti per la condivisione del perché una vendita ha avuto successo o meno. Cliente: “Bene, grazie a questo strumento ho ridotto del 22% i tempi di analisi dei miei prodotti!” Venditore: “Mi sembra di ricordare che anche altri clienti, tra cui Rossi, Bianchi e Neri hanno una analisi simile in controllo qualità. Devo verificare sul database e eventualmente li sento per parlargliene.” Venditore: “Bene, è vero: posso proporre a Rossi, Bianchi e Neri questa soluzione. Registro questa possibilità nel database in modo che gli altri colleghi possano sfruttare questa occasione di vendita.” 136 Venditore: “Cari colleghi, ho brillantemente risolto un problema proponendo il prodotto X. Se siete a conoscenza di clienti che hanno una simile difficoltà, proponete tale prodotto senza indugio!” L’intensità del colore della freccia indica la probabilità – al momento attuale – che l’evento successivo avvenga! Di fatto solo ultimamente, dopo ripetuti inviti dell’Amministratore Delegato, durante i sopraccitati sales meeting, si intravede qualche timido tentativo di instaurare un reale scambio di esperienze. A questo proposito, si ricorda che, solo da un paio di anni a questa parte, si è instaurata l’abitudine di redigere, (in ogni caso, dopo ripetute segnalazioni di “non conformità” rispetto alle procedure del Manuale della Qualità), al seguito di una installazione e messa in funzione di apparecchiature vendute, un cosiddetto “Rapporto di installazione”, dove sono riportati gli strumenti installati, i clienti presenti all’installazione e i loro riferimenti (numeri telefonici ed indirizzi email). Questo strumento, di potenziale enorme per i dati di CRM riportati circa le possibili attività di marketing successive dalla vendita (ad esempio, la proposta di contratti per la manutenzione periodica, l’offerta di nuove soluzioni o sensori, ecc.), ancora a fine ottobre 2004 non raccoglie il motivo per cui il cliente ha effettuato tale acquisto, cioè qual è l’uso che ne fa e come lo fa. Al di là di segreti aziendali che comprensibilmente il cliente tende a mantenere, dovrebbe essere obiettivo di Metrohm Italiana Srl e, in questo caso, del venditore, carpire quanta più informazione possibile e renderla patrimonio collettivo. Come si può notare, anche la “semplice” adesione alla norma di certificazione del Sistema Qualità aziendale, avrebbe potuto creare l’infrastruttura per una raccolta di informazioni che, in un secondo momento, sarebbero potute essere capitalizzate da Metrohm Italiana Srl. Persiste, purtroppo, la tentazione della worse-practice della mancanza di comunicazione, per la quale ancora a fine maggio 2005, non sono organicamente previste riunioni di funzione. Tuttavia si è avuto, nel tempo, una crescita di sensibilità per questa problematica e, sebbene timidamente, qualche passo in avanti è stato fatto. Come esempio di questa crescita di sensibilità, si riporta, nel seguito, il tentativo – senza esito positivo – di dotarsi di un protocollo di raccolta di informazioni circa l’utilizzo della strumentazione da parte dei clienti di Metrohm Italiana Srl. 137 Per cercare di arginare la carenza di informazioni relative a tali applicazioni, il responsabile dei venditori per il Nord Italia aveva ideato un protocollo di raccolta dati, denominato ITACA (acronimo di ITAlian Customer Application): si trattava di un modulo cartaceo da compilare, riportato qui a fianco. Allegato a tale modulo (visibile nella figura 4.8 a fianco), consegnato in data 8 gennaio 2004, era presente una lettera di accompagnamento, riportante un cenno alla motivazione dell’iniziativa e brevi istruzioni per l’uso. Dalla lettera originale si riportano le righe seguenti: Gent. Colleghi, con l’inizio del nuovo anno vorremmo far partire un nuovo database denominato ITACA: si tratta semplicemente di compilare, per ogni strumento fornito dal 01.01.2004, il modulo in allegato. Lo scopo è quello di far circolare alcune informazioni nel modo più capillare possibile, cosa fondamentale soprattutto per chi non è a Saronno o a Roma; ma, attenzione, senza gravare più di tanto sulle nostre mansioni. Infatti il modulo dovrà essere compilato solo nei campi dove compariranno delle particolarità: tutto ciò che può essere considerato routine o valori di default non vanno indicati. Anche il report di analisi difficilmente potrà essere allegato. Vi raccomando però di essere il più possibile precisi e di abbondare in dettagli nella seconda finestra (settore cliente, tipologia produzioni, analisi effettuata). Il modulo così compilato dovrete inviarlo a me; verrà indicizzato, classificato e poi inoltrato a tutti voi (oltre naturalmente ad essere inserito nelle applicazioni in rete). Aggiungo solo che nulla vi vieta di compilare delle ITACA per strumenti già forniti, perché ad esempio la metodica di analisi che avete sviluppato è particolare o significativa per clienti simili al vostro. Ribadisco altresì l’assoluta riservatezza di queste note applicative che MAI potranno essere inoltrate a nostri clienti, come anche l’accortezza nel richiedere certe informazioni all’utilizzatore (è bene che non veda mai questo nostro modulo). 138 Ai fini di un’analisi dell’iniziativa nel contesto tracciato da queste riflessioni, si evidenziano alcune osservazioni. La prima osservazione riguarda la constatazione del progressivo affermarsi, anche tra i professionals senior, della consapevolezza che l’obiettivo primario commerciale di Metrohm Italiana Srl non consiste solamente nel vendere strumenti, ma soprattutto proporre soluzioni per l’analisi di laboratorio effettuate attraverso gli strumenti Metrohm. In secondo luogo, si osserva che nella motivazione data – la circolazione delle informazioni – è tacitamente assunto, come spazio dove tali informazioni possono risiedere, la fisicità della sede aziendale e, inoltre, poiché nasce l’esigenza della diffusione e della conseguente reperibilità di tali dati, l’ideatore del protocollo, prevedendo anche una diffusione “motu proprio” (previa codificazione) presumibilmente per email, probabilmente ancora non ha assunto particolare dimestichezza con gli strumenti di CRM a disposizione: in ultima analisi, non aveva ancora riscontrato l’esigenza di un luogo virtuale per lo scambio delle informazioni. Figura 4.9: Esempio di uso di MOIS Come anticipato, l’iniziativa non ha avuto seguito, neppure da parte del promotore: tuttavia, molto positivo è il fatto il collaboratore in questione è stato, in seguito, uno dei primi ad accorgersi delle possibilità di knowledge sharing di MOIS, presentando una curva di utilizzo del sistema MOIS come illustrato nel grafico seguente185. 185 Dati elaborati ai primi di luglio 2005. 139 Sebbene non rapidamente, la nascita dell’esigenza di un sistema per la memorizzazione e lo scambio di informazioni, ha man mano favorito l’approccio al mezzo ICT. Il passo successivo, sarà quello di utilizzare il sistema CRM per la memorizzazione dei dati raccolti mediante il protocollo ITACA. Il venditore ideale si configura quindi come colui che, riuscendo a soddisfare per almeno una volta una richiesta di un cliente, riesce a proporre tale soluzione ad altri che possono avere ricevuto, o potranno ricevere, una richiesta simile, se non uguale. Il venditore acquisisce cioè nuova conoscenza proponendo la sua esperienza d’uso di uno strumento ad un cliente che ne ha fatto esplicita richiesta e, trovandola soddisfacente, realizza l’acquisto. Tale conoscenza creata potrà essere a sua volta comunicata a colleghi, esplicitandola nel database per il CRM o condivisa durante i sales meeting e essere utilizzata per realizzare altre vendite. In sintesi, se durante i contatti con un cliente si ottiene che lo strumento e/o la metodologia proposta per la soluzione di una problematica è efficace e anche accettabilmente efficiente per lo scopo prefisso, cioè il cliente manifesta la specifica adeguatezza – in termini economici e funzionali – di tale soluzione, allora successivamente Metrohm Italiana Srl non avrà più solamente uno strumento, un hardware da vendere, ma avrà una soluzione, un servizio chiavi in mano che potrà proporre ad altri. Il giusto ruolo di ciascuna competenza è fondamentale, prima che al raggiungimento dell’obiettivo di incremento o mantenimento del business – che può dipendere dalla situazione di mercato, al buon equilibrio e allo sviluppo di sinergie atte a unificare intenti e obiettivi tra i vari collaboratori. Naturalmente anche la casa madre Metrohm AG fornisce molto supporto per lo scambio di conoscenza tra le varie filiali. Oltre ad organizzare ogni anno corsi di aggiornamento per il personale Metrohm sparso per il mondo – sia presso la propria sede che presso le sedi delle varie sussidiarie – essa mette a disposizione tre siti Internet, ad accesso riservato, ciascuno dei quali dedicato a: - le funzioni Sales, nel quale sono disponibili informazioni relative al marketing, alla teoria di base delle metodologie di misura degli strumenti, informazioni e confronti con la concorrenza, manuali di uso per l’utente, referenze a livello mondiale e altro materiale di supporto; - le funzioni Service, nel quale sono disponibili tutte le informazioni per garantire il buon funzionamento degli apparecchi nel tempo; - le funzioni Management, nel quale sono disponibili le informazioni relative agli aspetti strategici della politica di marketing di Metrohm AG. 140 L’aspetto più innovativo di questa impostazione virtuale di scambio di conoscenza è stato introdotto alla fine dell’anno 2001, con l’uso del software opensource mwForum186, mediante il quale ogni persona autorizzata all’accesso può scambiare informazioni sotto forma di messaggi di testo o anche effettuare l’upload e il download di files. Figura 4.10: La home page del Virtual IC Lab, per lo scambio di esperienze a livello mondiale. Questi forum, uno per ciascuna metodologia di misura di analisi, hanno permesso la condivisione, negli anni, delle soluzioni che ogni collaboratore Metrohm nel mondo trova per una particolare esigenza di analisi. Queste soluzioni, cui è dato il nome di “Application work”, rappresentano forse l’aspetto più evidente della conoscenza convertibile in valore per il cliente. Queste informazioni, create dai professionals Metrohm, sono catalogate insieme a numerose altre fonti di informazioni, quali libri o