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In abbinata obbligatoria con Italia Oggi.
Tre foto
e una mimosa
Narrazione
normale
e resistenza civile
di FILIPPO VELTRI
È DIFFICILE tentare una
narrazione normale, una
ordinaria normalità nel
racconto della Calabria
(così come ha avviato domenica scorsa su questo
giornale il direttore Matteo Cosenza) quando ti
capitano tra le mani storie come quella di Cetta.
E’ difficile, assai difficile.
Da lì, da qui, bisogna
continua a pagina 20
Il coraggio
le donne
e la speranza
di MICHELE GRAVANO
BISOGNA essere grati al
direttore Cosenza per il
suo editoriale a commento
di episodi tragici che hanno visto protagoniste donne calabresi che hanno pagato con la morte la volontà di liberarsi dalla condizione di ricatto, di oppressione, di mortificazione
che segna l’appartenenza
a cosche mafiose. Il nudo
continua a pagina 20
La grande forza
del cuore
delle mamme
di EMMA LEONE
e FRANCESCA MUNNO
EGREGIO direttore, abbiamo letto ieri sul “Quotidiano della Calabria”, la
lettera che Maria Concetta Cacciola scrisse nel
maggio 2011 alla madre
prima di andare via da casa sua e collaborare con la
giustizia. Maria Concetta andava via da una realtà che la opprimeva, da
continua a pagina 20
Direzione: via Rossini 2/A - 87040 Castrolibero (CS) Telefono 0984 4550100 - 852828 • Fax (0984) 853893 Amministrazione: via Rossini 2, Castrolibero (Cs)
Redazione di Reggio: via Cavour, 30 - Tel. 0965 818768 - Fax 0965 817687 - Poste Italiane spedizione in A.P. - 45% - art. 2 comma 20/B legge 662/96 - DCO/DC-CS/167/2003 Valida dal 07/04/2003
Via l’Afor
Nasce l’Agenzia
per la forestazione
e la montagna
Anno record
nel settore
delle truffe
4.383 denunce
Dimensionamento
scolastico
Approvato
il piano
Ecco come cambierà
Per i nuovi assunti
contratti da “privati”
Il bilancio del 2011
tracciato
dalle Fiamme gialle
Individuati
in tutto il territorio
99 istituti di troppo
a pagina 12
S. PAPALEO a pagina17
G. VERDUCI a pagina 14
L’assessore Michele Trematerra
Sabato 11 febbraio 2012
www.ilquotidianodellacalabria.it
L’assessore Mario Caligiuri
Lotta alle ’ndrine. Blitz dei carabinieri a Marina di Gioiosa Jonica
Manette al superlatitante
Rocco Aquino aveva un bunker ricavato nel sottotetto di casa
• Era ricercato da 19 mesi
Di recente era riuscito
a sfuggire alla cattura
LA MORSA DEL GELO
Saviano
«Un boss
seduto
in prima fila
al Politeama»
• In un processo il Ros
racconta la lobby
che “gestisce” Reggio
• Lettere intimidatorie
al sindaco di Siderno
e al deputato Laratta
BELCASTRO, CORDOVA, INSERRA,
PAPASIDERO E VERDUCI
alle pagine 8 e 9
La vicenda della pentita suicida
Maria Concetta
Le paure confidate
all’amica del cuore
ALBANESE, ANASTASI e GALATÀ a pagina 7
Catanzaro
ROBERTO MARINO
a pagina 51
Una zona della parte più vecchia di Cosenza sotto la neve
L’impegno di tutti
per trarre
dal male il bene
I fiocchi in serata hanno ripreso a cadere su Roma
di ENNIO STAMILE
Bufere di neve al Centrosud
Imbiancata anche Cosenza
Calabria: situazioni difficili in alcune aree interne
A VOLTE, anche dalle pagine di questo giornale,
oso proporre all'attenzione dei lettori delle note di
commento su alcuni
eventi che accadono in
Calabria, in Italia e all'estero. Francamente, non
CIAMPA alle pagine 4, 5 e 6
continua a pagina 19
Reggio. In 170 hanno manifestato rumorosamente davanti a un hotel per richiamare l’attenzione di Bonanni (Cisl)
Sombrero
Zombi
I DIRIGENTI del Pd hanno subito preso le distanze da lui, anche perché
non si dicesse che sono
col-Lusi, e lo hanno
espulso dal partito. Ma è
ben strano che nessuno
per anni ha visto niente,
che tutti hanno firmato i
bilanci, ed è dovuta intervenire la magistratura.
Ora, dopo la Margherita,
si annuncia un altro
scandalo per Alleanza
Nazionale. Tutti partiti
che non esistono più, ma
continuano a prendere e
gestire soldi. Insomma è
molto meglio avere un
partito sciolto, che uno in
attività. Se Rifondazione
Comunista si sciogliesse,
forse, Liberazione sarebbe ancora in edicola.
Sit-in improvvisato dei cassintegrati dell’ex Gdm
I 170 cassintegrati dell’ex
Gdm hanno improvvisato un
sit-in davanti all’Excelsior
per attirare l’attenzione del
leader della Cisl, Bonanni.
ENRICO DE GRAZIA
a pagina 21
E' vietata la riproduzione, la traduzione, l'adattamento totale o parziale di questo giornale, dei suoi articoli o di parte di essi con qualsiasi mezzo, elettronico, meccanico, per mezzo di fotocopie, microfilms, registrazioni o altro
ANNO 18 - N. 41 - € 1,20
Testimoni coraggiose
Il calvario della pentita suicidatasi
ingerendo acido muriatico
Le paure di Maria Cacciola
I dubbi e le indecisioni confidate all’amica del cuore dalla località sotto protezione
di DOMENICO GALATÀ
ROSARNO – Proseguire con la collaborazione o accettare di tornare a casa per
amore dei figli? Maria Concetta Cacciola
è stata a lungo combattuta da questi pensieri durante il periodo in cui è stata lontano da Rosarno dopo aver aderito al
programma di protezione. Il dilemma
della donna è ben fotografato dal Gip
Fulvio Accurso quando nell’ordinanza
di custodia cautelare emessa nei confronti dei familiari della Cacciola scrive
di del «grande travaglio e la grande indecisione che pervadevano l’animo della
Cacciola, tentata di ritornare a casa per
la sofferenza che la lontananza dai figli
le procurava e d’altro canto ben consapevole che in caso di suo ritorno fra le mura
domestiche avrebbe corso seri rischi per
la sua vita e, soprattutto, avrebbe perso
nuovamente, e definitivamente,la libertà che da poco tempo aveva assaporato».
Le parole del giudice si riferiscono in
particolare alla telefonata che il 6 agosto
del 2011 Maria Concetta, mentre si trovava a Genova, fa ad Emanuela Gentile,
quella che lei stessa aveva qualificato in
precedenza «come sua amica del cuore
nonché depositaria di confidenze che lei
non aveva mai riferito a nessun’altro».
Una telefonata in cui la Cacciola confida
che, in qualche modo, i suoi familiari
erano riusciti ad avere i tabulati delle telefonate con il suo amante. Maria Concetta: «Sai perché ho un po’ di paura? Ti
dico la verità, che se torno loro sanno
perché devo tornare! Loro mi fanno tornare apposta così loro dicono: “mi cacci
sti cose che c’erunu” (ritratti quello che
hai detto) hai capito?»; Emanuela:
«Uhm»; Maria Concetta : «Eh, tu torna,
questo è quello che mi fa
paura Manuela le sappiamo queste cose come vanno nelle nostre famiglie
no?! Almeno nella famiglia mia»; Emanuela:
«Cetta io penso che una
volta che finisce così incom….»; Maria Concetta:
«Manuela che so io se non
è una cosa fatta apposta..
perché quella sera.. va bene.. adessotidico laverità
.. quel giorno che ho chiamato mia madre lei mi ha
detto.. “Cetta”... Manuela però questa
cosa non dirla a nessuno»; Emanuela:
«Tu puoi stare tranquilla»; Maria Concetta: «mia madre mi ha detto che ci sono
i tabulati con quella persona»; Emanuela: «Eh»; Maria Concetta: «Ed io gli ho
detto incomp.. ma poi amia madre gli ho
detto la verità»; Emanuela: «Eh»; Maria
Concetta: «Non sono riuscita a dirle di no
e lei mi ha detto: “vedi che loro sanno tutto”. Quando ti dicono vedi che loro sanno
tutto tu cosa fai?». La Cacciola sapeva
che tornare a Rosarno sarebbe significato interrompere la collaborazione, ma il
pensiero principale erano i figli. Maria
Concetta: «E ma io in queste cose Manuela non sai cosa fareperché ti senti confusa.. mi sento imbarazzata non so come
devo fare.. credimi, nonso proprio come
devo fare»; Emanuela: «Nemmeno io..
ma tu ce l’’hai l’avvocato?»; Maria Concetta: «No»; Emanuela: «Niente?»; Maria Concetta: «L’avvocato che ho messo..
che voglio mettere è quello che ha messo
mia mamma.. mettendo questo già si
sanno come vanno le cose no?!»; Maria
Concetta: «Io non so Manuela.. io non ho
l’idea.. io vorrei tornare a casa mia per i
miei figli.. perché i figli non me li mandano.. non vedi che non me li hanno
mandati?»; Emanuela: «Ah non te li
hanno mandati i figli?»; Maria Concetta:
«Non me li hanno mandati i figli e non
melimandano perchélorohannocapito
che se mi mandano i figli è finita non torno più»; Emanuela: «Ah quindi tu .. incomp… e figli non te li hanno mandati»;
Maria Concetta: «No.. no non me li hanno mandati io li ho cercati e non me li
hanno dati.. hai capito?». E più avanti,
Maria Concetta:«Guarda miamadre poverina le cose li fa facili»; Emanuela: «E’
distrutta, tua madre è distrutta»; Maria
Concetta: «E’distrutta ma daquando mi
sente le fa facili.. incomp.. chiamami
non ti.. però Manuela io mi sento.. tu lo
sai io ho paura Manuela.. io ho paura».
«Loro mi
fanno tornare
apposta così
mi dicono
di ritrattare»
Il parere di chi la vide fuori Rosarno
Le tappe della collaborazione
«Era una ragazza
Da una denuncia
allegra e socievole» per lettere anonime
ROSARNO – Così «debole e depressa» da dover prendere il Tavor, un noto farmaco antidepressivo. Il 29 agosto dello
scorso anno Anna Rosalba Lazzaro (foto) ed il marito Michele
Cacciola vengono sentiti dai
magistrati in meritoal suicidio
della figlia. In quell’occasione
la madre disse che la causa della depressione psichica cui era
affetta Maria Concetta era da ricercare nel fatto che il marito
fosse in carcere.
Una situazione che, secondo
il racconto dei genitori, l’aveva
resa psicologicamente fragile
costringendola a ricorrere ai farmaci.
Di tutt’altra opinione, però, sembrano
essere i magistrati.
La convinzione dei
giudici si basa su alcune elementi. Primo tra tutti le dichiarazioni rese da proprietari e dipendenti
del complesso turistico dove Maria
Concetta è stata temporaneamente ospitata dopo aver lasciato Rosarno in seguito alla decisione di
aderire al programma di protezione.
Dal loro racconto,
emerge un ritratto
della Cacciola come
«una ragazza molto
aperta e solare e piuttosto socievole, in
quanto aveva notato
che dava facilmente confidenza a persone che non conosceva». Impressione suscitata anche in un avventore della struttura, che avendo avuto modo di
conoscere Maria Concetta, ha
confermato che la giovane stava bene fisicamente e psicologicamente ed era allegra e socievole. Le stesse impressioni la
Cacciola le ha riferite anche ad
una dipendente del villaggio
turistico che l’aveva notata parlare frequentemente con persone sconosciute.Un quadroche,
come scrive il Gip nell’ordinanza di custodia cautelare, «cozza
irrimediabilmente con l’immagine descritta dai genitori».
Del Tavor gli inquirenti non
trovano traccia nemmeno farmaci che erano nella disponibilità della Cacciola. «Tale circostanza - scrive il Gip - risulta clamorosamente smentita non solo dalle dichiarazioni di chi la
conosceva più o meno bene ma
anche dal fatto che
la stessa Cacciola dichiarava all’assistente psicologica
del Nop di non fare
uso di antidepressivi. Peraltro, tra i farmaci rinvenuti nella
sua
disponibilità
non era presente il
Tavor, ma solo prodotti di erboristeria
a scopo dietetico».
Maria
Concetta,
quindi, per gli investigatori, era tutt’altro che depressa e dire che lo fosse sarebbe stato parte di una
strategia per diminuire la portata delle dichiarazioni fatte alle forze dell’ordine. La sua è una storia
emblematica,
scrive il Gip, perché
«é il ripetersi di altre
storie, specie di donne, già
drammaticamente conclusesi
in modo analogo, ma è soprattutto la riprova che molte persone come questa giovane donna ancora oggi vivono all'interno di famiglie che non consentono il minimo spazio alle aspirazioni di vita diversa e libera».
do. ga.
Ma i genitori
«Era depressa
per il marito
in carcere»
|
di MICHELE ALBANESE
ROSARNO - Era l’11 maggio
dello scorso anno quando Maria Concetta Cacciola (foto) si
presentò presso la Tenenza carabinieri di Rosarno, dove era
stata convocata per avere la notifica di un atto riguardante il
figlio minore Alfonso Figliuzzi.
Approfittò
dell’occasione
per raccontare ai carabinieri
alcune vicende personali e familiari a causa delle quali riteneva di essere in pericolo di vita. Disse che a partire dall’estate 2010 giungevano
presso l’abitazione
dei suoi genitori alcune lettere anonime, nelle quali vi era
scritto che lei intratteneva una relazione
extraconiugale. E
questo fatto rappresentava l’inizio dei
suoi problemi. Da
quel momento, suo
fratello Giuseppe e
alcuni cugini avevano iniziato a pedinarla alla ricerca di
una prova della sua
relazione. Dichiarazioni
importanti
queste, che spinsero
i militari a farla tornare presso la Tenenza. Negli incontri successivi Maria
Concetta iniziò a raccontare alcune vicende legate alla sua
vita coniugale. Disse che il suo
non era stato un matrimonio
felice e che, a suo avviso, l’unico
interesse del Figliuzzi era stato
quello di inserirsi all’interno di
alcune famiglie mafiose. Una
volta il marito le avrebbe persino puntato una pistola in seguito ad un litigio per futili motivi. Raccontando il fatto al pa-
IL PROCESSO
dre, questi le avrebbe risposto:
«questo è il tuo matrimonio, e te
lo tieni per tutta la vita». La Cacciola aveva manifestato poi agli
investigatori di avere molta
paura del fratello Giuseppe, in
merito al quale aveva affermato: «Mio fratello ha un brutto
carattere ed è capace di fare
qualsiasi cosa, anche di farmi
sparire». Se il fratello non l’aveva uccisa, raccontò ai carabinieri, era stato solo perché era
alla ricerca di qualche conferma sulla sua relazione extraconiugale. La sua voglia di scappare era così forte che raccontò
di aver acquistato
più volte biglietti
presso un’agenzia
di viaggi ma aveva
sempre rinunciato
per timore di essere
uccisa o comunque
di coinvolgere altre
persone. Il 25 maggio del 2011, Maria
Concetta rese ai magistrati della Dda dichiarazioni su fatti
di cui era a conoscenza come persona informata, chiedendo
espressamente di essere sottoposta a misure di
protezione, in quanto riteneva di essere
in pericolo di vita a
causa delle dichiarazioni che aveva reso e che intendeva
rendere in futuro.
Quel giorno i magistrati reggini l’avevano proposta per l’adozione di un piano
provvisorio di protezione in
qualità di testimone di giustiziae pertalemotivo, nellanotte
tra il 29 e il 30 maggio, Maria
Concetta venne prelevata da
Rosarno da uomini del Ros di
Reggio Calabria per essere
condotta in località protetta.
Ai carabinieri
«Mio fratello
è capace anche
di farmi sparire»
|
La Corte d’assise di Milano acquisisce la relazione della polizia penitenziaria sull’episodio
«Sei infame»: agli atti le minacce a un imputato
Decisione dei giudici chiamati
a valutare l’omicidio di Lea
di ANTONIO ANASTASI
Lea Garofalo
PETILIA POLICASTRO - La Corte d’Assise di Milano ieri ha acquisito l’annotazione di servizio della polizia penitenziaria
secondo cui, in occasione di uno dei trasferimenti dal carcere all’aula in cui si sta celebrando il processo per l’omicidio di Lea
Garofalo, la testimone di giustizia di Petilia Policastro scomparsa nel nulla nel novembre 2009, uccisa e forse sciolta
nell’acido, uno degli imputati, l’unico non
petilino, il salernitano Massimo Sabatino,
sarebbe stato minacciato. «Sei un infame», gli avrebbe detto il coimputato Carmine Venturino. E Sabatino: «Mi faccio sei
anni per colpa vostra». Secondo la Corte,
che ha accolto la richiesta del pm Marcello
Tatangelo, l’episodio potrebbe essere valutato come minaccia nei confronti di un
imputato, ovvero come ritorsione che metterebbe a rischio la genuinità delle sue dichiarazioni. I sei imputati, come già riferito dal Quotidiano, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. La Corte ha anche
acquisito le dichiarazioni, sempre su richiesta del pm, rese durante le indagini
preliminari da Sabatino, reo confesso soltanto per il tentato rapimento della Garofalo, avvenuto a Campobasso, addirittura
mentre la donna era sottoposta al programma di protezione. Nell’ottobre 2010,
due giorni dopo gli arresti per l’omicidio,
Sabatino fu condannato a sei anni di reclusione, con il rito abbreviato, dal Tribunale
di Cambobasso, per il primo tentativo di
sequestro della donna, materializzatosi
nel maggio 2009 nel centro storico del capoluogo molisano. Sabatino, però, sostiene che col delitto non c’entra nulla e che a
Campobasso era andato a recuperare droga.
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Primo piano 7
Sabato 11 febbraio 2012
Sabato 11 febbraio 2012
La cattura del boss
Dopo 19 mesi di latitanza incastrato
a Marina di Gioiosa Rocco Aquino
Il “colonnello” era nel sottotetto
Blitz all’ora di pranzo nell’abitazione nell’ex patron della locale squadra di calcio
di MICHELE INSERRA
MARINA DI GIOIOSA JONICA - Sono da poco passate le tredici. In via Porticato, primo tronco, al civico
11, il presunto boss Rocco
Aquino, si accinge a ultimare il pranzo. Ma non sarà un giorno come i tanti
trascorsi in 19 lunghi mesi
di latitanza. Sarà il suo ultimo pasto tra le mura domestiche. Questa volta, dopo
diversi tentativi da parte
dei carabinieri, “u colonnello” non ha via di scampo. Era inserito nell’elenco
dei latitanti più pericolosi
in ambito nazionale, era ricercato per associazione
mafiosa, estorsione ed altro. E per mettere fine alla
sua “corsa” c’è voluta
un’operazione condotta alla perfezione tatticamente
e militarmente e soprattutto frutto di un’azione sinergica da parte dei carabinieri del Ros del tenente colonnello Stefano Russo, del
gruppo Locri del tenente
colonnello Giuseppe De Liso e dello squadrone eliportato dei cacciatori di Vibo.
Aquino non ha opposto resistenza, ha preparato un
borsone con all’interno indumenti personali e si è fatto ammanettare.
Soltanto qualche familiare ha fatto “sceneggiate”
di disperazione per la sua
cattura. Ma lui nulla, anzi
sempre pronto a tranquillizzare tutti. All’uscita
dall’abitazione di via Porticato in compagnia dei militari qualcuno ha accennato ad applaudirlo per osannare il capo che lasciava il
posto di comando per raggiungere la galera. Da
buon capo Aquino non aveva mai lasciato la sua base,
la città di Marina di Gioiosa, dove tra l’altro gestiva
attività economiche ed era
stato il patron della locale
squadra di calcio. Aquino è
uno che sapeva fiutare gli
affari e sapeva come attirare il consenso popolare: lo
sport che dava visibilità
“pulita” e che fungeva da
lavanderia di soldi sporchi,
la politica che rafforzava il
potere (tra l’altro l’ex sindaco Rocco Femia è stato arrestato per mafia nel maggio
2011 e si trova tuttora in
galera), le imprese che garantivano lavoro e pertanto “benevolenza” tra la cittadinanza, la ‘ndrangheta
che lo proiettava nel paradiso del potere. E da latitante aveva mantenuto salde le
alleanze con gli altri clan
della Locride. Il mammasantissima era consapevole sin dall’ottobre del 2010
che i carabinieri avevano
già localizzato tre dei bunker da lui utilizzati per nascondersi. E per questo motivo Aquino aveva pensato
ad uno stratagemma, il primo tra l’altro sinora utilizzato dai fuggiaschi di
‘ndrangheta. Invece che
realizzare il nascondiglio
nel sottosuolo e dietro l’intercapedine di una parete
l’aveva fatto costruire nel
sottotetto della sua casa.
Per accedervi è stato necessario aprire una botola attivata da sofisticati congegni elettromeccanici.
Dietro le sbarre attenderà ora l'esito del processo
con rito abbreviato che lo
vede imputato insieme ad
altre 119 persone per l’inchiesta “Il Crimine”. Per lui
il pubblico ministero Nicola Gratteri ha chiesto la
condanna a 20 anni di carcere. Dall'operazione “Il
Crimine” del 13 luglio
2010, era infatti emerso come proprio Rocco Aquino
avesse partecipato attivamente alle discussioni tra i
maggiori esponenti delle
cosche del mandamento
Jonico (tra cui quelle con
Giuseppe Commisso, “u
mastru” di Siderno), per la
risoluzione delle diverse
problematiche insorte all'interno della 'ndrangheta
documentate anche da altre attività investigative
come quelle relative all'omicidio di Carmelo Novella, e ad una scissione interna al locale di Marina di
Gioiosa Jonica con la nomina a capo società di Rocco
Aquino, subentrato a Nicola Rocco Aquino.
L’arresto del boss di Marina di Gioiosa Rocco Aquino
|
GRATTERI
IL PARTICOLARE
|
»La ’ndrangheta
non è invincibile»
Il capo che era diventato un fantasma
REGGIO CALABRIA - «E'
stata una cattura importante
quella di Rocco Aquino: sia
perchè si tratta del capo
dell’omonima cosca, sia perchè, nonostante le difficoltà,
abbiamo dimostrato che la 'ndrangheta non è invincibile.
eliminando qualsiasi forma di
mitizzazione del personaggio». Lo ha detto il procuratore aggiunto della Direzione
distrettuale antimafia di Reggio Calabria Nicola Gratteri
che, con il sostituto Maria Luisa Miranda, ha coordinato le
operazioni della cattura
dell’uomo ricercato dallo
scorso anno. Rocco Aquino,
infatti, si era resto irreperibile
dopo essere sfuggito all’operazione «Crimine» che ha
portato all’arresto di oltre trecento persone in tutta Italia.
L’arresto di Rocco Aquino si
aggiunge al lungo elenco di
latitanti che, anche grazie
all’intuito investigatori del
procuratore aggiunto Nicola
Gratteri, le forze dell’ordine
reggina sono riuscite ad assicurare alla giustizia.
Nei mesi scorsi era sfuggito a un blitz nonostante le intercettazioni
di GIOVANNI VERDUCI
L’Aggiunto
Nicola
Gratteri
REGGIO CALABRIA - Rocco
Aquino era diventato un fantasma. C’era già chi era pronto a vaticinare per lui una lunga latitanza. La sua fuga era diventata una
sorta di romanzo. Nonostante la
stazza, il boss di Marina di Gioiosa
Jonica era scappato alle manette
in diverse occasioni. L’ultima solo
un paio di mesi addietro, quando
in pochi secondi riuscì a sparire
da casa: l’elegante villetta di contrada Porticato, quando già i carabinieri del Nucleo investigativo
del Gruppo Locri, diretti dal colonnello Giuseppe De Liso e coordinati dal procuratore aggiunto
Nicola Gratteri, erano convinti di
averlo catturato.
I militari che lo stavano cercando da luglio 2010, dal giorno in
cui scattò dell’operazione “Crimine”: il blitz antimafia che ha disgregato gli assetti criminali della ‘ndrangheta reggina, erano sicuri che il loro obiettivo fosse in
casa, lo avevano “sentito” grazie
alle tecnologie messe in campo
per arrivare alla sua cattura. Rocco Aquino, però, quando i carabinieri “bussarono”al portone di casa sparì nel nulla e a nulla valsero
le attività di ricerca che i carabinieri effettuarono all’interno
dell’abitazione di contrada Porticato.
Ieri ha tutto questo è stato data
una spiegazione. Rocco Aquino,
che dentro casa si era fatto costruire un paio di bunker sotterranei, aveva alzato l’ingegno e si
era fatto costruire un nascondiglio nel sottotetto della mansarda
di casa. E dentro quel riparo si era
nascosto per sfuggire all’arresto.
Mentre i carabinieri riducevano a groviera gli scantinati della
villetta di Marina di Gioiosa Jonica, quindi, il boss in fuga se la rideva nascondendosi a quasi dieci
metri d’altezza.
Lo scorso anno, poi, i carabinieri erano ritornati in contrada
“Porticato” e avevano scoperto e
sequestrato una serie di bunker
realizzati sotto la casa di Giuseppe Aquino, il fratello di Rocco tuttora latitante. Covi senza molti
comfort ma piccole “panic room”,
dove nascondersi e sfuggire ai
controlli degli investigatori che
stavano dando la caccia ai fratelli
Aquino.
Con l’arrivo dei fondi per la realizzazione della variante alla statale 106 nessuno vuol essere tagliato fuori
Gli appalti fanno gola e creano divisioni nella cosca
REGGIO CALABRIA - Gli appalti fanno gola e, come spesso accade, per i soldi ci si può anche dividere. Così è stato
a Marina di Gioiosa Jonica con l’arrivo
dei fondi per la realizzazione della variante alla Strada statale 106.
Su questo affare gli Aquino si tuffarono a capo fitto, ma una parte della cosca ne rimase tagliata fuori, finendo
per produrre una scissione dentro il
gruppo e per ripercuotersi sulla gestione del voto e sulle strategie elettorali nelle comunali del 2008. Anche
questo processo è stato fotografato dai
carabinieri del comando provinciale
di Reggio Calabria nell’informativa
“Campo base”.
«Pare opportuno – si legge nell’informativa scritta dai carabinieri della
compagnia di Roccella Jonica - voler
riferire quanto verificatosi in seno alla cosca Aquino proprio in occasione
delle elezioni amministrative in questione, relativamente ad una scissione
Una informativa dei carabinieri reggini
“fotografa” tutti i movimenti per l’affare
interna alla stessa famiglia, che ha visto lo schierarsi di alcuni componenti
nella lista contrassegnata dal numero
2 ritenuta di “riferimento” dell’opposta famiglia dei Mazzaferro. In particolare da notizie qualificate, apprese
sia prima che ad elezioni concluse,
all’interno della citata cosca mafiosa si
è creata una frattura: da un lato, i fratelli Giuseppe e Francesco Aquino, appoggiati dal nipote Giovanni Faranna
(figlio di Immacolata Aquino, sorella
del boss Salvatore classe 1941) e
dall’altra, i restanti componenti della
famiglia». «La spaccatura – spiegano
ancora gli investigatori dell’Arma - si
sarebbe creata a causa del fatto che i
primi (dissidenti), di cui farebbe parte
anche l’assessore Marrapodi, per vole-
re dei secondi, ossia del nucleo storico
più nutrito della famiglia Aquino, sarebbero stati estromessi dall’affare derivante dalla costruzione della variante esterna (nuova Strada statale 106)
al centro abitato di Marina Gioiosa Jonica, nonché dal giro dei ricevimenti
nuziali. Infatti, come sopra accennato, il Marrapodi Francesco, se pur imparentato per il tramite del fratello
Antonio, con la famiglia Aquino, si è
schierato con la lista di Femia Rocco,
sicuramente più vicina alla famiglia
Mazzaferro.A seguito diciò,i “Mazzaferro”, tradizionalmente avversi agli
“Aquino”, avrebberogoduto, oltreche
dell’appoggio dei propri familiari o comunque persone tradizionalmente ad
essi vicini, anche del nutrito numero
di consensi del gruppo dei cosiddetti
“Aquino dissidenti”, sostenendo assieme la lista capeggiata dall’attuale
sindaco». La rottura era stata consumatainnomedel diodenaroelaprima
occasione buona per tirare le somme
era la tornata elettorale dell’aprile del
2008.
«La candidatura del Marrapodi –
spiegano i carabinieri - ha significato
per la lista dell’attuale sindaco Femia
Rocco poter contare su ulteriori voti
avuti verosimilmente sia dalla famiglia di Faranna Giovanni che dalla famiglia di Aquino Teresa, sorella del
boss Aquino Salvatore classe 1941,
nonché madre di Femia Rossella, a sua
volta cognata del candidato Marrapodi. Il Marrapodi Francesco, infatti, è
stato eletto con 126 voti di preferenza e
gli è stata assegnata la delega più importante in seno all’amministrazione
locale, di Assessore ai Lavori Pubblici,
urbanistica e arredo urbano».