riviste, utilizzando il software della askSam System187 con interfaccia Web. Tramite una 186 Cfr. http://ww.mwform.org Cfr. http://www.asksam.com : questo interessante software permette di catalogare molti formati di documenti, estraendo da essi il testo in chiaro sul quale è quindi possibile effettuare ricerche. E’ così possibile ricercare comodamente un testo in files di diverso formato, quale PDF, Word, ecc. 187 141 semplice funzione di ricerca è quindi possibile esplorare in poco tempo tutta la conoscenza codificata di Metrohm relativa all’analisi di ioni. Esiste anche un forum tutto dedicato all’assistenza tecnica, nella quale è condivisa l’esperienza relativa ai casi di ripristino del buon funzionamento di apparecchiature riparate. Un ruolo speciale nel front office, assolutamente non secondario rispetto ai professionals, è svolto dalla funzione “Segreteria commerciale”. I compiti di tale funzione sono fondamentalmente le seguenti: - l’accoglimento delle richieste telefoniche dei clienti e il conseguente smistamento di queste alle persone interessate; - la stesura delle offerte e la registrazione degli ordini pervenuti dai clienti; - affrontare le richieste di sostituzione e la gestione dei resi di materiale da parte dei clienti; Per quanto riguarda il primo punto si è rivelato vantaggioso, sia per Metrohm Italiana Srl che per il cliente, il fatto che, già al primo contatto, il cliente stesso potesse interloquire con una persona che sapesse dargli indicazioni il più precise possibili, rispetto alla richiesta avanzata. Ciò permette di risparmiare tempo prezioso da parte di Metrohm Italiana Srl e del cliente, migliorando l’immagine che il cliente ha dell’azienda. L’obiettivo finale è che il cliente debba necessariamente ricorrere ad un contatto con il venditore – cosa ovviamente più difficile, in quanto molte volte impegnato in altri contatti – solo nel caso in cui voglia acquistare un intero sistema o, naturalmente, per ottenere uno sconto. La comodità di poter inviare dal software MOIS un SMS o un’email con tutti gli estremi della richiesta di contatto o semplicemente, grazie ad una precisa scelta del sistema telefonico interno, di poter trasferire una chiamata (originalmente effettuata a Metrohm Italiana Srl sulla rete telefonica fissa), al numero di cellulare del professionals, riduce drasticamente i tempi di comunicazione tra questi e la sede, a grande vantaggio della semplicità di gestione della chiamata e dell’immagine dell’azienda. Anche la stesura delle offerte, la registrazione degli ordini e la gestione dei resi di materiale rappresentano delle attività per le quali è richiesta una notevole dose di conoscenza specifica, essenzialmente in due campi: il primo, già elencato, riguarda la configurazione e la compatibilità dei prodotti venduti188, e il secondo è relativo alle varie destinazioni del materiale e della documentazione189. L’esperienza avuta in occasione di sostituzione temporanea di personale in questa funzione, ha evidenziato quanto non si debba trascurare il livello di conoscenza necessario 188 Ad esempio, è necessario verificare che una parte non più prodotta ma ugualmente ordinata dal cliente – molte volte alla stessa stregua del materiale di consumo - sia sostituita da una in produzione secondo le indicazioni del costruttore. 189 E’ molto irritante, per un cliente, scoprire che l’offerta da esso richiesta non comprende tutte le a parti accessorie per un sistema, oppure che la merce ordinata è stata erroneamente inviata ad un’altro suo laboratorio. 142 per questi due aspetti, e tale esperienza ha avviato una fase di revisione delle procedure operative di gestione di tali attività. Al fine di agevolare la reperibilità delle informazioni circa il materiale giacente in magazzino190, il materiale acquistato, consegnato o fatturato, è stata ideata una sezione di MOIS che permetta la consultazione di tali dati attraverso Web. Inoltre, ogni giorno è inviata a ciascun venditore (in forma completamente automatica) una email con un foglio Excel riportante le informazioni appena menzionate, in modo che egli sia sempre informato di quello che i clienti nell’area di sua competenza acquistano (una copia elettronica dell’ordine originale del cliente, in formato PDF, è anche reperibile attraverso la rete Intranet). 4.4.3 La conoscenza del back office La conoscenza posseduta dal back office è, ovviamente, prevalentemente “ad uso interno”, nel senso che i dati e le informazioni giornalmente elaborate da questo gruppo permettono il funzionamento “di base” dell’attività commerciale. Tuttavia, le informazioni che i collaboratori appartenenti al Amministrazione contabile possiedono permette (o meno) l’esecuzione di una serie di analisi di efficienza sulla gestione economico-finanziaria dell’azienda, che può portare ad individuare risorse utilizzabili ove necessario. Per chiarire meglio questo concetto, ricordiamo che il cosiddetto “Piano dei conti” del bilancio aziendale è l’insieme delle classificazioni delle entrate, delle uscite e del patrimonio dell’azienda. Nei vincoli comunque imposti dalla legislazione del Codice Civile e dalle norme tributarie, un piano dei conti troppo generico non permette un’analisi approfondita del movimento dei capitali, mentre un piano dei conti con voci troppo particolareggiati191 rischia di far perdere il punto di vista generale sull’intera realtà economica e patrimoniale della società. Il medesimo pericolo di soggettivismo risiede anche nelle descrizioni delle registrazioni contabili – ad esempio i cosiddetti “giroconti”, chiari, nel loro significato, nel giorno in cui si eseguono, ma del tutto oscuri già nel mese successivo. Le informazioni contenute nelle registrazioni contabili sono, infatti, di importanza strategica, e compito dell’Amministratore è coglierne sia l’aspetto qualitativo che quantitativo, al fine di devolvere o meno risorse a l’una o l’altra attività aziendale. L’informazione acquisita dall’Amministrazione Contabile viene quindi elaborata con e mediante la Conoscenza 190 Aspetto fondamentale di un processo di vendita: la disponibilità è, molte volte, determinante nella scelta del prodotto da parte del cliente. 191 Gli aggettivi “troppo” devono essere valutati rispetto alla tipologia di attività e di transizioni. 143 dell’Amministratore, che molte volte, in una PMI è, come già osservato, il deux ex machina della situazione. Un altro genere di informazione gestita dall’Amministrazione Contabile è il grado di solvibilità di un cliente: questi dati, gestiti da un’accurata procedura di recupero crediti, permette all’azienda di evitare “passi falsi” nei perfezionamenti dei contratti e di disporre sempre una cospicua fonte di disponibilità finanziarie immediate. I dati di solvibilità sono accessibili attraverso Intranet. La previsione per gli acquisti dei prodotti da vendere è anch’essa effettuata attraverso MOIS, osservando le quantità ordinate dai clienti mediante la valutazione del backlog e la stima del valore della media mobile del numero dei prodotti ordinati nei quattro mesi precedenti192. Anche in questo caso, l’informazione è elaborata attraverso la Conoscenza del front office, che, conoscendo l’andamento del mercato e le possibilità di conclusione delle trattative in corso, permette di ottenere un più che buon risultato nella gestione efficiente delle scorte di magazzino. 4.4.4 Mettendo tutto insieme L’interazione tra Conoscenza del front office e Conoscenza del back office ha sviluppato, nel tempo, la già citata Conoscenza “incorporata” nei processi aziendali, e questa ha avuto un prima esplicitazione nelle Procedure del Sistema Qualità. Tali procedure, ereditate quindi dall’elaborazioni interne all’organizzazione di best practices, permettono allora di affermare che i dati di CRM raccolti da tutti i rami dell’azienda sono mantenuti e elaborati dal back office, mentre sono creati, aggiornati e ovviamente elaborati (quasi “consumati”) dal front office. Su questo veglia la funzione “Assicurazione qualità”, prevista dalla norma UNI EN ISO 9001, vigilante circa l’applicazione delle procedure, la quale garantisce che le procedure di lavoro siano tracciabili e non contraddittorie. La Conoscenza è quindi a disposizione delle attività di marketing e di pianificazione strategica del business: garante del funzionamento di questo sistema di KM è il Knowledge Manager, figura non istituzionalizzata ma di fatto dapprima accettata e in seguito esplicitamente desiderata dalla Direzione Generale e impersonata dall’autore. Ad esso compete anche la supervisione dei report (contabili e di mercato) che la casa madre Metrohm AG richiede mensilmente. 192 “Uno dei vantaggi più significativi dell’informazione è la sua capacità di eliminare il magazzino”. Cfr. T.A. Stewart “Il capitale intellettuale”, 1999, Ponte alle Grazie. 144 Direzione generale Vendite Assicurazione qualità Amministrazione Assistenza tecnica Gestione ordini Specialisti di prod. Magazzino Segreteria commer. Dati CRM in ingresso e in uscita Knowledge repository of CRM data Figura 4.11: La vision attuale dei dati di CRM. 4.5 Il futuro 4.5.1 Centralità del CRM E’ facilmente intuibile che anche nell’ambito B2B il cliente desidererà trovarsi “coccolato” – cioè egli stesso soggetto delle transazioni, modellate sui suoi desideri espressi ed inespressi – come attualmente le visioni più avanzate del CRM per il B2C affermano. Nell’era della “domanda scarsa” (rispetto a un’offerta sovrabbondante) la sfida competitiva si giocherà in termini di valore percepito dal cliente, e a poco o nulla serviranno i modelli di approccio al cliente adatti a un contesto di “domanda abbondante”. La valutazione del valore è dominio esclusivo del cliente, frutto del giudizio individuale che il cliente viene a formare sulla base delle sue esigenze e aspettative. La descrizione dei comportamenti del cliente nella sua relazione di scambio con l’azienda, che il CRM rende disponibile, crea così un patrimonio informativo essenziale per la costruzione di 145 risposte di valore. Ma il tracciamento dei comportamenti del cliente sono solo dati, informazioni, cioè solo il presupposto per arrivare a una lettura dei comportamenti del cliente e, da qui, alla costruzione di risposte di valore per il cliente. Ci sarà parecchia strada da percorrere perché dal tracciamento – comunque ancora insufficiente – si arrivi compiutamente alla creazione di valore. Percorrere la strada del valore è assai più dell’installazione di un nuovo sistema e di una nuova tecnologia. Non sarà sufficiente il sistema ICT per ottenere i risultati attesi; tutto ciò costituisce solo una parte, uno strumento, ma occorre “installare” nuove capacità. Ciò richiede che le persone debbano essere messe in grado di governare gli scopi che l’azienda si prefigge attraverso i nuovi strumenti, (che è assai più che governare gli strumenti stessi). Sarà richiesta grande dinamicità per ritornare sempre sui modi di funzionamento dell’azienda, poiché, come detto ripetutamente, i processi aziendali non potranno rimanere modellati come nell’era della “domanda abbondante”. Occorre superare definitivamente la cultura del prodotto ed entrare nella cultura del cliente e del valore, comprendendo pienamente il significato e le conseguenze della fusione tra prodotto e servizio. Siccome implementare il CRM nell’azienda significa saper impostare una visione di strategie di gestione orientate al cliente e condividerle con il personale dell’azienda e avere la capacità di misurare la performance delle attività strategiche e operative intraprese, occorrerà che ciascuna funzione aziendale fugga dalla tentazione di privatizzare le informazioni che riguardano il cliente. Il Management dovrà evitare di pensare il CRM come insieme di applicazioni tecnologiche, analitiche e operative in grado di svolgere una serie di funzioni che riguardano l’assistenza, l’interazione con il cliente e la vendita al cliente, seguendo il principale obiettivo di aumentarne l’efficienza e accelerare i tempi di contatto: certo, anche questo, ma vendere “efficienza” non aumenta direttamente la soddisfazione del cliente; occorre, piuttosto, massimizzare il valore per cliente e utilizzare meglio le proprie risorse e condurre al miglioramento della relazione con il cliente nella prospettiva aziendale (cioè ritornare allo scopo primario del CRM). Newell propone di cominciare a pensare finalmente al cliente che – ovviamente – “non vuole essere gestito”, bensì essere coccolato, meno stressato, vuole una vita più semplice e piacevole; è’ il cliente che definisce il tipo di interazione, i tempi, il valore della relazione: in definitiva, è il cliente che gestisce la relazione – Customer Management of Relationship, CMR – non l’azienda.193 193 “Il Customer Mamagement of Relationship (CMR) sposta il focus dell’efficienza all’efficacia della gestione della relazione con il cliente e alla creazione del valore per il cliente: il CMR non consiste nel lanciare l’ennesima campagna, né nell’ideare un’ulteriore promozione. Ed è anche molto più della somma del database-marketing, della pubblicità mirata, della raccolta delle informazioni sui clienti e dell’offerta di nuovi servizi. Si tratta di creare un’esperienza, personalizzando l’interazione con i singoli clienti nei modi stabiliti del cliente, e dunque sviluppando i rapporti.” I. Merlinovà in “Presentazione dell’edizione italiana a cura di GRAMMA”, in F. Newell, op. cit. 146 Questo potrà rappresentare una strategia di business integrata per la gestione del rapporto azienda/cliente, attraverso un legame finalizzato alla creazione di valore per il cliente a lungo termine.194 Metrohm Italiana Srl dovrà fare sempre più propria la convinzione che il CRM/CMR è basato sull’apprendimento e sulla comprensione tramite l’interazione e la comunicazione continuativa, conscia che non è la tecnologia il driver del CRM ma la customer intelligence: con una strategia di Customer Interaction Management, la relazione di apprendimento (learning relationship) tra il cliente e l’impresa si affinerà progressivamente ad ogni nuova interazione, profilando sempre più in dettaglio i bisogni e i gusti del singolo cliente e creando le premesse per un proficuo ritorno (fidelizzazione) del cliente, rispondendo alle sue istanze con una strategia che inevitabilmente assumerà sempre più le caratteristiche di un rapporto one-to-one, anche nel campo B2B nel quale agisce Metrohm Italiana Srl. 194 “Abbiamo due orecchi e una sola bocca”, F. Newell, op. cit 147 Figura 4.12: Una prospettiva futura per il KM/CRM in Metrohm Italiana Srl Opportunity management Impatto KM/CRM sul business Educazione dei professionals, creazione di un gruppo per il CRM analitico Iniziative di marketing autonome Confidenza con lo strumento Capitalizzazione conoscenza Diffusione uso, ADSL, motivazione Consapevolezza Fattori interni e esterni Stato iniziale Tempo 148 A medio termine è possibile prevedere quindi un ipotetico percorso: 1) Pensare diversamente: come già accennato, i vantaggi che derivano dal CRM, oltre a garantire una gestione del contatto e della richiesta del cliente, possono essere non ancora sufficienti per accogliere le sue esigenze espresse ed inespresse. Occorrerà però non immaginare, ma ascoltare dal cliente quali processi sono importanti per lui e cosa si potrà fare per semplificare la sua vita. Il venditore dovrà sempre più porsi come colui che trova il giusto equilibrio tra un conveniente rapporto costi-benefici e la soddisfazione del cliente, dovrà presidiare il rispetto degli accordi, dare e cercare collaborazione attraverso un rapporto win-win, nel quale ciascuno dei due interlocutori gestisce attivamente ciò che lo riguarda e ottiene così il livello di soddisfazione cercato. Necessario sarà lo sviluppo di una visione comune e condivisa, tra le persone del front office. Ad esempio, il cliente dovrà avere una serie di feedback che gli permetteranno di non dover più pensare all’assistenza tecnica come ad un’esito certo del suo acquisto (nel senso che prima o poi lo strumento si guasterà) bensì dovrà trovare in questa un valido supporto per avere soddisfatte le proprie esigenze, soprattutto nel momento del bisogno. Diviene infatti sempre più importante lavorare all’unisono, poiché ai clienti già stride anche la più leggera contraddizione delle informazioni e delle indicazioni ricevute da persone diverse: la fiducia reciproca tra i collaboratori e tra le funzioni aziendali dovrà essere alimentata e mantenuta; a questo proposito, sarà sempre più indispensabile l’uso di tecniche di benchmarking che monitorino l’effettivo raggiungimento delle attese minime di cooperazione tra una funzione e l’altra all’interno dell’azienda (ad es.: tempi di intervento, aspettative dei servizi o degli specialisti, capacità di trasferimento delle informazioni circa l’uso e la manutenzione degli strumenti, ecc.). Non di meno, ogni individuo operante a contatto con il cliente dovrà dimostrargli e trasmettergli competenza tecnica, al fine di indirizzare la tipologia della relazione instaurata verso un vero scambio di conoscenza bidirezionale195. 2) Stabilire i termini di riferimento del successo da inseguire. Occorre integrare la prassi attuale classica di analisi della clientela – quantità di contatti, acquisti di prodotti e servizi – con indagini che, partendo da alcune situazioni brillantemente condotte (cliente soddisfatto e gratificato e buon risultato economico per l’azienda), possano evincere quali sono stati i fattori di successo. La conoscenza emersa da tale elicitazione dovrà essere sempre più condivisa tra i collaboratori dell’azienda, al fine di agevolare la formazione di nuovo capitale intellettuale 195 “La sfida commerciale non è solo quella di acquisire uno spazio negli acquisiti del cliente, ma soprattutto nella sua mente; occorre determinarne la cultura operativa, farne crescere il modo di pensare, guidarne i punti di vista”. Cfr. Alberto Drei, Oltre il CRM, Ed. Guerini e associati, 2004, pag. 191 e seg. 149 d’azienda. Questo diverrà successivamente il termine di riferimento per la gestione delle richieste dei clienti, per la formulazione delle offerte di servizi, ecc. 3) Stabilire finalità e obiettivi misurabili: è forse questo punto quello più difficilmente risolvibile. Tra i parametri suggeriti da Newel ve ne sono alcuni che possono essere fatti propri da Metrohm Italiana Srl (aumento delle vendite, maggiore retention dei clienti, volume medio dell’ordine, aumento della comunicazione), ma alcuni sono di difficile monitoraggio per la pressoché assoluta mancanza di informazioni. Attraverso la registrazione della data di installazione, sarà però possibile valutare la durata della vita di uno strumento mediante la determinazione del volume di accessori consumabili per esso acquistati nel tempo e la stessa mappatura dettagliata degli strumenti acquistati (utilizzando il sistema MOIS), permetterà di quantificare il ritorno delle iniziative di marketing mirate (presentazione di nuovi accessori e/o servizi per gli strumenti posseduti, ecc.). 4) Creare la strategia: “una strategia di CRM non è un piano d’azione né una road map. Una vera strategia CRM assume la direzione e gli obiettivi economici della strategia aziendale ed esprime i criteri di costruzione della fedeltà dei clienti. Gli obiettivi di una strategia di CRM sono individuare i target, acquisire, sviluppare e mantenere i clienti preziosi per raggiungere gli obiettivi dell’azienda”.196 Anche una visione di CMR è caratterizzata dai medesimi obiettivi, ma sarà il rapporto con il cliente il vero punto di forza della strategia di approccio: sarà lui che sceglierà i modi, i tempi e gli argomenti per il contatto. L’azienda dovrà cogliere queste opportunità, allinearle agli obiettivi di profitto e dimensionarle rispetto alle proprie risorse, reperire dalle esperienze precedenti le basi per una risposta che risulti soddisfacente e gratificante per il cliente. La strategia dovrà necessariamente tenere presente che occorre investire per fornire gli strumenti per portare tutti i collaboratori alla consapevolezza del nuovo corso, individuando nuovi o più attraenti benefit legati ai passi percorsi in questa direzione (ad esempio, premiando – pagando – report e relazioni sui casi di successo / insuccesso avuti, dati inseriti nel database, fornendo le connessioni in rete con cui i vari collaboratori possano da casa, senza cioè avere la necessità di tornare in ufficio, aggiornare tali database, ecc.). Sarà indispensabile far entrare il concetto di customer focus in ogni sforzo aziendale, poiché ogni attività ha ormai un significato solo nella misura in cui genera, direttamente o indirettamente, valore per il cliente. Il front office di Metrohm Italiana Srl dovrà identificare sempre meglio le esigenze del cliente, sia nella particolare istanza del contatto che nel marketing generalizzato e, rispetto a queste, allineare 196 Cfr. F. Newell, op. cit. 150 l’offerta e i processi aziendali, creando cultura operativa, premessa per una conoscenza organizzativa applicata. Al front office sarà richiesto di essere mediatore, filtro attivo, dovrà avere cioè la capacità di utilizzare i prodotti, i servizi, la conoscenza esplicita e implicita di Metrohm Italiana Srl per soddisfare il cliente. Spostando l’attenzione agli effettivi bisogni e desideri del cliente occorrerà essere pronti a recepirli e ad essi rispondere in modi nuovi e saggi. 