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8 Primo piano
Processo “Meta”, il colonnello del Ros parla
dei rapporti del Comune con le cosche
Lotta alle ’ndrine
«Reggio gestita da una lobby»
Politica, voti, clan, imprenditoria e forze dell’ordine. Giardina racconta gli intrecci
di CLAUDIO CORDOVA
REGGIO CALABRIA - “Una lobby politico-imprenditoriale-‘ndranghetistica gestisce gli appalti e la vita sociale di Reggio Calabria”. Il Colonnello
Valerio Giardina usa un’espressione
durissima ma tutto sommato “fredda”, da ufficiale dei Carabinieri. In
realtà dal racconto del graduato,
nell’ambito del processo “Meta”,
emerge uno spaccato agghiacciante
del modo in cui, negli anni passati, sarebbe stata gestita la Cosa Pubblica in
città. Nel racconto di Giardina, chiamato a deporre dal pm Giuseppe Lombardo, c’è spazio anche per una lunga
serie di episodi a dir poco sospetti, tra
presunti “amici” dei clan, politici, tecnici comunali e membri delle forze
dell’ordine.
I POLITICI
Molte delle storie narrate da Giardina riguardano infatti i due ex consiglieri comunali Manlio Flesca e Michele Marcianò, entrambi in contatto
con gli esponenti della famiglia Barbieri, che tra il 2006 e il 2007 avrebbero rivestito un ruolo ben più grande
rispetto a quello di classici imprenditori mafiosi: “Domenico Barbieri è la
cerniera tra politica, istituzioni e
‘ndrangheta” ha detto Giardina. Alle
elezioni comunali del 2007, che videro la schiacciante vittoria di Giuseppe
Scopelliti, oggi Presidente della
Giunta Regionale, i Barbieri sarebbero attivissimi nel procacciare voti, in
cambio di favori. Ampiamente documentati i rapporti tra Flesca e Vincenzo Barbieri, l’uomo che avrebbe dirottato circa duecento preferenze nei
confronti del candidato, fedelissimo
di Scopelliti, in cambio dell’assunzione della moglie Vincenza Musarella
alla Reges. Una vicenda che si incastra nelle elezioni del 2007, in cui Scopelliti e la sua coalizione trionfarono
con percentuali bulgare e per cui Flesca è stato rinviato a giudizio nell’ambito di un procedimento separato.
Tanti i contatti tra Flesca, candidato
nei ranghi di Alleanza Nazionale, e i
Barbieri, in cui il politico si accorderebbe affinché questi si comportassero come avevano fatto, alle precedenti
consultazioni, allorquando avrebbero procacciato circa centocinquanta
voti a Michele Marcianò, esponente di
Forza Italia. E sarebbe lo stesso Flesca
a chiedere a Barbieri che questi si interessasse per racimolare voti negli ambienti mafiosi, anche attraverso l’appoggio del boss di Sinopoli Cosimo Alvaro: “La politica è ben cosciente delle
grandi capacità di cui dispone l’imprenditoria mafiosa” ha commentato
Giardina.
I TECNICI COMUNALI
Tanti i nomi che ricorrono nel racconto con cui il Colonnello ha riper-
Il colonnello Valerio Giardina
corso anche una lunga serie di contatti con tecnici comunali, come l’ingegnere Domenico Basile, dirigente
dell’Ufficio Lavori Pubblici, che con
Mimmo Barbieri avrebbe vissuto
un’amicizia assai stretta, tanto da
consigliare e avvertire l’imprenditore
edile quando l’Ente avrebbe bandito
contratti interessanti dal punto di vista economico: “Il sistema degli appalti a Reggio Calabria – ha detto Giardi-
|
na –è frutto di un accordo tra le cosche
e i tecnici comunali”. Un rapporto
piuttosto stretto dato che Basile interpellerà lo stesso Barbieri, allorquando si metterà alla ricerca della propria
autovettura rubata. Dalle conversazioni degli indagati, peraltro, emergerebbe anche un radicato sistema di
concorsi truccati (anche prima
dell’era Scopelliti) in cui i codici a barre sistemati sugli elaborati dei candidati, sarebbero stati spostati su altre
buste che contenevano test perfettamente corretti e quindi in grado di assicurare il superamento dell’esame.
LE TALPE
Ma il racconto di Giardina si è soffermato anche su alcune fughe di notizie che avrebbero favorito Barbieri:
già il 28 gennaio 2007, infatti, di parla
di una maxioperazione con circa 300
arresti. Un numero che rimanda
all’operazione “Crimine”, scattata nel
luglio 2010, ma già in quel periodo in
fase d’indagine. Carabinieri e Finanzieri tra le presunte fonti confidenziali dell’uomo: e in questo contesto si inquadra la figura del Maresciallo Sberna, comandante a Catona, sottoufficiale che prometterebbe i suoi voti e
quelli dei suoi sottoposti a Manlio Fle-
LA CATTURA DI MAZZA
sca e che viene indicato come persona
in ottimi rapporti con Santo Le Pera,
condannato a 13 anni nel procedimento abbreviato “Meta”. Lo stesso
Sberna andrà a trovare Barbieri dopo
un interrogatorio fittizio dell’imprenditore (chiamato a testimoniare
con un pretesto proprio nel tentativo
di “stanare” la talpa). Un interrogatorio cui parteciperebbe anche un sedicente “Maggiore del Ros”, che gli inquirenti, anche ascoltando Sberna
(che in passato è stato indagato per rivelazione di segreto d’ufficio) non sono riusciti a individuare: “Al Ros, sotto di me, che ero Tenente Colonnello,
avevo solo Capitani in qualità di ufficiali, e nessun Maggiore. E, d’altra
parte, non risulta che da altre città siano stati inviati ufficiali per ascoltare
Barbieri” ha chiarito in aula Giardina. Vicende oscure che richiamano,
ancora una volta, lo zampino dei Servizi Segreti.
Scenari inquietanti, quelli narrati
da Giardina, che proseguirà la propria deposizione per oltre un mese. A
cominciare dalla prossima udienza,
quando i protagonisti saranno i rapporti di Giuseppe Scopelliti con i presunti affiliati alla ‘ndrangheta.
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Stanato il boss di Primavalle
di FRANCESCO
PAPASIDERO
ROMA - Il presunto boss
di Primavalle, Raffaele
Mazza, 46enne originario di Taurianova, popoloso centro della Piana
di Gioia Tauro, è finito in
manette dopo un blitz
della Squadra mobile di
Roma.
L'uomo era nascosto
in un villetta bunker a
Riano Flaminio, e ora
dovrà rispondere di tentato omicidio. Mazza viene ritenuto dagli inquirenti il capo dei calabresi a via Andersen, una
delle vie principali di
Primavalle, un noto
quartiere di Roma. Secondo gli investigatori,
fu lui a sparare a Mauro
Diofebbo, il 27enne
gambizzato proprio in
Il capo clan dei calabresi a Roma
si nascondeva in una villa-fortino
via Andersen il maggio
scorso, colpito con due
proiettili in mezzo alla
strada perché aveva
mancato di rispetto al
nipote del boss. Ma il
46enne originario di
Taurianova è molto di
più. Dai residenti è considerato il boss del quartiere, capo clan dei calabresi, e vanta un sinistro
curriculum criminale
che porta gli inquirenti
a ritenerlo a tutti gli effetti il boss di Primavalle, non solo per la sua disinvoltura nell'uso delle
armi. Mazza era nascosto in una villetta bunker con telecamere piaz-
Il Consiglio aveva votato la costituzione di parte civile contro la ’ndrangheta
zate ovunque all'esterno
e si trovava in compagnia dei fidati nipoti, denunciati per favoreggiamento. Il boss, che
era armato, ha cercato
di scappare attraverso
una finestra, ma lo
schieramento
degli
agenti lo ha fatto desistere. Dopo il blitz che ha
condotto
all’arresto
Mazza, gli investigatori
della Squadra Mobile
della Questura di Roma,
guidati da Vittorio Rizzi, hanno proseguito le
perquisizioni presso la
casa bunker di Riano.
Setacciando l’immobile
“palmo a palmo” sul tet-
to gli agenti hanno trovato occultate due pistole. Le due armi, rispettivamente calibro 6,35 e 9
x 21, sono state sottoposte a sequestro e saranno ora oggetto di rilievi
balistici per accertare
l’eventuale coinvolgimento in alcuni recenti
episodi che hanno fatto
registrare l’utilizzo di
armi da fuoco. Gli agenti erano convinti della
presenza delle armi anche per aver sorpreso
l’arrestato con una cinta
completa di fondina, ma
al momento dell’irruzione vuota. Si chiude il cerchio, quindi su un uomo
ritenuto esponente di
spicco della “mala” romana, ed in questo caso
di un boss proveniente
dalla Piana di Gioia Tauro.
Una missiva anonima lo invita a non occuparsi dei fatti di Reggio
Lettera di minacce di morte inviata
Intimidazione per il parlamentare
al Comune di Siderno per il sindaco del Partito Democratico Franco Laratta
di PINO ALBANESE
SIDERNO – Minacce di morte per il
sindaco di Siderno Riccardo Ritorto.
La lettera con le intimidazioni è stata
segnalata al primo cittadino dal segretario generale dell’Ente, Mario Ientile.
Riccardo Ritorto ha denunciato l’accaduto al comandante della locale stazione dei carabinieri Luigi Zeccardo. I militari hanno avviato le indagini per risalire agli autori. Da poco il sindaco e il
consiglio comunale ha deciso di costituirsi parte civile nei processi di
‘ndrangheta. Al primo cittadino sono
arrivati tanti attestati di solidarietà.
La giunta comunale “condanna con
assoluta fermezza il vile gesto perpetrato nei suoi confronti. Le liste “Per
Siderno io ci sto” e “Tempi Nuovi” censurano il gesto che “offende la città e
tutte le istituzioni democratiche”. Domenico Panetta, consigliere di minoranza, esprime sdegno “è un gesto vile
Il sindaco di Siderno Riccardo Ritorto
che offende la coscienza della comunità democratica sidernese”. Il consigliere di minoranza Antonio Sgambelluri e il movimento Siderno Libera
esprimono vicinanza al sindaco. Il presidente del consiglio Vincenzo Mollica
a nome di tutti i consiglieri manifesta
la piena solidarietà a Ritorto.
COSENZA - E' stata posta sotto sequestro dai Carabinieri di San Giovanni in Fiore, nel Cosentino, una
lettera indirizzata al deputato del
Pd Franco Laratta ed inviata al Comune di San Giovanni in Fiore.
Spesso al comune del centro silano
arrivano lettere per il deputato da
parte di cittadini ed elettori che
non conoscono il suo indirizzo privato.
La lettera, che è stata spedita nei
giorni scorsi dalla città di Lamezia
Terme, contiene una serie di minacce al deputato del Pd e fa riferimento alle denunce e alle interpellanze depositate alla Camera
dall’on. Laratta e riguardanti i fatti
di Reggio Calabria. Ne dà notizia
l'ufficio stampa del parlamentare
del Pd.
Laratta non ha voluto commentare l’episodio anche se ha detto di
sentirsi sereno. L’intimidazione
Franco Laratta
non riguarda quindi la politica cittadina, piuttosto quella regionale.
Continua però il pesante clima a
San Giovanni in Fiore dove anche il
primo cittadino, Antonio Barile, è
stato oggetto di diverse minacce
anche nei confronti della sua famiglia.
BRANCALEONE
A Brancaleone
revocati i lavori
a ditta in odor
di mafia
di AGOSTINO BELCASTRO
BRANCALEONE - Revocata dal Comune di Brancaleone l’aggiudicazione
definitiva dell’appalto ad
un’impresa di costruzioni di Reggio Calabria, la
“Caridi costruzioni” poiché “in odore di mafia”. E’
quanto ha stabilito il responsabile
dell’ufficio
tecnico comunale di
Brancaleone, Domenico
Vitale, il quale con propria determina, ha adottato il provvedimento restrittivo. La revoca in
questione riguarda la gara d’appalto dei lavori di
“Recupero e risanamento
urbano area ex campo nomadi in località pantano
Piccolo di Brancaleone” a
suo tempo esperita dalla
Sua (Stazione Unica Appaltante) della Provincia
di Reggio Calabria per
l’importo complessivo di
euro 276.094,46 oltre iva
di cui euro 272.269,10
per lavori al netto del ribasso d’asta del 30,766%
in quanto “la Stazione
Unica Appaltante, trasmetteva informativa antimafia – si legge nella determina del dirigente comunale– di cui all’art.10
del Dpr 252/98 a carattere interditivo emessa dalla Prefettura di Reggio
Calabria a carico della ditta”. E’ un “incidente di
percorso” che sicuramente dilaterà i tempi di
inizio dei lavori in un sito
bisognoso quanto mai di
essere urbanizzato. Il
progetto definitivo ed
esecutivo era stato redatto dall’ingegnere Vincenzo Freno di Brancaleone,
vincitore della gara di appalto a suo tempo espletata. Il contributo per la realizzazione dell’opera era
stato concesso dal Ministero dell’Interno con i
fondi per la realizzazione
di iniziative urgenti per il
potenziamento della sicurezza urbana e la tutela
dell’ordine pubblico. L’ex
accampamento nomadi
situato sul greto del torrente Pantano Piccolo era
stato fatto smantellare
dal Commissario Straordinario dell’epoca, dottoressa Francesca Crea, in
seguito all’assegnazione
alla comunità rom degli
alloggi popolari costruiti
dall’Aterp. La zona, situata nel cuore propulsivo del centro urbano, versava in uno stato di degrado indicibile sia dal
punto di vista sanitario
che ambientale. Di conseguenza è sorta la necessità di bonificare il sito con
la realizzazione di opere
strutturali allo scopo di
renderlo fruibile per fini
istituzionali che l’Amministrazione Comunale intenderà programmare.
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Primo piano 9
Sabato 11 febbraio 2012
BREVI
CATANZARO
A CATANZARO
A MAIDA
Ciliberto direttore scientifico Irccs a Napoli Case a luci rosse sulla costa, 2 denunce
Contrabbando di fumo, bulgari in manette
GENNARO Ciliberto, Ordinario di Biologia molecolare
all’Università Magna Graecia di Catanzaro, è stato nominato Direttore scientifico dell’Istituto di Ricovero e Cura a
carattere scientifico (Irccs) di diritto pubblico Istituto nazionale tumori Fondazione “G. Pascale” di Napoli.
I CARABINIERI di Maida hanno tratto in arresto due bulgari per contrabbando di sigarette. Si tratta di Yusein
Ahmedov di 35 anni e Atanas Merimanov di anni 38, entrambi residenti all’estero. I due sono stati fermati in una
via del centro cittadino.
ALCUNEcase a luci rosse sono state scoperte dagli agenti
della polizia nella zona di Catanzaro Lido, Roccelletta di
Borgia, Copanello e Stalettì. Due quarantenni sono stati
denunciati per sfruttamento della prostituzione. Negli
appartamenti sono state trovate 11 ragazze straniere.
Catanzaro. I giudici dell’Appello ricostruiscono i rapporti per l’affidamento del progetto
«Perché Loiero è colpevole»
Depositate le motivazioni della sentenza scaturita dal processo Why Not
di TERESA ALOI
CATANZARO - Incontri ripetuti anche in sede extraistituzionale, contatti diretti e, ancora, comprovati
rapporti di “stretta cooperazione”.
Sonomoltiper igiudicidellaCorte
d'appello gli argomenti «per smentire l'interpretazione giuridica del primo giudice e si tratta degli stessi argomenti in forza dei quali appare evidente la piena consapevolezza di
Loiero Agazio e di Durante Nicola di
contribuire in maniera determinante all'affidamento del progetto “Censimento del patrimonio immobiliare” direttamente al Consorzio Brutium». Lo scrivono a chiare lettere i
magistrati nelle motivazioni della
sentenza con la quale il 27 gennaio
hanno condannato l'ex presidente
della Regione Calabria, Agazio Loiero, ed il suo capo di Gabinetto, Nicola
Durante, ad un anno di reclusione
ciascuno - oltre all'interdizione temporanea dai pubblici uffici, il tutto
con concessione della sospensione
condizionale della pena e della non
menzione nel casellario giudiziale per il reato di abuso d'ufficio, contestatogli nell'ambito del processo
“Why not” su presunti illeciti nella
gestione dei fondi pubblici destinati
allo sviluppo della Calabria. Entrambi, il 2 marzo 2010 avevano incassato
una sentenza di assoluzione al termine delgiudizio abbreviato.Decisione
impugnata dalla Procura generale
che attraverso i sostituti procuratori
Eugenio Facciola e Massimo Lia avevano sollecitato la condanna relativamente al solo capo d'imputazione
attinente al progetto regionale finalizzato al censimento del patrimonio
immobiliare.
Un appello, quello della Procura lo ricorda la Corte nelle 50 pagine di
motivazione - incentrato non «tanto
sulla rappresentazione dei motivi
per cui l'affidamento oggetto di questo capo sia avvenuto contra legem,
Agazio Loiero
Giuseppe Chiaravalloti
bensì sulla valutazione in forza della
quale il gup haritenuto estranei a tale condotta illecita gli imputati Loiero e Durante». Ed infatti per l'operazione «affidata direttamente al consorzio “Brutium” in consonanza alla
delibera n.107 del 13 febbraio 2006,
il giudice ha rinviato a giudizio l'assessore proponente Morrone Giuseppe Ennio, la dirigente del Dipartimento autrice del decreto di affidamento Marasco Rosalia nonchè
Franzè Giancarlo ed ha condannato
Lillo Giuseppe Antonio Maria, che
ha firmato l'accordo in rappresentanza del consorzio» poiché «aveva
ravvisato l'illiceità» mentre aveva assolto «il presidente della Giunta e il
segretario generale poichè, sebbene
risultassero pacificamente avvenuti
diversi incontri tra costoro e taluni
rappresentanti del consorzio “Brutium” e della società “Why Not”,
aventi ad oggetto la fattibilità di un
simile affidamento, il risultato dei
colloqui intercorsi era sfociato in un
mero atto di indirizzo, come tale penalmente irrilevante». Eppure secondo l'accusa - ricordano ancora i
giudici-«gli incontriavvenutiacasa
del presidente della Regione e gli accordi che con il placet del Durante furono trasfusi nella delibera di indirizzo altro non sono che antecedenti
causali necessari del decreto di affidamento». Ne consegue che «gli ispiratori di detta delibera si pongono,
sia sul piano oggettivo che su quello
soggettivo, in veste di coautori dell'abuso, al pari del Morrone, della Marasco e del Franzè (rinviati a giudizio) e del Lillo (condannato)».
Una interpretazione condivisa
dall'Appello su più elementi « tra cui
«i ripetuti incontri, anche in sedi
extra-istituzionali, con soggetti che,
stando al loro dire, non avrebbero
avuto titolo per interloquire (e allora,
in sintesi, perchè intrattenersi)» o,
ancora, «il contenuto invero fin troppo dettagliato della delibera di Giunta» e ancora, i numerosi «paletti imposti dal Durante alla delibera di
Giunta».
Senza dimenticare la «pervicacia
con cui la Merante, anche approfittandodelrapporto amicaleconilfratello del presidente della Giunta regionale, ha cercato di instaurare un
contatto diretto con il massimo espo-
nente dell'Ente e, poi avendone percepito il potere di influenza su questo, si è spesa per ottenere il consenso
del fidato consigliere giuridico Durante su una soluzione condivisa».
Rispetto poi alla esigenza di salvaguardare i livelli occupazionali - tema ribadito dalla difesa - è evidente
per la Corte che, se l'ente avesse voluto esternalizzare il servizio, avrebbe
potuto ottenere lo scopo adottando
procedure legali anzichè protrarre
un affidamento illegittimo «e, così,
di fatto continuare a favorire i soliti
raccomandati e foraggiare le solite
clientele ».
La posizione di Giuseppe Chiaravalloti
L'assoluzione in primo grado dell'ex presidente della Regione, Giuseppe Chiaravalloti, fu una «forzatura e la ricostruzione fatta non convince» oltre al fatto che
«risulta frutto di un'incompleta panoramica
degli elementi offerti
dall'attività investigativa». Nei confronti dell'ex governatore, imputato del reato di abuso d'ufficio, la Corte
d'appello ha emesso
una sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. La
ricostruzione del giudice di primo
grado «non convince - sostengono i
giudici - perchè è frutto di una forzatura nella parte in cui si attribuire a
Chiaravalloti un atteggiamento di
colposa leggerezza laddove neanche
lo stesso imputato era giunto a tanto». Nelle motivazioni si ricorda inoltre che «in una delle agende del Saladino sono stati rinvenuti numeri telefonici, fissi e mobili, istituzionali e
privati, personali e intestati a persone dell'entourage familiare e lavorativo dell'uomo politico, disponibilità
denotante una conoscenza tutt'altro
che superficiale». «Dalle captazioni
alle quali - proseguono i giudici - è
Secondo i giudici andava compresa la tredicesima. L’ente farà appello
L’esodo e le indennità da rivedere
condanne a raffica per la Regione
di FRANCESCO CIAMPA
CATANZARO - Sulla carta è un rimedio
per consentire alla Regione di contenere le spese e di riorganizzarsi nel segno
dell'efficienza. E però, l'esodo anticipato dei dipendenti, quello del 2005, sembra un grande pasticcio dal quale potrebbero derivare costi milionari per la
pubblica amministrazione.
Una sessantina i ricorsi accolti dal
giudice del lavoro, che ha condannato la
Regione a rivedere le indennità corrisposte come incentivo all'esodo. In pratica, nella stragrande maggioranza dei
casi finora decisi dal tribunale di Catanzaro, il giudice dice che la Regione ha
fatto male ad escludere la tredicesima
dal calcolo dell'indennità.
La Regione, dal canto suo, farà appello: è doveroso - spiegano dall'ente - fare
di tutto per evitare un ulteriore esborso
di danaro pubblico che potrebbe allertare la magistratura contabile. In secondo
luogo - dicono sempre fonti del “palazzo”- si va avanti forti anche delle sentenze, cinque-sei, che danno torto ad alcuni
ex impiegati, anche loro pronti, nelle intenzioni e in alcuni casi già nei fatti, a rivolersi al giudice d'appello.
La vicenda prende le mosse da alcune
norme della legge regionale 8 del 2 marzo 2005 che hanno consentito ai dipendenti assunti a tempo indeterminato e
in servizio per almeno due anni di chiedere l'esodo anticipato e di ottenere co-
me incentivo un'indennità supplementare. L'indennità - in base a questa legge
- è pari a otto mensilità della retribuzione lorda spettante alla data di fine rapporto, per ogni anno derivante dalla differenza fra 65 anni e l'età anagrafica del
lavoratore, calcolati per un massimo di
sei anni.
Sempre la legge 8 autorizza la giunta
regionale a stilare le direttive per l'applicazione delle norme. E a maggio del
2005 la giunta approva la delibera.
Dunque si passa alla firma dei contratti
che aprono le porte all'esodo. E poco dopo scatta la diatriba: i lavoratori sostengono che i conti non tornano e chiedono
alla Regione di applicare la delibera in
modo da includere la tredicesima nel
calcolo.
In un primo momento l'Amministrazione regionale dice che costituirà un
gruppo di lavoro “che avrà il compito di
provvedere al ricalcolo”. Ma niente di
fatto. E in tutta risposta gli ex dipendenti insistono a colpi di diffide stragiudiziali. A questo punto il Consiglio regionale approva la legge 15 del 2008: l'articolo 44, poi bocciato dalla Corte costituzionale, chiariva il senso delle disposizioni del 2005 stabilendo che per il calcolo non si doveva considerare la tredicesima. Da qui la pioggia di ricorsi. Un giudice del lavoro del tribunale di Catanzaro sottopone la questione alla Corte costituzionale, che boccia l'articolo 44.
La Consulta dichiara illegittima la
norma perchédi fattoessa determinava
in modo retroattivo, dunque rispetto a
situazioni del passato, il senso da dare
alle disposizioni del 2005. Questa norma, in pratica, avrebbe tradito l'affidamento che i dipendenti avevano riposto
nella certezza di poter contare anche sul
calcolo della tredicesima.
Due gli orientamenti finora emersi al
tribunale di Catanzaro. Due giudici del
lavoro - gli stessi che hanno danno torto
alla Regione - si basano sulle conclusioni della Consulta: in più si sottolinea che
in base alla delibera del 2005 l'indennità
si compone degli elementi aventi natura
di compenso fisso, costante e generale e
dunque deve comprendere anche la tredicesima.
Un terzo giudice, invece, ha rigettato
diversi ricorsi basandosi sui contratti
che hanno determinato l'importo accettato senza alcuna riserva dagli ex impiegati. Su questo aspetto anche la Regione
dice la sua e sostiene che sia il regolamento contenuto in delibera sia gli schemi contabili allegati al contratto non
fanno riferimento alla tredicesima.
Ma tant'è. La battaglia continua. Intanto altri sperano nell'esodo 2012. Stavolta la legge dice chiaro che il calcolo
della tredicesima non è consentito. Resta, però, il nodo della riforma previdenziale targata Fornero.
I tecnici della Regione sarebbero al lavoro per capire come salvare il salvabile.
stata soggetta Nadia Di Donna, una
delle collaboratrici di Saladino nella
fase di selezione delle domande e di
avviamento al lavoro, la Di Donna fa
riferimento a dipendenti della Why
Not raccomandati dal Chiaravalloti
nonchè ad accordi intervenuti tra
questi e Saladino per l'invio dei curricula dei lavoratori da assumere
L’esistenza dell’associazione per
delinquere
Per i giudici dell’Appello «è erroneo
sostenere che non sia configurabile
l'accusa diassociazione adelinquere
mossa nell'ambito dell'inchiesta».
Nell’affrontare il tema, i giudici sostengono che «l’argomentazione del
giudice di primo grado è stata ritenutaerronea dallaCorte diCassazione adita dalla Procura generale controilproscioglimento dalreatoassociativo di alcuni coimputati che non
avevano chiesto di essere ammessi al giudizio abbreviato poichè il
ragionamento con cui
la sentenza nega l'esistenza stessa dell'associazione non regge dal
punto di vista logico».
«Più in particolare - aggiungono i giudici viene smentita la tesi, sostenuta dal
gup, secondo cui un'associazione
per delinquere costituita per realizzare reati contro la pubblica amministrazione è configurabile solo se facciano parte funzionari pubblici o, in
genere, soggetti che appartengano
all'Amministrazione». Nell'affrontare il ruolo di Antonio Saladino - nel
processo di secondo grado l’imprenditore lametino è stato condannato a
3 anni e 10 mesi di reclusione (2 anni
la pena in primo grado) i giudici della
Corte d'appello di Catanzaro sostengono che «il giudice di primo grado
nonha disconosciutoil ruoloverticistico del Saladino, nè i suoi legami
con la politica e le alte sfere della burocrazia regionale».
L’assoluzione
di Chiaravalloti
«non convince»
Tribunale di Castrovillari
Proc. Esec. n. 49/07 R.G.E. - G.E. Dr.ssa Francesca Sicilia
Professionista Delegato e Custode Giudiziario Dott. Vincenzo Cerbini
Piena proprietà dei seguenti beni entrambi siti nel Comune di
Tarsia (CS):
- LOTTO n. 1 (IMMOBILE A): appezzamento di terreno di qualità uliveto, esteso ha 0.97.00, sito sulla strada Comunale
Matrangolo-Fontanelle a circa 1 km dalla strada delle Terme di
Spezzano Albanese ex SS 283. Il fondo non è facilmente accessibile, di configurazione geometrica irregolare, sorge su un pendio con accentuata pendenza verso sud-est ed allo stato attuale
è incolto. Secondo il PRG ricade in zona agricola - E2, con
destinazione d’uso agricola a valenza produttiva.
- LOTTO n. 2 (IMMOBILE B): appezzamento di terreno di qualità seminativo, esteso ha 3.26.30, geometricamente di forma
parallelepipeda con un lato minore parallelo alla strada delle
Terme di Spezzano Albanese ex SS 283 alla quale è adiacente.
Il fondo è di configurazione geometrica regolare, facilmente
accessibile, sorge su un pianoro con andamento subpianeggiante. Secondo il PRG ricade in zona agricola - E2, con destinazione d’uso agricola a valenza produttiva. Tuttavia si fa presente che
la dimensione dell’immobile in questione supera l’unità minima
aziendale (UMA) richiesta dallo strumento urbanistico predetto,
al punto che sullo stesso esiste una potenzialità edificatoria,
secondo determinati indici per i quali si rinvia alla perizia.