4.5.2 Attenzione alle risorse umane Metrohm Italiana Srl dovrà porre particolare attenzione ai propri collaboratori, al fine di creare condizioni di cambiamento e di lavoro che permettano di realizzare il migliore equilibrio tra il soddisfacimento di necessità strettamente aziendali – ROI, quote di mercato, customer satisfaction, sviluppo di core competence, miglioramento continuo – e i bisogni del collaboratore stesso – sostentamento, direzione e guida, identità e autonomia, relazioni, opportunità –. “L’individuo, infatti, è tanto più portato a cercare nuovi comportamenti e un rinnovamento della propria professionalità quanto più vede in questo un ritorno – in termini di soddisfacimento maggiore dei suoi bisogni – senza sentirsi minacciato nell’attuale livello di soddisfacimento conquistato, poiché può lavorare in un ambiente organizzativo confortevole. D’altronde, nel creare per il cliente finale quel valore che genera fidelizzazione e redditività l’azienda deve saper conquistarsi la qualità di servizio, la professionalità, lo spirito di cooperazione, la ricerca di innovazione del collaboratore. Perciò i suoi bisogni sono importanti quanto quelli del cliente finale.”197 Infatti, “il collaboratore altro non è che il fornitore nei confronti dell’azienda di competenze specifiche, capacità cognitive e operative, motivazioni; che saranno tanto più esaltate e con un coefficiente di produttività/qualità elevato quanto più l’individuo sarà cliente soddisfatto del supporto, delle risorse, del clima, delle opportunità professionali messe a disposizione dall’organizzazione. Oggi è perciò importante saper gestire la relazione con i collaboratori secondo gli stessi criteri di soddisfazione che portano alla conquista e soddisfazione dei clienti. Ciò peraltro è tanto più vero quanto più si chiede a questi collaboratori di essere quella specie di reparto scelto aziendale che sono i knowledge worker. Ovvero professionisti che: - all’interno dell’organizzazione identificano le “terre di nessuno” e colgono le opportunità di efficienza/efficacia a queste connesse; - sono proattivi, perché progettano e implementano costantemente nuove iniziative; - sono process owner di specifiche fasi di creazione di valore, poiché si assumono la responsabilità rispetto ad obiettivi specifici e si premurano di recuperare le risorse necessarie; 197 Cfr. A. Drei, op. cit. 151 - si assumono la responsabilità di andare oltre i loro spazi di autorità; - mobilitano team di persone trasversali alle regole organizzative precostituite; - fanno coaching continuativamente a collaboratori, colleghi, capi, distribuendo informazioni e conoscenze a 360° e offrendo idee e modelli progettuali; - ragionano per priorità strategiche, secondo una vision specifica.”198 Seguendo le osservazioni di A. Drei, occorrerà “evitare qualità negativa, ovvero soddisfare le aspettative minime del collaboratore nei confronti dell’organizzazione” riuscendo “al massimo a evitarne la depressione, ottenendo che semplicemente abbia parte alla vita aziendale perché deve.” Si cercherà di “produrre qualità positiva, ovvero incontrare i desideri dei collaboratori nei confronti dell’organizzazione” in modo da “ottenerne un comportamento positivo e continuo, poiché nella vita aziendale fa la propria parte perché è interessato”; ancor più “realizzare qualità eccezionale, cioè superare le speranze del collaboratore nei confronti dell’organizzazione” ottenendo “un coinvolgimento eccezionale, poiché interviene nella vita aziendale per crescere e far crescere”.199 Anche il già citato processo di empowerment del collaboratore dovrà essere alimentato, benché necessariamente limitato ed educato: “il pensiero che si possa creare valore da uno scambio reciprocamente vantaggioso tra una società e i suoi dipendenti, suggerisce uno spostamento della gestione della relazione con il dipendente (employee relationship management, ERM) alle relazioni gestite dal dipendente (relationship managed by employee, EMR). I dipendenti che hanno potere, esattamente come i clienti, troveranno le loro personali motivazioni per dare e ricevere valore – conoscenza – dal vostro sistema aziendale”200. 4.5.3 Innovazione culturale e organizzativa Occorre innanzi tutto creare una nuova cultura. Infatti, ogni organizzazione è refrattaria ai cambiamenti: alcuni si oppongono perché hanno sempre fatto le cose in un’altro modo, altri sono preoccupati a difendere il proprio “territorio”. Il nuovo corso di Metrohm Italiana Srl richiede che le figure di responsabilità diventino leader per il loro gruppo e sappiano saggiamente destreggiarsi tra il rispetto della “tradizione” e la nuova direzione aziendale. Ogni collaboratore, sia del front office che del back office, deve essere coinvolto nella visione che l’azienda intende assumere, in modo che, oltre a facilitare il processo di creazione della motivazione, il Management possa percepire le esigenze dei collaboratori per poter svolgere il loro compito nella direzione intrapresa. Possono essere di aiuto le seguenti domande, proposte da S. Gudat201: • In che modo vengono coinvolti tutte le aree, gli uffici e i dipendenti? 198 Ibidem. Ibidem. 200 Cfr. F. Newel, op. cit. 201 Cfr. S. Gudat, “What makes CRM works?”, in “The DMA Intercative”, 4 aprile 2002 199 152 • • • • • Quali nuove competenze devono acquisire i dipendenti? Quali saranno le loro mansioni quotidiane? Che cosa già stanno facendo sarà di sostegno a questa nuova visione? Come verrà misurato il loro impegno? Che cosa cambierà? Cosa non cambierà? Possiamo anche rifarci fruttuosamente all’analisi proposta da S. Tonchia202: “La gestione dei processi può essere diversamente declinata e a differenti livelli d’intensità a partire da una loro semplice razionalizzazione (process management) fino all’intera riprogettazione del funzionamento operativo (process reengineering) e financo strategico sul business (business reengineering), determinando in questi ultimi due casi congiuntamente quello che è noto come Business Process Reengineering (BPR). Più precisamente: - il process management consiste nella razionalizzazione dei processi alla ricerca di efficienza/efficacia; - il process reengineering consiste nella riprogettazione del funzionamento operativo, sempre alla ricerca di efficienza/efficacia; - il business reengineering consiste nella riprogettazione del funzionamento ma in un’ottica strategica (per esempio, riposizionandosi su business diversi ecc.).” Distinguendo semplicemente “tra un miglioramento graduale (Business process improvement, BPI) e un cambiamento radicale (BPR)”, possiamo riassumere tale analisi nelle seguenti tabelle: 1) Miglioramento oppure riprogettazione dei processi aziendali Business process improvement (BPI) Business process reengineering (BPR) Gradualità nell’approccio al cambiamento Radicalità nell’approccio al cambiamento Assenza di una situazione di emergenza Forte urgenza di cambiamento Limitata/indiretta dalla strategia aziendale Collegamento diretto con la strategia aziendale Attitudine a cogliere anche piccole opportunità Attitudine a rischiare a fronte di grandi opportunità Coinvolgimento di processi di limitata ampiezza Coinvolgimento di processi ampi e trasversali Coinvolgimento contenuto ma di numerosi processi Coinvolgimento di pochi processi ma critici Individuazione anche empirica delle opportunità Complessa gestione progettuale del cambiamento Contributo di tipo bottom-up Impostazione ex-novo di tipo top-down Costi e tempi di realizzazione inferiori Costi elevati e tempi non brevi FASI FASI 1) Identificazione dei processi su cui intervenire 1) Ripensamento della strategia 2) Costituzione di un team d’intervento 2) Valutazione dell’inadeguatezza dei processi chiave attuali 3) Analisi degli interventi di miglioramento 3) Ridisegno dei processi chiave 4) Attuazione degli interventi di miglioramento 4) Messa a punto di nuovi processi chiave 5) Verifica dei risultati 5) Valutazione dei risultati 202 Cfr. S. Tonchia, A. Tramontano, F. Turchini, “Gestione per processi e knowledge management”, 2003, Il Sole 24 ORE 153 2) La gestione per processi come approccio, a vari gradi d’intensità, tra miglioramento e riprogettazione del modo di operare di una organizzazione. Process management Process reengineering Business reengineering Business process improvement Business process reengineering Gestione per processi La ristrutturazione dei processi oscillerà tra i due estremi e sarà inevitabilmente condizionata da fattori esterni a Metrohm Italiana Srl (quali, ad esempio, l’andamento del mercato). 4.5.4 Innovazione tecnologica Naturalmente, occorrerà dare il giusto grado di importanza alla tecnologia: “stabilire quali funzioni aziendali devono essere automatizzate dovrebbe essere una cosa semplice, ma automatizzare un processo aziendale imperfetto diventa un disastro (…) La regola numero uno è ottimizzare il processo aziendale prima di tentare di incorporare la tecnologia, e poi non cercare di automatizzare troppi processi nello stesso momento (…) La regola numero due è non permettere che il vostro programma di CMR venga considerato solo un processo di IT (…) accertatevi che tutti gli interessati” all’automatizzazione “siano coinvolti (…) fin dall’inizio del progetto (…) In altre parole, il CMR deve essere visto come un nuovo modo per fare business piuttosto che come un progetto di IT. E questo deve essere chiaro dal principio per tutti i soggetti coinvolti”203 I dati raccolti dalle varie istanze dovranno essere inseriti nel database MOIS e di questi occorrerà tenere conto in ogni altro futuro contatto. Il processo di unificazione dei vari strumenti informatici per la gestione dei servizi e delle vendite dovrà terminare, al fine di rendere immediatamente disponibili, a chiunque abbia un contatto con il cliente, tutte le informazioni possedute che lo riguardano (infatti, la comprensione e la cura dei rapporti con i clienti richiedono un flusso di informazioni notevoli all’interno dell’azienda) poiché disporre delle informazioni giuste al momento giusto è di fondamentale importanza. A questo proposito, Newel cita: “Prima di tutto analizzate le vostre esigenze, non la tecnologia. E’ facile farsi entusiasmare dalle informazioni sulle ultimissime tecnologie e dai fornitori; tuttavia, il punto di partenza del processo della vostra “richiesta di offerta” dovrebbero essere le esigenze della vostra società. Dovere essere in grado di spiegare dettagliatamente i seguenti punti fondamentali prima di cominciare a valutare delle soluzioni tecnologiche: 203 - che cosa volete veramente risolvere con tale applicazione; - in che modo vi aspettate che lo risolva o lo faccia (ad esempio, la funzionalità dell’applicazione); F. Newel, op. cit., pag 203 154 - come essa si interfaccia con i vari utenti e i vari modi di utilizzo nella vostra organizzazione, e come le diverse aree si coordineranno con l’applicazione; - come si interfacciano con l’applicazione (se è questo è il caso) i clienti e potenziali clienti.204 L’attuale diffusione dei PC palmari e la crescente possibilità di consultazione del Web a prezzi sempre più contenuti permette di individuare un effettivo percorso di implementazione tecnologica d’avanguardia delle risposte a tali domande. Le risposte formulate da Metrohm Italiana Srl hanno contribuito a determinare le funzionalità del sistema MOIS, la cui più grande peculiarità risiede nell’essere una soluzione realizzata su misura e completamente adattabile e aggiornabile. I collaboratori dovranno inoltre sviluppare una conoscenza approfondita circa l’uso degli strumento informatici, ad esempio mediante la frequentazione di appositi corsi e sostenendo i relativi esami finali. 4.5.5 Il Knowledge Management e lo scambio di informazioni Poiché l’attività del customer service pre e post vendita conduce i professionals dell’organizzazione ad entrare, a volte in modo molto approfondito, nelle specifiche esigenze del cliente, e poiché tali esigenze rappresentano il campo sconfinato delle applicazioni della chimica, potrà essere di grande aiuto procedere alla stesura di una mappa delle conoscenza possedute dai collaboratori in ogni argomento di questo campo. Tale mappa, che potrà ragionevolmente assumere la forma di una tabella consultabile attraverso la rete Intranet, elencherà le esperienze avute dai professionals nel corso delle attività svolte nella loro carriera professionale, e permetterà un rapido recupero della sorgente di Conoscenza tacita da loro posseduta. Inoltre, si dovrà curare di lasciare spazio, all’interno di incontri periodici che dovranno essere previsti per ogni funzione aziendale, al dibattito e allo scambio di esperienze e di pareri relativi alle attività quotidiane, cercando sempre, nell’ottica di un processo Plan-Do-Check-Act205, il miglioramento continuo e la minimizzazione delle risorse, aumentando, nel contempo, il grado di supporto a tali attività da parte dell’infrastruttura ICT. 204 Cfr. “You CRM/eCRM Data Integration Project”, in Relationship Marketing Report (tratto da marketingsherpa.com, vol. IV, n. XI, 2001). 205 Cfr. T. Conti, “Qualità: un’occasione perduta?”, 2004, Etas 155 5. Una soluzione per il KM dai dati di CRM: il sistema MOIS 5.1 Introduzione L’idea dello sviluppo di un software CRM risale alla fine del 1999, su richiesta della Direzione Generale di Metrohm Italiana Srl, dove l’autore svolgeva, ai tempi, la prima attività di responsabile per l’Information Technology. Erano tempi nei quali l’uso di applicativi con interfaccia Web era timidamente iniziata: la struttura tipica di un sistema software client-server prevedeva applicativi installati in locale e server pesantissimi che giravano su macchine altamente instabili. Il linguaggio di scripting PHP era appena approdato alla versione 3206 e appariva miracoloso se confrontato con le versioni di allora di ASP207 di Microsoft. Obiettivo ambizioso di tutto il progetto era quello di dotare Metrohm Italiana Srl di un unico sistema di gestione dei dati CRM, unificando tutti gli archivi sino ad allora presenti. Infatti, per motivi tecnologici ma anche storico-culturali, al tempo non esisteva neppure una politica per la gestione dei dati e ogni funzione aziendale – e, spesso, anche a livello individuale – il problema era risolto banalmente (elenchi in formato Word o Excel) o, magari, anche elegantemente (ad esempio mediante l’uso di applicazioni Access sviluppate da terze parti), ma purtroppo legate al soggettivismo della scelta e della cultura informatica di base dei collaboratori. Come già osservato, la scarsa lungimiranza informatica / gestionale del Management (ai tempi, ricordiamo, accentrata nella figura dell’Amministratore Delegato) e la sua scarsa propensione al dialogo era l’ostacolo maggiormente determinante nel rallentamento di una effettiva innovazione nell’intendere i dati CRM: sicché ciò si rifletteva in un “arrangiarsi” diffuso, che non ha creato storia (diremmo capitale intellettuale convertibile in beni intangibili, recuperando i concetti espressi nel paragrafo 2.4). Il periodo nel quale convivevano due amministratori, seppure oscuro per certi versi, ha permesso un ritorno al giusto equilibrio informatico, favorendo lo studio e la progettazione del sistema CRM di Metrohm Italiana Srl. Il sistema MOIS nasconde sotto la veste di una normale Intranet un serie di funzionalità necessarie a fornire un terreno di coltura per creare e far sviluppare conoscenza che sia in grado di generare valore per il cliente. 206 Per una storia del linguaggio PHP cfr. on-line http://freephp.html.it/articoli/print_articolo.asp?id=143. ASP è l’acronimo di Active Server Pages, il linguaggio proposto da Microsoft per la generazione dinamica di pagine web. 207 156 5.2 Obiettivo e funzionalità 5.2.1 Considerazioni iniziali L’obiettivo generale era quindi la realizzazione di un singolo luogo (virtuale) nel quale immagazzinare la maggior parte delle informazioni relative ai clienti (anagrafica, relazioni con esso e dati di business) possedute da Metrohm Italiana Srl. Le funzionalità da includere nel software erano le seguenti: - gestione anagrafica dei contatti e dei prodotti venduti; - redazione delle offerte di vendita e servizi; - richieste di assistenza; - assistenza tecnica programmata; - acquisizione di informazioni commerciali (dal sistema ERP); - acquisizione facilitata di know-how (applicazioni, metodiche di analisi, ecc.). Inoltre, il sistema doveva permettere una grande flessibilità nel trattare le modifiche che le organizzazioni dei clienti subivano (basti pensare al mondo delle case farmaceutiche, per le quali è quasi elemento caratterizzante la continua fusione, incorporazione, cambio di ragione sociale, ecc). Sono state individuate tre aree di intervento208: • Dati anagrafici aziendali: acquisiti da Metrohm Italiana Srl durante il normale svolgersi delle attività (nominativi, indirizzi, contatti, numeri telefonici, fax, email, ecc.). Questi dati presentano una forte componente oggettiva. • Le informazioni: definibili come risultato finale di una attività di individualizzazione e contestualizzazione dei dati (applicazioni particolari, aree di interesse per categorie di clienti). Questi dati presentano una buona componente oggettiva. • La conoscenza: idea del cliente e per il cliente che si afferma nel tempo (buoni clienti, “quello strumento per quella applicazione non va molto bene”). Questo aspetto presenta una forte componente soggettiva. Una prerogativa essenziale doveva essere la flessibilità: i dati, le informazioni e la conoscenza che Metrohm Italiana Srl ha di un determinato cliente evolve nel tempo, e la realtà stessa del cliente (i suoi dati anagrafici, i nominativi, le applicazioni, i prodotti e quant’altro) è soggetta a evoluzioni nel tempo. Il nuovo sistema doveva quindi permettere una grande flessibilità di modifica dei dati, al fine di poter in ogni istante procedere a variazione dei dati e delle informazioni registrate. 208 Cfr. paragrafo 2.2.2: Dati, Informazioni, Conoscenza 157 La costruzione di un singolo luogo (virtuale) dove poter trovare tutte le informazioni relative ad un determinato cliente ha incontrato già inizialmente un grande ostacolo, dovuto al fatto che, essendo le informazioni di natura commerciale (materiale ordinato, consegnato e acquistato) possedute dal sistema informatico di gestione contabile e di magazzino (sviluppato da terzi e di tipo closed source), anche tuttora è necessario l’interpretazione umana per associare un cliente registrato nel sistema CRM con un cliente registrato nel sistema ERP. Tale associazione è fatta registrando separatamente nei due sistemi i dati relativi ai prodotti e ai servizi erogati, sebbene dopo questa prima fase la struttura client-server dei due sistemi aiuta molto il recupero delle informazioni (ad esempio, attraverso semplici link ipertestuali è possibile visualizzare immediatamente la registrazione di un ordine – dato presente nel sistema ERP – dalla visualizzazione dell’offerta relativa – dato presente nel sistema CRM). Ciò permette all’utente una consultazione più immediata della conoscenza che Metrohm Italiana Srl possiede di un determinato, cliente rispetto ad una serie di consultazioni ripetute su sistemi software con interfacce e filosofie alquanto diverse. Fondamentale è stata dunque la scelta di avere a disposizione strumenti informatici basati su una architettura client-server, che, per quanto radicalmente diversi nella struttura dei database, permettono un accesso realizzabile con un normale browser e con poche righe di script in linguaggio PHP (il cosiddetto middleware) che rende quasi del tutto insignificante all’utente finale la grande disomogeneità della strutturazione dei dati. L’accesso mediante un browser (attualmente è supportato il solo Internet Explorer, ma una revisione del codice atta ad ampliare la gamma di browser utilizzabile è abbastanza facilmente implementabile: l’unica caratteristica richiesta al browser è il supporto client-side del linguaggio javascript), oltre a non vincolare l’installazione di software ad hoc sulla macchina client e rendere possibile l’interazione a distanza con i dati aziendali, ha inoltre la peculiarità di permettere anche a chi possiede una cultura informatica medio-bassa di svolgere le dette attività (inserimento, ricerca, modifica e stampa delle informazioni), facendo in modo che anche utenti con minore esperienza nell’uso di strumenti informatici ma di grande esperienza commerciale (i professionals senior) possano arricchire il database e conseguentemente arricchirsi da esso. Nella pagina seguente, è riportata la tabella 5.1 con il quadro, a suo tempo realizzato, dell’analisi delle caratteristiche e delle funzionalità. Alcune funzionalità non sono ancora state tuttavia terminate ma, in compenso, ve ne sono state aggiunte altre, come, ad esempio, la possibilità di informare i collaboratori attraverso SMS o email, inviando automaticamente i dati di contatto da clienti desiderosi di essere richiamati. 