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Delegato e Custode Dott. Vincenzo Cerbini Tel. 0981 483226 Fax 0981 983113, siti www.asteannunci.it e www.tribunaledicastrovillari.it
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Calabria 13
24 ore
Sabato 11 febbraio 2012
IN VENA
L’impegno di tutti
a trarre dal male il bene
segue dalla prima pagina
avrei mai potuto neanche lontanamente immaginare che sarei
stato costretto a farlo su un fatto
che riguarda la mia persona e soprattutto il mio ministero. Ho
usato volutamente il termine “costretto”, primo perché ne avrei
fatto volentieri a meno, poi perché in casi simili, come è ovvio,
non dev'essere l'interessato a
scrivere. Chiedo venia ai lettori
anche per questo. In questi giorni, mi vado sempre più convincendo che i potenti mezzi di comunicazione di cui tutti possiamo fruire spesso non aiutano a
leggere correttamente i fatti che
accadono nella nostra quotidianità.
I motivi sono molteplici, fra
questi, quello che più fa specie, è
quel particolare “filtro culturale
e ideologico” attraverso il quale
vengono interpretati. Nel mio caso, ad esempio, vista l'enfasi mediatica con la quale è stata divulgata la notizia, ho subito chiarito
di «non essere un eroe e che la Calabria non ha bisogno di eroi, ma
di persone che si sforzano di fare
quotidianamente il loro dovere.
Di non essere neanche un prete
“anti” qualcosa o qualcuno». In
Italia siamo arrivati al punto in
cui, paradossalmente, chi fa il
proprio dovere viene ritenuto un
eroe nazionale che dev'essere addirittura premiato. Inoltre, ho
evidenziato di essere semplicemente un prete e che il ministero
sacerdotale - e non solo quello
a recente approvazione del piano-casa da
parte della Giunta regionale rappresenta un rischio concreto di nuove colate di cemento, che si abbatterebbero su un territorio
già segnato da abusivismo
selvaggio, degrado, dissesti diffusi; ormai è sotto gli
occhi di tutti come qualsiasi
accidente meteoclimatico (e
purtroppo nel prossimo futuro se ne aspettano di sempre più frequenti) si trasforma in un disastro ambientale e sociale.
Tutto ciò avviene in una
regione che si avvia verso la
“favolosa” quota del miliardo di metri cubi costruiti per
poco più di 2 milioni di abitanti, immigrati compresi:
ciascun “abitante” -calabrese o meno- dovrebbe teoricamente possedere un grande
appartamento di almeno
500 metri cubi; ma in realtà
la gran parte del costruito
resta ormai vuota, inabitata
e invenduta, appannaggio
di una speculazione in crisi
nelle proprie dinamiche finanziarie, che alimenta così
la crisi economica globale
già in atto. Anche un comparto un tempo sicuro come
quello dell’edilizia turistica
costiera registra ormai da
anni il permanere di una
crescente e ormai preoccupante quota di vuoto e inutilizzato.
Oggi dovrebbe essere
chiaro anche ai bambini che
ulteriori costruzioni e consumo di suolo significano
aggravamento del degrado
sociale e vantaggi solo per
mafia e ’ndrangheta, che
utilizzano il settore per riciclare capitale illegale e accrescere il controllo dell’economia reale e legale.
Peraltro, come dimostra
ciò che sta emergendo in di-
L
giacché il battesimo ci rende tutti
oltre che sacerdoti anche re e profeti - prevede l'esercizio della profezia attraverso i diversi volti della stessa: annunciare, denunciare, rinunciare, oltre che la profezia come comunione e come speranza. La denuncia per noi sacerdoti è sempre tesa a tener in debita considerazione la necessaria
distinzione tra l'errore e l'errante. Siamo chiamati a denunciare
il male e non a condannare l'uomo che lo compie.
Il nostro è un difficile compito
educativo teso al riconoscimento
del male che l'uomo sperimenta
fuori da sé, nel cuore del fratello,
come specchio di quello che
ognuno di noi si porta dentro. Solo così evitiamo di cadere nella
trappola diabolica di ritenere il
male che vediamo fuori un obbrobrio, quello che sperimentiamo
dentro, conforme al nostro essere a tal punto da ripetere a mo' di
autogiustificazione: «In fondo
siamo fatti così». Il nostro, inoltre, è un preciso mandato ad annunciare la misericordia di Dio
nei confronti di tutti gli uomini
anche nei confronti di coloro, e
sono tanti, che si ritengono giusti. Anche quando denunciamo,
quindi, lo facciamo per offrire
una occasione di conversione.
Ma questo, purtroppo, a volte viene travisato e letto come una sorta di sfida spesso con la complicità di alcuni giornali che farebbero un grande servizio alla pubblica informazione se si dedicassero
solo, ed esclusivamente, alle noti-
zie relative al traffico ed al clima... Anche per il caso che mi riguarda sono state dette e scritte
diverse notizie non corrette. Innanzitutto, circa il presunto colpevole che si sarebbe costituito
alle forze dell'ordine dichiarando di aver agito per una ritorsione nei miei confronti per non
averlo aiutato a trovare un posto
di lavoro. A parte ciò che ho già
dichiarato - e che come al solito è
stato ripreso solo in parte - che
cioè gli inquirenti non hanno ancora comunicato nulla di ufficia-
le e che stanno ancora indagando, non ci vuole nessuna capacità
investigativa alla “Don Matteo”
per comprendere che questo tipo
di ritorsioni è avvenuto in due
momenti ben precisi: di pomeriggio e in pubblica piazza l'auto; ancora di pomeriggio la testa di
maiale mozzata con un pezzo di
stoffa attorno alla bocca, che ha
un significato preciso comprensibile ripeto, a tutti, anche ai novelli Sherlock Holmes: «Devi tacere».
I livelli “alti” delle ’ndrine non
avrebbero mai fatto un errore così madornale quello, cioè, di attirare l'attenzione della stampa
nazionale e delle forze dell'ordine
che, tra l'altro, stanno facendo
un ottimo lavoro che sta portando i suoi frutti. Allora, evidentemente, si tratta di “dilettanti allo
sbaraglio” (in tutti i sensi) da poco coalizzati per raggiungere
scopi delittuosi di “bassa manovalanza”.
Ma quello che non si riesce a
comprendere, e che anche se dovesse risultare vera la confessione del presunto colpevole con le
sue dichiarazioni “spontanee”, è
che non è vero che la mafia non
c'entra. C'entra eccome! Anche
quest'ultimo (ritorsione-avvertimento) è un gesto di prepotenza
mafiosa, dimostrazione di quella
“mentalità mafiosa” molto più
diffusa di quanto si possa pensare non solo in Calabria, addirittura più pericolosa della ’ndrangheta stessa. Fatta di logica dell'appartenenza, di collusione, di
zona grigia, di raccomandazioni
da chiedere al potente di turno, di
mancanza di trasparenza, di rifiuto della legalità, di scarso interesse per il bene comune, di sfruttamento delle risorse ambientali
secondo il proprio uso e consumo, di riciclaggio di denaro, di
omertà, di omissioni, di prestanomi e... chi più ne ha più ne aggiunga... Venerdì 10 febbraio ho
incontrato, insieme al sindaco di
Cetraro, i ragazzi del liceo di Belvedere che mi hanno invitato a
parlare di legalità. In marzo incontrerò gli universitari della
Cattolica di Milano e i ragazzi delle scuole medie e superiori di Pisa. Dio sa trarre anche dal male
che noi compiamo il bene. Impegniamoci a farlo anche noi semplicemente, per dirla alla Baden
Powell, «per lasciare il mondo
meglio di come lo abbiamo trovato».
Ennio Stamile
Calabria, è sempre emergenza territorio
urge un piano di riassetto idrogeologico
GIUSEPPE FERA e ALBERTO ZIPARO
verse aree del Paese -dalla
Liguria all’Alessandrino,
da Milano alla Romagna- da
tempo la criminalità usa edilizia e lavori pubblici per penetrare e controllare territori anche lontani da quelli
di origine.
Ormai da tempo abbiamo
evidenziato come la Calabria, come del resto anche
altre regioni del paese, abbia
l’assoluta necessità di dotarsi di un Piano di riassetto
idrogeologico e di difesa del
suolo, e di un processo di tutela e valorizzazione delle risorse paesaggistiche per
promuovere un nuovo modello di sviluppo ecocompatibile e durevole.
In tale direzione si era
mossa con coerenza la precedente amministrazione
regionale, e in particolare
l’assessore Michelangelo
Tripodi, che in pochi anni
hanno realizzato una serie
di strumenti e norme ancora oggi operanti nel contesto regionale, per garantire
un minimo di difesa contro
lo sfascio e il degrado: dagli
aggiornamenti alla Legge
Urbanistica, alle Linee guida per la Pianificazione pienamente cogenti, alla ratifica -previo protocollo con il
ministero dei Beni Culturali- della vincolistica sui beni
paesaggistici nazionali; fino alla promozione della
nuova strumentazione ai diversi livelli: dai Piani provinciali oggi adottati o in ul-
La frana a Cavallerizzo, nel Cosentino
timazione, alla nuova pianificazione strutturale comunale in itinere.
Quell’esperienza era stata
conclusa con l’adozione di
Giunta dello strumento
principale di riferimento
per la pianificazione dello
spazio regionale: il Quadro
territoriale regionale a valenza paesaggistica. Purtroppo il primo atto della
nuova Giunta Scopelliti è
stato quello di congelare
quello strumento e bloccarne l’approvazione definitiva
“per adeguarlo alle linee
programmatiche della nuova amministrazione”. Obiettivo politicamente legittimo
se non fosse che per l’adeguamento si è finora consumato lo stesso tempo impie-
gato per l’elaborazione e da
allora sono passati quasi
due anni di assordante silenzio, interrotto talvolta da
qualche chiacchiera inconcludente.
Negli ultimi giorni, l’attuale assessore regionale ha
dichiarato di volere procedere all’approvazione del
Qtr, apportando le opportune variazioni allo strumento già redatto. Tali intenzioni sono da salutare positivamente, purché non si perda
ancora tempo. Perché, dopo
due anni di immobilismo,
per passare dalle declaratorie ai fatti, è necessario tener conto che più si introducono modifiche nello strumento già redatto, più se ne
allontana l’approvazione.
Non vorremmo che per inseguire il traguardo del “piano perfetto” si facesse ancora trascorrere del tempo
senza risultati. Memori della battuta di un noto grande
politico italiano che “a pensar male si fa peccato ma
quasi sempre ci si azzecca”,
non vorremmo che tutta
questa ricerca di perfezione
e miglioramento fosse solo
una scusa per perdere tempo.
Nessuno può pretendere
di considerare il proprio lavoro perfetto e immodificabile, ma certamente l’elaborato del Qtr consegnato nel
marzo 2010 è stato realizzato con un grande coscienza
professionale e grande attenzione mirata a evitare
quegli errori e contraddizioni che avevano compromesso, anche negli anni recenti
– progetti disciplinari pure
significativi.
L’innovazione più significativa del Qtr è stata quella
di volere trovare una forte
integrazione fra pianificazione territoriale e paesaggistica. Ora, se si vuole operare delle modifiche, bisogna tener conto -come faceva il Qtr a valenza paesaggistica oggi sospeso- della comune matrice ecologica delle due dimensioni -territoriale e paesaggistica- dello
strumento; ovvero, bisogna
pur sempre considerare che
territorio e paesaggio appartengono comunque a
due ambiti legislativi e normativi diversi e distinti che
hanno origine nell’art. 9
della Costituzione italiana,
che inserisce il paesaggio
tra i valori fondativi dei
principi dell’assetto sociale
nazionale affidando la sua
tutela direttamente allo Stato; mentre è noto come il governo del territorio rappresenti una materia in toto trasferita alle regioni. Mettere
assieme sullo stesso piano le
due dimensioni rischia di
creare una confusione fra la
dimensione normativa e
strutturale dell’assetto paesaggistico (con norme e vincoli di legge) e quella strategica
dell’organizzazione
territoriale, al quale concorrono a diversi livelli e per
proprie competenze Regione, Provincie e Comuni;
mentre le titolarità delle
azioni paesaggistiche sono
statali e solo “delegate” alle
Regioni, le quali non possono a loro volta sub-delegare.
Nell’esperienza recente,
allorché si è registrata sovrapposizione totale ai limiti del disinvolto tra le due dimensioni, si è finito per vanificare tutto; compromettendo l’impianto progettuale e soprattutto normativo
degli strumenti interessati
(vedi annullamento da parte
della Consulta dapprima
della sezione paesaggistica
del Pit Toscano e quindi addirittura del Titolo paesaggistico della relativa legge
regionale 1/05).
Bisogna avere ben chiare
e tenere nel dovuto conto tali
problematiche. A meno di
non volere costruire intenzionalmente uno strumento
inefficace e inoperante per
continuare a lasciare l’ambiente regionale in mano
agli interessi speculativi di
tutti i tipi.
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La Tribuna 19
Sabato 11 febbraio 2012
SPECIALE
Sabato 11 febbraio 2012
Adesioni alla dedica dell’8 marzo a Pesce, Cacciola e Garofalo
Stessa scelta, tre destini diversi
Tre foto
e una mimosa
ADESIONI, commenti, messaggi, lettere sulla proposta contenuta in un editoriale del direttore del Quotidiano, Matteo Cosenza, di dedicare il prossimo 8
Marzo a tre donne, Giuseppina Pesce,
Maria Concetta Cacciola e Lea Garofalo,
accomunate dalla decisione di ribellarsi
a contesti criminali, mettendosi anche
contro –e accusando –gli affetti più cari e
collaborando con la giustizia. Tre scelte
fatte probabilmente tutte per dare un futuro migliore ai figli, sebbene Lea sia stata uccisa e Maria Concetta si sia tolta la
vita, non reggendo alle pressioni dei familiari. La segreteria regionale della
Cgil della Calabria ha aderito annunciando una serie di iniziative. In questa
pagina pubblichiamo i primi contributi. Giuseppina Pesce
Narrazione normale
e resistenza civile
segue dalla prima pagina
partire e ne hai voglia di dividere le cose buone da
quelle cattive quando leggi di una storiaccia come
quella e poi ti ricordi di altre un anno fa e altre ancora due anni fa e così via.
E poi ti leggi la relazione
dell’Antimafia con la sua
terribile parola “strutturale’’ a proposito della
’ndrangheta. E poi quei
dati dell’inaugurazione
dell’anno giudiziario. Da
qui, da lì, bisogna ripartire e da un corridoio stretto
stretto nel quale ci si può
incamminare ma che bisogna percorrere con onestà
intellettuale, coraggio e
rigore. Tanto rigore. Perché si può cadere da un lato
ma anche dall’altro e cioè
nell’omettere, anche in
buona fede, i dati di fatto
per cercare quella normalità di narrazione. La Calabria non ha bisogno di questo ma di un racconto senza sconti per nessuno, lucido nella sua analisi sulle
tante cose che non vanno e
sulla pervasità mafiosa
dunque in primo luogo.
Ha bisogno anche che le
poche luci che fiammeggiano non si spengano,
non vadano disperse, non
si affievoliscano ma anzi
crescano e si sviluppino.
Questo è un compito di un
giornale onesto ma è compito che ognuno dei calabresi onesti – anche qui finiamola con i luoghi comuni sulla “stragrande
maggioranza”... io non so
se siano la stragrande
maggioranza – faccia la
propria parte, si spenda, si
aiuti e aiuti.
Non è un punto di partenza minimale, come potrebbe apparire in prima
battuta, ma un grande approdo, decisivo per una
società che è cresciuta nel
suo complesso male, aggrovigliata in un inestricabile patto scritto e non
scritto tra istituzioni, politica, cultura, economia
in cui i meriti sparivano e
saliva l’imperscrutabile,
il favore, poi l’affare e alla
fine spuntava e spunta il
convitato di pietra, che assume sembianze diverse
ma che alla fine muta la
convivenza civile, ne fa
un’altra cosa, cambia le
regole del gioco, inserisce
lì dove è possibile il governo mafioso. Questa è la verità, dura da accettare magari, ma vera. Non tutto è
Rosarno? Certo che è così,
ma anche dentro Rosarno
non tutto è come nella storia di Cetta. Ma cosa cambia questo nel giudizio
complessivo che noi calabresi, ancor prima degli
altri, dobbiamo dare di noi
stessi e della nostra terra?
Torniamo, allora, al fare
ognuno qualcosa e farla
bene.
Questo giornale ha organizzato – ormai tempo
fa – una grande manifestazione di resistenza civile alla ’ndrangheta a
Reggio Calabria. Come è
noto andò benissimo. Poi
nessuno ha raccolto quella bandiera, quelle bandiere. È stato lasciato morire tutto. Mi sono chiesto
e torno a chiedermi il perché. Una manifestazione,
due manifestazioni, dieci
manifestazioni non cambiano, certo, la vita ma
forse curvano la storia, almeno la cronaca. Se non
altro mutano la percezione nostra al di là del Pollino.
Torniamo allora a quella assenza di resistenza civile (scusatemi per la retorica) che però è indispensabile in questo momento,
e ai motivi di questo stato
dell’arte. Parliamo di resistenza civile ma è la stessa
cosa degli spettatori che
stanno a guardare di cui
ha parlato il procuratore
Pignatone. Dopo la storia
di Cetta da Rosarno ancora una volta l’unica proposta – giusta, sbagliata, insufficiente, fate voi – è venuta ieri dal direttore di
questo giornale. Per il re-
sto il piattume – credetemi
ormai vomitevole – delle
dichiarazioni a raffica di
solidarietà, di condanna
etc etc. Decine, centinaia… Don Luigi Ciotti un
giorno mi disse: non di
questo abbiamo bisogno,
non di solidarietà vacue
ma di condivisioni vere.
Mi chiedo e vi chiedo: si
può andare avanti così?
Come può avanzare quella
ordinaria normalità se
contestualmente non fa
passi da gigante quella resistenza civile di cui non si
vede nemmeno l’inizio? E
chi la deve fare quella resistenza civile? E chi la deve
promuovere? Qui si arriva al problema dei problemi, sul quale con tutta
onestà negli ultimi tempi
ho anche cambiato prospettiva: la società – si diceva – la buona società civile, la cultura la buona
cultura, l’università la
buona università, il sindacato…Tutto vero ma
tutto viene dopo, se non
incardiniamo la discus-
sione su un binario di verità: il problema drammatico della Calabria di oggi è
la politica. E non lo è tanto
e non lo è solo negli evidenti tratti di contiguità,
di legami, di rapporti.
Quello è il tracciato addirittura più semplice da
combattere. No, il vero
problema è che siamo in
presenza nel suo complesso, nel suo sentire comune
direi, di una classe politica che non è in grado oggi
di cogliere lei quella domanda di narrazione normale, di farvi fronte con
gli strumenti di governo
delle istituzioni che ha e,
dunque, alla fine di rappresentare quella parte
migliore della società.
Una parte che è china, muta ma non sorda, che vorrebbe gridare “ma io che
c’entro con la mafia?” Ma
che alla fine si ritrova
sempre più sola, sempre
più muta, sempre più inascoltata e alla fine diventa
anche sorda, e quindi la
battaglia l’abbiamo persa.
In questo sentiero stretto
stretto qualcuno deve pure
incamminarsi, deve sporcarsi le mani, deve ragionare con rigore ma con intelligenza, altrimenti alla fine
le macerie cadranno su tutto e tutti, e non ci pare né
giusto né normale.
Filippo Veltri
Maria Concetta Cacciola Lea Garofalo
Il coraggio, le donne
e la speranza
segue dalla prima pagina
elencare la cronaca giudiziaria e investigativa è
quanto mai eloquente e sollecita riflessioni e interrogativi che devono riguardare tutti: laici e cattolici.
Intendo dare un contributo alla riflessione ed essere compartecipe della
proposta avanzata dal direttore. Il contrasto comune alle tre donne tra l'aspirazione a una vita normale,
libera, civile, rispettosa degli altri, delle altre e di sé,
cozza tragicamente con la
dura logica della prepotenza mafiosa che non ammette nulla al di fuori dei propri sanguinosi traffici, dei
riti di omertà maschilista,
della cultura della violenza
e della morte, dell'arrogante e ostentata accumulazione di ricchezza. In questo
contrasto si decide il destino di queste tre donne e
chissà di quante altre che
non sono emerse agli onori
della cronaca. Giustamente si dice che non possiamo
La grande forza
del cuore delle mamme
segue dalla prima pagina
un marito (Salvatore Figliuzzi, che
appartiene a una delle famiglie di
’ndrangheta di Rosarno) che aveva
sposato a soli 13 anni. Maria Concetta andava via da quella vita che
non le permetteva di vivere liberamente sin dall’infanzia. Una figlia
che scrive alla madre, una madre
che prova a proteggere i figli, e
un'altra madre che chiude il suo
cuore e, invece di proteggere la figlia e i suoi nipoti, versa violenza
su di loro! Sofferenza nelle parole e
nell'ultimo gesto di Maria Concetta, “suicidatasi” con l’acido muriatico il 20 Agosto 2011.
Spesso ci siamo fermate a riflettere sulle donne che sono nate in una
famiglia di ’ndrangheta.
Spesso abbiamo riflettuto sul
ruolo della donna sia all’interno
della società che dentro le famiglie
mafiose. Ci siamo sempre chieste
come fa una donna a vivere così,
priva di libertà, ma soprattutto: il
cuor di mamma dove va a finire? La
lettera che abbiamo letto ieri mattina è di una ragazza di 31 anni, cresciuta troppo in fretta, cresciuta in
ambiente malavitoso, ma è anche di
una figlia che tenta di aggrapparsi
proprio a quel “cuor di mamma”
con una richiesta d’aiuto, non per
se stessa, ma per i suoi figli. Maria
Concetta sentiva di non appartenere a quel sistema criminale, pur facendo parte di quella famiglia. Lei
subiva violenze, privazioni, era solo e semplicemente una ragazza di
31 anni che non si è amalgamata a
quel tessuto sociale a cui apparteneva la famiglia. Stava scegliendo
di vivere, di dare un futuro diverso
a lei e ai suoi figli. In quelle parole
di Maria Concetta si legge benissimo quanto era consapevole del sistema criminale, di quell’ “Onore”
che deve essere rispettato e lei com-
prendeva lo stato della madre, sapeva che non era facile uscire da
quella “famiglia”. Si appellò alla coscienza di una donna; quelle parole
di figlia si rivolgono al cuore di una
madre.
Nonostante le violenze psicologiche che le aveva riservato, Maria
Concetta va oltre, le chiede perdono
per la scelta che aveva fatto: collaborare con la giustizia. E nonostante tutto, lei, figlia, madre, scrisse a
sua madre: “Ti supplico non fare
l’errore a loro che hai fatto con me...
Dagli i suoi spazi ... se la chiudi è facile sbagliare, perché si sentono
prigionieri di tutto. Dagli quello
che non hai dato a me”. Quegli spazi che le hanno privato sin da quando era piccola. Prigionieri in una
casa, prigionieri di quelle catene
che la ’ndrangheta con forza e arroganza mette alla famiglia.
La madre di Maria Concetta è vittima anche lei del sistema della
“’ndrangheta”. E allora perché tanta violenza psicologica?! Perché
una madre si riduce a tutto questo?
Non voleva niente Maria Concetta,
lo scrisse lei: “Mi sono resa conto
che in fondo sono sola, sola con tutti e tutto, non volevo soldi ... era la
serenità,
l’amore...”
Già,
quell’amore negato, ma anche
quell’amore infinito per i suoi figli.
Non sappiamo se si poteva far prima qualcosa. Non sappiamo perché
i figli erano rimasti ai genitori di
Maria Concetta. Lei ha deciso di
suicidarsi perché le avevano detto,
in maniera errata, che non avrebbe
più rivisto i suoi figli, e quell’amore
di madre non avrebbe mai sopportato quel dolore. Noi non sappiamo
se si poteva fare di più e meglio per
evitare il suicidio, per “proteggere” lei e i suoi figli, ma oggi, per
quanta rabbia si possa provare, da
donna, questa lettera non può che
suscitare sofferenza, dolore.
È uno spaccato crudele di una
realtà all’interno di una famiglia
’ndranghetista, ma è uno spaccato
che richiede una riflessione più
profonda, seria, perché nessun altro può vivere con le catene dell’oppressione, della mancata libertà di
scegliere. Oggi però il nostro pensiero va ai figli di Maria Concetta
Cacciola, alla figlia di Lea Garofalo, che con coraggio sta testimoniando al processo per la morte
atroce di sua madre a Milano, ai figli di Giuseppina Pesce, a cui auguriamo quella vita di libertà che le loro madri desideravano per loro.
Spero che possano curare quelle
“ferite” che hanno procurato loro,
madri che amavano e amano i loro
figli, e che da quell’amore possa ricominciare un’altra vita, priva di
violenze, priva di pressioni, semplicemente una vita di libertà e di
serenità. Nessun altro bambino,
nessun’ altra donna, nessun altro
uomo, deve subire tutto questo.
Non loro che hanno scelto di VIVERE LIBERI.
È di quella libertà di cui tutti noi
abbiamo bisogno, ecco perché, direttore, la sua proposta dell’8 Marzo è un’idea bellissima, perché chi
sceglie il coraggio di denunciare
ha bisogno di essere ricordato. Tre
giovani donne, nate in ambienti
“ostili” ma che hanno preferito la
dignità e l’amore per i propri figli:
pur pagando un prezzo altissimo,
tutto questo, la loro esperienza,
possa essere ricordato per stimolare donne che ancora vivono in famiglie di ’ndrangheta, possa nascere
davvero la forza delle donne e di
quelle madri che per amore dei loro
figli possono cambiare la Calabria.
E far risplendere quella mimosa come simbolo che nulla è perduto.
Emma Leone
e Francesca Munno
essere spettatori e che a tutti tocca inserirsi in questi
interstizi della coscienza,
luoghi decisivi nei quali si
gioca la partita con la consapevolezza che un elemento di complicazione sta
nei legami e nella cultura
della famiglia. Queste tre
donne hanno vissuto un
tormento interiore nel dover combattere tra gli affetti di una vita, che sono i più
cari e i più difficili da spezzare. Non si può andare
contro il padre, la madre, le
sorelle, i fratelli, senza tensioni e indicibili lacerazioni. Lo scontro è duro tra la
logica e il desiderio di affrancarsi ed essere normali e i ricatti, le sottili e insistenti insinuazioni che tutto ciò è fuori dall'interesse
familiare, dalle convenienze e dalle oppressive connessioni con il tessuto connettivo della comunità. È
difficile ancor più per una
donna e per una donna in
Calabria.
Le debolezze, le continue
oscillazioni tra il desiderio
di riscatto e il cedimento ai
ricatti ne segna l'esistenza
fino all'autodistruzione. È
pur tuttavia già questo tormento segno di un coraggio profondo e di rotture
che si annunciano come
possibili, di un fiume carsico che si muove e cresce
progressivamente per irrompere nella razionalità e
in modalità di vita civile.
Anche la Chiesa deve riflettere su queste storie e far
sentire la propria voce e la
propria condanna. Sul terreno della coscienza e dei
valori della famiglia la
Chiesa ha strumenti e autorevolezza. Queste famiglie
(sicuramente cattoliche)
vanno condannate. Questi
atteggiamenti vanno riprovati fino alla scomunica e vanno onorate come
martiri, le vittime. Sì, bisogna riflettere, non dimenticare. Onorare, da parte di
tutti quelli che lottano quotidianamente le mafie, e
utilizzare anche le potenzialità che queste storie segnalano.
Le donne e la Cgil Calabria hanno inteso e intendono cogliere la proposta
di Matteo Cosenza: il prossimo 8 marzo sia dedicato a
Giuseppina e alla memoria
di Maria Concetta e Lea e di
tutte le donne assassinate
dalla ’ndrangheta.
Ritroviamoci tutti e tutte
assieme per ricordare e onorare in uno o in tanti appuntamenti e rilanciare un
grande impegno comune a
laici e cattolici. La proposta
del direttore è segno di sensibilità democratica profonda. Ci auguriamo, mi auguro, che altri e altre con essa
si misurino e che Matteo Cosenza voglia promuovere
altri momenti di incontro di
quella bella Calabria che
non si piega, si indigna e
con orgoglio vuol cambiare
il volto e l'immagine della
sua terra.
Michele Gravano
segretario generale
Cgil Calabria
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20
Sabato 11 febbraio 2012
L’ex presidente del Comitato di gestione reggino–tirrenico si scaglia contro la Provincia Scoppia la pace
Pdl-Grande
città, Romeo
vola verso
Intanto all’Atc Rc 1 inizia l’era del commissario Biagio Di Vece il vertice
«Caccia, ricorso al Tar»
di ANTONINO RASO
«IL COMMISSARIAMENTO dall’Atc rc1 è un atto illegittimo perpetrato dalla
Provincia e contro il quale
ricorreremo presso il Tar
di Reggio Calabria».
Questa, in sintesi, la reazione dell’ormai ex presidente del Comitato di gestione reggino–tirrenico
Domenico Iero.
«L’Atc è un organo finalizzato
alla
gestione
dell’ambiente e delle risorse – ha affermato il numero
uno uscente di via Aspromonte – e il danno arrecato
al territorio da questo
provvedimento sarà ingente.
I soldi che la Provincia
chiede appartengono ai
cacciatori, e ad essi devono
tornare senza se e senza
ma.
Del resto la gestione contestata è quella precedente
al mio mandato iniziato nel
2009, e tuttavia gli atti formali emanati dal 2006 in
poi, tutti protocollati, non
hanno evidenziato in alcun
modo una gestione illegittima delle risorse.
I problemi sono nati a distanza di due anni dall’investimento fatto per implementare il ripopolamento
di aree montane».
Dunque Iero passa all’attacco, e annuncia ricorso.
Un appello a cui prenderanno parte quasi tutte le
associazioni agricole, venatorie ed ambientaliste.
«Avevamo iniziato un dialogo positivo con l’assessore Rao sull’argomento – ha
continuato – ma il commissariamento non era un epilogo da noi previsto.
La presunta disattenzione del 2006, riguardante
fondi destinati al massiccio
ripopolamento dell’Aspromonte, doveva essere risolta entro quattro anni.
Noi abbiamo i soldi da restituire, sono depositati nel
conto corrente
dell’Atc, ma attendevamo di
sapere le modalità ed i tempi
certi».
In
realtà
l’Azienda territoriale di caccia
era già di fatto
sottoposta ad
un commissariamento ad acta, ed il dottor Crupi ha lavorato in questo senso per
diverso tempo.
L’amarezza dell’ex presidente reggino appare evidente, alla luce soprattutto
Domenico Iero
Riferimenti invita a chiarire i termini della polemica
«Lamberti faccia nomi e cognomi»
DUE giorni fa,il coordinamento giovanile di Riferimenti, in una lettera aperta alla stampa ha chiesto al dottor Lamberti
Castronuovo nominato, anche se non
dalla volontà popolare, assessore alla legalità presso la provincia di Reggio Calabria, di chiarire gravi affermazioni da lui
fatte in un intervento nell'ambito di un
convegno organizzato da "Futuro e libertà".
Nella stessa nota, si chiedeva di conoscere a quali magistrati servissero "vetrine e passerelle "sempre in merito ad affermazioni al vetriolo fatte dallo stesso che,
non si capisce perchè da tempo lanci invettive nei confronti dell'antimafia con illazioni varie, cercando di screditare l'operato altrui che ,invece come amministratore dovrebbe sostenere”.
Vento del Nord
la Pg chiede la conferma
della sentenza di I grado
di CLAUDIO CORDOVA
destinate alla dirigente del
settore caccia Scolaro e al
direttore generale della
Provincia nella quali chiedo spiegazioni sui reali motivi del provvedimento.
La documentazione che
in passato ho provveduto
ad inviare presso l’Ente, in
cui si spiegavano le modalità delle nostre attività, evidentemente è rimasta chiusa in qualche cassetto.
Ora speriamo che questo
passaggio non comprometta il lavoro svolto con
profitto in questi anni, soprattutto per quello che
concerne la gestione della
caccia al cinghiale».
Intanto già da oggi dovrebbe prendere il via il
mandato di Biagio Di Vece
a commissario dell’Atc
Rc1.
Domenico Iero
«Subito un danno
ingente
per il territorio»
Aveva inflitto pene per un secolo di carcere
LA Procura Generale di
Reggio Calabria ha chiesto
la conferma della sentenza
di primo grado nel procedimento “Vento del Nord”, celebrato contro la cosca Bellocco di Rosarno. Secondo
l’accusa, dunque, va avvalorata la sentenza emessa il
20 dicembre 2010 dal Gup
Tommasina Cotroneo che
ha condannato tutti gli imputati, infliggendo pene
per quasi un secolo di carcere: quattordici anni di reclusione vennero inflitti a Carmelo Bellocco;
dieci a Domenico
Bellocco cl. 77;
dieci anni e quattro mesi a Domenico Bellocco cl.
80; otto anni e
quattro mesi di
reclusione a Maria Teresa
D’Agostino; otto anni di reclusione ciascuno per Umberto Bellocco e Rocco Gaetano Gallo; otto anni e otto
mesi ad Antonino Scordino; quattro anni di reclusione ciascuno per Elisabetta Maiolo, Giuseppe
Spasaro, Luigi Amante,
Angelo D’Agostino, Alfredo Romeo, Filippo Scordino; tre anni a Maria Stella
Zungri; due anni ad Annunziato Barrese; sedici
mesi ciascuno ad Antonella
Mirenda, Maria Rosaria
dell’impegno profuso in
questi anni di attività: «I
progressi fatti dall’Atc in
questi ultimi quattro anni
sono stati impressionanti.
Posso affermare di essere
stato io il vero
fondatore
dell’Azienda
territoriale
Reggio 1».
Eppure l’assessore Gaetano
Rao nei giorni
scorsi
aveva
spiegato i motivi che hanno
portato la Provincia a commissariare l’Ente di gestione territoriale.
Ma proprio Iero fornisce
un'altra versione dei fatti a
riguardo: «Ho inviato nei
giorni scorsi due missive,
Larosa e Alessandro Mercuri. Per questi ultimi
quattro la pena fu sospesa.
Rispetto a tali, durissime,
pene, l’accusa ha chiesto
una riduzione di quattro
mesi per Domenico Bellocco classe 1980, e l’assoluzione per la moglie Antonella Mirenda, entrambi
non ritenuti colpevoli di un
capo d’imputazione riguardante l’intestazione
fittizia di beni.
Il processo scaturisce da
un’operazione congiunta
tra le Questure di Reggio
Calabria e Bologna. Proprio a
Bologna, secondo le risultanze
investigative, la
cosca Bellocco
avrebbe
impiantato
una
propria “cellula”, che curava,
arricchendosi, ingenti giri
di affari. Nell’indagine finì
una delle consorterie storiche della ‘ndrangheta della
provincia di Reggio Calabria, egemone, insieme ai
Pesce, sul territorio di Rosarno. Secondo le ipotesi
investigative, così come avvenuto a Gioia Tauro, allorquando la storica alleanza
tra i Piromalli e i Molè si
ruppe con l’omicidio del
boss Rocco Molè, anche a
Rosarno il sodalizio storico
tra i Pesce e i Bellocco sarebbe in crisi.
Contro
la cosca
Bellocco
Da Lamberti ricordano dal coordinamento “non è arrivata nessuna risposta,anzi la sua televisione non solo non
ha dato notizia della nota,ma nella rassegna stampa ha omesso la pagina dei quotidiani che riportavano la notizia”.
I responsabili del Coordinamento giovani di Riferimenti, ancora una volta
chiedono di conoscere il soggetto della
frase impersonale pronunciata dall’assessore alla legalità Lamberti, ossia vogliono sapere «Chi,utilizzerebbe soldi
pubblici per combattere il crimine organizzando settimane bianche. Due sono le
cose o l'assessore risponde o dimostra a
tutti la validità e fondatezza delle sue affermazioni e soprattutto darà prova del
suo coraggio. E allora ,assessore vogliamo il nome, il soggetto» .
HOSPICE
Ampliato
l’organico Cda
DURANTE il mese di febbraio
c.a. il CDA ( Consiglio di amministrazione ) della Fondazione Via delle Stelle di Reggio Calabria, che gestisce
l’Hospice Via delle Stelle, rappresentato dal Presidente
Clotilde Minasi, ha deciso di
cooptare nuovi membri per allargare la rappresentatività
dell’Hospice.
I seguenti membri saranno
in qualità di soci benemeriti:
Vincenzo Trapani Lombardo,
già direttore sanitario dell’Hospice; Salvatore Vita, in rappresentanza dei medici di
medicina generale; Pasquale
Veneziano in rappresentanza
dell’Ordine dei Medici.
Accusato di fare parte del clan Tegano di Archi
Annullata l’ordinanza
a carico di Emilio Firriolo
L’avvocato Politi
IL CASO
Due funzionari liberi dal servizio
arrestano un indiano per furto
IL pronto intervento di due funzionari della Polizia di Stato, fuori servizio, ha permesso di fare scattare le manette intorno ai polsi di un cittadino indiano, accusato di tentato furto con strappo. I due
poliziotti della Questura di Reggio Calabria, Gianluca Rapisarda e Giuseppe Giliberti, rispettivamente dirigente della terza sezione della squadra
Mobile e vice dirigente dell’Upgsp, hanno infatti
notato il tentativo di scippo nei confronti di una cittadina rumena da parte di H.K., 27 anni, cittadino
indiano irregolare sul territorio nazionale. Il fatto
è accaduto in pieno giorno, all’altezza dell’ingresso del Palazzo della Regione, con la donna che stava cercando di divincolarsi. I due poliziotti sono,
quindi, riuscitia soccorrerela malcapitatae adarrestare l’uomo.
LA cortedi Cassazione ( Isezione penale Presidente Chieffi e Relatore Caprioglio ) ha annullato con rinvio l’ordinanza emessa dal Tribunale della Libertà di Reggio Calabria a carico di
Emilio Firriolo, arrestato nell’aprile
del 2011 con l’accusa di far parte
dell’associazione mafiosa facente capo
a Giovanni Tegano.
L’inchiesta, denominata operazione
Archi, è un’ulteriore sequela della più
nota denominata operazione Agathos
scaturita da numerose intercettazioni
telefoniche ed ambientali con le quali
si era fatta luce su numerose estorsioni che la cosca Tegano faceva alla ditta
New Labor, appaltatrice dei lavori di
pulizia del materiale rotabile alla platea lavaggio delle Ferrovie di Reggio
Calabria.Emilio Firriolo è indicato dai
collaboratori ( Moio, Fracapane e Logiudice ) come un componente della cosca Tegano legato da fraterna amicizia
con Franco Benestare e, quindi, collettore di mazzette della cosca, uomo di fiducia nel settore dell’edilizia, con ruoli
attivi durante la seconda guerra di mafia. Nonostante la lamentata genericità delle accuse il TDL reggino (Pres.
Leonardo relatore Aliquò ) aveva confermato il titolo custodiale con ordinanza impugnata per cassazione dal
Prof. Dario Grosso e dall’avv. Corrado
Politi, difensori del Firriolo. Nei giorni
scorsi la Corte, in accoglimento dei motivi degli avv.ti Grosso e Politi, ha annullato la predetta ordinanza recependo le tesi difensive, avallate dalla più
recente giurisprudenza di legittimità
secondo cui “la convergenza di plurime attendibili dichiarazioni che attestino la conosciuta appartenenza al sodalizio criminoso configura la gravità
indiziaria imposta dall’art. 273 c.p.p».
Daniele Romeo
CANE non mangia cane ed
alla fine scoppia la pace dentro il Pdl, o forse meglio finisce in boutade.
Tacciono i malumori e c’è,
sembra davvero, la convergenza sul nome di Daniele
Romeo.
Una pax fatta perchè conviene a tutti che il partito sappia camminare con le proprie gambe ed anche perchè,
sussurrano in tanti beninformati alla fine, Scopelliti
potrebbe essere riconoscente ai tanti che gli consentono
di uscire dai cinque congressi con la forza dell’acclamazione all’unanimità.
Ed allora via libera e nessuna sorpresa alla ratifica
formale del nome di Daniele
Romeo, candidato a capo del
Coordinamento Grande Città del partito.
Una volta preso atto
dell’incompatibilità, per via
degli incarichi assessorili di
Luigi Tuccio e di Demetrio
Berna, si sta ormai procedendo a tambur battente.
Giovedì sera la ratifica al
coordinamento Grande Città della mozione che vede Danele Romeo, delfino di Scopelliti, a capo del coordinamento e suo vicario, il consigliere comunale Antonio
Pizzimenti.
Una scelta che soddisfa entrambe le anime del Pdl, la
corrente ex an, incarnata da
Romeo e quella forzista che
vede espressione l’altro giovane consigliere comunale
Antonio Pizzimenti.
La nomina, di fatto, verrà
ratificata e diventerà elettiva
dopo il congresso del prossimo venerdì 17 febbraio.
A guidare il coordinamento metropolitano reggino sarà quindi il consigliere comunale, affiancato dal vicario Antonio Pizzimenti. A
completare i seggi del coordinamento politico comunale poi andranno i nomi che
usciranno dal congresso di
venerdi prossimo.
Tra questi ed è la chiara dimostrazione della pax raggiunta tra le aree di Scopelliti e quella di Nino Foti ci saranno due nomi vicini a quest’ultimo.
Tra i nominati sono pressocchè certi quelli di Giuseppe Agliano, Paolo Arillotta,
Amedeo Canale, Giuseppe
Eraclini, Franco Germanò.
Intanto fino all’ultimo minuto, però circolava insistentemente la voce di una
mozione a sostegno di una
giovanissima figlia d’arte,
alla carica di coordinatrice
di Grande città. Stefania
Eraclini, 21 anni, figlia del
consigliere comunale, Giuseppe, e da sempre iscritta a
Forza Italia prima ed al Pdl
dopo. Una scelta, dicono, per
coniugare una volta per tutte, giovani e quote rosa al
vertice del partito.
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Locride
Sabato 11 febbraio 2012
Reggio 33
Locride
Sabato 11 febbraio 2012
La cattura del boss. Il voto del 2008 “spacca” gli Aquino
Il boss era il presidente del Marina di Gioiosa calcio
Liste dei clan
per le elezioni
La fede: è giallorossa
CALCIO, politica e malaffare. A Marina di Gioiosa
ogni gusto viene soddisfatto. Per attrarre il consenso popolare pare che i clan abbiano investito nella passione sportiva.
L’ex patron del Marina di Gioiosa calcio, che milita nel campionato di promozione, Rocco Aquino,
sieraresoirreperibiledal luglio2010.Alvagliodegli inquirenti finirono anche i rapporti
tra Aquinoe l’ex direttoresportivo Carmelo Carbone, candidato alla carica di
sindaco nella primavera del 2008. Da
contatti telefonici (in gran parte finalizzati adincontri di persona oa discussioni sulla gestione della squadra di
calcio) censurati sull'utenza dell'Aquino a partire dal 16 febbraio 2009 al 16
settembre 2009), “si comprende - scrivono i magistrati - come tra i due esista
un rapporto che va ben oltre alla normale conoscenza, ma anzi appare assoDopo
lutamente familiare e, quindi, giustificativo della cattura
il boss Rocco l'appoggio fornito precedentemente (rispetto alle
censure telefoniche) al già candidato sindaco CarAquino
bone per la sua lista.
in una
Antonio Coluccio di Siderno, anche lui nella lista
gazzella
dei fermati vuole intervenire finanziariamente a
dei
sostegno della squadra giallorossa, presieduta
carabinieri
viene tradotto proprio da Aquino. E’quantosi evidenza nella conversazione delle ore 21.32 del 07.11.2009 in entrain carcere
ta sull'utenza di Aquino e proveniente dall'utenza
Da Coluccio
aiuto
economico
alla squadra
di MICHELE INSERRA
Gli incontri al vertice
Il covo dentro la cantina
Le ricerche approfondite
Perquisizioni e sequestri
ROCCO Aquino, come verificato nell’ambito dell’inchiesta “Crimine”, si
recava spesso presso la lavanderia “Ape green” di Siderno per incontrare e confrontarsi con Giuseppe Commisso “u mastru”.
I CARABINIERI del comando provinciale di Reggio Calabria sono
“passati” diverse volte da contrada Porticato. Durante i controlli è
stato scoperto un bunker realizzato dietro una cantina.
PER RIUSCIRE a scovare i latitanti della cosca Aquino di Marina di
Gioiosa Jonica, gli investigatori dell’Arma hanno utilizzato dei piccoli
bobcat con tanto di trivella ed escavatore.
DURANTE i controlli e le perquisizioni nelle case della famiglia Aquino i carabinieri del Gruppo Locri hanno effettuato il sequestro di numerosi computer e di materiale cartaceo utile per nuove inchieste.
I legami con i gruppi di Siderno dei Commisso e degli Ursini di Gioiosa Jonica
Don Totò, “u mastru” e gli affari
I colloqui sul raid a Novembre e il delitto di Vallelonga a Riace
MARINA DI GIOIOSA - Il mastro e l’allora patron della squadra. Un legame
ferreo che si evince dalle intercettazioni telefoniche e dalle riunioni di
‘ndrangheta.
E’ il 2 febbraio 2008. La conversazione ambientale “riprende” l’incontro
tra Giuseppe Commisso e Rocco Aquino “u culunnellu”.
Per gli investigatori si tratta di due
personaggi di primissimo piano, sia a
livello “provinciale” sia all'interno del
“mandamento ionico”. In particolare
l’attenzione degli inquirenti si concentra su alcuni passaggi dell’incontro tra
i due “intercettati” dai poliziotti del
commissariato di Siderno. Commisso e
Aquino snocciolano diversi argomenti: le problematiche relative al locale di
Gioiosa Jonica, con riferimenti alle figure di Mario Ursini e Antonio Ursino,
quest'ultimo tra l’altro aspramente
criticato; le vicende relative al delitto di
Damiano Vallelonga a Riace, l’attentato a Vincenzo Novembre e la scomparsa a Torino di Rocco Ursini; le problematiche relative al locale di Caulonia,
altre di livello “provinciale”, con riferimenti alla figura di Vincenzo Pesce.
Commisso si informa con il suo amico sull'avvio o meno di alcuni “affari”di
'ndrangheta: “C'è movimento, dite che
fanno qualcosa?”.
Aquino conferma di aver incontrato
Mario Ursino il quale gli avrebbe detto:
“Sappiamo che ci sono sette o otto della
famiglia mia per appalti, che li hanno
puntati.”, come a voler sottolineare il
fatto che il suo clan avrebbe acquisito
una sorta di diritto di prelazione su determinati lavori pubblici.
Tuttavia, Aquino avrebbe sollecitato
l'uomo ad intervenire nei confronti di
tale “Totò”, suggerendogli di “estrometterlo” da quel tipo di affari: “Ma
quello, Totoò è scemo. Totò, non capisce niente. quasi ...quasi che. gli ho det-
Giuseppe Commisso “u mastru”
to: oh Mario, digli se si raddrizza e che
si vada a sedere da una parte se vuole...”. Per di più, Giuseppe Commisso si
lamenta del fatto che Antonio Ursino
avrebbe lasciato in giro troppi debiti:
“Ma quei soldi glieli ha dati là, allora
poi... ma come cazzo si trova, ma io.”,
tra cui quelli contratti con suo fratello
Antonio, allo stato detenuto presso la
Casa Circondariale di Nuoro. Una passività che, come precisa, ammonterebbe a circa duecento mila euro: “Mannaggia la puttana pare che a me li ha
dati quelli di mio fratello?... adesso mio
fratello è come una bestia con lui. non
può parlare.”, e per la quale egli stesso
avrebbe minacciato Antonio Ursino,
esortandolo a rifondere la somma:
“.ma Totò vedete che non voglio che litighiamo per fatti di soldi, gli ho detto
io, vedete che io... io gli ho detto: che
cazzo dovete fare?”.
Un comportamento molto scorretto,
rivela Rocco Aquino, dal momento che,
spiega, costui avrebbe dovuto agire in
maniera leale nei confronti del detenuto Antonio Commisso, l’ “avvocatu” di
Siderno: “Lui sapete che doveva fare
per un carcerato?... andare a vendersi
quello che ha e dargli i soldi.”. Tra le altre cose, aggiunge, anch'egli vanterebbe un credito nei confronti di quell'uomo di: “Una sessantina di mila euro.”.
Volgendo l'argomento sui preparativi di un incontro di 'ndrangheta, che,
in effetti, si terrà l'indomani a Bovalino, Aquino si informa con il suo amico
su che tipo di cariche criminali bisognerà assegnare: “E allora. non ho capito. a questi cosa gli dobbiamo dare?”.
Facendo mente locale, il “mastro” cerca di rammentare l'ultimo mandato assegnato a un uomo di quel clan: “Loro
hanno. che gli abbiamo dato all'epoca?... la Santa gliela abbiamo data?”.
Poi, riflettendo sulla figura del candidato, si chiede: “A compare Franco, poveretto. non so che cosa gli dobbiamo
dare...”. Aquino si mostra in linea con
tali conferimenti, e, comprovando la
propria stima, non mostra alcuna remora a concedere loro qualsiasi tipo di
incarico: “Cosa vorrebbero che gli sia
dato noi gli diamo.”.
Dal suo canto Commisso pone un veto assoluto su altri soggetti che ambirebbero ad ottenere quello stesso genere di attribuzioni: “Ma non a questi di
Guardavalle che stanno sparando.”, riferendosi, con ciò, all'omicidio di Damiano Vallelunga.
mi.in.
Dopo l’arresto del capoclan Salvatore a comandare sono Rocco e Giuseppe
| IL PATRIMONIO |
Alla cosca sequestrati
beni per sette milioni Si interessavano anche degli amici sidernesi in difficoltà con la legge
Dalla cella si tessono alleanze
Vincenzo Tavernese
MARINA DI GIOIOSA - E’ l’ottobre del 2010. Lo
Stato opera un maxi sequestro beni tra Marina di
Gioiosa e Siderno. Il Ros e il Comando Provinciale
Carabinieri di Reggio Calabria, supportato dallo
Squadrone Eliportato Cacciatori, danno esecuzione ad un provvedimento di sequestro preventivo
per 7 milioni di euro, emesso dal Gip su richiesta
della Procura Distrettuale Antimafia. I sigilli sono
stati posti alle proprietà riconducibili a Rocco e
Giuseppe Aquino e a Vincenzo Tavernese, tutti
coinvolti nell'operazione “Il Crimine”, scattata il
13 luglio del 2010.
Tra i beni sottratti alla cosca ci sono 19 immobili
tra cui ville e terreni posti tra Marina di Gioiosa e
Siderno, una imbarcazione, una decina di autovetture di grossa cilindrata, due società operanti nei
settori edilizio e turistico, in particolare un lido
balneare di Siderno, il “Paradise beach”, e 22 conti
correnti e depositi al risparmio.
Secondo quanto emerso dalle indagini coordinate dalla Dda di Reggio Calabria, il clan Aquino
sarebbe a capo del locale di 'ndrangheta di Marina
di Gioiosa Jonica mentre Vincenzo Tavernese sarebbe un affiliato e un partecipe dell'associazione,
nonostante fosse residente a Toronto in Canada,
secondo gli inquirenti sarebbe strettamente collegato alla cosca Aquino.
MARINA DI GIOIOSA - Dal carcere di investigatori è emerso che il ruolo asL’Aquila Salvatore Aquino intrattene- sunto dai fratelli Rocco e Giuseppe (anva le alleanze con le altre cosche della cora latitante) Aquino nell'ambito della
loro famiglia è stato volu‘ndrangheta.
to e deciso all'unanimità
E’ quanto emerge dalla
da tutti i congiunti.
corrispondenza acquisita
Questa è stata la scelta
dal penitenziario abruzzeobbligata adottata a sese, ricevuta e inviata da Salguito della cattura del cavatore Aquino, dalla quale
po cosca anche in previsiosono venuti alla luce collene dei lunghi tempi di degamenti e relazioni epistotenzione che lo attendevalari con capi o comunque
no. Dal suo canto Rocco
personaggi di vertice di
Aquino risulta essere in
storici sodalizi criminali
ottimi rapporti con la faoperanti in altri territori
Giuseppe
Aquino
miglia Coluccio di Siderdel provincia di Reggio Cano, di cui fanno parte i più
labria, dello spessore di
Orazio De Stefano e Giuseppe Pansera. noti Giuseppe e Salvatore.
È lui ad interessarsi di mantenere i
Da una corposa analisi da parte degli
|
L’INTERCETTAZIONE
|
Oppedisano si pente: «Questo è pazzo»
MARINA DI GIOIOSA - All'indomani
dell'uscita sul Quotidiano delle rivelazioni del pentito Domenico Oppedisano, fratellastro di Salvatore Cordì ucciso nel 2005, sono due personaggi di primo piano a commentare le parole del
collaboratore di giustizia, Rocco Aquino, e Giuseppe Commisso all’interno
della lavanderia di Siderno. Aquino:
«Questo è diventato pazzo “mastro”».
Commisso: «Avete visto quante cose ha
detto» Aquino: «Sii». Commisso: «Si però potevano fare a meno di andarlo a
chiamare. Che cazzo lo chiamate non
vedete che questo è fuso ha problemi di
soldi». Aquino: «Io non lo conosco neanche». Commisso: «Non lo conosco neanche io, se viene non lo riconosco er con
una donna, non serviva a niente e lo
hanno chiamato per prendere posizione,ed hadecisodidiventare pazzo,vuole soldi, ma non credo
che lo calcolano, però ha
fatto danni, lo hanno fatto entrare in queste cose
ed è peggio ancora che le
ha dette». Aquino:«E' logico». Commisso: «Un
testimone deve essere
buono, altrimenti con
uno schiaffo cambia tutto, e poi devono menare
di più per farlo stare zitto». Aquino: «Eh
ma scherziamo». Commisso: «Lo maltrattano avete capito, io penso che lo
maltrattano ed è sbiellato».
Appresa
la notizia
dal giornale
contatti con l'unico dei tre fratelli Coluccio in quel momento non colpito da
alcun provvedimento restrittivo.
A seguito della cattura di Giuseppe,
la madre di quest'ultimo contatta proprio Rocco per il disbrigo di pratiche
che interessano il figlio recluso nelle
patrie galere.
E poi ci sono elementi a fiume che mostrano l'interesse della famiglia Aquino per gli esiti delle amministrative nel
comune di Marina di Gioiosa Jonica del
13 aprile 2008 e la conseguente “spaccatura” all'interno della famiglia.
I dati raccolti all'esito delle investigazioni delegate alla Compagnia dei carabinieri di Roccella Jonica si incastrano
perfettamente con le risultanze delle
indagini delegate agli uomini del Ros.
In particolare, tale risultanze “consentono - secondo i magistrati della Dda di
Reggio Calabria - di individuare l'esatta chiave di lettura di quanto finora
esposto (con specifico riferimento ai
colloqui in carcere tra Aquino Salvatore ed i germani Rocco e Giuseppe Aquino) e di comprendere il ruolo svolto, all'interno della consorteria da Aquino
Salvatore, Aquino Nicola Rocco ed
Aquino Rocco (in un contesto che vede
il vecchio boss Aquino Salvatore quale
punto di riferimento del sodalizio, costretto però a causa della prolungata
detenzione ad affidare ai prossimi congiunti la “reggenza” della famiglia, e
Rocco Aquino leader incontrastato, appoggiato dai “poteri forti” della 'ndrangheta, che ha oramai preso il posto al
vertice della consorteria del più anziano Aquino Nicola Rocco)”.
Lo spunto per mettere a fuoco tutto
ciò saranno proprio alcune conversazioni aventi ad oggetto le consultazioni
elettorali amministrative di Marina di
Gioiosa Jonica della primavera del
2008.
m.i.
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flotta sono entrati nel Comune, come sono chiusi
nel loro ghetto, perchè loro sono tutti compatti,
perchè... “dice Maria D. a Maurizio L. in una conversazione telefonica. Ma la spaccatura negli
Aquino, secondo i magistrati, si ricava anche da
un altro aspetto: dal locale scelto dal vincitore delle elezioni per festeggiare la conquista del comune. C’è da premettere che nella scissione sono intervenuti anche i Femia, quelli dell’Hotel ristorante “Sabbia d'oro”. “In particolare - scrivono i
magistrati chiarito che Francesco Marrapodi è
sicuramente uno dei dissociati, poiché sua cognata (moglie del fratello Antonio) è la figlia di
Teresa Aquino (sorella di Salvatore classe 1944),
occorre ora precisare perché anche la famiglia di
Aquino Giuseppe classe 1934 (anch'egli fratello
di Salvatore) si è schierata con la lista n. 2 (quella
dei Mazzaferro)”. Una circostanza che si ricaverebbe dal fatto che il neo eletto sindaco, Rocco Femia, con tutta la sua “squadra”, ha deciso di organizzare la festa per la vittoria elettorale al Sabbia
d'oro, di cui è proprietario Domenico Femia, classe 1939, da sempre è ritenuto legato alla cosca
Aquino, sia per i suoi trascorsi giudiziari, sia per
il fatto che la figlia Rosanna classe 1968 è coniugata con Domenico Aquino classe 1961, figlio di
Giuseppe classe 1934. Per gli investigatori il riferimento esplicito che viene fatto al Sabbia d'oro
è da ricollegare a questa “spaccatura” e ciò è la
causa della loro sconfitta elettorale.
Il sindaco Rocco Femia, alias “pichetta” venne
poi arrestato per mafia nel corso dell’operazione
“Circolo formato” del maggio 2011. Qualche
giorno fa anche la Cassazione ha negato la scarcerazione dell’ex primo cittadinol
IL FILM
Ecco tutti i nomi dei componenti delle fazioni
Vinse “pichetta” Femia, che poi venne arrestato
MARINA DI GIOIOSA - La scissione nella cosca
Aquino è stata determinata dalla elezioni comunali.