158 Funzionali Obiettivi Soluzioni proposte Applicativi / software / protocolli Rappresentazione ad albero della struttura organizzativa del cliente - DBMS SyBase SQLAny, MySql Server Web con possibilità di generare pagine con contenuto dinamico. Apache + PHP, IIS + ASP Browser pagine HTML Utilizzo di formati “device indipendent” LaTeX, Adobe Acrobat Reader (PDF), RTF Protezione e segretezza dei dati Gerarchia di utenti, accesso tramite autenticazione, protezione della comunicazione Apache + SSL Facile reperibilità e interpretazione dei dati XML, WML Browser pagine XML (*), terminali WML Anagrafico particolareggiato Mappa dei prodotti acquistati e loro dislocazione nelle sedi dei clienti Gestione contatti, visite Gestione assistenza tecnica Integrazione con il sistema back office preesistente Controllo errori e incongruenze nei dati Sicurezza dei dati (accessibilità, identificazione, localizzazione) Economici Tecnici Struttura client-server Possibilità di aggiungere postazioni di lavoro remote Flessibilità, espansibilità, versatilità “on road” Indipendenza dalla piattaforma Windows per quanto riguarda la gestione degli stampati Mantenere il costo totale dell’investimento (costi software, costi di sviluppo, TCO) il più basso possibile Indipendenza da terzi per la manutenzione e l’espansione Utilizzo di “Free software” Linux Utilizzo di interfacce utente conosciute Browser IE > 5.X Realizzazione e manutenzione “in proprio” Uso di software open source 159 5.2.2 Adeguatezza del modello dell’organizzazione del cliente La prima constatazione è stata che la totalità dei sistemi già esistenti prevedevano una catalogazione dei contatti (persone fisiche) che potremmo definire “a lista”: le persone fisiche erano elencate nelle righe delle aziende, quasi attributi descrittivi della società (e con essi tutti gli attributi tipici: numeri di telefono, ecc.). L’esempio seguente può chiarire quanto detto: Ragione sociale1 Indirizzo Contatto Telefono Giko Srl Viale Piave, 2 – PZ Ufficio acquisti 0123 4556788 Same Spa Via dei Tigli, 3 – MI Dott. Primo 02 3456789 Same Spa Via dei Tigli, 3 – MI Sig.ra Piera 02 789456 Same Spa Via Torino, 15 – NO Sig. Martelli 333 444555 P.zza Cè, 2 – VA 0123 456455 Zinco Spa Ragione sociale2 Semilavorati ind.li Laboratorio Tabella 5.2: Esempio di memorizzazione “a lista” di dati anagrafici Tuttavia, come è del resto facilmente intuibile, tale rappresentazione non comunica immediatamente la complessità dell’organizzazione del cliente: tipicamente, una persona appartiene ad un gruppo (ufficio acquisti, laboratorio R&D, produzione, ecc.) e il gruppo appartiene ad uno stabilimento (o locazione produttiva, o altro) e tutti questi fanno capo alla sede centrale. L’aggiungere colonne a quelle già presenti rischiava di rendere di difficile consultazione l’anagrafica clienti. La struttura della maggior parte delle aziende commerciali presenta una sede legale, presso la quale possono o meno essere dislocati uffici, laboratori o insediamenti produttivi. Per aziende grandi (tipicamente industrie farmaceutiche o grandi multinazionali della chimica) si possono anche facilmente individuare stabilimenti, intesi come luoghi di produzione distinti dalla struttura del cliente stessa per località o prodotto. Laboratori, uffici, gruppi di interesse sono ulteriormente componenti delle unità produttive, di ricerca e sviluppo o di controllo qualità. Di fatto, in una analisi meno superficiale della tipica organizzazione di una società, si trova che una struttura “ad albero” meglio rappresenta le responsabilità e le dipendenze di persone, uffici, siti produttivi o altro di quella che diviene allora, ai fini della nostra analisi, l’entità astratta “ditta”. La figura seguente illustra meglio il concetto espresso: 160 Struttura ad albero dell’organizzazione del cliente Sede amministrativa (ditta) Ad es. dove vanno inviate le fatture: se la sede legale ha indirizzo diverso ciò può essere specificato nelle note Unità produttiva (stabilimento) Unità produttiva (stabilimento) Si distingue per - Indirizzo - funzione - altro Si distingue per - Indirizzo - funzione - altro Gruppo di lavoro (gruppo) (laboratorio, ufficio, ecc.) Gruppo di lavoro Si distingue - indirizzo - sede - attività - altro Persona Persona Strumento (prodotto acquistato) Figura 5.1: Struttura ad albero dell’organizzazione di un cliente 161 In questo modello ad albero è ammessa la mancanza di nodi e foglie: solo la radice è obbligatoria. Ad esempio, di seguito è illustrata la struttura espansa di un cliente. Figura 5.2: Esempio di visualizzazione di una struttura del cliente in MOIS In questo esempio è possibile osservare il caso reale di Enìa Spa. Da questa immagine possiamo dedurre che Metrohm Italiana Srl è a conoscenza del fatto che il cliente possiede stabilimenti a Parma, a Reggio Emilia e a Piacenza. La Dott.sa Marchesi lavora a Parma, ma non si sa in che laboratorio o gruppo. Diverso è il caso del Dott. Bocchia, che sappiamo appartenere al Laboratorio Analisi Sezione Acque Potabili. Analogamente non sappiamo dove sia lo strumento 2.732.0010, ma con certezza sappiamo che la Dott.sa Chesi e il Dott. Spigoni lavorano nel Laboratorio Chimico dello Stabilimento di Reggio Emilia. Per ogni nodo anagrafico (ditta, stabilimento, gruppo, persona) è possibile inserire un numero arbitrario di numeri telefonici, di fax, indirizzi email, url e documentazione, cioè qualunque file di dimensione ragionevole che possa contenere informazioni di quel particolare nodo (ad esempio, il metodo di analisi utilizzato, risultati di particolari analisi o documentazione prodotta in occasioni di ordini o contatti di altro tipo). 162 Posizionandosi su un nodo e selezionando una voce nel menu contestuale in alto a destra è possibile vedere le registrazioni omogenee memorizzate per il nodo selezionato e ciascun nodo figlio. A destra sono invece visualizzati numeri telefonici, di fax ed indirizzi email del solo nodo selezionato. Inoltre, per ciascun nodo è possibile associare attività specifiche, impostabili parametricamente nella configurazione del software: ad esempio, ad una persona potrà essere associato un contatto, mentre per uno strumento potrà essere registrata la data dell’ultima revisione tecnica. 5.2.3 La gestione e l’utilizzo delle informazioni caratteristiche del cliente Ogni nodo possiede intrinsecamente alcune caratteristiche ad esso specifiche (attributi) che ne individuano in modo indicizzato la particolare attività: ad esempio, è importante individuare, ai fini di una attività di marketing, tutti clienti che svolgono attività nel campo dell’industria galvanica piuttosto che nella produzione di smalti e vernici, così come un ricercatore può essere interessato alle applicazioni per la speciazione dell’arsenico nei pozzi di acqua potabile. Tutte queste informazioni, parametricamente impostabili, concorrano a creare possibili percorsi di segmentazione della clientela in base all’attività o agli interessi specifici: in ultima analisi permettono a Metrohm Italiana Srl di individuare, cliente per cliente, i motivi che potrebbero portare creazione di valore per il cliente stesso. Ad esempio, se diventasse disponibile una nuova metodica per la speciazione dell’arsenico, il cliente ad essa interessato ben accoglierebbe il fatto di essere aggiornato con tale notizia, e recepirebbe la cura che Metrohm Italiana Srl ha nei suoi confronti. Ovviamente, un discorso analogo può essere fatto qualora diventassero disponibili sensori di nuova produzione che garantiscano risultati migliori di altri già in possesso dal cliente. Così facendo, l’azienda si sintonizzerebbe sempre più sulle esigenze del cliente, ampliando nello stesso tempo le possibilità di crescita del fatturato basandosi semplicemente su dati già raccolti nel normale svolgersi delle attività. Una ulteriore possibilità tesa alla caratterizzazione del cliente è l’immediata possibilità di consultazione della storia della relazione con Metrohm Italiana Srl (i contatti, gli ordini, le offerte, i problemi tecnici, ecc.), con grande vantaggio per l’efficienza con la quale un rapporto interrotto per un po’ di tempo può essere ripreso nella sua interezza. Inoltre, allegando dei files di qualsivoglia natura, ad ogni nodo della struttura del cliente, si utilizza sino in fondo la possibilità di archiviazione del sistema, creando un “archivio virtuale” relativo al cliente stesso facilmente reperibile e consultabile. L’obiettivo della gestione dei dati inseriti nel sistema MOIS è l’instaurazione, all’interno di Metrohm Italiana Srl, di una pratica di CRM analitico, gestito da un futuro gruppo di marketing. 