O meglio la costituzione del gruppo degli scissionisti di Torre Galea (così come venne anticipato dal Quotidiano nell’edizione del 23 giugno
2010) è avvenuta a causa del mancato accordo sui
candidati da appoggiare alle elezioni amministrative. E poi è stata generata dalla spartizioni di
autorizzazioni edilizie.
E’ quanto emerge da una serie di intercettazioni contenute nell’ordinanza dell’operazione “Il
crimine”. In particolare la spaccatura è stata in
qualche modo causata dal comportamento di Nicola Rocco Aquino, 61 anni che, secondo gli interlocutori, non ha saputo assecondare le esigenze
dell'intera famiglia, mettendo in cattiva luce Rocco
LA CURIOSITÀ
Aquino, 50 anni, patron della locale squadra di calcio, e
Giuseppe Aquino, 48 anni,
La stampa era
agli occhi degli altri familiari. Una spaccatura all’interuna tensione
no degli Aquino che durava
ANCHE la stampa locale da tempo senza che fosse stata individuata una soluziodiventa una grana per gli
ne.
Aquino. Il 17 settembre
E l’unico che poteva sanci2008 c’è una telefonata
tra Rocco Aquino e Anto- re la pace all’interno del nucleo familiare era Salvatore
nio Coluccio. Nella circoAquino, storico capo bastone
stanza il primo contatta
attualmente detenuto e che
l'altro per lamentarsi di
presto potrebbe uscire da gaalcuni articoli di giornali,
pubblicati qualche giorno lera. Il boss era l’unico che
prima, nei quali viene de- con il suo carisma era capace
di poter ricompattare la fascritto un episodio delitmiglia. In particolare in una
tuoso di cui sarebbe staintercettazione ambientale,
to vittima il fratello Giusembra quasi che i veri canseppe Aquino. Rocco si
didati non fossero coloro che
riferiva all'episodio accasi erano presentati alle eleduto a fine agosto del
zioni comunali, ma i vari
2008, in cui il fratello Giucomponenti degli schieraseppe è stato raggiunto
menti criminali. Nell’ordidi striscio da alcuni colpi
nanza si evidenzia come i
d'arma da fuoco esplosi
componenti dei gruppi mada Luca Mazzaferro.
lavitosi avevano deciso di
Nell'occasione Aquino
comportarsi in vista delle
lamenta il fatto che i quoamministrative. E’ l’aprile
tidiani locali hanno pubblicato delle notizie false. del 2008. Di fronte si trovano
Rocco Femia e Carmelo CarAl contrario, però, come
bone. C’è da scommettere sul
è emerso dai successivi
cavallo vincente. Una vittoaccertamenti condotti
ria elettorale sarebbe vista
dalla Compagnia dei carabinieri di Roccella Joni- anche come l’affermazione
ca, Luca Mazzaferro, do- della supremazia di un gruppo un breve inseguimen- po malavitoso. Ecco, secondo i magistrati, il quadro che
to (lui sulla moto e Peppe
si presentò alla vigilia delle
a bordo della Nuova
elezioni che poi portò alla
Panda 4x4), ha esploso
sulla pubblica via di Mari- rottura nella famiglia Aquino. Da un lato c’era la frangia
na di Gioiosa Jonica (nei
riconducibile al ceppo di
pressi del comune) alcuRocco Aquino (classe 60) e
ni colpi di pistola contro
Giuseppe (classe 62), a quell'autovettura, danneglo di Nicola Rocco Aquino
giandola nella parte po(classe 44), nonché ai fratelli
steriore. L'auto, rinvenuColuccio, dall'altro la franto dai Carabinieri veniva
gia facente capo a Giovanni
sottoposta a sequestro
Faranna e ai figli di Francepoiché all'esterno della
carrozzeria venivano no- sco Aquino che si erano alleati con gli Agostino-Maztati alcuni fori riconducizaferro per supportare l'elebili alla perforazione delzione del candidato a sindaco
l'ogiva di un proiettile
del professor Rocco Femia,
esploso da una pistola.
me (lista civica Uniti per Marina di Gioiosa Jonica), poi eletto con il 50,85%
delle preferenze contro il 49,15 ottenuto dall'altro candidato Carmelo Carbone (lista “Per un Futuro migliore”) che sarebbe stato, invece, preferito dai fratelli Rocco Aquino e Giuseppe e dai Coluccio, con il loro entourage.
Il coinvolgimento e l'interesse per quanto stava
accadendo alla metà di aprile del 2008 era infatti
allargato anche ai rappresentanti del locale di
Grotteria, legati ai fratelli Rocco e Giuseppe
Aquino, nonché ai Coluccio. Ma ci sono una lunga serie di intercettazioni che mostrano l’interesse della malavita per la politica. “Dopo di che
quando hanno vinto, appena hanno vinto sai che
hanno fatto? tutti a flotta, tutta la Galea...infatti
questo è che non abbiamo capito, che non comanderanno quelli ma comanderà la Galea, tutti a
di Coluccio.
Antonio: vedi che ora con Federico ti mando l'assegno
Rocco: eh, si si...è andata bene?
Antonio: si, abbiamo raccolto tredicimila dollari
Rocco: quanto?
Antonio: tredicimila dollari
Rocco: e...a lire italiane...a coso
quanti sono?
Antonio: sono novemila euro, ottomila e cinquecento, novemila euro a seconda di come è il cambio quando vengono
Rocco: e poi lo versiamo in banca
Antonio: si lo versi, come quello dell'altro anno, lo versi in banca
Rocco: si si...lo intesti a nome della
squadra, hai capito?
Antonio: si si
Rocco: eh...e che volevo dire...Asd
Marina di Gioiosa metti
Antonio: A.S.?
Rocco: A.S.D. Marina di Gioiosa
Antonio: A.S.D.
Rocco: A puntata S puntata D puntata Marina di
Gioiosa
Antonio: ah, ok
Rocco: hai capito? così risulta che è per la squadra tutto bello e pulito
Antonio: si si si
35
Ufficio di Corrispondenza: Piazzetta 21 Marzo, 9 - 89024 Polistena Tel/Fax 0966.935320 E-mail: ilquotidianopiana@finedit.com
Operazione Califfo. Nelle carte dell’inchiesta che ha colpito il clan Pesce le ritorsioni del boss
Il linciaggio ordinato in carcere
Il detenuto che restituì il “pizzino” all’agente aggredito dai sodali della cosca
di MICHELE ALBANESE
PALMI - «Datemi stu biglietto cà sugnu rovinatu». Ciccio Pesce, il presunto giovane boss di Rosarno, cercò in tutti i modi di farsi restituire
quel pizzino che aveva scritto e che
aveva consegnato ad un altro detenuto. Dopo il suo arresto la sera del
9 agosto2011, avvenutoall’interno
di un bunker abilmente occultato
sotto un piazzale di cemento armato, protetto da una botola telecomandata e costruito all’interno della ditta “Demolsud” di Pronestì Antonio & C. sas”, Pesce venne portato
nel carcere di Palmi dove due giorni
dopo, mentre la Polizia Penitenziaria stava per trasferirlo in altro penitenziario, si verifica il sequestro
del pizzino che Pesce aveva tentato
di consegnare ad un altro detenuto
rosarnese. Erano le 20.10 dell’11
agosto quando nel fare uscire il detenuto dalla propria cella, un poliziotto si accorgeva che lo stesso, in
modo molto discreto, consegnava
un biglietto nella mano di un altro
detenuto, tale Giovinazzo Salvatore.Dopo averprovveduto arinchiudere Pesce nella propria cella, il poliziotto si fece consegnare il biglietto da Giovinazzo. In seguito, Pesce
supplicava di dargli il biglietto, dicendogli: «Datemi stu biglietto c’à
già sugnu rovinatu, vi giuru c’a u
sciancu davanti a vui». Visto chi
aveva di fronte il poliziotto informava il comandante del reparto di Polizia Penitenziaria che dava disposizione di perquisire il detenuto Pesce. Il quale continuava anche durante il tragitto in carcere a chiedere di poter strappare il bigliettino in
quanto era rovinato di suo e con il
suddetto biglietto si aggravava di
molto la sua posizione giudiziaria.
«Il detenuto era nervoso e tanto
preoccupato, solo ed esclusivamente per il rinvenimento del bigliettino», tanto che il comandante disponeva l’immediato allocamento del
detenuto presso il reparto infermeria. La vicenda poneva in luce, sin
dall’immediatezza, sia la natura criminale delle disposizioni impartite
da Pesce nel “pizzino”, che la caratura dei destinatari delle stesse. In
pratica il giovane boss, consapevole
dell’imminente trasferimento in
strutturapenitenziaria lontanadal
territorio d’origine e della possibile
applicazione del regime detentivo
di cui all’art. 41bis, si era premurato di impartire gli ordini essenziali
per il mantenimento dell’operatività dell’associazione criminale da lui
comandata, spiazzata dal suo recente arresto. Quanto accaduto ha
avuto strascichi perché il 25 agosto
l’agente che aveva proceduto al sequestro del biglietto subiva l’incendio della propriaautovettura privata il giorno successivo, inoltre, il detenuto Giovinazzo evidentemente
colpevole di aver consegnato il manoscritto alla guardia, veniva «accerchiato da una decina di altri detenuti» e solo l’intervento della Polizia
Penitenziaria interrompeva quello
che secondo i magistrati era un vero
e proprio «linciaggio».
L’aggressione perpetrata ai danni di Giovinazzo nel cortile passeggi del carcere non era stato un episodio casuale, bensì la manifestazione
concreta della «dura condanna nei
confronti del Giovinazzo per aver
ceduto il pizzino al poliziotto penitenziario che gli ordinava di consegnarglielo. Evidentemente, per i
sodali di Pesce Francesco, il Giovinazzo mai avrebbe dovuto obbedire
all’ordine ricevuto, ma distruggere
piuttosto il pizzino». Evidentemente, l’ordine di scuderia impartito ai
detenuti era che il giovane rosarnese dovesse pagare l’affronto patito
dal giovane boss. Giovinazzo pur riportando «escoriazioni al dorso e
narici del naso, discromie rossastre… escoriazioni al gomito sx superficiale» negò di essere stato aggredito e sostenne che era caduto in
maniera accidentale.
IL RETROSCENA
Pronto il battesimo per il geometra
Nel foglietto requisito dalla polizia penitenziaria le indicazioni
per l’inserimento di Berrica nell’organigramma della ’ndrina
ROSARNO – Nel pizzino sequestrato in carcere e scritto da Ciccio Pesce compare anche
la frase “Geometra Luca Santino”. Secondo i
magistrati quel nome farebbe riferimento a
Luca Berrica.
Le ragioni per le quali viene accostato al nome di battesimo anche quello di Santino sarebbe da ricondurre all’affiliazione alla cosca
del geometra. Il termine “Santino”, nel linguaggio ‘ndranghetista, rappresenta l’affiliazione all’onorata società di un giovane
“contrasto onorato”. Infatti tradizionalmente, durante la cerimonia di affiliazione, l’aspirante picciotto è chiamato a prestare un giuramento di fedeltà stringendo tra le mani un
santino, spesso costituito dalla rappresenta-
zione iconografica di San Michele Arcangelo. Le relazioni semiotiche applicabili alla
simbologia legata al “Santino” trovavano
larghe conferme nelle indagini sulla ‘ndrangheta. Nell’ordinanza Califfo vengono riportati stralci di alcune dichiarazioni rese dal
collaboratore di giustizia Luciano Piccolo, in
cui quest’ultimo descriveva la sua personale
esperienza di affiliazione alla ‘ndrangheta:
«Durante le fasi del battesimo mi praticarono
un taglio a forma di croce sulla parte superiore del pollice destro vicino all’unghia …dal
mio dito destro dovevano cadere tre gocce di
sangue dentro un piatto, quindi ...omissis...
prese un santino di S. Michele Arcangelo, lo
bruciò parzialmente e mise la cenere sulla ferita in modo tale che essa guarisse…».
Ciccio Pesce dimostrava di nutrire profonda stima e fiducia nelle capacità del geometra
Luca. L’inserimento da parte di Pesce del nome del “Geometra Luca” nella lista di cui al
“pizzino”, con l’indicazione “Santino”, pertanto, dimostra la volontà del boss detenuto
di inserire nell’organigramma della cosca il
geometra. E che Berrica fosse «un uomo a disposizione della cosca Pesce» secondo i magistrati veniva confermato il 19.10.2011,
quando alcuni militari effettuavano una perquisizione nell’abitazione del latitante Pesce
finalizzata al suo arresto. Dopo l’ingresso dei
carabinieri veniva convocato proprio Berrica il quale prontamente si sarebbe presentato
per perorare la causa dei Pesce fornendo, addirittura, la planimetria dell’immobile perquisito.
mi.al.
Il pizzino scritto in carcere da Pesce e intercettato
Nelle scritture di “Cicciu u testuni” i conti del gruppo criminale e gli stipendi degli affiliati
Tra gli appunti i negozi sotto torchio
I ritagli sequestrati all’esame di esperti per decifrarne i contenuti occulti
ROSARNO - Secondo i magistrati
il sequestro del pizzino aveva,
pertanto, scatenato una reazione
a catena che andava ben oltre la
posizione processuale del singolo
detenuto Francesco Pesce, investendo gli equilibri criminali
dell’intera famiglia mafiosa. Il clima di tensione creato all’interno
del carcere era talmente palpabile
per gli operatori penitenziari, che
veniva avanzata richiesta di trasferimento per tutti i sodali della
cosca Pesce.
«…Io quando una cosa me la
scrivo è quella (…) con certezza…».
Ciccio Pesce aveva l’abitudine
maniacale di annotarsi tutto, con
particolare riguardo alle somme
di denaro che provenivano dalle
estorsioni: la corretta tenuta delle
scritture contabili gli consentiva
di monitorare lo stato dei conti
della cosca e, al contempo, di poter contestare un mancato pagamento “con certezza” aveva ribadito.
Scriveva e annotava il giovane
boss ed era certo che quanto scritto o appuntato corrispondeva alla
verità.
Già nel 2007 i carabinieri accertarono che il giovane boss usava
mettere su carta tutte le entrate e
le uscite mensili del gruppo criminale da lui diretto.
Nel corso di una perquisizione
effettuata il 21 settembre del
2007 a casa della nonna Maria
Grazia Messina, dove lui abitava
prima di sposarsi, i militari
dell’Arma acquisivano del carteggio – per lo più manoscritto –
Una fase dell’operazione condotta dai carabinieri a Rosarno e, a destra, Ciccio Pesce detto “u testuni”
contenente sigle, cifre e nominativi che riscontravano molti punti
del pizzino sequestrato in carcere.
L’agenda 2007 di Pesce che ad
un primo sguardo poteva sembrare una confusionaria accozzaglia di dati, forniva pieno riscontro dell’esatta identificazione di
ben nove dei soggetti inseriti
all’interno del pizzino: Muzzupappa Francescantonio, Alviano
Giuseppe, Tocco Francesco Antonio, Marafioti Saverio, D’Amico
Danilo, Delmiro Biagio, Berrica
Giovanni Luca , Fortugno Domenico e Pesce Giuseppe.
Il carteggio sequestrato a casa
di Pesce Francesco conteneva
una serie di nomi, date, numeri e
somme di denaro, relativi a: numerosi esercizi commerciali del
circondario di Rosarno presumibili parti offese del reato di estorsione, attività di riciclaggio in favore della cosca, appuntamenti
con i sodali, contabilità delle imprese riconducibili alla cosca e
persino gli stipendi pagati agli affiliati.
Dati, cifre, spesso riportati in
codice sulle quali sono in corso altre indagini che puntano a fare
chiarezza sugli esercenti sottoposti ad estorsione.
Anche durante la latitanza, Ciccio Pesce portava sempre con sé
tutta la documentazione necessa-
ria per dirigere le complesse articolazioni del suo gruppo criminale.
Infatti, pochi istanti prima che i
militari dell’Arma irrompessero
all’interno del bunker all’interno
della ditta intestata a Pronesti la
sera del 9 agosto 2011 all’interno
del quale si nascondeva, “Cicciu u
Testuni” dava fuoco ad un quantitativo notevole di appunti, il cui
contenuto, evidentemente, doveva restare segreto.
Ma qualcosa, piccoli ritagli, si è
riuscito a salvare ugualmente ed
ora sono all’esame di esperti investigatori per decifrarne i contenuti occulti.
mi.al.
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Piana
Sabato 11 febbraio 2012
Sabato 11 febbraio 2012
Il film girato in Calabria sarà proiettato oggi e il 14 febbraio nel festival tedesco
“Aspromonte”
punta alla Berlinale
Con Franco Neri e le musiche di Peppe Voltarelli, la pellicola di Krissane
si mette in vetrina nel consueto spazio European film market
di ANTONIETTA CATANESE
IL film “Aspromonte” sbarca a Berlino: Obiettivo: promozione. Girato in Calabria, ed anche nel Comasco,
la pellicola di Hedy Krissane sarà alla Berlinale. Oggi
e il 14 febbraio verrà, infatti, proiettata l'anteprima
all'Efm, European Film
Market, appuntamento del
festival dedicato al business internazionale dell'audiovisivo. Il 14 febbraio, a seguire la proiezione, è prevista anche la conferenza stampa di presentazione con il regista Hedy
Krissane, l'attore protagonista Franco Neri, il producer per Publiglobe Luca
Perna e Carlo
Ferrucci
del
Corpo Forestale
dello Stato.
Si tratta infatti di un film sposato dal Gal Batir (Gruppo di
Azione Locale
Basso Tirreno),
sostenuto dalla
Fondazione Calabria Film Commission e
realizzato con la collaborazione del Corpo Forestale
dello Stato.
Si è girato in location
suggestive come Reggio
Calabria, Scilla, Bova, Pentedattilo, il film “Aspromonte”. Un lavoro “on the
road”, così nelle intenzioni
del regista, caratterizzato
dai set allestiti in ogni anfratto dei monti reggini e
della provincia: a Riace, a
Gambarie d'Aspromonte,
Gerace, Canolo e Montalto,
per citarne alcuni.
Anzi, il 29 settembre
scorso a Gerace si era tenuto un vero e proprio evento:
l'intera piazza della cittadina si era infatti trasformata in set, con un concerto
dal vivo dei Quartaumentata e la partecipazione di
tutta la cittadinanza alle riprese.
L'obiettivo dichiarato del
progetto cinematografico,
anche secondo la Fondazione Calabria Film Commission è quello di valorizzare
il territorio, la cultura, le
risorse professionali calabresi.
Questa opera prima di
Krissane, con Franco Neri
e Pier Maria Cecchini protagonisti, ha ottenuto il sostegno della Fondazione
proprio perché rispondeva
a queste caratteristiche. Le
musiche, poi, firmate dalcantautore Peppe Voltarelli sono una ennesima conferma della scelta di puntare su artisti calabresi, ma di
levatura nazionale e internazionale, dunque
sulle eccellenze.
Un film che
ha lanciato anche un forte
messaggio:
prova ne siano
le riprese nel
Santuario
di
Polsi. Scelto, secondo
quanto dichiarato dal responsabile location della
Fondazione Calabria film
commission Geria, come
location non solo perché si
tratta di un set naturale,
come il resto del nostro territorio, ma per lanciare un
messaggio forte: questi
luoghi non sono della 'ndrangheta, ma nostri, della gente, di chi ogni anno si
reca qui con fede.
E “Aspromonte on the
road” richiama alla mente
“Basilica coast to coast”. Lo
stesso Michele Geria della
Fondazione Calabria Film
Commission aveva sottolineato che questo film «vuole essere proprio un volano
di promozione turistica.
Non per niente la Fondazione ha avviato rapporti
Significative
le location
al Santuario
di Polsi
con le Film Commission
della Puglia, della Toscana
e della Campania. Per passare a sinergie concrete
con produzioni interregionali».
La commedia ha le carte
in regola per imporsi all'attenzione dei filmmaker:
gioca infatti sull’equivoco,
sui pregiudizi e gli stereotipi che la gente del Nord ha
nei confronti del Sud e dei
suoi abitanti, ed in particolare
nei
confronti
dell´Aspromonte, zona turisticamente sconosciuta
ma nota per essere stata
teatro di tristi fatti di cronaca.
Oltre agli attori protagonisti, Franco Neri, Pier Maria Cecchini e Maria Pia
Calzone, il film coinvolge
diverse personalità del territorio.
Sopra l’attrice Maria Pia Calzone e il regista Hedy Krissane in due delle location calabresi
del film “Aspromonte”, che oggi sarà proiettato al festival del cinema di Berlino
Carlei torna negli Usa con “Romeo e Giulietta”
Watts sarà Lady Diana, Redford scippa Di Caprio
di GIORGIO GOSETTI
ll regista lametino Carlei
BERLINO –Gli operatori economici ci speravano, gli organizzatori lo avevano promesso sia pure con debiti
scongiuri: a poche ore dal
tappeto rosso della serata iniziale il 62/o Festival di Berlino segna un nuovo punto a
favore grazie alla frenesia
operosa dei partecipanti al
mercato parallelo alla rassegna (European Film Market). E naturalmente fanno
quasi più notizia i progetti
firmati o rivelati delle trattative sui film in passerella in
questi giorni.
Ecco il primo, che riguarda l’Italia. La nuova compagnia di distribuzione internazionale (Speranza 13) di
Carmela Galano, ex presidente di New line, annuncia il
ritorno del regista lametino
Carlo Carlei (“La corsa di un
innocente”), che dirigerà
una nuova versione di “Romeo e Giulietta”, ancora negli Usa, con lo sceneggiatore
Julien Fellowes.
Poi i rumors internazionali. Sarà la giovane star americana Naomi Watts a impersonare la principessa Diana,
nel film “Caught in flight”,
scritto da Stephane Jeffreys.
A dirigere questa biografia a
cavallo tra immagine pubblica e privata, è il tedesco Oliver
Hirschbiegel assoldato per
l'occasione da produttori anglo-americani.
Ancora, dopo mesi di trattative e indiscrezioni è con-
fermato il ritorno sul set, da
protagonista assoluto, di Robert Redford. Sarà l’unico attore del nuovo film del regista-rivelazione
dell’anno,
J.C. Chandor, “Tutto è perduto”, un’esilarante tragicommedia sulle avventure di un
uomo solo disperso in mare.
Sembra che all’inizio Chandor avesse immaginato Leonardo di Caprio nel ruolo del
protagonista ma è sicuro per
Redford si tratterà di un’autentica sfida contro il tempo e
l’età.
Ritorna poid’attualità, per
l'ennesima volta, la fiaba de
“La bella e la bestia”. La nuova
versione, diretta da Christophe Gans vedrà Vincent Cassel nel ruolo della Bestia e Lea
Seydoux in quelli di Belle.
CURIOSITÀ
MUSICA INDIPENDENTE
Cris, star del talent latino
gira videoclip a Cosenza
Il reggino Eugenio Ripepi al Mei
Nel giorno di San Valentino parteciperà a un contest di brani sull’amor e
COSENZA - Nei giorni visiva. Venezuelano di nascorsi è stato girato a Co- scita ma cosmopolita (parsenza un videoclip del mu- la 5 lingue), Cris dopo un
sicista venezuelano Jerry breve periodo trascorso in
Gabriel Vale de Los Rios, in Italia ora è in Spagna. A
arte Cris. Il brano, dal titolo breve il video girerà nelle
principali ra“De Vez En
dio e televisioCuando” (in
ni sudameriitaliano “Ogni
cane e in Eurotanto”) è una
pa. E’ stato gicanzone d'arato grazie al
more
molto
contributo di
melodica,
e
Moris Orsold
l'artista ha riproduzione,
cevuto
l'apcon la modella
poggio del noVanessa Apoto produttore
lito, mentre la
Jasmil Marufotografia è a
fo. Testi e arCris e Vanessa nel video cura di Amerangiamenti
deo Greco e il
sono composti
interamente dal cantante, coordinamento e la promoche proviene dal talent su- zione di Andrea Cantelmi.
damericano “Estrellas de Cris ha commentato: «Sola musica”e spaziadal can- no innamorato dell'Italia, e
to alla chitarra, dal piano- il mio prossimo singolo saforte alla conduzione tele- rà in lingua italiana».
REGGIO C. - Lo avevamo incontrato
l'anno scorso in occasione del lancio
del suo ultimo lavoro, “La buccia del
buio”. Eugenio Ripepi, cantautore nato a Reggio ma imperiese d'adozione,
continua a mettersi in evidenza. Sarà
infatti ospite a Sanremo del Meeting
degli indipendenti (Mei) per la presentazione del World music Word. Il 14
febbraio, nella Casa Sanremo (Sala Ranuncolo del Palafiori) sarà infatti tra i
protagonisti del primo social working musicale. L'artista e gli altri
ospiti si esibiranno con un brano del
loro repertorio sul tema dell'amore:
verrà premiata la canzone indipendente più votata nel contest promosso
sulla pagina Facebook ufficiale del
Mei.
Eugenio, nato a Reggio nel 1979,
cresce in terra calabrese fino all'età di
18 anni. “La buccia del buio”, registrato all'Ithil World di Fabrizio Noè ad Imperia (insieme al fonico Giovanni Nebbia) aveva visto la partecipazione di diversi arrangiatori di prestigio: Valter
Ferrandi, Corrado Trabuio, Matteo
Eugenio Ripepi
Dolla (Bluvertigo, Lacuna Coil, Giorgia) e Claudio Lugo. Eugenio, come su
queste colonne ci raccontava, a 18 anni decideva di lasciare la sua città, dopo essersi formato in ambienti come
quelli del Rhegium Julii, tra poesia,
letteratura e musica. A Venezia avrebbe infine abbracciato la sua prima chitarra. I cinque anni successivi in Laguna avrebbero segnato l'inizio della
sua carriera artistica come attore di
prosa. Ripepi è regista di diversi allestimenti e direttore artistico di stagioni di spettacoli. Leesperienze di palcoscenico si contaminano con il cinema.
Ha inoltre pubblicato due libri di
componimenti poetici (“La luce scalza” nel 2002 e “Eredi del punto su tele
di carne” nel 2004). Sono in attesa di
pubblicazione un terzo volume di poesie ed i suoi studi accademici sul cantautore Piero Ciampi e sul Teatro-Canzone. Tra gli ultimi riconoscimenti c’è
la menzione speciale al concorso letterario inediTo 2011 nella sezione testo
canzone all’ultimo salone del libro di
Torino.
Il sogno di Eugenio ancora nel cassetto? «Il desiderio più grande - ci raccontava poco tempo fa - è esibirmi nella
mia città, e nel nostro teatro, il Cilea».
ant. cat.
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52 Spettacoli e televisione
21
Sabato 11 febbraio 2012
REDAZIONE: via Rossini, 2 - 87040 Castrolibero (CS) - Tel. (0984) 852828 - Fax (0984) 853893 - E-mail: ilquotidiano.cs@finedit.com
Cassano
L’Intervento
Il sindaco si dimette
sceglie la Regione
Sull’Unical
bisogna
essere
più prudenti
San Marco Argentano
Sigilli all’ambulatorio
dell’ospedale
a pagina 31
L’ospedale di S. Marco
a pagina 35
Gianluca Gallo
I legali: «La normativa in materia è complessa, ma i nostri clienti sono innocenti»
Confidi, tutti in libertà
Vecchione e Carotenuto ai domiciliari, per Falanga solo la firma
IL Tribunale del riesame ha
revocato gli arresti domiciliari al commercialista Giovanni Falanga, arrestato la
settimana scorsa insieme al
consigliere provinciale Giuseppe Carotenuto e Gianfranco Vecchione, accusati
di associazione a delinquere, truffa e peculato.
L’indagato difeso gli avvocati Carlo Salvo del foro di
Castrovillari e Franco Vincenzo Locco del foro di Cosenza ha ottenuto dal tribunale la misura cautelare meno afflittiva dell'obbligo di
dimora. Il sede di interrogatorio di garanzia il commercilista avava giù
pottenuto
dal
giudice per le indagini prleiminari il beneficio
di potersi recare
al lavoro, nel suo
studio commerciale, ogni giorno dalle 9 alle 13 e
dalle 16 alle 20.
Con provvedimento depositato sempre in data odierna il Tribunale del riesame
di Catanzaro, in accoglimento della richiesta difensiva, ha revocato la misura
custodiale applicata dal Gip
disponendo l’applicazione
degli arresti domiciliari nei
confronti di Gianfranco
Vecchione e di Pino Carotenuto, che nel primo pomeriggio di ieri hanno lasciato
liberi il carcere di Cosenza.
Naturalmente
grande
soddisfazione per i provvedimenti è stata espressa dal
collegio difensivo composto
dagli avvocati Franco Locco,
Emiliano Iaquinta e Carlo
Salvo.
«Prendiamo atto con moderata soddisfazione della
decisione del Tribunale di
Catanzaro - si legge in una
nota dei legali - che, pur decidendo in pochissimi giorni
su di un voluminoso fascicolo d’indagine accresciuto di
nuovi elementi di prova in
sede di discussione prodotti
dal P.M. , ha saputo mantenere una linea di equilibrio e
di garanzia. Per conoscere
gli esatti termini del ragionamento seguito occorrerà
leggere attentamente il dispositivo e, soprattutto, le
motivazioni; certamente i
fatti saranno stati considerati ridimensionati e le condotte
saranno state riviste».
«Rimane il fatto - continua la
nota - che il Tribunale, pur alla
presenza di un
quadro probatorio che era peggiorato a carico degli indagati , ha ritenuto di adottare una misura custodiale meno grave , nonostante che il P.M. in udienza
avesse concluso per la conferma della misura che, a
questo punto, poteva e doveva essere adottata sin
dall’inizio in quanto il quadro indiziario sussistente al
momento della decisione del
Gip di Cosenza era meno
grave e meno solido. Gli indagati si protestano innocenti e confidano che, una
lettura serena , imparziale e
non frettolosa delle carte e
della complessa normativa
in materia, dimostrerà l’inconsistenza delle accuse a loro carico».
Per il pm
le misure erano
da confermare
La conferenza stampa degli inquirenti
Maltempo
La nuova Piazza Bilotti
La neve imbianca la città
Il progetto della discordia
ARRIVA la neve in città. Cosenza si sveglia
imbiancata ma senza
grossi disagi. Le strade, infatti, sono percorribili fin dalle prime
ore del mattino. Il sindaco, per precauzione, ordina la chiusura
delle scuole per ieri e
oggi.
IL PROGETTO della
nuova piazza Bilotti
continua a far discutere. L’opposizione dà
ragione a Caruso: «Il
Comune ha fatto solo
piccole modifiche».
Per l’architetto Palazzo dei Bruzi ha solo
leggermente cambiato l’idea originaria
a pag. 22
a pag. 23
UDIENZA DAVANTI AL GUP
Truffa alla 104, il pm ribadisce il rinvio a giudizio
Professori accusati di aver raggirato l’ufficio scolastico per ottenere assegnazioni vicino a casa
SONO ventiquattro le persone, tutte
gravitanti nel mondo della scuola,
accusate dalla Procura di Cosenza di
falso ideologico. Ieri davanti al gup
Livio Cristofaro la requisitoria del
pm che ha confermato le accuse, il
procuratore aggiunto Domenico Airoma ha ribadito nell’udienza davanti al gup la richiesta di rinvio a giudizio per i professori accusati di aver
beneficiato della legge 104 senza
averne i requisiti richiesti. A detta
dell’accusa avrebbero dichiarato il
falso pur di salire in graduatoria e ottenere l’assegnazione di incarichi vicino al luogo di residenza per assistere in modo “costante e assiduo” genitori, nonni e nipoti con problemi di
invalidità. In realtà, almeno così è risultato dalle indagini, questi ultimi
erano già accuditi da altri congiunti,
in alcuni casi pure da badanti; alcuni
di essi, poi, sono risultati residenti da
tutt’altra parte, certi anche in case di
riposo. Da qui, lo scorso giugno, la
chiusura delle indagini preliminari,
con venticinque persone sotto accusa, alla quale in questi giorni ha fatto
seguito la richiesta di rinvio a giudizio per i ventiquattro indiziati (uno
in meno, dunque), che rispondono ai
nomi di Maria Bisceglia, 56 di Rende,
Giuseppina Caputo, 55 di Rende,
Orietta Cosentino, 42 di Rende, Pasquale Cozza, 52 di Rende, Selene
Giannuzzi, 42 di Rende, Luigi Gaudio, 59 di Fagnano Castello, Rosaria
Ginese,43di Acri,AdeleGranato,52
di Cosenza, Rosa Alba Rita Guarascio, 54 di Pedace, Emanuela Anto-
nella Lucirino, 32 di Cosenza, Maria
Mancuso, 51 di Montalto, Rosanna
Mannarino, 57 di Castrolibero,
Olimpia Marini, 54 di Santo Stefano
di Rogliano, Franca Luisa Marrelli,
56 di Montalto, Maria Francesca
Massaro, 45 anni di Castrolibero,
Gennaro Migliano, 55 di Rende,
Francesco Giovanni Naccarato, 55 di
Cosenza, Rita Paoli, 60 di Rende, Silvana Scicchitano, 60, originaria di
Crotone con residenza a Rende, Luigi Serpa,46 anni diCosenza, Giuseppina Surace, 50, originaria di Reggio Calabria con residenza a Rende,
Vittoria Amedeo, 53, originaria di
Messina con residenza a Cosenza,
Giuseppina Branda, 46 di Cosenza,
ed Emanuela Ominelli, 37 di Castrolibero. Secondo il procuratore Gra-
nieri e l’aggiunto Airoma in tutti e
ventiquattro i casi presi in esame non
sussiste “il presupposto della effettività dell’assistenza”. Proprio sui presupposti di effettività dell’assistenza
e sulla continuità sono intervenuti
ieri davanti al gup alcuni degli avvocati del collegio difensivo che hanno
portato ad esempio alcune sentenze
del Consiglio di Stato e hanno sottolineato come negli ultimi anni siano
cambiati i contorni della legge 104. I
ventiquattro sono difesi, tra gli altri,
dagli avvocati Maurizio Nucci, Francesco Costabile, Concetta Coscarella,
Giustino Mauro, Pietro Perugini, Innocenzo Palazzo, Nicola Carratelli e
Ornella Nucci. La prossima udienza
si terrà il 26 marzo.
tiz. a.
LA Segreteria Uil ritiene
che la notizia sull’allargamento delle indagini ad
«altre Facoltà» dell’Università della Calabria, in
relazione alla regolarità di
alcuni esami, sia stata riportata dalla stampa locale con troppa evidenza. Il
Quotidiano della Calabria
ne ha fatto il titolo di apertura nell’edizione del 9
gennaio scorso.
Si tratta di un’indagine
lunga e difficile, che non
ha ancora individuato responsabilità precise e, comunque, i casi sotto osservazione, sempre da fonti
giornalistiche, sono circoscritti. Oggi, la decisione
della Procura di fare altre
verifiche ha “guadagnato” gli onori della prima
pagina.
Fermo restando il diritto di cronaca, l’iniziativa
giornalistica, più che i
contenuti, sembra ricercare lo scoop, tralasciando
tutte le implicazioni negative che possono generarsi
ad una lettura dell’articolo, priva delle necessarie
contestualizzazioni.
L’Università della Calabria, benché operante in
un contesto evidentemente sfavorevole, sia per ragioni socio-economiche legate a un territorio povero
sotto tutti gli aspetti, sia
per tutte le difficoltà finanziarie proprie, dovute ai tagli ministeriali, ogni giorno combatte le propria battaglia per proseguire la
missione, originariamente assegnatale dalla legge
istitutiva. Nei quaranta
anni di vita dell’ateneo, il
tempo non è trascorso invano. I risultati sono sotto
gli occhi di tutti: grande
attrattività (34.000 studenti); carattere internazionale per la presenza di
numerose compagine studentesche straniere; attività di ricerca di qualità,
atteso che la partecipazione ai bandi Ministeriali destinati al finanziamento
per lo sviluppo della Ricerca e per la competitività
delle imprese ha premiato,
in modo consistente, i progetti presentati dai nostri
ricercatori; grande impegno ad impedire che il nostro capitale umano possa
essere costretto ad abbandonare questi territori, attraverso il sostegno delle
iniziative imprenditoriali
dei giovani ricercatori
(spin-off e start-up); garanzia del diritto allo studio, attraverso l’erogazione di tutte le risorse disponibili e di strutture ricettive sempre più di qualità;
grandi opportunità di lavoro per tutto il sistema indotto, che garantisce sostegno e reddito a tante famiglie,eccetera. Questirisultati sono anche frutto
del grande impegno del
personale tecnico amministrativo, dei ricercatori
e dei docenti, che oggi, di
fronte alla notizia da cui
trae spunto questa riflessione, manifestano il tutto
il loro disagio. Impegno,
partecipazione,
grancontinua a pag. 26
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Cosenza
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sabato 11 febbraio 2012
anno VII numero 41
€ 1,00
direttore piero sansonetti
WHY NOT
«Saladino al vertice
dell’associazione»
Le motivazioni della Corte d’Appello
CATANZARO La Corte di
appello di Catanzaro nel motivare la sentenza sul processo
“Why Not” relativa a presunti
illeciti nella gestione dei finanziamenti pubblici spiega come
si è arrivati a condannare Saladino anche per il reato di associazione a delinquere a 3 anni e 10 mesi.
quotidiano d’informazione regionale
pd
D’Attorre indica la strada
Rinviata l’assemblea dei circoli del Pd a
causa del maltempo. Il commissario D’Attorre, alla presenza del coordinatore nazionale
Maurizio Migliavacca, ha incontrato gruppo
regionale, amministratori e parlamentari.
> pagina 8
> pagina 3
Atene brucia
Cinque ministri
si dimettono
> pagina 9
Preso “u Colonnello”
Viveva in un bunker
Il boss Rocco Aquino era nella sua casa di Marina di Gioiosa
ATENE Guerriglia in strada e implosione nel governo: Atene è in ginocchio nel
primo dei due giorni di sciopero generale
proclamato dai sindacati. contro la nuova
austerità. Lo scontro sul piano dei tagli ha
provocato una raffica di dimissioni nel governo di Lucas Papademos che ora è in
affanno.
> pagina 8
“Vento del Nord”
Le richieste del pm
REGGIO CALABRIA «Confermare la
sentenza di primo grado per tutti gli imputati». Non ammette sconti la requisitoria del sostituto procuratore generale Santo Melidona. Nel corso del suo intervento
il magistrato ha chiesto la conferma di tutto l’impianto accusatorio per gli imputati
del processo “Vento del Nord”.
Troppi parti cesarei
I Nas nelle cliniche
> pagina 2
Malasanità, Scopelliti:
dati in calo, fare meglio
MARINA DI GIOIOSA (RC)
Come tutti i boss latitanti del suo
spessore non aveva abbandonato
il territorio su cui esercita il predominio, anche per poter continuare a gestire direttamente, ed in loco, gli affari della cosca. Per questo Rocco Aquino, 52 anni, detto
il “colonnello”, ritenuto il capo indiscusso dell'omonima cosca che
ha la sua base a Marina di Gioiosa Ionica, aveva deciso di starsene
a casa. Il nascondiglio, però, non
è sfuggito ai carabinieri che dopo
oltre un anno di indagini hanno
individuato e arrestato Aquino, il
cui nome era inserito nell'elenco
dei 100 latitanti di massima pericolosità. Non è stato facile per lo
squadrone cacciatori, riuscire ad
individuare il nascondiglio dove
Aquino, probabilmente, si nascondeva dal luglio 2010, quando
si rese latitante sfuggendo alla cattura nell'ambito dell'operazione
Crimine.
> pagine 6 e 7
REGGIO
Bilancio comunale 2011
Demi Arena: è in attivo
> pagina 11
> pagina 10
maltempo
Mezza Calabria sotto la neve
> pagina 4
LUNA ROSSA
di Pasquino
Resa
La Camera dei deputati ha approvato il decreto,
subito battezzato, per terrorizzare l'opinione
pubblica, come decreto svuota carceri. Per Di Pietro,
al quale dovrebbero essere dati almeno dieci anni di
carcere duro per offesa al sentimento di
conoscenza comune lingua italiana, è qualcosa di
peggio.E’ la “resa incondizionata dello Stato ai
criminali”. Sarebbe così se Di Pietro sapesse che
cosa significhi “resa incondizionata”.
dal POLLINO
alloSTRETTO
calabria
ora
SABATO 11 febbraio 2012 PAGINA 5
La stampa nazionale
Ieri tutti i
principali quotidiani
hanno parlato della
vicenda di Maria
Concetta Cacciola.
L’Unità ha dedicato
l’apertura del
giornale a questa
triste storia. Storie
di donne che
denunciano, si
ribellano e, talvolta,
vengono uccise o
non reggono. Come
Lea Garofalo e
Maria Concetta
Cacciola
E l’Italia scoprì le donne antimafia
La vicenda di Maria Concetta Cacciola ripresa da tutti i quotidiani nazionali
REGGIO CALABRIA In
principio fu il silenzio. Adesso
il clamore. Se il procuratore
della Repubblica di Reggio
Calabria, Giuseppe Pignatone, voleva una conferma sul
fatto che quel “cono d’ombra”
sulla ’ndrangheta fosse stato
ampiamente squarciato, la vicenda degli arresti dei familiari di Maria Concetta Cacciola, ne ha dato ampia testimonianza. Come e più di altre
indagini anche di maggiore
portata. Sono stati tantissimi,
infatti, i media nazionali che
hanno dato risalto all’inchiesta condotta dalla procura
della Repubblica di Palmi, coordinata da Giuseppe Creazzo. L’arresto degli aguzzini
della Cacciola, indotta a suicidarsi a seguito di continui e ripetuti maltrattamenti, ha fatto in poche ore il giro d’Italia.
E se internet oramai consente di acquisire informazioni
precise ed estratti di provvedimenti giudiziari (spesso – e
senza capire come sia possibile – ancor prima delle usuali conferenze stampa) ciò che
più ha impressionato nella
mattinata di ieri è stato leggere le prime pagine dei maggiori quotidiani nazionali che
hanno quasi tutti richiamato
la notizia rimbalzata da Reggio Calabria. L’Unità, addirittura, con un ampio servizio a
firma del collega Gianluca Ursini, ci ha fatto la copertina.
Trattandosi di una testata
quasi sempre attenta alle tematiche politiche più che a
quelle di cronaca spicciola, si
comprende come le vicende
concernenti le “donne di
’ndrangheta” stiano diventando sempre più centrali nel pa-
norama dell’informazione nazionale. A fare da apripista a
questo fenomeno è stata la tristissima storia di Lea Garofalo, la collaboratrice di giustizia
scomparsa nella notte tra il 24
ed il 25 novembre 2009. Lea
aveva deciso di saltare il fossato e dire tutto ciò che sapeva.
Lei che era moglie di Carlo
Cosco, esponente di spicco
della ’ndrangheta, si era ribellata. Così aveva vuotato il sacco, fatto nomi e cognomi, descritto fatti e circostanze. Ed
erano arrivati gli arresti. Ma
la ’ndrangheta non dimentica
guardia di finanza
Truffe, 4383 persone
denunciate nel 2011
Nel corso del 2011 la Guardia di finanza ha denunciato in Calabria 4.383
persone responsabili di truffe ai danni
dell’Unione europea, dello Stato e della Regione Calabria, recuperando risorse per oltre 83 milioni di euro. È quanto riferisce il Comando regionale facendo un resoconto dell’attività svolta lo
scorso anno. Nel contrasto alle truffe
perpetrate in materia di finanziamenti
comunitari, sono stati denunciate 231
persone che avevano illecitamente richiesto aiuti comunitari per oltre 68 milioni di euro, 20 dei quali sono stati
bloccati prima della loro erogazione.
Nel settore delle truffe in materia di finanziamenti nazionali sono state denunciate 4.152 persone che avevano richiesto finanziamenti per circa 24 milioni di euro. Di questi, circa tre milioni sono stati bloccati prima della loro
erogazione.
e soprattutto non perdona.
Lea doveva pagare per aver
disonorato la sua famiglia. Lo
ha fatto nel modo più cruento
per mano del marito. Cosco
ha deciso che di quella donna
non doveva più rimanere
traccia e così l’ha sciolta nell’acido, quasi a voler intendere una cancellazione anche
materiale della donna che lo
aveva “tradito”. Dalla furia
della malapianta, è chiaro,
non si scappa. E se non uccide induce ad uccidersi. Maria
Concetta Cacciola ha scelto di
morire usando anche lei l’aci-
do muriatico. Un rituale che
ritorna. Lo Stato non è riuscito a proteggerla dalle malversazioni cui era sistematicamente sottoposta, nonostante
dalle intercettazioni emergesse la gravità della situazione
che la donna stava vivendo.
L’amore verso i figli ha avuto
il sopravvento e Maria Concetta ha detto basta. Indotta
da continui maltrattamenti fisici, certo, ma soprattutto psicologici. Anche lei aveva tradito. È stata costretta a ritrattare, così dicono le indagini. Ma
ciò che nessuna inchiesta po-
Migliorano le condizioni
del giovano ferito a Sinopoli
PALMI (RC) Migliorano le
condizioni del giovane Francesco
Lupoi, il venticinquenne di Sinopoli colpito nella mattinata di giovedì da due colpi di arma da fuoco davanti al bar nel quale presta
servizio assieme al fratello.
Il ragazzo era stato trasportato
in ospedale subito dopo l’agguato
da alcuni familiari, che dopo averlo raccolto da terra lo hanno caricato in macchina lanciandosi di
corsa verso gli ospedali Riuniti di
Reggio Calabria, dove Lupoi è stato immediatamente sottoposto ad
intervento chirurgico per l’asportazione dei due proiettili che lo
avevano colpito alla gamba e al
basso ventre. Il barista è attualmente in prognosi riservata ma
non è in pericolo di vita.
Proseguono intanto le indagini
dei carabinieri della compagnia di
trà mai dire è che le donne di
’ndrangheta che hanno la forza di dire basta, molto spesso
non possiedono quella di continuare da sole in quel cammino di “redenzione” e libertà. Ecco perché se Lea e Cetta
sono oggi l’emblema del volto
rosa che si ribella dall’interno
al crimine, divengono anche
l’emblema più spietato di uno
Stato che ha ancora tanta
strada da fare sul fronte delle
garanzie nei confronti di chi
si getta più o meno disperatamente tra le sue “braccia”.
Consolato Minniti
sparatoria. Tra qualche giorno,
quando cioè le condizioni dell’aggredito lo consentiranno, verrà
ascoltato lo stesso Lupoi che poVilla San Giovanni guidati dal ca- trebbe fornire agli inquirenti inpitano Occhiogrosso che, avvisati formazioni utili sul movente e suldai medici del pronto soccorso so- la dinamica dell’aggressione.
Un’aggressione che nelle ricono accorsi sul luogo dell’agguato
assieme agli esperti della scienti- struzioni della prima ora appare
fica che hanno rinvenuto i tre bos- molto simile ad un agguato in piesoli calibro 7,65 (un calibro picco- no stile mafioso, visto che l’aglo ma che ultimamente viene uti- gressore ha colpito il suo bersaglio
lizzato sempre più spesso negli in pieno giorno (tra le 10 e le 11
del mattino) e a
episodi di sangue in
due passi dalla
questo pezzo di CaInterrogati
chiesa principalabria) esplosi dalfamiliari e amici
le del piccolo
l’aggressore.
centro asproLupoi risulta indel 25enne
montano, incucensurato e sembreLupoi
risulta
rebbe slegato dal
rante delle perincensurato
mondo del crimine
sone che a quelorganizzato presenl’ora affollavano
te in città, anche se nessuna pista la piazza. L’indagine rimane nelle
viene per ora esclusa dagli inqui- mani del procuratore capo di Palrenti che stanno interrogando, per mi, Francesco Creazzo e il suo soora senza riscontri, familiari e stituto Antonio D’Amato.
amici della giovane vittima della
vimp
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lotta alla ’ndrangheta
IN TRAPPOLA
Sopra, il boss Rocco Aquino. A destra,
i carabinieri dello squadrone cacciatori
schierati nei pressi della villetta
Preso il boss Rocco Aquino
Latitante da due anni, spingeva il rosone sul soffitto e si infilava nel bunker
cercati più pericolosi, è stato
catturato. Lo hanno preso al
Una scala in alluminio, termine di un’operazione che
una spintarella al rosone ag- ha visto oltre cinquanta uoganciato al soffitto ed ecco il mini in divisa dispiegati nelrifugio del superlatitante la periferia di Marina di GioRocco Aquino, il padrino di iosa, in via Primo Tronco, per
Marina di Gioiosa sfuggito al circondare una villetta in cima alla saliblitz “Crimita. Dopo aver
ne”. Il boss,
Sentendosi
fatto irruzio52 anni, si
in
trappola
ha
ne nell’abitanascondeva
urlato: «Sono io zione, una
in un minucostruzione
scolo anfratRocco Aquino.
in cemento
to ricavato
Complimenti»
nascosta dai
nel sottotetto
rami degli aldi casa, dove
si era portato anche un cusci- beri, i carabinieri dello Squano per poggiare la testa. Ap- drone cacciatori si sono acpena sentiva puzza di sbirri, quartierati lungo il corridoio,
se ne stava nel suo covo se- tra il bagno e la camera da
greto. Ore e ore accovaccia- letto. Qui hanno iniziato a
to. Nel pomeriggio di ieri, do- picchiettare il solaio. Quanpo quasi due anni di latitan- do il padrino si è sentito in
za, “il colonnello”, il fuggia- trappola, è uscito allo scopersco inserito dal ministero del- to urlando:«Sono io, Rocco
l’Interno nella lista dei 100 ri- Aquino. Complimenti» ha
MARINA DI GIOIOSA J. (RC)
poi sorriso ai militari. Il capomafia è stato subito accompagnato nel carcere di
Reggio Calabria.
Per la Procura distrettuale, è un mammasantissima
della Cupola calabra. Il suo
arresto, in serata, è stato
commentato dal magistrato
Nicola Gratteri: «È uno
’ndranghetista di primo piano. La sua cattura insegna a
non mitizzare l’invincibilità
di questi uomini», ha detto il
procuratore aggiunto della
Dda.
Il boss era ricercato dal luglio 2010, quando scatta il
blitz denominato “Crimine”.
Gli agenti, quel giorno, si presentarono in via Primo Tronco per ammanettarlo, ma
non lo trovarono. I dialoghi
captati lo avevano indicato
come un capo, ma lui era
sfuggito all’arresto.
Anche l’intercettato Giu-
seppe Commisso, l’autorevo- avevano fatto irruzione nelle
le padrino di Siderno, si ri- case dei suoi fedelissimi. In
volgeva spesso a lui: «Ne par- quattro abitazioni hanno rinlo con Rocco e si decide in- venuto dei bunker abilmente
sieme», rispose una volta a occultati. Nascondigli, all’inun tipo che era andato a far- terno dei quali sono stati segli visita. Rocco Aquino, bat- questrati cinque computer,
tezzato boss di rango, con- ricevute relative a vincite
trollava Ma(Lotto e Surina di Gioioperenalotto)
Era nell’elenco
e alcune letsa, un tempo
dei
cento
feudo
dei
tere. Il naricercati
Mazzaferro,
scondiglio
ed era il pascovato ieri
più pericolosi
tron
della
non è un rifudel Paese
squadra di
gio high tech,
calcio. Il suo
supertecnopotere, però, si è via via este- logico. Per accedere, basta inso. Documenti in mano agli filare una scala e spingere in
investigatori lo raccontano dentro il rosone fissato al sofcome un narcotrafficante fitto. Una volta all’interno, ci
omaggiato e riverito dai clan si trova in un buco lungo due
di Reggio Calabria e dintorni. metri e alto poco meno.
Tempo addietro, convinti di Niente soldi, né armi. Solo un
prenderlo, i carabinieri sono cuscino. Il fuggiasco lo usava
entrati nella sua villa con i come poggiatesta. Durante i
martelli pneumatici. Prima ripetuti sopralluoghi degli in-
quirenti, se ne stava disteso
ad aspettare, protetto dai
suoi familiari. Ieri, dopo la
cattura, i carabinieri hanno
perquisito la casa del capomafia. Due piani setacciati da
cima a fondo dai militari dello Squadrone cacciatori.
Nei confronti del clan di
Marina di Gioiosa, lo scorso
ottobre, è stato emesso un
provvedimento di sequestro.
Sono stati sottratti ville, terreni, una lussuosissima barca, auto fiammanti e quote
societarie. Un tesoro nascosto nella disponibilità dei fratelli Giuseppe e Rocco Aquino. Giuseppe è ancora latitante. Come l’altro fratello,
Domenico, e lo zio, Nicola
Rocco. «Oramai sono entrati nel vero business, fanno
parte della mafia d’elite» dicono gli investigatori.
ILARIO FILIPPONE
regione@calabriaora.it
lo squadrone cacciatori
I “Falchi”, gli specialisti dei covi
Ecco chi ha catturato il padrino
COSENZA Uomini ombra? No, materia
cangiante che appare e scompare. Non è la variazione cromatica a rendere visibili - o invisibili - i “Falchi”; non i colori delle divise che, multiformi, si adattano alle esigenze mimetiche dei
contesti operativi più impensabili. Ma l’addestramento. E la preparazione tecnica che, negli
ambienti degni delle migliori sceneggiature dei
film d’azione, non ha eguali. Sono i migliori, i
“Cacciatori di Calabria” quando di mezzo c’è il
rischio. I migliori in assoluto.
Non nasce oggi la notorietà del reparto d’élite dell’Arma. Non ieri. Ma neanche in un passato troppo remoto. È dal 1991 che sono pienamente operativi i ragazzi dello Squadrone eliportato Cacciatori, di stanza al Gruppo operativo Calabria con sede a Vibo Valentia. Ed è dal
’91 che alla loro perizia operativa s’affidano gli
apparati dello Stato che intendono riappropriarsi del controllo di quelle aree della regione
considerate inaccessibili. Furono istituiti allo
scopo di battere palmo a palmo i boschi
d’Aspromonte tra le cui fronde intrecciate a nodi strettissimi mai nessuno s’era inoltrato. E fu
affidato loro un compito gravoso: stanare gli
uomini che s’erano resi protagonisti di un delitto gravissimo: l’aver sottratto la libertà ai figli o ai nipoti o ai congiunti in genere di gente
danarosa. Furono istituiti per contrastare i sequestri di persona. E il loro modello operativo,
subito risultato efficace e spesso vincente, venne immediatamente replicato in Sardegna, dove imperversava quasi incontrastata l’Anonima sequestri che sotto la regia di Graziano Mesina nascondeva in Supramonte le vittime
d’una violenza barbara di cui anche Fabrizio De
Andrè fece le spese...
Ben presto, però, la mission dei “Falchi” di
Calabria venne trasformata in corsa, sulla scorta delle mutate esigenze di polizia giudiziaria
che sempre si adattano alla tipologia di reato
che bisogna contrastare. Tra i monti calabresi,
prima, venivano cercati i covi dei sequestratori; tra i monti calabresi, poi, furono cercati i
bunker degli ’ndranghetisti che avevano deciso
di darsi alla macchia e diventare, appunto, classici uccel di bosco. Molti malavitosi - di altissimo spessore criminale - sono stati assicurati alla giustizia proprio grazie all’intervento determinate dei “Falchi” che hanno sviluppato tecniche raffinatissime di intervento, capaci di
mandare fuori pista anche i più incalliti uomini del malaffare costretti a convivere quotidianamente con la paura. Agiscono “di iniziativa”,
infatti, i Cacciatori calabresi al contrario di quelli sardi, che prevalentemente sono di “supporto” ai reparti territoriali. Interventi di iniziativa
che hanno consentito di stringere le manette ai
polsi ai principali capi delle ’ndrine reggine che
in Aspromonte hanno trovato “accoglienza”.
Quella di Rocco Aquino è l’ultima cattura in
ordine di tempo, una tra le più importanti, ennesima conferma delle spiccate doti d’azione
d’un gruppo operativo che all’Arma dei carabinieri le altre forze di polizia invidiano.
PIER PAOLO CAMBARERI
pp.cambareri@calabriaora.it
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lotta alla ’ndrangheta
Il “colonnello”
nipote prediletto
di zio Salvatore
Si occupava tra le altre cose di mantenere
i rapporti con i gruppi della Lombardia
REGGIO CALABRIA Non ha mai tradito cluso in carcere per lungo tempo ed in regime
la tradizione il boss Rocco Aquino. I carabinie- di 41 bis, ha deciso di designare i suoi nipoti
ri del Ros lo hanno trovato all’interno di un bun- quali reggenti del clan. Rocco e Giuseppe hanker realizzato in casa sua nel suo territorio di no avuto quindi il compito di assumere tutte le
Marina di Gioiosa Jonica. Lui, da capofamiglia decisioni più importanti concernenti le attività
consumato, aveva deciso di non allontanarsi illecite della cosca. Questi, non avendo alcun tidalla sua terra d’origine. Del resto, la sua inve- po di condanna alle spalle o provvedimenti definitivi in materia di mafia,
stitura a capo società era stata
hanno potuto mettere su
più volte confermata da diverEra sempre lui
un’organizzazione capillare desi esponenti della ’ndrangheta
che
teneva
dita alle “attività” di famiglia
che gli riconoscevano un carispartendosi compiti e gestioni.
sma decisamente elevato. Lo
i contatti
Sono uomini che conoscono le
chiamano “il colonnello”, simcon la famiglia
regole, gli Aquino. Sanno che il
bolo di “alto grado”, ma anche
Coluccio
loro zio vuole essere informato
di servizio.
su tutto. Giuseppe e Rocco si
Aquino, probabilmente, sapeva già in anticipo che gli uomini del Ros lo recano con regolarità in carcere e parlano, lo
stavano cercando. Lo sapeva ben prima del 13 aggiornano e lo rassicurano: «Potete stare tranluglio 2010 quando fu data esecuzione all’ope- quillo che stiamo tutti bene in famiglia». In rerazione “Il Crimine”. Ed è proprio tra le pagine altà la famiglia, come evidenzia l’inchiesta, non
di quel decreto di fermo che si scorge la figura è così unita, anzi vi sono delle spaccature sodi assoluto rilievo di un uomo di ’ndrangheta prattutto per quanto concerne l’attività di concome Rocco Aquino. È lui il nipote prediletto dizionamento politico.