163 5.2.4 L’uso di MOIS nei processi aziendali Abbiamo visto come professionals di Metrohm Italiana Srl interagiscono con i clienti. Allo stato attuale, i collaboratori di Metrohm Italiana Srl interagiscono con MOIS per: - reperire ed aggiornare dati anagrafici dei clienti, loro struttura interna e sul territorio; - individuare il parco strumentale (cioè gli strumenti posseduti); - registrare e recuperare i contatti avuti; - ottenere ed inserire informazioni commerciali e di business (offerte redatte) - informazioni interne (disponibilità di magazzino, ecc.). Ciò permette di raggiungere quella visione “olistica” del cliente che permette la rapida accessibilità di (quasi) tutti i dati di contatto e transazione tra Metrohm Italiana Srl e il cliente stesso. Al momento rimangono escluse le email inviate e ricevute, ma, ovviamente, è teoricamente possibile sviluppare un piccolo script che permetta di associare, ad ogni nodo avente indirizzo email e in maniera automatica, le email inviate e ricevute. Periodicamente, i dati inseriti sono “restituiti” ai professonals sotto forma di report. Attualmente, le informazioni inviate periodicamente via email dal sistema in maniera automatica sono: - il dettaglio delle offerte effettuate ai clienti appartenenti alla zona di competenza; - il dettaglio della merce ordinata, consegnata e fatturata, in formato Excel; - l’elenco dei clienti, comprensivo delle informazioni anagrafiche, in formato Excel (quest’ultimo report sarà ovviamente eliminato qualora sarà economicamente sostenibile il costo di una consultazione Web tramite un dispositivo di telefonia cellulare). Le statistiche di performance sono presentate nella consultazione di pagine Web della rete Intranet, generate “on-demand” sui dati reali, procedendo alla loro rappresentazione tabellare e grafica, sia relative alla suddivisione del materiale ordinato, consegnato, fatturato per tipologia, sia per area geografica209. Analogamente è possibile l’analisi del materiale ordinato, consegnato e fatturato relativo ad ogni cliente, permettendo l’individuazione dei clienti più profittevoli e presentandone le voci tipiche, 209 A breve, una cartina dell’Italia rappresenterà in forma grafica la suddivisione del fatturato su base geografica – per provincia – e in base alla tipologia di prodotto. 164 cioè l’importo e la percentuale rispetto all’intero, la data dell’ultima transazione e la frequenza di queste210. Mediante l’uso di SMS è al momento possibile ricevere la disponibilità e il prezzo delle parti a magazzino, e a breve sarà possibile ottenere, inserendo in un SMS il cognome di un cliente e la provincia di appartenenza, le principali informazioni anagrafiche. Infine, ogni giorno, l’Amministratore Delegato riceve via SMS i dati relativi agli importi ordinati e fatturati dall’inizio del mese, garantendo così una informazione in “real time” dell’andamento del business senza la necessità di effettuare un collegamento ad Internet. 5.3 Aspetti tecnici In seguito si presenta il software MOIS da un punto di vista maggiormente tecnico del precedente, senza eccedere tuttavia in digressioni approfondite che volutamente esulano dallo scopo di questa trattazione. 5.3.1 L’infrastruttura e il ruolo del middleware Allo stato attuale delle cose, la struttura più essenziale di MOIS è implementata su una macchina Linux SuSE 9.3211, Kernel 2.6.11212, con hardware da PC economico213 (un solo processore Pentium 4, 512 MB di RAM, HD da 200 GB), utilizzando questi pacchetti, tutti open-source: - Apache 2.0.X214, il server Web open source utilizzato da più del 70% dei siti Web con dominio registrato215; - PHP 5.0.X216, usato da quasi un milione di indirizzi IP217; - MySQL 4.1.X, il database server più utilizzato in associazione a PHP; - Samba 3.0.X, l’emulatore di reti Microsoft. PHP in particolare garantisce la facilità di colloquio, attraverso le librerie freetds218, con il sistema ERP preesistente utilizzato per la gestione documenti fiscali (DDT219 e fatture), contabilità e magazzino, che utilizza SQL Server di Microsoft220. 210 Anche la clientela di Metrohm Italiana Srl soddisfa alla legge “80-20”, cioè l’ottanta percento del fatturato è realizzato dal venti percento dei clienti. 211 Del costo di Euro 84,00 presso la libreria Hoepli di Milano. 212 E’ stata scelta una distribuzione per pura semplicità di installazione e di aggiornamento delle librerie e del compilatore gcc di sistema. I pacchetti indicati sono però scaricati direttamente dai siti Internet relativi e successivamente compilati, al fine di garantire la sicurezza a fronte di bachi progressivamente individuati e l’indipendenza della configurazione dalla particolare distribuzione Linux adottata. 213 Per una spesa totale di circa 520 Euro. 214 Cfr. www.apache.org 215 Cfr. news.netcraft.com/archives/web_server_survey.html 216 Cfr. www.php.net 217 Cfr. www.php.net/usage.php 218 Cfr. www.freetds.org 165 Sono presenti altri servizi, quali ad esempio un sistema per l’invio di SMS221 e un sistema MTA222 per l’invio delle email, tutti pacchetti “open source” disponibili per Unix o Linux e abbondantemente documentati e supportati in Internet. user browser (IE) Internet shared file system with samba Apache 2.0.X LAN based on Microsoft network (Win 2K domain style) native freetds CSV files middleware PHP 5.0.X MySQL 4.1.X CRM system MS SQL Server ERP system SyBase SQL old ERP system SMS and email systems Figura 5.3: Struttura del sistema MOIS 219 Documento Di Trasporto. In passato, il sistema ERP utilizzava come motore SQL il server Sybase Anywhere, in una versione non supportata dalle librerie freetds. Per poter comunque accedere ai dati in esso contenuti, si salvavano i risultati delle query (effettuate mediante IIS e ODBC) in file di testo, tipicamente in formato CSV, e quindi recuperate dal middleware di MOIS attraverso un client http. 221 Il pacchetto è conosciuto con il nome smstools ed è reperibile on-line a smstools.meinemullemaus.de/ . Gli SMS sono inviati da un cellulare Siemes S45 con SIM aziendale, acquistato, completo di cavo RS232, su eBay al costo totale di 43,50 Euro, comprensivo di spese di trasporto. Dispositivi modem GSM per inviare SMS sono disponibili sul mercato ad un costo non inferiore a 150 Euro. 222 sendmail, Cfr. www.sendmail.org. In questo caso si è preferito mantenere il pacchetto previsto dalla distribuzione Linux scelta, al fine di facilitarne l’installazione e la configurazione. 220 166 Ovviamente, gran parte delle funzionalità sono comprese nel middleware, scritto in PHP, con il supporto dell’utility Unix crontab per quanto riguarda la gestione di eventi temporizzati, quale il controllo della correttezza formale dei documenti inseriti e i report periodici (giornalieri e mensili) delle attività effettuate mediante il sistema. 5.3.2 Il codice middleware Il software di MOIS si basa sulle due categorie di linguaggi di script per il Web: un linguaggio per il lato client e un linguaggio per il lato server. Come già accennato, la maggior parte delle funzionalità è implementata in PHP, linguaggio per script per il lato server disponibile sia per Unix che per Windows. Pur disponendo della possibilità di programmazione orientata agli oggetti, si è preferito ricorrere a questi solo dove ciò è veramente vantaggioso: questa scelta, seppure largamente criticabile, è dettata da due motivazioni: a) altre persone, all’interno di Metrohm Italiana Srl, pur non possedendo una cultura informatica di base abbastanza solida, possono modificare e mantenere attivo il codice; b) solo la versione 5.X di PHP supporta la programmazione orientata agli oggetti in modo sufficientemente completo per dirsi tale. Il codice sino ad ora scritto non è, purtroppo, elegante né tanto meno efficiente: molte parti andrebbero riscritte e l’aspetto relativo alla sicurezza è lasciato in secondo piano, in quanto comunque si tratta di una applicazione per accedere alla quale occorre essere preventivamente autorizzati223. Per la visualizzazione della struttura ad albero si è ricorso allo script in linguaggio javascript in licenza BSD “Morten’s Javascript Tree Menu”224. L’utilizzo di tale codice ha permesso un notevole risparmio di tempo nello sviluppo, in quanto si tratta di un pacchetto pronto per l’uso e dotato di abbondante documentazione. Per la creazione dei files in formato PDF è usato il pacchetto pdfLaTex e per quelli in formato RTF si è utilizzato uno script PHP dal costo irrisorio, reperito su Internet225. 223 A parziale discolpa, ma a totale consolazione, si ricorda che molti software gestionali attualmente in uso sono stati originalmente sviluppati in linguaggio Cobol e tali codici sono semplicemente stati solo sintatticamente riscritti per adattarsi ai vari compilatori e linguaggi, mantenendo inalterato il flusso logico dell’elaborazione. 224 Cfr. http://www.treemenu.org/ 225 Cfr. http://paggard.com/projects/rtf.generator/ 167 5.3.3 La struttura del database L’attuale database, sufficientemente normalizzato, consiste in una novantina di tabelle: la maggior parte di esse possiedono come chiave un codice assegnato dal sistema in maniera completamente trasparente all’utente, di modo che non sia necessario conoscerne il valore per effettuare le normali attività quotidiane. Entrando nel dettaglio, la struttura anagrafica del cliente è memorizzata in tabelle (ditta, stabilimento, gruppo, persona, strumento, telefono, fax, email, Web) ed è utilizzato un sistema di puntatori tra le chiavi per indicare i nodi superiori nella struttura ad albero dell’organizzazione del cliente, in una tipica di relazione “uno a molti”. L’attraversamento – di tipo “pre order” – della struttura è eseguito in maniera ricorsiva226, quindi con grande spreco di tempo: tuttavia, la velocità delle macchine attuali e, soprattutto, la piccola entità del numero dei nodi da attraversare, rende di fatto di scarsa importanza la sostituzione della struttura dati attuale e dell’algoritmo di attraversamento con tecniche maggiormente efficienti227. E’ attualmente utilizzata la versione 4.1.X di MySql. La versione 5.0.X, ora in beta, permetterà l’uso delle viste e delle stored procedures, a grande vantaggio della compattezza (e quindi, con minore presenza di bachi) del codice PHP. 5.3.4 Le stampe Un problema diffuso in ambiente Windows è la grande dipendenza dell’output su stampante: stampanti diverse generano formattazioni diverse. Per ovviare a ciò si è adottato il formato PDF, generato da PDFLaTeX228. Sebbene possa sembrare ingiustificato l’uso di un potente strumento di scrittura di testi come LaTeX, occorre tenere presente l’elevata qualità grafica desiderata per i documenti prodotti. Tuttavia, per comodità, è anche possibile ottenere stampati o report in formato RTF, elaborabile dalla maggior parte dei software di trattamento testi. I dati, recuperati dal database, sono elaborati fondendo insieme le definizioni del “modello” (inteso come script PHP) e la eventuale definizione “grafica” della Carta Intestata della società (composta mediante LaTeX), La figura seguente illustra il processo che porta all’ottenimento di un report, o più in generale, di un documento, in formato PDF o RTF. 226 Cfr. R. Sedgewick, “Algoritmi in C”, 1993 , Addison Welsley In effetti, ad un profiling del codice risulta che la maggior parte del tempo è impiegato per il recupero dei dati. Ad esempio con quelle proposte in http://freephp.html.it/articoli/view_articolo.asp?id=165, conosciuto con il nome Modified Preorder Tree Traversal 228 Cfr. http://www.latex-project.org/ 227 168 Modello (PHP) Dati (da MySQL) Compilatore LaTeX o RTF Documento (formato pdf, rtf) Carta intestata (LaTeX) Figura 5.4: Creazione di report e documenti mediante il sistema MOIS E’ così possibile, utilizzando modelli diversi, presentare i medesimi dati in forma diversa, a seconda dell’uso del report stesso. 