Il ruolo di Rocco Aquino emerge nel settore
del vecchio boss Salvatore Aquino. Questi, re-
LATITANZA FINITA Rocco Aquino al momento dell’arresto (foto Cufari)
economico-imprenditoriale, in quello edile ed
anche in quello turistico-alberghiero, con atti
di concorrenza sleale, intestazione fittizia di beni. Su di lui ha indagato anche la Dda di Milano che ne ha delineato la centralità della figura
nei rapporti con gli organismi operanti nella zona settentrionale dell’Italia, con specifico riferimento alla “Lombardia”. Rocco Aquino, come
viene fuori dall’attività d’indagine delle forze
dell’ordine è il braccio destro del “mastro” Giuseppe Commisso.
È un uomo convinto di fare del bene, Rocco
Aquino. Tanto che nel corso di un colloquio con
lo zio Salvatore, non lesina parole d’elogio verso la sua famiglia: «Noi altri nel paese siamo
ben voluti da tutti perché noi abbiamo fatto
sempre del bene a tutti e brutte azioni non ne
abbiamo fatto a nessuno».
Sono tantissime le conversazioni intercetta-
la “top ten” dei più pericolosi
I nemici pubblici ancora in libertà 10
Con Messina Denaro tre calabresi: Condello, Giorgi e Varano
COSENZA Sono tre i calabresi che il
ministero dell’Interno ha inserito nella lista dei dieci latitanti più pericolosi d’Italia. I loro cognomi – Condello, Giorgi e
Varano – si accompagnano a quelli di altri nemici pubblici: Messina Denaro, Badalamenti, Scotti, Cubeddu, Motisi, Di
Lauro, Matrone. Tutti, apparentemente,
spariti nel nulla.
Il “fiore all’occhiello” è lui, Matteo Messina Denaro, nato nel 1962 a Castelvetrano (Trapani). L’ultimo vero padrino di
Cosa nostra è il delfino di don Ciccio, trovato morto in piazza nel 1998, vestito come se fosse pronto per il suo funerale. Lo
chiamano “U siccu” e “Diabolik”, ma la
sua natura di killer spietato è meglio riassunta da una frase a lui attribuita: “Con le
persone che ho ammazzato, io potrei farci un cimitero”. È ricercato dal 1993, lo
stesso anno delle stragi di mafia per le
quali è stato condannato in via definitiva
all’ergastolo.
Nella stessa lista un altro figlio d’arte,
Vito Badalamenti, nato a Cinisi (Palermo) nel 1957, erede di quel don Tano che
fu il mandante dell’omicidio di Peppino
Impastato. Irreperibile dal 1995, è l’unico dei 175 indagati di “Pizza connection”
a essere stato assolto, poi condannato a
sei anni nel “Maxi-quater”, il quarto troncone del maxiprocesso di Palermo contro
Cosa nostra. Amante dei viaggi all’estero,
si dice si stia godendo la latitanza in Brasile o in Australia.
Entrambi personaggi “di peso” nel pa-
norama criminale, non sono però loro i
fuggiaschi di più lungo corso. Il più “anziano” della lista è infatti Pasquale Scotti, nato a Casoria (Napoli) nel 1958 e ricercato dal 1985, anche se secondo il pentito di ’ndrangheta Franco Pino sarebbe
morto già nel 1984. Ex studente di medicina, elemento di spicco e “volto pulito”
della Nuova camorra organizzata di Raffaele Cutolo, Pasqualino “O’ collier” è
considerato il braccio armato e vice del
“professore” di Ottaviano.
Subito dopo nella “top ten”, invisibile ai
radar della giustizia dal 1993 come Messina Denaro, è “Micu u pacciu”, al secolo
Domenico Condello. Nato a Reggio Calabria nel 1956, è il cugino di Pasquale Condello “il Supremo”. Di recente è stato colpito da un altro provvedimento emesso
dalla Dda nell’ambito dell’operazione
“Reggio nord”, che ha dimostrato come,
nonostante sia “scomparso dalle scene”,
continui a operare attraverso il sodalizio
criminale che a lui fa capo.
Imprendibile dal 1995 è poi un altro
calabrese, Giuseppe Giorgi, nato nel 1961
a San Luca (Reggio Calabria). Affiliato al
clan dei Pelle-Vottari, “U cicero” o “U capra” è considerato il responsabile dei traffici internazionali legati allo smaltimento illegale di scorie tossiche e radioattive.
Nel 1997 si sono invece perse le tracce
di Attilio Cubeddu, nato ad Arzana (Nuoro) nel 1947. Esponente storico dell’anonima sequestri sarda, è noto alle cronache soprattutto per il rapimento dell’im-
te ed i colloqui videoambientali acquisiti, che
hanno permesso di stabilire come il ruolo dei
fratelli Rocco e Giuseppe Aquino si fosse accresciuto notevolmente con l’accordo unanime dei
propri congiunti. E Rocco “il colonnello” era
anche colui che teneva i contatti maggiori con
la famiglia Coluccio, di cui fanno parte anche i
due noti fratelli Giuseppe e Salvatore. Rocco
Aquino si preoccupava anche di sbrigare delle
pratiche per i Coluccio, ma aveva anche interessi particolari per gli aspetti elettorali. Come accennato in precedenza, infatti, ci fu una vera e
propria spaccatura in occasione delle elezioni
amministrative del comune di Marina di Gioiosa Jonica, il 13 aprile del 2008. Lì, lo storico
scontro con i Mazzaferro divenne ancora più
acuto. E gli Aquino ne escono sconfitti.
CONSOLATO MINNITI
c.minniti@calabriaora.it
super
latitanti
Ecco i volti dei latitanti più pericolosi
A destra il capo di “Cosa nostra” siciliana
A seguire tutti gli altri. Tre i calabresi
nell’elenco: Condello, Giorgi e Varano
prenditore bresciano Giuseppe Soffiantini.
Segue Giovanni Motisi, nato nel 1959
a Palermo, che risulta “uccel di bosco”
fin dal 1998. Considerato vicino a Bernardo Provenzano, la figura di “Pacchione” è avvolta dal silenzio, tanto che alcune voci lo danno per morto.
Più recente la scomparsa del terzo calabrese della lista, Michele Antonio Varano, nato nel 1951 a Centrache (Catanzaro) e inghiottito dal nulla nel 2000. Vito Badalamenti
Tra i protagonisti della “Montenegro
connection”, operava in Svizzera in contatto con gruppi criminali italiani.
Le due latitanze più “giovani” sono
quelle di due camorristi. Marco Di Lauro, nato nel 1980 a Napoli, manca all’appello dal 2005. Penultimo di dieci figli,
dopo gli arresti in famiglia è rimasto, giovanissimo, a reggere l’omonimo clan,
protagonista della sanguinosa faida di
Secondigliano-Scampia.
Nel 2007 è, infine, sparito Francesco Francesco Matrone
Matrone, nato nel 1947 a Scafati (Salerno). È considerato, assieme a Pasquale
Loreto, capo del clan camorrista LoretoMatrone, gruppo criminale di grande potere nella zona di Scafati almeno fino agli
anni Novanta.
Nomi, questi, che hanno firmato, tra
affari sporchi e morti ammazzati, la storia criminale d’Italia degli ultimi cinquant’anni.
MARIASSUNTA VENEZIANO
m.veneziano@calabriaora.it Pasquale Scotti
Matteo M. Denaro
Domenico Condello
Michele Varano
Attilio Cubeddu
Giovanni Motisi
Giuseppe Giorgi
Marco Di Lauro
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I giudici: «Loiero?
non poteva non sapere»
Le motivazioni della sentenza d’Appello di Why Not
CATANZARO «Saldino aveva
intrecciato rapporti personali, di interesse e di reciproco scambio con
dirigenti e pubblici amministratori
della Regione». Il giudice di primo
grado pur escludendo il reato associativo, non ha negato il ruolo verticistico di Antonio Saladino e i sui legami con la politica e le alte sfere della burocrazia regionale. E la Corte di
appello di Catanzaro nel motivare la
sentenza sul processo “Why Not” relativa a presunti illeciti nella gestione
dei finanziamenti pubblici spiega come si è arrivati a condannare Saladino anche per il reato di associazione
a delinquere a 3 anni e 10 mesi con
un aggravio di pena rispetto ai due
anni inflitti in primo grado: «Quel
che gli sta a cuore, assegnati i servizi
al consorzio Brutium, è che per gli
stessi le società consorziate assumano, per chiamata diretta e nominativa, i soggetti raccomandati dai politici. Come afferma il primo giudice,
Saladino non ha motivo, una volta
che ha accontentato il referente politico, di preoccuparsi se il personale
sia all’altezza o se, comunque, il lavoro venga più o meno correttamente
svolto. È mancata in radice, da parte
dell’ente committente, la volontà politica di effettuare i controlli». Per i
giudici di secondo grado l’associazione esiste: «L’argomentazione del
giudice di primo grado - si legge nelle motivazioni - è stata ritenuta erronea dalla Corte di Cassazione adita
REGGIO CALABRIA
«Confermare la sentenza di
primo grado per tutti gli imputati». Non ammette sconti
la requisitoria del sostituto
procuratore generale Santo
Melidona. Nel corso del suo
intervento, infatti, il magistrato ha chiesto che la Corte d’appello di Reggio Calabria confermi tutto l’impianto accusatorio relativamente agli imputati del processo “Vento del
Nord”. Alla sbarra alcuni presunti esponenti della cosca
Bellocco di Rosarno.
In realtà, il pg ha chiesto solo un’assoluzione per un capo
d’imputazione riguardante
Domenico Bellocco (classe
’80) e la moglie Antonella Mirenda. Si tratta dell’intestazione fittizia di un’automobile
Audi A4. Così per Bellocco la
richiesta di condanna è stata
di dieci anni di reclusione (a
fronte dei dieci anni e quattro
mesi inflitti in primo grado),
mentre un’assoluzione completa è stata chiesta per la Mirenda che era accusata della
dalla Procura generale contro il pro- contribuire in maniera determinanscioglimento dal reato associativo di te all’affidamento» del progetto realcuni coimputati che non avevano lativo al censimento immobiliare. A
chiesto di essere ammessi al giudizio conferma i giudici citano i «ripetuti
abbreviato poiché il ragionamento incontri, anche in sedi extra-istitucon cui la sentenza nega l’esistenza zionali, con soggetti che non avrebstessa dell’associazione non regge dal bero avuto titolo per interloquire
punto di vista logico». In particolare, (perché intrattenersi ripetutamente
secondo i giudici d’appello viene con rappresentanti del consorzio che
smentita la tesi, sostenuta dal gup, pressano per ottenere nuovi affidasecondo cui un’associazione per de- menti se poi ci si difende dicendo che
linquere costituita per realizzare rea- tale decisione spettava al dirigente e
ti contro la pubblica amministrazio- non al politico?)». A sostegno della
ne è configurabile «solo se facciano loro tesi i magistrati sottolineano anparte funzionari
che «la pervicacia
pubblici o, in genecon cui la Merante,
re, soggetti che apanche approfittando
chiaravalloti
partengano all’amdel rapporto amicaministrazione». Il
le con il fratello del
L’assoluzione in
processo d'appello si
presidente
della
primo
grado
non
è concluso il 27 gengiunta regionale, ha
convince, è frutto
naio scorso con la
dapprima cercato di
condanna, tra gli alinstaurare un condi una forzatura
tri, ad un anno per il
tatto diretto con il
quando
si
parla
di
reato di abuso delmassimo esponente
l'ex presidente della
dell’ente e, in un seun atteggiamento
Regione Calabria,
condo momento,
di leggerezza
Agazio Loiero, del
avendone percepito
centrosinistra; il
il potere di influennon luogo a proceza su questo, si è
dere per intervenuta prescrizione nei spesa per ottenere il consenso del ficonfronti dell'ex Governatore, Giu- dato consigliere giuridico Durante su
seppe Chiaravalloti, del centrodestra. una soluzione condivisa». La giustificazione della salvaguardia occupaLoiero e Durante
zionale e le pressioni da parte dei laPer la Corte d'appello non ci sono voratori, non convince i giudici.
dubbi sulla «piena consapevolezza di «Quanto alla dedotta esigenza - scriLoiero Agazio e di Durante Nicola di vono - di salvaguardare i livelli occu-
Agazio Loiero
Giuseppe Chiaravalloti
pazionali, risulta di tutta evidenza
che se l’ente avesse voluto a tutti i costi esternalizzare il servizio, avrebbe
potuto comunque ottenere lo scopo
preso di mira adottando procedure
legali anziché protrarre un affidamento illegittimo e, così, di fatto continuare a favorire i soliti raccomandati e foraggiare le solite clientele (o
consolidarne di nuove)».
buire a Chiaravalloti un atteggiamento di colposa leggerezza laddove
neanche lo stesso imputato era giunto a tanto». Nelle motivazioni si ricorda inoltre che «in una delle agende del Saladino sono stati rinvenuti
numeri telefonici, fissi e mobili, istituzionali e privati, personali e intestati a persone dell'entourage familiare e lavorativo dell’uomo politico,
disponibilità denotante una conoscenza tutt’altro che superficiale.
Dalle captazioni alle quali - proseguono i giudici - è stata soggetta Nadia Di Donna, una delle principali
collaboratrici di Saladino nella fase
di selezione delle domande e di avviamento al lavoro, la Di Donna fa
espressamente riferimento a dipendenti della società Why Not raccomandati dal Chiaravalloti nonché ad
accordi intervenuti tra questi ed il Saladino ai fini dell’invio dei curricula
dei nuovi lavoratori da assumere».
Giuseppe Chiaravalloti
L’assoluzione in primo grado dell’ex presidente della Regione Calabria, Giuseppe Chiaravalloti, del centrodestra, fu una «forzatura e la ricostruzione fatta non convince». Nei
confronti di Chiaravalloti, imputato
del reato di abuso d’ufficio, la Corte
d’appello ha emesso una sentenza di
non luogo a procedere per intervenuta prescrizione. La ricostruzione
del giudice di primo grado «non convince - sostengono i giudici di secondo grado - perché essa è frutto di una
forzatura nella parte in cui si attri-
GABRIELLA PASSARIELLO
regione@calabriaora.it
«Confermare le condanne»
mesi di giugno e luglio 2009.
In questo periodo si sarebbe
evidenziata l’egemonia perdurante della cosca Bellocco operante tra Rosarno e Granarolo
inferiori ai dieci anni. Il gup ha dell’Emilia (Bo). Secondo l’acinoltre disposto la sospensione cusa, infatti, vi sarebbe un’asdella pena per Annunziato sociazione a delinquere di tiBarrese, Mariarosaria Larosa, po mafioso finalizzata alla
Antonella Mirenda ed Ales- commissione di numerosi reasandro Mercuri. È stato dispo- ti con l’obiettivo di affermare il
sto, infine, anche il risarcimen- predominio sul territorio. A
to nei consostegno delfronti delle
l’impostazioOltre 136 gli
parti civili
ne accusatoanni inflitti in
(Regione,
ria il gip, alProvincia di primo grado agli
l’interno delReggio Calal’ordinanza,
esponenti
del
bria, Comune
ha sottolineaclan Bellocco
di Rosarno)
to la pregnannella misura
za di alcune
di 500mila euro nei riguardi espressioni pronunciate da
di ciascuna parte civile.
Umberto Bellocco, figlio di
Il procedimento si fonda Carmelo: «Rosarno è nostro e
sulle indagini portate avanti deve essere per sempre nodalla Direzione distrettuale stro…sennò non è di nessuantimafia di Bologna e da no». Il processo è stato aggiorquella di Reggio Calabria e nato al prossimo 24 febbraio,
condotta dalle rispettive squa- quando gli avvocati inizierandre Mobili a partire dall’estate no le arringhe difensive.
del 2008, in particolare nei
Consolato Minniti
Vento del Nord, in Appello il procuratore chiede solo un’assoluzione
Tribunale di Reggio
sola interposizione fittizia. Per
il resto, dunque, il pg ha invocato le medesime condanne
già inflitte dal giudice di primo grado, il quale aveva accolto pienamente le richieste della Dda di Reggio Calabria condannando gli esponenti della
cosca Bellocco ad oltre 136 anni di carcere. Nel corso della
giornata di ieri vi è stato anche
l’intervento degli avvocati di
parte civile (Regione, Provincia di Reggio e Comune di Rosarno) che hanno concluso richiamandosi alle determinazioni dell’ufficio di procura generale. La pena più pesante
era stata inflitta a Carmelo Bellocco, 54 anni, ritenuto il capo
dell’omonima consorteria mafiosa. Per lui l’accusa aveva
chiesto una pena di 20 anni di
reclusione, ma il gup ha deciso per una condanna a 14 anni di prigione. Dieci anni di
prigione anche per l’altro Domenico Bellocco (classe ’77),
mentre per tutti gli altri imputati le pene inflitte sono state
politici nel mirino
Lettere di minacce
per il sindaco
di Siderno e Laratta
COSENZA Una lettera di minacce indirizzata al deputato del Pd, Franco Laratta, ed inviata
al Comune di San Giovanni in Fiore è stata sequestrata ieri mattina dai carabinieri. A darne
notizia è lo stesso Laratta. La lettera, che è stata
spedita nei giorni scorsi dalla città di Lamezia
Terme, contiene una serie di minacce al deputa-
to del Pd e fa riferimento alle «denunce e alle
interpellanze - è scritto in una nota - depositate
alla Camera dall’onorevole Laratta e riguardanti i fatti di Reggio Calabria». Ma non sono le uniche minacce arrivate ieri mattina in Calabria. Il
sindaco di Siderno, Riccardo Ritorto (Pdl), ha
ricevuto una lettera di minacce. La lettera è giun-
ta al municipio insieme ad altra posta indirizzata all’Ente. Nella missiva c’erano una serie di frasi minacciose rivolte al primo cittadino. «Se non
fai quello che devi fare - è scritto nella lettera la pagherai». Il sindaco ha denunciato l’accaduto ai carabinieri ai quali ha consegnato la lettera di minacce.
13
SABATO 11 febbraio 2012
calabria
ora
R E G G I O
«Talpe al servizio di Barbieri»
“Meta”, la rivelazione del colonnello Giardina. Ecco i rapporti con Flesca
Fuga di notizie sulle indagini di Meta e Crimine con beneficiario l'imprenditore arrestato Domenico Barbieri?
Sembra proprio di sì sulla base delle intercettazioni illustrate dall'ex colonnello dei
Ros Valerio Giardina nella deposizione di ieri nell'aula bunker nell'ambito del filone investigativo che riguarrda lo
stretto legame tra l'imprenditore e la criminalità organizzata. Mentre descrive i contenuti di un'intercettazione tra
Barbieri e l'avvocato Vitaliano
Grillo Brancati del 28 gennaio 2007 in cui si fa anche riferimento a 310 ordinanze di
custodia cautelare, il pm Giuseppe Lombardo chiede a
Giardina: «Quali erano le fonti?». L'ex colonnello: «La fonte di conoscenza del Barbieri
emerge da alcuni appartenenti alle forze di Polizia. Carabinieri e finanzieri individuati
come persone che possono
aver dato informazioni operanti a Catona, Reggio e Gallico, che erano impegnati nelle
operazioni Crimine e Meta».
In questo senso l'allarme, come spiega Giardina, era già
scattato su alcune intercettazioni dell'ottobre 2006 in un
contatto tra i fratelli Barbieri,
Domenico e Vincenzo, dove il
Il colonnello Giardina
Il pm Giuseppe Lombardo
primo riferiva al secondo, improvvisamente, di «dover andare a Catona per vedere ciò
che era successo» dicendo al
fratello, ad un certo punto, di
chiudere la telefonata. Da qui
Giardina ha chiesto informazioni, attraverso un'email, su
un'indagine riguardante cittadini extracomunitari. «Barbieri – dice Giardina – viene
interrogato nella stazione dei
Carabinieri di Catona. Poi il
comandante della stazione va
nell'ufficio di Barbieri. Strano
che alle 12 s'interroga una persona e alle 18 si va nel suo ufficio. Due giorni dopo, il 28 ottobre, Barbieri riceve Battesi-
mo Sciarrone e si arriva alla
concretezza della fuga di notizie della sezione anticrimine
che curava l'operazione Meta.
Barbieri dice a Sciarrone che
l'ufficio è pulito». Sempre in
merito a questa vicenda, Giardina aggiunge: «Non solo l'organo di pg non aveva riferito
nulla all'organo territorialmente competente ma al colloquio tra il comandante dei
Carabinieri e Barbieri si fa riferimento alla presenza di un
maggiore dei Ros». Dal dialogo Barbieri-Sciarrone, Giardina evidenzia: «Mezze frasi tra
loro stabiliscono l'acquisizione di indagini in corso ma non
da parte di chi le fa. C'è il riferimento all'indagine sulla
'ndrangheta rivelata non da
chi la sta svolgendo. Dopo
Sciarrone, Barbieri incontra
Pasquale Buda, a cui parla della presenza del maggiore del
Ros all'interrogazione ma nel
verbale questa figura non è
presente e c'è solo il contenuto dell'email». Successivamente Giardina si è anche soffermato sui rapporti tra alcuni indagati e l'ambiente politico reggino rilevando le intercettazioni tra i fratelli Barbieri e l'ex consigliere comunale
Manlio Flesca, quest'ultimo in
udienza preliminare il 21 feb-
Tenta uno scippo, arrestato
L’autore è stato bloccato da due poliziotti liberi dal servizio
Il furto con scippo è andato male a un cittadino indiano di 28 anni. Non sapeva
che stava mettendo in azione
il suo intento criminale mentre c’erano due poliziotti liberi dal servizio da quelle parti.
Sfortunatamente per lui i
funzionari della Polizia di
Stato hanno osservato la scena e sono riusciti a bloccarlo.
L’episodio è avvenuto in
via Cardinale Portanova, praticamente all’ingresso del palazzo del Consiglio regionale
della Calabria. A pochi passi
dal palazzo istituzionale della massima assise legislativa
regionale, il cittadino india- classiche pattuglie della
no si è avvicinato a una don- squadra Volante. Il secondo è
na e ha tentato di scipparle la il dirigente della terza sezioborsetta.
ne della squadra mobile delImmediata la reazione del- la questura cittadina.
la vittima che ha invocato
Entrambi non hanno penaiuto. Proprio in quel mo- sato due volte a intervenire
mento passain soccorso
vano, liberi
Azione fulminea della donna
dal servizio e
del vicedirigente e,to,soprattutsu un’auto
per acprivata, i due
ciuffare il radelle Volanti
poliziotti. Si
pinatore.
e del collega
tratta di GiuL’autore
della Mobile
seppe Gilidel reato è
berti e Gianstato bloccaluca Rapisarda. Il primo è il to dai due poliziotti che gli
vice dirigente dell’Ufficio di hanno stretto le manette ai
prevenzione generale e soc- polsi con l’accusa di tentata
corso pubblico, che guarda- rapina con scippo.
caso predispone i servizi sul
La borsetta è stata restituiterritorio proprio per evitare ta alla legittima proprietaria,
reati predatori. Vale a dire le una donna di nazionalità ro-
Finocchiaro
si reca in visita
alla Capitaneria
mena, mentre l’indiano H. K.
è stato portato in questura da
una volante chiamata sul posto.
Ai controlli negli uffici della Polizia di Stato su corso
Garibaldi si è scoperto che il
28enne risultava cittadino
straniero irregolare in Italia.
La sua posizione, così, è risultata ancora più grave.
Il responsabile è stato trattenuto nelle camere di sicurezza in attesa dell’udienza di
convalida che si è svolta ieri
mattina.
Un bel risultato ottenuto
con il senso del dovere che
contradistingue chi ricopre
ruoli di responsabilità in un
corpo come quello della Polizia di Stato.
r.r.
Bruno Finocchiaro,
presidente della Corte di
Appello di Reggio Calabria, ha fatto visita alla Direzione Marittima dove è
stato accolto dal Capitano
di Vascello Gaetano Martinez, da poco insediatosi
nella funzione di comandante regionale. L’alto
magistrato ha visitato le
strutture che ospitano gli
uffici amministrativi e la
sala operativa dove sono
state illustrate la funzionalità e l’impiego delle strumentazioni tecnologiche e
operative che consentono
al “Centro Regionale di
Soccorso Marittimo” la
gestione dei soccorsi in
mare, l’attività di tutela
ambientale contro gli inquinamenti marini, il controllo delle unità da pesca,
il monitoraggio del traffico
navale che attraversa lo
Stretto di Messina e il controllo dell’ambito portuale
di Reggio Calabria. In ricordo della vista è stato
consegnato il crest della
Direzione Marittima.
braio per il processo sulla corruzione elettorale. Riesaminando l'informativa di Meta,
viene fuori che Flesca avrebbe offerto la disponibilità ad
assumere Vincenza Musarella, moglie di Vincenzo Barbieri, alla Reges. Un dato molto
importante, secondo gli inquirenti, per l'appoggio politico
dei Barbieri allo schieramento
politico di Flesca. Nella stessa
informativa si fa menzione
«all'appoggio incondizionato
dei fratelli Barbieri al candidato Flesca, dettato anche dalla necessità di avere un loro
candidato nell’amministrazione comunale, con delega ai
Lavori pubblici, settore in cui
gli stessi fratelli operavano con
le loro imprese». Giardina,
sempre con lo strumento delle intercettazioni, ha delineato
poi il pieno inserimento di
Barbieri nelle logiche del sistema 'ndranghetistico con riferimento agli affari sulla Piana.
«Emerge - dice l'ex colonnello - un legame tra Barbieri-Pisano-Ciurleo e Bellocco che è
fondamentale per capire perché il Barbieri lavorava senza
problemi nel comprensorio di
Rosarno». «Altri componenti?», chiede Lombardo. E
Giardina fa riferimento alla famiglia Fazzari, «cellula ricon-
ducibile a Giuseppe Bellocco.
Nei lavori per la strada di Feroleto della Chiesa, Barbieri
dice di essere stato costretto a
far lavorare i camion dei Fazzari». «L'atteggiamento di
Barbieri - sottolinea il colonnello - è chiaro: informare la
cosca del territorio e accettare
che si utilizzino i mezzi dell'impresa compiacente indicati dalla criminalità territoriale.
Tutta l'indagine è permeata
dal collegamento impresamafia con la necessità di avere una ditta di riferimento insita nell'organizzazione criminale». Da qui si arriva da dove siamo partiti, e cioè alla
conversazione Barbieri-Grillo
Brancati con quest'ultimo che,
come riportato da Giardina,
dice all'imprenditore: «”Il sequestro dei beni è l'azione più
efficace dello Stato contro la
mafia” dicendogli – rileva il
colonnello - di stare attento a
non farsi portare via i soldi con
questa azione di contrasto.
Barbieri segue fedelmente le
regole criminali. In questo caso gli imprenditori, che spesso
sono vittime, diventano protagonisti del sistema e ciò
emerge dalla nostra indagine
di Polizia giudiziaria».
ALESSANDRO CRUPI
reggio@calabriaora.it
la querelle
Polemica di Riferimenti
«Lamberti faccia i nomi»
Continua il botta e risposta tra Riferimenti e l’assessore provinciale Lamberti
Castronuovo. «Due giorni fa
-si legge in una nota- il coordinamento giovanile di Riferimenti, in una lettera
aperta alla stampa ha chiesto al dottor Lamberti Castronuovo nominato, anche
se non dalla volontà popolare, assessore alla legalità
presso la provincia di Reggio Calabria, non si sa per
quali meriti,di chiarire gravi
affermazioni da lui fatte in
un intervento nell'ambito di
un convegno organizzato da
“futuro e libertà”. Nella stessa nota -ricordano i referenti dell’area giovani del coordinamento nazionale antimafia Riferimenti Claudia
Pratticò (Calabria) Francesco Iermito (Calabria) Sebastiano Di Paolo (Campania)
Salvatore Calleri (Toscana)
Andrea Vegher (Veneto)- si
chiedeva di conoscere a quali magistrati servissero “vetrine e passerelle” sempre in
merito ad affermazioni al vitriolo fatte dallo stesso che,
non si capisce perchè da
tempo lanci invettive nei
confronti dell’antimafia con
illazioni varie, cercando di
discreditare l’operato altrui
che, invece come amministratore dovrebbe sostenere. Dal de cuius, non è arri-
vata nessuna risposta, anzi
la sua televisione non solo
non ha dato notizia della nota, ma nella rassegna stampa ha omesso la pagina dei
quotidiani che riportavano
la notizia».