5.3.5 In futuro Dal punto di vista tecnico, il middleware PHP richiede una revisione del codice, in modo da rendere uniforme le tecniche di accesso ai dati del database e alle variabili di script, prestando attenzione alle tecniche suggerite in rete e in bibliografia per una scrittura di codice PHP il più possibile intrinsecamente sicuro. Analogamente, la struttura del database dovrà essere migliorata, eliminando alcune ridondanze e, non appena disponibile la versione di produzione 5.0.X per MySQL, utilizzare quanto più possibile le viste per permettere – se non un più veloce – un accesso ai dati maggiormente fluido. Attualmente è allo studio un sistema per garantire un accesso concorrente sicuro alle pagine di modifica dei dati, ovviamente utilizzando le sessioni del protocollo HTTP e memorizzando in una apposita tabella del database l’oggetto e il soggetto della modifica in atto229. Dal punto di vista funzionale occorrerà invece permettere la nidificazione di gerarchie più complesse di quelle attualmente possibili, ad esempio permettendo che un gruppo dipenda da una 229 Ma, come colui che realizza siti web fortemente dinamici sa molto bene, ciò rappresenta un notevole scoglio di difficoltà da superare. L’idea fondamentale si basa sull’osservazione che per vigilare sulla chiusura repentina della pagina e su un’interruzione della comunicazione si possa usare una routine con una funzione di watch-dog, eventualmente mediante l’uso di un componente tipo ActiveX o di un’applet java. 169 persona. Ciò al fine di permettere la memorizzazione di strutture complicate quali, ad esempio, i dipartimenti dei vari dicasteri italiani o delle università. Naturalmente, è molto probabile che ciò comporterà anche una revisione della struttura del database, per la quale è già sin da ora prevedibile un’unica tabella per i nodi dotati di indirizzo postale (ditte, stabilimenti, gruppi) e caratterizzati dal fatto di appartenere alla medesima struttura (ad esempio utilizzando la chiave del nodo radice), in modo che siano leggibili con un’unica query. Infine, completando la parte che permette la registrazione delle attività relative all’assistenza tecnica, si perseguirà sempre più la “fusione” tra prodotto e servizio, anche a livello di gestione mediante lo strumento informatico. 5.4 Considerazioni finali 5.4.1 Uso del sistema CRM Il sistema è attivo da dicembre 2001 e, alla fine di maggio 2005, presenta i seguenti dati di utilizzo: Numero di nodi inseriti Nodo Fino al 2002 2003 2004 Maggio 2005230 Totale231 Ditte 1156 224 191 262 1833 Stabilimenti 409 49 47 179 684 Gruppi 484 116 120 335 1055 Persone 2156 612 742 1182 4692 Indirizzi email 131 322 734 701 1888 Numeri di telefono 2379 570 622 1188 4759 Numeri di fax 1766 505 446 808 3525 Numero di Offerte 1439 1416 1358 701 4914 Tabella 5.3: Numero di nodi inseriti in MOIS nel tempo Come si può osservare, con questi dati è possibile avere una misura della quantità di informazione acquisita dal cliente nel tempo, e quindi il grado di incremento dei contatti di cui è mantenuta traccia. 230 Dall’inizio di Maggio 2005 anche la sede di Roma ha iniziato ad inserire dati, occupando una persona praticamente a tempo pieno. 231 Comprensivi dei dati inseriti prima del 2003, per i quali non è possibile risalire alla data di inserimento. 170 Uno dei problemi principali del sistema MOIS è l’uso che i professionals ne fanno, o meglio, non ne fanno. Al fine di monitorare costantemente la situazione (e con ciò possiamo rifarci ai suggerimenti di S. Kermally232) è possibile la consultazione on-line di MOIS circa le statistiche di utilizzo del sistema. Interessante è osservare l’accelerata che l’uso di MOIS ha subito negli ultimi mesi da parte del personale del front office, spinto dalle insistenze dell’Amministratore Delegato e dall’autore: Figura 5.5 Modifiche effettuate sui nodi Figura 5.6: Modifiche effettuate sui nodi 232 Cfr. S. Kermally, “Effective Knowledge Management”, 2002, Wiley 171 Il numero delle offerte effettuate mediante il sistema MOIS, dal solo ufficio Nord, è rappresentato nel grafico seguente: Figura 5.7: Numero di offerte realizzate con MOIS dalla sede Nord Dall’inizio del mese di Luglio 2005, anche la sede di Roma ha cominciato ad effettuare le offerte mediante il sistema MOIS, e ciò rappresenta un grande passo in avanti relativamente all’uniformità del comportamento verso il cliente (soprattutto verso quelli dislocati in più sedi sul territorio italiano). 5.4.2 Politica di sviluppo di MOIS Gran parte del lavoro futuro che attende Metrohm Italiana Srl sarà quello di rendere l’uso di MOIS parte integrante della propria attività Per agevolare questo passaggio, la direzione ha fornito, a spese aziendali, un connessione ADSL a ogni professionals. Per monitorare il successo di tale iniziativa, che si spera essere abilitante nei confronti dell’uso del sistema, è possibile visualizzare graficamente l’origine della connessione, dalla rete locale (nel grafico indicata con Intranet) o esternamente (nel grafico indicato con Internet). Sebbene tali dati (raccolti dal 1 gennaio 2004), espressi in valore assoluto non siano confortanti, nonostante siano già passati circa cinque mesi dall’inizio della disponibilità ADSL, ci si auspica che in un futuro – si pensa a settembre o a ottobre prossimi – essi possano finalmente annunciare una reale inversione di tendenza, che sancirà l’uso dello strumento informatico MOIS come essenziale nella normale attività quotidiana. 172 Figura 5.8: Origine delle connessioni al sistema MOIS Entro la fine dell’anno 2005 verrà portato a termine la parte relativa all’assistenza tecnica (contratti di manutenzione, programmata e non) e, a quel punto, il sistema si potrà ritenere sufficientemente completo per le esigenze di una PMI commerciale come Metrohm Italiana Srl. Se nascerà l’esigenza, si doterà il MOIS di un sistema per la gestione delle opportunità, in modo che l’Amministratore Delegato – che è anche il Direttore delle vendite – possa mantenersi costantemente e dettagliatamente informato sullo stato delle trattative in corso. Dal punto di vista dello sviluppo del codice, si potrà scegliere il modello di manutenzione che più si adatta alla visione aziendale: al momento le ipotesi sono tre: 1) lo sviluppo sarà portato avanti solamente da personale di Metrohm Italiana Srl; 2) lo sviluppo sarà portato avanti da un gruppo di collaboratori Metrohm, italiani e svizzeri (in passato era stato manifestato un certo interesse), al fine di proporne l’uso ad altre consociate; 3) si tenterà l’apertura di un progetto su sourceforge.net Sebbene la terza opzione appaia la più elegante e gratificante, l’autore ritiene che le prime due, in particolare la seconda, possano permettere il mantenimento della conoscenza operativa insita in MOIS all’interno di Metrohm, a totale vantaggio sulla concorrenza. 173 6 Bibliografia e riferimenti al Web Tutti i link sono risultati validi nel periodo Dicembre 2004 – Luglio 2005 Introduzione Associazione nazionale produttori tecnologie e servizi per l’informazione e la comunicazione: “Tecnologie ICT per reti di PMI”, ottobre 2004 Barman, Z.: “Dentro la globalizzazione”, 1999, Ed. “Il Saggiatore” Comunicato stampa UE: Reference: IP/04/626 Date: 11/05/2004 Di Stefano, A.: La Repubblica – Affari e finanza – 29 marzo 2004 Di Stefano, A.: La Repubblica – Affari e finanza – 31 gennaio 2005 Giddens, A.: “Le conseguenze della modernità”, 1994, Ed. “Il Mulino” ISTAT, Istituto nazionale di statistica: “Annuario statistico italiano 2004” http://htm.cisl.it/sito/Contenuti/SPECIALEFINANZIARIA/innovazionericerca.htm) http://temi.provincia.milano.it/economia/istituzionale/milanoincifre7.htm http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/Finanziaria2005/finanziaria.pdf), http://www.innovazione.gov.it/ita/news/fondo_garanzia_ict.shtml Merli, G. e Crippa, A.: “Business on-demand”, 2003, Ed. “Il Sole 24 ORE” Raimondi, M.: “Marketing del prodotto-servizio”, 2005, Ed. “Hoepli” Knowledge Management e Capitale Intellettuale Bugliolo, D. “KM-Appunti: 6. Il ba”, Reperibile on-line a http://www.aidainformazioni.it/pub/kmappunti42003.html 174 Davenport, T e Prusak, L.: “Il sapere al lavoro”, 2000, Ed. “Etas” Giovanni Paolo II: Enciclica Centesimus Annus, 1991, Ed. “Libreria editrice vaticana” Giuda, G. e Berini, G.: “Ingegneria della conoscenza”, 2000, Ed. “Egea” Hall, M.L.W.: “The confusion of the capitals: surveying the cluttered landscape of Intellectual Capitals and terminology”, in P.H. Sullivan, op. cit. Hewstone, M. et altri : “Introduzione alla psicologia sociale”, 1988, Ed. “Il Mulino” http://www.capgemini.com/ase http://www.ewenger.com/theory/ http://www.itconsult.it/knowledge/white_papers/ http://www.itconsult.it/knowledge/white_papers/whiteCapitoli.asp?id=5&Submit=Invia Kermally, S.: “Effective knowledge management”, 2002, Ed. “Wiley & Sons, Inc” Klein, N.: “No Logo”, 2000, Ed. It. “Baldini e Castaldi”. 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Cosimo Santini, per la fiducia e la conseguente libertà concessami nell’esercizio della mia attività in Metrohm Italiana Srl. PS: per Nena: a proposito di conoscenza, “presto ti accorgerai come è facile farsi un inutile software di scienza, e vedrai che confuso problema è adoprare la propria esperienza”234. 233 234 Cfr. “Non ci resta che piangere”, 1984, Regia di R. Benigni e M. Troisi. Cfr. F. Guccini, “Culodritto”, 1987 180