I responsabili del coordinamento giovani di Riferimenti «ancora una volta -si
legge nella nota- chiedono
di conoscere il soggetto della frase impersonale pronunciata dal Lamberti, ossia vogliono sapere chi utilizzerebbe soldi pubblici per
combattere il crimine organizzando settimane bianche».
«Due sono le cose: o l’assessore risponde o dimostra
a tutti la validità e fondatezza delle sue affermazioni e
soprattutto darà prova del
suo coraggio». Il coordinamento esprime «un dubbio:
che il soggetto di quella frase non venga pronunciato
perchè si teme la querela
che, d’altra parte siamo certi non potrà non arrivare se
quelle affermazioni non saranno smentite».
«E allora, assessore -si rivolgono direttamente a luivogliamo il nome, il soggetto. Chi è che organizzerebbe
settimana antindrangheta
con i soldi pubblici? Stiamo
ancora aspettando un suo
riscontro».
21
SABATO 11 febbraio 2012
calabria
ora
P I A N A
“Califfo”, sentiti dal gip
quattro degli 11 indagati
Sono accusati di avere agevolato la latitanza di Ciccio Pesce
PALMI
Sono iniziati gli interrogatori per gli indagati rimasti coinvolti nell’operazione “Califfo”.
Nel tardo pomeriggio di ieri,
sono comparsi davanti al giudice per le indagini preliminari Fulvio Accurso, quattro degli 11 indagati, accusati di associazione mafiosa e, in particolare, di avere agevolato la latitanza di Francesco Pesce detto “Testuni”, arrestato a agosto
2010 a Rosarno, dopo più di
un anno dall’ordinanza di custodia cautelare “All inside”.
Nella giornata di ieri, sono
stati sentiti dal gip Accurso gli
indagati Saverio Marafioti, il
muratore accusato di avere costruito alcuni bunker per proteggere le latitanze della cosca
Pesce di Rosarno. Di lui ha
parlato la collaboratrice di giustizia Giuseppina Pesce.
Marafioti è difeso dall’avvocato Gregorio Cacciola (indagato nel procedimento legato
al suicidio dell’ex testimone di
giustizia Maria Concetta Cacciola); il secondo a essere sentito è stati Giuseppe Rao, difeso dagli avvocati Michele No-
INTERROGATORI Da sinistra Delmiro, Marafioti e Rao
vella e Guido Contestabile. Secondo quanto appreso alla fine dell’interrogatorio, Rao si
sarebbe difeso dalle accuse di
essere legato a Marafioti nella
costruzione dei bunker.
Rao ha affermato che gli
unici rapporti tenuti con Marafioti sarebbero di carettere
lavorativo. I 7mila euro di cui
si fa cenno nell’ordinanza di
custodia cautelare sarebbero
riconducibili al pagamento di
materiale edile che l’azienda di
Rao avrebbe venduto a Marafioti. Terzo indagato a presen-
tarsi davanti al giudice Accurso è stato Giovanni Luca Berrica, entrato nell’operazione
“Califfo” a causa del pizzino sequestrato da un agente della
polizia penitenziaria a Francesco Pesce nel carcere di Palmi,
dopo alcuni giorni dal suo arresto, prima del suo traferimento al 41bis.
In quel pizzino Pesce impartiva gli ordini per la riscossione del pizzo, il passaggio di
consegne a suo fratello Giuseppe, ancora latitante, la nomina dei sei affiliati che avreb-
bero dovuto aiutare il fratello
nella gestione della cosca e le
nuove cariche. Tra queste, secondo la Dda ci sarebbe stato
proprio Berrica. L’uomo, difeso dall’avvocato Marina Mandaglio ha rigettato tutte le accuse.
L’ultimo a essere stato sentito è Biagio Delmiro, difeso
dall’avvocato Nicola Rao.
Domani verranno interrogati gli altri sei indagati, Furtugno, infatti, risulta irreperibile.
FRANCESCO ALTOMONTE
f.altomonte@calabriaora.it
cosa mia
Torna libera la Bruzzise
dopo due anni di carcere
PALMI
Il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria, presieduto dal dottor Filippo Leonardo, ha disposto le remissione il libertà di Elena Bruzzise accogliendo il ricorso
degli avvocati Antonio Managò ed Antonino Napoli.
Dopo quasi due anni di carcerazione preventiva torna in libertà, quindi, la figlia del presunto boss di Barritteri, Giuseppe Bruzzise che, secondo gli inquirenti, avrebbe ereditato la guida della cosca
dopo l’omicidio del padre Giovanni detto
“Spannavento”.
I Pubblici Ministeri
della Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria contestano ad Elena Bruzzise il ruolo di
partecipe alla cosca
Bruzzise perché, a loro
avviso, avrebbe fornito
un importante contributo per la vita dell’associazione, recandosi ai LIBERA Elena Bruzzise
colloqui con il padre
Giuseppe, aggiornandolo sugli avvenimenti più recenti
e ricevendo da questi direttive, da eseguire direttamente e/o da comunicare a soggetti fuori dal carcere, più in
generale mettendosi a completa disposizione degli interessi della cosca, cooperando con gli altri associati nella realizzazione del programma criminoso del gruppo.
Dopo l’annullamento con rinvio, da parte della prima
sezione della Cassazione, dell’ordinanza che in sede di
riesame aveva confermato la massima misura cautelare, il Tribunale della Libertà, accogliendo la tesi degli
avvocati Antonio Managò ed Antonino Napoli, ha ritenuto che la condotta della giovane donna non configurasse la partecipazione al reato associativo.
piana@calabriaora.it
tutto in famiglia
ordine pubblico
Scarcerati Garreffa, Nava e Hanoman
Accolto parzialmente il ricorso di Feo
Rosarno, Tripodi: impegno bipartisan
per arginare il fenomeno criminalità
PALMI
Il Tribunale della Libertà di Reggio Calabria ha accolto i ricorsi proposti da Stefano Nava, 22 anni (difeso dagli avvocati
Domenico e Giuseppe Alvaro), Francesco
Hanoman, 21 anni (difeso dall’avvocato
Marcella Belcastro), e Pasquale Garreffa,
74 anni (difeso dall’avv. Caterina Bonarrigo). I tre, tutti di San Martino di Taurianova, sono stati immediatamente scarcerati.
Il Tribunale reggino ha, altresì, accolto parzialmente il ricorso proposto da Natale
Feo, 67 anni (difeso dagli avvocato Domenico e Giuseppe Alvaro), annullando l’ordinanza impugnata con riferimento all’accusa di estorsione di somme di denaro, aggravata dal metodo mafioso.
Le richieste di riesame riguardavano
l’ordinanza custodiale emessa dal gip di
Reggio Calabria il 3 gennaio scorso nei
confronti di 19 persone, su richiesta della
Dda reggina, nell’ambito dell’operazione
denominata “Tutto in famiglia”, condotta
dai carabinieri del comando provinciale,
riguardante la presunta cosca, facente capo a Michele Maio, operante nel territorio
di San Martino di Taurianova, ed attiva, in
particolare, nel settore delle estorsioni e
dell’usura.
Il Collegio giudicante, che si è riservato
di depositare la motivazione dei provvedimenti, trattandosi di posizioni processuali articolate e complesse, ha preso atto, anche sulla base delle indagini investigative
svolte dai difensori nell’interesse dei rispettivi assistiti, della fragilità del quadro
indiziario a carico dei soggetti incriminati.
Sono state così accolte le tesi difensive, vol-
GIOIA TAURO
Il Cedir di Reggio Calabria
te a dimostrare come l’asserita affiliazione
degli indagati alla ‘ndrina di San Martino
mancasse di fonti di prova affidabili, ed anzi era smentita da un esame approfondito
delle intercettazioni ambientali e delle videoregistrazioni effettuate dagli inquirenti per monitorare l’ingresso al Bar Vecchio
Lume. Qui, secondo l’accusa, sostenuta in
udienza dal rappresentante della procura
distrettuale, il giorno di Pasqua dello scorso anno ed il successivo 4 maggio, si erano
svolte le cerimonie rituali per il “battesimo” dei nuovi affiliati e l’assegnazione di
cariche di rilievo all’interno del sodalizio
criminoso.
Per effetto della decisione dei giudici del
riesame, Stefano Nava, Francesco Hanoman e Pasquale Garreffa hanno immediatamente riacquistato la libertà dopo due
mesi di restrizione in carcere.
L’ordine pubblico è ritornato un tasto
dolente per la città di Rosarno. Dopo la gestione dell’emergenza migranti, che grazie
ai due campi attrezzati sta allentando la
pressione degli africani sulla città medmea,
c’è da fronteggiare la recrudescenza dei fenomeni criminali. Nonostante la forza con
la quale lo Stato, attraverso operazioni di
polizia contro le cosche rosarnesi, si sta
riappropriando della città, rimangono ancora troppe zone oscure. La prima ad essere preoccupata è Elisabetta Tripodi, il primo cittadino che ha già annunciato un consiglio comunale che discuta di questa problematica, e magari convogli tutto lo sfor- Il municipio di Rosarno
zo politico bipartisan per mandare un segnale alle istituzioni affinché stiano ancora parte dello Stato. Appare paradossale che
più vicine alla città. Rosarno, infatti, in fra poco verrà smantellato il reparto antiqueste settimane ha assistito agli atti van- crimine, presente dagli albori del 2000,
dalici ai danni della proprietà dell’assesso- che per ragioni economiche sarà spostato
re Teodoro De Maria, ad
a Vibo.
un possibile – anche se su
E c’è da aggiungere che
L’Anticrimine
questo non ci sono evidenl’ordine pubblico è garantrasferita
a
Vibo
ze – gesto intimidatorio altito da una tenenza dei cal’assessore Michele Fabrirabinieri senza moltissimi
carabinieri e
zio, la cui automobile è
e se non bastasse
vigili urbani con uomini,
stata divorata da un incenanche l’organico dei vigili
poco personale urbani è assai carente. Di
dio. Bisogna aggiungere
che vi è un fenomeno defronte a questo quadro è
gradante di prostituzioni lungo la statale 18 possibile che il consiglio comunale possa
e anche nella strada di collegamento tra chiedere più uomini e mezzi a disposizioRosarno e San Ferdinando. In più non ne del sistema sicurezza, ma anche alla
mancano i raid isolati, ai danni di commer- stessa società verrà chiesto di fare sforzi
cianti e imprenditori. E’ bene chiarire che importanti verso il controllo ed il persenon siamo di fronte alla Gomorra di Cala- guimento di percorsi di legalità.
bria, ma certamente esiste un contesto
DOMENICO MAMMOLA
complicato, che necessita di attenzione da
piana@calabriaora.it
SABATO 11 febbraio 2012 PAGINA 28
l’ora della Locride
Sede: Via Verdi, 89048 Siderno Tel. e fax 0964 342899 Mail: locride@calabriaora.it
GUARDIE MEDICHE
Siderno
Locri
Marina di Gioiosa J.
Gioiosa Jonica
Roccella Jonica
Bovalino
Grotteria
Caulonia
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“La talpa”
18 - 20 - 22
«Stai attento che ti uccidiamo»
Lettera minatoria indirizzata al sindaco di Siderno Riccardo Ritorto
SIDERNO
Il sindaco di Siderno Riccardo Ritorto
«Stai attento che ti uccidiamo».
Per minacciare il sindaco di Siderno
Riccardo Ritorto non hanno usato
mezzei termini e hanno messo tutto
nero su bianco in una busta fatta arrivare come una qualsiasi lettera negli uffici del Comune di Siderno nella tarda mattinata di ieri. Gli autori
del gesto, al momento ancora ignoti,
hanno dunque impresso queste parole su un foglio a righe, come quelli
utilizzati dai bambini delle scuole elementari. Poche parole ma incisive,
per dire che quanto il sindaco sta
portando avanti dall’inizio del suo
mandato a qualcuno, per qualche
motivo, non piace. La lettera, consegnata agli uffici del Comune da un
postino, è arrivata nelle mani del segretario generale dell’Ente, Mario
Ientile, che l’ha subito segnalata al
sindaco, con il quale si è recato presso la locale stazione dei Carabinieri
per denunciare l’accaduto. «Non so
chi possa compiere gesti simili - ha
commentato nel pomeriggio di ieri
Ritorto - si tratterà di qualcuno che si
diverte a mettere in cattiva luce tutto il comprensorio. La cosa non mi
spaventa ma sicuramente mi rattrista e mi rammarica. Si tratta sicuramente di qualche elemento che lavora ai margini della società e che non
riesce a comprendere il lavoro che
facciamo quotidianamente. La cosa
non mi scalfisce ma mi dispiace per
la mia famiglia, che ovviamente ne
risente. La cosa mi da solo conferma,
semplicemente, che il mio lavoro è
improntato sulla trasparenza e la legalità. Forse questo da fastidio». Il
primo cittadino non ha idea su chi
possa nascondersi dietro al gesto e
non avanza alcun tipo di ipotesi, lasciando tutto in mano ai carabinieri,
che ora stanno svolgendo le indagini
del caso. «Non ho un motivo particolare per giustificare questo gesto, co-
me ho detto anche ai carabinieri - aggiunge - secondo me si tratta del gesto di un irresponsabile, non ho elementi per dire che si tratti di un’intimidazione mafiosa». Nel pomeriggio di ieri Ritorto ha incontrato la sua
maggioranza, un meeting già calendarizzato ma durante il quale il primo cittadino ha tranquillizzato i suoi
esortandoli a continuare il percorso
intrapreso con la consueta tranquillità Intanto sin dalle prime ore sono
proliferati i messaggi di solidarietà
nei confronti del sindaco intimidito.
A farsi subito sentire è stato l’assessore provinciale Giovanni Calabrese,
che ha manifestato la sua «vicinanza
politica e personale all’amico Riccardo e l’incoraggiamento a continuare
la propria attività con la stessa efficacia, con lo stesso coraggio e trasparenza fino ad oggi dimostrati, uniche
e fondamentali armi per combattere
e scoraggiare le forze occulte e criminali da possibili interferenze nelle at-
Un “carcere” per ben novanta cani
Brancaleone, scoperto un allevamento abusivo. Una denuncia
Un controllo di routine, volto alla sorveglianza del territorio ha condotto al sequestro di
un allevamento abusivo di cani, esattamente nella località
di “Razzà” nel comune di
Brancaleone. Il servizio di controllo predisposto dal Comando Provinciale del Corpo Forestale dello Stato di Reggio
Calabria, finalizzato principal-
mente alla prevenzione e repressione degli illeciti nel settore ambientale e agro-forestale, è stato operato dal personale del nucleo investigativo di
Polizia Ambientale e Forestale congiuntamente ai Reparti
di Brancaleone e San Luca.
L’operazione ha condotto al
rinvenimento di un allevamento abusivo di cani di pro-
prietà di P. A. di 55 anni.Il luogo, posto attualmente sotto sequestro dalle autorità, si estende su una superficie di 240
metri quadri, sui quali erano
stati allestiti 23 box con materiali di varia natura, come lamiere, brande metalliche nei
quali erano detenuti 90 cani di
varie razze di cui molti privi
dell’obbligatorio microchip
identificativo. A seguito di una
capillare ispezione dei locali è
stato possibile verificare l’assoluta inadeguatezza dei locali, inoltre, da un’attenta verifica delle condizioni igienico sanitarie del canile, è stato possibile riscontrare le carenze
evidenti nella custodia degli
animali, spesso costretti in soprannumero all’interno di an-
tività della politica». Vicinanza anche dal presidente del consiglio comunale, dal capogruppo e da tutto il
Pdl di Siderno, che hanno condannato con fermezza il gesto e invitato
le forze dell’ordine ad intensificare
l’azione di controllo per evitare il ripetersi di episodi simili. Solidarietà
anche da Domenico Panetta e dal Pd.
«Le minacce di morte contro gli amministratori - afferma - debbono trovare una ferma risposta da parte dello Stato ,di tutte le istituzioni democratiche e della parte sana della collettività, che vuole imboccare la strada del progresso e della legalità». Vicinanza è stata manifestata poi anche
dal collega di Locri Giuseppe Lombardo insieme a tutta l’amministrazione comunale, dal capogruppo in
consiglio comunale dell’Udc Antonio
Ricupero e dai gruppi “Siderno Libera” e “Siderno tempi nuovi” che hanno fermamento condannato il gesto.
Simona Musco
gusti e sporchi box. Molti si
presentavano con evidenti segni di malnutrizione, disidratazione e magrezza patologica
come confermato dal veterinario incaricato. Per tali motivi
P.A. veniva denunciato, in prima battuta, per maltrattamento di animali e tutti i cani e l’intera struttura venivano posti
sotto sequestro penale. La legge 189 del 20 luglio 2004, infatti, ha definitivamente sancito, quale reato penale, il maltrattamento degli animali, pertanto P.A. dovrà rispondere
del presunto reato sopra ipo-
tizzato nonché del reato di gestione illecita di canile abusivo in precarie condizioni igieniche. Su delega della Procura
della Repubblica, inoltre, sono
in corso attualmente ulteriori
accertamenti atti a fare chiarezza sull’intera vicenda. Viste
le condizioni di salute degli
animali e la fatiscenza ed inadeguatezza dei box dove erano custoditi, la stessa Procura
ha disposto il loro trasferimento in strutture idonee dove potranno recuperare un’ottimale
condizione di salute.
Adelina B. Scorda
locri
Rubati i motori delle vasche della villa comunale
E’ stata la Villa comunale di Piazza
Re Umberto, antistante al Palazzo comunale, lo scenario del furto denunciato nel pomeriggio di ieri. Sono stati
i dipendenti comunali, recatisi immediatamente alla Caserma dei Carabinieri, a denunciare la mancanza di due
motori con rispettive centraline, utilizzati per il riciclo dell’acqua nella grandi vasche poste tra i giardini della villa,
lato nord. L’episodio, segnalato al sindaco Giuseppe Lombardo, desta molta
preoccupazione negli ambienti del Municipio, sia per il gesto vandalico che
arreca danni alla collettività nonché al
patrimonio cittadino, sia perché si è ve-
rificato proprio dinanzi alle porte del
Palazzo, nonché di fronte gli uffici della Polizia municipale. Il sindaco Lombardo, riservandosi di capire quanto è
accaduto, dal momento che fino alle
19,00 di ieri i tecnici comunali erano
ancora in Caserma per sporgere denuncia, ha condannato il gesto e ha affermato che sarà necessaria una azione
di vigilanza più intensa ed efficace, concordandone l’operatività anche con la
Polizia Municipale che, già nelle ore
notturne, svolge funzioni di controllo.
La zona centralissima, poco illuminata,
è comunque abbastanza frequentata
anche di notte e pertanto sarà cura del-
la Giunta Lombardo vigilare più accuratamente affinché la villa non sia più
soggetta ad atteggiamenti di vandalismo e possa essere, invece, considerata come luogo di relax, di passeggiate e
di bellezza naturale tra il verde degli alberi e delle aiuole. La villa comunale è
uno degli spazi verdi pubblici dove,
principalmente, in estate si svolgono
manifestazioni cittadine che attirano
l’attenzioni di molti turisti. Sarà cura
dell’Amministrazione nei giorni a seguire aggiornare, qualora ci fossero novità, la comunità locrese e gli organi di
stampa.
Domenica Bumbaca
12
SABATO 11 febbraio 2012
calabria
ora
C O S E N Z A
Truffa sui fondi antiusura
Gli indagati tornano a casa
Il Riesame concede i domiciliari a Carotenuto e Vecchione
Carotenuto e Vecchione
passano dal carcere agli arresti domiciliari, Falanga torna
in libertà: per lui, solo obbligo
di firma. E’ questa la decisione presa ieri dal Tribunale
della libertà di Catanzaro,
chiamato a valutare la situazione dei tre professionisti cosentini indagati per la presunta truffa dei fondi antiusira da
loro gestiti in qualità di titolari di due Confidi. Il pubblico
ministero, invece, aveva chiesto la conferma della misura
cautelare preesistente. Nel
frattempo, l’inchiesta prosegue, ma i protagonisti ne seguiranno l’evoluzione da reclusi in casa. Com’è noto, Carotenuto e Vecchione erano
finiti in galera lo scorso 26
gennaio con l'accusa di asso-
ciazione a delinquere, truffa menti richiesti. Secondo la
aggravata ai danni dello Stato Procura, però, nel caso di Cae peculato. Tutto ciò per ven- rotenuto e soci, quei venti miti milioni di euro. A tanto, in- lioni non furono erogati a sofatti, ammonterebbe la cifra cietà in crisi. Lo dimostrerebstornata indebitamente dai be da un lato, la falsificazione
due uomini, entrambi ai ver- dei documenti operata dai
tici del Confidue dirigenti
di “Opus hodel Confidi e,
Novità anche
mini”. Si tratdall'altro, il
su
Falanga
ta di denaro
successivo
che lo Stato
utilizzo
di
Per lui solo
assegna per
quei fondi
obbligo
legge
alle
che i benefidi firma
aziende in
ciari avrebbedifficoltà che
ro impiegato
rischiano di cadere nelle grin- per acquistare beni di varia
fie degli usurai. Aziende natura, ma non collegati in alsprovviste delle credenziali cun modo al risanamento dei
utili per rivolgersi alle banche conti societari. Come se non
e che, per questo motivo, tro- bastasse, i titolari delle azienvano nel Confidi un partner de, interpellati sull'argomenutile per ottenere i finanzia- to, avevano dichiarato di
la precisazione
ignorare che quei quattrini
provenissero da un fondo antiusura. Un ulteriore sospetto
poi è dettato dall’ipotesi che
venisse utilizzato come sede
politica da parte di Carotenuto che, nel 2010, fu eletto in
consiglio provinciale. C’entrano qualcosa i finanziamenti
elargiti con le sue fortune
elettorali? Anche perché nell'ordinanza di custodia cautelare il giudice faceva chiaro riferimento al presunto andazzo che avrebbe caratterizzato
il consorzio tra il 2009 e il
2010, con gli uffici che fungevano anche da segreteria elettorale. Staremo a vedere. Anche perché tra i tanti interrogativi ancora aperti, ce n’è
uno particolarmente importante: che fine faranno ora i
soldi? I venti milioni di euro
saranno recuperati in qualche
modo dalla magistratura o,
piuttosto, ogni speranza è da
considerarsi ormai perduta?
Nel frattempo, proprio nei
giorni scorsi, avevamo anticipato la notizia secondo cui
l’inchiesta sarebbe destinata
ad allargarsi. A quanto pare,
infatti, in Procura sono arrivate nuove denunce e segnalazioni che, ben presto, potrebbero far crescere il numero di indagati. Nel frattempo,
però, spazio ai legali dei tre
indagati, gli avvocati Franco
Locco, Emiliano Iaquinta e
Carlo Salvo. «Prendiamo atto
con moderata soddisfazione
della decisione del Tribunale
che, pur decidendo in pochissimi giorni su di un voluminoso fascicolo d’indagine accresciuto di nuovi elementi di
prova in sede di discussione
prodotti dal pm, ha saputo
mantenere una linea di equilibrio e di garanzia. Gli indagati si protestano innocenti e
confidano che, una lettura serena , imparziale e non frettolosa delle carte dimostrerà
l’inconsistenza delle accuse a
loro carico».
mcr
Falsi esami, la Uil difende l’ateneo
Mai stato consulente
del pm a “Ippocrate”
«In quarant’anni di vita l’università ha centrato tutti gli obiettivi»
Egregio Direttore,
Le scrivo per rettificare alcune importanti inesattezze riportate sul vostro
quotidiano nell’articolo apparso a pagina 14 pubblicato lo scorso 3 febbraio e
intitolato “False visite mediche a Rende.
Un consulente nel mirino”. In tale articolo lo scrivente è stato ripetutamente indicato come il consulente del pubblico
ministero nell’ambito del procedimento
“Ippocrate”. Quest’informazione non è
corretta, dal momento che il sottoscritto
non è stato e non è il consulente del pubblico ministero, e quindi non ha prodotto alcuna consulenza medica (o perizia
cosiddetta) per l’organo inquirente. Sono stato sentito esclusivamente in qualità di persona informata sui fatti in merito alle modalità con cui si espletano le
visite mediche per invalidità civile e legge 104/92. Certo di un suo rapido ed incisivo riscontro, colgo l’occasione per inviarle cordiali saluti.
Arcangelo Fonti
La segreteria Uil dell’Unical difende
l’ateneo, all’indomani della notizia, ancora non ufficiale, secondo cui l’inchiesta sui
falsi esami sfornati dalla facoltà di Lettere, sarebbe destinata a estendersi anche
nelle altre facoltà. «L’Università della Calabria - è scritto nella nota - benché operante in un contesto evidentemente sfavorevole,
L’inchiesta
sia per ragioni socio-ecopartita
nomiche legate a un territorio povero sotto tutti gli
da Lettere
aspetti, sia per tutte le
si è estesa
difficoltà finanziarie proad altre facoltà
prie, dovute ai tagli ministeriali, ogni giorno combatte le propria battaglia per proseguire
la missione, originariamente assegnatale
dalla legge istitutiva».
«Nei quaranta anni di vita dell’ateneo prosegue la Uil - il tempo non è trascorso
invano. I risultati sono sotto gli occhi di
tutti: grande attrattività (34000 studenti);
carattere internazionale per la presenza di
numerose compagini studentesche stra-
niere; attività di ricerca di qualità, garanzia del diritto allo studio, grandi opportunità di lavoro per tutto il sistema indotto,
che garantisce sostegno e reddito a tante
famiglie, ecc. Questi risultati sono anche
frutto del grande impegno del personale
tecnico amministrativo, dei ricercatori e
dei docenti, che oggi, di fronte alla notizia
da cui trae spunto questa riflessione, ma-
Azzannata da un cane mentre passeggia a Rende
La donna è stata aggredita da un maremmano posto a guardia di un capannone
I sanitari del 118 le hanno applicato ben
dieci punti di sutura a una gamba
Da sinistra, Pino Carotenuto e Gianfranco Vecchione
Giornata di grande paura sulla Strada
statale 19, con un cane che si è scagliato
contro una ragazza azzannandola a una
coscia.
Il fatto è accaduto in via Colombo nel
comune di Rende, 250 metri prima del
cancello di Magdalone. S.I., 26 anni, cosentina, si trovava a transitare a piedi nei
pressi di un esercizio commerciale alla cui
guardia, il proprietario aveva posto un un
cane di razza maremmana. Per l’animale
era stata allestita un’area tutta recintata
con tanto di cancello che, ieri, intorno alle 10, era però aperto. Anche il cane si trovava libero dal guinzaglio. Evidentemente, per il guardiano a quattro zampe, la ragazza sarà sembrata un nemico da colpire e, inferocito, è uscito dal recinto per assalirla, ferendola poi a una gamba. Provvidenziale è risultato l’intervento di due
signori che hanno salvato la ragazza dall’aggressione, evitando così guai ben peggiori. I due uomini sono riusciti a far allontanare il cane che è poi rientrato nel recinto, lasciando la ferita a terra e sanguinante.
Mentre i soccorritori hanno avvertito i
sanitari del 118, il proprietario del cane è
accorso per capire cosa stesse succedendo
e, secondo il racconto della ragazza, dopo
aver chiesto scusa, ha chiuso il cancello
del recinto ed è ritornato tranquillamente a lavorare nel capannone. Ipotesi queste che, in un futuro prossimo, la 26enne
cercherà di chiarire molto probabilmente
sporgendo querela. Per il momento ha riportato ben dieci punti di sutura e i medici le hanno prescritto tanto riposo, possibilmente lontano dai cani.
Deborah Furlano
nifestano il tutto il loro disagio. Impegno,
partecipazione, grande senso di appartenenza sembrano passare in secondo piano, rispetto a fatti che sono ancora al vaglio dell’autorità inquirente. Sarà anche
vero che tutto non gira per il verso giusto
– come lavoratori siamo impegnati quotidianamente a vigilare, proporre iniziative, sollecitare buone pratiche – ma è ingeneroso non tener conto degli sforzi aggiuntivi, a cui siamo sottoposti, per superare tutte quelle oggettive situazioni di
svantaggio, che un ateneo giovane è costretto ad affrontare, per rimanere al passo in un sistema competitivo. Bene hanno
fatto il rettore e il preside della facoltà di
Lettere e Filosofia a chiedere la verifica
per alcuni casi sospetti – segno di pronta
attenzione alla legalità – ma è opportuno
attendere gli esiti delle indagini».
«Nel frattempo - conclude la nota - tutti dovremmo presentare l’Unical per quello che è: un avamposto di speranza in un
territorio che faticosamente tenta di recuperare il ritardo accumulato».
fotonotizia
Duomo, quel cornicione è pericolante
Lavoro extra per i vigili del fuoco che, ieri mattina,
sono dovuti intervenire per rimuovere pezzi di un
cornicione pericolante dalla facciata laterale del
Duomo. L’intervento è perfettamente riuscito.